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1 IL COLLOQUIO D'AIUTO CON L'ADOLESCENTE O IL PREADOLESCENTE IN SITUAZIONE DI DISAGIO SCOLASTICO ED ESISTENZIALE 1) DEFINIZIONE DEL PROBLEMA CHE SI VUOLE RISOLVERE Quando un adolescente in difficoltà si rivolge all'esperto per chiedere aiuto sul modo di affrontare un qualsiasi problema per lui fonte di disagio, il primo obiettivo consiste nel rendere il soggetto committente attivo di un proprio progetto di cambiamento. Inizialmente di solito l'adolescente che chiede aiuto, tende ad attribuire ogni causa “del suo star male” alla realtà esterna; ritiene che ogni situazione di difficoltà personale e/o relazionale dipenda dai comportamenti sbagliati dell’altro o da circostanze non troppo favorevoli. Tutto ciò è fuorviante; per tale ragione durante i primi colloqui si deve procedere attraverso un tentativo di sensibilizzare il paziente a riconoscere quanto - non il “mondo”- ma il suo modo di agire e pensare, risulta essere causa, seppur inintenzionale, del proprio disagio. Il colloquio d'aiuto quindi ha inizio allorchè si porta l'adolescente alla consapevolezza di essere lui stesso, in collusione con altri, “artefice” della propria sofferenza. E’ necessario far capire al cliente che l’unica e duratura strada per risolvere un problema, non sta nel “rimettere in sesto il mondo” (M.Buber, 1958), ma nel liberarsi del proprio sguardo paranoico che lo costringe ad accusare rabbiosamente gli altri, per cogliere definitivamente in un percorso di consapevolezza dei propri conflitti interni la vera origine della sofferenza. Il cambiamento è di necessità un “cominciare da se stessi” Scrive Martin Buber (1858): “Bisogna che l’uomo si renda conto che le situazioni conflittuali che l’oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.” Quindi il primo obiettivo all’interno di una relazione d’aiuto, è quello d’ identificare il problema che si intende risolvere, al fine di motivare il paziente affichè egli, senza alcuna delega, si renda artefice di un proprio cambiamento. In tal senso ritengo che vadano evitati interventi che, tramite “una ricerca archeologica del conflitto”, portano il soggetto a “giustificare il proprio comportamento”, e a rifiutare la responsabilità di essere committente attivo di un proprio cambiamento (“Ho avuto dei genitori che...quindi non..”). Ognuno, nonostante i condizionamenti passati o presenti, può in qualsiasi momento della vita decidere di cambiare. Primo compito del consulente sarà, quindi, quello di rendere il cliente consapevole e responsabile del conflitto sottostante il problema che presenta, sarà quello di fargli capire che il proprio sentirsi bene o male non dipende dagli accadimenti esterni, dalla sorte più o meno favorevole, ma dal modo in cui ha risposto a questi avvenimenti, ossia dal modo in cui li ha interpretati e vi ha reagito. Procediamo ad una descrizione dei passaggi che guidano il colloquio d'aiuto di un consulente scolastico con un allievo o un genitore in difficoltà. Prima di concordare con l'adolescente un progetto di cambiamento è necessario costruirsi una prima idea del problema che presenta, cercando di capire il livello di consapevolezza e le aspettative.

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IL COLLOQUIO D'AIUTO CON L'ADOLESCENTE O IL PREADOLESCENTE IN SITUAZIONE DI DISAGIO SCOLASTICO ED ESISTENZIALE 1) DEFINIZIONE DEL PROBLEMA CHE SI VUOLE RISOLVERE Quando un adolescente in difficoltà si rivolge all'esperto per chiedere aiuto sul modo di affrontare un qualsiasi problema per lui fonte di disagio, il primo obiettivo consiste nel rendere il soggetto committente attivo di un proprio progetto di cambiamento. Inizialmente di solito l'adolescente che chiede aiuto, tende ad attribuire ogni causa “del suo star male” alla realtà esterna; ritiene che ogni situazione di difficoltà personale e/o relazionale dipenda dai comportamenti sbagliati dell’altro o da circostanze non troppo favorevoli. Tutto ciò è fuorviante; per tale ragione durante i primi colloqui si deve procedere attraverso un tentativo di sensibilizzare il paziente a riconoscere quanto - non il “mondo”- ma il suo modo di agire e pensare, risulta essere causa, seppur inintenzionale, del proprio disagio. Il colloquio d'aiuto quindi ha inizio allorchè si porta l'adolescente alla consapevolezza di essere lui stesso, in collusione con altri, “artefice” della propria sofferenza. E’ necessario far capire al cliente che l’unica e duratura strada per risolvere un problema, non sta nel “rimettere in sesto il mondo” (M.Buber, 1958), ma nel liberarsi del proprio sguardo paranoico che lo costringe ad accusare rabbiosamente gli altri, per cogliere definitivamente in un percorso di consapevolezza dei propri conflitti interni la vera origine della sofferenza. Il cambiamento è di necessità un “cominciare da se stessi” Scrive Martin Buber (1858): “Bisogna che l’uomo si renda conto che le situazioni conflittuali che l’oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.” Quindi il primo obiettivo all’interno di una relazione d’aiuto, è quello d’ identificare il problema che si intende risolvere, al fine di motivare il paziente affichè egli, senza alcuna delega, si renda artefice di un proprio cambiamento. In tal senso ritengo che vadano evitati interventi che, tramite “una ricerca archeologica del conflitto”, portano il soggetto a “giustificare il proprio comportamento”, e a rifiutare la responsabilità di essere committente attivo di un proprio cambiamento (“Ho avuto dei genitori che...quindi non..”). Ognuno, nonostante i condizionamenti passati o presenti, può in qualsiasi momento della vita decidere di cambiare. Primo compito del consulente sarà, quindi, quello di rendere il cliente consapevole e responsabile del conflitto sottostante il problema che presenta, sarà quello di fargli capire che il proprio sentirsi bene o male non dipende dagli accadimenti esterni, dalla sorte più o meno favorevole, ma dal modo in cui ha risposto a questi avvenimenti, ossia dal modo in cui li ha interpretati e vi ha reagito. Procediamo ad una descrizione dei passaggi che guidano il colloquio d'aiuto di un consulente scolastico con un allievo o un genitore in difficoltà. Prima di concordare con l'adolescente un progetto di cambiamento è necessario costruirsi una prima idea del problema che presenta, cercando di capire il livello di consapevolezza e le aspettative.

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Non è possibile giungere ad un contratto di cambiamento fintanto il cliente ritiene che la fonte del suo disagio siano gli altri o le situazioni e non il suo modo di comportarsi. Per tale ragione è necessario innanzitutto avviare il primo colloquio chiedendo all'adolescente in difficoltà le motivazioni che l'hanno portato alla richiesta d'aiuto. “Vuole parlarmi del problema che intende affrontare con me?” " ... e che cosa di tale problema La preoccupa di più?" 1) Focalizzazione del problema Se il soggetto accenna sbrigativamente a molteplici problemi da risolvere senza soffermarsi su nessuno in particolare, si procede con la seguente domanda: " Di tutte le cose di cui ha parlato qual'è quella che le crea più disagio?" 2) Comprensione del problema Il primo momento del colloquio si concentra sulla necessità di identificare il problema, non in modo generico ma in relazione a "come" il soggetto lo "vive" e se lo "rappresenta". Dopo la fase di "focalizzazione" si procede, quindi, verso una maggiore comprensione di come il soggetto percepisce il problema a livello emotivo e somatico, e come lo descrive sul piano cognitivo; in altri termini si indagano i suoi stati d'animo connessi al problema che presenta e le modalità attraverso le quali cerca di rappresentarselo (dialogo interno). “Come si sente quando....?” “Quali sono i suoi stati d'animo?” “Che tipo di emozioni e sentimenti sperimenta quando ciò accade?” “Cosa avverte a livello fisico nel momento di disagio?” “Descriva cosa concretamente accade e come di solito reagisce” “Vuole descrivere l’ultima volta che le è capitato?” "In quali contesti si trova quando si sente ... insicuro, o ... e con chi?, e ..."cosa si dice?", ossia "ci sono pensieri od immagini particolari che accompagnano il suo problema?” (esempio di risposta: "di fronte a quella persona sento di non farcela e mi dico di essere un incapace"). 3) Il dialogo interno L’analisi dei processi cognitivi che precedono, accompagnano e seguono il comportamento problematico è indispensabile al fine di rendere consapevole il soggetto dell’incidenza dei propri pensieri sul determinarsi degli stati d’animo da cui è afflitto. “Che cosa dice a se stesso prima di sentirsi a disagio?” “Potrebbe descrivere che tipo di pensieri o immagini attraversano la sua mente quando questo accade?” "Immagini una scena che ripropone il problema che vuole affrontare e mi riferisca cosa dice a se medesimo, sia durante che dopo lo svolgimento della scena stessa". “Che cosa dice a se stesso dopo che ciò è accaduto?” “Ci sono pensieri o immagini che sopraggiungono dopo e che intensificano o diminuiscono lo stato di disagio?”

