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Cover_InformaIres_38 16-11-2010 12:00 Pagina 1 Colori compositi C M Y CM MY CY CMY K Istituto Ricerche Economico Sociali del Piemonte Via Nizza, 18 - 10125 Torino - Tel. 011.666.64.11 Poste Italiane, spedizione in abbonamento postale — n. 1 / anno XXI 3 8 ottobre 2010 / anno XXI / n. 1 informaires 3 8 ISSN 1591-6057 Stampa: IGF — Industria Grafica Falciola

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Istituto Ricerche Economico Sociali del PiemonteVia Nizza, 18 - 10125 Torino - Tel. 011.666.64.11

Poste Italiane, spedizione in abbonamento postale — n. 1 / anno XXI

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ottobre 2010 / anno XXI / n. 1

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SOM

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IOOTTOBRE 2010ANNO XXI - N. 1INFORMAIRESSemestrale dell’Istituto diRicerche Economico Socialidel Piemonte

n. 38, ottobre 2010Direttore responsabileMarcello La RosaComitato di redazioneLuciano Abburrà, Maria TeresaAvato, Carlo Alberto Dondona,Vittorio Ferrero, Tommaso GarosciRedazione e direzione editoriale:IRES - Istituto di Ricer cheEconomico Sociali del Piemontevia Nizza, 18 - 10125 TorinoTel. 011.666.64.11Telefax 011.669.60.12e-mail: biblio teca@ires. piemonte.itUfficio editoria IRESMaria Teresa Avato, Laura Carovignoe-mail: [email protected] del Tribunale diTorino n. 4034 del 10/03/1989.Poste Italiane, spedizione inabbonamento postale 70%.DCB Torino, n. 2/anno XIXStampa: IGF – Industria Grafica Falciola

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE2006-2010

Angelo Pichierri, presidente;Brunello Mantelli, vicepresidente;Paolo Accusani di Retorto ePortanova, Antonio Buzzigoli,Maria Luigia Gioria, CarmeloInì, Roberto Ravello, MaurizioRavidà, Giovanni Salerno.

COLLEGIO DEI REVISORI

Emanuele Davide Ruffino, presi-dente; Fabrizio Allasia, MassimoMelone, membri effettivi; LilianaMaciariello, Mario Marino, mem-bri supplenti.

COMITATO SCIENTIFICOGiorgio Brosio, presidente;Giuseppe Berta, Cesare Emanuel,Adriana Luciano, Mario Montinaro,Nicola Negri, Giovanni Ossola.DIRETTORE: Marcello La Rosa.STAFF: Luciano Ab bur rà, StefanoAimone, En rico Allasino, LoredanaAnnaloro, Cristina Aruga, MariaTeresa Avato, Marco Bagliani,Davide Barella, Cristina Bargero,Giorgio Bertolla, Paola Borrione,Laura Ca rovigno, Renato Cogno,Lucia na Conforti, AlbertoCrescimanno, Alessandro Cun solo,Elena Donati, Carlo AlbertoDondona, Fio renzo Ferlaino,Vittorio Fer rero, Filomena Gallo,Tommaso Garosci, Maria Inglese,Simone Landini, AntonioLa rotonda, Eugenia Madonia,Mauri zio Mag gi, Maria Cri stinaMigliore, Giuseppe Mosso, CarlaNanni, Daniela Nepote, SylvieOccelli, Giovanna Perino,Santino Piazza, Ste fano Piperno,Sonia Pizzuto, Elena Poggio,Lucrezia Scal zotto, FilomenaTallarico, Giuseppe Virelli.

Ai lettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Cinquant’anni di ricerche IRES - Introduzione . . . . . . . . . . . . 5Le trasformazioni del regionalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7La ricerca IRES: una sintesi personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18Studiare il Piemonte quindici anni dopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

Piemonte economico sociale 2009Piemonte economico sociale 2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

RicercheRapporto Istruzione 2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43La valutazione ex post del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 . . 48Osservatorio ICT – Rapporto 2009 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53L’esternalizzazione dei servizi di pulizia nei comuni . . . . . . . . . 57La cooperazione nei comparti della logistica, delle puliziee del confezionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60Le strategie finanziarie dei comuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64Gli istituti professionali statali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

N ote di RicercaL’apprendimento lungo il corso di vita: lavoratori e lavoratricinei reparti di produzione industriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71Le fondazioni di comunità nell’ambito del terzo settore . . . . . . . 75

Convegni, Seminari, Dibattiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

Pubblicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

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Le immagini che illustrano questo numero di "Informaires" sono tratte dalla mostra "Le Macchine della Meravi-glia. Lanterne magiche e film dipinto, 400 anni di cinema" (22 luglio-9 gennaio 2011, Reggia di Venaria).La mostra è una co-produzione della Venaria Reale, Museo Nazionale del Cinema e Cinémathèque française.A cura di Laurent Mannoni e Donata Pesenti Campagnoni

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Più che un’occasione di compiacimento, un anniversario de-ve essere un’opportunità per riflettere sul cammino percor-so per derivarne suggerimenti e stimoli atti a migliorare se

stessi e il proprio lavoro. Questo è ciò che l’IRES si è proposto rea-lizzando alcune iniziative per marcare il proprio cinquantenario. Comeviene raccontato nelle pagine che seguono, si è trattato di un complessodi attività che hanno avuto un duplice obiettivo. Da una parte si è effet-tuata una rivisitazione critica delle letture dell’evoluzione sociale ed eco-nomica del Piemonte che l’Istituto ha prodotto negli anni passati; dal-l’altra si sono voluti realizzare dei momenti di riflessione collettiva suimetodi attuali delle scienze sociali.

In questo numero di “Informaires” si dà conto in modo necessariamen-te sintetico del complesso di tali iniziative attraverso alcuni contributiestratti dal volume 1958-2008. Cinquant’anni di ricerche IRES sul Piemonte,pubblicato nel 2009 a cura di Stefano Piperno e del Presidente dell’IRES

Angelo Pichierri. Il contributo di Piperno illustra rapidamente la genesidella pubblicazione, mentre quello di Pichierri ragiona su alcune delle is-sues che l’evoluzione recente del Piemonte pone all’attenzione del ricerca-tore sociale. Ad essi si accompagna il testo integrale della lectio magistralistenuta dal Prof. Enrico Grosso nell’aula del Consiglio regionale a Torino il9 maggio 2008 nella quale viene offerta una ricostruzione critica delle tra-sformazioni del regionalismo italiano attraverso l’evoluzione del pensierocostituzionale italiano.

L’ultimo contributo nella sezione monografica di questo numero dellarivista è una sintesi di un quaderno IRES dedicato ai soggetti e ai temi dellaricerca socioeconomica in e sul Piemonte degli ultimi quindici anni. Il la-voro, a cura di Silvia Crivello, Luca Davico e Luca Staricco fornisce un ca-talogo ragionato dei temi al centro dell’attenzione dei ricercatori basandosisull’analisi accurata e sistematica della letteratura. Oltre a una rassegna del-le tematiche, il volume offre un censimento degli enti di ricerca presenti sulterritorio regionale e riporta una bibliografia per temi comprendente circa600 titoli.

MARCELLO LA ROSA,DIRETTORE IRES

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Il contributo successivo riporta, come ètradizione, una rapidissima sintesi del Pie-monte economico sociale 2009: la Relazioneannuale sulla situazione economica, sociale eterritoriale del Piemonte a cura del coordi-natore del gruppo di lavoro, Maurizio Mag-gi. Segnaliamo che da quest’anno il rapportonon si limita alla semplice versione cartaceaa cui siamo usi, ma si presenta anche sottoforma di sito web interattivo completamente

ridisegnato. È inoltre scaricabile sia dal sitodell’Istituto (www.regiotrend.piemonte.it)che dalla piattaforma Ilibrary per essere let-to in formato e.pub o sul pc o sui nuovi let-tori portatili in grado di supportare tale ver-sione.

Conclude infine il fascicolo la tradizionalerassegna delle ultime ricerche pubblicate dal-l’IRES e il calendario dei principali convegnipartecipati dall’IRES negli ultimi mesi.

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CINQUANT’ANNI DIRICERCHE IRES

Introduzione

STEFANO PIPERNO

Mezzo secolo di esistenza per un Istituto di ricerca socioeconomicaregionale costituisce un’esperienza unica in Italia, che può esserecelebrata in vari modi. L’IRES ha voluto cogliere l’occasione con

una serie di iniziative. Ha chiesto al prof. Enrico Grosso e all’on. prof.Franco Bassanini di tenere due lectio magistralis sul regionalismo in Italiarispettivamente nel maggio e nel giugno del 2008. Grazie al contributo del-la Compagnia di San Paolo ha bandito una borsa di studio, intitolata a Bru-no Ferrero, già presidente dell’IRES, finalizzata all’approfondimento deglieffetti redistributivi del federalismo fiscale da un punto di vista spaziale einterpersonale. Ha poi organizzato, il 12 e 13 febbraio 2009 a Torino, unconvegno internazionale dedicato alla rilettura critica dei modelli e dei me-todi di analisi delle scienze socioeconomiche territoriali alla luce dell’evo-luzione della società piemontese.

Infine ha pubblicato il volume 1958-2008. Cinquant’anni di ricerche IRES

sul Piemonte (che può essere richiesto gratuitamente all’ufficio editoria del-l’Istituto o scaricato dal sito) rispondendo a una pluralità di obiettivi. Iprincipali possono essere così elencati:• ripensare criticamente la capacità analitica dell’Istituto rispetto alle

profonde trasformazioni economiche, sociali, territoriali e culturali av-venute nell’ultimo cinquantennio;

• promuovere l’immagine dell’Istituto e fare conoscere la sua attività an-che al di fuori del circuito tradizionale dei propri utenti, predisponendoun prodotto utile per la collettività regionale nel suo complesso;

• ricostruire indirettamente e in termini diacronici lo “spazio di mercato”dell’IRES all’interno dell’evoluzione dell’offerta di ricerca complessiva inPiemonte nel tempo.

Il punto di partenza per la progettazione del volume è stata un’iniziati-va editoriale del 1988 con la quale era stato celebrato il trentesimo anniver-sario. Il volume conteneva una introduzione generale curata dal prof. Te-renzio Cozzi dell’Università di Torino, che era stato incaricato dall’Istitutodi coordinare i lavori per la pubblicazione, e una serie di analisi settorialipredisposte dai ricercatori IRES. Si è pensato di offrire una prima rilettura

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critica delle analisi presentate nel 1988 alla lu-ce delle elaborazioni compiute nei venti annisuccessivi, con particolare riguardo per quelleconnesse alle Relazioni annuali e ai Rapportidi scenario; per dirla in un titolo: “I trent’annidell’IRES venti anni dopo”.

A tale fine si sono costituiti dei gruppi dilavoro su quattro grandi ambiti tematici – il si-stema economico, il sistema sociale, il settorepubblico locale e il sistema territoriale e am-bientale – articolati in diversi sotto-ambiti, alfine di predisporre alcune prime relazioni inun seminario interno da organizzare insiemeal Comitato scientifico dell’IRES.

Partendo da un sintetico richiamo alleanalisi sul trentennio 1958-1988, le relazioniavrebbero dovuto individuare per ogni ambi-to tematico i principali cambiamenti interve-nuti a partire dagli anni ottanta, mettendo inluce i contributi più significativi apportatidalle ricerche dell’IRES in termini sia di indi-viduazione di problemi che di proposte di so-luzioni nel contesto delle politiche pubblicheregionali. In più, le suddette relazioni dove-vano contenere alcune riflessioni sulle princi-pali metodologie e tecniche di ricerca nei va-ri campi analizzati e indicare alcune prospet-tive per le ricerche da intraprendere negli an-ni successivi. Il seminario si è tenuto il 17 lu-glio 2008 e le relazioni che sono state presen-tate e discusse con i membri del Comitatoscientifico hanno costituito la base per la ste-

sura definitiva dei contributi contenuti nelvolume. Come spesso accade, gli autori han-no interpretato le guidelines editoriali sogget-tivamente e i testi risultano in parte disomo-genei per quanto concerne la struttura deicontenuti e il periodo preso in esame. Ciò inparte è risultato inevitabile anche a causa del-l’emersione di nuovi filoni di ricerca negli ul-timi anni. Il gruppo editoriale che ha curatola pubblicazione ha però preferito conservarela freschezza e l’originalità dei singoli contri-buti limitando all’indispensabile la revisionedei singoli capitoli. La lettura del volume of-fre infatti uno spaccato completo della ampiaattività dell’IRES nei diversi settori di ricercae nell’ultimo cinquantennio, le cui caratteri-stiche e contenuti generali sono sinteticamen-te condensati nella presentazione e nelle con-clusioni.

Nelle pagine che seguono riportiamo nel-l’ordine il testo integrale della lectio magistra-lis tenuta il 9 maggio del 2008 da Enrico Gros-so dell’Università di Torino nell’aula del Consi-glio regionale sull’evoluzione del regionalismoin Italia, il capitolo finale del volume sul cin-quantenario, a cura del presidente dell’IRES An-gelo Pichierri, che traccia una sintesi personalee problematica dei temi trattati dai diversi au-tori, e una scheda riassuntiva di una survey sul-la ricerca socioeconomica sul Piemonte negli ul-timi dieci anni.

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LE TRASFORMAZIONIDEL REGIONALISMO1

ENRICO GROSSO 1. Quando mi è stato chiesto di intervenire, in occasione delle celebrazioniper i cinquant’anni dell’IRES, sul tema delle trasformazioni del regionalismoitaliano nel corso della storia repubblicana, mi è tornato alla memoria unvecchio volume, pubblicato due decenni or sono in occasione di un’altracelebrazione, quella per i trent’anni dell’Istituto. In quel libro, assai inte-ressante e ricco di dati e considerazioni sullo sviluppo economico e socialedel Piemonte tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta, ho ritrovato – proprionell’intestazione, quasi come una sintesi delle ragioni che portarono allafondazione dell’Istituto – una frase di Massimo Severo Giannini: “La com-plessità delle trame degli interessi pubblici collettivi e privati, nelle colletti-vità contemporanee, ha raggiunto un grado così elevato, che l’amministra-zione pubblica […] rischierebbe di trovarsi disarmata se non avesse la pos-sibilità di valutare la sostanza autentica dei problemi e delle proposte che igruppi di pressione le presentano. L’attività di studio serve quindi non tan-to ad adottare decisioni più ponderate, quanto a fornire alle amministra-zioni consapevolezza approfondita circa i problemi della vita delle colletti-vità”.

Queste considerazioni di Giannini – almeno a me sembra – non soltan-to esprimono il senso profondo dello spirito con il quale nel 1958 alcunilungimiranti amministratori della Provincia di Torino immaginarono, e su-bito realizzarono, un istituto come l’IRES, ma soprattutto riassumono conestrema chiarezza l’idea che allora si aveva, e le speranze che allora si nutri-vano, rispetto alla necessità di un radicale mutamento di struttura delle isti-tuzioni pubbliche, e dello stesso modo di interpretare l’amministrazione lo-cale, a partire dalla constatazione di un progressivo (e benefico) sviluppo diquella che Giannini definiva “la trama degli interessi pubblici collettivi eprivati”, e che oggi, più semplicemente, verrebbe qualificato come il “plu-ralismo sociale”.

A molti decenni di distanza sembra indispensabile interrogarsi suquanto di quello spirito si sia effettivamente tramutato in motore di tra-sformazione delle amministrazioni, su quante di quelle promesse sianostate mantenute e quante, invece – in tutto o in parte – tradite, insommasulle ragioni di un percorso di trasformazione del paese che, come vedre-

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1 Lectio magistralis te-

nuta in occasione del

cinquantesimo anni-

versario dell’IRES Pie-

monte, Torino, 9 mag-

gio 2008.

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mo, si è dimostrato alquanto accidentato edifficoltoso.

2. Dobbiamo partire da lontano. Il processodi regionalizzazione della forma di Stato inItalia si può rappresentare come un lento macostante processo “centrifugo”. Nato comeStato fortemente unitario e centralizzato, edi-ficato sotto l’influenza della tradizione giuri-dico-amministrativa francese, oggi l’Italia èannoverata, secondo tutte le classificazionicorrenti in diritto comparato, come uno Statoa modello fortemente decentrato, ancorchénon federale.

Tale processo di progressiva decentralizza-zione non rappresenta certo un modello uniconel panorama istituzionale europeo. Anzi, sipuò dire in generale che la ricerca di un sem-pre più accentuato riconoscimento di profilidi autonomia istituzionale alle comunità terri-toriali locali sia una caratteristica comune aquasi tutti gli Stati democratici, sia quelli dipiù lunga tradizione, sia quelli che più recen-temente hanno raggiunto un soddisfacente li-vello di sviluppo istituzionale. La stessa Fran-cia, che rappresenta tuttora il prototipo delloStato unitario, sta conoscendo negli ultimi an-ni profonde trasformazioni (segnate da impor-tanti revisioni costituzionali) nella ripartizionedei poteri tra i diversi livelli di governo.

Si tratta di un’evoluzione del tutto norma-le e comprensibile, se è vero che – come è sta-to osservato da tutti i più attenti studiosi deldiritto pubblico – vi è un nesso indissolubiletra lo sviluppo delle autonomie e lo stessoprincipio democratico. Il progresso delle pri-me appare cioè strumentale alla piena realiz-zazione del secondo, mentre naturalmente so-lo la difesa del principio democratico può ga-rantire la sopravvivenza delle autonomie.

Vi è poi un’altra e più stringente ragione,che giustifica questa naturale tendenza, ri-scontrabile all’analisi comparata, al rafforza-mento dei sistemi delle autonomie territoriali,ed è l’impossibilità – oggi più che mai dimo-strata dall’esperienza storica – dei sistemi po-litici rigidamente monistici a garantire effica-cemente avanzate forme di pluralismo sociale.È bene sottolineare che la garanzia del plurali-smo sociale è uno dei principali, se non ilprincipale strumento (ossia il prerequisito es-senziale) per il corretto funzionamento del si-

stema costituzionale. Proprio con il tramontodell’idea che l’organizzazione istituzionale sipotesse esaurire nel monopolio del sistemagiuridico pubblico-statale, cioè nel monopoliodello Stato sul diritto, ha cominciato progres-sivamente a emergere, accanto al sistema sta-tale, una molteplicità di altre istituzioni, rap-presentative di realtà plurali sottostanti. In-somma anche il pluralismo istituzionale, cioèla pluralità di istituzioni pubbliche territoriali(e più recentemente anche non territoriali)che concorrono alla definizione dell’indirizzopolitico-amministrativo, è una delle forme dimanifestazione del pluralismo sociale che ca-ratterizza quei sistemi complessi che sono lepoliarchie contemporanee.

Tuttavia, rispetto a questa naturale tenden-za, in atto da decenni in tutte le principali de-mocrazie, l’evoluzione del regionalismo italia-no ha sempre scontato (e direi sofferto) unaparticolarità. A fasi di grande sviluppo, sia inambito teorico-scientifico sia in ambito politi-co-riformatore, si sono alternate lunghe fasi diriflusso, di controriforma, di resistenza. È co-me se si osservasse, a tale proposito, un conti-nuo movimento del pendolo, che non ha con-sentito al nostro regionalismo uno sviluppopiano e razionale.

Come noto, il modello di Stato regionalelicenziato dall’Assemblea Costituente fu il ri-sultato di un complesso e delicatissimo com-promesso, che da un lato vedeva, all’art. 5, laproclamazione dei principi di autonomia epluralismo istituzionale, ma dall’altro conce-piva l’intero Titolo V della Parte II della Co-stituzione come uno strumento di garanziadell’intangibilità dei valori di unità e indivisi-bilità della Repubblica, che quello stesso art. 5proclamava.

Il Titolo V, in particolare, offriva un mo-dello quasi inedito nel panorama comparato:istituiva le Regioni come enti dotati di autono-mia legislativa, ma contemporaneamente pro-clamava (e dunque costituzionalizzava) l’auto-nomia dei Comuni e delle Province. Con ladifferenza che, mentre il municipalismo affon-dava le sue radici in una lunga tradizione stori-ca, le Regioni venivano elevate al rango di En-ti autonomi per la prima volta. Questa dialetti-ca tra le diverse possibili declinazioni dell’au-tonomia territoriale si è protratta nel corso ditutta la storia repubblicana, e non cessa ancora

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oggi di creare problemi di equilibrio e di reci-proco riconoscimento di ruoli.

Da un lato vi erano le Regioni, istituite sul-la base dei principi di un regionalismo diffe-renziato (Regioni a statuto speciale e ordina-rio), obbligatorio (tutte le Regioni erano isti-tuite dalla Costituzione, e senza possibilità diautodeterminazione o di contrattazione deipropri poteri), esteso all’intero territorio na-zionale. Dall’altro lato – elemento particolar-mente peculiare e significativo – vi erano glienti locali che, come si è detto, godevano an-ch’essi di autonomia costituzionalmente ga-rantita e che vedevano disegnati i confini ditale autonomia da principi stabiliti mediante“leggi generali della Repubblica” (art. 128 Co-st.). In tal modo veniva a crearsi già in poten-za (ossia già prima che il sistema previsto dalCostituente fosse messo in pratica) una sepa-razione tra Regioni e altre autonomie, e quasiun rapporto privilegiato tra queste ultime e loStato. Vi è poi da dire che assai limitate eranole forme di raccordo tra gli enti territoriali re-gionali e lo Stato, e soprattutto le forme dipartecipazione delle Regioni alle funzioni sta-tali.

A quest’ultimo proposito occorre sottoli-neare che la scelta effettuata dall’AssembleaCostituente in favore di un bicameralismo pa-ritario e perfetto finì per eliminare proprio l’i-potesi che avrebbe rafforzato il potere regio-nale, e cioè quella – largamente sperimentatanegli ordinamenti a base federale – di una se-conda camera rappresentativa delle Regioni.

Sin dall’inizio, insomma, è rimasto incertoquale fosse il centro gravitazionale del sistemadelle autonomie. Le Regioni, create ex novo eda subito munite di un (sia pur limitato) pote-re legislativo sconosciuto agli altri enti territo-riali, e di garanzie costituzionali delle proprieattribuzioni, sono state innestate su un siste-ma secolare di organizzazione del potere pub-blico caratterizzato dal rapporto privilegiatotra lo Stato e gli enti locali, senza interruzionie senza spazi liberi. Un corpo che, dall’inizio,ha rigettato di fatto le Regioni, alle quali pe-raltro non era riconosciuto uno dei poteri es-senziali che sempre sono attribuiti a tali entiin modelli di tipo federale, e cioè il potere diconformare l’amministrazione locale. Que-st’ultima è rimasta invece a lungo sostanzial-mente legata all’apparato centrale.

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Le Regioni, insomma, nacquero deboli.Deboli nei confronti dello Stato e deboli an-che nei confronti degli enti locali, che del re-sto avevano una tradizione storica ben piùlunga e radicata. Si trattava di un modello chenon solo finiva quasi per rinnegare i principisu cui apparentemente si fondava (ossia l’art.5), ma che era oggettivamente ambiguo.

Sul modo concreto di essere delle Regioniha poi pesato prima la lunga pausa che ne haritardato la concreta istituzione, e poi la com-plessa fase dell’attuazione, che ha messo in lu-ce con chiarezza l’evidenziata debolezza delmodello istituzionale definito in Costituzione.

L’inattuazione ventennale del sistema re-gionale è figlia delle vicende interne e interna-zionali di quegli anni, del clima della guerrafredda, del sospetto con cui per oltre un de-cennio vengono guardati tutti gli istituti po-tenzialmente in grado di limitare il potere po-litico del centro (Corte Costituzionale, refe-rendum, CSM). Per le Regioni ciò era ulterior-mente accentuato dalla consapevolezza che invaste aree del territorio nazionale erano elet-toralmente maggioritarie proprio quelle forzepolitiche che (al centro) si presumevano ostiliall’alleanza atlantica e politicamente vicine alblocco sovietico. A ciò si aggiunga che gli stes-si enti locali, se si eccettua il principio di elet-tività degli organi, ripresero a funzionare (efunzionarono fino agli anni novanta) in unquadro normativo quasi immutato rispetto alperiodo liberale e fascista.

Le conseguenze di questo stato di cose so-no persistenti e di lunga durata. In quegli anniinfatti si determinò un radicamento di model-li, sia sotto il profilo istituzionale che sottoquello politico-partitico, di tipo accentrato,molto difficile da smantellare anche quando,mutato il quadro internazionale, l’istituto re-gionale poté finalmente essere attuato. Quelledifficoltà, in qualche misura, producono i loroeffetti ancora oggi.

Tutto ciò naturalmente non significa chegià a partire dall’inizio degli anni sessanta (eforse in Piemonte un po’ prima – as usual –come dimostra proprio la fondazione nel 1958dell’Istituto che oggi celebriamo) non si apris-se una stagione di grandi speranze verso unradicale rinnovamento istituzionale. Propriomentre a livello nazionale – in corrispondenzacon la svolta politica del centrosinistra – si

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apriva la breve ma intensa stagione della pro-grammazione economica e della pianificazio-ne territoriale, rilevanti elaborazioni intellet-tuali venivano dedicate alle potenzialità del si-stema regionale nell’attuazione in concreto ditali strumenti. Anche a tale proposito si puònuovamente richiamare la riflessione di Massi-mo Severo Giannini, secondo il quale attra-verso l’attuazione del sistema regionale, e co-munque attraverso il potenziamento e la radi-cale trasformazione delle autonomie territo-riali, si poteva creare la leva per la riforma del-lo Stato, della sua politica, della sua ammini-strazione. Lo slogan, in quegli anni, era: “leRegioni per la riforma dello Stato”. Dare at-tuazione al sistema regionale, trasferire loro eagli enti locali nuove funzioni, veniva conside-rata dai più la via maestra – in termini di effi-cienza e modernizzazione – per la trasforma-zione dell’amministrazione pubblica nel suocomplesso. La via maestra, in definitiva, per lamodernizzazione dell’Italia.

A questo fattore se ne unì ovviamente unaltro, di non minore importanza: quello rap-presentato dalla spinta alla partecipazione, ri-sultato delle grandi trasformazioni politico-culturali della fine degli anni sessanta, e dellarivendicazione di una nuova stagione di de-mocrazia partecipativa, da giocarsi anche e so-prattutto attraverso l’allargamento degli spazipolitici, e dunque attraverso il potenziamentodelle istituzioni locali esistenti e la realizzazio-ne delle Regioni.

Efficienza e partecipazione: sono i due po-li di una spinta rinnovatrice, che tornerannoperiodicamente, come una sorta di leit motiv,nelle tappe successive di questa storia.

3. Quando finalmente l’istituto regionale dise-gnato dal Costituente fu realizzato (con tutti idifetti che sono stati sommariamente rilevati,ma con le potenzialità che se ne intravedeva-no), immediatamente si innescò una secondaondata di riflusso, che in pochissimo temporidusse e alterò le potenzialità di sviluppo diquel modello.

Sotto l’azione convergente del legislatorestatale e della giurisprudenza costituzionale,infatti, l’autonomia legislativa delle Regioni,prima ancora che avesse modo di svilupparsipienamente, fu fortemente contratta. Lo sche-ma immaginato dal Costituente, di una ripar-

tizione delle competenze che attribuiva alloStato – nelle materie di competenza legislativaregionale – la formulazione di principi comu-ni, attraverso leggi cornice, e assegnava alleRegioni la possibilità di differenziare i dettaglidella legislazione, si dimostrò nei fatti impos-sibile da realizzare. La debolezza oggettivadelle Regioni, per come erano disegnati i loropoteri, unita all’assenza di compiuti meccani-smi di partecipazione delle stesse alla legisla-zione statale, impedì che nascesse un vero eproprio regionalismo cooperativo. Si sviluppòinvece un sistema a netta prevalenza statale.

In primo luogo, la legislazione statale“decostituzionalizzò” di fatto l’elenco dellematerie assegnate alla competenza (concor-rente) delle Regioni, attraverso il noto mec-canismo del “ritaglio” delle funzioni. La de-finizione delle materie, infatti, fu effettuata apartire dalle funzioni amministrative che ve-nivano nel frattempo trasferite. Ciò deter-minò quello che è stato chiamato il “paralle-lismo all’inverso”: lo Stato tratteneva a sé al-cune funzioni amministrative (che venivano“ritagliate”) ritenute di interesse nazionale, eciò determinava automaticamente una con-trazione parallela delle corrispondenti fun-zioni legislative. Inoltre fu sfruttato, a esclu-sivo beneficio del mantenimento in capo alloStato di interi settori normativi, il cosiddettolimite dell’“interesse nazionale”. Previstodalla Costituzione come limite di merito, dafar valere caso per caso, all’esercizio dellefunzioni legislative regionali (il cui sindacatonon a caso sarebbe spettato al Parlamento),l’interesse nazionale fu trasformato dal Go-verno – con la complicità della giurispruden-za della Corte Costituzionale – in un presup-posto di legittimità a priori delle competenzeregionali, giustificando quel sistematico “ri-taglio” che comportò una sostanziale riscrit-tura dell’art. 117.

Non andarono meglio le cose per ciò checoncerne la finanza regionale, di fatto incen-trata quasi esclusivamente su trasferimenti (edunque su scelte politiche) dello Stato. Il piùdelle volte, anche in deroga a specifiche di-sposizioni della legge finanziaria del 1970, fu-rono predisposti fondi speciali e previsioni dientrata con vincolo di destinazione, condizio-nando così in tutti i settori la politica regiona-le agli indirizzi dal centro. Quanto di più lon-

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tano da un modello di rafforzamento dell’au-tonomia istituzionale degli enti territoriali.

Infine, il meccanismo che consentiva alloStato di impugnare “preventivamente” (ossiaprima della loro entrata in vigore) le leggi re-gionali – mentre obbligava al contrario le Re-gioni a impugnare le leggi statali soltanto segià in vigore – determinò per anni la paralisidelle leggi regionali oggetto di ricorso, e ob-bligò spesso le Regioni a un’anomala previa“contrattazione” legislativa con il Governo, fi-nalizzata a evitare ricorsi. Si trattava di un ve-ro e proprio atteggiamento ricattatorio, fina-lizzato a una sorta di “patto leonino”: per evi-tare il congelamento dell’attività legislativa, leRegioni erano costrette a contrattare con ilGoverno – alle condizioni di quest’ultimo – icontenuti della loro legislazione, se non vole-vano rischiare di rinviare sine die, in attesadella decisione della Corte Costituzionale sul-l’impugnazione statale, l’entrata in vigore del-le loro leggi. Il ricatto era assai efficace, dalmomento che, in quegli anni, i tempi di defi-nizione delle questioni di legittimità costitu-zionale erano letteralmente infiniti (e ciò gra-zie anche al mostruoso accumulo di ritardonelle pronunce della Corte, dovuto al lungoperiodo di sostanziale inattività “ordinaria”della stessa durante il processo Lockeed).

