11. Non credo ma provo rispetto - La Scuola

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11. Non credo ma provo rispetto Una storia romanzata. Di Tito Livio, autore di una monumentale opera storica solo in parte pervenutaci, si è detto, forse esagerando, che fu romanziere più che storico. Certo fu un exornator rerum, un grande narratore che si prefisse di raccontare l’intera vicenda del popolo romano in forma avvincente per il lettore. L’aneddoto portentoso qui riportato è da Livio stesso definito col termine di fabula che, come historia (e, in greco, diéghema, mythos, plasma), serve anche a designare la narrativa d’invenzione, il romanzo. Non credo, ma provo rispetto. Livio non crede al miracolo che narra, ma non per questo prende le distanze da quel mondo remoto che ancora prestava fede ai prodigi. Egli scrive in altra parte della sua opera: «So bene che, per effetto di quell’indifferenza per la quale oggi si crede che gli dei non diano presagi coi loro portenti, non viene più rivelato in pubblico alcun prodigio né registrato nelle cronache. Quanto a me, intento a scrivere la storia dei tempi antichi, l’animo, non so come, mi si fa antico e un certo scrupolo religioso mi trattiene dal giudicare indegni di esser riportati nella mia opera storica quei prodigi che i saggi uomini del passato nell’interesse stesso dello stato decisero di accettare per veri» (43, 13 1-2). Ti pare contraddittoria la posizione di Livio? Perché? Anche a te capita di non credere in una data cosa, ma nel contempo di rispettare chi ci crede? Fa’ un esempio. Livio, storico dei “sentimenti”. In tempi recentissimi la credibilità di Livio come storico è rivalutata da un orientamento degli studi antiquariali che tende a riconoscere, nella tradizione leggendaria romana, nuclei di verità, cui la ricerca archeologica può offrire concreti riscontri. In questa prospettiva, alle leggende della fondazione di Roma – in passato giudicate poco attendibili e ritenute mero calco di miti greci, invenzioni posteriori di eruditi che avevano ricostruito il passato di Roma sulla base della mitologia greca – viene riconosciuta

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11. Non credo ma provo rispetto Una storia romanzata. Di Tito Livio, autore di una monumentale opera storica solo in parte pervenutaci, si è detto, forse esagerando, che fu romanziere più che storico. Certo fu un exornator rerum, un grande narratore che si prefisse di raccontare l’intera vicenda del popolo romano in forma avvincente per il lettore. L’aneddoto portentoso qui riportato è da Livio stesso definito col termine di fabula che, come historia (e, in greco, diéghema, mythos, plasma), serve anche a designare la narrativa d’invenzione, il romanzo. Non credo, ma provo rispetto. Livio non crede al miracolo che narra, ma non per questo prende le distanze da quel mondo remoto che ancora prestava fede ai prodigi. Egli scrive in altra parte della sua opera: «So bene che, per effetto di quell’indifferenza per la quale oggi si crede che gli dei non diano presagi coi loro portenti, non viene più rivelato in pubblico alcun prodigio né registrato nelle cronache. Quanto a me, intento a scrivere la storia dei tempi antichi, l’animo, non so come, mi si fa antico e un certo scrupolo religioso mi trattiene dal giudicare indegni di esser riportati nella mia opera storica quei prodigi che i saggi uomini del passato nell’interesse stesso dello stato decisero di accettare per veri» (43, 13 1-2).

• Ti pare contraddittoria la posizione di Livio? Perché?

• Anche a te capita di non credere in una data cosa, ma nel contempo di rispettare chi ci crede? Fa’ un esempio.

Livio, storico dei “sentimenti”. In tempi recentissimi la credibilità di Livio come storico è rivalutata da un orientamento degli studi antiquariali che tende a riconoscere, nella tradizione leggendaria romana, nuclei di verità, cui la ricerca archeologica può offrire concreti riscontri. In questa prospettiva, alle leggende della fondazione di Roma – in passato giudicate poco attendibili e ritenute mero calco di miti greci, invenzioni posteriori di eruditi che avevano ricostruito il passato di Roma sulla base della mitologia greca – viene riconosciuta

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un’autenticità nuova. Si può accertare che quella dei romani non è una “cultura senza mito”, cioè fondata su miti altrui, a patto che si impieghino strumenti di lettura adeguati a comprendere una cultura primitiva, come era quella di Roma arcaica. Si tratta, per l’archeologo Andrea Carandini, di tener conto delle “emozioni” e dei “sentimenti”, senza pretendere di tradurre tutta la realtà culturale in termini razionalistici. Da questo punto di vista, la lettura di Livio può essere doppiamente interessante, la sua attenzione nei confronti degli elementi emozionali e non riconducibili alle categorie della ragione è programmatica: “So bene che, per effetto di quell’indifferenza per la quale oggi si crede che gli dei non diano presagi coi loro portenti, non viene più rivelato in pubblico alcun prodigio né registrato nelle cronache. Quanto a me, intento a scriver la storia dei tempi antichi, l’animo, non so come, mi si fa antico e un certo scrupolo religioso mi trattiene dal giudicare indegni di esser riportati nei miei annuali quei prodigi che i saggi uomini del passato nell’interesse stesso dello stato decisero di accettare per veri” (43, 13 1-2). Manca ancora un serio tentativo per definire quale sia la funzione del mito nella cultura romana, più banalmente, quali siano i miti romani. L’idea prevalente è che, per il suo carattere concreto, la religione latina fosse interessata a definire la sfera d’azione di ciascun dio venerato in quanto capace di intervenire in un dato settore della vita pratica, ma non possedesse miti teogonici (riguardanti la nascita delle varie divinità). Questi miti deriverebbero dalla Grecia ed avrebbero solo un carattere letterario, anche se di grande rilevanza, al punto che la mitologia greca è un ingrediente fondamentale, costitutivo e non meramente esornativo, della letteratura latina. In questa prospettiva quella cultura romana sarebbe una “cultura senza mito” o, meglio, una cultura fondata su miti altrui, frutto di invenzioni letterarie posteriori. Recentemente l’archeologo Andrea Carandini ha sostenuto che la tradizione leggendaria romana presenta nuclei di verità ai quali la ricerca archeologica può fornire un riscontro. Il racconto delle origini romane, in particolare il mito della fondazione ad opera di Romolo, non sarebbe il semplice ricalco di miti greci, ma avrebbe una consistenza autonoma rispetto alla mitologia greca.1 L’autorità del passato. Presso i Romani il passato e la tradizione erano oggetto di incondizionato rispetto. Ciò che avevano fatto gli antenati era un esempio da

1 A. Carandini, Archeologia del mito. Emozione e ragione fra primitivi e moderni, Einaudi 2002.

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seguire per le generazioni successive. L’antropologo Riesman distingue, riguardo al modo di rapportarsi alla tradizione, tre tipi umani: – autodiretto (trova in sé i propri modelli di comportamento), – eterodiretto (si fa condizionare da altre culture), – diretto dalla tradizione. I Romani esemplificano il terzo tipo, che «rispetta rigorosamente i dettami tramandati dagli antenati, e trova in ciò la propria saggezza e la propria realizzazione» (M. Bettini). Il riconoscimento della superiorità del passato è espresso anche nella terminologia latina che definisce gli antenati, i contemporanei, i posteri. I primi sono maiores, cioè «più grandi» e importanti, i secondi sono aequales «uguali», gli ultimi sono minores «più piccoli». Non c’è in latino un termine positivo per indicare il «nuovo», infatti in novitas e novus c’è una connotazione negativa di «stranezza».

• In che misura il passo liviano di Iuno Moneta rispecchia il tipo umano «diretto dalla tradizione»?

• Quale dei tre tipi distinti da Riesman ti pare che ripecchi meglio la

mentalità dei giovani d’oggi? In altre parole, sono prevalentemente «diretti dalla tradizione», «autodiretti», «eterodiretti»? Fa’ esempi a sostegno della tua risposta.

L’evocatio delle divinità dei nemici Che cos’è l’evocatio. I Romani credevano che ogni città fosse protetta da qualche dio. Così, verso la fine dell’assedio, prima di entrare nella città vinta, invitavano con la formula religiosa dell’evocatio i numi tutelari dei nemici ad abbandonarla e a schierarsi dalla loro parte. In cambio gli dei avrebbero avuto a Roma onori uguali o superiori. All’evocatio faceva seguito un sacrificio, e l’esame degli exta, «viscere d’animali immolati», rivelava se la richiesta era stata accolta. Macrobio (IV secolo d.C.) ci trasmette un carmen di evocatio che sarebbe stato rivolto alle divinità protettrici di Cartagine: ... Ut vos populum civitatemque Carthaginiensium deseratis; loca, templa sacra urbemque eorum relinquatis ... Romam ad me meosque veniatis nostraque vobis loca, templa sacra, urbs acceptior probatiorque sit.

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L’evocatio del testo liviano. Il passo di Livio V, 22 documenta un’evocatio: «Il solo caso di evocatio noto è quello di Giunone Regina compiuto da Camillo nel 396, alla fine di una lunga e terribile guerra. Giunone Regina era venerata da tempo sul Campidoglio, quando la Giunone di Veio rispose all’appello e prese dimora sull’Aventino. La scena è stata da Livio magnificamente abbellita ma, frutto di fantasia o no, i particolari della descrizione sono rivelatori dell’intenzione rituale e dello stato d’animo di coloro che compivano il rito. In quanto promessa di un culto romano che compensi quello soppresso in territorio nemico, l’evocatio è un atto di diritto religioso» (Dumézil).

