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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO- LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito nel Corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01 A.A.2019/2020 27 Aprile 2020 IL DELITTO DI INCESTO TRA OFFENSIVITÀ E CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITÀ Relatrici: Raffaella GERMANI e Francesca MORUCCI Tutor: Prof. Carlo SOTIS e Avv. Antonello MADEO INDICE: 1. Premessa………………………………………………………………………………............... 2 2. L’incriminazione delle condotte nelle società odierne……………………………...................2 2.1 La Corte costituzionale tedesca e l’incesto tra fratelli maggiorenni: il caso Stubing………......2 2.2 L’incesto innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo…………………..............................5 2.3 Corte costituzionale: la sentenza del 21 novembre 2000………………………….....................8 3. Analisi della fattispecie (art. 564 c.p.) ... ………………………………………………………12 1

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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO- LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI   

 Relazione per il Corso di Diritto Penaleprogredito

nel Corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01

A.A.2019/202027 Aprile 2020  

IL DELITTO DI INCESTO TRA OFFENSIVITÀE CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITÀ

Relatrici: Raffaella GERMANI e Francesca MORUCCI

Tutor: Prof. Carlo SOTIS e Avv. Antonello MADEO

INDICE:1. Premessa………………………………………………………………………………............... 2

2. L’incriminazione delle condotte nelle società odierne……………………………...................2

2.1 La Corte costituzionale tedesca e l’incesto tra fratelli maggiorenni: il caso Stubing………......22.2 L’incesto innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo…………………..............................52.3 Corte costituzionale: la sentenza del 21 novembre 2000………………………….....................8

3. Analisi della fattispecie (art. 564 c.p.) ...………………………………………………………12

3.1 Il bene giuridico tutelato…………………………………………………………………..........133.2 I soggetti……………………………………………………………………………..................143.3 L’elemento soggettivo…………………………………………………………………….........153.4 La relazione incestuosa ex art. 564 co. 2 c.p……………………………………………….......16

4. La dimensione offensiva del delitto di incesto…………………………………………...........17

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4.1 La definizione del pubblico scandalo………………………………………………………......174.2 La collocazione del pubblico scandalo nella struttura del reato……………………….............194.3 Le condizioni obiettive di punibilità: criteri di identificazione…………………………...........194.4 Il pubblico scandalo: elemento interno al fatto o esterno (c.o.p. intrinseca o estrinseca)?........22

BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………..............23GIURISPRUDENZA………………………………………………………………………………241. Premessa.Il seguente elaborato ha per oggetto il delitto di incesto, il quale rappresenta ancora oggi una tra le

fattispecie più dibattute nell’ambito dei delitti contro la famiglia a causa delle molteplici e delicate

implicazioni etico-religiose, oltre che giuridiche.

Dapprima esamineremo due casi sottoposti al vaglio dei giudici di legittimità, di cui il primo è

giunto all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Successivamente, procederemo

all’analisi della fattispecie di cui all’art. 564 c.p. In conclusione, tratteremo della natura giuridica

del pubblico scandalo nel delitto di incesto.

2. L’incriminazione delle condotte nelle società odierne.

Il dibattito relativo al tema della penalizzazione dell’incesto è una questione ancora attuale nei vari

ordinamenti. Di seguito, esamineremo in che modo il problema è stato affrontato dalla Corte

costituzionale tedesca, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte costituzionale italiana.

2.1 La Corte costituzionale tedesca e l’incesto tra fratelli maggiorenni: il caso Stubing.

Il delitto di incesto è stato di recente oggetto di una decisione del giudice costituzionale anche

nell’ordinamento tedesco.

La vicenda riguardava P. e K., due fratelli germani, cresciuti separatamente a seguito del divorzio

dei genitori. P., inizialmente affidato al padre, viene in seguito adottato, così da interrompere ogni

legame con la famiglia di origine. Divenuti adulti, i due vengono a conoscenza l’uno dell’altra e

intraprendono una relazione stabile, dalla quale nasceranno quattro figli, due dei quali disabili. La

questione porterà ad una serie di condanne a pena detentiva effettivamente espiata nei confronti di

P. ai sensi del § 173 co. 2. StGB – che punisce la “congiunzione carnale tra parenti” -, mentre K.

verrà giudicata non imputabile a causa di disturbi della personalità connessi alla difficile situazione

della famiglia d’origine.

L’incesto consensuale tra fratelli maggiorenni è stato a lungo sottovalutato e trascurato a livello

sociale e dalla ricerca scientifica. L’enfasi imposta dalla cultura e dalla clinica sull’incesto genitore-

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figlio e la scarsità di ipotesi nella casistica giudiziaria hanno indotto l’erronea percezione che si

tratti di un fenomeno del tutto eccezionale1.

La Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht) è stata chiamata a decidere sulla

legittimità costituzionale della norma che sanziona l’incesto (§ 173 co. 2 StGB2), una delle norme

più controverse e duramente criticate del codice penale tedesco3, segnatamente, a seguito del

dibattito fomentato dalla sentenza della Corte costituzionale tedesca prima, e della Corte europea

dei diritti dell’uomo poi, su questo caso.

Il delitto d’incesto, secondo il giudice rimettente, potrebbe violare il diritto fondamentale

all’autodeterminazione sessuale (artt. 2, co. 14 e 1 co. 15 Grundgesetz, GG), il divieto di

discriminazione (art. 3 GG6), e la violazione dell’art. 6 GG7, che assicura protezione alla famiglia,

anche se originata da una relazione vietata.

In particolare, il ricorso poneva l’attenzione su due argomenti: si denuncia come la norma in

questione non sia finalizzata a tutelare alcun bene giuridico sfuggente, ma miri alla protezione di

una determina concezione morale che percepisce le unioni tra parenti come un tabù; e si rileva la

non proporzionalità della pena al caso, poiché non è stata considerata la disagiata situazione

familiare nel cui ambito si era verificata la condotta incriminata.

1 G. DODARO, La Corte Costituzionale tedesca e l’incesto tra fratelli maggiorenni tra divieti culturali universali, incertezze della scienza e pretese dei diritti, nota a BVerGE, 26.2.200, 2 Bvr, 392/07, in Riv. it. dir. proc. pen. 2009, 2120, pag. 2129.2§ 173 StGB, “Chiunque si congiunge carnalmente con un discendente consanguineo è punito con la pena detentiva fino a tre anni o con la pena pecuniaria. Chiunque si congiunge carnalmente con un parente consanguineo in linea ascendente è punito con la pena detentiva fino a due anni o con la pena pecuniaria; lo stesso vale anche quando il rapporto di parentela sia stato sciolto. Allo stesso modo vengono puniti i fratelli e sorelle germani che si congiungono carnalmente fra loro. Discendenti e fratelli o sorelle non vengono puniti a norma di questa disposizione nel caso in cui al momento del fatto non abbiano compiuto il diciottesimo anno di età”.3Ex plurimis, B. NOLTENIUS, Grenzloser Spielraum des Gesetzgebers in Strafrech? Kritische Bemerkungen zur Inzestentscheidung des Bundesverfassungsgerichts vom 28. Febraur 2008, in ZJS, 2009, pp. 15 ss.; S. KARST, Die Entkriminalisierung des § 173 StGB, Frankfurt am Main, 2009, 237-239, nota n. 7, in Nisco, L’incesto innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Margine di apprezzamento e controllo delle norme penali , in Dir. pen. cont.-Riv. trim., 201, pag. 71. 4 Art. 2 comma 1 GG, “Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l'ordinamento costituzionale o la legge morale”.5 Art. 1 comma 1 GG, “La dignità dell'uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”.6 Art. 3 GG, “Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge. Gli uomini e le donne sono equiparati nei loro diritti. Lo Stato promuove la effettiva attuazione della equiparazione di donne e uomini e agisce per l'eliminazione delle situazioni esistenti di svantaggio. Nessuno può essere discriminato o favorito per il suo sesso, per la sua nascita, per la sua razza, per la sua lingua, per la sua nazionalità o provenienza, per la sua fede, per le sue opinioni religiose o politiche. Nessuno può essere discriminato a causa di un suo handicap”.7 Art. 6 GG, “Il matrimonio e la famiglia godono della particolare protezione dell'ordinamento statale. La cura e l'educazione dei figli sono un diritto naturale dei genitori ed un loro precipuo dovere. La comunità statale vigila sul modo con i quale essi svolgono la loro funzione. I figli possono essere separati dalla loro famiglia contro il volere delle persone che ne hanno la patria potestà solo in forza di una legge, nel caso che gli aventi il diritto dell'educazione vengano meno al loro dovere o nel caso che, per altri motivi, i figli corrano il rischio di venir trascurati. Ogni madre ha diritto alla protezione e all'assistenza della comunità. La legge assicura ai figli naturali le stesse condizioni di sviluppo, fisico e morale, nonché lo stesso status sociale, sanciti per i figli legittimi”.