Dal canto loro, anche le neo-istituite Re-gioni ordinarie hanno collaborato al fallimen-to di quel modello. Non avendo a disposizio-ne grandi spazi di legislazione e regolazione, sisono buttate sull’amministrazione, sotto for-ma di piani, programmi, atti di indirizzo, for-me di controllo, nulla osta, istituzione di am-ministrazioni regionali decentrate (enti regio-nali, agenzie, aziende). Una sorta di accentra-mento dell’attività amministrativa, a scapitodegli altri enti territoriali, i quali, a loro volta,hanno reagito. Proprio per contrastare questonuovo “centralismo regionale”, si è rafforzatoil ruolo delle associazioni nazionali degli entilocali (ANCI, UPI, più avanti UNCEM), che sisono mosse come organizzazioni di interessidi tipo sindacale, con una crescente richiestadi protezione al centro, da parte dello Stato,contro il rafforzamento dell’autonomia regio-nale.

Il bilancio del “primo” regionalismo italia-no, quello che va dall’inizio degli anni settantaai primi anni novanta, appare dunque delu-

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dente, nonostante il forte investimento, so-prattutto intellettuale, che nel corso degli annisessanta era stato fatto sulle Regioni come mo-tore della modernizzazione. Si può dire oggiche, in quel ventennio, le Regioni non riusci-rono a (o non furono messe nelle condizionidi) porsi come effettiva leva diretta alla gene-rale trasformazione di una amministrazionestatale settorializzata e sclerotizzata, e di unaamministrazione locale in parte vecchia (inquanto fondata su una normativa in larga par-te pre-repubblicana) e comunque sempre piùscoordinata con gli altri livelli amministrativi.Alcuni autori hanno parlato di “regionalismosenza modello”, o comunque di “neocentrali-smo”.

In ogni caso finirono per fallire sia il mo-dello di un regionalismo “amministrativo” innome dell’efficienza (le Regioni non costitui-scono la leva per la riforma dello Stato, ma an-zi creano un terzo livello di burocrazia, che sisovrappone ai due già esistenti: statale e loca-le), sia il modello di un regionalismo “politi-co” in nome della partecipazione (le Regioninon sono di fatto in grado di perseguire poli-tiche proprie, e quindi viene a cadere una del-le ragioni forti che giustificano l’autonomiaistituzionale: da un lato infatti troppo limitatesono le competenze loro attribuite; dall’altrolato lo Stato si mostra invadente nell’ossessio-ne di intervenire in qualsiasi campo branden-do la bandiera dell’interesse nazionale; infine,le Regioni non vengono adeguatamente difesedalla Corte Costituzionale, che si schiera apriori sul fronte di una lettura “iperstatale”del riparto di competenze).

4. Il periodico movimento del pendolo che ca-ratterizza, come abbiamo detto, l’evoluzionedel regionalismo italiano ha un nuovo bruscomutamento di oscillazione intorno all’iniziodegli anni novanta. Questa fase ha idealmenteinizio con l’approvazione della legge n.142/1990 sulle autonomie locali e si concludecon la revisione costituzionale del 2001.

Anche in questo caso la spinta è prevalen-temente rappresentata dalla molla dell’effi-cienza e da quella della partecipazione. L’effi-cienza, in quegli anni, viene declinata sottouna diversa prospettiva rispetto al dibattitointellettuale che aveva caratterizzato il perio-do precedente: ora si tende a parlare in termi-

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ni di competitività internazionale ed europea.Sono gli anni della drammatica crisi moneta-ria successiva al default del 1992. Sono gli an-ni in cui viene approvato il trattato di Maa-stricht, e con esso il nuovo sistema monetarioincentrato sul potere della Banca CentraleEuropea, che impone il rispetto di stringentiparametri di convergenza dei conti pubblici,in vista dell’adozione della moneta unica.

Da tale congiuntura emerge sempre piùchiaramente la necessità di alleggerire lo Statodal punto di vista finanziario, in modo da con-tenere il deficit pubblico entro il fatidico 3%.Anche per questa ragione le competenze delloStato, per decenni gelosamente e strenuamen-te difese dai governi della Repubblica nei con-fronti dei legislatori e degli amministratori re-gionali e locali, cominciano a essere cedute inblocco, per le vie brevi. È questo il significatoprincipale di quello che – forse un po’ sbriga-tivamente, con il senno di poi – qualcuno hadefinito “federalismo a Costituzione invaria-ta”, realizzato principalmente attraverso leleggi n. 59/1997 e 127/1997, e i decreti legi-slativi emanati in attuazione delle deleghe inesse contenute. L’obiettivo principale dellanuova disciplina ordinaria è quello di provarea ristrutturare, senza toccare la Costituzionema comunque sulla base di un disegno orga-nico, l’apparato di Stato, Regioni ed enti loca-li, sulla base delle parole d’ordine della sem-plificazione e del decentramento, e assumen-do come linee guida per il conferimento aisingoli enti di funzioni e compiti, i principi(che costituiscono una vera e propria new en-try nell’armamentario concettuale dell’auto-nomia all’italiana) di sussidiarietà, adeguatez-za e differenziazione. Tali leggi determinano iltrasferimento di funzioni amministrative, la ri-duzione dei controlli sugli atti amministrativi,l’individuazione di un ruolo più preciso e de-finito delle Regioni nell’attuazione del dirittocomunitario, l’eliminazione di tutti i finanzia-menti vincolati.

Contemporaneamente, sotto il profilo del-la partecipazione, viene radicalmente modifi-cata la forma di governo degli enti locali (e piùavanti delle stesse Regioni), attraverso la mo-difica delle leggi elettorali per la formazionedei Consigli e l’introduzione dell’elezione di-retta dei vertici degli esecutivi. Anche in que-sto caso, almeno a me pare, il potenziamento

dell’elemento democratico sembra inteso inmaniera totalmente diversa rispetto agli annisettanta: l’attenzione è infatti principalmenterivolta al tema della “responsabilità” degli ese-cutivi (e dunque, in qualche modo, a qualcosadi funzionale all’efficienza), mentre è postodecisamente in secondo piano ciò che avevarappresentato invece una bandiera del primoregionalismo, ossia l’aspetto della partecipa-zione attraverso la rappresentanza politica as-sembleare (con la conseguente progressivaemarginazione del ruolo delle assemblee re-gionali e locali, a vantaggio delle giunte e so-prattutto dei loro presidenti, legittimati dal-l’investitura popolare).

Un secondo fattore contribuisce oggettiva-mente, in questi anni, a una nuova spinta ver-so una profonda fase di riforma strutturale delregionalismo italiano. Per la prima volta speci-fiche comunità locali apertamente fanno ri-chiesta di autogoverno, e per la prima volta siassiste al successo elettorale, in certe zone delNord, di forze politiche che di quelle rivendi-cazioni fanno la loro bandiera e la loro vera epropria identità. Il successo elettorale dellaLega Nord a partire dagli anni novanta rap-presenta una misura oggettiva di una nuova“spinta federalistica”, e comunque costringealla tematizzazione della questione regionalein termini radicalmente nuovi. Quella questio-ne, talvolta riassunta attraverso le parole d’or-dine del “federalismo” e della “devoluzione”,talaltra attraverso una vera e propria minacciadi “secessione” del Nord, diventa oggettiva-mente una “questione nazionale”, oggetto didibattito pubblico. Essa entra stabilmente afar parte dei programmi politici dei partiti edei governi.

È certamente (anche) a questa spinta chedevono ricondursi alcuni degli aspetti più in-novativi della riforma costituzionale del 2001,a cominciare dalla valorizzazione senza prece-denti della potestà legislativa regionale.

La riforma si realizza, come tutti sappia-mo, tra infinite difficoltà e nel mezzo di unoscontro politico dai toni sempre più aspri. Larevisione costituzionale del Titolo V è appro-vata dalla sola maggioranza di governo, pochigiorni prima della fine della XIII legislatura, econ il voto contrario dell’opposizione di cen-tro-destra, ivi comprese le sue componentipiù esplicitamente autonomiste, e ciò avviene

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malgrado i contenuti di quella riforma fosserosostanzialmente il prodotto di un accordo po-litico raggiunto tra le principali forze di en-trambi gli schieramenti nel lavoro della Com-missione bicamerale per le riforme costituzio-nali istituita nel 1997.

Una prima tappa della riforma è in realtàprecedente. Nel 1999, con la modifica dell’art.123 Cost., viene riconosciuta alle Regioni or-dinarie piena autonomia statutaria, anche inmateria di forma di governo: l’approvazionedegli statuti è sottratta al voto finale del Parla-mento e gli statuti stessi possono anche defini-re, in autonomia, la forma di governo dellaRegione. L’introduzione della cosiddetta for-ma di governo presidenziale, con l’elezione di-retta del presidente della giunta, costituiscesoltanto un’opzione generale, liberamente de-rogabile da parte dei singoli statuti.

La legge costituzionale n. 3/2001 completala riforma, riscrivendo tutte le restanti normedel Titolo V.

Essa riconosce pari dignità costituzionalea tutti gli enti costitutivi della Repubblica, in-dividuati secondo una logica progressiva dalbasso verso l’alto. Stabilisce un doppio circui-to per la legislazione, prevedendo che la pote-stà sia statale e regionale, e che entrambe sia-no parificate rispetto ai medesimi limiti di le-gittimità (Costituzione, vincoli internazionalie comunitari). L’ordine delle competenze legi-slative è invertito, con due elenchi enumerati euna clausola residuale a favore delle Regioni.È abbandonato il principio del parallelismolegislazione-regolazione-amministrazione, siaperché la potestà regolamentare spetta alloStato solo nelle materie di competenza esclu-siva, sia perché la funzione amministrativa, diregola affidata ai Comuni (considerati l’entepiù vicino ai cittadini) è in realtà distribuitatra i diversi livelli di governo sulla base deiprincipi (non facilmente declinabili in concre-to) di sussidiarietà, differenziazione e adegua-tezza (proprio come già nelle leggi Bassaninisopra ricordate).

A tali novità principali se ne aggiungonoaltre. Si introduce un primo abbozzo di regio-nalismo differenziato, con la possibilità per leRegioni ordinarie di chiedere e contrattarecon lo Stato forme e condizioni particolari diautonomia sulla base di una legge di autono-mia negoziata approvata dalle Camere a mag-

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gioranza assoluta. Vengono parificati i poteridi Stato e Regione di ricorrere alla Corte Co-stituzionale. Si eliminano tanto il limite del-l’interesse nazionale quanto il sistema dei con-trolli, mentre d’altro canto – al fine di riequili-brare tale oggettivo scompenso a danno delpotere centrale – è costituzionalizzato un pe-netrante potere sostitutivo del Governo a tu-tela di valori unitari. Infine si prevedono, al-meno in teoria (dipendendo la loro effettivaintroduzione dall’approvazione di leggi ordi-narie di attuazione), impegnativi principi inmateria di cosiddetto “federalismo fiscale”:viene espressamente riconosciuto un potereimpositivo sia alle Regioni che agli enti locali,assicurando autonomia finanziaria di entrata edi spesa; si attribuiscono funzioni di coordi-namento della finanza pubblica al legislatorestatale per ciò che concerne la finanza nazio-nale, e a quello regionale per ciò che concernela finanza locale; si ipotizza l’istituzione di unfondo perequativo senza vincolo di destina-zione per i territori con minore capacità fisca-le per abitante, nonché contributi statali spe-ciali di solidarietà per singoli enti e scopi de-terminati.

Continuano invece a mancare gli strumen-ti di raccordo tra Stato, Regioni ed enti locali.Naufraga nei meandri della discussione parla-mentare la riforma della seconda Camera, cheinvece appare tanto più necessaria nell’otticadi un potenziamento degli spazi di interventoregionale e locale, e soprattutto in un contestoin cui si moltiplicano le ipotesi di condivisionedi interessi. Né, peraltro, viene costituziona-lizzata la Conferenza Stato-Regioni, la quale inogni caso, pur prevista solo a livello legislati-vo, mostra di giocare un ruolo crescente nelconcreto sviluppo del processo di assestamen-to del regionalismo italiano.

Se si volesse giudicare – solo sulla carta –la riforma, si potrebbe dire che le Regionisembrano acquisire maggiori competenze (so-prattutto legislative) e una forte presenza poli-tico-istituzionale (grazie all’elezione direttadei presidenti). Ma in ogni caso restano am-piamente presenti alcuni tratti caratteristicidel regionalismo italiano tradizionale: in parti-colare un ruolo costituzionalmente primariodegli enti locali, che contribuisce a dare vitanon tanto al modello a due livelli caratteristicodegli Stati federali, ma piuttosto a una sorta di

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modello policentrico (o poliarchico) fondato,quanto alla distribuzione delle funzioni (alme-no di quelle amministrative), su un “principiodi sussidiarietà” di incerto significato e in ognicaso difficilmente declinabile in concreto.

5. Anche la fase seguita all’entrata in vigoredella riforma del 2001 si è caratterizzata perun’onda di riflusso, che a molti osservatori ap-pare assai preoccupante, e che di certo nonsembra a tutt’oggi conclusa. A sette anni, or-mai, dall’entrata in vigore della legge costitu-zionale n. 3/2001, si può dire che la maggiorparte degli aspetti più innovativi della riformagiace inattuata o è stata soggetta a radicali tor-sioni sotto il profilo della “Costituzione mate-riale”. Proviamo a riassumere:1) la potestà legislativa oggi palesemente non

è ripartita sulla base degli elenchi dell’art.117;

2) le funzioni amministrative palesementenon sono state conferite secondo i principideclinati all’art. 118;

3) le risorse finanziarie palesemente non so-no ancora distribuite ai sensi dell’art. 119;

4) lo statuto regionale, a differenza di quantoproclamato dall’art. 123, di fatto non puòliberamente scegliere la forma di governo(qui per effetto della nota sentenza dellaCorte Costituzionale n. 2/2004 sul cosid-detto “caso Calabria”).

Più in generale, come è stato efficacemen-te osservato, sembra essersi riaffermata unasostanziale continuità con l’assetto del regio-nalismo precedente la riforma. E in tal modoha finito per prevalere una concezione moltotradizionale del principio unitario, simile aquella accreditatasi nella fase di riflusso suc-cessiva alla prima ondata regionalistica, ossiaincentrata sul ruolo di garanzia dello Stato, alquale si ritiene sia di fatto consentito di inter-venire in ogni materia, indipendentemente da-gli elenchi, in nome di autoqualificate esigen-ze unitarie.

La spiegazione di tale innaturale evoluzio-ne può in parte rintracciarsi nelle contingentivicende politiche degli ultimi anni. La concre-ta attuazione della riforma del 2001 – appro-vata come si diceva in modo affrettato e ro-cambolesco alla fine della legislatura, e bran-dita come un’arma (invero alquanto spuntata,

come si è dimostrato) dal centrosinistra nellacampagna elettorale del 2001, tanto da esseresottoposta a referendum per espressa richiestadi quella stessa maggioranza che l’aveva ap-provata – è stata gestita nel corso della legisla-tura successiva da una diversa maggioranza, laquale era portatrice di un progetto politico al-ternativo e addirittura di un diverso modellodi riforma, noto con il nome di “devolution”(parola di sicura presa mediatica ancorché deltutto priva di qualsiasi collegamento con ilcontenuto tecnico del modello di organizza-zione istituzionale cui quel termine inglese al-lude).

Ma questa spiegazione non copre che unaparte della verità. Infatti, se analizziamo conattenzione i singoli meccanismi di neutralizza-zione della riforma, ci accorgeremo che essa èavvenuta con tecniche assai simili a quelle uti-lizzate nel corso degli anni settanta e ottantarispetto al modello costituzionale originario,la cui (pur modesta) portata autonomistica erastata notevolmente ridotta per effetto dei con-creti strumenti di attuazione utilizzati. Di nuo-vo, come allora, i protagonisti della neutraliz-zazione sono stati il legislatore statale e la Cor-te Costituzionale.

Il primo non ha smesso di produrre leggianche nelle materie che – secondo il nuovo ri-parto – non gli sarebbero più spettate. Si èmanifestata, insomma, una esplicita volontàpolitica, espressa in Parlamento, di continuarea comportarsi come prima, “etsi reformationon daretur”. Come se ciò non bastasse, lalegge statale di attuazione della riforma (notaa tutti come “legge La Loggia”), che molti au-tori ritengono addirittura di dubbio fonda-mento costituzionale, ha fornito una letturafortemente riduttiva della riforma, spostandodecisamente verso lo Stato il baricentro dellalegislazione cosiddetta “concorrente”. Infine,il Parlamento ha – per così dire – “peccato diomissione”, guardandosi bene dall’approvarenorme essenziali in tema di autonomia finan-ziaria e di riordino delle funzioni amministra-tive, senza le quali la concreta attuazione dellariforma appare, più che difficile, impossibile.

La seconda si è trovata, per iniziativa siadello Stato sia delle Regioni, ad affrontare unnumero senza precedenti di questioni di legit-timità costituzionale. Chiamata a un’attività disupplenza e di vero e proprio arbitraggio di

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una conflittualità improvvisamente riaccesasi,ha di nuovo largamente giustificato gli inter-venti statali diretti a limitare l’espansione del-l’autonomia regionale, in nome della tutela delprincipio unitario. Sarebbe troppo lungo, inquesta sede, elencare tutti gli strumenti tecni-ci con cui tale disegno è stato perseguito. Bastidire che, in ordine alla definizione delle mate-rie, la Corte si è attestata su posizioni partico-larmente penalizzanti per l’autonomia regio-nale (a cominciare dalla dilatazione delle co-siddette “clausole trasversali”, che legittimanoun intervento della potestà statale anche connorme di dettaglio e con regolamenti del Go-verno, capace di fatto di intersecare tutte lematerie di competenza regionale; per conti-nuare con l’elaborazione della teoria del co-siddetto “nucleo essenziale”, secondo cui,qualora vi sia “interferenza” tra materie dicompetenza statale e di competenza regionale,occorrerebbe fare ricorso – “qualora appaiaevidente l’appartenenza del nucleo essenzialedi un complesso normativo ad una materiapiuttosto che ad altre” – a un non meglio spe-cificato “criterio della prevalenza”, che ha difatto giocato sempre, quando evocato, a favo-re della competenza statale).

Anche in materia di definizione dei princi-pi fondamentali della legislazione concorren-te, sono stati spesso ritenuti legittimi interven-ti che di fatto esauriscono la disciplina, non la-sciando più alla Regione alcun margine di di-screzionalità. Questa avocazione di competen-za allo Stato, attraverso la qualificazione comeprincipi fondamentali di disposizioni stataliche espropriano di fatto la Regione dalla pos-sibilità di elaborare una disciplina autonoma,è stata sovente ricondotta all’esigenza di ga-rantire uguaglianza di diritti su tutto il territo-rio nazionale.

Il giudizio fornito dal mondo scientifico aquesta giurisprudenza è tuttora controverso.Da un lato è stato sottolineato come fosse pro-prio il modello scaturito dalla riforma del2001 ad avere difficoltà a stare in piedi. LaCorte, quindi, non avrebbe fatto altro che as-sumersi il gravoso (e ingrato) compito di ri-condurre a coerenza un testo che ne era pri-vo. Un testo carente di strumenti unificanti (apartire dall’assenza di ogni riferimento all’in-teresse nazionale) sarebbe stato rimesso inequilibrio, mentre quel modello di regionali-

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smo duale, “separato”, un po’ ingenuamentedisegnato dal legislatore costituzionale, sareb-be stato ricondotto dalla Corte nell’alveo del-le esperienze degli Stati regionali (o federali)più evoluti, improntati a un modello più soli-damente collaborativo. Dall’altro lato, tutta-via, è anche stata registrata, con preoccupa-zione, l’anomalia di un organo giurisdizionaleche di fatto riscrive la Costituzione, dopoaverne giudicato insoddisfacenti talune pre-scrizioni. Si tratta, del resto, di un atteggia-mento non dissimile da quello che già in pas-sato la Corte aveva manifestato con riguardoall’attuazione del sistema delle autonomie.

Un’osservazione, a tale proposito, appareindispensabile. È probabile che la Corte ab-bia ecceduto nella ricerca di una soluzione aiproblemi lasciati aperti dal legislatore costitu-zionale del 2001. Ma è altrettanto evidenteche quei problemi erano giganteschi, e di dif-ficilissima soluzione. Il principale sforzo de-gli autori della riforma, infatti, sembrerebbeessere stato quello di separare le sfere di com-petenza dei singoli enti. Ma tale impresa, so-prattutto nel contesto della crescente com-plessità politico-sociale delle poliarchie con-temporanee, appare di fatto impossibile, inquanto a ben vedere nessuna “materia” puòessere definita con sufficiente nettezza, e su-bisce continui processi di ridefinizione eadattamento dei confini, a seconda delle esi-genze regolative che di volta in volta si mani-festano. Il problema del rapporto tra i diversilivelli di governo, insomma, non è quello diseparare le competenze, ma al contrario quel-lo di individuare efficienti strumenti di con-fronto e cooperazione.

In assenza di funzionanti strumenti di talfatta – ossia di luoghi compiutamente istitu-zionalizzati di raccordo politico tra Stato eRegioni a livello legislativo – il modello “a se-parazione di competenze” finisce per risulta-re inevitabilmente sbilanciato a favore delloStato. È vero che la Corte invoca, in ogni suadecisione, il principio di “leale collaborazio-ne”, ma quelle carenze costituzionali fanno sìche tale collaborazione, in realtà, sia perenne-mente zoppa. Non essendo infatti prevista(almeno fino a una prossima, auspicabile, re-visione costituzionale) alcuna forma di parte-cipazione regionale al procedimento legislati-vo statale, non vi è nessuna possibilità di con-

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trollo, da parte delle Regioni, sulle leggi stata-li attributive delle funzioni. Le uniche effetti-ve forme di collaborazione possono interve-nire a livello di conferenza Stato-Regioni, os-sia a livello di esecutivi, cioè (al di là di ogniconsiderazione in merito al crescente svili-mento del ruolo delle assemblee rappresenta-tive) a livello sub-legislativo. Il Parlamentoche approva una legge, la quale individua di-rettamente un interesse come “unitario” edunque “statale”, è tuttora sovrano, e controtale decisione non c’è collaborazione (leale)che tenga. Alla fine, l’unico strumento per ga-rantire che la “collaborazione” si svolga con“lealtà”, è il ricorso alla Corte Costituzionale,ossia, ancora una volta, al contenzioso. Ma ilricorso al contenzioso è la patologia, non la fi-siologia, di un sistema.

6. La pretesa risistemazione dei rapporti Sta-to-Regione, e dunque l’avvio di una nuova sta-gione del regionalismo, sembra insomma ingrave difficoltà, per effetto di una sorta diinattuazione strisciante, che la Corte Costitu-zionale non è stata in grado o non ha avuto lavolontà di impedire. Tale inattuazione è ri-scontrabile a tutti i livelli di governo. Ancorauna volta, le speranze di chi ritiene che le ra-gioni dello sviluppo e della modernizzazionedei nostri territori non possano prescinderedal potenziamento delle strutture istituzionalidelle autonomie territoriali potrebbero andaredeluse.

Quali conclusioni è possibile trarre dalquadro sommariamente descritto? Che futuroattende il nostro sistema delle autonomie?Personalmente, non auspico un’ennesima sta-gione di grandi riforme. Tutt’al più qualcheaggiustamento del testo del 2001, con l’inevi-tabile completamento della riforma della se-conda Camera. Ciò da cui invece non si puòassolutamente prescindere è una trasforma-zione delle stesse basi culturali del regionali-smo italiano, che porti a un nuovo atteggia-mento nei confronti del concetto stesso di dif-ferenziazione territoriale.

Credo insomma che ci si debba serena-mente interrogare sulle ragioni che giustifica-no l’attribuzione di autonome scelte politichedi rango legislativo ad assemblee rappresenta-tive di collettività territoriali infrastatali. Mipare di poter affermare che in Italia, al di là di

alcune accentuazioni dettate da esigenze di vi-sibilità politica, tale giustificazione non possaessere rintracciata in motivi di tipo “naziona-le”, “storico” o peggio ancora “etnico”. Nonsono mai esistite, nel nostro paese, se non ap-punto in taluni abbastanza recenti e grottesca-mente artificiali episodi di rango poco più chefolkloristico, reali ed effettive pulsioni regio-nali a sfondo nazionalistico (se escludiamo leremote vicende di taluni territori appartenen-ti a Regioni a statuto speciale). Anzi, mi sem-bra di poter constatare che, nonostante tutto,nella società italiana vi sia un profondo sensodi uguaglianza e di comune cittadinanza. Ciòè immediatamente percepibile, se solo si pen-sa che il tasso di differenziazione tollerato dal-la società appare nei fatti assolutamente mini-mo, specie quando vengono in discussione lescelte politiche di fondo, ad esempio quelleche attengono al godimento dei diritti. Daun’indagine del 2005 risulta, ad esempio, lasostanziale omogeneità di tutte le legislazioniregionali nella maggior parte dei settori, a te-stimonianza del carattere – nel fondo – forte-mente unitario dell’ordinamento italiano, cherisponderebbe a elementi profondi del mododi essere della società civile e perfino della psi-cologia delle singole persone.

Le giustificazioni della differenziazionevanno pertanto ricercate altrove. Credo che larichiesta di potenziare l’autonomia politica elegislativa delle Regioni non risponda affattoalla volontà delle comunità regionali di com-piere scelte politiche fortemente divergenti,ma che allo stesso tempo non si possa più pre-scindere, in un momento in cui la complessitàdelle relazioni, interne ed esterne allo Stato, simoltiplica, da una scelta in favore del decen-tramento (regionale e locale) a scopo di effi-cienza, intesa come adeguatezza. Ciò significache, pur all’interno di un quadro comune discelte politiche nazionali, le autonomie terri-toriali devono essere messe nelle condizioni digestire alcune funzioni in modo più adeguatoalle loro specifiche caratteristiche, rispetto aquanto potrebbe fare lo Stato centrale conuna politica uniforme. Ciò, tra l’altro, consen-tirebbe anche di recuperare, in una fase di og-gettiva crisi sociale del sistema politico nazio-nale, l’elemento della partecipazione.

Ecco, se le ragioni di fondo che giustifica-no il nostro peculiare regionalismo sono anco-

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ra, oggi come un tempo, efficienza e parteci-pazione, forse si spiega il sostanziale fallimen-to, almeno fino ad oggi, del modello delineatonel 2001. Quella soluzione non è risultata con-sona alle esigenze reali della società italiana. Ilsenso di quella riforma, infatti, era di circo-scrivere l’intervento dello Stato a materieelencate (esclusive o concorrenti), lasciandoalle Regioni le scelte politiche primarie in tut-te le altre materie, dalle quali lo Stato avrebbedovuto essere escluso: una scelta che potevaapparire idonea allo scopo solo se l’esigenzada soddisfare fosse stata (ma come si è vistonon è) proprio l’espressione di volontà politi-che fortemente differenziate da parte dei di-versi territori, quale risposta a forti identità re-gionali storicamente radicate.

In assenza di tali condizioni (che comedetto non esistono se non a livello del tuttosovrastrutturale), la via più convincente sem-bra quella di abbandonare qualsiasi rigidacompartimentazione in materie reciproca-mente “esclusive”, e lasciare spazio invece alprincipio della “concorrenza” tra Stato e Re-gioni su ogni materia, potenziando parallela-mente i necessari istituti di raccordo, coope-razione e collaborazione (a partire dall’istitu-zione della Camera delle Regioni).

Ovviamente tutto ciò non è facile a realiz-zarsi, soprattutto nel contesto di un clima po-litico in cui la questione regionale è sempre

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stata brandita, almeno negli ultimi anni, comeuna sorta di arma contundente contro l’avver-sario politico di turno.

Il mio naturale pessimismo antropologicomi porta a prevedere che, nei prossimi anni,l’evoluzione prosegua come nell’ultimo perio-do, nonostante i recenti proclami a propositodi legislature costituenti e collaborazioni isti-tuzionali tra schieramenti: ossia in un opacointreccio di negoziato politico e di interventinormativi settoriali e novellistici, e con qual-che eccentrica intromissione giurisprudenzia-le, senza un qualsiasi progetto organico. Tut-to ciò avrebbe, ovviamente, conseguenze for-temente negative sia sulla certezza del diritto,sia sulle stesse ragioni dell’efficienza, che so-no appunto le ragioni che giustificano la co-struzione di uno Stato regionale. E soprattut-to, ciò che è più grave, avrebbe conseguenzefortemente negative sul significato del princi-pio di rigidità della Costituzione e sulla fidu-cia collettiva nella Costituzione come stru-mento normativo, capace di definire conchiarezza la forma dello Stato e di governareil pluralismo sociale. In altre parole, avrebbeeffetti mortali sulla capacità della Costituzio-ne di continuare a svolgere quella funzioneunificante di una collettività nazionale cherappresenta la sua principale ragion d’esseree, contemporaneamente, il suo compito piùgravoso.

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LA RICERCA IRES:UNA SINTESI PERSONALE

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ANGELO PICHIERRI Nelle pagine che seguono si riportano le osservazioniconclusive del Presidente Angelo Pichierri tratte dal volume1958-2008. Cinquant’anni di ricerche IRES in Piemonte. Illibro può essere richiesto all’ufficio editoria dell’Istituto o

scaricato dal sito web in formato pdf

Alla fine degli anni ottanta la connotazione industriale del Piemonteera ancora fortissima, e il sistema industriale usciva da un decenniodi faticoso aggiustamento post-fordista, nel corso del quale si erano

scoperte le virtù della “specializzazione flessibile” e della “produzione dif-ferenziata di qualità”; la grande impresa stava per adottare la “produzionesnella”, che si sarebbe accompagnata a un allargamento dell’outsourcing edella reticolarizzazione.