• Ritorna al testo liviano e ritrova i particolari della descrizione che sarebbero, come scrive Dumézil, «rivelatori dell’intenzione rituale e dello stato d’animo di coloro che compivano il rito».

• Del carmen esegui una tua traduzione.

• Definisci con tue parole il rito dell’evocatio.

Riprendiamo il carme trasmessoci da Macrobio: Ut vos populum civitatemque Carthaginiensium deseratis; loca, templa sacra urbemque eorum relinquatis ... Romam ad me meosque veniatis nostraque vobis loca, templa sacra, urbs acceptior probatiorque sit.

[Prego] che abbandoniate il popolo e la città dei Cartaginesi; i luoghi, i templi sacri e

la loro città … che veniate a Roma da me e dai miei e che i nostri luoghi, templi sacri e

città vi siano più accetti e graditi.

La famiglia di parole di moneo Come abbiamo già detto nel commento ai passi, l’epiteto Moneta, «che avverte», risale alla radice indoeuropea *men-/ mon- «pensare» che è in mens, moneo, memini, monstro, mentior, ed anche in moneta «danaro coniato»: infatti nel tempio di Giunone Moneta c’era la zecca di Roma.

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• Trova cinque parole italiane per ciascuno dei seguenti sensi in cui si è precisato il significato generale di questa radice: ammonire dimostrazione moneta monumento menzogna.

Linguaggio e religione. Leggi il passo di Mario A. Pei ed esegui gli esercizi proposti. Per la maggior parte, le lingue hanno come loro più antico documento un testo religioso. Si può addirittura sospettare che la scrittura si sia sviluppata non come ausiliare della lingua parlata, ma come sussidio per la religione e come strumento per conservare la tradizione sacra. Il cristianesimo trovò già pronte per servirlo due lingue pienamente formate, il latino e il greco, e si deve al cristianesimo se esse hanno continuato a vivere e diffondersi invece di venire sommerse dalle ondate dei barbari. Un conquistatore suole imporre ai vinti il proprio linguaggio e se, nel caso degli invasori germanici, accadde l'opposto, ciò si deve non solo al contatto con la civiltà romana, ma segnatamente al fatto che essi vennero convertiti al cristianesimo, la cui lingua in Occidente era il latino. L'adozione della fede portò seco l'adozione della lingua che con quella fede era indissolubilmente legata. In epoca più tarda, per altro, il cristianesimo dovette servirsi della lingua propria a ciascun popolo che viveva oltre i confini dell'antico impero romano e così distrusse l'aristocrazia linguistica classica costituita dal greco e dal latino, che erano le uniche lingue considerate degne di studio. Immensa è l'influenza della religione sul vocabolario di tutte le lingue civili. Per far qualche esempio italiano, abbiamo innanzi tutto parole che hanno conservato in gran parte il loro significato religioso come "tempio", "chiesa", "altare", "preghiera", "messa", "pellegrino", "inferno", "blasfemo", "peccato". Poi ci sono le parole originariamente religiose che hanno assunto i significati più diversi: "credo" "infallibilità", "fanatico", "gerarchia", "ministro", "missione", "inno" sono forse più frequenti oggi come termini politici che religiosi. L'origine dei termini religiosi è affascinante. Nell'originale greco, un angelo è un "messaggero" (e

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l'evangelo è appunto un "buon messaggio", una "buona novella"), un prete è un "anziano" (infatti il termine perete è presbyter "anziano": si ricordi nel linguaggio scientifico la presbiopia, perdita della facoltà di accomodamento dell'occhio che si inizia con la vecchiaia). Il latino paganus significa propriamente "civile, borghese" in contrapposizione a "militare" e designa poi, come termine religioso, i "pagani", cioè coloro che non appartengono alla milizia di Cristo. L'influsso della religione si fa sentire non solo sul linguaggio vero e proprio, ma anche sui simboli significativi. Gli antichi cristiani usavano spesso come simbolo il pesce, dato che le lettere della parola greca ichthys "pesce" erano anche le iniziali delle voci che componevano l'espressione lésous Christos Theoù Yiòs Sotér "Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore". La X che ricorre come abbreviazione del nome di Cristo nei più antichi documenti cristiani, e che come tale si conserva anche nella grafia inglese Xmas per Christmas "Natale", non è propriamente una ics, ma la lettera greca chi, che ha appunto la stessa forma del nostro ics, la quale è l'iniziale di Christós. Il crocesegno che gli analfabeti tracciano in luogo della firma continua l'uso degli antichi cristiani, che lo ponevano accanto al proprio nome come attestazione di buona fede.

(Riduzione e adattamento da Mario Pei, La storia dei linguaggio, Sansoni, Firenze 1970, pp. 119-121)

• Perché la scrittura potrebbe essere nata come sussidio per la religione?

• Perché il cristianesimo ha contribuito alla conservazione del latino e del

greco?

• Definisci, ricorrendo anche al vocabolario di italiano, le seguenti parole derivate dal latino (e dal greco) ancora appartenenti al lessico della religione:

tempio preghiera peccato fanatico chiesa messa credo missione altare blasfemo infallibilità inno

• Indica il significato originario delle seguenti parole:

angelo prete presbiopia evangelo presbitero pagano

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• Come nasce presso i Cristiani il simbolo del pesce?

• Che nesso esiste tra la croce che gli analfabeti appongono su un

documento e il simbolo cristiano? Il lessico della religione. Studia gli elenchi relativi al lessico religioso qui riportati ed esegui gli esercizi proposti. (in apice nelle definizioni è indicata la frequenza - decrescente da 1 a 4 - del termine nel lessico latino) aedes, -is3 santuario; tempio ara, -ae2 altare auspicio, -is1 osservo; esamino (auspicium, -ii: osservazione degli

uccelli da parte del sacerdote, auspicio) augeo, -es2 far crescere; far prosperare; aumentare

(augur. colui che trae presagi utili a far prosperare qualcosa; augure; augurium, -ii: presagio favorevole, augurio; augustus, -a, -um: intrapreso con presagi favorevoli)

carmen, -inis1 formula religiosa; carme clementia, -ae4 clemenza (Clementia, -ae: dea Clemenza) dea, -ae2 dea deus, -i1 dio divinus. -a. –um3 divino divus, -a, -um2 divino dexter, -tera, -terum2 che appare a destra come segno fausto; propizio,

favorevole fatum, -i1 destino (v. sinister) fas4 (indecl.) parola divina, ciò che è conforme alla legge divina feficitas, -atis3 fecondità; fertilità; produttività felix, -icis2 felice; fortunato; fertile; fecondo; produttivo fides, -ei1 affidabilità; lealtà, protezione (Fides: dea Fede). fortuna, -ae buona (e cattiva) sorte

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fulmen, -inis2 fulmine (come segno religioso) impius, -a, -um3 empio, sacrilego inferus, -a, -um1 del mondo di là, infernale (inferi, -orum: i morti, l'altro

mondo) ingenium, -ii1 carattere innato, natura, spirito (vedi sotto genius) invidia2 il gettare il malocchio; malevolenza invisus, -a, -um4 in preda al malocchio; detestato monstrum, -i4 prodigio; miracolo; meraviglia; insomma ogni cosa che

esca dall'ordinario; un fenomeno contrario all'ordine naturale delle cose. È un avvertimento dato dagli dei (si lega al verbo moneo)

nefas2 (indecl.) sacrilega negazione della legge divina (v. fas) numen, -inis2 cenno del capo indicante la volontà; nume oro, -as3 prego, imploro ostendo, -is1 offrire; mostrare (ostentum, i: prodigio) pax, pacis1 pace (Pax: dea Pace) pietas, -atis3 sentimento per cui si riconoscono e si compiono i

doveri verso gli dei, i genitori, la patria pius, -i3 che è animato da pietas precor, -aris2 supplicare; pregare (precatio, -onis: preghiera) prex, precis2 prece, preghiera purus, -a, -um3 puro religio, -onis4 scrupolo religioso, religione (si oppone a superstitio:

falsa religione, superstizione) sacer, -era, -rum2 sacro sacrum, -i2 culto, sacrificio sanctus, -a, -um3 sacro, santo signum, -i1 segno (divino) sinister, -a, -um3 sinistro; sfavorevole; infausto (v. dexter) sors, sortis2 tessera per trarre a sorte, sorte (sortes, -ium:

verghette di legno, agitate da un fanciullo, che le estraeva dall'urna e le dava a chi consultava l'oracolo)

specto, -as1 osservo (v. aspicio) spiritus, -us2 spirito, anima superus, -a, -um1 che sta sopra, superiore

(superi, -orurn: dei superni, del cielo)

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suppiicium, -ii2 supplica agli dei, supplizio (supplico: mi inginocchio; supplico)

tellus, -uris2 terra (Tellus: dea Terra) tempium, -i2 terreno tracciato ritagliato (dal gr. temno "taglio") dal

bastone dell'augure, come spazio sacro per l'osservazione dei signa divini

vitium –ii1 vizio di forma (in una cerimonia religiosa; nel trarre gli auspici, ecc.)

votum, -i2 voto, offerta votiva (voveo, ere: "faccio voto", devotio, -onis: sacrificio della vita, formula magica, devozione).