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Tale dialogo interno può essere facilitato anche dalla rappresentazione psicodrammatica dell’evento raccontato e delle dinamiche interpersonali fonte di disagio. 4) Quali soluzioni al problema? E perchè? Dal dialogo interno è possibile condurre il soggetto alla definizione di che cosa intende realmente cambiare , procedendo preliminarmente con la richiesta di specificare quali tentativi ha messo finora in atto per risolvere il problema e con quali risultati: "Come finora ha cercato di far fronte al problema e in quale modo?" “Quali sono stati gli esiti?...Cosa è stato efficace e cosa non lo è stato?” “Quali abilità sta mettendo in atto per aiutare se stesso a risolvere questo problema? “Cosa dice a se stesso per fronteggiare una situazione difficile?” “Cosa potrebbe fare di diverso in futuro? “Perchè desidera cambiare?” “Potrebbe accettare se stesso anche se non riusciamo a raggiungere lo scopo?” “Come mai questo problema per lei è così importante?” 5) L’intensità del problema Nei primi colloqui è tra l’altro necessario verificare con quale intensità, frequenza e durata il problema si manifesta. “Da quanto tempo è presente questo problema?” “Quante volte accade nell’ambito di una giornata?” “Con quale intensità e durata?” “In che modo questo problema interferisce con le sue abituali attività?” (spesso l’intensità dichiarata è sintomo d’intolleranza alla sofferenza). Compito del terapeuta è di aiutare il paziente a responsabilizzarsi rispetto al proprio problema senza dare inutili consigli ed imporre una propria visione delle cose. L'epistemologia del cambiamento non si affida a verità assolute ma a verità possibili. Esso si realizza in "contesti a razionalità debole" dove non vi é dominio di saperi oggettivi, ma il costante confronto-incontro-scontro di saperi soggettivi, che di volta in volta vengono re-interpretati dal soggetto-che-cambia. La logica del cambiamento non si basa su un dominio di saperi che denegano l'altro in quanto essere sapiente, ma sull'innesto di saperi ad altri saperi i quali vengono riconosciuti e, qualora sia possibile, valorizzati. Altrimenti ogni ipotesi di cambiamento viene legittimamente rifiutata. Ciascuno può invocare un nostro cambiamento a patto che colui che ci desidera diversi non ci espropri della nostra "sapienza" e a patto che il potere di influenzamento venga a giocarsi nella reciprocità. "Io posso imparare da te - ossia posso accettare che tu mi influenzi- soltanto se anche io posso insegnarti qualcosa - ossia posso influenzarti". Ognuno decide di cambiare per una una propria decisione, e non per deferenza ad “un padrone”, che in tutti i modi c’impone di essere diversi.

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2) LA DISSUASIONE COGNITIVA Le procedure di dissuasione cognitiva possono venire facilitate da una pratica di crescente consapevolezza di quei processi di deformazione, cancellazione, generalizzazione , che sono causa di un modo distorto d’interpretare l'esperienza che è fonte di disagio. Tale pratica di consapevolezza si può realizzare mediante un’analisi delle nostre abituali espressioni linguistiche, e consiste, attraverso opportune "domande di confrontazione", nel processo di svelamento di quei filtri inconsci che determinano la permanenza dei pensieri che distorcono la realtà e la comprensione dei nostri problemi. Evidenziare i nostri filtri inconsci attraverso le procedure di confrontazione “linguistica”, ci pone nelle condizioni di osservare come i fatti che noi poniamo alla base delle nostre convinzioni non sono prove incontestabili, ma solo "descrizioni" che sono costantemente influenzate dal nostro modo, spesso distorto, d'interpretare la realtà. Spesso tendiamo a riferire i fatti facendoli assurgere a verità. Ma ogni fatto descritto è una nostra rappresentazione del fatto. "La mappa non è il territorio". Ogni fatto è paradossalmente in una certa misura sempre falsificato, in quanto noi non vediamo ciò che esiste nella realtà ma ciò che "selezioniamo della realtà" attraverso i nostri filtri inconsci e attraverso ciò che ci attendiamo di vedere. Tale processo di falsificazione , come si accennava, avviene attraverso procedure di generalizzazione, deformazione, cancellazione, procedure che sono insite nelle nostre espressioni linguistiche (violazioni linguistiche). Le violazioni contenute nelle nostre espressioni linguitiche dovute ai nostri filtri inconsci possono quindi essere svelate con opportune domande di confrontazione allo scopo sia di diventare più consapevoli dell'autenticità o falsità delle nostre affermazioni, ossia del modo spesso distorto con cui noi descriviamo ed interpretiamo i fatti, sia di aiutarci a trovare mappe di rappresentazione della realtà più flessibili al raggiungimento dei nostri scopi, sia a rendere più funzionali le procedure di ristrutturazione cognitiva. Tanto per fare un esempio se io uso una violazione linguistica del tipo: "Nessuno mi ascolta", la domanda di confrontazione : "Non c'è proprio nessuno che ti ascolta?", mi consente da un lato di appurare come la mia tendenza a generalizzare sia un modo di distorcere la realtà e dall'altro di affrancarmi da quell'atteggiamento vittimistico che m'impedisce di cambiare. E' pertanto con le procedure di confrontazione delle nostre abituali violazioni linguistiche che noi possiamo diventare consapevoli dell'incompiutezza delle nostre affermazioni, di quegli errori di ragionamento, di quelle disfunzioni logiche , di quelle inferenze e riduttive esposizioni dei fatti, che sono di ostacolo alle procedure di ristrutturazione cognitiva e di cambiamento. Il cambiamento è sempre connesso alla possibilità di ampliare la mappa con la quale interpretiamo il mondo che viviamo per trovare soluzioni ulteriori e più funzionali ai nostri problemi. Procediamo ora ad una descrizione delle abituali violazioni linguistiche che tendono a fornirci una rappresentazione limitata e rigida della realtà che affrontiamo, e delle domande di confrontazione utili per destituire tali violazioni. Possiamo raggruppare le nostre abituali violazioni linguistiche in procedure di generalizzazione, deformazione e cancellazione .

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Le generalizzazioni sono espressioni linguistiche che deformano la realtà in modo univoco, raggruppando le esperienze in categorie, come se non esistessero sfumature e differenze fra soggetti, oggetti e contesti. Le più comuni procedure di generalizzazione sono: 1) I quantificatori universali: sono asserzioni assolutizzanti, del tipo "mai", "sempre", "nessuno", "tutti”, utilizzate per giudicare in modo improprio eventi e persone. Esempi: " Tutte le donne sono calcolatrici" " Nessuno mi dà ascolto" " Arriva sempre in ritardo" Le domande di confrontazione che hanno lo scopo di evidenziare la non veridicità delle precedenti asserzioni sono : " Tutte le donne sono delle calcolatrici?" " Non ho mai incontrato qualcuna che non lo fosse?" " Nessuno mi dà ascolto?... proprio nessuno...oppure qualche volta..." " Non è proprio mai successo che qualche volta sia arrivato puntuale" 2) Gli operatori modali di necessità o di possibilità: sono espressioni linguistiche che indicano uno stato di obbligo, necessità, urgenza ("devo", "occorre", "c'è bisogno", "non posso"), quando nella realtà non si giustifica alcun stato di obbligo, necessità, urgenza. Esempi: " Devo tenere conto dei sentimenti altrui" " Lui non può mancarmi di rispetto" " Io devo fare sempre bella figura" " Io non posso fare diversamento da come ho fatto" Tali affermazioni comportano reazioni d'intransigenza, rabbia o depressione. Le domande di confrontazione sono: " Chi mi obbliga a fare sempre bella figura?...Che cosa accadrebbe di grave se ciò si verificasse?" " Non posso fare diversamente rispetto al passato...ma chi o che cosa mi impediche di agire diversamente?" Tra le generalizzazioni abbiamo anche gli operatori modali di volontà; con questi il soggetto esprime in modo debole la volontà di fare qualcosa Esempio: " Vorrei fare un bel viaggio ma ho troppo da fare" La domanda di confrontazione mette in evidenza l'incongruenza del "vorrei": " Una parte di me vuole, un'altra nò...allora il viaggio lo voglio fare o non lo voglio fare?" Tutti gli operatori di modalità sopradescritti sono una limitazione delle nostre possibilità di scelta. Le cancellazioni sono modalità di esprimerci attraverso le quali prestiamo attenzione ad alcune dimensioni della nostra esperienza, escludendone altre. Le più comuni procedure di cancellazione sono: 1) Le cancellazioni semplici Esempi: " Non so che cosa fare" " Non ne posso più"