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Nel caso di specie, infatti, la relazione incestuosa non era fondata su abusi o violenze a danno di

uno dei due soggetti, ma si trattava di “incesto in quanto tale”, ossia una relazione sessuale tra adulti

consenzienti legati da vincolo familiare8.

Il Bundesverfassungsgericht respingeva il ricorso, facendo applicazione del principio di

proporzionalità, ossia l’esigenza che la scelta legislativa non comprima un diritto fondamentale in

maniera eccessiva e senza una valida giustificazione9. Alla luce del principio di proporzionalità,

secondo la Corte delle Leggi tedesca, il § 173, co. 2 StGB perseguirebbe scopi legittimi, non in

contrasto con il Grundgesetz, non comprimendo, quindi, un diritto fondamentale in maniera

eccessiva.

La Corte, avvalendosi di un parere tecnico affidato al noto istituto Max Planck Institut di Friburgo,

ha cercato di formulare la propria decisione valorizzando le possibili ripercussioni a livello

psicologico che potrebbero derivare sia agli autori del reato, sia agli altri membri della famiglia.

Il divieto penale di incesto tutelerebbe, al primo posto, la famiglia quale comunità di vita e di

educazione, in cui si svolge la personalità dell’uomo10. Dal punto di vista antropologico, infatti, ad

ogni membro della famiglia sono attribuiti diversi ruoli, al fine di tutelare la stabilità del nucleo

famigliare.

In secondo luogo, essa ha ritenuto che la limitazione della sfera di autodeterminazione sessuale

imposta dalla norma in questione non fosse sproporzionata e ingiustificata dalla circostanza che

l’incesto, nella maggior parte dei casi, si verifica in situazioni di dipendenza psicologica della parte

debole della relazione. Questa condizione di dipendenza psicologica ricorda i principi richiamati

nella prima sentenza della Corte costituzionale italiana11 avente ad oggetto l’adulterio, inizialmente

previsto come reato dall’art. 559 c.p.12.

In terzo luogo, studi empirici dimostrano che vi sono potenziali rischi di malattie genetiche per i

figli nati dall’unione tra consanguinei.

Infine, a favore della legittimità (costituzionale) di punire l’incesto, la Corte ha osservato che essa

corrisponde ad una diffusa convinzione sociale di meritevolezza della pena, desumibile dalla

circostanza che l’incesto è da sempre oggetto di una radicata proibizione nella cultura di molte

società.

8 H.-J. ALBRECHT-U. SIEBER, Stellungnahme zu dem Fragenkatalog des Bundesverfassungsgerichts in dem Verfahren 2 BvR 392/07 zu § 173 Abs. 2 S. 2 StGB – Beischlafzwischen Geschwistern -, Fassung vom 19 November 2007, p. 27, in www.mpicc.de., nota n. 5, in NISCO, op. cit., pag. 71.9 G. DODARO, op. cit., pag. 2129.10 G. DODARO, op. cit., pag. 2120.11 Corte costituzionale, sent. n. 64/1961.12 Art. 559 c.p., articolo dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con le sent. 19/12/1968 n. 126, 3/12/1969 n. 147. La norma prevedeva che: “La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera. La pena è della reclusione di due anni in caso di relazione adulterina. Il delitto è punibile a querela del marito”.

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La sentenza del Bundesverfassungsgericht ha suscitato numerose critiche13, soprattutto da parte

della dottrina penalistica tedesca14. Di particolare rilievo, quella formulata dal giudice HASSEMER15,

secondo cui in caso di incesto occorrerebbe intervenire con una terapia o con altri strumenti di

sostegno a favore dei fratelli, e magari anche dei genitori che l’hanno reso possibile, piuttosto che

con una condanna penale, considerato il rischio ad essa associato di un aggravamento o di una

cronicizzazione delle problematiche psicologiche che stanno all’origine del fatto o che sono da esso

prodotte.

Le principali critiche rivolte alla sentenza sono: in primo luogo, che l’incesto non è rivolto alla

tutela di un bene giuridico in quanto tale, bensì alla difesa di concezioni morali che non spetta al

diritto penale tutelare; in secondo luogo che, gli scopi, individuati dalla Corte, non sono idonei a

giustificare l’incriminazione.

Dal punto di vista costituzionale, infatti, all’interno della struttura famigliare sono previsti dei ruoli,

ma non certo una pena qualora questi non vengano rispettati, altrimenti bisognerebbe rendere

penalmente rilevanti fattispecie come l’adulterio e le unioni omosessuali16.

In secondo luogo, l’autodeterminazione sessuale non incide nel caso dell’incesto, in quanto

quest’ultimo è un rapporto tra adulti consenzienti, nel quale l’uno non prevale sull’altro17.

Inoltre, la tutela della prole da malattie genetiche è fuori luogo, in quanto in un ordinamento

liberale, come quello tedesco, non si possono imporre divieti di generare a chi sa di essere portatore

di malattie genetiche18.

Infine, la convinzione storico-culturale di meritevolezza della pena dell’incesto è sinonimo di una

morale dominante, quindi non può giustificare l’incriminazione19.

Il caso è stato presentato anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

2.2 L’incesto innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nel paragrafo precedente abbiamo visto come gli scopi perseguiti dal § 173 co. 2 StGB non sono

stati ritenuti costituzionalmente illegittimi poiché proteggono l’ordine famigliare, la libertà sessuale

e la prole da malattie genetiche, e rispettano il principio di proporzionalità.

A seguito della delusione derivante dall’epilogo della sentenza della Corte costituzionale tedesca, il

caso Stubing è stato presentato anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dinanzi alla quale

13 Opinione dissenziente del giudice Hassemer alla decisione del Secondo Senato del 26 febbraio 2008, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, pp. 2103 ss., nota n. 7, in NISCO, op. cit., pag. 71.14 A. NISCO, op. cit., pag. 72.15 G. DODARO, op. cit., pag. 2133-2134.16 A. NISCO, op. cit., pag. 72.17 A. NISCO, op. cit., pag. 72.18 A. NISCO, op. cit., pag. 72.19 A. NISCO, op. cit., pag. 72.

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veniva lamentata la violazione della Convenzione subita dal ricorrente nel caso concreto, ed in

particolare dell’art. 8 CEDU20 – rubricato Diritto al rispetto della vita privata e familiare -, sotto il

profilo della violazione del diritto di famiglia - dal momento che le plurime condanne avevano

impedito al ricorrente di educare i figli - e del diritto alla vita privata - in specie del diritto alla

libertà sessuale -.

Nel ricorso veniva censurato anzitutto l’approccio logico del Bundesverfassungsgericht rispetto alla

categoria del bene giuridico ed agli scopi individuati nel provvedimento decisorio.

La Corte delle Leggi tedesca concepiva la famiglia come una forma di vita associata fondata su un

ordine sociale rigidamente predefinito, con una inderogabile separazione dei ruoli in base ai

reciproci rapporti di parentela, separazione che è assolutamente imprescindibile soprattutto al fine

di preservare il benessere della prole.

Essa riteneva che la limitazione della sfera di autodeterminazione sessuale fosse giustificata dalla

circostanza che l’incesto, nella maggior parte dei casi, s’insedierebbe in situazione di debolezza o

dipendenza psicologica di un soggetto verso un altro. L’incesto può derivare da un

ipercoinvolgimento tra fratelli causato da situazioni familiari palesemente caotiche, disgregate o

marginali, in cui i rapporti sono caratterizzati da trascuratezza, incomprensione o violenza fisica dei

genitori, e che implica intensi processi di fusione e di idealizzazione21.

Il giudice delle leggi non manca di rilevare anche le ragioni eugenetiche della tutela penale: sulla

base di dati empirici, fa risalire la maggior incidenza di malattie tra i figli alla nascita da relazioni

incestuose.

Infine, il collegio giudicante riteneva la sanzione penale giustificata sulla base di una convinzione

sociale di meritevolezza di pena. Particolare valore era assegnato, sul punto, al dato storico-

comparatistico messo a disposizione del Max Planck Institut, il quale dimostrava come l’incesto

fosse disapprovato e punito in diversi luoghi ed epoche.