• Quali parole hanno mantenuto in italiano un significato religioso e quali lo

hanno invece perso? Termini religiosi non compresi nel lessico di base Arvaiis, -is campestre, che riguarda i campi (arva). I Fratres

Arvales erano un collegio di dodici sacerdoti che facevano in primavera una processione propiziatrice per i campi

Augur, -uris àugure, membro del collegio degli auguri (Collegium augurum), i quali dal volo, dal modo di cibarsi e dal grido degli uccelli predicevano il futuro

augurium, -ii osservazione e interpretazione dei presagi, augurio. auspicium, -ii osservazione degli uccelli (avis e spectare), augurio. collegium, -ii collegio (Augurum, Pontificum, ecc.) delubrum, -i tempio, santuario

devotio, -onis fra i vota pubblici è il più importante. Consiste in particolare nella promessa alle divinità degli Inferi di consacrare loro una città assediata che, dopo conquistata, dovrà essere distrutta.

devoveo, -ere votare, offrire in sacrifizio a una divinità

divino, -are profetizzare, presagire

evocatio, -onis formula religiosa pronunciata al termine di assedio, con la quale si invitavano gli dei nemici ad abbandonare la città vinta e a schierarsi dalla loro

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parte. In cambio gli dei avrebbero avuto a Roma onori uguali o superiori. "In quanto promessa di un culto romano che compensi quello soppresso in territorio nemico, l’evocatio è un atto di diritto religioso" (Dumézil)

exta, -orum interiora; viscere di animali immolati fanum, -i luogo consacrato; dedicato alla divinità; tempio

fulgur, -uris lampo

genius, -ii forza procreatrice e realizzatrice; di cui ogni individuo riconosceva in sé l'efficacia (ingenium)

haruspex, -icis aruspice: indovino etrusco (in seguito anche romano), che esaminava gli exta delle vittime in base alle quali prevedeva il futuro

hostia, -ae vittima sacrificale

Lares, -ium divinità tutelari della casa

lucus, -i bosco sacro

lustratio, -onis cerimonia purificatoria di qualunque cosa, persona, animale, città o area, che possa essere stata contaminata da cattive influenze o rischiasse di esserlo

Manes, -ium i Mani, le anime dei morti omen, -inis presagio veridico, dichiarazione di verità consistente

in una parola fortuita pronunciata senza intenzione particolare, ma in una circostanza decisiva

oraculum, -i oracolo

ostentum, -i ogni presagio che si produce alla vista di tutti penates, -ium Penati; numi tutelari della casa e dello stato

pontifex, -icis pontefice. Pontifex Maximus, Pontefice Massimo, capo del collegio dei pontefici, figura di grande prestigio e importanza, in quanto esercita il controllo sulla religione di stato. Furono pontefici Giulio Cesare e tutti gli imperatori fino a Graziano, che soppresse il titolo (381 d.C.).

portentum, -i prodigio, portento

prodigium, -ii emissione di una voce divina (forse il termine è legato alla radice aio, "dire" in linguaggio giuridico). "Un

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prodigio è una manifestazione di autorità che ha il valore di impegno" (Meslin).

profanus, -i non consacrato (pro "davanti" + fanum), profano, sacrilego

ritus, -us rito, cerimonia

superstitio, -onis superstizione, falsa religione

supplico, -are supplicare; pregare

voveo, -ere faccio un voto (alla divinità) Il rito di purificazione dei fratres Arvales. Ti proponiamo il Carmen Arvale, preghiera in verso saturnio (metro della lirica religiosa arcaica) rivolta ai Lari e alle divinità campestri (in particolare Dia, la terra feconda) volta a stornare la peste dalle campagne. Leggi il carme ed eseguine la traduzione seguendo le indicazioni che ti sono date. Nel 1978 fu trovata in uno scavo sul Vaticano una lastra di marmo (ora conservata nei Musei Vaticani) su cui era inciso il resoconto di un rito compiuto, nel 218 d.C. sotto l'impero di Eliogabalo, dal collegio dei fratres Arvales, sacerdoti preposti alla purificazione dei campi coltivati (arva) e la cui istituzione è fatta risalire da Gellio (VII 7, 8) all'età di Romolo. Riportiamo, di questo antichissimo Carmen magico-religioso in saturni, l'invocazione ai Lares (gli antenati, gli spiriti "buoni" protettori della casa), ai Semones (divinità dei campi, probabilmente da semen "seme") e a Marmar, Marte, non ancora dio della guerra ma divinità agreste che difende i confini dai nemici e dai flagelli che insidiano i raccolti e il bestiame. Il metro è l'antichissimo saturnio. Presentiamo il componimento nella lingua arcaica originale (forse anteriore al VI secolo a.C.) e in una nostra proposta di "traduzione" in latino classico. Ciascun verso era ripetuto tre volte (la triplicazione delle formule è tipica del folklore religioso e della magia). Si notino in particolare le figure di suono come l'allitterazione (fu, fere; sali, sta), l'omoteleuto (enos Lases; neve, lue, rue), le ripetizioni (ber, ber). E nos, Lases, iuvate! Neve lue rue, Marmar, sins

O nos, Lares, iuvate! Ne luem-, ruinam, Marmar, sinas

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incurrere in pleores. Saturfu, fere Mars; limen sali, sta berber. Semunis alternei advocapit conctos. E nos, Marmar, iuvato! Triumpe!

incurrere in plures-! Satur- esto, fere Mars; limen sali, sta illic, illic! Semones alternis advocabit [Marmar] cunctos; O nos, Marmar, iuvato! Triumphe!

Oh Lari, aiutateci!

E tu non permettere, Marmar, che peste e rovina gravino sul popolo.

Sii sazio, Marte feroce, salta sulla nostra soglia e resta là, là.

Tutti i Semòni a turno Marmar chiamerà presso di sé.

Oh, Marmar, aiutaci! Trionfo!

• Della preghiera ti abbiamo proposto una traduzione volutamente incolore, appiattita sulla lingua di partenza. Esegui una tua traduzione più comunicativa, cioè orientata sul destinatario moderno. Valuta i seguenti punti: – il carattere comunicativo della traduzione implica l'impegno del traduttore a fornire, eventualmente con perifrasi o incisi esplicativi, il massimo delle informazioni implicite nel testo originale; – conviene conservare Marmar, in luogo di Marte, considerando che la maggior parte dei tuoi lettori non sanno chi è, mentre Marte è di certo più noto? Ma così si perde l'effetto fonico della duplicazione (Mar-mar), tipico della preghiera e della lingua arcaiche, Si potrebbe modificare il nome del dio in Marmarte? – lues e ruina potrebbero essere resi con termini che fanno più chiaro riferimento al carattere agricolo del danneggiamento; – ìncurrereè assai espressivo (dà l'idea del rapido insinuarsi del contagio tra gli animali e le piante della fattoria). Il verbo italiano derivato rende ugualmente bene questo valore semantico?

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Il rito di purificazione degli Ambarvalia. Affine al Carmen Arvale è il carme, tramandato da Catone nel De agri cultura (141, 2 ss.), che il pater familias pronunciava durante la cerimonia degli Ambarvalia, rito di purificazione (lustratio) dei campi che si svolgeva in maggio. Di questo carme ti proponiamo il testo nella traduzione di P. Ferrarino. Leggi il testo del carme ed esegui gli esercizi lessicali relativi al termine lustratio. Marte, padre, ti prego e ti chiedo deh, sii benigno, propizio a me, alla casa e alla servitù nostra, a cagion della qual cosa attorno al campo, alla terra e al mio fondo ho fatto condurre i suovitaurili2

: deh, tu i morbi visibili ed invisibili, la desolazione e la devastazione, le tempeste e gli uragani arresta, ricaccia e spazza via; deh, tu i frumenti ed i frutti, i vigneti ed i virgulti fa' che crescano e vengan su bene, i mandriani e le mandrie serbale salve e dà buona salute e vigoria a me, alla casa e alla servitù nostra: a cagion di queste cose, di purificare il fondo, la terra e il mio campo e fare il sacrificio purificatorio, così come ho detto, onorato dall'immolazione di questi suovitaurili lattanti tu sia! Marte padre, a cagion della medesima cosa, onorato dall'immolazione di questi suovitaurili lattanti tu sia!

2 I suovetauriiia erano il sacrificio a Marte di un porco (sus), di un ariete (ovis) e di un toro.

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Il testo esemplifica la cerimonia della Iustratio. Leggi la scheda lessicale. Lustratio. La lustratio era una cerimonia purificatoria di qualunque cosa, persona, animale, città o area, che potesse in qualche modo essere stata contaminata da cattive influenze o rischiasse di esserlo. Il rito consisteva nel girare attorno all'oggetto della lustratio spruzzandovi sopra acqua o latte. Il verbo lustrare aveva la duplice accezione di "compiere la cerimonia lustrale" e "rischiarare, illuminare". I due significati erano già nella radice indoeuropea *leuk-, da cui derivano lustratio, lustrare e /ux "luce". Dalla stessa base deriva anche il greco leukós, che significa sia "luminoso" sia "lindo, puro". Nelle parole italiane derivate l'idea di luminosità si può intendere in senso sia fisico (lustrare un pavimento) sia morale (/ grandi poeti danno lustro alla patria) sia religioso (il prete asperse il capo del neonato con acqua lustrale).

• Definisci con tue parole la cerimonia della lustratio.

• Conosci espressioni della lingua religiosa, in cui l'idea della purificazione (di pertinenza morale, spirituale) coesista con l'idea della luce intesa in senso fisico?

• Scrivi tre coppie di frasi, in cui il verbo italiano lustrare (o i termini derivati)

abbia il significato: – fisico ("tirare a lucido") – morale ("dare lustro a") – tecnico-religioso ("lustrale").

La lettura dei segni divini: auspicium, augurium, omen, prodigium, monstrum. Leggi le schede lessicali relative ai seguenti argomenti: – Auspicium e augurium (la difesa del «libero arbitrio»); – Il concetto di auctoritas e il titolo di Augustus; – La famiglia lessicale di augere; – I vari tipi di presagio: omen, prodigium, monstrum. Quindi esegui gli esercizi.

