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ECUMENISMO (PERTUSATI) 1) L’Oriente Cristiano Gli antichi patriarcati e i principali riti Divisione delle Chiese Orientali Le Chiese Cattoliche Orientali Bibliografia: E. MORINI, L’Albero dell’Ortodossia. Le radici e il tronco. I patriarcati apostolici. La nuova Roma e la Terza Roma, Bologna 2006; G. CERETI, ABC delle chiese e delle confessioni cristiane , Cinisello Balsamo 2009; A. ELLI, Breve storia delle Chiese Cattoliche Orientali , Milano 2010; J. ERNESTI, Le Chiese cristiane. Identità ed evoluzione storica, Milano 2012; 2) Il movimento ecumenico La nascita del movimento ecumenico La formazione del CEC (WCC), le assemblee generali, le commissioni L’ecumenismo spirituale Le reazioni del mondo cattolico Bibliografia: W. KASPER, L’ecumenismo spirituale, Roma 2006; J. ERNESTI, Breve storia dell’ecumenismo. Dal cristianesimo diviso alle Chiese in dialogo, Bologna 2010 3) La svolta del Concilio Vaticano II Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Unitatis Redintegratio Organismi nella Chiesa Cattolica Organismi di contatto. Charta Oecumenica Bibliografia: V. DE MARCO, L’ecumenismo dal Concilio Vaticano II a oggi , Roma 2011; A. PACINI, Pensare la fede in comunione. I dialoghi teologici tra le chiese, Milano 2013 4) Il dialogo ecumenico con le Chiese Ortodosse Paolo VI e Atenagora I L’opera ecumenica di Giovanni Paolo II Dialoghi e dichiarazioni bilaterali Orientale Lumen (seconda parte) Ut Unum Sint (52-54.88-96)

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ECUMENISMO (PERTUSATI)

1) L’Oriente Cristiano Gli antichi patriarcati e i principali riti Divisione delle Chiese Orientali Le Chiese Cattoliche Orientali

Bibliografia: E. MORINI, L’Albero dell’Ortodossia. Le radici e il tronco. I patriarcati apostolici. La nuova Roma e la Terza Roma, Bologna 2006; G. CERETI, ABC delle chiese e delle confessioni cristiane, Cinisello Balsamo 2009; A. ELLI, Breve storia delle Chiese Cattoliche Orientali, Milano 2010; J. ERNESTI, Le Chiese cristiane. Identità ed evoluzione storica, Milano 2012;

2) Il movimento ecumenico La nascita del movimento ecumenico La formazione del CEC (WCC), le assemblee generali, le commissioni L’ecumenismo spirituale Le reazioni del mondo cattolico

Bibliografia: W. KASPER, L’ecumenismo spirituale, Roma 2006; J. ERNESTI, Breve storia dell’ecumenismo. Dal cristianesimo diviso alle Chiese in dialogo, Bologna 2010

3) La svolta del Concilio Vaticano II Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Unitatis Redintegratio Organismi nella Chiesa Cattolica Organismi di contatto. Charta Oecumenica

Bibliografia: V. DE MARCO, L’ecumenismo dal Concilio Vaticano II a oggi, Roma 2011; A. PACINI, Pensare la fede in comunione. I dialoghi teologici tra le chiese, Milano 2013

4) Il dialogo ecumenico con le Chiese Ortodosse Paolo VI e Atenagora I L’opera ecumenica di Giovanni Paolo II

Dialoghi e dichiarazioni bilaterali Orientale Lumen (seconda parte) Ut Unum Sint (52-54.88-96)

La Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa (nel suo insieme). Balamand, Ravenna, Amman

L’ecumenismo di papa Francesco Il vescovo di Roma e la fraternità con le chiese apostoliche Evangelii Gaudium (32.244-246) Disgelo del patriarcato di Mosca?

