CONSULTO INTERNAZIONALE SULL’EDUCAZIONE DELLA...

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1 CONSULTO INTERNAZIONALE SULL’EDUCAZIONE DELLA PRIMA INFANZIA E I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

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CONSULTO INTERNAZIONALE SULL’EDUCAZIONE

DELLA PRIMA INFANZIA E I BISOGNI EDUCATIVI

SPECIALI

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Sommario 1. Il Consulto 2. Riassunto dei lavori • I campi d’azione • Le questioni da esaminare 1. Quali sono i principali ostacoli alla fornitura di servizi appropriati per i bambini

con dei bisogni speciali? 2. Come fare figurare all’ordine del giorno i bambini con dei bisogni speciali? 3. Qual è il ruolo delle politiche per assicurare la pertinenza della programmazione

destinata ai bambini con dei bisogni speciali? 4. Quali sono i settori che devono intervenire nell’elaborazione e la messa in atto di

una programmazione comprensiva? 5. Cosa significa l’esistenza di una cooperazione/collaborazione e di partnerships tra i

settori e tra le organizzazioni non governative (ONG) e il governo? 6. Quali sono i fattori che contribuiscono a determinare la natura dei servizi da

fornire? 7. Cosa significa lo sviluppo di una partnership tra gli specialisti/professionisti e i

genitori? 8. Qual è il ruolo della valutazione? Cosa significa la valutazione dei bisogni di un

bambino? 9. Quali principi dovrebbero venire osservati nell’elaborazione di un programma

comprensivo? 10. Chi dovrebbe venir formato? Qual è il tipo di formazione richiesto? 11. Come aiutare i bambini a vivere la transizione dal domicilio a un servizio (per

esempio, un programma per la prima infanzia) e da un servizio a un altro (per esempio, da un programma per la prima infanzia alla scuola elementare)?

12. Come fare in modo che i programmi che elaboriamo siano durevoli? 13. Quali sono le differenze (se ce ne sono) tra una buona programmazione per la

prima infanzia e una programmazione comprensiva? 3. Conclusioni e Raccomandazioni • Preambolo: filosofia e principi che hanno ispirato le raccomandazioni • Strumenti internazionali: - Convenzione relativa ai diritti del bambino - Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti

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- Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia d’educazione e di bisogni educativi speciali e quadro d’azione per i bisogni educativi speciali

- Regole per l’equiparazione delle possibilità degli handicappati • Politica generale • Cooperazione – Collaborazione – Partnership • Partnership e famiglia • Transizioni • Pianificazione e attuazione dei programmi/Fornitura di servizi • Formazione • Bambini messi negli istituti • Valutazione • Durabilità • Comunicazione e diffusione della informazione • Finanziamento/Aiuto dei donatori Allegato Lista dei partecipanti

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Il successo della scuola integratrice può dipendere dal depistaggio, valutazione e stimolazione precoce di tutti i bambini piccoli con dei bisogni educativi speciali. I programmi di salute e d’educazione destinati ai bambini con meno di sei anni dovrebbero venire sviluppati e/o riorientati in maniera tale da favorire lo sviluppo fisico, intellettuale e sociale e la preparazione alla scuola. Questi programmi hanno un interesse economico particolare per l’individuo, per la famiglia e per la società, impedendo l’aggravamento di stati invalidanti. I programmi per la prima infanzia dovrebbero conformarsi al principio dell’integrazione e combinare, in una prospettiva globale, attività prescolari e cure di salute”. Quadro d’azione di Salamanca Articolo 53

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1. IL CONSULTO La prima infanzia è un momento cruciale dello sviluppo per tutti i bambini, anche per quelli che hanno dei bisogni educativi speciali. Questa affermazione è stata formulata nella Convenzione relativa ai diritti del bambino (1989) e ripresa nella Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti (Jomtien, Tailandia, 1990). Nella Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia d’educazione e di bisogni educativi speciali e nel Quadro d’azione per i bisogni educativi speciali (Salamanca, Spagna, 1994). L’UNESCO è stata invitata a assegnare un posto prioritario all’educazione della prima infanzia nel campo dei bisogni educativi speciali. Lo studio dell’UNESCO sui bisogni educativi speciali (UNESCO Review on Special Needs Education), effettuato nel 1993-1994, ha evidenziato una carenza generale d’attenzione su tale questione e delle insufficienze nei servizi destinati ai bambini piccoli con dei bisogni educativi speciali in numerose aree del mondo. Tuttavia, un apprendimento condotto in buone condizioni a un’età precoce produce dei benefici durevoli per i bambini. Inoltre, è importante far seguire ai bambini con dei bisogni speciali i programmi ordinari d’educazione prescolare, al fine di facilitare la loro integrazione nel corso completo della loro scolarità. Alla luce di quanto precede, il programma e il bilancio preventivo dell’UNESCO per il 1996-1997 (doc. 28 C/5, par. 01111) hanno previsto l’organizzazione di un Consulto internazionale sull’educazione della prima infanzia e i bisogni educativi speciali, al fine d’esaminare le politiche, l’elaborazione dei programmi e la fornitura dei servizi. Organizzato in collaborazione con l’UNICEF, questo consulto ha avuto luogo alla sede della UNESCO (Parigi), dal 1° al 4 settembre 1997. Ventun specialisti di 15 paesi appartenenti a tutte le grandi aree del mondo hanno partecipato a questa riunione. Provenienti da organismi donatori e da agenzie delle Nazioni Unite, da organizzazioni non governative internazionali e nazionali, da università e da organizzazioni di genitori e medici (cf. allegato I: Lista dei partecipanti), questi specialisti hanno apportato la conoscenza e l’esperienza dell’educazione della prima infanzia e/o dei bisogni educativi speciali che avevano acquisito nei loro settori rispettivi, cioè la medicina, l’istruzione e i servizi sociali. La composizione di questo gruppo formato da persone provenienti da tutti i continenti ha reso possibile l’elaborazione di strategie adeguate a differenti partners e a differenti contesti geografici. Prima del consulto, i partecipanti hanno ricevuto un ordine del giorno annotato (Allegato II), un documento di lavoro contenente una esposizione sulla situazione dei

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programmi d’educazione di integrazione per la prima infanzia, una compilazione di studi di casi riuniti dalla UNESCO in vista del consulto1, e un documento che riprendeva i punti salienti degli studi di casi. Questi ultimi sono serviti come punto di riferimento al dibattito, nella misura in cui illustravano degli approcci differenti allo sviluppo dell’educazione d’integrazione della prima infanzia, e illustravano differenti strutture osservabili in dei contesti culturali ed economici diversi. Il consulto si è concentrato sull’educazione della prima infanzia e sulla maniera nella quale i servizi costituiti per i bambini piccoli possono rispondere a dei bisogni educativi speciali, mettendo l’accento sulla natura dei servizi che si dovrebbero offrire, piuttosto che sui bambini handicappati2. I partecipanti hanno dibattuto sulla questione di sapere come offrire i servizi di qualità dei quali c’è bisogno sia nei paesi industrializzati che nei paesi in via di sviluppo. Il principio-guida osservato in questa occasione è stato quello di integrazione. L’idea di integrazione si basa sul principio fondamentale che tutti i bambini devono imparare insieme (detto in altri termini, che tutti i bambini hanno il diritto di beneficiare con gli altri dei servizi offerti nella comunità). L’accento si è concentrato sul bambino piccolo (dalla nascita a sei anni), dando per scontato che bisogna intervenire a un’età precoce se si vogliono prevenire o combattere le situazioni che rischiano di ritardare o indebolire lo sviluppo dei bambini. Il compito che i partecipanti al consulto hanno dovuto svolgere consisteva nell’accordarsi sulla nozione d’integrazione e sui modi d’attuazione delle politiche e dei programmi d’integrazione che privilegiano i servizi destinati a tutti i bambini, confrontate con elaborazione di un certo numero di strategie incentrate rispettivamente sui bisogni di bambini differentemente dotati.

1 First Steps: Stories of Inclusion in Early Childhood Education, UNESCO, 1997 (Studi di casi effettuati nei seguenti Paesi: Africa del Sud, Australia, Cile, Danimarca, Stati Uniti d’America, Francia, Grecia, Guyana, India, Libano, Isola Maurizio, Portogallo, Repubblica democratica popolare del Laos). 2 Sebbene l’espressione “bisogni educativi speciali” faccia riferimento a dei bambini i cui bisogni si originano in un ventaglio di situazioni molto diversificate, il consulto si è concentrato sulla definizione utilizzata nel contesto del Quadro d’azione di Salamanca, incentrando il dibattito sui bambini i cui bisogni derivano da handicaps o da difficoltà di apprendimento. In questo contesto, è la qualità dei servizi che è opportuno affrontare, e non semplicemente i bisogni dei bambini presi individualmente. È là il messaggio che sottintende l’educazione d’integrazione.

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2. RIASSUNTO DEI LAVORI Il consulto è stato aperto da M. Colin Power, vicedirettore generale per l’educazione, il quale ha invitato i partecipanti a esaminare come utilizzare e rendere più accessibili le risorse esistenti, al fine di tradurre la teoria in politica e in pratica nel campo dell’educazione della prima infanzia e dei bisogni educativi speciali. M. Power ha sottolineato a che punto sia importante fare partecipare i genitori e la comunità all’educazione dei bambini, e ha messo in luce il legame essenziale esistente tra la comunità e la scuola. Il consulto ha eletto i seguenti partecipanti a ricoprire la carica di presidente di turno: M. Mehari Gebre – Medhin, M.me Emily Vargas-Baron, M.me Radmila Rangelov Jusovic e M. Gordon Porter. M.me Judith Evans è stata designata alla funzione di relatrice. Nelle sessioni plenarie del primo giorno, i partecipanti si sono presentati personalmente e hanno presentato le organizzazioni alle quali appartenevano, e basandosi sulla loro esperienza professionale hanno trattato dei problemi in rapporto con l’oggetto del consulto. M.me Lena Saleh, del Segretariato, ha fornito una breve comunicazione sul programma dello UNESCO in materia di bisogni educativi speciali e sulla situazione attuale nel mondo per le persone che soffrono di handicaps e di difficoltà di apprendimento. Ha ricordato i grandi eventi del decennio trascorso che hanno interessato e orientato l’evoluzione in questo campo, sia sul piano internazionale che su quello nazionale. M.me Janet Holdsworth (Regno Unito) ha presentato il documento di lavoro da lei preparato in collaborazione con l’UNESCO. Ha sottolineato che il consulto verteva essenzialmente sulla costituzione di servizi appropriati, e non sui bisogni di gruppi particolari di bambini. Ha ricordato che l’esperienza quotidiana dei bambini conta di più delle visite periodiche di specialisti e che, di conseguenza, i servizi educativi per la prima infanzia sono un fattore importante di sviluppo sociale ed educativo dei bambini che hanno dei bisogni speciali. M.me Judith Evans, del “Consultative Groupe on Early Ghildhood and Development” [Gruppo consultivo sullo sviluppo e la protezione della prima infanzia] ha messo in luce i principali insegnamenti risultanti dagli studi di casi. Questi ultimi presentano differenti modelli di integrazione, che variano per quanto concerne: la ripartizione delle responsabilità tra i differenti settori; la misura nella quale i governi, le organizzazioni non governative (ONG) e la comunità partecipano all’offerta di servizi e ne assicurano la supervisione; i modi di collaborazione; il grado di partecipazione dei genitori; la presa in considerazione della cultura locale nella messa a punto

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dell’intervento; l’organizzazione e la gestione dei programmi d’integrazione. Nell’insieme, i casi studiati permettono di trarre delle lezioni utili rispetto allo sviluppo dei programmi d’integrazione. Dopo le esposizioni iniziali, il consulto ha proseguito i suoi lavori con delle comunicazioni dei partecipanti su certi problemi, seguite da discussioni in gruppi e in seduta plenaria (cf. Allegato II: Ordine del giorno).

