Sociologia dell'educazione extrascolastica -...

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1 Sociologia dell'educazione - Indirizzo extra-scolastico - Prof. Alfredo Camerini La sociologia dell'educazione come scienza delle istituzioni e dei processi formativi La sociologia è lo studio delle relazioni tra gli individui all'interno e tra i gruppi in cui essi conducono la loro vita. Questa definizione, appare intuitivamente accettabile in quanto corrisponde alla nostra esperienza quotidiana. Tuttavia l'esperienza è utile, ma non è il solo modo di conoscere le cose. Ciascuno di noi ha un'esperienza molto limitata della vita associata. La sociologia è una scienza, e come tutte le scienze è composta di un certo numero di proposizioni generali collegate tra loro per mezzo di schemi esplicativi e teorie. Questa è una definizione più esauriente: La sociologia è la scienza che studia, con propri metodi di indagine e tecniche di ricerca empiriche (volte cioè a produrre direttamente i propri dati) e non empiriche, i fondamenti, i fenomeni essenziali, i processi ricorrenti di strutturazione e destrutturazione, le manifestazioni tipiche della vita associata e le loro trasformazioni, i condizionamenti che i rapporti e le relazioni sociali esercitano sulla formazione e sull'azione degli individui e che gli individui esercitano su di loro, quali si ritrovano globalmente nella società e in ogni tipo di collettività, seppure in minor scala [GALLINO, 1993]. Diversamente da un tempo, i modelli di socializzazione avvengono e si sviluppano in misura crescente attraverso una pluralità di tempi di formazione, di tipologie di utenza, di soggetti gestori, di agenzie, di modi e mezzi della comunicazione educativa. La Sociologia dell'educazione non si sofferma esclusivamente a considerare i fenomeni relativi al sistema scolastico, di cui peraltro si ètradizionalmente occupata, ma estende il suo ambito di osservazione anche ad altri fenomeni per accentuare il proprio carattere di conoscenza sociologica applicata alla pluralità delle istituzioni e dei processi educativi. L’educazione è oggetto di studio di differenti discipline , ciascuna delle quali é caratterizzata da specifici paradigmi e specifiche metodologie di analisi. La sociologia dell’educazione nasce e si afferma come scienza specialistica analitico/empirica avente come oggetto di studio i processi e le istituzioni educative. Quale lo specifico sociologico nell'analisi dell'educazione? Diversamente dalla pedagogia, che tende ad assumere un orientamento normativo, la sociologia dell'educazione mira alla comprensione /interpretazione dei processi e delle istituzioni educative . E' solo su questa base che l'analisi sociologica puo' dare strumenti anche per l’azione e la progettazione. Lo sviluppo della Sociologia dell'educazione in Italia a partire dagli anni sessanta, con lo studio dei condizionamenti sociali alla riuscita scolastica. La trasformazione da analisi sociologica dell'istituzione scolastica a scienza sociologica di tutti i processi e le istituzioni formative, con attenzione anche alla socializzazione informale e diffusa. (cfr. introduzione di V. Cesareo al testo di E. Besozzi, Elementi di Sociologia dell'educazione ) Tutta la sociologia dell'educazione sia nella sua fase fondativa che nella fase di più piena affermazione fino agli anni settanta ha posto molta attenzione alla scuola e ai rapporti tra scuola e stratificazione sociale, analizzando in particolare i condizionamenti sociali, i processi selettivi

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Sociologia dell'educazione - Indirizzo extra-scolastico - Prof. Alfredo Camerini

La sociologia dell'educazione come scienza delle istituzioni e dei processi formativi La sociologia è lo studio delle relazioni tra gli individui all'interno e tra i gruppi in cui essi conducono la loro vita. Questa definizione, appare intuitivamente accettabile in quanto corrisponde alla nostra esperienza quotidiana. Tuttavia l'esperienza è utile, ma non è il solo modo di conoscere le cose. Ciascuno di noi ha un'esperienza molto limitata della vita associata. La sociologia è una scienza, e come tutte le scienze è composta di un certo numero di proposizioni generali collegate tra loro per mezzo di schemi esplicativi e teorie. Questa è una definizione più esauriente: La sociologia è la scienza che studia, con propri metodi di indagine e tecniche di ricerca empiriche (volte cioè a produrre direttamente i propri dati) e non empiriche, i fondamenti, i fenomeni essenziali, i processi ricorrenti di strutturazione e destrutturazione, le manifestazioni tipiche della vita associata e le loro trasformazioni, i condizionamenti che i rapporti e le relazioni sociali esercitano sulla formazione e sull'azione degli individui e che gli individui esercitano su di loro, quali si ritrovano globalmente nella società e in ogni tipo di collettività, seppure in minor scala [GALLINO, 1993]. Diversamente da un tempo, i modelli di socializzazione avvengono e si sviluppano in misura crescente attraverso una pluralità di tempi di formazione, di tipologie di utenza, di soggetti gestori, di agenzie, di modi e mezzi della comunicazione educativa. La Sociologia dell'educazione non si sofferma esclusivamente a considerare i fenomeni relativi al sistema scolastico, di cui peraltro si ètradizionalmente occupata, ma estende il suo ambito di osservazione anche ad altri fenomeni per accentuare il proprio carattere di conoscenza sociologica applicata alla pluralità delle istituzioni e dei processi educativi. L’educazione è oggetto di studio di differenti discipline , ciascuna delle quali é caratterizzata da specifici paradigmi e specifiche metodologie di analisi. La sociologia dell’educazione nasce e si afferma come scienza specialistica analitico/empirica avente come oggetto di studio i processi e le istituzioni educative. Quale lo specifico sociologico nell'analisi dell'educazione? Diversamente dalla pedagogia, che tende ad assumere un orientamento normativo, la sociologia dell'educazione mira alla comprensione /interpretazione dei processi e delle istituzioni educative. E' solo su questa base che l'analisi sociologica puo' dare strumenti anche per l’azione e la progettazione. Lo sviluppo della Sociologia dell'educazione in Italia a partire dagli anni sessanta, con lo studio dei condizionamenti sociali alla riuscita scolastica. La trasformazione da analisi sociologica dell'istituzione scolastica a scienza sociologica di tutti i processi e le istituzioni formative, con attenzione anche alla socializzazione informale e diffusa. (cfr. introduzione di V. Cesareo al testo di E. Besozzi, Elementi di Sociologia dell'educazione) Tutta la sociologia dell'educazione sia nella sua fase fondativa che nella fase di più piena affermazione fino agli anni settanta ha posto molta attenzione alla scuola e ai rapporti tra scuola e stratificazione sociale, analizzando in particolare i condizionamenti sociali, i processi selettivi

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all'interno della scuola, le relazioni tra esiti scolastici e mobilità sociale. Quindi: ? attenzione centrale alla scuola ? riduzione della diversità a disuguaglianza con risposte differenti nei diversi approcci (

attenzione alle definizioni di uguaglianza e alle possibilità di mobilità) I fondamenti dello studio del rapporto educazione-società Socializzazione ed educazione Noi siamo abituati a parlare di socializzazione, comprendendo con questo termine,

in senso lato, il processo attraverso il quale l’individuo entra in rapporto con la

società di riferimento ed assume alcuni modelli di comportamento ritenuti

“adeguati” in base ai valori di questa società. La s ocializzazione quindi non è altro

che la dinamica attraverso la quale si costruisce e si sviluppa il rapporto

individuo- società (M. Laeng).

Nella società contemporanea, caratterizzata da un alto livello di complessità

e da dinamiche di socializzazione che non possono prescindere dai vari sistemi in

essa presenti, diventa sempre più arduo e difficoltoso parlare di educazione.

Ecco quindi che diventa indispensabile mettere a fuoco alcuni concetti

chiave della teoria dei sistemi quali quelli di is t i tuzione, sistema, sottosistema,

senso ; concetti che fungono da quadro di riferimento, da sfondo a tutte le

problematiche e le dinamiche educative.

Socializzazione

É' il processo attraverso il quale gli individui diventano membri effettivi di una collettività, acquisendo i sistemi di significato e i modelli di comportamento in essa consolidati e le abilità e le competenze necessarie a svolgere molteplici ruoli sociali. Si tratta quindi di un processo che riveste un’importanza fondamentale sia per gli individui (per la loro formazione e immissione nei normali rapporti sociali) sia per le sorti della società, per la capacità del sistema sociale di riprodurre le sue condizioni di esistenza, garantendosi la sopravvivenza da una generazione all’altra. Con la socializzazione i modelli culturali vengono trasmessi tramite apprendimento e interiorizzazione. La socializzazione è distinta convenzionalmente in socializzazione primaria e secondaria, ma prosegue per tutta l'esistenza dell'individuo. Si sviluppa mediante i meccanismi psicologici dell'imitazione, dell'identificazione e del premio/punizione La socializzazione primaria copre i primi anni di vita del bambino, in genere grosso modo fino al raggiungimento dell’età scolare e costituisce la base di ogni futura forma di socializzazione. Si può definire la socializzazione primaria l’insieme di quei processi che sono volti ad assicurare la formazione delle competenze sociali di base. durante questa fase il bambino apprende e fa propri i modelli sociali e culturali attraverso cui percepire il mondo e

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organizzare i propri bisogni, apprendendo al contempo le forme di comunicazione (linguaggio), gli orientamenti di valore e i modelli normativi. La socializzazione secondaria si colloca nella fase temporale successiva a quella primaria, e prosegue per tutto l’arco del ciclo di vita. Si può definire la socializzazione secondaria l’insieme di quei processi volti alla formazione delle competenze specifiche richieste dall’esercizio dei vari ruoli sociali, così contribuendo alla formazione complessiva della personalità sociale. si parla di socializzazione secondaria anche nel caso in cui si assimilano il linguaggio, i valori, le norme e le regole di un nuovo contesto socioculturale in età adulta. Questa distinzione appare netta soltanto a livello concettuale, tra le due fasi in realtà non vi è una drastica soluzione di continuità e il passaggio dall’una all’altra avviene di fatto in modo graduale. Gli elementi del processo di socializzazione primaria sono: L'attaccamento La vita del neonato dipende dal rapporto che si stabilisce con chi lo accudisce e al contempo ne soddisfa e ne regola i bisogni. Si sviluppa, così, un rapporto carico di affettività tra la madre, dispensatrice di soddisfazioni, e il bambino che manifesta ‘attaccamento’ nei suoi confronti. Allo stesso tempo la madre, nel soddisfare i bisogni del bambino, incomincia a stabilire delle regole (relative, ad esempio, ai ritmi dell’allattamento), sulla base delle quali si formano delle aspettative reciproche di comportamento I premi e le punizioni Come abbiamo visto, nell’interazione tra adulto e bambino si vengono a stabilire delle regole. L’applicazione di regole comporta sempre in qualche modo un premio per il comportamento ad esse conforme e una punizione per il comportamento che da esse si discosta. Non sempre ricompense e punizioni hanno l’effetto di rafforzare il comportamento desiderato in quanto la loro efficacia dipende da una serie di fattori che riguardano il contesto dell’interazione. Ad esempio: la coerenza con la quale le sanzioni vengono applicate (talvolta accade che lo stesso comportamento del bambino venga a volte premiato e a volte punito). L’immediatezza della risposta (una risposta tardiva indebolisce l’effetto della sanzione). Ma, soprattutto, in particolare nel caso di punizioni, l’effetto può essere diverso e addirittura opposto a quello che l’educatore intende realizzare (la punizione può essere temuta a tal punto da far scattare comportamenti aggressivi o indurre a mentire). Quanto più nelle pratiche di socializzazione tenderanno a prevalere le sanzioni positive di tipo affettivo, tanto più le prescrizioni ricevute diventeranno delle norme interiorizzate. L’altro generalizzato Affinché l’interiorizzazione delle norme avvenga in modo adeguato è necessario che il bambino estenda i propri termini di riferimento dalle figure dei genitori al contesto sociale extra – familiare. Questo sviluppo è indicato da George H. Mead con il concetto di altro generalizzato , che corrisponde ad un vero e proprio processo di ‘decentramento’. Il bambino si trova ad agire in una cerchia di persone allargata e quindi, man mano che cresce, opera un’astrazione e generalizzazione dai ruoli e dagli atteggiamenti delle figure parentali ai ruoli e agli atteggiamenti in generale. In questo modo, i valori, le norme e le conoscenze che il bambino ha ricevuto dai genitori vengono rafforzate e sostenute dagli altri e assumono quindi una generalità sempre più ampia fino ad includere la società nel suo complesso. Se prima il bambino obbediva ad una norma per gratificare il genitore, ora egli la rispetterà autonomamente, poiché essa è venuta a far parte dell'immegine che egli sié fatto di se stesso, cioè della sua identità. L’identità personale

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Da un punto di vista analitico si possono distinguere due componenti nel processo di formazione dell’identità: una componente di identificazione e una componente di individuazione. Con la prima il soggetto fa riferimento alle figure rispetto alle quali si sente uguale o simile e con le quali condivide determinati caratteri: l’identificazione conduce alla formazione del senso di appartenenza a un’entità collettiva definita come ‘noi’ (la famiglia, il gruppo dei pari, la nazione, …). Con la componente di individuazione, al contrario, il soggetto fa riferimento alle caratteristiche che lo distinguono dagli altri, sia dagli altri gruppi ai quali non appartiene, sia dagli altri membri del proprio gruppo rispetto ai quali il soggetto si distingue per le proprie caratteristiche fisiche e morali e per una propria storia che è sua e di nessun altro. Socializzazione e classi sociali Le pratiche di socializzazione sono estremamente variabili non solo nel tempo (nella società vista in epoche diverse) e nello spazio (in società diverse), ma anche all’interno della stessa società in ogni dato momento storico. Varie ricerche hanno dimostrato che la collocazione di classe, la condizione professionale e la natura specifica del lavoro svolto influenzano i valori, gli atteggiamenti e le pratiche educative dei genitori. Le principali agenzie di socializzazione secondaria sono: la scuola L’ingresso nella scuola segna convenzionalmente l’inizio della socializzazione secondaria. La figura dell’insegnante è quella del portatore di un ruolo sociale specifico; nell’interazione con l’insegnante il bambino impara prima di tutto modelli di comportamento adeguati ad una situazione definita in termini di autorità assai più impersonali di quelli esperiti nella situazione familiare. Inoltre, in questa sede, il bambino imparerà a strutturare la propria azione in termini di rapporto mezzi/fini. Le sue prestazioni infatti saranno valutate e sanzionate negativamente o positivamente mediante un sistema di disincentivi e incentivi. Lo scolaro viene quindi indotto al confronto, alla competizione, oppure viene stimolato a cooperare con i suoi compagni per il raggiungimento di un obiettivo comune. Il gruppo dei pari Nel gruppo dei pari si instaurano relazione simmetriche tra gli individui, poiché non esistono rapporti sanzionati da autorità o di subordinazione. I rapporti all’interno di un gruppo di pari si collocano tra le due polarità della solidarietà e della competizione. L’agire solidaristico si fonda sul sentimento di appartenenza in virtù del quale i membri di un gruppo sottolineano ciò che li accomuna e quindi li rende uguali; l’agire competitivo si fonda, invece, sul sentimento di individualità e tende a differenziare tra loro i membri del gruppo. Il momento nel quale un individuo entra a far parte di un gruppo è ritualisticamente segnato dal superamento di una prova (ad esempio i riti di passaggio tra un gruppo di età e quello successivo in molte società premoderne), oppure da cerimonie solenni che segnano drammaticamente la transizione e l'ingresso in una nuova condizione come, ad esempio, i riti di iniziazione. I media: La loro influenza interferisce e si sovrappone a quella degli altri agenti di socializzazione. Essi influiscono in misura assai cospicua non solo nella trasmissione di informazioni e conoscenze, ma nella formazione di atteggiamenti, opinioni e comportamenti relativi alle più diverse sfere di attività. L’esposizione ai loro messaggi può infatti indebolire o rafforzare l'efficacia dell'azione degli altri mezzi di comunicazione.