Le grandi migrazioni interne erano da un pezzo alle spalle, le grandi mi-grazioni extra-comunitarie ancora lontane: gli stranieri erano già numerosi,ma non avevano ancora cambiato in maniera significativa la struttura dellapopolazione, e di segmenti importanti del mercato del lavoro.

Il lavoro modale, in senso culturale prima che statistico, era quello concontratto a tempo indeterminato. Le norme che cominciarono a sbloccare ilmercato del lavoro, a partire dal “pacchetto Treu”, ebbero un impatto par-ticolare in una regione ancora fortemente segnata dall’occupazione nellagrande impresa.

Le regioni avevano alla fine degli anni ottanta risorse e competenze cheappaiono modeste rispetto a quelle odierne. L’elezione diretta dei sindaci edei presidenti di regione ha rappresentato certamente uno dei turning pointsda ricordare. Quelle che oggi sono sulla scena torinese e piemontese le prin-cipali “autonomie funzionali” non erano autonome per niente, come le uni-versità, o addirittura non esistevano, come le fondazioni di origine bancaria.

Il Piemonte si considerava da un pezzo “regione europea”, ma l’in-fluenza delle istituzioni europee sulla società e sul sistema politico-ammini-

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strativo è enormemente cresciuta negli anninovanta, indirizzando la governance locale insenso concertativo e istituzionalizzando il rife-rimento valoriale al modello europeo, attra-verso una sapiente combinazione di “discor-so” e di incentivi materiali come i fondi strut-turali: l’inserimento di parti importanti delPiemonte nelle aree “obiettivo 2” è stato unaltro dei turning points che hanno segnato ilventennio.

Da questa elencazione un po’ confusa sipotrebbe inferire che la regione è completa-mente cambiata. In un certo senso è vero. Mai fatti e le interpretazioni presentati in questovolume mostrano anche che il peso del passa-to, la path dependency, sono assai forti; e checambiamenti parziali anche radicali non sicompongono (ancora?) in un quadro coerentee coerentemente governato.

Economia

Per quanto riguarda l’economia, la sfida piùimportante di fronte agli attori della gover-nance locale alla fine del periodo consideratoè costituita dal declino (relativo e non assolu-to) che caratterizza il Piemonte da qualchedecennio. Gli indicatori di questo declino siriscontrano innanzi tutto tra le grandezze ma-croeconomiche. Il differenziale positivo delPil rispetto alla media nazionale si riduce no-tevolmente, a differenza che nel resto delnord. La crescita della produttività rallentaprima e poi addirittura si ferma: si tratta di unproblema nazionale, in Piemonte però parti-colarmente accentuato. Su terreni sui quali laperformance piemontese sembra ancora buo-na – è il caso degli investimenti in ricerca esviluppo – l’ottimismo si riduce parecchio seanziché confrontarla con quella delle regioniavanzate italiane la si confronta con quelladelle regioni avanzate europee: a partire daBaden-Württemberg e Rodano-Alpi, nostriricorrenti termini di confronto regionali e ur-bani.

Le vicende dell’economia regionale sonoovviamente segnate in maniera decisiva daquelle del comparto industriale, e della suamaggiore impresa. La maggior parte del pe-riodo considerato vede il continuato declino

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della Fiat, solo recentemente interrotto dalnoto straordinario turnaround, che ha messol’impresa in condizione di esercitare un ina-spettato protagonismo internazionale durantela crisi in corso. L’automotive piemontese hamostrato durante il declino della Fiat sorpren-denti capacità di adattamento e di risposta; edè qui che è precocemente comparso il tipo dimedia impresa considerato oggi il fenomenopiù innovativo dell’industria italiana. Ma acorreggere ancora una volta l’ottimismo sta laconstatazione che le medie imprese sono me-no presenti in Piemonte di quanto lo siano inLombardia e in Veneto; e che già prima dellacrisi registravano grosse difficoltà distretti in-dustriali che pure nel corso del ventennio ave-vano mostrato eccezionali capacità di trasfor-mazione.

L’andamento del comparto industriale siinserisce in un lungo processo di deindustria-lizzazione, i cui aspetti fisiologici, o addirittu-ra positivi, non sono sempre facilmente scor-porabili da quelli negativi. Il passaggio a un’e-conomia in cui i servizi forniscono la partemaggiore del valore aggiunto risale in Pie-monte almeno agli anni settanta: in tempi piùrecenti il trend è diventato progressivamentepiù visibile dal punto di vista occupazionale.La path dependency si manifesta in questo ca-so attraverso la posizione centrale che occupa-no i servizi alle imprese; ma bisogna essermolto cauti quando si parla di passaggio all’e-conomia “dei servizi e della conoscenza”, per-ché buona parte dei servizi presentano nellaregione caratteristiche del tutto tradizionali.Una lettura positiva di questi processi è co-munque possibile, specialmente se si pensa al-la differenziazione dell’economia regionale, incui, ad esempio, crescono i flussi turistici, el’agricoltura, sempre meno significativa dalpunto di vista occupazionale, manifesta peròimportanti novità qualitative.

Un discorso a sé meriterebbe l’evoluzionedel sistema finanziario, che ha registrato ne-gli ultimi vent’anni una crescita senza prece-denti, un’integrazione crescente nel sistemabancario del Nord Italia, trasformazioni dellagovernance segnate da un cruciale turningpoint negli anni novanta, con la “privatizza-zione” e la nascita delle fondazioni bancarie.Con risultati per il Piemonte contraddittori.

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Le grandi fusioni hanno prodotto certamenteuno spostamento del baricentro fuori di To-rino e della regione; ma si tratta di un proces-so non lineare, in cui non può essere trascu-rata la presenza locale delle fondazioni di ori-gine bancaria.

La crisi in corso sta mettendo in luce – sece ne fosse bisogno – l’inestricabile connessio-ne tra finanza e industria, e quindi mettendoin discussione la curiosa nozione di “econo-mia reale”. A proposito della quale – nella suaaccezione industriale – c’è comunque un pun-to chiave da sottolineare. Le crisi d’impresa edi settore in corso, e le ristrutturazioni che neconseguono, presentano una differenza fon-damentale rispetto a quelle che abbiamo spe-rimentato fino agli anni ottanta: la rispostanon può più essere pensata in termini di“reindustrializzazione”, ma se mai di un mixvariabile di manifattura di qualità, conoscen-za, servizi.

Società

È soprattutto nelle trasformazioni in corsodella società piemontese che si coglie la curio-sa combinazione di permanenza e di cambia-mento, di path dependency e di novità, cuiabbiamo accennato all’inizio. Anche in campiin cui le novità sembrano forti, come il merca-to del lavoro, esse sembrano a volte colate nelvecchio stampo fordista.

Una delle chiavi di lettura utilizzate inquesto libro si può riassumere nella formula“molti cambiamenti, poca innovazione”. Laformula trasmette l’idea fondamentale che ilsistema politico-amministrativo, “le istituzio-ni”, non sono state in grado di gestire in ma-niera adeguata il cambiamento. In qualche ca-so individui e famiglie si sono “arrangiati” inmaniera creativa: è il caso del mix famiglia-mercato con cui sono stati affrontati problemilegati all’invecchiamento della popolazione.In altri casi il rapporto tra domanda prove-niente dalla società e risposta delle istituzioniè ambiguo: le prestazioni del sistema educati-vo non sono brillantissime se ragioniamo intermini di transizione all’economia della co-noscenza, ma in genere non è in termini dieconomia della conoscenza che si possono

leggere le competenze richieste dal mercatodel lavoro. In altri ancora (marginalità, nuovepovertà, accoglienza) la risposta proviene dauna combinazione di nuovo e di tradizionale:il Piemonte della cooperazione sociale e del“terzo settore”, il Piemonte (la Torino) dellaChiesa e dei “santi sociali”.

Per ragionare sull’innovazione, o sull’inno-vazione mancata, si può forse riprendere unametafora di North: le istituzioni sono le rego-le del gioco, le organizzazioni sono i giocatori.Le istituzioni intese come regole del giocohanno carattere normativo ma anche cogniti-vo, ci dicono cosa dobbiamo fare in certe si-tuazioni, ma anche come dobbiamo “vedere”queste situazioni; e le organizzazioni sono(possono essere) un potente fattore di cam-biamento istituzionale. Ora, le organizzazionidella governance locale sono cambiate in mi-sura considerevole: ma quanto questo cambia-mento “organizzativo” ha interagito in manie-ra efficace con il contesto istituzionale da cuidipende lo sviluppo, economico e sociale? Perrispondere a domande di questo genere civorrebbe molta ricerca, e probabilmente (co-me nel caso di North) una genialità da premioNobel. Anche perché ci si sposta necessaria-mente sul difficile terreno dell’analisi contro-fattuale: come sarebbero evoluti i rapporti traregioni senza l’aumento di competenze delleregioni? Come sarebbero evoluti i rapporti traricerca e imprese senza le agenzie di trasferi-mento tecnologico nate nell’ultimo venten-nio?

Ci sono terreni esemplari su cui esaminarequesta possibile contraddizione. Nel libro si fanotare che fino agli anni ottanta le letture del-l’IRES riflettevano una convinzione diffusa se-condo cui la coesione sociale rappresenta unavariabile dipendente, un costo dello sviluppo,mentre a partire dagli anni novanta si affermail discorso europeo secondo cui sviluppo ecoesione sociale devono non solo coesisterema rafforzarsi reciprocamente. Questo sulpiano dei valori dichiarati e almeno in parte,per dirla ancora con North, sul piano dei vin-coli formali all’azione. Ma cosa succede vera-mente nelle mappe cognitive e nei comporta-menti delle persone? Anche su questo ci sonoterreni di osservazione privilegiati. I fenomenimigratori, con i problemi di accoglienza e di

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integrazione che comportano, sono certamen-te uno di questi: non a caso l’IRES cerca di se-guirli con attività non solo di ricerca ma di“osservatorio”. Immigrati come risorsa econo-mica, come pericolo per la sicurezza, comeminaccia per l’identità: in che misura le orga-nizzazioni che se ne occupano (governi locali,forze dell’ordine, associazioni del terzo setto-re) hanno modificato il contesto istituzionale,normativo e cognitivo, da cui dipende il com-portamento di chi con i fenomeni migratoriinteragisce?

Governance e politiche pubbliche

Il governo locale ha avuto nel periodo consi-derato trasformazioni profonde che abbiamogià ricordato. Ma almeno altrettanto impor-tante è stato il passaggio da government a go-vernance, a una situazione in cui le decisioniche investono il sistema locale (le “politichepubbliche”) sono il risultato dell’interazionetra attori di diversa natura: pubblici, privati,associativi. Il punto di partenza, che distingueil Piemonte (e la sua capitale) dalle altre regio-ni italiane, è un modello di regolazione del si-stema locale caratterizzato dal predominio dipochissimi attori collettivi, da quella che Gal-lino ha chiamato “ipertrofia del sistema eco-nomico”, dal conflitto (industriale) come stra-tegia preferita di interazione. Il punto di arri-vo – apparentemente assestato alla fine del se-colo ma oggi già in crisi profonda – è il mo-dello definibile come governance pluralisticae cooperativa, o “concertazione locale”, ed ècerto il risultato di molti fattori. Alcuni di essisono riconducibili al processo di deindustria-lizzazione/terziarizzazione, accompagnato inPiemonte dalla crisi della grande impresa, cheha diversificato la struttura economica e quin-di gli interessi e la loro rappresentanza. Mal’effetto di questi fattori è stato esaltato dall’a-zione delle istituzioni europee. In pochi campipiù che in questo si può parlare di “europeiz-zazione”: almeno a partire dall’inclusione diTorino (e di altre parti del Piemonte) nell’o-biettivo 2, il modello di regolazione locale èun modello europeo. L’europeizzazione hacontribuito a cambiare radicalmente il mododi concepire le politiche pubbliche, intese co-

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me azioni concatenate volte alla produzione dibeni pubblici: la formulazione delle politichepuò (deve) coinvolgere più attori collettivi,non soltanto pubblici, e la loro attuazionecoinvolge (dovrebbe coinvolgere) i loro desti-natari. Le esperienze di programmazione ne-goziata, e in particolare i patti territoriali, so-no stati l’espressione formalizzata di questonuovo modo di produrre beni pubblici; que-ste stesse esperienze sono state importanti perla promozione della “cooperazione interistitu-zionale”, particolarmente necessaria in Pie-monte a livello comunale.

L’attenzione per l’implementazione dellepolitiche, e non solo per la loro formulazione,è una novità relativamente recente; ancor piùrecente, ma in via di rapido sviluppo, è l’at-tenzione per la valutazione dei risultati. Il ri-schio – su cui hanno attirato l’attenzione inPiemonte gli esperti dell’IRES e dell’ASVAPP –è che si tratti di una nuova ortodossia: ma l’in-teresse dichiarato per il risultato piuttosto cheper la procedura costituisce comunque unarottura con il nostro passato burocratico-for-dista.

Il modello di governance regionale e urba-na che si viene configurando a partire daglianni novanta non comporta tanto una novitàdegli attori (pochissimi sono i casi di attori“nuovi” o di attori che escono di scena) quan-to una novità del loro modo di interazione edel loro peso rispettivo. Il sindacato non hapiù riacquistato il potere di cui disponeva pri-ma del riaggiustamento industriale degli anniottanta; ma tutte le associazioni di rappresen-tanza degli interessi hanno oggi seri problemidi rappresentatività. La regione diventa pro-babilmente l’attore più importante: parliamodel “governo” regionale in senso stretto, vistala progressiva erosione del potere e del presti-gio del consiglio. Nel settore pubblico leaziende di servizi, e in particolare le grandipublic utilities, accrescono il loro peso e cam-biano in una certa misura le loro logiche d’a-zione, diventando spesso di fatto attori piùche esecutori delle politiche pubbliche, ancheperché diventano tendenzialmente detentoridi quello che Cohen e Bauer definirono annifa “monopole de l’expertise légitime”.

Cresce di molto il potere delle autonomiefunzionali. Quello delle autonomie funzionali

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è il campo in cui si registrano le vere new en-tries: enti che non erano “vere” autonomiefunzionali e che lo diventano (le università) edenti che rappresentano una novità assoluta,come le fondazioni di origine bancaria. Le lo-ro modalità di interazione sono tendenzial-mente cooperative, e la cooperazione avvieneattraverso una complessa strumentazione disedi (“tavoli”) in cui le politiche vengono al-meno teoricamente formulate, e di agenzieche sono spesso contemporaneamente luogod’incontro degli attori delle politiche e stru-mento per la loro implementazione.

Questo modello di governance, che haavuto diffusione e successo nel corso degli an-ni novanta, diventa oggetto all’inizio del seco-lo XXI di critiche sempre più dure. Una criti-ca ricorrente riguarda la sua mancanza di tra-sparenza, il suo trasformarsi in quello che i te-deschi indicano con la metafora del Filz (fel-tro), un insieme compattato e ormai inestrica-bile di fibre di diversa natura; ma anche quan-do questo aspetto non si manifesta in manieragrave, e i comportamenti collusivi sono ridot-ti al minimo, il sistema viene considerato scar-samente efficace ed efficiente per la farragino-sità dei meccanismi di costruzione del consen-so che lo caratterizzano.

Questa seconda caratteristica rischia di ri-sultare esiziale in un periodo di crisi economi-ca come quello in corso mentre scriviamo, incui la necessità di tempi di reazione rapidi sicombina con la diminuzione delle risorse di-sponibili. Ne sta già risultando una vasta revi-sione delle caratteristiche e del funzionamentodi molte agenzie che producono local collecti-ve competition goods (in particolare trasferi-mento tecnologico e internazionalizzazione).

Territorio

La vicenda dell’IRES, ma in particolare il suorapporto costitutivo con la programmazioneregionale, riflette (lo mostrano diversi con-tributi del libro, anche non strettamente“territoriali”) il modo in cui il tema è statorecepito dalle politiche regionali, con un’o-scillazione tra territorio come denominatorecomune e territorio come politica specializ-zata, tra riferimento al territorio come ele-

mento integratore dell’azione di governo eterritorio come competenza di assessorato:due impostazioni a volte compresenti, a vol-te alternative, in una tensione non risolta eforse non risolvibile. Lo mostrano in parti-colare le politiche industriali, che in qualchesegmento del percorso che abbiamo preso inconsiderazione risultano fortemente influen-zate dal paradigma dello sviluppo locale nel-la sua versione distrettuale, mentre in altrimomenti (ri)diventano tranquillamente poli-tiche di settore.

Di nuovo, alle trasformazioni avvenute(rescaling, rifunzionalizzazione) non corri-sponde un adeguamento istituzionale. Su que-sto terreno il cambiamento mancato riguardasia le “istituzioni” sia le “organizzazioni”: lomostra in particolare la clamorosa obsolescen-za delle partizioni amministrative. La mancatao parziale soluzione di problemi molto pie-montesi, come la polverizzazione dei comunio il governo dell’area metropolitana, danneg-gia certo la performance della pubblica ammi-nistrazione, la sua capacità di fornire servizi ebeni pubblici. Ma ha anche, specialmente se sitien conto dei suoi risvolti in materia di finan-za locale, una ormai provata relazione col te-ma della sostenibilità dello sviluppo: si pensiin particolare al consumo di suolo, cresciutodissennatamente nel periodo considerato, eallo sprawl urbano di cui solo recentementealcune ricerche dell’IRES mostrano un rallen-tamento.

C’è un altro tema sul quale l’adeguamentoistituzionale e amministrativo è fortemente ca-rente: il carattere inter- e trans-regionale dimolti dei problemi oggetto di politica regiona-le, la cui scala pertinente non è regionale, sen-za per questo essere nazionale. L’IRES ha lavo-rato a più riprese su scenari che richiedereb-bero al Piemonte qualche tipo di cooperazio-ne interregionale rafforzata: la macro-regionealpina, il nord-ovest, il nord. Ma non si sfuggeall’impressione che, nonostante prese di posi-zione politiche a volte coraggiose e lungimi-ranti ma prevalentemente simboliche, ci siauno scollamento per certi aspetti crescente traprocessi di relativa omogenizzazione in corso(in particolare quelli che configurano unacity-region padana in cui nord-ovest e nord-est sono meno dissimili che in passato) e mo-

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delli di governance regionale che, nonostantele potenti spinte all’isomorfismo che proven-gono dal governo e dalle burocrazie centrali,dalla commissione e dalle burocrazie europee,restano pervicacemte particolaristici.

Osservazioni conclusive

Dati i limiti di spazio concessi a questa nota,molte delle affermazioni precedenti sembre-ranno al lettore apodittiche; mentre altre losembreranno meno a chi avrà la pazienza dileggere tutto il volume, e magari di seguirequalcuno dei rimandi all’attività dell’IRES ne-gli ultimi due decenni. In conclusione, la miapersonale lettura arriva a tre possibili chiaviinterpretative, configurabili come alternativeimmanenti allo sviluppo in atto.

La prima è quella tra innovazione e pathdependency. Il legame col passato non va lettonecessariamente in termini negativi, special-mente quando comporta il mantenimento diaspetti distintivi dell’identità regionale, e dicapabilities che costituiscono tutt’ora un van-taggio competitivo. Ma il mantenimento diistituzioni e strutture obsolete e disfunzionalisembra costituire oggi un handicap potente.

La seconda alternativa è quella tra declinopassivamente subito e capacità di risposta. Sitratta di un’alternativa che non riguarda solol’economia regionale, anche se in questa è par-

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ticolarmente visibile, perché in qualche modomisurabile. Nonostante la “scomparsa dell’I-talia industriale” (ancora Gallino) la grandeimpresa è lungi dall’essere scomparsa dal pa-norama piemontese; e il fatto che anche inPiemonte alla crisi della grande impresa e allacrisi del distretto industriale si siano accom-pagnate novità come quella dell’emergere diun nuovo tipo di media impresa indurrebbe aragionare piuttosto, con Berta, in termini di“metamorfosi”. Il fatto che per molti aspetti ildeclino (ripetiamo, relativo) continui farebbepensare alla possibilità che le reazioni di sin-gole componenti non si connettano (ancora?)in un quadro sistemico.

C’è infine la contraddizione che forse piùchiaramente emerge dalle pagine precedenti,quella che in altri tempi avremmo letto comeincongruenza tra “struttura” e “sovrastruttu-ra”: l’insufficiente capacità della politica di ac-compagnare e indirizzare i processi strutturaliin corso. La crescente delegittimazione e lacrescente impotenza del sistema politico ita-liano aggravano una difficoltà di portata piùgenerale: la logica dell’economia è oggi mobi-le, mentre quella della politica resta radicata(Conti). Qualche tipo di connessione tra ledue logiche diventa cruciale, dato che, comesta mostrando la crisi in corso, difficilmentepossiamo aspettarci dal (solo) mercato un’e-voluzione soddisfacente dell’economia e dellasocietà piemontese.

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Com’è cambiato il quadro della ricerca socioeconomica sulPiemonte in questo quindicennio? In una fase di evidentetransizione socioeconomica, si sono modificati i contenutidelle ricerche, gli interessi della comunità scientifica, gli

approcci metodologici? Prova a rispondere a queste domandeun recente volume dell’IRES (Studiare il Piemonte, quindicianni dopo: 1995-2008, a cura di Silvia Crivello, Luca Davicoe Luca Staricco) che aggiorna una precedente indagine dellametà degli anni novanta (Studiare il Piemonte. Dieci annidi ricerche su una società in transizione 1985-1995 a cura

di Luca Davico)

Dal confronto con la prima rilevazione si può evincere come in Pie-monte vi sia stato un consistente sviluppo quantitativo della ricercasocioeconomica, non ascrivibile unicamente all’ampiezza leggermen-

te superiore dell’arco temporale oggi considerato (1995-2008) rispetto a quel-lo precedente (1985-1995).

La crescita della ricerca in Piemonte risulta particolarmente accentuataproprio sulle aree tematiche più tipicamente sociologiche, quelle legate adesempio alle tendenze demografiche, alla cultura, alla qualità della vita, ecc.Uno dei temi emergenti e in assoluto più studiati dell’ultimo quindicennioriguarda i nuovi flussi migratori e il progressivo avvento di una società mul-ticulturale. I primi studi su questi temi si erano prodotti attorno ai primianni novanta e hanno quindi conosciuto un notevole sviluppo, quantitativoe qualitativo, nel successivo quindicennio.

Un altro tema cospicuamente indagato dalla ricerca sociale in Piemonteè quello degli effetti della transizione economica, ovvero del superamentodei precedenti modelli organizzativi e produttivi. Da un lato, una notevoleattenzione è stata dedicata allo studio degli effetti sociali delle trasforma-zioni, ma anche delle pesanti eredità del passato, del disagio, della margi-nalità sociale ed economica, delle categorie e dei gruppi deboli e svantag-

SILVIA CRIVELLO,LUCA DAVICO,LUCA STARICCOCI

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Fig. 1 Gli oggetti della ricerca socioeconomica sul Piemonte: macrosettori tematici (per numero di ricerche censite)

0 100 200 300 400

Politiche, amministrazioni, istituzioni

Economia, suoi settori,

sviluppo locale

Lavoro, disoccupazione,

formazione

Questioni sociali:demografia,

cultura, salute, ecc.

Territorio, ambiente, societàlocali, città, ecc.

1985-1995 1995-2008

La grande crescita quantitativa che com-plessivamente ha conosciuto l’attività di ricer-ca socioeconomica in e sul Piemonte pare ri-conducibile in buona parte alla progressiva af-fermazione di una “cultura del monitorag-gio”, ancora relativamente scarsa alla metà de-gli anni novanta. Non a caso, nella sezione delrapporto che comprende le schede sulle atti-vità dei diversi enti e istituti di ricerca è stataintrodotta (rispetto alla precedente ricognizio-ne di metà anni novanta) un’ampia sezionededicata agli osservatori.

La presenza di un consistente settore distudi “istituzionali” di livello regionale è unodei motivi principali che spiega perché il Pie-monte in quanto tale sia di gran lunga l’og-getto di studio oggi prevalente: la maggioran-za delle indagini, infatti, vengono condottesull’intero territorio regionale, pur poi scen-dendo spesso a successivi livelli di dettaglioanalitico, ad esempio disaggregando le anali-si, i dati e le informazioni relative al livellodelle diverse aree del territorio regionale (ingenere le otto province). Tra le province,quella torinese mantiene un ruolo assoluta-mente preponderante; se per molti versi ciòpuò risultare ovvio, sarebbe comunque lecito

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ESgiati. Dall’altro lato, l’attenzione dei ricercato-ri si è concentrata sulla dimensione dello svi-luppo locale, in particolare sui segnali di no-vità che possono porre le basi di un nuovomodello per il Piemonte, dopo un paio di de-cenni in cui i concetti interpretativi prevalentierano stati piuttosto quelli della “crisi” e della“transizione”.

Nella ricognizione sono state censite nu-merose ricerche che provano a interrogarsi suipossibili effetti sociali delle nuove vocazioniproduttive, sui segnali di una nuova economiabasata su conoscenza e innovazione, sui com-parti produttivi emergenti, con una rinnovataattenzione analitica per i complessivi scenarievolutivi regionali e provinciali. I temi di tipoambientale e territoriale sono gli unici chenon registrano un aumento di ricerche realiz-zate nel periodo più recente; ciò dipende an-che dal fatto che esistono indubbiamente –come accennato – numerosi studi, monitorag-gi, osservatori e banche dati su aspetti am-bientali, che il più delle volte rimangono peròconfinati negli ambiti disciplinari tipici dellescienze naturali, più raramente indagando ireciproci rapporti di causa effetto tra societàlocali ed ecosistemi.

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Fig. 2 I soggetti della ricerca socioeconomica sul Piemonte (per numero di ricerche censite del periodo 1995-2008)

0 50 100 150 200

IRES PiemonteRegione PiemonteProvinceComune di TorinoEnti pubblici (altri)Università di TorinoPolitecnico di TorinoAtenei non piemontesiCamere di commercioAssociazioni culturali e socialiOrganizzazioni di categoriaOsservatorio del Nord OvestIRES Lucia MorosiniComitato Giorgio RotaAltri centri di ricerca piemontesiIstituti di ricerca non piemontesiAltri

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gio di diversi fenomeni sociali, anche qui at-traverso la costruzione e la sedimentazione dibanche dati di trend e la produzione di ricer-che mirate di approfondimento.

Non va poi trascurato il fatto che lo svi-luppo delle tecnologie informatiche ha pro-gressivamente favorito le diverse fasi del pro-cesso di ricerca, rendendole spesso più agevo-li, accessibili, rapide e, quindi, meno costose:dalla fase di reperimento e consultazione del-la bibliografia specializzata (sia teorica sia em-pirica) alla costruzione dei dati di ricerca, allaloro elaborazione (con analisi anche sofistica-te), divulgazione e consultabilità. Soprattutto,la dotazione tecnologica straordinariamentepiù potente che in passato di molti istituti diricerca ha permesso una progressiva autono-mizzazione dai centri (come l’ISTAT, il CSI,ecc.) specializzati nella raccolta, sistematizza-zione ed elaborazione dei dati, favorendo cosìpercorsi di ricerca maggiormente autonomie/o indirizzati all’approfondimento di partico-lari tematiche.

È interessante ancora rimarcare anche leimplicazioni politiche legate alla progressivadiffusione di una cultura del monitoraggio, an-corché questa non sia ancora certamente cosìpervasiva e universalmente condivisa. In ognicaso, è certo che oggi – più che in passato – ta-

attendersi una maggiore attenzione per le al-tre province: solo Biella (con il 2,3% delle ri-cerche) rivela una minima consistenza tra lealtre province.

I diversi osservatori che oggi popolano ilpanorama della ricerca in Piemonte spessoconducono monitoraggi e ricerche in proprio,altrettanto spesso collaborano – ad esempio inrapporti di committenza – con altri soggetti,enti e strutture appartenenti sovente ad ambi-ti accademici. Un elemento di interesse è che,come detto, i monitoraggi molto spesso si isti-tuzionalizzano, diventando permanenti (in ge-nere con una frequenza di aggiornamento an-nuale). Ciò permette quindi di disporre di se-rie storiche sempre più consolidate e affidabi-li, di dati confrontabili sui quali condurre ana-lisi di trend.

Da questo punto di vista, la situazione pie-montese pare coerente con le tendenze nazio-nali. È stato rilevato come proprio dalla finedegli anni novanta, ad esempio, l’ISTAT abbiainnovato le sue strategie, trasformandosi daun semplice istituto di statistica in un vero en-te di ricerca, cominciando a produrre in di-versi campi tematici indagini di approfondi-mento (ad esempio le “multiscopo”), fornen-do a diverse istituzioni nazionali (a partire daiministeri) un servizio di costante monitorag-

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diversi territori) in un orizzonte e in contestipiù ampi – spesso nazionali, talvolta europei –evitando così di condurre analisi autoreferen-ziali. Al tempo stesso occorre sottolineare co-me la diffusione delle attività di monitoraggio,così come di Internet, abbiano enormementeamplificato la circolazione di una grandequantità di dati e informazioni di ricerca. Sequesto indubbiamente è un enorme vantaggio– sia per rendere più agevole e proficuo il la-voro dei ricercatori sia per favorire confronti escambi – non va trascurato il fatto che la granquantità di informazioni circolanti, specie sualcune aree tematiche, spesso rischia di gene-rare contraddizioni e distorsioni, soprattuttoquando vengano diffuse informazioni e datiprivi (in parte o del tutto) del filtro interpreta-tivo dei ricercatori che hanno raccolto e pro-dotto quei dati, con effetti perversi sul dibatti-to pubblico, sui mass media, all’interno dellaclasse dirigente locale, tra i decisori politici.

Ciò, evidentemente, accresce le responsa-bilità deontologiche per chi svolge un lavorodi ricerca, soprattutto nei termini di una mag-giore attenzione e cura nelle modalità comu-nicative dei risultati delle proprie attività.

Un’altra potenziale criticità deontologicaderiva dal fatto che una dimensione pubblicae un processo politico maggiormente influen-zati (almeno in teoria) dalle risultanze dei pro-cessi di ricerca generano non solo sulle spalledei ricercatori un maggior carico di responsa-bilità, ma spesso consistenti “pressioni” disoggetti di varia natura, portatori di interessidi parte, che possono evidentemente interfe-rire con la correttezza professionale, la com-petenza scientifica, l’indipendenza e l’autono-mia di chi fa ricerca.