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I campi d’azione L’apprendimento comincia alla nascita. Questa semplice verità permette di pensare che le cure da dare ai bambini il loro sviluppo e la loro educazione dalla nascita (e persino dal concepimento) sono importanti per tutti i bambini. Questa presa di coscienza si è tradotta nella creazione di tutta una serie di programmi destinati alla prima infanzia. Alcuni di loro erano destinati in parte a dei bambini con dei bisogni speciali. Nei paesi ricchi, una volta identificati i bambini con dei bisogni speciali, si è risposto a questi bisogni con dei programmi specializzati. Durante questi ultimi anni, le modalità dell’aiuto d’apportare a questi bambini sono state ridefinite. Si è messo in risalto che tutti i bambini hanno un contributo d’apportare alla società, anche se apprendono differentemente e a dei ritmi differenti. Tutti i bambini hanno il diritto di venire compresi nei servizi ordinari. La Dichiarazione e il Quadro d’azione di Salamanca raccomandano il concetto di servizi secondo delle modalità che permettano a tutti i bambini di partecipare e di dischiudere le proprie potenzialità [“de s’épanouir”]. La maggiore avanzata nella situazione delle persone handicappate è avvenuta alla fine degli anni ’70. Sino a quel momento, i bambini con dei bisogni speciali erano separati dagli altri. Si è allora prodotto un riorientamento, e i bambini con dei bisogni speciali sono stati messi nelle stesse scuole degli altri, ma in classi separate. A partire da allora, sono stati “demarginalizzati” (ossia sono stati integrati nelle classi e nei servizi esistenti). L’integrazione comincia col bambino e si sforza d’inserire il bambino nel sistema esistente. L’innovazione più recente è consistita nel promuovere il concetto di inclusione; una politica e un processo che permettano a TUTTI i bambini di partecipare a TUTTI i programmi. Il processo d’inclusione implica una focalizzazione sul sistema che bisogna rendere accogliente a tutti. Per i bambini con dei bisogni speciali, l’inclusione implica un riorientamento dei servizi, che devono passare dalle cure all’educazione e allo sviluppo individuale. Essa si fonda su una presa di coscienza delle capacità e del potenziale che hanno tutti i bambini di svilupparsi, se l’ambiente tiene conto dei loro bisogni. Una serie di dichiarazioni internazionali hanno contribuito a precisare le idee attuali sull’inclusione, considerata come un mezzo d’occuparsi dei bambini con dei bisogni speciali. Il millenovecentottantuno [1981] era stato l’Anno internazionale delle persone handicappate. Ha segnato una svolta decisiva nella sensibilizzazione ai problemi incontrati dalle persone handicappate, ed è stata prolungata col Decennio per gli handicappati (1982-1993). Delle dichiarazioni internazionali più generali hanno

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contribuito a promuovere i diritti di tutti i bambini. Tra questi strumenti, figura la Convenzione relativa ai diritti del bambino adottata nel 1989. L’articolo 2 stipula che tutti i diritti devono venire garantiti a tutti i bambini, senza nessuna distinzione, indipendentemente particolarmente da ogni considerazione d’incapacità. L’articolo 23 proclama che i bambini mentalmente o fisicamente handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che favoriscano la loro autonomia e facilitino la loro partecipazione attiva alla vita della collettività. Dispone ugualmente che i bambini handicappati abbiano il diritto di beneficiare di cure speciali, d’avere accesso all’educazione, alla formazione, alle cure di salute, alla rieducazione, alla preparazione all’impiego e alle attività ricreative; tutti questi servizi dovrebbero venire concepiti in modo d’assicurare ai bambini “un’integrazione sociale la più completa possibile e il loro dispiegamento personale, anche in campo culturale e spirituale”. La Conferenza mondiale sull’educazione per tutti, che si è tenuta nel 1990, ha adottato il Quadro d’azione per rispondere ai bisogni educativi fondamentali. Ha riaffermato che tutti i bambini dovrebbero avere accesso all’educazione di base, come raccomandato dalla Convenzione relativa ai diritti del bambino. Il paragrafo 8 del Quadro d’azione fa appello all’ “espansione delle attività di protezione e stimolo della prima infanzia, anche agli interventi a livello familiare o comunitario, particolarmente a favore dei bambini poveri, svantaggiati e handicappati”. Nel 1993, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato le Regole per l’equiparazione delle possibilità degli handicappati. Un’altra iniziativa principale ha fatto seguire con la Dichiarazione e il Quadro d’azione di Salamanca, tendente a rispondere ai bisogni educativi speciali: accesso e qualità. Questa conferenza, tenuta in Spagna nel 1994, ha esortato tutti i governi a: • “Dare l’ordine di priorità più elevato, nelle loro politiche e nei loro bilanci

preventivi, al miglioramento dei loro sistemi educativi, affinché possano accogliere tutti i bambini, indipendentemente dalle differenze e difficoltà individuali;

• adottare, come legge o politica, il principio dell’educazione integrata, accogliendo tutti i bambini nelle scuole ordinarie, a meno che non vi si oppongano delle ragioni imprescindibili”.

Dichiarazione di Salamanca, paragrafo 3. Esiste dunque chiaramente un mandato approvato dalla comunità internazionale per creare dei programmi comprensivi, destinati ai bambini con dei bisogni speciali, e per applicare questi programmi ai bambini dalla loro nascita. Il problema sollevato dalle iniziative sopra menzionate è tradurre i principi-guida e le raccomandazioni in azione.

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Al giorno d’oggi, i sistemi educativi in tutto il mondo sono confrontati al compito consistente nel creare delle comunità educative comprensive, nel tener conto della diversità della popolazione scolare, e nel sforzarsi di rispondere ai bisogni di tutti i bambini nella stessa struttura. Il problema è sapere come fare progredire l’inclusione in materia di cure e d’educazione della prima infanzia.

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Le questioni da esaminare Durante il Consulto, un certo numero di questioni-chiave sono state affrontate. Hanno servito da base per le sessioni plenarie, per le esposizioni, per i dibattiti, per i gruppi di lavoro ristretti e, in seguito, per le conclusioni e le raccomandazioni che sono state sottoposte. Tali questioni sono: 1. Quali sono i principali ostacoli alla fornitura di servizi appropriati per i bambini con dei bisogni speciali? Nella sua esposizione iniziale, M.me Holdsworth ha rievocato certe tendenze che creano degli ostacoli e impediscono di fornire un’educazione ai bambini piccoli con dei bisogni speciali; si tratta di: • la pratica consistente nell’aspettare che i bambini “ricuperino” prima di poter

avanzare nel sistema; • l’idea falsa secondo la quale certi bambini non possono imparare; • le pressioni crescenti in numerosi paesi per trasformare gli istituti prescolari in

scuole elementari, e la pressione – connessa alla precedente – tendente a fare cominciare l’insegnamento formale a un’età più precoce;

• la predominanza del “modello dell’handicap mentale” nella definizione di ciò di cui i bambini hanno bisogno;

• la mancanza di strumenti e di tecniche di valutazione appropriati; • la mancanza di servizi destinati alla prima infanzia per la maggior parte dei bambini

in tutto il mondo; • la mancanza di risorse destinate all’elaborazione di programmi comprensivi. Siccome il Consulto non era in grado di trattare tutti questi temi, un certo numero di loro sono stati discussi e sono state formulate delle raccomandazioni in merito. 2. Come fare figurare all’ordine del giorno i bambini con dei bisogni speciali? Tale questione trova una prima risposta nella presa di coscienza del problema. Gli scambi di idee e gli studi di casi mostrano che se si vogliono elaborare dei programmi durevoli, è necessario suscitare questa presa di coscienza. Bisogna difendere la causa dei bambini con dei bisogni speciali. Il pubblico deve sapere che tutti i bambini hanno

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il diritto d’aver accesso all’aiuto per favorire una crescita e uno sviluppo sani, quale che sia il loro punto di partenza in materia di conoscenze, di competenze e di capacità. Gli argomenti in favore dell’attenzione da accordare ai bambini con dei bisogni speciali possono basarsi su varie considerazioni. Per esempio, certuni fanno appello ai lavori di [alcuni] ricercatori per difendere la tesi dei servizi comprensivi. In altri casi, sono le dichiarazioni internazionali, e l’approvazione che i governi le danno, che sembrano motivare l’elaborazione di programmi comprensivi. Gli organismi donatori internazionali giocano ugualmente un ruolo importante in collaborazione con i governi, per mettere a punto dei programmi destinati ai bambini con dei bisogni speciali. In altri casi ancora, è la posizione presa dai genitori che costringe i governi a prendere in considerazione i bisogni di tutti i bambini. La scelta dell’inclusione può risultare anche da vincoli finanziari e dall’idea che i programmi comprensivi sono meno costosi dei servizi specializzati. Sono tante le considerazioni che, prese isolatamente (o insieme), possono intervenire per giustificare l’elaborazione di programmi comprensivi e influirvi. È importante riconoscere che se la presa di coscienza nasce dalla conoscenza e dall’informazione, essa presuppone ugualmente degli atteggiamenti. Gli atteggiamenti determinano la maniera nella quale l’informazione viene percepita. In realtà gli argomenti in favore dell’educazione speciale sono spesso politici e emozionali piuttosto che razionali. La ricerca mostra il valore di una programmazione comprensiva per tutti i bambini interessati, ma è raro che vi si faccia riferimento per fare prevalere il concetto. È necessario fare appello a delle strategie differenti per convincere dei pubblici diversificati sulla importanza che tutti i bambini abbiano accesso alle risorse. 3. Qual è il ruolo delle politiche per assicurare la pertinenza della programmazione destinata ai bambini con dei bisogni speciali? I paesi dovrebbero elaborare delle loro proprie politiche dell’infanzia, della famiglia e dell’educazione in funzione della cultura e dei bisogni nazionali, pur tenendo conto delle iniziative internazionali. Le comunicazioni fatte al Consulto internazionale sull’educazione della prima infanzia e i bisogni educativi speciali (Parigi, 1997) evidenziano che le politiche attuate per rispondere ai bisogni dei bambini piccoli e delle loro famiglie variano da un paese all'altro. Per determinare se esistono delle politiche soddisfacenti, possiamo cominciare con l’esaminare i piani d’azione

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nazionali presentati dalla maggior parte dei paesi. È importante inoltre esaminare le politiche in vigore nei differenti settori. Al momento attuale, diversi ministeri s’occupano dei bambini con dei bisogni speciali. Spesso i primi anni dell’infanzia rientrano nella competenza dei ministeri incaricati dalla sanità [pubblica], dei servizi sociali o della protezione sociale. Tuttavia, siccome i bambini hanno diritto all’istruzione, il Ministero dell’educazione dovrebbe giocare un ruolo decisivo dalla nascita. Si osservano due tendenze nella elaborazione delle politiche (1). Può succedere che il movimento in favore dell’elaborazione di una politica nasca alla base; le organizzazioni di genitori esercitano spesso una pressione attiva per reclamare delle politiche e dei servizi appropriati (2). Il governo può ugualmente prendere l’iniziativa. Si menzionerò l’esempio della Uganda, dove il Presidente ha recentemente dichiarato che avrebbe concesso la gratuità dell’istruzione per quattro bambini per ogni famiglia, e che la priorità sarebbe accordata ai bambini handicappati. Dall’oggi al domani, c’è un riorientamento dei servizi forniti, e si è passati dalle classi speciali ai programmi comprensivi. (Più di 30.000 bambini con dei bisogni speciali hanno beneficiato di questi programmi nel 1997). Su scala nazionale, la politica generale comprende delle dichiarazioni di intenti. Comunque, l’esistenza di politiche non garantisce che queste verranno messe in atto. La messa in atto è una tappa distinta. Numerosi governi hanno fatto delle dichiarazioni secondo le quali i bambini con dei bisogni speciali dovrebbero beneficiare di servizi, ma non esistono dei dispositivi per dare concretezza a questi intenti. La messa in opera richiede una definizione delle strategie, delle responsabilità e delle risorse che superano quanto specificato da tali politiche. Quando si arriva allo stadio della messa in atto, le cose ci mettono tanto più tempo a concretizzarsi, quanto più sono complesse. La rapidità e l’estensione dei servizi che possono essere offerti dipendono pure dalla consistenza del finanziamento disponibile. Il livello al quale si esercita il controllo differisce secondo i governi. Per il passato, le amministrazioni erano centralizzate, ma oggi s’insiste molto sulla decentralizzazione. In questo caso, il governo nazionale fissa le direttive e un quadro d’azione; spetta allora a ciascun distretto, regione o municipalità di mettere in atto i programmi secondo le risorse e i bisogni locali. La decentralizzazione ha delle ripercussioni sulla regolamentazione, il seguito e la supervisione. 4. Quali sono i settori che devono intervenire nell’elaborazione e la messa in atto di una programmazione comprensiva?

