ORIENTAMENTI DI BASE: modelli, elementi e...

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1 Dall’analisi alla ri- progettazione dell’ambiente educativo Materiale Didattico 1 ORIENTAMENTI DI BASE: modelli, elementi e criteri Paolo Calidoni Università San Marino - Master Disagio

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Dall’analisi alla ri-progettazionedell’ambiente educativo

Materiale Didattico 1

ORIENTAMENTI DI BASE:modelli, elementi e criteri

Paolo CalidoniUniversità San Marino - Master Disagio

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L’innovazione della scuola che si è realizzata negli ultimi lustri ha posto in eviden-za lo stretto rapporto intercorrente tra organizzazione e funzione, scopi e qualità della didattica.

L’ampliamento del tempo scolastico, la cooperazione tra i docenti, la flessibili-tà nella costituzione dei gruppi ecc. sono entrati nella scuola dapprima come ‘sperimentazioni’ volute dai movimenti degli insegnanti impegnati nel cambia-mento, poi come possibilità offerte dalle indicazioni programmatiche e normative, infine come previsione normativa dell’ordinario funzionamento della scuola. In concreto, però, la loro diffusione quantitativa è stata spesso contenuta e comun-que non di rado la ‘routine’ e la relazione educativa nelle classi non è stata positi-vamente trasformata dai cambiamenti organizzativi. Tuttavia, è ormai acquisito che la flessibilità dell’organizzazione didattica è in funzione del successo formati-vo di ciascun alunno, nell’articolazione dei tempi, dei raggruppamenti degli alun-ni, della configurazione collaborativa del lavoro dei docenti.

Nelle pagine seguenti, pertanto, presenteremo: 1. Metafore e tipologie dell'organizzazione 2. Componenti dell'ambiente formativo

2.1 Tempi e spazi per l’insegnamento/apprendimento ( e box IL TEMPO DELLA SCUOLA) 2.2. Raggruppamenti degli alunni e individualizzazione

3. Criteri d'orientamento

(estratti, con adattamenti, da Calidoni P., L'organizzazione della scuola: tecnologia, processi, relazioni - in AA.VV., La cultura del dirigente scolastico, La Scuola, Brescia, 2001 e da ID., Progettazione, orga-nizzazione didattica, valutazione, La Scuola, Brescia, 1999)

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1. Metafore e tipologie dell'organizzazione

Le organizzazioni sono 'costrutti sociali formalmente costituiti per il perseguimen-to di determinati fini' attraverso 'forme di azione collettiva reiterata basata su processi di differenziazione (dei ruoli e dei compiti) e di integrazione (piramide gerarchica, insieme di norme e procedure, tecnologie, schemi, programmi e stra-tegie d'azione, sistema di valori condivisi) tendenzialmente stabili ed intenzionali' (Ferrante-Zan). Esse sono complesse, ambigue e paradossali, e possono essere diverse cose contemporaneamente. Le metafore sono uno dei modi per rappresentarle e comprenderle. Le metafore sono artefatti linguistici che mettono in rapporto diverse idee e (ri)strutturano la nostra percezione del mondo (Morgan). In alcuni casi, le nostre metafore 'creano' la realtà, influenzano e guidano le nostre azioni; in un certo senso, operano come profezie che si auto-avverano. Secondo Argyris e Schon l'azione umana riflette le 'teorie professate' (che si ri-fanno alle visioni ufficiali - pubblicamente proponibili e politicamente corrette) e le 'teorie in azione' (che sono costruite sulla base dell'esperienza personale e spesso rimangono a livello inconscio). Ad esempio, nessun educatore ufficial-mente considera la scuola come una prigione, ma alcuni ricordano i loro giorni di scuola come se si fosse trattato di una prigione in cui i docenti svolgevano preva-lentemente funzioni di controllo, gli studenti e i genitori non avevano diritti. Que-sta 'metafora/modello mentale/teoria in azione' struttura il loro modo di conside-rare la e di agire nella organizzazione scolastica, anche se resta inconsapevole (cfr., per un'esemplificazione, lezione 2 videoregistrata - in particolare, dal film Asini). Può quindi essere utile riprendere sommariamente alcune delle principali metafore dell'organizzazione che hanno particolarmente influenzato la strutturazione dell'a-zione collettiva nella scuola nell'ultimo mezzo secolo e sono, pertanto, presenti anche nel repertorio di 'teorie in azione' degli attori (insegnanti, genitori, alunni, dirigenti, amministratori) che interagiscono nell'organizzazione della scuola. Riprendendo Collins, Alessandrini riassume i principali modelli di lettura ed inter-pretazione delle organizzazioni sintetizzandole nella seguente griglia

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E

lem

enti

sig

nific

ativ

i Definizione Modello SISTEMA RAZIONALE L'organizzazione senza persone

Modello SISTEMA NATURALE L'organizzazione di persone

Modello SISTEMA APERTO L'organizzazione senza confini

defin

izio

ne Accezione pre-

valente nel modello

o. come strumento disegnato per rag-giungere fini

o. come sistema poli-morfo che interagisce con l'ambiente e ha sue finalità autoalimen-tate

o. come coalizione di gruppi di interessi durevoli nel tempo

focu

s

Criterio aggre-gante i sottosi-stemi organizzativi

Specializzazione delle funzioni, coor-dinamento e control-lo

Intelligenza dei membri come 'attori' organiz-zativi

Visione processuale; complessità e varia-bilità dei flussi informativi

Stru

ttura

Caratteristica che denota la dimensione strutturale del modello

Formalizzazione Organizzazione infor-male

Interdipendenza or-ganizzazio-ne/ambiente

Phi

loso

phy

Idea guida L'uomo è motivato da interessi econo-mici

L'uomo è spinto anche da valori e interpreta la realtà

L'ambiente è visto come sorgente di energia e di informa-zione

Mod

ello

Metafora che sta alla base della rappre-sentazione simbolica

Meccanico (metafo-ra della macchina)

Organico (metafora dell'organismo adatti-vo)

Dinamico (metafora cibernetica)

Vis

ione

Rapporto tra organizzazione come mezzo e finalità perse-guibile nel con-testo

Organizzazione come mezzo per raggiungere fini

Organizzazione come un tutto auto sufficiente

Organizzazione co-me processo che in-teragisce nell' am-biente

Ass

unti

teor

ici

Autori che hanno contri-buito a costrui-re il modello

Taylor: organizza-zione scientifica del lavoro Weber: teoria della burocrazia

Mayo Scuola relazioni uma-ne Parsons

Weick Pfeiffer Argyris

Ese

mpi

o ne

lla

scuo

la

Decisioni centraliz-zate, struttura gerarchica, esecuzione formale delle direttive

Partecipazione as-semblearistica

Impianto normativo della legge sull'auto-nomia scolastica

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Ognuno dei modelli enfatizza e considera centrale uno degli aspetti/elementi del-l'organizzazione. In particolare, il modello dell'organizzazione come sistema ra-zionale attribuisce particolare rilievo alla tecnologia, ovvero al rapporto mezzi-fini in termini di macchine, attrezzature, procedure, competenze e capacità in grado di trasformare in-put in out-put. In questa prospettiva, la struttura dell'organizza-zione è funzione, logica e razionale conseguenza dei suoi scopi. Ad esempio, l'organizzazione della scuola è influenzata dagli scopi, dagli assunti e dalle aspet-tative dei suoi responsabili e dei suoi docenti; questi influenzano i rapporti tra colleghi, con gli studenti e con i genitori, nonché i metodi d'insegnamento, la ge-stione della classe ed i criteri di valutazione. Questi diventano schemi di compor-tamento abituale e sono incorporati nell' organizzazione. La congruenza tra a-spettative ed esperienze aumenta il livello di soddisfazione, che a sua volta incre-menta l'identità e lo sviluppo della scuola. Ma non di rado si verificano anche conflitti tra intenzioni dichiarate e pratiche reali. Questo modello di lettura offre un costrutto in grado di descrivere il funzionamento razionale (se ed in quanto) dell'organizzazione e del suo modo di interagire ed adattarsi nel contesto, secon-do lo schema del rapporto fini-mezzi. Lo sguardo sincronico sulla tecnologia, prevale sull'attenzione ai soggetti ed ai processi. La razionalizzazione della mac-china organizzativa per incrementarne l'efficacia e l'efficienza è al centro della ri-cerca e del lavoro. Le relazioni sociali tra i membri sono invece al centro del modello dell'organizza-zione come sistema naturale. Secondo l'orientamento struttural-funzionalista di T. Parsons, tuttora molto diffuso ed utilizzato, ogni sistema organizzato deve: - "reperire e adattare le risorse necessarie; - determinare e perseguire i propri fini; - mantenere consenso, cooperazione ed integrazione interna; - fornire motivazioni e valori di riferimento". In rapporto al prevalere dell'uno o dell'altro elemento si configurano diverse tipo-logie di organizzazione, rispettivamente: economica, politica, di controllo ed edu-cativa. Secondo Leavitt (in Scott) la componente struttura sociale si articola in struttura normativa (valori: criteri utilizzati per scegliere i fini dei comportamenti; norme: regole che guidano i comportamenti e specificano i mezzi appropriati; ruoli: a-spettative e criteri di valutazione dei comportamenti di coloro che occupano de-terminate posizioni) e struttura comportamentale (comprendente le relazioni di potere tra i membri dell'organizzazione). In questa prospettiva, secondo Tuohy, sono di particolare interesse le considera-zioni di Etzioni che ha proposto una tipologia dell'organizzazione come sistema sociale caratterizzato dall'uso del potere, dagli stili di partecipazione e dagli scopi (che non sono solo dati ma sono in gran parte anche) decisi e mediati tra i mem-