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ESle orientamento culturale si associa alle politi-che pubbliche: gli osservatori e parecchi studimonografici sono appositamente finalizzati achiarificare il quadro di riferimento su specifi-ci ambiti socioeconomici, proprio allo scopodi meglio orientare le politiche pubbliche.

La stessa attività dell’IRES – in precedenzatendente spesso a una dimensione di ricerca“pura” – si è andata nell’ultimo decenniosempre più frequentemente intrecciando conla dimensione progettuale, in una crescenteinterazione con diversi settori dell’ammini-strazione regionale, interagendo non solo nel-le fasi di indagine, ma talvolta anche in quelledi ideazione, valutazione e implementazionedelle politiche.

Monitoraggi permanenti, sia di tipo stret-tamente statistico sia ad esempio sull’avanza-mento di progetti o settori strategici, vengonorealizzati anche da soggetti indipendenti o co-munque slegati dagli enti locali di governo;nel caso del Piemonte si possono citare, adesempio, i casi dei monitoraggi statistici adampio spettro del Settore Studi della Cameradi Commercio (come Piemonte in cifre) o delRapporto annuale su Torino realizzato dal Co-mitato Giorgio Rota con il circolo L’Eau Vive.

La crescita della cultura del monitoraggiosta progressivamente rendendo più marginaliche in passato prese di posizione e interpreta-zioni “impressionistiche” della realtà socioe-conomica locale; interpretazioni che, ancorain occasione della precedente ricognizionecondotta a metà anni novanta, risultavano in-vece piuttosto diffuse nel dibattito pubblico,specie mediatico e politico. L’abbondanza dimonitoraggi e banche dati permette, ad esem-pio, di collocare il caso piemontese (e i suoi

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Come ogni anno Piemonte economico sociale, la consuetarelazione annuale dell’IRES, passa in rassegna e valuta

criticamente i dati più aggiornati sulla situazione economica,sociale e territoriale del Piemonte.

Il rapporto di quest’anno è di particolare interesse perchévaluta globalmente e in profondità le reali dinamiche attivate

nel territorio regionale in un anno di crisi finanziariae produttiva

Il 2009 è stato un anno di forte recessione, anche se i risultati sono statimeno negativi rispetto alle previsioni (Pil mondiale diminuito dello0,6% contro una previsione al ribasso dell’1,3% secondo le stime FMI

di aprile 2009). Il dato attuale è segnato da una ripresa molto lenta ed ete-rogenea dal punto di vista territoriale. Sostenuta principalmente dagli sti-moli dei governi, si sta manifestando, infatti, soprattutto nell’area asiatica ein alcuni paesi emergenti.

Per il 2010 ci si attende una ripresa del Pil mondiale del 4,5%. In Eu-ropa la dinamica (+0,7% nel 2010 a fronte del -4% nel 2009) è assai piùlenta che negli Stati Uniti (sopra il 2% nel 2010 a fronte del -2,4% nel2009). Il commercio mondiale, crollato nella media annua del 12,5% ri-spetto al 2008, ha tuttavia ripreso a crescere a tassi sostenuti nel terzo tri-mestre (10%), soprattutto grazie alla domanda nell’area asiatica. In Euro-pa, la Commissione Europea prevede una crescita sotto all’1% nel 2010,per ora legata soprattutto a fattori temporanei, come il ciclo delle scorte o lemisure di sostegno al settore auto, anche se si avverte una certa ripresa del-la propensione a spendere da parte delle famiglie.

Rilevanti rischi derivano da problemi di sostenibilità finanziaria di alcu-ni paesi, in particolare l’insolvenza della Grecia, il cui costo potrebbe averericadute indirette negative su imprese e famiglie. Nel 2009 i deficit pubbli-ci sia nell’Unione Europea sia nell’area euro sono cresciuti sensibilmente,

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Tab. 1 Indicatori economico-finanziari del gruppo Fiat (valori in milioni di euro)

1990* 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fatturato 57.209 58.006 55.649 47.271 45.637 46.544 51.832 58.529 59.380 50.102Risultato operativo 2.136 318 -762 -510 -585 2.215 2.061 3.152 2.972 359Utile netto n.d. -791 -4.263 -1.948 -1.579 1.420 1.151 2.054 1.721 -848Autofinanziamento 5.081 2.089 -1.649 421 620 3.555 3.136 3.878 3.604 1.937Investimenti 4.210 3.438 2.771 2.011 2.112 2.636 4.312 3.985 4.979 3.386Ricerca e sviluppo 2.250 1.817 1.748 1.747 1.791 1.558 1.598 1.741 1.986 1.692Posizione finanziaria netta 570 -6.035 -3.780 -3.028 -4.961 -2.868 -231 1.764 -4.821 -3.217

Dipendenti (unità) 303.238 198.764 186.492 162.237 161.066 173.695 173.726 185.227 198.348 190.014

% su fatturatoRisultato operativo 3,7 0,5 -1,4 -1,1 -1,3 4,8 4,0 5,4 5,0 0,7Autofinanziamento 8,9 3,6 -3,0 0,9 1,4 7,6 6,1 6,6 6,1 3,9Ricerca e sviluppo 3,9 3,1 3,1 3,7 3,9 3,3 3,1 3,0 3,3 3,4Investimenti 7,4 5,9 5,0 4,3 4,6 5,7 8,3 6,8 8,4 6,8

* Valori in miliardi di lire.

Tab. 2 Bilancio annuale dei settori Fiat (valori in milioni di euro e variazioni %)

RICAVI NETTI VARIAZIONI %

2005- 2006- 2007- 2008-2006 2007 2008 2009 2006 2007 2008 2009

Automobili (Fiat Auto) 23.702 26.812 26.937 26.293 -1,6 13,1 0,5 -2,4Veicoli industriali (Iveco) 9.136 11.196 10.894 7.183 7,2 22,5 -2,7 -34,1Macchine per agricoltura e costruzioni (CNH) 10.527 11.843 12.781 10.107 6,0 12,5 7,9 -20,9

Fiat Powertrain Technologies 6.145 7.075 7.000 4.952 -1,1 -29,3Ferrari-Maserati 1.966 2.362 2.746 2.226 25,6 20,1 16,3 -18,9Prodotti metallurgici (Teksid) 979 783 837 578 7,8 -20,0 6,9 -30,9Componenti (Magneti Marelli) 4.455 5.000 5.447 4.528 18,4 12,2 8,9 -16,9Mezzi e sistemi di produzione (Comau/Pico) 1.280 1.089 1.123 728 -25,4 -14,9 3,1 -35,2

Holdings, diverse ed elisioni* -6.358 -7.631 -8.201 -6.493 104,5 20,0 7,5 -20,8Totale di gruppo 51.832 58.529 59.564 50.102 -4,0 12,9 1,8 -15,9

RISULTATO GESTIONE ORDINARIA ROS**%

2006 2007 2008 2009 2006 2007 2008 2009

Automobili (Fiat Auto) 291 803 691 470 3,1 2,4 1,7 0,8Veicoli industriali (Iveco) 546 813 838 105 6,2 7,2 7,2 -1,3Macchine per agricoltura e costruzioni (CNH) 737 990 1.122 337 5,6 8,0 9,0 2,5

Fiat Powertrain Technologies 168 271 166 -25 1,7 3,6 2,3 -2,3Ferrari-Maserati 150 290 411 249 7,6 12,2 15,0 11,5Prodotti metallurgici (Teksid) 56 47 41 -12 2,7 6,0 5,9 -2,4Componenti (Magneti Marelli) 190 214 174 25 3,9 4,2 1,7 -0,9Mezzi e sistemi di produzione (Comau/Pico) -66 -23 21 -28 -21,3 -3,0 - -4,4

Holdings, diverse ed elisioni* -121 -172 -102 -63 - 0,2 1,6 1,2Totale di gruppo 1.951 3.233 3.362 1.058 4,0 5,4 5,0 0,7

* Le attività del settore editoria e comunicazione sono confluite nel raggruppamento altre attività.** Ros: utili/fatturato.

Fonte: www.fiatgroup.com

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attestandosi sopra il 6% in rapporto al Pil(2% circa nel 2008), a causa della contrazionedi quest’ultimo, mentre il debito pubblico haraggiunto la cifra record del 78,7% in rappor-to al Pil, quasi dieci punti percentuali sopra ilvalore del 2008.

Il quadro generale

In Piemonte il prodotto lordo è diminuitonel 2009 del 5,1%, un andamento recessivosostanzialmente allineato alla media naziona-le. È stata rilevante la caduta della domandainterna (-1,4% i consumi finali interni), co-me risultato della contrazione dei consumidelle famiglie del 2,1% e dell’andamentoespansivo dei consumi pubblici, cresciutinella media annua dell’1%. Gli investimentihanno invece subito una riduzione rilevanteattorno al 13%. La domanda estera ha avutoun ruolo determinate: le esportazioni (versol’estero) sono diminuite di oltre il 22% inquantità. Nel 2010 si prevede una modestacrescita del Pil (+0,8%). Ciò si tradurrebbein una ripresa del prodotto dell’industria(+1,2%) e dei servizi (+0,8%), mentre nelsettore delle costruzioni continuerebbe la

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tendenza recessiva, anche se meno intensa ri-spetto al 2009.

A fronte di questa situazione straordina-ria sul piano della tenuta economica del si-stema, è importante monitorare anche aspet-ti che riguardano la coesione sociale, come lapossibile crescita dei divari di reddito e diconsumo e la capacità di governare fenome-ni, critici in epoca di globalizzazione, comequelli migratori. La crisi economica ha avutoun riflesso sulla dinamica e sulla composizio-ne dell’aggregato del reddito disponibile an-cora difficile da quantificare nei suoi effettidistributivi.

Osservando il benessere delle famiglie ne-gli anni recenti, il caso piemontese apparecoerente con la tendenza in atto nella primaparte del decennio a livello nazionale, caratte-rizzato da una dinamica stagnante dei redditi.La quota di famiglie povere è sotto la medianazionale ma superiore a quella del Nord-ove-st, anche se la disparità nella distribuzione deiredditi sembra mantenersi costante. Al rallen-tamento della dinamica del reddito medio di-sponibile, in coincidenza con una dinamicapressoché nulla del prodotto reale e, cosa an-cor più rilevante, della produttività in regione,si affianca una tendenza che farebbe pensare

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Tab. 3 Imprese del comparto “attività immobiliari, noleggio, informatica e ricerca”, per forma giuridica

2009 VAR. % 2008-2009

% SU TOTALE SOCIETÀ DI SOCIETÀ DI DITTE ALTRE

VAL. ASS. IMPRESE TOTALE CAPITALI PERSONE INDIVIDUALI FORME

ItaliaAttività immobiliari 260.127 42,2 1,1 1,4 1,1 0,6 -1,2Noleggio macchine 20.523 3,3 -2,3 2,7 -2,6 -5,5 3,9Informatica 85.418 13,8 1,4 2,6 -1,9 2,4 4,0Ricerca e sviluppo 3.476 0,6 5,0 7,2 -5,0 -1,3 6,4Altre attività professionali 247.340 40,1 2,4 4,5 -1,3 2,0 4,4Totale 616.884 100,0 1,6 2,6 -0,1 1,4 3,3

PiemonteAttività immobiliari 31.276 50,2 0,1 1,7 -0,3 -0,8 -4,4Noleggio macchine 1.262 2,0 -4,9 2,0 -7,4 -7,1 -17,6Informatica 6.681 10,7 1,5 1,0 -2,4 4,7 3,5Ricerca e sviluppo 248 0,4 9,3 12,2 2,7 -5,9 12,0Altre attività professionali 22.848 36,7 1,4 1,8 -2,4 3,0 3,7Totale 62.315 100,0 0,6 1,7 -0,9 2,3 2,5

Fonte: elaborazione IRES su dati Infocamere

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Tab. 4 Arrivi e presenze, per ATL (variazioni % 2008-2009)

ARRIVI PRESENZE

ATL Torino e Provincia 29,01 4,50ATL Biella -0,31 -0,74ATL Valsesia e Vercelli 3,58 2,22ATL Distretto Turistico dei Laghi -6,40 -6,96ATL Novara -2,68 -11,66ATL Langhe e Roero 3,99 4,83ATL Cuneo 9,58 6,35ATL Alessandria -6,95 -4,91ATL Asti 1,92 1,14Regione 11,24 0,28

Fonte: Regione Piemonte – Assessorato Turismo, Osservatorio Turismo Piemonte

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2009 10,9%. A livello nazionale il valore aggiunto

dell’agricoltura è sceso dell’11,5% a prezzicorrenti. Particolarmente critica la situazionedel settore cerealicolo, che ha fatto registrarele produzioni e i prezzi più bassi dell’ultimodecennio. Il comparto frutticolo, pur penaliz-zato da quotazioni in forte riduzione, ha man-tenuto un livello produttivo e qualitativo sod-disfacente. Una vendemmia di qualità elevatanon ha migliorato la stagnazione del mercatodel vino. Tiene la razza bovina Piemontese,collocata nella fascia alta di un mercato sem-pre più segmentato, mentre il settore lattiero-caseario sta attraversando un momento cru-ciale in vista dell’abolizione delle quote pro-duttive, prevista per il 2015. Gli scambi nellabilancia agroalimentare registrano una ridu-zione, effetto locale della generale flessionedei mercati globali.

La crisi, infine, sta accentuando nella filie-ra agroalimentare il processo di “drenaggio”del valore aggiunto da parte della distribuzio-ne, a svantaggio della componente industrialee, soprattutto, di quella agricola.

Le indicazioni per il futuro dell’artigianatosono incerte, dopo i risultati molto negatividel primo semestre 2009 (come una parzialeripresa degli investimenti per un limitato nu-mero d’imprese).

La situazione generale permane difficile: ilclima di fiducia mostra, per il primo semestredel 2010, segnali negativi rispetto a sei mesiprima, con il saldo tra previsioni di crescita ediminuzione che passa da -12,5 a -20,7. Fra i

alla presenza di dinamiche pro-poor nel perio-do 2003-2006.

Un’azione bancaria innovativa verso laclientela non italiana appare sempre piùstrettamente connessa con una prospettiva diapertura internazionale delle relazioni inter-bancarie. È anche un aiuto concreto all’inte-grazione economica degli immigrati regolari,una quota di popolazione che rappresentaper le banche un mercato con potenzialità dicrescita importanti: a livello nazionale, il tas-so medio di aumento degli stranieri residentistimato per il 2009-2012 è del 17%, quellodei ricavi generati del 24% e quello degli im-pieghi bancari del 26%. Nelle dinamicheeconomiche prodotte in Italia dall’immigra-zione il ruolo delle banche appare ancorafondamentalmente inespresso, anche se ilprocesso di avvicinamento tra banche e co-munità non italiane sta avanzando veloce-mente. Permangono tuttavia difficoltà d’inte-razione, soprattutto sul versante propria-mente relazionale e fiduciario e su quello del-le barriere burocratiche e formali per l’acces-so dei servizi.

I settori produttivi

Nel 2009 gli effetti della crisi economica si so-no riversati duramente sul settore agricolo,anche se con un parziale ritardo rispetto aglialtri settori produttivi. A livello europeo il va-lore della produzione agricola scende del

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Fig. 1 Peso del piemonte sul totale nazionale delle presenze turistiche (valori %

1999 2000

1,0

1,3

1,9

2,2

2,5

3,1

3,4

3,7

4,0

1,6

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: elaborazione IRES su dati ISTAT e Osservatorio Turismo Piemonte

2,8

Totale Italiani Stranieri

ficiando di un generale ciclo espansivo damolti anni, è cresciuto meno intensamente.Nel 2008 le dinamiche del settore indicano unquadro di progressivo deterioramento, accen-tuando il rallentamento dell’attività che si erapalesato già dal 2006 (un effetto in parte atte-so, alla luce della fine del ciclo di rinnovo ur-bano di Torino) che si affianca all’affievoli-mento del mercato immobiliare collegato an-che al manifestarsi della crisi economica e delpeggioramento delle prospettive delle fami-glie. Nel corso del 2009 gli indicatori attesta-no una situazione di ulteriore ripiegamentodell’attività nel settore.

Le aziende attive nell’insieme delle “atti-vità immobiliari, noleggio macchine, informa-tica, ricerca e sviluppo e altre attività profes-sionali” crescono (+1,4%), anche se menodell’anno precedente (+3,1%), ma con dina-mica sostanzialmente parallela a quella nazio-nale (+1,6%). Nonostante l’intensità della cri-si, e ad eccezione del noleggio di macchine eattrezzature, tutti i comparti hanno manifesta-to segni positivi di crescita. Dal punto di vistadei consumi, la crisi iniziata nel secondo se-mestre 2008 costituisce a tutt’oggi la peggioredegli ultimi cinquant’anni. Le previsioni degliuffici studi delle principali catene distributive

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possibili effetti della crisi, se durerà ancora alungo, più che il rischio di cessazione vi sonoil restringimento della base produttiva, la ri-duzione degli occupati alle dipendenze e unasignificativa compressione degli utili. Se que-sto è lo scenario, non già la moria delle impre-se ma la svalutazione delle loro produzionirischia di diventare norma nella piccola im-presa e nel lavoro artigiano.

Per quanto riguarda il settore automobili-stico, grazie agli incentivi alla rottamazione, il2009 è risultato un anno di sostanziale tenutasia della produzione, sia delle vendite: la pro-duzione è scesa del 9% circa in Europa, ma èsostanzialmente stabile per l’Italia, dopo la ca-duta del 27% nel 2008 per il nostro paese. Leimmatricolazioni sono aumentate in Europadel 5,7%, soprattutto grazie alla Germania ealla Francia, mentre le vendite in Italia hannomantenuto il livello dell’anno precedente.Grazie alla domanda, spostatasi verso le vet-ture più piccole, la quota di Fiat in Europa èaumentata fino a quasi il 9%.

La frenata sul mercato immobiliare, segna-lata dalle statistiche sul credito, si è accompa-gnata a una contrazione delle erogazioni dimutui alle famiglie per l’acquisto di abitazioni.In Italia il settore delle costruzioni, pur bene-

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Tab. 5 Alcuni indicatori della società dell’informazione in Piemonte, in Italia e in Europa (2008-2009 valori %)

2008 2009

UE 25a UE 15a ITALIAa PIEMONTEb UE 25a UE 15a ITALIAa PIEMONTEb

Diffusione di Internet presso le famiglie 62 64 47 59 67 68 53 63

Famiglie con banda larga 50 52 31 45 58 59 39 58Cittadini che hanno utilizzato

Internet per comprare beni e servizi on-linec 26 29 7 21f 30 33 8 12

Cittadini che hanno utilizzato l’e-governmentd 27 29 14 37f 29 31 15 18

E-health 29 30 16 23 34 36 21 30Imprese con banda larga 83 86 81 90 85 88 84 85Imprese con sito web n.d. n.d. n.d. 88 n.d. n.d. n.d. 86Imprese che hanno utilizzato

l’e-governmente 70 70 82 56 73 74 83 64Vendite on-line 17 18 3 9 13 13 4 8Acquisti on-line 30 32 10 52 25 27 14 48

a Fonte: Eurostatb Fonte: Osservatorio ICT del Piemontec Persone che hanno acquistato beni e servizi su Internet, negli ultimi tre mesi.d Persone che hanno usato Internet, negli ultimi tre mesi, per ottenere informazioni dai siti della pubblica amministrazione.e Imprese che usano Internet per interagire con la pubblica amministrazione.f Il dato per il Piemonte si riferisce agli ultimi tre anni.

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2009 adeguarsi ai “nuovi” consumatori. Il 2009 è

stato un anno negativo per il turismo ma nonin Piemonte. La diminuzione degli arrivi sulmercato internazionale (-4,3%), dopo moltianni di crescita sostenuta, ha colpito soprat-tutto America settentrionale ed Europa. InItalia si assiste a una diminuzione del 4,1%delle presenze complessive. Il Piemonte regi-stra invece un lieve aumento delle presenze(+0,3%) e un forte incremento degli arrivi,quindi un’ulteriore diminuzione della perma-nenza media. Il peso percentuale del turismopiemontese sul totale nazionale cresce in mi-sura rilevante per il secondo anno consecuti-vo: era il 2,7% del mercato italiano nel 2007 erappresentava a fine 2009 il 3,2%.

Le infrastrutture

L’Osservatorio sulle ICT conferma la crescitadella diffusione della banda larga e dell’usodella rete Internet in Piemonte. L’impatto del-la crisi sembra incidere negativamente su ven-dite e acquisti on-line, in misura minore suiprocessi di appropriazione delle ICT da parte

non ipotizzano un’inversione di tendenza pri-ma della fine del 2012.

La discesa del Pil (-5% in Italia nel 2009,oltre la media di Francia, Germania e RegnoUnito, -4,7%), l’aumento del tasso di disoccu-pazione e l’ampio ricorso alla cassa integrazio-ne hanno determinato una diminuzione delreddito e della ricchezza delle famiglie spin-gendo verso il basso la propensione all’acqui-sto dei consumatori. Gli incentivi per l’acqui-sto di autovetture e l’introduzione su largascala del digitale terrestre (con le conseguentispese per nuovi apparecchi) hanno dirottatoconsistenti importi verso specifici settori dimercato, sottraendoli a quelli “di prima ne-cessità”: per la prima volta è sceso l’acquistodi alimentari.

Anche in Italia emergono nuove categoriedi consumatori, trasversali fra le classi di spe-sa, i “frugalisti”. A crisi terminata, l’atteggia-mento degli italiani verso i consumi sarà vero-similmente cambiato, sarà probabilmente più“europeo” e dovremo rivedere il modo dipensarli. La distribuzione sarà profondamenteinfluenzata dal cambiamento nei consumi estrutture distributive e assortimenti dovranno

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Fig. 2 Cittadini che dichiarano che internet ha un impatto positivo su alcuni aspetti della propria vita (2008-2009*, valori %)

0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0

Vita quotidiana

Acquisti

Tempo libero

Vita da cittadino

Comunicazione

Lavoro

* Base: utilizzatori di Internet.

Fonte: Osservatorio ICT del Piemonte

2008 2009

elevati della media. Dal punto di vista delle re-lazioni energia-ambiente, il Piemonte è re-sponsabile di una quota importante di emis-sioni clima-alteranti, con un significativo in-cremento tra il 1990 e il 2005. Infine, è unadelle regioni che producono più energia dafonte rinnovabile, prevalentemente da idroe-lettrico.

Le questioni energetiche travalicano tutta-via i confini amministrativi: in alcuni casi (co-me per le fonti rinnovabili) vanno valutati gliimpatti positivi e negativi dell’impiego di de-terminate risorse sul territorio; in altri casi (adesempio la filiera nucleare), le regioni devonoconsiderare le proprie scelte in un più ampioquadro nazionale e globale. La conoscenzaadeguata delle caratteristiche locali, anche sot-to il profilo della produzione e del consumodi energia, si conferma un aspetto cruciale af-finché, in prospettiva futura, si possano svi-luppare piani coerenti con le esigenze e le po-tenzialità dei diversi territori.

L’osservazione dell’uso delle reti di tra-sporto offre una prospettiva su un aspettochiave dello sviluppo sostenibile: lo sgancia-mento fra crescita economia e mobilità. Il fe-

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2009dei cittadini. Al 2009 il gap della regione nei

confronti dell’Europa nell’adozione della ban-da larga si è colmato: la percentuale in Pie-monte raggiunge il 58%. Migliora anche ladotazione di Internet presso le famiglie (conlivelli di soddisfazione territorialmente moltoeterogenei), ma rimane invariata la distanzarelativa con la media europea.

Si nota un miglioramento generale nell’e-rogazione dei servizi on line della Pa, favorita(per i piccoli comuni) dalla gestione associatadei servizi e degli stessi siti Internet, intesi co-me veri e propri biglietti da visita dei territori.La diffusione delle ICT, una cartina di torna-sole cruciale per valutare il potenziale innova-tivo di un sistema economico e sociale, rimanecondizionata, in tutta Italia e in Piemonte, neidomini produttivi pubblico e privato, dallastruttura dimensionale delle imprese e dallaframmentazione istituzionale.

Sul versante delle reti energetiche, il Pie-monte è un’importante via di transito di fontidirette ad altre regioni. La regione manifestauna marcata dipendenza dall’esterno dovutaall’importazione sia di fonti primarie sia dielettricità a supporto di livelli di consumo più

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Fig. 3 Popolazione piemontese negli ultimi trent’anni, italiani e stranieri

nomeno sembrerebbe in atto, nei paesi euro-pei, dal 2004. Da quell’anno, l’indice Eurostatdei passeggeri trasportati in rapporto al Pil èin costante diminuzione. Stabile invece la di-namica delle merci. In Italia globalmente glispostamenti sono aumentati, ma la crisi hacontribuito a una modifica nel mix dei mezzidi trasporto utilizzato: si riduce lievemente laquota di utilizzo dell’auto, cresce per control’uso del mezzo collettivo e della bicicletta.

In un quadro generale che vede una dimi-nuzione sia dell’incidentalità sia della morta-lità, in Italia e in Europa, il Piemonte è fra leregioni che hanno registrato la diminuzione didecessi per numero di veicoli circolanti piùconsistente, e si situa fra le aree a rischio me-dio-basso.

Governo e governance locale

Sul versante delle entrate proprie correnti de-gli enti locali, permane il blocco delle aliquo-te; le entrate proprie delle province, connessealle immatricolazioni di automobili, risentonogià nel 2009 dell’effetto crisi. Più dinamiche –fino al 2008 – le riscossioni in conto capitale,

che risentono dell’effetto inerziale degli anniprecedenti: i mutui riscossi, quindi i contribu-ti per le concessioni edilizie, le alienazioni. Itrasferimenti statali non hanno ancora com-pensato il mancato incasso dall’abolizione del-l’imposizione sulla prima casa. Per quantoconcerne la spesa, il 2009 registra una contra-zione, accentuata soprattutto nella compo-nente di investimento. Si è attuato talvolta unposticipo di pagamenti, con l’accumulo di re-sidui passivi. I provvedimenti annuali di con-trollo della finanza pubblica condizionanosempre di più la spesa locale.

La qualità sociale

Le tendenze negative registrate nella secondametà del 2008 nel mercato del lavoro si accen-tuano nel 2009: flessione dell’occupazionecomplessiva, rilevante nel settore industriale,e aumento sensibile della disoccupazione, an-che se meno che nel resto d’Europa. La situa-zione piemontese appare sostanzialmente inlinea con quella delle altre regioni comparabi-li del Nord, con qualche accentuazione menonegativa (ad esempio la riduzione degli occu-

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4.300.000

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4.100.000

4.000.000

3.900.000

3.800.000

3.700.000

3.600.000

* Per il 2009 stima IRES su dati ISTAT mensili, gennaio-ottobre 2009.

Fonte: ISTAT

Popolazione con cittadinanza italiana Popolazione con cittadinanza straniera

79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09*

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pati inferiore a Veneto e Friuli-Venezia Giulia;crescita dei disoccupati inferiore a Emilia-Ro-magna e Lombardia), e qualche tratto piùpreoccupante (ad esempio il livello del tassodi disoccupazione, in particolare giovanile, edinamiche specifiche dell’occupazione e di-soccupazione femminili peggiori di quelle diLombardia ed Emilia-Romagna). Parallela-mente, nella crisi cresce la dimensione fram-mentata del lavoro. A inizio 2010 si intravedo-no alcuni segnali positivi, ma il mercato del la-voro resta sotto forte pressione: tutti gli anali-sti ritengono che anche in caso di ripresa par-ziale della produzione gli indicatori continue-ranno a peggiorare almeno fino alla secondametà del 2010.

La popolazione piemontese aumenta nel2009: 4.451.098 abitanti al 31 dicembre, circa18.500 residenti in più rispetto all’anno prece-dente, con un incremento pari al 4,2‰. La di-namica demografica regionale nel 2009 con-ferma la tendenza che caratterizza i movimen-ti anagrafici dell’ultimo decennio: l’incremen-to di popolazione è il risultato del saldo mi-gratorio con l’estero, che si conferma positivoanche per quest’anno. Infatti, il saldo naturaleassume valori negativi, nel senso che i decessi

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superano le nascite di circa 10.300 unità; alcontrario il saldo migratorio si presenta positi-vo, quasi 29.000 residenti in più.

L’incremento migratorio è il risultato prin-cipalmente dei flussi migratori con l’estero(+31.700). Tuttavia, anche gli spostamenti al-l’interno delle regioni italiane, dalla secondametà degli anni novanta, hanno assunto unadimensione rilevante. Il Piemonte è una regio-ne con saldo positivo nei confronti dell’Italia(4.579 nuove iscrizioni nette provenienti dallealtre regioni).

Il sistema scolastico rispecchia queste dina-miche: gli iscritti aumentano per effetto deglistranieri. Il fenomeno si osserva anche a livellonazionale, in tutti i segmenti scolastici, ma lacrescita è in rallentamento. Gli stranieri (14-18anni) scelgono in misura maggiore i percorsiprofessionalizzanti, sono in percentuale piùpresenti nella formazione professionale e nelmondo del lavoro. Cresce il peso delle secondegenerazioni e si osserva un lieve peggioramen-to di tutti gli indicatori di successo scolastico.In lieve arretramento anche la scolarizzazioneai livelli post-obbligo. All’università cresconoinvece il tasso di passaggio dalla scuola supe-riore (dei piemontesi) e anche il numero d’im-

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Tab. 6 Occupati in Piemonte, per settore e tipo di occupazione (valori in migliaia)

VARIAZIONE INTERANNUALE

MEDIA 2008 MEDIA 2009 DIPENDENTI AUTONOMI TOTALE

VAR. VAL. VAR. VAL. VAR. VAL. SETTORE DIP. AUT. TOT. DIP. AUT. TOT. ASS. % ASS. % ASS. %

Agricoltura 17 51 68 15 57 72 -2 -9,1 5 10,7 4 5,8Industria 513 120 633 486 123 609 -27 -5,2 3 2,4 -24 -3,8

di cui:in senso stretto 433 58 491 406 58 464 -27 -6,2 0 -27 -5,5costruzioni 80 62 142 80 66 146 0 3 5,0 3 2,3

Servizi 873 310 1.184 878 301 1.179 4 0,5 -9 -2,9 -5 -0,4di cui:commercio 161 111 272 169 109 278 9 5,3 -2 -2,0 6 2,3altri servizi 712 199 912 708 193 901 -4 -0,6 -7 -3,5 -11 -1,2

Totale 1.403 482 1.885 1.379 481 1.860 -24 -1,7 -1 -25 -1,3di cui:uomini 737 335 1.072 726 334 1.061 -11 -1,5 -1 -11 -1,1donne 666 147 813 653 147 800 -13 -2,0 0 -13 -1,6

Fonte: elaborazione ORML su dati ISTAT

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matricolati (tutti). Aumenta lievemente la ca-pacità attrattiva degli atenei verso chi arriva daaltre regioni. Diminuiscono il numero dei lau-reati e il tasso di laurea, dopo il boom dei se-guito all’introduzione dei percorsi brevi. L’of-ferta di adeguate opportunità scolastiche ai cit-tadini stranieri appare come un elemento criti-co per il raggiungimento degli obiettivi dellastrategia di Lisbona (un’economia competiti-va, dinamica e fondata sulla conoscenza).