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Lo sviluppo dei bambini è olistico. Ciò significa che la salute e l’alimentazione del bambino e il suo sviluppo cognitivo, sociale e affettivo dipendono l’uno dall’altro; non potrebbero venire separati e trattati isolatamente. Comunque, per i bambini con dei bisogni speciali, è storicamente il settore medico [quello] che ha preso l’iniziativa e che ha contribuito di più a definire quanto si doveva fare per questi bambini e a agire in loro favore; ma con il cambiamento delle mentalità e del modo di fornitura dei servizi, i settori dell’educazione e dei servizi sociali sono venuti a assumere più attivamente la loro parte di responsabilità in uno sforzo integrato di collaborazione. Ciò nondimeno, la professione medica continua a assicurare la sopravvivenza dei bambini, che resta il fattore decisivo in numerose aree del mondo. Una volta che sia assicurata la sopravvivenza del bambino, il ruolo dei professionisti della salute è di ridurre il numero dei bambini con dei bisogni speciali (cioè d’evitare che subiscano delle menomazioni). Questo compito consistente nell’evitare le menomazioni può e (dovrebbe) fare intervenire delle persone provenienti da vari settori. Tanto più l’intervento è precoce, quante più sono le possibilità d’evitare che lo sviluppo del bambino sia ritardato o compromesso. Così, una volta che sia assicurata la sopravvivenza del bambino, una gamma più ampia di settori dovrebbe concorrere alla promozione dello sviluppo olistico del bambino. Man mano che i bisogni olistici del bambino sono stati meglio compresi, una parte crescente delle responsabilità dei poteri pubblici è stata affidata ai settori dei servizi sociali e dell’istruzione, per fornire dei servizi ai bambini con dei bisogni speciali. Ciò esige un’armonizzazione delle partnerships e una collaborazione all’interno dei settori e tra i settori, affinché si risponda ai bisogni dei bambini. 5. Cosa significa l’esistenza di una cooperazione/collaborazione e di partnerships tra i settori e tra le organizzazioni non governative (ONG) e il governo? Come è stato notato, per elaborare dei programmi rispondenti ai bisogni olistici dei bambini piccoli, è importante fornire dei servizi di sostegno in materia di salute, alimentazione, protezione sociale ed educazione. Nessun ministero, organismo o agenzia (donatore, [organismo] bilaterale, Nazioni Unite o organizzazione internazionale non governativa) non potrebbe da solo occuparsi della gamma completa dei servizi da fornire. La collaborazione non è una cosa facile. Si scontra con un certo numero di fattori, tra i quali figurano:

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• la definizione attuale del ruolo degli organismi, che limita i tipi di servizi suscettibili di venire offerti;

• la filosofia dell’organismo – l’approccio medico mira alla guarigione, mentre l’educazione s’interessa al processo;

• il finanziamento – i fondi sono forniti per assicurare dei servizi, ma lo sono soltanto per il tempo necessario all’avvio dei processi di collaborazione che fanno parte della pianificazione e della fornitura dei servizi compresi;

• i resoconti da rendere – non si riconosce il valore del lavoro fornito in materia di collaborazione tra organizzazioni;

• la riduzione del finanziamento – quando più servizi si associano, si riducono i fondi anche se il ventaglio delle prestazioni si è ampliato;

• la motivazione – non ci sono incentivi finanziari o personali alla collaborazione e all’integrazione dei servizi.

Nel corso del Consulto sono stati avanzati dei suggerimenti sulla maniera di costituire delle partnerships, e sono stati menzionati esempi di diversi paesi. 6. Quali sono i fattori che contribuiscono a determinare la natura dei servizi da fornire? I fattori che influiscono sulla natura dei servizi forniti comprendono particolarmente: • la presa di coscienza nella popolazione [dei diritti] dei bambini con dei bisogni

speciali, e anche le convinzioni e gli atteggiamenti relativamente al sostegno di cui dovrebbero beneficiare questi bambini;

• la maniera nella quale il governo definisce il suo ruolo nella prestazione dei servizi; • la misura nella quale ci sono degli specialisti disponibili; • le risorse disponibili che sono state destinate al sostegno di programmi speciali; • l’ampiezza dei dispositivi già operanti per il lavoro con dei bambini che hanno dei

bisogni speciali; • le tradizioni del paese, che determinano la misura in cui i bambini con dei bisogni

speciali fanno parte della comunità. Per esempio, nei paesi ricchi esistono numerosi specialisti che sono stati tutti formati per occuparsi di uno degli aspetti dello sviluppo del bambino. Le risorse che permettono a certi paesi di progredire sempre più nella via della specializzazione possono essere dannose per l’inclusione; tanto più ci sono delle specializzazioni,

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quanto più le “terapie” applicate al bambino sono dissociate. Questo modello di prestazione (la terapia dissociata) è stato adottato in diversi contesti. Al giorno d’oggi, questo approccio individuale sta cambiando, in gran parte perché ci si è resi conto che il modello consistente nel fornire dei servizi isolati ha un carattere limitativi ed è molto costoso. Quando i bambini beneficiano di servizi in strutture separate, i professionisti hanno una funzione ben definita; forniscono il servizio. Con la tendenza al recupero dall’emarginazione [“la démarginalisation”] e all’inclusione, il ruolo del professionista si è evoluto verso una partnership con i genitori (o altri dispensatori di cure) e/o con gli insegnanti responsabili delle attività del bambino. 7. Cosa significa lo sviluppo di una partnership tra gli specialisti/professionisti e i genitori? È stato affermato durante il Consulto che sono innanzi tutto le famiglie che decidono a nome del bambino. In certi paesi, esistono dei professionisti formati per diagnosticare lo stato del bambino e fornire dei servizi specializzati. Questi professionisti sono disponibili per collaborare con i genitori all’elaborazione dei programmi comprensivi. La questione sollevata nel corso del Consulto era: come lavorano insieme i professionisti e i genitori per determinare ciò che serve di più all'interesse del bambino? Gli studi di casa esaminati prima che fosse tenuto il Consulto rivelano che, in pratica, non esiste uniformità di vedute sulla maniera in cui i genitori dovrebbero partecipare ai programmi destinati ai bambini con dei bisogni speciali. Negli studi di casi, il grado di partnership tra i professionisti e i genitori si presentava come “un continuum”. A una estremità del continuum, si trovava l’atteggiamento secondo il quale è al professionista che spetta il compito di pronunciarsi sui bisogni del bambino e di fornire i servizi voluti; i genitori non partecipano al processo. La tappa successiva del continuum è quella dove si considera che i genitori sono importanti, perché vigilano che i servizi vengano effettivamente forniti. Viene insegnato ai genitori quello che bisogna fare; ai professionisti spetta definire ciò che deve essere fatto. Progredendo in questo continuum, si trova la situazione nella quale i genitori sono coinvolti nella discussione sulla sorte del bambino. Nella tappa seguente, i genitori diventano le persone a cui spetta decidere [“les décideurs”] e determinano i servizi dei quali il bambino beneficia. Infine l’ultima tappa: in gran parte dei paesi in via di sviluppo dove vengono attualmente creati dei programmi su base comunitaria,

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incombe quasi per intero ai genitori (e alla comunità) il compito di costituire e fornire i servizi. Durante il Consulto è stata espressa l’idea che è necessario stabilire delle partnerships tra i professionisti e i genitori, quale che sia l’ampiezza e la competenza professionale disponibile nella comunità e/o nel paese. I problemi specifici sollevati dalle partnerships e che sono stati discussi nel corso del Consulto, erano in relazione con i seguenti punti: • I rapporti che i genitori e i professionisti hanno col bambino Per i genitori, questo bambino rappresenta una realtà quotidiana e un impegno per tutta la vita. Il traumatismo che rappresenta un bambino con dei bisogni speciali non finisce mai per la famiglia. Le preoccupazioni familiari superano il quadro della prestazione di un dato servizio. I professionisti, da parte loro, lavorano seguendo un insieme di regole e metodi. Hanno a che fare con uno dei tanti bambini che beneficiano di un certo servizio. La/Il professionista vuole semplicemente adempiere al proprio lavoro. Anche il ritmo è molto differente per i genitori e per i professionisti, così come sono molto differenti i livelli d’impegno per rispondere ai bisogni del bambino. • Non perdere mai di vista ciò che serve di più all’interesse del bambino Talvolta ci può essere una lotta accanita tra il genitore e il professionista, perché hanno delle percezioni differenti su quello che va bene per il bambino. Quando ci sono dei disaccordi, questi possono provocare dei ritardi e/o degli interventi inopportuni, tutti potenzialmente dannosi per lo sviluppo del bambino. • La posizione presa dallo Stato per la prestazione di servizi Quando i poteri pubblici hanno adottato una posizione a nome del bambino, il professionista è tenuto a conformarsi alle direttive ufficiali. I professionisti possono pure avere l’obbligo legale di fare un rapporto quando lo stato del bambino non è sufficiente. Se è vero che i professionisti devono rispondere dei loro atti, non hanno il diritto d’utilizzare la legge per intimidire i genitori. • L’equilibrio dei poteri tra i genitori e i professionisti I professionisti hanno un potere perché hanno delle conoscenze e delle competenze per rispondere ai bisogni del bambino. Hanno ugualmente un potere perché la loro posizione all’interno del sistema li abilita a accordare (o a rifiutare) dei servizi. Tuttavia, sono i genitori che hanno l’ultima parola per decidere a nome del bambino. Per esercitare questo ruolo hanno bisogno di conoscenze e di fiducia in se stessi.

