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DM 403 ICEF, 1.VII.04 ICEF International Court of the Environment Foundation Conferenza annuale su: ‘Le nuove tecnologie a protezione dell’ambiente’ Roma, 1 luglio 2004 "Ambiente e Biodiversità" Donato Matassino (1) (2) Sommario 1. Introduzione. 2. Rapporto ‘cittadino-territorio’. 2.1. Bioregione. 3. Ambiente. 3.1. Alcune considerazioni etiche. 3.2. Cenni di ‘biologia dei sistemi’. 3.3. Inquinamento genetico del suolo. 4. La risorsa genetica (Biodiversità) animale. 4.1. Alcune cause di perdita della biodiversità. 4.2. Tutela della biodiversità. 4.2.1. Rilevanza giuridica della biodiversità. 4.2.2. Alcuni provvedimenti legislativi dell’Unione europea. 5. Conclusioni. 6. Bibliografia. 1

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DM 403 ICEF, 1.VII.04

ICEF

International Court of the Environment Foundation

Conferenza annuale su:‘Le nuove tecnologie a protezione dell’ambiente’

Roma, 1 luglio 2004

"Ambiente e Biodiversità"

Donato Matassino (1) (2)

Sommario1. Introduzione. 2. Rapporto ‘cittadino-territorio’. 2.1. Bioregione. 3. Ambiente. 3.1. Alcune considerazioni etiche.

3.2. Cenni di ‘biologia dei sistemi’. 3.3. Inquinamento genetico del suolo. 4. La risorsa genetica (Biodiversità) animale. 4.1. Alcune cause di perdita della biodiversità. 4.2. Tutela della biodiversità. 4.2.1. Rilevanza giuridica della biodiversità. 4.2.2. Alcuni provvedimenti legislativi dell’Unione europea. 5. Conclusioni. 6. Bibliografia.

(1) Cattedra di Zootecnica generale e Miglioramento genetico - Dipartimento di Scienze biologiche e ambientali- Università degli Studi del Sannio – via Porta Arsa, 11 – 82100 Benevento – Italia - Tel.: +39 0824 305147; email: [email protected]

(2) ConSDABI - National Focal Point italiano della FAO (NFP.I - FAO) per la tutela del germoplasma animale in via di estinzione nell’ambito della Strategia Globale FAO per la gestione della risorsa genetica animale (GS-AnGR, Global Strategy for the Management of Farm Animal Genetic Resources) – Centro di Genomica e di proteomica per la Qualità e per l’Eccellenza Alimentare - Contrada Piano Cappelle - 82100 Benevento – Italia - Tel.: +39 0824 334300; Tf.: +39 0824 334046; email: [email protected]; Internet: www.consdabi.org

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1. IntroduzioneSiamo in un periodo caratterizzato da forti 'confronti-scontri' fra culture diverse e dal sorgere

di nuovi diritti dell'essere umano e di tutti gli altri esseri viventi, quindi da una nuova visione del sottosistema 'pianeta terra' inserito nel sistema 'cosmo'. Questa tendenza culturale sta determinando una profonda revisione della epistemologia (termine coniato dal filosofo scozzese J.F. Ferrier nel 1854): va intesa come accentuazione del solo momento conoscitivo e propositivo di contro a quello critico.

E' in atto un intimo, intenso e arcano tormento nel pensare e nell'individuare nuovi modelli comportamentali in grado di interpretare la realtà umana, sociale e fisica. E' palpabile la crisi, forse irreversibile, che inonda un modello fondato prevalentemente sulla sola conoscenza scientifica che si considera l'unica 'esatta' e 'positiva' nell'organizzazione dei 'saperi' e delle 'conoscenze'.

L’intensificazione della globalizzazione dell’economia e degli eventi culturali e delle migrazioni umane sollecita l’uomo a individuare nuovi percorsi comportamentali che dovranno privilegiare: la convergenza dei diversi ‘saperi’ e il confronto critico tra punti di vista diversi e antitetici.

Il binomio 'futuro del cosmo-futuro dell'uomo' sarà sempre piú inscindibile. L'evoluzione sia del cosmo (quindi del pianeta terra) che socio-culturale dell'uomo può essere interpretata come un fine intrinseco dello sviluppo dell'universo. Questa interpretazione non vuole essere una maniera diversa di contrapposizione all'evoluzionismo darwiniano; essa è piú interessante della mera memoria dell'evoluzionismo biologico. Infatti, l'evoluzionismo del cosmo e del pianeta terra è in parallelo a quello antropico. L'uomo è una componente, fondamentale, del sistema. Egli è l'artefice 'principe' del cambiamento. L'avvenire dell'uomo è fortemente legato a quello del cosmo. La 'capacità al costruttivismo' sia dell'uomo che degli altri esseri viventi è la 'chiave di volta' per un armonico e sano evoluzionismo del pianeta terra e del cosmo, quindi dell'uomo.

Paradossalmente, è l’uomo che deve svolgere il ruolo di guida nel processo dinamico che caratterizza la natura convinto che, rispettando le altre entità biotiche presenti, realizza il suo ‘benessere’ e la sua funzione di lasciare ai posteri un ambiente sempre piú vivibile.

Al n. 34 della lettera enciclica 'Popularum progressio' di Paolo VI si legge: Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all'uomo che devono servire. E l'uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore'.

Pertanto, l'alterità deve armonicamente coniugarsi con l'unicità dell'uomo, che rimane il soggetto morale unico in grado di effettuare scelte consone a 'un'amministrazione illuminata' dell'ambiente; uomo che non può essere relegato alla funzione di mero 'cittadino biotico'.Qualsiasi 'sistema complesso', identificabile con il singolo essere vivente, può esplodere o implodere in funzione dell''essere', del 'poter essere' e del 'dover essere'. Queste tre diverse condizioni, specialmente con riferimento alla persona umana, richiedono profonde e articolate riflessioni che obbligatoriamente conducono a 'canoni etici'. Tra questi ultimi si potrebbe ipotizzare un 'federalismo biologico' in grado di 'riconferire' importanza e dignità alle 'autoctonie', cioè alla 'biodiversità antica autoctona'. Questo 'federalismo biologico' configura ‘un nuovo soggetto nel mondo del diritto per la contestuale presenza di quegli elementi che determinano la rilevanza giuridica di un bene e che consentono di riconoscerne la giuridicità’.

2. Rapporto ‘cittadino–territorio’ Nel rapporto fra ambiente, società e sviluppo sta facendosi sempre piú impellente l’esigenza di

una profonda revisione del concetto di relazionismo fra cittadino e territorio che lo ospita. Il distacco reale o piú o meno presunto è una deriva che viene accentuata dal progressivo processo di

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globalizzazione in atto, per cui si ha la sensazione che il cittadino abiti sul pianeta Terra e non su un determinato territorio nel quale egli esplica la quasi totalità della sua attività quotidiana. Il concetto di agorà tende a essere sostituito da quello di ‘Cyber Urbes’, nella quale viene a mancare qualsiasi legame di tipo ‘geo-psichico’ e ‘culturale’ con il territorio, quindi con la storia di ciascuno di noi inserito in un contesto sociale e dinamico, ma fortemente ancorato alle tradizioni peculiari di un dato territorio. E’ indubbiamente da non condividere la tendenza di alcune ‘società opulente’ , ma prive di tradizione, a realizzare vere e proprie città ‘clonate’. In questa città vi sarà sempre di piú un'accentuazione degli esclusi ('drop-outs') e dell'edonismo individuale della 'middle class'. Quest'ultima, però, sarà sempre piú incline a massimizzare una visione urbanistica da 'parco' teleologicamente orientata a un vero e proprio 'centro' di produzione di ‘mero profitto’. In altre parole, questa concezione viene a coincidere con quella disneyana  che viene anche definita 'esapolis'. L' ‘esapolis’ comporterà, di conseguenza, l'abbandono dei centri storici cosí ricchi di cultura, di vitalità, di saggezza e di continuo contatto umano. A nulla vale il prevedere nella progettazione della 'cyber urbes' una plurità di stili architettonici nell'illusione che il polimorfismo umano (anche biologico) possa trovare la pienezza della sua soddisfazione spirituale in uno spazio urbano ripetibile all'infinito sul pianeta terra. Effetto di ciò è il progredire di una nuova cultura mirante a progettare a tavolino la 'cibercittà' clonata che può essere realizzata puntualmente ovunque e in qualsiasi momento al fine di ottenere solamente un 'uomo-consumatore', anch'egli clonato psichicamente.

Il legame ‘cittadino-territorio’, a partire dal XVIII secolo, ha subito un continuo rallentamento e ha portato a un profondo cambiamento come conseguenza della crescita economica in Europa; crescita conseguente alle ‘rivoluzioni’ verificatesi e che hanno interessato la ‘politica’, il ‘sociale’ e l’ ‘industria’. Successivamente, si ritiene che il predetto legame si sia profondamente modificato da poter essere rappresentato dalla ‘trilogia degli antenati’ di Calvino: “Il Barone rampante”, “Il Visconte dimezzato” e “Il Cavaliere inesistente”. Infatti, in una società di transizione, il territorio è ‘rampante’ come il “barone” dati gli interessi precipui dedicati all’agricoltura sulla base della ‘concezione fisiocratica’ dell’economia. La fisiocrazia, termine coniato dall’economista francese Du Pont de Nemours nel 1768, è quella dottrina economica che intende difendere l’attività agricola (‘natura’) quale fonte di ricchezza in grado di moltiplicare il rendimento del fattore ‘uomo’ in contrapposizione all’industria, al commercio, ecc. che sarebbero solo attività ‘sterili’ e che, pertanto, realizzerebbero unicamente una reintegrazione delle spese sostenute e che, tuttavia, sarebbero rese possibili grazie all’attività agricola che fornisce la materia prima e il nutrimento agli uomini che sono dediti a tutte le attività non agricole.

Con la concezione ‘classica’ dell’economia, il lavoro e il mercato sono considerati le ‘vere fonti della ricchezza’ di una nazione, per cui il territorio viene ‘dimezzato’ come il ‘visconte’, cioè diviso fra attività agricola e attività manifatturiera: la prima viene considerata sempre importante ai fini di dovere fornire prodotti alimentari (in genere) per l’uomo.

Con la concezione economica ‘liberistica’ di Schümpeter e/o ‘interventistica’ statale di Keynes il territorio diventa ‘inesistente’ come il ‘cavaliere’; quindi esso può essere usato senza vincoli o per soddisfare qualsiasi esigenza del cavalcante e dell’espansivo fenomeno dell’urbanizzazione ‘tout court’. Con questa visione si realizza il modello epistemico di Francesco Bacone tendente a privilegiare la 'finalità pratica e operativa del sapere', quindi a conferire all'uomo il dominio sulla natura previa una conoscenza basata sul valore dell'esperienza e non sulla mera descrizione della natura stessa; in questo contesto forte è la critica baconiana a tutto ciò che pregiudizievolmente influenza il sapere scientifico; critica che si concretizza nei noti 'idola' baconiani. Lo stesso si può ipotizzare nei confronti del pensiero cartesiano (Descartes): ideazione di un sistema universale, nel quale 'da un principio assolutamente certo si possono dedurre tutti i principi delle singole scienze'. Questo principio di certezza è nell'’io’; da questa identificazione scaturiscono il 'soggettivismo' moderno e il 'razionalismo', quindi l'’io penso’ quale soggetto e oggetto contemporaneamente. Non è da dimenticare l'influenza di Galileo nella quantificazione matematica degli eventi naturali

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qualunque sia la categoria interessata, purché osservabile e misurabile; pertanto, queste categorie possono comprendere, fra l'altro, quelle proprie della psiche e dei processi socio-culturali.

Il rapporto 'uomo-natura' non può sfuggire alle logiche evolutive del sistema socioeconomico. Queste logiche possono essere raggruppate in tre ampie 'categorie':

(a) logica di crescita(b) logica di sviluppo 'tout-court' (c) logica di sviluppo sostenibile.

La logica di crescita è caratterizzata, prevalentemente, da un aumento quantitativo di beni e di servizi. Essa persegue una finalità: espansione indefinita delle attività antropiche nel convincimento dell'infinita disponibilità di risorse e dell'insaziabilità dei bisogni umani. Pertanto, questa logica ignora qualsiasi attuazione di iniziative per la salvaguardia delle risorse naturali.

La logica dello sviluppo si identifica con un sistema socio-economico, dinamico temporalmente e spazialmente, su base di una forte razionalizzazione del sistema produttivo. Questa razionalizzazione deve concretizzarsi nell'evitare sia lo spreco di risorse che la sottoutilizzazione delle stesse.

La logica di sviluppo sostenibile è rappresentabile dalla figura I. Essa incorpora tre 'dimensioni' (obiettivi) fondamentali che devono interagire fra di loro: economica, sociale ed ecologica. Il diagramma a triangolo equilatero vuole significare che i tre vertici (A, B e C) indicano la massimizzazione di un solo obiettivo. Le diverse combinazioni all'interno del triangolo consentono di realizzare soluzioni variabili, temporalmente e spazialmente, in una visione di ottimizzazione dinamica sistemica.

Pertanto, la sostenibilità consiste nell'armonizzare, in un equilibrio dinamico, le 'forze' eterogenee e conflittuali identificabili con: l'efficienza, la crescita e la stabilità nella dimensione economica; la povertà, l'equità intergenerazionale e la cultura nella dimensione sociale; la biodiversità, la resilienza e l'inquinamento delle risorse naturali nella dimensione ecologica. Specialmente nei riguardi della dimensione ecologica, grande importanza riveste l’effetto ‘inquinamento’ delle risorse naturali, attribuibile particolarmente al fattore antropico. Tuttavia, la sostenibilità economica e sociale di una “bioregione” andrebbe opportunamente stimata per poter esprimere valutazioni, le meno errate, sul potenziale produttivo sia per singola attività privatistica che per l’intera filiera. In altre parole andrebbe, di volta in volta, stimato il cosiddetto “valore aggiunto territoriale” (VAT) che potrebbe essere determinato come differenza tra il valore “prima” e quello “dopo” l’attuazione di determinati interventi.

Ai fini del miglioramento del 'benessere dell'uomo' [Human Welfare State (HWS) e Wellbeing] specialmente nel lungo periodo, la logica dello sviluppo 'sostenibile' è da perseguire, purché si raggiungano accettabili livelli di armonizzazione fra le suddette tre dimensioni.