A livello regionale il settore sanitario ha vi-sto, nel 2009, il compimento del ciclo di pro-grammazione innescato con il Piano Socio-Sa-nitario Regionale 2007-2010: sul versante del-le cure primarie si è completato il percorso dicura degli anziani non autosufficienti, conl’introduzione dei contributi economici a so-stegno dell’assistenza domiciliare e l’avvio de-gli sportelli unici integrati sociosanitari, e si èavviata la riorganizzazione dei servizi territo-

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Tab. 7 Il sistema scolastico in Piemonte (a.s 2008/2009)

SCUOLA INFANZIA PRIMARIA SEC. DI I GRADO SEC. DI II GRADO TOTALE

Sedi 1.673 1.438 630 650 4.391Classi/sezioni 4.649 10.120 5.387 7.995 28.151Alunni 111.758 187.828 115.345 163.092 578.023Di cui stranieri 12.720 22.518 13.503 11.980 60.721Di cui non statali 42.428 11113 6853 8130 68.542Ripetenti - 700 5.149 11.860 17.709% stranieri 11,4 12 11,7 7,3 10,5% non statali 38,0 5,9 5,9 5,0 11,9% ripetenti - 0,4 4,5 7,3 3,1Alunni per classe 24 18,6 21,4 20,4 20,5

Fonte: elaborazioni IRES su dati Rilevazione Scolastica Regione Piemonte

Fig. 4 Contributo degli studenti stranieri all’andamento degli iscritti nelle scuole piemontesi (valori assoluti, dal 1995/1996)

* Dati provvisori rilevati a dicembre 2009.

Fonte: elaborazioni IRES su dati Rilevazione Scolastica Regione Piemonte

95/9

6

96/9

7

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9

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480.000

490.000

500.000

510.000

520.000

530.000

540.000

550.000

560.000

570.000

580.000

590.000

Iscritti totali (sia italiani che stranieri) Allievi italiani

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riali attraverso forme di integrazione dei me-dici di famiglia con le altre professionalità deidistretti; nell’ambito dell’assistenza ospedalie-ra sono stati emanati provvedimenti di riordi-no e manutenzione della rete; nell’ambito del-la prevenzione, la Regione Piemonte si è dota-ta nel 2009 del suo primo Piano Regionale perla Prevenzione.

Considerando una serie di 23 indicatori diperformance, il Piemonte si colloca all’internodel gruppo di regioni virtuose con riferimentoai settori assistenza ospedaliera e assistenza di-strettuale; più ampi divari da colmare riguar-dano invece l’assistenza farmaceutica e l’atti-vità di prevenzione. Le donne piemontesi so-no scarsamente presenti nelle posizioni deci-sionali e di rappresentanza e prevalentementein formule contrattuali di tipo dipendente enel settore dei servizi, con buone performancesolo nel settore pubblico. Anche l’analisi delrapporto con la politica fa emergere aspetticritici: i recenti rinnovi amministrativi in Pie-monte confermano una forte sotto-rappresen-tazione istituzionale femminile. Il confrontotra il 2009 e il 1999 mostra comunque un mi-glioramento del rapporto delle persone con lapolitica che le donne esprimono, per esempioraddoppiando la percentuale di chi parla dipolitica ogni giorno (dal 3,8% al 7,9%) e au-

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mentando di oltre sette punti percentualil’informazione quotidiana (dal 28% al 35,4%)e la partecipazione a cortei (da 2,7% a 5,2%)o l’ascolto di un dibattito (da 13,3% a19,9%). Il quadro complessivo, dunque, per-mane portatore di evidenti criticità, anche seuno sguardo ampio e temporalmente dilatatolascia spazio per valutazioni positive.

Il Piemonte, nel complesso, è una regionerelativamente agiata e anziana: il Pil pro capi-te è simile a quello di molte regioni europee diconfronto, ma inferiore a quello di tutte le re-gioni dell’Italia settentrionale tranne la Ligu-ria, ed è una delle più vecchie del Nord.

I valori d’inclusione sono solo in parte po-sitivi: la popolazione attiva è in crescita, l’ac-coglienza per le comunità straniere è nella me-dia, la partecipazione delle donne alla politicamodesta, soprattutto in confronto alle regionieuropee. La percentuale di adulti che nonproseguono gli studi oltre l’obbligo è in dimi-nuzione ma si situa oltre la media del Nord. Iltasso di disoccupazione è più elevato di quellodelle altre regioni settentrionali ma inferiore aquello delle regioni francesi, spagnole e bri-tanniche di confronto. Sul fronte salute il si-stema sanitario piemontese si colloca vicinoalla media delle regioni italiane di confronto,gli stili di vita sono lievemente più salutari del-

Fig. 5 Giudizio positivo (soddisfacente o buono) sul funzionamento di alcuni servizi pubblici (valori %)

Fonte: SWG/IRES

010

4030

50607080

10090

20

Feb. 2008Feb. 2009Feb. 2010Feb. 2010 stranieri

Servizisanitari

Pubblicasicurezza

Serviziculturali

Servizi perlo sport

Serviziambientali

Serviziscolastici

Trasportipubblici

Servizi peranziani

Servizi perla primainfanzia

Serviziper illavoro

Serviziper le

personediversamente

abili

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la media e gli indicatori di salute buoni ma lie-vemente sotto media. La raccolta differenziatadei rifiuti è su percentuali elevate e in crescita.In termini di empowerment, si segnalano buo-ne opportunità di studio per i giovani ma dif-ficoltà nel trovare un lavoro stabile, il che con-diziona negativamente (per la precarietà e lebasse remunerazioni) la formazione di nucleifamiliari.

L’inizio del 2010 mostra un moderato mi-glioramento del clima di fiducia in Piemonte,per lo meno rispetto ai risultati molto negati-vi dell’anno precedente. Migliorano, analo-gamente a quanto è avvenuto a livello nazio-nale, sia le previsioni sui dodici mesi succes-sivi relative alla situazione economica dell’I-

talia sia il giudizio sulla situazione della pro-pria famiglia. Migliora il trend sulla percezio-ne della situazione finanziaria familiare rela-tivamente alla possibilità di risparmiare in fu-turo. Questi giudizi si devono però interpre-tare alla luce di un trend passato molto nega-tivo: stazionario, in quest’ambito, significapermanenza di condizioni difficili. Migliorail livello di fiducia in alcune istituzioni pub-bliche cruciali (forze dell’ordine e magistra-tura) e rimane buona la soddisfazione per iprincipali servizi pubblici (in particolare perla sanità). I primi riscontri riferiti ai cittadininon italiani evidenziano un buon livello di fi-ducia nelle istituzioni e di gradimento deiservizi.

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RICE

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RAPPORTO ISTRUZIONE2009

LUCIANO ABBURRÀ

CARLA NANNINelle passate edizioni l’Osservatorio ha documentato con

continuità che fino alle soglie del 2000 la popolazionescolastica e universitaria faceva registrare una sistematica

tendenza alla contrazione, a cui faceva riscontro unadiminuzione delle sedi scolastiche, per soppressione o

accorpamento di quelle preesistenti. Tra il 2000 e il 2001 sisono registrati diversi segnali, che gli anni successivi hannoconfermato e rafforzato, di esaurimento della tendenza al

restringimento, e di avvio di un’apprezzabile inversione. Il2004 e il 2005 hanno consolidato questa tendenza alla ripresa

e ne hanno confermato l’estensione anche ai livelli medio-superiori, in forza del ruolo prevalente assunto dall’aumento

degli studenti stranieri. Nel 2008, come già nel 2007, tanto ailivelli di base dell’istruzione quanto nella scuola secondaria

superiore, gli allievi del sistema d’istruzione piemonteseconfermano di essere in ulteriore e apprezzabile crescita,nonostante una stazionarietà della popolazione giovanile

autoctona. Ciò è dovuto soprattutto al numero semprecrescente di allievi stranieri, in rapida espansione dai livelliiniziali a quelli intermedi del sistema scolastico, ma anche a

un incremento della scolarizzazione degli autoctoni,soprattutto ai due estremi della scuola dell’infanzia, da un

lato, e degli studi superiori dall’altro

Nel 2009 sembrano manifestarsi significative discontinuità: inprimo luogo un rallentamento della tendenza alla crescita degliallievi, con il saldo positivo degli stranieri che fa sempre più fa-

tica a compensare quello negativo degli autoctoni. Soprattutto nel fun-zionamento o fluidità dei percorsi di studio si registra una tendenza alpeggioramento degli indicatori di successo/insuccesso, indipendente-

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mente dalla cittadinanza e dal genere degli al-lievi (anche se gli stranieri confermano in me-dia di incontrare difficoltà relativamentemaggiori). D’altronde, per la prima volta do-po molti anni, si registra un calo del tasso discolarizzazione superiore (iscritti alla secon-daria di secondo grado/popolazione in etàcorrispondente), che si associa a un aumentodella quota di giovani d’età compresa fra 18 e24 anni che risultano in possesso del solo ti-tolo dell’obbligo e non sono più coinvolti daalcun processo di istruzione-qualificazione.Ciò potrebbe essere un’altra conseguenzadella crescita della presenza relativa di stra-nieri fra gli adolescenti, meno propensi a fre-quentare fino al termine gli studi superiori epiù interessati a cercare occupazione subitodopo l’obbligo.

Ma le discontinuità non sono solo negati-ve: da anni si sottolineava con preoccupazioneuna tendenza a favorire i licei a discapito degliindirizzi tecnici (non dei professionali), per iquali si sostiene esserci in Piemonte una do-manda di lavoro superiore all’offerta disponi-bile. Nel corso del 2009 invece si registra undeciso recupero della domanda di istruzionetecnica, a fronte di una certa flessione di quel-la rivolta ai licei. Questa inversione di tenden-za, se fosse confermata, testimonierebbe unasensibilità degli orientamenti degli indivi-dui/famiglie rispetto ai segnali che manda loroil contesto istituzionale (dove a una fase di no-tevole incertezza è seguita una scelta più chia-ra in favore delle specificità delle filiere tecni-che), oltre che il contesto economico-occupa-zionale.

Nel corso del 2009 si registra undeciso recupero della domandadi istruzione tecnica, a fronte di

una certa flessione di quellarivolta ai licei

Mentre prosegue lo scivolamento del-l’onda bassa della demografia giovanile deipiemontesi sulle età superiori a quelle dipertinenza del sistema scolastico strettamen-

te inteso, gli iscritti all’università in Piemon-te mantengono un profilo di crescita tenden-ziale su valori complessivi che superano perla prima volta le 100.000 unità. Tale valore,rapportato al numero dei piemontesi d’etàcompresa fra 19 e 25 anni, resta uno dei me-no elevati d’Italia (con quelli lombardo e ve-neto), anche se nell’anno 2008/2009 il tassodi crescita degli iscritti all’università in Pie-monte è diventato più alto di quello medionazionale. Data la contemporanea crescitamigratoria della popolazione i margini teori-ci d’incremento restano dunque consistenti,anche in rapporto ai contingenti delle etàpiù convenzionali. Va però considerato cheuna tendenza sempre più percepibile fa rite-nere che nella definizione della domandacomplessiva d’istruzione e formazione supe-riore sarà sempre più rilevante il contributodelle classi d’età adulte, in un quadro che as-segna alle molte forme di lifelong learningun peso crescente rispetto all’educazioneiniziale. È forse proprio da questo lato chesono da attendersi le più rilevanti tensioni edomande di cambiamento negli assetti del-l’offerta formativa complessiva. Ma è anchedi qui che possono realisticamente essereprodotte quelle modificazioni nelle qualifi-cazioni medie della popolazione piemonteseche molti auspicano e tanti ritengono indi-spensabili a una effettiva ridefinizione su ba-si più solide degli assetti economici e socialidella regione.

Sul piano della configurazione struttura-le dei servizi, così come nella loro distribu-zione territoriale, già negli anni novanta ave-vano preso avvio importanti cambiamentiqualitativi. Più recentemente i mutamentiistituzionali hanno preso una consistenzamaggiore. Per i prossimi anni si profila unquadro ancora in crescita delle dimensionidel sistema e della sua diversità interna,mentre l’impegno dei responsabili dovràconcentrarsi sull’implementazione di rile-vanti innovazioni istituzionali e organizzati-ve sia nell’offerta di servizi formativi sia nel-la valutazione dei loro rendimenti in terminidi apprendimento. Salvo possibili rallenta-menti, sembrano ormai imminenti passiavanti significativi nella decentralizzazionedei sistemi dell’istruzione a scala regionale e

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locale; un processo sanzionato sul piano co-stituzionale dalle modifiche apportate allacarta fondamentale nel 2001. Maggior de-centralizzazione e maggiore autonomia do-vranno avere come necessario complementoun aumento e una qualificazione delle atti-vità di valutazione esterna sugli apprendi-menti, con riferimento sia all’operare dellescuole sia alle politiche pubbliche a scala re-gionale e locale. Nuove dinamiche e maggio-ri interazioni fra i diversi soggetti istituzio-nali caratterizzeranno sempre più lo sfondodelle decisioni e dei comportamenti dei sog-getti scolastici singoli e organizzati.

Una tendenza sempre piùpercepibile fa ritenere che nella

definizione della domandacomplessiva d’istruzione eformazione superiore sarà

sempre più rilevante ilcontributo delle classi d’età

adulte

Resta altamente auspicabile che gli sforzi ele realizzazioni non restino tutti concentratisull’offerta di formazione iniziale per i giova-ni, ma sappiano arricchire le opportunità diformazione in alternanza per gli stessi giovani(dei quali un’ampia quota non riesce a fruirecon successo dei benefici dell’attuale offertascolastica) e accrescere le possibilità di educa-zione-istruzione-formazione per persone ditutte le età, abbandonando le rigidità del tra-dizionale modello sequenziale.

Già negli anni scorsi si è ricordato che intempi e in contesti di mutamento uno dei ri-schi è la perdita dell’orientamento. Un contri-buto in questo senso può venire anche dalladisponibilità di periodiche ricognizioni delleinformazioni statistiche sulle diverse compo-nenti del sistema educativo, condotte con unorientamento che privilegi la documentazio-ne-descrizione alla discussione-valutazione, ela globalità dell’orizzonte rispetto all’ap-profondimento con cui ogni sua parte potreb-be essere trattata in monografie dedicate.

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Il Rapporto 2009, in continuità con ilpassato, dedica un’attenzione comparabilesia al sistema scolastico sia al sistema univer-sitario. Del primo si occupa con molto det-taglio e puntualità una rilevazione ormaitrentennale della Regione Piemonte, i cui ri-sultati originali trovano elementi di confron-to e integrazione anche in altre fonti d’origi-ne ministeriale o ISTAT. Un’attenzione versol’università e i suoi mutamenti si giustificaanche per la continua e considerevole cresci-ta delle persone coinvolte da tale livello d’i-struzione, cui accede la maggior parte di co-loro che escono dal sistema scolastico supe-riore e che ha visto il numero dei laureati di-ventare tre volte più consistente nel giro diuna decina d’anni. Grazie alla collaborazio-ne dell’Osservatorio Regionale per l’Univer-sità e il Diritto allo Studio Universitario, si èpotuto quest’anno inserire uno specifico ca-pitolo di approfondimento su caratteristi-che, composizione e percorsi prima e dopola laurea di questi laureati, attingendo allabanca dati dell’Associazione AlmaLaurea,con risultati che evidenziano realtà tanto in-teressanti quanto problematiche, anche per-ché non sempre coincidenti con le previsioniistituzionali e con le convinzioni di senso co-mune.

All’altro estremo della distribuzione peretà dei fruitori di servizi di natura educativa –e sempre sul versante dell’integrazione-inno-vazione dei contenuti – va particolarmente se-gnalata quest’anno una monografia originalesui servizi educativi offerti ai bambini d’età in-feriore a quella scolare. Mentre a livello inter-nazionale sono sempre più numerosi gli studie i programmi d’intervento che enfatizzanol’importanza decisiva che le esperienze e pra-tiche educative negli anni della prima infanziahanno nei confronti dei percorsi scolasticisuccessivi, è parso opportuno realizzare unprimo passo anche solo descrittivo-quantitati-vo verso una miglior conoscenza di offerta edomanda di servizi educativi in età prescolarenella nostra regione, nelle sue diverse areeprovinciali, a confronto con altri territori delnostro paese.

Va infine richiamato lo specifico ap-profondimento dedicato all’analisi dei risul-tati regionali dell’indagine OCSE PISA sui li-

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RCHE cata maggior qualificazione della popolazio-

ne piemontese. Dopo il contributo sui risul-tati di PISA 2006 proposto nell’edizione del-l’anno scorso, il contributo monografico diquest’anno riferisce dei risultati di uno stu-dio dell’IRES sulle possibili relazioni fra fat-tori del contesto socioeconomico e culturaleentro cui le scuole operano e i risultati con-seguiti dagli studenti alle prove PISA. Si è sot-toposta alla prova dell’analisi statistica l’ipo-tesi che tale relazione possa essere mediata edunque influenzata dalla maggiore o minorevalorizzazione che proprio il contesto rico-nosce agli apprendimenti scolastici e dunqueall’impegno speso per conseguirli e miglio-rarli.

Lo specifico approfondimentodedicato a PISA rilevacompetenze generali e

fondamentali che dovrebberopossedere tutti i cittadini per

poter studiare, lavorare,partecipare alla vita civile in

modo “normale”, oggi e nellaloro futura vita lavorativa

Nel complesso, tanto nelle scelte di conti-nuità quanto in quelle di innovazione, l’inten-to perseguito da coloro che hanno lavorato al-la produzione del volume del Rapporto sull’i-struzione è quello di renderne più utile e piùagevole la fruizione da parte dei suoi utilizza-tori prioritari: in primo luogo le scuole e leistituzioni educative piemontesi che concorro-no generosamente a fornire le informazioni dibase necessarie alla sua predisposizione. Sen-za la loro disponibilità nessun osservatorio sa-rebbe possibile, per cui il primo obiettivo delRapporto resta quello di “ripagare” in qual-che modo questo impegno, fornendo una vi-sione d’insieme delle tendenze in atto che aciascuno dei singoli operatori potrebbe esserepreclusa.

Nel contempo, si è ormai solidamente af-fiancata all’edizione cartacea, anticipandone

velli di apprendimento dei quindicenni in al-cune fondamentali aree di competenza: lalettura, la matematica e le scienze, con la col-laborazione di Regione Piemonte e della di-rezione regionale del Ministero dell’Istruzio-ne. La scelta di collocare anche all’internodel Rapporto annuale sul sistema dell’istru-zione una presentazione sintetica dei risulta-ti di tali studi indica la valutazione condivisada Regione e IRES dell’opportunità di affian-care e di proporre alla considerazione dei let-tori sia dati sulle quantità dei servizi educati-vi e dei loro beneficiari sia dati in certo modoqualitativi sui livelli e sulla distribuzione de-gli apprendimenti che attraverso quei servizi– anche se non in via esclusiva – vengono ef-fettivamente prodotti e acquisiti. Ciò può es-sere visto anche come una forma indiretta divalutazione sul rendimento dei servizi. Maforse è ancor più importante che venga con-siderato come un elemento ulteriore di cono-scenza dei livelli reali di qualificazione e del-le loro disparità per indirizzo e area geografi-ca con i quali l’intero sistema formativo devefare i conti. Quelle rilevate e misurate da PI-SA non sono competenze specialistiche disci-plinari, né abilità necessarie solo a coloro cheperseguano obiettivi di qualificazione di li-vello superiore. Sono competenze generali efondamentali che dovrebbero possedere tut-ti i cittadini per poter studiare, lavorare, par-tecipare alla vita civile in modo “normale”,oggi e nella loro futura vita lavorativa.

Il Rapporto 2009 dedicaun’attenzione particolare alsistema universitario per la

continua e considerevole crescitadelle persone coinvolte da tale

livello d’istruzione

Con queste, oltre che coi dati formali diuna sempre crescente partecipazione nume-rica ai processi di istruzione-formazione e diconseguimento di titoli di studio, dovrebbesistematicamente confrontarsi il giudizio suquanto e come proceda per davvero l’auspi-

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livelli d’apprendimento dei ragazzi e ragazzequindicenni di circa 40 paesi del mondo. Icontributi più recenti riguardano i risultati del-la rilevazione PISA del 2006, centrata sullecompetenze scientifiche, mentre a fine 2010l’Osservatorio darà conto dei test PISA sulle ca-pacità di lettura.

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RCHEi tempi di pubblicazione in misura rilevante,

la versione “elettronica” consultabile in In-ternet. Fin dal 2000 è attivo il sito webwww.sisform.piemonte.it, di cui l’Osservatorioistruzione è stato il primo componente struttu-rato. Dal 2003, inoltre, il sito ospita anche unospazio dedicato alla rilevazione PISA-OCSE sui

Fig. 1 Scuola secondaria di II grado: incidenza percentuale degli alunni in ritardo rispetto all’età regolare, per anno di corso (con-fronto AA.SS. 2005/2006, 2006/2007, 2007/2008 e 2008/2009)

Fonte: elaborazione IRES su dati Rilevazione Scolastica Regione Piemonte

I anno

2005/2006 2006/2007 2007/2008 2008/2009

32,0

30,0

28,0

26,0

24,0

22,0

20,0

II anno III anno IV anno V anno Totale

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LA VALUTAZIONE EX POSTDEL PIANO DI SVILUPPO

RURALE 2000-2006:UN COMPLESSO PERCORSO PER

COMPRENDERNE GLI EFFETTI E MIGLIORARELE POLITICHE RURALI FUTURE

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STEFANO AIMONE Il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2000-2006 è “figlio”di Agenda 2000, la svolta strategica con cui l’Unione

Europea, alla fine degli anni novanta, ha avviatoun’importante riforma dei fondi strutturali. Il Piano,

nel suo periodo di azione, ha rappresentato l’interventopiù significativo a favore dell’agricoltura e dello sviluppo

rurale gestito dalla Regione Piemonte e dagli enti delegati.Contestualmente alla riforma, l’Unione Europea ha dato

un forte impulso alle attività di valutazione delle politiche,rendendole obbligatorie per tutte le forme d’intervento

cofinanziate a livello comunitario. L’UE ha quindidemandato alle autorità responsabili della gestione

dei PSR il compito di istituire una procedura di valutazionedell’impiego delle risorse e degli effetti ottenutirispetto ai beneficiari, al settore e al territorio.

La valutazione ex-post del PSR 2000-2006 della RegionePiemonte è stata affidata all’IRES Piemonte, con il supporto

dell’IPLA spa per quanto riguarda i temi dell’ambiente e delleforeste, in ragione delle rispettive specificità e competenze.I due soggetti hanno costituito un unico gruppo di lavoro,

coordinato dall’IRES e affiancato anche dal supportoinformatico del CSI Piemonte.

Quella del PSR 2000-2006 è la prima valutazione di taleportata e complessità, realizzata in Piemonte, per quanto

concerne lo sviluppo rurale. La sua esecuzioneha messo in evidenza problemi e limiti di natura

metodologica e organizzativa, in parte causatida una non ottimale disponibilità di informazioni.Essa rappresenta, tuttavia, un prezioso contributo

per la futura programmazione e per sviluppare la culturae la prassi della valutazione nell’ambito della Regione,

degli enti locali del Piemonte e dei portatori di interessecoinvolti dal Piano

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Un Piano nel segno della continuità macomplesso da attuare e valutare

La valutazione ha confermato la correttezzadel bilanciamento delle risorse del Piano maha anche evidenziato, attraverso le difficoltàattuative riscontrate per alcune misure minori,come l’intenzione di affrontare uno spettro ditemi assai ampio – ma con risorse contenuteper alcuni di essi – fosse per alcuni aspetti vel-leitario, tenuto conto della rilevanza dei pro-blemi e del loro radicamento nel tempo. Inol-tre, tale impostazione ha accresciuto notevol-mente le difficoltà di valutazione del Piano.

La maggior parte delle misure previste dalPSR 2000-2006 deriva da linee di interventogià presenti da decenni (ad esempio gli inter-venti strutturali nelle aziende agricole e nell’a-groindustria, la formazione) oppure introdot-te in tempi più recenti ma già consolidate (mi-sure agroambientali, ricambio generazionale).Il PSR della Regione Piemonte, quindi, è statoimpostato con un approccio basato sulla con-tinuità rispetto al passato. Tale carattere pre-senta indubbi pregi, come quello di contare sumeccanismi attuativi già in parte collaudati;d’altra parte non è libero da difetti, in primoluogo quello di rafforzare nei portatori di in-teresse posizioni orientate al mantenimentodello status quo, limitando la portata innovati-va del Piano.

A livello di spesa effettivamente sostenuta,l’attuazione del PSR ha mostrato una perfor-mance crescente, in linea con gli obiettivi pro-grammati (il cosiddetto Profilo di Berlino).Solo nel 2005 il risultato è stato inferiore aquanto previsto. A tutto il 2006, il PSR ha im-piegato 380 miliardi di euro di quota FEOGA,con una soddisfacente percentuale di realizza-zione pari al 104,7%. Relativamente alla spesapubblica totale, il grado di utilizzo per il PSR

nel suo insieme è pari al 94% dell’assegnato,ma con una significativa variabilità tra assi emisure.

Effetti rilevanti soprattutto in termini disostenibilità

Per quanto riguarda gli effetti del Piano, inestrema sintesi, dalla valutazione emerge che

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il PSR 2000-2006 della Regione Piemonte haottenuto effetti modesti in termini di miglio-ramento della competitività settoriale, per lomeno sotto il profilo degli indicatori diperformance economica delle aziende agrico-le. Questo si spiega con il fatto che le impresebeneficiarie si sono soprattutto orientate versoun’ottimizzazione dei fattori produttivi e l’a-deguamento alle normative, migliorando ilproprio livello di sostenibilità. Una congiun-tura sfavorevole dei mercati agricoli, oltretut-to, non ha facilitato un rapido ammortamentodegli investimenti, appesantendo il bilanciodelle imprese beneficiarie. Il PSR ha mostratoeffetti più evidenti in termini di innovazione equalificazione dei prodotti da parte delle im-prese agroindustriali finanziate, con positiviriflessi su sicurezza alimentare, condizioni dilavoro e incremento del valore aggiunto.

È stato piuttosto rilevante l’effetto dellemisure rivolte all’innalzamento della sosteni-bilità dei processi agricoli e forestali, grazie inprimo luogo alle misure agroambientali, so-prattutto in termini di estensione territoriale ein ragione della rilevanza delle risorse com-plessivamente assegnate, permettendo in talmodo di ottenere ricadute ambientali apprez-zabili e diffuse sul territorio.

Il PSR ha mostrato effetti piùevidenti in termini di

innovazione e qualificazione deiprodotti da parte delle impreseagroindustriali finanziate, con

positivi riflessi su sicurezzaalimentare, condizioni di lavoroe incremento del valore aggiunto

Il Piano, infine, ha ottenuto interessanti ef-fetti di contributo alla rivitalizzazione dellearee rurali marginali della regione, per quantonon in modo diffuso, attraverso la convergen-za territoriale di interventi strutturali, ambien-tali e di miglioramento della qualità della vitache, nel complesso, hanno creato opportunitàdi reddito e occupazione in aree tendenzial-mente depresse.

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RCHE aumento della multifunzionalità agricola e fo-

restale e il miglioramento delle condizioni divita, per quanto in modo puntuale, nelle areerurali.

Il PSR, in diverse situazioni, ha contribuitoa innescare un circuito di sviluppo ruralecomplessivo, stimolando la creazione di unasorta di rete tra gli elementi attrattivi del terri-torio incentivati dal Piano (come gli agrituri-smi o i punti di vendita diretta) che hanno ri-chiamato maggiore interesse sulle peculiaritàlocali, spesso valorizzate con fiere, feste, servi-zi didattici, ecc., attivando anche una doman-da turistica e culturale. Un altro esempio, puòessere quello dell’effetto attivato dall’introdu-zione delle tecniche a ridotto impatto ambien-tale, incentivata dal PSR con le misure dell’As-se III, nei confronti dell’industria dei fattoriproduttivi e del settore dei servizi di consu-lenza.

Il PSR ha innescato uno svilupporurale complessivo, stimolandola creazione di una rete tra gli

elementi attrattivi del territorio(agriturismi o punti di venditadiretta) che hanno richiamato

maggiore interesse e unadomanda turistica e culturale

verso fiere, feste, servizididattici, ecc.

In quest’ottica, per quanto nato con un’impo-stazione settoriale, ereditata dalle linee di in-tervento preesistenti, si può affermare che ilPSR della Regione Piemonte sia stato effettiva-mente un Piano “rurale”, ovvero in grado diconciliare il sostegno settoriale con le ricaduteambientali e socioeconomiche generali.

Qualche raccomandazione

In termini di raccomandazioni generali, la va-lutazione suggerisce per le future politiche ru-rali della Regione Piemonte, di introdurre un

Poca integrazione ma interessanti sinergie

Il PSR ha tendenzialmente operato attraversoun’impostazione poco integrata, sia al suo in-terno, sia rispetto ad altre politiche rilevantiper il territorio rurale. Un altro elemento dicriticità generale riguarda la scarsa selettivitàe finalizzazione con cui sono state attuate al-cune misure, in particolare quella dedicataagli investimenti nelle aziende agricole, fattoreche può concorrere a spiegarne gli effetti limi-tati sul bilancio delle imprese.

