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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito, nel Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza, LMG-01 A.A 2018/2019 3 maggio 2019 L’illegittimità costituzione e convenzionale dell’art 75, 2°comma del d.lgs. 159/2011, nella parte in cui sanziona la violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».

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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI,

STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI

Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito, nel Corso di Laurea Magistrale in

Giurisprudenza, LMG-01

A.A 2018/2019

3 maggio 2019

L’illegittimità costituzione e convenzionale dell’art 75, 2°comma del

d.lgs. 159/2011, nella parte in cui sanziona la violazione delle

prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».

Ludovica Astore e Valentina Celoni

Relatore: Prof. Carlo Sotis

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INDICE:

0. Premessa. Le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» nelle misure

di prevenzione……………………………………………………………………………………….1

1. Le misure di prevenzione: la sorveglianza speciale…………………………………………..5

1.1. La sorveglianza

speciale…………………………………………………………………………6

1.2. Art. 75, d.lgs. 2011, n. 159. Violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza

speciale…….8

2. Le principali tappe dell’evoluzione giurisprudenziali……………………………………….9

2.1. Tre importanti pronunce della Corte Costituzionale: dal 1956 al

2010………………………..9

2.2. La posizione della Corte Edu, Grande Camera con la sentenza de Tommaso c.

Italia.……….11

2.3. La c.d. sentenza Paternò: l’interpretazione conforme alla CEDU delle Sezioni

Unite………..14

2.4. La giurisprudenza dopo la sentenza

Paternò…………………………………………………..15

3. Una pronuncia tanto attesa: la sentenza della Corte Costituzionale n. 25 del

2019……..16

4. Considerazioni conclusive…………………………………………………………………….17

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Bibliografia

Premessa. Le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» nelle misure di

prevenzione.

Fin dalle loro origini le prescrizioni di «vivere onestamente» e «rispettare le leggi», connesse

all’imposizione delle misure di prevenzione, hanno sollevato non pochi problemi sia di natura

interpretativa che applicativa.

A suscitare maggiori tensioni ha contribuito il disposto dell’art. 9 legge n. 1423 del 1956, trasfuso

nel nuovo art.75, comma 2, n. 159, del d.lgs. 2011 (c.d. Codice Antimafia), il quale sanziona come

delitto la violazione e delle prescrizioni imposte con la misura di prevenzione della sorveglianza

speciale di pubblica sicurezza.

È nel febbraio scorso, con la sentenza della Corte Costituzionale del 2019, n. 25, che si è giunti alla

pronuncia di illegittimità costituzionale di tale articolo nella parte in cui sanziona la violazione delle

prescrizioni «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».

È opportuno ora dare alcune chiavi di lettura prodromiche alla comprensione dell’argomento che si

affronterà nei capitoli successivi.

Innanzitutto ci preme inquadrare le prescrizioni «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».

Tradizionalmente attribuita ad Ulpiano1, la honeste vivere, costituisce uno dei principi fondamentali

del diritto privato romano.

Nel nostro ordinamento i precetti «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» sono accolti dal

legislatore italiano all’ art. 8, comma 4, del Codice antimafia2.

«Vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» sono prescrizioni, ossia indicazioni che devono essere rispettate dal

soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Possiamo considerare

1 Digesto 1, 1, 10 v. M. BRUTTI, Il diritto privato nell’Antica Roma. Seconda Edizione, Torino, 2011, pag. 622 Art 8, 4 comma, d.lgs. 2011, n. 159  « In ogni caso [il Tribunale], prescrive di vivere onestamente, di rispettare le leggi, e di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza; prescrive, altresì, di non associarsi alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misura di prevenzione o di sicurezza, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una certa ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all'autorità locale di pubblica sicurezza, di non detenere e non portare armi, di non partecipare a pubbliche riunioni.»

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la sorveglianza speciale come uno scatolone vuoto e le prescrizioni e gli obblighi imposti dal Tribunale come il

contenuto che da valore e importanza allo scatolone: il sorvegliato deve conoscere, dal momento in cui riceve il

provvedimento, le condotte da cui astenersi e quali attività deve, invece, obbligatoriamente compiere.

La loro funzione è duplice: da un lato devono orientare il comportamento del sorvegliato; hanno, perciò, l’arduo

compito di garantire che la sorveglianza speciale dia i sui frutti, ossia portare il sorvegliato nelle condizioni di non

commettere nessun reato. Dall’altro esse devono inquadrare con precisione le limitazioni delle libertà del sorvegliato,

così da evitare l’arbitrio del giudice nella valutazione circa l’adeguamento del pervenuto alla condotta prevista.

L’art 8 del d.lgs., n. 159, al comma 4, individua una serie di obblighi e prescrizioni che il giudice deve imporre «in ogni

caso» al sorvegliato speciale, indipendentemente dal grado di pericolosità manifestata; tra le prescrizioni da disporre

ogniqualvolta venga prevista una misura di prevenzione della sorveglianza speciale, emergono anche “vivere

onestamente” e “rispettare le leggi”. A differenza degli altri obblighi indicati dal medesimo articolo, come ad esempio

“non detenere o portare armi” (art 8 d.lgs. 2011, n. 159 , comma 4), le prescrizioni in parola peccano di eccessiva

genericità; non riescono a inquadrare quale condotta deve essere tenuta dal soggetto e soprattutto non riescono a far

conoscere previamente al pervenuto quale atteggiamento non deve essere tenuto per non incorrere nel reato di cui l’art

75 del d.lgs. n. 159/2011. Più che un obbligo di facere o non facere, esse sembrerebbero indicare un dovere

comportamentale impreciso.

Dunque, cosa può fare il sorvegliato per rispettare il precetto dell’honeste vivere? Presumibilmente un qualsiasi

atteggiamento considerato dalla comunità un tabù, un eccesso alle regole civili, potrebbe essere considerato non

conforme al precetto in parola. La conseguenza di questa non precisione è la non prevedibilità: il sorvegliato è

disorientato.

Nessuno mette in dubbio la scelta di politica criminale fatta dal legislatore, che inserendo le

prescrizioni di «vivere onestamente» e «rispettare le leggi» nel nostro ordinamento, volesse,

certamente, salvaguardare la sicurezza sociale da qualsiasi soggetto ritenuto socialmente pericoloso.

La scelta fatta sembra però non in grado di inquadrare la condotta che effettivamente può

minacciare l’esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce3.

La questione della prevedibilità o meno di queste prescrizioni, è stata toccata più volte dalla

giurisprudenza, sia costituzionale che convenzionale. Fin dalle prime pronunce, infatti, è stata

sottolineata l’assenza del valore precettivo; un difetto tanto evidente da essere sollevato dalla Corte

di Strasburgo nella sentenza de Tommaso del 20174, come vedremo successivamente.