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Altre agenzie di socializzazione secondaria sonoi: l'organizzazione lavorativa, l'organizzazione religiosa, l'organizzazione politica ed altre organizzazione delle quali gli individui possono entrare a far parte.

La Socializzazione La vita sociale richiede competenza. Occorre imparare a muoversi in essa. Viviamo in un mondo già fatto e dobbiamo conoscerlo. La società si presenta come un insieme variegato e complesso di regole e significati, di ruoli e di posizioni. Inoltre la società sopravvive molto più a lungo dei suoi membri, che almeno in parte si trasferisce di generazione in generazione. La socializzazione è quel processo tramite cui un individuo diventa parte della società in cui è nato e con cui una società trasmette nel tempo il proprio patrimonio culturale garantendo una continuità tra generazioni. Questo processo è universale, ma i contenuti cambiano I meccanismi della socializzazione sono in parte contenute nel nostro patrimonio genetico (come tendenze e predisposizioni) in parte connessi a meccanismi piscosociale (adattamento e interazione). - I meccanismi biologici-genetici sono: tendenze innate (es. quoziente intelligenza o temperamento personale) predisposizioni innate ad apprendere (LAD Language acquisition device) Il contesto li deve far funzionare - I meccanismi psicosociali sono: ricompense e punizioni; imitazione; identificazione (coinvolgimento affettivo più forte tra il soggetto e il suo modello) Differenza tra punizione (immediata, coerente) e premio (affetto). Tanto più le ricompense sono di approvazione e sostegno tanto più le prescrizione diventeranno norme interiorizzate H. Mead: il rapporto complesso tra Io me e sé. * Socializzazione primaria: si impara ad avere a che fare con una struttura sociale strutturata Ruoli, posizioni. Quindi più che contenuti specifici, una impostazione di fondo. Competenze sociali di base. Meccanismo centrale è quello dell’altro generalizzato. Con questo processo, il bambino impara a guardare sè stesso dal di fuori, imparando a riconoscere le regole che tutti devono rispettare e a assumere gli atteggiamenti che gli altri assumono nei nostri confronti durante le attività che ci mettono in rapporto con gli altri Passaggio dall’altro significativo (mio padre) all’altro generalizzato (il padre), cioè standardizzazione di alcune figure che consente l’anticipazione di ruoli adulti, che incarnano e richiedono norme di comportamento che fanno riferimento a valori universali Atteggiamento verso il gioco: prima fase del gioco semplice (play) il bambino assume i ruoli degli adulti della propria comunità di appartenenza, perché egli continuamente evoca in sè le risposte ai propri atti sociali. Imita (ma è qualcosa di più) gli altri. Un caso tipico è la bambola. La seconda fase è quella del gioco organizzato (game), che implica uno svolgimento definito e delle regole che devono essere rispettate da tutti. Il bambino non deve assumere solo il ruolo dell’altro, ma tutti i diversi ruoli dei partecipanti e controllare la propria azione in relazione a essi Egli sa interiorizzare le reazioni organizzate degli altri alla sua azione nelle differenti fasi e posizioni del gioco e queste reazioni organizzate sono l’altro generalizzato, che accompagna e controlla la sua condotta. Non si rispetta più la regola per compiacere al papà, ma le rispetterà autonomamente Questo processo avviene mediante i comportamenti; non è consapevole: si acquisiscono schemi interpretativi, lo scheletro dell’interpretazione che permette di vivere in società, e più in particolare in quella società

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In questa maniera il bambino arriva a interiorizzare nella propria coscienza le aspettative sociali. I comandi non sono più percepiti come esterni, ma gli vengono da dentro. In questo senso, la socializzazione è essenziale per la formazione dell’identità individuale. Socializzazione e costruzione della propria identità. La costruzione dell’identità personale è un lungo percorso per rispondere alla domanda: chi sono? Prima fase riconoscere l’esistenza di un mondo esterno (madre) e delimitare i confini seconda fase distingue madre dagli altri terza fase tipizzazione sessuale e di genere rapporto orizzontali la formazione dell’identità personale è quindi parallela alla scoperta e elaborazione cognitiva del mondo sociale che appare differenziato e complesso. Fiducia di base e riconoscimento di sè. Tale processo è graduale e mai definitivo e include tre aspetti relativi alla dimensione cognitiva (familiarizzazioe con regole e linee di comportamento accettabili); affettiva (assimilazione di valori che orientano il comportamento) e espressiva simbolica (apprendimento dei segni e delle modalità comunicative appropriate per la comunicazione) * La socializzazione secondaria Ha carattere provvisorio e incompleto, lento e graduale; interattivo e multidirezionale: negoziazione tra l’attore e il sistema informale: passa non in situazione strutturata di apprendimento, ma dalle ricchezza dell’ambiente che si frequenta Ad ogni stadio ruoli nuovi e nuovi altri (es. nascita di un fratello). Occorre socializzarsi alla nuova situazione. Crisi di identità individuale I due momenti sono Individuazione (il soggetto fa riferimento alle figure alle quali si sente uguale) vs identificazione (appartenenza ad una entità collettiva) La socializzazione dunque dura tutta la vita Due differenti sottolineature: Parsons accentua il significato di interiorizzazione delle norme Mead sottolinea il processo di formazione del sè sociale Socializzazione alla rovescia: quando le nuove generazioni educano le vecchie Risocializzazione: es. i campi di concentramento. Istituzioni totali Socializzazione anticipata: si assumono comportamenti e valori del gruppo al quale si desidera appartenere Socializzazione e classi sociali. La riproduzione delle disuguaglianze (mete, obiettivi...) e la dinamica sociale Agenzie di socializzazione: enti luoghi istituzioni, gruppi all'interno dei quali i soggetti in cui si imparano le regole sociali e a essere membri competenti della società Esse contribuiscono insieme ala stabilità e al mutamento della società e possono anche essere in conflitto tra loro i) Famiglia : Trasformazione recente. Diversità dei valori interni e dell’ambiente; esperienze anche precoci diverse (nido); instabilità; questione di genere.

In linea generale, si ha un restringimento e una specializzazione delle funzioni della famiglia come agente di socializzazione. Es. nel campo dell’educazione. Specializzata nella maturazione e gratificazione affettiva

Socializzazione di genere. Centralità del ciclo di vita: matrimonio, nascita primo figlio, adoloscenza, abbandono, relazione tra adulti

ii) Scuola : la maestra non è la mamma e in più ci sono i compagni. Inoltre la funzione della scuola è diversa. Progressiva spersonalizzazione. Le differenze personali vengono per lo più tollerate

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La sua funzione non passa solo per i programmi e contenuti. Ma anche per i comportamenti espliciti e impliciti, per i ruoli e le aspettative di cui è composta la vita quotidiana della scuola. Vi sono poi compagni che sono un altro canale. Inoltre è sottoposto ad un sistema di valutazione formale: la scuola è anche un meccanismo di selezione formale (competizione)

Nascita della scuola pubblica nel ‘800 e ‘900, e riduzione peso della famiglia in questo campo. Scuola di massa e problema del rapporto tra la scuola e la famiglia iii) Gruppo dei pari : rapporto fra i suoi membri di tipo paritario e simmetrico dovuto al fatto che hanno in comune alcune condizioni di sfondo: età, ruoli identici, condizioni sociali. Pari grado. I gruppi possono essere più o meno formali: ma la situazione è doverosa perché manca la subordinazione che è tipica della famiglia e della scuola. Ciò offre la possibilità di ridefinire i contenuti della loro socializzazione senza doversi adeguare a modelli imposti. Ci si può staccare da quello che si è imparato, si può essere protagonisti Sperimentazione dell'opposizione Fase della vita adoloscenza e gioventù. Persone che sono fisicamente e intellettualmente mature che possono sperimentare ruoli di tipo affettivo, sessuale, lavorativo o intellettuale sneza doverne scegliere qualcuno in maniera risolutiva. Fase di sperimentazione e transizione caratterizzata da incertezza e inquietudine Riti di passaggio Costruzione sociale dell’adolescenza e nascita della cultura giovanile. Vi sono tratti distintivi che accomunano e che differenziano i giovani dal resto della società: importanza dei valori della spontaneità , della sincerità dell’autenticità in alternativa alla formalità e convenzionalità degli adulti. Appartenenza di gruppo come manifestazione della propria identità. Musica e abbigliamento. Codici propri Controcultura e subcultura giovanile. Ormai componente fondamentale della società e delle sue dinamiche ‘68: contestazione. Nuovi valori, creatività, non consumismo e non manterialismo, autorealizzazione, sperimentazione. Femminismo anni ‘80: riflusso, importanza vita quotidiana e esistenza privata anni ‘90 cultura dell’adattamento: strategia per sopravvivere in un mondo problematico e incontrollabile, combinando cose diverse. Bricolage. Si lavora e si studia. Progettualità giovanile come ricerca di senso per la propria vita oppure adattamento pragmatico, senza valori? iv) I mass media (vedi lezione precedente): Conflitti tra i diversi ruoli (role set) e tra le diverse agenzie Valori diversi; gratificazione diverse; coerenza interna diversa Modelli incoerenti. Pluralità e contraddizione Ricerca e costruzione di una identità in una società complessa. Due metafore: il pellegrino; il turista e il vagabondo. Spazio sociale e estetico Personalità eterodiretta e autodiretta La nascita di nuove forme di identità collettiva Crescere in una società che ha perso le tradizionali forme di integrazione. Dai problemi di repressione-alienazione a quelli di depressione. Centralità della performances e eccesso delle possibilità. Erikson U.H., Infanzia e società, Armando Roma, 1972 Cesareo V., Socializzazione e controllo sociale, Angeli, 1995 Besozzi E., Elementi di sociologia dell'educazione, Nis Roma, 1993

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MODELLI DI SOCIALIZZAZIONE Tre gli approcci principali che prenderemo in considerazione, contenitori teorici declinati diversamente dagli autori che ad essi sono collegati :

− approccio integrazionista/funzionalista, − approcci conflittualisti − approcci comunicativo/relazionali.

Sono riferibili in maniera semplificata a differenti momenti storici. O, meglio, i singoli approcci nascono in momenti diversi, con riferimento comunque ad autori "classici" delle Scienze Sociali (non solo della Sociologia in senso stretto) e si affermano storicamente con percorsi intrecciati che vedono, comunque, nell’itinerario specifico di costruzione della Sociologia dell’educazione, il predominio di tempo in tempo dell’uno o dell’altro approccio. Possiamo tuttavia agevolmente sostenere che i tre tipi di approccio convivono e, di periodo in periodo, tendono a dominare uno sull’altro, nel senso di divenire punto di riferimento, percorso di analisi e di ricerca utilizzato prevalentemente in una certa parte del mondo, senza tuttavia che gli altri approcci scompaiano. Nel cammino accademico della Sociologia dell’educazione, l’approccio integrazionista domina fino alla fine degli anni sessanta, gli approcci conflittualisti diventano riferimento prevalente degli studi e delle ricerche degli anni settanta/metà anni ottanta, gli approcci comunicativo/relazionali tengono il campo oggi. SCHEMA DEI PRINCIPALI MODELLI DI SOCIALIZZAZIONE Fonte: E. Besozzi, Elementi di sociologia dell’educazione, p.90 I tre modelli sostanzialmente differiscono in relazione all'analisi:

− della costruzione del legame tra soggetto e società − delle fasi e delle età della vita coinvolte in educazione − delle relazioni tra socializzando e socializzatore − delle agenzie.

LA PROSPETTIVA INTEGRAZIONISTA La prospettiva integrazionista ha dominato la riflessione sociologica per tutta la prima metà di questo secolo, anche se a fianco di essa sono convissute e sono state importanti anche altre prospettive. Il paradigma nasce con Durkheim e trova la sua compiuta espressione, ma anche trasformazione, in T.Parsons. Nell'analizzare l'approccio di E. Durkheim, occorre tener presenti due preoccupazioni con cui l'autore si avvicina allo studio dell'educazione: -l'individuazione di un metodo scientifico-sociologico con cui analizzare i fenomeni sociali; -dare una risposta ad un interrogativo teorico-politico di carattere generale "come è possibile la solidarietà sociale nella società moderna". D. sistematizza in una cornice sociologica una lettura dell'educazione che, nei suoi indicatori fondamentali, rimane guida all'interpretazione fino agli anni settanta, per essere poi totalmente rovesciata. Educazione come FATTO SOCIALE (esteriorità e coercizione) Nel saggio, L’educazione, la sua natura e il suo ruolo - in V. Cesareo (a cura di), La sociologia dell’educazione, Hoepli, Milano 1972 - E.Durkheim definisce l'educazione come FATTO SOCIALE (avente i caratteri della esteriorità e della coercizione) e, in specifico, come "insieme di pratiche e di istituzioni che si sono lentamente organizzate nel tempo, che sono solidali con tutte le altre istituzioni sociali e le esprimono e che, di conseguenza, non possono essere modificate a piacimento più della stessa struttura della società."

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Per capire cosa è educazione bisogna quindi osservare pratiche e istituzioni, analizzare come si sono formate e sviluppate, capire a quali necessità rispondono, in prospettiva storica e comparativa. No a visioni idealistiche. Educazione come TRASMISSIONE di

NORME VALORI STATI d'ANIMO (fisici, psichici, intellettuali)

da adulti ai giovani "immaturi", in un contesto concreto di pratiche e istituzioni e in una prospettiva di conformazione dell'individuo ai costumi della società. "E' illusorio credere che noi possiamo allevare i nostri figli come vogliamo. ci sono dei costumi cui siamo tenuti a conformarci; se ce ne allontaniamo troppo, essi si vendicano sui nostri figli." L'educazione è processo morale e cognitivo assieme. Attraverso l'educazione si opera la costruzione dell'essere sociale L'educazione come creazione socialmente determinata L'uomo nasce tabula rasa (e le pulsioni antisociali?) L'uomo è creatura complessa,diversa dall'animale, e ha bisogno di un lungo training guidato dall'adulto. ORDINE SOCIALE E EDUCAZIONE Quale posto ha l'educazione nella società moderna, nella società della differenziazione e della divisione del lavoro. Come si caratterizza? Come è possibile l'ordine sociale in un contesto di differenziazione crescente e in cui assume una valenza positiva il processo di individualizzazione ? La moderna società organica è costruita su "un sistema di funzioni differenti e specifiche,unite da rapporti definiti". La solidarietà passa attraverso la differenza, vista positivamente come molla di progresso della società. Emergono attraverso le differenziazioni le personalità individuali. La base della solidarietà è la stessa divisione del lavoro, nella misura in cui "l'individuo diventa consapevole del suo stato di dipendenza nei confronti della società e del fatto che da questa provengono le forze che lo trattengono e lo premono". Emergono, attraverso i processi di differenziazione, le personalità individuali e la coscienza collettiva deve lasciar scoperta una parte della coscienza individuale. Cadono le grandi coscienze sacrali, si indebolisce la coscienza collettiva. E' la stessa società a generare l'individualizzazione, ad aver bisogno dell'individualizzazione, ma come superare la contrapposizione tra individuo e società, come garantire la solidarietà, l'ordine, l'integrazione sociale? I fatti psichici non diventano in realtà per D. indipendenti dai fatti sociali; è la società a definire gli stati di coscienza "normali" per ogni momento storico e per ogni contesto. C'è un primato storico, logico e morale della società sull'individuo. "Il risultato a cui egli perviene è infatti paradossale, in quanto attribuisce alla dimensione strutturale e sistemica la capacità di produrre un'integrazione sociale fondata su un'adesione - consapevole, dati l'autonomia e lo sviluppo della coscienza individuale - ai valori e alle norme collettive."(Besozzi 1990,39). Anche la divisione del lavoro - fonte di solidarietà nella società organica, può generare o mescolarsi a tendenze disgregatrici. Anche se D. non assegna esplicitamente all'educazione un ruolo centrale nella costruzione della solidarietà, è probabilmente proprio l'educazione - come insieme di pratiche e di istituzioni esplicite - la strategia centrale per garantire la costruzione del consenso. Attraverso l'educazione si costruisce l'essere morale che,nella sua concezione, è l'essere sociale. Ma forse proprio anche per questo l'immagine durkheimiana di educazione è tutta imperniata sulle finalità di conformazione e normalizzazione. Attraverso l'educazione passa sia l'omogeneizzazione (educazione una) che la differenziazione dei soggetti (educazione molteplice) necessaria alla società.