Il Magnaghi rappresenta come segue quello che egli definisce il ciclo della vita di un territorio in una ‘società sviluppata’: “Il territorio è un’opera d’arte: forse la piú alta e la piú corale che l’umanità abbia espresso. Il territorio nasce dalla fecondazione della natura con la cultura. L’essere vivente che nasce da questa fecondazione, in quanto neo-ecosistema, ha carattere, personalità, identità, percepibili nei segni del paesaggio…. La nostra civilizzazione tecnologica nella corsa a costruire una seconda natura si è progressivamente liberata del territorio, trattandolo come superficie insignificante e seppellendolo di oggetti, opere, funzioni, veleni…. In un’epoca storica dominata dal ‘fordismo’ e dalla produzione di massa le teorie tradizionali dello sviluppo, fondate sulla crescita economica illimitata, hanno considerato e impiegato il territorio in termini sempre piú riduttivi; questa liberazione del territorio ha prodotto una crescita della ricchezza di natura effimera accumulando nel tempo in modo esponenziale il degrado ambientale e sociale che ha prodotto l’insostenibilità dello sviluppo e l’obsolescenza del concetto stesso di sviluppo…. Attraverso il tecnico e le protesi tecnologiche ci si è liberati dei vincoli territoriali e si può localizzare in piena libertà, dovunque, tutto e sempre. La liberazione dai vincoli territoriali, che per una fase storica ha consentito giganteschi processi di mobilitazione e di valorizzazione delle risorse ambientali e umane, ha tuttavia prodotto nel lungo periodo dipendenza e fragilità: la metropoli vive

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e cresce ignorando e distruggendo le capacità del proprio ambiente di riprodursi. La liberazione progressiva dai vicoli territoriali ha portato nel tempo a una crescente ignoranza delle relazioni tra insediamento umano e ambiente, relazioni che hanno generato la storia dei luoghi e la loro identità, unica, riconoscibile, irripetibile”.

La felice intuizione di Adam Smith è oggi di una evidenza lampante: bisogna sempre distinguere il ‘comune cittadino’ dal ‘cittadino che conta’; del primo egli dice: “siccome ogni individuo mira solo al guadagno proprio, in questo è guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non rappresenta alcuna parte delle sue intenzioni. Nel perseguire l’interesse proprio egli promuove quello della società”…; del secondo egli dice: “…i mercanti e i padroni di industrie sono le due categorie di uomini che comunemente impiegano i piú grossi capitali e che per la loro ricchezza attirano a sé stessi la massima parte della pubblica considerazione. Siccome per tutta la vita si occupano di programmi e di progetti, essi hanno spesso maggiore acutezza d’intelligenza della maggioranza dei signori di campagna. Tuttavia, siccome i loro pensieri comunemente si aggirano piuttosto sull’interesse del loro particolare ramo di affari, che su quello della società, il loro giudizio, anche quando è dato con la massima obiettività (il che non sempre si verifica) è sempre degno di affidamento molto piú nei riguardi del primo scopo che del secondo”.

2.1. BioregioneNel 1992 alcuni Enti (World Resources Institute, World Conservation Union, FAO, UNESCO,

United Nations) hanno definito la bioregione “un modello di gestione sostenibile delle risorse naturali di un territorio da parte delle comunità locali”.

La bioregione può essere costituita da qualsiasi territorio che coincide con un’area geografica omogenea per caratteristiche orografiche, pedoclimatiche e sociali. Pertanto, essa esula da qualsiasi concetto di area delimitata da confini politico-amministrativi e può essere oggetto di un relativo facile temporale delle varie condizioni caratterizzanti il territorio interessato. In fondo, questo territorio o ‘bioregione’, che viene studiato in chiave sistemica, può essere rappresentato da un mandala (figura II). L’impostazione sistemica è l’unica che può razionalmente rispondere all’esigenza di conoscenza spaziale e temporale di una bioregione.

Data la notevole flessibilità dell’impostazione sistemica, che si concretizza nell’individuare un concreto territorio e una concreta rilevazione di fattori che lo caratterizzano, si può pensare di assemblare le diverse forme delle bioregioni in un vero e proprio concetto di bioregionalismo. E’ opportuno precisare, come è stato sottolineato dagli Enti conianti la ‘bioregione’, che resta non violabile il concetto di base: “il territorio deve essere gestito dalle comunità antropiche locali”; queste comunità sono le uniche in grado di individuare e di gestire correttamente (di norma) le complesse relazioni intercorrenti fra le variabili ambientali e quelle antropiche proprie di quell’area.

Il bioregionalismo, quale corrente di pensiero, sorge in California negli anni Settanta del secolo scorso allo scopo di favorire la corretta gestione (sviluppo sostenibile) di qualsiasi territorio o ‘bioregione’ per sfociare nella definizione di ‘sviluppo sostenibile’ nel significato proposto dalla Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo nel 1987.

Nell’ambito del bioregionalismo è stata prevista anche una propria tassonomia come, per esempio, le ‘bioregioni conservatrici’ (ecoregioni, parchi naturali, risorse della biosfera) e le ‘bioregioni evolutive’ (rurali, urbane, metropolitane).

In sintesi, d’accordo con Iacoponi, “il bioregionalismo si pone nella doppia prospettiva globale (planetaria) e locale (regionale) cercando di comprendere le connessioni tra i fenomeni naturali (energetici, biotopici ed ecologici) e antropici (economici, sociali e culturali) nella chiave di lettura dell’autonomia organizzativa e delle capacità di scambio”.

3. Ambiente 3.1. Alcune considerazioni etiche

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Il problema della salvaguardia dell’ambiente è ormai diventato obiettivo prioritario a livello mondiale ponendo in primo piano, quale base fondamentale per uno sviluppo sostenibile, la tutela della biodiversità.

Una definizione appropriata per caratterizzare l’ambiente è quella di Maelzer (1965): “Ambiente è la somma di ogni cosa che influenza direttamente la probabilità del vivente di vivere e di riprodursi”; l’insieme delle variabili di natura fisica, chimica, biotica e psichica influenzanti direttamente la probabilità del vivente di ‘vivere’ e di ‘riprodursi’ costituisce l’ambiente ‘naturale’; se a queste variabili si aggiunge quella antropica, l’ambiente viene considerato ‘culturale’.

Un corretto uso dell’ambiente non è altro che il trasferimento operativo da parte dell’uomo dei principi che regolano i vari microagroecosistemi.

Il rispetto dell'ambiente richiede sempre di piú un'attenzione preminente, pur nell'ottica dell'incremento delle produzioni per soddisfare le esigenze in nutrienti di una popolazione che, non solo aumenta numericamente, ma vuole che migliorino continuamente le qualità nutrizionali ed ‘extranutrizionali’ del cibo.

E' in atto un forte processo irreversibile di consapevolezza, da parte dell'uomo, del diritto della propria esistenza e di quella del pianeta terra, senza rinunciare ai benefici acquisiti o acquisibili con le nuove scoperte scientifiche. Tutto ciò si ripercuote anche sulle scelte degli stili di vita, diversificati per cultura e per tradizione.

E’ l’uomo che deve svolgere il ruolo di guida nel processo dinamico che caratterizza la multiforme realtà spaziale e temporale, nella convinzione che, rispettando le altre entità biotiche presenti, realizza il suo ‘benessere’ e la sua funzione di lasciare ai posteri un ambiente sempre piú vivibile.

E’ necessario ridurre il grado di ‘immaturità’ dell’agrecosistema per diminuire la sua subalternità ai tempi storici e per avvicinarlo sempre piú ai tempi biologici dell’ecosistema ‘giovane’, caratterizzato da un bilancio energetico positivo: produzione netta sempre maggiore di zero.

La vita e il funzionamento di qualsiasi sistema sono condizionati dalla qualità e dalla quantità dell’informazione di cui il sistema dispone. Si può ritenere che tutti i fenomeni biologici e culturali sono aspetti del trattamento dell’informazione.

In questa visione, trova un ampio significato operativo la 'tutela' del 'pianeta terra' considerata da Lovelock come un unico sistema paragonabile a un 'organismo omeostatico', quindi capace di autoregolazione e di mantenere dinamicamente le condizioni necessarie alla propria sopravvivenza. L'ipotesi di 'Gaia = pianeta terra come ecosistema' è inesorabilmente affascinante e di forte riflessione cognitiva. La teoria di Gaia, che ha una sua base matematica nel modello del 'Pianeta delle Margherite ('Daisy world')', considera il pianeta 'terra' come 'un sistema in cui l'evoluzione degli organismi è strettamente legata all'evoluzione del loro ambiente'. Grazie alla presenza degli organismi viventi la 'terra' è mantenuta in stato favorevole. In sintesi, Gaia può essere considerata un vero e proprio essere vivente, definibile come un 'sistema biologico aperto dinamico vincolato'  e caratterizzato -per analogia - da tutte le problematiche di un essere vivente. Questo concetto di Gaia, si rifà a quello di Hutton che, oltre due secoli orsono, definí la 'terra'  un superorganismo dotato di tanti e funzionanti 'sistemi autoregolatori' sfocianti in un 'olismo' di antica concezione induista.

Alcuni indicatori, già noti, dovranno trovare maggiore 'cittadinanza': 'stato di salute' della biodiversità e 'impronta ecologica'. Il primo fornisce elementi cognitivi del pianeta terra 'vivente’, il secondo dà indicazioni sullo stato di 'pressione umana' sui differenti 'sistemi naturali'.

E' noto che, con l'avanzare del processo di globalizzazione nel campo culturale e socio-economico, la risorsa 'naturale' sta assumendo un ruolo sempre piú importante, se non insostituibile, e, presumibilmente, sarà l'unico mezzo in grado di affrontare in chiave risolutiva gli innumerevoli problemi che interessano l'umanità del pianeta terra ai fini di realizzare un sistema socio-economico sempre piú proteso verso traguardi dinamici, spazialmente e temporalmente, propri di uno sviluppo 'sostenibile' . La sostenibilità di qualsiasi processo socio-economico è

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realizzabile solo con la 'tutela' di qualsiasi risorsa naturale; 'tutela' che comprende la individuazione, la conoscenza, la conservazione e la valorizzazione della predetta risorsa.

Il concetto di ‘naturalità’, riduttivamente inteso dai conservazionisti come assenza di antropicità, deve in realtà comprendere anche l’uomo. Questa concezione di naturalità, derivata dal concetto di wilderness (“nella naturalità è la salvezza del mondo”) di Henry David Thoreau (1849), va intesa come ‘realtà evolutiva, storica, in cui ordine e disordine giocano un egual ruolo: la natura non è determinata una volta per tutte , perché è aperta a prospettive imprevedibili’.

L’interesse per la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali è rivolto non piú solo ai territori ‘naturali’ e meno ‘antropizzati’, ma in misura sempre maggiore, anche agli agroecosistemi tradizionalmente coltivati e produttivi. Basti ricordare come il concetto di ‘parco’ stia coinvolgendo aree in cui le attività agricole e la presenza dell’uomo sono piú diffuse. Attualmente, il compito principale delle ‘aree protette’ non è solo quello di salvaguardare le diverse forme di vita e i loro equilibri, ma è anche quello di costituire modelli di sviluppo economico ‘sostenibile’ per i residenti.

In altre parole, la ‘natura antropizzata’ non è il contrario della conservazione, ma tutto dipende dalle modalità con le quali l’uomo usufruisce dell’incommensurabile ricchezza di variabilità presente sul nostro pianeta.

La rivoluzione culturale in corso, nella visione e nella gestione del territorio o ‘bioregione’, può essere considerata l'avvenimento piú importante, in un approccio storico, dell'inizio del terzo millennio.

Non essendo chiaro il vero concetto di 'natura', forse non è errato rifarsi a Eraclito: 'la natura ama nascondersi'; pertanto, essa ha un carattere 'enigmatico' o di 'nascondimento'; eppure, apparentemente, essa non ci nasconde alcuna cosa. Tuttavia, la natura rappresenta per noi il problema piú inquietante, se non il primo; problema che non può essere sottovalutato anche se Goethe dice 'anche ciò che vi è di piú innaturale appartiene alla natura'.

Al di là di qualsiasi 'riduzionismo scientifico' o 'semplificazione filosofica', l'asserzione agostiniana ('factus sum mihi magna quaestio') conserva tutta la sua valenza nel pensare che quello della natura è un problema di non semplice soluzione.

Si può ritenere che esista un rapporto primigenio tra uomo e natura; rapporto che li 'coinvolge' reciprocamente, ma, per quanto mi riguarda, con un'attribuzione ontologica privilegiata  all'uomo,   se non di carattere 'numinoso'. Questa visione è ampiamente giustificata anche dall'abissale differenza tra la vita dei viventi secondo la 'natura' e la vita dei viventi secondo la 'natura umana'; la seconda ha la capacità e il dovere di individuare la soluzione migliore del rapporto 'uomo-natura',   in quanto l'uomo è portatore di una scienza 'antica': la sapienza. Operando con sapienza, l'uomo può distinguere, sulla base della concezione hegeliana,  una 'natura in sé' da una 'natura per noi', conscio che la prima non potrà mai essere totalmente inglobata nella seconda, se mai è la natura per noi' che, se non gestita con lungimiranza e con 'amore', può ritornare alla 'natura in sé'. Indubbiamente, quest'ultima ha avuto un grande ruolo e significato vitale per i nostri antichissimi antenati. La gestione della 'natura per noi' non potrà in alcun caso essere assimilata alla 'natura in sé', in quanto quest'ultima è tale perché è avulsa da qualsiasi intervento antropico; probabilmente, oggi, questo concetto non ha piú significato assolutistico. Infine, sarebbe illusorio da parte dell'uomo trasferire 'sic et simpliciter' le acquisizioni proprie della 'natura per noi' alla 'natura in sé' .

La problematica connessa al rapporto fra conservazione dell'agroecosistema 'naturale' e gestione dell'agroecosistema 'culturale' (antropico) deve innescare processi comportamentali antropici tendenti a unire e a integrare gli interventi, piú che a dividerli, al fine di perseguire il raggiungimento di obiettivi comuni; obiettivi che non possono essere racchiusi in una mera visione teleonomica monodiana della vita sul pianeta terra, né in una semplicistica visione teleologica del cosmo che figurativamente è identificabile con un vero e proprio caleidoscopio di realtà e di organizzazione.

Negli ultimi 3÷400 anni si è avuto un continuo incremento della sensibilità dell'uomo verso un approfondimento del concetto 'protezione della natura'. Specialmente nel 19. secolo, grazie al

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geografo esploratore tedesco von Humboldt che formulò la tesi dell' 'interdipendenza tra l'umanità e le altre forze dell'universo', si accentua sempre di piú l'attenzione verso i rapporti 'uomo-natura', prendendo particolarmente in considerazione la filosofia indù di una visione 'olistica' dell'universo. Interessante è l'analisi compiuta da Küng (1991) nel suo 'Progetto per un'etica mondiale'.