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" Non credo di farcela" " Sono confuso" Le domande di confrontazione sono: " Non so che cosa fare a proposito di che cosa e di chi?" " Non ne posso più...Che cosa me lo fa dire?" " Non credo di farcela...A fare che cosa?" " Sono confuso...ma che cosa mi confonde?" 2) La mancanza di comparativo Esempi: " E' il migliore" " Questo lavoro è la cosa peggiore che esiste" Le domande di confrontazione sono: " Migliore rispetto chi...e rispetto che cosa?" " Peggiore rispetto quale altro lavoro o altra attività?" 3) Falsi avverbi Esempi: " Chiaramente" " Ovviamente" Le domande di confrontazione sono: " E' chiaro per chi?" " E' ovvio per chi?" 4) Mancanza di indice referenziale Esempi: " Si dice che le cose non possono andare avanti così?" " Di quelli non ci si può fidare" Le domande di confrontazione sono: " Si dice...ma chi lo dice?" " Di chi specificatamente non ci si può fidare?" 5) Verbi non specificati Esempi: " Lui mi ha ferito" " Lei non mi apprezza" Le domande di confrontazione sono: " Come mi ha ferito?...offendendomi? picchiandomi?..." " Lei non mi apprezza...in che modo specificatamente?...come fa a non apprezzarmi?" 6) Nominalizzazioni: sono espressioni linguistiche che sostantivizzano un processo, ponendo la persona al di fuori del controllo di ciò che dichiara Esempi: " Dobbiamo migliorare la comunicazione" " Ho bisogno di comprensione...sono depresso" Le domande di confrontazione sono: " Che cosa vuole dire per me migliorare la comunicazione? In che modo e con chi?"

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" Come sono depresso?... e in che modo e da chi voglio comprensione? Le deformazioni sono modalità di espressione che collegano in modo arbitrario eventi e situazioni, misconoscendo il fatto che in contesti diversi tali modalità di espressione non sono plausibili o veritiere. Le procedure più comuni di deformazione sono: 1) Causa-effetto: si presuppone in modo rigido che un evento A sia causa esclusiva di B Esempi: " Quando lui urla mi rende nervoso" " Dal momento che hai mentito una volta non potrai mai più essere sincero" " Se mi lascio andare farò una brutta figura" Le domande di confrontazione sono: " Si è sempre verificato che quando uno urla mi innervosisce?... è sempre vero che un fatto A causa B?" "Non è l'altro che causa la mia rabbia, sono io che mi arrabbio quando l'altro urla" "Quali prove ho per affermare che quella persona mentirà sempre?...o che se mi lascierò andare farò una brutta figura?" 2) Equivalenze complesse: si presuppone in modo rigido che una affermazione X significhi Y Esempi: " Se ti arrabbi vuole dire che non mi vuoi bene o che mi vuoi nascondere qualcosa" " Dici così ma in passato affermavi cose diverse. Quindi vuole dire che stai mentendo..." Con tali frasi il soggetto crede di avere, tramite il reiterarsi di alcuni fatti, la certezza della verità. Ciò è un inganno. Ogni evento osservato esige un'osservazione del soggetto che osserva. Ogni fatto implica una credenza. Le domande di confrontazione sono: " Come faccio a sapere che X significa Y?... è mai capitato che X significasse qualcosa di diverso da Y?...è accaduto che mi sia arrabbiato non perchè ero distaccato affettivamente o perchè ero insincero, ma perchè mi sentivo umiliato?" " Come faccio a sapere che la mia affermazione è vera?...che cosa mi fa pensare che?...il fatto che in passato diceva cose diverse non significa che stia mentendo. Ha semplicemente cambiato il suo modo di pensare" 3) Lettura del pensiero: il soggetto si arroga il diritto di conoscere i pensieri, i desideri, le intenzioni dell'altro; Esempi: " Tu sei così perchè non hai superato la rivalità edipica con..." " So che cosa stai per dirmi" " Sei nervoso perchè hai fame" Le domande di confrontazione sono: " Come faccio a saperlo? " Da che cosa lo so?" La lettura del pensiero è un potente mezzo per svalutare l'altro ed indurre forme di profezia autoavverantesi. Esempio:

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" Anche questa volta ti sei arrabbiato perchè ti ho fatto osservare che sei impulsivo. Ho quindi ragione io quando dico che non ti sai controllare. 4) Presupposti Esempi: "Se lui sapesse quanto sto male non si comporterebbe così" " Tu che mi conosci bene..." Le domande di confrontazione sono: " Come faccio a sapere che lui sta male e che si comporterebbe così?" " Quali prove ho per arrivare a questa conclusione?" 5) Performativo mancante Esempi: " E' sbagliato essere disordinato" " E'disdicevole parlare ad alta voce" Le domande di confrontazione sono: " Per chi è sbagliato...o disdicevole?" " Chi lo dice?" " Come faccio a sapere che è sbagliato...o disdicevole?" Le procedure di generalizzazione, cancellazione, deformazione usate in modo eccessivo per asserire qualcosa ci conducono verso false verità, logiche ed argomentazioni fittizie (es."Lo dicono tutti", "Le donne sono masochiste", " Se lo dice la televisione è vero", "Sono brutta perchè mi vedo brutta"). Pertanto non possiamo affrontare un adeguato lavoro di dissuasione cognitiva senza una riflessione sulle violazioni insite nelle nostre espressioni linguistiche. 3) LA NEGOZIAZIONE DEL CAMBIAMENTO METTERE IN PRATICA IL CAMBIAMENTO è l'obiettivo fondamentale che si deve raggiungere allorchè in base ad un problema correttamente definito si negozia la possibilità di individuare comportamenti nuovi e funzionali alla sua risoluzione: "Che cosa vuole cambiare di se stesso?" "Decida un cambiamento personale che vuole intraprendere” Al soggetto viene chiesto di specificare in termini di convinzioni, emozioni, comportamenti che cosa vuole cambiare di se stesso in relazione agli obiettivi che vuole raggiungere. Tale richiesta consente al soggetto di ampliare la comprensione del problema stesso, dal momento che ogni ipotesi di cambiamento deve collegarsi a fatti concreti e reali. “Può riferirmi in quali situazioni e in che modo vorrebbe comportarsi diversamente?" Identificare che cosa realmente si desidera cambiare non è sempre facile. Un genitore potrebbe chiedere di non volere più inveire con il figlio che ritiene "viziato ed immaturo", ma in realtà la sua rabbia è soltanto la conseguenza del suo sentirsi in colpa nei confronti del figlio stesso dal momento che di fatto continua a percepirlo ancora bisognoso delle sue cure.

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Esempio: T."Il tuo problema non sta nel non arrabbiarti più con tuo figlio, ma dal momento che ha già una certa età, nel far sì che egli provveda a se stesso in modo autonomo, senza che sia più tu ad occupartene". In altri casi il cambiamento richiesto risulta impossibile a realizzarsi, in quanto è illusorio (es."Vorrei essere simpatico a tutti" o " Vorrei capire cosa gli altri pensano di me"), o vago ed incerto, dal momento che dal paziente viene espresso con un ipotetico "desidererei" (es."desidererei affrontare la situazione..., forse tra una settimana...”) che di fatto lo disimpegna da una decisione ferma ed inequivocabile di volere nel “qui ed ora” un proprio cambiamento. ESPRIMERE IL CAMBIAMENTO IN TERMINI AFFERMATIVI Se per cambiare occorre uscire da certi schemi comportamentali per abbracciare in modo flessibile nuove possibilità di azione, per il raggiungimento di tale fine non basta indurre l'altro a "cercarsi spontaneamente dentro se stesso", ma occorre orientarlo verso nuove rappresentazioni della realtà, affinchè attraverso queste, possa direzionare uno sguardo “concreto” ed intenzionale verso il futuro. Non vi é cambiamento senza la speranza del futuro di “trovarsi e ritrovarsi”. Il futuro ci attesta la nostra incompiutezza e ci proietta verso nuovi modi di pensare e di essere. Per tale ragione un obiettivo di cambiamento va sempre enunciato in termini affermativi. Non serve dire: "Non debbo più fumare"o "Non debbo più bere alcolici", serve invece dire "Voglio amare il mio corpo". Non serve dire "Non voglio più subire gli altri", mentre è opportuno decidere di "essere più assertivo, anche se talvolta mi potrà succedere di subire ancora". Sovente il dichiarare :"Non debbo più fare quella determinata cosa" risponde ad una ingiunzione genitoriale che nulla a che fare con una reale scelta di cambiamento. La scelta autentica è un sì per qualcosa, è una profonda decisione del soggetto di vivere, di essere sano, di rispettarsi e di amarsi. Dal momento che è difficile "visualizzare" il non fare qualcosa, occorre invitare il soggetto a riformulare l'espressione da negativa in positiva: "Ciò che non vuole, lo trasformi in una richiesta di ciò che vuole, volta a realizzare il medesimo obiettivo". Anzichè affermare:"Non voglio più arrabbiarmi", potrebbe dire "Voglio imparare ad entrare in intimità con gli altri senza dovermi arrabbiare" (spesso la rabbia è una difesa dalla paura di un coinvolgimento affettivo troppo intenso), oppure anzichè affermare "Non debbo più sentirmi insicuro", potrebbe dire "In presenza degli altri voglio gestire i miei stati d'animo". IL CAMBIAMENTO RICHIESTO DEV’ESSERE CONCRETO, OSSERVABILE, REALIZZABILE Occorre che il cambiamento desiderato sia espresso in modo chiaro e sia visibile a chiunque venga dichiarato. P."Vorrei essere una persona libera" T."Cosa significa per lei essere una persona libera e in che modo pensa di realizzarsi in tale direzione?" P."Mi piacerebbe essere caldo ed affettuoso" T."Che comportamenti ha una persona calda ed affettuosa?"