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EDUCAZIONE UNA: "La società può vivere soltanto se esiste tra i suoi membri un'omogeneità sufficiente: l'educazione la conserva e la rafforza fissando nel bambino le fondamentali uguaglianze richieste dalla vita collettiva". Attraverso l'educazione una si costituiscono nel soggetto quell'insieme di principi che generano il senso di appartenenza e la comunione sociale. Sostanzialmente attraverso l'educazione una - prioritaria per la società - si costruisce una sorta di coscienza collettiva laica che garantisce il mantenimento della coesione sociale all'interno di una determinata società. L'agenzia centrale per l'educazione una è la scuola pubblica, una scuola sotto il controllo dello Stato (anche se è possibile la gestione privata) che individua all'interno della società l'insieme dei principi di base "irrinunciabili" per la costruzione della solidarietà sociale e garantisce che essi vengono trasmessi a tutti gli individui. Gli insegnanti devono essere i "sacerdoti laici" di questa trasmissione. L'EDUCAZIONE MOLTEPLICE, specifica dei differenti settori della società (e in primo luogo educazione alle differenti attività professionali) è invece demandata alle associazioni (corporazioni) di categoria. Per E. Durkheim esiste una equazione piena tra EDUCAZIONE e SOCIALIZZAZIONE -Primato valoriale della società e uomo orizzontale Ciò che è sociale è morale Il sociale è il bene dell'uomo: "L'uomo, in effetti, non è uomo che in quanto vive in società" "L'uomo volendo la società vuole se stesso" L'uomo orizzontale, la preoccupazione positivista e non religiosa di definire l'uomo. -L'individuo "libero" è sociale. L'INDIVIDUALITA' E' NORMA DELLA SOCIETA' MODERNA. BISOGNA essere individui. Almeno per quanto riguarda la tematica educativa, E. Durkheim propone una visione ULTRASOCIALIZZATA dell'uomo in chiave progettuale, in direzione della moderna società da costruire. La prospettiva integrazionista di Durkheim viene letta e specificata in chiave funzionalista da T. Parsons , nella cui immagine la socializzazione procede attraverso progressive specificazioni e differenziazioni funzionali, consistendo sostanzialmente nella acquisizione delle competenze e degli orientamenti necessari ad un agire per RUOLO. Parsons adotta sostanzialmente l'idea del legame morale tra individuo e società e dell'adesione volontaristica del soggetto al gruppo sociale. Si possono individuare varie fasi nel lavoro parsonsiano e anche oscillazioni tra il polo della volontarietà dell'azione sociale e il polo dell'adattamento sociale. L'enfasi sulla conformità tende tuttavia a far relegare nell'irrilevante o nel patologico tutto quanto non rientra in quell'area. Ci sono comunque spazi di possibile non conformismo, che del resto trovano possibilità di fondamento teorico nel concetto contemporaneamente volontaristico e normativamente orientato di azione sociale, "in quanto poggia su bisogni,motivazioni,scelte del soggetto e su un processo di selezione delle alternative possibili in base a criteri che fanno riferimento a norme e valori" (Besozzi 1990,50). Assumendo la prospettiva morale durkheimiana, Parsons entra DENTRO il processo di socializzazione, cercando di cogliere non solo i fini e i contenuti, ma anche i percorsi e le strategie della socializzazione. In questa direzione : -si rifà all'apporto di discipline non sociologiche, ma psicologiche e psicanalitiche, attingendo a paradigmi non sempre compatibili tra di loro; -adotta una prospettiva di combinazione micro-macro, dove il micro è un frammento olografico del macro (cfr.La classe scolastica come sistema sociale). "il processo di socializzazione costruisce quindi il legame tra il sistema della personalità e il sistema della cultura (interiorizzazione dei valori) da un lato e con il sistema sociale dal'altro (assunzione di

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ruoli):esistono pertanto delle relazioni strette tra i meccanismi di socializzazione (interiorizzazione dei valori e delle aspettative di ruolo), i meccanismi di controllo sociale e i processi di assegnazione del sistema sociale" (Besozzi 1990,62) Nell'analisi parsonsiana i tre sistemi (più uno) I -sociale (interazione tra posizioni e ruoli sociali) L -culturale G -della personalità A -organismo (adattamento biologico all'ambiente) sono contemporaneamente:

.irriducibili uno all'altro

.relativamente indipendenti

.complementari e interdipendenti

.interpenetranti ."fatti della stessa stoffa", soprattutto dal punto di vista dei valori. I valori condivisi costituiscono l'elemento di coerenza e continuità. "la socializzazione è..il processo che attiva questi legami di interdipendenza tra il sistema della personalità, il sistema della cultura e il sistema sociale" (Besozzi 1993,59) Per Parsons quindi la socializzazione si sostanzia dei successivi apprendimenti relativi a - orientamenti di valore - impegni e capacità necessari al funzionamento nei ruoli. E' soprattutto nella socializzazione primaria e soprattutto attraverso i fondamentali meccanismi di identificazione che si interiorizzano tutti quegli orientamenti di valore mediante i quali si costituisce la struttura della PERSONALITA' FONDAMENTALE. La famiglia (nucleare e differenziata in base ai criteri del sesso e dell'età) è l'agenzia per eccellenza della socializzazione primaria: il bambino deve restare al suo interno, in un contesto di relazione affettivamente orientate per un tempo sufficiente a generare identificazione e interiorizzazione. La socializzazione secondaria consiste nell'acquisizione degli impegni e delle capacità rispetto a specifici ruoli. L'agenzia prioritaria in questa fase è la scuola, a partire dalla scuola elementare. Lo sviluppo della scolarizzazione è legata all'aumento della complessità sociale che richiede un prolungamento dei tempi della socializzazione degli individui. La scuola assolve anche a funzioni di selezione sociale, di allocazione degli individui all'interno della stratificazione sociale. Sempre all’interno della socializzazione secondaria si colloca, nella società industriale avanzata, la socializzazione di una sorta di tarda adolescenza, che Parsons preferisce definire "studentry", per differenziarne in maniera precisa le caratteristiche rispetto all’adolescenza. E’ la fase di socializzazione legata alla frequenza al college, l’esperienza universitaria, indispensabile al cittadino compiuto della scoietà avanzata. Fase che riproduce il cittadino consapevole dell’esigenza non solo di integrarsi, ma di partecipare attivamente alla vita sociale, apprendendo a destreggiarsi tra la pluralità di contesti e di orientamenti culturali che la caratterizzano . E’ attraverso la formazione universitaria che il soggetto puo’ apprendere non solo ad integrarsi, ma anche a partecipare attivamente al mutamento, fino al mutamento degli orientamenti di valore. LE CRITICHE AL MODELLO INTEGRAZIONISTA/FUNZIONALISTA L’analisi di T. Parsons è effettivamente di una visione ultrasocializzata? C'è sempre totale coincidenza tra apprendimento (punto di vista della personalità) e socializzazione (punto di vista dei sistemi sociale e culturale)? Sicuramente totale plasticità del soggetto. Sicuramente priorità alla conformità e ad un mutamento "conservativo". Nello schema AGIL la funzione di socializzazione si lega alla dimensione della LATENZA, cioè alla funzione di mantenimento del modello di valori e di controllo delle tensioni, e di INTEGRAZIONE.

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"Si tratta di un modello teleologico che si regge su una normatività e progettualità sociale : esiste un progetto di società condiviso e da riconfermare e pertanto da riprodurre. La progettualità è quindi anche una caratteristica che deve acquisire l'attore sociale, attraverso l'interiorizzazione degli orientamenti di valore fondamentali e un'adesione volontaristica che poggia su motivazioni ben apprese consolidate, dalle quali scaturisce l'atteggiamento o disposizione fondamentale che ispira complessivamente l'agire e cioè l'acquisività (need for achievement)." (Besozzi E. 1990, Tra somiglianza e differenza, Vita e Pensiero, p. 65) In sintesi nel modello integrazionista/funzionalista di socializzazione: - l'educazione assume un'importanza centrale per dare una risposta alla questione hobbesiana dell'ordine in una società che si vuole laica, democratica, fondata sulla libertà e sul sapere riflesso. -l'individualità è assunta come presupposto della modernità, ma nella prospettiva della conformità sociale non data a priori e indiscutibile, bensì costruita come motivazione interiorizzata. La conformità è tanto più potente nella misura in cui diventa abito mentale, coscienza e non deve più fondarsi sull'uso esterno della forza. -si assume il pensiero razionale, riflesso, come organizzazione/principio dominante della conoscenza. Ciò porta ad una progressiva "mentalizzazione" dell'educazione (e del problema del controllo e dell'ordine sociale: dal corpo al cervello).Non più dominio attraverso la costrizione e il corpo, ma attraverso la persuasione e l'educazione. -si presuppone l'esistenza all'interno della società di un CENTRO continuamente riformulato ma coerente e in equilibrio. La pluralizzazione, legata alla differenziazione, è gerarchizzata e, comunque, ridotta a unità dal riconoscimento ai diversi livelli dei sistemi di azione degli stessi orientamenti normativi. Dalla condivisione e coerenza nasce per il soggetto (identità/sistema della personalità) la possibilità di ritrovare l'unità, la convivenza tra i diversi ruoli e le diverse appartenenze, senza rischi di spaesamenti e frantumazioni (necessario un prolungamento della socializzazione; educazione come prevenzione). La transizione ad un nuovo modello interpretativo passa attraverso una critica radicale alla insufficienza interpretiva e alla "ideologizzazione" ed uso politico conservatore del funzionalismo e della prospettiva integrazionista nello studio dell'educazione. In realtà, altri modelli interpretativi si sono diffusi parallelamente o intrecciati o entrati in collisione con il modello integrazionista. Il filone delle teorie del CONFLITTO, sia di matrice weberiana che marxista, si è diffuso a fianco del modello integrazionista, spesso diventando rappresentazioni guida delle forze rivoluzionarie o comunque in profondo conflitto con le classi egemoni. Queste teorie sono "riemerse" alla fine degli anni sessanta, diventando "analisi per la contestazione e l'alternativa al sistema esistente", spesso a loro volta dominanti (ma non per un periodo lunghissimo). Già negli anni sessanta, nel periodo di massima diffusione, il funzionalismo era stato sottoposto a critica, a partire anche da autori che pure si riconoscevano sostanzialmente come funzionalisti. MERTON e l'analisi delle funzioni latenti. La critica al conformismo del modello parsonsiano, alla sovrastima delle funzioni manifeste, alla "sovralettura" attraverso modelli concettuali di una realtà empirica molto più complessa. Il funzionalismo partirebbe, secondo i critici, da una rappresentazione sovrastimata dell'ordine sociale e da un nascondimento del conflitto ritenuto "patologia" sociale e mai fonte di innovazione positiva. Trascurerebbe cioè il significato sociale - non solo negativo- del conflitto che è invece parte integrante di ogni interazione e di ogni sistema sociale. Sia in Europa che in America, inoltre, molte ricerche empiriche segnalavano la persistenza di forti relazioni tra origine familiare, riuscita scolastica e mobilità sociale, mettendo in discussione i lavori dei funzionalisti sull'importanza degli orientamenti acquisitivi e della scuola per la stratificazione. Nell'ambito della Sociologia dell'educazione i neo-weberiani, i credenzialisti e i neo-marxisti. prevalgono alla fine degli anni sessanta fino all' inizio degli anni ottanta.

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MODELLI CONFLITTUALISTI Due i filoni principali che assumono il conflitto come dimensione centrale nell’analisi dei processi educativi : uno di matrice weberiana, l’altro marxista. M. Weber mette al centro della sua analisi la relazione tra forme di potere e idel-tipi educativi. Il ceto prevalente in una determinata società tende sempre a imporre il proprio ideale educativo e a controllare, attraverso le strutture formative, l'accesso alle posizioni elitarie. Questo lo schema delle relazioni:

Potere (ideal-tipo) Ideal-tipo educativo Potere carismatico l’iniziato, l’uomo eccezionale, il leader carismatico (non esiste una

vera e propria istituzione educativa) Potere tradizionale l’uomo "coltivato" (il sacerdote, il nobile... ; la cultura segnala

l’appartenenza di ceto, ma non è strumentale all’acquisizione di una determinata posizione sociale)

Potere legale-razionale lo specialista (formato attraverso istituzioni scolastiche ) Tale schema può essere utilizzato sia in chiave diacronica che sincronica. In particolare, esiste nella società moderna una relazione tra potere legale-razionale (fondato sulla razionalità strumentale mezzi- fini e su una cultura tecnico-pratica) e lo specialista, formato attraverso le istituzioni scolastiche formali. L’ analisi weberiana è multidimensionale. Si veda l'attenzione ai "climi " educativi delle diverse culture e alla relazione tra istruzione e cultura religiosa prevalente all'interno di un determinato paese. In particolare la differenza tra paesi a religione protestante e paesi a prevalente religione cattolica (svalorizzazione dell'istruzione e, in specifico, dell'istruzione tecnica in questi ultimi). Secondo i neo-weberiani ( credenzialisti ) nella moderna società burocratica la lotta per il potere coinvolge il controllo delle credenziali educative, fonte di legittimazione più che di effettive competenze. Chi detiene il potere parte da posizioni di vantaggio sia materiale che culturale e si presenta alla competizione scolastica e sociale con più risorse, utilizzando il titolo di studio anche come segno della propria superiorità, indipendentemente dai contenuti. Lo stesso prolungamento dell'istruzione può essere interpretato come strumento di mantenimento della differenziazione sociale. Il titolo di studio è considerato come condizione necessaria ma non sufficiente per la mobilità. ******** L’analisi di K. Marx colloca l'educazione nell’ambito della dimensione sovrastrutturale, relazionata in maniera subordinata, ma dialettica, alla dimensione strutturale. Si veda il manuale Besozzi per le linee generali dell’approccio marxiano. Per i significati di "ideologia" e "falsa coscienza" cfr. Crespi F. 1996, Manuale di Sociologia della cultura, Laterza, pp. 27-29 I neo-marxisti e le teorie della riproduzione nascono nella Francia degli anni sessanta e si sviluppano in Europa e nel nord America, in relazione anche ai contemporanei movimenti sociali nella scuola e nel mondo del lavoro. Un primo filone di studi , definito come teoria della riproduzione sociale, parte dagli studi di L.Althusser che analizza la scuola come Apparato Ideologico di Stato (AIS) , agenzia in mano allo stato borghese per riprodurre in maniera conservativa, ma violenta, i rapporti di classe esistenti. I teorici della riproduzione culturale. Bourdieu e Passeron: il capitale culturale, l'ethos di classe, l'ideologia del dono, la differenziazione sociale. La scuola, luogo della cultura della classe media, seleziona in base al capitale culturale di cui i ragazzi sono portatori in relazione all'origine sociale. La formale uguaglianza delle opportunità all'accesso nasconde una differenza sostanziale, che spiega invece la diversità di riuscita scolastica.