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Auspicium, Augurium. La scienza degli antichi sacerdoti consisteva soprattutto nell'osservare e interpretare il comportamento degli uccelli, ovvero nell'avispicium (da avis "uccello" e specto "osservo"), rapidamente abbreviatosi in auspicium, di qui l'italiano "auspicio" che ha conservato, anche se non in un'accezione sacrale, il significato di segno e circostanza atti ad essere interpretati come un presagio (la navigazione cominciò sotto cattivi auspici). Ma la mentalità religiosa romana aveva un fondo troppo pratico e anti deterministico, per limitarsi alla contemplazione pura e semplice del presagio; in realtà il Romano, più che il Greco era portato a cercare di determinare il futuro, piuttosto che semplicemente a prevederlo: ecco allora che tra le cerimonie più antiche, troviamo quelle volte a propiziare l'abbondanza dei raccolti, ad augere "accrescere" la prosperità della terra. Augurium (da augere), anche fuori dall'ambito agricolo, valse "atto cultuale dovuto ad ottenere qualcosa per qualcuno": così augurium salutis era la cerimonia religiosa per procurare il benessere fisico del popolo. Ad augere si collega anche la nozione di auctoritas. Il principale termine italiano derivato, "augurio" o "auguri", non ha mutato il senso originario, stando a significare il desiderio o la speranza nostra per un bene altrui (auguri di buon compleanno, formulare un augurio di pace).

• Definisci con tue parole auspicium.

• Ripeti con tue parole la frase: "la mentalità religiosa romana aveva un fondo troppo pratico e antideterministico, per limitarsi alla contemplazione pura e semplice del presagio".

Auspicia e "libero arbitrio". L'atteggiamento dei Romani di fronte ai presagi sembra rivelare più che l'inquietudine per l'avvenire, il desiderio di assicurare l'azione imminente, i “segni": I’involontario (starnuto, contrazione delle palpebre, ecc.) e l'inaccessibile (uccelli, fenomeni celesti, ecc.) si presentano come messaggi soprannaturali. Ma lo sviluppo psicologico e religioso è particolarissimo. Mentre i Greci, per esempio, cercano di conoscere il dramma dell'avvenire, considerato più o meno come fatale, i Latini chiedono il responso sulle possibilità di un'impresa, la cui attuazione non è determinata a priori. Il temperamento romano ha reagito contro la costrizione del caso, con energia e

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chiarezza, grazie all'azione del collegio specializzato degli Auguri. «La libertà individuale fu dai Romani cautelata: gli auspicia perderanno ogni efficacia: se non sono stati percepiti; se non si è voluto farvi attenzione; se, avendoli percepiti, si dichiara di rifiutarli (repudiare, refutare). Una teoria coerente precisò che gli auspicia annunciavano l'avvenire senza determinarlo, e che un'azione posteriore poteva modificare questo avvenire [...] Il romano si è dato il diritto di accettare il presagio o di rifiutarlo (omen improbare, relutare), di respingerlo religiosamente (omeri execrari, abominali), di trasformarlo, di trasferirlo. Nella sua discussione con Giove Elicio, il re Numa si sente chiedere dal Dio il sacrificio di "teste" e di "vite": egli allontana la minaccia aggiungendo prontamente ... "d'aglio" alla parola "teste", e ... "di pesciolini" alla parola "vite"» (J. Bayet). Secondo Filostrato, certi maghi torturavano le statue degli dei per indurli, con sevizie e pratiche intimidatorie, ad atteggiamenti favorevoli.

• Riassumi in 5 righe il pensiero di Jean Bayet.

• Trai ora le tue conclusioni, per quanto riguarda l'episodio di Iuno Moneta: la cerimonia della devotio s'inscrive nella mentalità pragmatica e antideterministica di cui parla Bayet?

Auctoritas. Come augeo, auctor, augur, anche auctoritas viene da una radice indo-europea che significa “aumeneare", "accrescere". È auctor ogni uomo che aumenta o che fa crescere qualcosa. Infatti, la radice aug- designa una forza, quella degli dei, nelle sue implicazioni concrete ... In latino augeo indica l'azione di aumentare, di rendere più grande qualcosa che già esiste ... Nelle più antiche preghiere romane, augere indica benefici che gli uomini attendono dagli dei, la promozione delle loro imprese. È dunque auctor chi prende un'iniziativa creatrice, chi fonda qualcosa, con il consenso degli dei. L'auctoritas sarà dunque la qualità fondamentale di ogni magistrato che, in qualsiasi grado, esercita il potere ... Roma ignora un'istituzione destinata alla formazione della politica ... l’auctoritas si fonda dunque prima di tutto sul prestigio dell'appartenenza a una famiglia illustre ... Chi non appartiene a una famiglia illustre, deve dimostrare a tutti di possedere la virtus necessaria e le artes indispensabili, cioè di avere la competenza (sempre legata a una protezione divina, che valorizza le qualità personali). In questa fase di personalizzazione del potere, che segna il tramonto della Repubblica,

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l'auctoritas diviene progressivamente l'indice di una promozione individuale particolare. Si delinea così una forma originale dell'autorità che viene esercitata dal capo dello stato e che riunisce in sé gli aspetti militari, legati all'ideologia romana della Vittoria, agli aspetti familiari. La comunità nazionale è concepita come una grande famiglia della quale ben presto l'imperatore sarà il Padre. Sta qui il nocciolo della rivoluzione della fine del I secolo a.C. In questo trasferimento al livello della lotta dei rapporti tipo che esistono all'interno della famiglia, di quelle relazioni di dipendenza che uniscono i membri di una stessa famiglia al pater familias (Meslin). L'auctoritas, fulcro del potere monarchico Nel passo seguente, tratto dalle Res gestae divi Augusti, l'imperatore Augusto mette a fuoco con grande lucidità il significato rivoluzionario della propria assunzione del titolo di Augustus (nel 27 a.C.). Il termine – linguisticamente connesso con augere ("accrescere"), auctor, augur (il sacerdote che traeva gli auspici) – rinvia alla sfera sacrale e significa "venerabile", "santo". Alla radice di Augustus si lega anche auctoritas, che indica il fondamento e la legittimità della nuova monarchia, l'origine di tutte le prerogative del principe. L'auctoritas indica un potere di fatto, basato sul prestigio e sul carisma personali, quindi non riconducibile a quello derivante dalla carica ricoperta potestas). L'investitura sancisce la superiorità di Ottaviano (auctoritate omnibus praestitit), pur senza avergli conferito alcun potere istituzionale in più rispetto alle magistrature ordinarie. Leggi attentamente il passo, che ti proponiamo in traduzione. Nel mio sesto e settimo consolato, dopo che ebbi estinto le guerre civili, assunto per universale consenso (per consensum universorum) il controllo di tutti gli affari dello stato, trasmisi il governo della repubblica dal mio potere (potestate) alla libera volontà del senato e del popolo romano. Per questa mia benemerenza, con decreto del senato ebbi l'appellativo di Augusto, la porta della mia casa fu pubblicamente ornata di alloro, e sull'entrata fu affissa una corona civica; nella curia Giulia fu posto uno scudo d'oro con una iscrizione attestante che esso mi veniva offerto dal senato e dal popolo romano in riconoscimento del mio valore, della mia clemenza, della mia giustizia e pietà. Da allora in poi fui superiore a tutti in autorità (auctoritate), sebbene non avessi maggior potere (potestatis) di tutti gli altri che furono miei colleghi in ciascuna magistratura.

(34, trad. L. Canali)

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• Leggi ora come uno studioso di storia romana connette le nozioni di

augurium e auctoritas al titolo di Augustus. Augustus, auctoritas, augurium, augur, potestas. Il titolo di Augustus che Ottaviano riceve dal senato il 16 gennaio dell'anno 27 a.C. è il medesimo augurium augustum con cui era stata fondata Roma. Augusto, dunque, era un nuovo Romolo. Augustus, come anche auctoritas, augure augurium, vengono da augeo, ere il cui significato generale è "far crescere, aumentare". L'augurium è il presagio favorevole alla "crescita" di un'impresa. L'augure è colui che dà i presagi che assicurano questa crescita. L'aggettivo augustus significa “intrapreso sotto auguri favorevoli" ed è riferito solo a cose durante la repubblica. Quando diviene il titolo offerto a Ottaviano, assume il senso di "venerando" con forte coloritura religiosa (gr. sebastós). Mentre Augustus riguarda la primitiva sfera sacrale, auctoritas "è pertinente alla sistemazione logica che concetti sacrali assumono fadlmente nella ideologia romana" (Mazzarino). L'auctoritas è il fondamento di un potere formalmente repubblicano, di fatto monarchico. Augusto ha la stessa potestas degli altri consoli o dei tribuni, dei quali formalmente può dirsi "collega" (potestatis autem nihilo amplius

habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu collegae fuerunt), ma la sua auctoritas «faceva di questa potestas una realtà costituzionale nuova, la realtà nuova che gli "Augustei" cercavano, a salvaguardia dell'oscura, tragica vicenda della guerre civili» (Sante Mazzarino).

• Che cos'è l’auctoritas?

• Che cos'è la potestas?

• Augusto ha più poteri rispetto agli altri magistrati suoi colleghi?

• Chi è l'auctor?

• Anche ricorrendo al vocabolario d'italiano, sappi cogliere alcune differenze rilevanti tra il significato del termine latino auctoritas e quello del termine italiano autorità.

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Tieni presente che si tratta di "falsi amici", cioè di termini solo apparentemente sinonimi.