Tuttavia, si sono verificate interessanti si-nergie, come ad esempio quella tra la misuradegli investimenti aziendali rispetto a quelledestinate al ricambio generazionale e all’agri-turismo, anche grazie ai meccanismi di prio-rità previsti. Altre misure, inoltre, come adesempio quelle riferite all’art. 33 del Regola-mento (CE) n. 1257/1999, hanno mostratouna ricaduta territoriale congiunta, producen-do una sorta di “integrazione di fatto”, grazieanche alle modalità attuative basate sulla regiaregionale affiancata dalla capacità progettualee realizzativa locale.

Questa impostazione del Piano, quindi, hapermesso di ottenere una relativa concentra-zione delle risorse verso particolari categoriedi beneficiari, come i giovani, o particolari ter-ritori, come le aree montane.

Sono anche emersi pregi e difetti di un’ap-plicazione basata sui principi del decentra-mento amministrativo e della sussidiarietà,che hanno avvicinato il Piano alle diverserealtà territoriali, ma hanno anche comportatodifficoltà gestionali e una certa dispersivitàstrategica.

Un Piano effettivamente “rurale”

Nel complesso, il PSR 2000-2006 della Regio-ne Piemonte ha promosso un modello di svi-luppo agricolo e rurale che si potrebbe defini-re di “competitività sostenibile”, in linea conl’obiettivo globale del Piano e incentrato sul-l’attenuazione degli effetti negativi delle atti-vità agricole sull’ambiente e la salute di opera-tori e cittadini e sullo stimolo a incrementarele ricadute positive. Anche attraverso le misu-re dell’art. 33, si è ottenuto nel complesso un

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Il PSR 2000-2006 della Regione Piemonte in sintesi

Il PSR 2000-2006 della Regione Piemonte era incentrato su un obiettivo globale, che consistevanella “promozione di uno sviluppo (ambientalmente e socialmente) sostenibile in tutte le areerurali della Regione, mediante il consolidamento della multifunzionalità e pluriattività dell’a-gricoltura nel contesto economico, sociale e territoriale della Regione, con la creazione per gliagricoltori e per le loro famiglie anche di fonti di reddito e di occupazione complementari, spe-cie nelle aree in declino rurale, e nell’ambito delle pari opportunità tra uomini e donne”.

Il Piano si articolava in tre assi, indirizzati verso tre capisaldi strategici distinti: lo sviluppodella competitività settoriale, basata sull’ammodernamento del sistema agricolo e agroindu-striale (asse I); la necessità di intervenire con un’ampia dotazione di strumenti in sostegno del-lo sviluppo dei territori rurali e forestali (asse II); il perseguimento di un maggiore livello di so-stenibilità del settore agricolo e delle attività rurali in genere (asse III).

Per cogliere le implicazioni derivanti dall’ampiezza dei propri obiettivi, il PSR 2000-2006della Regione Piemonte era necessariamente strutturato come un Piano assai complesso, pro-babilmente il più articolato a livello nazionale. Le misure individuate erano in totale 20 (esclu-dendo la misura Y, inserita al termine della programmazione) e sei di queste si articolavano in24 azioni, configurando nel complesso ben 38 filoni di intervento.

Il PSR 2000-2006 prevedeva, nella sua programmazione finanziaria definitiva (2003), unaspesa pubblica totale di circa un miliardo di euro, compresi 135 milioni di euro dei cosiddettiaiuti di stato aggiuntivi. L’asse I e l’asse III hanno assorbito entrambi circa il 41% delle risor-se, mentre all’asse II è stato destinato il 12%. La parte restante è stata utilizzata principal-mente per sostenere gli impegni acquisiti da alcune misure in corso della precedente pro-grammazione.

La rilevanza delle diverse misure si può dedurre dalla rispettiva incidenza sul totale dellaspesa pubblica prevista. In tal senso spiccavano la misura A-Investimenti nelle aziende agrico-le (17% dei pagamenti effettuati) e la F-Misure agroambientali (35,4% dei pagamenti), che fi-guravano come cardini strategici del Piano. La misura F, in particolare, era articolata in nu-merose azioni e costituiva il gruppo di interventi non solo più significativo dal punto di vistaeconomico ma anche quello più complesso dal punto di vista tecnico e attuativo. Anche le mi-sure di cui all’articolo 33 del Regolamento (CE) 1257/1999 (J, K, P, U, L, M, Q, S, N, R, T) dicarattere prevalentemente territoriale, costituivano un insieme particolarmente complesso earticolato; a esse afferisce il 14,5% dei pagamenti effettuati.

Tutte le misure del PSR 2000-2006 della Regione Piemonte erano applicabili sull’intero ter-ritorio regionale, salvo l’azione specifica per le zone svantaggiate (E1) e alcune misure dell’ar-ticolo 33. Nel complesso, attraverso la territorializzazione, il PSR puntava a una relativa con-centrazione dell’aiuto nelle aree con maggiore svantaggio socioeconomico e ambientale, che inPiemonte sono distribuite in parte nell’area collinare e praticamente in tutta la fascia montanadella regione. A tale scopo, la maggior parte delle misure prevedeva una priorità per le areemontane.

to per mirare a effetti superiori in termini eco-nomici e d’innovazione per le aziende agrico-le. Dalla valutazione è emersa, infine, la neces-sità di porre attenzione alle “nuove sfide” de-rivanti dall’Health Check della PAC, in relazio-ne alla loro rilevanza generale, ma nel frattem-po la Regione ha già provveduto ad adeguareil nuovo PSR.

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RICE

RCHEmaggiore livello di integrazione interna e ver-

so le altre politiche rivolte all’agricoltura e alterritorio montano. Un approccio integratodovrebbe evitare, tra l’altro, l’effetto disincen-tivante e di limitazione delle sinergie, connes-so a una tempistica dei bandi non coordinata.Inoltre, si propone una maggiore selettivitàdegli interventi rivolti alle imprese, soprattut-

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Articolazione in assi, sottoassi e misure del PSR 2000-2006 della Regione Piemonte

Asse Sottoasse MisuraArticolo/iReg.1257/99

Titolo della misura

I

Ammodernamentodel sistemaagricolo eagroindustriale

1.1 Aziendeagricole

A da 4 a 7Investimenti nelle aziendeagricole

B 8Insediamento dei giovaniagricoltori

C da 10 a 12 PrepensionamentoJ 33 (t. 1) Miglioramento fondiarioK 33 (t. 2) Ricomposizione fondiariaP 33 (t. 7) Diversificazione delle attività

U 33 (t. 12)Ricostituzione del potenzialeagricolo

1.2 Trasformazioneagroindustriale

G da 25 a 28Miglioramento delle condizionidi trasformazione

1.3 Servizi estrutture per leaziende

C 9 Formazione

L 33 (t. 3)Avviamento di servizi diassistenza alla gestione

M 33 (t. 4)Commercializzazione diprodotti agricoli di qualità

Q 33 (t. 8)Gestione delle risorse idriche inagricoltura

II

Sostegno almiglioramentodell’ambienterurale

2.1 Gestioneforestalesostenibile

I 30 e 32 Altre misure forestali

H 31Imboschimento delle superficiagricole

2.2 Pluriattivitàrurali

S 33 (t. 10)Incentivazione di attivitàturistiche e artigianali

2.3 Servizi estrutture perl’economiarurale

N 33 (t. 5)Servizi essenziali per l’economiae la popolazione rurale

R 33 (t. 9)Sviluppo e miglioramento delleinfrastrutture rurali

III

Ambiente

3.1 Zonesvantaggiate

E da 13 a 21 Zone svantaggiate

3.2 Sistemiproduttivi,spazio naturalee biodiversità

F da 22 a 24 Misure agroambientali

3.3 Uso risorseagroforestali

T 33 (t. 11)Tutela dell’ambiente inrelazione all’agricoltura, ecc.

52 I N F O R M A I R E S , A N N O X X I , N . 3 8 , O T T O B R E 2 0 1 0

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RCHE

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I N F O R M A I R E S , A N N O X X I , N . 3 8 , O T T O B R E 2 0 1 0 P P . 5 3 - 5 6

L’Osservatorio ICT del Piemonte è stato costituito alla finedel 2004. Affidato all’IRES Piemonte, vede la partecipazionedi Regione Piemonte, CSI-Piemonte, CSP, Istituto SuperioreMario Boella e Politecnico di Torino. Viene utilizzato con

profitto dal programma WI-PIE (già Rupar2), che harecentemente completato la realizzazione di un’infrastruttura

a banda larga su tutto il territorio piemontese

L’Osservatorio è finalizzato a:• documentare il processo di penetrazione delle ICT nel sistema socioeco-

nomico piemontese, permettendone una valutazione efficace grazie allaperiodicità e alla continuità dell’attività di monitoraggio;

• mettere a disposizione della collettività regionale, degli operatori eco-nomici e della pubblica amministrazione riflessioni sui temi oggetto distudio;

• contribuire alla creazione di condizioni per valutare criticamente le ini-ziative ICT realizzate o in progetto;

• favorire la formazione di un “sentire comune” che faciliti la realizzazio-ne di azioni e di iniziative sinergiche nell’uso delle ICT;

• promuovere occasioni di dibattito e di confronto delle esperienze rea-lizzate, in ambito regionale e internazionale.

Questo rapporto raccoglie i principali risultati emersi dalle attività di ri-cerca dell’Osservatorio ICT del Piemonte condotte nel 2008. Analogamen-te a quello dello scorso anno, il rapporto fornisce un quadro dei contributiche le ICT possono dare alla costruzione della Società dell’Informazione inPiemonte.

Dopo aver illustrato un profilo sintetico della situazione della Societàdell’Informazione piemontese (capitolo 1), il rapporto richiama le caratte-ristiche delle imprese ICT piemontesi e ne evidenzia i trend di sviluppo più

SYLVIE OCCELLI

OSSERVATORIO ICTRAPPORTO 2009 RI

CERC

HE

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recenti dal punto di vista economico (capitolo2). L’attenzione poi si rivolge ai livelli di dota-zione delle infrastrutture a banda larga, met-tendone in luce le dinamiche di crescita e ifabbisogni nelle diverse aree sub-regionali (ca-pitolo 3). La parte centrale del documento(capitolo 4) analizza i processi di diffusione(adozione e utilizzo) delle ICT presso i princi-pali attori della Società dell’Informazione (leimprese, i cittadini e la PA). Il rapporto si con-clude con una rassegna delle recenti iniziativeregionali in materia di Società dell’Informa-zione (capitolo 5).

Le imprese ICT

Sono analizzati i trend economico-finanziaridelle circa 1.500 aziende ICT più grandi a li-vello regionale, contenute nel database AIDA.Le analisi riportate evidenziano un migliora-mento di produttività e di redditività per tredei quattro comparti industriali ICT, oltre aconfermare alcune delle debolezze strutturaliche lo caratterizzano a livello regionale.

Nell’ultimo anno si è assistito aun aumento considerevole dicomuni che possono accedere

(anche o solamente) a unaconnessione wireless (oltre 300

comuni)

Emergono infatti dall’analisi la limitata naturacapital intensive del settore e la fortissima pre-valenza di piccole aziende, con conseguentiimplicazioni negative sulla capacità del settoredi produrre innovazioni in grado di migliorar-ne la competitività.

La diffusione della banda larga

A settembre 2009 la copertura del territoriopiemontese tramite banda larga di tipo wiredo wireless è pressoché totale (solo 40 comunine sono ancora privi). L’85% dei comuni ha

accesso a connessioni XDSL. Nell’ultimo annosi è assistito a un aumento considerevole di co-muni che possono accedere (anche o solamen-te) a una connessione wireless (oltre 300 co-muni). Anche la varietà dei mix di offerta (co-stituiti da una qualche combinazione di XDSL,WI-FI, UMTS e fibra ottica) si sta ampliando.

Le imprese che acquistano online sono passate dal 40% nel2007 al 52% nel 2008. Coloroche vendono on line, invece,

costituiscono un’aliquotainferiore al 10%

Miglioramenti della copertura territorialee della varietà dei mix di offerta sono fattoridecisivi nel favorire l’adozione di banda largapresso famiglie e imprese. Nel 2008, quasi tut-te le imprese (91%) possiedono connessioni abanda larga (XDSL o superiore), anche se l’ali-quota di coloro che dispongono di connessio-ni con velocità superiore ai 20 MBPS è ancoramodesta (7%). Per le famiglie, la percentualedi adozione nel 2008 raggiunge il 45%, nel2007 era del 37%.

La diffusione delle tecnologie e dei serviziICT

ImpreseNel 2008, l’utilizzo delle ICT da parte delle im-prese piemontesi si rafforza, anche se alcunecaratteristiche dell’impresa (in particolarel’appartenenza al settore manifatturiero e ladimensione piccola) incidono negativamentesulla propensione all’utilizzo delle tecnologie.Le imprese che acquistano on line sono passa-te dal 40% nel 2007 al 52% nel 2008. Coloroche vendono on line, invece, costituisconoun’aliquota ancora modesta (inferiore al10%). Anche l’utilizzo di strumenti di comu-nicazione on line sta crescendo (+17,4% perconferenze telefoniche, +9,4% per video con-ferenze e +9,2% per forum/chat). Da segna-lare un incremento apprezzabile dell’uso di

RICE

RCHE

I N F O R M A I R E S , A N N O X X I , N . 3 8 , O T T O B R E 2 0 1 0

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Internet come strumento per comunicare confornitori/partner (nell’ultimo anno si è rag-giunta la quota del 28%, mentre in passatonon si superava la soglia del 10%).

Infine, va sottolineato che le imprese piùattive sotto il profilo dell’utilizzo delle ICT

sembrano essere state quelle che hanno risen-tito in misura minore della crisi dell’ultimoanno: queste infatti hanno dichiarato un fattu-rato per addetto superiore di 1,3 volte rispettoalla media piemontese.

CittadiniLa fase di stallo nell’utilizzo di PC e di Inter-net degli anni scorsi sembra superata. Coloroche utilizzano il PC sono passati dal 53% nel2007 al 58% nel 2008, e gli utenti di Internetsono cresciuti dal 47% al 54%. La disponibi-lità di connessioni veloci può aver agevolatotale crescita.

Tutti i tipi di utilizzo di Internet sono in au-mento, seppur in misura più o meno significa-tiva. In particolare, tra il 2007 e il 2008, un in-cremento considerevole (circa 10 punti percen-tuali) si è verificato per coloro che acquistanoon line (da 31% nel 2007 a 41% nel 2008) eper coloro che hanno visitato il sito del propriocomune (da 53% 2007 a 68% nel 2008).

Differenze apprezzabili emergono fra gliutenti di Internet, soprattutto in relazione al-l’età. Come ci si può attendere, infatti, gliutenti adulti privilegiano un uso della rete perscopi “pratici”, mentre i più giovani predili-gono gli aspetti “comunicativi”.

Gli utenti adulti privilegiano unuso della rete per scopi

“pratici”, mentre i più giovaniprediligono gli aspetti

“comunicativi”

Al consolidamento dell’uso di Internet (siriducono infatti i non utenti e gli utenti spora-dici) si accompagna un miglioramento nellemodalità di accesso: nel 2007 coloro che face-vano un utilizzo “avanzato” del web erano il32%, nel 2008 la percentuale è salita al 40%.

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I N F O R M A I R E S , A N N O X X I , N . 3 8 , O T T O B R E 2 0 1 0

Le PA localiAnche per le PA locali si riscontrano segni tan-gibili di miglioramento, sia nell’adozione delleICT, sia nell’offerta di servizi on line, stimolatisoprattutto dall’applicazione del Codice dellaPA digitale del 2005.

Dal lato back-office, molti comuni mostra-no un interesse crescente alla gestione del pro-cesso di informatizzazione. Cresce infatti lapercentuale di comuni con responsabile infor-matico o ufficio informatico (si è passati dal25% del 2007 al 40% del 2009), e quella deicomuni che scelgono di affidare a soggettiesterni (privati o pubblici) una delle diverseattività legate alle ICT.

Dal lato del front-office, la quota dei co-muni con sito web ufficiale è salita dal 72% al77%. Anche il livello dei servizi offerti on linesta migliorando: i comuni che offrono almenoun servizio on line sono passati dal 55% nel2008 al 62% nel 2009.

Dal lato del front-office, la quotadei comuni con sito web

ufficiale è salita dal 72% al 77%

Gli spazi di miglioramento sono però am-plissimi. Solo il 17,6% dei comuni offre alme-no un servizio con un livello di interazione su-periore al download di moduli. Relativamentea tale attore la principale problematica cheperò continua a persistere è legata alla ridot-tissima dimensione di molti comuni nei qualiattuare un piano di e-government ad hoc ri-sulta impensabile. La collaborazione con sog-getti esterni, quali ad esempio le forme asso-ciative di appartenenza o le ALI (alleanze lo-cali per l’innovazione) è una soluzione chemolti comuni piccoli stanno iniziando a pren-dere in considerazione.

Good practices e iniziative pubbliche dellaSocietà dell’Informazione in Piemonte

Alle porte del 2010, le policy piemontesi che avario titolo e in modo trasversale promuovonole ICT (documenti programmatici, leggi regio-

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nali, programmi pluriennali) individuano co-me linee strategiche prioritarie la riconversio-ne produttiva e la riqualificazione territoriale,con particolare attenzione alla sostenibilitàambientale e alla valorizzazione delle risorseumane, riconoscendo inoltre l’importanza delruolo propulsivo di una rinnovata capabilitydi azione della PA.

La strategia regionale si concretizza in va-riegate iniziative internazionali e locali, chesono oggi ricondotte a un quadro strategicounitario tramite il Piano di Sviluppo Trienna-le per l’eGovernment e la Società dell’Infor-mazione e si appoggiano sulle infrastrutturemateriali e immateriali create dal programmaWI-PIE. Tra le priorità della programmazioneregionale, i progetti piemontesi del 2009 si fo-calizzano in particolare su sanità/assistenza,trasferimento tecnologico e riuso delle solu-

zioni esistenti da parte delle realtà minori. Ilcontesto europeo orienta la strategia ICT pie-montese, in particolare attraverso l’inter-scambio di esperienze permesso dalla parte-cipazione a reti internazionali, che ha stimo-lato una sempre maggiore attenzione del Pie-monte al trasferimento dei risultati della ri-cerca sul territorio attraverso l’approccio deilaboratori viventi.

Da iniziative europee, policy e progettilocali emerge come elemento chiave il temadella creatività, settore in rapida crescita chevede nelle ICT uno strumento cruciale di svi-luppo: nell’Anno Europeo della Creatività edell’Innovazione il Piemonte mette in cam-po le proprie eccellenze in campo di ICT ap-plicate all’industria creativa, binomio chiaveper lo sviluppo economico e la coesione so-ciale.

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RCHE

L’ESTERNALIZZAZIONEDEI SERVIZI DI PULIZIA

NEI COMUNI

CRISTINA BARGERO Il fenomeno delle esternalizzazioni di attività da parte dellaPA si colloca in un contesto di riforma del settore pubblicocomune ad altri paesi europei a partire degli anni settanta,nella ricerca di maggiori efficienza e flessibilità e di minori

costi, introducendo produzioni che adottano modelligestionali di stampo privatistico. L’esternalizzazione o

outsourcing di attività e servizi nasce nell’ambitodell’impresa privata nel mondo anglosassone e solo

successivamente è stato mutuato anche nell’ambito delleamministrazioni pubbliche. Le politiche di esternalizzazionehanno investito i processi di produzione e distribuzione di

beni e servizi alle persone, ma anche la gestione dei servizi disupporto interno: manutenzione delle infrastrutture

immobiliari e tecnologiche, amministrazione, finanza, servizidi pulizia interni, ecc.

In tale ambito pare interessante analizzare i rapporti economici esi-stenti tra gli enti pubblici e la cooperazione sociale, con riferimentoai servizi di pulizia: la scelta del settore deriva dalla sua rilevanza

per le cooperative, in quanto risulta l’attività più diffusa tra le coopera-tive sociali di tipo B, essendo presente nel 49% delle imprese. Si sonoanalizzati i processi di esternalizzazione di tali servizi da parte dei co-muni piemontesi con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, focaliz-zandosi sulla gestione del servizio e sul ruolo che occupano le coopera-tive sociali. Nelle modalità con le quali si è dato luogo all’esternalizza-zione, la situazione è molto variegata. Ciascun comune ha intrapresoscelte diverse, da un lato connesse alle dimensioni degli uffici e degliedifici comunali da pulire, ma soprattutto rispetto al sostegno dellacooperazione. Taluni enti si mostrano particolarmente attenti all’inseri-mento lavorativo dei soggetti svantaggiati e alla realtà delle cooperative

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Fig. 1 Distribuzione dei lotti dei servizi di pulizia per modalità di affidamento

58

sociali di tipo B, ossia quelle cooperative ca-ratterizzate da due aspetti: l’assenza di scopodi lucro e le finalità statutarie (art. 1, legge381/91) volte all’inserimento lavorativo dipersone svantaggiate (la percentuale di lavo-ratori/soci svantaggiati deve essere almenodel 30%).

Taluni enti si mostranoparticolarmente attenti

all’inserimento lavorativo deisoggetti svantaggiati e alla realtà

delle cooperative socialicaratterizzate dall’assenza di

scopo di lucro

Molti Comuni hanno suddiviso gli affida-menti dei servizi in svariati lotti, anziché inun blocco unico. Ai fini di una maggiorcompletezza va considerata anche la dimen-sione dei singoli servizi affidati, in conside-razione del fatto che molti Comuni suddivi-dono gli affidamenti dei servizi in svariatilotti, anziché in un blocco unico. L’analisi

degli affidamenti per lotti evidenzia megliole relazioni tra esternalizzazioni e coopera-zione.

La maggior parte dei lotti è stata affidatamediante procedura negoziata perlopiù senzaprevia pubblicazione di bando di gara, a se-guire le convenzioni ex art. 5 l.381/91 e gli ap-palti riservati, mentre meno diffuso pare il ri-corso a forme quali la procedura aperta e laconvenzione CONSIP (Fig. 1).

Inoltre, in base ai dati degli affidamentidisponibili, risulta che circa l’80% dei lottidi servizi di pulizia è stato affidato a Coope-rative, in particolare a Cooperative sociali ditipo B.

La durata media degli affidamenti è moltovariabile e strettamente connessa al tipo diprocedura intrapresa dall’ente: cinque anni inmedia delle Procedure CONSIP, quattro anniper le procedure aperte, 26 mesi per le proce-dure negoziate, un anno per la convenzioneex art. 5, da cui discende che gli affidamentidi maggiore ammontare siano aggiudicati at-traverso procedure aperte (Fig. 2).

Una stima grezza della quota di mercatodelle cooperative può dedursi dagli affidamenti,in termini di corrispettivi, affidati ad esse:risulta pari al 35% (essenzialmente cooperative

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20

15

10

5

0Proceduranegoziata

Convenzione exart. 5 l. 381/91

Appalti riservati acooperative sociali

Procedura aperta ConvenzioneCONSIP e mercato

elettronico

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Fig. 2 Distribuzione dei corrispettivi totali per procedura (euro)

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sociali), mentre il resto viene affidato a società editte di altro tipo.

Una stima grezza della quota dimercato delle cooperative

(essenzialmente sociali) puòdedursi dagli affidamenti, in

termini di corrispettivi, affidatiad esse: 35%

La divaricazione rispetto alla percentualedi corrispettivi si spiega col fatto che lecooperative sociali si sono aggiudicate appaltiad esse riservati, procedure negoziate o hanno

RICE

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stipulato convenzioni ex legge regionale, chenecessariamente devono essere sotto soglia.

Il quadro che emerge è quello di unarealtà piemontese a macchia di leopardo, incui non tutte le amministrazioni mostranouna uguale attenzione nei confronti dellacooperazione sociale di tipo B. Laddove visono stati atti formali nei confronti dell’inse-rimento lavorativo di fasce più svantaggiate,si fa ricorso a procedure, quali la convenzio-ne ex art. 5 o gli appalti riservati, pare ancheesservi discreta soddisfazione degli affida-menti e degli inserimenti lavorativi. La coo-perativa sociale è considerata in questo sen-so la risposta permanente alle necessità lavo-rative di queste persone, un approccio con-siderato insostituibile per alcune forme disvantaggio.

10.000.000

9.000.000

8.000.000

7.000.000

6.000.000

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4.000.000

3.000.000

2.000.000

1.000.000

0Proceduranegoziata

Convenzione exart. 5 l. 381/91

Appalti riservati Procedura aperta Procedura CONSIP

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LA COOPERAZIONE NEICOMPARTI DELLA

LOGISTICA, DELLE PULIZIEE DEL CONFEZIONAMENTO

RICE

RCHE

ALESSANDRA

COLOMBELLI,VITTORIO FERRERO

A partire dall’anno 2002 è stata avviata la riforma delladisciplina prevista dal d.p.r n. 602/70, conclusasi nel 2007

con la completa equiparazione della contribuzioneprevidenziale e assistenziale dei soci lavoratori delle

cooperative in una serie piuttosto eterogenea di attivitàafferenti le pulizie, il facchinaggio, il trasporto e la logistica.Si tratta di attività che hanno avuto una crescente espansioneanche a seguito dei processi di outsourcing tanto nel settore

pubblico che, più in generale, nel sistema produttivo.L’indagine, promossa dall’Osservatorio Regionale dellaCooperazione della Regione Piemonte, ha l’obiettivo di

verificare quali siano state effettivamente le conseguenzedell’evoluzione normativa che ha aumentato le tutele dei soci

lavoratori, ma che nel contempo ha comportato unsignificativo aumento del costo del lavoro per le aziende, inun quadro di crescente competizione all’interno del sistema

produttivo piemontese

Il numero delle imprese

In Piemonte si può stimare che operino in questi settori fra le 600 e le 700cooperative: poco meno di 200 imprese nell’ambito dei trasporti e pocomeno di 300 nell’ambito di ciascuno dei due settori della logistica e dei ser-vizi di pulizia. Si è ritenuto di particolare rilevanza indagare le prospettivedelle cooperative dei settori indicati che, a fronte di un significativo au-mento del costo del lavoro, possono avere incontrato difficoltà nel contestoconcorrenziale del mercato.

Attraverso la ricostruzione degli archivi sulle imprese attive dell’ISTAT siè potuto ottenere un quadro quantitativo riferito agli anni 1996-2005 siaper le cooperative che per le imprese non cooperative. Il periodo riflette

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sostanzialmente due situazioni: quella norma-ta dal d.p.r. 602/70 e quella successiva al 2001quando entra in vigore il decreto 423/01.

In Piemonte si può stimare cheoperino poco meno di 200

imprese cooperative nell’ambitodei trasporti e poco meno di 300nell’ambito di ciascuno dei duesettori, rispettivamente, della

logistica e dei servizi di pulizia

Dall’osservazione degli andamenti descrit-ti appare non semplice assegnare uno specifi-co ed esclusivo effetto (negativo) sul successodella formula cooperativa nei settori indivi-duati (in termini di imprese e di consistenzaoccupazionale) al venir meno delle agevola-zioni previste dal d.p.r. 602/70. Sembrerebbeche fattori strutturali (prima) e congiunturali(dopo) possano aver inciso in misura non irri-levante nello spiegare gli andamenti descrittiper il settore in questione, di iniziale espansio-ne seguita a una certa stagnazione, più diquanto non sia stato l’effetto delle minor com-petitività di costo che la riforma ha determi-nato. Neppure sembrerebbe di poter attribui-re con chiara evidenza all’innovazione norma-tiva introdotta la maggiore ed elevata morta-lità delle imprese negli anni più recenti del pe-riodo considerato.

I bilanci

L’analisi prende in esame un campione di im-prese, cooperative e lucrative, estratto dal da-tabase AIDA delle società italiane di capitale eattivo nel periodo 2003-2007 per verificarne leperformance nel periodo interessato dal cam-biamento normativo. Il campione così selezio-nato è costituito da 100 società cooperative eda 333 imprese non cooperative.

L’analisi consente di osservare differenzestrutturali fra le cooperative operanti nei set-tori di interesse e le società non cooperative.Inoltre consente di verificare le trasformazioni

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avvenute nel periodo in esame, caratterizzatodalla progressiva eliminazione dei beneficiprevisti dal d.p.r. 602/70.

Utilizzando il metodo del bilancio som-ma, cioè aggregando le singole voci per tuttele cooperative del campione come se si trat-tasse di una sola impresa, dall’osservazionedello stato patrimoniale si può osservare lasottocapitalizzazione nelle cooperative rispet-to alle altre società: nelle cooperative il patri-monio netto rappresenta il 12-13% del totaleattivo nel periodo considerato, contro valoricirca doppi per le altre società. Nell’ultimoanno considerato l’elevato ammontare di per-dite di esercizio produce una caduta signifi-cativa di questo valore (che scende al 6% deltotale dell’attivo). Ove si tenga conto del pre-stito da soci (che rappresenta una quota dicirca il 2% dell’attivo) la situazione non mutasostanzialmente (così pure tenendo contodelle risorse accantonate per il trattamento difine rapporto).

Dallo stato patrimoniale si puòosservare la

sottocapitalizzazione nellecooperative rispetto alle altre

società: nelle prime ilpatrimonio netto rappresenta il12-13% del totale attivo, controvalori circa doppi per le seconde

La quota dell’attivo costituita da immobi-lizzazioni è decisamente più bassa nel casodelle cooperative. In queste ultime tende adessere di poco più elevata la quota rappresen-tata dalle immobilizzazioni immateriali, cheraggiunge circa il 4% dell’attivo. Invece le im-mobilizzazioni materiali tendono ad esseremolto inferiori nel caso delle cooperative, do-ve si riscontrano valori attorno al 10% controvalori che si collocano al 30% circa per le al-tre società.

Situazione che caratterizza anche le immo-bilizzazioni finanziarie che nelle cooperativeraggiungono una quota pari a circa la metà diquella relativa alle altre società. L’attivo circo-

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lante quindi assume una rilevanza considere-vole per le cooperative (totalizzando quasil’80% dell’attivo, contro meno del 60% per lealtre società).

Uno sguardo al conto economico confer-ma come nelle cooperative il lavoro sia la vocedi costo preminente: il costo del personalerappresenta un valore compreso fra il 52% e il58% del valore della produzione (contro sol-tanto il 19-22% per le altre società). L’inci-denza dei costi per servizi, materie prime e diconsumo è significativamente inferiore per lecooperative rispetto al gruppo di confronto eil valore aggiunto assorbe il 60% del fatturato(e soltanto il 30% nell’insieme delle altre so-cietà).

