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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01 A.A. 2017/2018 3 maggio 2018 ABUSI DI MERCATO E NE BIS IN IDEM Cattedra Diritto penale progredito Prof. Carlo Sotis

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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI,STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI

Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel corso di

Laurea in Giurisprudenza, LMG-01

A.A. 2017/2018

3 maggio 2018

ABUSI DI MERCATO E NE BIS IN IDEM

Cattedra

Diritto penale progreditoProf. Carlo Sotis

STUDENTI: Claudia Lucchesi e Chiara Vannutelli

RELATORE: Dott. Cesare Carino

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INDICE

Introduzione 2

1. Concorso formale, concorso apparente, e ne bis in idem 2

1.1. Il concorso apparente di norme e il concorso di reati 2

1.2. La specialità negli illeciti amministrativi e penali 6

1.3. Il principio del ne bis in idem 7

1.3.1. Il ne bis in idem nazionale 7

1.3.2. Il ne bis in idem convenzionale 8

1.3.3. Ne bis in idem nazionale e convenzionale a confronto 10

2. Gli abusi di mercato 11

2.1. Gli illeciti 11

2.1.1. Abuso di informazioni privilegiate 11

2.1.2. Manipolazione del mercato 12

2.2. Il regime sanzionatorio 13

2.2.1. Le sanzioni penali per le persone fisiche 13

2.2.2. Le sanzioni amministrative per le persone fisiche 14

2.2.3. Le sanzioni amministrative e penali per gli enti 15

3. I rapporti tra gli illeciti penali ed amministrativi tra specialità e divieto di bis in

idem 15

3.1. Il rapporto tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo nell’insider trading 15

3.2. Il rapporto tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo nell’aggiotaggio 16

3.3. Meccanismi di compensazione 16

3.4. Profili di contrasto con il ne bis in idem 17

3.5. Conclusioni 18

4. Bibliografia 20

1

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Introduzione.

Tra le questioni più attuali discusse tra i penalisti certamente un posto di rilievo è assunto dal

principio del ne bis in idem, e, in particolare, dalla compatibilità con detto principio dei sistemi a

doppio binario sanzionatorio contemplati dal nostro ordinamento. Tra questi assoluta rilevanza

assume il sistema sanzionatorio degli abusi di mercato. Per affrontare questo specifico problema

occorrerà preliminarmente analizzare istituti tradizionali del diritto penale – quali sono il concorso

di reati e il concorso apparente di norme - e processuale penale, ovvero, proprio il ne bis in idem. In

una seconda fase si dovrà passare ad esaminare con ottica ricognitiva il sistema sanzionatorio degli

abusi di mercato. E, solo in una fase finale, acquisiti gli strumenti necessari, si andrà analizzare, con

occhio anche critico, la compatibilità del delineato sistema sanzionatorio col divieto di bis in idem.

1. Concorso formale, concorso apparente e ne bis in idem

1.1 Il concorso apparente di norme e il concorso di reati

Nel diritto penale esistono dei casi in cui con una sola azione od omissione ovvero con una pluralità

di azioni od omissioni si integrano più figure legali di reato1.

Il problema consiste nello stabilire in quale rapporto si trovino tra loro le norme che prevedono

quelle fattispecie. È possibile che la natura di quel rapporto comporti l’applicazione di una soltanto

di quelle norme incriminatrici. In questo caso si parlerà di concorso apparente di norme.

Al contrario, nell’ipotesi in cui tutte le norme devono essere applicate si avrà un concorso di reati.

Quest’ultimo si divide in concorso formale, se i reati sono stati commessi con una sola azione od

omissione; mentre si tratterà di concorso materiale, se i reati sono stati commessi con più azioni od

omissioni.

Si tratta di una distinzione alla quale la legge ricollega importanti conseguenze sul piano

sanzionatorio. Più mite è il trattamento riservato al concorso formale di reati, che prevede il c.d.

cumulo giuridico delle pene ex art. 81 c.p., in base al quale si applica la pena inflitta per il reato più

grave aumentata fino al triplo. Più severo è il c.d. cumulo materiale delle pene, usato per sanzionare

il concorso materiale di reati. Di regola in questo caso si applicano le pene previste per ogni singolo

reato sommate l’una all’altra. In ogni caso la pena complessiva non potrà essere superiore al

quintuplo della più grave delle pene concorrenti. In base a quanto detto, al responsabile di più reati

in concorso materiale, puniti con pene della stessa specie, il giudice applicherà di regola la somma

aritmetica delle pene stabilite per ciascun reato. Se si tratta invece di reati puniti con pene di specie 1 G. MARINUCCI, E. DOLCINI “, in Manuale di diritto penale”, Milano, 2015, p. 486.2

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diversa (ad es. reclusione ed arresto, multa ed ammenda) o di genere diverso (ad es. reclusione e

multa, arresto e multa), le varie pene si applicano tutte distintamente e per intero. In questo caso le

pene detentive di specie diversa, ma concorrenti tra di loro, non si applicano per intero se la durata

complessiva delle varie pene è superiore agli anni trenta2.

Diversamente da ciò che accade nel concorso formale e materiale di reati, nel concorso apparente di

norme è necessario condurre un’analisi per capire quale delle norme concorrenti vada applicata.

Al fine di stabilire quale sia la norma prevalente, vengono in rilievo tre principi.

Il primo di questi è detto criterio della specialità, previsto dall’art. 15 c.p. La norma stabilisce

che: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa

materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge

generale, salvo che sia diversamente stabilito.” Da questa disposizione possiamo dedurre che tra

due norme incriminatrici sussiste un rapporto di specialità quando al fatto concreto è applicabile

solo la norma speciale. Di conseguenza la norma generale viene implicitamente ricompresa nella

norma speciale, che aggiunge agli elementi contemplati dalla prima anche uno o più elementi

“specializzanti”. In queste ipotesi siamo in presenza del criterio di specialità unilaterale.

La specialità può essere per specificazione o per aggiunta. La prima si caratterizza per la presenza

di un elemento specializzante, che va a puntualizzare una parte del fatto previsto dalla norma

generale. La seconda postula che si aggiungano altri elementi rispetto a quelli previsti dalla norma

generale.

Al criterio di specialità unilaterale si affianca quello di specialità reciproca o bilaterale, che

identifica l’ipotesi in cui due norme descrivono fatti di reato che, oltre ad un nucleo di elementi in

comune, presentano elementi speciali ed elementi generali rispetto ai corrispondenti elementi

dell’altra. Ad es. si pensi al caso della norma incriminatrice della violenza privata ex art. 610 c.p. e

della violenza o minaccia per costringere a commettere un reato ex art. 611 c.p. Nel caso della

violenza privata, la norma è speciale rispetto all’art. 611 c.p. perché richiede l’effettiva coartazione

del soggetto passivo. Nel caso della violenza o minaccia per costringere a commettere un reato,

invece, mentre da un lato non è necessaria la coartazione del soggetto passivo ma è sufficiente il

fine di costringere, dall’altro si specifica il comportamento oggetto di coartazione, ovvero il

“commettere un fatto costituente reato”3.