In particolar modo – per quanto in tale sede rilevante -, il ricorrente invocava l’assenza di un

“bisogno sociale impellente” (pressing social need) a giustificazione dell’interferenza nel suo

diritto, definito come l’esigenza da parte della società di incriminare condotte moralmente

riprovevoli: questa esigenza fa sì che la morale prevalga sul singolo diritto. Il ricorrente, però,

sottolineava che l’eventuale abrogazione della norma che criminalizza l’incesto non fiaccherebbe il

20 Art. 8 CEDU, “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che, in una società democratica, è necessario alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.21 G. DODARO, op. cit., pag. 2128.

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tabù, in quanto, se la percezione dell’incesto è socialmente riprovevole, anche a seguito della

depenalizzazione rimarrebbe tale.

Inoltre, riguardo alle circostanze del caso concreto, egli rilevava come l’autorità nazionale non

avesse tenuto in considerazione il fatto che i due partner della relazione incestuosa, non solo non

erano cresciuti insieme, ma ignoravano anche l’esistenza l’uno dell’altro. L’unione incestuosa viene

perciò spiegata come risposta dei figli-fratelli ad un bisogno di congruenza emotiva all’interno di un

ambiente familiare vuoto o turbato22.

La Corte europea ha ritenuto preliminarmente la riconducibilità in astratto delle doglianze ai diritti

tutelati dall’art. 8 CEDU, potendo sussistere in fatti di incesto, una “interferenza” con il diritto alla

vita privata, non idonea tuttavia a superare il limite imposto agli Stati membri dal comma 2 dell’art.

8 CEDU23, atteso che è sicuramente riconosciuto un diritto alla vita privata, ma questo non deve

ledere la morale e i diritti altrui. In considerazione della sentenza della Corte costituzionale tedesca

infatti, il § 173 StGB assume lo “scopo legittimo” di proteggere la “morale” e i “diritti altrui”, cioè

l’ordine familiare, la libertà sessuale e l’integrità genetica24.

In altre parole, la Corte di Strasburgo ha ritenuto la sentenza della Corte costituzionale tedesca

conforme alla Convenzione EDU – e quindi escluso che il ricorrente abbia subito violazioni della

Convenzione nel caso concreto – nella parte in cui ritiene il delitto di incesto lesivo, oltre che

dell’ordine familiare, anche dell’autodeterminazione sessuale, nonché della salute dell’eventuale

prole nata dal rapporto incestuoso. La tutela di questi valori costituzionali, connessi al matrimonio e

alla famiglia, alla libertà dei soggetti deboli e alla salute dell’eventuale prole, giustificherebbe, a

giudizio della Corte europea, l’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Nel giudizio di bilanciamento operato dalla Corte di Strasburgo tra diritti sacrificati e scopi della

norma che si invoca come lesiva della Convenzione nel caso concreto, ha assunto rilievo

determinante il margine di apprezzamento, definito come quella misura di discrezionalità concessa

agli stati membri nell’applicazione della Convenzione e anche come il modo attraverso il quale la

Corte europea cerca di bilanciare la sovranità degli stati membri con il rispetto degli obblighi

stabiliti dalla Convenzione25.

Nella valutazione del margine di apprezzamento assume rilievo la nozione di consenso, termine con

cui si indica la sussistenza o meno di una concezione comune creatasi all’interno degli Stati membri

rispetto ad una determinata questione: una sorta di standard morale comune. Consenso e margine di

22 G. DODARO, op. cit., pag. 2125.23 Art. 8 comma 2, “Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.24 A. NISCO, -op. cit. pag. 74.25 Amplius, A. NISCO, op. cit. pagg. 75-84.

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apprezzamento dovrebbero stare in relazione di proporzionalità inversa: quando la Corte EDU è in

grado di riscontrare un certo consenso europeo sul trattamento di una particolare questione, ovvero

sulla tutela di un determinato diritto, lascia un minore margine di apprezzamento alle autorità

nazionali.

Per quanto riguarda il delitto di incesto, manca un “consenso europeo”26 sulla liceità dei rapporti

sessuali tra “familiari”, circostanza che emerge anche dal numero di Stati che criminalizzano la

condotta. Tale mancanza deriva dalla diversa concezione morale che assumono gli Stati nei

confronti dell’incesto: una parte di essi tende a preservare il tabù, mentre altri sono favorevoli ad un

divieto extra-penale inteso come sintomo della non necessità della criminalizzazione di tali

condotte. Inoltre, la morale dominante tende a preservare l’idea di famiglia come istituzione, in

quanto essa trova un’ampia tutela dal punto di vista religioso e normativo.

In conclusione, gli scopi assegnati dalla Corte delle Leggi tedesca e dalla Corte EDU al divieto

penale dell’incesto sono stati ritenuti legittimanti la restrizione proporzionata del diritto alla vita

privata del ricorrente nel caso Stubing, soluzione che non consente tuttavia di trascurare aperture –

oltre che della dottrina, già da tempo critica – da parte dei media e dell’opinione pubblica tedeschi,

circa la inopportunità della persistente criminalizzazione dell’incesto27.

La questione relativa al delitto di incesto è stata oggetto di dibattito anche innanzi alla Corte

costituzionale italiana.

2.3 Corte costituzionale: la sentenza del 21 novembre 2000.

L’incesto, in Italia, è disciplinato dall’art. 564 c.p.28 – rubricato Incesto – ed ha una portata

applicativa diversa rispetto al § 173 del codice penale tedesco. La fattispecie italiana si distingue da

quella tedesca. Come vedremo nel prossimo paragrafo, il campo di applicazione è esteso anche agli

affini in linea retta, la condotta incestuosa non è definita (anche se, secondo l’opinione prevalente,

occorre un congiungimento carnale29), infine, è necessario che al fatto segua un pubblico scandalo.

26 A. NISCO, op. cit. pag. 74.27 A. NISCO, op. cit. pag. 81.28 Art. 564 c.p. “Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da due a otto anni in caso di relazione incestuosa. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l’incesto è commesso da persona maggiore di età con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne. La condanna pronunciata contro il genitore importa la decadenza dalla responsabilità genitoriale”.29 G. PISAPIA, Incesto e relazione incestuosa, in Nss. D.I., VIII, Torino, 1962, pag. 503.

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Con la sentenza 21 novembre 200030 la Corte costituzionale italiana è stata chiamata a decidere

sulla legittimità costituzionale dell’art. 564 c.p.

Il caso in questione riguardava un incesto tra suocero e nuora per il reato di cui all’art. 564 secondo

comma c.p., in quanto – secondo l’imputazione – tra loro affini in linea retta, avevano instaurato

una relazione incestuosa in modo da farne derivare pubblico scandalo.

Il giudice delle indagini preliminari (G.I.P.) presso il Tribunale di Salerno ha sollevato questione di

legittimità costituzionale dell’art. 564 c.p., per contrasto con gli artt. 231, 3, primo comma32, 13,

primo comma33, e 27, terzo comma34, della Costituzione.

Il giudice rimettente osservava che stabilire una sanzione penale per determinate condotte è una

scelta che compete al legislatore nella sua discrezionalità, ma è anche vero che le scelte del

legislatore in materia di incriminazioni sono controllabili secondo il criterio di ragionevolezza dalla

Corte costituzionale. Tale criterio implica35 la necessità che la previsione incriminatrice, anche se «-

… presumibilmente idonea a raggiungere finalità statuali di prevenzione, non produca, attraverso

la pena, danni ai diritti fondamentali dell’individuo ed alla società sproporzionatamente maggiori

dei vantaggi ottenuti (e da ottenere) … con la tutela dei beni e dei valori offesi -»; e l’esigenza che

«-… la pena sia proporzionale al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema

sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale e a quella di tutela delle

posizioni individuali-».