Anche la Corte Costituzionale è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla prevedibilità delle

misure di prevenzione, tanto che, con la sentenza n. 177/805, dichiara incostituzionale la «proclività

a delinquere», in ragione della sua inidoneità a individuare concretamente la condotta da cui poter

3 Corte Costituzionale, 23 giugno 1956 n. 24 Corte EDU, Grande Camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia5 Con la sentenza C. Cost. n. 177 del 22 dicembre 1980, la Corte ha dichiarato incostituzionale l’art. 1 comma 3 della l. 1423/1956 nella parte in cui prevedeva come possibili destinatari delle misure di prevenzione coloro che “per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere”.

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dedurre un giudizio prognostico di pericolosità sociale (presupposto per l’applicazione delle misure

di prevenzione).

Le prescrizioni in parola e il precetto «proclivi a delinquere» sono funzionalmente distanti: i primi descrivono una

condotta che deve essere osservata per evitare di commettere reati; il secondo, al contrario, parte da una considerazione

diversa, ossia, il soggetto proclive a delinquere è colui che tende ad avere una condotta criminosa reiterante6.

Se si pongono a confronto questi due precetti, in relazione alla loro aderenza al principio di prevedibilità, entrambe

lasciano estrema discrezionalità al giudice e prima ancora all’autorità di pubblica sicurezza, nel definire la fattispecie

delittuosa e poi nell’accertare il comportamento tenuto dal sorvegliato.

La Corte Costituzionale ha sempre cercato di salvaguardare il «vivere onestamente» e il «rispettare

le leggi», utilizzando il meccanismo dell’interpretazione conforme; con la sentenza n. 282 del 2010,

la Consulta ha confermato il filone dottrinale maggioritario secondo il quale la prescrizione «vivere

onestamente» deve essere «collocata nel contesto di tutte le altre prescrizioni»7 e non valutata

isolatamente; mentre la prescrizione di «rispettare le leggi» deve configurare l’obbligo, per il

sorvegliato, di rispettare tutte le norme presenti nel nostro ordinamento. Un approccio, questo,

molto discusso e contestato8.

Solo successivamente le Sezioni Unite9, coerentemente con quanto rilevato dalla Corte di

Strasburgo, hanno confermato la genericità e indeterminatezza delle prescrizioni, dando alla

violazione delle suddette diretta rilevanza in sede di esecuzione del provvedimento ai fini

dell’aggravamento della misura, limitando l’effetto dirompente delle stesse.10

Le due prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» si muovono all’interno di un

istituto, quello delle misure di prevenzione, in particolare della sorveglianza speciale di pubblica

sorveglianza, in quanto, il destinatario delle prescrizioni in parola, può essere soltanto il sottoposto

alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

6 Questa differenza viene sottolineata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 177 del 1980, in cui viene stabilito che “ la espressione «proclivi a delinquere» usata da legislatore del 1956 sembrerebbe richiamare l’istituto della «tendenza a delinquere» di cui all’art. 108 del codice penale […]la dichiarazione prevista da quest’ultima norma presuppone l’avvenuto accertamento di un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale e dei motivi a delinquere, tali da far emergere una speciale inclinazione al delitto.” 7 Corte Costituzionale, 23 luglio 2010, n. 282 (§ 2.1)8 Corte Edu, Grande Camera, sent. 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia (§§ 119-122).9 Ci riferiamo alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Un. Pen, n. 40076 del 2017 (c.d. sentenza Paternò), in www.penalecontemporaneo.it .10 L. CAPRIELLO, La repressione della pericolosità sociale: le misure di prevenzione tra le esigenze di tutela dell’ordine sociale e il difficile inquadramento nell’ordinamento nazionale ed europeo, in www.giurisprudenzapenale.com , 2017, 6

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L’altro aspetto da analizzare è l’art 75, 2°comma, del d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto sanziona

penalmente “[…]l’inosservanza riguardante gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza

speciale con obbligo o divieto di soggiorno[…]”, tra cui «vivere onestamente» e «rispettare le

leggi».

1. Le misure di prevenzione: la sorveglianza speciale

La prevenzione del crimine è una componente necessaria di ogni organizzazione sociale. La

sicurezza è la condizione che permette ad ogni individuo di esplicare i propri diritti senza che altri

possano incidervi negativamente. Capire quali strumenti è meglio utilizzare per prevenire il crimine

e salvaguardare la sicurezza, è stato ed è tuttora il dubbio che affligge dottrina e giurisprudenza.

Nel nostro ordinamento sono state adottate le c.d. misure di prevenzione. Queste hanno come

obiettivo preminente quello di contrastare la concreta pericolosità sociale, ovverosia impedire la

commissione di reati.

Le misure di prevenzione sono misure social preventive, ante o praeter delictum, ciò vuol dire che

esse sono applicabili prima della commissione di un reato o indipendentemente dalla commissione

di un fatto penalmente rilevante. Questo aspetto strutturale le distingue dalle misure di sicurezza,

applicabili soltanto successivamente la realizzazione di un reato o quasi-reato11 (art. 25 Cost.

comma 3).

Le misure di prevenzione nascono come misure amministrative limitative della libertà personale,

volte a reprimere ogni forma di sovversione al sistema democratico.

Con l’entrata in vigore della Costituzione, onde evitare il contrasto con i principi fondamentali da

questa garantiti, il legislatore, con la legge n. 1423 del 1956, ne attribuì la competenza all’autorità

giudiziaria (Tribunale).

Trattandosi di strumenti volti ad operare una restrizione della libertà personale, senza previo

procedimento penale, il timore è quello di ricadere nel “sistema del sospetto”, in quanto si tratta di

misure che se non ricondotte all’alveo dei principi di razionalità, legalità e determinatezza, possono

dar adito a pericolosi arbitri. Si tratta, dunque, di un giudizio prognostico di pericolosità data

dall’assenza di elementi idonei a valutare se quel determinato soggetto possa realmente mettere in

pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica.

Dato il complesso fenomeno, il legislatore è più volte intervenuto sulla materia, apportando

periodicamente delle modifiche: inizialmente adotta la legge 27 dicembre 1956, n. 142312, che nella

11 G. MARINUCCI E. DOLCINI, Manuale di diritto. Penale parte generale, Milano, 2015, p. 716. 12 Legge 27 dicembre 1956, n. 1423 recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la moralità pubblica.

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sua formulazione originaria, prevedeva l’intervento preventivo dello Stato nei confronti di cinque

categorie di persone pericolose ( c.d. pericolosità comune o semplice) cui poter applicare la misura

di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

Successivamente, l’ambito di applicazione soggettiva viene ampliato, affiancando ai destinatari

originari delle misure di prevenzione gli «indiziati di appartenere ad associazioni mafiose» (l. n. 575

del 1965)13 e i «sovversivi» (l. n. 152 del 1975)14.