• Considera infine la seguente mappa, che riproduce la famiglia dei termini

legati ad augere.

• Dà una definizione sintetica per ciascuno dei termini della mappa.

• Rendi ragione delle relazioni semantiche indicate dalle frecce, eventualmente trovando altre relazioni tra gli elementi della mappa.

Leggi la seguente scheda lessicale; quindi definisci con tue parole i concetti di omen, prodigium, monstrum.

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Omen, prodigium, monstrum. L'omen è un presagio veridico, una dichiarazione di verità e consiste in una parola fortuita pronunciata senza intenzione particolare; ma in occasione di una circostanza decisiva (Meslin). I linguisti collegano il termine prodigium alla radice aio, "dire" in linguaggio giuridico, "Un prodigio è dunque una manifestazione di autorità che ha il valore di impegno". Si narra che dopo la disfatta dei Sabini, sotto Tulio Ostilio, una pioggia di pietre cadde sui Colli Albani. Il re inviò degli uomini a constatare il prodigio. Essi sentirono una gran voce, che usciva dai boschi, ordinare sacrifici secondo i riti nazionali (Livio I, 31). All'origine, dunque, il prodigio è l'emissione di una voce divina che si fa sentire fra altri segnali (Meslin). Monstrum indica ogni cosa che esca dall'ordinario, un fenomeno che sconvolge l'ordine naturale delle cose: per esempio un serpente con i piedi, un uccello con quattro ali, un uomo con due teste. L'etimologia collega questo termine al verbo moneo e fa dunque del monstrum un avvertimento dato dagli dei sotto forma di un essere o di un oggetto sovrannaturale. Viene qualificato come ostentum ogni presagio che si produce alla vista di tutti (Meslin). Le ambiguità della lingua religiosa. Qualche anno fa la Chiesa cattolica rese noto il cosiddetto terzo segreto di Fatima, cioè il contenuto della visione profetica avuta da tre pastorelli nel 1917. Secondo l’interpretazione data dall’autorità ecclesiastica competente, la profezia riguardava il ferimento, avvenuto molti anni dopo, di papa Wojtyla, per mano di un tale Alì Agca. Il testo della profezia, espresso in un linguaggio allusivo, profetico appunto, destò qualche perplessità. Leggi le considerazioni fatte in proposito dal filologo classico Maurizio Bettini, che esamina le caratteristiche ambiguità della lingua religiosa di ogni tempo. La lingua ambigua della divinazione Ma come, s'è detto, dov'è il Papa che cade sotto i colpi di Ali Agca? Qui si parla di altro, c'è solo un vescovo vestito di bianco ucciso da frecce e fucilate ... Dall'ammirazione si è passati allo stupore, persino alla delusione [...] Cosa c'è di singolare in questa vicenda? Tutto se la si guarda con occhi moderni, nulla se la si guarda con gli occhi degli antichi, o per lo meno con gli occhi di una società che prenda molto sul serio la pratica della divinazione. Basta vedere come si comportavano i Romani con le loro "rivelazioni segrete": i libri Sibillini. Che cos'erano questi libri? Una raccolta di oracoli scritti in greco e depositati in Campidoglio fino ai tempi di

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Tarquinio il Superbo. Si diceva che il re li avesse ricevuti da una misteriosa vecchia, in occasione di un incontro ancor più misterioso, La paternità di questi oracoli era attribuita alla Sibilla Cumana, una profetessa che aveva visioni estatiche e le esprimeva attraverso un linguaggio fortemente simbolico. Ecco ad esempio il testo di un oracolo che fu reso noto durante la seconda guerra punica, quando Annibale imperversava in Italia: "Sotto ogni possibile forma ci minaccia la sventura: colui che ad essa sfugge, e orgoglioso ritorna sul suo destriero, cadrà presto sotto nuova disgrazia. Ma la Sibilla, se avrete fede in lei, di nuovo vi additerà il rimedio". Cose di questo genere si leggevano nei libri Sibillini. Ma dove sta l'analogia con il segreto di Fatima? Innanzi tutto nel tipo di linguaggio usato, che in entrambi i casi si presenta estremamente vago. Cicerone, che apparteneva al collegio degli àuguri, e dunque si intendeva anche di libri Sibillini, notava che l'autore degli oracoli "aveva agito in modo molto abile: aveva omesso infatti qualsiasi precisazione di persona e di tempo, di modo che, qualunque cosa fosse avvenuta, poteva sembrare l'avverarsi di una profezia. Costui aveva aggiunto anche l'oscurità dell'espressione, perché gli stessi versi potessero adattarsi ora a una cosa ora a un'altra". È chiaro infatti che se io dico che qualcuno cadrà per la seconda volta, mentre orgoglioso ritorna sul suo destriero, questa profezia potrà essere riferita sia a un generale appena sfuggito alle grinfie di Annibale (ma destinato a ricaderci), sia a un centurione sfiorato da una tegola mentre torna a casa a cavallo (ma destinato a morire di apoplessia in giardino). Questo naturalmente, se si decide che il "destriero" della Sibilla si riferiva veramente a un destriero. Perché, se invece si decide che questo destriero costituisce solo un simbolo dell'orgoglio – si sa che i cavalli sono animali orgogliosi – allora a fare le spese della profezia potrà essere qualche aristocratico che non vuole sottostare agli orientamenti del Senato. E via di questo passo (M. Bettini, La Sibilla

Cumana antenata dei pastori di Fatima, la Repubblica, 25 settembre 2001).

• Alla luce delle considerazioni di Maurizio Bettini traduci le seguenti sortes provenienti da una località dei Colli Euganei, Si tratta di pronostici incisi su lamine di bronzo e appesi in luoghi (grotte, fonti, ecc.) consacrati a una qualche divinità cui era riconosciuta una funzione profetica, Chi veniva per consultare l'oracolo sceglieva a caso uno o l'altro di questi oroscopi.

Est equus perpulcher, sed vehi non potes isto. Corrigi vix tandem quod curvum est factum, crede. Mendaces homines multi sunt. Credere noli. Nunc me rogitas, nunc consulis? Tempus abit iam.

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Come vedi, le formulazioni sono estremamente vaghe. Il cavallo bellissimo sul quale non potrà essere trasportato chi legge il primo oroscopo si presta a mille interpretazioni (un amante irraggiungibile, un bene di qualunque tipo non ottenibile, ecc.).

Pietas, devotio, religio. Nel passo liviano dell’episodio di Iuno Moneta ci sono molte espressioni indicanti il rispetto per le forme del rito e la devozione verso la divinità: colentium ... modo delecti ... iuvenes pure lavatis corporibus candida veste venerabundi templum inierunt religiose admoventes manus id signum more Etrusco ... solitus spiritu divino tactus vota Romani dictatoris idem qui voverat Camillus dicavit Queste attenzioni, segni di rispetto, atteggiamenti, ecc. rientrano nel concetto di pietas. Leggi le schede relative ai concetti di pietas, devotio e religio, ed esegui gli esercizi proposti. Il termine Pietas A. In senso religioso. L'esercizio della pietas garantisce la pax deorum. Essa è la qualità dell'uomo capace di dare il giusto valore al culto degli dei. B. In senso filiale, Le raffigurazioni in terracotta di Enea che porta in braccio il padre Anchise proveniente da Veio (fine del VI secolo) attestano che Roma ha ricevuto dall'Etruria questo archetipo della pietas. In Enea i Romani videro un tipo di eroe che, accanto alle figure di Coriolano e Veturia, diverrà il simbolo

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della pietà dei figli nei confronti degli dei protettori della gens fondatrice di Roma. In Enea c'è il prototipo del pontefice romano e la sua missione assume una dimensione politica e religiosa che lo innalza molto al di sopra dell'aneddoto individuale. C. In senso socio-politico. La pietas che lega il figlio al padre è lo stesso tipo di legame affettivo che unisce il cliente al suo protettore. Essa era garantita dalla fides: giuramento, avallato dagli dei, di rispetto reciproco tra il protettore e il protetto che gli promette obbedienza. La fides regola i rapporti politici con un'innegabile forza moralizzatrice. Cicerone paragona l'autorità del principe a quella esercitata dal padrone sullo schiavo, dal generale sui soldati, dal padre sul figlio. Il carattere paterno del potere politico implica per coloro che vi sono soggetti un dovere di pietà filiale. In realtà si tratta della sublimazione religiosa di uno stato di dipendenza vissuto in un sistema politico autoritario e rigidamente gerarchizzato. È pius chi paga un debito contratto in cambio di un bene ricevuto. Tale nozione di pietà comporta rapporti di rispetto e di devozione, ma anche di osservanza degli impegni assunti nei confronti di un protettore, così come definisce l'atteggiamento dell'uomo nei confronti degli dei. La pietà è la virtù sociale per eccellenza, in quanto esercitata nei confronti dei genitori, della patria, dei concittadini, del proprio protettore o del principe. In tal modo la pietas è virtù fondamentale della storia romana. L'ideologia della pietas, come regolatrice dei rapporti politici e sociali, implica la centralità dell'istituzione familiare, intesa come cellula sociale primordiale.

• Definisci la pietas nel senso religioso del termine.

• Esprimi con tue parole l'espressione "archetipo della pietas"? (Cerca sul vocabolario la parola archetipo).

• Quali valori simbolici assume Enea in rapporto alla pietas?

• In quali rapporti sociali la pietas è implicata?