Parte degli interpreti ritiene di ascrivere alla nozione di medesima materia non solo casi di

fattispecie poste in rapporto di specialità in astratto, ma anche a ipotesi di specialità in concreto,

formula che allude ad un rapporto tra norme che, pur descrivendo modelli di reato tra i quali non

intercorre un rapporto strutturale di specialità, ricomprendono entrambe un medesimo fatto concreto

2 G. MARINUCCI, E. DOLCINI “, in Manuale di diritto penale”, cit. p. 507.3 G. MARINUCCI, E. DOLCINI “Manuale di diritto penale”, cit. p. 489.3

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in ragioni delle particolari modalità con le quali quel fatto è stato realizzato. Ad es. di fronte ad una

falsificazione di un atto pubblico, che venga utilizzato come mezzo per commettere una truffa, si

avrà un caso di specialità in concreto, in cui il falso è speciale rispetto alla truffa.

Tale orientamento è minoritario in dottrina e marginale in giurisprudenza4.

Parte della giurisprudenza, peraltro, tende ad indicare la formula “stessa materia” come sinonimo di

stesso bene giuridico, in questo modo il campo applicativo del criterio di specialità risulta limitato

alle sole ipotesi in cui la norma speciale tuteli lo stesso bene giuridico protetto dalla norma

generale5.

Gli esposti approcci extra-strutturali sono messi da parte dalla giurisprudenza dominante: la Corte

di Cassazione, a Sezioni Unite, si è espressa ripetutamente contro l’interpretazione della formula

“stessa materia” come comprensiva dell’identità del bene giuridico tutelato, richiedendo soltanto

“un confronto strutturale tra le fattispecie astratte mediante la comparazione degli elementi

costitutivi che concorrono a definire la fattispecie stessa”6.

Il legislatore prevede delle eccezioni al principio di specialità, infatti tale criterio si applica “salvo

che sia altrimenti stabilito” dalla legge. Alla regola della specialità si potrà derogare solo nel caso

in cui possano essere applicate entrambe le norme incriminatrici: si avrà pertanto un concorso

formale di reati e non un concorso apparente di norme. Un esempio può essere tratto dalle norme

generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione ex art. 55

quinquies, del Testo unico sul pubblico impiego, D.lgs 30/03/2001 n.165. Tale norma dispone sotto

la rubrica “False attestazioni o certificazioni”, che “fermo quanto previsto dal codice penale, il

lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione, che attesti falsamente la propria presenza

in servizio tramite l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità

fraudolente, è punito sia con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 a euro

1600.” Risulta evidente che la clausola di riserva “fermo restando quanto previsto dal codice

penale” comporti il concorso tra questo reato e il reato di truffa aggravata ex art. 640 c.p.7.

Oltre il principio della specialità, parte minoritaria degli interpreti ritiene necessario utilizzare altri

due criteri per individuare il concorso apparente di norme: il principio di sussidiarietà ed il principio

di consunzione.

L’idea della consunzione sta alla base della disciplina del “reato complesso” ex art. 84 c.p. La

norma stabilisce che le disposizioni relative al concorso di reati non si applicano quando la legge

considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che 4 A. VALLINI, Concorso di norme e di reati, in Le forme di manifestazione del reato , a cura di Giovannangelo De Francesco, volume del Trattato teorico-pratico di Diritto Penale, diretto da Francesco Palazzo e Carlo Enrico Paliero, Torino, 2011, p. 2875 Cass., Sez. Un., 21/04/1995, n. 9568, La Spina. 6 Cass, Sez. Un. 28/10/2010, n. 1235.7 G. MARINUCCI, E. DOLCINI, in “Manuale di diritto penale”, cit. p. 489.4

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costituirebbero, per se stessi, reato. Questa norma potrebbe apparire, a prima vista, come una

ripetizione del principio di specialità. Non ci sarebbe bisogno di una norma ad hoc per chiarire che

nel caso in cui un furto venga commesso con violazione di domicilio, non concorrono i reati di furto

in abitazione, di furto semplice e di violazione di domicilio. Proprio perché in base al principio di

specialità, l’unica norma applicabile è quella sul furto in abitazione, che è speciale rispetto alle altre.

Tuttavia, l’art. 84 c.p. cessa di essere superfluo, se lo si interpreta come enunciazione espressa del

principio di consunzione. Quest’ultimo, infatti, indica l’ipotesi in cui la commissione di un reato

che sia strettamente funzionale ad un altro e più grave reato, comporti l’assorbimento del primo nel

reato più grave. Ad es. si pensi ad una rapina aggravata dal sequestro di persona ex art. 628 comma

3 n.2 c.p.: in questo caso vi può essere un rapporto funzionale tra la rapina e la privazione della

libertà personale, nel caso in cui quest’ultima sia limitata al tempo necessario alla consumazione

della rapina stessa e ne rappresenti il mezzo immediato e diretto di esecuzione; opera in questa

ipotesi il principio di consunzione8.

Il principio c.d. di sussidiarietà, invece, individua l’ipotesi in cui un fatto concreto sia riconducibile

a due o più norme incriminatrici ed è applicabile soltanto una delle norme concorrenti. Tra queste

ultime sussiste un rapporto di rango, dove la norma di livello inferiore cede il passo a quella

principale. Dunque, una norma è sussidiaria rispetto ad un’altra quando quest’ultima tutela, accanto

al bene giuridico protetto dalla prima, uno o più beni ulteriori, ovvero reprime un grado di offesa

più grave allo stesso bene9. Si pensi ad es. al caso in cui una persona preposta al controllo di un

passaggio a livello, ometta per colpa di abbassare le sbarre nel tempo prescritto dai regolamenti

ferroviari, nell’imminenza del passaggio di un treno. Tale condotta integra gli estremi di pericolo di

un disastro ferroviario, che effettivamente si verifica. Ora, questo fatto è riconducibile sia al delitto

di pericolo colposo di disastro ferroviario ex art. 453 comma 1 c.p., sia al delitto di disastro

ferroviario colposo ex art. 449 comma 2 c.p. Quest’ultima è la norma che prevale, perché descrive e

comprende un grado di offesa al bene giuridico della pubblica incolumità più intenso.