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• La natura dell’informazione e della formazione fornite alle famiglie È stato sottolineato che, per prendere delle decisioni appropriate, la famiglia ha bisogno d’informazioni esatte e intelligibili. Inoltre, i genitori possono aver bisogno di una formazione per sapere come porre le domande giuste e come diventare dei validi interlocutori [“des négociateurs”] nei loro colloqui con i numerosi professionisti che incontrano. L’informazione e la formazione contribuiscono a riequilibrare i poteri a vantaggio dei genitori rispetto ai professionisti. • Le categorie socioeconomiche dalle quali provengono i professionisti e i genitori Talvolta i professionisti sono di un livello socioculturale (o di un gruppo etnico) differente da quello dei genitori. Può succedere allora che i due gruppi abbiano delle concezioni fondamentalmente differenti della vita, e delle opinioni e degli atteggiamenti differenti sull’educazione dei bambini. Tanto più si farà appello a dei professionisti provenienti dalla stessa cultura della famiglia, quanto più ci sarà dell’armonia tra le loro concezioni e quelle dei genitori, e più grande sarà la possibilità di trovare un “terreno d’intesa”. • La maniera in cui i professionisti concepiscono il loro ruolo Certi professionisti pensano di avere delle risposte a tutto. Diagnosticano la situazione e sanno quello che si dovrebbe fare. Se i genitori devono veramente essere dei partners per la presa di decisioni relative al benessere del bambino, bisogna allora che il professionista sia un mediatore, in modo da facilitare e permettere un dialogo costruttivo tra tutti gli interessati. • Riconoscimento della specificità del ruolo dei professionisti e del ruolo dei genitori Un approccio fondato sulla collaborazione e il mutuo sostegno non significa che il ruolo e il sapere dei genitori e quello dei professionisti dovrebbero confondersi. Una dialettica tra i genitori e i professionisti è necessaria per realizzare dei progressi. • Dove e come i servizi sono forniti La partecipazione di numerosi settori alla prestazione dei servizi (medici, educativi, sociali) può comportare che i genitori debbano cooperare con molteplici amministrazioni. Questa situazione è spesso sconcertante, e succede che i genitori ricevono dei messaggi apparentemente contraddittori. Al Consulto internazionale sull’educazione della prima infanzia e i bisogni educativi speciali, sono stati forniti

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degli esempi di sistemi di prestazione di servizi integrati, nei quali le famiglie hanno nella comunità un “contatto” unico, che le informa dei servizi appropriati. • • La natura dei servizi Degli specialisti possono intervenire nella vita del bambino per una durata molto limitata. Numerosi professionisti riconoscono che la prestazione di un servizio al ritmo di una volta alla settimana non è efficace. È quindi necessario sviluppare altri servizi che facciano parte integrante della vita del bambino. Nel caso in esame, i programmi destinati alla prima infanzia offrono un quadro che permette di rispondere a molti bisogni del bambino durante gran parte della giornata. Riassumendo, la partnership può definirsi come: - la costruzione d’una relazione; - l’elaborazione di un’alleanza, dove ciascun partner è libero d’agire e di decidere; - un sostegno reciproco; - un processo di condivisione di conoscenze ed esperienze; - un valore aggiunto quando viene associata a un piano o a un progetto (ossia, una

partnership in vista di un obbiettivo, per agire in favore del bambino); - una visione comune di ciò che il bambino può diventare; - un processo diluito nel tempo – non si tratta di una discussione o di una decisione

puntuale; - un passo verso l’indipendenza e non un fine in sé. 8. Qual è il ruolo della valutazione? Cosa significa la valutazione dei bisogni di un bambino? La valutazione è stata l’oggetto di diverse esposizioni e ha costituito il tema centrale delle discussioni nel gruppo di lavoro. Innanzi tutto, questo gruppo ha giudicato necessario fare una distinzione tra “valutazione” e “selezione”. Valutazione è il termine più appropriato quando bisognerebbe valutare tutti i bambini a un certo stadio, al fine di determinare i loro bisogni individuali. La selezione, invece, serve a suddividere i bambini secondo un dato criterio. La selezione può avere il risultato di rifiutare l’accesso a dei bambini che non soddisfano le condizioni volute, quale che sia la maniera in cui i bambini vengono definiti nella situazione considerata. La selezione può avere ugualmente altre conseguenze:

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• La selezione è un mezzo per catalogare i bambini e classificarli in categorie. Ciò aumenta l’offerta di servizi frammentati e incoraggia una superspecializzazione. È così che l’ergoterapia s’interessa allo sviluppo motorio specifico, mentre invece lo sviluppo motorio generale compete alla fisioterapia, ecc…;

• Le selezione fraziona lo sviluppo dei bambini in elementi apparentemente senza rapporto gli uni con gli altri, che vengono poi utilizzati come il contenuto della “rieducazione” e come la base per l’organizzazione delle attività del bambino;

• La selezione rischia d’indurre in errore le famiglie e altri. Se la selezione insiste su ciò che il bambino non può fare, i genitori e altri dispensatori di cure terranno conto di questi deficits per definire il bambino, invece di percepirlo in una prospettiva olistica che si sforzi di determinare i punti forti del bambino e anche le sfide che dovrà raccogliere.

La valutazione è complessa, ma è importante per l’elaborazione di programmi comprensivi. È necessaria per aiutare i genitori e i dispensatori di cure a prevedere le attività appropriate e a stimare lo sviluppo del bambino. I problemi collegati alla valutazione, affrontati nelle esposizioni e durante i dibattiti in seduta plenaria, sono i seguenti: - Quali sono le informazioni di cui i genitori, i dispensatori di cure e gli insegnanti

hanno bisogno per facilitare lo sviluppo del bambino? - Chi dovrebbe procedere alla valutazione? Il ricorso a dei professionisti è oneroso e,

in molti posti, sono poco numerosi. Il ricorso a degli operatori comunitari richiede più tempo, e la loro formazione è decisiva.

- Quali tipi di valutazione si dovrebbero praticare e in quale momento? Se vogliamo che degli insegnanti si facciano carico della valutazione, quali procedure possiamo utilizzare? È necessario avere dei procedimenti che possano venire utilizzati in maniera affidabile da persone poco istruite.

- Secondo quale processo i risultati dovrebbero essere trasferiti da un contesto all’altro?

- Quale dovrebbe essere il campo delle valutazioni? Stiamo per utilizzare delle valutazioni semplici ma rudimentali, oppure delle valutazioni più dettagliate, che richiedono più tempo e formazione – come, per esempio, il modello di Portage, che come minimo ha bisogno di due settimane?

Una comunicazione su un metodo d’analisi degli strumenti di valutazione è stata presentata. Sono state sollevate le seguenti questioni a proposito di ciascun strumento:

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- Quali sono i concetti sottoposti a test? - Quali sono le ipotesi di coloro che hanno elaborato il test? - Lo strumento si presta a una stimolazione? Detto in altri termini, lo si può

utilizzare come mezzo d’intervento? I dibattiti che sono seguiti alla comunicazione hanno dato luogo a altre domande: - Lo strumento è collegato al programma utilizzato? - Lo strumento è collegato a un processo di formazione? - Lo strumento di valutazione può venire utilizzato nel quadro di un’analisi più

ampia della situazione nel paese? - I risultati possono essere utilizzati per una pianificazione nazionale? - Come si può [fare per] collegare meglio la valutazione a delle attività appropriate? Dei partecipanti al Consulto hanno stimato che certi strumenti potevano venire adattati nei differenti paesi. (L’O.M.S. ha pubblicato, per esempio, “Play Activities for Disabled Children” [attività ludiche per bambini disabili], che comprende una lista di controllo delle capacità dei bambini e delle attività proposte3). Si è richiesto che delle risorse vengano consacrate all’esame e all’analisi di strumenti per guidare le persone alla ricerca di mezzi [d’intervento] appropriati.

3 «Malette pédagogique pour le parent d’un enfant handicapé – Activités récréatives» dans «Aider les personnes handicapées là où elles vivent» de E. Helander, P. Mendis, G. Nelson et A. Goerdt. Organisation Mondiale de la Santé, 1989.

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Principi di valutazione La valutazione si giustifica per differenti ragioni. Tenendo conto di ciò e della diversità delle persone che partecipano al processo di valutazione, sono necessarie differenti strategie. Nondimeno, sembra che certi principi generali possano applicarsi a diverse situazioni. A partire dalle esposizioni e dai dibattiti, sono stati presentati i seguenti principi: • un’idea precisa della ragione per la quale si procede alla valutazione. In certi casi, la

valutazione fa parte delle “condizioni da soddisfare” per determinare l’ammissibilità del bambino al servizio considerato. Un tale approccio conduce all’esclusione e non all’inclusione. In una programmazione comprensiva, la valutazione è realizzata in vista della creazione di un programma e delle attività per tutti i bambini;

• la valutazione è un processo continuo e implica la capacità d’osservare, d’annotare, d’interpretare e di pianificare;

• la validità della valutazione dipende dalla capacità di coloro che la praticano a interpretare i risultati e a fare una pianificazione in modo appropriato; la valutazione fatta al solo fine “d’effettuare un test” ha poca utilità e spreca le risorse;

• la valutazione dovrebbe contribuire a demistificare l’ “handicap” del bambino; • quando si opta per l’inclusione, bisogna tener conto della diversità nel contesto

dato. È anche importante partire dal principio che è necessario valutare lo sviluppo di ogni bambino;

• i genitori dovrebbero venire coinvolti nel processo di valutazione. Ciò non significa che essi stessi dovrebbero praticare la valutazione, ma dovrebbero comprendere il processo e parteciparvi al livello nel quale si sentono a proprio agio. (Si è fornito l’esempio di una versione per immagini del test di determinazione dello sviluppo di Denver, destinato a venire utilizzato dalle madri. I risultati sono stati più affidabili di quelli della valutazione fatta dai professionisti);

• cominciare da ciò che i genitori sanno del bambino. Cosa hanno osservato nel suo comportamento? Se [è vero che] i genitori non sono sempre gli osservatori più obbiettivi dei loro bambini, sono al loro fianco in molteplici situazioni e passano con loro parecchio tempo. Sono dunque nella migliore posizione possibile per fornire delle informazioni su quello che il bambino è capace e non è capace di fare;

• la valutazione dovrebbe essere fatta là dove il bambino si sente di più a proprio agio. Nella misura del possibile, dovrebbe venire condotta nell’ambiente naturale del bambino - per esempio, a casa e/o all’asilo-nido;

• la valutazione dovrebbe comportare la raccolta di dati provenienti da differenti fonti. Non è ragionevole affidarsi a un unico strumento, in un unico contesto, se si

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vuole ottenere una valutazione veritiera delle capacità e delle conoscenze del bambino;

• nella valutazione, bisogna fare intervenire gli elementi che permettono di valutare tutti gli aspetti dello sviluppo del bambino e d’osservarlo nel suo ambiente familiare; una buona valutazione potrebbe, per esempio, basarsi sui seguenti elementi:

- l’interazione dispensatore di cure/bambino – che cosa è naturale nell’ambiente familiare?

- la motivazione del bambino – che cosa spinge il bambino a voler fare qualcosa? Quali sono le ricompense per questo bambino?

- la risoluzione di problemi – come fa il bambino per trovare delle soluzioni? Come attira l’attenzione?

- gli adattamenti – come gestisce il bambino il proprio handicap? - le reazioni in presenza di persone e ambienti diversi – come reagisce il bambino in

contesti differenti e con delle persone differenti? - La socievolezza – come si comporta il bambino con i suoi pari? • La valutazione dovrebbe comportare un inventario ecologico o ambientale fondato

su degli elementi funzionali, cioè dovrebbe avere luogo in modo da valutare il bambino nei suoi rapporti con le cose che, nella cultura considerata, i bambini fanno nella loro vita quotidiana:

- i compiti (lavorare con la madre o il dispensatore di cure, lavarsi le mani); - le attività (cantare, giocare con dei compagni); - la routine (l’ora dei pasti, l’ora nella quale va a dormire); • basare la valutazione sui punti forti del bambino, invece di mettere in evidenza e

catalogare solamente ciò che il bambino non sa fare; • creare per il bambino delle attività miranti particolarmente a sfruttare i suoi punti

forti, e anche delle attività destinate a rafforzare le sue capacità in campi ben definiti:

- cosa deve fare differentemente il bambino per [poter] partecipare pienamente? - Quali sono le attività che contribuiscono a “insegnare” al bambino? • Utilizzare il processo di valutazione per informare la gente sui bisogni del bambino

in materia di sviluppo. Il processo consistente nel formare delle persone all’utilizzo di uno strumento di valutazione può essere istruttivo, poiché gli fa prendere coscienza del genere di cose che dovrebbero sapere riguardo allo sviluppo dei bambini. Il processo di valutazione dovrebbe venire utilizzato come uno strumento di formazione.