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bri. Etzioni ha identificato tre principali modi di esercitare il potere ed altrettante risposte tipiche, in rapporto agli scopi dell'organizzazione. - L'uso coercitivo del potere, in cui le persone sono forzate a comportarsi in un

certo modo per non incorrere in sanzioni, che genera risposte alienate; - L'uso remunerativo, in cui i detentori del potere ricompensano i partecipanti in

rapporto a particolari scale di livelli d'esercizio della funzione, che genera ri-sposte calcolate adattando il coinvolgimento al riconoscimento in un clima uti-litaristico;

- L'uso simbolico, che pone il richiamo a valori come imperativo del compor-tamento, che genera dedizione all'organizzazione in un clima normativo basa-to sulla convinzione e condivisione di valori.

Uno scopo delle organizzazioni, compresa la scuola in cui molte persone devono essere coordinate e vivere in armonia, è l'ordine, che comporta l'uso coercitivo del potere ed inevitabilmente un certo livello di alienazione tra i partecipanti. Ma altrettanto importanti e presenti sono gli scopi di ordine 'economico', che genera-no un clima utilitaristico in cui si utilizzano premi e sanzioni. Tuttavia, se un'orga-nizzazione -come la scuola- ha anzitutto scopi culturali, allora è necessario un clima di condivisione e dedizione. La tipologia di Etzioni evidenzia importanti a-spetti in ordine agli scopi ed ai processi di socializzazione interna delle scuole. Le scuole hanno scopi culturali, che possono essere identificati nei contenuti del curricolo e nello status attribuito a certe discipline ed attività anche extracurricola-ri. Le scuole hanno anche scopi economici: preparano gli studenti a partecipare alla vita economica, rendicontano sull'efficienza-efficacia della loro attività didat-tica. Ma le scuole hanno anche scopi di ordine simbolico, ad esempio nella defi-nizione e nel rispetto dei diritti e dei dovere dei membri dell'organizzazione. La diversa enfasi attribuita nelle singole scuole ai diversi tipi di scopi determina il clima della scuola. Infine, il modello del sistema aperto pone particolare attenzione ai processi che s'innescano nel rapporto tra l'organizzazione e l'ambiente. In questa prospettiva può essere utile richiamare Blau & Scott (in Tuohy) che classificarono le orga-nizzazioni sulla base del loro ruolo nella società e dei loro beneficiari ed in tal modo ne identificarono quattro tipi che assumono differenti strutture di socializ-zazione delle aspettative e delle attitudini dei membri.

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Beneficiari Tipo di organizzazione Struttura caratteristica Membri Club Democratico-partecipativa Proprietari Aziende Filiera-catena produttiva Clienti privati Servizi esperti/no-profit Uno a uno, basata sulla competenza Pubblico Servizi sociali e pubblici Burocrazia Le scuole non rientrano facilmente in uno o nell'altro tipo. Ognuna ha elementi dei quattro tipi simultaneamente presenti. Tuttavia le singole scuole si differenziano per la prevalenza di alcuni aspetti. Alcune enfatizzano i processi democratici di decisione, altre sono più orientate ai risultati; alcune curano la personalizzazione mentre altre si specializzano in una particolare area del curriculum. E queste diffe-renze si ritrovano anche nell'organizzazione interna delle singole classi. Un docen-te può curare il clima ma avere bassa produttività; un altro può perseguire elevati standard di risultato. Gli studenti possono sperimentare tutti i tipi nel medesimo giorno. Con specifico riferimento alle organizzazioni di servizi, Carlson (in Tuohy) ha sviluppato una tipologia a due dimensioni, basata sul rapporto tra controllo e par-tecipazione nella relazione tra cliente e struttura, che identifica quattro tipi. Il cliente controlla la propria partecipazione all'orga-

nizzazione Sì No

Sì Competitiva/di mercato Coscrittiva L'organizzazione controlla l'ammis-sione del cliente

No Di servizio Fatalistica/domestica

La tipologia offre un quadro di riferimento concettuale anche per comprendere il rapporto tra la scuola e l'ambiente. Ad esempio, il carattere 'domestico' della scuola dell'obbligo (che per ciò ha comunque una clientela garantita) è stato par-ticolarmente segnalato negli anni '80 nel nostro Paese da Romei, che l'ha identifi-cato come principale limite strutturale dell'organizzazione scolastica. A partire dal modello del sistema naturale e da quello del sistema aperto, già nei primi anni '80, si sviluppò la metafora culturale delle organizzazioni viste, appun-to, come 'culture' ognuna con la propria storia. Con particolare riferimento alla scuola, R. Schmuck (in Brody-Davidson) identifica le seguenti componenti della cultura di una organizzazione: - norme: accordi taciti condivisi sui comportamenti approvati e disapprovati,

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- ruoli: norme su come devono operare le persone che occupano determinate posizioni nell’organizzazione,

- strutture: norme sui ruoli attribuiti a lavori interrelati, compiti e responsabilità reciproci; in verticale: autorità e gerarchia; in orizzontale: divisione del lavoro e specializzazione,

- procedure: azioni svolte nell’ambito delle strutture per compiere specifici compiti;

la combinazione di norme, ruoli, strutture e procedure formali e informali produ-ce la specifica cultura di ogni scuola. E conclude affermando che “ Quando gli insegnanti collaborano con il dirigente ed i colleghi nella definizione degli scopi della scuola e nella progettazione di nuovi assetti formativi, si sentono valorizzati come docenti, e la loro autostima e dedizione professionale si consolidano ed aumentano. Poiché si sentono rispettati ed aiutati, probabilmente fanno altrettanto con gli studenti. Soprattutto, quando i docenti diventano reciprocamente più in-terdipendenti, possono più facilmente migliorare le loro strategie didattiche dando e ricevendo feed-back”. Prototipi di questa ‘cultura organizzativo/didattica’ so-no identificati nel ‘peer coaching’ e nel ‘peer mentoring’, modalità operative di sviluppo professionale basate prevalentemente sullo scambio orizzontale, all’interno di una comunità di pratiche: - alla quale ciascuno sente di appartenere, nel rispetto della diversità delle

prospettive, dei valori, degli stili di vita; - dove i membri lavorano in un continuo rapporto faccia-a-faccia verso scopi

comuni; - formando un gruppo coeso ed auto-riflessivo. Negli anni ’90 la metafora dell’organizzazione progressivamente più diffusa è sta-ta quella dell’apprendimento, che vede l’organizzazione non solo come un conte-sto di apprendimento, ma che apprende essa stessa. Le scuole diventano organizzazioni che apprendono quando ( Watkins et al., 1996, citati in Askew-Carnell): - si collegano con altri contesti di apprendimento, - non vi sono barriere insormontabili tra la scuola e la comunità, - i ruoli sono intercambiabili: i docenti si considerano in apprendimento, gli a-

lunni possono ‘insegnare’, - la leadership è distribuita ed aperta, la distribuzione delle risorse è trasparente,

il potere e le decisioni sono delegate, - si pone al centro l’apprendimento efficace, - la scuola e i suoi leader incoraggiano la valutazione, il feed-back, la ricerca e

l’iniziativa, - si condividono aspettative di alto livello in un clima positivo, - la diversità è considerata un valore e c’è attenzione alla dimensione affettiva,