Bibliografia: A. CAZZAGO, Cristianesimo d’Oriente e d’Occidente in Giovanni Paolo II, Milano, 1996; O. CLÉMENT, Roma diversamente, Milano 1998; V. MARTANO, L’abbraccio di Gerusalemme. Cinquant’anni fa lo storico incontro tra Paolo VI e

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Athenagoras, Milano 2014; R. BURIGANA, Un cuore solo. Papa Francesco e l’unità della Chiesa, Milano 2014

5) Porte d’accesso alla conoscenza dell’Oriente cristiano Il monachesimo

Orientale Lumen (prima parte) L’esicasmo

Testi spirituali Racconti sinceri di un pellegrino russo al suo padre spirituale Dialogo con Motovilov (Serafino di Sarov) Scritti spirituali di Silvano del Monte Athos

L’arte come ponte ecumenico: la Cappella “Redemptoris Mater”

Bibliografia: T. ŠPIDLÍK, I grandi mistici russi, Roma 1983; I. GORAÏNOFF, Serafino di Sarov, Torino 2000; UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE, Il percorso di teologia e spiritualità della cappella “Redemptoris Mater”, Città del Vaticano 2007; SILVANO DEL MONTE ATHOS, Nostalgia di Dio, Magnano 2012

PER L’ESAME: Appunti delle lezioni Manuale:

J. ERNESTI, Breve storia dell’ecumenismo. Dal cristianesimo diviso alle Chiese in dialogo, Bologna 2010

Documenti: Unitatis Redintegratio Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo Orientale Lumen Ut Unum Sint Charta Oecumenica Documento di Ravenna Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali

non cattolici Evangelii Gaudium (32.244-246)

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TEOLOGIA DELL’ECUMENISMO

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Quando è nato il movimento ecumenico? Un secolo fa. Raduna diversi esponenti di chiese desiderosi di impegnarsi ufficialmente in un dialogo. La Chiesa Cattolica si è posta in modi diversi dinanzi a questo movimento, arrivando anche a disinteressarsi oppure a condannarlo, finché col CVII l’atteggiamento cambierà e con G XXIII la Chiesa deciderà di impegnarsi nel dialogo ecumenico. Da oltre trent’anni esiste una commissione per il dialogo tra cattolici e ortodossi. L’ultima riunione è di inizio settembre, quindi è un tema attuale.Verso fine corso, esamineremo alcuni testi spirituali, per vedere come ci sia un interesse reciproco funzionale al dialogo. Le due ultime lezioni (non oggetto d’esame) saranno dunque dedicate a questi contenuti spirituali di afflato ecumenico, con l’esame di opere d’arte realizzate da artisti cristiane di diverse confessioni.

MANUALE: Ernesti, “Breve storia dell’ecumenismo” (oggetto d’esame).

Le spiegazioni in classe saranno condotte con una certa libertà, cercando di fare riferimento all’attualità. È importante sapere i contenuti essenziali dei diversi documenti sull’ecumenismo che verranno presentati. Dal CVII la Chiesa Cattolica è entrata nel dialogo ecumenico, con il testo base della “Unitatis redintegratio”, che ha quasi 50 anni ma è molto attuale.C’è poi un direttorio del “Pontificio Consiglio per la promozione del dialogo ecumenico” – che si occupa del dialogo tra cristiani e con gli Ebrei.“Orientali lumen” – da leggere integralmente. Lettera apostolica di GPII del 1995. La Chiesa deve respirare due polmoni: Occidentale e Orientale. Prima e unica enciclica sul dialogo ecumenico “Ut unum sint” (1995). A distanza di 30 anni dal CVII si fa il punto sull’impegno della Chiesa cattolica nel dialogo ecumenica.Ancora: la carta sul dialogo ecumenico in Europa. Ogni nazione costituisce una Conferenza Episcopale. Esiste il Consiglio delle C.E. che dialoga ufficialmente con tutte le confessioni non cattoliche in Europa, e che ha steso la cosiddetta “Carta ecumenica”.Ancora, la “Carta di Ravenna”, prodotta da una commissione cattolico-ortodossa.La CEI ha pubblicato un documento: “Vademecum per la pastorale nelle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici” per preparare i parroci a tali questioni (non è obbligatorio leggerlo per l’esame).(cfr. elenco documenti per l’esame)