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B.Bernstein focalizza l'attenzione in modo particolare sul linguaggio, interpretando le relazioni tra codici linguistici e stili di allevamento differenti nelle diverse classi sociali : codice elaborato nelle classi medie, codice ristretto nelle classi proletarie. Questi autori criticano la cultura scolastica in quanto cultura della classe media e gli insegnanti in quanto " vestali" della stessa classe (cfr. M. Barbagli-M.Dei, Le vestali della classe media, Il Mulino 1968), ma contemporaneamente svalorizzano come non cultura quanto viene prodotto dalle classi subordinate (cfr. I.Illich). Presentano lo stesso orientamento i teorici della deprivazione culturale, di matrice nordamericana, nonostante questi non si richiamino ad una matrice marxista. In Italia gli approcci conflittualisti si diffondono in un clima già attento ai problemi del condizionamento sociale alla riuscita scolastica. Il forte impatto di don Milani e di Lettera ad una professoressa (1967) nell' Italia che transita alla modernizzazione compiuta, in anni di grossa effervescenza collettiva. I perché della scuola dell'obbligo secondo don Milani:

1. dare la parola a tut ti 2. garantire giustizia 3. dare pieno accesso alla cittadinanza

Complessivamente gli approcci conflittualistici dominano negli anni settanta anche perchè: 1. sembrano spiegare di più la realtà empirica, che effettivamente è fatta in larga misura di

evasione scolastica, di emarginazione, di persistenza delle variabili ascritte, sia di classe che di sesso

diventano la voce di "effervescenze" sociali, di movimenti di trasformazione attivi in molta parte delle società industrializzate e, in particolare, proprio ne lle istituzioni formative. Ma gli stessi approcci conflittualistici e, in particolare, i neo-marxisti mostrano la loro rigidità, il loro "funzionalismo" rovesciato, l'incapacità, alla fine, di spiegare lo stesso conflitto. Analisi "unidimensionata" sulla variabile economica e della stratificazione sociale. Analisi solo delle relazioni macro. Difficoltà a cogliere gli elementi di relativa autonomia delle istituzioni formative e, soprattutto, dei soggetti in esse attivi. Trasformazioni dentro il filone neo-marxista per recuperare la dimensione dialettica dell'analisi : l'approccio di Bowles e Gintis che recuperano anche analisi dialettiche di N. Habermas, analizzando la conttraddizione in cui a coinvolta la scuola a partire dal doppio legame al sistema economico (luogo della competizione e della disuguaglianza) e al sistema politico-democratico (luogo delle uguaglianze).

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Interazione e formazione del Sé sociale

Costruzione del sé e il problema dell'identità Il sé è un oggetto sociale che si acquista immaginando il modo in cui si appare agli occhi degli altri e interpretando di conseguenza le loro azioni. Il sé è un oggetto sociale creato e mantenuto nelle situazioni sociali Sé situato e sé biografico I diversi partecipanti ad una situazione sociale coordinano la propria condotta in modo sufficientemente adeguato perché si sviluppino dei sé situati più o meno stabili. Es. cliente in un negozio Avere un'identità situata significa che gli altri certifichino i nostri annunci di identità collocandoci di conseguenza. Appropriasi di un ruolo Annunci e collocazioni possono non coincidere e ciò può provocare frattura o paralisi dell'interazione sociale Es: in un concessionario della mercedes Ma c'è poi anche un sé biografico perchè le persone hanno ricordi che usano per valutare se stesse e dare senso al proprio agire nel tempo.. Il sé non è mai solo un oggetto della situazione presente ma è connesso con il presente e il futuro, con ciò che non c'è Gli esseri umani orientati al significato e istituiscono connessioni fra cose e eventi nel corso del tempo. La continuità è una parte fondamentale dell'esperienza del sé. Identità sociale si riferisce al senso del sé costruito nel tempo attraverso la partecipazione alla vita sociale e l'identificazione con gli altri L'identità ha sempre due dimensioni: una che rafforza il senso di appartenenza e conformità, l'altra che sottolinea la separatezza e la differenza Le identità sono organizzate gerarchicamente in base alla loro importanza e che alcune identità sono preminenti. La fase della modernità ha rappresentato un enorme sforzo di organizzazione sociale. Nel passaggio dalla comunità alla società, c’è stata una ricostruzione del mondo sociale. I gruppi sociali erano semplici (classi), costituzione dei ceti, ruo lo sociale e identità Inoltre, le società della modernità erano un incrocio tra la gerarchia dei valori tradizionali e i valori economici e illuministici Hanno dominato due posizioni:

− Secondo la prospettiva olistico-integrazionistica, la società è ordinata quando l’unicità delle motivazioni individuali non esercita più alcuna influenza sulle sue azioni. Ciò che le persone pensano non conta più. Le personalità individuali come fonte di disturbo per Parsons Mantenere l’ordine significa mantenere strutturata quella rete di relazioni sociali che è la società. L’intera organizzazione sociale consiste nell’assoggettamento della condotta dei singoli a criteri di valutazione sia strumentali sia procedurali L’autonomia individuale comporta un rischio e la privatizzazione della morale Centralità della socializzazione, come riproduzione della società e inserimento degli individui nell’ordine sociale.

− In una prospettiva strutturalistica, il sè è un prodotto o una costruzione dei sistemi simbolici. Sono le regole che vengono dettate, non le singole decisioni (gioco degli scacchi). Manipolazione e controllo degli strumenti di formazione culturale top down Asimmetria fondata sul potere

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Nella nostra società assistiamo all’emergere di un nuovo problema: l’identità, che non è più data per scontata, dato che i ruoli che dobbiamo assumere sono diversi e la socializzazione complessa. *) i media e l’esperienza mediata della realtà; *) la decostruzione delle gerarchie sociali *) la crisi dei valori tradizionali; postmodernità *) eccesso di possibilità. Eccesso di scelte e sindrome dell’appartenenza passiva *) mutamento del corso della vita, con la formazione di fasi staccate dal sistema riproduttivo (giovani, anziani). Il lavoro non è più l’integratore tra il soggetto e la società Crescente pluralizzazione dei coinvolgimenti di ruolo, dispersione dell’identità. Si affermano altre posizioni:

− In una prospettiva interazionistica e ermeneutica il Sè è visto come progetto simbolico, cioè costruzione con ruolo attivo da parte dell’individuo sulla base dei materiali simbolici a disposizione. Centralità del racconto di sè; biografia. E’ solo costruendo una nostra storia che riusciamo a formarci un’idea di chi siamo L’identità è qualche cosa che non è dato, ma è costruito. E’ ciò che noi vogliamo essere e quello che gli altri ci concedono di essere. Implica sempre una negoziazione

− In una prospettiva individualista, il Sè come già dato, come black box che fissa obiettivi che costruiscono la società. Rapporto unidirezionale. Capacità eroica (olimpica) di filtro della realtà esterna

In quella configurazione storico-sociale, la società era tirannica: il soggetto non aveva scelta se non quella di adeguarsi alle richieste funzionali e istituzionali imposte da un contesto sociale altamente organizzato. In tale situazione, erano le analisi di K.Marx sull’alienazione, di S.Freud sulla repressione, di E.Durkheim sull’anomia e, in ultimo, di T.Parsons sulla devianza a dar conto della difficoltà dell’individuo di prendere parte ad una società esigente. Secondo quel modo di vedere, il soggetto è forzato a trovare una mediazione tra le proprie pulsioni istintuali e le esigenze della vita sociale. Per citare S.Freud, l’uomo moderno è in grado di integrare l’animalità umana (l’Es) con la civiltà (SuperIo). A. Erenhberg osserva che in tale situazione l’esperienza soggettiva pone il conflitto al centro della condizione umana, ed è proprio tale confitto che permette di conferire un senso all’esperienza soggettiva. L’uomo conflittuale è governato da qualcosa di superiore, è assoggettato, o comunque si deve misurare, con una legge e a una gerarchia forti, mentre il suo corpo è reso docile dall’apparato disciplinare. In tale situazione, “la nozione di legge fa riferimento a una condizione di libertà e di controllo sociale: l’ordine regna nel soggetto e nella società”(Ehrenberg, 1999:299). Oggi invece il sé è saturato, sopraffatto dall'enorme numero di persone, relazioni, impegni sociali, opportunità, emozioni nelle quali ci troviamo immersi: "La moltiplicazione delle relazioni comporta la trasformazione anche delle capacità sociali - relativamente al sapere cosa e sapere come. Il senso del sé relativamente coerente e unificato tipico delle culture tradizionali lascia il posto a sé multipli e competitivi. Ciascuno di noi si ritrova in una condizione multifrenica nella quale ci muoviamo attraverso forme del nostro essere mobili e diversificate. Il che ci impone l'onere di un numero crescenti di doveri, di dubbi, di irrazionalità"(Gergen, 1991:80-1). La moltiplicazione delle possibilità (effettive e teoriche) con le quali ci dobbiamo misurare rende difficile la stabilizzazione non solo delle relazioni ma anche dei criteri di razionalità e di coerenza interna. I diversi mondi che attraversiamo sono infatti portatori di ragioni e valori diversi - se non contrastanti - e ciò rende estremamente difficile sopravvivere: "L'aumento del numero dei criteri di razionalità non porta ad un chiaro criterio di valutazione tra le diverse possibilità. Al contrario, la crescita della complessità arriva fino al punto da rendere una posizione razionalmente coerente impossibile. La scelta tra le diverse logiche proposte dalle nostre reti di rapporti diventa impossibile. In realtà, quanto più siamo saturati, tanto più la scelta tra i diversi approcci che ci vengono proposti diventa arbitraria"(Gergen 1991:79).

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L’uomo contemporaneo appare ormai emancipato, nel senso che non ha più davanti a sé un sistema di riferimento normativo tendenzialmente unitario e coerente col quale doversi confrontare. Al contrario, egli opera in un vuoto normativo, costituito attorno all’unica legge morale che recita che tutto è lecito - purché non sia di danno ad altri. Credo a modo mio; voto a modo mio, seguo la dieta a modo mio: l'accresciuta importanza dei riferimento individuale nei nostri comportamenti e nelle nostre rappresentazioni è una tendenza fortissima (Augé, 2000:117). Per citare ancora A.Erenhberg, ciò sconvolge l’intimità di ciascuno di noi: “la modernità democratica ha fatto progressivamente di noi degli uomini senza guida, ci ha posto a poco a poco nella condizione di dover giudicare da soli e di dover fondare da soli i nostri punti di riferimento. Siamo divenuti puri individui, nel senso che non vi è più alcuna legge morale né alcuna tradizione a indicarci dall’esterno chi dobbiamo a essere e come dobbiamo comportarci.. Da questo punto di vista, la contrapposizione permesso/vietato che regolava l’individualità fino a tutti gli anni ‘50 e ‘60 ha perduto ogni efficacia...Il diritto di scegliere la propria vita e il pressante dovere di diventare sé stessi pongono l’individualità in una condizione di continuo movimento...La contrapposizione tra il permesso e il vietato tramonta per far spazio a una contrapposizione lacerante tra il possibile e l’impossibile”(Erenhberg 1999:8-9). Ciò significa che il nostro problema principale non è più il confronto con l’ordine sociale esterno al quale dobbiamo conformarci, ma piuttosto quello di dover continuamente far appello alle nostre capacità per riuscire a fare un po’ di ordine in un’esperienza frammentata e a cogliere almeno qualcuna delle possibilità che ci si parano davanti. Il dogma sociale non è più quello dell’inibizione, ma quello della performance. In un mondo che manca di certezze, è l'individuo che deve fare la fatica di ricomporre dentro la propria biografia le direttive che la vita sociale gli impone, con le sue esigenze di senso e di sopravvivenza (Beck, 2000:5). Apparentemente siamo finalmente giunti nel regno della libertà. Le restrizioni materiali diventano irrilevanti per gran parte della popolazione dei paesi ricchi, in una situazione in cui il grado di normatività del contesto sociale si indebolisce sino al punto di fare della norma privata e della libera scelta l’unico valore di riferimento. Ciò però non produce solo la società gaudente e consumistica che qualcuno vorrebbe, ma anche (e forse soprattutto) un mondo dove si avverte il disagio di vivere al di fuori di qualunque coerenza, dove tutto è provvisorio, dove i valori di mescolano e non regolano più i comportamenti concreti; dove l’identità individuale è sempre più incerta e dove si riduce la quota di esperienza che ci lega a coloro che ci circondano (Sennet, 2000). La realtà genera più inquietudine di quanto superficialmente non appaia: l’individuo isolato è spaventato e incerto davanti ad un eccesso di possibilità che fatica a ordinare, anche perché spesso non ha alcun criterio per compiere tale scelta. Ecco perché è la depressione - cioè un disagio psichico nel quale l’individuo sprofonda in un senso di impotenza e di inadeguatezza - che costituisce la malattia del nostro tempo. Infatti, “la depressione ci illumina sulla nostra attuale esperienza della persona poiché essa è la patologia di una società in cui la norma non è più fondata sulla colpa e la disciplina, bensì sulla responsabilità e l’iniziativa. In passato le regole sociali imponevano il conformismo e con esso l’automatismo dei comportamenti; oggi, esse reclamano lo spirito di iniziativa e l’intraprendenza mentale. L’individuo è messo a confronto più con una patologia dell’insufficienza che con una malattia della colpa, più con l’universo della disfunzione che con quello della legge: il depresso è l’uomo in panne. E’ lo spostamento d’accento dalla colpa alla responsabilità non può non rimescolare anche il rapporto tra il permesso e il vietato”(Ehrenberg, 1999:10). La situazione nella quale ci troviamo a vivere non è definibile tanto nei in termini di assenza o perdita di punti di riferimento, quanto piuttosto nella loro moltiplicazione e nella loro incoerenza. Il problema è che, in un clima dove vengono smarriti criteri di giudizio comune, tutto appare vacuo e indistintamente uguale: il conflitto viene espunto dalla vita sociale e si viene assorbiti nel clima generale di indifferenza all’interno del quale ognuno è in balia di sé stesso, privato di appartenenze e identità e al tempo stesso spinto in maniera compulsiva a perseguire qualcuno degli obiettivi che gli vengono proposti dai vari contesti nei quali si trova a operare: "In un mondo di affiliazioni e di rapporti mutevoli, aumentano rapidamente perdita di sostanza, tenuità di legami e vacuità delle cose

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che usiamo. E le conseguenze pubbliche sono anche più dirette. Una società di persone tese all'autorealizzazione e le cui affiliazioni vengono considerate sempre più revocabili non può sostenere quell'identificazione forte con la comunità politica che la libertà pubblica richiede"(Taylor, 1993:617). Così, la sofferenza generata da questa condizione esistenziale, mentre da un lato produce le patologia contemporanee di tipo depressivo che prendono il posto delle psicosi basate sull’inibizione e il divieto, dall'altro erode la dimensione pubblica della vita sociale. Le figure dell’identità rispetto alla spazio il pellegrino: persegue una meta e ha un progetto (immagine moderna) lo straniero: rompe le classificazioni consolidate, crea scompiglio. Le sue due colpe sono la precarietà e la non originarietà. Egli è colui che non è nè dentro (amico) nè fuori (nemico) rispetto al quale si attua la disattenzione civile il nomade: privo di meta finale; segue l’ordine delle cose più che crearlo il turista: il criterio che lo guida è di tipo estetico e la ricerca della piacevolezza. E’ extraterritoriale ma questo è un privilegio. Attraversa uno spazio non suo Il tema dell’identità lega insieme la dimensione soggettiva con quella collettiva identità nazionale, etnica, razziale, età, di genere La socializzazione informale L'ambito educativo extrascolastico nell'età preadolescenziale Il significato di extra-scuola: l'educazione nel sociale e nel territorio IL SIGNIFICATO DI EDUCAZIONE EXTRASCOLASTICA Un’impostazione restrittiva del concetto di educazione porta a ritenere il modello scolastico prevalente su quello «extrascolastico». Ne consegue che l'attività non svolta nell’ambito scolastico (nella prospettiva dell'educazione permanente, dell'educazione continua e dell'educazione ricorrente) è in posizione di subalternità e viene considerata, in un certo senso, un semplice accessorio. Di fronte alla precisa identità della scuola, l’extra scuola appare un non-luogo; invece, in un’ottica globale ed integrata è un’area di confine in cui sono chiamati ad agire gli educatori. Cenni storici Le radici storiche di un’apertura della scuola all’esterno possono essere individuate nell’Attivismo o Movimento delle Scuole Nuove e nelle pedagogie critiche o non direttive. Invece, sotto il profilo dell’extrascolastico, le tradizioni fondanti sono assai più varie, intrecciate ed in qualche modo originali: influssi della pedagogia del Dewey, l’esperienza di don Milani che critica la scuola come luogo di perpetuazione di disuguaglianza, la contestazione dell’azione svolta dalla scuola da parte di Illich (che sostiene l’ipotesi della descolarizzazione evidenziando il ruolo educativo che anche il cosiddetto «territorio» può svolgere), l’opera di educazione preventiva svolta da don Bosco, la pedagogia dell’oratorio o il metodo educativo scout. Il termine “educazione extra scolastica” richiama: attività organizzate, tempo libero, educazione degli adulti… E soprattutto nel passato venivano impropriamente definiti come extrascolastici anche: - il campo dell’educazione degli adulti; - la pedagogia della famiglia; - il campo delle attività non cognitive. Oggi In un approccio sistemico (1), ogni agenzia educativa, in particolare la scuola, ha bisogno di una collaborazione con famiglia, istituzioni, ambiente sociale. Con l’espressione extra scuola si intende l’educazione intenzionale gestita da associazioni sportive o culturali, gruppi di volontariato,