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T." Descriva l'obiettivo del suo cambiamento in modo dettagliato, così anche gli altri potranno vedere che lei agisce diversamente." Quando il cambiamento non è CONCRETO, OSSERVABILE , REALIZZABILE, vuol dire che il soggetto vuole rimanere all'interno della sua gabbia narcisistica, vuole continuare a soffrire piuttosto che rinunciare alle sue illusioni e all'idea di dovere affrancarsi dagli aspetti grandiosi ed onnipotenti di se stesso. "Quando scoprirò tutto di me...”, “quando avrò una persona che mi comprenderà in ogni momento...”, “quando avrò un lavoro stabile...”, “quando sarò ricco...”, “quando il mio partner mi amerà, allora sarò FELICE ". Chi affida la propria felicità a cambiamenti illusori, nella convinzione magica che ogni problema si risolverà cambiando pagina, sta di fatto alimentando la propria sofferenza. La felicità non risiede in un unico aspetto della realtà su cui depositare la nostra grandiosità infantile, poiché “essa è nel "luogo dove ci troviamo" (M. Buber, 1944), ossia risiede nella nostra capacità di interpretare gli eventi in modo diverso. Un primo momento della terapia consiste nel GUARIRE DAI DESIDERI IMPOSSIBILI, cercando di desiderare solo ciò che riusciamo a rendere realizzabile. Sono i nostri DESIDERI IMPOSSIBILI che ci rendono intolleranti verso gli altri o noi stessi, che ci rendono incapaci di accettare i nostri limiti, che ci rendono inquieti ed arroganti; finchè perdiamo la calma di fronte ai nostri errori o alla mancata risposta dell’altro, vuol dire che siamo ancora in una situazione dove nulla può cambiare, vuole dire che non abbiamo lasciato alle spalle la nostra superbia. Prima di cambiare ciò che non ci piace, dobbiamo imparare ad accettarci, anche con quelle parti di noi che vorremmo rifiutare. Finchè una persona è intollerante verso la propria vergogna, non potrà mai superare la vergogna della vergogna; soltanto l'accettazione della propria vergogna potrà fargli dimenticare l'antico sentimento d'inferiorità all'origine del suo vergognarsi. Si cambia allorchè si smette di lottare contro se stessi e paraddossalmente ci si accetta per quello che si è. L'accettazione di sè, tuttavia, non significa rassegnazione, disimpegno, rinuncia ... e neppure consenso; bensì significa che di fronte alla sofferenza, all'ingiustizia, all'errore, non mi lascio sedurre da comportamenti di intolleranza, per potere “serenamente” SCEGLIERE E DECIDERE, non in modo reattivo, ma deliberato, nuove strategie e soluzioni. Sembrerà incongruente, ma ogni volta che decido di sottrarre i fatti alla loro drammmaticità, sto di fatto “superando il problema” e sto prendendo decisioni significative ed utili per il mio futuro. NEGOZIARE UN CAMBIAMENTO COSTRUTTIVO Occorre verificare che il cambiamento desiderato non sia dannoso nè per se stessi nè per gli altri. P."Voglio non sentirmi più in colpa quando tradisco mia moglie" P."Voglio imparare ad esprimere con mio figlio nel modo più libero possibile la mia rabbia" P."Voglio trovare il coraggio di suicidarmi" P."Anche se ho il diabete non voglio più ossessionarmi con la dieta" (richieta di suicidio mascherato). Il soggetto che formula tali frasi non chiede di cambiare, ma semplicemente di essere autorizzato da qualcuno a fare qualcosa che non dovrebbe fare. Vi sono persone che si lamentano di tutto, ma non definiscono mai una direzione di cambiamento. A loro va chiesto di concentrarsi sulle loro possibilità e virtualità, interrompendo la spirale di un autocompiacersi distruttivo:

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P."Non c'è nulla che mi soddisfi" T."Può per un attimo abbandonare la sua tristezza e chiedersi cosa vuole realizzare di positivo nella sua vita?". P."Gli altri mi fanno sentire inferiore". T."Nessuno può farci sentire inferiore se non lo vogliamo cosa intende per essere inferiore agli altri...e quali comportamenti può intraprendere per riuscire a farsi rispettare?" LA RESPONSABILITA' DEL PROPRIO CAMBIAMENTO L'unico vero cambiamento è quello che risponde ai propri desideri e alle proprie intenzioni. Se il cambiamento è voluto solo per compiacere a qualcuno, ciò significa che il soggetto è rimasto esattamente quello che era. Il cambiamento della propria vita è un ri-cominciare da se stessi, una radicale ristrutturazione del proprio modo di “sentire, pensare ed agire”. Se a cambiare fossero solo i nostri comportamenti, ma non le nostre convinzioni profonde, non potremmo parlare di un cambiamento vero e proprio, ma di un cambiamento superficiale, di un cambiamento come semplice adattamento al mondo esterno. Il cambiamento profondo esige un diverso modo di pensare e di credere, di esser-ci e di relazionarsi. Con il cambiamento profondo qualcosa di ciò che ci era abituale del nostro modo d’interpretare il mondo e noi stessi viene lasciato alle spalle (lutto per l’oggetto e lutto per il sè) per incamminarci verso qualcosa di atteso e nello stesso tempo di ignoto. Tutto ciò esige un atto di coerenza verso se stessi e non un compiacere od un opporsi agli altri. Il cambiamento profondo è un atto deliberato, intenzionale che non si attua per effetto dell'imposizione di qualcuno che ci vuole diversi, ma sul presupposto dell'accettazione e dell'offerta di alternative e possibilità trovate nell’ambito di una nuova cornice di convinzioni e valori. T."Cambia per lei, per l'altro o per far dispetto all'altro?" "Per chi cambia?" oppure " Per chi vuole il cambiamento?" Alcuni desiderano cambiare per soddisfare richieste di altri (un partner, un genitore, ecc.) o per cercare a sua volta di ottenere il loro cambiamento. P"Dovrei riuscire a finire l'Università, così mio padre smetterebbe di preoccuparsi". P"Dovrei essere più comprensivo con chi mi accusa". P"Mi sono rivolto a Lei per aiutare mio figlio a cambiare". Tali affermazioni non sono delle scelte autonome di cambiamento, ma delle richieste infantili di adattamento agli altri o di fuga dalle proprie responsabilità. Non vanno stipulati contratti di cambiamento quando questi sono richiesti o per volere l'approvazione di qualcuno o per volere cambiare un altro o , come accade a certi adolescenti, per ribellarsi a qualcuno. Nel caso che il cambiamento richiesto sia “sottilmente coartato da altri”, è bene informare il paziente che si potrà cominciare “a lavorare insieme” quando sarà lui ad avere assunto in prima persona la decisione di cambiare. OGNI CAMBIAMENTO ESIGE UN PREZZO DA PAGARE Non si può aiutare il paziente a superare il proprio stato di disagio, se gli prospettiamo soltanto gli aspetti positivi e non quelli negativi del suo percorso di cambiamento. Ogni cambiamento è rinuncia a qualcosa che non sarà più. Come si può diventare più autonomi nella indisponibilità a riunciare ai vantaggi della dipendenza?