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Nella prospettiva della ‘learning organization’ si tratta di creare le condizioni af-finché la scuola, anziché essere una ‘macchina/burocrazia d’insegnamento’ di-venti un ‘ambiente/contesto di apprendimento che apprende esso stesso’. In altri termini, come propone Orsi, l'idea di professionalità riflessiva si collega a quella di organizzazione riflessiva o ricorsiva. Seguendo il filone teorico della le-arning organization, la scuola -come ogni altra organizzazione del contesto post-industriale della service economy- può essere interpretata come organizzazione che apprende. Ma, nel contempo, essa produce apprendimento. Per dirla con uno slogan – che è un giro di parole - essa produce un prodotto che le necessita per produrre il suo prodotto. Di qui la riflessività o ricorsività che dir si voglia. L’approccio dominante è invece ancora troppo vittima del vizio tayloristico / tecnicistico: la scuola non funzione allora a) modifichiamo il contenitore (riforma di cicli /autonomia a livello di organizza-

zione) e automaticamente si avrà la qualità; b) facciamo formazione ai docenti (per esempio) per spiegare loro come debbo-

no svolgere il loro mestiere…. ecc. La tensione tra tendenza alla standardizzazione dei sistemi e delle pratiche scola-stiche, da una parte, e tendenza all’enfatizzazione del carattere unico di ogni co-munità scolastica come ‘mondo vitale’, dall’altra, rappresenta il principale di-lemma del dibattito sulla scuola e nella scuola oggi, come evidenziano vicende nazionali e letteratura. Nel proporre una diagnosi della situazione Sergiovanni utilizza la teoria di J.Habermas che identifica 2 dimensioni dei gruppi sociali: systemworld e life-world. La prima attiene al raggiungimento degli obiettivi funzionali nel modo più efficace; la seconda all’attenzione ai bisogni dei soggetti e alla condivisione di va-lori. Le scuole identificano scopi, promuovono visioni e valori, pianificano ope-razioni e realizzano l’insegnamento-apprendimento incorporando le 4 forme di a-zione indicate da Habermas: espressiva (dei bisogni dei soggetti) e normativa (se-condo i valori condivisi) per il lifeworld; teleologica (per raggiungere obiettivi) e strategica ( adottando i mezzi più efficaci) per il systemworld. In altri termini, standardizzazione e ‘mondo della vita’ sarebbero due dimensioni, anziché alter-native, dell’organizzazione sociale scuola, ma a condizione che si rispetti un certo equilibrio di rapporti tra l’una e l’altra. Infatti, a giudizio di Sergiovanni, quando le organizzazioni sociali funzionano correttamente, il lifeworld è al centro; al con-trario si ha una ‘colonizzazione’ quando il systemworld comincia a prevalere sul lifeworld e ciò si realizza gradualmente ed in modo ampiamente sommerso. Per-tanto, egli propone la lettura organizzativa della scuola, non come azienda ma, come 'casa' (schoolhouse) e 'mondo della vita' (lifeworld) di cui identifica alcune dimensioni fondamentali: - Cultura – che fornisce sistemi di conoscenze, credenze e norme sui quali si

costruiscono significati;

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- Comunità – che ci ricorda la nostra responsabilità per il bene comune: relazio-ni, affetti, impegni ; in cui genitori, docenti, studenti e le loro famiglie si sento-no un ‘noi’;

- Persona – che rimanda ai bisogni e alle competenze individuali nella ricerca di identità, senso e significato.

In sintesi, alcune delle metafore dell'organizzazione (scolastica) che si sono suc-cedute, ma che restano anche compresenti, nella ricerca e nell'immaginario dei soggetti, rimandano a: - la macchina, - l'organismo socio-relazionale, - l'intelligenza adattiva, - la cultura antropologicamente intesa, - l'apprendimento, - il mondo della vita comunitaria. Ognuna di esse offre un costrutto euristico utile per rappresentare e comprendere aspetti della complessità e ambiguità paradossale dell'organizzazione e dei modi di porsi delle persone al suo interno (e nei suoi confronti). Insomma, per dirla ancora con le parole di Sergiovanni, l'organizzazione da prendere come modello di riferimento (benchmark) non è quella delle 'zoned school' che - Hanno un compito ampio definito dall’esterno, - Sono essenzialmente in franchising, riflettono un modello standard stabilito

dal centro; ma quella delle 'focus school' che - Hanno una chiara e semplice mission focalizzata sugli studenti e un curricolo

limitato, concentrato su ciò che è considerato importante, definito dai sogget-ti, non sono semplici aggregati di individui ai quali capita di essere assegnati al medesimo posto di lavoro;

- Sono organizzazioni forti in grado ‘fare’, di risolvere problemi, non si consi-derano puri esecutori, che operano sulla base di un contratto sociale interno che motiva la disciplina e l’impegno scolastico;

- Considerano come parte centrale della loro responsabilità educativa la tra-smissione e l’insegnamento dell’etica pratica;

- I curricula sono costruiti in modo da portare tutti gli alunni ad una comune base di abilità ed esperienze intellettuali ;

- Si considerano (e sono considerate) uniche/speciali, ma non solo per quanto riguarda il curricolo, hanno una specifica identità che ispira senso di lealtà e partecipazione ad un comune impegno

- Sono impegnate nella formazione dello studente intero. Inducono valori, influenzano attitudini e integrano diverse forme di sapere. Trasmettono anche

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abilità, ma soprattutto tentano di far diventare i ragazzi degli adulti responsabili e produttivi ;

- Si sentono responsabili nei confronti di coloro che dipendono dalle loro pre-stazioni, piuttosto che dalle organizzazioni centrali di regolamentazione, moni-toraggio e valutazione;

- Hanno discrezione, possibilità di scelta; lavorano per sviluppare le proprie ca-pacità e caratteristiche organizzative attraverso la selezione e la socializzazione di nuovi insegnanti e operatori.

Questa prospettiva, che considera le scuole come organizzazioni sociali più che formali, non può essere perseguita basandosi esclusivamente o principalmente su contratti sociali di scambio, liste dettagliate di regolamentazioni, incentivi ecc, sul-la promessa di un guadagno o la minaccia esterna, tipici delle organizzazioni for-mali (systemworld, rule-based) per la soddisfazione del cliente in risposta a do-manda individuale. Sono necessari, invece, anche convenzioni sociali, rapporti più morali che di convenienza, legati alla condivisione di idee e valori, grazie all’assunzione di importanti decisioni sugli scopi e i valori della scuola, mantenute in virtù di lealtà, fedeltà ecc., tipici delle organizzazioni sociali (lifeworld, norm-based) basate sull'affidamento (fiduciario) e non solo sullo scambio. Allora è necessario porre alcune coordinate teoriche e metodologiche, riassumibi-li sotto due aspetti: 1) l’istruzione è solo una parte di un processo, l’evento educativo, il quale è co-

struito su due variabili, un curriculum esplicito (la programmazione didattica) ed un curriculum implicito (spazio, tempo, atteggiamento, stile relazionale, i-dea di bambino), che a pari livello definiscono la qualità dell’apprendimento e dello stare bene a scuola;

2) il cognitivo, se con questo termine ci riferiamo ai contenuti delle discipline, non può essere disgiunto dal relazionale. Semplificando possiamo affermare che ogni attività didattica prende forma all’interno di un contesto relazionale articolato nelle sue diverse forme (diadico, a piccolo e grande gruppo). In rapporto a queste due variabili possiamo affermare che esiste, nella scuola, una intenzionalità educativa esplicita, dichiarata, consapevole costituita per l'ap-punto dalla didattica: si fa programmazione, si pongono indicatori, obiettivi, strumenti, ecc.; probabilmente è uno degli ambiti della pedagogia più argomentati, approfonditi, documentati. Ma esiste anche una modalità implicita di intervenire e di agire, meno consapevole, meno argomentata, meno approfondita e salvo rare eccezioni meno documentata: ci riferiamo all'analisi dei significati degli spazi. L'ottica adottata concepisce come centrale non tanto il singolo alunno, quanto le relazioni di bambini e adulti: quindi scuola come un sistema composto di relazioni multiple tra alunni e insegnanti. Un mondo, per dirla con un termine ormai già en-trato nell'universo dei significati, "complesso".

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2. Componenti dell'ambiente formativo

L’organizzazione degli spazi e dei tempi, la strumentazione, i raggruppamenti de-gli alunni, l’organigramma e la dislocazione dei poteri, le modalità della comuni-cazione interna nella classe e nella scuola corrispono a scelte educative precise, spesso implicite e più di una volta non del tutto coerenti con quelle esplicitate. A parità di vincoli e risorse si possono realizzare organizzazioni formative differenti in rapporto ai criteri di riferimento ed alle scelte che si operano. L’organizzazione influenza la definizione del ‘mestiere dell’alunno’ e di quello dell’insegnante, cioè il sistema di valori e di regole di comportamento, la ‘cultura’ della scuola e della classe: il cosiddetto curricolo nascosto nel costume didattico. E’ ciò che fa il ‘clima’, che comunica messaggi soprasegmentali che lasciano il segno nei vissuti personali, di cui si fanno spesso interpreti la letteratura, il teatro, il cinema sulla scuola.

L’orario di attività e l’articolazione dei compiti dei docenti sono, oltre alla strutturazione dell’ambiente, i principali fattori che influenzano/condizionano il processo d’insegnamento-apprendimento nel suo svolgersi quotidiano. La distri-buzione settimanale dell’attività e la composizione del gruppo docente determina-no le condizioni del lavoro didattico: tempi di insegnamento strutturato, momenti di ‘cura’, presenza dei docenti e conseguente possibilità di diversi raggruppa-menti degli alunni; insomma, qualificano il clima educativo.

La significatività della scuola per gli alunni e per la comunità in cui opera, oltre che all’articolazione oraria ed alla integrazione con altre opportunità del servizio che offre, è legata anche alle caratteristiche dell’ambiente di apprendimento che presenta, i cui caratteri sono anch’essi frutto dell’interazione più o meno positiva e virtuosa tra che vi opera e chi ne fruisce. Certo non sono le sole condizioni ma-teriali a fare la qualità della scuola, ma queste sono indicative -anche nella mode-stia dei mezzi- del valore che a quest’esperienza formativa è attribuito dagli ope-ratori e dagli utenti.