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parrocchie, comunità di ambito ecclesiale, cooperative, che, appunto, svolgono una serie di compiti educativi, di animazione, recupero scolastico, prevenzione ed altro. Pertanto, alla formazione generale dell’ind ividuo concorrono oltre alla scuola, altri ambiti che offrono opportunità, appunto, nell’ottica della formazione permanente, vale a dire esperienze di crescita in relazione a molteplici dimensioni dell’esistenza umana, percorsi nei quali soggetti adulti e anziani possono continuare ad apprendere ed arricchirsi in termini di umanità. La coscienza dell’importanza dell’educazione extrascolastica (2) è cresciuta negli ultimi anni, di pari passo con la scoperta che la maggior parte degli apprendimenti avviene fuori della scuola. Chi opera con bambini e ragazzi conosce bene quale sia l’influsso esercitato dalla televisione, la gran (cattiva) maestra (3) che occupa la maggior parte del tempo non programmato (4). Oggi si assiste al continuo proliferare di iniziative extrascolastiche di vario tipo: recupero, animazione e socializzazione di bambini e adolescenti (doposcuola, centri di animazione ed altre realtà con denominazioni diverse). Risulta che quasi la metà dei bambini italiani dai 6 ai 13 anni svolge un’attività extrascolastica nelle ore pomeridiane (sport, musica, lingue, associazionismo). La loro giornata si presenta sempre più pianificata, a somiglianza di quella degli adulti, così che hanno sempre meno un "tempo libero" da dedicare al gioco, alla lettura, alle amicizie. Interrogativo: La diffusione di una nuova rete di offerte culturali conduce ad un sistema formativo ramificato ed allargato che costituisce indubbiamente un arricchimento delle proposte per bambini, ragazzi e giovani, che così possono avvalersi di più «luoghi di cultura». Ma porta anche ad un'estrema polverizzazione delle offerte, talvolta attente solo ad una logica di mercato e, perciò, non in grado di soddisfare le reali esigenze infantili. In Italia, l’extrascolastico è stato oggetto di attenzione in due diverse fasi. 1. A partire dalla metà degli anni Sessanta, si sono sviluppate istanze critiche verso la scuola (l’istituzione risultava come parte del sistema di emarginazione che crea lo svantaggio) e sono nate numerose esperienze parallele (doposcuola) o concepite come alternative (controscuola). L’extrascolastico è cresciuto come un altro modo di fare scuola. (Cfr. l’influsso del dibattito sulla descolarizzazione che suggeriva di promuovere l’istruzione dal basso; lo sviluppo di metodologie attivistiche; il contributo di don Milani, con l’esperienza della scuola di Barbiana; il Rapporto Faure nel 1972). 2. Negli anni Settanta-Ottanta si è sottolineato soprattutto il rapporto tra educazione e territorio. Proprio negli anni Ottanta è prevalsa “l’interpretazione del rapporto tra scuola ed extrascuola all’interno del cosiddetto sistema formativo integrato (5), che sul piano istituzionale, prima ancora che pedagogico, propone un nuovo tipo di rapporto tra la scuola e le risorse formative esterne. Si tratta di un’ipotesi di sistema policentrico […]. Il ruolo di coordinamento degli interventi viene attribuito all’Ente locale, a cui è affidato allo stesso tempo un compito di tipo propulsivo; vengono enfatizzate le risorse del territorio e le possibilità di usufruire di servizi sociali e culturali in senso formativo. Il punto debole, tuttavia, è costituito dal problema del centro del coordinamento, individuato nell’Ente locale, con il limite di subordinare scuola ed extrascuola ad una gestione di tipo esterno”(6). Occorre fare in maniera che gli Enti locali recuperino una propria centralità e che possano gestire direttamente i nuovi servizi per i bambini e gli adolescenti. È evidente che sarebbe limitativo se si volesse pensare gli Enti locali solo come enti erogatori di finanziamenti a favore dell'arcipelago privato delle diverse offerte formative. Appare ormai indifferibile una politica di coordinamento da parte degli Enti locali, che garantisca l'attivazione di un reale sistema formativo integrato, al cui interno tutte le agenzie possano portare un contributo alla formazione degli individui. In questa prospettiva di integrazione, la scuola è sollecitata a stabilire rapporti per elaborare progetti comuni, in un’ottica di partecipazione attiva ad un lavoro di rete. Per realizzare ciò, è necessario che esplori la complementarità dei ruoli, ma soprattutto definisca i contenuti di tale collaborazione. “Emerge come necessario un approfondimento di ipotesi di continuità o di integrazione tra i diversi ambienti di vita che abbia al centro la globalità della persona” (7).

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Di fronte, quindi, al «policentrismo» del sistema formativo ed ai profondi mutamenti culturali che possono portare anche all'attivazione di un sistema culturale a «domanda individuale», occorre impegnarsi per realizzare un effettivo sistema formativo integrato, cioè un progetto istituzionale e culturale che miri a coordinare ed integrare le agenzie storiche «istituzionalmente» formative: famiglia, scuola, enti locali, associazionismo. Anzi, il quadrilatero delle agenzie sono invitate a stipulare tra loro un patto di ferro, una grande alleanza pedagogica per condurre in porto l'esigenza indifferibile dell'integrazione (raccordo, reciprocità e interdipendenza formativa). Sul piano culturale sono chiamate a ridisegnare il proprio modello pedagogico (educativo e culturale) per far sì che l'integrazione si affermi come un'interconnessione che metta a frutto gli specifici educativi propri di ciascuna delle quattro agenzie, in modo che la specificità formativa elevi la qualità dei singoli processi formativi. “Così la scuola è chiamata soprattutto a connotare le proprie finalità cognitive (e anche di «socializzazione»); la famiglia a esplicitare, con maggiore aderenza storica e rigore scientifico, le proprie finalità etiche e affettive; gli enti locali a dare centralità ad esperienze espressivo/creative e a vissuti carichi di occasioni «relazionali» e «interattive»; l'associazionismo giovanile a precisare i contenuti e i modi di esperienze aggregative cosparse di elevati coefficienti di immaginazione-fantasia-azzardo-avventura”(8). 1) Nell’approccio sistemico, ogni elemento è influenzato dagli altri e la crescita di un sistema necessita dello sviluppo di tutti gli elementi. 2) Come primi esempi di una riflessione pedagogica sull’educazione extra scolastica, segnalo in particolare i contributi di R.Massa, L’educazione extrascolastica, La Nuova Italia, Firenze, 1977; C.Scurati (a cura di), L’educazione extrascolastica. Problemi e prospettive, La Scuola, Brescia, 1986. 3) Numerosi sono i dati riferiti al tempo trascorso davanti alla televisione. È impossibile documentarli, perché periodicamente vengono aggiornate le indagini. Certo è che ormai bambini e ragazzi guardano la tv per un tempo superiore a quello trascorso scuola. 4) L’espressione “cattiva maestra” attribuita alla tv in un interessante saggio da K.R.Popper, J.Condry, Cattiva maestra televisione, in “Reset”, 1994, allegato al n.9. 5) La definizione di sistema formativo integrato come articolazione di scuola ed extrascuola si deve soprattutto a F.Frabboni. Di questo autore si veda, ad esempio: Scuola unitaria di base e sistema formativo integrato: problemi, prospettive, progetto, in E.Morgagni (a cura. di), Scuolapiù. Scuola, Enti locali, società, verso un sistema formativo integrato, La Nuova Italia, Firenze, 1986, pp.22-30; Verso un sistema formativo integrato, Eit, Teramo, 1989; Imparare la città. L’extrascuola nel sistema formativo, La Nuova Italia, Firenze 1990; La città educativa. Verso un sistema formativo integrato, Cappelli, Bologna, 1991. 6) M.Santerini, L’educatore tra professionalità pedagogica e responsabilità sociale, La Scuola, Brescia, 1998, pp.102-103. 7) Ibidem, p.104. 8) F.Frabboni, Un’aula grande come la mia città, in F.Frabboni, L.Guerra (a cura di), La città educativa. Verso un sistema formativo integrato, op. cit., p.5 e 41. Scuola ed extrascuola Per pervenire ad una definizione, anche se approssimativa, schematica e provvisoria, del rapporto tra scuola ed extrascuola occorre far ricorso a diverse conoscenze: pedagogiche, sociologiche, giuridiche e storico-politiche, che riguardano i due termini e i gradi possibili di interconnessione reciproca. La ricchezza delle riflessioni, disponibili nella letteratura, porta ad evocare immediatamente alcune parole/chiave che aiutano a restringere l’area esplorativa e contribuiscono ad individuare alcuni principali settori di indagine intorno alla questione.

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1. La Continuità Orizzontale (si veda, per l’approfondimento, la C.M. 399 del 16/11/1992 in modo particolare il paragrafo 2.4) In attuazione dell’art. 2 della legge 148/90 e sulla base della riflessione pedagogica più accreditata, viene introdotto, in un documento ufficiale ministeriale, il concetto del raccordo tra istituzione scolastica e realtà educative del territorio, con richiami significativi alle precedenti disposizioni sull’handicap che auspicavano l’integrazione ed il coordinamento progettuale degli interventi riabilitativi ed educativi (triangolo scuola, USL, famiglia).Set 2. Il Sistema Formativo Integrato o unitario (visione ecosistemica del sistema formativo, concepito come pluralità di agenzie che possono concorrere, sulla base di una progettualità territoriale e locale, a realizzare una formazione ricca e tendenzialmente armonica) t3. I Centri Territoriali - Educazione degli adulti (vale a dire, l’implementazione della parola d’ordine educazione ad ogni età - già educazione permanente, educazione ricorrente ecc. - nella società basata sulla conoscenza).ori di indagine Queste espressioni linguistiche non esauriscono certamente la tematica; tuttavia possiedono un certo valore emblematico e propedeutico e garantiscono un approccio corretto al tema. Scuola ed extrascuola: qua le relazione? Il fatto di puntare i riflettori su questi due elementi (scuola/extrascuola) certamente aiuta a cogliere per grandi linee lo specifico del dentro e del fuori, a evidenziare alcune differenze importanti che afferiscono ai ruoli educativi tipici della dimensione scolastica e della dimensione extrascolastica; tutto ciò può risultare utile nella ricerca ecosistemica dei punti di equilibrio tra l’azione formativa assicurata dai fattori endogeni e quella svolta da fattori esogeni. Va chiarito preliminarmente che quando si parla di scuola e di extrascuola si fa riferimento a due sistemi complessi interrelati, in evoluzione/trasformazione, che possono essere letti attraverso ottiche di interpretazione plurali. Il sistema formativo attuale si compone di due grandi elementi più o meno funzionalmente interrelati: il sistema scolastico formale da un lato e il sistema extrascolastico, che alcuni distinguono in sottosistemi non formali, caratterizzati da intenzionalità educativa ma privi di supporti sistematici nelle operazioni di progettazione e controllo (esempio: famiglia, parrocchia, associazionismo…) e sottosistemi informali, come lo sono le agenzie che operano in una logica di mercato, prive cioè di intenzionalità educative ma che perseguono finalità di lucro (esempio: televisioni commerciali, software di intrattenimento…)1 Recenti ricerche internazionali pongono l’accento sul ruolo formativo crescente svolto dalla dimensione extrascolastica che arriva a determinare, secondo una stima piuttosto realistica, i 3/4 delle conoscenze acquisite dai soggetti. La scuola tuttavia, nonostante la riduzione dello spazio informativo, assicura certamente un apporto qualitativo alla formazione degli alunni almeno sui seguenti aspetti:

− sviluppa consapevolezza e riflessività (cioè, il pensiero svincolato dal contesto) con forme di comunicazione testuali esplicite e coerenti;

− offre modelli cognitivi elaborati ed organici di tipo disciplinare con la formazione di quadri concettuali significativi entro cui collocare l’esperienza di vita vissuta;

− offre situazioni di socialità significativa, tendente a valorizzare la cooperazione, il confronto dei punti di vista, lo scambio;

− garantisce l’alfabetizzazione culturale; − contrasta l’etnocentrismo proponendo prospettive interculturali; − rimuove tendenzialmente gli ostacoli di natura socioculturale che impediscono l’esercizio

dell’uguaglianza. Rimane aperto il problema di collegare, con un progetto di coordinamento territoriale, questi due mondi esperienziali, promuovendo intese e raccordi organici tra il sistema scolastico formale e le agenzie che operano nella dimensione extrascolastica: famiglie, enti locali, associazioni, parrocchie (agenzie educative intenzionali non formali) e agenzie informali che operano in una logica di

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mercato (Tv, strumenti di accesso individuale all’informazione, videogiochi ecc.). In un’ottica di ottimizzazione del sistema formativo globale questa prospettiva di raccordo ecosistemica é auspicabile perché si possa realizzare la reciprocità progettuale delle iniziative e delle risorse disponibili in ciascun territorio. La scuola: uno sguardo al dentro La scuola é stata intesa, per un lungo periodo storico, come luogo di formazione per eccellenza, separato dall’extrascuola, con una delega totale della società all’assolvimento del compito educativo. Si é parlato di stile isolante per rimarcare la distanza tra vita interna scolastica e vita esterna di carattere sociale; le esperienze dei collegi, ad esempio, ove regnava una separazione quasi assoluta, per il modello di vita praticato, dagli stili familiari, sociali, gruppali della società, ci hanno a lungo mostrato la collocazione della scuola rispetto alla mondanità esterna. Negli anni settanta si é affermata, con i decreti delegati, l’esigenza di garantire l’apertura al sociale. La gestione della scuola, infatti, è stata allargata alla partecipazione di attori esterni (principalmente genitori), pur rimanendo ferma l’impostazione centralistica del funzionamento istituzionale. La pratica della sperimentazione e della programmazione, intesa come edizione locale del curricolo nazionale, ha avviato le prime correzioni ed adattamenti locali del modello unico, verticistico e nazionale. Oggi il sistema scolastico é pensato, nell’ottica dell’autonomia, come sistema articolato sul territorio con capacità di negoziazione nella dimensione locale, in una logica che esalta le facoltà di autogoverno, degli aspetti organizzativi e di parti importanti del curricolo. Queste brevissime constatazioni ci fanno capire che i concetti di scuola e di extrascuola, essendo immersi nel flusso continuo dei mutamenti socio-culturali ed amministrativi, sfuggono ad una trattazione rigida e categoriale. L’extrascuola: uno sguardo al fuori La stessa cosa si può dire a proposito di extrascuola in quanto, anche qui, ritroviamo mutamenti profondi dei modi d’essere della vita collettiva ed individuale, trasformazioni della cultura e delle richieste sociali in rapporto ai compiti della scuola. Per extra scuola intendiamo una vasta gamma di opzioni: la vita di famiglia, la fruizione della Tv, l’uso delle tecnologie dell’intrattenimento a domanda individuale, le esperienze spontanee di strada, il contatto precoce col mondo del lavoro e con il mondo naturale, l’assorbimento della cultura locale attraverso la lingua/dialetto dell’ambiente, il vivere nel mondo delle associazioni sportive e ricreative, il contatto quotidiano con i compagni di gioco e quant’altro. Questi mondi di conoscenza acquisiscono identità sociale e educativa connotandosi di peculiarità proprie. Ne elenchiamo alcune:

− la globalizzazione (viviamo nel villaggio globale) con l’affermarsi dell’interdipendenza economica e culturale tra aree una volta lontane ed indipendenti del pianeta;

− fenomeni nuovi come l’allungamento della vita e la centralità crescente del free time, la cura che la persona dedica al sé, anche in termini di fruizione culturale;

− il venir meno dei grandi soggetti collettivi che in passato orientavano ideologicamente le scelte di grandi masse con effetti di segmentazione dei bisogni culturali e di frantumazione/articolazione della domanda;

− l’affermarsi di una cultura post-alfabetica che utilizza nella comunicazione codici iconici e musicali (affermarsi di forme comunicative ramificate e non lineari, un esempio: l’ipertesto, il multimedia);

− la generalizzazione della fruizione di strumenti tecnologici capaci di garantire l’accesso personalizzato all’ informazione (un esempio: internet) con problemi di orientamento per il soggetto nella costellazione quasi infinita delle fonti;

− l’esigenza generalizzata di convertire rapidamente le proprie conoscenze a fronte dello sviluppo tecnologico e scientifico impetuoso;

− i mutamenti significativi della struttura sociale che investono l’organizzazione della vita familiare;

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− la tendenza alla multietnicità con il tramonto del modello culturale educativo/nazionale e l’affermarsi di una condizione tendenzialmente interculturale.