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Essere se stessi significa conquistarsi spazi sempre più ampi di libertà, ben sapendo che ogni forma di libertà praticata impone sacrifici e restrizioni. Essere se stessi significa differenziarsi, uscire dal branco, attraverso la scelta di far corrispondere di volta in volta le nostre azioni alle nostre più profonde intenzioni. La libertà non sta nel fare tutto ciò che si desidera, ma nel ricercare principi e valori che diano un senso al nostro agire e vivere. Se la persona infelice si chiede: “Che cosa posso fare che mi piace per stare bene", la persona libera si chiede "Che cosa voglio dalla mia vita". In tal senso la conquista della libertà è un percorso faticoso che vincola il soggetto umano alla responsabilità di un agire che non sempre trova il consenso degli altri. Ogni reale cambiamento comporta un prezzo da pagare. T."Per lei quanto costerà questo cambiamento in termini di denaro, tempo, impegno, agitazione, paura o altro....e ora che ha valutato il prezzo da pagare, vuole ancora cambiare?" Nella nevrosi abbiamo vantaggi secondari ai quali occorre saper rinunciare. Se si decide di diventare una persona autonoma è bene aver chiaro le difficoltà che tale scelta comporta, al fine di evitare in un secondo momento di recriminare su ciò che si è dovuto rinunciare . Di solito i soggetti che colgono il cambiamento come uno sforzo eccessivo, diventano evasivi nelle risposte: " Proverò...spero di farcela... forse... può darsi". Tali affermazioni sono il segno evidente di una non ancora chiara intenzione di cambiare. Sono pochissime le cose che non siamo in grado di fare, e pertanto ogni espressione dubbiosa circa le proprie capacità di riuscirci o il rimandare il cambiamento al determinarsi di circostanze favorevoli e non ad preciso atto di volontà, rappresenta un modo per "sabotarsi e restare ciò che si è." "Sono una persona debole e non ho le risorse per far fronte a situazioni così difficili." "In certi momenti la paura prende il sopravvento e non riesco a decidere nulla". " Di solito ciò che faccio non conta niente per gli altri ... gli altri non ti capiscono mai". Tali affermazioni fatalistiche, espresse in modo impersonale con il “ciò” e con il “tu” anzichè con l'“io”, indicano un tentativo del soggetto di sfuggire la responsabilità del proprio stato e di ciò che gli accade. In tal caso è opportuno far presente che il soggetto è in parte vittima ed è in parte artefice della propria sofferenza, e che il superare una situazione di stallo dipende da lui e da nessun altro. Ogni persona subisce e nello stesso tempo agisce la propria nevrosi. In questa fase del colloquio è opportuno anche mettere a fuoco tutti i vantaggi connessi con la situazione di disagio, vantaggi che possono soddisfare bisogni di protezione oppure l’evitamento di responsabilità. Un soggetto obeso, ad esmpio, grazie al proprio sovrappeso, si può sentire legittimato ad evitare qualsiasi incontro con persone del sesso opposto. “Questo problema ha mai prodotto per lei speciali vantaggi?” “C’è qualcosa che evita di fare a causa di questo problema?” “Se questo problema non ci fosse, cosa cambierebbe della sua vita?” AGIRE IL CAMBIAMENTO Ogni decisone di cambiamento è un inizio. Il cambiamento ovviamente non si limita a sognare il futuro. Occorre che al momento opportuno sappiamo dare plasmata realtà ai nostri sogni, ossia sappiamo prendere decisioni che ci consentono di agire le nostre intenzioni e i nostri desideri, nonostante l'avversione degli altri. E' indispensabile pensare prima di agire, ma è altrettanto indispensabile agire dopo che si è ampiamente riflettuto, impegnandosi soprattutto ad agire con grande senso di responsabilità e fermezza.

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Il cambiamento ci vuole dubbiosi nei pensieri ma sicuri nell'azione. Finché si pensa e non si agisce é bene coltivare dubbi, ma quando al momento opportuno si prende la decisione di agire, si deve procedere senza troppe esitazioni. Ciò soprattutto poiché nel momento in cui decidiamo di cambiare troviamo una ferrea opposizione di coloro che abitualmente colludevano con i nostri giochi nevrotici. Negli studi sui sistemi familiari si è notato che spesso allorchè un partner guarisce un’altro si ammala. Questa è la ragione per cui non sempre il cambiamento deciso è accettato dalle persone (familiari, amici, colleghi) con le quali abitualmente siamo in relazione. T."Vorrei che lei mi dicesse quando metterà in pratica il cambiamento deciso, in quale contesto e con quali azioni ... e soprattutto quali difficoltà dovrà affrontare e quali persone tenteranno di boicottarla". E' difficilissimo in un rapporto di coppia cambiare da soli. O ciascun partner si prende la responsabilità di un proprio cambiamento, oppure la “coppia scoppia” e non c'è più nulla da fare. Un marito "salvatore" decide di prodigarsi meno per la moglie/vittima per imparare a prendersi più tempo per sè, ma la moglie, per nulla intenzionata ad uscire dalla propria nevrosi, diventa sempre più lamentosa ed irascibile. In tale situazione non serve "far lezioni di psicologia" sul suo atteggiamento da “bambina viziata” per convincerla a cambiare, mentre è necessario ribadire la propria scelta, anche se ciò può essere causa di un temporaneo (si spera!) allontanamento o di una definitiva chiusura del rapporto. Quando arrivati ad un certo punto ci rendiamo conto che non vogliamo più convivere con la nostra nevrosi, è bene avere chiaro in mente che stiamo rischiando di perdere l'altro che in passato (e spesso per lungo tempo) ha colluso emotivamente con noi. Ma a questo proposito ritengo che la paura di perdere l'altro non deve bloccare la nostra guarigione e che in ogni caso è meglio perdere l'altro restio ad ogni cambiamento che perdere definitivamente se stessi. In questo senso dobbiamo trovare in noi stessi un surplus di forza per non farci “riprendere” in antichi giochi psicologici. Non diventiamo complici delle lamentazioni dell'altro. Quando decidiamo di cambiare, spesso i nostri nemici sono proprio coloro che ci amano. Non inveiamo contro di loro, nè diventiamo incalzanti nel mettere in evidenza i loro limiti. Diamo a loro la più assoluta libertà di cambiare con noi o di rifiutarci. Non dimentichiamo che spesso il cambiamento ci lascia soli. "Chi rischia muore una volta, chi non rischia muore mille volte." IL CAMBIAMENTO IMPOSSIBILE Spesso nonostante i migliori propositi, sembra non ci sia proprio nulla da fare. Si vuole che qualcosa cambi, che le cose siano diverse, ma poi al momento di fare il “salto”, si resta al di qua del fossato e tutto continua come prima. Marco, da molti anni, entra ed esce da una comunità di recupero per tossicodipendenti. I genitori, dopo l’ennesimo fallimento, mi chiedono che cosa fare, dichiarando “che la loro vita è un inferno da quando è subentrato il problema della droga.”. Al primo colloquio con me, il figlio tace, mostrando un ascolto distratto. I genitori parlano di lui, ma non accennano mai ad uno sguardo tra loro. Chiedo com’è la loro vita di coppia. Mi rispondono che “la loro vita è tutta dedita a prendersi cura del figlio e che per questa ragione fra di loro non c’è più un attimo d' intimità e pace.”.

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Al mio invito "di non essere così solleciti a rispondere in termini di denaro alle richieste del figlio", la madre risponde che “teme il peggio” e “che le cose non possono cambiare”. I genitori hanno bisogno della tossicodipendenza di Marco, poiché, occupandosi incessantemente di lui, evitano di guardarsi negli occhi e leggervi la paura di una passione del tutto svanita. E’ il problema di Marco che consente ai genitori di trovarsi ancora uniti, nonostante che fra loro non aliti più nessuna forma di amore. Andrea non è certamente più un bambino, ma all’età di ventritré anni vive in casa accudito dalla mamma come fosse un bebé; colazione, pranzo e cena a sua richiesta. Se Andrea si sveglia alle undici, la madre gli fa trovare la colazione pronta. Ogni sua sbadataggine è facilmente perdonata; un incidente in auto una sera che era un po’ alticcio non causa nulla di grave, poiché il padre pochi giorni dopo, a proprie spese, ripara la macchina. Andrea “parcheggia” all’Università; un esame all’anno, tanto per non fare il militare. Gioca a lungo con il computer, perché, "non sentendosi felice, ha bisogno di distrarsi. " Il padre di tanto in tanto accenna a riprendersi il proprio ruolo di genitore, entra bruscamente in camera per distogliere il figlio dai suoi inutili diversivi e richiamarlo ai propri compiti, ma egli reagisce con violenza ed afferma perentoriamente che “essendo maggiorenne ha il diritto di fare ciò che vuole”. Dichiarazione questa fatta con una certa frequenza da figli "mammoni" che in casa o fuori casa continuano a farsi mantenere dai loro genitori con regali in denaro, camicie lavate, pranzi preparati a qualsiasi ora. Sono d’accordo con la neuropsichiatra Giuliana Ukmar, quando sostiene che l’affermazione di un figlio mantenuto “io voglio sentirmi libero e faccio ciò che voglio” è del tutto fuori luogo. Ognuno ha il diritto di fare ciò che vuole, ma a patto che sappia provvedere al proprio sostentamento senza nulla pretendere dagli altri. Altrimenti un genitore che mantiene economicamente il proprio figlio ha il diritto di orientare, fare richieste ed imporre proprie regole di convivenza sociale. Chiedo ad Andrea di "riprendersi nella propria dignità, di andare a lavorare, di non pretendere più che un padre, il quale viene ricoverato di tanto in tanto in ospedale per disturbi cardiaci, sia obbligato ad occuparsi costantemente di lui." La mia richiesta cade nel vuoto. “Perché dovrei andare a lavorare, afferma con aria d'insofferenza, tra un po’ si avvicina l’estate e voglio andare in vacanza con i miei amici.” Chiara, trent’anni, capelli lunghi e fluenti, curve perfette e sguardo fatale. Di tanto in tanto suona alla sua porta qualche spasimante. La sua vita è ricca di opportunità. Ha un partner disponibile ed affettuoso, ha una bella casa e studia all’Università con tutto comodo. Eppure è depressa; di tanto in tanto si lamenta con il compagno di una vita grigia e piatta, di una vita che vorrebbe finalmente riempita di “cose nuove e stimolanti”. Il compagno cerca di soddisfare le sue richieste, ma “non riesce ad offrirle niente di più”. Un giorno "prende il coraggio a quattro mani" e le dice di essere stanco dei suoi “capricci”. Lei inveisce: “non ti impegni abbastanza... mi fai sentire in colpa... non mi sai capire... non ha senso continuare a vedersi”. Il compagno nuovamente si ritrae impaurito in atteggiamento di silenziosa passività e tutto riprende come prima. C’è un qualcosa che accomuna i protagonisti delle storie appena raccontate: essi dichiarano di voler cambiare, ma non fanno nulla, proprio nulla, per mettere in atto un proprio cambiamento.

