1 La fenomenologia dell’intercultura - Università...

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9 1 La fenomenologia dell’intercultura Ci sono diversi termini che in molti casi non vengono usati con molta precisione e quindi talvolta si incrociano. Presentano diversi punti di vista relativi alle questioni di migrazione. 1.1 Pedagogia per stranieri Soltanto dopo alcuni anni dall’arrivo dei primi lavoratori stranieri (in tedesco chiamati Gastarbeiter, letteralmente tradotto lavoratore ospite: un termine che segnala la precarietà del lavoratore ) in Germania la pedagogia per stranieri iniziò a cimentarsi con i nuovi problemi sociali posti dall’immigrazione di lavoratori nel campo della scuola materna, della scuola e della formazione per adulti. Agli inizi mosse i primi passi come pedagogia speciale o pedagogia per i figli d’immigrati, contribuendo a diffondere il pregiudizio che i bambini stranieri nell’età dell'obbligo non fossero in grado di frequentare le classi normali delle scuole statali. Questo approccio pedagogico riduceva però l’“alterità“ degli stranieri e dei loro figli all’etnia ed alla lingua, sottovalutando il fatto che questi soggetti provenivano dalle classi sociali più umili o appartenevano a minoranze etniche e religiose: Fattori che rendono ancora più complesso il rapporto con la scuola. L’esistenza dei Gastarbeiter è contrassegnata da 3 ordini di fattori: cultura e lingua, ceto sociale basso e migrazione che rendono più pesanti le condizioni dell’incontro tra due mondi. 1 La pedagogia per stranieri si è occupata non solo di bambini e giovani, ma anche di adulti soli e gruppi 1 Cfr.: L. Akgün , Ausländerberatung , in: N. Belardi (a cura di) Beratung. Eine sozialpädagogische Einführung , Beltz, Weinheim und Basel, 1996, p. 132 10 familiari, ghettizzati nelle sottoculture dei cosiddetti quartieri "difficili". Il sommarsi dei deficit di apprendimento provocati dalle difficoltà linguistiche con le conseguenze sociali, culturali e psichiche della migrazione, con il problema del rapporto con i nativi e con le istituzioni del paese ha però ben presto evidenziato i limiti di una pedagogia per stranieri dall’orizzonte così limitato." Per una decina d’anni si è avuta una pedagogia per stranieri che ha dedicato la sua riflessione al problema ormai familiare degli immigrati. All’inizio degli anni 80 questa fase si è conclusa con una critica alla pedagogia per stranieri, che nel frattempo si è sviluppata in forma più matura come pedagogia interculturale" 2 1.2 Pedagogia dell’integrazione Nella discussione pedagogica, il concetto di integrazione sociale, negli Stati Uniti ed in Germania, si riferiva "dapprima a minoranze etnico-razziali, soprattutto negli Stati Uniti, più tardi ai figli degli immigrati e solo recentemente in modo sempre più accentuato anche agli handicappati". 3 In questo contesto, è interessante constatare che in Italia lo sviluppo era diverso e l’integrazione dei portatori di handicap veniva promossa già a partire dagli anni settanta, mentre allora l’integrazione di immigrati non era ancora di attualità. L’esperienza fatta con l’integrazione di individui portatori di handicap può fornire impulsi preziosi per l’integrazione di bambini immigrati. 2 Cfr.: F. Hamburger, Interkulturelle Pädagogik , in: R.Bauer, (a cura di) Lexikon des Sozial- und Gesundheitswesens , Band 2, Oldenbourg, München 1992, p. 1027 3 Cfr.: E. Kobi, Was bedeutet Integration , in: H. Eberwein (a cura di), Handbuch Integrationspädagogik. Kinder mit und ohne Behinderung lernen gemeinsam ,Weinheim/Basel, Beltz 1997, p.74

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1 La fenomenologia dell’intercultura Ci sono diversi termini che in molti casi non vengono usati con molta precisione e quindi talvolta si incrociano. Presentano diversi punti di vista relativi alle questioni di migrazione.

1.1 Pedagogia per stranieri Soltanto dopo alcuni anni dall’arrivo dei primi

lavoratori stranieri (in tedesco chiamati Gastarbeiter, letteralmente tradotto lavoratore ospite: un termine che segnala la precarietà del lavoratore ) in Germania la pedagogia per stranieri iniziò a cimentarsi con i nuovi problemi sociali posti dall’immigrazione di lavoratori nel campo della scuola materna, della scuola e della formazione per adulti.

Agli inizi mosse i primi passi come pedagogia speciale o pedagogia per i figli d’immigrati, contribuendo a diffondere il pregiudizio che i bambini stranieri nell’età dell'obbligo non fossero in grado di frequentare le classi normali delle scuole statali. Questo approccio pedagogico riduceva però l’“alterità“ degli stranieri e dei loro figli all’etnia ed alla lingua, sottovalutando il fatto che questi soggetti provenivano dalle classi sociali più umili o appartenevano a minoranze etniche e religiose: Fattori che rendono ancora più complesso il rapporto con la scuola.

L’esistenza dei Gastarbeiter è contrassegnata da 3 ordini di fattori: cultura e lingua, ceto sociale basso e migrazione che rendono più pesanti le condizioni dell’incontro tra due mondi. 1 La pedagogia per stranieri si è occupata non solo di bambini e giovani, ma anche di adulti soli e gruppi 1 Cfr.: L. Akgün , Ausländerberatung, in: N. Belardi (a cura di) Beratung. Eine sozialpädagogische Einführung, Beltz, Weinheim und Basel, 1996, p. 132

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familiari, ghettizzati nelle sottoculture dei cosiddetti quartieri "difficili".

Il sommarsi dei deficit di apprendimento provocati dalle difficoltà linguistiche con le conseguenze sociali, culturali e psichiche della migrazione, con il problema del rapporto con i nativi e con le istituzioni del paese ha però ben presto evidenziato i limiti di una pedagogia per stranieri dall’orizzonte così limitato." Per una decina d’anni si è avuta una pedagogia per stranieri che ha dedicato la sua riflessione al problema ormai familiare degli immigrati. All’inizio degli anni 80 questa fase si è conclusa con una critica alla pedagogia per stranieri, che nel frattempo si è sviluppata in forma più matura come pedagogia interculturale"2

1.2 Pedagogia dell’integrazione Nella discussione pedagogica, il concetto di integrazione sociale, negli Stati Uniti ed in Germania, si riferiva "dapprima a minoranze etnico-razziali, soprattutto negli Stati Uniti, più tardi ai figli degli immigrati e solo recentemente in modo sempre più accentuato anche agli handicappati". 3 In questo contesto, è interessante constatare che in Italia lo sviluppo era diverso e l’integrazione dei portatori di handicap veniva promossa già a partire dagli anni settanta, mentre allora l’integrazione di immigrati non era ancora di attualità. L’esperienza fatta con l’integrazione di individui portatori di handicap può fornire impulsi preziosi per l’integrazione di bambini immigrati. 2 Cfr.: F. Hamburger, Interkulturelle Pädagogik, in: R.Bauer, (a cura di) Lexikon des Sozial- und Gesundheitswesens, Band 2, Oldenbourg, München 1992, p. 1027 3 Cfr.: E. Kobi, Was bedeutet Integration, in: H. Eberwein (a cura di), Handbuch Integrationspädagogik. Kinder mit und ohne Behinderung lernen gemeinsam,Weinheim/Basel, Beltz 1997, p.74

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In Germania il concetto di "pedagogia dell’integrazione" indica una nuova prospettiva dell’educazione e metodi di insegnamento innovativi strettamente collegati alla critica della pratica emarginante delle scuole differenziali. In questo senso, il concetto di pedagogia dell’integrazione è "un concetto sostitutivo in cui è logicamente compreso il superamento della pedagogia differenziale. Il suo obiettivo infatti è proprio il superamento delle istituzioni discriminanti e delle concezioni pedagogiche su cui poggiano.4 E’ solamente dal 1980 che in Germania vengono discussi e sottoposti a sperimentazione progetti di pedagogia dell’integrazione. Non si è ancora però giunti al sistema adottato in Italia, dove insegnanti di sostegno accompagnano l’azione dell’insegnante titolare nell’integrazione degli scolari in difficoltà. Questo ritardo non è causato solo da motivi di natura finanziaria. Vi sono diverse ragioni che concorrono ad ostacolare questo sistema: innanzitutto la formazione professionale che non prepara a forme di collaborazione educativa, e in secondo luogo, il ruolo e l’autopercezione degli insegnanti, che in Germania sono ancora caratterizzati da lineamenti molto individualistici. Gli insegnanti tedeschi sono ancora oggi "dei combattenti solitari"; che non hanno ancora imparato a cooperare ed a lavorare in team.5 Quindi, di educazione all’integrazione si parla anche nel campo della pedagogia scolare e prescolare. Sulla base dei grandi studi empirici svolti negli anni ‘80, risulta oramai assodato che l’integrazione nelle fasi scolare e prescolare è possibile e vantaggiosa per tutti, infatti le prestazioni dei bambini non disabili non risultano peggiorate ed i genitori

4 Cfr.: op. cit. p. 55 5 Cfr.: G. Kreie, Integrative Kooperation. Ein Modell der Zusammenarbeit, in: H. Eberwein (a cura di) Handbuch Integrationspädagogik, Weinheim/Basel, Beltz, 1997, p. 285

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parlano in maniera molto positiva della scuola dell’integrazione 6.

Il concetto pedagogia dell’integrazione è arricchito dagli apporti di numerosi autori fra i quali Freinet, Petersen, Montessori e Freire. E’ interessante notare che la pedagogia montessoriana, con un vasto movimento di scuole materne e elementari, è più diffusa in Germania che in Italia.

1.3 Pedagogia interculturale

Come già illustrato in precedenza, la pedagogia interculturale nel mondo di lingua tedesca ha avuto origine negli anni Settanta dallo sforzo di superare la pedagogia per stranieri, troppo ispirata ad un’ottica compensativa che considera, dal punto di vista tedesco, gli stranieri come "problema“ e non riesce a rappresentarsi come una pedagogia rivolta a uomini e donne di diversa nazionalità e cultura che devono vivere insieme in uno stesso territorio. I problemi allora in primo piano riguardavano quindi l'apprendimento linguistico. Si trattava di trovare il modo con cui far imparare con successo la seconda lingua, possibilmente rimuovendo la lingua materna. Le esperienze hanno poi dimostrato come la pura promozione linguistica non fosse affatto sufficiente a favorire davvero l'integrazione dei bambini stranieri.

Solo in un secondo momento sono entrati in campo altri elementi di riflessione riguardanti la formazione dei pregiudizi, l’emarginazione, la stigmatizzazione, gli influssi del rapporti col gruppo dei pari, la radicalizzazione dei singoli gruppi, i problemi di identità e i relativi problemi psichici 7. 6 Cfr.: U. Preuß- Lausitz, Integrationsforschung. Ergebnisse und weiße Flecken in H. Eberwein op.cit. p. 299 7 Cfr.:A. Portera in: W. Jaede/A.Portera (a cura di) Ausländerberatung, Kulturspezifische Zugänge in Diagnostik und Therapie, Freiburg, Lambertus, 1986, p. 89

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Oggi la discussione sulla pedagogia interculturale costituisce parte integrante della pedagogia in tutte le società moderne, poiché le minoranze etniche costituiscono parti integranti di queste società8.

Friesenhahn propone una traccia delle coordinate della pedagogia interculturale:

• è la risposta pedagogica alla società multiculturale, • si fonda su un concetto di cultura allargato ed egualitario,

che difende l’uguaglianza del valore di tutti gli uomini di tutte le culture,

• sostiene la possibilità di una convivenza pacifica e collaborativa di tutti gli uomini

• propugna un concetto aperto dell’apprendimento politico-interculturale,

• dispone di una consapevolezza politica che va al di là dell’apprezzamento paternalistico di forme di folclore o esotismo,

• rifiuta l’identificazione con una singola istanza pedagogica, con un’istituzione determinato o con una sola materia d’insegnamento,

• assume una posizione problematicistica, sempre in movimento, che assume una funzione trasversale a diversi campi della pedagogia,

• si ricollega ai concetti di orientamento comune, lavoro collettivo e Community Education,

• si riconosce come contributo all'educazione alla pace ed alla comprensione reciproca a livello internazionale.”9

8 Cfr.: F. Hamburger, Interkulturelle Pädagogik, in: R.Bauer (a cura di) Lexikon des Sozial- und Gesundheitswesens. Band 2 München, Oldenbourg, p. 1027 9 Cfr.: G. F. Friesenhahn, Zur Entwicklung interkultureller Pädagogik, Berlin 1988, p.140

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Per concludere, accenniamo alle molteplici ambiguità del

concetto interculturale così come lo sta elaborando Dicktopp: "Che cosa significa qui la parola inter? Ci rimanda a qualcosa che ha il compito di educare alla mediazione, alla comprensione e alla tolleranza reciproca tra due o più culture? Oppure la parola inter significa che esistono comunanze tra due o più culture sulle quali l’educazione può costruire e promuovere? L’educazione interculturale non mira allora in prima istanza alla tolleranza, ma soprattutto al legame di solidarietà. Oppure la parola inter rimanda al fatto che l’educazione è basata su un fondamento comune, uguale per tutte le culture? Allora l’educazione, considerando le proprie connessioni interne, non dovrebbe neppure preoccuparsi delle differenze culturali".10

Sono domande radicali che toccano le radici della pedagogia e della sua visione dell’uomo. La questione di base è la seguente: Come viene trattata la diversità dalla pedagogia? Il rapporto con capacità diverse, presupposti ed atteggiamenti diversi è il tema centrale nella discussione relativa all’integrazione degli individui, alla promozione di persone con capacità superiori alla media, alla coeducazione, all’integrazione di bambini immigrati ecc. Una risposta semplificata, proposta da diversi sistemi scolastici, era la seguente:

Con provvedimenti speciali devono essere creati i presupposti necessari affinché questi bambini possano essere istruiti insieme ai bambini “normali”. La realizzazione pratica avveniva sotto forma di scuole o classi speciali. Al primo ostacolo, in questo caso un handicap fisico o psichico, se ne aggiungeva un altro, che nella maggior parte dei casi

10 Cfr.: K. H. Dickopp, Aspekte einer theoretischen Begründung von interkultureller Erziehung, in: H. Reich/F.Wittek (a cura di) Migration, Bildung, Pädagogik, alfa, Essen, 1984, p. 57

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creava più difficoltà nella vita quotidiana: l’emarginazione sociale.

In Italia ci si accorgeva, prima che in altri paesi, che questo trattamento speciale non favoriva, ma ostacolava addirittura l’integrazione. Tramite provvedimenti particolari si voleva realizzare uno standard minimo di prestazione, necessario per l’introduzione in una classe “normale”. Questo concetto è profondamente inumano, in quanto tutte le persone dovrebbero corrispondere a certe norme per trovare accesso alla società “normale” ed alle istituzioni dei “normali”. La diversità però è una caratteristica del genere umano. Se esiste una norma del genere umano, allora è quella della diversità. La normalità non è costituita dall’uniformità, ma dalla diversità e dalla molteplicità dell’esistenza umana, e delle espressioni sociali e culturali. L’uguaglianza è richiesta invece nel senso di uguaglianza di diritti all’interno di una società. Una delle basi fondamentali dei sistemi formativi delle società moderne, è il diritto di formazione ed a partecipazione alla vita sociale e culturale per tutti.