Altro intervento innovatore si ha nel 1982 quando con la legge Rognoni-La Torre15 viene esteso

anche l’ambito oggettivo introducendo le misure di prevenzione patrimoniali.

Oggi la disciplina normativa di riferimento è il d.lgs. n. 159/2011 («Codice delle leggi antimafia e

delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia»)

nato dall’esigenza di armonizzare e razionalizzare la disciplina normativa in esame.

L’utilizzo del Codice antimafia come legge per disciplinare le misure di prevenzione, sembra appropriato al fine di

raggruppare in un testo normativo unico tutte le disposizioni in materia di contrasto alla criminalità, prime fra tutte le

organizzazioni di tipo mafioso, maggiormente diffuse ed operanti sul nostro territorio. Il decreto contiene infatti 120

articoli ove sono contenute le norme che disciplinano le misure di prevenzione, nonché, norme sulla documentazione

antimafia ed alcuni organismi antimafia, riproducendo, anche, la precedente distinzione tra misure di prevenzione

personali e patrimoniali. Si segnala poi che il testo è stato esteso con un complesso e coordinato sistema di misure

dirette al contrasto del fenomeno terroristico, anche di matrice internazionale. Il fine primario del decreto rimane

comunque quello di preservare la sicurezza pubblica da quei soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi

indipendentemente dalla “classe criminale” cui possono essere ricondotti.

Le misure di prevenzione personali disciplinate dal Codice antimafia sono:

- l’avviso orale;

- il foglio di via obbligatorio;

- la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

L’oggetto della nostra tesina ci obbliga a soffermarci solo sulla sorveglianza speciale di pubblica

sicurezza. Poiché le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» vengono

applicate esclusivamente al destinatario di questa forma di misura di prevenzione personale.

13 Quando non era ancora previsto il reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e il reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.). 14 Legge 22 maggio 1975, n. 152, “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”, in Gazzetta Ufficiale.15 Legge n. 646, del 13 settembre 1982, oltre a prevedere le misure di prevenzioni patrimoniali, ha introdotto nel codice penale la previsione del reato per “associazione di tipo mafiosa” (art 416-bis c.p.).

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1.1 La sorveglianza speciale16

La sorveglianza speciale è la più grave tra le misure di prevenzione personale. Deve essere applicata

quando nessun’altra misura sembra essere idonea a tutelare la sicurezza sociale della collettività.

È applicata ai soggetti che non hanno rispettato l’avviso orale del Questore (che consiste in una

sollecitazione a cambiare condotta, adottando quindi un comportamento conforme alla legge e che

sussistono sospetti a loro carico). Dunque, qualora il soggetto avvisato non cambi condotta nei

tempi previsti dalla legge, il Questore può chiedere al Presidente del Tribunale l’applicazione della

sorveglianza speciale17. Essa, perciò, ha carattere giurisdizionale, in quanto è disposta dal Tribunale

con decreto motivato.

Sono due i presupposti applicativi della misura: l’appartenenza ad una delle categorie soggettive

previste dalla legge18 e la loro pericolosità per la sicurezza pubblica; pericolosità che deve essere

effettiva, attuale e accertata giudizialmente.

16 V. MAIELLO, Profili sostanziali: le misure di prevenzione personali, in Giurisprudenza Italiana, giugno 2015, pag. 1523 ss.17 Art. 5, d.lgs. 2011, n. 15918 Art. 4, d.lgs. 2011, n. 159, «Soggetti destinatari1. I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano:a) agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale; b) ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all'articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o del delitto di cui all’articolo 418 del codicepenale; c) ai soggetti di cui all'articolo 1; d) a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale; d)agli indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-quater, del codice di procedura penale e a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270-sexies del codice penale;e) a coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; f) a coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 645 del 1952, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza; g) fuori dei casi indicati nelle lettere d), e) ed f), siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera d); h) agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti. E' finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati; i) alle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401;i-bis) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 640-bis o del delitto di cui all’articolo 416 del codice penale, finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 316-ter , 317, 318, 319, 319-ter , 319-quater , 320, 321, 322 e 322 -bis del medesimo codice; i-ter) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale .

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Tale misura non può avere una durata inferiore ad un anno né superiore a cinque.19

Il sorvegliato deve sottostare ad una serie di prescrizione di varia natura decise dal Tribunale stesso,

in base alla pericolosità del soggetto.

La funzione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale è, dunque, quella di

sottomettere il soggetto, considerato pericoloso, ad un controllo pregnante da parte dell’autorità di

pubblica sicurezza, con lo scopo di impedirgli di commettere reati e salvaguardare la sicurezza

pubblica. 20

Nei casi in cui la sorveglianza semplice non sia idonea a tutelare la sicurezza pubblica, al

sorvegliato può essere imposto l’ulteriore obbligo o divieto di soggiorno in un determinato Comune

(art. 6 d.lgs. 2011, n. 159).

1.2 Art. 75, d.lgs. 2011, n. 159. Violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale.

Come sopra accennato, l’art 75 del d.lgs. n. 159 del 201121 è l’altro punto di partenza che deve

essere analizzato per comprendere la problematicità delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di

«rispettare le leggi» inserite nel più ampio contesto delle misure di prevenzione della sorveglianza

speciale.

Infatti, l’art. 75, comma 2 del codice antimafia sanziona come delitto la violazione degli obblighi

che sono imposti, dal Tribunale, al soggetto sorvegliato. Ciò significa, che il sorvegliato che non

rispetta gli obblighi previsti dall’ art. 8 del codice medesimo, comprese le prescrizioni di «vivere

onestamente» e di «rispettare le leggi» , intercorre nel delitto di cui all’ art. 75, comma 2 ed è

punito con la reclusione da 1 a 5 anni.

Alla luce di quanto sopra detto, ci apprestiamo a narrare la “saga” che ha condotto a dichiarare

l’illegittimità dell’art 75, comma 2 del d.lgs. 2011, n. 159, nella parte in cui sanziona come delitto la

violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».

19 Art. 8, d.lgs. 2011, n. 159 20 Le critiche mosse all’istituto in esame riguardano proprio l’effettiva funzionalità di questo strumento, che, al contrario del fine perseguito, può avere un riflesso criminogeno sulla società stessa, tanto da accrescere la criminalità invece che ridurla, avendo effetti discriminatori e desocializzanti sul sorvegliato destinatario della misura di prevenzione. Lo stesso giudice Pinto de Alburquerque, nel spiegare la propria opinione parzialmente dissenziente sulla sentenza de Tommaso, sottolinea il potenziale criminogeno del sistema di prevenzione previsto dalla legge n. 1423 del 1956, oltre che un «carattere intrinsecamente anti-risocializzante», in sent. Corte Edu, Grande Camera, de Tommaso c. Italia, 23 aprile 2017, in www.penalecontemporaneo.it ; una forte critica viene fatta anche da G. BALBI, Le misure di prevenzioni personali, in Riv. ita. dir. proc. pen., 2, 2017, pag. 505 ss.21Art. 75, comma 2 d.lgs. n. 159/2011: “Se l'inosservanza riguarda gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l'obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni ed è consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza.”