I risultati del questionario telefonico

Per verificare quale sia stato l’impatto dellatrasformazione operata dal superamento deld.p.r. 602/70 sull’operatività delle cooperati-ve è stato sottoposto un questionario a uncampione di cooperative mediante intervistatelefonica. La popolazione di riferimento del-l’indagine è costituita da 836 cooperativeoperanti nei settori di interesse incluse nellabase di dati ASIA dell’ISTAT (2005) aggiornataper le imprese costituite in data successivasulla base degli elenchi presso le Camere diCommercio.

L’opinione sull’effetto del d.lgs.423/01 sulle cooperative è

negativa per quanto riguardal’aumento dei costi del

personale, tuttavia un effettocollaterale è stato di offrire

maggiori tutele e garanzie ai socilavoratori

Le risposte consentono di evidenziare in-nanzitutto un’opinione negativa dell’effettodel d.lgs. 423/01 sull’aumento dei costi delpersonale, tuttavia un effetto collaterale è sta-to di offrire maggiori tutele e garanzie ai soci

lavoratori di cooperative senza sostanzialmen-te alterare il rapporto fra soci e cooperativa intermini di partecipazione all’attività gestionalee ai processi decisionali.

Le risposte strategiche ai cambiamentinormativi messe in atto in questi settori dallecooperative sono rivolte a un aumento dellaqualità e della varietà dei servizi offerti favo-rendo il “multiservizio”. Questo ha significatoper molte cooperative, soprattutto per quelleoperanti nei settori del trasporto e logistica,un incremento positivo dell’attività innovativae degli investimenti. Invece, è emersa la diffi-denza verso forme di collaborazione attraver-so la costituzione di consorzi.

Quali indicazione per le politiche regionali?

Innanzitutto e sostanzialmente emerge unaforte domanda verso l’attivazione di misureche possano aiutare un più ordinato ed effi-ciente funzionamento del mercato attraversol’applicazione delle regole.

Per contrastare la selezione“avversa” favorita dalla crisi che

avvantaggia le imprese menoqualificate sotto il profilo

organizzativo, qualitativo e delletutele, acquisiscono un ruolo

importante le politiche delcredito e un uso opportuno degli

ammortizzatori sociali

Il processo di revisione normativa, per tutela-re i soci lavoratori rispetto alle condizionicontrattuali degli altri lavoratori, ha favoritouna maggior equiparazione sul mercato del la-voro e, pur avendo determinato un aumentodei costi di fornitura dei servizi, non sembraaver causato in modo specifico una crisi nelsettore. Piuttosto si è prodotta una progressi-va competizione all’interno dell’offerta chemette sotto pressione il rispetto delle tutelecontrattuali e genera comportamenti opportu-

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nistici e di accentuata instabilità imprendito-riale, soprattutto nell’ambito dei servizi eroga-ti nei confronti del settore privato. Perciò unaprioritaria attenzione delle politiche riguardale misure atte all’applicazione delle normative,a un maggior rispetto delle tutele contrattuali,a un rafforzamento della posizione del socionell’impresa, facendo emergere le opportunitàdi sopravvivenza e crescita delle imprese chepiù si stanno orientando verso una qualifica-zione dei servizi.

Inoltre per contrastare la selezione “av-versa” favorita dalla crisi che avvantaggia leimprese meno qualificate sotto il profilo or-ganizzativo, qualitativo e delle tutele, acquisi-scono un ruolo importante le politiche del

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credito e un uso opportuno degli ammortiz-zatori sociali.

Infine si sottolinea come la sostenibilitàeconomica delle imprese mutualistiche inquesti settori non potrà che basarsi su proces-si di razionalizzazione dei costi indiretti, au-mento nella qualificazione e diversificazionedei servizi.Le difficoltà manifestate dalle imprese inter-

vistate a questo proposito, che sfociano nel ri-tenere impraticabile e forse nemmeno utile ilconseguimento di maggiori dimensioni opera-tive, non vanno assunte come un’indicazionedi scarsa rilevanza delle politiche di incentiva-zione all’aggregazione, semmai inducono amodularle con maggior incisività.

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In un contesto particolarmente difficile per la finanza localei comuni piemontesi hanno dovuto modificare e adattare le

proprie strategie finanziarie, condizionate sempre più da unamolteplicità di fattori, quali in primis il rispetto del saldo

programmatico del Patto di Stabilità per effetto di unamanovra-obiettivo crescente e di basi di calcolo “casuali” ecostantemente modificate, e quindi, i vincoli sugli equilibrifinanziari di bilancio, in particolare di parte corrente e sulla

spesa di personale in termine di limiti all’espansione e dicontenimento del turnover, ecc.

L’impatto dell’instabilità del quadro istituzionale sullepolitiche di bilancio non è, tuttavia, facilmente identificabile

solo attraverso l’analisi dei dati finanziari di entrata e di spesadei comuni, quanto, invece, attraverso una specificazione delle

varie modalità di gestione finanziaria che gli enti possonoseguire in risposta ai diversi condizionamenti esterni

Un’indagine sulle strategie finanziarie di un campione di 36 comunicon una popolazione superiore ai 5.000 abitanti (60 possibili ma-novre di incremento delle entrate, 43 possibili manovre di riduzio-

ne delle spese e 13 possibili manovre da effettuare per il 2009), mostra unacerta eterogeneità di comportamenti, a seconda delle dimensioni dei comu-ni e della loro situazione finanziaria. Si possono tuttavia individuare alcunestrategie prevalenti.

Dal punto di vista delle entrate, le manovre tributarie degli enti si sonoconcentrate, non tanto sull’aumento delle aliquote dei tributi locali, quantopiuttosto sul recupero dell’evasione tributaria, a eccezione di un massiccioe prevedibile ricorso all’addizionale IRPEF, utilizzata in modo consistentedal 78% dei comuni sia nel 2007 sia nel 2008, per cui la pressione tributa-ria si è mantenuta sostanzialmente stabile.

CRISTINA BARGERO

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RCHE

LE STRATEGIE FINANZIARIEDEI COMUNI

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cercato di razionalizzare le modalità con cuisi è proceduto ai tagli . Una percentuale con-sistente dei comuni ha ridotto la spesa dipersonale con alcune peculiarità: la riduzio-ne di nuove assunzioni su turn-over ha ri-guardato soprattutto i comuni capoluogo equelli con popolazione superiore ai 15.000abitanti, mentre il taglio del lavoro straordi-nario tutti i comuni.

Riguardo alla spesa per prestazioni di ser-vizi, sempre maggiore è il ricorso all’ISEE perrazionalizzare la spesa. Incisiva, poi, si è di-mostrata la riduzione delle spese per collabo-razioni coordinate e continuative e per consu-lenze professionali, anche come conseguenzadel nuovo assetto normativo in materia di affi-damento di incarichi a soggetti estranei al-l’amministrazione, che ha reso più stringenti ipresupposti giuridici legittimanti il ricorso aprofessionalità esterne.

Per ridurre la spesa per interessi passivi, il16% dei comuni ha stipulato ricorso a con-tratti di swap (strumento finanziario derivato)su mutui contratti con la Cassa Depositi ePrestiti o con altri istituti finanziatori.

Infine, anche per l’esercizio 2009, la ma-novra di bilancio dei comuni ha dovuto tenereconto di molteplici vincoli. L’impostazione delbilancio di previsione 2009 degli enti eviden-zia come tale attività costituisce anche un’op-portunità per attuare una politica più equaper recuperare risorse da destinare ai propriobiettivi istituzionali Infatti, circa il 90% deicomuni con popolazione tra i 5.000 e i 15.000abitanti ha dichiarato di attuare politiche direcupero evasione, mentre percentuali piùbasse si riscontrano nei comuni sopra i 15.000abitanti e nei comuni capoluogo. La ricercadell’equilibrio di bilancio di parte correntemediante utilizzo di risorse derivante da per-messi di costruire (ex concessioni edilizie) in-teressa circa l’80% del campione.

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RCHEPer quel che riguarda le entrate extratri-

butarie, si è evidenziato il costante adegua-mento del livello tariffario sui servizi a do-manda individuale, a dimostrazione dell’evi-dente necessità di un adattamento dei pro-venti in base all’evoluzione della domanda, inparticolare per i servizi a minore valenza so-ciale. In concomitanza con la crisi economi-ca, ampio ricorso è stato fatto all’applicazionedel calcolo dell’ISEE per concedere agevola-zioni, riduzioni o esenzioni su base redditua-le, specialmente per i servizi ai minori e per ilservizio di mensa scolastica.

Tra le entrate extratributarie,da segnalare le

sponsorizzazioni di eventisportivi, culturali, turistici e la

consistente crescita delleentrate da violazione codice

della strada

Tra le altre entrate extratributarie, sonosempre utilizzate le sponsorizzazioni di eventisportivi, culturali, turistici (come pure le in-serzioni di spazi). Un altro dato da sottolinea-re è la consistente crescita delle entrate da vio-lazione codice della strada (quasi il 50% deglienti ha avuto un aumento di entrate derivantidall’attività della Polizia Municipale soprat-tutto nel 2007). Tra le manovre di bilancio, sievidenzia un utilizzo ricorrente agli oneri diurbanizzazione (in via di riduzione dal 2007 al2008) e alle opere a scomputo (specie nei co-muni oltre 15mila abitanti e capoluoghi).

Sul fronte spesa si sono tagliate prevalen-temente le voci personale e acquisti e si è

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Fig. 1 Uno sguardo alle strategie finanziarie 2009 (valori %)

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� Capoluoghi � Sopra i 15.000 � Tra 5.000 e 15.000

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Indipendentemente dalle dinamiche di natura politico-istituzionale che ne riguardano la definizione e la

collocazione funzionale nel sistema dell’istruzione, gli istitutiprofessionali si impongono all’attenzione degli osservatori edei responsabili delle politiche pubbliche dell’istruzione in

almeno tre occasioni di discussione

La prima è quando si parla di “dispersione scolastica”. Il preoccupan-te fenomeno che porta una parte dei soggetti che intraprendono uncorso di studi a interromperlo prima del termine vede sistematica-

mente gli istituti professionali come l’indirizzo di studio in cui il processo diabbandono presenta un’incidenza nettamente superiore alla media e tale siconserva negli anni e nei decenni a dispetto di tutte le volontà di porvi unargine. Secondo uno studio recente di “Tuttoscuola”, in Italia la riduzionedel numero degli iscritti al quinto anno di corso rispetto a quello degliiscritti al primo anno di cinque anni prima è per i professionali pari al45,6%, rispetto al 30% medio di tutti gli istituti secondari di secondo gra-do.

La seconda occasione in cui gli istituti professionali emergono all’at-tenzione è quando si considerano i livelli di preparazione o di competen-ze degli allievi dei corsi di istruzione superiore, sia nei termini più forma-li dei giudizi conseguiti alla fine del grado scolastico precedente sia quan-do si considerano le capacità d’uso delle conoscenze in alcuni ambiti fon-damentali, come avviene nel caso delle indagini PISA, svolte dall’OCSE acadenza triennale. Qui si evidenzia come i punteggi medi degli allievi de-gli istituti professionali siano nettamente più bassi degli altri: a livello ita-liano, nel 2006, il punteggio medio degli allievi degli istituti professionaliera pari a 414, rispetto a 475 della media di tutti gli studenti e a 518 dei li-cei. Non solo, ma in aree importanti dell’Italia, come in Piemonte, èemerso che gli allievi degli istituti professionali sono sostanzialmente i so-

LUCIANO ABBURRÀ

GLI ISTITUTIPROFESSIONALI STATALI RI

CERC

HE

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Fig. 2 Incidenza percentuale degli alunni in ritardo rispetto all‘età regolare di frequenza per tipo di scuolasecondaria di secondo grado e sesso (A.S. 2007/2008, valori %)

Fonte: elaborazioni IRES su dati della Rilevazione Scolastica Regione Piemonte (i dati comprendono anche le scuole nonstatali)

68 I N F O R M A I R E S , A N N O X X I , N . 3 8 , O T T O B R E 2 0 1 0

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RCHE denza: è quando si guarda alle scelte d’indi-

rizzo dei ragazzi e delle ragazze che giungo-no ogni anno al termine degli studi unitari edecidono dove proseguire la loro formazio-ne. Nonostante tutto ciò che segnalano e si-gnificano i dati richiamati nei due punti pre-cedenti, la quota di coloro che si iscrivono aun istituto professionale non diminuisce mai:essi rappresentano stabilmente fra un quintoe un quarto di tutti coloro che proseguonodopo la scuola secondaria di primo grado.Anzi, sia quando l’età dell’obbligo è stata ele-vata oltre i 14 anni, sia quando gli istituti tec-

li verso cui si può legittimamente esprimereun giudizio molto preoccupato in rapporto airisultati medi dei loro coetanei in altre regio-ni d’Europa e del mondo, mentre le compe-tenze degli allievi di istituti tecnici e licei ri-sultano in linea, se non superiori, agli stan-dard internazionali (PISA 2006: le competenzedei quindicenni in Piemonte a confronto conle regioni italiane ed europee, a cura di L. Ab-burrà e S. Mosca, “Quaderni di ricerca” n.116, IRES, 2008).

Vi è però anche una terza occasione in cuigli istituti professionali emergono con evi-

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Istituti professionali Istituti tecnici Licei Indirizzi magistrali Indirizzi artistici

� Maschi � Femmine

Fig. 1 Iscritti negli istituti professionali piemontesi per indirizzo di scuola (A.S. 2007/2008 valori %)

Fonte. elaborazione IRES su dati Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte

� Ip agricoltura e ambiente

� Ip industria e artigianato

� Ip commercio/turismo

� Ip alberghiero

� Ip servizi sociali

� Ip atipico

� Ip sanitario e ausiliario

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Fig. 3 Scuola secondaria di II grado statale: incidenza % degli studenti stranieri per tipo di scuola (A.S. 2007/2008)

Fonte: elaborazione IRES su dati Rilevazione Scolastica della Regione Piemonte

fino all’assorbimento, nel filone degli istitutitecnici, le tre evidenze richiamate sopra sem-brano imporre la necessità di tornare a consi-derare con specifica attenzione gli istitutiprofessionali anche in riferimento al loro fu-turo. La dinamica delle iscrizioni mostra in-fatti come persista, si riproduca e magari siridefinischi in termini nuovi una specificadomanda di istruzione/qualificazione chenon si rivolge né ai licei né agli istituti tecni-ci, comunque ridefiniti. Tale domanda, però,sembra incontrare particolari ostacoli ad es-sere soddisfatta, nelle sue motivazioni so-stanziali e nei suoi obiettivi specifici. Ne so-no prove sia l’alto tasso di abbandoni preco-ci, sia la scarsa capacità di modificare le de-boli condizioni di entrata degli studenti: unostallo testimoniato dal confronto fra una for-tissima presenza di bassi giudizi conseguitialla fine delle medie con una estesa frequen-za di risultati negativi alle prove dell’indagi-ne PISA registrati un paio di anni dopo.

Pur senza prendere qui in considerazionele ulteriori problematiche che potrebbero de-rivare dalla relazione fra le qualifiche profes-sionali rilasciate dagli istituti professionali e ilmercato del lavoro, ci pare ci possano già es-

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RCHEnici hanno cominciato a subire la concorren-

za dei licei, sia anche nelle preiscrizioni al-l’anno scolastico 2009-10 diffuse recente-mente dal MIUR, gli iscritti agli istituti pro-fessionali hanno registrato un incremento siain quantità sia in proporzione. In particola-re, le più recenti iscrizioni agli istituti profes-sionali crescono soprattutto nelle regioni delnord (+2,3%, rispetto allo 0,8% del centro eal -0,5% del sud).

Dalle indagini PISA, svoltedall’OCSE a cadenza triennale,emerge come i punteggi medi

degli allievi degli istitutiprofessionali siano nettamente

più bassi di quelli degli altriindirizzi scolastici

Nonostante in passato non siano mancaticoloro che ne immaginavano una estinzione,e seppure non manchino ora coloro che neperseguono una sostanziale omologazione,

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Totale

Indirizzi artistici

Indirizzi magistrali

Licei

Istituti tecnici

Istituti professionali

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sere ragioni sufficienti per dire che la realtàdei fatti propone insieme una persistente vita-lità del sistema degli istituti professionali euna ineludibile necessità di indagarne più afondo modi di essere e funzionamento, percomprendere come e perché essi facciano fati-ca a valorizzare la domanda di qualificazione eil capitale di fiducia che quote rilevanti di po-polazione continuano a rivolgere loro.

Alla diversificazione dei bisognie delle aspettative rivolte agliistituti professionali concorre

un’elevata presenza di allievi condisabilità: il 5% del totale,

cinque volte più che negli istitutitecnici

Anche tenendo conto che in questa do-manda presenta un peso elevato e crescentela parte più dinamica e diversificata della po-polazione: quella rappresentata dagli immi-grati stranieri e dai loro figli (12% rispetto al-l’8% degli istituti tecnici). A questi si affian-cano molti soggetti che perseguono un tenta-tivo di qualificazione superiore per la primavolta nella storia della loro famiglia, spessoimmigrata da altre regioni una generazione

prima. Senza dimenticare che alla diversifica-zione dei bisogni e delle aspettative rivolteagli istituti professionali concorre un’elevatapresenza di allievi con disabilità: il 5% del to-tale, cinque volte più che negli istituti tecnici.

Anche da quest’insieme di considerazioniha preso le mosse lo studio dell’IRES. Oltreche dall’esigenza, se si vuole più contingente,di fornire all’amministrazione regionale unarappresentazione aggiornata e articolata dellapresenza, composizione e diffusione di un’im-portante branca del sistema dell’istruzione.Una branca che – secondo le previsioni ali-mentate dalla riforma del Titolo V della Costi-tuzione, realizzata nel 2001 e ora in via di at-tuazione, lenta ma difficilmente reversibile –dovrebbe diventare di competenza esclusivadelle Regioni, entro rapporti ancora da quali-ficare con il resto del sistema scolastico, da unlato, e con la attuale Formazione professiona-le regionale dall’altro.

Il rapporto, integralmente scaricabile dalsito dell’IRES, si compone di due parti diffe-renti: a) un’approfondita disamina dei datistatistici disponibili su entità, composizione,distribuzione spaziale e dinamica temporaledegli istituti professionali piemontesi e dei lo-ro allievi; b) un sintetico resoconto di un’in-dagine qualitativa rapida svolta con colloquidiretti con una varia rappresentanza di diri-genti scolastici degli istituti professionali pie-montesi.

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NOTE

DI

RICE

RCA

L’APPRENDIMENTO LUNGOIL CORSO DI VITA:

LAVORATORI ELAVORATRICI NEI REPARTI

DI PRODUZIONEINDUSTRIALE

MARIA CRISTINA

MIGLIOREL’Unione Europea richiama i paesi membri a un costante

sforzo per mantenere la partecipazione al mercato del lavoroanche in età più matura. L’apprendimento lungo il corso divita aumenta le opportunità di conservare il posto di lavoro.

In Piemonte una parte importante della forza lavoro èimpegnata nel settore industriale e ha livelli di

scolarizzazione bassi. Per continuare ad apprendere occorreessere motivati e sentirne il bisogno. Che tipo di

apprendimento in età matura possiamo immaginare? Comerimangono coinvolti nell’apprendimento lungo il corso di vita

le lavoratrici e i lavoratori più maturi dell’industria?

Per iniziare a dare una risposta a questi interrogativi occorre prima ditutto avere un’idea di cosa sia l’apprendimento e come nasca. Puòessere utile fare riferimento alla ripartizione in due grandi famiglie

di narrazioni teoriche proposta da Anna Sfard per cui le concettualizzazio-ni dell’apprendimento si distinguono in base all’enfasi sull’acquisizione diinformazioni e conoscenze oppure sull’apprendimento come partecipazio-ne a pratiche. Nello studio presentato brevemente in questo articolo si uti-lizza quest’ultimo paradigma in cui l’apprendimento è concettualizzato co-me un aspetto di ogni pratica di lavoro: è quel processo che permette, gra-zie alle conoscenze sviluppate nel partecipare alle attività di una comunitàdi pratica di entrare a farvi parte a pieno titolo. Altri studi sottolineano co-me nei luoghi di lavoro le relazioni siano costantemente mediate da stru-menti e simboli di natura culturale e storica. Lo sviluppo delle funzioni co-gnitive avviene nei rapporti interpersonali mediati da artefatti.

La mediazione degli artefatti nelle azioni e interrelazioni umane fornisceuna dimensione culturale e storica alle stesse. Ma anche la soggettività, l’og-getto delle attività, le relazioni collettive hanno una dimensione storica, an-cora più accentuata quando l’analisi verte su persone più mature che hanno

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alle spalle la partecipazione in diverse attività(lavorative, di cura, di loisir, ecc.). I significatisviluppati nell’interpretazione di un oggettodi attività, nella conduzione delle pratiche la-vorative, nelle relazioni con i colleghi risento-no delle storie di vita e delle interpretazionisoggettive delle proprie esperienze.

I significati sviluppatinell’interpretazione di unoggetto di attività, nella

conduzione delle pratichelavorative, nelle relazioni con i

colleghi risentono delle storie divita e delle interpretazioni

soggettive delle proprieesperienze

Per la sua enfasi sull’attività come unità dianalisi e sulla mediazione degli artefatti cultu-rali e la dimensione storica, questa prospettivaè denominata Teoria dell’attività culturale sto-rica o Teoria culturale storica dell’attività (insigla CHAT, Cultural Historical ActivityTheory). In CHAT l’oggetto dell’attività è unaspetto centrale per comprendere l’impegnosoggettivo nello svolgimento del lavoro, impe-gno necessario sia per percepire i bisogni diapprendimento sia per motivare all’apprendi-mento.

Dato che la ricerca intendeva focalizzarsisul settore industriale, si è resa necessaria la ri-costruzione delle strategie produttive ideal-ti-piche riscontrabili in letteratura per avere unoschema interpretativo della varietà di modi diorganizzare la produzione industriale. Si èconsiderato per oggetto di un’attività indu-striale non solo il tipo di produzione, ma an-che come si produce. È infatti in questo ultimoaspetto che si crea l’autonomia di chi lavora,spazio fondamentale in cui le persone possonocogliere ed elaborare l’immagine soggettivadell’oggetto dell’attività in cui operano.

Si è scelto come casi di studio due impreseindustriali nel torinese, E1 e E2, che si avvici-nano rispettivamente al modello della produ-

zione di massa e a quello della specializzazio-ne flessibile, opposti per quanto riguarda l’au-tonomia concessa a chi lavora nei reparti diproduzione. Si è intervistato un campione dilavoratori e lavoratrici di 45 anni e oltre e al-cuni dirigenti. Lo scopo di queste interviste èstato quello di esaminare la relazione soggetti-va di lavoratori e lavoratrici con il tipo di la-voro svolto e i processi di apprendimento pro-fessionale.

Si è scelto come casi di studiodue imprese industriali nel

torinese, E1 e E2, che siavvicinano rispettivamente almodello della produzione di

massa e a quello dellaspecializzazione flessibile,

opposti per quanto riguardal’autonomia concessa a chi

lavora nei reparti di produzione

Nell’impresa E1 le lavoratrici sono impe-gnate su linee di montaggio, nell’impresa E2 ilavoratori sono impegnati con frese, torni, ecc.Di seguito si riportano sinteticamente i prin-cipali risultati.

La ricerca mostra che gli intervistati sonodifferenziati nel rapporto che hanno con l’og-getto delle attività produttive in cui sono coin-volti, mentre la condizione di essere in età ma-tura non emerge come dimensione significati-va. Nell’impresa che approssima il modellodella produzione di massa le lavoratrici inter-vistate hanno un rapporto di tensione con unoggetto immaginato in modo innovativo ri-spetto a come esso si manifesta nell’organizza-zione del lavoro e del processo di lavoro. Il lo-ro impegno è evidente, ma si caratterizza inmodo negativo. Nell’impresa vicina al tipoideale della specializzazione flessibile i lavora-tori aderiscono all’oggetto dell’attività con in-teresse e a volte passione e affetto e il loro im-pegno è di tipo positivo.

Le operaie impegnate su linee di montag-gio nell’azienda E1 (modello produzione di

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massa) appaiono soggettivamente molto coin-volte. Ciò emerge come connesso ad esperien-ze lavorative – e non lavorative – passate chehanno fornito loro un personale convincimen-to su come quel lavoro di produzione sulle li-nee andrebbe gestito ed organizzato. Con laterminologia di CHAT, possiamo dire che queiconvincimenti rappresentano l’immagine del-l’oggetto. È un impegno che si può definire“frustrato” (o negativo) in quanto queste ope-raie vorrebbero lavorare per ottenere miglioririsultati – in particolare rispetto alla qualitàdei componenti – ma i loro desideri appaionofrustrati. Di diverso parere il responsabile delpersonale che sostiene che la produzione diE1 ha bassissimi livelli di scarti. Con riguardoalla questione dell’apprendimento, questeoperaie hanno appreso lungo il corso della lo-ro vita professionale quanto il tema della qua-lità sia importante e ora chiedono di poter im-plementare delle pratiche lavorative che sod-disfino tali requisiti. L’impresa ha investitomolto organizzando un corso per tutto il per-sonale sul tema della qualità, ma nei reparti lepratiche di lavoro non sono cambiate. Rispet-to ad anni fa le risorse a disposizione per crea-re la qualità nei reparti paiono diminuite.Queste operaie lamentano di essere conside-rate delle “manine” e di non conoscere a suf-ficienza a cosa servono i componenti che as-semblano. Alcune vorrebbero conoscere laterminologia corretta per le parti che monta-no, e avere un linguaggio condiviso con il di-partimento della qualità. Altre si sono orga-nizzate per acquisire delle competenze infor-matiche usando il proprio network personaledi conoscenze. È interessante notare che le la-voratrici sono in grado di sviluppare un sensopersonale del proprio lavoro e una propriaopinione circa le pratiche di lavoro disegnatedai manager. Questo mostra che sentirsi moti-vati non dipende dalle condizioni di lavoro eanche un compito ripetitivo come quello allelinee di montaggio può trovare un senso. Lepersone sono motivate nonostante le condi-zioni di lavoro insoddisfacenti. Le operaie in-tervistate dell’azienda E1 sono insoddisfatteper come il lavoro è organizzato, tuttavia rico-noscono l’utilità del loro lavoro e ritengonoche si possano trascorrere piacevoli ore di la-voro con le colleghe. È il desiderio di miglio-

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ramento che motiva a impegnarsi nel lavoro ea desiderare maggiori informazioni (apprendi-mento).

Nell’azienda E2 gli operai lavorano in cen-tri di lavoro attrezzati di torni, frese, ecc. Il lo-ro lavoro ha richiesto un lungo apprendimen-to, per certi compiti pare che neppure un’e-sperienza di 15 anni metta al riparo da rischidi sbagliare. Oggi gli operai con 45 anni e piùintervistati non hanno tanto la preoccupazio-ne di apprendere, quanto quella di trasmette-re il bagaglio di conoscenze pratiche e teori-che ai più giovani, per dare senso all’impegnoe alla passione profusi nel proprio lavoro.

Le operaie impegnate su linee dimontaggio nell’azienda E1

(modello produzione di massa)appaiono soggettivamente molto

coinvolte. Gli operai delleaziende E2 con 45 anni e più

non hanno tanto lapreoccupazione di apprendere,quanto quella di trasmettere il

bagaglio di conoscenze pratichee teoriche ai più giovani, perdare senso all’impegno e allapassione profusi nel proprio

lavoro

Nell’azienda E2 il livello di autonomia ediscrezione è più elevato e lo sviluppo di pro-fessionalità e conoscenze è più evidente. Ilsenso soggettivo di essere impegnati derivadall’interesse per la meccanica e le sfide quoti-diane che i compiti da svolgere contengono.In questo tipo di attività l’apprendimento èconnaturato con il tipo di lavoro da svolgerepiù che nel caso dell’azienda E1 e gli operaiintervistati mostrano un atteggiamento positi-vo rispetto a nuovi compiti o tecnologie.

In letteratura è riconosciuto che diversimodi di produrre danno luogo a diversi biso-gni di apprendimento. Quello che la letteratu-ra non enfatizza è che anche nel caso di lavo-

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razioni come quella nell’azienda E1 le personeapprendono e sviluppano dei convincimentirispetto all’oggetto dell’attività dell’impresaper cui lavorano. Essi trovano un senso a im-pegnarsi nella visione di come il lavoro an-drebbe svolto idealmente. Il blocco all’espan-sione delle attività e delle persone provienedalle dinamiche competitive globalizzate, maanche dalle impostazioni e visioni che sembra-no mediare le relazioni interne ai reparti e coni superiori.

La ricerca mette in luce che ènell’impegno profuso nel lavoroche vengono percepiti i bisogni

di apprendimento e se ne creanoi motivi

Nell’impresa E1 il tentativo di fare forma-zione in modo tradizionale attraverso corsiimpartiti a tutto il personale non sembra averprodotto i risultati sperati. Forse proprio per-ché certi cambiamenti di mentalità hanno bi-sogno di un coinvolgimento di tutto il perso-nale su questioni concrete, in un dialogo chedia spazio alle diverse visioni. Esistono inte-ressanti esempi di cambiamento organizzativoottenuti con il metodo del Developmental

Work Research, sviluppato da Engeström incampo sanitario. Varrebbe la pena studiare lapossibilità di applicare questa metodologia alsettore industriale, confrontandola con altrimodelli di sviluppo del personale.

La ricerca indica che gli studi sul tema del-l’apprendimento lungo il corso di vita dovreb-bero includere nell’indagine anche l’oggettodelle attività come immagine di oggetto perce-pito e desiderato e il senso soggettivo di impe-gnarsi per agire in conformità con esso. È in-fatti nell’impegno profuso nel lavoro che ven-gono percepiti i bisogni di apprendimento ese ne creano i motivi. Il ruolo giocato dall’etàappare connesso alle esperienze acquisite e alsenso dato a queste esperienze. Nel caso delleoperaie della E1, non avere ancora raggiuntouna situazione lavorativa soddisfacente giocanel senso di continuare a impegnarsi per rea-lizzare quelle condizioni a cui si aspira. Nelcaso degli operai della E2, il livello di soddi-sfazione per quanto si è acquisito è elevato eora la ricerca di senso è volta a capire cosa fa-re dell’esperienza cumulata, guidati dal desi-derio di lasciare i frutti ai colleghi più giovani.Altre indagini condotte con la medesima im-postazione teorica e metodologica potrebberoampliare la gamma dei tipi di impegno possi-bili nei luoghi di lavoro. Sarebbe però neces-saria una maggiore apertura da parte del mon-do delle imprese rispetto alle attività di ricercaquali quelle presentate in questo articolo.