Negli ultimi anni, la comunicazione interculturale all'interno delle scienze linguistiche si è affermata come una disciplina speciale ed al tempo stesso interdisciplinare, con forti collegamenti con la sociologia, la psicologia, la pedagogia e l’etnologia.

A partire dalla teoria pragmatica della comunicazione fondata dalla scuola linguistica di Palo Alto, si è iniziato a considerare con occhio più attento e traendone importanti conseguenze scientifiche e pratiche la differenza sostanziale tra gli aspetti contenutistici e relazionali che esistono in ogni comunicazione.11 In passato, si riteneva che bastasse

11 Cfr.: P. Watzlawick et al., Pragmatics of Human Communications, New York, Norton, 1967, p. 72

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comunicare qualcosa ad un soggetto di un’altra cultura in una lingua per lui comprensibile per poter essere correttamente compresi. Oggi è invece evidente che non è importante solo quel che si dice, ma anche come lo si dice e la cornice contestuale nella quale avviene l’interazione. Questa differenza fondamentale tra l’aspetto contenutistico e quello relazionale è l'assioma fondamentale della teoria della comunicazione formale.

Un’altra tesi, altrettanto fondamentale, sostiene che "non si può non comunicare". Non è quindi possibile, anche quando non ci si intende linguisticamente, non lasciar filtrare alcuna comunicazione, visto che anche la non comunicazione è una forma di messaggio, che magari segnala solo che non si vuole o non si è in grado di comunicare. Nel rapporto tra residenti ed immigrati il rifiuto di comunicazione da parte degli residenti può costituire una forma di aggressione, in quanto il significato di questo comportamento spesso equivale a dire: „tu non sei degno della mia attenzione, per me non esisti“.

Un ruolo completamente diverso assume invece la „comunicazione non verbale“:

E’ proprio nella comunicazione tra persone che non parlano la stessa lingua, che assumono particolare importanza i gesti, la mimica ed il linguaggio del corpo: le forme più importanti della „comunicazione non verbale“. Ma poiché le diverse culture assegnano valenze diverse a questi elementi comunicativi, si può facilmente comprendere come risulti difficile per gli stranieri esprimersi in queste forme di comunicazione. Anche la comunicazione non verbale diventa impossibile proprio quando sarebbe invece importante per riuscire a farsi capire in un altro contesto linguistico.

La forma più complessa e complicata di comunicazione consiste nella “metacomunicazione“. Con metacomunicazione si intende la capacità di comunicare su forme e contenuti della

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comunicazione stessa. In caso di conflitti, attraverso la metacomunicazione possono essere chiariti i seguenti punti:

Il conflitto è causato da un fraintendimento linguistico o meno?

Si tratta di un conflitto di interessi e quindi non di un problema comunicativo? Si tratta di problemi legati alla comunicazione non verbale come per esempio un comportamento che in una cultura straniera non è adatto alla situazione?

E' solo di recente che si è iniziato a studiare la comunicazione interculturale all’interno delle discipline linguistiche, però nel frattempo in molti paesi sono stati attivati corsi di studio collegati all’economia, alla lingua e alla cultura di paesi lontani. I diplomati di questo tipo di corsi, acquisiscono un elevato grado di specializzazione e hanno buone possibilità d'impiego nei settori politico-economici. Anche la pedagogia interculturale potrebbe trarre profitto dalle esperienze acquisite nell’ambito della comunicazione interculturale.

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1.4 Pedagogia antirazzista Descrizioni di altri popoli e razze appartengono alle tradizioni scritte più antiche dell’umanità. Non sempre questi rapporti sono costruiti secondo criteri scientifici e soprattutto in correlazione con guerre hanno contribuito in parte a giustificare le aggressioni. I nemici spesso sono stati descritti come incivili, violenti e rozzi, in modo da far apparire la conquista come una liberazione da barbarie ed ignoranza. Questi descrizioni e rapporti redatti da conquistatori e condottieri sono serviti anche come delimitazione del proprio gruppo rispetto agli altri e hanno contribuito sensibilmente all’identificazione con esso. A differenza del più recente razzismo di stampo hitleriano, l’obiettivo di norma non era l’annientamento di persone e gruppi etnici, ma la loro sottomissione ed il loro incorporamento nell’impero. Dopo una sottomissione avvenuta con successo, l’appartenenza ad un determinato gruppo etnico non aveva più una grande importanza. Appartenenti a popoli sottomessi potevano salire la scala sociale ed arrivare persino fino alla cima del potere. Gli attributi negativi assegnati a stranieri e soprattutto a nemici non erano legati indissolubilmente a caratteristiche fisiche o genetiche di un popolo, ma erano associati alla condizione di nemico, che poteva essere modificata tramite la sottomissione o con l’ausilio di trattative. L’impero (da quello romano a quello austro-ungarico) è storicamente composto da tanti gruppi etnici e da tanti paesi. Con la formazione degli stati nazionali, questa situazione cambiò radicalmente, e si cercò di istituire stati nazionali, nei quali paese, popolo, lingua e stato avevano le stesse identiche caratteristiche. Nel nazionalsocialismo tedesco venne intrapreso il crudele tentativo di istituire con violenza un impero “etnicamente puro”.

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Dall‘altra parte, le rappresentazioni romanticizzate ed idealizzate di culture straniere testimoniano quanto sia difficile osservare oggettivamente ciò che non conosciamo. Quella del „nobile selvaggio“, è tutt’ora una visione largamente diffusa. Su questi nobili selvaggi e sul loro ambiente naturale sono proiettati speranze e desideri che nella società moderna non sono realizzabili.

La pedagogia interculturale si confronta sempre con forme latenti o manifeste di razzismo, sia quando si rivolge a individui o a gruppi che producono comportamenti razzisti, sia quando si rivolge alle vittime del razzismo che ricercano le motivazioni dei comportamenti subiti. Molto spesso si riscontrano tutti questi casi nello stesso gruppo di bambini ed adolescenti all’interno delle istituzioni di educazione e formazione. La lotta contro il razzismo non è però unicamente compito della pedagogia o della psicologia. Modelli di analisi e di intervento con una fondazione limitata ad esse non sono solamente poco efficaci, ma corrono anche il rischio di favorire il mantenimento di tali situazioni, in quanto tendono a minimizzare le forme estreme di manifestazione ed a fare apparire superflua la radicale messa in discussione delle correnti politiche che sostengono indirettamente o direttamente il razzismo.

L’uso scorretto dello strumento pedagogico con l’intento di razionalizzare una politica guidata da interessi nazionalistici, ha una lunga ed ingloriosa tradizione. Basti ricordare l’uso dell’educazione religiosa nel periodo coloniale. La conversione e l’educazione dei „pagani“ servì sotto più punti di vista solo agli interessi economici delle forze coloniali.

All’inizio della fase di colonizzazione prevalse l’esplorazione di terre e popoli sconosciuti di norma senza

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l’ausilio di armi. L’opposizione di alcuni popoli all’adattamento forzato di una nuova fede religiosa servì spesso come pretesto per la sottomissione bellica. Atrocità realmente o apparentemente compiute da parte degli indigeni verso missionari o altri intrusi stranieri fornirono la giustificazione morale per l’intervento delle forze coloniali. Avidità, crudeltà, crimini e sete di potere vennero nascosti sotto la copertura di giustificazioni morali. Tanto più crudeli ed ingiuste furono le azioni, tanto più grandi furono gli sforzi per trovare giustificazioni. Questo era tra l’altro necessario per mantenere vivi la disponibilità ed il sostegno della popolazione nei paesi d’origine dei colonialisti in caso di missioni belliche. Un esempio eclatante in proposito è la seguente disputa storica: ma gli indiani sono uomini o animali? Questa controversia venne sostenuta anche all’interno della chiesa cattolica tra Gesuiti e Vaticano, e non fu una questione unicamente accademica. I Cristiani possono liberamente sottomettere ed uccidere gli animali senza minaccia di punizione. I colonialisti si scagionarono quindi moralmente dall’aver asservito in modo brutale un intero continente. I molteplici tentativi di trovare giustificazioni morali per guerre e sottomissioni, hanno contribuito alla formazione ed alla diffusione di stereotipi e pregiudizi negativi. La presunta inferiorità di alcune razze rafforzò le pretese di dominio. La dottrina della razza fondata su principi scientifici, largamente diffusa nel 19o secolo, trovò il suo triste apice nello sterminio sistematico durante il nazismo. Temi e concetti di questa dottrina vengono ripresi ancora tutt’oggi. Con l’ausilio di metodi oggettivi si esaminarono le differenze tra le razze che di seguito vennero presentate dettagliatamente. A differenze oggettive, quali per esempio. il colore della pelle, si associarono giudizi morali e fu così costruito uno schema di subordinazione, di superiorità ed inferiorità. Nello stesso contesto nacquero tesi molto popolari, per esempio quelle legate a Lombroso circa il presunto legame

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tra la forma del cranio e le qualità caratteriali. La misurazione del cranio e delle linee del viso era un metodo riconosciuto e diffuso, con il quale si pensò di poter diagnosticare persino disturbi psichici ed inclinazioni criminali. Insieme alla dottrina della razza si sviluppò la dottrina sulla genetica, la cui interpretazione e realizzazione criminale servirono alla creazione della razza ariana pura nel periodo del nazismo. L’eliminazione sistematica di portatori di deficit con la giustificazione cinica di “vite che non valgono la pena di essere vissute” e l’olocausto non erano solo azioni criminali di singole persone, ma l’espressione di un atteggiamento largamente diffuso. Il termine razzismo non include quindi soltanto la sottomissione di determinate razze, ma anche di gruppi etnici, nonché di persone, che a causa di determinate caratteristiche, quali ad esempio un handicap fisico, sono soggette a persecuzione. Gli elementi basilari del razzismo sono i seguenti:

1. Da caratteristiche esteriori riguardanti gli appartenenti ad

una razza, ad una religione o ad un gruppo etnico si traggono conclusioni circa la loro personalità complessiva.

2. Da queste deduzioni semplici e stereotipiche vengono

formulati giudizi, nella maggior parte dei casi, spregiativi. 3. Questi giudizi servono a giustificare azioni disprezzabili ed

illegittime. 4. Servono inoltre alla delimitazione del proprio gruppo nei

riguardi degli “altri” e con questo della propria identità. Proprio per questo motivo adolescenti con una scarsa stima di sé sono molto ricettivi rispetto alle idee radicali e razziste.

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Questi giudizi offrono spiegazioni apparentemente semplici

a situazioni molto complesse. Un esempio tipico è l’opinione diffusa che l’Africa sia povera perché gli africani sono pigri. Il tema del nazionalismo e razzismo da sempre largamente dibatuto e´ stato oggetto di numerose ricerche pedagogiche dei ultimi anni. Nella stessura di queste note si e`fatto in particulare riferimento a Walter Lorenz.12

Lorenz fa presente che la diffusione di idee razziste ha un’altra radice politica, oltre a quella connessa alla fioritura dell’epoca coloniale: la formazione degli stati nazionali. Con il formarsi degli stati, la delimitazione territoriale rispetto agli altri stati nazionali diventò molto importante. I nuovi confini territoriali dell’Europa postnapoleonica crearono Stati la cui popolazione apparteneva a diversi gruppi etnici e che all’inizio non si considerarono membri della “popolazione di stato”. Per la formazione di un’identità nazionale serví la delimitazione nei confronti degli “altri”, degli “stranieri”, dei “non-appartenenti”. Il concetto nazione inteso in questo senso significa, a livello dei provvedimenti sociali, la distinzione tra “autorizzato” e “non autorizzato”, per quanto riguarda la cittadinanza. Nacque così un sistema complesso di accesso ai servizi e alle disposizioni nell’ambito sociale, sanitario e formativo che non si orientò, in primo luogo, alla necessità della persona, ma alla sua posizione sociale. Una distinzione analoga molto accentuata si riscontrò anche nell’aiuto caritatevole della chiesa: da una parte la miseria peccaminosa cagionata dalla propria colpa, dall’altra le disgrazie immeritate. In base a questa distinzione venne 12 Cfr.: W, Lorenz, L`educazione della nazione, La politica dell’identità nazionale, in; A. Aluffi, W. Lorenz (a cura di), Per una pedagogia antirazzista, Edizioni Junior, Bergamo 1999

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stabilita la dimensione dell’azione di aiuto. Soltanto grazie alla creazione dell’assistenza pubblica queste distinzioni divennero meno importanti. La pressione circa la suddivisione delle risorse diminuì ed il concetto di aiuto destinato a tutti, indipendentemente da posizione sociale e valutazione della persona, riuscì a diffondersi maggiormente.

La storia europea dell’assistenza sociale è anche caratterizzata da strategie per eliminare ed isolare diversità ed anomalie: i manicomi e gli istituti chiusi e l’uccisione di tutti i “diversi” nell’epoca del nazismo sono gli esempi più svariati dell’emarginazione.

“Queste strategie politico-sociali armonizzano con una visione nazionalistica dello stato, legando i presupposti per il diritto al sostegno ed alla solidarietà all’appartenenza a determinati gruppi, e con questo contribuiscono a sciogliere ed a frammentare la solidarietà. Il concetto della “cittadinanza europea” suscita qualche speranza: in effetti, si potrebbe formare una nuova versione di cittadinanza che si allontana dai modelli nazionalistici, eliminando la distinzione tra individualismo e collettivismo, particolarismo ed universalismo, liberalismo ed essenzialismo contenuta in essi.”13

La storia europea degli stati nazionali contiene caratteristiche di entrambe le concezioni. Lorenz distingue tra una versione democratica-rivoluzionaria della nazione che nacque dalla Rivoluzione francese e sottolinea l’importanza del

13 Cfr.: W, Lorenz, L`educazione della nazione, La politica dell’identità nazionale, in; A. Aluffi, W. Lorenz (a cura di), Per una pedagogia antirazzista, Edizioni Junior, Bergamo 1999, p. 105

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contratto sociale tra i cittadini come base dei loro diritti individuali, della libertà e degli obblighi, indipendentemente dalle loro diversità, e tra una versione “nazionalistica”, caratteristica della formazione della nazione italiana e tedesca, che deduceva la solidarietà nazionale dal postulato di un’ereditarietà culturale comune. La costruzione rivoluzionaria di una nazione non si riferisce alla omogeneità culturale ed alla “purezza”.

Onde evitare che la pedagogia venga utilizzata come alibi o come ritocco cosmetico per quanto riguarda le ricuse all’interno della società, si deve riconoscere l’importanza di un’esposizione dettagliata dei nessi politico-sociali nello sviluppo del razzismo e delle funzioni di esso.