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2. Le principali tappe dell’evoluzione giurisprudenziali

L’imprecisione di questi sintagmi ha dato origine ad una “saga”, che ha coinvolto l’attività della

Corte Costituzionale, fin dalle sue prime sentenze22.

Di seguito approfondiremo le diverse posizioni della Corte Costituzionale, della Corte di cassazione

e della Corte Edu, chiamate a pronunciarsi su questa vicenda che ha visto come principali

protagonisti le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» coinvolgendo

inevitabilmente il delitto di cui l’art. 75, comma 2 del codice antimafia, disposto di legge che

punisce ugualmente l’inosservanza degli obblighi specifici e delle prescrizioni generiche, tra cui le

suddette prescrizione, imposte al sorvegliato.

2.1 Tre importanti pronunce della Corte Costituzionale: dal 1956 al 2010

Il percorso che stiamo per descrivervi ha come punto di partenza una delle prime pronunce nella

storia della Corte Costituzionale: la sentenza n. 2 del 1956. È tramite questa sentenza che si è aperta

la questione sulla legittimità costituzionale delle misure di prevenzione, in relazione ai principi

costituzionalmente garantiti, in particolare le libertà sancite dagli l’art 13, 16, 25 della Costituzione.

La sentenza n. 2 del giugno 1956 ha ad oggetto la legittimità costituzionale dell’art. 157 del T. U.

delle leggi di pubblica sicurezza23, il quale prevedeva il rimpatrio con foglio di via obbligatoria, o

per traduzione, antecedenti storici di quelli che oggi conosciamo con il nome di misure di

prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

Questa sentenza delinea quelli che saranno i principi ai quali il sistema di prevenzione dovrà

sottostare: i) l’intervento del giudice antecedente all’imposizione della misura affinché il

provvedimento sia fondato su fatti concreti (e non sospetti); ii) l’obbligo di motivazione che

consente al cittadino l’esercizio del diritto di difesa.

Il punto centrale della sentenza riguarda la separazione tra misure limitative della libertà personale,

soggette all’art. 13 Cost., il quale stabilisce una riserva assoluta di legge e di giurisdizione e misure

22 Il primo intervento della Corte ha riguardato l’art 157 T.U. leggi sulla pubblica sicurezza, successivamente oggetto dell’interesse della Consulta diventa la norma incriminatrice dapprima inserita all’interno dell’art 9 della l. 1423 del 1956 e successivamente trasfusa nell’attuale art 75 del codice antimafia.23 Art 157 del r.d. n. 18 giugno 1931, n. 773, T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, il quale disponeva: “Chi, fuori del proprio Comune, desta sospetti con la sua condotta e, alla richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, non può o non vuol dare contezza di sé mediante l'esibizione della carta d'identità o con altro mezzo degno di fede, è condotto dinanzi l'autorità locale di pubblica sicurezza. Questa, qualora trovi fondati i sospetti, può farlo rimpatriare con foglio di via obbligatorio o anche, secondo le circostanze, per traduzione.Questa disposizione si applica anche alle persone pericolose per l'ordine e la sicurezza pubblica o per la pubblica moralitàL'autorità di pubblica sicurezza può vietare a chi è rimpatriato con foglio di via obbligatorio o per traduzione di ritornare nel Comune dal quale è allontanato, senza preventiva autorizzazione dell'autorità stessa.I contravventori sono puniti con l'arresto da uno a sei mesi scontata la pena, sono tradotti al luogo di rimpatrio”.

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limitative della sola libertà di circolazione, adottabili dall’autorità amministrativa ai sensi dell’art 16

Cost., per i “motivi di sanità e sicurezza”24.

I punti focali della sentenza vengono recepiti dal legislatore con l’adozione della legge 27 dicembre

1956, n. 1423, trasfusa nel d.lgs. 159/2011.

L’altra sentenza da prendere in esame è quella della Corte Costituzionale n. 177 del 1980. La Corte

in questa sede affronta la questione della legittimità costituzionale dell’art. 1, n. 3 u.p., della legge

1423/1956 e dell’ art. 18, n. 1, della legge 152/1975.

Elemento centrale della sentenza è l’interpretazione dell’art. 1 n. 3 della legge 1423 del 1956, che

nel descrivere le condotte che esprimono la proclività a delinquere (indicata come condizione

soggettiva delle misure di prevenzione), offre agli operatori eccessiva discrezionalità, incompatibile

con il principio di legalità (art. 25, 3° comma Cost.) e conseguentemente con quello di

determinatezza, infatti la formula «proclivi a delinquere» è estremamente vaga e non risulta perciò

idonea a prevedere le condotte che in concreto possono integrare la pericolosità sociale.

I giudici della Corte, insistendo sulla necessità di osservare il principio di legalità e le garanzie

giurisdizionali nell’applicare le misure di prevenzione, dichiarano tale articolo illegittimo non

essendo in grado di formulare una «fattispecie di pericolosità» che sia parametro per l’accertamento

giudiziale.

Quanto all’art. 18, n. 1, della legge 152/197525, la Corte ne giustifica l’esistenza trattandosi di una

fattispecie sufficientemente determinata. Infatti, nella sentenza evidenzia come gli elementi di: “atti

preparatori, obiettivamente rilevanti, idonei a sovvertire l’ordinamento dello Stato”, connessi ai

reati menzionati nell’articolo stesso, sono gli elementi di cui si deve dar prova nel caso concreto per

dimostrare la «fattispecie di pericolosità» richiesta.

Ultima pronuncia che deve essere presa in esame in questo paragrafo è la sentenza n. 282 del 2010,

che tocca direttamente le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» nel giudizio

di legittimità costituzionale dell’ art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956 (poi trasfuso nell’art.

75 del codice antimafia).

La Corte Costituzionale in questa circostanza adotta un interpretazione del principio di legalità

lontana da quella accolta precedentemente, sostenendo che l’utilizzo di espressioni sommarie nella

24 L. CAPRIELLO, op. cit.25 Art 18 n. 1 della l. 22 maggio 1975, n. 152: “Le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicanoanche a coloro che: operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice […]” nella sentenza la corte evidenzia come gli elementi di: atti preparatori obiettivamente rilevanti idonei a sovvertire l’ordinamento dello Stato, connessi agli articoli menzionati, sono quelli di cui si deve darsi prova nel caso concreto, ciò rende tale fattispecie di pericolosità

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descrizione della fattispecie incriminatrice, non sono lesive del principio di prevedibilità, se la loro

interpretazione consente al giudice di riscontrare nel caso concreto la fattispecie normativa.