Il voto e la devozione Nel passo liviano è fatto esplicito riferimento al voto compiuto da Camillo (ubi

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templum ei postea idem qui voverat Camillus dicavit). Leggi la scheda su votum e devotio e quella relativa alla religio quindi esegui gli esercizi proposti. Votum, devotio. Da votum – una specie di patto che il capofamiglia per conto suo e dei suoi, o i magistrati in nome di tutto lo stato, stringevano con la divinità – deriva il nostro "voto", che è pur sempre un impegno assolto nei riguardi della divinità o, comunque, per ragioni religiose, ad esempio i tre voti (di castità, povertà, obbedienza) previsti nella professione sacerdotale (di qui l'espressione pronunziare i voti). L'ex voto era, ed è ancora, l'oggetto offerto in seguito alla promessa solenne fatta alla divinità. Fra i vota pubblici di maggiore importanza, c'è la devotio, promessa alle divinità degli Inferi di consacrare loro una città assediata che, dopo conquistata, dovrà essere distrutta, Anche persone o cose potevano essere oggetto della devotio. Secondo il racconto dello storico Livio, il console Decio, per salvare le truppe in battaglia, decise di fare la devotio di se stesso alla divinità. Devotus significava pertanto "consacrato, votato", non molto diversamente dall'italiano "devoto", che pur mantenendo anche il senso originario (devoto alla patria e alla causa della libertà), ne ha assunto altri attenuati: "che sente o mostra un'intima partecipazione ai riti di una religione" (una devota preghiera, in atteggiamento devoto).

• Quale significato accomuna il latino votum e l'italiano voto?

• Che cos'è la devotio per i Romani?

• Quale significato accomuna il latino devotus e l'italiano devoto? Religio. La religio è "un'attenzione scrupolosa dell'uomo ai signa divini, un atteggiamento di ascolto e adattamento a tutto quanto egli considera una manifestazione della volontà divina, ma è anche cura minuziosa nell'adempimento dei doveri sacri" (Meslin). Di qui la preminenza del culto e della ritualità, che a qualche studioso sono parsi prevalenti rispetto ai valori spirituali. La religio non indica un insieme di credenze rivelate, ma "un atteggiamento umano, una disposizione psicologica in vista di atti particolari, nei confronti di potenze delle quali l'uomo deve comprendere la volontà per meglio dirigere le proprie azioni". Di qui il bisogno

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di trovare il divino negli aspetti della quotidianità (personalizzati in figure di dei), per conciliarsene il favore attraverso atti rituali tecnicamente appropriati. Il giusto culto, in cui consiste la pietas, è soprattutto quello praticato dagli avi: "Conviene seguire gli esempi dei padri riguardo agli dei che quelli onorarono ... infatti è più vicino agli dei ciò che è più antico" (Cic. Leg. II, 11). Le innovazioni, in materia religiosa, fatalmente conducono alla superstizione (superstitio). Il fatto che il giusto culto, in cui la religio consiste, sia quello dei padri spiega perché la pietas sia ad un tempo devozione verso gli dei e verso i genitori.

• Definisci la religio.

• Perché qualche studioso ritiene che nella religione romana l'aspetto formale della ritualità prevalga sui valori spirituali?

• Perché i Romani non seguono scrupolosamente le procedure previste dal

rituale?

• Il carattere vincolante della religione romana – vincolante sul piano dell'attenzione ai signa e dell'adempimento scrupoloso degli obblighi sacri – ti pare confermato dall'etimologia che connette religio a religare?

• Sulla base della seguente definizione di superstitio:

superstitio est superstantium rerum inanis et superfluus timor (Servio, Ad Aen. 8, 187) sapresti dire qual è la differenza tra religio e superstitio? E, in italiano, tra religione e superstizione?

• Ritornando al testo liviano di luno Moneta, ora puoi comprendere meglio il

senso dell'espressione religiose admoventes manus. Traduci l'espressione rendendo adeguatamente il significato dell'avverbio religiose.

Felicitas, «Malo oculo», fascinum, dexter, sinister. Anche felicitas, malo oculo, fascinum, dexter, sinister sono espressioni che designano concetti fondamentali della concezione religiosa dei Romani. Leggi le schede seguenti ed esegui gli esercizi assegnati.

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Il concetto di felicìtas Felicitas. All'inizio del II secolo a.C. appare la nozione di felicìtas, la fortuna del capo, la cui vittoria dipende naturalmente dalla virtus, ma anche dalla relazione personale con un dio protettore. La felicitas è dunque segno di una predilezione divina e insieme con le doti del carattere, che costituiscono la virtus, concorre al successo, in politica come in guerra. Non c'è posto, nell'ideologia romana del potere, per una fortuna cieca come la Tyche dei Greci. E se Polibio, ammiratore di Scipione, così motiva la grandezza di Roma: “... il merito spetta a quegli uomini, che bisogna ritenere favoriti dagli dei, immagine stessa degli dei" (St. X, 2, 4), Gellio chiarisce che "per quanto prodigiosi siano la nascita di Scipione e i suoi rapporti personali con Giove che lo guida nella conduzione dello Stato, egli dovette la sua fama di essere divino meno a questi prodigi che alle doti personali e alle imprese compiute" (VII, I).

• Riassumi in cinque righe il contenuto della scheda.

• Le parole felicitas e felix sono linguisticamente imparentate con fetus, filius, fecundus, fenus, e probabilmente col gr, thelé "mammella". È stata ipotizzata anche la connessione di questa famiglia linguistica con la base indoeuropea *dhel "succhiare", da cui deriverebbero il lat. flos e il gr. thàllos (cfr. ital. tallo, tallófide). Dopo avere consultato per ciascuno di questi termini il vocabolario di latino (ed eventualmente di greco) e definito i significati di ciascuno di questi termini, trova il denominatore semantico comune di questa famiglia linguistica: felicitas, felix, fetus, filius, fecundus, fenus, thelé, flos, thàllos, tallo, tallófide.

La tomba della cristiana Felicita Nelle catacombe spesso le tombe erano chiuse con semplici tegole; sulle quali poteva essere dipinta un'iscrizione onomastica consistente nel semplice cognomen in nominativo; come questa; rinvenuta nelle catacombe di Priscilla (III sec. d.C.). Il sistema onomastico latino nel III secolo tende a ridursi al puro cognomen, perdendo sia praenomen sia il cognomen, soprattutto nei ceti umili. Nelle comunità cristiane; la semplicazione poteva obbedire a un'istanza

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egualitaria degli aderenti; tutti uguali e fratelli dinnanzi a Dio; a prescindere dai privilegi di nascita e status sociale.

Iscrizione dipinta su tegola. Prima metà del III secolo d.C., Roma, catacombe di Priscilla. Il nome della defunta è seguito

da un’ancora.

• Prova a immaginare il significato simbolico che, in una comunità

paleocristiana, poteva assumere il nome Felicitas o Felix assegnato a un membro della comunità.

Il malocchio “Malo oculo", fascinum. Quello che noi chiamiamo "malocchio" era uno degli aspetti della religiosità o, forse meglio, della superstizione del mondo antico, più diffusi nell'area culturale romano-italica. Consisteva essenzialmente nel credere che da alcune persone possa emanare un influsso sfavorevole, ed erano indiziate per questa prerogativa particolarmente le persone afflitte da qualche deformità fisica, ovvero i malesignati "segnati a dito". Il passaggio dell'influsso sfavorevole si realizzava semplicemente con un'occhiata malevola, fissando qualcuno, appunto, malo oculo "con occhio malvagio", onde il nostro "malocchio". Da fascinum – che significa "ciondolo portafortuna", ma anche "oggetto ridicolo e indecente" e "membro virile" – deriva l'italiano "fascino", allo stesso modo che dal verbo fascinare "incantare con un amuleto, ammaliare" discende "affascinare". Il senso dei termini italiani è rimasto assai simile a quello dei corrispondenti latini, anche se nell'antichità prevaleva la connotazione negativa: il fascinum indicava la capacità di gettare sul prossimo uno sguardo malefico, appunto il malocchio. Il movente del sortilegio era, come del resto ancora oggi, l'invidia o la gelosia, Gli strumenti non differivano molto da quelli delle pratiche di magia ancor attuali, e consistevano in procedimenti rituali e simbolici, amuleti adatti, immagini di animali con le corna, speciali filtri e profumi gradevoli o repellenti. A fascinum si collegano anche i fescinnini, vivaci

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e licenziosi scambi di battute, insulti scherzosi dell'antico mondo contadino, che costituirono le prime manifestazioni preteatrali latine.

• In che cosa consisteva – e consiste ancora – il "malocchio"?

• Che cos'era il fascinum?

• Il concetto di malocchio si lega all'idea che non solo gli uomini possano nuocere, ma anche gli dei, considerati invidiosi della fortuna dei mortali. Di qui la necessità di diminuire agli occhi degli dei la felicità umana nelle sue manifestazioni più eclatanti. Così durante un trionfo, i soldati coprivano d'insulti il generale vincitore, il quale non solo autorizzava il trattamento irrispettoso, ma lo richiedeva addirittura pagando i suoi detrattori. Durante un matrimonio si gettavano noci addosso agli sposi (il riso odierno, o i confetti gettati addosso agli sposi come ancora si usa fare in Abruzzo, continuano questa usanza). Conosci manifestazioni di questa mentalità apotropaica (ciò volta a stornare il malocchio o l'ostilità divina) nel nostro tempo e nella nostra cultura?