1.5 Pedagogia etnologica

Concludendo, ancora alcune osservazioni relative al termine pedagogia etnologica. Una descrizione dettagliata del termine e del suo significato per la teoria e la pratica della pedagogia interculturale non è possibile, in quanto non esiste ancora nessuna disciplina scientifica che regola questo ramo della pedagogia 14. Conosciamo però tanti studi empirici riguardanti l’educazione e le relazioni di gruppo in altre culture, che si basano su principi etnologici e che sono diventati importanti per la pedagogia. Già molti classici della pedagogia, come per esempio Rousseau, non sono riusciti a sottrarsi dal fascino di rapporti di viaggio e di romanzi su terre lontane (Robinson Crusoe). A partire dall’inizio di questo secolo, le altre culture sono state esaminate da un punto di vista psicoanalitico, arricchendo così le nostre idee pedagogiche. Si

14 Cfr.: K. Müller, A. K.Treml (a cura di), Ethnopädagogik. Sozialisation und Erziehung in tradizionellen Gesellschaften, Reimer, Berlin 1992 p. 35

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pensi soltanto al significato dei riti di iniziazione, riti di transizione ed ai cambiamenti di status. La stessa cosa vale per le nostre conoscenze relative al significato dei rapporti con coetanei e lo sviluppo della sessualità durante il periodo della pubertà e dell’adolescenza.

1.6 Per una rifondazione scientifica dell’intercultura La posizione degli stranieri che vivono e lavorano nei paesi Europei è argomento di dibattito e scontro nell’arena politica. La Germania per esempio rifiuta da sempre lo status di paese di immigrazione e la negazione di questa realtà di fatto ha come conseguenza progetti poco chiari e contraddittori sotto il profilo pedagogico. Così, ad esempio, in Baviera si è cercato di suddividere i bambini stranieri in base alle nazionalità e di scolarizzarli in classi speciali. Comunque, questa strategia si è realizzata solamente nelle grandi città. Attualmente in Germania si stanno moltiplicando anche nei partiti e nei gruppi conservatori le voci dissenzienti che vorrebbero riconoscere la realtà della società multiculturale. "Il concetto della società multiculturale vorrebbe combinare i vantaggi di due strategie: il diritto ad una partecipazione con gli stessi diritti (e quindi integrazione) ed il diritto all’autodeterminazione culturale, non solo nell'ambito privato, bensì come parte integrante della cultura pubblica".15 Quale significato può avere la teoria per la pedagogia interculturale e per la sua pratica? Da una parte, la teoria serve per la comprensione e lo sviluppo della scienza stessa, dall’altra

15Cfr.: F. Hamburger, Erziehung und Sozialarbeit im Migrationsprozess, in: J.M.Gorzidi, H. Müller (a cura di), Handbuch zur interkulturellen Arbeit, Wiesbaden, World University Service/Gewerkschaft Erziehung und Wissenschaft/Institut für Sozialforschung Mainz,1993 p. 56

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per la sua delimitazione da altre discipline. La storia dello sviluppo della pedagogia interculturale dimostra che negli ultimi due secoli, si è riscontrato un cambio dei paradigma nell’area linguistica tedesca. Il termine originario di „pedagogia degli stranieri“ legato ad obiettivi quali “integrazione“ ed “assimilazione“, si è trasformato nel concetto di “apprendere in modo interculturale“, “pedagogia interculturale“ e “comunità etnica”16

Inoltre, le teorie della pedagogia interculturale possono fornire affermazioni verificabili sulle persone direttamente colpite. In Italia esiste una discussione scientifica importante sulle necessità socio-pedagogiche degli immigranti: nel momento in cui l’immigrazione diventa realtà, oltre ai bisogni elementari, quali cibo, alloggio ed occupazione, le necessità di comunicazione, di apprendimento, di orientamento, di autoeducazione in un paese fino ad ora sconosciuto caratterizzato dai propri codici linguistici, da schemi di comportamento e da norme diverse, assumono un’importanza vitale. Per quanto riguarda l’Italia, si può constatare che un ex-paese d’emigrazione è diventato un paese d’immigrazione e questo fenomeno richiede una ricerca ed una formulazione di teorie più approfondite. Teorie di questo tipo devono rispondere ad almeno quattro esigenze: socializzazione anticipata, socializzazione attiva, socializzazione rivolta verso l’obiettivo nonché socializzazione del rifiuto, che si manifesta quando la lingua e la cultura originaria incominciano ad opporre resistenza nei confronti della nuova società.17 16 Cfr.: H. Schweitzer, der Mythos vom interkulturellen Lernen, Münster/Hamburg, 1994, p. 2 17 Cfr.: D. Demetrio, Hypothesen für eine Theorie der sozialpädagogischen Bedürfnisse für Einwanderer, in: M. Borelli, G. Hoff (a cura di) Interkulturelle Pädagogik im internationalen Vergleich, Pädagogischer Verlag, Baltmannsweiler, 1987, p. 38 e segg.

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2 Pedagogia interculturale e scienze dell’educazione

2.1 Verso l’interdisciplinarietà

Nella parte successiva di questo libro tratteremo dei problemi e temi attuali della pedagogia interculturale attenendoci a quattro filoni di analisi.

In primo luogo ci occuperemo dei rapporti interdisciplinari che la pedagogia interculturale intrattiene con la sociologia e la psicologia. Passeremo poi ad analizzare il rapporto a doppio binario che lega la pedagogia interculturale alle diverse fasi della vita di un individuo ed i contributi che la ricerca biografica può a sua volta apportare alla comprensione della pedagogia interculturale.

In seguito prenderemo in esame le istituzioni all’interno delle quali la pedagogia interculturale svolge un ruolo decisivo (prescuola, scuola, istituzioni extrascolastiche), senza però dimenticare che essa dovrebbe costituire un principio fondante da estendere a tutta la società. Infine getteremo un ultimo sguardo d’insieme sulla pedagogia interculturale nella sua accezione di nuova frontiera dell’educazione.

Come abbiamo già ricordato sopra, sociologia e psicologia sono le discipline che influenzano in modo particolare la pedagogia interculturale. E’ opportuno ribadire che questo studio si propone come contributo pedagogico, e quindi in questa sede dobbiamo purtroppo rinunciare ad una riflessione approfondita sulle condizioni politiche, economiche e giuridiche, che pur condizionano in maniera drammatica la situazione dello straniero ed il suo rapporto con gli abitanti del paese d’immigrazione.

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I quesiti che dovremmo trattare prevederebbero una trattazione esaustiva delle condizioni socio-economico-politiche esistenti nel paese ospite. Dovremmo allora iniziare col chiederci: ci troviamo in una nazione con un’unica lingua e una popolazione omogenea? Oppure in un paese con diverse lingue ed etnie? Le minoranze dispongono di diritti riconosciuti? O abbiamo a che fare con un paese in cui la multiculturalità è ormai una pratica quotidiana? Il panorama politico influenza pesantemente la cornice giuridica, contribuendo ad interpretare in modo restrittivo o estensivo quanto previsto dalle leggi sull’immigrazione e sulla cittadinanza, concedendo o negando ai migranti i diritti civili incluso quello di voto e l’integrazione all'interno del sistema scolastico, sociale e sanitario. Anche la cornice economica influenza la posizione degli stranieri rispetto al mercato del lavoro ed alle difese del lavoratore. E bisognerebbe allora chiedersi: gli stranieri sono stati assunti solo come forza lavoro a basso costo e per un periodo di tempo determinato o sono stati accolti come nuovi cittadini che lavorano e vivono nel paese ospite? Tutte queste domande, che non possono trovare risposte approfondite all'interno di uno studio pedagogico, influiscono però in modo determinante sulle esperienze pedagogiche quotidiane.

2.2 Il contributo della sociologia

Se prendiamo in esame la sociologia, il primo concetto che si rivela di fondamentale importanza per la pedagogia interculturale è quello di integrazione. L’integrazione è il contrario della segregazione e comporta che una minoranza possa entrare a far parte di una maggioranza, acquisendone gli stessi diritti e mantenendo però le proprie peculiarità culturali.

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Nei casi riusciti questo accade senza che il sistema sia messo in pericolo, attraverso la cooperazione delle parti coinvolte, che si propongono un’unità di intenti che generi un nuovo equilibrio. La minoranza etnica diventa parte a pieno titolo di una maggioranza già esistente, senza però dover rinunciare alla propria storia e alle proprie radici.

Integrazione significa l’unione di parti diversi per arrivare ad una totalità e può essere interpretata in maniere diverse. Sul piano pragmatico la parola integrazione assume spesso significati diversi e in parte anche contraddittori. Integrazione vene spesso intesa come assimilazione da parte degli stranieri.

Assimilazione significa l’adattamento della minoranza alla maggioranza. Per realizzare ciò è necessario diventare “simili”, rinunciando ai propri usi e costumi. In casi estremi, l’assimilazione comporta anche la rinuncia alla propria religione e tradizione. In questo caso si può anche parlare di integrazione, l’insieme delle parti piccole diventa una totalità, le caratteristiche delle parti piccole o delle parti nuove di una società spariscono e si adattano alle caratteristiche delle parti più grandi. Gli immigranti si adeguano alla cultura, ai valori ed alle norme della maggioranza. Questo processo può essere definito acculturazione.

Ciò significa che una nuova cultura prende il posto della cultura originaria. Questo processo presuppone che si manifesta una deculturazione, cioè il fatto di disimparare atteggiamenti e comportamenti abituali. Disimparare non deve necessariamente significare dimenticare, in certe situazioni, gli immigrati assumono automaticamente un certo atteggiamento. Se il comportamento automatico ed istintivo corrisponde alle norme ed ai valori della nuova cultura, si parla di assimilazione

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avvenuta. Se l’integrazione viene intesa, o meglio malintesa, in questo modo la società del paese d’accoglienza non cambia, rimane rigida e monoculturale. Le possibilità di reazione degli immigrati possono essere descritte come segue: Monocoltura:

Una possibilità è il tentativo di soddisfare le aspettative della maggioranza della popolazione. Le insicurezze vengono compensate con un comportamento estremamente adattato. L’immigrante diventa non raramente il “nativo migliore”. Solo una grande sicurezza di sé permette piccole violazioni delle regole relative al comportamento. In una società individualista, queste piccole violazioni sono caratteristiche d’identità molto importanti. Chi ad esempio vuole sempre essere completamente corretto nei suoi rapporti con l’amministrazione pubblica o con le persone al posto di lavoro, rischia di essere bollato come sottomesso.

Un’altra possibilità è il tentativo di opporre resistenza alle aspettative. Non si cerca di assumere le norme ed i valori della nuova società, ma si resta fedele alle proprie tradizioni. Una conseguenza può essere l’emarginazione e la creazione di un ghetto. I problemi si accentuano in entrambi i casi, se i bambini di immigranti rifiutano l’atteggiamento dei genitori e prendono una propria decisione. Patchwork:

Un’altra concezione di integrazione non intende quest’ultima come assimilazione o adattamento delle piccoli parti alla maggioranza che comporta la scomparsa di diversità e molteplicità. L’integrazione viene intesa come l’introduzione di parti piccole in una totalità già esistente. Questa società è caratterizzata da elementi diversi e inizialmente sconosciuti, l’accettazione di diversità è una delle caratteristiche più importanti. La diversità culturale degli immigranti viene

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tollerata dalla maggioranza della popolazione o addirittura considerata come un arricchimento. Non avviene però un vero scambio tra le culture, ogni gruppo conserva le proprie caratteristiche, com’è avvenuto ad esempio con gli ebrei in Germania e nell’Europa dell’est durante certi periodi storici e prima del fascismo. Nel corso della storia, che i potenti hanno spesso introdotto appartenenti di altre culture nel proprio paese per favorire determinati sviluppi. La causa della migrazione non era quindi la tensione economica o politica nel paese d’origine, ma un vortice di richiamo del paese d’accoglienza.

Melting pot:

Altre società, come ad esempio quella nordamericana, si sono viste come un rifugio per appartenenti a diversi gruppi etnici e religiosi. Una caratteristica importante di queste società è la loro multiculturalità, nel senso che da diversi elementi culturali si è formata una nuova cultura “mista”. Sappiamo però che la realizzazione pragmatica di questa ideazione sociale non funziona senza difficoltà. Il concetto di “cittadino” assume però un’importanza fondamentale. L’appartenenza alla cultura non dipende dalla razza, dalla religione o dall’origine culturale, ma dalla cittadinanza. Il presupposto base per il funzionamento di una società di questo tipo non è la conformità di razza, di visione del mondo ecc., ma l’accettazione di una forma di società pluralistica e democratica che si basa su un sistema di diritti e doveri civili. Eventuali conflitti vengono risolti ricorrendo al sistema legale. Il riconoscimento di questo sistema legale è un altro presupposto per l’accettazione degli immigranti come membri della società. Ovviamente non è accettabile se una minoranza tenta di sottrarsi alle norme democratiche o di imporre le proprie regole non democratiche.

I dati demografici testimoniano quanto sia difficile la situazione di partenza per queste società. La situazione degli americani di

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lingua spagnola (Hispanics) funge come esempio, in quanto rappresentano il 40 % delle persone che ogni anno immigrano legalmente negli Stati Uniti (dati del 1991). Negli Stati Uniti vivono ca. 18,8 milioni di “Hispanics”. Parlano lo spagnolo, però provengono da paesi diversi e sono quindi caratterizzati da esperienze e tradizioni diverse. Parlare di un gruppo omogeneo di spagnoli sarebbe quindi un errore. I seguenti dati caratterizzano l’origine diversa: Mexico: 11,8 milioni 62,5 % Puerto Rico: 2,3 milioni 12,2 America centrale, Sudamerica: 2,1 milioni 11,2 % Cuba 1,0 milioni 5,3 % Altri 1,6 milioni 8,5 %

I motivi ed i sfondi socioculturali possono essere molto

diversi a seconda del paese d’origine anche all’interno di questo gruppo relativamente omogeneo in tema linguistico. Ad esempio, l’esperienza di vita e la socializzazione di un cubano è generalmente molto diversa di un puertoricano. L’82 % degli hispanics vive in otto stati degli Stati Uniti: California 21 % Texas 20 % New York 11% Florida 6 % Illinois 4 % Arizona 3 % Colorado 3 % New Mexico 3 % 200.000 hispanics immigrano ogni anno legalmente negli Stati Uniti, corrispondono al 40 % di tutti gli immigranti legali. Altri 200.000 immigrano clandestinamente.

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La popolazione dei hispanics è aumentata del 61 % dal 1970 al 1980. L’85 % degli studenti hispanics è iscritto nelle scuole statali, il 70 % frequenta una scuola segregata. Le conoscenze scolastiche sono sensibilmente sotto la media degli Stati Uniti. L’età media degli hispanics negli Stati Uniti è di 25,1 anni rispetto a un’età media di 32,6 della popolazione complessiva statunitense. 18 Circa la stessa cosa vale anche per l’Europa, soprattutto per i paesi d’immigrazione relativamente nuovi come l’Italia. Gli immigranti che si spostano per motivi di lavoro sono per la maggior parte giovani uomini.