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Marco, Andrea e Chiara sono ben lontani dal voler pagare il prezzo di una loro possibile autonomia, e chi sta loro vicino, mostrandosi sempre disponibile e accondiscendente,è complice di tale situazione. Nessuno vuole che qualcosa cambi; ogni "despota" ha bisogno di una propria "vittima" e viceversa. Tutti sono "inconsciamente" d'accordo perchè tutto resti com'è, anche quando si può intuire che gli esiti saranno infausti e dolorosi. Ukmar riporta in un suo saggio il caso di una ragazza-madre che all’età di trentatré anni decide di non farsi più ricattare dal figlio tossicodipendente che le chiede sempre soldi per "bucarsi" La madre nasconde il denaro, ma dopo poco è costretta a cedere allorché il figlio le punta un coltello da cucina alla gola. Solo una cosa avrebbe potuto fare questa giovane madre: "cambiare la serratura e buttare il figlio fuori di casa", ma “il senso di colpa per non aver visto, per non aver capito, per essere comunque arrivata troppo tardi, non le permise di infierire sulla vittima”. La vittima morì a ventisei anni di overdose. La madre era morta dentro per il dolore molti anni prima. A volte non c’è proprio niente da fare. Talora l’unica salvezza starebbe in un NO che non si riesce mai a dire. Ogni cambiamento, come accennavamo, esige un prezzo da pagare. Chi non vuole pagare nessun prezzo è meglio che si rassegni a rimanere "nel bene e nel male nella situazione in cui si trova". Per alcuni vivere la vita con senso di maturità e libertà crea troppo disorientamento e paura, costa troppa fatica o ci vuole troppo coraggio. Ci vuole coraggio per preferire l’autonomia alla comoda dipendenza, l’autenticità alla protezione altrui; ci vuole coraggio per volere un rapporto d’intimità, per agire nella determinazione di essere vincenti nonostante i propri limiti, ci vuole coraggio per accettare la responsabilità delle proprie scelte. Il coraggio è la virtù umana più preziosa. Scriveva Gandhi: “la prima qualità del cammino spirituale dell’uomo è il coraggio.” E se offrire aiuto e guarire non fosse altro che trovare una volta per tutte il coraggio di vivere? SUGGERIMENTI DI METODO - formulare domande in maniera aperta; - formulare una domanda alla volta, in modo chiaro, esplicito, incisivo; - utilizzare un linguaggio adeguato; - nel porre le domande fare attenzione a non suggerire le risposte; - non fare domande a raffica come se fosse un interrogatorio; - ogni volta che è possibile riformulare e parafrasare; - non interrompere il paziente per chiedere chiarimenti finquando questi non ha finito il suo discorso; - non accontentarsi di risposte vaghe, ambigue, concettuali; - non fornire spiegazioni, non interpretare; - non rassicurare o minimizzare; - non criticare, evitare valutazioni di qualsiasi genere; - evitare esclamazioni di sorpresa, evitare di compiangere il paziente; - evitare di parlare di se stessi.

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4) ESERCITAZIONI E SCHEDE DI VALUTAZIONE ESERCITAZIONE SULLA RICEZIONE DEL MESSAGGIO Obiettivo: sensibilizzare i partecipanti ad una ricezione attenta e fedele dei messaggi dell'emittente. Consegna: "Dopo aver formato gruppi di tre persone, dividetevi i compiti in questo modo: A assume il ruolo di osservatore, B e C, ossia gli altri due, sono i partner in comunicazione. B e C scelgono una tematica sulla quale sono in disaccordo. B inizia a parlare sull'argomento scelto formulando una frase. C riformula il contenuto dell'asserzione. Successivamente B informa C se si è sentito compreso, oppure frainteso. L'esercitazione prosegue con l'inversione dei ruoli. L'osservatore A controlla lo svolgimento della discussione e al termine espone le proprie riflessioni in merito". ESERCITAZIONE SULL'ELABORAZIONE DEL MESSAGGIO Obiettivo: capire e comprendere i significati manifesti e latenti del messaggio ricevuto. Consegna: "Ogni partecipante si appunta su un foglio il ricordo di un episodio di incontro o di scontro particolarmente significativo a livello della propria esperienza relazionale. Riporta per iscritto le transazioni verbali e non verbali relative a quell'episodio. Seleziona le affermazione dell'interlocutore e le elabora tenendo conto delle seguenti dimensioni: - "che cosa l'altro mi voleva dire?" (contenuto) - "che cosa l'altro diceva di sé?" (autopresentazione) - "che cosa l'altro voleva ottenere?" (richiesta) - "che tipo di relazione aveva instaurato con me e come voleva modificarla?" (relazione) - "che stati d'animo esprimeva?" (espressione). Appena ognuno di voi ha risposto a questi cinque quesiti, confronti ciò che ha scritto con un eventuale compagno. Successivamente riunitevi in piccoli gruppi di quattro o cinque persone per simulare l'evento riportato per iscritto". ESERCITAZIONE SULLA RISPOSTA Obiettivo: imparare a rispondere in modo tale che l'interlocutore si senta capito e compreso o sia aiutato a risolvere un proprio problema. Consegna: "Come risponderesti usando le tecniche dell'ascolto attivo della parafrasi (1) e della verbalizzazione (2), alle seguenti frasi:

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- "Non sopporto più la passività del mio compagno. Non si prende nessuna responsabilità. Tutto è sulle mie spalle."(voce forte, sguardo accigliato) - “Che cosa l’altro ha detto?” - “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?” Parafrasi:............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?” - “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?” Verbalizzazione :............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ _ "Sono stanco di dovermi comportare sempre come vogliono i miei genitori. Non ho mai la libertà di fare ciò che mi piace." - “Che cosa l’altro ha detto?” - “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?” Parafrasi:............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?” - “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?” Verbalizzazione :............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - "Nessuno si interessa di me. Lavoro incessantemente e quando avrei bisogno di aiuto non posso contare su nessuno."

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- “Che cosa l’altro ha detto?” - “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?” Parafrasi:............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?” - “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?” Verbalizzazione :............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - “Sono stanca. Discuto in continuazione con mio marito su come educare i nostri figli. Lui dice che intervengo troppo sul suo modo di gestire la disciplina. Io penso che lui sia troppo severo” ( postura chiusa, e mimica ansiosa) - “Che cosa l’altro ha detto?” - “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?” Parafrasi:............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?” - “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?” Verbalizzazione :............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - “Sono stato licenziato. Non ho denaro, nè lavoro, nè famiglia. Cosa posso fare?”