L'organizzazione didattica è lo strumento per svolgere quel compito, non fine a sé stessa. Un orario scolastico calibrato secondo il progetto forma-tivo, insegnanti competenti che cooperano alla definizione, attuazione e valuta-zione di un progetto di lavoro mirato alle esigenze degli alunni ed operano fun-zionalmente ad esso, l'organizzazione di gruppi e momenti di apprendimento articolati sono gli strumenti della scuola. E come tali vanno impiegati, per atti-vare processi e conseguire risultati positivi, giocando con flessibilità ed intelli-genza gli spazi di manovra, che dovranno comunque aumentare. Le decisioni in materia, infatti, spettano alla responsabilità tecnico-professionale.

Il criterio pedagogico della strumentalità dell’organizzazione didattica in fun-zione dell’insegnamento-apprendimento costituisce un punto chiave che dovrà essere centrale nell’esercizio della progettazione dell'ambiente educativo. In sinte-

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si, la flessibilità organizzativa e didattica è considerata lo strumento per incrementare l’efficacia e l’efficienza della scuola nel raggiungere gli obiettivi, adeguando i percorsi formativi alle caratteristiche degli alunni e del contesto operativo. Gli spazi di manovra per i docenti sono sempre più ampi : dall’orario all’organizzazione dei gruppi alunni, dalla metodologia all’articolazione curricola-re, con significative conseguenze nel lavoro didattico.

Il modello organizzativo-didattico che si intravede, è quello che gli studi dell’ISIP-OCSE definivano negli anni ’80 come ‘modulare’, cioè basato sul lavo-ro collaborativo di un gruppo di docenti che condividono la responsabilità del percorso formativo di un gruppo di alunni e che definiscono per e con essi itine-rari flessibili ad hoc (OCSE-CERI, 1990). Le caratteristiche del funzionamento del modello innovativo-modulare indicate dall’OCSE sono : - la struttura di piccolo gruppo. Da 5 a 8 insegnanti insistono su 60-100 studen-

ti, in una struttura che rimane stabile per tutta la durata dei corsi, in cui tutti gli insegnanti affiancano alle capacità disciplinari forti competenze di relazione e orientamento.

- l’autonomia del modulo ... è il team di modulo che costruisce il suo piano di lavoro, rileva i bisogni espressi e latenti ... per venire incontro ai bisogni di tut-ti ...

- lo sviluppo di una cultura interna .. il progetto della scuola serve come schema generale ... un terreno comune di riferimento, una meta-cultura condivisa dall’intera scuola e fondata sul pluralismo, sull’accettazione di strategie diver-se e sulla centralità dei bisogni degli studenti. Se i team si chiudono in sé stes-si o sviluppano campanilismi pedagogici o ideologici, il risultato può essere disastroso.

2.1. Tempi e spazi per l’insegnamento/apprendimento

Nell'articolazione un orario settimanale si intravedono le finalità della scuola ed il modello pedagogico in atto; ad esempio, "per quanto si attribuisca rilevanza fondamentale ad un insegnamento, se a questo viene assegnato un tempo ristretto, non solo diventa impossibile svilupparne il potenziale formativo, com'è ovvio, ma si tende regolarmente a irrigi-dirne -fino a standardizzarle- le procedure didattiche." Infatti, il tempo scolastico non può "essere considerato alla stregua di un contenitore di qualsivoglia 'routine' educativo-scolastica; esso stesso condiziona non superficialmente i comportamenti degli operatori ed il 'senso' che questi attribuiscono ai loro comportamenti" (Damiano, 1987).

Pertanto l'organizzazione dell'orario delle attività è indicatore significa-tivo della qualità delle relazioni e dell'azione, è il 'precipitato' della pro-grammazione educativa e didattica, quindi la sua definizione sarà particolarmente ponderata e valutata e dovrà tener conto di tutti gli elementi

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qualitativi in campo. Con le parole di R.Dottrens potremmo ripetere oggi: "Se si vuole che a

scuola si sperimenti, manipoli, operi, occorre tempo. Se si vuole che a scuola il bambino comprenda, assimili, possegga, occorre tempo. Se si vuole che il bambino impari a riflettere, a giudicare, a ragionare, occorre del tempo. Se si vuole che a scuola i bambini imparino a comportarsi, a vivere insieme, a collaborare, occorre tempo. Se si vuole che il maestro conosca i propri allievi e sia in grado di dare a ciascuno di loro quanto gli è necessario per crescere, occorre tempo" (Dottrens, 1964).

Non di rado le esigenze didattiche si ‘scontrano’ con la diversificazione

della domanda dei genitori e con la linea politica ed i vincoli di bilancio degli enti locali. Nella costruzione di soluzioni ‘negoziali’ è utile tener presente che qualsiasi soluzione organizzative non ha valore in sé, è solo strumentale in funzione di progetti: dati certi scopi e certi vincoli si ricercano le modalità più opportune per impiegare -possibilmente al meglio- le risorse. I problemi di organizzazione, quindi, spesso nascono dall’inadeguatezza dei progetti, dalla scarsa condivisione degli stessi o dall’incoerenza delle soluzioni ri-spetto ad essi; comunque non sono affrontabili disgiuntamente. Quando una scuola procede per giustapposizione di elementi è perché non ha un proget-to d’integrazione delle risorse. D’altra parte, l’affermazione spesso contenu-ta nei Progetti d’Istituto dell’integrazione scuola-famiglia resta lettera morta se ad essa non corrisponde una definizione degli orari di attività didattica che tenga conto anche della effettiva domanda di servizi che viene dalle fa-miglie.

Criterio prioritario, comunque, devono essere le esigenze formative dei ragazzi che la scuola può soddisfare solo parzialmente; essa –quindi- è im-pegnata a lasciare/incentivare lo spazio per opportunità formative diverse: famigliari, extrascolastiche, associative ecc..

Le considerazioni fin qui svolte influenzano anche l'impostazione del pro-blema dell'articolazione interna del tempo scolastico cioè la risposta all'in-terrogativo 'come usare il tempo disponibile ?'

Non è solo un problema di attribuzione e distribuzione del tempo di inse-gnamento per le discipline curricolari, le loro aggregazioni in aree o le attività opzionali ed aggiuntive. Infatti, tutta la ricerca psicodidattica sul tempo come variabile significativa nei processi di apprendimento, ed in particola-re la procedura del mastery learning, hanno messo in evidenza che la va-riazione della quantità del tempo disponibile è di per sé insufficiente a determinare cambiamenti significativi nei livelli di apprendimento se non si accompagna ad una diversificazione delle pratiche didattiche, che risulta particolarmente necessaria nella civiltà dell'informazione che -per così dire- ha rubato alla scuola il ruolo nella trasmissione delle conoscenze. Inoltre,

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anche i tempi e i modi di gestione di alcuni aspetti della quotidiana vita della scuola come l'accoglienza, l'intervallo, l'uscita, l'avvicendamento dei docenti -e l'ordine degli stessi-, i trasferimenti da un locale all'altro ecc. hanno precisi significati educativi che veicolano messaggi 'sopra-segmentali' di indubbio peso e che quindi meritano di essere considerati soprattutto in sede di programmazione educativa e didattica. In breve, il tempo non è un puro contenitore, il modo di organizzarlo implica e vei-cola un progetto educativo. In questa prospettiva alcuni criteri di riferi-mento generale possono essere utili per orientare le scelte operative.

La flessibilità nell’impiego del tempo scolastico consente di conciliare l'esigenza di avere un quadro orario definito -per dare adeguato spazio a tutti gli insegnamenti- e quella di avere spazi di ‘manovra’ che consen-tano di andare incontro ai reali bisogni formativi degli alunni, di zone operative di interventi di recupero e sostegno tempestivi, volti a creare una comune base culturale della scolaresca.

"In parole povere, l'avere a disposizione una 'pattuglietta', se così pos-siamo chiamarla, di ore da usare strategicamente là dove di volta in volta le circostanze contingenti, l'insorgere di difficoltà operative, ne richiedo-no la presenza, consente un processo di feed-side control (controllo col-laterale), da porre in prospettiva complementare a quello di feed-back control. Una scuola che nella struttura generale del proprio piano di studio prevede una variabile, estremamente indipendente, ma non certo folle, in quanto razionalmente programmabile e programmata, è l'unica scuo-la che può realmente fare i conti con la realtà degli alunni, raccogliendone le sollecitazioni e gli stimoli, sciogliendone i condizionamenti, ar-ricchendone le capacità potenziali, o inventandole, se necessario. ...le attività didattiche che si svolgono in quest'ambito realizzano una pro-pria funzionalità autonoma ma valorizzano, con singoli interventi, con sem-pre nuove strategie, con sempre nuovi e/o ritornanti obiettivi, la funzionalità delle discipline " (Portolano).