Dexter, sinister. Il diretto precursore della scritta watch your step! "attenti a dove mettete i piedi" che troviamo nelle metropolitane di New York o Londra è il pede dextro! "avanti col piede destro!" degli schiavi romani sulle soglie delle sale da pranzo. Infatti i Romani consideravano di mal augurio entrare in una stanza mettendo avanti il piede sinistro, Del resto sinister in latino significava "che sta a sinistra", ma anche"sfavorevole, avverso, contrario", ambivalenza semantica rimasta in italiano (la casa è sul lato sinistro del fiume; ma anche: è un personaggio sinistro). Dexter invece significava "che sta a destra", ma anche "favorevole, che porta fortuna". Evidentemente già nella radice indoeuropea *deks- era implicito il senso di "favorevole, giusto, efficace", se in tutta la terminologia derivata nelle lingue indoeuropee moderne è sempre implicito un significato positivo: in italiano "destreggiarsi" significa cavarsela bene; in francese, inglese, tedesco, spagnolo poi è praticamente lo stesso vocabolo che designa "il lato destro" e "il diritto, il giusto": fr. droit "destro", le droit “il diritto, il giusto"; ingl. right "destro", the right “il diritto, il giusto"; ted. recht "destro", das Recht "il diritto, il giusto, la legge"; spagn. derecho "destro", el derecho “il diritto, il giusto". È difficile formulare

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ipotesi su questa contrapposizione tra destra e sinistra, che implica in quasi tutte le lingue una valutazione positiva, anche in senso morale, di ciò che sta a destra rispetto a dò che sta a sinistra, Tale opposizione rivela una concezione tutt'altro che ignota anche a culture estranee all'area linguistica indoeuropea, come quella semitica che nei testi dell'Antico Testamento trova la sua massima espressione religiosa, culturale e morale: è noto che nel testo biblico i buoni siedono alla destra di Dio, mentre i malvagi stanno alla sua sinistra. Da tale opposizione spaziale-morale sono derivati al mondo moderno concetti politici astratti come quelli dei partiti "di destra" e "di sinistra", e tutta la terminologia relativa, La divisione sorse nei primi corpi legislativi europei, in cui il presidente, di solito un conservatore, poneva alla propria destra i conservatori in segno di riguardo, mentre i liberali trovavano posto a sinistra.

• Nella lingua straniera (o nelle lingue straniere) che conosci, trova una frase per ciascuno dei due significati che assume la parola che significa "destro".

Francese: droit "destro" ...le coté droit de la rue le droit "il diritto, il giusto" ... Inglese: right "destro" ... the right “il diritto, il giusto"... Tedesco: recht “destro”... das Recht "il diritto, il giusto, la legge" ... Spagnolo: derecho "destro" ... el derecho "il diritto, il giusto" ...

• Cerca sul tuo vocabolario una frase d'autore in cui appaia il valore negativo di sinister e una in cui appaia quello positivo di dexter.

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Hostia e diabolus. Ad una mentalità religiosa largamente influenzata dalle pratiche magiche (in particolare dall’idea che il nominare la divinità obblighi questa a manifestarsi fisicamente) si legano i termini hostia e diabolus. Leggi le schede lessicali seguenti ed esegui gli esercizi. Hostia, diaboius. Anche in seguito all'avvento del Cristianesimo e alla sua sovrapposizione al sostrato religioso preesistente; sovrapposizione che dovette in certa misura essere anche una fusione, rimasero alcuni aspetti superstiziosi della spiritualità pagana: è sempre stato tipico delle credenze magiche il ritegno a pronunziare il nome degli esseri soprannaturali, i quali, evocati con la parola, potrebbero nuocere (e non è affatto escluso che il comandamento biblico: "non nominare il nome di Dio invano" sia estraneo a tale mentalità). Orbene, quando il termine latino hostia "vittima immolata agli dei" passò a significare nel linguaggio mistico cristiano l’ostia", ovvero il Cristo che rinnova nella Messa il sacrificio della croce, nacque tutta una serie di espressioni eufemistiche, ovvero sostitutive, delle quali la più nota è "òstrega", ove la modifica di alcuni suoni dell'originario hostia trasforma l'imprecazione blasfema in generica esclamazione. Analoga è la voce dell'espressione italiana "diamine!", che è uno strano incrocio di diabolus "diavolo, spirito maligno" e dominus (voc. domine) "il Signore", allo scopo di non nominare nessuno dei due.

• II fenomeno di sostituzione del nome di Dio e dei Santi, legato alla proibizione ebraico-cristiana di pronunciare il nome di Dio, per lo meno di pronunciarlo invano, prende il nome di parafonia. Nelle espressioni parafoniche alcuni suoni dell'imprecazione, per lo più quelli finali, vengono sostituiti con altri, allo scopo di celare l'originario significato blasfemo, In tal modo:

per Dio! si muta in perdinci!, perdiana!, perdindirindina! Ostia!, in osteria!, ostrega!, Sacramento!, sacripante!, sacranon (in genovese) Cristo!, in Cribbio ..................................... Madonna!, in .....................................

• Della seguente frase: Credo edepol equidem dormire solem (Plaut.)

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Credo, per Polluce, che davvero il sole dorma

abbiamo dato una traduzione semantica (...), cioè appiattita sulla lingua d'orgine. È chiaro che per il lettore moderno l'interiezione "per Polluce!" non vuole dire niente. Prima informati (ad esempio, sull'Enciclopedia dell'Antichità Classica della Garzanti) su chi era Polluce; per tentare di comprendere la motivazione dell'esclamazione. Quindi esegui una traduzione comunicativa; cioè incentrata sul lettore del giorno d'oggi, della frase.

• Come nell'esercizio precedente, con le seguenti frasi:

Heu edepol hominem nihili (Plaut.) Oh, per Polluce, che uomo da nulla! Pro sancte Iuppiter! (Cic.) Per Giove santo!

Tu, Pol, homo non es sobrius (Ter.) Tu, per Polluce, non sei un uomo sano (di mente)

Sotto il segno di Giunone Nel 1804, l’astronomo Harding scoprì un pianetino che chiamò Giunone, in onore della divinità che, secondo i latini, sovrintendeva alla nascita di ogni individuo (a): a lei erano dedicate molte festività, distribuite nel corso dell’anno (b). Ad opinione degli antichi, il sacro potere della dea aveva dunque particolare efficacia, in quanto interveniva attivamente sul piano della esistenza umana,

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sovrintendendo persino alla coniazione delle monete (c). L’aspetto religioso e culturale della moneta è peraltro attestato da figurazioni, scritte (d) e simboli che entrambe le facce di essa recano; l’interpretazione di tali componenti consente infatti di situare ogni singola moneta in un preciso contesto storico-economico che non può prescindere da ulteriori fattori a carattere artistico ed anche geografico. Nel corso del tempo l’iconografia di Giunone (e) è stata variamente interpretata dagli artisti: la fisionomia muliebre riflette i diversi canoni di bellezza e specialmente le trasformazioni della moda. Potresti soffermarti su dettagli quali l’acconciatura e l’abbigliamento, rappresentati in dipinti e sculture, per riflettere sulla dimensione sociale del costume. «Noi amiamo la semplicità accurata. – scrive Ovidio – I capelli non siano scompigliati» (Ars amandi, III, 133). Lo scrittore latino rileva infatti che la disposizione delle chiome deve essere consona ai lineamenti, per correggerne i difetti o enfatizzarne le prerogative. Gli approfondimenti potranno partire da una ricognizione delle risorse fornite online: sul CD (Int) è riportata una sintetica descrizione di siti con relativi indirizzi, per orientare i criteri in base ai quali impostare l’interrogazione dei motori di ricerca. Con l’uso di specifici dizionari non sarà poi difficile compiere una sorta di percorso monetario, alla scoperta della etimologia delle monete scambiate in Europa, prima dell’avvento dell’Euro: franco, marco, lira, peseta, corona, ecc. Le parole riferibili al danaro sono assai numerose e spesso sono usate anche in espressioni proverbiali. a) Prerogative della Dea Antica divinità italica, Giunone era venerata da Etruschi, Sabini, Umbri. I Romani la assimilarono alla greca Hera, figlia di Cronos e di Rea, sorella e moglie di Giove. La civiltà latina assorbì in tal modo tutte le leggende elleniche, attribuendole anche il feroce odio contro i Troiani. Sull’etimologia del nome, i pareri sono discordanti: lu-no, conterrebbe la stessa radice di lu-piter, ma in età arcaica, il nome stesso appare legato a lanus: alcune feste erano infatti comuni alle due divinità e la sacerdotessa, preposta al culto della dea, era unita in matrimonio con il sacerdote che presiedeva alle pratiche religiose del dio bifronte, Juno è pure il corrispettivo del maschile genio, simbolo della virtù procreatrice dell’uomo (dal verbo gigno: io genero). Si può presumere perciò che nell’onomastica si siano comparate le prerogative di diverse divinità.

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Soprattutto in età tardo repubblicana e imperiale, Giunone proteggeva il sesso femminile, così come Giove tutelava quello maschile. Si riteneva che ella accompagnasse ogni donna durante la vita, dalla nascita alla morte. Per tale motivo era oggetto di culti particolari ai quali erano associati svariati appellativi: Juno Kalendaris, come divinità delle calende, Lucetta come dea lunare, Pronuba, ovvero protettrice del fidanzamento, luga o lugalis, garante del matrimonio, Lucina (colei che dà la luce) quale assistente al parto. Fece parte con Giove e Minerva della triade Capitolina; avendo sul Campidoglio un suo tempio dedicato a Giunone Moneta (colei che ammonisce) e poiché accanto al sacro edificio si trovava la zecca, il danaro coniato assunse il nome di moneta. Veniva rappresentata come donna di straordinaria avvenenza, il volto ovale, perfetto, dal quale spirava una serenità sublime. Secondo l’iconografia più diffusa, teneva in mano lo scettro sormontato da un cuculo e nell’altra una melagrana, frutto simbolo del matrimonio e dell’amore. In quanto protettrice della femminilità e di tutti gli aspetti dell’attività creativa, dalla procreazione alle manifestazioni artistiche, Giunone era pertanto celebrata con culti anche privati da tutte le donne: il compleanno di ciascuna di esse coincideva anche con una festa in onore della Mater Regina.