1.2. La specialità negli illeciti amministrativi e penali

Come già sopra esposto, il legislatore italiano enuncia il criterio di specialità all’art.15 c.p., dove

stabilisce che la lex specialis deroga alla norma generale, salvo che sia diversamente stabilito.

A questo articolo del codice penale si affianca in ambito amministrativo l’art. 9 della legge n.

689/1981, rubricato “Principio di specialità.” Tale disposizione stabilisce che: “Quando uno stesso

fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione

8 Cass, Sez. II, 5/05/2009, n. 24837, Macovei, in cui si esclude invece la consunzione del sequestro di persona nella rapina aggravata, quando la privazione della libertà personale venga protratta oltre il tempo necessario alla consumazione del delitto.9 G. MARINUCCI, E. DOLCINI “Manuale di diritto penale”, cit. p. 492.5

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amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si

applica la disposizione speciale. Tuttavia quando uno stesso fatto è punito da una disposizione

regionale o dalle provincie autonome di Trento e di Bolzano che prevede una sanzione

amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia

applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali.” La norma ha ad oggetto la relazione tra

illeciti amministrativi e quella tra illeciti amministrativi e penali10. Interpretando la lettera della

disposizione si può affermare che fra il sistema penale e il sistema amministrativo, la norma che

sarà applicabile sarà quella che contiene tutti gli elementi del fatto contemplati dall’altra norma ed

in più uno od altri elementi specializzanti. L’art. 9, come l’art. 15 c.p., adotta il principio di

specialità come criterio risolutore, per stabilire quale sia la fattispecie applicabile tra le due

concorrenti, relativamente allo stesso fatto.

Il problema che si pone è quello di individuare quale sia il concetto di “stesso fatto”.

Le Sezioni Unite11 tramite l’utilizzo di un criterio c.d. strutturale hanno cercato di risolvere il

suddetto problema. Il test strutturale si realizza mediante un confronto tra gli elementi costitutivi

delle fattispecie ed è ritenuto l’unico criterio applicabile in tema di concorso di norme e di reati12.

Questo criterio è stato utilizzato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 1963 del 2010. In questo caso,

il custode del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo ex art. 213 c.s. che circoli

abusivamente con lo stesso, deve rispondere della sola violazione ex art. 213, co. 4, c.s. e non anche

del reato di cui all’art. 334 c.p., rubricato “Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a

sequestro nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa.” La Corte,

conducendo un’analisi astratta delle fattispecie, riconosce che queste norme si trovino in concorso

apparente e, facendo operare il principio di specialità amministrativa, ritiene che l’unica norma

applicabile in questo caso sia l’art. 213 c.s. 13. Quest’ultimo infatti contiene tutti gli elementi del

fatto contemplati dall’art. 334 c.p. ed in più altri elementi specializzanti.

1.3. Il principio del ne bis in idem

Il divieto del bis in idem preclude che un soggetto possa essere sottoposto una seconda volta ad un

procedimento penale, vertente su fatti già sottoposti a giudizio.

Tale principio viene riconosciuto sia a livello nazionale dal codice di procedura penale, che a livello

convenzionale dal Protocollo n. 7 della CEDU. 10 A. VALLINI, Giusti principi, dubbie attuazioni: convergenza di illeciti in tema di circolazione di veicolo sottoposto a sequestro”, in Dir. Pen. e Proc., 2011, p. 849. 11 Cass, Sez. Un., 28/10/2010, n. 196312 A. VALLINI, Giusti principi, dubbie attuazioni: convergenza di illeciti in tema di circolazione di veicolo sottoposto a sequestro, cit. p. 848.13 A. VALLINI, Giusti principi, dubbie attuazioni: convergenza di illeciti in tema di circolazione di veicolo sottoposto a sequestro cit., p.856.6

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1.3.1. Il ne bis in idem nazionale

A livello nazionale questo principio, anche in assenza di un esplicito riconoscimento all’interno

della Costituzione, è ritenuto valore costituzionalmente protetto, derivante sia dal diritto alla tutela

giurisdizionale14 che dal principio della ragionevole durata del processo15. Di contro, viene

riconosciuto a livello di legge ordinaria dall’art. 649 c.p.p. Quest’ultimo è rubricato “Divieto di un

secondo giudizio” ed al comma 1 dispone che: “L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o

decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per

il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per

le circostanze, salvo quanto disposto dagli art. 69 comma 2 e 345.”

La norma opera indipendentemente dal fatto che la sentenza emessa sia stata di condanna o di

proscioglimento: ciò che conta è che sia passata in giudicato16.

Una delle garanzie a cui mira tale principio consiste nel conferire certezza alla decisione penale

resa in un giudizio e divenuta irrevocabile. Va inoltre osservato che l’art. 649 c.p.p. è anche

incentrato sulla tutela dell’individuo, assicurandogli la certezza del diritto in senso meramente

soggettivo, e cioè facendo in modo che egli non si trovi sottoposto a nuove persecuzioni su fatti già

passati in giudicato.

L’effetto preclusivo di un secondo giudizio, a favore del soggetto giudicato, opera con riferimento

al medesimo fatto. Quest’ultimo si riferisce al medesimo fatto storico (idem factum, e non idem

legale, su cui vedi par. 1.3.2) riconducibile ad entrambi i procedimenti. Il divieto di bis in idem non

può essere aggirato attribuendo al fatto un grado, un titolo o circostanze differenti: ciò che rileva è il

nucleo storico del fatto. Non occorre pertanto la corrispondenza di tutti gli elementi costitutivi

dell’astratta fattispecie criminosa, per poter considerare un fatto come medesimo rispetto ad un altro

già oggetto di giudizio. Ad es. non si potrà intentare un giudizio per omicidio colposo nei confronti

di una persona già assolta dall’accusa di omicidio doloso o preterintenzionale.

Parte della giurisprudenza, tuttavia, riteneva che il fatto non fosse da considerarsi il medesimo

qualora i reati contestati in processi diversi fossero posti in rapporto di concorso formale. In tal

modo veniva valorizzato il profilo dell’idem legale, piuttosto che quello dell’idem factum.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 21 luglio 2016 è intervenuta a far chiarezza sul

tema17. La Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 649 c.p.p. per contrasto con l’art. 117 comma 1 14 Corte cost., 17/11/2000, n. 501.15 Corte cost., 16/04/2008, n. 129.16 G. CONSO – V. GREVI – M. BARGIS, in Compendio di procedura penale, VIII, Milano, 2016, p. 953-954.17 Corte Cost., n. 200, 2016, p.5. La remissione aveva riguardo a una richiesta di rinvio a giudizio proposta nei confronti di una persona imputata dell’omicidio doloso di 258 persone. Il giudice osservava che in relazione alla medesima condotta l’imputato, in un precedente giudizio, era già stato prosciolto per prescrizione dei reati previsti dagli art. 434, secondo comma, e 437 secondo comma del codice penale.7

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della Costituzione, in relazione all’art. n. 4 del Protocollo n.7 CEDU. In particolare, l’illegittimità è

stata rilevata nell’interpretazione in base alla quale l’art. 649 c.p.p. esclude che il fatto sia il

medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con

sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. I giudici hanno

affermato che l’esistenza o meno di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della

res iudicanda è un fattore ininfluente ai fini dell’applicazione dell’art 649 c.p.p. Ai fini della

decisione dell’applicabilità del divieto di bis in idem rileva, infatti, solo il giudizio sul fatto storico.