Le due prescrizioni pertanto devono essere interpretate tenendo a mente il contesto in cui si trovano:

quello delle misure di prevenzione e più nello specifico il sanzionare il sorvegliato per la violazione

degli obblighi a lui imposti dal Tribunale.

In particolare la prescrizione di «vivere onestamente» a parere della Corte non è una formulazione

imprecisa, se collocata nel contesto di tutte le altre prescrizioni («vivere onestamente, rispettare le

leggi e non dare ragione di sospetti»)26 e se considerata come elemento di una fattispecie integrante

un reato proprio (il quale può essere commesso soltanto da un soggetto già sottoposto alla misura di

prevenzione della sorveglianza speciale). Anche il precetto di «rispettare le leggi» viene considerato

dalla Corte sufficientemente determinato, poiché lo individua come il dovere generale, per il

sorvegliato, di rispettare l’intero ordinamento e non solo le singole norme penali.

A nostro avviso nelle varie pronunce sopra esaminate, la Corte, al fine di mantenere in vita le

prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi», ha “degradato”, usando un termine

forte, i principi di precisione e determinatezza, corollari del principio di legalità, trasformandoli da

principi rivolti al legislatore a criteri ermeneutici affidati al giudice per consentirgli di compiere un

interpretazione conforme27.

Ripercorrere il cammino della Corte Costituzionale è stato necessario anche per comprendere le

censure che la Corte di Strasburgo ha sferrato al sistema italiano delle misure di prevenzione come

vedremo qui di seguito con la sentenza de Tommaso c. Italia.

2.2 La posizione della Corte Edu, Grande Camera con la sentenza de Tommaso c. Italia.

La Corte Edu, con la sentenza 23 febbraio 2017, c.d. de Tommaso c. Italia, ha condannato l’Italia

per la disciplina delle misure di prevenzione personale presente nel d.lgs. 159/2011 tanto “tutelata”

dai giudici nazionali, almeno fino a questo momento.

Anzitutto il fatto: il ricorrente, con varie condanne alle spalle, viene sottoposto alla misura di

prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel proprio comune. Circa un

anno dopo la misura viene revocata dal Tribunale data la non sussistenza del presupposto della

26 Art. 5, comma 3, prima parte, della legge n. 1423 del 1956.27G. AMARELLI, Ulteriormente ridotta la tipicità del delitto di violazione degli obblighi inerenti alla misura di prevenzione: per la cassazione anche il divieto di partecipare a pubbliche riunioni contrasta con il principio di determinatezza, in www.penalecontemporaneo.it , 2018, n. 7-8

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pericolosità attuale, nonché la scoperta che i fatti al sorvegliato contestati erano stati commessi da

un omonimo.

La vicenda, arrivata davanti la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha visto il

signor de Tommaso lamentare la violazione degli artt. 5, 6 e 13 della CEDU nonché dell’ art. 2 Prot.

4 Cedu, in relazione al periodo in cui era stato sottoposto alla misura di prevenzione della

sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

Quanto all’ art. 5 Cedu, il quale tutela l’individuo dalle privazioni della libertà personale, la Corte

evidenzia come la misura a cui il signor de Tommaso era stato sottoposto non è limitativa della

libertà personale, ma consiste in una mera limitazione della libertà di circolazione consentita dall’

art. 2 Prot. 4 Cedu28 in quanto il sorvegliato poteva lasciare la propria abitazione durante le ore

diurne e mantenere relazioni con il mondo esterno. Perciò la Corte ritiene la contestazione non

fondata.

La Corte respinge altresì la violazione dell’ art. 13 Cedu (diritto a un rimedio effettivo) in quanto il

ricorrente aveva già potuto presentare ricorso alla Corte d’Appello, conclusosi con esito positivo.

La violazione dell’ art. 6 Cedu (diritto ad un processo equo) è stata pacificamente riconosciuta dalla

Corte Edu, dato che già precedentemente il Governo italiano aveva ammesso la propria

inosservanza nel non concedere al ricorrente una pubblica udienza nel procedimento di applicazione

della misura di prevenzione.

A questo punto, alla Corte preme individuare l’istituto delle misure di prevenzione alla stregua del

principio di legalità individuando perciò due aspetti: l’esistenza di una base legale che disciplini l’

istituto delle misure di prevenzione e che questa soddisfi gli standard di prevedibilità richiesti.

Secondo la Corte Edu la norma è prevedibile quando “offre una misura di prevenzione contro le ingerenze da parte

dell’ autorità pubblica29”. Ciò significa che la norma deve dire con chiarezza e precisione quali sono le condotte che il

destinatario deve tenere.

Quanto al primo punto la Corte ritiene sussistere la base legale, a quel tempo rappresentata dalla

legge 1423/1956 (oggi d.lgs.159/2011) e che sia facilmente accessibile per il cittadino.

Problematico è il secondo punto, dal momento che la qualità della legge sembra non soddisfare gli

standard di sufficiente prevedibilità e determinatezza richiesti dalla Corte Edu.

Al fine di approfondire questo aspetto la Corte Edu ripercorre la giurisprudenza della Corte

Costituzionale in materia, evidenziando come nella sentenza 177/1980, la stessa abbia annullato la

28 La violazione dell’ art. 5 Cedu è stata invece accolta nella sentenza Guzzardi c. Italia.29 Corte Edu, Grand Chambre, sentenza 23/02/2017, de Tommaso c. Italia, par. 109.

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legge nei confronti della categoria soggettiva dei «proclivi a delinquere» in ragione del suo

contenuto impreciso, al contempo non ha però sufficientemente chiarito né gli elementi fattuali né

le condotte da prendere in considerazione per valutare la pericolosità sociale.

La Corte Edu entrando nel dettaglio rileva come tra le prescrizioni che sono imposte al soggetto cui

viene applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale figurano quelle di «vivere

onestamente» e di «rispettare le leggi», prescrizioni così vaghe e indeterminate, da lasciare il

soggetto in balia dell’arbitrio del giudice, dunque in contrasto con il principio di legalità,

determinatezza e precisione. La Corte Edu ricorda come la Corte Costituzionale nella sentenza

282/2010 abbia giustificato il vago contenuto della prescrizione di «vivere onestamente» come

rappresentativa di un mera “ammenda morale” e la prescrizione di «rispettare le leggi» un assoluto

richiamo all’intero sistema normativo italiano. L’interpretazione proposta dalla Consulta non

risolve il problema di tali prescrizioni che risultano, in ogni caso, alla Corte Edu vaghe e

indeterminate, tali da non avere alcun autonomo contenuto precettivo.