Questi dati rispecchiano un fenomeno valido anche per l’Europa. I dati nazionali relativi all’immigrazione non danno informazioni sulla concentrazione e la divisione all’interno del paese e anche all’interno delle città. Ad esempio, se in un determinato quartiere la percentuale degli immigrati è così elevata che solo una piccola parte dei bambini comprende la lingua d’insegnamento, le conseguenze per il lavoro didattico sono diverse rispetto a classi con pochi bambini stranieri.

Nessuno dei tre modelli descritti è applicabile per l’Europa, in quanto i presupposti storici e sociali sono troppo diversi.

Il primo modello non corrisponde ad una società democratica e moderna. Ha le proprie origini nell’ideologia razzista e fascista, cioè nell’unitarietà e nella purezza del popolo, nonché nella conformità tra popolo, nazione e stato. Tutto quello che è straniero si deve adattare oppure viene ripudiato.

18 Cfr.: E. Garcia, The Education of Linguistically and Culturally Diverse Students: Effective Instructional Practices, National Center for Research on Cultural Diversity and second Language learning, Santa Cruz, 1991, p. 10

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Il secondo modello presenta il grande svantaggio che parte da una visione statica di società e cultura. Suscita l’illusione che questo patchwork funzioni bene, se tutti i partecipanti rispettano le regole e non abbandona la propria “macchia” ben delimitata sul tappeto patchwork. Questa concezione non è conforme alla realtà di società dinamiche. Un problema evidente riguarda i bambini nati da un matrimonio misto: A seconda quale cultura e lingua cresceranno? A quale macchia del patchwork appartengono?

Le conseguenze più brutali di questo modello si manifestano nei conflitti in zone multietniche, come è successo ad esempio nei Paesi Balcanici. L’approccio “Patchwork" viene interpretato assegnando ad ogni gruppo una determinata zona geografica all’interno dello Stato. L’atteggiamento profondamente disumano che prevede l’istruzione di zone etnicamente pure ed il concetto della “pulizia etnica”, sono un tentativo terribile di mantenere in vita, ricorrendo a metodi violenti, uno Stato multiculturale dove la popolazione è costretta a vivere in ghetti separati.

Il modello del “melting pot” parte dal presupposto di un

miscuglio di culture. Da questo miscuglio nasce qualcosa di nuovo che unisce i singoli elementi. Si potrebbe pensare che in questo modo anche i conflitti etnici e razzisti potessero sparire, ma le esperienze fatte negli Stati Uniti ci insegnano che non è proprio così. Le tendenze di richiudersi fra di loro di diversi gruppi dimostrano che per sentirsi appartenenti ad un determinato gruppo o per aderire a movimenti radicali non è determinante sapere parlare o capire la lingua degli antenati.

Un altro svantaggio di questo modello è, che non corrisponde più alla situazione storica e culturale dell’Europa attuale. L’accettazione reciproca delle tradizioni culturali dei paesi membri dell’Unione Europea è uno dei presupposti base per la realizzazione del processo di unificazione. Questo

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processo di unificazione dipende anche dal mantenimento dell’equilibrio fragile delle forze culturali.

Un altro presupposto base è rappresentato dal superamento delle differenze nella legislazione dei diversi stati nazionali. Con l’apertura dei confini è stato fatto un grande passo verso l’unità delle norme della vita civile. Garantendo un’alta sicurezza legale ed un’elevata assicurazione di uguaglianza, giustizia e fratellanza, i singoli cittadini si sentiranno sempre meno insicuri e minacciati. Il ricorso a concetti nazionalistici ed atteggiamenti radicali diventano così superflui. E’ una condizione molto importante per un’interazione libera e priva di pregiudizi tra gli appartenenti a diverse etnie, culture e gruppi linguistici.

Si dovrebbe quindi aspirare alla realizzazione di un modello di interazione. Né la divisione in singole macchie sul tappeto “Patchwork”, né la fusione delle singoli parti fino all’irriconoscibilità ci sembrano auspicabili, l’unica soluzione valida è un’interazione libera e priva di pregiudizi e lo scambio positivo e costruttivo che si basa sul principio di diritti e doveri uguali per tutti.

Gli aspetti sociologici sovramenzionati riguardano

modelli politici e sociali per società multiculturali. Di seguito vengono rappresentati alcuni concetti sociologici utili per la comprensione della situazione dei migranti.

I due concetti chiave più utili ai nostri fini sono quelli di individualizzazione e pluralizzazione. Per individualizzazione si intende il processo messo in moto nelle società moderne da fattori quali l’industrializzazione, la secolarizzazione, l’urbanizzazione, che sta progressivamente portando allo scioglimento dei legami sociali tradizionali con tutti i problemi e le contraddizioni che necessariamente accompagnano il cambiamento. Se è vero che molte persone godono oggi di una libertà maggiore che in passato, è anche vero che il prezzo da

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pagare comporta un aumento dei rischi connessi all’insicurezza del posto di lavoro, allo straniamento dovuto alla perdita dei valori di riferimento classici e al crescente isolamento. Rispetto agli immigrati, soprattutto se provenienti dalle culture del sud del mondo o da regimi politicamente autoritari, questo processo innesca nel nuovo paese un‘acuta situazione di ambivalenza: gli individui dispongono sì di maggior libertà personale, o la loro vita non è più minacciata, ma al tempo stesso si ritrovano anche improvvisamente liberi anche da quei legami sociali che in patria erano vitali.

Il concetto di pluralizzazione sottolinea invece come le possibilità di realizzazione individuale e sociale si siano moltiplicate e permettano la strutturazione di percorsi ed itinerari personali a patto di possedere gli strumenti culturali e i mezzi materiali idonei al perseguimento dei propri obiettivi. La pressione sul singolo, affinché si adatti all’ordine istituito non è più così forte come in passato. Se queste nuove opportunità sono di grande importanza per tutti i cittadini di un paese, ancora più importanti si rivelano per gli stranieri provenienti dai paesi più poveri e organizzati in modo molto tradizionale, per i quali costituiscono non solo un cambio culturale, ma anche un’accelerazione storica. Un turco anatolico che arriva in Germania o un berbero nordafricano che si trasferisce in Italia attraversano nel corso di questo viaggio, come in una sorta di macchina del tempo, anche diversi decenni di sviluppo socio-economico, ritrovandosi così a vivere in un arco di tempo brevissimo cambiamenti che nel paese d’origine richiederanno probabilmente diverse generazioni. Queste accelerazioni storiche hanno ripercussioni anche sui cittadini del paese ospite, che viaggiando all’indietro sulla stessa macchina del tempo, dovranno confrontarsi con i comportamenti tradizionali dei nuovi arrivati, con sistemi di pensiero e comportamenti forse una volta presenti ma ormai superati della propria società tradizionale.

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Con il concetto di status si intende l’attribuzione di una

determinata posizione all’interno di un sistema sociale. A questa attribuzione si collegano aspettative reciproche sui modi di comportamento e le forme di comunicazione tra chi detiene le diverse posizioni all’interno del sistema stesso. Per funzionare il sistema ha bisogno di un consenso minimo sull’attribuzione delle posizioni di individui o gruppi all’interno del tessuto sociale. Se questo non avviene, sono inevitabili continue lotte e conflitti per l’acquisizione di status, che producono pesanti oneri individuali (malattia, tossicodipendenza, delinquenza) e disintegrazione sociale.

I migranti si trovano molto spesso in una situazione di insicurezza per quanto riguarda la propria posizione sociale. Questa situazione assume molto spesso un aspetto opprimente, in quanto la definizione di status sociale è una parte molto importante per l’identità dell’individuo. Dato che l’insicurezza dei genitori si trasmette sui bambini e sulla loro ricerca d’identità, questo aspetto è da considerare nel lavoro pedagogico nell’ambito scolastico ed extrascolastico. Le cause di questa insicurezza sono le seguenti: • Lo status sociale ricoperto nel paese d’origine non vale più.

Nella maggior parte dei casi la migrazione verso il paese d’accoglienza comporta uno stato sociale inferiore rispetto a quello del paese d’origine.

• Nella nuova cultura, lo stato sociale viene definito a seconda criteri diversi e ciò crea una grande insicurezza negli immigranti.

• La propria definizione relativa alla posizione nella società non corrisponde sempre alla definizione valida nel paese d’accoglienza e ciò crea malintesi nei rapporti con le scuole.

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Un esempio concreto per queste difficoltà è il fatto che

uomini provenienti da una società patriarcale hanno spesso difficoltà ad accettare una donna come superiore o come rappresentante di un ente. Se queste persone si intromettono nell’educazione dei figli, come ad esempio avviene nel caso di assistenti sociali o di insegnanti, possono nascere conflitti. Dal punto di vista dell’immigrato, una persona straniera e addirittura una donna si intromette nella fascia di potere riservata al capo della famiglia. Viene considerato una violazione del proprio onore e dell’autorità del padre. Oltre alla definizione diversa del ruolo del padre di famiglia nelle diverse culture d’origine, si manifesta un’altra discrepanza socioculturale: una diversa concezione delle questioni private e delle questioni di interesse pubblico. In società moderne, l’educazione dei figli è regolata da leggi e istituzioni. Se i genitori non rispettano l’obbligo scolastico, l’obbligo di sorveglianza e l’obbligo di educazione, le istituzioni pubbliche devono intervenire. Gli immigrati di paesi in via di sviluppo considerano interventi di questo genere molto spesso come un libero arbitrio dello stato, un abuso, una discriminazione o una vessazione.

L’attribuzione di un determinato status nelle società moderne è un processo costante e continuo, che avviene sulla base di diversi criteri. Alcuni non sono determinabili dall’individuo, altri dipendono invece dalle sue decisioni e dalle sue prestazioni. Ovviamente sussistono grandi differenze nel peso conferito dalle diverse culture a questi criteri. Mentre nei circuiti culturali postindustriali i fattori almeno in parte determinabili a livello soggettivo (livello di istruzione, professione e reddito) operano un influsso decisivo sullo status, nelle società tradizionali sono i fattori non determinabili

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individualmente (età e sesso) quelli che assumono un peso preponderante.

I movimenti migratori provengono in gran parte dai circuiti culturali tradizionali e preindustriali e si dirigono verso le società industriali e postindustriali. Qui i migranti si scontrano con un sistema di attribuzione di status a loro estraneo e sconosciuto. La conseguenza di ciò sono equivoci e conflitti. Poiché la conoscenza di questi criteri è estrema importanza per l’agire pedagogico, qui di seguito vogliamo offrirne una sintetica descrizione.

È comune a tutte le società che la parentela di sangue o acquisita (per esempio attraverso il matrimonio) influenzi lo status. Nelle società moderne questo vale solo per la cerchia familiare più stretta, mentre in quelle dominate da una cultura agricola il senso è molto più ampio. Il clan e la famiglia allargata assumono qui anche la funzione di assistenza materiale in caso di malattia o vecchiaia dei loro membri. Di conseguenza il controllo sociale in queste comunità è molto alto. Tutti i membri si sentono reciprocamente responsabili e si preoccupano che i valori e le norme comuni vengano rispettati. Ciò è importante per il mantenimento della coesione del gruppo ed è l’unica assicurazione in caso di necessità.

I bambini e gli adolescenti figli di migranti incontrano grandi difficoltà nei paesi di adozione, poiché esistono delle profonde contraddizioni tra i valori e le norme della maggior parte delle culture di provenienza preindustriali delle famiglie e la cultura moderna del loro nuovo paese. I conflitti che ne derivano si evidenziano da fatti apparentemente secondari. Un esempio di questi giorni: il capo velato delle ragazze musulmane in Francia è diventato un simbolo per il riconoscimento della cultura di origine e un caso di conflitto tra autorità scolastiche e famiglie.

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In molte famiglie migranti emergono dei conflitti intrafamiliari se i giovani si adattano alla cultura moderna. Entrambe le parti, la famiglia e la società, mettono i ragazzi sotto pressione. Elementi che scatenano il conflitto riguardano l’abbigliamento, la foggia dei capelli e la musica ascoltata dai ragazzi. Questi fattori esterni diventano simboli di un atteggiamento esistenziale e di una precisa Weltanschauung. La spinta all’adattamento operata dalla società si esercita in molteplici modi, a volte in forme particolarmente sottili. Scherno, emarginazione e disprezzo dei coetanei a scuola e nel tempo libero sono alcuni dei mezzi messi in atto, a volte a livello inconscio. I ragazzi coinvolti si ritrovano in una situazione senza uscita : desiderano assumere uno status possibilmente elevato e trovare riconoscimento nella società in cui vivono, devono garantirsi una carriera scolastica e professionale e possono farlo solo se accettano e internalizzano il sistema di valori e di norme corrispondente. Al tempo stesso, desiderano anche il riconoscimento, l’affetto ed il sostegno della loro famiglia e perciò devono accettare anche valori e comportamenti, che in parte confliggono con quelli della società.

L’integrazione nei due sistemi richiede uno sforzo psichico molto elevato che molti bambini non riescono a sostenere. Alcuni reagiscono con il radicale rifiuto di una delle due culture. Questo provoca sicuramente conflitti e difficoltà con l’identità rifiutata, ma al tempo stesso una liberazione dal conflitto interiore che viene spostato all’esterno con la creazione di un nemico che deve essere combattuto.

Se il ragazzo opta per il sistema dei valori della famiglia, quasi inevitabilmente entra in conflitto con la scuola, poiché questa come istituzione educativa della società moderna incarna tutto ciò che può minacciare l’equilibrio interiore. Gli insegnanti che non conoscono questa realtà reagiscono sentendosi personalmente coinvolti e delusi. Tutto il sostegno e

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gli aiuti che offrono cozzano contro un rifiuto e questo provoca rassegnazione, delusione e spesso ostilità nei confronti del bambino. Si crea un circolo vizioso, in cui il bambino si vede riconfermato che la società moderna è ostile e disumana. Di conseguenza, il suo rifiuto trova una giustificazione e il conflitto interiore è risolto. Questa soluzione gli costa comunque un prezzo molto alto in termini di successo scolastico e di opportunità per il suo futuro lavorativo. Per comprendere appieno questi ragazzi bisogna non dimenticare mai che per loro la sicurezza emozionale e il sostegno delle persone di riferimento sono molto più importanti che la promessa astratta di un futuro successo lavorativo. Le figlie dei migranti di norma vivono i conflitti provocati dalle due culture di riferimento in modo molto più acuto dei loro fratelli. Nella cultura di origine ci si aspetta che le ragazze si preparino al futuro ruolo di madre e casalinga. Una formazione scolastica e professionale prolungata viene spesso considerata superflua e a volte addirittura nociva.. La condotta delle figlie diventa quindi una questione che riguarda tutta la famiglia, poiché può minare per sempre il suo buon nome in patria e nella cerchia di amicizie tra connazionali. Per le ragazze e le donne delle famiglie migranti sono perciò indispensabili programmi di intervento, che però non possono prescindere dalle seguenti considerazioni: 1. Le famiglie delle ragazze devono essere coinvolte, affinché

si possa istituire un clima di fiducia tra i pedagogisti o gli operatori sociali e le famiglie. Se questo non avviene alle ragazze verrà vietata la partecipazione al programma.