Per effetto della presente pronuncia di illegittimità costituzionale, l’autorità giudiziaria sarà tenuta a

porre a raffronto il fatto storico, oggetto del processo concluso con pronuncia definitiva, con il fatto

storico posto alla base della nuova imputazione. 1.3.2. Il ne bis in idem convenzionale

Il principio del ne bis in idem è contenuto nel (già citato) art. 4 Prot. 7 CEDU, introdotto nel 1984.

L’articolo, rubricato “Diritto a non essere giudicato e punito due volte”, sancisce al comma 1 che:

“Nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato

per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva

conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato”. La formulazione di questo articolo è il

risultato di una mediazione tra la tradizione anglosassone e quella continentale. Tramite il divieto

del double jeopardy, la tradizione anglosassone mira a tutelare il singolo affinché non venga

perseguito due volte per lo stesso fatto. Dall’altra parte, nella tradizione continentale, il ne bis in

idem viene inteso come conseguenza del giudicato ed ha come scopo quello di garantire la certezza

delle situazioni giuridiche18.

L’utilizzo all’interno dell’articolo delle espressioni “penalmente” e “procedura penale”, sembrano

guidare l’interprete verso un’applicazione della garanzia del ne bis in idem convenzionale alla

materia penale. Per garantire effettività alla garanzia, altrimenti rimessa nella sua attuazione alla

discrezionalità nazionale, la Corte EDU ha elaborato una serie di criteri per verificare se, al di là

delle astratte qualificazioni giuridiche conferite dai singoli ordinamenti nazionali, gli illeciti e le

sanzioni vadano ascritti alla materia penale, convenzionalmente intesa19. Detti criteri sono stati

elaborati nella sentenza Engel e altri c. Paesi bassi n. 22 del 197620. Essi sono tre: il primo criterio

riguarda la qualificazione giuridica della misura data dal diritto interno, il secondo riguarda la

18 S.ALLEGREZZA, Articolo 4 protocollo n. 7 in S. BARTOLE – P. DE SENA – V. ZAGREBELSKY, Commentario breve alla convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012, p. 895.

19Occorre evidenziare che detti criteri vanno impiegati non solo per delimitare l’ambito applicativo dell’art. 4 Prot. 7, ma per individuare l’area di applicazione di ogni garanzia in materia penale, come il principio di legalità dei reati e delle pene di cui all’art. 7 CEDU, o come diritti processuali riconosciuti relativamente ad accuse penali, di cui all’art. 6 CEDU.20 C.EDU, GC, 8/06/1976, Engel e Altri c. Paesi Bassi.8

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natura dell’infrazione, e l’ultimo la gravità dell’infrazione stessa. Mentre il primo criterio deve

essere valutato cumulativamente agli altri21, il secondo e il terzo criterio possono operare

alternativamente: in altri termini, anche la valorizzazione esclusiva della natura punitiva della

misura, o della sua severità, possono condurre a una qualificazione della sanzione o dell’illecito

come penali.

Per poter verificare la violazione del ne bis in idem, è necessario inoltre capire cosa debba

intendersi per idem. Come già rilevato in precedenza quest’ultimo può essere interpretato in due

modi: come idem factum o come idem legale. Nel caso di idem factum si valorizzano i fatti

materiali, che costituiscono la condotta tenuta dal soggetto, ovvero il fatto storico. Nel caso invece

di idem legale ad essere rilevante sarà la definizione legale della fattispecie, così che vi sarà

violazione del ne bis in idem soltanto nel caso di identità tra le fattispecie dei procedimenti in

questione22.

Per la formulazione linguistica dell’art. 4 Prot. 7 sembra avere maggiore rilevanza la qualificazione

giuridica dei fatti. La dottrina, però si è fin da subito espressa diversamente, indicando come reale

volontà del legislatore della CEDU, quella relativa all’idem factum23.

Nel 2009, con la sentenza Zolotoukhine c. Russia si è giunti ad un orientamento unitario nel quale si

valorizza l’identità del fatto storico24.

Tale orientamento è stato recepito anche nel caso Grande Stevens e altri c. Italia del 2014, in cui la

Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per non aver rispettato il principio del ne bis in idem25. In

particolare la Corte EDU aveva censurato il doppio binario sanzionatorio, costituito da sanzioni

amministrative e sanzione penali, in materia di aggiotaggio finanziario (su cui v. infra cap. 3 par. 4).

Tale orientamento, incentrato sull’incompatibilità del doppio binario sanzionatorio ha subito un

parziale revirement con la più recente sentenza A e B c. Norvegia del 201626. Anche in questo caso

la Corte si è trovata di fronte a due soggetti sottoposti a un doppio procedimento per la medesima

condotta. In questo caso però la Corte non ha riconosciuto la violazione di ne bis in idem da parte

della Norvegia, in quanto, malgrado fossero stati instaurati procedimenti formalmente separati,

l’uno amministrativo-tributario e l’altro penale, si è preso atto che essi perseguivano scopi diversi: il

21 A meno che non la qualificazione conferita sia quella penale: in tal caso essa va ritenuta dirimente, e gli altri criteri non rileveranno.22 S.ALLEGREZZA, Articolo 4 protocollo n.7, cit. p. 900. 23 S.ALLEGREZZA, Articolo 4 protocollo n. 7 cit., p. 900.24 C. EDU, GC, 10/02/2009, Serguei Zolotoukhine c. Russia. La vicenda riguardava un soggetto sottoposto a due procedimenti separati per i medesimi fatti riguardanti la resistenza e l’oltraggio a un pubblico ufficiale. Il primo procedimento era di carattere amministrativo, ma sostanzialmente penale, mentre il secondo procedimento era formalmente penale. La Corte EDU ha ritenuto che i fatti per cui si procedeva fossero gli stessi, nonostante la qualificazione giuridica delle condotte fosse parzialmente divergente. Alla luce di ciò la Corte, seguendo un’interpretazione di idem come idem factum, ha riscontrato una violazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU. 25 C. EDU, Sez. II, 4/03/2014, Grande Stevens e a. c. Italia.26 C. EDU, GC, 15/11/2016, A e B c. Norvegia.9

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primo era funzionale a comminare sanzioni aventi un effetto compensatorio rispetto agli sforzi

umani e finanziari che l’amministrazione deve affrontare nell’interesse della collettività; il secondo

mirava a emanare misure strettamente punitive della condotta fraudolenta. Peraltro, si metteva in

evidenza che i ricorrenti non avevano subito un pregiudizio sproporzionato ed ingiusto, in quanto

tra i due procedimenti sussisteva una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta,

tale da dimostrare uno schema sanzionatori o unitario compatibile col divieto del bis in idem27.