Per tali ragione la maggioranza della Corte di Strasburgo ritiene violato, nel caso concreto, l’art. 2

Prot. 4 Cedu.

Tra le varie opinioni, deve essere riportata quella parzialmente dissenziente del giudice Pinto de Alburquerque. Infatti il

giudice ha puntato il dito non solo sulla natura anti-risocializzante delle misure di prevenzione, ma anche sul fatto che il

giudizio di prevenzione si basi su elementi di “sospetto” della pericolosità sociale. Oltretutto sostiene, a differenza

dell’opinione generale, che queste abbiano natura penale, in quanto nella realtà dei fatti sono state sempre applicate a

soggetti con alle spalle una condanna penale, senza tralasciare il fatto che esse incidono fortemente sui diritti

fondamentali dell’individuo.

Dopo la sentenza de Tommaso i giudici nazionali si sono chiesti se il loro processo interpretativo

dovesse essere influenzato dalla “condanna” dei giudici di Strasburgo, tanto che alcuni Tribunali

hanno sostenuto di non essere vincolati a seguire la posizione della Corte Edu, per il fatto che

questa sentenza non rappresenta diritto consolidato ne tantomeno può essere reputata come una

sentenza pilota; altri, al contrario, hanno preso a modello la pronuncia della Corte di Strasburgo a

fondamento del loro giudizio.30

30 Per evidenziare questa spaccatura tra la giurisprudenza ordinaria abbiamo preso ad esempio le posizioni successive alla sentenza de Tommaso c. Italia, del Tribunale di Milano, sez. misure di prevenzione, per il parere dissenziente ( decreto 7 marzo 2017) che ha trovato il suo fondamento nell’interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2015, con la quale ha attribuito valore non vincolante alle pronunce della Corte Edu quando queste non costituiscono “diritto consolidato” o “sentenza pilota”; al contrario, la Corte di Appello di Napoli in data 14 marzo 2017, ha accolto la pronuncia della Corte Edu sollevando questione di legittimità costituzionali per le medesime ragioni contestate dai giudici di Strasburgo, v. L. CAPRIELLO, op. cit.

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2.3 La c.d. sentenza Paternò: l’interpretazione conforme alla CEDU delle Sezioni Unite

Il duro colpo sferrato dalla Corte di Strasburgo con la sentenza de Tommaso c. Italia al sistema

delle misure di prevenzione descritto dal codice antimafia comporta una serie di conseguenze.

Prime fra tutte, ad accogliere l’orientamento della Corte Edu, sono le Sezioni Unite nella sentenza

27 aprile 2017, n. 40076, c.d. sentenza Paternò.

Nel caso di specie, all’imputato, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale

con obbligo di soggiorno, era stato contestato di aver violato le prescrizioni di «vivere

onestamente» e di «rispettare le leggi», incorrendo nel delitto di cui all’ art. 75 comma 2, d.lgs. n.

159 del 2011, commettendo il reato di lesioni (art. 582 c.p.).

Ancora una volta sotto accusa è l’art. 75 del codice antimafia, nel quale rientra, come sappiamo, la

violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi». Il Collegio

sottolinea che si tratta di prescrizioni di genere che si distinguono rispetto alle prescrizioni

specifiche riferite a un facere individuato dalla legge, come, ad esempio, il divieto di allontanarsi

dalla dimora. Data la loro genericità il sorvegliato non conosce le condotte da cui deve astenersi e di

conseguenza l’ordinamento non può neppure pretendere che egli non se ne renda inosservante.

Come abbiamo avuto modo di vedere precedentemente, il possibile contrasto di tali prescrizioni con

il principio di determinatezza era stato più volte sottoposto all’attenzione della Corte Costituzionale,

ma è sempre stato da essa escluso31.

La Suprema Corte al fine di risolvere questa incompatibilità tra le prescrizioni in esame e i principi

di tassatività, determinatezza e precisione sanciti nel nostro ordinamento, richiama il precedente

della sentenza Sinigaglia32 e valuta se la soluzione in quel caso evidenziata, ossia di circoscrivere in

via ermeneutica l’area delle violazioni la cui trasgressione configura il delitto dell’ art. 75 del codice

antimafia (sulla base dei principi di offensività e proporzionalità), sia sufficiente a conformare tale

norma incriminatrice con i principi di determinatezza e precisione. La risposta è negativa, in quanto

si finirebbe per concede al giudice ampi spazi di discrezionalità incompatibili ancora una volta con

il principio di legalità.

La Suprema Corte adotta quindi la strada dell’ interpretazione tassativizzante33 e tipizzante della

fattispecie, conforme alla CEDU ma soprattutto alla Costituzione, ed essendo parametro di

conformità costituzionale il principio di determinatezza, ritiene che le prescrizioni di «vivere

onestamente» e di «rispettare le leggi» non siano abbastanza specifiche da avere valore precettivo e

31 Corte Costituzionale sentenza 282/2010.32 Corte di Cassazione sentenza del 24 luglio 2014 in Diritto Penale Contemporaneo.33 F. PALAZZO, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in Criminalia, 2017, pag. 12 ss, www.discrimine.it.

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per questo non dovrebbero essere neppure considerate vere e proprie prescrizioni (in conformità con

quanto sostenuto dalla Corte Edu).

Per queste ragioni la Corte ha ritenuto che tra gli obblighi da rispettare, sanciti dall’ art. 8 del codice

antimafia, la cui inosservanza genera nel reato di cui all’ art. 75 del codice medesimo, non devono

rientrare le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi», ma soltanto quei precetti

specifici e determinati tali da avere autonomo contenuto precettivo.

È dunque chiara la posizione della Corte di Cassazione: adeguare il nostro sistema penale a vincoli

sovranazionali.

2.4 La giurisprudenza dopo la sentenza Paternò.

Di fronte al problema della vaghezza delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le

leggi» connesse all’ art. 75 del codice antimafia nella parte in cui prevede il reato per la loro

violazione, le Sezioni Unite hanno ritenuto non essere necessario un intervento della Corte

Costituzionale e hanno invece optato per un interpretazione adeguatrice al fine di abrogare

tacitamente il suddetto reato, che trova nei principi esplicati dalla Corte Edu con la sentenza de

Tommaso c. Italia il suo fondamento giurisprudenziale. Tale soluzione è stata solo in parte accolta

dai giudici ordinari, tanto che, in seguito alla sentenza Paternò si sono andati a creare due distinti

orientamenti: uno è quello della Prima sezione della Cassazione, la quale si è conformata

all’interpretazione tassativizzante optata dalle Sezioni Unite34. Al contrario, la Seconda sezione

della Cassazione35 ha proposto ricorso di legittimità costituzionale dell’art. 75, 2° comma del codice

antimafia, nella parte in cui sanziona penalmente la violazione delle prescrizioni di «vivere

onestamente» e di «rispettare le leggi» non ritenendo la mera interpretazione abrogatrice della

norma discussa sufficiente a risolvere il problema.