30 Massima n. 25906, “L'art. 564 del codice penale, che punisce come incesto i rapporti sessuali tra soggetti legati da vincoli di parentela o di affinità, tenuti in modo che ne derivi pubblico scandalo, trova la sua giustificazione obbiettiva nella finalità di protezione della famiglia, escludendo i rapporti sessuali tra componenti diversi dai coniugi, ivi compresi quelli degli affini in linea retta (nella specie: suocero e nuora), nell'intento di evitare perturbazioni della vita familiare e di permettere la formazione di nuove strutture di natura familiare nell'ambito della più vasta società. Le scelte legislative, di creazione di una fattispecie delittuosa, di delimitazione dei confini della famiglia in cui opera il divieto, fino a comprendere, tra i soggetti del delitto, gli affini in linea retta, di irrogazione della pena nel campo delle relazioni affettive e sessuali e la sua proporzione rispetto al bene protetto, e quella di far dipendere la sua irrogazione dalla previsione del pubblico scandalo della relazione incestuosa, si giustificano con il legittimo perseguimento delle summenzionate finalità, con un non irragionevole bilanciamento tra la finalità repressiva e la protezione della tranquillità degli equilibri domestici da ingerenze intrusive, quali sono le investigazioni per la ricerca del reato, attraverso una valutazione non arbitraria del nesso di congruità tra tipo di reato (che non tutela un mero modo di apparire dell'istituto familiare) e il tipo e la quantità della pena stabilita. Insomma, non assurgono a vizi rilevabili nel giudizio di legittimità costituzionale le critiche di opportunità alla norma incriminatrice formulate dal giudice rimettente. Pertanto, non è fondata - in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 13, primo comma, e 27, terzo comma - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 564 del codice penale”.

31 Art. 2 Cost., “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.32 Art. 3 comma 1 Cost., “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.33 Art. 13 comma 1 Cost, “La libertà personale è inviolabile”.34 Art. 27 comma 3 Cost., “La responsabilità penale è personale”.35 Corte costituzionale, sent. 06/07/1989 n. 409, 25/07/1994 n. 341, richiamate dalla sent. 21/11/2000 n. 518.

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Secondo il giudice a quo, la privazione della libertà personale – diritto inviolabile della persona (art.

13, primo comma, in relazione all’art. 2 della Costituzione) – quale conseguenza del reato, non è

giustificata e proporzionata rispetto ai beni tutelati dalla fattispecie penale.

La finalità perseguita dal reato di cui all’art. 564 c.p., prosegue il giudice a quo, non è volta ad

evitare una possibile commixio sanguinis, in quanto la norma in questione estende la punibilità

anche al fatto commesso tra non consanguinei (cioè gli affini in linea retta). Inoltre, si dovrebbe

escludere che il bene protetto dalla norma possa individuarsi nell’unità e integrità della famiglia, in

quanto la sanzione penale è applicabile solo se alla condotta segue il pubblico scandalo, requisito in

mancanza del quale l’incesto non è punibile. Nel caso di specie, si potrebbe desumere che la norma

avrebbe come oggetto di tutela l’obbligo di fedeltà coniugale, in quanto l’affinità sorge come

conseguenza di un rapporto coniugale. Oggi giorno, però, la fedeltà coniugale assume al più un

valore morale e non viene ritenuto un bene costituzionalmente tutelato, come dimostrano le

pronunce della Corte costituzionale sui reati di adulterio (art. 559 c.p.36) - sent. 19/12/1968 n. 12637 -

e di concubinato (art. 560 c.p.38) – sent. 03/12/1969 n.14739 -.

Ciò detto, la compressione della libertà personale rispetto a una ipotetica tutela di un sentimento

collettivo di riprovevolezza appare sproporzionata e irragionevole, perché oggi non sembra più

tollerabile giustificare una sanzione penale a tutela di concezioni morali.

Infine, in riferimento alla finalità rieducativa della pena ex art. 27, terzo comma, Costituzione, il

giudice a quo richiama la proporzione tra la qualità e l’entità delle pene, da un lato, e l’offesa recata

dal fatto, dall’altro.

La Corte costituzionale ha ritenuto la questione non fondata. Nel motivare l’infondatezza, procede

anzitutto ad una ricostruzione del bene protetto dalla disposizione impugnata, escludendo che possa

36 Cfr. supra. nota n. 10.37 Massima n. 3035, “Per l'unità familiare costituisce indubbiamente un pericolo sia l'adulterio del marito sia quello della moglie; ma quando la legge faccia un differente trattamento, questo pericolo assume proporzioni più gravi, sia per i riflessi sul comportamento di entrambi i coniugi, sia per le conseguenze psicologiche sui soggetti. Pertanto, i commi primo e secondo dell'art. 559 del codice penale sono viziati di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, in quanto sanciscono una deroga al principio di eguaglianza dei coniugi non essenziale per la garanzia dell'unità familiare, ma risolventesi, piuttosto, per il marito, in un privilegio; e questo, come tutti i privilegi, viola il principio di parità”.38 Art. 560 c.p., articolo dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sent. 03/12/1969 n. 147. La norma prevedeva: “Il marito, che tiene una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove, è punito con la reclusione fino a due anni. La concubina è punita con la stessa pena. Il delitto è punibile a querela della moglie”.39 Massima n. 3430, “Per la protezione del bene della "unità familiare" garantito dall'art. 29, secondo comma, della Costituzione, gli obblighi fondamentali che accompagnano il vincolo matrimoniale devono essere presidiati da sanzioni idonee a svolgere anche una funzione preventiva. Se a tal fine sia necessario disporre, in relazione ad un determinato contesto storico, oltre alle sanzioni civili anche sanzioni penali, è potere che spetta alla politica legislativa. Non può pertanto accogliersi la questione proposta, rispetto all'art. 560 del codice penale (concubinato), con le ordinanze del Pretore di Roma n. 114 e n. 193 del 1969, in base all'assunto che la rilevanza penale dell'inosservanza del dovere di fedeltà coniugale e la eventuale condanna di uno dei coniugi, in seguito alla proposizione dell'istanza punitiva, metterebbe in pericolo, compromettendola, l'esistenza stessa della comunità familiare”.

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essere individuato nella integrità e sanità della stirpe ed indicandolo invece nella protezione della

famiglia.

La Corte costituzionale italiana ha escluso, a differenza di quella tedesca, che l’incriminazione

tenda a difendere le relazioni familiari dalle prevaricazioni di natura sessuale. L’incesto di cui

all’art. 564 c.p. – a giudizio della Corte - è atto di persone consenzienti, mentre la violenza

(effettiva o presunta) rileva rispetto ad altri reati. Essa ha respinto, inoltre, l’idea che il bene

giuridico possa essere individuato in un interesse eugenetico, in quanto gli affini in linea retta non

hanno un legame di sangue tale da provocare conseguenze sulla salute della eventuale prole.

L’eugenesi non è qui in discussione, perché la norma impugnata è quella che riguarda i rapporti tra

affini in linea retta. E al proposito viene in gioco solo la tutela della serenità delle relazioni

familiari40.

L’art. 564 c.p., secondo la Consulta, offre protezione alla famiglia, in corrispondenza a un ethos41 le

cui radici si perdono lontano nel tempo, mira a escludere i rapporti sessuali tra componenti della

famiglia diversi dai coniugi. L’obiettività giuridica dell’incesto non consiste soltanto nell’offesa alla

moralità in genere, ma nella violazione della norma di condotta che impone l’asessualità nei

rapporti parentali42: e ciò spiega il collocamento del reato tra quelli contro la famiglia43.

Tale esclusione, inoltre, è determinata dall’intento di evitare perturbazioni della vita familiare e di

aprire alla più vasta società la formazione di strutture di natura familiare. L’incesto, infatti, potrebbe

causare conseguenze psicologiche all’interno della famiglia: non solo infrange il rapporto genitore-

figlio, ma, se si considera proprio la condizione della nuova prole, ingenera il rischio di una

pericolosa confusione nell’identità familiare a causa della sovrapposizione nei ruoli delle principali

figure educative del bambino44.

La tutela della serenità delle relazioni familiari è sicuramente un bene di spessore, infatti il nucleo

familiare non deve essere turbato da confusione di ruoli. Ma da questa proposizione sorge il quesito

se i turbamenti alla normalità familiare derivino da fatti simili a quelli incriminati e non anche da

altri fattori e se vi sia una tipizzazione penale capace di cogliere l’essenza della serenità familiare e

di proteggerla in modo convincente45.

Con riguardo poi alla previsione della condizione del pubblico scandalo – diffusamente trattato

infra, par. 4 - la Corte ritiene non irragionevole il bilanciamento operato dal legislatore tra

l’esigenza di repressione e la protezione della tranquillità degli equilibri domestici da ingerenze

40 M. CERASE, Incesto tra affini e ragionevolezza negata, in Giur. it., 2001, pag. 4066.41 Corte costituzionale, sent. 21/11/2000 n. 518.42 G. PISAPIA, op. cit., pag. 504.43 L’art. 564 è collocato nel Titolo XI del Libro II del codice penale, Dei delitti contro la famiglia.44 G. DODARO, op. cit., pag. 2136.45 M. CERASE, op. cit., pag. 4066.