E' indubbio che l'attività dell'uomo (dominio dell''Homo sapiens') è foriera di cambiamenti molto piú repentini e globali di quelli che opera la 'natura' con i suoi peculiari tempi di lentezza, di gradualità e di 'localismo'. Da una vasta continua profonda riflessione su questo dualismo comportamentale è scaturita l''etica ambientale' ('environmental ethics') che, ormai, costituisce una scienza gemmata dalla filosofia morale. Questa etica si occupa di individuare e di definire regole dinamiche, nel tempo e nello spazio, che devono essere adottate tutte le volte in cui un'azione antropica ha effetto diretto o indiretto sull'intorno biologico e/o abiologico. Un apporto notevole all'individuazione di un rapporto 'uomo-natura' meno portatore di contrasti è venuta dall'opera di Leopold (conservatore di foreste negli Stati Uniti d'America) quando parla di storia naturale 'rurale' e suggerisce una profonda revisione nella gestione della 'terra' nel senso di utilizzazione di questa con il fine di una seria 'conservazione'; quindi, 'la terra' è una 'comunità' a cui l'uomo appartiene e ove egli deve 'abitarvi senza saccheggiarla' e, pertanto, è necessario sviluppare fortemente il concetto di una vera e propria 'Land Ethics', le cui fondamenta sono i continui 'saperi' sui rapporti fra le diverse 'componenti' o 'variabili' di un 'ecosistema'.

L'impostazione 'leopoldiana' non è, a mio parere, condivisibile quando considera l'uomo semplice 'cittadino biotico'; viceversa, è condivisibile quando essa afferma che “una cosa è giusta (corretta eticamente) quando tende a preservare l'integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica, mentre è illecita quando tende nel verso opposto”.

Senza tema di smentita, sono da condannare tutte le soluzioni basate su: ‘arroccamento solipsistico’, ‘sapere riduzionistico’, ‘tentazione estremistica’ e ‘fondamentalismo’.

L'etica ambientale è stata definita, fra l'altro, “l'insieme dei principi etici in base ai quali regolare la relazione tra l'uomo e la natura”. Pertanto, l'etica e la natura non sono piú due 'categorie' diverse, quindi la gestione della seconda richiede, da parte dell'uomo, forte riflessione etica. La problematica ambientale riflette fortemente il dibattito sulla filosofia ambientale, specialmente di tradizione anglo-sassone.

Data l'importanza che stanno assumendo questa branca della bioetica e la sua forte interdisciplinarietà, sempre piú nutrito è il numero di studiosi delle diverse discipline interessati all'argomento. Pertanto, non si può pensare che la soluzione della 'complessità ambientale' possa essere affidata a una scienza: 'ecologia', in quanto la gestione dell'ambiente è talmente 'complessa' che trascende notevolmente dalle competenze degli scienziati dell'ambiente.

Potter nel coniare la parola 'bioetica' ha avuto la felice intuizione della necessità di non considerare avulsa dai rapporti fra gli individui l'importanza della tutela della biosfera: solo da una relazione armonica fra 'uomo' e 'natura' può scaturire una possibilità di vita consona a soddisfare le varie esigenze per le future generazioni. Una delle definizioni della bioetica è 'lo studio sistematico delle dimensioni morali, comprensivo sia della visione morale, sia delle decisioni, sia della condotta, sia delle politiche circa le scienze della vita e della salute, che utilizza una varietà di metodologie etiche con una impostazione interdisciplinare'.

A proposito di bioetica, mi piace ricordare quanto scritto da Bernardini (2004): “Il ‘raziocinio’ torna a essere il piú nobile attributo dell’Uomo e la sua piú drammatica penalizzazione se la ‘conoscenza’ non riesce a trovare un limite alla ‘conoscenza’. In campo medico la moderna ‘bioetica’ dovrà ancora ridefinire la competenza della ‘bioetica’. Se è istintivamente auspicabile trovare rimedio a ogni ‘affanno’ dell’Uomo e dell’Umanità, che merito avranno gli uomini e l’umanità del loro nuovo modo di essere e vivere senza la necessità e la responsabilità di tutelare il proprio e l’altrui stato di ‘benessere’? Ho timore che una risposta affermativa all’interrogativo, se ‘istinto’ e ‘sentimenti’ siano o meno soltanto fenomeni fisici, potrebbe indurre uno stato di ‘depressione’ che non so quale rimedio potrebbe curare, salvo, forse, la ‘fede’, o almeno la ‘speranza’ ”. Pertanto, d’accordo con Bernardini, la nostra natura e quella dell’Universo, che la

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ragione consente di conoscere e di ammirare, non possono essere considerate soltanto con una visione e/o convinzione di ‘fisicità’.

Si deve a Jonas l'introduzione del concetto 'Il principio della responsabilità', che deve sempre integrare quello della 'libertà'.

E' noto che in ecologia vi è un marcato pluralismo etico che, d'altronde, è tipico della nostra società. Il problema etico non è solo quello inerente al rischio del 'benessere' dell'uomo, ma esso si sta ampliando nel considerare la funzione dell'uomo come soggetto biologico dell'intero sistema ambientale.

Il Bartolommei sottolinea con forza che l'uomo non può essere considerato un semplice 'cittadino biotico' (concezione leopoldiana, come già detto) in quanto ciò comporta l'esclusione dell'uomo quale  soggetto morale.

Le stesse teorie dei 'diritti della natura' o dei 'diritti degli animali  e degli esseri viventi non umani' sono, a mio avviso, di difficile condivisione. Infatti, è l'uomo che con il suo intervento essenziale e prioritario è l'unico in grado di discernere e stabilire, quindi, diritti diversificati al fine di realizzare quel sistema di vita armonioso che si può identificare con un' ‘amministrazione illuminata’ dell'ambiente nel suo significato piú ampio.

Una realtà è difficile da confutare: l'interdipendenza fra uomo e altri componenti la natura. Le prime riflessioni risalgono al 1974 (Blackstone, Stone e Postmore). In sintesi, questo

pluralismo è conducibile a due correnti di pensiero: 'Anti-antropocentrismo' e 'Antropocentrismo'; la prima comprende: Etica della terra, Ecocentrismo, Biocentrismo e Etica dei diritti della natura, Ecofemminismo e 'Deep Ecology Movement', Pluralismo; la seconda: Antropocentrismo forte e 'Cow-boy ethics', Antropocentrismo moderato, Utilitarismo, Etica della responsabilità, Etica ambientale cattolica.

Tuttavia, il 'principio di responsabilità' verso l'esistente e, ancora piú, nei confronti delle future generazioni può essere il minimo comune denominatore delle varie teorie.

Un tentativo di razionalizzare le argomentazioni inerenti alla relazione tra 'cultura' della vita umana e 'cultura' ecologica è quello suggerito da Lombardi Vallauri, che ha rappresentato il 'tutto' con 4 cerchi concentrici:

(a) umanesimo di tipo spiritualistico, metafisico(b) animalismo di tipo individualistico, concernente gli animali superiori(c) ecologismo olistico sotto i due aspetti della sopravvivenza e della varietà, bellezza,

ricchezza(d) ambientalismo esteso ai paesaggi umani.

Esamineremo ora, brevemente, queste 4 correnti di pensiero, integrandole con altre riflessioni.Umanesimo spiritualistico o metafisico. L'uomo è la realtà centrale del cosmo, perché è

dotato di una dignità preminente su tutto il 'creato';  dote innata per la sua funzione 'transcendente' di essere e di valore. Trattasi di un cultura della vita assolutamente di tipo 'antropocentrica' e sociologicamente 'cristiana'. La radice di questa visione è quella biblica, ove l'uomo non è mai citato come uno degli animali; viceversa, gli 'ambientalisti', 'ideologicamente' estremi, spesso si esprimono in termini di 'uomo' e di 'altri animali'. Nel tempo, questa visione dell'uomo, con radici anche nell'umanesimo' greco (il 'platonismo' con il suo spiritualismo), confluisce nella scolastica cristiana medievale e nella neo-scolastica per poi accentuarsi con il 'cartesianismo' (netta, se non assoluta distinzione fra realtà autocosciente e realtà materiale) e con il 'kantismo' (primato assoluto dell'io trascendente e dell'etica).

Animalismo individualistico. Gli animali superiori vanno tutelati in quanto 'senzienti' cioè dotati di 'sensitività' , quindi capaci di distinguere il dolore e il piacere: il primo da evitare e il secondo da massimizzare. Questa visione animalista sfocia nel riconoscimento di diritti all'animale singolo e non alla specie: è il singolo che è dotato di capacità sensitiva al piacere e al dolore. A questa concezione si rifà l'utilitarismo inglese che, entro certi limiti, può ritenersi affine all'aristotelismo.

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Ecologismo olistico. E’ l'affermazione del primato della natura. A differenza dell'animalismo individualista, questa corrente di pensiero tende a tutelare l'armonia dell'insieme di tutte le componenti dell'ecosistema, quindi la natura in sé stessa. Pertanto, il diritto del singolo viene considerato 'secondario' rispetto al primato dell''insieme': primato che può interessare anche la bellezza, la varietà e la ricchezza di un dato ambiente. La tutela di queste caratteristiche di un ecosistema 'naturale' è fondamentale per la realizzazione di una realtà consona al miglioramento della qualità della vita.

Ambientalismo. E’ un miglioramento della visione dell'ecologismo olistico nel senso che viene compreso tutto l'ambiente in cui è inserito l'uomo: la natura e tutti i beni culturali.

A complicare il tutto, vi è il 'riduzionismo scientifico-tecnologico' con le relative conseguenze dell'ordine interpretativo e di quello etico. Qualsiasi essere vivente, uomo compreso, è la sommatoria di materia e di energia, quindi di informazioni. Pertanto, non vi sono elementi in grado di differenziare le concezioni delle categorie dei viventi: tutti i valori si equivalgono. E' facile dedurre che il 'riduzionismo scientifico-tecnologico' può sfociare nel 'riduzionismo nichilista' che, indubbiamente, è la massima espressione del pensiero in chiave sia di anti-'umanesimo metafisico' sia di anti-'animalismo'. Possiamo ritenere che il prevalere in certe società, ritenute economicamente avanzate, della concezione propria del 'riduzionismo scientifico-tecnologico' possa instaurare iniziative umane tali da favorire rapidamente il verificarsi di catastrofi ambientali mai avutesi.

Parafrasando alcune riflessioni della Battaglia, è possibile riconoscere uno 'status' morale a tutti i componenti del cosmo?' Limitatamente alla biosfera del pianeta terra, l’ “egualitarismo interspecifico” può ritenersi davvero il postulato piú idoneo per estendere i confini della comunità morale'? La risposta potrebbe essere in quella branca della filosofia morale di oggi che è l' 'etica della cura'.  Questa etica, però, coincide con il noto imperativo morale dell' ‘alterità’ o del 'prossimo' umano o della solidarietà, cioè di 'preoccupazione per il benessere di un altro' senza riscontro di 'reciprocità '.

Il rapporto 'uomo-natura' può essere considerato del tipo 'odio-amore': piú l'uomo gestisce la natura, piú la conosce, ma piú questa evidenzia la sua imprevedibilità e/o la sua contrapposizione; pertanto, possiamo ritenere che questo rapporto dalle origini nebulose rimarrà sempre conflittuale, entro certi limiti, ma aperto continuamente a nuove e dinamiche soluzioni.

Per quanto mi riguarda, condivido quella che viene ritenuta una posizione 'antropologica moderata': una modificazione di una 'realtà' naturale è da perseguire se è diretta alla realizzazione del 'bene comune'. Da ciò scaturisce un interrogativo: in che modo e in che misura l'uomo può modificare la suddetta realtà e quali sono i rischi relativi di questa azione? Ancora una volta, probabilmente, bisognerà ricorrere alla soluzione del problema con l'ausilio di un 'sistema complesso' ove alla componente etica va attribuito un 'valore' non epidermico.

Il pianeta terra si sta avviando verso rapporti sempre piú 'virtuali' e sempre meno 'virtuosi' fra ed entro la comunità di uomini. Trattasi di una tendenza che potrà essere foriera di gravi 'guasti' nei rapporti sociali che potrebbero essere 'irreversibili' per un lungo periodo di tempo. Da questa facile previsione scaturisce la necessità, da parte dell'uomo, di impegnare tutto il suo arsenale 'culturale' per ridurre, in prima istanza, e per eliminare, in una seconda fase, gli effetti negativi del 'virtualismo'.

3.2. Cenni di ‘biologia dei sistemi’L’impostazione sistemica trova una motivazione pregnante nel funzionamento di un organismo

vivente e delle sue componenti (per esempio, i tessuti e gli organi), che si manifesta e si esprime non solo attraverso la sua dotazione della specificità dell’attività metabolica della singola entità, ma anche attraverso lo scambio continuo di comunicazioni inter- e intra-cellulari. Nel funzionamento corretto di questa rete cibernetica di ‘segnali biologici’ è la ‘chiave’ di lettura del ruolo che le ‘comunicazioni biochimiche’, liberantisi da un alimento ingerito, svolgono nell’uomo e nell’animale; rete cibernetica che opera diversamente in relazione all’ambiente in cui l’organismo esplica le sue funzioni metaboliche proprio sulla base dei suddetti ‘segnali molecolari’. Tali segnali fanno in modo

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che le richieste di una cellula o di un tessuto vengano trasmesse ad altre cellule o ad altri tessuti, garantendo una risposta coordinata dell’organismo alle sollecitazioni di natura ambientale.

L’integrazione tra lo studio dell’insieme dei geni trascritti in una cellula (trascrittomica) e quello delle proteine espresse (proteomica) e quello di tutte le reti metaboliche cellulari (metabolomica) è la ‘conditio sine qua non’ per un approccio in linea con la nuova disciplina, la ‘biologia dei sistemi’, che permetterà una migliore conoscenza dei processi biologici, nei quali i geni e le proteine vanno considerati e studiati come componenti insostituibili di una vera e propria rete cibernetica. Il suddetto approccio integrato consente di:

(a) acquisire conoscenze che permettano di colmare il vuoto tra genomica funzionale e biologia cellulare

(b) studiare i cambiamenti dei processi metabolici di animali, di microrganismi e di piante in risposta a differenti condizioni ambientali; l'analisi differenziale del proteoma e dell’espressione dei geni permette di studiare quali polipeptidi, proteine o loro isoforme siano espressi in determinate condizioni ambientali; queste informazioni, oltre a definire le reti cellulari instaurate tra geni e proteine che rispondono a particolari stimoli, possono contribuire a identificare i bersagli molecolari di particolari fattori ambientali

(c) tutelare la biodiversità: l’approccio integrato ‘genoma – proteoma’ rappresenta un valido strumento per la tipizzazione della biodiversità, consentendo la identificazione e la caratterizzazione di biomarcatori molecolari di ‘unicità’ genetica (a livello di singolo individuo) e di ‘tipicità’ (a livello di prodotto) che sono alla base della ‘diversificazione nutrizionale ed extranutrizionale’ degli alimenti

(d) identificare proteine ‘nuove’, come quelle che vengono eventualmente a essere sintetizzate negli organismi transgenici (OT) (cosiddetti organismi geneticamente modificati, OGM): infatti, nel caso degli organismi transgenici si rende necessario rilevare e quantizzare la presenza di proteine o loro isoforme o polipeptidi nuovi, quindi non presenti nei corrispettivi ‘convenzionali’ (non transgenici), e ciò specialmente a livello di prodotti forniti da OT e destinati all’alimentazione per l’uomo.