1.3.3. Ne bis in idem nazionale e convenzionale a confronto

Dopo aver effettuato un’analisi del ne bis in idem sia a livello nazionale, che a livello

convenzionale, si possono rilevare alcune conclusioni al riguardo.

Ciò che rileva, in base all’ordinamento nazionale, al fine di accertare una violazione del ne bis in

idem è che i due procedimenti a cui il soggetto è stato sottoposto siano entrambi formalmente

processi penali, come si evince dall’art. 649 c.p.p. Il giudice nazionale, quando rilevi una violazione

dell’art. 649 c.p.p., è tenuto a pronunciare una sentenza di proscioglimento o di non luogo a

procedere.

Invece, a livello convenzionale, si riscontrano violazioni del ne bis in idem anche con riguardo a

procedimenti non formalmente penali (es. amministrativi, fiscali, etc.), che però siano riconducibili

all’interno del campo applicativo della materia penale. In questo caso il giudice, che riscontri una

violazione dell’art. 4 Prot. 7 della CEDU, sarà tenuto a sollevare una questione di legittimità

costituzionale delle norme con esso configgenti28.

2. Gli abusi di mercato

Con l’espressione abusi di mercato, si intendono le fattispecie di abuso di informazioni privilegiate

(o insider trading) e di manipolazione del mercato (od aggiotaggio)29. Esse sono sanzionate

mediante un apparato punitivo complesso, sia penale che amministrativo, contenuto all’interno

degli artt. 184 e ss. del TUF30, che costituisce attuazione della direttiva 2003/06 CE.

2.1. Gli illeciti

27 F. VIGANÒ, “La grande camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio”, in “Diritto Penale Contemporaneo”, 2016, p. 228 Occorre ricordare che la CEDU assurge al rango di norma interposta tra legge e Costituzione, alla luce dell’art. 117 Cost. co. 1. La disposizione prevede che la potestà legislativa – statale e regionale – debba essere esercitata nel rispetto degli obblighi comunitari e dei vincoli internazionali. A questa categoria va ascritta la CEDU. Ne consegue che violazioni della CEDU da parte della legge ordinaria entrano in collisione con l’art. 117 Cost. Cfr. Corte Cost. n. 348 e 349 del 2007.29 Cfr. Direttiva n.2003/06/CE, che parla di market abuse.30 Esso costituisce attuazione di obblighi derivanti dall’adesione all’UE: cfr. Direttiva n.2003/06/CE.10

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Prima di analizzare l’apparato sanzionatorio contemplato dall’ordinamento per punire gli abusi di

mercato, occorre preliminarmente analizzare partitamente, sotto il profilo del precetto, le fattispecie

di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato.

2.1.1. Abuso di informazioni privilegiate

L’abuso di informazioni privilegiate è oggi sanzionato dagli artt. 184 t.u.f. e 187 bis t.u.f. (“Testo

Unico della Finanza”) che contemplano rispettivamente un illecito penale e un illecito

amministrativo.

Le fattispecie tutelano la fiducia dei risparmiatori nel mercato finanziario, evitando che venga

inficiata da comportamenti di sfruttamento di privilegi informativi.

Gli artt. 184 e 187 t.u.f. sono norme a più fattispecie31, in cui si punisce chiunque, essendo in

possesso di informazioni privilegiate32 in ragione della sua attività lavorativa o della professione

esercitata33 compia, alternativamente o cumulativamente, tre condotte: la prima condotta, il c.d.

trading, consiste nell’acquistare, vendere o compiere operazioni, direttamente o indirettamente, per

conto proprio o di terzi su strumenti finanziari utilizzando informazioni privilegiate; la seconda è

definita di tipping, e consiste nel comunicare informazioni privilegiate al di fuori del normale

esercizio professionale o campo professionale; l’ultima è detta tuyautage, e consiste nell’indurre o

raccomandare ad altri il compimento di operazioni finanziarie sulla base delle informazioni

possedute34.

Per quanto concerne il soggetto attivo occorre distinguere l’illecito penale da quello

amministrativo. L’art. 184 prevede un reato proprio, limitando la punibilità al c.d. insider primario,

ovvero a colui che sia entrato in possesso dell’informazione privilegiata in ragione della propria

attività lavorativa o professionalmente esercitata; diversamente l’art. 187 bis prevede un illecito

amministrativo comune, estendendo la punibilità anche ai c.d. insiders secondari35.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, il delitto di abuso di informazioni privilegiate richiede

quantomeno il dolo generico: invero, l’insider deve avere la consapevolezza del carattere

privilegiato dell’informazione che utilizza per realizzare l’operazione e deve rappresentarsi e volere

31 Le norme a più fattispecie contemplano una serie di condotte alternative, che, anche se commesse congiuntamente, sono punite come un solo illecito.32 V. ART. 181 TUF, che definisce informazione privilegiata “un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”.33 In particolare, gli artt. 184 e 187 bis fanno riferimento alle qualità di “membro di organi di amministrazione direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio”.34 B. MAGRO, La formazione dei prezzi nel mercato finanziario: crisi della razionalità del mercato e massime di esperienza, in A.CADOPPI, S.CANESTRARI, A.MANNA, M.PAPA , “Diritto penale dell’economia”, p. 471-472. 35 Cfr. art. 187 bis co. 4, che applica la sanzione di cui al co.1, ovvero quella prevista per i c.d . insiders primari, anche a “chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compie taluno dei fatti ivi descritti”.11

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tutti gli elementi della fattispecie; diversamente, per la punibilità dell’illecito amministrativo, in

ossequio alla regole generali di cui all’art. 3 l.689/1981, è necessario alternativamente o il dolo o la

colpa.

2.1.2. Manipolazione del mercato

La manipolazione del mercato è punita dagli artt. 2637 c.c., 185 e 187 ter TUF.

La fattispecie di cui all’art. 2637 c.c. regola il c.d. aggiotaggio comune, che ha ad oggetto strumenti

finanziari non quotati. Diversamente, gli artt. 185 e 187 ter (rispettivamente illecito penale e illecito

amministrativo) TUF hanno ad oggetto strumenti finanziari quotati.