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9. Quali principi dovrebbero venire osservati nell’elaborazione di un programma comprensivo? a) Cominciare là dove sono i genitori/le famiglie Uno dei principi-chiave per l’elaborazione dei programmi è di cominciare a partire da ciò che la gente conosce e fa. In questo modo, i genitori vedono che hanno qualcosa d’utile d’apportare al processo, e in particolare: - cominciare con le domande e le preoccupazioni dei genitori; - giovarsi della percezione attuale dei genitori – qual è secondo loro il problema? - lasciare ai genitori il tempo di affrontare progressivamente le domande; - aiutare i genitori a adottare una visione a lungo termine. Il servizio immediato può

offrire una soluzione che darà dei buoni risultati a breve termine, ma occorre che i bisogni a lungo termine vengano ugualmente presi in considerazione nel processo di pianificazione.

b) Appoggiarsi sulla cultura e le tradizioni locali Quando si creano dei nuovi programmi, è importante comprendere le pratiche tradizionali d’educazione dei bambini. Diversi partecipanti hanno fornito degli esempi della maniera nella quale la cultura influisce sullo sviluppo della programmazione. È stata espressa l’idea che la ricerca internazionale possa fornire certi principi in materia di programmazione, ma che non potrebbe imporre delle pratiche specifiche per l’educazione dei bambini. Si è rilevato che in Eritrea si sta facendo un tentativo per conciliare le tradizioni culturali con quello che viene internazionalmente accettato come un’educazione “appropriata” da parte dei genitori, particolarmente in previsione a quello che gli educatori saranno tenuti a fare per operare in una cultura e in un’economia mondiali. c) Giovarsi di ciò che la ricerca ci insegna: mettere l’accento sulle interazioni del bambino con le altre persone del suo ambiente. Questo principio deriva da una presa di coscienza del valore dell’interazione, della comunicazione e della mediazione. Ci si è resi conto che le esperienze interattive sono importanti per aiutare i bambini a svilupparsi sino al [raggiungimento del] loro potenziale massimo. Il problema consiste nel trasformare queste esperienze in servizi. In Danimarca, un progetto è stato elaborato sotto l’influenza delle idee nuove sul valore e la natura delle esperienze interattive che avevano apportato i lavori di un’antropologia la quale aveva soggiornato in Uganda negli anni ’70. Nella sua opera

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“Infant Care and the Growth of Love” [le cure infantili e lo sviluppo dell’amore], Mary Ainsworth (1967) concluse che le cure ai bambini in tenera età e lo sviluppo dell’amore sono la risultante dei seguenti elementi: - un contatto fisico frequente e durevole tra la madre e il bambino, soprattutto

durante i primi sei mesi di vita del bambino; - l’attitudine della madre a calmare il bambino con il contatto fisico; - la recettività delle madri ai messaggi del lattante e la loro premura a rispondervi; - l’attitudine delle madri a fornire delle cure in armonia coi ritmi del bebè; - l’abilità delle madri a regolare il quadro di vita del bebè in modo che lui possa

comprendere le conseguenze dei suoi atti. I risultati dello studio sono stati riprodotti in altre culture, e studi ulteriori indicano che diversi dispensatori di cure sono in grado di fare intervenire questi elementi nei loro rapporti col bambino. Il messaggio fondamentale è che è importante cominciare a lavorare presto coi genitori, per aiutarli a considerare il bambino come una persona nella sua interezza e a percepire il suo potenziale. Sono rari i programmi che sono stati elaborati su questa base. Nei paesi scandinavi, esiste un movimento che incoraggia i genitori a passare più tempo a casa col bambino e raccomandano di prestare una maggiore attenzione alle prime interazioni dei genitori col bambino. È stato riferito di uno studio fatto in Danimarca dove i lavori di Ainsworth e altri ricercatori sono attualmente riesaminati per il contributo che apportano alla comprensione dei bisogni del bambino, indipendentemente dal contesto culturale. I principi di puericultura enunciati qui sopra sono utilizzati per aiutare i genitori a stabilire una relazione coi lattanti molto prematuri con molteplici handicaps. In precedenza, l’interazione dei genitori coi loro bambini cominciava quando questi ultimi avevano da sei a otto mesi, quando smettevano di ricevere delle cure mediche. I genitori dicevano che questa attesa era troppo lunga. Nel nuovo programma, possono venire sin dai primi giorni e partecipare alle cure praticate al loro bambino in ospedale. L’esperienza si è rivelata molto benefica per i genitori e i bambini. d) Istituire un programma che rafforzi le competenze/attitudini di diversi professionisti invece di creare una nuova categoria di “professionisti” Storicamente, i sistemi di formazione sono stati messi in atto in numerosi paesi per formare degli specialisti al lavoro con dei bambini che avevano dei bisogni speciali. Come è stato osservato, questi sistemi sono più sviluppati in certi paesi che non in altri. L’elaborazione di programmi comprensivi esige un tipo di formazione

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professionale differente. Tuttavia, piuttosto che creare dei sistemi di formazione interamente nuovi, è più redditizio utilizzare i sistemi esistenti dopo averli rimaneggiati. e) Includere dei servizi che si occupino della salute e dell’alimentazione del bambino e del suo sviluppo cognitivo, psicosociale e affettivo La natura olistica dello sviluppo dei bambini è stata descritta. Essendo data la molteplicità dei bisogni del bambino, è importante che ogni programma la prenda in considerazione. Dei servizi integrati possono nascere secondo svariate modalità. - si può mettere l’accento sull’integrazione dei servizi già dispensati al bambino e

alla famiglia, piuttosto che sulla costituzione di una nuova organizzazione “integrata”;

- i servizi possono venire associati per mezzo di un organismo unico che permetta una “centralizzazione delle acquisizioni”, ossia un luogo dove i genitori possano recarsi per informarsi sui servizi esistenti. Lavorano con un “coordinatore di servizi” per determinare i servizi che possono rispondere meglio ai bisogni del bambino e della famiglia (per esempio, centri d’informazione alle famiglie, cliniche scolari, etc…)

f) Riconoscere che non esiste un’opzione unica per i sistemi di prestazione di servizi Il servizio ideale unico non esiste. I servizi forniti al bambino risultano da una scelta fatta nel quadro della partnership tra i genitori e i professionisti in funzione delle risorse locali. Il processo di negoziazione diventa un meccanismo che permette di discutere dei concetti e delle idee. Le attività comprensive destinate alla prima infanzia possono venire offerti in quadri differenti, e comprendono tutta una serie di elementi. Per esempio: - propaganda e sensibilizzazione in merito al valore e ai diritti di tutti i bambini; - contatti con le persone che hanno delle risorse (umane e finanziarie); - educazione e responsabilizzazione dei genitori; - servizi a domicilio; - elaborazione di programmi che mettano i genitori in contatto tra di loro; - elaborazione di programmi/gruppi ricreativi prescolari; - elaborazione di piani di transizione; - utilizzazione e promozione di scuole come centri d’educazione permanente, di

salute e di benessere;

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- formazione di personale nel campo delle cure di salute, dei servizi sociali e dell’educazione riguardo alla prima infanzia, alla salute, allo sviluppo e all’inclusione;

- formazione di pubblici particolari su degli argomenti specializzati (valutazione, intervento, ciclo scolare, propaganda, responsabilizzazione, stima);

- cartografia della comunità (identificazione delle strutture formali e informali, risorse e servizi).

g) Creare un servizio che sia aperto ed elastico, e possa adattarsi alla valutazione dei bisogni Nella maggior parte dei contesti, la creazione di programmi comprensivi è relativamente nuova; non esistono molti modelli per la messa in atto di programmi comprensivi efficaci. Ecco perché, man mano che dei programmi vengono elaborati, bisogna che coloro i quali partecipano alla loro elaborazione facciano prova di elasticità e siano disposti a sperimentare e a imparare. Se il servizio fornito è una classe destinata alla prima infanzia, il maestro dovrà adattarsi a un’aula aperta, in modo che sia possibile osservare i bambini. Il programma di studio dovrebbe venir messo per iscritto, affinché coloro che fanno delle osservazioni, o chi s’interessa al programma, possano farsi un’idea di quanto viene offerto. Dovrebbero esistere delle possibilità di discutere sia delle attività che della metodologia, e d’operare dei cambiamenti secondo i bisogni. I partecipanti, genitori compresi, dovrebbero riunirsi regolarmente. h) Dotare il programma del personale voluto; la scelta del personale è una chiave del successo Un personale ben formato, i cui membri si spalleggiano reciprocamente e hanno delle competenze complementari, ha un ruolo determinante da giocare nella messa in atto di un programma comprensivo che abbia successo. Quando si comincia un nuovo programma, è particolarmente importante poter reclutare un personale appropriato. I membri del gruppo di lavoro [de l’équipe”] devono venir scelti tra le persone desiderose di coinvolgersi in un tale sforzo. Dei genitori che hanno essi stessi un bambino con dei bisogni speciali possono costituire una categoria di personale particolarmente efficace. I nuovi genitori possono identificarsi rapidamente a loro e condividere le loro esperienze di metodi che permettono di rispondere ai bisogni del bambino.

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10. Chi dovrebbe venir formato? Qual è il tipo di formazione richiesto? La formazione è un elemento essenziale nell’attuazione di programmi comprensivi, che siano di qualità, per la prima infanzia. I partecipanti al Consulto hanno espresso l’opinione che la formazione dovrebbe venire concepita e fornita a numerosi livelli. Le questioni specifiche che sono state dibattute erano particolarmente le seguenti: a) Chi ha bisogno di venire formato? Tutti coloro che hanno a che fare con dei bambini con dei bisogni speciali hanno bisogno di una formazione. È importante fornire un personale che abbia delle conoscenze, delle competenze e degli atteggiamenti richiesti per elaborare e mettere in atto un programma comprensivo destinato alla prima infanzia. È parimenti importante dare una formazione alle famiglie, alla comunità, al personale amministrativo e a coloro che formano i dispensatori di servizi, per permettergli di comprendere e di partecipare pienamente allo sforzo. In certi casi, ciò presuppone un riciclaggio di professionisti in esercizio. In altri casi, bisogna formare delle persone che poco dopo si occupino di bambino con dei bisogni speciali. Non si potrebbe dare per scontato, per esempio, che i dispensatori di cure o gli insegnanti abbiano il bagaglio di conoscenze voluto per aprire i loro locali o i loro centri a dei bambini con dei bisogni speciali. Anche degli insegnanti e dei dispensatori di cure molto bravi e che s’occupano della prima infanzia hanno bisogno di un ulteriore formazione e di un sostegno per rispondere alla diversità dei bisogni di bambini con un’ampia gamma di attitudini. b) Qual è il tipo di formazione richiesto? La formazione deve essere differente quando le popolazioni sono differenti. Nella professione medica, per esempio, i generalisti hanno bisogno di una maggiore informazione sulla crescita e lo sviluppo di un bambino normale, e anche di una formazione sulla maniera di lavorare in partnership coi genitori. I professionisti che forniscono dei servizi hanno bisogno di un equilibrio tra le conoscenze generali sullo sviluppo del bambino e le conoscenze relative ai bisogni speciali. I genitori hanno ugualmente bisogno di questo genere d’informazione, e pure di una formazione sulla maniera di lavorare in partnership con dei professionisti. Questi ultimi hanno bisogno di una formazione sulla maniera di collaborare con dei rappresentanti di altre discipline. Tutti coloro che lavorano con le famiglie hanno bisogno di una formazione sulle competenze in materia di comunicazione e di negoziazione, sulla collaborazione e la partnership, sulla difesa delle idee, i valori e gli atteggiamenti, così come sul rispetto della comunità locale e delle famiglie.