Con riferimento alla problematica di cui al precedente punto (d), un esempio è rappresentato dallo studio del profilo proteico di varietà ‘transgeniche’ di grano duro (Di Luccia et al., 2004; Lamacchia et al., 2004) .

Nella valutazione di un grano duro destinato alla trasformazione in ‘pasta alimentare’ per l’uomo rivestono particolare importanza:

(a) il contenuto totale delle proteine del glutine (glutenina e gliadina), nonché il rapporto gliadina/glutenina

(b) le interazioni fisico-chimiche tra i maggiori componenti delle cellule dell’endosperma amilaceo: proteine (glutenina e gliadina), carboidrati (amido e pentosani), lipidi, con particolare riferimento a quelli polari (fosfolipidi e sfingolipidi, ecc.), le cui proprietà emulsionanti e stabilizzanti consentono interazioni con molecole proteiche e amilacee; la quali-quantità dei suddetti componenti è influenzata da fattori genetici e ambientali; a esempio, le variazioni dell’espressione dei geni che codificano per le subunità ad alto peso molecolare (HMW, high molecular weight) delle glutenine determinano variazioni nella composizione in subunità della glutenina che, a loro volta, influenzano le caratteristiche reologiche; in piú, il ‘trafficking’ delle proteine(1) del glutine,

1(?) Per trafficking proteico s’intende il trasporto, strettamente controllato, delle proteine dal reticolo endoplasmatico ruvido (RER) o ergastoplasma (ove esse sono sintetizzate) al sito in cui esse svolgeranno la loro attività funzionale; tale, sito, specifico per ciascuna proteina, può essere intracellulare o extracellulare; il trafficking, oltre ad altri compartimenti cellulari, coinvolge il complesso di Golgi, che rappresenta una stazione intermedia per la veicolazione delle proteine tra l’RER e la sede

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attraverso il sistema secretorio delle cellule dell’endosperma amilaceo, contribuisce al determinismo delle interazioni proteiche che influenzano le proprietà viscoso-elastiche del glutine.

Al fine di incrementare le acquisizioni di conoscenze in merito alle basi molecolari delle suddette proprietà del glutine è stato comparato il profilo proteico di:

(a) linea ‘transgenica’ di grano duro contenente il gene rab 1 del tabacco ‘selvatico’, nota come ‘Svevo B730-1-1’, con la corrispettiva varietà Svevo ‘convenzionale’; i risultati ottenuti possono essere sintetizzati come di seguito: l’inserzione nel genoma del gene rab 1 ‘selvatico’ di tabacco, che possiede un’ elevata omologia (grado di identità di sequenza nucleotidica) con il gene rab1 di frumento, determinerebbe un effetto di ‘iperespressione genica’ (gene up regulating, GUR) (2)

attribuibile al gene rab 1 del tabacco; il gene rab 1 codifica per l’enzima guanosina trifosfatasi rab 1 (GTPasi-rab1) (3), (4); questa linea transgenica è stata denominata ‘Svevo B730-1-1’; la iperespressione può essere spiegata come segue: il gene rab1 può essere paragonato a un’ ‘officina che costruisce autobus’, i quali raffigurano l’‘enzima GTPasi-rab1’, addetti al trasporto di un certo numero di ‘passeggeri’ (a esempio, 100 passeggeri), identificabili con le ‘proteine sintetizzate’, le quali debbono essere veicolate dall’RER al complesso di Golgi; la predetta inserzione determinerebbe sia un aumento del numero di ‘autobus normali’ sia una invarianza della quantità di ‘proteine del glutine’ sintetizzate sia una invarianza del numero di ‘passeggeri’ (proteine sintetizzate) trasportati dagli autobus dall’RER all’apparato di Golgi; pertanto, gli ‘autobus’ costruiti in piú resterebbero con posti liberi con il risultato finale che nella linea ‘transgenica’ ‘Svevo B730-1-1’ la iperespressione non causerebbe alcuna differenza di trafficking (quantità di proteine ovvero di passeggeri trasportati) rispetto alla varietà Svevo ‘convenzionale’

(b) linea ‘transgenica’ di grano duro contenente il gene rab 1 ‘mutato’ di tabacco, nota come ‘Ofanto B688-1-2’, con la corrispettiva varietà Ofanto ‘convenzionale’; i risultati ottenuti possono essere sintetizzati come di seguito: l’inserzione nel genoma del gene rab 1 ‘mutato’di tabacco(5) determinerebbe un effetto di

‘funzionale’; il trasporto delle proteine avviene all’interno di vescicole o vacuoli delimitati da membrana e, durante il trasporto, le proteine possono subire modificazioni post-traduzionali, come glicosilazione, lipoilazione, ecc., che rappresentano tappe indispensabili affinché la proteina diventi ‘funzionalmente attiva’.

2(?) L’‘iperespressione genica’ (gene up regulating, GUR) consiste nell’incremento dei livelli di proteina sintetizzati da parte di un gene.

3(?) L’enzima GTPasi-rab1 è una proteina G monomerica; la denominazione proteina G deriva dal fatto che essa è in grado di legare i nucleotidi della guanina, ovvero la guanosina trifosfato (GTP) oppure la guanosina difosfato (GDP). L’enzima guanosina trifosfatasi rab1 è dotato di attività GTPasica, cioè è capace di scindere il GTP in GDP e fosfato inorganico. L’enzima si lega al GTP e, in questa condizione, è funzionalmente attivo nel senso che esso si comporta da interruttore positivo per la fusione della vescicola contenente le proteine da trasportare (che proviene dal reticolo endoplasmatico ruvido) con la membrana dell’apparato di Golgi. Grazie alla sua attività GTPasica, l’ enzima guanosina trifosfatasi rab1 scinde il GTP in GDP e fosfato inorganico e quindi si lega al GDP che prende il posto del GTP; in questa condizione (associazione con il GDP), l’enzima è funzionalmente inattivo, nel senso che blocca il trasporto delle proteine dal reticolo endoplasmatico al complesso di Golgi. Quindi, l’enzima guanosina trifosfatasi rab1, attraverso un elaborato ciclo di attivazione-disattivazione, funziona da interruttore nel ‘trafficking’ proteico cellulare trasferendo informazioni a molecole effettrici che promuovono l’interazione tra la membrana del complesso di Golgi e quella della vescicola di trasporto delle proteine proveniente dal reticolo endoplasmatico.

4(?) Il gene rab1 è controllato dal promotore endosperma-specifico del gene che codifica per la subunità ad alto peso molecolare 1Dx5 (HMW – 1Dx5, high molecular weight –1Dx5) delle glutenine.

5(?) Il gene rab 1 ‘mutato’di tabacco ha una mutazione nel dominio di legame nucleotidico, che si traduce a livello di

proteina (enzima GTPasi-rab1), nella sostituzione dell’aminoacido serina presente in posizione 22 con l’aminoacido acido aspartico (Serina 22 ac. Aspartico); tale sostituzione comporta, dal punto di vista funzionale, una riduzione dell’affinità dell’enzima GTPasi rab 1 per la guanosina trisfosfato, senza alterare l’affinità per la guanosina di fosfato.

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‘competizione’ (gene down regulating, GDR)(6) tra l’enzima GTPasi-rab1 ‘selvatico’ di frumento e l’enzima GTPasi-rab1 ‘mutato’ di tabacco; questa linea ‘transgenica’ è stata denominata ‘Ofanto B688-1-2’; la competizione si estrinsecherebbe nel modificare l’attività dell’ ‘officina gene rab1’ (mutato) di tabacco nel senso che questa officina costruirebbe sia ‘autobus speciali’, i quali non avrebbero a disposizione ‘carburante sufficiente per trasportare passeggeri’ (proteine sintetizzate) verso l’apparato di Golgi, in quanto l’enzima GTPasi-rab1 ‘mutato’ ha una ridotta affinità di legame per la guanosina trifosfato, sia autobus ‘normali’; pertanto, si instaurerebbero due differenti vie di traffico: quella ‘classica’(RERapparato di Golgi) e quella ‘nuova’ (indotta dall’intervento antropico), che segue un percorso ‘extra apparato di Golgi’.

Approfondendo il profilo delle proteine del glutine prodotto dalle due suddette procedure comparative, si evidenzia:

(a) varietà ‘Svevo’: la ‘iperespressione’ del gene rab 1 non ha alcun effetto, in quanto sia il contenuto in glutine (% di sostanza secca) sia l’indice del glutine (% di glutine che viene trattenuta all’interno di un setaccio dopo opportuna centrifugazione) sia il ‘tempo di mescolamento’ (il tempo impiegato da un impasto, quando sottoposto a miscelazione, per il raggiungimento del massimo punto di resistenza) non presentano un valore diverso tra lo Svevo ‘convenzionale’ e quello ‘transgenico’ (Svevo B730-1-1)

(b) varietà ‘Ofanto’: la ‘competizione’ tra i due tipi di trafficking delle proteine comporterebbe (‘apparentemente’) modifiche in alcune caratteristiche quanti-qualitative della cariosside prodotta dall’Ofanto ‘transgenico’ (‘Ofanto B688-1-2’) rispetto a quella prodotta dall’Ofanto ‘convenzionale’:

(i) un calo di circa il 16 % del contenuto in glutine valutato su cento di sostanza secca

(ii) un incremento di circa l’11 % dell’indice del glutine(iii) un aumento di circa l’ 82% del tempo di ‘mescolamento’(iv) la comparsa di un cluster ‘nuovo’ di polipeptidi (proteine o

isoforme proteiche o sequenze peptidiche) in corso di caratterizzazione; l’origine di questo ‘nuovo cluster’ potrebbe dipendere o dalla riduzione del trafficking verso l’apparato del Golgi con conseguente deposizione di polipeptidi nell’RER dovuta all’incremento di polimeri insolubili (+ circa il 3%) per l’instaurarsi di legami intermolecolari covalenti (ponti disolfuro) tra le glutenine e/o tra le glutenine e le gliadine oppure dalla sintesi di nuovi polipeptidi; pertanto, l’incremento di alcuni parametri reologici indicherebbe un miglioramento della ‘forza’ del glutine nel transgene ‘Ofanto B688-1-2’ rispetto all’Ofanto ‘convenzionale’, in particolare si avrebbe un effetto riduttivo del contenuto in glutine che potrebbe preludere a un miglioramento dell’’intolleranza al glutine’ nell’uomo (celiachia).

In conclusione, l’utilizzo alimentare, specialmente per l’uomo, di organismi transgenici e/o dei loro prodotti e/o dei derivati da questi prodotti deve superare positivamente la verifica metabolomica; anche se si è ridondante, si sottolinea che solo la profonda conoscenza della ‘biologia di un sistema’, ‘classico’ o ‘nuovo’ (indotto dall’intervento antropico), deve indurre a una decisione ‘pro’ o ‘contro’ l’uso di ciascun OT e/o del suo prodotto derivato e/o dei derivati da questo prodotto; in piú, la suddetta

6(?) La ‘competizione’ (gene down regulating, GDR) è la riduzione di attività di un gene per effetto dell’inserimento nel genoma di un gene estraneo.

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conoscenza potrà favorire l’individuazione di un eventuale ‘effetto tossico’ (breve termine) o un ‘effetto nocivo’ (lungo termine) sul ‘benessere’ dell’uomo.

3.3. Inquinamento genetico del suoloUna questione ampiamente dibattuta per quanto attiene alla ‘sicurezza ambientale’ riguarda

l’impatto sull’ambiente degli organismi transgenici, con particolare riferimento alla problematica dell’inquinamento genetico del suolo; suolo che va considerato come un vero e proprio ‘sistema dinamico’ che include componenti viventi e non, di natura organica e inorganica organizzate in ‘strutture complesse’, definite ‘aggregati’; questi ultimi sono formati dall’interazione di particelle organiche e inorganiche e sono caratterizzati dalla presenza di cavità contenenti aria e/o acqua, microrganismi e radici di piante. Data la presenza nel suolo di una moltitudine di specie viventi, vi è anche la presenza di materiale genetico estremamente differenziato, noto con il termine di ‘metagenoma’; tuttavia, molecole di DNA possono anche trovarsi al di fuori della cellula nell’ambiente interagendo direttamente con i componenti del suolo, in particolare con quelli di natura colloidale e argillosa, con tempi di permanenza che variano da poche ore ad alcuni anni; 1 g di argilla può adsorbire fino a 30 mg di DNA. L’adsorbimento del DNA sui materiali argillosi è influenzato dai cicli di essiccamento e di inumidimento del suolo, nonché dai valori di temperatura di quest’ultimo.

La temperatura di 4 °C e l’umidità relativa del 70% risultano le piú idonee alla conservazione del DNA nel suolo, garantendo una buona capacità di amplificazione dello stesso anche dopo 14 giorni di persistenza nel suolo (Gallori, 2004).

Le zone del suolo in cui la comunità microbica è altamente rappresentata sono costituite dalla parete radicale (rizoplano), dal volume di suolo limitrofo alle radici e da esse influenzato a livello fisico, chimico e biologico (rizosfera), dai residui vegetali (residuosfera) e, soprattutto dall’interno della pianta qualora si verifichi un attacco patogeno. Una delle maggiori problematiche legate all’uso di piante transgeniche è data dall’eventuale possibilità di trasferimento di materiale genetico tra specie differenti (‘trasferimento genico orizzontale’), con particolare riferimento alla comunità microbica del suolo. Gli esigui dati esistenti al riguardo evidenziano che non esiste alcuna dimostrazione scientifica che ciò avvenga in natura almeno con una efficienza tale da interferire con la specificità delle specie (espressione e affermazione dei geni estranei), anche se è possibile ottenere in laboratorio il trasferimento genico orizzontale da una pianta a un batterio. Tuttavia, analisi comparative di sequenze genomiche e proteiche hanno evidenziato come nel corso dell’evoluzione siano avvenuti trasferimenti di materiale genetico sia tra procarioti che tra procarioti ed eucarioti (a esempio, tra batteri e piante). Inoltre, va precisato che l’incorporazione di geni esogeni è un meccanismo evolutivo proprio dei microrganismi: in Escherichia coli il 16 % del genoma deriva da ‘trasferimento genico orizzontale’ attraverso i meccanismi della ‘coniugazione’, ‘trasduzione’ e ‘trasformazione’ e ceppi patogeni possono originarsi con queste modalità. Affinché possano verificarsi tali eventi, è necessario che si realizzino determinate condizioni sia a livello della cellula ricevente che della sequenza estranea(7); inoltre, una volta che il DNA esogeno si è integrato nel genoma dell’ospite, non è detto che esso si attivi (gene ‘silente’ o ‘criptico’) e, ciò è tanto piú vero quanto piú sono distanti gli organismi dal punto di vista evolutivo. Tuttavia, sulla base di effetti epigenetici, la cui importanza verrà in seguito sottolineata quale causa determinante del margine di imprevedibilità nell’uso delle biotecniche innovative, i geni ‘silenti’ potrebbero attivarsi. Nelle popolazioni microbiche è frequente la presenza di geni ‘criptici’, ovvero di geni che non sono normalmente espressi nelle condizioni in cui i geni omologhi sono attivi in batteri simili, né in alcuna condizione di laboratorio; i suddetti geni si esprimono solo a seguito di una mutazione. A esempio, in Escherichia coli, l’operone bgl, che codifica per le proteine necessarie per il trasporto e per la degradazione dei -glucosidi aromatici, è normalmente inattivo, per cui le cellule non sono in 7(?) Affinché possa verificarsi il ‘trasferimento genico orizzontale’ è necessario che: (i) all’interno della cellula ospite siano attive particolari proteine che, legandosi al DNA estraneo, oltre a proteggerlo dall’azione distruttiva degli enzimi DNAsi della cellula ricevente, ne facilitino l’ingresso nel genoma dell’ospite; (ii) sul DNA estraneo vi siano regioni omologhe alla regione del genoma dell’ospite, note come ‘sequenze fiancheggiatrici’ e il grado di omologia deve essere non inferiore al 70÷75 %.