2. Deve essere creata una cornice idonea a contatti sociali positivi. Gli incontri con donne della propria cultura e della cultura “altra” sono molto importanti per riuscire ad evadere dall’isolamento vissuto nel chiuso della propria famiglia.

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Esempi di tali possibilità di contatto sono le attività organizzate per il tempo libero o le offerte formative nei centri culturali. Spesso i contenuti offerti in questi corsi sono di natura assolutamente tradizionale : ad esempio un corso di cucito può rappresentare la premessa per la costruzione di un rapporto di fiducia e la base per corsi di avviamento professionale. Una frequente critica imputata a questo tipo di offerte è che non riescono a spezzare, ma addirittura consolidano i modelli dei ruoli assegnati alle donne. Nella pianificazione di offerte pedagogiche bisogna soppesare i pro e i contro relativi al singolo caso. Un esempio emblematico, tratto dalla mia esperienza professionale, può chiarire come spesso sia necessaria una politica dei piccoli passi per riuscire ad effettuare un lavoro efficace.

Si tratta di un piccolo esempio del lavoro quotidiano di un

operatore sociale può illuminare questi processi:

Il padre di Laura S., preoccupato per la figlia ventenne, si era rivolto al servizio di consulenza psicologica. Laura era triste e abbattuta, niente sembrava più rallegrarla anche se prima era sempre stata una ragazza contenta. Nel corso del colloquio è risultato quanto segue: Laura era cresciuta in Sicilia con la madre fino all’età di 10 anni e poi aveva raggiunto il padre in Germania, dove l’uomo si trovava già da 15 anni. I genitori non l’avevano più mandata a scuola, perché doveva aiutare la mamma nel governo della casa e a fare la spesa. La ragazza aveva imparato più velocemente della madre un po’ di tedesco smozzicato e ben presto era diventata indispensabile nelle occasioni di tutti i giorni. I genitori avevano incontrato delle difficoltà con le autorità poiché la figlia non aveva assolto l’obbligo scolastico. Il problema si risolse facendo figurare che Laura fosse

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ufficialmente tornata in Italia. In realtà la ragazza stava sempre a Colonia con i genitori. I genitori non ritenevano che Laura avesse ancora bisogno della scuola, perché tanto si sarebbe sposata. Così, Laura era praticamente segregata in casa, non aveva alcun contatto con i coetanei e stava esclusivamente con i genitori. Laura, come buona e docile ragazza di famiglia, non sentiva questa condizione come limitante e non riusciva ad esprimere la sua depressione. I miei consigli di offrire alla ragazza possibilità di contatti esterni furono decisamente rifiutati da tutta la famiglia. Dai genitori con la motivazione che ciò avrebbe solo creato confusione nella ragazza, troppo timida per intraprendere qualcosa insieme ad i coetanei. Inoltre Laura avrebbe dovuto sposarsi in Italia e perciò sarebbe stato meglio che non avesse stretto alcun legame in Germania. Qualcuno avrebbe potuto corromperla e rovinarne il buon nome . Laura stessa aveva paura degli estranei e perciò preferiva restare chiusa in casa.

I miei consigli, vissuti come minacciosi per l’andamento della loro vita familiare apparentemente molto armonica, portarono quasi alla rottura del contatto. Quello che la famiglia si aspettava da me era una medicina contro la depressione e non dei suggerimenti sull’educazione della figlia. Con molta fatica, anche attraverso alcune visite a domicilio, necessarie affinché la madre potesse convincersi che non tramavo qualcosa di losco con la figlia, riuscii ad ottenere che Laura frequentasse un corso di cucito con un gruppo di donne italiane. Non ho mai visto rifiorire nessuno come Laura in quel gruppo di donne. Il contenuto del corso era secondario, per la ragazza importanti erano i discorsi, le amicizie e il sostegno delle donne più grandi ed esperte. Naturalmente, questo non risolveva i problemi della mancata formazione scolastica e professionale e Laura non era ancora neanche lontanamente una donna emancipata, ma la sua situazione era indubbiamente migliorata.

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Ciò che è generalmente valido per lo svantaggio delle

donne nella società, vale in misura molto maggiore per le mogli e le figlie di migranti, che risultano doppiamente discriminate, da un lato come donne e dall’altro come straniere.

2.3 Il contributo della psicologia

Già con le ultime considerazioni, il punto di vista sociologico è scivolato verso un punto di vista più prettamente psicologico. Quindi ora ci interroghiamo sull’apporto che può offrire la psicologia all’oggetto della pedagogia interculturale.

In primo luogo ci occuperemo del contributo della psicologia sociale. Molte persone percepiscono gli stranieri sulla base di stereotipi, il che significa che li vedono, vivono e giudicano superficialmente sulla base di alcune caratteristiche esterne: nazionalità, colore della pelle, aspetto, nome, religione. Quando queste considerazioni sono condivise da più persone o gruppi di persone ci troviamo di fronte a stereotipi sociali, che a loro volta costituiscono e contribuiscono a fondare i pregiudizi. Si definiscono pregiudizi sociali tutte le prese di posizione emozionali e quindi razionalmente incontrollabili assunte verso singoli o gruppi. Un altro aspetto è che, come la parola pregiudizio indica già, questi giudizi vengono fatti prima di conoscere i fatti concreti e che anche dopo la conoscenza di fatti che implicitano una revisione del pregiudizio questo molto spesso non viene modificato.

Sintetizzando sì può dire che i pregiudizi: • Sono giudizi che non si basano su informazioni concrete;

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• “Facilitano“ la vita quotidiana nel senso che offrono delle risposte semplici per situazioni complessi.

• Sono molto resistenti a cambiamenti, anche perché non si basano tanto su fatti ma più su affetti.

Per il lavoro pedagogico concreto, è molto importante

affrontare il tema dei meccanismi e delle funzioni degli stereotipi e dei meccanismi del pregiudizio. Uno dei compiti più difficili della pedagogia scolastica ed extrascolastica, è il rapporto con le diverse forme di rifiuto di bambini immigrati attraverso i compagni di scuola ed con i pregiudizi dei genitori. Questo fenomeno non riguarda solamente i bambini stranieri, ma anche tutti gli altri che in un modo o l’altro potrebbero essere emarginati. I bambini di solito assumono gli atteggiamenti dei genitori e dell’ambiente sociale che li circonda. Non solo gli atteggiamenti politici e sociali trasmessi dai genitori pero` esercitano una grande influenza, ma anche lo sviluppo psichico dei bambini stessi è un fattore molto importante. Questo spiega perché in certi bambini, i cui genitori non presentano nessun tipo di atteggiamento xenofobo, si riscontrano pregiudizi negativi nei confronto degli stranieri.

Il tema dei pregiudizi dibatuto largamente nei ultimi decenni e`stato oggetto di numerose ricerche. Nella stesura di queste note si fa`particolare riferimento a Nando Belardi, che offre una spiegazione psicologica del fenomeno.19

I pregiudizi sociali influenzano la costruzione del sistema di norme dei singoli gruppi, ma assumono anche un'importante funzione - sia pur deformata - di percezione e categorizzazione nel sistema di orientamento sociale, nell‘articolazione degli interessi e nella giustificazione politica dei singoli e dei gruppi. E‘ soprattutto nelle situazioni di crisi 19 Cfr.: N. Belardi, Psychologische Grundlagen, Soziale Arbeit, Bd.2 Diesterweg, Frankfurt 1980 p. 68

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economica e sociale, che i pregiudizi entrano massicciamente nelle ideologie politiche, poiché la disposizione e la disponibilità umana al pregiudizio viene pilotata verso presunti capri espiatori in modo da far passare sotto silenzio altre circostanze più gravi.

Nei rapporti interpersonali il pregiudizio è una forma di inimicizia, diretta contro interi gruppi o singoli membri di certi gruppi. Per coloro che nutrono un pregiudizio, questo fatto riveste una precisa funzione irrazionale e affettiva.20

Allo sviluppo del carattere del bambino, rappresentato come il risultato del conflitto tra istinti, norme sociali e comportamenti dei genitori, contribuiscono i processi di identificazione, proiezione, idealizzazione e razionalizzazione, che acquistano il ruolo di meccanismi di difesa e confronto con l'ambiente circostante.

Proprio attraverso l'identificazione e l'idealizzazione delle norme e degli obiettivi del proprio gruppo di riferimento, il bambino giunge molto presto all'assunzione affettiva di atteggiamenti politici di base, che a questa età - e spesso neppure più tardi - non possono essere controllati razionalmente.

Per il mondo scolastico, queste riflessioni hanno un’importanza su due livelli:

1. A livello di insegnanti e di personale La capacità di esaminare i propri pregiudizi sul loro contenuto razionale è un’importante competenza professionale degli insegnanti. Non vale ovviamente solo per quanto riguarda il lavoro con bambini immigrati, ma per i rapporti con qualsiasi forma di emarginazione. Dato che l’insegnante funge da

20 Cfr: G. Allport, Treibjagt auf Sündenböcke, Bad Nauheim, 1968, p. 22 22 Cfr.: G.W.Allport, Treibjagt auf Sündenböcke, Bad Nauheim 1968, p. 24

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modello per i bambini, il suo comportamento assume un’importanza fondamentale.

2. A livello istituzionale: La scuola ha il compito di agire in modo compensatorio. Questo significa che situazioni di partenza diverse, dovute a origini e provenienza di singoli bambini, non devono essere accentuati, ma, al contrario, attraverso provvedimenti speciale si deve cercare di mitigarli. I successi scolastici inferiori di bambini immigrati non devono essere semplicemente attribuiti a lacune linguistiche. Proprio questi problemi legati alla lingua straniera devono essere un motivo in più per motivare gli insegnanti e l’istituzione scuola stessa ad assistere maggiormente a questi bambini.

Dato che la pedagogia interculturale non comprende solo l’attività con i bambini immigrati, è importante soffermarsi sugli aspetti della xenofobia. La comprensione di meccanismi e sfondi per comportamenti xenofobi è la base fondamentale per progettare ed applicare provvedimenti pedagogico-didattiche. La condanna morale di comportamenti aggressivi da parte di adolescenti nei confronti di minoranze non è ovviamente sufficiente. La realizzazione di progetti pedagogici nell’ambito scolastico ed extrascolastico viene spesso resa difficile da atteggiamenti contrari di singoli gruppi di coetanei. Visto che per gli adolescenti il gruppo di coetanei e la loro accettazione è di estrema importanza, ci si sofferma sugli aspetti psicologici di questi atteggiamenti. Si vuole ancora una volta sottolineare che i destinatari della pedagogia interculturale non sono solamente i bambini immigrati, ma tutti i bambini che ne hanno bisogno. Nelle scuole e nell’attività con adolescenti si deve includere nel lavoro pedagogico anche i bambini e gli adolescenti che presentano atteggiamenti xenofobi. Di regola, questi atteggiamenti non sono semplici imitazioni del comportamento di adulti, ma hanno le loro radici in una profonda insicurezza personale e in difficoltà nella ricerca d’identità. Provvedimenti

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di tipo cognitivo non sono quindi sufficienti, è importante studiare gli aspetti psicologici dato che le radici del problema si trovano nell’ambito emozionale ed affettivo.

Il concetto del capro espiatorio è molto utile per

comprendere la dinamica che si può sviluppare in situazioni del genere. L’uso originario del termine capro espiatorio risale alla storia religiosa ebraica.Il meccanismo è praticamente sempre lo stesso: i gruppi sociali che vedono minacciata la propria posizione, cercano un gruppo esterno o un singolo emarginato su cui indirizzare in forma proiettiva le proprie aggressioni. Questo gruppo esterno, ridotto a pura figura negativa, sarà additato come colpevole della crisi che sta attraversando il gruppo dominante.

"Le energie aggressive di una persona o di un gruppo si concentrano su un altro individuo, gruppo od oggetto, anche se la violenza dell'attacco e dell'accusa è in parte o del tutto ingiustificata. Le pratiche del capro espiatorio derivano da normalissime opinioni, preferenze e pregiudizi. Soprattutto sotto la pressione di delusioni e povertà, falsamente interpretate attraverso dimostrazioni primitive, esplodono gli eccessi di tutte le cacce spietate ai capri espiatori" 22.

Se facciamo riferimento ai pregiudizi sociali trattati in questo capitolo, si possono determinare alcune delle condizioni che scatenano la caccia al capro espiatorio." La scelta della vittima è fatta in modo che essa abbia spiccate caratteristiche che la distinguano dal proprio gruppo (colore della pelle, religione, lingua, culto, caratteristiche nazionali). La vittima inoltre ha pochissime possibilità di ritorsione, essendo più debole. Un capro espiatorio è un capro da abbattere. Di regola la vittima viene attaccata e demoralizzata fin dall'inizio e molto raramente può restituire il colpo. Infine, il pregiudizio e la

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caccia alle streghe vengono favoriti dal fatto che la vittima sia portata di mano. " 23

Esistono numerose ricerche scientifiche che dimostrano come i pregiudizi funzionino da filtri. Infatti l'individuo tende a raccogliere le informazioni che confermano le sue concezioni. Le informazioni che invece se ne discostano non vengono da lui prese in considerazione o vengono trasformate in modo da corrispondere alle sue credenze. La tendenza alle percezione selettiva (e inconscia) è presente nella maggior parte degli esseri umani e quindi "normale", però il grado di selettività varia da soggetto a soggetto.

Sotto diversi punti di vista, questi risultati di ricerca sono di grande importanza per la pratica pedagogica. Per l’insegnante è molto utile conoscere i meccanismi menzionati per riuscire a trattare meglio i problemi legati all’emarginazioni di singoli bambini o di interi gruppi di bambini.

Analisi: 1. Sul piano dell’analisi si possono esaminare le cause per la

necessità di emarginare altri. Quali difficoltà e debolezze di coloro che favoriscono l’emarginazione sono la causa del loro comportamento e come si potrebbe aumentare la loro autostima in modo costruttivo?

2. Sul piano delle azione pedagogiche-didattiche Nel rapporto con i bambini colpiti da atteggiamenti di rifiuti è molto importante un comportamento di sostegno solidale. Sul piano didattico, si cerca di far comprendere i meccanismi di questi processi e di trasmettere informazioni e nozioni su possibili conseguenze

23 Cfr.: op.cit. p. 74

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3 Un modello investigativo: l’approccio biografico

3.1 Le prospettive dell’approccio biografico

La ricerca sui curricoli e sulle biografie ci dimostra quanto sia importante isolare determinati problemi nelle corrispondenti fasi della vita per comprendere a fondo le loro implicazioni nelle biografie individuali. Nella stesura di queste note si è fatto in particolare riferimento a Nando Belardi.24 Nel presente capitolo cercheremo di analizzare l’importanza dello sviluppo individuale e familiare in rapporto alle problematiche connesse al fenomeno migratorio.