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LE FONDAZIONI DICOMUNITÀ NELL’AMBITO

DEL TERZO SETTORE

CHIARA PRELE Il terzo settore ha registrato in Italia una rilevante crescitanegli ultimi decenni. Lo studio analizza il fenomeno sotto il

profilo giuridico. Gli enti non profit sono disciplinati dalcodice civile, ispirato a principi opposti a quello di

sussidiarietà, ora assurto a rango costituzionale. Al codice siaffianca una legislazione speciale copiosa.

Lo studio è strutturato in due parti. La prima parte fornisceuna disamina degli enti del terzo settore e ne indica ladisciplina di riferimento; svolge un’analisi critica della

congruità della normativa rispetto alle esigenze concrete eattuali. La seconda parte approfondisce le fondazioni dicomunità, attualmente in espansione nel nostro Paese,

descrivendone le origini e soffermandosi su quelle situatein Piemonte

Analizzata sotto il profilo normativo, la rilevante crescita del terzosettore negli ultimi decenni in Italia coincide con il favore verso glienti del settore, risalente all’avvento della Costituzione. Diversa-

mente, il codice civile, emanato nel 1942, è ispirato da approccio ostile ver-so i corpi intermedi tipico del totalitarismo, che si concreta in un penetran-te controllo statale durante tutta la vita di associazioni, fondazioni e comi-tati, dal riconoscimento all’estinzione, e in una disciplina scarna, ricondu-cibile alla scarsa attenzione verso gli istituti. Modificazioni successive, qua-le, in particolare, quella relativa al procedimento di riconoscimento (nel2000), hanno attenuato, ma non eliminato, tale impostazione di sfavore ehanno, peraltro, determinato disorganicità nella disciplina. Invero, propriole lacune codicistiche hanno consentito agli statuti degli enti di plasmare ladisciplina, adattandola alle esigenze di una realtà diversa, nonché legate al-l’aumentato ricorso ad associazioni e fondazioni. Associazioni e fondazionisvolgono oggi, spesso, attività economiche e la linea di demarcazione tra

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questi enti e le società è meno netta rispetto alpassato; il legislatore ha introdotto, con lariforma societaria, la possibilità di trasforma-zione da associazione o fondazione a società eviceversa. L’atteggiamento di favore dello Sta-to verso il terzo settore ha raggiunto il culmi-ne con l’inserimento nella Costituzione delprincipio di sussidiarietà, mentre nella legisla-zione ordinaria sono state introdotte norme,specie di carattere tributario, volte a incenti-vare il settore.

Il terzo settore è espressione delprincipio di sussidiarietà e

svolge, in prevalenza, la propriaazione in campi

tradizionalmente devoluti alwelfare state, che attraversa unmomento di crisi per scarsità di

risorse

Le norme su associazioni e fondazionicontenute nel codice civile risultano inade-guate rispetto alla evoluzione subita da asso-ciazioni e fondazioni nella prassi e nella giuri-sprudenza, nonché rispetto ai moderni princi-pi già introdotti per le società con la riforma,primo fra tutti la trasparenza. La loro revisio-ne è all’attenzione del parlamento.

A partire all’incirca dalla seconda metà de-gli anni ottanta è stata emanata una copiosa le-gislazione speciale avente per oggetto specifi-che tipologie di enti non profit distinti in rela-zione al settore di attività. Il legislatore ha at-tribuito importanza primaria all’attività svol-ta, non curante del tipo di ente. Pertanto, lastessa attività, quale può persino essere una acarattere imprenditoriale, può essere svolta daassociazione, fondazione o finanche da unasocietà.

Posto tale carattere comune, tra gli enti delterzo settore creati e disciplinati da leggi spe-ciali sussistono differenze enormi riconducibi-li proprio al loro costituire enti di diritto spe-ciale.

Sono enti di diritto speciale, tra gli altri, leOnlus, che rivestono estrema importanza nel-

la prassi ma rappresentano una categoria dalsolo punto di vista tributario, determinando,invece, qualche confusione legata alla scelta dicreare categorie tributarie prive di riferimenticivilistici. Vi rientrano le fondazioni di originebancaria, la cui natura di ente non profit è sta-ta affermata dalla Corte costituzionale; questefondazioni, oltre ad avere mutato il panoramadel non profit per la loro forte patrimonializ-zazione, rappresentano, dal punto di vista del-l’analisi normativa, una interessante applica-zione alle fondazioni di principi moderni: tra-sparenza, responsabilità e disciplina della go-vernance.

Il criterio distintivo degli entinon profit, la loro vera essenza,

è costituito dal divieto didistribuzione degli utili, cheaccomuna tutti gli enti del

settore

Non costituiscono un tipo fondazionale ase stante, bensì si caratterizzano per l’attivitàsvolta, le fondazioni di comunità, alle quali èdedicata la seconda parte dello studio. Sonofondazioni di diritto comune, disciplinate dalcodice civile; nella prassi si rinviene spesso laloro natura di fondazioni Onlus.

Le fondazioni di comunità sonoimportate dagli Stati Uniti, dovela prima community foundation,

la Cleveland Foundation, fucostituita nel 1914

L’idea del fondatore, il banchiere Frede-rick H. Goff, fu di radunare una serie di lasci-ti in una sola organizzazione a durata illimita-ta, amministrata da un collegio formato da cit-tadini della collettività locale, che individuavai bisogni ed effettuava le relative donazioni al-le varie organizzazioni della comunità.

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Attualmente, le fondazioni di comunità ri-sultano in espansione in molti paesi del mondo.

In Italia il modello venne introdotto, congli opportuni adattamenti, nel 1998, a operadella Fondazione Cariplo e da essa progressi-vamente esteso nell’intera Lombardia e nellaparte del Piemonte contigua a tale regione(Novarese e V.C.O.). Parimenti, altre fonda-zioni di origine bancaria, tra le quali, segnata-mente, la Compagnia di San Paolo, hanno co-stituito fondazioni di comunità.

Attualmente, le fondazioni dicomunità risultano in

espansione in molti Paesi delmondo.

In Italia il modello venneintrodotto, con gli opportuni

adattamenti, nel 1998, a operadella Fondazione Cariplo

Pertanto, le fondazioni di comunità oggiesistenti in Italia, al presente in numero diventicinque, sono sorte, prevalentemente, ainiziativa di una fondazione di origine banca-ria. In Piemonte vi sono tre fondazioni di co-

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munità: la Fondazione della Comunità delNovarese Onlus, la Fondazione Comunitariadel Verbano-Cusio-Ossola, la Fondazione del-la Comunità di Mirafiori Onlus.

Le fondazioni di comunità si caratterizza-no, dunque, per il riferimento territoriale. Sul-l’esempio della community foundation ameri-cana, il loro scopo è la costituzione di un pa-trimonio, che incrementa progressivamente ilpatrimonio iniziale, esistente al momento del-la costituzione, e di destinarlo ai bisogni dellacomunità situata su un territorio determinato.I bisogni sono individuati dagli organi dellafondazione. La fondazione di comunità incen-tiva la filantropia, o “cultura del dono”, con-sentendo a chi dona di potere, indipendente-mente dall’entità della propria erogazione,contribuire a migliorare la vita della comunitàdi appartenenza. Infatti, gli atti di liberalitàgestiti singolarmente comporterebbero costielevati, mentre confluendo in una fondazionedi comunità ottimizzano il loro risultato di ge-stione. La fondazione di comunità promuovegli atti di liberalità sia con la diffusione dellaconoscenza delle loro forme e delle incentiva-zioni, specie di natura tributaria, ai medesimi,sia assicurando che le liberalità rimangono,anche nel tempo, a beneficio del territorio diriferimento della fondazione, i cui bisogni so-no da essa costantemente individuati.

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CONVEGNI, SEMINARI, DIBATTITI

Torino1 dicembre

2009

Venaria Reale11 dicembre

2009

LA QUALITÀ, UN CONCETTO MULTIDIMENSIONALEL’INTERPRETAZIONE DELLA QUALITÀ NEI PRODOTTI AGROALIMENTARI TRAORIGINE, SAPORI E TERRITORIO

A prima vista, la qualità sembra una parola adatta a ogni contesto e a ogni utilizzo: daiprodotti agroalimentari tradizionali alle denominazioni di origine, dai presidi Slow Foodalle caratteristiche tecnologiche delle materie prime, dal biologico al territorio. Un termineche può generare aspettative diverse e quindi, in molti casi, anche confusione. Nel settore dei prodotti agro-alimentari tale ambiguità è particolarmente evidente ed èdovuta alle molteplici caratteristiche dei prodotti stessi: il prodotto agroalimentare derivada un insieme di fattori sociali, storici, culturali, territoriali unici e difficilmente standar-dizzabili e allo stesso tempo è il frutto di una lavorazione tecnica e tecnologica che oggideve essere in qualche modo controllata e certificata. Di quale qualità si parla oggi? Puòessere autonoma o deve essere posta in relazione a un territorio? Cosa è la qualità per idiversi attori del settore agroalimentare e rurale? Quale qualità ricerca il consumatore?Qual è il legame tra qualità, tipicità e territorio? Per rispondere a queste domande si ètenuto un convegno presso l’IRES che è stato moderato da Stefano Aimone (ricercatoreIRES).Al convegno hanno portato il loro contributo: Emilio Gatto (Ministero delle Politicheagricole ed Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi deiProdotti Agro-Alimentari), Donatella Murtas (Ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite,Cortemilia), Bruno Boveri ed Eric Vassallo (Slowfood Piemonte e Valle d’Aosta – TerraMadre), Angelo Giordano (IMA – Istituto per il Marketing Agroalimentare del Piemonte)e Alessandro Mostaccio (Movimento Consumatori).

L’ITALIA SECONDO I CONTI PUBBLICI TERRITORIALI: I FLUSSI FINANZIARI PUBBLICINELLA REGIONE PIEMONTE

La Banca dati CPT, facente parte del Sistema Statistico Nazionale (SISTAN), offre un quadroinformativo sistematico dei flussi finanziari di entrate e spese del Settore PubblicoAllargato. A partire da questi dati, il Nucleo regionale piemontese ha curato, con le altre

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TITI Regioni italiane, la redazione un’approfondita analisi del conto consolidato regionale CPT,

per l’arco temporale 1996-2007, che fornisce una visione di insieme delle risorse e dellaloro destinazione e può rappresentare un utile strumento informativo per le attività pro-grammatiche della Regione. Al convegno ha partecipato Renato Cogno (ricercatore IRES)con un contributo intitolato “Finanza territoriale e informazione statistica”.

TORINO: UNO SGUARDO SULLA CRISI. UNO SCENARIO PER PUBLIC UTILITIES EFONDAZIONI EX BANCARIE

Il terzo appuntamento per il ciclo organizzato da Torino Internazionale “Società locale ecrisi globale. Risorse e progetti per la città” ha messo a confronto studiosi e operatori perapprofondire le dinamiche di due soggetti fra i più promettenti dell’economia torinese: lepublic utilities e le fondazioni ex bancarie. Cristina Bargero dell’IRES ha presentato unarelazione dal titolo “Le public utilities: un nuovo settore di sviluppo per il Piemonte?” incui ha tracciato un sintetico quadro delle trasformazioni giuridiche ed economiche e delleprospettive di questo importante settore economico e di servizio.

2° CONFERENZA REGIONALE SULL’IMMIGRAZIONEDA LAVORATORI A CITTADINI

Nel corso della conferenza Enrico Allasino (ricercatore IRES) e Adriana Luciano(Università di Torino e Comitato Scientifico IRES) hanno partecipato alla sessione dedicataalle dimensioni del fenomeno immigrazione e alle sue implicazioni sociali.

VALORE E POTENZIALITÀ DEL TERRITORIO RISORSE PER QUALE TURISMO?PRESENTAZIONE DELLE RICERCHE IRES SUL TURISMOIL PUNTO DI VISTA DEGLI OPERATORI

Il Piemonte del turismo sembra aver vinto la sfida lanciata quattro anni fa con leOlimpiadi invernali. Nel corso degli ultimi dieci anni arrivi e presenze turistiche hannoavuto un trend in continuo aumento e nel 2009, un anno decisamente difficile per tutti isettori e in particolare per il turismo, gli arrivi totali sono stati più di 3.867.000, le presen-ze sono state quasi 11.594.000.Si tratta di cifre significative, ancora di più perché in controtendenza sia rispetto ai datiitaliani che a quelli mondiali che hanno visto il settore turistico diminuire mediamentedell’8% a livello mondiale.La consistenza e l’importanza dei beni culturali, degli ambiti naturali, della qualità dellavita, del sistema delle infrastrutture e degli altri fattori di attrazione del Piemonte sonoadeguati se non superiori a quelli di altre destinazioni turistiche ricche di frequentazioni eda più tempo caratterizzate da una forte economia turistica.Gli eventi che si stanno susseguendo nella nostra regione sono di acclamata qualità e disicuro richiamo internazionale. Nonostante tutte queste inoppugnabili positività, ilPiemonte e il suo capoluogo trovano ancora un riscontro non pienamente soddisfacentenelle classifiche dei vari sistemi valutativi periodicamente pubblicate, così come nelle pro-poste dei tour-operator.

Torino11 dicembre

2009

Torino19 dicembre

2009

Torino4 marzo e 10giugno 2010

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A dispetto dei positivi riscontri in termini di arrivi e presenze turistiche, permane la sensa-zione che esistano ancora forti margini di miglioramento determinati da una miglioreorganizzazione delle risorse, in termini sia di prodotto che di coordinamento e cooperazio-ne fra i diversi attori del settore.Nella letteratura recente sullo sviluppo locale, i territori sono sempre più considerati comepossibili titolari di capabilities collettive, con vantaggi competitivi derivanti da saperi esaper-fare pregiati perché specifici. In questa prospettiva, la disponibilità di più capabilitiesrende un territorio meno vulnerabile e dipendente.Un insieme di studi condotti da IRES hanno permesso di delineare, in Piemonte, le piùrecenti tipologie di flussi turistici extra-regionali e di prossimità, e come questi possanoessere potenziati con politiche integrate volte a migliorare l’accessibilità e l’accoglienza deiterritori. In una prospettiva di ricerca applicata a supporto delle politiche pubbliche, ilruolo degli attori coinvolti é essenziale, dal punto di vista conoscitivo come dal punto divista operativo.A partire da queste considerazioni, l’IRES ha avviato a un ciclo di incontri per promuovereil confronto tra gli attori che, a vario titolo, si occupano di turismo nei diversi contesti ter-ritoriali regionali.Il primo di questi incontri si è svolto il 4 marzo 2010 e ha visto la presentazione dellericerche dell’IRES nel campo del turismo integrate dai contributi del prof. Cesare Emanuele del prof. PierVincenzo Bondonio e da quelli dei rappresentanti della Regione Piemonte edelle province piemontesi.Il secondo appuntamento si è tenuto il 10 giugno 2010 ed era volto a stimolare il dibattitofra decisori pubblici e gli attori privati che si confrontano con la realtà turistica dei nostriterritori, anche grazie al contributo di esperienza di realtà organizzative di altre regioni,come l’Associazione Veneziana Albergatori e i Club di Prodotto dell’Emilia-Romagna.Il convegno del 10 giugno è stato il secondo appuntamento del ciclo di incontri sul turismoorganizzati dall’IRES, allo scopo di fornire possibili indicazioni di policies per il migliora-mento delle performance del settore turistico piemontese. Un terzo appuntamento, previ-sto per l’autunno, sarà dedicato all’approfondimento dei temi della metodologia dellaricerca nel settore turistico.

WI-PIE 2010: SERVIZI E PROSPETTIVE PER LA BANDA LARGA IN PIEMONTELa presentazione del Rapporto, rappresenta un’occasione importante per fare il punto sullericadute del programma WI-PIE. A livello istituzionale esso rappresenta un elemento unifi-cante di diverse altre iniziative regionali: la diffusione del “modello piemontese” di sviluppodel territorio, il successo di bandi ICT finanziati con fondi europei POR-FESR 2007-2013,senza dimenticare il progetto europeo “B3 Regions”, best practice per la banda larga di cui laRegione Piemonte è capofila. La giornata ha quindi avuto per obiettivo riflettere sulle oppor-tunità che questo cruciale investimento infrastrutturale sta aprendo nel prossimo futuro.Dopo l’introduzione di Andrea Bairati (assessore all’innovazione della Regione Piemonte)e di Angelo Pichierri (presidente IRES), hanno discusso dei temi in agenda: RobertoMoribondo (dirigente Settore Sistemi Informativi e Tecnologie della Comunicazione,Regione Piemonte), Marco Ciurcina (presidente Associazione per il Software Libero), PaoloColli Frantone (direttore generale Netics), Ezio Robotti (direttore generale ASL Verbano-Cusio-Ossola), Alexander Antignolo (assessore Innovazione Tecnologica, PubblicaIstruzione e Sicurezza Informatica. Comune di Borgofranco d’Ivrea), Giorgio Rinaldi (diret-tore responsabile Unione dei Comuni del Fossanese), Claudia Limonato (r responsabileoperativa CRC Piemonte) ed Eugenio Gambetta (Sindaco Comune di Orbassano).

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TITI ANTICIPAZIONI SUL CLIMA DI OPINIONE IN PIEMONTE

È vero che gli immigrati sono più ottimisti sul futuro e meno indebitati dei piemontesi? Ilgradimento per i principali servizi pubblici è in crescita o in diminuzione? Quanta fiduciariscuotono le istituzioni dello stato nella nostra regione? E quanto sono soddisfatti i pie-montesi della propria vita?Angelo Pichierri (presidente IRES) ha presentato: “Cinque domande sul Piemonte”, irisultati dell’indagine sul clima di opinione in Piemonte. Si tratta di una rilevazione che,nel quadro delle attività della Relazione sulla situazione sociale, economica e territorialedel Piemonte, l’IRES effettua ogni anno. I dati raccolti vengono utilizzati per aggiornareun “cruscotto” di indicatori che può essere consultato on line all’indirizzowww.regiotrend.piemonte.it/site nella sezione approfondimenti. Nel corso della conferen-za, sono inoltre stati distribuiti gli stessi dati raccolti anche per le singole province delPiemonte.

THE 7th PEARL CONFERENCEPUBLIC ECONOMICS AT THE REGIONAL AND LOCAL LEVEL

Il Dipartimento POLIS (Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive)dell’Università del Piemonte Orientale di Alessandria e l’IRES hanno organizzato la setti-ma edizione della Conferenza internazionale PEARL sull’economia pubblica a scala regio-nale e locale. PEARL, è una rete di ricercatori e istituzioni attive nel campo dell’economia pubblica appli-cata e della finanza pubblica. I papers presentati nel corso della conferenza si concentranosui livelli regionali e locali di governo e sulle interrelazioni tra questi e tra questi e ilgoverno centrale. Alla conferenza hanno partecipato con dei contributi Giorgio Brosio(Università di Torino e Comitato scientifico IRES) e Stefano Piperno (ricercatore IRES),Renato Cogno (ricercatore IRES), Giovanna Garrone (borsista IRES) e Santino Piazza(ricercatore IRES).

PRESENTAZIONE DEL PROGETTO ASSYST (ACTION SUPPORT FOR THE SCIENCE OFCOMPLEX SYSTEMS AND SOCIALLY INTELLIGENT ICT), LE SFIDE DELLA COMPLESSITÀ

Riuscirà la complessità a migliorare molti aspetti della vita di tutti giorni? Di questo si èdiscusso all’IRES, nel corso della presentazione del progetto europeo ASSYST (ActionSupport SYstem for Socially intelligent icT, www.assystcomplexity.eu). Finanziato nel-l’ambito delle attività promosse dal FET (Future and Emergine Technologies), ASSYST èparte del programma “Science of Complex Systems for Socially Intelligent ICT (COSI-ICT)”.Il progetto ha lo scopo di diffondere la scienza della complessità in tutti i campi dellasocietà, incluse le imprese e la pubblica amministrazione nella sua funzione di formulazio-ne delle politiche pubbliche. Utilizzare l’approccio della complessità per le politiche pubbliche porterà a una miglioreefficienza, questo è ciò che ha sostenuto Jeff Johnson della Open University che coordina ilprogetto europeo. Le politiche pubbliche spesso si sostanziano in interventi dei quali nonsi conoscono i risultati. Potenziare, attraverso la scienza, la capacità progettuale delle poli-tiche è essenziale per affrontare l’incertezza che ne accompagna la messa in opera. Ciò con-sente di allineare sempre meglio e di fare co-evolvere il sistema e le soluzioni che vengonoproposte. Le soluzioni configurabili, inoltre, passano attraverso l’utilizzazione delle ICT.

Torino15 aprile 2010

Torino6 maggio 2010

Torino11 maggio 2010

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I vantaggi che la pubblica amministrazione può trarre dalla scienza dei sistemi complessisono esemplificati dall’intervento di Daniela Paolotti (ISI) con riferimento al controllodella diffusione delle epidemie. L’uso di modelli basati su sistemi complessi (quali i model-li delle reti), infatti, può migliorare l’efficienza nella fornitura dei servizi, facendo rispar-miare costi alla società. Gli effetti di una politica pubblica che usa il paradigma della com-plessità (uso dei social networks come Facebook e Twitter) sono stati evidenziati anche daGuglielmo Gasparini (CSI-Piemonte). I dati e le informazioni possono essere “estratti”dalla società con un processo di auto gestione e partecipazione reso possibile dalle tecnolo-gie del web interattivo. Ciò ha ricadute importanti anche con riferimento alle interazionetra i sistemi informativi della PA. Nel presentare l’Osservatorio ICT del Piemonte (una rete collaborativa, nelle quale conver-gono il Politecinco di Torino, CSP; CSI-Piemonte e IRES), Vittorio Vallero (CSI, RegionePiemonte) ha ricordato come da tempo le ICT siano al cuore delle strategie regionali.Monitorarne l’evoluzione ed i processi di penetrazione è pertanto essenziale per mettere apunto programmi e progetti di sviluppo delle ICT adatti alle esigenze dei territori locali.Alle esigenze di monitoraggio si affiancano oggi la necessità di poter anticiparne l’impattoatteso e valutarne ex ante le ricadute. L’intervento di Michela Pollone (CSP innovazione nelle ICT) ha poi illustrato come tra iprogetti per il trasferimento dell’innovazione ai territori i “laboratori viventi” siano oggiiniziative molto promettenti per testare le potenzialità delle innovazioni in diversi ambitidelle collettività locali. Enrico Ferro (ISBM) ha sottolineato l’importanza di stimolare idecisori politici nell’uso e nella progettazione all’uso delle ICT per innovare il settore pub-blico. Mariella Berra (Dipartimento di Scienze Sociali, Università di Torino) ha richiamatol’importanza dell’economia della conoscenza e dei nuovi profili occupazionali e professio-nali che possano nascere dall’’integrazione di reti tecnologiche e di reti di sapere (temi cen-trali del progetto ERICA) Tali reti possono rappresentare delle opportunità innovative ine-dite nella regione Piemonte.Guglielmo Girardi (TOP-IX) ha concluso le presentazioni con l’illustrazione dello share-grid, una infrastruttura di rete che connette piccoli laboratori. Essa coniuga due possibi-lità: quella cosiddetta del “big iron” nella quali si ha una integrazione virtuale e quella delGRID computer che volontariamente si rendono disponibili in una federazione di piccolilaboratori.In conclusione, uno dei messaggi veicolati dal convegno è che l’adozione di un approcciodi complessità rappresenta una strategia di azione che “semplifica” la vita del cittadino,mettendolo al centro di processi di innovazione. Riusciremo a raggiungere questo risulta-to? Certamente la sfida è raccolta dall’IRES (partner del progetto ASSYST) e dalla RegionePiemonte: costruire un sistema socialmente intelligente a partire dalla federazione delleiniziative ICT già oggi avviate nella regione. Questo uno dei futuri possibili e concretamen-te perseguibili.

PRESENTAZIONE DEL VOLUME: “CINQUANT’ANNI ANNI DI RICERCHE IRES SULPIEMONTE”

Nella cornice dell’edizione 2010 del Salone Internazionale del Libro di Torino, l’IRES hapresentato il volume che raccoglie i contributi dedicati alle letture di cinquant’anni di evo-luzione sociale ed economica del Piemonte. Hanno discusso del tema: Angelo Pichierri(presidente IRES), Marcello la Rosa (direttore IRES), Giorgio Brosio (Comitato scientificoIres), Enrico Grosso (Università di Torino), Stefano Piperno (ricercatore IRES) e GiuseppeBerta (Università Bocconi).

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Torino14 maggio 2010

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TITI MODELLI DI SIMULAZIONE AD AGENTI E INIZIATIVE DI SVILUPPO LOCALE

Pietro Terna (Università di Torino) ha relazionato presso l’IRES su un progetto sviluppatoin collaborazione tra Applied Solution Coalition (www.appliedsolutions2009.com) e ladivisione di geofisica del Los Alamos National Laboratory (http://lanl.gov) con lo scopodi migliorare l’efficienza e la rispondenza dei progetti di ricerca per le comunità locali. Ilprogetto si basa sull’utilizzo dei modelli di dinamica dei sistemi e in particolare sulla simu-lazione ad agenti. Tramite questo approccio è possibile ricostruire in modo virtuale le inte-razioni di attori economici e sociali in un determinato territorio a fronte di iniziative disviluppo locale. In tal modo è possibile misurarne meglio le ricadute e mettere a puntostrumenti previsivi più razionali ed efficaci.

PIEMONTE ECONOMICO SOCIALE – RELAZIONE ANNUALE 2009Con la partecipazione Bartolomeo Giachino (sottosegretario al Ministero Infrastrutture eTrasporti) e Giuseppe Dematteis (Politecnico di Torino – Dipartimento InterateneoTerritorio) è stata presentata l’edizione 2010 della Relazione socioeconomica e territorialedel Piemonte. I lavori del seminario sono stati introdotti da Marcello La Rosa (direttoreIRES) e da una relazione di Angelo Pichierri (presidente IRES). L’illustrazione dei principalirisultati del lavoro è stata svolta da Maurizio Maggi (ricercatore IRES). A conclusione dellagiornata è intervenuta Stefania Crotta (direttore Ricerca, Innovazione e Competitività.Regione Piemonte) a nome dell’Assessorato allo Sviluppo economico, Ricerca eInnovazione della Regione Piemonte.

“PIEMONTE ECONOMICO SOCIALE 2009” E “L’ECONOMIA DEL PIEMONTE”La Relazione socioeconomica e territoriale del Piemonte dell’IRES è stata presentata insie-me al rapporto sull’economia del Piemonte curato dall’Ufficio studi della Banca d’Italia,sede di Torino. La presentazione dei due lavori a Verbania è stata introdotta da MarcoZacchera (sindaco di Verbania) e da Claudio Cottini (assessore Università e CulturaProvincia del Verbano-Cusio-Ossola). Successivamente hanno preso la parola AngeloPichierri (presidente IRES) e Maurizio Maggi (coordinatore Relazione annuale), MarcelloCallari (direttore della Sede di Torino della Banca d’Italia) e Cristina Fabrizi (DivisioneAnalisi e ricerca economica territoriale della Sede di Torino della Banca d’Italia). Le con-clusioni sono state svolte da Valerio Cattaneo (presidente Consiglio regionale delPiemonte).

Torino26 maggio 2010

Torino18 giugno 2010

Verbania30 giugno 2010

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MAURIZIO MAGGI (A CURA DI)

Piemonte Economico Sociale 2009

LUCIANO ABBURRÀ, CARLA NANNI ET AL.

Osservatorio Istruzione Piemonte: rapporto 2009

IRES, REGIONE PIEMONTE

Immigrazione in Piemonte: rapporto 2009

ISAE, IRES PIEMONTE, IRPET, SRM, IRER (A CURA DI)

La finanza locale in Italia: rapporto 2009

Franco Angeli, “Università: economia”

BENEDETTA CIAMPI, FIORENZO FERLAINO, EMANUELA

GUARINO

L’area della cooperazione transfrontaliera Italia-Francia.Obiettivo 3, Cooperazione, Programmazione 2007-2013

“Quaderni ricerca” n. 121

ALESSANDRA COLOMBELLI , VITTORIO FERRERO

Situazione e prospettive della cooperazione nei compartidella logistica, delle pulizie e del confezionamento

“Quaderni ricerca” n. 122

CRISTINA BARGERO

L’esternalizzazione dei servizi di pulizianei comuni piemontesi

“Quaderni ricerca” n. 123

ALBERTO CRESCIMANNO, FIORENZO FERLAINO, FRANCESCA SILVIA ROTA

Classificazione della marginalità dei piccoli comunidel Piemonte 2009

“Contributi di ricerca” n. 235

SIMONE LANDINI

Commercio e comuni in Piemonte. La classificazione pertipologia di dotazione di strutture commerciali tra il

2005 e il 2008“Contributi di ricerca” n. 236

ANGELA RUGGLES

Stratigraphic Landscapes: Ecomuseums and Archaeology“Contributi di ricerca” n. 239

STEFANO AIMONE

L’Agricoltura piemontese nel 2009“Contributi di ricerca” n. 240

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SANTINO PIAZZA, STEFANO PIPERNO

Urban development and fiscal interdependencies inmetropolitan areas: a preliminary assessment based on

evidence from the metropolitan area of Turin

“IRES materiali” n. 2

LUCIANO ABBURRA

Innovazione sociale e prospettiveeconomiche oltre la crisi

Fuori collana

VITTORIO FERRERO

Le socie e le collaboratrici nelle impresefamiliari dell’artigianato

Fuori collana

SERGIO CONTI (A CURA DI)Carta del territorio. La proposta del Piemonte per un

nuovo governo del territorio regionaleFuori collana

ALBERTO CRESCIMANNO, SILVIA CRIVELLO,FIORENZO FERLAINO

Il sistema di Protezione Civile:il modello della Regione Piemonte

Fuori collana

ALBERTO CRESCIMANNO, FIORENZO FERLAINO,FRANCESCA SILVIA ROTA

La montagna del Piemonte:varietà e tipologie dei sistemi locali

Fuori collana

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