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grado di metabolizzare composti -glucosidici; il basso livello di trascrizione è dovuto all’azione di sequenze ‘silenziatrici’ che fiancheggiano il promotore. Tuttavia, sono stati isolati ceppi mutanti in cui l’operone bgl è trascrizionalmente attivo e tale attivazione può essere dovuta a: (a) effetto dell’integrazione di trasposoni (sequenze ‘mobili’ o ‘ballerine’) a livello della regione posta a monte del promotore o della regione leader compresa tra il promotore e il primo gene dell’operone; (b) mutazioni puntiformi (sostituzione di una base). D’altro canto, esistono evidenze anche a favore del fatto che l’operone bgl possa essere attivato trascrizionalmente in risposta a stimoli ambientali che non influenzano le regioni ‘silenziatrici’. Tali fenomeni, molto complessi, rendono ragione della multiformità di estrinsecazione della funzione dei geni e quindi della difficoltà di prevedere in modo preciso l’effetto di una loro manipolazione.

L’eventualità di un possibile trasferimento di sequenze transgeniche tra piante transgeniche e batteri attraverso la ‘trasduzione’ è presumibilmente da escludere, dal momento che non sono noti, a oggi, virus in grado di infettare, contemporaneamente, batteri e cellule vegetali; per quanto attiene alla ‘coniugazione’, esistono batteri in grado di trasferire sequenze di DNA in piante (a esempio, Agrobacterium tumefaciens), ma non è stato osservato, a oggi, il fenomeno inverso. La ‘trasformazione’, a differenza degli altri due suddetti meccanismi, sembrerebbe, almeno potenzialmente, in grado di mediare il trasferimento di materiale genetico di origine vegetale all’interno di genomi batterici. La ‘trasformazione’, oltre a consentire lo scambio tra materiale genetico a basso grado di omologia, non prevede il contatto fisico tra cellula ricevente e donatrice, permettendo alla cellula ricevente di incorporare anche DNA extracellulare presente nell’ambiente. Tuttavia, la frequenza e l’efficienza di ‘trasformazione’ in natura è molto bassa per il fatto che il batterio ricevente, per poter accettare il DNA estraneo, deve sviluppare la condizione fisiologica di ‘competenza’(8) e, in natura, solo il 10% dei batteri a oggi noti presentano tale condizione. Inoltre, particolare importanza assume ai fini dell’efficienza di ‘trasformazione’ anche la dimensione del frammento di DNA estraneo. Ancora non è stato possibile dimostrare lo sviluppo della ‘competenza’ nel suolo. Tuttavia, le potenzialità di tale fenomeno debbono far riflettere sulla necessità di valutare gli effetti a lungo termine dell’uso delle coltivazioni transgeniche sulle popolazioni microbiche naturali del suolo. Infatti, la biomassa microbica costituisce la componente piú attiva e dinamica del suolo ed è responsabile di eventi fondamentali per la fertilità dello stesso: degradazione di composti organici, ciclo dei nutrienti, ecc.; pertanto, eventuali squilibri della flora microbica potrebbero ripercuotersi negativamente sulla produttività del suolo stesso.

Tra le possibili conseguenze negative dell’inquinamento genetico del suolo va ricordato l’ ‘effetto deriva’, dovuto alle conseguenze che eventuali metaboliti prodotti dall’OT e presenti negli essudati radicali possono avere sulle popolazioni microbiche del suolo, favorendo alcune specie di microrganismi a scapito di altri. Un esempio è rappresentato dalla tossina Bt (Bacillus thurigiensis), prodotta dal mais Bt , rilasciata dalle radici della pianta; tale tossina si lega a particelle del suolo che proteggono la tossina stessa dalla degradazione.

Ricerche aventi lo scopo di valutare l’impatto delle colture transgeniche sulla micorrizzazione hanno evidenziato che il mais Bt provoca un abbattimento della micorrizzazione, dimostrando quindi un cambiamento di assetto della comunità dei microrganismi del suolo (Giovannetti, 2004).

Il numero notevole di specie microbiche presenti nel suolo (10.000-15.000 specie per grammo) rende necessaria una valutazione critica dell’impatto di nuovi sistemi colturali sulla biodiversità genetica e funzionale dell’ecosistema suolo.

La valutazione dei rischi legati all’inquinamento genetico del sistema suolo è complicata dalla dinamicità che caratterizza tale sistema e dalla molteplicità di sollecitazioni che il sistema riceve;

8(?) La ‘competenza’ è lo stato fisiologico in cui una cellula batterica è in grado di assumere molecole di DNA dall’esterno; trattasi di una condizione temporanea, che, a esempio, nel batterio Bacillus subtilis coincide con la fine della fase di crescita esponenziale; nello sviluppo della ‘competenza’ sono coinvolti diversi fattori non ancora ben noti; pochi generi di batteri (Streptococcus, Neisseria, Haemophilus) acquistano lo stato di ‘competenza’ alla trasformazione ‘in modo naturale’; altri batteri, quali l’Escherichia coli, non sviluppano la ‘competenza’ in condizioni fisiologiche, ma solo dopo esposizione della cellula a particolari trattamenti come a esempio agli ioni calcio.

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tutto ciò rende difficile stabilire se le fluttuazioni osservate sono dovute all’immissione dell’OT oppure ad altre cause.

La Commissione mista dell’Accademia nazionale delle Scienze e dell’Accademia nazionale dei Lincei, in merito alla problematica del ‘trasferimento genico orizzontale’ e dell’effetto degli OT e delle proteine da essi prodotte sulla microflora del suolo e quindi sul terreno agrario, propone che vengano registrati, anche nel lungo periodo, gli effetti degli OT sui ‘cicli biogeochimici’, soprattutto nei casi in cui il prodotto del transgene ha una elevata persistenza ambientale.

Nel 2003 il Ministero dell’ambiente, in collaborazione con l’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) ha pubblicato una review sulla biosicurezza del suolo nei confronti delle piante transgeniche, evidenziando i seguenti punti principali che la ricerca deve prendere in considerazione:

(a) genomica batterica e filogenesi dei geni batterici(b) studi di ‘trasferimento genico orizzontale’ entro le comunità microbiche e tra

piante e microrganismi(c) barriere cellulari nei confronti del ‘trasferimento genico’ in organismi non

omologhi(d) barriere ambientali al trasferimento del DNA nei batteri(e) esperimenti di pieno campo sul ‘trasferimento genico orizzontale’.

4. La risorsa genetica (Biodiversità) animale La parola ‘risorsa’ deriva dal francese ‘ressource’ che, a sua volta, deriva dal latino ‘resurgere’

(= risorgere). La risorsa può essere definita “qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specialmente in caso di necessità”.

Il germoplasma autoctono, specialmente antico, rappresenta un tassello importante nel cambiamento che interesserà l’agroecosistema attuale, specialmente per ciò che concerne la necessità di ripristinare il piú ampio spettro possibile di differenziazione genetica nelle specie zootecniche allevate al fine di poter attuare tutte quelle strategie future connesse al raggiungimento di traguardi dinamici , ma propri di un sistema produttivo sostenibile dal punto di vista ambientale.

L’immensa riserva di arsenale informativo dei sistemi biologici suggerisce che qualsiasi sistema biologico (dal microrganismo a una biocenosi) va considerato sempre e solamente nel contesto della sua vita di relazione con gli altri sistemi biologici viventi. Partendo da questo presupposto, il miglioramento del ‘benessere fisico, psichico e sociale dell’uomo’ si realizza solo alla condizione della necessità di conoscere i principi che regolano i rapporti fra gli esseri viventi al fine di valutare oggettivamente gli eventuali danni causabili al sistema biologico in cui si opera.

L’importanza delle suddette relazioni si rende evidente già a livello di sistemi biologici semplici; basti pensare alle complesse interazioni che si instaurano tra i microrganismi che vivono in comunità (biofilm); i batteri che vivono in gruppo possono assumere caratteristiche che non possiedono come singoli individui. Infatti, recentemente è stato scoperto che nelle popolazioni di batteri ‘comunitari’ si sviluppa rapidamente un notevole grado di diversità grazie al fattore ‘convivenza’. Un altro esempio di acquisizione di nuove caratteristiche è l’insorgere di una maggiore tolleranza agli antibiotici: il batterio Pseudomonas Aeruginosa, quando è presente in biofilm, può manifestare una resistenza agli antibiotici fino a 1000 volte piú elevata rispetto al batterio che vive singolarmente. La diversificazione sarebbe responsabile delle migliorate capacità di sopravvivenza di tali popolazioni microbiche; a esempio, nel suddetto microrganismo è stato evidenziato che la capacità del biofilm di resistere a stress ossidativo sperimentalmente indotto è dovuta alla presenza di un nuovo ceppo batterico specifico comparso nel biofilm e assente nel batterio vivente allo stato libero. Il concetto che la diversità può migliorare il funzionamento di alcuni tipi di comunità è nota anche come ‘ipotesi dell’assicurazione’ (Insurance Hypothesis), secondo la quale l’aumento di biodiversità protegge gli ecosistemi dai danni prodotti da variazioni dell’ambiente; tale ipotesi è equivalente al concetto di ‘complememtarietà di nicchia’ (‘niche complementary’), per cui esiste una correlazione positiva tra produttività di un ecosistema e biodiversità qualora le specie che popolano

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l’ecosistema utilizzano risorse differenti in maniera completa. La differenziazione genetica di una popolazione ha un grande significato di efficienza ‘biologica’ nel senso sia di utilizzare meglio le risorse dell’ambiente in cui la popolazione vive (un esempio potrebbe essere dato dagli animali al pascolo) sia di esaltare la capacità riproduttiva degli individui componenti la ‘comunalità’, quindi di influenzare positivamente la ‘capacità al costruttivismo’ di un organismo nell’ambiente in cui vive (Matassino, 1978). Nell’alpeggio le risorse pabulari vengono utilizzate in maniera completa da camosci, stambecchi e bovini; infatti, nella distribuzione spaziale altitudinale delle specie pascolative durante la stagione estiva, il camoscio tende a utilizzare le risorse arbustive in crescita (germogli), lo stambecco le risorse erbacee e il bovino, a causa della massa corporea, tende a utilizzare il pascolo erbaceo delle zone pianeggianti. Il bovino, grazie al pascolamento, favorisce la ricrescita delle risorse erbacee, garantendo una disponibilità di risorse alimentari per la successiva stagione autunnale.

L’ ‘ipotesi dell’assicurazione’, sebbene nata come idea intuitiva, è stata ampiamente testata sia attraverso modelli matematici, sia attraverso esperimenti ‘in campo’. I modelli proposti (Yachi e Loreau, 1999; Nornberg et al., 2001) dimostrano che in un ecosistema sottoposto a fluttuazioni o variazioni ambientali la ‘ricchezza’ in specie viventi produce effetti sulla ‘produttività’ media nel tempo; tali effetti sono stati valutati sulla base della produttività a livello di:

(a) singola specie:(i)‘effetto tampone’ nel senso di una riduzione della variazione temporale di

‘produttività’(ii) incremento del valore medio di produttività nel tempo

(b) comunità di specie o biocenosi: (i) breve termine: l’elevata variabilità fenotipica è responsabile di una riduzione

della ‘produttività’, dovuta alla presenza di specie ‘subottimali’(ii) lungo termine: l’elevata variabilità fenotipica comporta una produttività piú

elevata di quella della singola specie ‘migliore’.Sulla base di questi modelli, in analogia al principio della ‘selezione naturale’, è stato coniato il termine ‘selezione ecologica’ (Loreau, 2000; Loreau e Hector, 2001) al fine di descrivere i cambiamenti che si verificano in un ecosistema in termini di: numero e composizione in specie e il sorgere di ‘effetti di dominanza’; questi effetti costituiscono i fondamenti della sociobiologia, che studia le basi biologiche del comportamento sociale; uno dei concetti fondamentali della sociobiologia è che in una popolazione diventano piú frequenti i caratteri che incrementano l’idoneità a ‘riprodursi’ e a ‘produrre’ al cambiare delle variabili che caratterizzano un determinato microambiente

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(fitness); se questa idoneità è su base genica, vi è la sua trasmissione alle generazioni successive; pertanto, l’evoluzione di qualsiasi ‘espressione fenotipica’ (carattere) deve essere considerata in termini di contributo che essa dà al pool genico delle generazioni successive. I concetti di ‘fitness globale’ e di ‘selezione di parentela’ (kinship selection) permettono di spiegare comportamenti tipici dell’ ‘alterità’. Per ‘fitness globale’ s’intende la somma della fitness di un individuo e di quella di tutti i suoi parenti; un individuo, quindi, può accrescere la propria fitness sia riproducendosi che favorendo il successo riproduttivo degli individui con cui condivide il patrimonio genico (parenti). Nel 1980, D.S. Wilson ha definito la ‘selezione di gruppo’ nel modo seguente: “Le popolazioni di solito si evolvono in modo da stimolare la crescita delle altre popolazioni da cui dipende la propria fitness. Cosí, in termini di tempi evoluzionistici, la fitness di un organismo è per la maggior parte un riflesso della sua stessa influenza sulla comunità e della reazione della comunità alla presenza di quell’organismo. Se questa reazione è piuttosto marcata, persistono solo organismi con effetto positivo sulla comunità di appartenenza”. Si parla di ‘selezione di parentela’ quando il vantaggio genetico maggiore è dovuto al fatto che l’individuo, anziché riprodursi, contribuisce alla sopravvivenza e alla riproduzione di molti parenti stretti; in tal caso viene favorita la fitness dei parenti. Non tutte le azioni altruistiche, però, sono rivolte a componenti della famiglia; nel 1971, R. Trives ha introdotto la nozione di ‘altruismo reciproco’ per indicare lo scambio di comportamenti altruistici tra individui non imparentati, il quale si verifica nei casi in cui il costo per chi esegue l’atto altruistico è modesto, mentre il vantaggio per chi ne beneficia è maggiore.