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c) Chi assicura la formazione? Dei formatori sono necessari nei differenti campi e pure a livelli differenti: per la professione medica, per il personale educativo, per i servizi sociali e per coloro che lavorano con dei genitori. I genitori stessi possono essere dei formatori molto efficaci. d) Qual è l’equilibrio appropriato tra la formazione iniziale e la formazione nel corso del processo? Una formazione iniziale puntuale non è mai sufficiente. Se la formazione iniziale è necessaria per inculcare le conoscenze di base (indipendentemente dal fatto che le persone da formare siano membri della professione medica, lavoratori sociali, insegnanti o genitori), gli interessati avranno sempre bisogno di un sostegno e di una formazione complementari, man mano che si costituiranno un nuovo sapere e una nuova esperienza. Ciò è particolarmente vero quando si tratta di creare dei servizi comprensivi per la prima infanzia, dato che si tratta di un’iniziativa relativamente nuova. 11. Come aiutare i bambini a vivere la transizione dal domicilio a un servizio (per esempio, un programma per la prima infanzia) e da un servizio all’altro (per esempio, da un programma per la prima infanzia alla scuola elementare)? I bambini piccoli e le loro famiglie affrontano molteplici transizioni durante gli anni della prima infanzia, quando passano da un settore a un altro (sanità, servizi sociali ed educazione) e quando lasciano un ambiente per entrare in un ambiente nuovo (dal domicilio ai servizi di cure o dai programmi per la prima infanzia alla scuola elementare). Le famiglie rischiano di provare dello stress, dell’ansia e dei timori in ogni transizione. Nel corso del Consulto, sono state fatte delle raccomandazioni sulla maniera di rendere queste transizioni meno traumatiche per coloro che vi sono coinvolti. • Le transizioni ottimali sono quelle che sono pianificate e individualizzate. Non

potrebbero costituire l’oggetto di prescrizioni normative, giacché [le transizioni] sono generalmente complesse.

• È importante comprendere bene che ci può essere una bassa efficacia nei periodi di transizione (è in questo modo che i bambini possono manifestare un comportamento regressivo).

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• I bisogni del bambino ostacolano il decorso normale delle transizioni. In generale, tanto più l’handicap è grave, quanto più i genitori esitano a affrontare la tappa successiva, in particolare quando il servizio che il bambino deve lasciare è soddisfacente.

• Bisogna instaurare un processo di comunicazione sostanziale per suscitare la fiducia e fornire un’informazione completa (per esempio, ciò che il servizio può e non può fare per il bambino e la famiglia). Bisogna occuparsi delle vere questioni alle quali il bambino e la famiglia faranno fronte. Le famiglie devono avere un’idea chiara delle implicazioni del processo [di transizione].

• Devono venire definiti degli indicatori di successo accettabili per il bambino, la famiglia e il personale incaricato del programma.

• Le fasi di transizione devono essere identificate e pianificate. Esse comprendono: - La preparazione Il volume e il tipo della preparazione richiesta dipenderanno dalla natura della transizione, dal calendario, dalle differenze tra l’ambiente attuale e l’ambiente nuovo, dal numero di organizzazioni/organismi coinvolti e delle risorse disponibili. È utile compilare una lista delle domande che le famiglie possono essere portate a porre. Si possono preparare i genitori con dei giochi di ruolo. - La messa in atto Man mano che il bambino è accolto nel nuovo servizio, è importante sorvegliare strettamente quanto succede nei primi giorni. Ciò può comportare delle visite frequenti, la condivisione di informazioni e [il fornire] un’informazione in ritorno alla famiglia e ai servizi. - Il controllo del proseguo È importante assicurare un controllo sufficiente della nuova situazione, per determinare se il programma funziona bene per il bambino e la famiglia, e se la transizione sarebbe potuta essere gestita meglio. Il successo durante la transizione non è che un fattore importante tra gli altri. Bisogna occuparsi inoltre di obbiettivi a più lungo termine. È dunque importante definire degli indicatori di successo a lungo termine appropriati per il bambino, per la famiglia, e per il programma del quale beneficia il bambino. 12. Come fare in modo che i programmi che elaboriamo siano durevoli?

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Se i programmi devono venire mantenuti al di là dello stadio del progetto-pilota o della dimostrazione, devono essere prese delle misure, durante la pianificazione, per assicurare la loro durabilità. Inoltre, se viene previsto che il programma sarà messo in pratica in altre regioni del paese, la fase sperimentale del progetto deve venire concepita in modo tale che gli eventuali partners abbiano la possibilità di venire informati e di familiarizzarsi con il progetto-pilota. Tra i diversi fattori identificati durante il Consulto e che sono suscettibili di contribuire a assicurare la durabilità, conviene menzionare il fatto di: • cominciare modestamente, ma con delle grandi ambizioni; • associarsi alla politica governativa e garantire un finanziamento sul bilancio

nazionale: • utilizzare un processo di pianificazione strategica con la comunità, al fine

d’assicurare un processo attuativo realistico; • trarre profitto dalle iniziative locali e costituire delle partnerships sin dall’inizio; • definire gli obbiettivi a lungo termine e a breve termine; • fare della durabilità uno degli obbiettivi del progetto; • riconoscere che l’elaborazione di servizi di qualità richiede del tempo, da sei a dieci

anni; • prevedere che i finanziatori spesso fissano delle date-limite per l’attuazione;

avranno bisogno di discutere coi pianificatori sul termine minimo richiesto per creare un programma di qualità;

• integrare progressivamente i sistemi di sostegno (perfezionamento degli insegnanti e del personale, formazione nel corso del processo, supervisione appropriata, ecc…);

• giovarsi degli elementi esistenti e suscettibili di venire utilizzati; ricercarli in ambiti molto diversificati;

• dare alle famiglie delle possibilità d’agire; le famiglie e i dispensatori di cure devono sostenersi reciprocamente;

• anticipare i problemi di finanziamento; il risultato rischia di non poter venire precisato nel breve termine;

• costituire sin dall’inizio dei dispositivi di collaborazione; i legami di collaborazione devono essere stabiliti a tutti i livelli;

• fare in modo che il programma sia utile per tutti gli interessati: bambino, famiglia, insegnanti e altri bambini;

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• riconoscere che l’impegno sostenuto da tutte le parti coinvolte è indispensabile alla riuscita del progetto;

• fissare degli obiettivi intermedi; i partecipanti hanno bisogno di misurare un progresso nel breve termine, in mancanza del quale la loro motivazione rischia d’indebolirsi;

• pianificare con rigore, ma introducendo dell’elasticità. Predisporre la possibilità di cambiare strategia se le cose non funzionano; cominciare con le direttive suscettibili di essere modificate;

• riconoscere che i costi iniziali sono elevati quando il programma viene messo in marcia; col trascorrere del tempo il finanziamento può venire ridotto;

• riconoscere che è importante durante il primo anno mettere in atto un processo di valutazione/ricerca e preparare una documentazione di base;

• identificare, nel momento in cui si mette in marcia un servizio in una scuola, uno stabilimento dove esistono delle possibilità di successo: scegliere una scuola desiderosa di lasciarsi coinvolgere nel programma e il direttore della quale apporta il proprio sostegno;

• fissare degli stipendi, sufficientemente elevati perché i lavoratori si sentano valorizzati. Il supplemento di spesa in stipendi sarà particolarmente prezioso, in ragione dell’impegno che susciterà nel personale.

Riassumendo, la durabilità non è dovuta al caso: deve venire pianificata. Affinché un programma sia durevole, bisogna che ciascuna delle sue componenti venga considerata attentamente: pianificazione ed elaborazione di strategie, autorizzazione dei ministeri, cooperazione con le istituzioni prescolari, scelta del personale, formazione, costituzione di un gruppo di lavoro, creazione di un ambiente favorevole, lavoro con i genitori, costituzione di un dispositivo di sostegno alle famiglie, formazione continua e dispositivi appropriati per la valutazione e il ritorno dell’informazione. 13. Quali sono le differenze (se ce ne sono) tra una buona programmazione per la prima infanzia e una programmazione comprensiva? La risposta a questa domanda affrontata a più riprese durante il Consulto è che non esiste una differenza fondamentale tra un programma di qualità per la prima infanzia e un programma comprensivo. In realtà, i programmi di qualità per la prima infanzia hanno ogni possibilità di diventare – e dovrebbero diventare – più comprensivi,

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accogliendo tutti i bambini e rispondendo ai loro bisogni. Le caratteristiche comuni ai problemi di qualità per la prima infanzia e i programmi comprensivi sono: • si comprende l’importanza di un intervento precoce per gettare le basi di uno

sviluppo ulteriore; • si riconosce l’importanza che viene attribuita allo stabilimento di legami e di una

stretta collaborazione con la famiglia; • nella programmazione comprensiva e nella programmazione per la prima infanzia,

si riconosce la necessità di focalizzarsi sullo sviluppo sociale del bambino, poiché esso è intimamente legato al suo apprendimento;

• l’accento messo su un apprendimento attivo; • si riconosce l’importanza delle differenze individuali e di una pianificazione che

risponda ai bisogni di ciascun bambino nel contesto del gruppo. Implicazioni Dei programmi di qualità per la prima infanzia dovrebbero essere creati nella prospettiva d’inserire i bambini con dei bisogni educativi speciali. Il compito non è semplice per le seguenti ragioni: In primo luogo, è importante riconoscere che l’educazione della prima infanzia è ancora un campo nuovo in materia di copertura e ripartizione dei servizi. I programmi per la prima infanzia non riguardano che circa il 30% dei bambini tra 3 e 5 anni, se si considera il valore mondiale; la copertura raggiunge quasi il 100% in certi paesi ed è prossima al 5% in altri. Quindi il compito non consiste semplicemente nel migliorare la qualità dei programmi esistenti, ma ugualmente nel creare dei nuovi servizi. In secondo luogo, se si riconosce il valore di un intervento precoce, si è autorizzati a pensare che bisogna costituire dei servizi per i bambini con dei bisogni speciali sin dalla loro più tenera età. Attualmente, la percentuale di bambini tra 0 e 3 anni che beneficiano, sotto una forma o un’altra, di un servizio destinato alla prima infanzia è molto inferiore alla percentuale relativa ai bambini in età prescolare. C’è dunque un bisogno impellente di creare dei servizi per il gruppo d’età più giovane. In terzo luogo, è importante riconoscere le enormi differenze esistenti da un paese all’altro per quanto riguarda il settore incaricato di fornire dei servizi per i bambini con dei bisogni speciali. Il settore dell’istruzione gioca un ruolo fondamentale in tutti i casi, ma l’età a partire dalla quale il sistema educativo s’occupa del bambino e i legami tra il settore dell’istruzione e gli altri (essenzialmente, la sanità e i servizi sociali) variano considerevolmente. In quarto luogo, molti programmi per la prima infanzia sono realizzati da organizzazioni non governative che hanno scarsi rapporti con i pubblici poteri.

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Tuttavia, se dei programmi devono venire creati a livello nazionale, occorre che i pubblici poteri s’impegnino in questo sforzo. È dunque necessario stabilire delle partnerships tra il governo e le ONG. In quarto luogo, affinché un programma destinato alla prima infanzia divenga più comprensivo, bisogna stabilire dei legami con gli esperti e le ONG e servizi specializzati, al fine di fare in modo che un apporto esterno per il consulto e/o la formazione sia facilmente disponibile quando ce n’è bisogno. Riassumendo, il Consulto ha riaffermato che dei programmi comprensivi per la prima infanzia dovrebbero farsi carico dei bambini piccoli con dei bisogni speciali. I principi da seguire per la creazione di programmi comprensivi e di qualità sono essenzialmente gli stessi che regolano la concezione e l’attuazione di un programma di qualità per la prima infanzia. Nei due casi, ci si sforza di rispondere ai bisogni di sviluppo di ciascun bambino in un ambiente che apporti affetto e sostegno. Ci si sforza di fornire dei servizi olistici che integrino sanità, alimentazione, servizi sociali e istruzione. Una collaborazione per l’elaborazione di una programmazione comprensiva è essenziale; fa intervenire numerosi partners che lavorano insieme a tutti i livelli – dai genitori e le famiglie sino alle comunità, alle organizzazioni di base, alle autorità locali e nazionali, alle istituzioni delle Nazioni Unite, alle organizzazioni non governative internazionali e nazionali, alla comunità dei finanziatori, al mondo degli affari e al settore privato. Il compito non è facile, ma è possibile andare avanti se esiste una collaborazione più stretta tra coloro che forniscono i servizi per la prima infanzia e coloro che lavorano con dei bambini che hanno dei bisogni speciali.