Pertanto entrambe le Sezioni convengono a favore della vaghezza dei precetti e del contrasto di

questi con la CEDU e la Costituzione stessa; ciò su cui divergono è la modalità con la quale

raggiungere l’obbiettivo comune.

Ancora una volta la Corte costituzionale è chiamata in causa a esprimersi sulla indeterminatezza

delle prescrizioni «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» nella misura in cui integrano il

reato previsto dall’art. 75, 2 comma, del d.lgs. n. 159 del 2011.

3. Una pronuncia tanto attesa: la sentenza della Corte Costituzionale n. 25 del 2019.

34 Cass., Sez. I, sent. 9 aprile 2018, n.31322, in www.penalecontemporaneo.it . Con questa sentenza la Corte di cassazione ripropone gli argomenti della precedente sentenza Paternò, questa volta per censurare il divieto di partecipare a pubbliche riunioni, uno tra gli obblighi previsti dall’ art 8, 4 comma, del d.lgs. 159/2011.35 Cass., pen., Seconda sez., ord. 11 ottobre 2017, n. 49194, Pres. De Crescienzo, in www.penalecontemporaneo.it .

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La soluzione dell’interpretazione adeguatrice proposta dalle Sezioni Unite con la sentenza Paternò

non è risultata idonea a chiudere la questione in esame, questo perché la semplice giurisprudenza,

benché della Cassazione, non ha effetti erga omnes. Il giudice ordinario, non essendo vincolato

formalmente a rispettare l’interpretazione data dalla Corte di cassazione, ha la facoltà di applicare il

reato di cui all’art.75 del c.a., con il rischio che si formino giudicati tra loro contrastanti. Senza

l’abrograzione della norma censurata, la sola interpretazione tassativizzante non risulta perciò

idonea a garantire la certezza36 del diritto, in particolare per quelle norme che hanno la funzione di

individuare condotte di specie. È per tanto necessario l’intervento della Corte Costituzionale, quale

unico organo in grado di modificare la legge con efficacia retroattiva.

Infatti, successivamente, come già visto, la Seconda sezione della Corte di cassazione ha sollevato

questione di legittimità costituzionale circa l’art. 75, comma 2 del d.lgs. 159/2011 nella parte in cui

sanziona penalmente la violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le

leggi imposte» al soggetto cui è applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di

pubblica sicurezza per contrasto con gli artt. 25 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7

Cedu e all’art. 2, Prot. 4 Cedu (interpretati alla luce della sentenza de Tommaso).

Nel caso di specie l’imputato, responsabile della violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le

leggi», propone ricorso alla Seconda sezione della cassazione che si trova “obbligata” a domandare l’intervento della

Consulta. Il problema sorge nel momento in cui la Seconda sezione rileva il ricorso dell’imputato manifestamente

infondato; non potendo esaminare il caso concreto, i giudici della Cassazione non possono applicare l’art.75 del c.a.

come interpretato dalle sezioni unite, trovandosi nella posizione di non poter annullare la sentenza impugnata.

La Seconda sezione penale della Cassazione solleva il principale dubbio sorto a seguito della sentenza Paternò, che

riguarda esattamente il “mezzo” optato per far fronte al problema dell’indeterminatezza e imprevedibilità delle

prescrizioni in parola. All’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente conforme non può essere

riconosciuto quel valore garantista che hanno l’abolitio criminis e la dichiarazione di incostituzionalità, per questo non

riesce né a travolgere il giudicato dei fatti pregressi, né riesce a impedire successive sentenze di condanna per la

violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».

È da tale ricorso di legittimità costituzionale che trae origine la sentenza della Corte Costituzionale

n. 25 del 2019.

Il caso in esame ha ad oggetto il ricorso per cassazione di un soggetto, sottoposto alla misura di

prevenzione della sorveglianza speciale, che commettendo il reato comune della rapina aggravata

(ex art. 628 comma 2) incorre altresì nel reato di cui l’art. 75, comma 2 del d.lgs. 159/2011, per la

violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi».

36 F. VIGANÒ, Ancora sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione: la Seconda sezione della Cassazione chiama in causa la Corte Costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it, 31 ottobre 2017, 10

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La Corte Costituzionale accoglie il ricorso della Seconda sezione della Cassazione. In primis

sostiene che l’interpretazione adeguatrice proposta con la sentenza Paternò, ispiratasi ai principi

della Corte Edu, rimane pur sempre un “attività dichiarativa” non assimilabile ad un intervento

abrogativo del legislatore, che consentirebbe di dichiarare la non punibilità del reato di cui all’art.

75, comma 2 del cod. antimafia a norma dell’ art. 129 c.p.p., completando così l’operazione di

adeguamento del nostro ordinamento alla Cedu.

La Corte Costituzionale, contrariamente a quanto sostenuto nella precedente pronuncia in materia

(la sentenza 282/2010), conviene con i dubbi esposti dalla Corte ricorrente sulla vaghezza,

indeterminatezza e non prevedibilità delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le

leggi» imposte al sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. La Corte infatti

sottolinea due principali fattori delle norma incriminatrice di cui l’art. 75, 2 comma del d.lgs.

159/2011, che contrastano con l’art. 25, comma 3 Cost. e gli artt. 7 e 2 Prot. 4 della Cedu: da un lato

essa sanziona in egual modo sia gli obblighi specifici che le suddette prescrizioni generiche (tutti

previsti dall’art. 8 codice antimafia), violabili anche con un semplice illecito amministrativo;

dall’altro, la norma incriminatrice in parola viene considerata come condizione aggravante della

pena per la violazione dei suddetti obblighi, quando già l’art. 71 del medesimo codice prevede

l’aggravante per il soggetto che commette un reato mentre è sottoposto alla misura di prevenzione

della sorveglianza speciale, configurando una duplice aggravante per il medesimo reato.

È per queste ragioni che la Consulta dichiara la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 75,

comma 2 del d.lgs. 159/2011 nella parte in cui sanziona come delitto la violazione delle prescrizioni

di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» imposte al soggetto cui è applicata la misura di

prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno. In via consequenziale,

dato che gli stessi dubbi di costituzionalità possono porsi con riferimento all’art. 75, comma 1 del

medesimo decreto legislativo nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione

delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di « rispettare le leggi» imposte al soggetto cui è

applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno

ne dichiara la parziale illegittimità costituzionale.