Un esempio naturale, piú che brillante, del processo biologico definito ‘opportunismo evolutivo’ o ‘capacità al costruttivismo’ può essere individuato nel comportamento della ‘famiglia genica’, che può essere considerata il risultato dinamico di un vero e proprio processo di ‘conversione genica democratica’, con funzione principe di ‘rete di mutazione’. Il codice genetico può essere ritenuto il prototipo di infiniti sistemi di vita fortemente flessibili grazie all’influenza dei fattori epigenetici. Ciò deve significare che è necessaria una migliore conoscenza dei fattori che influenzano la flessibilità del codice genetico, unico e mirabile modello di organizzazione da imitare (Matassino, 1992).

Se è ormai dimostrato che gli ecosistemi caratterizzati da una maggiore ricchezza in specie esibiscono migliore produttività, migliore capacità di riciclaggio dei nutrienti e maggiore resistenza all’invasione da parte di organismi estranei, sono ancora pochi i dati inerenti alla relazione esistente tra ‘diversità genetica’ entro la specie e stabilità dell’ecosistema. Uno studio recente condotto sull’Angiosperma Zostera marina ha dimostrato che la ‘diversità genetica’ aumenta la resistenza(9)

dell’ecosistema alle sollecitazioni esterne, mentre non influenza la resilienza(10) del sistema stesso.La sovrapposizione concettuale tra ‘risorsa genetica’ e ‘diversità biologica’ o ‘biodiversità’ è

piuttosto recente e si riferisce alla variabilità misurata entro e tra le specie in termini di variazione tra geni o tra sequenze di DNA o tra aminoacidi. Con l’introduzione del concetto di ‘diversità genetica’ si completa quello che a livello teorico viene definito il ‘trittico della diversità biologica’:

(a) ‘diversità tassonomica’, intesa come numero di specie presenti in un dato habitat(b) ‘diversità ecologica’, intesa, non solo come numero di specie presenti, ma

includente anche le interazioni reciproche tra gli organismi e di questi con l’ambiente(c) ‘diversità genetica’.

L’espressione ‘biodiversità’ venne proposta per la prima volta in occasione del ‘Forum Nazionale sulla BioDiversità’ svoltosi a Washington nel 1986 ed è attribuita a Walter G. Rosen. Il termine deriva dalla contrazione in una sola parola dell’espressione ‘diversità biologica’. Il successo del termine è dovuto in particolare all’opera di Wilson e Peter intitolata ‘Biodiversità’, pubblicata nel 1988.

La biodiversità, definita dalla Commissione Europea Agricoltura (DG AGRI, 1999) come “…..la variabilità della vita e dei suoi processi includente tutte le forme di vita, dalla singola cellula

9 (?) La resistenza è una misura della capacità di un sistema di mantenere il suo stato originario a seguito di una sollecitazione esterna.

10 (?) La resilienza è una misura della velocità con cui un sistema ritorna al suo stato originario una volta cessata la perturbazione.

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agli organismi piú complessi, a tutti i processi, ai percorsi e ai cicli che collegano gli organismi viventi alle popolazioni, agli ecosistemi e ai paesaggi”, è da considerarsi una vera e propria, se non unica, ricchezza reale. Essa, infatti, è lo strumento principe che permette alla natura di sincronizzarsi alla velocità dei cambiamenti ambientali; pertanto, la biodiversità è da considerarsi, contemporaneamente quale anello di congiunzione con il passato e quale base del divenire biologico. La riduzione o l'assenza di variabilità genetica comporta una diminuzione (o scomparsa, nei casi estremi) della capacità omeostatica o di autogoverno del sistema biologico, con il rischio di perdere informazioni che non sono piú recuperabili.

E' merito della diversità biologica il continuo miglioramento qualitativo dell'informazione, quindi del grado di fitness o successo biologico di un dato tipo genetico al variare delle condizioni ambientali.

E’ la intrinseca divergenza dell’informazione genetica che induce innovazioni, mentre i processi biologici ‘convergenti’ (differenziamento e sviluppo embrionale) realizzano un progetto genetico legato a informazioni presenti, quindi poco modulabili.

La biodiversità non è la semplice somma del numero di specie che popolano il pianeta terra, ma è indice di ‘covariazione’; ovvero, tutte le specie che popolano un determinato ecosistema, sempre ‘dinamico’ nel tempo, si influenzano reciprocamente, risentono dell’effetto dei fattori abiotici e rappresentano anche il frutto di trasferimenti ‘naturali’ di geni sottoposti a ‘verifiche combinatorie’ di lunga durata.

La biodiversità può essere considerata un vero e proprio bene ‘culturale’, cioè essa è un patrimonio connaturato e connesso all’antropizzazione dell’ambiente peculiare di quella determinata ‘bioregione’, quest’ultima definita come al capitolo 2.1..

Da analisi di 'sistemi produttivi di bioregione’ sono scaturiti comportamenti culturali umani di grande interesse per l'antropologia e per le scienze a questa connesse. Il salto di qualità culturale risiede nel fatto che l'interpretazione della statica e della dinamica antropica di una 'bioregione’ richiede la profonda conoscenza di tutte le variabili del sistema, tra le quali quelle biologiche (diversità, segnatamente) svolgono un ruolo primario nel favorire, in modo diversificato, l'espressione o la manifestazione di quella meravigliosa qualità di ciascun essere vivente che è la sua 'capacità al costruttivismo'. Partendo dalla conoscenza dei profondi e fantastici meccanismi biologici operanti in natura, specialmente del germoplasma antico e autoctono, siamo sicuri di contribuire a fornire alle future generazioni umane esempi indelebili di vita di relazione, di vita di solidarietà, di vita sociale; in sintesi, a stabilire un insostituibile connubio tra il recupero, la conservazione e la valorizzazione di germoplasma antico e l’evoluzione culturale di un popolo.

Qualsiasi germoplasma è portatore di civiltà antiche e di vecchi equilibri biologici. Pertanto, il dinamismo delle tentazioni scientifiche deve condurre a individuare un percorso tale che sia incontro di analisi, di esperienze e di programmazione di una nuova cultura della politica scientifica e della gestione del territorio o ‘bioregione’ considerato nella sua globalità .

La diversità biologica è l'unica che può permettere domani di disporre di ‘informazioni genetiche’ atte a favorire la 'capacità al costruttivismo' degli esseri viventi in occasione di cambiamenti, oggi imprevedibili, sia delle condizioni ambientali sia delle esigenze di molecole ‘bioattive’ con funzione ‘nutrizionale’ ed ‘extranutrizionale’ per l’uomo. I tipi genetici autoctoni (TGA) e i tipi genetici autoctoni antichi (TGAA) animali e vegetali, essendo caratterizzati da una maggiore eterogeneità genetica, risultano essere, con maggiore probabilità rispetto ai tipi genetici (TG) o varietà ‘migliorate’ dall’uomo, portatori di alleli ‘vantaggiosi’ per un dato locus. Tali alleli, se introdotti, mediante introgressione (11), in TG o varietà domestici, possono produrre in esse cambiamenti favorevoli: la caratteristica fenotipica che si ottiene nel TG (o varietà) ‘nuovo’ è differente da quella che lo stesso allele produceva nel TGA/TGAA o nella varietà selvatica.Oggi, l’introgressione può avvalersi anche delle tecniche molecolari; pertanto, si può parlare di una vera e

11(?) L’introgressione consiste nell’ inserimento di nuovi geni in una popolazione mediante l’incrocio tra le due popolazioni (quella portatrice del gene favorevole e quella da migliorare) seguito dal reincrocio ripetuto con la popolazione che ha incorporato il nuovo gene.

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propria ‘introgressione assistita da marcatori molecolari’; a esempio, abbinando l’incrocio classico alla tecnica del DNA fingerprinting (impronta del DNA) è possibile individuare in seno alla progenie, fin dalla nascita, gli individui che hanno ereditato l’allele desiderato. In tale contesto, la tecnica del DNA microarray(12) rappresenta uno strumento importante ai fini della catalogazione funzionale dei geni sulla base dei loro livelli di espressione nei vari tessuti dell’individuo in differenti condizioni fisiologiche e/o ambientali. Una volta che è nota la funzione di un gene, il passo successivo consiste nell’ identificazione degli alleli che si esprimono in modo da conferire al nuovo individuo le caratteristiche fenotipiche desiderabili.

La risorsa genetica riveste un ruolo insostituibile, specialmente per quanto concerne le caratteristiche qualitative degli alimenti. Ciò è ancora piú vero alla luce delle recenti ricerche sul ‘DNA spazzatura’, oggi detto ‘regolativo’, che stanno evidenziando che qualsiasi sequenza, anche se non codificante per una proteina, può assumere un significato all’interno dell’organismo, soprattutto in termini di regolazione dell’attività delle sequenze codificanti (esoni). L’esistenza del DNA ‘regolativo’, che si esprime sia attraverso varie forme di ‘RNA’ non tradotto in proteina, sia attraverso ‘RNA’ tradotto in proteina, potrebbe consentire in un futuro, di ottenere un alimento con un contenuto ottimale dal punto di vista quali-quantitativo di ‘biomolecole’ dotate di valore ‘nutrizionale’ e/o ‘extranutrizionale’.

La diversità biologica deve essere considerata anche ai fini della produzione di ‘beni materiali’ o ‘servizi’, quali, a esempio, i servizi di gestione e di ‘presidio ambientale’ di aree geografiche altrimenti destinate a essere abbandonate, con tutti gli effetti conseguenti. L’imprenditore agricolo, grazie alla sua innata propensione all’inventiva, non svolgerebbe piú un ruolo di semplice controllo e di adattamento alle innovazioni messe a punto fuori dal contesto in cui egli opera, ma, come tutti gli esseri viventi, ritornerebbe a evidenziare la sua elevatissima 'capacità al costruttivismo'. Quindi, le risorse genetiche autoctone, specialmente antiche, danno anche un contributo al ‘terziario verde’ di natura non commerciale. Pertanto, l'efficienza dell'uso delle risorse genetiche come fattore di produzione sarà sempre piú una variabile importante, se non determinante, della competizione o dell'integrazione economica fra i sistemi produttivi territoriali.

Nel considerare il valore della biodiversità è necessario prendere in considerazione il suo ‘valore d’uso’ (use o user value) e del ‘valore del non uso’ (non - use o non - user value). Il ‘valore d’uso’ si riferisce al valore attuale o futuro dell’utilizzo della biodiversità per l’umanità, mentre il ‘valore di non uso’ si riferisce al valore ‘intrinseco’ e non strumentale attribuito alla semplice esistenza di un bene o di una risorsa (existence value).

L’agricoltura, attualmente intesa come ‘ruralità multifunzionale sostenibile’, è uno dei settori in cui la biodiversità ha un valore d’uso tra i piú elevati per le seguenti motivazioni:

(a) rappresenta la conditio sine qua non per la differenziazione dei prodotti dal punto di vista ‘nutrizionale’ ed ‘extranutrizionale’

(b) rappresenta la base per lo sviluppo di sistemi produttivi a basso input attraverso l’impiego di tipi genetici o varietà con elevata ‘capacità al costruttivismo’, fondamentali per garantire uno sviluppo sostenibile

(c) costituisce un elemento fondamentale per la valorizzazione economica dei territori interessati.

4.1. Alcune cause di perdita della biodiversità Rielaborando quanto ipotizzato da Hodges (1990) e alla luce di nuove acquisizioni (Ciani e

Masseti, 1991;Ciani e Matassino, 2001; Masseti, 2002; Ciani, 2003; Ciani, 2004; Ciani e Mazzei, 2004), i momenti essenziali nella storia della biodiversità degli animali domestici possono essere cosí riassunti:

12(?) La tecnica del DNA microarray o DNA microchip consente di indagare simultaneamente il profilo di espressione (attività) di un ‘repertorio’ completo di geni in una data specie; tale tecnica si basa sull’ibridazione di sequenze oligonucleotidiche distribuite su una piccola superficie solida con una soluzione di sequenze di DNA marcate con fluorocromi; la fluorescenza emessa dall’ibridazione è indicatrice della presenza di un gene funzionalmente espresso (‘acceso’).

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(a) domesticazione (10.000 ÷1.000 a.C.)(b) migrazione di intere popolazioni umane e dei loro animali; in tale fase acquistano

importanza essenziale: la ‘capacità al costruttivismo’ (ex concetto di ‘adattamento’) in ambienti difficili e l’isolamento genetico; ciò ha come risultato la formazione di un numero elevatissimo di tipi genetici con ‘attitudini prevalenti’ entro la ‘forma domestica’ di ogni specie (1000 a.C. ÷ 1700 d.C.)

(c) accoppiamenti programmati (1700 ÷1945)(d) applicazione di modelli selettivi avanzati discriminanti per i geni responsabili della

variabilità genetica quantitativa (QTL, quantitative trait loci) (1945 a oggi) con applicazione di biotecniche innovative riproduttive; tale fase ha comportato la riduzione della biodiversità della fauna domestica.

Studi recenti evidenziano che i maggiori contrasti tra esigenze produttive, ricreative e di conservazione si hanno negli ambienti agrari, ove sono state riscontrate e sono prospettate le maggiori perdite di biodiversità. Una ricerca avente lo scopo di valutare le variazioni del contenuto in nutrienti dal 1950 (anno dal quale sono disponibili i dati) a oggi in alcuni prodotti di origine vegetale ha evidenziato un declino del contenuto in proteine, calcio, fosforo, ferro, riboflavina e acido ascorbico; il decremento varia tra il 6% per le proteine fino al 38% nel caso della riboflavina. Tali risultati, anche se influenzati dalla sensibilità piú elevata delle attuali tecniche analitiche, suggeriscono che la selezione di piante ad accrescimento piú rapido e quindi in grado di garantire maggiori raccolti avrebbe comportato nelle stesse anche una minore capacità di assorbire e produrre nutrienti (Davis et al., 2004).

La struttura dinamica degli agroecosistemi è la ragione per cui i livelli di prevedibilità delle applicazioni delle BI sono bassi e richiedono la necessità di forti sistemi di controllo. Ciò che può essere facilmente sotto controllo a una certa scala spazio-temporale, a esempio in laboratorio, può dar luogo a effetti imprevedibili a livello di agroecosistema ‘in senso lato’; quest’ultimo da considerare un sistema complesso che opera in parallelo su multiple scale spazio-temporali.