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3. CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI Preambolo: Filosofia e principi che hanno ispirato le raccomandazioni • Le cure e l’educazione della prima infanzia sono importanti per tutti i bambini, in

particolare quelli che hanno dei bisogni speciali. Questo postulato è in accordo con i seguenti testi:

- La Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti e il Quadro d’azione per rispondere ai bisogni educativi fondamentali

- La Convenzione relativa ai diritti del bambino - La Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia

d’educazione e di bisogni educativi speciali, così come il Quadro d’azione per i bisogni educativi speciali.

• Come al paragrafo 3 del Quadro d’azione di Salamanca, l’espressione “bisogni educativi speciali” designa qui tutti i bisogni educativi derivanti da handicaps o da difficoltà d’apprendimento.

• Resta inteso che la definizione di “bambini a rischio” dipende dal contesto culturale e dalle circostanze. S’intende ugualmente che all’interno di una nazione comunità, questa definizione può cambiare o cambierai col passare del tempo.

• I bambini piccoli con dei bisogni speciali e tutti i bambini a rischio dovrebbero venire coinvolti nel quadro di programmi d’integrazione per la prima infanzia.

• L’educazione dovrebbe venire considerata come un processo che dura tutta la vita e comincia allo stadio prenatale.

• L’educazione consiste nell’inserire dei bambini, presi individualmente, in classi ordinarie; più generalmente, è anche una politica e un processo che permettono a ogni bambino di partecipare a qualsiasi programma.

• L’integrazione dovrebbe coprire i servizi sociali, la sanità e l’istruzione, comprendendo pure l’alimentazione.

• La nozione di collaborazione deve essere al centro dell’elaborazione di programmi d’integrazione. Ciò vuol dire che numerosi partners devono lavorare insieme a ogni livello – genitori, famiglie, comunità, organismi comunitari, autorità locali e nazionali, ma anche agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni internazionali non governative, donatori, ambienti finanziari e settore privato.

• Elaborando dei programmi d’integrazione, è importante: - Poter contare su delle reti informali e dei punti d’appoggio nella società; - Decentralizzare la presa di decisioni concernenti la pianificazione di programmi;

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- Appoggiarsi sulle strutture e il personale in esercizio, e sulle tradizioni e gli usi stabiliti;

- Offrire a tutti le stesse opportunità e le stesse possibilità d’accesso; - Tener conto della realtà e dei limiti che essa impone, pur lavorando in una

prospettiva d’avvenire. Strumenti internazionali: • Convenzione relativa ai diritti del bambino. • Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti. • Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia

d’educazione e di bisogni educativi speciali e Quadro d’azione per i bisogni educativi speciali.

• Regole per l’equiparazione delle possibilità degli handicappati. Organizzazioni internazionali Esistono molte dichiarazioni e accordi internazionali firmati dai paesi. Ma troppo spesso, i cittadini non hanno conoscenza di questi strumenti, che eppure potrebbero aiutare alla costituzione dei servizi adatti ai bambini con dei bisogni speciali. È dunque importante concepire delle strategie che facciano conoscere meglio degli strumenti internazionali, come la Convenzione relativa ai diritti del bambino, la Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti e pure la Dichiarazione di Salamanca e il suo Quadro d’azione, così come il messaggio lanciato dal Vertice mondiale per lo sviluppo sociale. 1. Le commissioni nazionali della UNICEF e dell’UNESCO, in collaborazione con

gli uffici nazionali di organizzazioni internazionali non governative e d’organismi donatori, dovrebbero fornire una documentazione, sugli strumenti internazionali, che verrebbe diffusa nel paese. [Le commissioni] dovrebbero prendere l’iniziativa per sensibilizzare gli organismi governativi sui diversi mandati che ne derivano e sulla maniera nella quale possono venire realizzati con successo.

2. Le organizzazioni internazionali e le istituzioni finanziarie devono esaminare le loro politiche per accertarsi che la Convenzione relativa ai diritti del bambino, la Dichiarazione mondiale sulla educazione per tutti, la Dichiarazione di Salamanca e il suo Quadro d’azione, in particolare, siano prese in considerazione e applicate per quanto riguarda i bambini con dei bisogni speciali.

Livello nazionale

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3. Bisognerebbe creare a livello nazionale delle commissioni o delle associazioni (o di rafforzarle, se esistono già) che rappresentino gli interessati e che definiscano i programmi da elaborare per dare effetto alla Convenzione relativa ai diritti del bambino, alla Dichiarazione mondiale sulla educazione per tutti e la Dichiarazione di Salamanca, sorvegliandone l’attuazione.

4. Bisogna ugualmente vigilare che la politica nazionale rispetti i principi fondamentali e lo spirito della Convenzione relativa ai diritti del bambino, della Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti e della Dichiarazione di Salamanca, segnatamente per quanto riguarda i bambini con dei bisogni speciali.

Politica generale Delle politiche vengono preparate rapidamente in molti paesi e nell’ambito della comunità internazionale. Coloro che s’occupano dei bambini con dei bisogni speciali collaborano spesso all’elaborazione di politiche rispondenti ai bisogni educativi speciali, nel loro paese e/o nell’organizzazione nella quale lavorano. Organizzazioni internazionali 5. Le organizzazioni internazionali e le istituzioni finanziarie dovrebbero facilitare la

pianificazione delle politiche, dando degli orientamenti coerenti e chiari, fondati su un esame e un’analisi critiche delle politiche attuali e dei bisogni degli individui e del paese.

6. Sarebbe bene che gli organismi delle Nazioni Unite, gli organismi donatori, le istituzioni finanziarie e le organizzazioni internazionali non governative esaminassero le loro proprie politiche sotto l’aspetto del sostegno da apportare ai programmi d’integrazione destinati alla prima infanzia.

Livello nazionale Attualmente, i bambini con dei bisogni speciali rientrano tra le competenze di diversi ministeri. Sono spesso i servizi sociali e la sanità/il ministero degli affari sociali che se ne sono fatti carico durante i primi anni [di vita]. Ma poiché questi bambini hanno diritto a un’educazione, il Ministero dell’istruzione dovrebbe giocare un ruolo di primo piano sin dalla nascita, fornendo dei servizi d’integrazione. 7. È innanzi tutto al Ministero dell’istruzione che dovrebbe incombere il compito

d’assicurare dei servizi d’educazione integrata ai bambini piccoli con dei bisogni speciali e alle loro famiglie. Il Ministero dovrebbe farsi carico della concezione e del funzionamento di questi servizi, in collaborazione con diversi ministeri

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(particolarmente quelli della sanità e degli affari sociali), dipartimenti e organizzazioni non governative.

8. Il dialogo dovrebbe intervenire a tutti i livelli; al fine di associare tutte le parti in causa all’elaborazione delle politiche (amministrazioni, organizzazioni non governative, genitori, organismi comunitari, organizzazioni di handicappati) e al servizio degli handicappati, ecc… Questo processo è cruciale per assicurare l’adesione a delle politiche comuni e la preoccupazione di elaborare dei programmi migliori, di fare evolvere le mentalità e di sensibilizzare l’opinione pubblica.

9. Bisogna mettere in contatto tutti gli interessati (servizi sociali, educativi e di sanità, università, organizzazioni non governative, organizzazioni comunitarie e famiglie, amministrazione centrale e amministrazioni locali), affinché definiscano una visione, una missione e un piano d’azione comuni per favorire l’educazione per tutti nella prima infanzia, mettendo debitamente l’accento sui bambini con dei bisogni speciali.

10. L’attuazione delle politiche deve venire controllata bene, utilizzando delle statistiche e degli indicatori precisi, che è necessario raggruppare, analizzare e diffondere ampiamente.

11. La politica generale sarà di fornire dei servizi d’integrazione, nel quadro sia di programmi non formali e comunitari, che del sistema formale d’educazione.

Cooperazione/Collaborazione/Partnership Per mettere a punto dei programmi rispondenti a tutti i bisogni dei bambini piccoli, è importante fornire dei servizi d’appoggio in diversi campi – sanità, alimentazione, assistenza sociale, istruzione. Una sola entità (donatore, organismo d’aiuto bilaterale, organismo delle Nazioni Unite o organizzazione non governativa) o un solo ministero non potrebbero assicurare l’intera gamma di servizi. Organizzazioni internazionali 12. Nel campo dell’educazione dei bambini piccoli, bisogna incoraggiare le

organizzazioni internazionali competenti a adottare delle politiche d’integrazione, e a concepire dei progetti di collaborazione che si iscrivano nel quadro delle politiche e delle programmazioni nazionali, il che permetterà di riunire le risorse e di evitare una duplicità di impieghi.

Livello nazionale

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13. La messa a punto di programmi di integrazione necessita degli apporti di diversi settori – sanità, alimentazione, servizi sociali, istruzione. La pianificazione dei programmi, il loro finanziamento e la loro attuazione richiedono pure una collaborazione intersettoriale.

14. Bisogna creare delle sinergie moltiplicando le relazioni di collaborazione tra tutti i livelli – istanze nazionali, provinciali/distrettuali, comunità e genitori – e nei due sensi [direzionali].

15. Le organizzazioni non governative internazionali o nazionali che s’occupano di handicappati dovrebbero sensibilizzare gli altri settori della società e indurli a collaborare alla costituzione dei servizi d’integrazione.

Partnership e famiglia È innanzi tutto la famiglia che s’occupa del bambino. I genitori hanno diritto a un’informazione che li aiuti a risolvere i loro problemi. Sono loro che prendono le decisioni che riguardano il bambino. È dunque per servire il meglio possibile gli interessi del bambino che si devono stabilire delle partnerships tra le famiglie e i professionisti. Livello nazionale 16. Le famiglie hanno il diritto di venire pienamente informate su tutto ciò che

riguarda il loro bambino e le scelte da fare. Un aiuto, un sostegno e una formazione appropriati devono essere apportati loro per facilitare le loro decisioni e permettergli di diventare dei partners completi dei professionisti.

17. Dal canto loro, i professionisti devono ricevere una formazione che gli permetta di esercitare il ruolo di elemento di sostegno e intermediazione presso i genitori.

18. Le famiglie dovrebbero venire incoraggiate a partecipare attivamente alla definizione delle politiche e all’organizzazione dei servizi.

Transizioni Bisogna prendere coscienza delle molteplici transizioni tra differenti settori (sanità, servizi sociali, istruzione) e differenti strutture (casa, asilo-nido/programmi per la prima infanzia, scuola elementare) alle quali bambini e genitori devono fare fronte. 19. Coloro che lavorano con dei bambini piccoli e le loro famiglie devono concepire

delle politiche, dei metodi e dei programmi che facilitano queste transizioni.

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20. È auspicabile che le istituzioni e organizzazioni internazionali forniscano un aiuto nel mettere in evidenza e diffondere degli esempi di programmi di transizione, e pure gli insegnamenti che se ne possono trarre; dovrebbero anche incoraggiare gli studi comparativi e un dialogo internazionale sulle transizioni alle quali bambini e famiglie devono fare fronte nei primi anni.

Pianificazione e attuazione dei programmi/Fornitura di servizi Organizzazioni internazionali 21. Le organizzazioni internazionali governative e non governative dovrebbero aiutare

a identificare e a diffondere degli esempi di strategie e gli insegnamenti da trarne; dovrebbero favorire gli studi comparativi e pure il dialogo internazionale sulle cure e lo sviluppo integrati della prima infanzia.

22. Le organizzazioni internazionali, governative e non governative, dovrebbero cercare di creare degli organismi comunitari o familiari a livello locale, o a rafforzare quelli esistenti, e a dare loro i mezzi per concepire dei programmi adeguati ai loro bisogni; dovrebbero anche favorire lo sviluppo e il rafforzamento d’organismi e di reti di genitori, formali o no.