3.2 Infanzia e famiglia Uno degli approcci più importanti sui disturbi della socializzazione è stato sviluppato nei anni settanta da psicoanalisti come Horst Eberhard Richter, che collegavano il punto di vista psicoanalitico con l'osservazione sociologica dei ruoli. Questo approccio teorico muove dall’assunto che attraverso il „meccanismo di proiezione“ ed il „meccanismo di transfer molti genitori deviano sui figli tensioni e conflitti inconsci, assegnando loro dei ruoli determinati. Nel primo meccanismo, la proiezione narcisistica (narcisismo = essere innamorati di se stessi) i genitori imputano al bambino caratteristiche o tendenze, che in realtà hanno 24 Cfr.: N. Belardi, Psychologie, Diesterweg 1980, p. 128 segg. N.Belardi et al. Beratung, Weinheim und Basel 1996, p.26 segg.

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origine dai loro conflitti personali. In questo caso, i genitori non "scambiano" il figlio per un altra persona come succede nel caso di „transfer“, ma addirittura per se stessi. e senza un’intenzione consapevole cercano nel figlio determinati aspetti del proprio io.

Nel caso della “proiezione” il figlio non viene scambiato con un altra persona ma con se stessi. La proiezione narcisistica funziona come una specie di lavagna luminosa, con la quale vengono proiettato I propri conflitti su un altra persona.

“Un caso di proiezione narcisistica normale e quotidiana è quella che porta i genitori a sperare che il figlio consegua gli obiettivi che essi non sono riusciti a raggiungere; il figlio diventa una continuazione positiva del loro io e attraverso il suo successo vogliono riscattare i propri fallimenti”25

Nel caso di famiglie di migrante si può molto spesso osservare che i bambini si adattano più velocemente dei genitori alla nuova situazione nel paese d’accoglienza. Questo adattamento comprende soprattutto le conoscenze linguistiche e l’accettazione degli usi e costumi del paese straniero. Nei rapporti con autorità e istituzioni, questi bambini assumono molto spesso un ruolo di mediatore tra i genitori e la nuova società, fungendo da interprete o sbrigando le pratiche con le autorità. Soprattutto per quanto riguardo società con un’organizzazione tradizionale, da cui provengono la maggior parte degli immigrati in Europa, i contatti esterni della famiglia spettano alla competenza del padre. Se i bambini hanno più successo nei rapporti con la società, e se riescono a migliorare la propria posizione sociale grazie a successi scolastici e professionali, l’autorità del padre subisce una notevole perdita. Da una parte viene soddisfatto la progettazione narcisistica del

25: Cfr.: H. E. Richter, Eltern, Kind und Neurose, rororo, Reinbek, 1970, p. 77

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padre, dall’altra parte viene messo in discussione il suo ruolo di padre di famiglia. Soprattutto nella pubertà, un periodo di passaggio per i bambini ma anche per i genitori e di ridefinizione dei propri ruoli e del rapporto reciproco, questa situazione può causare gravi conflitti ed esperienze traumatiche. Mentre è previsto di assegnare prima o poi queste “relazioni con l’esterno” ai figli maschi, alle figlie non spetta neanche in età adulta un ruolo di questo genere.

Se le figlie vogliono riuscire ad imporsi ed avere un certo successo sociale nel paese d’accoglienza, devono accettare modo di comportamento difficilmente assegnati dai propri genitori, in quanto sono in contrasto con il ruolo tradizionale previsto per la donna. Visto che i due ruoli nella società, quello del paese d’origine e quello del paese d’accoglienza, stanno in netto contrasto, le giovani donne non hanno altra via d’uscita che decidersi per uno dei due. Comunque sia la decisione, per i coinvolti comporta sempre una perdita e lutto. Particolarmente grave è se avviene una rottura con la propria famiglia. Nel lavoro pedagogico scolastico ed extrascolastica si necessitano quindi provvedimenti e programmi per questi situazioni particolare delle ragazze provenienti da famiglie di immigrati.

La proiezione può avere contenuti sia positivi che negativi. Nell’ultimo caso, la persona oggetto di proiezione funge anche da capro espiatorio per i propri fallimenti.

Richter riporta come esempio per la proiezione di fantasie positive la storia di una madre, che da giovane ha sofferto molto perché non era attraente e che vede crescere e diventare sempre più bella la figlia. La madre vive i successi della figlia come i propri. Il pericolo per lo sviluppo della figlia in questo caso deriva dal fatto che la madre vuole controllare totalmente la vita della figlia e creare una star. In questo modo

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la madre tenta di compensare la propria frustrazione impedendo l’emancipazione alla propria figlia.26 “Le differenze nella tipologia della proiezione narcistica si basano sul fatto che i genitori possono : a.) proiettare la propria immagine nel suo totale b.) proiettare l’aspetto positivo c.) proiettare l’aspetto negativo sul proprio figlio”27

Al contrario della proiezione, nel caso di transfer, viene descritto un processo nel quale si manifesta un’assegnazione di caratteristiche, originariamente riscontrate presso altre persone, ad esempio quando i genitori pensano di scoprire presso i propri figli caratteristiche che hanno visto in altre persone. Può succedere che al figlio vengono assegnati caratteristiche negative o positive che in realtà hanno poco e niente a che fare con esso.

In seguito vengono illustrate alcune costellazioni nelle quali si manifesta il meccanismo del transfer. Questo ha una grande importanza per il tema della migrazione, in quanto ad essa è spesso legato un lungo periodo di separazione dalla famiglia o una perdita definitiva di membri della famiglia. Laddove il bambino ha le funzioni di un altro partner (transfer) possono sussistere le seguenti possibilità: Il bambino come sostituto di una figura dei genitori (del genitore) Il bambino come sostituto del partner della coppia

26 Cfr.: H. E. Richter, Eltern, Kind und Neurose, rororo, Reinbek, 1970, p. 78 27 Cfr.: op.cit. p. 77

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Il bambino come sostituto di un fratello o sorella (del genitore)

Nel caso di “transfer” vengono attribuite al bambino caratteristiche positive o negative di altre persone. Di solito si tratta di persone con le quali esisteva o esiste un rapporto emozionale molto stretto, un legame affettivo, in alcuni casi anche a causa di eventi traumatici. Un caso di “transfer” normale e quotidiano avviene, quando i genitori “scoprono” nel proprio figlio somiglianze con un parente o un amico che spesso si limitano a particolari aspetti fisici e non riguardano il carattere o la psiche del bambino. Se tramite questo meccanismo le caratteristiche “trasferite” da altre persone impediscono ai genitori di percepire il figlio considerando tutti gli aspetti della la sua personalità, questo può creare serie difficoltà per lo sviluppo sociale, emozionale, psichico e, in casi gravi anche fisico, del figlio. Per lo sviluppo della personalità, o in senso freudiano dell’io i genitori fungono anche come una specie di specchio. Il bambino cerca di trovare la propria identità e l’immagine di se stesso attraverso il feedback da parte dei genitori. Se questa immagine rispecchiata però è turbata e falsificata da immagini di altre persone, nascono grave difficoltà per la crescita e lo sviluppo del bambino. Questo non avviene soltanto in casi di “transfer” di caratteristiche negative, ma anche quando vengono attribuite caratteristiche positive, perché in entrambi i casi viene impedito lo sviluppo individuale ed autonomo del bambino.

Il “transfer negativo” spesso è causato da paure inadeguate dei genitori, che temono che il figlio sviluppi un carattere simile ad una persona odiata. Spesso bastano piccole assomiglianze superficiali per far scattare una dinamica pericolosa. Tramite l’effetto della profezia che si autoavvera può succedere che inizia uno spiraglio disastroso verso il basso. Il figlio si sente costretto ad essere così come credono o temono- i genitori, mentre quest’ultimi si sentono confermati

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nella propria paura ogni qualvolta che il figlio reagisce nel modo “previsto”. I genitori che vivono in una società straniera temono spesso di perdere i propri figli in questa società che attira i giovani e questo fa paura ad adulti ed anziani. I genitori che non condividono o accettano i valori ed il modo di vivere di questa società cercano di proteggere i propri figli dai pericoli, mentre spesso i figli non vogliono essere protetti, ma partecipare a tutto quello che sembra offrire la società moderna. i conflitti tra genitori e figli che nascono da questo contrasto si focalizzano di norma su cose apparentemente marginali: Il modo di vestirsi, la capigliatura, la musica preferita ecc. Queste cose però non sono marginali perché hanno un significante peso simbolico. Sono simboli per un modo di vivere, e per i genitori sono la prova che i figli hanno scelto un modo di vivere da loro contestato. In seguito però può succedere, che tramite il meccanismo di transfer vengono attribuite al figlio anche altre caratteristiche ed atteggiamenti, ritenuti da parte dei genitori negativi e tipici per la cultura o subcultura nella quale cerca di entrare il figlio. La paura dei genitori li fa vulnerabili e ipersensibili in confronto di ogni piccolo segnale, che assomiglia a cose odiate. Tramite il meccanismo di transfer, il figlio viene sommerso da caratteristiche negative a lui attribuite e rischia di annegare e diventare proprio cosi come i genitori temevano che lui diventasse. Forme di “transfer positivo” avvengono particolarmente in casi di perdita di persone a causa di morte o separazione involuta. La separazione dalla famiglia e dagli amici non costituisce l’eccezione in casi di migrazione, anzi è una delle caratteristiche di questo fenomeno.

Semplificando, si potrebbe dire che la paura e la insicurezza sono fattori di rischio per il meccanismo di transfer negativo, mentre la tristezza e la nostalgia portano tendenzialmente a forme di transfer positivo, e cioè verso la tendenza di vedere nel proprio figlio o partner, caratteristiche di persone amate che non sono più vicine. Entrambi i casi

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assumono un aspetto particolare in situazioni di migrazione, ed entrambe le forme possono ostacolare lo sviluppo della personalità e del se del bambino, se diventano talmente importanti, che i genitori scambiano il figlio per un’altra persona.

Per diversi aspetti questi modelli sono importanti per la pedagogia interculturale:

Possono servire come base per l’analisi pedagogica della situazione di partenza. Il primo passo di ogni intervento pedagogico è un’analisi profonda della situazione di partenza. Solo in un secondo momento possono essere sviluppati e realizzati concetti d’azione che devono essere esaminati circa la loro efficacia. Se avviciniamo il modello di Richter alle condizioni particolari che la migrazione comporta per le famiglie, si delineano le seguenti tendenze:

Le famiglie soggette a migrazione sono molto spesso sottoposte a lunghi periodi di separazione. Nel caso di una migrazione dovuta a motivi di lavoro, sono soprattutto i giovani uomini a lasciare il paese d’origine. Solo in una seconda fase sono raggiunti da mogli e bambini, mentre i genitori delle giovani coppie rimangono quasi sempre nel loro paese d’origine. Di regola, la famiglia rimane incompleta.

In tutte le fasi ci sono condizioni che rendono i coinvolti particolarmente sensibili per i meccanismi di proiezione e transfer sovradescritti. Ad esempio, durante i lunghi periodi di assenza del padre, i bambini molto spesso assumono il ruolo di sostituzione del padre. Entrano molto velocemente nel mondo degli adulti e se, in un secondo momento si trasferiscono dal padre, incontrano difficoltà notevoli ad accettare il proprio ruolo di bambino. Con l’aumento della durata della separazione aumenta anche la tendenza che l’immagine che il partner o il bambino si fa della persona assente si allontani sempre di più dalla realtà e diventi un miscuglio di desideri, proiezioni e transfer. Questo non crea poche difficoltà nei casi di una

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ricongiunzione della famiglia di breve o lunga durata. Durante il periodo di separazione nascono immagini, idee e speranze che non corrispondono alla realtà e quindi comportano delusioni per entrambe le parti. Per i bambini ma anche per i genitori sono situazioni opprimenti che possono diventare insopportabili. Come coloro che sono rimasti a casa si fanno un’immagine irreale degli assenti, succede anche viceversa. La migrazione è molto spesso considerata una soluzione di passaggio e di conseguenza molti desideri e molte speranze vengono rinviati al periodo della riconciliazione prevista nel paese d’origine o nel paese d’accoglienza, a seconda dei progetti. E’ quasi inevitabile che a questo “ristagno” di desideri segua una delusione, in quanto non si realizzano tutti.

Le esperienze dei profughi di guerra e dei perseguitati per motivi politici sono spesso traumatiche. I membri della famiglia sono morti o dispersi, e un incontro futuro diventa molto improbabile. A tutte le difficoltà incontrate in un paese straniero, si aggiungono lutto, dolore e un futuro incerto. Il lavoro pedagogico con questi bambini prevede che il superamento di questi trauma abbiano l’assoluta priorità su altre esigenze, come ad esempio le prestazioni scolastiche. Il primo obiettivo è la realizzazione dei presupposti necessari per lo sviluppo fisico e psichico e la capacità e disponibilità d’apprendimento dei bambini. Solo in un secondo passo possono essere definiti e prefissati passi e obiettivi scolastici concreti.

3.3 Modelli familiari e biografie di migranti Per comprendere appieno i cambiamenti che

intervengono nei nuclei familiari che affrontano l’esperienza

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della migrazione e le pressioni a cui sono sottoposti, è utile anticipare qualche riflessione sul percorso ideale della famiglia classica.

Negli ultimi anni, l’accentuazione della divisione tra vita familiare e lavoro, il prolungarsi del periodo di formazione e un’aspettativa di vita più alta hanno provocato una ristrutturazio del ciclo di vita familiare, che ha dato origine ad un assetto pressoché sconosciuto nella società preindustriale.

La vita familiare, oggi più che mai, richiede un continuo processo di apprendimento, poiché le necessità e le problematiche che si presentano nei suoi diversi stadi esigono dei continui cambiamenti di ruolo da parte di tutti i membri della famiglia, per poter continuare ad esistere in quanto tale. Qui di seguito vediamo come si delinea la storia di una famiglia tipo nella società attuale: 1. La coppia senza figli forma una famiglia (ancora)

incompleta. 2. Il primo bambino si trova ancora in fase prescolare. 3. Fa parte della famiglia almeno un bambino in età scolare. 4. Fase adolescenziale 5. Il figlio più grande ha più di 20 anni; eventuali altri figli si

trovano in una delle fasi precedentemente descritte, perciò la famiglia può trovarsi a vivere diverse fasi contemporaneamente.

6. Riduzione della famiglia con la partenza del primo figlio da casa.

7. I genitori sono di nuovo soli 8. Terza età28

A questi cambiamenti possono aggiungersi altre esperienze transitorie o traumatiche, ad esempio un licenziamento, gravi malattie, separazioni, seconde nozze o problemi economici. Nel 28 Cfr.: N.Belardi / M. Fisch, Altenhilfe, Weinheim/Basel, Belz 1999 p.82

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caso di migrazione spesso si aggiungono o moltiplicano questi fattori con i seguenti:

� Conoscenze limitate della lingua ufficiale � Emarginazione � Difficoltà scolastiche dei figli � Difficoltà di trovare lavoro e/o casa.