Il concetto di ORIENTE è legato al rito prima che alla geografia. Noi apparteniamo al rito latino romano (c’è anche quello ambrosiano).Abbiamo dunque i cattolici di rito latino (Roma), poi i cattolici di rito orientale che fanno capo ai grandi patriarcati: Costantinopoli (bizantino) – la maggior parte delle chiese ortodosse sono di rito bizantino, ispirate a San Giovanni Crisostomo o a san Basilio (IV sec.)Gerusalemme – patriarcato assai autorevole, ma non sviluppa un proprio ritoAntiochia – esiste il rito antiochenoAlessandria d’Egitto – esiste il rito alessandrinoArmenia – prima dell’editto di Costantino, divengono cattolici e sviluppano un rito proprio.

A queste famiglie di riti corrispondono altrettante chiese che dicono come la Chiesa sia poliedrica. La prima divisione è con gli ariani, alla cui eresia aderiscono molti vescovi, fin quasi ad avere la maggioranza. Nel primo millennio si dice “cattolico ortodosso” per intendere universale e di retta dottrina.

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Gli ariani non sono ortodossi. Costantino convoca il concilio di Nicea (325), con circa 250 vescovi. La Chiesa si divide così tra Niceni e Ariani che, pur essendo pochi, resistono fino al concilio di Costantinopoli (381), dove sono sconfitti anche grazie a Basilio e Gregorio.Il Simbolo niceno-costantinopolitano è segno dell’unità della chiesa. I vescovi tornano con lettere da distribuire a tutti i vescovi con indicazioni pratiche sulla vita della Chiesa ma anche con il testo del “credo” da pregare in tutte le chiese. A Costantinopoli si implementa la parte sullo Spirito Santo e sulla Chiesa.

Nel V sec. nascono dissapori tra grandi figure e tra Alessandria e Costantinopoli. Gregorio Nazianzeno era stato nominato vescovo di Costantinopoli, poi sostituito e quindi aveva scelto l’esilio. Grandi polemiche al tempo di Nestorio e Cirillo di Alessandria. Siamo nel concilio di Efeso (431), dove una serie di vescovi si staccano. La grande chiesa vede separarsi (dalla chiesa antiochena) gli Assiri. La chiesa Assira – che esiste ancora oggi – non mantiene rapporti con altre chiese. Il patriarca risiede negli USA, non essendovi sicurezza in Iran e Iraq, dove la chiesa è diffusa.

Poi ci si trova a Calcedonia (451): Cristo è “vero Dio e vero uomo”. La ferita si fa ancora più grande, si staccano dalla grande Chiesa i Copti (di Alessandria), la Siro-ortodossa (l’altra parte della chiesa di Antiochia), gli Armeni (che pure non erano presenti).

La Chiesa è dunque divisa in tre- Roma e Costantinopoli- Chiesa Assira- Siro-ortodossi, Copti, Armeni (chiese precalcedonesi o ortodosse orientali)

Ultimo concilio ecumenico è Nicea II (787) in cui Roma e Costantinopoli sono ancora unite. Il tema è la legittimità di raffigurare il Signore e i santi. Sconfitta l’iconoclastia, si autorizzano le immagini.

Nel 1054, il legato pontificio Umberto da Silva Candida scomunica nella Chiesa di Santa Sofia il patriarca Michele Cerulario, il quale risponde con altra scomunica e si sancisce lo scisma d’oriente, in cui si separano anche la Chiesa di Roma (Cattolici) e quella di Bisanzio (Ortodossi). Così abbiamo 4 gruppi. Alle chiese bizantine fanno riferimento anche i patriarcati del secondo millennio, come ad esempio Mosca (più pesante, per numero di fedeli, di Bisanzio stesso).