Era e Zeus, Metopa dal tempio E di Selinunte, 460 a.C. circa. Palermo, Museo Nazionale Archeologico.

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Giudizio di Paride, mosaico proveniente da Antiochia, II secolo d.C, Parigi, Museo del Louvre, Paride, assistito da Mercurio, è fronteggiato dalla triade divina. Minerva, Giunone e Venere, in attesa del verdetto che

stabilirà la vittoria della più avvenente tra loro.

Bronzetto d’epoca etrusca con effigie di Giunone, 300-100 a.C. Londra, British Museum.

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b) Festività in onore di Giunone

Statuetta d’argento rappresentante Giunone con gli attributi della fortuna, facente parte di un servizio da tavola del III sec, a.C. Londra, British Museurn.

1° Febbraio Si celebrava Juno Sospita, vale a dire salvatrice; con tale epiteto la dea era venerata a Lanuvio. Cicerone descrive le sue fattezze e specialmente l’abbigliamento: “Cumpelle caprina, cum hasta, cum scutulo, cum calceolis repandis”

(De natura deorum, 1,82,3)

e Livio narra il prodigio della statua stillante lacrime: “Lanuvini simulacrum Junonis Sospita lacrimasse”

(Ab urbe condita, 40,19,2).

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Ancora Livio informa che nel 341 a.C, fu concessa la cittadinanza ai Lanuvini e fu loro permesso di mantenere i propri rituali religiosi, a patto che il tempio e il bosco di Giunone Salvatrice (Sospita) fossero condivisi con il popolo romano: “Lanuvinis civitas data sacraque sua reddita, cum eo ut aedes lucusque Sospitae lunonis communis Lanuvinis municipibus cum populo Romano esset”

(Ab urbe condita, 8,14,2-3).

Manade proveniente dal santuario di Giunone Sospita a Lanuvio (600-500) a.C.

1° Marzo Ricorrevano le Matronalia; le donne romane festeggiavano l’anniversario della dedicazione del tempio di Giunone Lucina. I riti sono ricordati anche da Ovidio: Ferte deae flores! gaudet florentibus herbis haec dea; de tenero cingite fiore caput: dicite “Tu nobis lucem Lucina, dedisti!” dicite “Tu voto parturientis ades!”. Siqua tamen gravida est, resoluto crine precetur, ut solvat partus molli ter illa suos.

(Fasti, III, vv. 253-258)

7 Marzo Durante le Junonalia, due statue di legno di cipresso effigianti Giunone erano trasportate per le strade di Roma e accompagnate da ventisei ragazze che

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cantavano inni. 1 giugno Celebrazione di Giunone Moneta; in particolare tutto il mese era sacro alla dea. 7 Luglio Nonae Caprotinae, festa in onore della dea protettrice delle donne e della fecondità; vi prendevano parte libere e schiave (feriae ancillarum). Sotto un fico selvatico, o caprifico si celebravano antichissimi riti sacrificali sulla scorta di un arcaico cerimoniale. 1° ottobre Tigilliurn sororium; il tigillium è una sorta di giogo, sotto il quale fu costretto a passare, con il capo velato e guidato dal padre, l’unico degli Orazi, sopravvissuto vincitore nel combattimento contro i Curiazi, reo di avere ucciso la propria sorella che piangeva la morte di uno degli antagonisti del fratello, del quale era innamorata. Il Tigillium sororium era collocato presso le are di Giano Curiazio e di Giunone Sororia, sulle quali si compivano sacrifici. c) Le monete A partire dalI’VIII secolo a.C. i romani scambiavano aes rude, ossia un quantitativo di rame, valutato in base al peso; nel VI secolo l’aes rude fu soppiantato dall’aes signatum: il rame era fuso in stampi rettangolari che recavano un’impronta. Aes grave era denominata una moneta in bronzo del peso di una libbra, priva di conio e di iscrizioni. La vera e propria coniazione delle monete, ad opera della zecca ubicata nei pressi del tempio di Giunone, e il loro conseguente utilizzo nella società romana risale soltanto al IV secolo a.C. A quanto attesta Plinio, nel 485° anno dalla fondazione della città, a pochi anni di distanza dunque dalla prima guerra punica, fu coniato il denarius d’argento. In età repubblicana, i tresviri auro argento aere flando ferundo erano tre magistrati incaricati di battere moneta di oro, argento e rame; essi sovrintendevano alla fusione dei metalli (flando), verificavano lega, peso e conio delle emissioni (feriundo) e revisionavano i conti della zecca. Le prime

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monete repubblicane celebravano i fasti dell’urte, ma, in seguito, i monetari addetti al conio si valsero di tale privilegio per propagandare il proprio lignaggio: il verso della moneta è infatti firmato e personalizzato, quantunque permangano le simbologie religiose. Il denario di Carisio reca sul recto della moneta la testa di Giunone Moneta, che presenta una raffinata capigliatura con riccioli adornanti il collo; nel verso, un fregio di alloro incornicia il nome del monetario T. Carisius e gli strumenti dell’arte, ovvero, incudine, tenaglie e martello, La moneta risale al 46 a.C. Carisio fu dunque contemporaneo di Giulio Cesare.

Denario d’argento di

Thorius Balbus. Esemplare coniato al tempo

dell’imperatore Massimiano,

coadiutore di Diocleziano.

Tetradracma d’argento proveniente da Samo.

Questa moneta fu coniata per volontà dell’imperatore

Domiziano, nell’88 d.C.

Il denario di Carisio, 46 a.C.

d) Le iscrizioni delle monete La numismatica è la scienza che consente di studiare la moneta in base alle sue componenti storiche e artistiche; oltre che economiche. Il termine di tale disciplina è d’origine greca: con nornisma si intende precisamente quanto è in uso, e dunque anche il danaro, Per agevolare l’opera interpretativa delle iscrizioni riportate su recto e verso del metallo coniato, esiste un repertorio delle più comuni abbreviazioni, che riguardano l’onomastica e le cariche

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ricoperte dal personaggio menzionato, ma anche i luoghi di produzione delle monete. Ne forniamo una sintetica rassegna, a scopo esemplificativo. Onomastica: praenomen Cariche Località A, AU, AUL: Aulus Aug: Augustus ALE - SMAL:

Alexandria D, DEC: Decimus Caes: Cassar AMB:.Ambianum C: Caius o Gaius Cos: Consul AN - ANT- ANTOB -

SMAN: Antiochia CN, GN: Gnaeus Imp: Imperator K: Kaeso PM, PON MAXI, PONT MAX:

Pontifex Maximus AQ - AQVIL- AQOB -AQPS - SMAQ: Aquilea

L, LU: Lucius PP: Pater Patriae A - AR - ARL: Arsiate M: Marcus TRP, TR POT: tribunicia

potestas SMBA:.Barcino

P: Publius K - PK - KART: Carthag Q: Quintus C - CP -CON - CONS -

CONSP – CONOB: Constantinopolis

S, SP: Spurius CUZ - CVZIC -CVZICEN – SMK: Cyzicus

SER: Seruius H-HT-HERAC-HERACL- SMH: Heraclea

SEX: Sextus L- ML- MLL- MSL-PLN - PLON -AVGOB - AVGPS: Londinium

T: Titus LG - LVG - LVGD -LVGPS - PLG: Luqdununn

TIB: Tiberius MD - MDOB - MDPS -MFD: Mediolanum

MN - NIC - NICO -NIK - SMN: Nicomedia

MOST: Ostia

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RV - RVPS: Ravenna R-RM- ROMA -

ROMOB-SMR-VRB - ROM: Roma

SMSD - SER: Serdica SM - SIRM - SIROB:

Sirnium SIS - SISC -SISCPS:

Sisca COM-COMOB-SMTS-

TS-TES-TESOB-THS-THES-THSOB: Thessalonica

T: Ticinum SMTR -TR-TRE -TROB

-TRPS: Treuer

e) L’immagine della dea tra culto ed arte La regina degli dei era variamente venerata nei santuari laziali; perché il suo culto era diffuso ancor prima che avvenisse l’identificazione con la greca Hera, assunta successivamente come modello anche per le rappresentazioni figurative dei romani, Nel 423 a.C. Policleto fu incaricato di scolpire per il tempio di Hera, presso Argo, una colossale statua della dea. Le testimonianze relative all’opera, purtroppo perduta, ci pervengono da fonti scritte, tra le quali annoveriamo gli ammirati versi di Marziale che proponiamo. Iuno labor, Polyclite, tuus et gloria felix, Phidiacae cuperent quam meruisse manus, Ore nitet tanto, quanto superasset in Ide Iudice convictas non dubitante deas. Iunonem, Polyclite, suam nisi frater amaret, Iunonem poterat frater amare tuam.

(Marziale, Epigrammi X, 89)

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La tua Giunone, Policieto, l’opera che t’ha dato la gloria (quale avrebbero voluto meritarla anche le stesse mani di Fidia) splende tanto in volto che avrebbe facilmente superato sull’Ida le altre dive, condannate con un giudizio senza esitazioni. Policieto, se Giove non avesse amato la Giunone sua sorella potrebbe amare la Giunone tua.

(Trad. C. Vivaldi)

L’opera di Policleto costituì un probabile prototipo iconografico cui si ispirarono gli artisti.

Giunone Barberini, Musei Vaticani.