Questi avvenimenti molto spesso rappresentano degli eventi critici nella vita, che provocano la necessità di avvalersi di consulenze specialistiche. Ora analizzeremo in modo necessariamente schematico alcune fasi della biografia della famiglia media, rivolgendo particolare attenzione a questi cosiddetti eventi critici:

L’asilo e l’ingresso a scuola dei bambini comportano per la famiglia un aumento dei rapporti con il mondo esterno, ma anche ulteriori problemi soprattutto per gli immigrati. Questi non dispongono delle esperienze che nel rapporto col mondo scolastico sono necessari per aiutare i figli e per poter partecipare pienamente al mondo scolastico. Se hanno figli di età diversa, le famiglie si trovano a confronto diretto, a volte anche per un periodo di due decenni, con scuola, voti, profitto, concorrenza, riunioni dei genitori, colloqui con gli insegnanti. Oggi l’organizzazione dei processi di apprendimento è diversa rispetto al paese di origine, e i ragazzi a scuola imparano cose completamente sconosciute ai genitori, che cosí progressivamente perdono sia il vantaggio cognitivo in campo scolastico e professionale, sia la loro autorevolezza nei confronti dei figli. Anche questo fattore può causare il bisogno di un intervento di aiuto dall’esterno

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Nel caso di famiglie migranti, bambini e adolescenti spesso si vedono costretti a cambiare le persone con le quali relazionano durante i primi anni di vita. Mentre i genitori emigrano nel nuovo paese, essi rimangono con i nonni o altri parenti. A volte accade invece che i bambini vengono mandati all’estero da parenti emigrati per farli crescere in un paese dove si suppone esistano possibilità lavorative maggiori e per garantire quindi al resto della famiglia rimasta in patria un reddito integrativo. Se i bambini vivono assieme ai genitori nel paese ospitante, trascorrono parte della loro giornata in un asilo o un asilo nido. In ognuna delle ipotesi considerate la loro infanzia si divide tra istituzioni e mondi linguistici differenti, tra l'idealizzazione della patria da una parte e la realtà del paese ospite dall'altra.

Moscato, identifica tre diverse modalità con cui i

bambini si confrontano con le esperienze dell’emigrazione:

• bambini che restano in patria in una famiglia incompleta; • bambini che seguono i genitori nell’emigrazione;

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• bambini nati nel paese ospite e che fanno successivamente ritorno in patria con tutta la famiglia o una parte di essa 30.

Ovviamente queste tre diverse esperienza possono

condurre a concetti di identità molto diversi fra di loro. In mezzo ai tanti movimenti pendolari della famiglia, la donna sembra essere il punto più stabile. Spesso i bambini raccontano dei tempi quando il padre "non c'era" 31.

I processi di mutamento sociale a cui abbiamo accennato prima fanno sì che non si possa continuare a parlare di una infanzia o una gioventù, poiché nel caso dei giovani si assiste oggi ad una "precocità" e al tempo stesso ad un "ritardo". I ragazzi cercano i loro modelli ormai al di fuori delle famiglie d’origine.

Molti conflitti all’interno di famiglie di migranti sono basati su contrasti nel modo di vedere e vivere la sessualità, tra genitori e figli. I figli tendono di orientarsi al gruppo dei coetanei, i genitori invece a modelli vissuti nel paese di provenienza.

Le accresciute esigenze in campo lavorativo e l'aumento della durata della formazione scolastica e professionale hanno contribuito ad allungare la fase adolescenziale, che non è più da considerarsi come una semplice fase di passaggio (da uno status all'altro), ma come una vera e propria fase della vita, più o meno lunga, ma tendenzialmente più lunga che in passato. Occupandosi di individui che hanno più di 18 o 20 anni, gli scienziati sociali parlano di fase postgiovanile o postadolescenziale, che può protrarsi fino alla fine del terzo decennio di vita.

30 Cfr.: M. T. Moscato, Il viaggio come metafora pedagogica, Brescia, Editrice La Scuola, 1994, p. 172 31 Cfr.: op.cit. pp. 174 segg. 33 Cfr.: op. cit. p. 61

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Bisogna sottolineare a questo proposito che la disoccupazione giovanile riguarda soprattutto quei soggetti che hanno concluso - o abbandonato - la sola scuola dell'obbligo o una scuola speciale e che partecipano ai programmi di preparazione o/e formazione professionale degli uffici di collocamento. Il numero dei figli di migranti che rientrano in questo gruppo è, sia in Germania sia negli Stati Uniti, al di sopra della media.

Ma anche una qualifica professionale oggi non rappresenta più una garanzia di sicurezza lavorativa a vita. Non si può prevedere quale degli attuali tipi di lavoro avrà ancora un futuro. Queste dinamiche economiche stanno portando verso un paradosso di qualifica: i "giovani e i loro genitori cercano di combattere la svalutazione delle qualifiche con sforzi ancora maggiori e tempi di qualifica più lunghi". E questo crea un circolo vizioso: l'ampliamento del sistema formativo conduce ad una dilatazione della fase giovanile e a maggiori esigenze (imprenditoriali) sul piano delle qualifiche. Tutto ciò provoca una svalutazione delle " qualifiche offerte, spingendo verso ulteriori sforzi di qualifica, che a loro volta allungano la gioventù intesa come fase di preparazione" 33.

I processi di cambiamento sociale colpiscono in

particolare modo gli adolescenti. In una realtà che fa sì che la fase giovanile assuma il carattere di una fase di vita vera e propria, i giovani cercano modelli di identità all’interno del gruppo dei loro coetanei, il cosiddetto peer-group.

Il conflitto generazionale ben noto in passato nelle societa`moderne sembra di essere diminuito nei ultimi anni. Gli anni 80 e 90 in differenza dei anni 60 e 70 non sono stati caratterizzati da forme di protesta o rivolte da parte dai giovani

36Cfr.: N. Belardi, Supervision, Paderborn 1992, p. 126 segg.

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contro il mondo degli adulti. Anzi in questi anni si poteva constatare una forte tendenza da parte dai adulti di “imitare” le forme di vita giovanili. Forse è per questo che i giovani nella fase del distacco non sentono più l’esigenza di doversi costruire mondi e valori alternativi, oltretutto perché gli stili di vita del mondo adulto non sono più assimilabili ad un unico modello. Molti genitori sanno che non possono più fungere da ideale e non lo pretendono.

Per molti immigranti questo non vale. I genitori sono cresciuti ancora in società tradizionali nelle quali i giovani devono rispettare gli adulti e cercano di raggiungere questo status privilegiato. Mentre nella società moderna sembrano privilegiati i giovani, che senza assumere molta responsabilità hanno a disposizione tutto quello che possono offrire I paesi materialmente ricchi e la società del tempo libero.

Oggi una parte degli adolescenti convive più a lungo con la propria famiglia, perché non ha ancora terminato la formazione o/e perché gli alloggi adeguati alle loro esigenze sono pochi. Solo un piccolo gruppo di adolescenti invece lascia la famiglia relativamente presto.

Molti di questi aspetti riguardano solo in parte le famiglia di migranti, in quanto questi ultimi vivono in un mondo suddiviso in più componenti. Valori tradizionali e norme provenienti dal paese d’origine ed un’unione familiare più forte comportano una maggiore conformità all’interno della famiglia. Dall’esterno però, i bambini vengono influenzati e caratterizzati dai “peer-groups“. Se per esempio bambine islamiche vengono a scuola portando un foulard, insegnanti e studenti faranno i loro commenti. In ogni caso, i figli di migranti molto tradizionalisti subiscono maggiori tensioni; possono affrontare il conflitto generazionale oppure sottomettersi.

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3.4 Anzianità e problemi interculturali

La maggior parte dei migranti rimarrà nel paese di imigrazione in quanto i bambini vivono qui, si ha un appartamento e l’assistenza sanitaria di norma è migliore che nel paese d’origine. Nell’anno 2020 in Germania per esempio vivranno ca. 1,5 milioni pensionisti con un passaporto straniero, che avranno bisogno di assistenza geriatrica e di rispettive istituzioni sociali.

In Italia, questo fenomeno sarà di attualità con un certo ritardo rispetto alla Germania. Attualmente in Italia si può constatare una fase d’immigrazione prevalentamente di uomini giovani. La seconda fase sarà caratterizzata per esperienza dal raggiungimento delle famiglie. Nella terza fase si capirà presumibilmente che la maggior parte degli immigranti non realizzerà mai il progetto originario relativo al ritorno nel paese d’origine dopo la fase di guadagno.

Quali conseguenze comportano queste riflessioni di carattere medico, psicologico e sociologico per la pedagogia interculturale relative ai migranti di una certa età e delle loro famiglie? L’aumento dei migranti, dovuto alle aspettative di vita maggiori sovramenzionate, comporta che devono essere messe a disposizione istituzioni specializzate e persone istruite nella madrelingua per l’assistenza di migranti anziani e confusi, in quanti circa due terzi di essi vivranno in istituti di assistenza ospedaliera per oltre 10 anni. Il fatto di assumere presso istituti di assistenza e di cura personale di madrelingua, è una novità per l’Italia (e la Germania). In paesi con una tradizione più lunga in termini di migrazione, viene praticato già da tanto tempo. Nella parte sud-ovest degli Stati Uniti si assume personale specializzato che parla anche spagnolo o cinese. In certe istituzioni londinesi si necessita di personale in grado di

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parlare dialetti africani o indiani. I referti psicologici sottolineano il fatto, che tanti migranti di una certa età si sentono anche poco realizzati intellettualmente e di conseguenza si identificano (e vengono identificati anche dalla società) con il modello deficitario. Contemporaneamente assistono al fatto che il coetanei italiani si identificano piuttosto con l’immagine della persona anziana attiva. Ciò significa che si riproduce la rottura culturale anche su questo livello.

Dal punto di vista sociologico emerge, che le strutture di comunicazione ed assistenza solitamente applicate nelle famiglie composte da tre generazioni non esistono. Dall’altra parte, l’assistenza pubblica non può compensare questo deficit e la conseguenza è un impoverimento sociale.

Pertanto, anche un ritorno nel paese d’origine è fuori discussione per la maggior parte dei migranti, come dimostra l’esperienza tedesca. Le ragioni sono molteplici: la casa, la base economica ed i contatti sociali non esistono più nel paese d’origine, e l’assistenza medica è molto migliore nel paese d’accoglienza. Anche i bambini rimangono in Italia, in quanto si sono integrati molto meglio che la generazione dei genitori.

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4 I luoghi della pedagogia interculturale

Il presente capitolo analizza il contributo offerto dalla pedagogia interculturale al lavoro delle istituzioni. Intendiamo trattare delle offerte nell’ambito delle strutture prescolastiche, della scuola, dell'attività socio-educativa destinata ai giovani, dell'assistenza sociale, della consulenza e dei problemi legati alla sanità.

4.1 Organizzazioni ed istituzioni pedagogiche In Italia esistono migliaia di scuole e di istituzioni

pedagogiche, la cui qualità ed efficacia dipendono largamente dalle relative modalità organizzative. Finora nella letteratura pedagogica a questo aspetto è stata dedicata scarsa attenzionePer questo motivo è giunto il momento di prendere in considerazione nella pedagogial’esame delle forme di organizzazione. Nella stessura di queste note si e` fatto in particolare riferimento a Nando Belardi.36Con organizzazione si intende una costruzione sociale con compiti definiti membri e una struttura interna, che attraverso la specializzazione dei compiti e la suddivisione del lavoro rende possibile un agire sistematico volto al conseguimento di determinate finalità. Per comprendere meglio il concetto di organizzazione è opportuno introdurre anche quello di istituzionalizzazione. Con istituzionalizzazione si intendono i modelli di azione e di rapporto correnti, in cui il comportamento umano viene classificato a seconda del tipo, normato e stabilito sul lungo

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periodo. In accordo a Mayntz 37, possiamo suddividere le organizzazioni a seconda dei loro sistemi di obiettivi : 1. Organizzazioni, in cui vengono prodotte prestazioni

misurabili, come le imprese di produzione e servizi;

2. Organizzazioni, il cui scopo consiste invece nel curare, cambiare, aiutare, accudire, o influenzare pedagogicamente la persona. Oltre agli ospedali e a molte istituzioni di pubblica utilità, anche le scuole e le istituzioni sociopedagogiche appartengono a questo tipo di organizzazione.

Qui di seguito si vuole accennare brevemente alla storia della scienza dell’organizzazione, in modo particolare alla consulenza e allo sviluppo dell’organizzazione.

Alla base dell’analisi delle organizzazioni si trovano gli studi dell’ingegnere americano Taylor, che ha introdotto nell’industria il sistema del cottimo. In seguito ha pubblicato le sue riflessioni, in accordo alle quali i processi produttivi devono essere pianificati e deve avere luogo una separazione tra pianificazione e realizzazione della produzione. Nell’ottica odierna si tratta di un modello di aumento delle prestazioni meccanicistico e molto orientato al profitto. Poco tempo dopo il sociologo tedesco Weber sviluppa il concetto di burocrazia. Caratteristica della moderna società industriale – al contrario di quanto avveniva nella vecchia società agricolo-corporativa – è una gestione burocratica che si basa sulla carta scritta (atti). A questo punto, la particolare attività professionale dei collaboratori dell’amministrazione presuppone una formazione specifica (carriera). Il lavoro nell’amministrazione avviene secondo regole stabilite (prescrizioni di servizio, percorsi di

37 Cfr.: R. Mayntz, Soziologie der Organisation, Reinbeck, Rowohlt, 1963, p. 59

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servizio), in un tessuto gerarchico, che considera solo il diritto e la legge e non la persona. In accordo a questo modello burocratico funzionano ancora oggi la maggior parte delle istituzioni nel servizio statale, nell’economia e nella scuola.

Taylor e Weber studiano entrambi processi di organizzazione più razionali e pianificati, poiché rappresentano l’emergente società industriale burocratizzata. Negli anni Venti, il sociologo Mayo scoprì, analizzando l’efficacia dell’illuminazione sul lavoro, che non l’oggettivo aumento della potenza di luce impiegata, quanto la stima e l’attenzione contenute nelle richieste poste loro avevano fatto aumentare gli sforzi dei lavoratori. Questo cosiddetto “effetto-Hawthorne” portò alla scoperta scientifica che i rapporti emozionali possono far migliorare i risultati del lavoro sia in termini qualitativi che quantitativi. Questo diede impulso al cosiddetto movimentodelle human relations, che rivolgeva i propri sforzi a sostenere gli obiettivi dell’organizzazione nell’ industria e nell’amministrazione attraverso una migliore motivazione e rapporti informali più economici, senza pensare ancora a cambiamenti organizzativi.

A questa fase fece seguito il movimento delle human ressources, che promuoveva riforme più ampie delle organizzazioni. Ora i luoghi di lavoro dovevano essere strutturati in modo tale da incrementare il potenziale umano e da andare incontro alle aspirazioni di autorealizzazione degli occupati. In seguito fu elaborata la vera propria scienza dell’organizzazione sulla base dei lavori dello psicologo Lewin. Successivamente le nozioni tratte dalla dinamica di gruppo di Lewin e dei suoi collaboratori furono trasferite anche a speciali corsi di formazione rivolti agli interessati provenienti dal settore economico e sociale (corsi di formazione sulle dinamiche di gruppo), in quella sede fu scoperto casualmente anche il feed-back, vale a dire il sistematico messaggio di

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ritorno dei modi di comportamento nei processi dei gruppi. Soprattutto nel libro di Bennis, Benne e Chin, pubblicato nel 1961 furono sistematicamente analizzate e descritte le strategie di cambiamento per le organizzazioni profit e non profit. Un pensiero guida sociologico e psicologico utile alla pedagogia è che i problemi dei sistemi non sono di natura tecnico o sociale, ma di natura “sociotecnica” 38. In questo approccio dello sviluppo delle organizzazioni si discutono diverse strategie di cambiamento, tra le quali si preferiscono per la pianificata trasformazione delle organizzazioni quelle normativo-rieducative, cioè quelle strategie di cambiamento orientate ai valori e alla formazione continua.