Centralità del soggetto in transizione L’interazione tra scuola ed extrascuola diventa fondamentale sono se non ci dimentichiamo che al centro di tutto va posto sempre e comunque il soggetto - da intendersi al plurale come bambini e bambine concreti - che interagisce con i contesti specifici della sua formazione. Si può anche dire che la scolarizzazione implica, per ogni soggetto, un processo di transizione (Bronfenbrenner) da contesti familiari e sociali, dominati dalla informalità e spontaneità, a contesti specializzati in senso formativo come sono quelli scolastici. Questi sono caratterizzati dalla organizzazione intenzionale e professionale dell’esperienza di apprendimento: a scuola il tempo é cadenzato dalla scansione oraria delle lezioni, lo spazio é strutturato in aule o palestre o laboratori, l’esperienza della socialità é organizzata in gruppi omogenei, ricavata in genere dagli elementi anagrafici o dal livello di maturazione raggiunto, il processo formativo é sottoposto al controllo in itinere e finale con la verifica/valutazione. Per questo si é parlato, spesso, di curricolo formale o esplicito da un lato e di curricolo latente o implicito dall’altro, facendo ipotizzare a monte una visione antinomica di scuola ed extrascuola in cui si tendeva alla massima valorizzazione del contributo formativo del servizio scolastico. Questa opposizione permette di cogliere un aspetto essenziale del rapporto tra i due termini: nell’extrascuola il soggetto si appropria della cultura vissuta, interiorizza tendenzialmente modelli culturali dominati dal senso comune, orientati alla praticità, con l’acquisizione di una cognitività legata al contesto; mentre nella scuola egli accede a forme di pensiero e di comunicazione svincolate dal contesto e caratterizzate da coerenza ed organicità (discipline). A contatto con le agenzie formative esterne alla scuola il bambino costruisce/acquisisce numerose e importanti competenze che riguardano le diverse dimensioni dello sviluppo: sicurezza di sé ed autostima, motricità, linguaggio, capacità simboliche ed espressive, abilità nella gestione di relazioni sociali, formazione di un bagaglio di pre-conoscenze. Queste competenze sono già state formate in fasi temporali che precedono l’entrata a scuola o che continuano a determinarsi parallelamente alla frequenza scolastica. La stessa identità del soggetto si forma attraverso l’ancoraggio psico-sociale nell’ambiente familiare e sociale: il senso di appartenenza ad un’identità socioculturale, ad un gruppo religioso, ad una dimensione linguistica viene costruito fondamentalmente fuori dalla scuola con modalità anche inconsce. Le attuali tendenze riconducibili alla pedagogia interculturale spingono la scuola al riconoscimento positivo di questi dati socioculturali maturati nell’extrascuola, con un invito condivisibile alla valorizzazione della diversità. Se questo mondo esterno appare molte volte come caotico, magmatico e spesso squilibrato, perché dominato da tendenze spontanee non sottoposte a governo, l’istituzione scolastica appare invece come luogo nel quale le pre-conoscenze acquisite nel mondo extrascolastico tendono a strutturarsi in saperi compatti e organici di tipo disciplinare. È nella scuola che l’identità si consolida e si arricchisce attraverso il confronto dei valori e delle conoscenze e dove i processi di apprendimento permettono l’interiorizzazione degli alfabeti con effetti auspicati di riequilibrio delle disuguaglianze sociali riscontrabili all’ingresso. La scuola deve comunque mettere in azione strategie complesse, nel momento della progettazione dell’offerta formativa, fondate su alcuni principi di base:

− l’alunno che entra a scuola é un soggetto che sa. È un alunno che ha il diritto di integrare il proprio bagaglio conoscitivo con quello offerto dalla scuola; la scuola non può disconoscerlo, ma deve valorizzarlo;

− la diversità bio-psichica o culturale non é fattore di disturbo ma elemento positivo per il confronto dialogico di tipo educativo;

− la scuola deve praticare azioni di accoglienza e tendere a realizzare il ben-essere dell’allievo;

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− la scuola deve abbandonare l’ottica dell’onnipotenza e rappresentarsi come una delle agenzie della formazione, pur con specificità proprie, nella consapevolezza che nel territorio altre agenzie concorrono allo sviluppo intellettuale e sociale degli utenti;

− la famiglia deve essere sollecitata dalla scuola alla corresponsabilità educativa nell’ottica del contratto formativo (carta dei servizi);

− l’offerta della scuola deve essere conosciuta dagli utenti (trasparenza); − forme di coordinamento e raccordo con le agenzie educative del territorio (in primo luogo

con l’Ente Locale ma anche con le ASL) devono essere considerate come leve positive su cui costruire tutte le azioni formative.

Apprendere ad ogni età - educazione permanente Tendenze attuali emergenti2 sottolineano che la scuola attuale non può più esaurire il suo compito rivolgendosi ai segmenti iniziali della vita e cioè predisponendo percorsi formativi destinati esclusivamente a soggetti in età evolutiva. Anzi, secondo questo paradigma emergente, é auspicabile che l’esperienza formativa, nella società della conoscenza, prosegua per tutta la vita. Si apre così la prospettiva dell’allungamento del tempo dell’imparare e dell’allargamento virtuale dell’utenza che comprende tutte le età. Questa istanza formativa appare sponsorizzata e richiesta:

− dal mondo del lavoro le cui esigenze, magari immediate, sono quelle della riqualificazione del personale e di riconversione professionale;

− dal mondo politico, per valutazioni più generali che riguardano il benessere degli individui, ma anche la crescita economica, che dipende sempre di più dalle capacità di adattamento rapido delle persone ai mutamenti tecnologici, scientifici e culturali;

− dal mondo della pedagogia che scopre prospettive di formazione aperte a tutte le generazioni compresa l’adultità.

Indubbiamente, dietro a questa forte istanza vi é il divario tra la formazione e la rapida obsolescenza delle conoscenze possedute dagli individui e i nuovi e dirompenti orizzonti del progresso tecnico/scientifico. Vi é anche la consapevolezza sempre più diffusa che la cura di sé comporta una "manutenzione" continua delle proprie conoscenze e delle curiosità culturali. Operativamente in Italia la costituzione recente dei Centri Territoriali (CT) EDA (educazione degli adulti) sembra voler aprire una prospettiva interessante di caratterizzazione in senso educativo del ruolo delle istituzioni scolastiche con aperture territoriali ad una utenza più vasta rispetto a quella tradizionale. La legge 59/97 art. 21 comma 10, il D.L. 112/98 e l’Ordinanza Ministeriale 455 sono da considerare, al momento, i riferimenti giuridici di questa nuova prospettiva che ridisegna il ruolo delle istituzioni scolastiche e il suo rapporto con l’ambito territoriale di riferimento. 1. Si consiglia la lettura di G. Cerini - F. Frabboni, Sui sentieri della riforma, Nuova Italia, Firenze, 1994, in particolare le pagine 15-22. 2. Per un approccio al tema si veda il saggio OECD Apprendere a tutte le età, Armando, Roma, 1997 e il saggio di Lucio Pusci Apprendere ad ogni età in Annali della pubblica istruzione n. 3-4, Le Monnier, Firenze 1997. Il policentrismo educativo Le AGENZIE di socializzazione nel modello comunicativo I luoghi formali e informali della socializzazione cambiano rispetto alle finalità sociali riconosciute, alle rappresentazioni e agli usi che ne fanno i soggetti, alle dominanze e agli intrecci che si vengono a costruire. Per le epoche che interessano la sociologia, scuola e famiglia rappresentano le istituzioni formali socialmente riconosciute , con differenti valutazioni a seconda degli approcci.

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Nella sociologia dell’educazione e nella società moderna/post-moderna i processi centrali sono rappresentarsi dal costituirsi dello scuolacentrismo, dalla sua messa in discussione e dall’emergere del policentrismo. Il policentrismo. La messa in discussione del modello scuolacentrico, al di là della rottura di "rappresentazioni" operata da I.Illich, va relazionata ad una molteplicità di fenomeni e di analisi. In riferimento al mondo del lavoro si avanzano numerose critiche alla scuola: -scollamento quantitativo tra scuola e mercato del lavoro (attenzione alle accuse alla scolarità di massa) -non basta più la scolarizzazione iniziale prolungata, non è più funzionale la discontinuità scuola-lavoro -la scuola è troppo rigida e non riesce a innovarsi. Ci sono anche cause intrinseche al sistema scolastico:

− carenze strutturali − mancate riforme − mancati obiettivi − sovraccarico funzionale sulla scuola

Infine si assiste all'immissione massiccia di molte fonti di informazione elettrico-elettronica che non solo danno vita a nuovi contesti di socializzazione, ma cambiano le caratteristiche di quelli tradizionali. Molte le definizioni e rappresentazioni di POLICENTRISMO:

− Sistema formativo allargato: il problema gestionale, le scuole private, più mercato e meno stato.

− Sistema formativo integrato: scuola ed extrascuola, il territorio, l'esigenza del coordinamento (ricostruire un "centro", una coesione su base locale, ecosistema formativo).

− Processi policentrici con attenzione a molteplici dimensioni: 1.I tempi e i soggetti 2.I media 3.Le agenzie 4.I gestori.

Nella prospettiva del policentrismo cambiano anche le agenzie tradizionali. La famiglia accentua le sue caratteristiche di contesto di mediazione rispetto al mondo esterno. Alla famiglia vengono attribuiti compiti di "selezione" e filtraggio rispetto alle molteplici stimolazioni che arrivano dalla società Esempio: il ruolo della famiglia di fronte alla comunicazione televisiva nella prima infanzia. Dopo anni di contestazione, aumenta la credibilita’ sociale della famiglia. Tutte le ricerche sui giovani degli anni novanta evidenziano la grande importanza che le nuove generazioni attribuiscono al contesto familiare. Cresce l’attribuzione di compiti e il riconoscimento sociale della famiglia in anni nei quali, d’altra parte, le indagini empiriche evidenziano fenomeni di crisi nella struttura e nella stabilità dell’istituzione famigliare. LA SCUOLA, pur non essendo piu’ agenzia centrale, mantiene una rilevante importanza all’interno del contesto policentrico. Due le funzioni principali riconosciute sia nel contesto italiano che in quello europeo: -cognitiva, legata all’apprtendimento delle conoscenze e degli strumenti per reperire ed elaborare le conoscenze (secondo alcuni è l'unica) -professionalizzante. Ci sono tuttavia diversità per livello di scuola. Ed e’ anche vero che, nella prospettiva dell’autonomia, le singole scuole sono chiamate a definire una propria offerta formativa

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commisurata alle caratteristiche dell’utenza e ai bisogni del territorio. Quindi si prospetta una forte differenziazione tra scuole e contesti ambientali. La situazione della scuola italiana oggi:

− la scolarizzazione (già analizzata) − la dispersione scolastica, gli abbandoni, le ripetenze (cause differenti nei diversi livelli di

scuola) − le politiche contro la dispersione ( l’orientamento, il post-orientamento e l’accoglienza, la

seconda scelta) le differenze tra i vari territori italiani I tre modelli di socializzazione attribuiscono un diverso significato a disuguaglianza/diversità. In sintesi:

Approccio integrazionista: − uguaglianza dei punti di partenza , uguali opportunità − competizione meritocratica. Disuguaglianza come esito della formazione scolastica. Scuola

come canale di mobilità. − diversità etnico-culturale tollerata; integrazione pluralista Approccio marxiano: − disuguaglianza come dominio e violenza − necessaria uguaglianza degli esiti e non solo delle opportunità di partenza (del resto

disuguali) − non esiste mobilità. Il cambiamento attraverso la trasformazione radicale dei rapporti di

produzione − diversità etnico-culturale non analizzata in maniera specifica, ma interpretabile all’insegna

del dominio. Immigrati come proletari o deprivati . Approccio weberiano: − disuguaglianza come espressione di conflitti di potere − incontro fra culture come conflitto e come dramma Approccio comunicativo: − la disuguaglianza dei soggetti "deboli", incapaci di reggere le sfide della società/della scuola − l’attenzione al percorso individuale − il pluralismo culturale come sfondo − diversità come molteplicità e risorsa positiva − l’incontro /lo scambio tra culture

La convivenza nella realtà empirica contemporanea di: − disuguaglianza percepita come "ingiusta" / quella legata alle origini, all’ambiente − disuguaglianza percepita come "giusta" /quella legata alle prestazioni del soggetto

(soprattutto nell’ottica del pensiero unico neoliberista) − diversità come molteplicità − diversità come incommensurabilità.

L’obiettivo è ora quello di tematizzare le diversità di socializzazione relazionate alle caratteristiche etnico-culturali e, in particolare, ai fenomeni delle migrazioni. Il tutto tenendo conto dello scenario nel quale si ripropone oggi la differenziazione legata alle culture : non più solo migrazioni fisiche, note fin dall’antichità, ma nomadismi tecnologici e virtuali.