Per quanto riguarda i tempi da assegnare a ciascuna disciplina, in rap-porto a quanto indicato dalle normative, - il numero minimo di ore per ogni disciplina è definito nel suo complesso e re-

sta alla scuola ed ai docenti la responsabilità della distribuzione in rapporto al-la progettazione didattica locale;

- inoltre, ogni docente, all’interno del tempo d’insegnamento assegnatogli per ogni gruppo classe o d’apprendimento, opererà flessibilmente -in particolare nelle classi iniziali- nella realizzazione della programmazione didattica prevista per l’ambito di competenza e concordata con i colleghi;

- la distribuzione dei docenti e dei tipi d’attività nell’arco della settimana tipo risulterà armonica e regolare, salvo adattamenti funzionali per particolari e-sigenze didattiche es. tempo dell’accoglienza, progetti particolari ecc;

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- nei tempi di contemporanea presenza di un numero di docenti superiore al numero delle classi, normalmente si formano raggruppamenti degli alunni diversi dalle classi funzionali alle esigenze didattiche.

IL TEMPO DELLA SCUOLA Paolo Calidoni Il tempo della scuola (primaria, in particolare) rimanda ai ritmi, ai riti, ai significati della civiltà contadina e della modernità in cui è nata e si è consolidata nella forma che oggi conosciamo. Ogni anno scolastico è scandito secondo il ritmo ciclico delle stagioni e del lavoro agricolo: in autunno si (ri)parte tenendo conto di quanto è stato coltivato in precedenza (prove d'ingres-so), si prepara il terreno per la nuova semina (accoglienza, progettazione), si coltivano e ac-cudiscono attentamente le coltivazioni dando tempo e aiuto per crescere (svolgimento attività progettato, valutazione formativa, interventi di recupero e potenziamento) e, infine, arriva il tempo del tripudio dei fiori e dei frutti (gite, presentazione dei progetti realizzati, saggi e spet-tacoli di fine anno), del raccolto e del bilancio che dà il via al tempo da trascorrere fuori delle mura scolastiche, all'aria aperta, in vacanza. Analogamente, ogni periodo dell'anno scolastico (tri-quadrimestri) ed ogni giorno di scuola hanno i loro ritmi ed i loro riti ben noti, spesso rinno-vati nella forma e nella denominazione ma stabili nel significato e nelle funzione. Ad esempio, l'inizio di ogni giornata scolastica si può configurare, in rapporto al periodo storico ed al pro-getto educativo, con l'appello, la preghiera, la conversazione, il pre-scuola, il controllo del la-voro domestico ecc., poi c'è il tempo del lavoro didattico d'aula-classe, di laboratorio, auto-gestito ecc.; segue l'intervallo o ricreazione o il gioco libero di metà mattina e si ritorna al lavo-ro; al termine della mattina si hanno alcune differenziazioni: quelli del tempo pieno vanno alla mensa come ogni giorno da bravi operai (prima erano quelli del doposcuola che andavano al refettorio), gli altri vanno a casa, alcuni si fermano per consumare il pasto a mensa perché i genitori o lo scuolabus passano più tardi a riprenderli o perché seguono anche attività pome-ridiane obbligatorie, opzionali o facoltative. Ognuna delle configurazioni richiamate (e dei pos-sibili mix) rispecchia ed esplicita -insieme- l'idea di scuola e quindi di tempo scolastico che si adotta/progetta in un particolare contesto/periodo; in ogni caso, è un tempo di lavoro preva-lentemente organizzato dagli adulti, inframmezzato da qualche momento meno strutturato; un tempo in cui il criterio dell'uguaglianza (a cominciare dalla divisa/grembiule) guida l'orga-nizzazione dell'attività finalizzata a fornire a tutti gli strumenti per vivere nel tempo della mo-dernità: leggere, scrivere e far di conto, conoscere e rispettare le regole della vita socia-le/nazionale. Quest'impostazione, ancora diffusissima, del tempo della scuola come si rapporta con l'at-tuale contesto post-industriale, post-moderno, spettacolarizzato e globalizzato? e con il tem-po dei bambini? sarebbe possibile -e come- conciliare interessi tanto diversi? La vita quotidiana in cui oggi crescono i bambini è scandita dai tempi dei consumi di massa, che genera sempre maggiore omogeneità di comportamenti (linguaggi e valori) sociali, dettati dai media. E il tempo della scuola e dei bambini è sempre più orientato in questa medesima direzione. Si pensi, ad esempio, a certi aggiornamenti dei ritmi e dei riti della scuola con gadget, cappellini, magliette identitarie (esattamente secondo i dettami del merchandising sportivo o spettacolare -oggi il Pinocchio di Benigni e domani la sua Divina Commedia?-) sfoggiati nei momenti clou dell'accoglienza, delle gite, delle manifestazioni; oppure all'introdu-zione della festa di Halloween (che ha messo tra parentesi quella di Ognissanti , la Comme-morazione dei Defunti e il 4 novembre) complici l'insegnamento dell'inglese nella scuola ele-mentare (e dell'infanzia) e le joint-venture tra istituti superiori e discoteche; oppure al sistema di punteggi, crediti e debiti applicato all'apprendimento e all'insegnamento come agli acquisti e ai premi al supermercato, alla pompa di benzina, nei viaggi aerei e ferroviari … è tutto tempo per l'accumulazione di punteggi nella vita e quindi anche nella scuola. E gli esempi potrebbero

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continuare. Insomma, travolti dai media, adulti e scuola riempiono il tempo di cose da fare, non hanno mai tempo a sufficienza per tutto quello che c'è da fare, aggiungono, accumulano … e scoppiano di stress. E' una sindrome ben nota nella scuola elementare che dal governo ministeriale della riforma del '90 è stata indotta a strutturarsi come una scuola media in cui ogni docente 'fa le sue ore' e quello che conta -come insegnano i monitoraggi- è far tornare i conti delle ore o dei punteggi nei test nazionali (che alla fin fine è la stessa cosa). Cronos schiaccia Kairos, anziché servirlo. E i bambini sono travolti in questo vortice: entrano nella scuola elementare e subito sono dotati di un'agenda-diario in cui segnare l'orario delle lezioni e gli impegni scolastici che si aggiungono ai molti (e ben più importanti, per molti) già assunti (dai genitori adulti, ed ai quali la scuola si deve adeguare) di carattere sportivo, espressivo-artistico, sociale. L'agenda è fitta … non c'è più tempo … c'è tanto da fare che il tempo non c'è più. Ma nonostante la vita (non solo la scuola) iperorganizzata, da istituzione totale, a cui è co-stretta la maggior parte dei bambini, essi riescono ad inviare dei segnali e delle domande d'al-tro segno, cercano vie di fuga, cercano tempo per sé. Quando 'sottobanco' conversano o si scambiano messaggi vari (motori, verbali, scritti su foglietti, sui diari o via SMS), quando 'per-dono tempo' (già verso la fine della scuola elementare anche navigando in internet, ascoltan-do musica e guardando videoclip, conversando sul muretto ecc.), quando sono 'incontenibili' reclamano un tempo non eterodiretto o eteroorganizzato, che nella loro vita quotidiana (forse ancor più che a scuola) è un bene scarsissimo. Reclamano un tempo di relazioni gratuite, non funzionalmente finalizzate, tra pari e con gli adulti; un tempo per essere ascoltati, in cui raccontare, per fare insieme (non solo per guardare o andare). Ma mentre mandano questi segnali di 'disagio' c'è subito qualche adulto pronto a proporre un ulteriore impegno struttura-to: il corso di recupero, l'educativa di strada, il gruppo sportivo ecc.. E anche la scuola il più delle volte si muove in questa stessa direzione … Allora, che fare? Il nodo è intricato. Può/deve la scuola cambiare il modo d'intendere/impiegare il tempo per (continuare a) svolgere la sua funzione 'omeostatica'/riequilibratice -di cui parla Postman-? Ovvero, diventare tempo di 'scholé'-otium in un contesto di negotium; mentre nella modernità è stata la forma del 'lavoro infantile' nel contesto dei tempi lunghi e distesi della civiltà contadi-na? Può/deve cambiare l'organizzazione della vita dei bambini, facendo loro spazio nel con-testo di società, città, media che coltivano il mito dell'eterna giovinezza (spingendo i bambini a diventare giovani al più presto e chiedendo ad adulti e anziani di mantenersi in forma giova-nile) ? La pedagogia e la scuola hanno la forza per chiederlo, farsi sentire, ottenerlo ? O cor-riamo il rischio di avere l'ennesima dichiarazione, il progetto speciale che dura lo spazio di un mattino (com'è avvenuto con la L. 285/97, non rifinanziata nel bilancio statale 2003), la tra-sformazione dell'istanza in uno spot ? Forse, per cominciare, è opportuno che la scuola faccia la sua parte scegliendo, nell'ambito dei suoi spazi, non di rincorrere cronos, ma di usarlo per kairos; di fare in modo che quello della scuola sia un 'tempo vissuto' e non solo un 'tempo spazializzato'. Quando 'fare l'orario' e 'far tornare i conti' sono le principali preoccupazioni della politica scolastica come del lavoro del singolo docente, allora vince cronos e la scuola può anche avere la certificazione ed il bol-lino blu, ma è concreto il rischio di una 'vita senza qualità'. Quando, invece, il tempo della scuola è occasione/ambiente di incontri, scoperte, ricerche, esperienze, eventi, avventure, esplorazioni, costruzioni, elaborazioni ovvero quando la progett-azione didattica è sviluppata come costruzione di significati e valori al cui servizio si pone l'organizzazione anche tempora-le dell'attività, allora la scuola si configura come mondo della vita, della mediazione culturale e della formazione personale. Ma per questo ci vuole tempo: tempo per attività autonome e au-togestite degli alunni; tempo per l'incontro, lo scambio, il gioco, l'esplorazione, la libera colti-vazione d'interessi personali; tempo per l'ascolto tra pari e tra adulti e bambini; tempo di 'scholé' gratuita e disinteressata. Insomma, un'oasi in cui c'è qualcosa di più della fretta, in cui le persone s'incontrano per crescere 'davvero' e non solo 'presto'.