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intrusive, come le investigazioni delle pubbliche autorità alla ricerca del reato, le quali, una volta

verificatosi il pubblico scandalo, non vi è più ragione di limitare o vietare.

Intesi in questi termini il bene giuridico e la funzione del pubblico scandalo, non vi è sproporzione

rispetto alla libertà individuale46. La Corte costituzionale, al contrario del giudice a quo, ha ritenuto

che il bene tutelato dall’incesto avesse più importanza, in quanto consiste nella protezione della

famiglia in quanto tale, in cui si realizza la personalità dell’uomo. In considerazione di ciò, la

Consulta ha ritenuto che vi è proporzionalità fra il bene tutelato dall’art. 564 c.p., la misura della

pena in esso prevista e la salvaguardia della libertà personale.

Infine, anche rispetto al principio della finalità rieducativa della sanzione penale (art. 27, terzo

comma, della Costituzione), la questione di costituzionalità è stata respinta come non fondata.

Secondo la Corte, la funzione della pena non va assolutizzata nella sola funzione rieducativa e

ammette che la pena può sussistere anche se non sarà idonea a rieducare.

Queste considerazioni portano a concludere che le censure mosse dal giudice rimettente all’art. 564

c.p., non si basano su vizi ricavabili nel giudizio di legittimità costituzionale, ma si risolvono in

critiche di opportunità alla norma, il cui apprezzamento non compete alla Corte costituzionale, ma

alla discrezionalità del legislatore.

Appare a questo punto possibile confrontare l’approccio della Corte Costituzionale tedesca e della

Consulta rispetto ai fatti di incesto.

Come è noto, nel sistema penale italiano, il principio di offensività subordina la sanzione penale

all’offesa di un bene giuridico, si richiede un bene paragonabile con quelli su cui incide la pena,

cioè con la libertà personale.

Nella tradizione penalistica tedesca, invece, il bene tutelato dalla norma, nel caso dell’incesto, è

oggetto di critiche47, in quanto non si può parlare di un bene giuridico immediatamente afferrabile,

bensì di una concezione morale. In considerazione di ciò, quindi – alla luce di quanto riportato

supra al par. 2.1 - non vi è proporzionalità tra lo scopo perseguito dalla norma e le misure restrittive.

In Germania, non è stato individuato concretamente un bene giuridico da tutelare, ma scopi legittimi

che giustificano l’incriminazione; mentre in Italia, non possono esservi norme prive di un bene

giuridico.

3. Analisi della fattispecie (art. 564 c.p.).

In questo capitolo procederemo all’analisi del reato di cui all’art. 564 c.p. – rubricato Incesto -.

In particolare, esamineremo in modo dettagliato gli elementi della fattispecie.

Per facilitare la lettura dei paragrafi che seguono riportiamo il testo dell’art. 564 c.p.:46 Corte costituzionale, sent. 21/11/2000 n. 518.47 A. NISCO, op. cit., pag. 83.

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«Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un

ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la

reclusione da uno a cinque anni.

La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa.

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l’incesto è commesso da persona maggiore di

età con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne.

La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della responsabilità genitoriale o

della tutela legale».

3.1 Il bene giuridico tutelato.

L’individuazione dell’oggetto giuridico del delitto di incesto è assai controversa, soprattutto in

dottrina, in quanto si tratta di una norma il cui contenuto necessita dell’integrazione di elementi

normativi extragiuridici, che rimandano a norme sociali o di costume48.

La collocazione della disposizione in parola nel capo II del Titolo XI del Libro II, fra i delitti contro

la morale familiare, sembrerebbe suggerire l’individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma

nella moralità sessuale della famiglia. L’incesto comporta l’offesa alla morale in generale e la

violazione della norma di condotta che impone l’asessualità nei rapporti parentali. Tale asessualità,

in quanto soddisfa un bisogno della vita morale della famiglia, è un bene morale di essa, protetto

non solo civilmente, col divieto di nozze entro gradi prossimi di parentela (art. 87 c.c.49), ma anche

penalmente col divieto dell’unione sessuale tra prossimi congiunti50.

La tutela predisposta dal codice non riguarda tanto la singola famiglia all'interno della quale si è

consumato l'incesto, quanto, piuttosto, l'istituzione familiare in sé51. Tuttavia, la circostanza che il

solo incesto punibile sia quello scandaloso, cioè quello realizzato in modo che ne derivi pubblico

48 A. MADEO, I delitti di incesto: incesto e relazione incestuosa, in Reati contro la famiglia e i minori, Fortuna, Milano, 2006, pag.62.49 Art. 87 c.c., Non possono contrarre matrimonio fra loro: 1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta (legittimi o naturali); 2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini; 3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote; 4) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l’affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili; 5) gli affini in linea collaterale in secondo grado; 6) l’adottante, l’adottato e i suoi discendenti; 7) i figli adottivi della stessa persona;8) l’adottato e i figli dell’adottante; 9) l’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato. [I divieti contenuti nei numeri 6, 7, 8 e 9 sono applicabili all’affiliazione]. [I divieti contenuti nei numeri 2 e 3 si applicano anche se il rapporto dipende da filiazione naturale]. Il tribunale, su ricorso degli interessati, con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio nei casi indicati tre e cinque, anche se si tratti di affiliazione [o di filiazione naturale]. L’autorizzazione può essere accordata anche nel caso indicato dal numero 4, quando l’affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo. Il decreto è notificato agli interessati e al pubblico ministero. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell’articolo.50 G. PISAPIA, op. cit., pag. 504.51 L. PISTORELLI, Delitti contro la morale familiare, in Trattato di diritto di famiglia, Zatti, vol. IV, Diritto penale della famiglia, a cura di Riondato, Milano, 2011, pag. 420.

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scandalo, porta a pensare che la norma miri ad assicurare una corretta percezione della famiglia

come formazione sociale da parte della collettività52.

In questi termini, l’incesto, così come configurato dall’art. 564 c.p., sembra offendere la moralità

pubblica. La previsione andrebbe a tutelare il sentimento collettivo circa il carattere non sessuato

delle relazioni familiari diverse dal coniugio, cioè appunto la moralità pubblica, se non addirittura

l’ordine pubblico53.

Per tentare di dirimere la complicata diatriba, è intervenuta di recente la Corte costituzionale54 - alla

luce di quanto riportato paragrafo 2.3 - per valutare la legittimità del delitto di incesto, e in tale

occasione ne ha individuato anche il bene giuridico tutelato. La Consulta, in particolare, nell’unica

decisione avente ad oggetto la fattispecie in esame, ne ha escluso che l’interesse tutelato sia di

carattere eugenetico, attribuendole piuttosto la funzione di prevenire i perturbamenti che alla

famiglia possono derivare dai rapporti sessuali tra componenti diversi dai coniugi, ed anche dalle

indagini che ne conseguono. Nondimeno, è stato osservato come una siffatta individuazione del

bene giuridico sia scarsamente armonica con la previsione della punibilità nei soli casi di pubblico

scandalo, cioè di una situazione in mancanza della quale il turbamento dei rapporti intrafamiliari

sussiste ugualmente55.

In definitiva, dalla pronunzia della Corte costituzionale si ricava una immagine sfocata del bene

giuridico protetto attraverso l'incriminazione dell'incesto scandaloso.

Nonostante questa immagine sfocata del bene giuridico, dottrina56 e giurisprudenza di legittimità

consentono di concludere che oggetto di tutela dell’incesto è ancora oggi il rispetto delle corrette

modalità di manifestazione della vita di famiglia.

3.2 I soggetti.

Con particolare riguardo alla struttura soggettiva del reato di incesto è discusso se sia un reato

plurisoggettivo o monosoggettivo.