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Iniziative extracurricolari nell'ambito scolastico Gli incontri tra l’educazione formale ed informale, intesi come attività intenzionali di partenariato, si realizzano anche all’interno della scuola stessa, nel contesto classe. Sono numerose le occasioni di collaborazione che si concretizzano come iniziative extracurricolari nell’ambito scolastico. Si tratta ancora di forme non istituzionali, in genere lasciate all’iniziativa dei singoli insegnanti, che rappresentano un esempio di vitalità, anche se scarsamente organizzata, della scuola. In termini esemplificativi, si può prendere visione di alcune possibilità di lavoro in relazione all’educazione allo sviluppo e all’educazione interculturale[1], alla prevenzione delle tossicodipendenze[2], al far memoria di avvenimenti storici[3]. Si tratta di tematiche che risultano di grande attualità, vengono affrontate attraverso suggestive riflessioni sugli obiettivi educativi sottesi, nonché la presentazione di spunti per la realizzazione di attività concrete. Per chi volesse ulteriormente ampliare l’orizzonte prendendo in esame altre opportunità, segnalo il volume curato da Frabboni: Imparare la città. L’extrascuola nel sistema formativo. In esso si ipotizza l’inaugurazione di un rapporto di interazione dialettica tra la cultura del dentro/scuola e quella del fuori/scuola secondo linee di complementarità delle reciproche risorse educative. Quest’obiettivo è perseguibile nella misura in cui la scuola stipula una relazione con l’ambiente per elevare i patrimoni/risorse formative di questo ad aule didattiche decentrate. Sul territorio si possono trovare molteplici opportunità quali: biblioteche, musei, mediateche, pinacoteca, atelier di produzione teatrale, musicale, pittorica, laboratori, centri sportivi, ricreativi, culturali, ludoteche, associazionismo laico e cattolico. Chi, invece, ha esperienza di scuola, ha presente le molteplici possibilità offerte da numerosi progetti che presentano caratteristiche di trasversalità tra le discipline, realizzati a livello locale e promossi anche dal Ministero della Pubblica Istruzione, ad esempio per i giovani oppure in relazione al tema dell’educazione alla salute ed allo star bene a scuola. [1] Vedasi M.Santerini, L’educatore tra professionalità pedagogica e responsabilità sociale, op. cit., pp.129-133. [2] Ibidem, pp.133-142. [3] Ibidem, pp.142-145. L'offerta e la progettazione educativa Lavoro educativo e lavoro sociale La dimensione relazionale dei problemi sociali e della loro soluzione Le professioni e gli attori dell'educazione nell'extrascuola I concetti di ambiente sociale e di processo costituiscono due leit motiv di un "approccio ecologico" alla vita sociale. Questo orientamento sociologico si rivela particolarmente appropriato per quegli operatori socio-educativi che vogliano adottare uno stile di relazione e di intervento di tipo promozionale, ossia legato alle potenzia lità di sviluppo degli attori sociali. Il crescente interesse culturale e pratico intorno ai temi della qualità della vita (salute, benessere, vivibilità, sicurezza, solidarietà, accoglienza, formazione, cultura, estetica, tempo libero, ecc.), si traduce in politiche e progetti per la qualità della vita che si fanno strada soprattutto a livello di città e comunità locale. In questo ambito, nuove figure di "educatori professionali" possono trovare spazi di proposta e operatività.

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IMMAGINI deLL’Educatore Sulla figura dell’insegnante nella tradizione pedagogica esiste un’amplissima letteratura, mentre è difficile individuare e descrivere identità, funzioni, ruolo sociale, azione, caratteristiche che dovrebbero connotare la figura di un "buon educatore". È possibile delineare alcuni profili[1] elaborati dall’immaginario individuale e sociale ad alcune “metafore". Riferimento storico alla società ellenistica: Il compito dello schiavo (pedagogo) consisteva nell’accompagnare il ragazzo nel tragitto da casa a scuola ed anche in altri luoghi. Lo aiutava ad assolvere gli obblighi scolastici, gli ripeteva la lezione. Inoltre, era incaricato nell’educazione del fanciullo standogli vicino per tutta la giornata, l’iniziava alle buone maniere e alla virtù, gli insegnava a comportarsi nel mondo e nella vita, vigilava sui suoi costumi. A lui era affidata «tutta l’educazione morale». La tutela del pedagogo durava dai sette anni circa, quando il fanciullo entrava in età scolare, sottraendosi alle cure della madre e della nutrice, fino all’adolescenza. Pertanto, lo schiavo era ben più importante del maestro di scuola, che insegnava leggere e scrivere. Dagli anni Sessanta a tutt’oggi: la figura dell’educatore finisce per corrispondere a chi si occupa di emarginazione, handicap, devianza, recupero di ragazzi in situazioni difficili. Fino agli anni Sessanta svolgeva ruoli educativi all’interno degli istituti di assistenza. Nell’attuale contesto di società complessa, la sua figura è andata differenziandosi e specializzandosi. Metafora dell’accompagnamento Nel significato etimologico tradizionale dell’ex-ducere, l’educatore conduce fuori, guida: la sua azione educativa è simile a quella del pastore che, mettendosi alla testa di un gruppo porta fuori, guida e protegge. Invece, l’accompagnamento richiama l’idea dell’educatore che accompagna il bambino, il ragazzo o l’adulto nel percorso della sua esistenza. Sceglie di accostarsi per un tratto breve o lungo della vita di un altro, di accoglierlo, di mettersi in relazione percorrendo insieme una strada, nel rispetto dei suoi tempi, l’uno accanto all’altro. In un certo senso, l’educatore si mescola al gruppo e cammina insieme. È evidente che la capacità dell’educatore non si colloca sullo stesso livello dell’a ltro (= essergli simmetrico), perché solo la differenza consente di poter accompagnare. È sottesa una concezione della vita come un viaggio, un percorso, un cammino inesplorato per entrambi (educatore e educando), nel corso del quale si condividono le incertezze, le difficoltà della vita, un futuro ignoto. Quest’avventura inedita è occasione di continua trasformazione, crescita interiore della propria umanità. Ed in questo tipo di vissuto, maestro e discepolo si ritrovano, in un certo senso, accomunati. Metafora del servizio Quest’immagine rimanda alla tradizione filantropica ed alla pedagogia cristiana: riconoscendo la dignità dell’altro, specie se piccolo o malato o straniero, si avverte la necessità di piegarsi per servirlo. Numerosi sono gli esempi: don Milani, don Bosco, Gandhi. Un altro esempio è rappresentato da Madre Teresa di Calcutta, premio Nobel per la pace nel 1979, che più volte ribadisce che si dedica con amore ai poveri di Calcutta perché in ognuno vede il Cristo da servire: «Corriamo sempre il pericolo di diventare semplicemente delle assistenti sociali o di lavorare per amore del lavoro; e corriamo questo pericolo quando dimentichiamo chi è colui per il quale lavoriamo. Le nostre attività sono solo un’espressione del nostro amore per Cristo. I nostri cuori hanno bisogno di essere ripieni di amore per lui, e dal momento che dobbiamo esprimere quell’amore nell’azione, i più poveri tra i poveri sono naturalmente il mezzo per esprimere il nostro amore per Dio... Un signore indù diceva che tanto essi quanto noi stiamo compiendo un’opera di assistenza sociale e che la differenza tra loro e noi sta nel fatto che essi lo fanno per qualcosa, mentre noi lo facciamo per Qualcuno». La maggior parte degli educatori, la cui motivazione al “servizio” è di tipo religioso, o più precisamente cristiano, intendono dare la propria vita per la crescita dei più piccoli. Pertanto, la scelta di vivere la vita come un dono si concretizza nella dimensione del servizio, attraverso il prendersi cura dell’altro nell’impegno educativo. Insomma, l’educazione è intesa come dono di sé.

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Nella versione laica, l’educatore svolge una funzione critica nei confronti dell’ordine sociale, prende decisamente la parte degli emarginati, sviluppa in modo particolare il rifiuto del consumismo attraverso un’etica dell’equità e della solidarietà. Interrogativo. Nell’attuale contesto socio culturale, numerosi educatori, ad esempio, nell’ambito dell’associazionismo educativo, avvertono sempre di più come esigenza primaria quella realizzazione quasi che la scelta di un impegno educativo nei confronti di altri implichi l’annullamento di sé, la rinuncia alla soddisfazione dei propri bisogni. Pertanto, l’educazione come vita spesa per gli altri è sempre più sostituita dall’interpretazione di vita con gli altri. Invece, nel servizio c’è l’espressione del senso attribuito alla propria vita rispetto a qualcosa di più importante. Possiamo far riferimento a Emmanuel Lévinas, che ricorda la responsabilità verso il volto dell’altro: l’altro, diverso da me, mi convoca e costituisce la mia identità. L’identità dell’educatore si realizza nella responsabilità e nel servizio verso l’altro. Metafora della tecnica Il tecnico si occupa di riabilitare, ripristinare, restaurare, riparare quei meccanismi preesistenti, che si suppone fossero funzionanti, che hanno subito un guasto o si sono inceppati o deteriorati. Dunque, il tecnico individua il blocco, interviene ponendo fiducia negli strumenti del mestiere, si interessa dei mezzi appropriati per raggiungere il fine, ripara con strumenti, utensili, tecniche, metodi, attività che garantiscono la funzionalità dell’intervento al di là della soggettività personale. Fornisce strumenti risolvere i problemi. Opera un "raddrizzamento", riporta sulla via “retta" e rimette le persone "in piedi" con un intervento riabilitativo; inoltre, tenta di rendere adatti gli inadatti, modificando le personalità perché si adattino al contesto e non viceversa, rendendo possibile l’inserimento sociale di chi è messo ai margini perché sia raccolto. Nel campo della pedagogia speciale il principale tipo di intervento tecnico è la rieducazione. La metafora del bricolage L’immagine dell’educatore può risultare dal miscuglio di tratti presi dall’esempio dei nostri genitori, dall’idea di buon padre (o buona madre) di famiglia che sa utilizzare elementi dell’esperienza saggia e quotidiana (cosiddetta psicologia comune o popolare). Interrogativo. Oggi l’educatore rischia di essere superfluo perché posto fuori dall’istituzione scolastica, dotato di scarsi strumenti, con un’identità sociale ancora in costruzione, assediato da professionalità forti come lo psicologo o il sociologo che tendono ad invadere il suo specifico campo. Opera un bricolage tra funzioni e obiettivi, collocandosi nel mare aperto dell’educazione informale. La metafora dell’ingegnere di progetti L’educatore è un esperto progettatore di piani e interventi mirati al conseguimento efficace di obiettivi prefissati, attraverso l’utilizzazione di competenze e modalità tecniche aggiornate. È teso a qualificare la sua professionalità più che a stabilire rapporti interpersonali. Interrogativo. Dove va a finire il rapporto educatore / educando? Definizione dell’identità dell’educatore oggi L’istituzione del corso di laurea in Scienze dell’Educazione per educatori professionali extra scolastici ha avviato in Italia un cammino verso la definizione dell’identità professionale ed una rivalutazione di questa figura. Inoltre, in rispondenza ai problemi sociali emergenti, assistiamo ad un processo ambivalente e non privo di ambiguità, del rischio di banalizzazione: - l’educatore diviene necessario a causa della sempre più diffusa delega e debolezza della famiglia di fronte alle sfide educative; la scuola tende a scindere la sfera dell’istruzione da quella educativa, respingendole all’esterno; - in riferimento alla crescita dei bisogni educativi aumenta la presenza degli educatori in luoghi esterni, pubblici, nelle pieghe del sociale, soprattutto, sulla “soglia" tra dentro e fuori, tra integrazione e marginalità; anche nei servizi pubblici lentamente stanno conquistando uno spazio. Interrogativo. È necessario delineare un profilo professionale distinto e originale, respingendo ogni connotazione tecnicistica (senza rinunciare alla competenza), sottolineando il ruolo dell’educatore come agente di promozione umana, individuale e collettiva, nonché la «ricchezza di questo mestiere, lo straordinario potenziale di innovazione e di progresso» costituito dalla sua esperienza di vita. La diversità delle situazioni sperimentate e la varietà dei compiti da affrontare gli consente di saper utilizzare contenuti e metodi non del tutto definibili

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a priori e di saper di interpretare e comprendere i diversi contesti della realtà con capacità critica. − L’efficacia della sua azione risiede nella capacità interpretativa e relazionale nel contesto, unendo osservazione critica, elaborazione approfondita degli elementi in gioco, progettualità. Interrogativo. Queste ed altre metafore si riferiscono non solo ad immagini diverse dell’educatore che opera nel sociale, ma rimandano anche a concezioni differenti dell’educazione. [1] Cfr. M.Santerini, L’educatore tra professionalità pedagogica e responsabilità sociale, La Scuola, Brescia, 1998 - terzo capitolo dedicato all’educatore nell’ambito sociale. Si riportano in modo sintetico e rielaborato pp.69-77. l’educatore TRA CURA DI Sé E CUrA DELL’ALTRO Interrogativo. Vale la pena di soffermarsi a riflettere su quest’analisi che Milena Santerini[2] propone sulla figura dell’educatore nell’attuale contesto socio culturale: sembra sempre più centrato in modo egocentrico sulla cura di sé in quanto come prioritario il diritto alla propria realizzazione. Tra i compiti dell’educatore vi è il contributo alla formazione della personalità, lo sviluppo dell’io, la crescita armonica del sé in relazione con il posto assunto dall’individuo nella società, con l’idea di realizzazione di sé. Socrate vigila perché i suoi concittadini si preoccupino di sé stessi, sviluppino la cura di sé. La sollecitudine socratica verso la crescita interiore e la profondità di pensiero, l’amore per la propria cultura, non sembrano al centro dell’ansia dell’uomo moderno. Nella nostra società si va diffondendo un’etica laica: la cura di sé è un valore, «la preoccupazione per sé stessi non viene considerata una forma di egoismo, in quanto egoista è chi si occupa di ciò che ha, non di ciò che è; inoltre, la preoccupazione per sé non escluderebbe quella per gli altri, in quanto si perviene all’impegno verso l’esterno solo attraverso l’accesso alla ragione, che mette in comunicazione universale con gli altri»[3]. Siamo immersi in un clima sempre più caratterizzato dall’interesse per la cura di sé. Ne è un esempio è la proliferazione della dimensione terapeutica che sempre più spesso pone sotto il proprio dominio identità, vita sociale, atteggiamenti, comportamenti. In tale visione, passano in secondo piano i rapporti con gli altri considerati solo nella misura in cui aiutano la realizzazione individuale e non come parte della rete di rapporti, del dialogo che caratterizza lo scambio interpersonale. Inoltre, nella nostra società sembra inarrestabile l’attenzione minuziosa ai propri desideri e pulsioni; la diffusione ormai universale della cultura psicologica; la psicoanalisi costituisce un modo per affrontare le paure e le angosce dell’uomo. Così, la cura di sé diviene chiusura, rifugio dell’io minacciato dal mondo esterno[4], riduzione ad un io centrato su sé stesso. Interrogativo. Le implicazioni in termini educativi: - un io centrato su se stesso, l’attenzione narcisista ai propri interessi e desideri impediscono la formazione di un’individualità socializzata; - una salda concezione dell’individualità si esprime nella coscienza critica su di sé e sui limiti umani; - la cura di sé ha senso soltanto accanto alla cura dell’altro. Interrogativo. Molte nuove tendenze della cultura della formazione soprattutto nel campo degli adulti vedono da una parte l’attenzione all’individuale, al percorso di vita, all’idiografico, e dall’altra una preoccupante mancanza di obiettivi e di finalità, a parte quelli della generica realizzazione di sé. Interrogativo: differenza tra cura di sé e cura dell’altro[5]. L’intervento educativo "è centrato sul rapporto interpersonale tra l’educatore e l’educando, in un tempo lungo e continuativo e con una consistenza quotidiana molto rilevante, finalizzato ad una progressiva maturazione personale, concludendo che la differenza sta proprio nella qualità del rapporto, nella sua durata e nella sua finalità". Invece, una parte della pedagogia tende attualmente verso la clinica[6], la pratica educativa rischia di riprodurre l’atteggiamento terapeutico, cioè il rapporto «tipicamente distante, circoscritto e asimmetrico» con il "cliente" che ha bisogno di aiuto. - L’asimmetria è un elemento fondamentale nell’azione educativa, in quanto il suo valore ed il senso consistono nell’azione anticipatrice, nella progettualità, nella proposta da parte