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In questa prospettiva va recuperata e valorizzata la lezione del primo novecento pedagogico-didattico, facendo della scuola tutta e di ogni suo tempo un ambiente attivo di vita e di appren-dimento, non una macchina per produrre risultati di apprendimento che a tale scopo concede spazi a qualche attività laboratoriale. L'orientamento emergente a livello istituzionale, orientato a individuare livelli essenziali di prestazione (secondo standard che saranno verificati dal Ser-vizio Nazionale di Valutazione), a ridurre il tempo scolastico del curricolo comune, ad amplia-re le attività laboratoriali per gruppi di livello, di compito o elettivi per l'attuazione del piano di studio personalizzato dell'alunno, ribadisce una linea che già la L 517/77 e poi diverse riforme (es. L 148/90) ed infine l'autonomia scolastica avevano segnalato come opportunamente strumentale per perseguire una 'scuola su misura'. L'idea dell'aula e della scuola come labo-ratori, ovvero la riqualificazione della quotidianità didattica in forme dinamiche e 'su misura', resta -a mio giudizio- la direttrice su cui lavorare, nella logica di una pedagogia dell'apprendi-mento che vede la scuola come una forma di vita formativa, in tutti i suoi momenti. Altrimenti è probabile che rassegnazione e disaffezione prevalgano nella quotidianità del sistema scuola o che il lavoro didattico sia ridotto ai minimi termini, nella forma di un insegnamento-apprendimento difensivo mirato solo ad affrontare i test del Servizio Nazionale di Valutazione, con il possibile effetto perverso di non ottenere neppure quel risultato, riducendo il tempo dei bambini a scuola ad una dimensione di vita senza qualità.

All’interno di questo approccio, lo spazio non può essere lasciato alla casualità, cioè non definito; deve essere tradotto in termini di possibilità di esperienze, an-cora una volta di possibilità di relazione. Lo spazio parla un linguaggio fortemente condizionante in quanto è un linguaggio "metaforico", fatto di simboli, impregna-to e definito dalla cultura di appartenenza. Dice C.Rinaldi: " La qualità relazionale tra il soggetto ed il suo habitat sono reciproche, perciò sia l'uomo, sia l'ambiente sono attivi e si modificano a vicenda" (Rinaldi, 1998, 116). La scuola in questi ultimi tempi, ponendo al centro delle proprie intenzionalità e-ducative il percorso di crescita di ogni ragazzo, ha di fatto obbligato gli insegnan-ti a rivalutare ogni esperienza, eliminando di fatto il privilegio accordato negli ul-timi anni alle esperienze socializzanti. La ricerca pedagogica più avanzata invita a riflettere con sempre maggior consapevolezza sul significato educativo dello spa-zio, nella direzione di un ripensamento ed una riorganizzazione dell’architettura scolastica. Si delinea così una concezione dello spazio dai molteplici impliciti e-ducativi, capace di garantire lo scambio con l’altro da sè (interazione e socializ-zazione) ma anche con l’altro che è dentro di sé (introspezione), capace quindi di accogliere contemporaneamente l’io ed il noi, l’agire ed il riflettere sull’agire; uno spazio dalle caratteristiche di “trasparenza ma anche di opacità, cioè dove e quando al bambino è concesso sottrarsi allo sguardo dell’adulto e la sua privacy è rispettata” (Rinaldi, 1998). "Pensare lo spazio" implica prioritariamente pensare alla qualità della relazione e della didattica a scuola. Non si tratta di un mero espediente per rendere le mura scolastiche esteticamente più belle, ma significa rideterminare il concetto stesso di apprendimento. Il focus è spostato dall'oggetto dell'apprendimento (i sape-ri, le discipline, i contenuti) al soggetto dell'apprendimento (l'alunno). In que-

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sto senso, ed in linea con le più recenti ricerche in campo neuropsicologico non si tratta di apprendimento per la conservazione e cioè finalizzato all'acquisizione di concezioni e metodi prefissati, di regole di comportamento capaci di far fronte ad aventi noti e ricorrenti. Partendo dal fatto che il bambino è capace, cioè com-petente in virtù dell'interazione e scambio con gli altri e con l'ambiente, di elabora-re e costruire propri criteri di lettura, di classificazione, di categorizzazione e in-terpretazione della realtà, l'apprendimento si pone come "autoorganizzazione" della realtà e come costruzione del nuovo. Il nuovo non si riferisce alla sola e semplice novità, nel senso di unire le cose nuove a quelle conosciute, di struttura-re una realtà apparentemente disordinata: in questa ottica apprendere non è più solo "portare dentro" la realtà come copia (la rappresentazione cognitiva), quanto piuttosto prefigurarsi mondi possibili, o se non si vuole accettare sino in fondo il principio dell'indeterminatezza, rielaborare mondi già conosciuti. L'educazione, la pedagogia, così come altre scienze si trovano di fronte ad un grande compito che non dovrebbe più consistere nel cercare di dare risposte a vecchi problemi, quanto di porre nuove domande (Morin, 1983). Rinunciare all'apprendimento conservativo (trasmissivo) non significa necessariamente rinunciare alla propria mission educativa; al contrario, si apre la strada ad un nuovo modo di pensare al-la scuola, basata sull'idea di cambiamento di tutte le parti che lo compongono. Banathy (1988) parlava di apprendimento evolutivo, che trova nell'idea di cam-biamento la sua naturale declinazione. Stiamo infatti parlando non di tecniche o metodologie nuove, ma di modalità diverse di organizzazione delle medesime: soggetti destinatari del percorso di apprendimento sono non solo il gruppo di bambini, ma il gruppo di bambini insieme al team di docenti. Il nodo centrale è quindi l'elaborazione di un idea che vede il soggetto che cambia all'interno di un contesto che a sua volta si modifica: l'instabilità che apparentemente si ricava da questa concettualizzazione è bilanciata dall'azione regolatrice (e non normativa) dell'adulto inteso come soggetto mediatore delle relazioni che a scuola si instau-rano. Ancora una volta semplificando: gli apprendimenti dei bambini, monitorati, documentati e valutati nel corso dell'anno, avvengono all'interno di un sistema di relazioni che producono inevitabilmente cambiamento e quindi apprendimento anche negli adulti che partecipano in quel momento e con quei bambini ai loro successi od insuccessi. Gli insegnanti accorti hanno percepito questo come l'aspetto principale sul quale investire una buona parte delle loro risorse. Per rapportarsi a questa idea di alun-no, occorre ripensare al ruolo dell'adulto all'interno del contesto scolastico. Si tratta di un adulto che deve scegliere sempre tra due alternative: o operare in mo-do predeterminato con obiettivi standardizzati, oppure porsi in un ottica di cam-biamento continuo, cioè di adulto che apprende: è di questi ultimi anni la conia-zione del concetto di formazione permanente che, a nostro avviso implica da un parte la necessità sia di promuovere percorsi formativi di innovazione sul piano metodologico-disciplinare, ma soprattutto la necessità di formare una professio-

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nalità centrata sulla versatilità, cioè sulla capacità di percepirsi in evoluzione all'in-terno di un processo più ampio di cambiamento. In questa seconda accezione l'intervento dell'adulto è essenzialmente un intervento di regia teso a creare situa-zioni che permettano agli alunni di scoprire se stessi a confronto con la realtà che li circonda. L'insegnante nella sua proposta educativa tiene presente le variabili che possono favorirla od ostacolarla: la disposizione degli spazi, dell'arredo e degli oggetti. La gamma degli interventi degli adulti è molto ampia: dal supporto al singolo bambino, allo scambio nel gruppo, con attenzione ai segnali di declino dell'interesse, di impasse ripetitiva, di fuga, ma anche ai contributi creativi ed alla smentita delle previsioni (le cosiddette “prime impressioni”).