4. La Consulta restituisce dignità al principio di legalità.

La sentenza n. 25 del 2019 della Corte Costituzionale è sicuramente figlia delle censure mosse dai

giudici di Strasburgo con la sentenza de Tommaso, i cui effetti sono stati recepiti nel nostro

ordinamento grazie al dialogo tra Corti nazionali e convenzionale, che ha avuto come fine ultimo

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quello nobile di innalzare gli standard di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, attraverso un

univoca applicazione del principio di legalità.

Principio di legalità, considerato nel diritto penale moderno come valore cardine, vuol dire determinatezza della norma

incriminatrice, prevedibilità dei comportamenti illeciti, irrettroattività della norma penale37. Il principio di

determinatezza, corollario del principio di legalità, pretende che il legislatore formuli la legge in modo chiaro e preciso

così da permettere al consociato di conoscere anticipatamente le condotte considerate illecite, sulla basa di una scelta di

politica criminale, in modo da astenersene o quanto meno conoscere i rischi che correrebbe qualora commettesse tali

condotte. Al tempo stesso, il giudice deve interpretare la norma senza eccedere il significato intuibile dalla lettura del

testo, così da evitare interferenze nella previsione dei fatti costituenti reato.

L’evoluzione giurisprudenziale sul tema della vaghezza e genericità delle prescrizione di vivere

onestamente e di rispettare le leggi si compone di una serie di tappe, che si sono concentrate

principalmente sui vari interventi della Corte Costituzionale, la quale inizialmente ha fornito

soluzioni “temporanee” e mai definitive e solo successivamente ha rotto questo circolo vizioso

dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, 2 comma d.lsg. 159 del 2011, nella parte in

cui prevedeva il reato di violazione delle prescrizioni generiche di vivere onestamente e di rispettare

le leggi. Con quest’ultima definitiva pronuncia la posizione della Consulta è mutata rispetto a quella

presa precedentemente, nel 2010. Infatti, con la sentenza n. 282 del 2010 la Corte costituzionale

aveva dato un’interpretazione delle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi

“comoda” al caso concreto, tanto ampia da risultare ancora una volta non specifica e di conseguenza

non altrettanto prevedibile, così da ledere nuovamente il principio di legalità con l’unico fine di

salvaguardare le prescrizioni già citate e per questo finita nel mirino della Corte di Strasburgo.

Con la decisione assunta nel 2019 la Consulta sopravviene a completamento dell’operazione di

adeguamento dell’ordinamento interno alla CEDU che era già stato operato dalle Sezioni unite, ma

entro i limiti dell’interpretazione tassativizzante. Le Sezioni Unite, con la sentenza Paternò non

hanno fatto altro che cercare una possibile interpretazione della norma censurata (art. 75, 2 comma

del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui sanziona con la reclusione la violazione delle

prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi, applicate alla sorveglianza speciale di

pubblica sicurezza) tale da essere conforme ai principi costituzionalmente garantiti, in modo da

“salvare” la norma e non dover proporre ricorso per legittimità costituzionale, come indicato dalla

giurisprudenza della Corte Costituzionale, che nell’obbligare il giudice comune ad un’estenuante

37 C. Cupelli, La Corte Costituzionale chiude il caso Taricco e apre un diritto penale europeo “certo”., in www.penalecontemporaneo.it, 4 giugno 2018.

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attività di esegesi, ha relegato il principio di legalità a semplice vincolo di tassativazione per

l’interprete38.

A nostro parere, l’opera della Consulta non fa altro che formalizzare la tacita abrogazione del reato

in questione, annunciata dalla Corte di Cassazione nella sentenza Paternò. La Corte infatti nulla

aggiunge in più di ciò che la Corte Edu prima, e di seguito la Cassazione, hanno riferito con le loro

pronunce: la violazione delle prescrizioni «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» non può

essere posta come fatto da cui rilevare un illecito, perché il consociato non può sapere, previamente,

qual è il comportamento che non può tenere per non violare la sorveglianza speciale. Con la

sentenza n. 25 del 2019, la Consulta segue la nuova giurisprudenza avviata con la sentenza

Taricco39, che restituisce luce al principio di legalità, come criterio che deve essere seguito

necessariamente dal legislatore.

Le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» hanno sollevato dubbi sulla loro

costituzionalità fin dagli arbori della Costituzione.

La domanda che ci è sorta spontanea è perché non eliminare i due precetti dall’art.8, 4 comma del

d.lgs. n. 159 del 2011, specialmente ora che è stato dichiarato illegittimo il reato di cui l’ art.75

comma 1 e 2 del c.a. nella parte in cui sanziona la violazione delle due prescrizioni. La loro

permanenza potrebbe far sorgere una serie di problemi: pensiamo al Tribunale, che chiamato a

disporre al sorvegliato, in ogni caso, tutte le prescrizioni elencati nel comma 4 dell’art 8 del c.a.,

deve ancora imporre al sorvegliato anche le prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le

leggi». Che scopo cercano di raggiungere, ora che la loro eventuale violazione non costituisce più

reato? Benché il problema principale è stato risolto con l’abrogazione dell’art.75 del d.lgs. n.

159/2011, il sorvegliato rimane tuttora vincolato dalle prescrizioni di vivere onestamente e di

rispettare le leggi.

Concludendo, possiamo dire che, secondo il nostro parere, l’intervento della Corte Costituzionale è

stato, si necessario per risolvere una serie di problemi che nascevano dall’utilizzo dello strumento

dell’interpretazione adeguatrice ( come l’esecuzione del giudicato penale di condanna, insuscettibile

di essere modificato o revocato ex art. 673 c.p.p. in virtù di un mero mutamento giurisprudenziale

favorevole e l’ipotesi di un ricorso manifestamente infondato tale da non poter applicare la

giurisprudenza vigente), ma allo stesso tempo ha lasciato vigenti le prescrizioni di «vivere

onestamente» e di «rispettare le leggi», che continuano a essere presenti nell’art.8, comma 4 del

codice antimafia, dunque tra quei provvedimenti imposti al sorvegliato speciale di pubblica

38 I. CIOLLI, Brevi note in tema d’interpretazione conforme a Costituzione, in Rivista AIC, n. 1/201239 Con la sentenza n. 115 del 2018, la Corte Costituzionali riconosce il principio di determinatezza come inderogabile e appartenente alla legalità penale e assicura l’intervento attivo della Corte sulle questioni di legittimità costituzionale inerenti a norme poco chiare e precise.

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sicurezza, tralasciando però quale sia la loro funzione e quale grado di incidenza le due prescrizioni

hanno sui destinatari del provvedimento emesso dal Tribunale, ora che è stato dichiarato illegittimo

il reato che le coinvolgeva.

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