Livello nazionale Se ovunque nel mondo i bambini piccoli devono beneficiare di certe condizioni per diventare grandi e sviluppare al massimo le loro potenzialità, non esiste un unico tipo di programma che risponda al meglio ai loro bisogni. È alle famiglie e alle comunità che spetta prioritariamente la definizione di questi bisogni e la determinazione dei servizi da costituire. 23. Le organizzazioni non governative e gli istituti d’insegnamento superiore

dovrebbero creare (o rafforzare) degli organismi comunitari o familiari a livello locale, e dare loro i mezzi per concepire dei programmi adeguati ai bisogni.

24. I governi e le organizzazioni non governative dovrebbero incoraggiare lo sviluppo e il rafforzamento d’organismi e di reti di genitori, formali o no.

25. I programmi dovrebbero avere lo scopo d’ottimizzare l’utilizzazione delle risorse disponibili nelle famiglie allargate e le comunità.

26. Un certo numero d’attività di programma dovrebbero essere elaborate per facilitare l’integrazione, tenendo conto della necessità di riesaminare i valori, le credenze e gli atteggiamenti. Queste attività potrebbero includere i seguenti elementi:

- identificazione

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- sensibilizzazione - educazione e responsabilizzazione dei genitori - servizi a domicilio - elaborazione di programmi pedagogici - piani di transizione - utilizzazione e promozione della scuola come centro d’apprendimento permanente,

di salute e di benessere - formazione del personale sanitario, dei servizi sociali, dell’istruzione, ecc… per

quanto riguarda la prima infanzia, la salute, lo sviluppo e l’integrazione - formazione di certi settori della popolazione in campi particolari (valutazione,

intervento, programmi di studio, sensibilizzazione, raggiungimento dell’autonomia ["autonomisation], valutazione)

- redazione di carte delle comunità (identificazione delle strutture, delle risorse e dei servizi formali e non formali)

- elaborazione di programmi di contatti tra genitori - costituzione di programmi e di gruppi ricreativi per i bambini in età prescolare 27. Le conoscenze e le competenze specialistiche dovrebbero venire considerate come

parte integrante della costituzione e della fornitura di servizi generici. 28. Al momento dell’elaborazione dei programmi, bisogna redarre la carta dei servizi

complementari di cura e d’educazione, formali e non formali, esistenti nella comunità. Bisogna pure identificare i problemi e studiare le possibilità di collegamento con altri servizi.

29. Le conoscenze recenti sulle pratiche migliori e i metodi più appropriati e più utili devono venire incorporate nelle politiche, i piani, i programmi e le attività di cooperazione tecnica.

Formazione La formazione è un elemento essenziale dell’applicazione di programmi d’integrazione di qualità per la prima infanzia; dovrebbe venire attuata e dispensata a differenti livelli, affinché il personale acquisisca il sapere, le competenze e i comportamenti necessari. È parimenti importante formare le famiglie, la comunità, il personale amministrativo e coloro che addestrano chi presta servizi, affinché comprendano le attività e vi partecipino pienamente. Organizzazioni internazionali

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30. Dato che è necessario creare a livello nazionale le capacità richieste per sostenere i programmi, si dovrebbero assegnare dei fondi sufficienti alla formazione sotto tutti gli aspetti (che deve dunque diventare una priorità del finanziamento).

Livello nazionale 31. Una formazione sistematica dovrebbe venire assicurata da formatori competenti e

di provata esperienza. La formazione nel corso del processo deve essere collegata alla pianificazione e agli obbiettivi dei programmi.

32. Essenzialmente, la formazione deve venire dispensata sul posto da gruppi di lavoro pluridisciplinari, capaci di collegare le attività a delle situazioni concrete.

33. Un’educazione e una formazione adeguate alle esigenze dell’integrazione devono venire dispensate a livello transdisciplinare nelle università e gli istituti d’insegnamento superiore, specialmente nei campi della medicina e della sanità e dello sviluppo sociale e comunitario. Gli istituti d’educazione devono integrare lo studio dei bisogni speciali nella formazione iniziale di tutti i futuri insegnanti e del personale che presta le cure ai bambini piccoli, e [devono] educarli [a tale compito].

34. L’educazione al ruolo di genitori e l’informazione sullo sviluppo del bambino dovrebbe fare parte dell’educazione di base dispensata a tutti gli allievi nelle scuole.

35. La formazione dovrebbe venire concepita secondo gli stessi principi dell’educazione degli adulti: dovrebbe affidarsi all’esperienza individuale, essere partecipativa e responsabilizzante, associare con equilibrio le conoscenze teoriche e l’esperienza pratica, e mettere l’accento sulla conoscenza di sé e la comprensione delle differenti culture. Le modalità della formazione sono altrettanto importanti del suo contenuto.

36. I formatori per i programmi d’integrazione possono essere dei genitori, delle persone handicappate e dei volontari, come pure dei professionisti. Tutti devono avere un comportamento adeguato a questi programmi, nonché il sapere e le competenze appropriate.

37. La formazione all’educazione integrata dovrebbe evitare le categorizzazioni e privilegiare i metodi attivi d’apprendimento, incentrati sul bambino e personalizzati.

38. La formazione del personale dovrebbe includere delle informazioni teoriche e pratiche sulla maniera d’elaborare degli strumenti d’osservazione dei bambini, tenendo conto del contesto culturale, e di pianificare le attività appropriate che s’ispirino alle pratiche locali.

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Bambini messi negli istituti Tutti i bambini hanno il diritto di vivere in un piccolo gruppo, circondati da persone che li amano e gli assicurano una stabilità affettiva. Detto in altri termini, devono vivere nella loro famiglia o nelle famiglie d’accoglienza. È un dato di fatto che in numerosi paesi dei bambini vengono educati negli istituti, e sono quindi privati del tutto di un ambiente familiare. Questi bambini si trovano in una situazione “a rischio”. È pure risaputo che in assenza di servizi comunitari i bambini con dei bisogni educativi speciali vengono spesso messi in istituti. Organizzazioni internazionali 39. Le istituzioni e organizzazioni internazionali dovrebbero dare il loro aiuto alla

creazione di altri stili di vita per i bambini che vivono in istituti o rischiano di venirne collocati.

Livello nazionale 40. I governi dovrebbero elaborare delle politiche e dei piani tendenti a chiudere gli

istituti e a collocare tutti i bambini in un ambiente familiare che li aiuti e gli permetta d’accedere a dei servizi d’integrazione.

Valutazione 41. La valutazione dovrebbe facilitare l’orientamento scolare, avere degli effetti

positivi, permettere l’identificazione dei punti forti e dei punti deboli, ed essere collegata agli scopi del programma e alla sua attuazione. Dovrebbe avere luogo a livello individuale e a quello del programma. La valutazione è un processo continuo che permette di determinare i bisogni mutevoli dei bambini e, grazie alle informazioni che fornisce, di modificare gli interventi conformemente.

Organizzazioni internazionali 42. Le organizzazioni internazionali dovrebbero aiutare i gruppi consultivi e i gruppi di

lavoro a concepire e mettere a punto dei materiali di valutazione dello sviluppo dei bambini e dell’esecuzione dei programmi.

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Livello nazionale 43. Ai fini della pianificazione di programmi d’integrazione, i bambini che ne

beneficiano dovrebbero essere oggetto di osservazioni sistematiche nella loro vita quotidiana e il loro stile di vita abituale.

44. Bisogna sottoporre i bambini a un esame medico generale per individuare i ritardi di sviluppo, in modo da risolvere gli eventuali problemi prima che compromettano il loro sviluppo e la loro educazione. I bambini così individuati devono venire orientati verso i servizi appropriati per un trattamento [medico] e/o un intervento.

45. La valutazione dei bambini dovrebbe basarsi sulla comprensione dello sviluppo del bambino e la risoluzione dei problemi in modo collaborativo, piuttosto che sui voti ottenuti a dei tests normalizzati o su delle attività imposte o delle liste di controllo.

Durabilità Affinché i programmi possano essere mantenuti al di là dello stadio della sperimentazione, sin dallo stadio della pianificazione devono venir prese delle misure miranti e assicurarne la durabilità. Inoltre, se si prevede che saranno attuati in altre parti del paese, la fase-pilota deve essere concepita in maniera tale che gli altri partners possano venire messi al corrente delle attività. Affinché i programmi durino, bisogna che siano collegati alla politica dei pubblici poteri e finanziati nel bilancio dello Stato. Organizzazioni internazionali 46. Le organizzazioni internazionali dovrebbero diffondere delle informazioni sui

mezzi con i quali assicurare l’integrazione quando mancano i fondi e l’esperienza. 47. Dei servizi di questo tipo non si possono costituire rapidamente nemmeno con un

bilancio considerevole. I donatori e gli organismi dovranno a volte adottare delle politiche e delle pratiche nuove, che permettano l’allocazione dei fondi per periodi più lunghi, al fine di lasciare il tempo d’acquisire l’esperienza e le conoscenze necessarie.

Livello nazionale 48. Bisogna “testare” i progetti con cura e in condizioni realistiche prima di metterli in

atto su più vasta scala. 49. I progetti dovranno innanzi tutto venire diffusi nelle regioni vicine, per facilitare la

comunicazione e la costituzione di reti d’appoggio.

46

Comunicazione e diffusione dell’informazione Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale sulla necessità di programmi d’integrazione, è importante formare delle vasti reti di comunicazione. La circolazione dell’informazione dovrebbe farsi in senso verticale (da chi prende le decisioni verso gli operatori di base e vice versa) e in senso orizzontale (tra i settori e tra le istituzioni). Organizzazioni internazionali 50. Una banca-dati comune sull’integrazione dovrebbe venire elaborata col sostegno di

molteplici istituzioni internazionali e donatori, al fine d’ottenere delle statistiche adeguate e delle informazioni aggiornate, che le istituzioni e i paesi potrebbero utilizzare a fini di promozione, di concezione delle politiche e di pianificazione. [Tale banca-dati] dovrebbe essere accessibile mediante diversi mezzi di comunicazione, tra i quali anche Internet.

Livello nazionale 51. Degli estratti dalla Dichiarazione e dal Quadro d’azione di Salamanca, dalla

Convenzione relativa ai diritti del bambino e dalla Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti dovrebbero venire diffusi con i mezzi di comunicazione di massa (televisione, radio, video-cassette, commedie teatrali, spettacoli comunitari, canzoni, giochi, Internet).

Finanziamento/Aiuto dei donatori Organizzazioni internazionali I paesi dovrebbero elaborare la loro propria politica dell’infanzia, della famiglia e dell’educazione in armonia con i bisogni e la cultura del paese, e anche con le iniziative internazionali. 52. I paesi dovrebbero essere incitati a definire la loro propria politica per lo sviluppo

di programmi destinati a tutti i bambini piccoli, e a utilizzare questi programmi come base di negoziazione per sovvenzioni e prestiti.

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53. I donatori, le organizzazioni internazionali e i governi dovrebbero rispettare le tradizioni e le abitudini culturali, ispirarsene e favorire la diffusione d’informazioni relative alle pratiche migliori e alle lezioni dell’esperienza.

54. I donatori devono avere delle aspettative realistiche per quanto riguarda i risultati di progetti innovatori. Il successo di programmi che presuppongono un cambiamento di atteggiamenti deve misurarsi nel tempo (più di tre anni).

55. I donatori e gli organismi di sviluppo (banche, organizzazioni bilaterali e multilaterali) dovrebbero appoggiare i programmi d’integrazione nel quadro dei loro progetti relativi all’educazione di base della prima infanzia.

Livello nazionale 56. I paesi dovrebbero essere coscienti dell’importanza dello sviluppo della prima

infanzia, in quanto è uno degli impegni che hanno preso nel quadro della Dichiarazione e del Quadro d’azione di Salamanca, e [dovrebbero] sorvegliare che se ne tenga conto nella pianificazione dei bilanci dei servizi sociali e dell’istruzione.