L’incesto è da ritenersi plurisoggettivo, ovvero a concorso necessario, soltanto da un punto di vista

naturalistico, nel senso che alla determinazione dell’evento è necessaria la condotta di due persone,

ma, dal punto di vista normativo, non è classificabile tra i reati plurisoggettivi, nei quali la pluralità

dei soggetti attivi è elemento costitutivo del reato. È invece, un reato monosoggettivo, perché in

52 D. BRUNELLI, Incesto, in Trattato breve di diritto penale, Parte Speciale, I, I reati contro le persone, G. COCCO/ E. AMBROSETTI, Padova, 2014, pag. 650.53 A. CADOPPI - L. MONTICELLI, I delitti contro la morale familiare, in Trattato di diritto penale A. CADOPPI/S. CANESTRARI/A.MANNA /M. PAPA, Parte Speciale, vol. VI, pag. 149.54 Corte costituzionale, sent. 21/11/2000 n. 518.55 F. BIONDI, La Corte costituzionale individua il bene giuridico tutelato dal reato di incesto, in Giur. it., 2001, pag. 996.56 A. MADEO, op. cit., pag. 69.

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esso la pluralità delle condotte punibili non è condizione essenziale per la giuridica esistenza del

reato, nel senso che le condotte di entrambi i soggetti sono punibili solo eventualmente57.

Il delitto è compreso nella categoria dei reati propri, i quali possono essere commessi solo da

persone caratterizzate da particolari qualità individuali, descritte in modo tassativo nella fattispecie

legale.

A norma dell’art. 564 c.p. tra i soggetti attivi e passivi sono compresi gli ascendenti e i discendenti,

legittimi, naturali ed anche illegittimi.

Quanto ai rapporti incestuosi tra fratelli, sono compresi sia i fratelli e le sorelle germani (figli degli

stessi genitori), sia consanguinei (figli dello stesso padre), e gli uterini (figli della stessa madre).

Per quanto concerne la parentela adottiva, la dottrina è prevalentemente nel senso della esclusione,

osservando che l’art. 564 c.p. considera la sola parentela naturale. Tale esclusione è data dalla

tassatività della elencazione, perché, quando il legislatore ha inteso riferirsi al rapporto di adozione,

lo ha detto espressamente58.

Infine, nel novero dei soggetti del reato sono compresi anche gli affini in linea retta, ovvero sia il

suocero o la suocera rispetto al genero o alla nuora.

Nel caso in cui il matrimonio da cui deriva l’affinità venga dichiarato nullo è possibile contrarre

matrimonio valido agli effetti civili ex art. 87 co. 5 c.c.59. È invece dibattuta la questione relativa

alla compatibilità tra il nostro ordinamento civile e quello canonico, in quanto il Codice Canonico

(art. 104360) ammette il matrimonio tra affini in linea retta, mentre tale matrimonio è vietato dal

nostro Codice Civile.

3.3 L’elemento soggettivo.

L’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo generico, che comprende la coscienza del

rapporto di parentela o di affinità, e la volontà di intrattenere rapporti sessuali con uno dei soggetti

indicati dall’art. 564 c.p.

La configurazione dell'elemento psicologico della fattispecie in esame è fortemente influenzata

dalle conclusioni raggiunte in ordine alla qualificazione giuridica del requisito del pubblico

scandalo – di cui si parlerà più approfonditamente infra par. 4 -. Infatti, secondo un orientamento, il

pubblico scandalo è ritenuto elemento costitutivo del reato, e come tale subordinato alla

57 A. CADOPPI – L. MONTICELLI, op. cit., pag. 149.58 G. PISAPIA, op. cit., pag. 502.59 Cfr. supra nota n.49.60 Art. 1043 cod. can, I fedeli sono tenuti all’obbligo di rivelare gli impedimenti ai sacri ordini, se ne sono a conoscenza, all’Ordinario o al parroco, prima dell’ordinazione.

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volontarietà di suscitarlo; mentre, per altro orientamento si tratta di una condizione obiettiva di

punibilità, e come tale al di fuori del fatto di reato, dunque non è richiesta la volontà dell’agente61.

Fermo restando che se ne parlerà in maniera approfondita nel paragrafo 4, secondo la

giurisprudenza maggioritaria, la volontarietà riguarda la modalità dell’azione e non il conseguente

pubblico scandalo62.

L’elemento soggettivo può assumere la forma del dolo eventuale63, risolvendosi nell’accettazione

del rischio, da parte degli agenti, che la condotta, per le modalità della sua attuazione, determini il

pubblico scandalo. Si può parlare di dolo eventuale anche in relazione al rapporto instaurato tra

persone che accettino consapevolmente l’eventualità dell’esistenza tra loro di un vincolo di

parentela o di affinità.

L’errore sull’esistenza del legame di parentela o di affinità comporta il venir meno del dolo, sia in

caso di errore di fatto (art. 47 co.1 c.p.64), sia in ipotesi di falsa conoscenza della legge civile da cui

sia derivato errore relativo alla sussistenza di quel legame (art. 47 co. 3 c.p.65).

La ignoranza del divieto di contrarre matrimonio tra parenti ed affini, nei gradi previsti dalla legge,

non scusa, perché si tratta di un errore su di un presupposto della legge penale, che rientra

nell’ambito applicativo dell’art. 5 c.p.66, il quale stabilisce il principio ignorantia legis non excusat.

3.4 La relazione incestuosa ex art. 564 co. 2 c.p.

La norma dedicata all’incesto prevede una autonoma fattispecie di reato disciplinata dal secondo

comma dell’art. 564 c.p., che punisce con la pena della reclusione da due a otto anni chi intrattiene

una relazione incestuosa, intesa come un rapporto amoroso continuato nel tempo e dotato di

stabilità, intercorrente tra due soggetti vincolati da uno dei legami familiari previsti dal comma 1

dell’art. 564 – alla luce di quanto riportato nel par. 3.2 -, e caratterizzato nello specifico dalla

consumazione nel suo ambito di rapporti sessuali incestuosi, dei quali il rapporto rappresenta per

l'appunto l'elemento unificante67.

La tipicità del fatto deve ritenersi caratterizzata dalla causazione del pubblico scandalo, come

conseguenza delle modalità di consumazione del fatto.

61 D. BRUNELLI, op. cit., pag. 651.62 M. BINDA – A. AIMI, art. 564, in Codice penale commentato, E. DOLCINI – G.L. GATTA, Tomo I, IV ed., Milano, 2015, pag. 2690.63 A. MADEO, op. cit., pag. 75.64 Art. 47 co.1 c.p., L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.65 Art. 47 co. 3 c.p., L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato.66 Art. 5 c.p., Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale.67 L. PISTORELLI, op. cit., pag. 443.

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Ciò che caratterizza il delitto in esame dal singolo atto incestuoso, non è tanto la pluralità di episodi

di incesto, bensì il contesto in cui questi si verificano68. In dottrina si discute69 in merito al rapporto

tra incesto e relazione incestuosa, perché in considerazione della lettera della norma, sarebbe

sufficiente un solo atto incestuoso a ledere il bene giuridico protetto.

Per quanto riguarda la natura della relazione incestuosa, è discusso70 se il comma due dell’art. 564

c.p., aumentando la pena in caso di relazione incestuosa, configuri una autonoma ipotesi di reato o

piuttosto una circostanza aggravante.

Nel primo senso si tratterebbe, in particolare, di reato abituale, in cui le singole azioni criminose,

pur conservando la loro autonomia, partecipano del complesso elemento materiale del nuovo e più

ampio reato71.

Tuttavia, si ritiene diffusamente che la relazione incestuosa costituisca circostanza aggravante di

carattere oggettivo, e come tale estendibile a tutti i compartecipi del reato a norma dell’art. 118

c.p.72

4 La dimensione offensiva del delitto di incesto.

L’incesto penalmente rilevante è quello scandaloso, infatti, l’art. 564 c.p. punisce espressamente chi

commette incesto «in modo che ne derivi pubblico scandalo».

Di seguito, illustreremo la dimensione offensiva del delitto di incesto, la quale può risultare utile per

comprendere i principali aspetti problematici che caratterizzano questa controversa fattispecie, in

particolare, quello concernente la natura giuridica del pubblico scandalo.

Il principale contenuto offensivo dell’incesto risulta rapportato alla famiglia. Come più volte

anticipato, l’incesto viola le regole della morale sessuale, applicata alla famiglia, riassumibili nel

principio dell’asessualità dei rapporti parentali73.

4.1 La definizione del pubblico scandalo.

La violazione del principio di asessualità nei rapporti parentali diviene punibile in quanto si proietti

nella dimensione pubblica della moralità, realizzando la condizione del pubblico scandalo: esso

aggiunge al fatto incestuoso, lesivo della morale familiare, una nota di disvalore, consistente

68 A, MADEO, op. cit., pag. 76.69 A. MADEO, op. cit., pag. 76.70 L. PISTORELLI, op. cit., pag. 443.71 G. PISAPIA, op. cit., pag. 507.72 Art. 118 c.p., Le circostanze che aggrevano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa o le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono.73 G. PISAPIA, op. cit., pag. 504.