Il bene giuridico tutelato dalle fattispecie consiste nella corretta formazione del prezzo degli

strumenti finanziari.

Poste le differenze con riferimento all’oggetto materiale del reato, gli artt. e 2637 c.c. 185 t.u.f. sono

omogenee con riguardo alla condotta tipica. Entrambe sono norme a più fattispecie, in quanto

prevedono due modalità alternative di condotta: la prima è la manipolazione informativa, che

consiste nella diffusione di notizie false; mentre la seconda è la manipolazione operativa, che si

configura nel compimento di operazioni simulate o di altri artifici36: le condotte devono essere

entrambe concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti

finanziari; si configurano quindi come reati di pericolo concreto.

All’art. 185 t.u.f. si affianca l’omologa fattispecie di illecito amministrativo prevista dall’art. 187 ter

t.u.f. Anch’essa si articola in una duplice modalità di condotta. La prima, la manipolazione

informativa si configura con la diffusione di informazioni, voci, o notizie false o fuorvianti che

forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti

finanziari. Rispetto all’art. 185 t.u.f., che prevede solo la diffusione di notizie false, in questo caso,

l’art. 187 ter t.u.f. ha inteso ricomprendere anche informazioni, vale a dire previsioni, oppure voci,

cioè notizie né confermate né smentite, oppure notizie false, cioè che non corrispondono a verità, ed

infine notizie fuorvianti, vale a dire comunicazioni atte a fornire una rappresentazione distorta del

reale strumento finanziario. La seconda condotta è la manipolazione operativa, che in buona

sostanza corrisponde alla manipolazione operativa prevista dall’art 185 t.u.f. Emerge, peraltro, un

ulteriore elemento differenziale, sotto il profilo oggettivo: mentre la norma penale richiede che le

condotte siano concretamente idonee ad alterare il prezzo degli strumenti finanziari, la fattispecie

amministrativa richiede che tali condotte debbano essere anche solo astrattamente idonee a

conseguire tale risultato, costituendo in tal modo una fattispecie di pericolo astratto.

36 È opportuno chiarire, che con l’espressione “altri artifici” presente nella norma, si debbano intendere quelle condotte non espressamente previste nell’art. 185 t.u.f., ma che condividono con le condotte tipizzate dalla norma una finalità ingannatoria e fraudolenta. Su cui v. E. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, M. RONCO, “Diritto penale dell’impresa”, cit. p. 252 e254.12

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Per quanto concerne il soggetto attivo tutte le fattispecie rappresentano illeciti comuni.

Con riguardo, infine, all’elemento soggettivo, mentre per integrare le fattispecie penali è necessario

quantomeno il dolo generico – per cui è necessario che l’agente si rappresenti e voglia diffondere

notizie false o porre in essere operazioni simulate o altri artifizi, e che sia consapevole che tali

comportamenti siano idonei ad alterare i prezzi degli strumenti finanziari – l’illecito amministrativo

di manipolazione del mercato è ascrivibile al soggetto agente sia a titolo di dolo che di colpa37.

2.2. Il regime sanzionatorio

Dopo aver effettuato l’analisi delle fattispecie di insider trading e di aggiotaggio, occorre ora

esaminare l’apparato punitivo predisposto dal legislatore per sanzionare tali condotte. In particolare,

le sanzioni previste sono sia di natura penale che amministrativa, e si indirizzano sia alle persone

fisiche che abbiano adottato le condotte materiali, sia agli enti all’interno dei quali i soggetti agenti

siano incardinati.

2.2.1. Le sanzioni penali per le persone fisiche

Il trattamento sanzionatorio previsto per l’insider trading dalla fattispecie penale ex art. 184 t.u.f.

stabilisce come pene principali, la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 20.000 a euro

3.000.00038.

Per quanto riguarda la manipolazione del mercato, l’art. 2637 c.c. punisce l’aggiotaggio comune

con la reclusione da uno a cinque anni39 , mentre l’art. 185 t.u.f. prevede come pene principali la

reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 20.000 a euro 5.000.000.

Accanto alle pene principali l’art. 186 t.u.f. prevede per entrambe le fattispecie l’applicazione di

pene accessorie, quali l’interdizione dai pubblici uffici, da una professione o da uffici direttivi delle

persone giuridiche e delle imprese, e l’incapacità di contrattare con la P.A. Può essere, peraltro,

disposta anche la pubblicazione della sentenza di condanna su almeno due quotidiani a diffusione

nazionale, di cui almeno uno di natura economica.

Per entrambe le fattispecie è inoltre prevista la confisca del prezzo o del profitto del reato. Quando

non è possibile aggredire il profitto o il prezzo, la confisca avrà ad oggetto somme di denaro o beni

di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato (c.d. confisca per equivalente).

2.2.2. Le sanzioni amministrative per le persone fisiche 37 Cfr. E. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, M. RONCO, “Diritto penale dell’impresa” cit. p. 257 -25838 In seguito alla riforma n. 262 del 2005, il legislatore ha previsto che tali pene possano essere aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto conseguito dal reato. Accanto alle pene sopra esposte, è possibile che venga applicata anche una circostanza aggravante, quando il massimo edittale previsto non appaia sufficiente a sanzionare la condotta. 39 Le pene accessorie sono quelle previste dal codice penale, che ne regola l’applicazione e il funzionamento.13

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L’art. 187 bis t.u.f. punisce l’insider trading con sanzioni amministrative pecuniarie da euro 20.000

a euro 3.000.000.

L’art. 187 ter t.u.f. prevede per l’aggiotaggio la sanzione amministrativa principale pecuniaria da

euro 100.000 a euro 25.000.000.

Accanto alle sanzioni principali, l’art. 187 quater t.u.f. dispone delle sanzioni amministrative

accessorie per entrambe le fattispecie. Esse consistono nella perdita temporanea dei requisiti di

onorabilità per gli esponenti aziendali ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle società

di gestione del mercato, nonché per i revisori ed i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede

e per gli esponenti aziendali di società quotate l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di

amministrazione, direzione e controllo nell’ambito di società quotate e di società appartenenti al

medesimo gruppo di società quotate. Le sanzioni amministrative accessorie non possono avere

durata inferiore a due mesi e non superiore a tre anni.

2.2.3. Le sanzioni amministrative e penali per gli enti

Analogamente al sistema sanzionatorio previsto per gli illeciti delle persone fisiche, anche per gli

enti è stato introdotto un modello a “doppio binario sanzionatorio”; invero, ogni qual volta le

condotte di aggiotaggio e di insider trading siano state adottate da soggetti incardinati all’interno di

enti, nel loro interesse o a loro vantaggio, il legislatore ha disposto analoghe sanzioni

amministrative e penali a carico dell’ente.