Il successivo evolversi dello sviluppo delle organizzazioni in Europa ebbe luogo più nell’ambito del sistema sociale e sanitario che nella scuola. Nel panorama scientifico di si è giunti a partire dagli anni Settanta a diversi approcci interessanti sulla “consulenza alle istituzioni” e “analisi sociale” che in parte si rifanno anche a progetti di modelli e ricerca sulla prassi. In accordo a questi concetti è una persona esterna che come change agent (consulente delle organizzazioni, supervisore) deve introdurre questa trasformazione.

Secondo un altro punto di vista invece le organizzazioni possono essere guidate razionalmente solo in parte, poiché presentano contraddizioni al loro interno e non hanno un obiettivo univoco. I collaboratori delle organizzazioni non possono essere comandati o manipolati a piacere. Le loro opinioni e preferenze non determinano direttamente l’azione, poiché intervengono molti altri fattori: vantaggi lavorativi, colleghi e colleghe, norme di gruppo, vincoli di ruolo, errori di

38 Cfr.: W. Bennis/ K.D. Benne/R. Chin, Änderung des Sozialverhaltens, Stuttgart, 1975, p. 62

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direzione e di costruzione dell’organizzazione stessa. Ad ogni modo le organizzazioni sono anche capaci di apprendere, formando per esempio il personale. Ciò costituisce possibilità e necessità di una riforma della scuola.

Il consulente delle organizzazioni americano Schein trasferisce alle istituzioni complesse come le organizzazioni il modello a tre livelli della dinamica di gruppo di Lewin : “sciogliere”, “cambiare” e “ricongelare”. A livello ideale, all’inizio si dovrebbe procedere ad un’analisi dell’organizzazione, che comprende tutti i dati raggiungibili di una determinata istituzione (informazioni, documenti, organigrammi, piani di servizio e di qualifiche, modelli di flusso, interviste ai collaboratori) per descriverla nel suo stato di fatto. È dai risultati di questa analisi che può evidenziarsi il bisogno di consulenza. In realtà, una richiesta di consulenza può avvenire anche senza analisi preventiva, però per ottenere dati in qualche misura oggettivi, dopo la richiesta si dovrebbe in ogni modo organizzare l’analisi dell’organizzazione.

La consulenza e lo sviluppo delle organizzazioni presuppongono entrambi il consenso e la collaborazione delle persone coinvolte nelle rispettive istituzioni. Di solito hanno perciò luogo sedute informative preventive che cercano di ovviare alle naturali riserve e alle paure degli interessati . Lo sviluppo delle organizzazioni è da intendersi come processo più complessivo e a lungo termine, poiché passa attraverso la consulenza ad una istituzione e dà corpo a proposte per il cambiamento della stessa. Va da sé che tutto ciò non può essere svolto da un’unica persona.

Ad ogni modo non esiste un concetto univoco di sviluppo delle organizzazioni, ma ci sono diversi approcci 41 Cfr.: A. Büssing, Organisationsstruktur, Tätigkeit und Individuum. Untersuchungen am Beispiel der Pflegetätigkeit, Bern, 1992, p. 19

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pragmatici. A partire dagli anni Settanta si è costituito un vero e proprio movimento per lo sviluppo delle organizzazioni. Nella letteratura specialistica si trovano le seguenti caratteristiche definitorie : trasformazione pianificata, di lungo periodo e complessiva che si riferisce più ai gruppi che agli individui. Questa trasformazione viene perseguita attraverso una serie di misure mirate, apprendimento mutuato dall’esperienza, ricerca azione con l’aiuto di specialisti (il più delle volte esterni) quali change agent e cercando di ottenere la massima partecipazione di tutti i soggetti coinvolti e dei sottosistemi di organizzazione. I concetti di consulenza delle organizzazioni e consulenza delle istituzioni vengono a volte equiparati con quello di sviluppo dell’organizzazione. Nel dibattito internazionale si è però affermato il termine sviluppo delle organizzazioni (organizational development). Rispetto agli obiettivi, assumono lo stesso rango sia quelli qualitativi (sociali e umani) che quelli quantitativi (economici). La letteratura più recente sullo sviluppo delle organizzazioni non distingue quasi più tra obiettivi a scopo di lucro e di utilità sociale. Proprio l’aumento dei soggetti privati che offrono servizi nel settore sociale conferma questo punto di vista che travalica i confini. Alla base della maggior parte delle definizioni di sviluppo delle organizzazioni ci sono i seguenti presupposti : l’organizzazione deve essere flessibile, capace di andare incontro alle necessarie riforme. La produttività massima si raggiunge, soddisfacendo nella stessa misura attraverso l’organizzazione del lavoro i bisogni istituzionali e individuali. La collaborazione si dimostra più produttiva della competizione.

Una tale trasformazione organizzativa può avvenire in forma pianificata o non pianificata. Di solito nella scuola la trasformazione organizzativa avviene sulla base di stimoli provenienti dall’esterno, per esempio attraverso una nuova legislazione, attraverso cambiamenti nelle modalità di

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finanziamento o attraverso personale più qualificato. L’autonomia scolastica introdurrà una tale trasformazione “dall’alto”. Non si sa ancora se questa trasformazione sarà pianificata e produttiva. L’autonomia scolastica ha da una parte finalità pedagogiche: autonomia, flessibilità e regionalizzazione con conseguenze positive per la vita scolastica quotidiana (orario, impiego degli insegnanti, lezione, composizione delle classi, didattica e distribuzione delle risorse), ma da questo processo possono anche derivare difficoltà e problemi, perché il passaggio da una situazione fortemente gerarchica e da una guida centralizzata a una maggiore partecipazione e autodeterminazione non sempre avviene in modo indolore. Molte riforme in ambito pedagogico hanno però anche radici economiche, che spesso non sono da valutare in modo così positivo. Infatti, se la riforma è stata pianificata soprattutto per motivi di costi, perché si sa che il sistema tradizionale è troppo inefficiente e troppo caro, ma anche perché l’amministrazione delle scuole finora è costata troppi soldi. Una tale riforma si accompagna spesso ad altre misure: nella pedagogia un’azione maggiormente rivolta a logiche di impresa si annuncia con le parole d’ordine certificazione di qualità, controlling, management sociale, supervisione, consulenza alla direzione, aumento dell’efficienza, compilazione del bilancio, sviluppo del personale e orientamento al mercato. Dal punto di vista scientifico-organizzativo si tratta pero solo di settori parziali dello sviluppo delle organizzazioni, che in un’ottica di human ressources devono influenzare positivamente il personale: qui di seguito si vogliono presentare e discutere alcuni aspetti tratti dalla scienza delle organizzazioni utili per le scuole che stanno cambiando.

Quali altri elementi centrali dello sviluppo dell’organizzazione possono essere di interesse per la riforma della scuola? Tra i molteplici approcci dello sviluppo delle

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organizzazioni per l’innovazione delle odierne istituzioni sociali è importante soprattutto l’analisi sui fenomeni “non pianificabili” delle organizzazioni. Così le istituzioni informali servono alla “riduzione della complessità”. Poiché nelle istituzioni burocratiche iperorganizzate, come per esempio le scuole tradizionali, le strutture vincolanti vengono corrette attraverso forme di comunicazione informale. D’altro canto, strutture informali e caotiche possono costituire una minaccia per la capacità di prestazioni delle istituzioni poco strutturate. Oltre al già citato approccio burocratico e alle human relations, esistono ancora molti altri criteri interpretativi che permettono di capire le organizzazioni: il punto di vista aziendale interpreta le organizzazioni come sistemi per l’adempimento di compiti, nell’ottica behaviourista le organizzazioni vengono intese come sistemi decisionali. Nella visione della teoria dei sistemi si trovano in primo piano considerazioni più complessive: Processi interni e di organizzazione globale, processi di scambio con l’ambiente, ecc. 41. Qui di seguito vogliamo analizzare più diffusamente questi approcci che sono da intendersi come reciprocamente integrati.

Il modello dei processi delle organizzazioni aiuta a comprendere meglio la storia dello sviluppo delle scuole con i loro specifici problemi di struttura. Una volta fu fondata una scuola o riunita con istituzioni esistenti. La prima direzione scolastica e le insegnanti con più anzianità di servizio davano il loro marchio di fabbrica all’istituzione, con la quale venivano messi sullo stesso piano. In questa fase pionieristica il lavoro era organizzato quasi a livello familiare. Attraverso l’ampliamento delle attività il reclutamento di nuovo personale docente si giunge necessariamente a una fase di differenziazione, caratterizzata da divisione del lavoro, gerarchizzazione e burocratizzazione. Qualche volta le scuole non riescono a sopportare molto bene l’aumento del loro

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personale. Così sembrano esistere grandezze “sfavorevoli”, ad esempio quando i collegi docenti sono numericamente troppo limitati e pertanto c’è troppo poca flessibilità.

Col concetto di “micropolitiche” si fa riferimento al fatto che in molte organizzazioni nella lotta tra i membri dell’organizzazione stessa per le scarse risorse spesso vengono usate coalizioni, tattiche, compromessi, trucchi o strategie di scambio. Questo concetto rimanda dunque piuttosto ad un tipo di comportamento informale di gruppo che ad una forma di esercizio di potere o addirittura alla politica in senso stretto 43

Relativamente nuovo è l’approccio della cultura delle organizzazioni. Ciò significa che in ogni organizzazione si sono costituiti delle norme e dei valori fondamentali che influenzano i processi interni e la realizzazione degli obiettivi. La cultura dell’organizzazione si differenzia molto da scuola a scuola, per esempio tra una scuola cittadina e una scuola di campagna, tra una scuola privata, una scuola elementare e un liceo. Ma anche all’interno di uno stesso tipo di scuola possono influenzare la cultura le peculiarità edilizie, lo stile relazionale del personale, la provenienza degli allievi e degli insegnanti, la percentuale degli alunni stranieri e le relative subculture, ma anche le qualità direttive della dirigenza. Per una riforma della scuola bisogna perciò conoscere e tenere in conto la cultura dell’organizzazione (obiettivi speciali, valori, miti e autodefinizioni). 59

43 Cfr.: O. Neuberger, Mikropolitik. Der alltägliche Aufbau und Einsatz von Macht in Organisationen, Stuttgart, 1995, p. 16

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Le scuole possono entrare in crisi a causa di fattori interni (cambi di personale e di dirigenza, alto livello di malattia, fluttuazioni, nuove generazioni di studenti, variazioni dell’influenza dei genitori) ed esterni (cambiamenti delle risorse, mancanza di personale, autonomia, trasformazione delle modalità decisionali).

L’attività insegnante è sempre collegata con la comunicazione, ma anche con l’organizzazione e la pianificazione, d’altro lato questi contenuti restano ancora marginali nella formazione. Spesso non trovano una collocazione adeguata neanche nella vita scolastica. Soprattutto i direttori e i dirigenti scolastici non sono formati per i compiti che li attendono con la nuova autonomia scolastica. Le seguenti regole e indicatori possono essere utili per la pianificata trasformazione delle scuole

- Le organizzazioni sono sistemi complessi con un proprio senso; esse tendono all’autoconservazione e all’isolamento verso l’esterno. Le organizzazioni constano soprattutto di strutture comunicative.

- Un sistema organizzativo può essere modificato e sviluppato solo a livello complessivo. Allo stesso tempo l’intervento in un settore specifico provoca cambiamenti di natura positiva e negativa negli altri sottosistemi.

- L’organizzazione fornisce, quando i suoi rappresentanti esprimono il desiderio di una riforma, spesso anche la diagnosi del disturbo. Spesso viene anche nominato il possibile responsabile e viene richiesta solamente una “ricetta” per il cambiamento. I consulenti dell’organizzazione dovrebbero allora essere scettici. Se il sistema o i suoi rappresentanti conoscono già il disturbo e il problema, perché non hanno allora predisposto da soli la risoluzione del problema?

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- Validi consulenti delle organizzazioni si comportano similmente ai supervisori. Essi evitano le ricette e l’aiuto esterno e puntano di più sul potenziale autonomo di aiuto dell’istituzione.

- Il processo e la struttura di una organizzazione si condizionano reciprocamente. Tutti i processi partono ogni volta dalla situazione precedente. I sistemi riescono nella maggior parte dei casi quindi a riferirsi solo a se stessi. Essi vedono e operano solamente così come è stato da sempre.

- La supervisione e la consulenza delle organizzazioni aiutano perché “infastidiscono”. Solo attraverso la presenza di un’istanza esterna può realizzarsi una differenza tra ciò che è stato fino ad ora e ciò che è ora. I supervisori e i consulenti delle organizzazioni riescono a causare anche senza coscienza e senza volontà “disturbi” di questo tipo, perché non conoscono le regole del sistema e perciò fanno delle gaffes. 46

- Lo sviluppo delle organizzazioni occupa già da anni un

suo posto riconosciuto nelle teorie dell’organizzazione e del management dell’economia e dell’amministrazione. Il suo successo in questi settori ha fatto sì che per un lungo tempo essa fosse completamente ignorata dalle istituzioni pedagogiche, anche perché in quella seda mancava ancora completamente l’impulso alla razionalizzazione. La carenza di informazione, riflessioni etiche e semplici pregiudizi possono aver contribuito a questo lungo disinteresse. Per lungo tempo si è ingiustamente sospettato lo sviluppo delle organizzazioni di perseguire solo un abbassamento dei costi e una razionalizzazione tecnica, confondendolo con le pratiche dei metodi di management tipiche della consulenza aziendale.

46 Cfr.: H.C. Vogel / B. Bürger / G. Nebel / H.J. Kersting, Werkbuch für Organisationsberater, Aachen, 1994, pp. 55 segg.

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Lo sviluppo delle organizzazioni prevede anche una nuova ripartizione e una riorganizzazione delle risorse disponibili nelle istituzioni esistenti. Ovviamente lo sviluppo delle organizzazioni non può offrire alcuna guarigione miracolosa. La sua riuscita non dipende solo dalle condizioni istituzionali e dalla disponibilità personale dei collaboratori, ma anche dalle abilità multiprofessionali (specifiche, di supervisione, di conoscenza delle dinamiche di gruppo e della teoria dell’organizzazione) del consulente stesso, che devono consentirgli di acquisire, senza entrare nei conflitti interni, l’accettazione delle persone coinvolte all’interno della scuola (direzione, insegnanti, studenti, genitori), ma anche all’esterno tra le autorità scolastiche.

Qui di seguito si vogliono analizzare concretamente, applicate ai singoli campi, istituzioni e temi pedagogici, le teorie e le strategie di cambiamento della scienza dell’organizzazione fino ad ora illustrate