Giampietro (2002), in merito al ‘principio di precauzione’, sottolineando la difficoltà nell’adozione di tale principio, classifica il rischio in 5 differenti categorie ciascuna delle quali richiede una gestione particolare:

(a) ‘rischio ordinario’ (routine risk), che può essere identificato con i rischi piú frequenti

(b) ‘rischio’ dovuto a ‘complessità’, per i quali si rende necessario un alto livello di modellizzazione (esempi: rischi da industrie che trattano materiali pericolosi, malattie infettive)

(c) ‘rischio’ dovuto a ‘incertezza’ associato a risultati variabili, a errori, a ignoranza (esempi: nuove epidemie, malattie come la BSE); tale rischio richiede una gestione precauzionale (precaution – based management)

(d) ‘rischio’ dovuto ad ‘ambiguità’ e quindi altamente controverso (esempi: ingegneria genetica, biochip per applicazioni in campo umano); in tal caso la gestione dovrebbe essere basata sul dialogo (discourse – based management)

(e) ‘grave pericolo’; tale situazione richiederebbe la prevenzione (prevention).Attualmente, un fattore di rischio per la perdita di biodiversità, con particolare riferimento a

quella della fauna, della flora e dei microbi, potrebbe essere rappresentato dall’uso agricolo delle piante transgeniche, che prevede la crescita in campo aperto con possibili conseguenze sui delicati equilibri ambientali.

La pubblicazione, nel 2003, da parte della Royal Society britannica, di 8 lavori che riportano i risultati di uno studio comparativo avente lo scopo di valutare le differenze di impatto tra colture ‘transgeniche’ resistenti agli erbicidi e colture ‘convenzionali’ su alcuni parametri agronomici relativi alle piante infestanti e sulla biodiversità della fauna a esse associata, riveste grande interesse per i suoi risultati. La ricerca, avviata agli inizi dell’anno 2000, ha interessato le seguenti colture

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transgeniche: la barbabietola (Beta vulgaris L.) resistente al glifosate, la colza da olio (Brassica napus L.) (varietà primaverile-estiva) e il mais (Zea mais L.) resistenti al glufosinate.

Le valutazioni sono state condotte prendendo in esame un totale di circa 60 siti per ciascuna delle tre colture e ciascun campo sperimentale è stato suddiviso in due metà, di cui una coltivata con la pianta ‘transgenica’ e l’altra con la corrispettiva ‘convenzionale’.

I principali erbicidi usati nella sperimentazione sono stati: (a) per la barbabietola: il phenmedipham, etofumesate

e metamitron nel caso della coltura ‘convenzionale’ e il glifosate per quella ‘transgenica’

(b) per il mais: l’atrazina e il bromoxynil nel caso della coltura ‘convenzionale’ e il glufosinate per quella ‘transgenica’

(c) per la colza: il glifosate e il trifluralin nel caso della coltura ‘convenzionale’ e il glufosinate per quella ‘transgenica’.

Il numero di applicazioni e la quantità dell’erbicida impiegato sono stati inferiori nelle colture ‘transgeniche’ rispetto a quelli previsti per le corrispettive colture ‘convenzionali’.

Valutazione della flora infestante. I parametri presi in considerazione per la valutazione dello stato della ‘flora infestante’ sono stati:

(a) classificazione tassonomica e densità delle piante infestanti (numero di piante per unità di superficie), valutate:

(i) antecedentemente al primo trattamento con erbicida (ii) dopo l’ultimo trattamento con erbicida(iii) prima della raccolta delle piante

(b) biomassa (peso delle piante raccolte in un’area di dimensione fissa) campionata nel mese che precedeva la raccolta

(c) ‘seed rain’ (numero dei semi caduti al suolo e loro classificazione tassonomica), valutato a partire da un pool di semi campionati durante l’intero ciclo produttivo e, a eccezione della barbabietola, anche dopo il raccolto

(d) ‘seedbank’: numero e identificazione tassonomica dei semi che rimangono nel suolo alla fine di ciascun ciclo produttivo allo scopo di stimare la ‘dinamica temporale’ delle piante infestanti; esso è stato valutato: prima dell’inizio dell’esperimento, dopo un anno e dopo due anni dall’inizio.

Principali risultati a carico della flora infestante: (a) per la barbabietola e per la colza:

(i) la densità delle piante infestanti, subito dopo la semina, è risultata piú elevata nel caso delle colture ‘transgeniche’, rispetto alle corrispettive ‘convenzionali’ (58,6 vs 41,6 per la barbabietola; 50,1 vs 29,4 per la colza); dopo l’applicazione dell’erbicida, l’effetto si è invertito: la densità delle piante infestanti è diminuita nelle colture ‘transgeniche’;

(ii) la biomassa e il ‘seed rain’, al momento della raccolta, nel caso delle colture ‘transgeniche’, hanno presentato valori inferiori in un range compreso tra un sesto e un terzo rispetto a quelli rilevati per le colture ‘convenzionali’

(iii) l’ effetto persisteva anche a carico del ‘seedbank’ che, nel caso delle colture ‘transgeniche’, è risultato del 20% inferiore rispetto a quello delle colture ‘convenzionali’.

(b) per il mais è stato rilevato un diverso comportamento: (i) la densità delle piante infestanti, per le colture ‘transgeniche’ si è

mantenuta piú elevata, rispetto alle colture ‘convenzionali’, durante l’intero ciclo produttivo

(ii) il valore della biomassa e quello del ‘seed rain’ nel caso della coltura ‘transgenica’, sono risultati per l’82% e per l’87% piú elevati,

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rispettivamente, rispetto a quelli registrati per la coltura ‘convenzionale’; il valore della biomassa estremamente basso rilevato nella coltura di mais ‘convenzionale’ (10,1 g/m2), pari a circa la metà rispetto a quello della barbabietola ‘convenzionale’ (23,2 g/m2) e a circa un quarto rispetto a quello della colza convenzionale (40,8 g/m2), potrebbe essere imputato all’utilizzo come diserbante, nel caso del mais ‘convenzionale’, dell’atrazina (usata in circa il 75 % dei campi sperimentali), in quanto quest’erbicida, rispetto al glifosate e al glufosinate, è caratterizzato da una maggiore persistenza nel suolo; pertanto, viene ipotizzato che l’atrazina favorisca un maggiore sviluppo del mais, riducendo quello delle piante infestanti

(iii) nel lungo periodo, i valori relativi al ‘seedbank’ non hanno fatto registrare differenze di rilievo tra coltura ‘transgenica’ e quella ‘convenzionale’.

Gli effetti a carico della flora presente nelle aree poste ai margini dei campi sperimentali riflettono quelli osservati entro il campo sperimentale, per cui gli erbicidi impiegati influenzano anche la predetta flora.

Pertanto, l’adozione delle colture ‘transgeniche’, nel caso della barbabietola e della colza rende piú efficiente il controllo delle erbe infestanti accelerando il declino del ‘seedbank’, fenomeno, che, tra l’altro, si verifica anche per effetto della continua lavorazione del suolo. Tale impoverimento, nel lungo periodo, potrebbe produrre uno scompenso di specie a carico della densità delle piante infestanti.

Valutazione della fauna associata alla flora infestante. I parametri presi in considerazione per la valutazione dello stato della ‘fauna’ sono stati:

(a) numero degli individui e diversità degli invertebrati presenti alla superficie del suolo; la diversità veniva misurata sia come numero delle specie presenti, sia come rapporto tra il numero di individui della specie piú numerosa e numero totale degli individui campionati

(b) numerosità degli artropodi epigei e di quelli con attitudine al volo(c) ‘seed rain’.

Principali risultati a carico della fauna: (a) fauna ipogea: la numerosità di molti invertebrati viventi nel suolo è stata

influenzata in modo molto variabile dall’impiego delle colture ‘transgeniche’ a seconda: del tipo di pianta coltivata e delle caratteristiche fenologiche ed ecologiche delle specie esaminate; in generale, rispetto alle colture ‘convenzionali’, la ricerca ha evidenziato una tendenza alla riduzione della fauna per la coltivazione della barbabietola e della colza ‘transgeniche’ e all’incremento nella coltivazione del mais ‘transgenico’; in particolare:

(i) le due suddette tendenze si sono evidenziate soprattutto per la specie Harpalus rufipes (Carabide)

(ii) nella coltura ‘transgenica’ della colza si è avuto anche un effetto di ‘dominanza’ inteso come rapporto tra il numero di individui della specie piú numerosa e numero totale degli individui campionati nell’ambito dei Carabidi durante l’intero ciclo produttivo, ma con una significatività nei mesi di luglio e di agosto

(iii) la numerosità degli Araneidi, dei Gasteropodi e degli Stafilinidi non è stata influenzata del tipo di erbicida

(b) fauna epigea e aericola: (i) Lepidotteri: nella colza e nella barbabietola è stato rilevato un

numero inferiore di individui nella coltura ‘transgenica’, mentre non sono state rilevate differenze significative nel mais

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(ii) Apidi ed Eterotteri: nella barbabietola ‘transgenica’ è stato rilevato un numero inferiore di individui, mentre non sono state rilevate differenze significative nella colza e nel mais.

E’ interessante rilevare che per tutti e tre i tipi di coltura esaminati, nel caso delle colture ‘transgeniche’, è stato rilevato un numero piú elevato di Collemboli, un particolare tipo di detritivori, noti come ‘code di primavera’, che si nutrono delle erbe infestanti distrutte dagli erbicidi. Ciò è dovuto al fatto che gli erbicidi, nel caso delle colture ‘transgeniche’, vengono impiegati piú tardi rispetto alle colture ‘convenzionali’, per cui le piante infestanti hanno la possibilità di incrementare la loro biomassa, costituendo, cosí, un abbondante substrato alimentare per i detritivori.

Prendendo in considerazione i ‘gruppi trofici’, cioè raggruppamenti di insetti fatti sulla base delle loro preferenze alimentari, è stato osservato:

(a) barbabietola: una minore numerosità a carico dei ‘consumatori primari’ e dei ‘parassiti’ nella coltura ‘transgenica’; riduzione attribuibile alla minore disponibilità di biomassa fornita dalle piante infestanti

(b) mais: tutti i gruppi trofici esaminati [‘consumatori primari’ (inclusi gli impollinatori: ape, farfalla, ecc.), gli insetti ‘consumatori secondari’, parassiti e detritivori] hanno presentato una tendenza verso l’aumento della numerosità degli individui nella coltura ‘transgenica’ specialmente alla fine della stagione produttiva, allorquando la biomassa delle piante infestanti è notevolmente incrementata

(c) colza: nella coltura ‘transgenica’ vi è stato un significativo decremento numerico dei ‘consumatori primari’, ma limitatamente alla fase iniziale del ciclo produttivo; mentre, per i ‘consumatori secondari’ e per i ‘parassiti’, il decremento ha interessato l’intero ciclo produttivo.

Concludendo sui risultati dello studio della Royal Society, si può sinteticamente affermare:(a) le piante infestanti svolgono un ruolo primario nel

sostenere la comunità biotica e l’impiego delle colture resistenti ai diserbanti interferisce con i delicati e complessi meccanismi omeostatici a carico della ‘catena trofica’ alimentata dalle piante infestanti.

(b) i risultati hanno, logicamente, validità nell’ambito della ricerca effettuata; è necessaria una continua ricerca per potere, ‘caso per caso’, disporre di risultati validi; questa validità, a causa della ‘complessità’ dei sistemi produttivi, può avere significato solo entro il campo di osservazione.

4.2. Tutela della biodiversità Da quanto finora esposto emerge che la tutela della biodiversità (animale, fungina, microbica e

vegetale) è indilazionabile.La tutela della biodiversità ha origini molto antiche. Infatti, già Artaserse I, nel 450 a.C.,

normò la utilizzazione delle foreste di cedro del Libano, imponendo tutta una serie di limitazioni nel taglio di questa specie. Non è dato sapere, storicamente, almeno fino a oggi, le motivazioni di questa normazione; si può ipotizzare l'eventuale conseguenza negativa del disboscamento sui cambiamenti climatici e sull'erosione del suolo, quindi il verificarsi di processi di desertificazione.

Anche Carlo Magno impose per legge agli agricoltori l’obbligo di coltivare 90 specie di piante in via di estinzione per evitarne la scomparsa.

Oggi, la necessità di fronteggiare l’erosione genetica è, ormai, unanimemente riconosciuta; la conservazione della biodiversità deve essere considerata un ‘imperativo etico’ perché la biodiversità rappresenta, non solo un bene da difendere e da trasmettere alle generazioni future per il miglioramento della ‘qualità della vita’ ma, anche, un bene in sé stesso che ha il diritto alla propria esistenza.

Il rispetto della biodiversità è orientato verso la specie nella sua 'globalità', ma da non trascurare è l'intervento sull’’individuo’ (diversità intraspecifica), ‘sul singolo’; infatti, la specie può

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essere considerata un'astrazione in quanto essa non soffre, mentre 'il singolo soffre e muore facendo morire con sé la specie e la sua diversità genetica'. Il ‘singolo’ possiede diritti fondamentalmente ‘forti’ comprendenti non solo il diritto alla vita ma anche quello alla conservazione dell'integrità genetica in quanto qualsiasi riduzione della variabilità genetica si rivela una pericolosa perdita per il ‘tutto’.

L'Italia, che risulta essere uno dei territori piú ricchi di unità tassonomiche e di gruppi etnici d'Europa, ha accolto tra i primi paesi l'appello della FAO che, già, agli inizi degli anni '60 (incontro sull'esplorazione delle risorse vegetali, 1961), ha richiamato l'attenzione sull'importanza della conservazione delle risorse genetiche, specialmente vegetali. Sia il mondo scientifico italiano che, successivamente, il Governo nazionale hanno recepito pienamente questo appello mettendo a punto, per la parte animale, un Progetto finalizzato (PF) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) dal titolo "Difesa delle risorse genetiche delle popolazioni animali". Questo PF, attivato nel 1976, ha avuto una durata di 5 anni e ha portato alla istituzione di un organo specifico del CNR, l'Istituto per la Difesa e la Valorizzazione del Germoplasma Animale (IDVGA) di Milano, attualmente Istituto di Biologia e di Biotecnologia Agraria (IBBA). A partire dal 1983, sempre nell'ambito del CNR, è stato costituito un Gruppo di ricerca per il monitoraggio, la difesa e la valorizzazione della risorsa genetica animale nazionale. Contemporaneamente, su indicazione dell'allora Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste (MAF), è stato istituito il Registro anagrafico delle popolazioni bovine italiane; nel 1990 quello delle popolazioni equine; nel 1997 quello delle popolazioni ovi-caprine e, infine, nel 2001 quello delle popolazioni suine.

Il Governo italiano, con DDLL n. 752 del 8.11.1986 e n. 201 del 10.7.1991, ha legiferato sulla salvaguardia economica e biogenetica delle razze a limitata diffusione, anticipando la Convenzione sulla diversità biologica (CBD) definita in Rio de Janeiro nel luglio 1992, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su ‘Ambiente e Sviluppo’ (UNCED).

La definizione delle prime vere e proprie politiche di tutela agro-ambientale indirizzate verso le attività produttive è relativamente recente (regolamenti CEE n. 2078/1992, 1750/1999, 672/2001).