Le sanzioni amministrative sono previste dall’art. 187 quinquies t.u.f., mentre le sanzioni penali,

nell’ambito della responsabilità amministrativa da reato, sono contemplate dall’art. 25 sexies del

d.lgs n. 231 del 2001. Le prime conseguono all’integrazione di illeciti amministrativi, mentre le

seconde all’integrazione di reati, da parte delle persone fisiche.

Quanto ai presupposti, entrambe sono fondate sul medesimo modello, che distingue tra illeciti

commessi da soggetti posti in posizione apicale, rispetto a illeciti adottati da agenti posti in

posizione di dipendenza. Mentre nel primo caso, presumendosi che i reati siano espressione di una

politica d’impresa, sarà l’ente, per ottenere l’esonero dalla responsabilità, a dover dimostrare che le

persone fisiche hanno agito nell’interesse proprio o di terzi, nella seconda ipotesi sarà l’accusa a

dover dimostrare che le condotte sono state adottate nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Quanto al trattamento sanzionatorio, la sanzione amministrativa è pari a quella comminata alle

persone fisiche; quella penale – amministrativa, seguendo il modello per quote previsto dal d.lgs.

231/2001, varia da 400 a 1.000 quote.

Oltre alle sanzioni pecuniarie sopra elencante, l’art. 187 sexies t.u.f. dispone che venga sempre

disposta la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo.

14

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Qualora ciò non sia possibile, la confisca potrà avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre

utilità di valore equivalente (c.d. confisca per equivalente).

3. I rapporti tra gli illeciti penali ed amministrativi tra specialità e divieto di bis in idem

Come già esposto nel secondo capitolo, le condotte di insider trading e di aggiotaggio integrano sia

illeciti penali che amministrativi. Pertanto, è opportuno condurre un’analisi per capire in che

rapporto si trovino le fattispecie, e per comprendere, dunque, se dalle stesse condotte possa derivare

o meno un cumulo di sanzioni amministrative e penali.

3.1. Il rapporto tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo nell’insider trading

Con riferimento all’abuso di informazioni privilegiate, alla luce di quanto esposto si può concludere

che le condotte contemplate dagli artt. 185 e 187 t.u.f. si trovano in un rapporto di identità.

Estendendo, però, il confronto tra fattispecie anche all’elemento soggettivo, emerge un rapporto di

specialità, per cui l’illecito penale, punito solo a titolo di dolo (si ritiene, peraltro, quantomeno

generico, su cui v. supra), risulta speciale rispetto all’illecito amministrativo, che per essere

integrato richiede alternativamente o colpa o dolo. Ne consegue che ogni fatto che risulta punibile

alla luce della fattispecie penale di cui all’art. 187 t.u.f., è punibile anche alla luce della fattispecie

amministrativa, ma non viceversa.

Malgrado la sussistenza di un rapporto di specialità, che, sulla scorta dell’art. 9 l.689/1981,

implicherebbe l’applicazione della sola norma speciale, valorizzando la clausola di riserva di cui

all’art. 187 t.u.f. “salvo le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato”, occorre pervenire a una

conclusione opposta: invero, come già esposto con riguardo alle deroghe al principio di specialità

contemplate dall’art. 15 c.p. ( v.supra cap.1 par. 1.1), il principio di specialità può essere derogato,

e quando ciò si verifica è necessario applicare sia la norma generale che quella speciale. E’ questa

l’ipotesi in analisi: ne consegue che i fatti che integrino entrambe le fattispecie devono essere

sanzionati sia con pena che con sanzione amministrativa, dando vita a un discutibile cumulo

punitivo40.

3.2. Il rapporto tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo nell’aggiotaggio

Come già esposto nel secondo capitolo, la condotta di manipolazione del mercato a livello penale è

disciplinata sia dall’art. 2637 c.c., che dall’art. 185 t.u.f.. Dall’analisi strutturale delle norme emerge

un rapporto di specialità reciproca: invero, al nucleo comune rappresentato dalla condotta di

40 A. D’ANDREA, Abuso di informazioni privilegiate, in Diritto penale dell’economia, a cura di A.CADOPPI, S.CANESTRARI, A.MANNA, M.PAPA , 2016, capitolo VII, p. 479.15

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manipolazione del mercato, corrispondono simmetrici elementi specializzanti, rappresentata da

oggetti materiali differenti: mentre nell’art. 2637 c.c. ci si riferisce a strumenti finanziari non

quotati, nell’art. 185 t.u.f. vengono menzionati strumenti finanziari quotati.

La condotta di aggiotaggio su strumenti finanziari quotati, come già esposto in precedenza, viene

regolata sia dalla norma penale ex art. 185 t.u.f., che dalla norma amministrativa ex art. 187 ter t.u.f.

Queste due nome si trovano in un rapporto di specialità41. Nonostante la presenza di tale rapporto tra

le norme, si ritiene che, alla luce della clausola di riserva contenuta dell’art. 187 ter t.u.f., che

dispone “salvo le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato”, e simmetricamente a quanto

previsto in materia di abuso di informazioni privilegiate, quando una condotta sia ascrivibile a

entrambe le norme, esse vadano applicate congiuntamente: ne consegue, anche in questa ipotesi, un

cumulo di sanzioni amministrative e penali.

3.3. Meccanismi di compensazione

L’art. 187 terdecies t.u.f. prevede un meccanismo di mitigazione del cumulo sanzionatorio previsto

per le condotte di aggiotaggio e di insider trading. Tale norma afferma che quando per lo stesso

fatto sia stata applicata a carico del reo o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria

dipendente dal reato, la riscossione della pena pecuniaria dipendete da reato è limitata alla parte

eccedente rispetto alla sanzione pecuniaria riscossa dall’autorità amministrativa. Con tale

disposizione il legislatore ha inteso salvaguardare il principio di proporzionalità della pena. L’art.

187 terdecies opera però soltanto per le sanzioni pecuniarie principali e non per quanto riguarda le

sanzioni accessorie, che restano sprovviste di un meccanismo compensatorio.

3.4. Profili di contrasto con il ne bis in idem

I sistemi sanzionatori delle condotte di insider trading e di aggiotaggio, come sopra esposto,

generano un doppio binario sanzionatorio sia nei confronti delle persone fisiche, che nei confronti

degli enti. Invero, è possibile che il medesimo fatto venga punito sia con sanzioni penali che con

sanzioni amministrative, anche in deroga al principio di specialità ex art. 9 della l. n. 689/1981.