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- “Che cosa l’altro ha detto?” - “Quali sono i contenuti essenziali del messaggio?” Parafrasi:............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ - “Quali sentimenti sono impliciti nella comunicazione non verbale?” - “Quali parole è opportuno scegliere per descrivere le emozioni del soggetto nella loro intensità?” Verbalizzazione :............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ ----------------------------------- Nota 1. La parafrasi è una forma di supporto verbale che riformula il contenuto del messaggio di chi sta parlando. Obiettivi della parafrasi: - chiarificazione cognitiva del messaggio - offre all’interlocutore la percezione di essere stato ascoltato correttamente Fasi essenziali: - “Che cosa l’altro ha detto?” - “ Quali sono i contenuti essenziali del suo messaggio?” - riformulazione Esempio: A: "Sono talmente ansiosa di piacere che ho sempre paura di dire qualcosa di sbagliato" B: "Vorresti piacere così tanto che temi di fare errori?" (parafrasi) Nota 2. La verbalizzazione è una forma di supporto verbale che riformula le emozioni contenute nel messaggio di chi sta parlando. Obiettivi della verbalizzazione: - facilitazione del processo di autoesplorazione delle proprie emozioni - miglioramento della capacità di esprimere e gestire le proprie emozioni Fasi essenziali: - “Quali parole usa per esprimere i suoi sentimenti?” - “ Quali sentimenti comunica attraverso il corpo?”

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- “ Quali parole è opportuno scegliere per comunicare l’intensità degli stati emotivi dell’altro?” - riformulazione dei contenuti emotivi Esempio: A: "Mio marito non lo sopporto più. Sta sempre zitto, è una mummia." B: "Il silenzio di tuo marito ti fa proprio arrabbiare?!" (verbalizzazione) EGOGRAMMA RELAZIONALE DI VERIFICA Rispondi nel modo più diretto e spontaneo possibile alle seguenti domande: 1) Davanti ad amici o parenti ho la sensazione di essere un cattivo genitore o professionista. Piuttosto vero Piuttosto falso 2) Non ho difficoltà di relazioni umane con adulti, bambini e con i miei figli. Piuttosto vero Piuttosto falso 3) Ero un/una buono/a figlio/a. Piuttosto vero Piuttosto falso 4) Nelle discussioni insisto con genitori e conoscenti perché capiscano la responsabilità che hanno nell’insuccesso e nei problemi dei loro figli. Piuttosto vero Piuttosto falso 5) I genitori nell’educazione dei loro figli devono dare grande importanza al successo e all’istruzione. Piuttosto vero Piuttosto falso 6) Ci tengo a dare informazioni precise a colleghi ed amici quando dialogo con loro. Piuttosto vero Piuttosto falso 7) Tendo a rassicurare gli altri perché non credo che tutti possano accettare certe verità. Piuttosto vero Piuttosto falso 8) Mi capita spesso di essere aggressivo/a. Piuttosto vero Piuttosto falso 9) E’ importante avere dei genitori calorosi.

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Piuttosto vero Piuttosto falso 10) Amo l’avventura ed affrontare vacanze anche in situazioni disagevoli. Piuttosto vero Piuttosto falso 11) Accetto in parte il chiasso e il disordine, perché sono la naturale espressione dell’essere bambini. Piuttosto vero Piuttosto falso 12) Mi sento a mio agio tra amici e conoscenti e dico ciò che penso. Piuttosto vero Piuttosto falso 13) Dichiaro spontaneamente la mia idea politica. Piuttosto vero Piuttosto falso 14) Spesso mi porto del lavoro a casa e lo svolgo nel tempo libero. Piuttosto vero Piuttosto falso 15) Non seguo quotidianamente il lavoro dei miei figli/colleghi, guardo periodicamente i risultati ottenuti e ne discuto con loro. Piuttosto vero Piuttosto falso 16) Nelle riunioni e negli incontri di lavoro intervengo il meno possibile e quando si chiede la mia opinione mi adeguo alla maggioranza. Piuttosto vero Piuttosto falso 17) Sono esigente e rigoroso/a con me e con gli altri; non considero le circostanze attenuanti perché l’indulgenza non serve. Piuttosto vero Piuttosto falso 18) Faccio di tutto per aiutare chi ha bisogno, a volte anche a mio danno. Piuttosto vero Piuttosto falso 19) Se vedo qualcuno che ha bisogno mi faccio avanti: “Posso fare qualche cosa per aiutarti?” Piuttosto vero Piuttosto falso

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20) Mi rivolgo confidenzialmente a tutti, do ospitalità a tutti gli amici, anche se talvolta mi sento imbarazzato/a quando devo salutarli. Piuttosto vero Piuttosto falso 21) Talvolta mi vendico delle offese subite. Piuttosto vero Piuttosto falso 22) Non sempre vado d’accordo con chi mi è vicino, anche se credo che bisognerebbe essere solidali. Piuttosto vero Piuttosto falso 23) Se compro un oggetto tecnologico per prima cosa leggo il libretto delle istruzioni. Piuttosto vero Piuttosto falso 24) Nel considerare le persone ho una mia scala di valori, anche se mi permetto di tanto in tanto di fidarmi dell’intuizione. Piuttosto vero Piuttosto falso 25) Se ritengo di capire cosa l’altro mi vuole dire spesso lo interrompo. Piuttosto vero Piuttosto falso 26) La cosa più antipatica di un lavoro è il dover prendere delle decisioni. Piuttosto vero Piuttosto falso 27) Sono coscienzioso/a e mi preparo con serietà. Piuttosto vero Piuttosto falso 28) Collaboro facilmente con gli altri. Piuttosto vero Piuttosto falso 29) I genitori devono interessarsi molto dei figli ed aiutarli nelle loro difficoltà. Piuttosto vero Piuttosto falso 30) Apprezzo i successi degli altri e mi complimento con loro. Piuttosto vero Piuttosto falso

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31) Sono solito fare critiche. Piuttosto vero Piuttosto falso 32) A scuola ero un allievo/a indisciplinato/a. Piuttosto vero Piuttosto falso 33) Ho paura di sbagliare e a volte non prendo decisioni. Piuttosto vero Piuttosto falso 34) Ho avuto un’infanzia libera e felice. Piuttosto vero Piuttosto falso 35) Credo di possedere un sistema efficace per sapere relazionarmi agli altri. Piuttosto vero Piuttosto falso 36) Stabilisco rapporti di fiducia con gli altri allo scopo di trovarmi meglio con loro. Piuttosto vero Piuttosto falso 37) Faccio di tutto per aiutare le persone a cui sono affezionato/a. Piuttosto vero Piuttosto falso 38) Se qualcuno mi chiede un piacere non sono capace di rifiutare, anche se mi sembra la richiesta esagerata o non sono d’accordo. Piuttosto vero Piuttosto falso 39) Mi documento e cerco di consigli di chi è esperto, in modo da valutare oggettivamente le situazioni. Piuttosto vero Piuttosto falso 40) Non mi fido degli altri e spesso, anche con i figli, ho paura che prendano il sopravvento. Piuttosto vero Piuttosto falso 41) Sono spontaneo/a con gli altri e tutto procede positivamente. Piuttosto vero Piuttosto falso 42) E’ incredibile che un genitore si disinteressi del proprio figlio.

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Piuttosto vero Piuttosto falso 43) Tendo ad enfatizzare certi complimenti per incoraggiare chi è in situazione di difficoltà. Piuttosto vero Piuttosto falso 44) Ognuno deve stare al proprio posto e svolgere il proprio ruolo, sia al lavoro che in famiglia; non credo al genitore-amico. Piuttosto vero Piuttosto falso 45) Non guardo mai la TV e leggo poco i giornali, perché sono contro il sistema di vita che propongono. Piuttosto vero Piuttosto falso 46) Esigo il rispetto assoluto di regole e tempi sia in famiglia che nel lavoro. Piuttosto vero Piuttosto falso 47) Faccio il possibile per compiacere gli altri. Piuttosto vero Piuttosto falso 48)Mi occupo di attività che siano interessanti e divertenti per i miei amici ed i miei figli. Piuttosto vero Piuttosto falso 49) Se mi chiamano quando non me lo aspetto, mi chiedo subito se ho fatto qualcosa di sbagliato. Piuttosto vero Piuttosto falso 50) Sono troppo sincero/a e a volte tale comportamento mi crea problemi. Piuttosto vero Piuttosto falso 51) Sul lavoro faccio il mio dovere, ma niente di più. Piuttosto vero Piuttosto falso 52) Le relazioni in ambito di lavoro possono diventare amichevoli solo in un secondo momento. Piuttosto vero Piuttosto falso 53) Nei rapporti con gli altri mi attengo agli obiettivi che mi sono dato.