L’immagine della scuola si esprime innanzitutto nel momento del primo ap-proccio tra i docenti, gli alunni, i genitori delle classi 1^. Questo dà un imprinting indelebile alla qualità della relazione che si stabilisce tra i protagonsti del contratto formativo. Ad esempio, l’itinerario di lavoro nel corso di un anno di ogni scuola si manifesta anche attraverso espliciti eventi ‘esterni’. Il clima di una scuola che condivide un impegno di solidarietà, che ‘adotta’ un monumento o uno spazio verde, che produce un giornalino, una monografia o una semplice rappresenta-zione teatrale o in video-tape ecc. è di solito molto diverso da quello della scuola in cui gli unici elementi in comune sono la macchina fotocopiatrice e quella per il caffè, ed in ogni classe si lavora poi intensamente in attività prevalentemente i-struttive. Ma anche l’adesione formale a ‘progetti’ pensati e voluti dal di fuori si giustappone all’ordinaria amministrazione e appesantisce ulteriormente il clima anzichè migliorarlo. Si tratta, invece, di recuperare la migliore tradizione della scuola come momento significativo nella vita della comunità, che si esprime at-traverso una attività cooperativa e ‘produttiva’ di esperienze rilevanti: un conte-sto/ambiente di apprendimento in cui trovano opportuna collocazione gli indi-spensabili momenti istruttivi, con una flessibile gestione dei tempi, dei compiti dei docenti, delle attività.

Una scuola che sia ambiente educativo di apprendimento cura anche l’organizzazione degli spazi. Infatti, se le aule in cui operano le diverse classi so-no i principali spazi di attività e la loro strutturazione non evolve gradualmente in rapporto all’attività. Al contrario, - l’identificazione dei locali (aule, corridoi, altri vani) in cui operano classe co-

operanti come area comune di attività (ad esempio, contrassegnata da un co-lore o da un logo guida);

- l’articolazione degli stessi in ‘angoli’ per particolari attività collettive, di pic-colo gruppo o individuali, formali, ludiche o di socializzazione;

- l’ordine della documentazione murale dell’attività e dei materiali di lavoro (an-che con l’impiego di materiale povero come semplici scaffalature costruite con imballaggi di recupero)

sono tutti aspetti molto importanti della progettazione didattica. L’impiego non stereotipo degli spazi è anche condizione per una diversifica-

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zione delle attività, dei gruppi e delle metodologie che possa qualificare l’insegnamento-apprendimento, superando i limiti di una didattica in cui preval-gono le forme collettive e consegnative. Dedicare tempo ed attenzione a questi aspetti operativi nell’ambito della programmazione didattica del gruppo docente, la rende particolarmente utile per un confronto sui comportamenti quotidiani in classe, per la costruzione di quelle intese professionali necessarie per il buon fun-zionamento del team.

2.2. Raggruppamenti degli alunni e individualizzazione L’organizzazione didattica per classi (d’età), in cui prevalgono attività colletti-

ve ed uguali per tutti, che rimane tuttora la modalità operativa più diffusa nella scuola, costituisce il modello di lavoro più coerente con l’ipotesi che i percorsi di apprendimento degli alunni di una certa età presentino una diversificazione limita-ta e comunque riconducibile ad un itinerario comune. Ma anche l’esperienza di-retta dei docenti, oltre che la ricerca, evidenziano che queste ipotesi non reggono, che servono soluzioni diverse se si vuole perseguire il massimo dell’apprendimento per ciascuno. C'è comunque una difficoltà culturale e profes-sionale a superare un modello operativo ormai consolidato, forse perché se ne conoscono e dominano i vantaggi e gli svantaggi mentre altrettanto non si può di-re delle soluzioni alternative.

I percorsi dell’apprendimento e dello sviluppo personale, come si è visto, so-no oggi caratterizzati da una sempre più marcata diversificazione, legata alla dota-zione genetica ed alle opportunità offerte dal contesto famigliare, ambientale e culturale di vita, che configura una ‘pluralità delle intelligenze’, per dirla con Gar-dner. Si pensi solo all’incidenza dell’impiego delle tecnologie della comunicazio-ne (che può andare dalla fruizione passiva ed in solitudine della TV alla interazio-ne multimediale) o della partecipazione a contesti di vita con cultura, lingue, si-stemi di valori molto diversi. L’intreccio di questi fattori e situazioni genera una pluralità di percorsi di formazione individuale che rende sempre più inadeguate le soluzioni didattiche basate sulla relativa omogeneità degli alunni in rapporto ad al-cune caratteristiche comuni, come ad esempio l’età. La consapevolezza della di-versità individuale, l’esigenza e le tecniche dell’individualizzazione -evidentemente- non sono una novità, anzi rappresentano uno dei tratti portanti della ricerca educativa del nostro secolo, pur non essendo ancora una pratica a-deguatamente diffusa nel nostro sistema scolastico. Ma le dimensioni quantitative e qualitative delle diversità sono oggi tali da rendere insufficienti le soluzioni fino-ra adottate e da richiedere un ripensamento radicale. Nella maggior parte dei casi, infatti, il ‘trattamento’ delle diversità è stato orientato a recuperare svantaggi ed a perseguire, attraverso strade diverse, obiettivi -almeno minimi- comuni. In quest’impostazione la diversità dei percorsi viene ancora vista come un’esigenza funzionale, ma la ricerca dell’omogeneità è continua : infatti gli interventi differen-

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ziati sono prevalentemente finalizzati al recupero, cioè puntano alla riduzione -e possibilmente all’azzeramento- dei ‘decalages’ nell’apprendimento rispetto alla classe (d’età) d’appartenenza degli alunni. Inoltre, sono per lo più sottovalutate le esigenze degli alunni (anch'essi a rischio di 'disagio') che per ragioni diverse po-trebbero affrontare livelli di apprendimento più elevati rispetto alla media dell’età, anche solo in alcuni specifici campi. In una parola, prevale un modello didattico egualitaristico, di massa, che tende a livellare, piuttosto che a riconoscere e valo-rizzare tutte le diversità.

Una didattica basata sul riconoscimento e la valorizzazione delle diversità indi-viduali comporta una concezione ed un’organizzazione non selettiva ma cumula-tiva e orientativa del percorso formativo : - non si pone traguardi uguali per tutti ad una certa età, ma persegue il massimo

per ciascuno ad ogni età ; - non richiede di ripercorrere itinerari già percorsi , ma riconosce le competen-

ze comunque acquisite (anche nell’extrascuola), per incrementarle ; - non esprime valutazioni comparative di merito, ma certifica -descrivendole- le

competenze reali -crediti formativi-. Occorre quindi una interpretazione dei programmi, dell’organizzazione didat-

tica e della valutazione che non si basi sull’ipotesi di obiettivi e percorsi omoge-nei, di recuperi, sbarramenti o ripetenze ma su quella di livelli -capitalizzabili- di acquisizione di competenze, sviluppando pienamente -ad esempio- la logica ed il valore di strumenti come il 'portfolio' dell’alunno inteso in modo non burocratico ma formativo.

L’apprendimento e la formazione, infatti, si basano sulla relazione tra il sogget-to con la sua storia e la cultura (rappresentata dagli altri in forma diretta o mediata dagli strumenti della comunicazione -libro, arte, media ecc.-) ; si impara facendo e parlando a sé stessi ed agli altri di quello che si sta facendo (e ciò consente l’acquisizione di meta-competenza ) pertanto il gruppo è il contesto più favorevo-le per apprendimenti significativi, se non è solo un burocratico raggruppamento di alunni, ma è concepito e strutturato come opportunità per misurasi con la ri-cerca della soluzione di qualche problema, in cui dimensione cognitiva, affettiva e sociale s’intrecciano. In questo senso, anche la classe può diventare un gruppo ma è necessario che non sia un’isola e che anche al suo interno non si configuri rigidamente e solo come una serie di banchi allineati : ha bisogno di essere e sen-tirsi parte di una comunità più ampia e di articolarsi in più piccoli gruppi di attivi-tà.

Se si esaminano i diversi tipi di raggruppamento degli alunni (per età, per livello di capacità, per interessi ecc.) si possono evidenziare vantaggi e svantaggi di cia-scuno, così come è evidente che risulta controproducente sia la fissità della clas-se sia una continua variazione dei raggruppamenti ; occorre quindi individuare soluzioni flessibili che siano in grado di massimizzare i benefici formativi e di ri-durre le dispersioni.

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Ad esempio, il valore della classe come contesto sociale di convivenza delle diversità e di condivisione di esperienze significative comuni può risultare ancora maggiore se si applica ad una comunità un po’ più vasta (le classi del modulo o parallele, un piccolo plesso ecc.) che offre la possibilità di uno scambio ricco e di un progetto aperto. A questo scopo, ad esempio, in diverse scuole l’accoglienza degli alunni di prima classe avviene organizzando uno spazio co-mune, alcune attività comuni che consentono loro -e ai genitori- di conoscersi ed ai docenti di osservarli ; successivamente e progressivamente si strutturano dei gruppi in rapporto alle attività proposte ed alle caratteristiche dei bambini e si for-mano le classi .

Anche la formazione di gruppi in rapporto alle capacità ed agli interessi degli alunni può risultare facilitata e funzionale, oltre alla singola classe. Ma ciò che è determinante per una didattica che valorizzi le differenze individuali è un’organizzazione del lavoro articolata in cui la maggior parte del tempo (anche all’interno della classe) non è impegnata nell’insegnamento collettivo e nell’esercitazione individuale uguale per tutti ma nella realizzazione di piani e pro-getti ‘autogovernati’ a coppie, per piccoli gruppi o individuali e con l’impiego di una strumentazione varia, anche se semplice. Ovviamente adottando modalità operative adeguate all’età degli alunni, via via sempre più strutturate ed autono-me.