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nell’offesa arrecata alla moralità pubblica, vale a dire ad un interesse qualitativamente diverso, ma

correlato a quello tutelato, in via principale, dalla norma74.

Il pubblico scandalo, deve individuarsi nel profondo senso di turbamento e disgusto diffusosi in un

numero indeterminato di persone e nella connessa reazione morale per il cattivo esempio ricevuto 75,

da cui dipende la punibilità del rapporto incestuoso.

La definizione del pubblico scandalo è oggetto di divergenze in dottrina76, in quanto non mancano

voci77 secondo le quali l’evento scandaloso si risolve nella conoscenza pubblica del rapporto

incestuoso, non richiedendo affatto che il pubblico maturi effettivamente sentimenti di

disapprovazione e disgusto. Dal punto di vista pratico, la divergenza si attenua quando, affrontando

il tema della necessità di prova, si considera sufficiente la documentazione del fatto che l’incesto sia

divenuto di pubblico dominio, senza necessità che venga dimostrata l’insorgenza di una

disapprovazione sociale per l’avvenimento.

Per aversi pubblico scandalo, ai fini della sussistenza del reato di incesto, basta che il fatto, per le

circostanze di luogo in cui è commesso e per la notizia che se ne abbia comunque in pubblico,

venga a conoscenza di più persone estranee all’ambiente privato dell’autore78. Quindi, ai fini della

configurazione della fattispecie tipica, non assume rilevanza l’incesto in quanto tale e quello solo

potenzialmente scandaloso79, cioè realizzato in modo tale che alla consumazione non è seguita la

pubblica indignazione. Ciò detto, non è rilevante ai fini della norma la condotta a cui consegue lo

scandalo come causa della divulgazione della notizia della sua consumazione. È esclusa la

sussistenza dell’incesto qualora il pubblico scandalo derivi dalle indagini di polizia oppure dal

clamore derivante dalla denuncia sporta, ovvero sia provocato dalla curiosità di terzi che abbiano

superato le cautele prese dalla coppia incestuosa80.

Non va trascurata, infine, l’indeterminatezza e la difficile verificabilità empirica del requisito del

pubblico scandalo, da intendersi come una diffusa reazione di repulsione e di sdegno nei confronti

del fatto incestuoso. Infatti, la scandalosità dell’incesto non può essere ridotta alla mera notorietà

dello stesso fra un numero indeterminato di persone, perché ciò significherebbe confondere la

pubblicità dello scandalo con la pubblicità del rapporto incestuoso, in contrasto con la lettera della

norma, dal momento che una condotta incestuosa tenuta pubblicamente potrebbe non essere anche

74 V. MASARONE, La dimensione offensiva del delitto di incesto (art. 564 c.p.) e la collocazione dommatica del “pubblico scandalo” nella struttura del reato, in Archivio penale 2019, n. 3, pag. 16.75 A. CADOPPI, L. MONTICELLI, op. cit., pag. 150.76 M. BINDA – A. AIMI, op. cit., pag. 2688.77 F. BIONDI, op. cit., pag. 997.78 A. CADOPPI – L. MONTICELLI, op. cit., pag. 150.79 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, 16°ed., 2016, pag. 509. 80 A. CADOPPI – L. MONTICELLI, op. cit., pag. 150.

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(pubblicamente) scandalosa – ove nessuno assista agli atti sessuali – così come un rapporto

incestuoso consumato privatamente può suscitare pubblico scandalo, se qualcuno vi assiste81.

Inoltre, lo scandalo deve essere effettivo e non solo possibile, essendo sufficiente che l'incesto o dei

fatti manifestanti l'incesto vengano percepiti da un numero indeterminato di persone, estranee al

nucleo familiare in seno al quale si è consumato, peraltro con astratta possibilità che tale percezione

si estenda ad altri. In tal senso argomenta la Suprema Corte82, secondo la quale l’art. 564 c.p. non

esige che tale comportamento, ostentato o imprudente, sia manifestato direttamente in pubblico,

potendo la relazione incestuosa palesarsi anche da altre manifestazioni, come pure dai suoi effetti

materiali o dalla confessione.

Si è osservato che lo scandalo consiste pur sempre in un sentimento psicologico individuale,

trasformato dal legislatore in una categoria normativa, che va identificata nell’atteggiamento etico-

sociale assunto dalla collettività nei confronti di una relazione sessuale tra consanguinei o affini.

Pertanto, qualora i rapporti carnali tra congiunti non abbiano suscitato una reazione di ripugnanza,

disgusto e sdegno nella collettività, evidentemente essi non avevano leso quelle esigenze della

morale familiare tutelate dalla norma.

4.2 Il problema della collocazione del pubblico scandalo nella struttura del reato.

Il problema di collocazione del pubblico scandalo nel delitto di incesto era oggetto di discussione

anche durante i lavori preparatori del Progetto preliminare del codice penale, nel quale si prevedeva

l’impiego della locuzione «se dal fatto derivi pubblico scandalo»; tuttavia, nel Progetto definitivo

ad essa si preferì quella attuale - «in modo che ne derivi pubblico scandalo» -, già utilizzata nella

corrispondente previsione del codice Zanardelli83.

Dal punto di vista letterale, il pubblico scandalo per parte della dottrina84 si colloca tra gli elementi

costitutivi del fatto, in quanto l’art. 564 co.1 c.p. richiede testualmente che l’incesto sia commesso

«in modo che ne derivi pubblico scandalo». Dunque, nella formulazione della norma, non

interviene alcuna di quelle espressioni condizionali – come se, qualora, sempreché e simili -,

solitamente considerate indicative del ricorso ad una condizione obiettiva di punibilità.

Dal riferimento al «modo», contenuto nel testo vigente, parte della dottrina85 deduce che il pubblico

scandalo rientri tra gli elementi costitutivi del fatto, piuttosto che collocarsi al di fuori di esso come

condizione obiettiva di punibilità. Si tratterebbe, in particolare, di una modalità, necessariamente

81 A. MADEO, op. cit., pag. 72.82 Cass. Sez. III, 17 marzo 1975.83 A. CADOPPI – L. MONTICELLI, op. cit., pag. 343.84 Così V. MASARONE, op. cit., pag. 18.85 V. MASARONE, op. cit., pag. 596.

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volontaria, della condotta incestuosa. Quindi, la modalità scandalosa dell’incesto dovrebbe,

inevitabilmente, essere voluta dall’agente.

Tra gli argomenti a sostegno della tesi che ravvisa nel pubblico scandalo l’evento costitutivo del

reato, piuttosto che una condizione obiettiva di punibilità, viene generalmente indicata la sua

dipendenza causale dalla modalità di commissione dell'incesto.

Tuttavia, secondo parte maggioritaria della dottrina86 e della giurisprudenza, il pubblico scandalo

appare definito in fattispecie come una condizione di punibilità.

A tal proposito, occorre trattare dell’istituto delle condizioni obiettive di punibilità.

4.3 Le condizioni obiettive di punibilità: criteri di identificazione.

Una volta accertato che sussiste un fatto tipico antigiuridico e colpevole non è detto che lo stesso

costituisca reato: dovrà accertarsene la punibilità.

L’introduzione legislativa delle condizioni obiettive di punibilità svolge una duplice funzione: una

di delimitazione o riduzione della rilevanza penale di determinati comportamenti, e l’altra di

garanzia connessa al rispetto del principio di legalità87.

L’istituto delle condizioni obiettive di punibilità è uno dei più controversi88 tra quelli previsti dal

nostro codice.

Con l’espressione condizioni obiettive di punibilità si indicano le cause che fondano la punibilità e

che la dottrina89 più recente denomina condizioni estrinseche di punibilità: si tratta di quegli

accadimenti, menzionati in una norma incriminatrice, che non contribuiscono in alcun modo a

descrivere l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, ma esprimono solo valutazioni di

opportunità di ordine all’inflizione della pena.

Le condizioni obiettive di punibilità sono del tutto svincolate dal dolo e dalla colpa, in quanto

operano anche se l’agente non si è rappresentato né ha voluto l’accadimento che integra la

condizione, ed anche se l’agente non se lo poteva rappresentare, né lo poteva evitare impiegando la

dovuta diligenza.