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Piuttosto vero Piuttosto falso 54) Non ho contatto con i colleghi dopo l’orario di lavoro. Piuttosto vero Piuttosto falso 55) Non ci si può fidare delle persone disordinate e poco curate. Piuttosto vero Piuttosto falso 56) Nessuno deve opporsi alle scelte dei propri figli. Piuttosto vero Piuttosto falso 57) Bisogna attenersi alle regole di ogni istituzione o società. Piuttosto vero Piuttosto falso 58) Giustifico e spiego il motivo delle mie scelte. Piuttosto vero Piuttosto falso 59) So scendere a patti ed accettare compromessi realistici. Piuttosto vero Piuttosto falso 60) In incontri e riunioni esprimo in modo perentorio, o in modo ironico, il mio parere. Piuttosto vero Piuttosto falso 61) Ho contatti con tutti i miei colleghi indistintamente, senza alcuna preferenza. Piuttosto vero Piuttosto falso 62) Non sopporto le critiche e talora reagisco anche con eccessi di collera. Piuttosto vero Piuttosto falso 63) Da giovane ero molto bravo/a e mi impegnavo molto. Piuttosto vero Piuttosto falso 64) Un genitore responsabile deve essere severo ed esigente. Piuttosto vero Piuttosto falso 65) Mi adatto flessibilmente alle situazioni.

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Piuttosto vero Piuttosto falso 66) A chi mi chiede consigli traccio un quadro il più preciso della situazione. Piuttosto vero Piuttosto falso 67) Mi piace con figli ed amici condividere esperienze e punti di vista. Piuttosto vero Piuttosto falso 68) Ho precisi parametri per valutare le situazioni. Piuttosto vero Piuttosto falso 69) Mi piace in ogni situazione inventare soluzioni nuove. Piuttosto vero Piuttosto falso 70) Non oso dire agli altri ciò che davvero penso di loro, mentre dovrei farlo. Piuttosto vero Piuttosto falso 71) Talora mi capita di confessare che amici o figli mi fanno dannare. Piuttosto vero Piuttosto falso 72) Non mi immischio negli affari degli altri per non avere problemi. Piuttosto vero Piuttosto falso 73) Parlo male delle persone che non mi piacciono. Piuttosto vero Piuttosto falso 74) Quando i miei figli o colleghi non fanno il loro dovere prendo provvedimenti. Piuttosto vero Piuttosto falso 75) Difendo a qualunque costo i diritti di amici e colleghi, anche andando contro corrente. Piuttosto vero Piuttosto falso 76) L’importante è riversare tutto il nostro affetto sulle persone a cui vogliamo bene, senza necessariamente attenersi a quanto abbiamo previsto.

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Piuttosto vero Piuttosto falso 77) Esigo andare d’accordo con tutti, avere rispetto dei miei interlocutori ed essere rispettato. Piuttosto vero Piuttosto falso 78) Approfitto del tempo libero per studiare ed apprendere cose nuove. Piuttosto vero Piuttosto falso 79) Accetto volentieri di rallentare il ritmo di lavoro, per dare modo anche agli altri di raggiungere l’obiettivo prefissato. Piuttosto vero Piuttosto falso 80) La cosa più importante non è fare giustizia, ma risolvere problemi. Piuttosto vero Piuttosto falso 81) Ho una vita equilibrata tra famiglia, lavoro ed hobbies. Piuttosto vero Piuttosto falso 82) Tengo in adeguata considerazione il piacere oltre al dovere. Piuttosto vero Piuttosto falso 83) Con colleghi ed amici mi presento per quello che sono. Piuttosto vero Piuttosto falso 84) Nelle mie relazioni abituali mi comporto in modo libero e spontaneo. Piuttosto vero Piuttosto falso 85) Tendo ad adeguarmi al modo di lavorare dei miei colleghi. Piuttosto vero Piuttosto falso 86) Faccio di tutto perché le cose vadano bene, ma non mi aspetto nulla di eccezionale. Piuttosto vero Piuttosto falso 87) Il lavoro mi annoia. L’unico vero interesse sono le vacanze. Piuttosto vero Piuttosto falso

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88) Non voglio inutili perdite di tempo e farmi carico dei problemi degli altri. Piuttosto vero Piuttosto falso 89) Vorrei cercare di realizzare i miei progetti, ma non sono sicuro/a di farcela. Piuttosto vero Piuttosto falso 90) Vengo intimidito/a da colleghi ed amici. Piuttosto vero Piuttosto falso Riportare nella griglia di verifica solo le risposte “piuttosto vero” ai numeri corrispondenti

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GRIGLIA DI VERIFICA Accusatore

Salvatore

Normativo

Affettivo

Adulto

4 7 5 6 2 10 18 17 9 15 21 20 27 19 23 31 29 30 28 35 46 38 44 37 39 54 43 53 48 52 55 56 57 58 59 64 65 66 67 68 73 75 77 79 81 74 76 78 80 82 Libero Adattato Ribelle Iperaddatato 11 3 8 1 12 16 25 14 13 22 32 26 24 36 42 33 34 47 45 40 41 51 50 49 60 61 62 63 69 70 71 72 82 85 87 89 84 86 88 90 Ogni tre cancellature aggiungi 1 punto a Iperaddatato Ogni due commenti aggiungi 1 punto a Ribelle Varianti: - ANNOTANDO LE VICENDE RELAZIONALI DEGLI ULTIMI GIORNI DESCRIVI LE OCCASIONI IN CUI TI SEI COMPORTATO IN MODO LIBERO, ADATTATO, NORMATIVO, ADULTO, RIBELLE, OPPURE COME SAVATORE, ACCUSATORE, VITTIMA O BAMBINO IPERADDATATO . - C'E' QUALCOSA CHE VORRESTI CAMBIARE DEL TUO EGOGRAMMA RELAZIONALE - COSTRUISCI L'EGOGRAMMA DELLA PERSONA CHE VORRESTI ESSERE

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GLI STILI DEL RISPONDERE Ognuno dopo avere analizzato l'egogramma relazionale valuti il proprio abituale stile di risposta RISPOSTE VALUTATIVE:sono positive se vengono utilizzate per confrontare punti di vista personali; sono negative se implicano un giudizio di critica o di approvazione verso gli altri a partire da una posizione di superiorità dell’emittente Esempi: “Hai proprio ragione/torto” “E’ molto grave il fatto che...” Le reazioni alle risposte valutative utilizzate con un atteggiamento negativo sono di: inibizione, reticenza, colpa, ribellione o compiacenza. RISPOSTE INTERPRETATIVE: sono positive se vengono date come un “possibile e aperto itinerario di significazione alla comprensione di sè”; sono negative se spiegano in modo assolutizzante e riduttivo il comportamento altrui ed inducono ad una distorsione del pensiero. Esempi: “Ti comporti così perchè non vuoi ammettere che...” “ E’ una persona che ha un grosso problema... fin da piccola ...” Le reazioni alle risposte interpretative utilizzate con atteggiamento negativo sono di: fraintendimento, incomprensione, compiacenza, irritazione, blocco difensivo. RISPOSTE DI SOSTEGNO O CONSOLAZIONE: sono positive se segnalano calore e condivisione; sono negative se sdrammatizzano, sminuiscono il problema, accentuano la posizione d’inferiorità del ricevente. Esempi: “Pensa a chi sta peggio di te” “Sono problemi che si risolveranno” “Poverino...” “ Ce la farai benissimo” Le reazioni alle risposte di sostegno utilizzate co atteggiamento negativo sono di: dipendenza, rifiuto ostile verso il paternalismo, passività RISPOSTE INVESTIGATIVE O INQUISITORIE: sono positve se sono funzionali a processi di “confronto, chiarificazione, esplorazione”, per un amplimento della comprensione del problema; sono negative se soddisfano la curiosità dell’emittente oppure se inducono il ricevente a percepire come inutile o non essenziale quanto sta dicendo.

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Esempi: “Quando è successo?” “Che cosa ha fatto di preciso?” “Vorrei sapere se...” Le reazioni alle risposte investigative utilizzate con atteggiamento negativo sono di: ostilità per la curiosità altrui, chiusura in termini difensivi, timore di non sapersi adeguatamente spiegare. RISPOSTE DI DECISIONE O CHE PROPONGONO UNA SOLUZIONE: sono positive se orientano l’altro ad individuare alternative cognitivo/comportamentali alla soluzioni del problema e alla necessità di prendere decisioni; sono negative se spingono l’interlocutore all’azione in modo intempestivo senza che vi sia stata un’ adeguata comprensione in termini sia cognitivi che emotivi del problema. Esempi: “Al tuo posto io...” “Vai da lui e digli” Le reazioni alle risposte di decisione utilizzate con atteggiamento negativo sono di: impressione di essere messo alla porta, svalutazione della propria sofferenza, insoddisfazione, dipendenza. RISPOSTE EMPATICHE O COMPRENSIVE: sono positive se sono improntate al rispetto e all’accettazione incondizionata, e per tale ragione segnalano un’autentica partecipazione emotiva al problema dell’altro; sono negative le “risposte iperempatiche”, ossia quelle risposte che eludono l’ascolto critico e manifestano un’assenso anticipato a quanto l’altro dichiara. Esempi: “ Hai sempre ragione” “Sono completamente d’accordo con te” (interrompendolo mentre sta parlando) “Non si può mettere in discussione nessuna affermazione che fai...sei strordinario”

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