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dell’educatore. Invece, nella visione terapeutica, l’asimmetria comporta la "neutralità" di chi cura, l’intervento misurato e calcolato, l’enfasi sull’ascolto, ponendo in secondo piano lo scambio, l’incoraggiamento, il consiglio, la correzione, il dissenso. - La relazione pedagogica è costruita sull’empatia, la partecipazione, la relazione ravvicinata. L’educatore vive la quotidianità, la condivisione nell’ambiente di vita quotidiana e soprattutto l’interpretazione e l’azione dentro il contesto. Al contrario, il rapporto circoscritto, tipico della pratica terapeutica o psicanalitica o medica è caratterizzato dalla distanza: il medico (o terapeuta) cura il "paziente" per un periodo di tempo limitato, fuori dal suo ambiente di vita, con regole prefissate, in un ambiente particolare, su argomenti specifici. - Caratteristiche distintive e specifiche dell’educatore sono la «condivisione della vita quotidiana» e «la stimolazione e valorizzazione delle risorse personali e del contesto familiare dei soggetti, oltre che di quelle del territorio; l’attivazione di processi di cambiamento». - L’atto educativo si iscrive nella pratica quotidiana, domanda di essere individualizzato per contribuire a costruire l’identità della persona e si inserisce in una dimensione sociale. Invece, il rapporto terapeutico è centrato «sullo scambio contrattuale, stabilito nella comunicazione e nella negoziazione». Oggi l’educatore stabilisce rapporti educativi caratterizzati dal tentativo di offrire possibilità a bambini, adolescenti e adulti di partecipare a pieno titolo e come parte attiva al dialogo educativo. Le pratiche educative risentono dell’influsso di pedagogie di stampo rogers iano, che sollecitato attenzione per l’ascolto empatico e l’accoglienza dell’altro. In campo pedagogico sono entrati nuovi concetti operativi: negoziazione - contratto - transazione. Anche su questi, che oggi sono di moda e sembrano costituire il nuovo lessico pedagogico, è opportuna una riflessione critica per individuare le positività, ma anche i possibili limiti o le ambiguità. La pedagogia del contratto rappresenta un apporto nuovo e imprescindibile nel panorama dell’educazione degli adulti e dell’istruzione scolastica, in quanto il punto cardine della filosofia formativa è rappresentato dalla partecipazione nel processo formativo. Tuttavia oggi si assiste anche ad uno svuotamento dei suoi molteplici significati, fino a generare soprattutto le parole d’ordine di una certa formazione di tipo aziendale. Nella transazione è messo in evidenza soprattutto il vantaggio che la persona da educare (in particolare l’alunno) pensa di ricevere stabilendo in anticipo condizioni dello scambio con l’insegnante. Il contratto, di conseguenza, può essere una metodologia pedagogica estremamente rimotivante nei confronti di bambini e ragazzi in difficoltà o che hanno avuto esperienze negative in campo scolastico e che possono far valere le proprie ragioni nei confronti degli adulti. Infatti, il contratto comporta la reciprocità, la scelta di regole che guidino il rapporto permettendo alle parti di ottenere ciò che desiderano dall’altro (ad esempio: ascolto e giustizia da parte degli insegnanti, partecipazione e disciplina da parte degli alunni). Inoltre, nella contrattazione le parti stabiliscono le regole del rapporto, diritti e doveri reciproci, ma soprattutto si tutelano da ogni incertezza definendo i limiti da non oltrepassare. Interrogativo: «Il contratto costituisce una difesa dalle possibili aspettative dell’altro e sposta la relazione su un piano impersonale. Così, il rapporto di diritto "maschera" gli aspetti di dominio e potere presenti in ogni relazione educativa, sotto un’apparenza purificata da ogni conflittualità»[7]. Þ «La contrattazione anticipata, la fissazione di regole, la negoziazione dei rispettivi ruoli non devono costituire una difesa, da parte dell’educatore, nei confronti delle attese di personalizzazione, attenzione, affetto, c oinvolgi mento dell’altro. Þ È debole non l’educatore che instaura una dinamica educativa partecipata ed attiva, ma quello che si nasconde davanti all’imprevisto»[8]. La mediazione In una società caratterizzata da continuo e veloce cambiamento, nel quale alla persona è richiesto di ridefinire continuamente il proprio ruolo e le proprie funzioni, l’educatore si trova a dover effettuare un lavoro di non di semplificazione o riduzione di tale complessità, quanto piuttosto di mediazione e sintesi. Infatti, rappresenta il punto di incontro di numerose aspettative ed esigenze, divenendo l’interfaccia che permette a due mondi - la persona da educare e la società - di comunicare. Inoltre, è chiamato a incrementare tale comunicazione e agire sulla comunità attraverso i singoli e sui singoli attraverso la comunità. Centrale rimane la dimensione del rapporto interpersonale intenso, interpretato, storicizzato, la capacità progettuale, la funzione critica nei confronti dell’ambiente sociale, la vicinanza

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quotidiana all’educando ed il coinvolgimento nella ricerca di significati, il che crea legami "forti". [2] Ibidem, pp.77-82. [3] Ibidem, p.79. [4] Cfr. le opere di Lasch. [5] Particolarmente illuminante è questa lettura proposta da M. Santerini, op. cit., pp.85-86. [6] Per approfondire questo tema, si segnalano in particolare, i contributi di R.Massa: Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Milano 1987; Istituzioni di pedagogia e scienze dell'educazione, Roma 1990; La clinica della formazione: un'esperienza di ricerca, Milano 1992. [7] M. Santerini, op. cit., p.88. [8] Ibidem, pp.88-89. Ambienti educativi e progetti L’associazionismo in crisi? Un caso Nel corso degli anni Novanta si registra una crisi di adesioni in numerose associazioni, dovuto a vari e numerosi fattori, a partire dal calo demografico. Sul piano pedagogico a questo proposito può essere interessante riflettere su alcune considerazioni relative all’appartenenza oggi ad un’associazione con finalità educative, a partire dal caso dell’Associazione delle Gu ide e degli Scout Cattolici Italiani (Agesci). Quest’associazione, nata nel 1974 dalla fusione dell’Associazione Guide Ita­lia­ne (Agi) e dell’Associazione Scouts Cattolici Italiani (Asci), ha conosciuto un continuo incremento numerico dei propri associati fino al 1996, raggiungendo quota 194.091 associati. Dal 1997 è passata a 192.116; nel 1998 a187.824 e nel 1999 a 183.627[1]. Ne consegue che ogni anno il 25% dei ragazzi lascia i gruppi scout. Non si tratta di un numero irrilevante, visto che tale percentuale corrisponde a 39.000. Approssimativamente, è come se ogni anno chiudessero circa cinque unità[2], di media grandezza per ogni regione. Il fenomeno è complesso, perché a fronte numerosi ragazzi che se ne vanno, quasi altrettanti chiedono di entrare. Gli scout ha deciso di interrogarsi su questo fenomeno numericamente rilevante ed improvviso, riscontrato negli ultimi due anni di vita associativa, analizzandolo nelle problematiche educative sottese, attraverso l’indagine sul calo dei censiti[3]. Un motivo “classico” di abbandono per molti che lasciano un’associazione, risiede nell’avere altri impegni, cioè nelle numerose attività che i ragazzi svolgono fuori: la scuola e lo studio, lo sport e, per i giovani il servizio militare e l’emigrazione universitaria, cresciuta in relazione all’aumentato tasso di scolarità negli ultimi anni. Dall’indagine condotta emerge che i motivi per i quali i ragazzi hanno lasciato l’Agesci sono prevalentemente due: la mancanza di divertimento e la conseguente noia in molte attività (30% branca Lupetti/e e Coccinelle[4], 40% branca Esploratori e Guide[5] e 11% branca Rover e Scolte[6]) che, da una lettura più attenta, risulta essere caratteristica delle riunioni cosiddette ordinarie, dove la ripetitività fa la parte del leone e finisce per stancarli. Su questo sono tutti d’accordo: l’86% cambierebbe le riunioni perché non divertenti. Sembrerebbe di intuire che l’ordinarietà delle riunioni prende il sopravvento sullo specifico scout, perché gli educatori propongono ai ragazzi uno Scautismo quasi di routine. Le attività in una sede rappresentano la quotidianità, l’incontrarsi, il porre le basi (progettuali) per i momenti più importanti che saranno vissuti all’aperto. Questo fatto pare allarmante perché, invece, lo Scautismo è un grande gioco all’aria aperta. I ragazzi lo confermano. Interrogati[7] su cosa loro sia piaciuto di più, non esitano ad individuare nelle attività fuori sede le esperienze più belle e che preferiscono dello Scautismo: campi e uscite per l’83% dei lupetti/e e coccinelle, l’88% degli esploratori e guide il 73% dei rover e scolte. Tutti hanno un bisogno innato di vivere all’aperto, di sperimentare l’avventura e la scoperta della natura. La noia delle attività in sede e la sporadicità delle esperienze, sebbene graditissime, di vita all’aperto sono causa di abbandono. Se l’impegno scout fosse più accattivante e maggiormente vissuto all’insegna dello scouting, fuori delle quattro mura, per esempio, probabilmente sarebbe valutato con peso diverso dai ragazzi. Complessivamente i ragazzi esprimono una buona ricezione della proposta scout, sia negli obiettivi sia negli strumenti, cogliendo, senza difficoltà, ciò che propone loro l’essere scout. Tra le cose “imparate”, trasversalmente alle tre branche, i ragazzi evidenziano quelle indicate

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come le mete da raggiungere nel gioco scout: la condivisione, la partecipazione, l’autonomia, la responsabilità, attraverso il gioco prima, l’avventura dopo ed il servizio, poi. La vita comunitaria non crea particolari problemi, non è considerata tra i motivi della fuoriuscita e quando viene citata è sempre in forma costruttiva. Per quanto riguarda la relazione educativa, ciò che più colpisce i ragazzi/e è lo stile dei loro capi, le parole giuste, il saper ascoltare, divertirsi. Questo indica che il rapporto con i capi è buono. Positivo anche il giudizio prevalente, che è quello di aver avuto a fianco capi disponibili, attenti e sensibili ai bisogni. Dall’inchiesta svolta emerge lo Scautismo non stanca nel tempo. La maggior parte degli abbandoni sembra verificarsi quando i ragazzi sono chiamati ad assumersi qualche responsabilità, qualche impegno diretto. Interrogativi: - Il calo di adesioni esprime una fuga dall’associazione o la difficoltà a coniugare le attività associative, sicuramente impegnative sia in tempo sia in energie, con le altre esigenze di vita quotidiana? - Gli educatori oggi dovrebbero trasformarsi in qualcosa di altro, ad esempio, semplici animatori? - Va ridotto l’impegno richiesto ai ragazzi? È necessario abbassare il tiro? - Il calendario settimanale dei ragazzi non è un po’ troppo pieno? I ritmi di impegno cui sono sottoposti non sembrano a misura di adulto più che di ragazzo? [1] Tali dati sono riportati nel numero monografico della rivista per i capi scout “Scout - Proposta Educativa” pubblicato ogni anno in preparazione del Consiglio Generale. [2] Un gruppo scout si articola in unità, in pratica in gruppetti composti da ragazzi/e di età differenti: “branco” e “cerchio” accolgono bambini e/o bambine di 8-11/12 anni; il “reparto” comprende ragazzi e ragazze di 11-15 anni; il “clan” clan” è composto da giovani tra i 16 ed i 20 anni. [3] L’originalità di tale ricerca consiste nel fatto che si è avvalsa dello strumento dell’intervista telefonica, che ha permesso di interrogare direttamente i ragazzi fuoriusciti, per comprendere l’immagine che hanno dell’associazione e per provare ad identificare quali motivi li hanno portati a lasciarla. Cfr. R.Calò, R.Gastaldo, Perché se ne vanno, in “Proposta Educativa”, 12/2/2000, 1, pp.5-7. [4] I termini “lupetto” e “coccinella” indicano rispettivamente il bambino e la bambina tra gli 8 ed i 10/11 anni che fanno parte di un branco o di un cerchio. [5] I termini “esploratore” e “guida” indicano rispettivamente il ra­gazzo e la ragazza dagli 11 ai 15 anni, che fanno parte di un “reparto”. [6] Il rover e la scolta sono i giovani tra i 16 ed i 20 anni. In in­glese il termine “rover” indica il giramondo, girovago, vagabondo, viandante, l’uomo in cammino; “scolta” è il corrispondente femminile a rover. [7] Va precisato che il campione degli intervistati (a parte quello di branca Lupetti/e e Coccinelle che proviene per il 40% da aree urbane affollate) risulta equamente distribuito tra contesti cittadini e “rurali”, dove è più facile il contatto con la natura. L'associazionismo educativo L’associazionismo educativo giovanile, un mondo sconosciuto Intorno alla complessa esperienza dell’associazionismo educativo giovanile, una realtà variegata definita come una sorta d’“arcipelago”, in Italia non è stato scritto molto dal punto di vista pedagogico[1] e solo recentemente ha riscosso, presso gli studiosi, parziale interesse. Certamente al di là di qualche autorevole e pregevole ricerca storico - educativa di carattere monografico, relativa cioè, a singole esperienze di associazioni / movimenti, siamo ancora ben lontani dal possedere una “mappa” dettagliata delle specifiche proposte pedagogico - associative e della loro evoluzione negli ultimi decenni. Nelle loro varie forme ed espressioni, i gruppi sono stati al centro di numerose indagini condotte soprattutto in campo sociologico e psicologico, alle quali va senza dubbio riconosciuto il merito di aver contribuito a comprendere meglio una realtà quale quella giovanile dalle molteplici facce ed in continua evoluzione. Inoltre, hanno consentito di approfondire ampiamente i diversi significati psicoesistenziali e socioculturali dell’esperienza aggregativa delle generazioni adolescenziali / giovanili, in una stagione di grande complessità e di accelerati cambiamenti quale la nostra, anche se tuttavia, scarse risultano le ricerche di taglio propriamente pedagogico.

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Nonostante alcuni importanti studi sociologici, i fenomeni associativi degli ultimi trent’anni sono rimasti piuttosto nell’ombra, un po’ per la scarsa visibilità ed incidenza di essi, un po’ per una certa disattenzione della ricerca scientifica. Dunque, è necessario oggi colmare, almeno in parte, tale lacuna assumendo come punto di osservazione la dimensione pedagogica dell’associazionismo giovanile, con un’attenzione specifica riguardo all’elaborazione educativa via via sviluppata al suo interno. Del resto quest’ultimo aspetto costituisce la dimensione di rilievo per numerose esperienze aggregative ed in primo luogo per quelle di orientamento cattolico. Se si trascura tale profilo, si corre pertanto il rischio di non giungere a comprendere le intenzioni e le preoccupazioni profonde di buona parte delle realtà associative giovanili. [1] Oltre agli studi di M.Peretti, L.Secco, N.Galli, i più recenti contributi si devono a L.Caimi, L’associazionismo, in C.Scurati (a cura di), Educazione extrascolastica. Problemi e pro­spet­tive, Brescia, La Scuola, 1986, pp.99-121; L.Caimi, Il contributo educativo dell’associazionismo giovanile, in AA.VV., Educare nella società complessa, Brescia, La Scuola, 1991, pp.125-151. Inoltre, vanno segnala ti: G.Petter, F.Tessari (a cura di), L’associazionismo educativo Adulti e ragazzi: un rapporto difficile, Firenze, La Nuova Italia, 1990 e G.Petter, F.Tessari (a cura di), I valori ed i linguaggi, Firenze, La Nuova Italia, 1990. I progetti e le politiche socio-educative I progetti educativi delle associazioni Le politiche socio-educative degli enti pubblici

Interventi educativi e ricreativi per il tempo libero Interventi di contrasto della povertà, del disagio, della violenza, dell'istituzionalizzazione