Infatti, una efficace modalità d'individualizzazione si avvale di tutte le tecniche che consentono di fare in modo che la comunicazione didattica sia differen-ziata a seconda delle caratteristiche degli alunni. Una tecnica molto semplice è quella di prendere un piccolo gruppo di alunni e lavorare con loro. Questo modo di lavorare, se si appoggia ad una organizzazione per classi è una forma di emarginazione; se invece è inserito in una struttura dove i raggruppamenti hanno una loro flessibilità, è una attività ordinaria. Anche questo modo di lavora-re può valersi di una serie di tecniche e di strumenti di vario genere, che vanno dalle schede, ai materiali audiodidattici, all'utilizzo del lavoro di gruppo. Tutte modalità attraverso le quali è possibile fare in modo che ogni soggetto svolga un compito secondo i suoi ritmi e le sue possibilità. Ad esempio, la tecnica d'inse-gnamento individualizzato per schede utilizza materiale strutturato che consente agli alunni di potere autonomamente controllare il lavoro svolto, magari con l'aiuto di un compagno. Una tecnica, quindi, che da un lato fa risparmiare tempo all'insegnante e dall'altro crea una forma di autocontrollo del proprio la-voro da parte dell'alunno, una acquisizione di metacompetenze che poi riman-gono nel tempo.

Inoltre, l'intervento non deve esplicarsi sul sintomo, sulla manifestazione specifica, settoriale, ma deve risalire alla fonte generatrice dell'incertezza; in particolare, l'intervento individualizzato non è attuato come fuga, come sol-lievo, come tendenzialmente emarginante, è invece un momento di impegno non eludibile funzionale ad un ritorno nel gruppo accompagnato da motiva-

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zione, da sicurezza di poter contribuire personalmente all'elaborazione co-mune. In questa prospettiva, trovano spazio anche momenti di 'esercizio' gui-dato ed autonomo che tuttavia non rappresentano né l'unica né la principale strategia d'azione. Si pensi ad esempio alle ancora attuali e stimolanti sugge-stioni offerte da G.Rodari (1973) sull'uso didattico degli errori che, invece di rappresentare solo un mortificante momento di colpevolizzazione, possono di-ventare il punto di partenza, in senso creativo, di svariate attività didattiche per 'giocare con la lingua' e per padroneggiarla in misura sempre maggiore. E sulla stessa linea si pongono le proposte tendenti a valorizzare l'utilizzo di vari tipi di gioco e semplici tecnologie strumentali ed organizzative come, ad e-sempio, le tecniche dell'aiuto reciproco, dell'oggetto mediatore, dello sfondo che tendono ad integrare dimensione cognitiva ed affettiva nell'ap-proccio alle difficoltà di apprendimento in funzione di un loro supera-mento non meramente strumentale o temporaneo.

L'alunno, come ogni persona pressoché a tutte le età, è un soggetto attivo

che, come la psicologia ci ha insegnato, continuamente elabora le informa-zioni che riceve incorporandole negli schemi cognitivi che già possiede o ri-strutturandoli in vari modi. E' nell'interazione con gli altri e nel 'dialogo con sé stessi' che questo processo si realizza affrontando situazioni, compiti e problemi nuovi e diversi. In questa prospettiva, i più accreditati modelli del comportamento insegnante evidenziano in primo luogo l'ascolto, il porre do-mande e stimolare, il dare risposte e ristrutturare o sintetizzare e, solo da ul-timo, il fornire informazioni o dare istruzioni. Inoltre, in particolare l'esperienza con i bambini più piccoli e con gli adolescenti, mostra che l'interazione tra sog-getti con caratteristiche, 'culture' ed età diverse è assai stimolante ed arric-chente anche in ordine agli apprendimenti cognitivi.

Quante 'cose' e abilità vengono imparate senza che nessuno le abbia inse-gnate in modo diretto, strutturato e formale? E quante di quelle apprese in mo-do scolastico si disperdono facilmente? Sono domande certamente retoriche, ma comunque doverose per impostare l'azione didattica nella scuola prima-ria. Infatti, spesso gli insegnanti segnalano la ristrettezza dei tempi e tendono a realizzare interventi molto strutturati nelle attività collettive ed a privilegiare il rapporto di un docente con un alunno per gli interventi di recupero. Al con-trario, come abbiamo ricordato, sono le occasioni 'esplorative' e 'sociali' quelle che vengono considerate più produttive per l'apprendimento e la forma-zione. Un'impostazione dell'attività per 'progetti' da affrontare insieme, a coppie e per gruppi, forme di 'aiuto reciproco' e di condivisione dei compiti, scambi di esperienze rappresentano utili modalità di lavoro didattico che l'arti-colazione dei tempi e delle competenze nella nuova organizzazione della scuola possono e debbono valorizzare, non comprimere come sembra avve-nire nell'ansia quantitativa che investe molti docenti. Sarebbe assai strano, in-

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fatti, che mentre i docenti sono chiamati ad un lavoro in team gli alunni finissero per vedere privilegiati i momenti collettivi e quelli individuali soltanto.

L'esperienza e la ricerca insegnano, piuttosto, che una vita quotidiana nella scuola fatta di ampie e vivaci relazioni umane, di uno scambio con un congruo numero di compagni che portano diverse esperienze, della 'negoziazione' di scelte, procedure, conoscenze ecc. facilitano l'apprendimento significativo più di quanto possano fare la quantità di informazioni presentate, di schede ed e-sercizi svolti, di momenti 'individualizzati' che si configurano come 'ripetizioni'.

La scuola è una delle agenzie educative; essa "concorre" alla formazione ,

con la famiglia ed altri gruppi sociali, nel contesto di una civiltà delle informa-zioni, della televisione e sempre più interculturale. Il criterio pedagogico della continuità (orizzontale e verticale) sintetizza l’idea di

una scuola che non è l'unica agenzia educativa, nè si propone come prioritaria rispetto ad altre, ma che con esse interagisce per svolgere il compito di forma-zione delle dimensioni conoscitiva, relazionale, affettiva, oltre che corporea di ogni alunno. Ciò implica una articolata serie di fattori di qualità e di condizioni operative nella strutturazione organizzativa e nell’impostazione pedagogico-didattica della scuola, in termini di contestualizzazione del servizio rispetto alla domanda dei genitori e della comunità, oltre che di gradualità e progressività del curricolo e delle forme dell’insegnamento-apprendimento.

La costruzione di un ambiente formativo è un processo sociale e dinamico, non lineare. Opportunità di ricostruzione dell’ambiente formativo sono offerte da nu-merose possibilità operative, peraltro parziali, di cui la scuola può oggi disporre: progetti, stage, corsi di recupero, area di progetto, tempo prolungato/flessibile nella scuola media, carta dei servizi e comunicazione istituzionale, ecc.. Il rico-noscimento istituzionale dell’autonomia dovrebbe garantire quegli spazi di flessi-bilità didattica ed organizzativa necessari per la costruzione di ambienti formativi coerenti con i progetti educativi. Spazi, tempi, strumenti, relazioni sono le principali variabili dell’organizzazione didattica strumentale all’attuazione di progetti d’insegnamento-apprendimento. Occorre operare la selezione di situazioni e di ‘setting’ appropriati agli esiti della formazione, ai contenuti del lavoro, alle sue fasi; superando il taylorismo degli o-rari, delle classi ecc. ed individuando soluzioni organizzative funzionali: nella ge-stione d’aula come nell’organizzazione complessiva d’istituto.

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3. Criteri d'orientamento In questa prospettiva, l'organizzazione scolastica della scuola va condotta come: - Interattiva e negoziale - Creativa e problem-solving - Pro-attiva e responsiva - Partecipativa e collaborativa - Flessibile e innovativa - Responsabile e intraprendente - (auto)Valutativa e riflessiva - supportiva e promozionale (Clegg-Billington) con tutti e per tutti i soggetti che partecipano di questo 'mondo della vita'. Infatti, per diventare comunità di apprendimento le scuole, oltre a rispondere alle domande: cosa facciamo, perché e come, devono essere ridefinite come comuni-tà di persone ed idee, (piuttosto che come strutture di edifici e attrezzature, ruoli e funzioni) che sostengono l’insegnamento-apprendimento perchè - credono che tutti gli alunni possono apprendere - credono nella possibilità d’insegnare - offrono un insegnamento focalizzato e organizzato - adattano l’insegnamento ai bisogni degli alunni - anticipano e correggono le misconcezioni degli alunni - usano una pluralità di strategie d’insegnamento - sviluppano un clima positivo caratterizzato da ordine e finalizzazione In conclusione, per costruire un ambiente formativo non basta compilare i mo-delli d’orario settimanale, di disponibilità delle aule e d’attività degli operatori è necessario formulare nuove domande pedagogico-didattiche e co-costruire a-deguate risposte secondo criteri ecologici.

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