Lo stesso art. 44 c.p.90 nella rubrica qualifica come «obiettive» le condizioni di punibilità, dove

espressamente dispone che «quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di

una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della

condizione, non è la da lui voluto. 86 M. DONINI, Le condizioni obiettive di punibilità, in Studium iuris 1997, pag. 596.87 G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto Penale. Parte Generale, 8°ed., Bologna 2019, pag. 82088 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., pag. 820.89 Sul punto vedi, G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte Generale, Sesta edizione, Milano, 2017.90 Art. 44 c.p., Quando per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto.

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Il nodo maggiormente problematico dell’istituto in parola è costituito dalla loro compatibilità col

principio di colpevolezza ex art. 27, co.1, Costituzione91

La compatibilità delle c.d. condizioni estrinseche di punibilità con il principio costituzionale di

colpevolezza è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale92, la quale ha escluso che gli elementi

della fattispecie estranei all’offesa al bene giuridico dovessero sottostare al principio di

colpevolezza. In tal senso è stato sottolineato in dottrina93 come la circostanza che le condizioni

obiettive di punibilità operino indipendentemente dal dolo e dalla colpa non contrasta con il

principio di colpevolezza, trattandosi di elementi del reato estranei al fatto.

Un ingiustificato ampliamento della gamma delle condizioni obiettive di punibilità è operato da

quella parte della dottrina94 che ha coniato il nome di condizioni intrinseche – o improprie – di

punibilità, quegli accadimenti che sono lesivi dell’interesse protetto, o in quanto approfondiscono

l’offensività tipica del fatto, o in quanto determinano una progressione o un aggravamento

dell’offesa già implicita nella commissione del reato.95.

Lo scopo, a volte dichiarato, di questa nuova categoria è quello di assoggettare taluni elementi

costitutivi del fatto alla disciplina delle condizioni obiettive di punibilità – che, a norma dell’art. 44

c.p., rilevano obiettivamente – e quindi sottrarli all’oggetto del dolo – nei delitti dolosi – o della

colpa – nei delitti colposi -.

Le condizioni di punibilità intrinseche pongono dei problemi di compatibilità con il principio di

colpevolezza, in quanto, appunto, si tratta di eventi che hanno la capacità di incidere sull’offesa

insita nel fatto tipico, approfondendola o aggravandola. In proposito, è fondamentale richiamare la

storica sentenza della Corte costituzionale96, la quale ha sancito il principio secondo cui la

colpevolezza, almeno nella forma minima della colpa, deve coprire tutti gli elementi significativi

del fatto, cioè quelli dai quali dipende il disvalore dell’offesa tipica. Sulla base di tale pronuncia, si

può sostenere che non possono sottrarsi al principio di colpevolezza le condizioni di punibilità c.d.

intrinseche, quali accadimenti capaci appunto di incidere sull’offesa insita nel fatto tipico: e il

principio di colpevolezza potrà considerarsi rispettato quando tali condizioni siano coperte almeno

dalla colpa.

91 Art. 27 co. 1 Cost., La responsabilità penale è personale.92 Corte costituzionale, sent. 30/11/1988, n. 1085.93 M. DONINI, op. cit., pag. 598.94 Sul punto si veda G. FIANDACA – E. MUSCO, op. ct., pag. 823.95 Ad esempio, il pericolo per la pubblica incolumità menzionato espressamente in molte norme incriminatrici dei delitti contro la pubblica incolumità, come l’incendio di una cosa propria – art. 423 co.2 c.p. -, sul punto vedi G. MARINUCCI – E. DOLCINI, op. cit., pag. 427.96La Corte in questa sede ha innalzato a rango di principio costituzionale il principio di colpevolezza, al riguardo v. Corte costituzionale, sent. 24/03/1988, n. 364.

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È per questo motivo che la maggior parte della dottrina97 esclude dall’ambito della categoria delle

vere e proprie condizioni obiettive di punibilità, le condizioni di punibilità intrinseche – che perciò

qualifica come improprie –, eventi di questo tipo concorrendo a delineare il disvalore del fatto

sanzionato penalmente, ed essendo in realtà elementi costitutivi del reato. Quindi, per un verso

ricomprende nella categoria soltanto le condizioni obiettive estrinseche – definite appunto proprie,

esterne al fatto e sganciante quindi da dolo e colpa – e, per altro verso, impone che le c.d.

condizioni di punibilità intrinseche, quindi improprie, siano qualificate come elementi del fatto e, di

conseguenza personalmente rimproverabili all’agente.

Le incertezze legate all’assenza di una definizione legislativa delle condizioni obiettive di punibilità

si riflettono sulla esatta delimitazione della categoria e sulla individuazione dei criteri per

l’identificazione in concreto delle stesse.

A parte l’art. 44 c.p., la legge nulla dice, nel corpo delle singole incriminazioni, su come si debba

interpretare un certo evento: se sia l’evento del reato, oppure un evento dal cui verificarsi dipende la

mera punibilità. Nonostante ciò, si tratta di aspetti di importanza decisiva nel delineare i presupposti

della responsabilità: in quanto, se l’evento è elemento del fatto, rappresenta un momento decisivo

dell’oggetto del dolo o della colpa; mentre se è elemento condizionate, come si è visto nel par. 4.1,

si sottrae a quei criteri di imputazione soggettiva.

La dottrina98 ha individuato dei criteri diagnostici da utilizzare ai fini di una corretta individuazione

della categoria in esame.

Il criterio diagnostico-formale fa riferimento alla formulazione letterale della fattispecie,

riconoscendo la presenza di una condizione obiettiva di punibilità tutte le volte in cui il legislatore

abbia impiegato formule ipotetiche del tipo «se dal fatto deriva». Tali formule, però, possono essere

utilizzate anche nella descrizione di elementi diversi dalle condizioni obiettive di punibilità, come

nel caso di delitti aggravati dall’evento o di veri e propri elementi costitutivi del reato99; vi sono poi

anche ipotesi certe di condizioni obiettive di punibilità nelle quali quelle formule non vengono

utilizzate.

Esclusa l’univocità dei criteri grammaticali, non resta che fare ricorso al criterio strutturale, relativo

cioè alla collocazione dell’elemento in questione all’interno della fattispecie astratta, e al criterio

sostanziale-funzionale, relativo cioè alla determinazione dell’interesse tutelato dalla norma.

97 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Corso di diritto penale, Terza edizione, Milano 2001, pag. 655.98 M. DONINI, op. cit., pag. 596.99 Tipico è il caso dell’insolvenza fraudolenta, art. 641 c.p., dove il contraente fraudolento è punito «qualora l’obbligazione non sia adempiuta»: ma avendola egli contratta «con il proposito di non adempierla», come prescrive l’art. 641 c.p., il mancato adempimento deve essere oggetto del dolo, e come tale è evento costitutivo, e non una c.o.p., sul punto vedi M. DONINI, op. cit., pag. 596.

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Facendo applicazione del criterio strutturale, dal novero delle condizioni obiettive di punibilità

dovrebbero essere di regola esclusi gli eventi legati da un rapporto di causalità necessaria con

l’azione tipica100.

In considerazione, invece, del criterio sostanziale – funzionale, dovrebbero escludersi dalle

condizioni di punibilità, e dovrebbero dunque considerarsi elementi costitutivi del fatto, quegli

eventi nei quali si incentra l’offesa all’interesse protetto.

4.4 Soluzione del problema: elemento interno al fatto o esterno (c.o.p. intrinseca o estrinseca)?

Così ricostruita la dimensione offensiva del delitto di incesto, si può ritenere che il pubblico

scandalo comporti una progressione dell’offesa tipica del reato, operando come un evento offensivo:

esso aggiunge al fatto incestuoso, lesivo della morale familiare, una nota di disvalore, consistente

nell’offesa arrecata alla moralità pubblica, ossia ad un interesse qualitativamente diverso, ma

correlato a quello tutelato, in via principale, dalla norma.

In questi termini, l’elemento in questione rientra tra le condizioni di punibilità intrinseche –

qualificate come improprie -, queste ultime – come abbiamo visto nel par. 4.3 – sono considerate

elementi del fatto e, di conseguenza, sono personalmente rimproverabili all’autore, se sostenute dal

dolo, o quanto meno dalla colpa.

Il pubblico scandalo, quindi, deve essere coperto dal dolo, anche eventuale dell’agente, risolvendosi

nell’accettazione, da parte degli agenti, che la condotta, per le modalità della sua attuazione, possa

determinare il pubblico scandalo.

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Cass. Sez. III, 17 marzo 1975.

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