In virtú della notevole ricchezza di germoplasma animale nazionale, l'allora Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste [MAF, oggi Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MiPAF)], nell'ambito dei predetti provvedimenti legislativi, ha istituito, con il supporto dell'Associazione Italiana Allevatori (AIA) e del Comune di Circello (BN), nel 1990, il Centro nazionale per la salvaguardia del germoplasma degli animali in via di estinzione (CeSGAVE); questo Centro, nel 1992, è stato inglobato nel Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative (ConSDABI) con sede in Circello (BN) presso l'azienda Casaldianni. Nel 1994, il Governo italiano ha accreditato presso la FAO il ConSDABI come National Focal Point (NFP) nell'ambito del Programma Globale per la Gestione delle Risorse Genetiche Animali (Global Strategy for the Management of Farm Animal Genetic Resources) . Attualmente, il ConSDABI , oltre a essere National Focal Point per l’Italia, è sede di:

(a) Centro di Genomica e di Proteomica per la Qualità e per l’Eccellenza Alimentare(b) Centro di Ricerca sulle Risorse Genetiche Animali di Interesse Zootecnico(c) Centro Produzione Sperma ed Embrioni.

Un NFP è da considerare come il livello base nella struttura organizzativa del Programma Globale FAO per la Gestione delle Risorse Genetiche Animali al fine di assistere e di organizzare i programmi per la gestione delle risorse genetiche (a livello locale, regionale e nazionale) e di coordinare i bisogni e le attività delle iniziative, incluse le politiche di sviluppo, la divulgazione, la ricerca , ecc..

Il ConSDABI può essere considerato un vero e proprio ‘Polo Multifunzionale’ dalle diversificate funzioni orientate a identificare, con approccio ‘sistemico’, itinerari tendenti a riconferire importanza e dignità alle ‘autoctonie’ (segnatamente alla ‘biodiversità autoctona antica’) e conducenti al raggiungimento di un dinamico stato di ‘benessere’ dell’uomo quale componente del territorio o ‘bioregione’ nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.

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4.2.1. Rilevanza giuridica della biodiversità Con particolare riferimento a quanto esplicitato in materia di tutela della biodiversità da

Mazziotta e Gennaro (2002), si può affermare che la ‘biodiversità antica autoctona’ contiene in sé tutti gli elementi ritenuti sufficienti dal mondo del diritto per la considerazione ‘giuridicamente rilevante di uno status’.

La patrimonialità e la tutela giuridica di questo bene rientrano nell'ambito della disciplina privatistica del diritto anche se nella considerazione dei principi generali dell'ordinamento relativamente all’integrità, all’identità e alla dignità dell’individuo.

La biodiversità antica di un TGA porta in sé un patrimonio assai particolare che trae la sua giuridicità non soltanto dalla natura privatistica del bene ma anche, e forse ancor piú, dalla natura generale dell'interesse alla utilità sociale e alla conservazione del bene stesso.

Nel momento stesso in cui, un qualsivoglia bene si presenta idoneo o, ancor piú, necessario a soddisfare bisogni socialmente apprezzabili espressi da un determinato contesto sociale, in quello stesso momento e in ordine a quel contesto stesso, quel bene assume rilevanza giuridica.

Il patrimonio della ‘biodiversità antica autoctona’ può essere definito un bene di vita; un bene cioè necessario o idoneo a soddisfare bisogni socialmente rilevanti espressi da un determinato contesto sociale in un determinato momento storico.

L'entità e la natura del bisogno sociale determinano la natura e l’entità dell'utilità del bene e costituiscono gli elementi che ne qualificano giuridicamente il contenuto.

In considerazione di un interesse socialmente apprezzabile di contenuto assoluto e generale, vi è una giuridicità del patrimonio genetico antico autoctono configurante specificamente il carattere pubblico e, conseguentemente, il contenuto pubblico dell'utilità del bene stesso.

Il diritto da tutelare, nella fattispecie, è il diritto generale alla integrità, alla identità e alla dignità di un patrimonio di interesse generale. Di qui la necessità, per il diritto, di recepire la presenza di questo nuovo soggetto giuridico rappresentato dalla ‘biodiversità antica autoctona’.

Le esigenze sociali e le nuove frontiere della scienza hanno reso indispensabile la ‘statuizione’ di una ‘tutela giuridica’ rispondente alla natura dell’interesse pubblico da tutelare e attenta alla particolare natura del bene: la ‘biodiversità antica autoctona’.

Non si può considerare di riservare alla ‘esclusiva discrezionalità del privato’ la disponibilità di un tale bene, di cui egli ha pieno titolo in quanto proprietario; allo stesso tempo, il proprietario non deve essere gravato o investito di alcun obbligo od onere rivestendo il bene da conservare carattere cogente nel superiore interesse pubblico.

E’ indispensabile formulare una normativa volta a garantire e a regolamentare in regime di compatibilità la tutela giuridica sia del bene di interesse pubblico sia dell’autonomia del privato.

Il bene mobile (animale e/o vegetale e/o microbico) è regolato dal regime ordinario del diritto privato; un ‘patrimonio genetico antico autoctono’, di cui è portatore il bene mobile, deve soggiacere a regole di diritto pubblico.

Nel rispetto della natura privatistica del bene, la sua ‘patrimonialità’ deve essere governata da criteri atti a scongiurare il rischio di una ‘discrezionalità’ capricciosa o arrogante del suo utilizzo.

Ciò che sembra importante è che si operi il riconoscimento della giuridicità della ‘biodiversità antica autoctona’ e della rilevanza che oggi essa assume a pieno titolo nell’ambito del diritto alle cui regole, presenti e future, non può ormai che informarsi e rispondere.

Il riconoscimento dell’incommensurabile valore del patrimonio dell’autoctonia antica esige nuova e adeguata regolamentazione anche nell’ambito della disciplina dei ‘beni culturali’, da adottarsi con previsione attenta e scrupoloso rispetto dei molteplici aspetti che la fattispecie presenta.E’ da augurarsi che presto il legislatore possa tramutare queste non rinviabili istanze in peculiari provvedimenti legislativi in grado di:

(a) considerare l’’autoctonia antica’ animale, fungina, microbica e vegetale alla stregua di un vero e proprio bene ‘culturale’ di interesse collettivo di dignità pari a quella di ogni

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altro bene tradizionalmente considerato tale; questo riconoscimento è avvenuto nell’ambito del realizzato Progetto finalizzato ‘Beni culturali’ del Consiglio nazionale delle ricerche

(b) conciliare la diversità fra interesse pubblico e quello privato nella tutela della biodiversità autoctona

(c) innovare profondamente alcune norme dell’UE riguardanti gli interventi in materia di tutela dei tipi genetici autoctoni in via di estinzione.

4.2.2. Alcuni provvedimenti legislativi dell’Unione europea

Il Regolamento CE n. 445/2002 del 26.II.02 ha ridefinito i criteri per la determinazione della soglia di abbandono delle razze animali ammissibili al sostegno finanziario; i nuovi valori soglia, distintamente per specie, al di sotto dei quali la razza è considerata in via di ‘abbandono’, accettati nel corso della riunione della Commissione STAR (Comité des Structures Agricoles et du développement rural) del 19-12-2001, specialmente su forte sollecitazione del Governo italiano (MiPAF), sono di seguito riportati:

SPECIEVALORI SOGLIA

(N* DI FEMMINE IN RIPRODUZIONE)

Bovini 7.500

Ovini 10.000

Caprini 10.000

Equidi 5.000

Suini 15.000

Volatili 25.000

ove:

N*= numero di femmine in riproduzione della stessa ‘razza’ o TGA o TGAA disponibile per l’accoppiamento, iscritte in un registro riconosciuto dagli Stati Membri (Libro Genealogico o Registro Anagrafico).

Nel piano di recupero e di tutela di un TGA/TGAA riveste fondamentale importanza il valore del numero effettivo (Ne). Per il calcolo dell'Ne può essere usata la seguente formula:

Ne= 4 x N m x N f

N m + N f

ove: N m= numero dei maschi in età riproduttiva N f = numero di femmine in età riproduttiva.

A esempio, indicando la popolazione totale (Ni) = 1.000, il valore di Ne varia in funzione del Rapporto Sesso Riproduttivo (RSR), come risulta dallo schema seguente:

RSR Ne

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MASCHI FEMMINE

1 1 1000

1 5 640

1 10 360

1 50 190

1 100 40

La tabella I mostra la consistenza dei TGA e dei TGAA italiani a rischio di ‘estinzione’ e/o di ‘abbandono’ in relazione alla classe di ‘rischio’ definita sulla base del valore del numero effettivo.

La FAO nel 1992 ha stabilito le classi di ‘rischio’ di estinzione di un TGA e/o TGAA, indipendentemente dalla specie, considerando il numero di femmine in riproduzione:

(a) normale: >10.000(b) rara: 5000 ÷ 10.000(c) vulnerabile: 1000 ÷ 5.000(d) in pericolo: 100 ÷ 1.000(e) critica: < 100(f) estinta: 0

A livello nazionale, in data 28 ottobre 2004, è stato approvato il Ddl 705 della Camera che prevede, all’articolo 9 della Costituzione in materia di ambiente e di ecosistemi, l’aggiunta del seguente comma: “Tutela l’ambiente e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Protegge la biodiversità e promuove il rispetto degli animali”.

5. Conclusioni 1. Nell’ambito della globalizzazione in corso è sempre piú importante operare nel senso di un

recupero del concetto di relazionismo fra cittadino e territorio o ‘bioregione’, concetto messo in discussione dallo sviluppo di teorie economiche tendenti valorizzare il cittadino e a sminuire l’importanza del territorio, quest’ultimo considerato unicamente quale strumento per soddisfare le esigenze dell’espansivo fenomeno dell’urbanizzazione.

2. E’ necessario perseguire politiche tendenti a un’armonizzazione tra le dimensioni: economica, sociale ed ecologica; armonizzazione che sta alla base della logica di sviluppo sostenibile.

3. La realtà 'pianeta terra' è molto 'complessa', grandemente dinamica e poco nota in tutte le sue articolazioni e interconnessioni e interrelazioni fra la miriade di sistemi naturali e la non meno elevata presenza di sistemi socio-economici. Pertanto, sorge impellente la necessità di considerare, nella giusta dimensione, il concetto di 'precauzione', quindi di un approccio 'conservativo' non 'bieco' e/o 'fondamentalista'. La ‘complessità’ degli organismi viventi e degli ecosistemi rendono imprevedibili gli effetti degli interventi dell’uomo sull’ambiente. Forse, il problema principe dell'inizio di questo nuovo millennio sarà come ricostituire una certa 'enciclopedia' dei saperi al fine di dare risposte concrete, serie e disinteressate alla 'complessità'. La 'complessità' è un vero e proprio 'sistema complesso' in quanto:

(a) è da delimitare, di volta in volta, nei suoi confini(b) è da conoscere nelle sue componenti qualitative e quantitative e nelle loro interrelazioni

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(c) è flessibile e variabile spazialmente e temporalmente perché strutturalmente instabile (d) ha capacità al costruttivismo differenziata per effetto del grado di informazione del

tempo e dello spazio(e) è fortemente autoregolatore, omeostatico, per cui può produrre nuove combinazioni fra

le parti costituenti che possono dare origine a dinamici peculiari 'status' le cui regole di funzionamento possono mutare nel tempo e nello spazio come, a esempio, il sistema 'genoma' per effetto delle continue nuove combinazioni geniche (grazie anche alle ‘sequenze o elementi trasponibili’) e delle mutazioni selettive

(f) non è un modello lineare: assenza di proporzione tra causa ed effetto(g) alla luce delle precedenti caratterizzazioni, è 'imprevedibile' nel senso che esso non è

totalmente 'computabile', perché può essere considerato una vera e propria 'struttura caotica deterministica'

(h) ha una sua 'singolarità': è un 'universo soggettivo' non riducibile a mero oggetto di riduzionismo, ma discernibile e con una sua propria 'alterità'

(i) ha una sua specifica pertinenza: 'dialogare' tra le parti componenti.L’impostazione sistemica deve costituire: (a) il canone, (b) il prodromo e (c) la guida se si

vuole affrontare concretamente e seriamente qualsiasi discorso inerente alla gestione della naturaIl continuo progresso di conoscenze sul genoma umano e la comparazione dello stesso con il

genoma di altri organismi stanno portando a una profonda revisione di alcuni dogmi della biologia, soprattutto in termini di comprensione della variabilità e della complessità dei sistemi biologici. Infatti, il sequenziamento del genoma di diverse specie sta evidenziando che la ‘complessità’ degli organismi viventi non è correlata al numero delle sequenze di DNA codificanti per una proteina ma alla mole del cosiddetto DNA ‘regolativo’, codificante o no per una proteina. A esempio, l’Homo sapiens, costituito da circa 100.000 miliardi di cellule, sulla base di una stima recentissima del genoma ‘codificante’ che è stato possibile determinare, possiede circa 25.000 geni, ovvero solo il 20 % in piú di geni rispetto al nematode Caenorhabditis elegans; quest’ultimo, infatti, pur essendo composto di solo 959 cellule, dispone di circa ben 19 mila geni.

4. Le recenti acquisizioni scientifiche evidenziano in modo sempre piú incontrovertibile l’importanza dell’epigenetica; il fenotipo di una cellula e/o di un individuo è determinato dalla combinazione di due tipi di informazione: quella ‘genetica’, rappresentata dalla sequenza di basi del DNA e quella ‘epigenetica’, che comprende le modificazioni temporanee o permanenti dell’attività dei geni (variazioni quali-quantitative dell’espressione dei geni), che si hanno per effetto dei fattori ambientali. Ciò deve indurre a riflettere sul concetto di ‘determinismo genetico’ quale unico motore dello sviluppo di un individuo e a considerare il fattore ambiente tra le cause possibili del margine di imprevedibilità delle applicazioni dell’ingegneria genetica. Se è vero che l’inserimento di una sequenza estranea attraverso le tecniche di ingegneria genetica può essere considerato un intervento ormai routinario, va sottolineato che nessuno può prevedere gli effetti che si possono ottenere quando quel gene è inserito in una rete cellulare o in un organismo completo inseriti in un determinato contesto micro e macro-ambientale.

5. Nell’ambito di uno sviluppo multifunzionale sostenibile la conservazione della risorsa genetica animale autoctona, specialmente antica, riveste un ruolo fondamentale per almeno quattro motivazioni: biologica, socio-economica, culturale e giuridica.

6. Non bisogna dimenticare che l'uomo non vive da solo sul pianeta terra, ma con la vita e la diversità biologica che esso ospita ed entro l'ambiente che l'attività di tanti organismi costruisce.

7. Parafrasando San Bernardo (1139), che si rivolgeva ai monaci benedettini di Saint Bertin, si può concludere che “Il nostro progresso non consiste nel presumere di essere arrivati, ma nel tendere continuamente alla meta”.

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