Le sanzioni vengono comminate in due procedimenti separati: quello penale dinanzi all’autorità

giudiziaria, e quello amministrativo dinanzi alla CONSOB42. 41 V. supra par. 2.1.2. La fattispecie penale di aggiotaggio è speciale perché richiede che la condotta posta in essere dal soggetto agente sia idonea a provocare una sensibile ed effettiva alterazione dei prezzi del mercato. Al contrario la fattispecie amministrativa ex art. 187 ter t.u.f., si configura quando le informazioni, le voci o le notizie diffuse siano false od anche solo fuorvianti, e siano anche solo astrattamente idonee ad alterare i prezzi del mercato, prescindendo da valutazioni di tipo quantitativo sulle alterazioni.42 Cfr. G. M. FLICK- V. NAPOLEONI, “Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto?”, in Rivista delle Società, 2014, pag. 953. 16

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Il problema è quello di capire se tale doppio binario possa, in qualche modo, violare il principio del

ne bis in idem. Mentre quello nazionale postula la natura anche formalmente penale dei

procedimenti, il problema sorge con riguardo al bis in idem convenzionale, di cui all’art. 4 Prot. 7

CEDU. Come già esposto in precedenza, tale principio preclude che un soggetto possa essere

sottoposto una seconda volta ad un procedimento, vertente su fatti già sottoposti a giudizio.

Peraltro, la natura penale del procedimento deve essere vagliata alla luce dei criteri Engel

(qualificazione giuridica del fatto, natura e severità della sanzione). Alla luce di ciò, attesa la chiara

natura punitiva delle sanzioni amministrative, e la sua significativa severità, e dunque la natura

sostanzialmente penale del procedimento amministrativo dinanzi alla CONSOB, il doppio binario

sanzionatorio previsto per gli abusi di mercato, sembrerebbe non essere compatibile con il principio

del ne bis in idem.

Al riguardo infatti, sono state numerose le controversie che hanno avuto ad oggetto l’applicazione

di un doppio binario sanzionatorio nei confronti di un soggetto punito sia con sanzioni penali, che

amministrative. Le risposte date dalla Corte EDU hanno tracciato un percorso risolutorio, che ha

portato a soluzioni differenti riguardo la compatibilità o meno del doppio binario sanzionatorio con

il principio del ne bis in idem. Con la sentenza Grande Stevens c. Italia del 2014 43, la Corte EDU si

era espressa negando la compatibilità della duplicazione sanzionatoria prevista dagli artt. 185 e 187

ter con il divieto di bis in idem convenzionale.

Nel caso di specie, all’origine della causa vi erano cinque ricorsi proposti contro la Repubblica Italiana, da tre cittadini e

due società, i quali hanno adito la Corte EDU in virtù dell’art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti

dell’uomo e delle libertà fondamentali. I ricorrenti, lamentavano una violazione del principio del ne bis in idem 44.

In particolare, con riguardo al fatto, la CONSOB aveva contestato ai ricorrenti la violazione dell’art. 187 ter t.u.f., ai

sensi del quale i soggetti erano stati puniti con sanzioni amministrative pecuniarie. Allo stesso tempo, contro i ricorrenti

era stato intentato un procedimento penale per la violazione dell’art. 185 t.u.f. I ricorrenti, dopo aver esperito i vari

gradi di giudizio interni, senza che fosse stata riconosciuta alcuna violazione nei loro confronti, ma ottenendo solamente

delle riduzioni delle sanzioni pecuniarie, si sono rivolti alla Corte EDU adducendo sempre i motivi di ricorso citati. La

Corte ha rilevato la violazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU nella misura in cui era stato avviato contro un medesimo

soggetto, per gli stessi fatti, un nuovo procedimento, e la precedente decisione era già passato in giudicato.

Segnatamente, la Corte ha osservato, innanzitutto, che il procedimento condotto dinnanzi alla CONSOB, seppur

formalmente amministrativo, riguardava un’accusa in materia penale contro i ricorrenti. Inoltre, le condanne inflitte ex

art. 187 ter t.uf., erano passate in giudicato ed a partire da quel momento, i soggetti dovevano considerarsi già

condannati per un reato ai sensi dell’art. 4 Prot. 7 CEDU. Malgrado ciò, i ricorrenti erano stati sottoposti e condannati in

primo e in secondo grado a seguito di una nuova azione penale, ex art. 185 t.u.f. La Corte evidenziava che entrambi i

43 C. EDU, Sez. II, 4/03/2014, Grande Stevens e a. c. Italia.44 I ricorrenti lamentavano altresì una violazione dell’art. 6 CEDU, ovvero che i procedimenti giudiziari a cui erano stati sottoposti, non erano stati equi e non avevano avuto luogo davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale, e che era stato leso il loro diritto al rispetto dei loro beni.17

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procedimenti avevano ad oggetto una stessa condotta, ossia la diffusione di false informazioni finalizzata ad alterare il

prezzo di strumenti finanziari quotati.

Alla luce di queste constatazioni la Corte EDU concludeva per la violazione del ne bis in idem e condannava l’Italia ad

adeguarsi a quanto disposto, rimuovendo la accertata violazione.

3.5. Conclusioni

L’orientamento della Corte EDU, che emerge dalla sentenza Grande Stevens, incentrato

sull’incompatibilità del doppio binario sanzionatorio con il divieto di bis in idem, ha subito un

parziale revirement con la più recente sentenza A e B c. Norvegia del 2016 (su cui v. supra

cap.1.3.2.)45.

Giova quindi esaminare, se, alla luce del nuovo orientamento, il regime sanzionatorio proprio degli

abusi di mercato risulti ora compatibile col divieto di bis in idem. Per compiere detta operazione,

occorre verificare se il descritto regime sanzionatorio configuri un sistema sanzionatorio integrato

alla luce degli indici contenuti dalla sentenza A e B c Norvegia.

In particolare: non risulta che le sanzioni abbiano finalità diverse, perseguendo entrambe obiettivi

eminentemente punitivi; la complementarietà probatoria pare essere soddisfatta dall’art.187 decies

ult. co., che dispone obblighi di collaborazione in ambito probatorio; la proporzionalità della

sanzione pecuniaria pare soddisfatta dai meccanismi di compensazione di cui all’art. 187 terdecies,

non però quella delle sanzioni accessorie, per le quali l’ordinamento non contempla analoghi

meccanismi.

Alla luce di quanto è stato esposto, malgrado le riaperture concesse dalla sentenza A e B c Norvegia,

persistono dubbi sul fatto che il sistema sanzionatorio degli abusi di mercato costituisca un sistema

integrato costituito da procedimenti connessi sostanzialmente e temporalmente; persistono, quindi,

dubbi sulla compatibilità del descritto regime sanzionatorio con l’art. 4 Prot. 7 CEDU.

45 C. EDU, GC, 15/11/2016, A e B c. Norvegia.18

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