Nel 1400 gruppi di ortodossi chiedono di entrare in comunione con la chiesa di Roma e si sviluppa l’uniatismo: possono entrare, riconoscendo il primato petrino, ma mantenendo l’autonomia liturgica, il matrimonio per i sacerdoti, l’elezione del patriarca della singola chiesa. Sono le cosiddette chiese cattoliche di rito orientale, non sono gruppi così consistenti ma esistono, ad esempio i 6 milioni di greco-cattolici dell’Ucraina.Due di queste chiese orientali non sono nate dall’unione con Roma, ma sono sempre state separate da Bisanzio: i Maroniti (Libano) e le comunità dell’Italia Meridionale di derivazione albanese (due diocesi o eparchie, con alcune parrocchie sparse in Italia). Non sono ortodossi (anche se vengono indicati così, per dire che sono di rito orientale), ma vanno indicati come greco-cattolici.

Quindi sono 5 gruppi:- Roma - Costantinopoli (chiese bizantine)- Chiesa Assira- Siro-ortodossi, Copti, Armeni (chiese precalcedonesi o ortodosse orientali) + Etiopi,

Indiani…- Chiese cattoliche di rito orientale

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I cattolici stabiliscono che ognuno deve celebrare nel proprio rito (latino): posso concelebrare in rito ambrosiano, se sono di rito romano, ma non in rito armeno.

Non si tratta di imporre delle leggi, ma di dialogare spiegando come si possa fare i conti con le diverse tradizioni e riti delle confessioni cristiane, soprattutto oggi che i confini delle comunità sono assai labili. E non sempre il parroco è preparato. Ad esempio, se si presenta un bambino ortodosso che vuol entrare nella comunità cattolica, ha già fatto la cresima con il battesimo - benché il certificato riporti solo il battesimo – e dunque non è tenuto a rifarla… anche se sul certificato non c’è scritto! Bisogna mediare bene tra le richieste “impossibili” e il lassismo. Realismo e carità, verità ed essenzialità.Ancora, 3 numeri dell’Evangelii Gaudium. Si parla del primato di Roma, uno dei possibili ostacoli al dialogo ecumenico. Esistono problemi di rapporti storici tra le chiese. Ad esempio, con la Chiesa greca c’è il vulnus della IV crociata (1204) in cui i crociati saccheggiarono Costantinopoli, invece di andare in Terra Santa.

Si dice che siamo entrati in un “inverno” ecumenico, ma papa Francesco sembra esser ripartito con forza nel sostenere il dialogo. Oltre a cattolici, ortodossi e chiese riformate, si parla anche di un quarto ambito: le chiese pentecostali-evangeliche, con le quali il papa sta cercando di entrare in dialogo sulla base della comune fede in Cristo, cercando di andare aldilà delle distinzioni teologiche. Sono chiese che non hanno una tradizione e che spesso nascono da chiese madri con le quali magari hanno problemi di rapporto. Questo spiega il proliferare di nuove chiese.Se guardiamo solo alla tradizione, possiamo “sopravvalutare” le comunità cattoliche, senza considerare che la reale pratica religiosa è assai contenuta. Mentre altri fedeli ortodossi o evangelici sono assai più impegnati nella loro vita di comunità, o addirittura nelle chiese cattoliche. Andando ben più avanti di quanto già non sia arrivato il dialogo.

Da dove arrivano le divisioni tra le diverse chiese? Rispondere a questa domanda significa spiegare perché ci sia un movimento ecumenico che cerca di ritrovare l’unità.

Oggi (2/10/14) il papa ha incontrato gli Assiri dell’Est.La communicatio in sacris è la comunione sacramentale, cioè la condivisione nella celebrazione dei sacramenti (oltre alla fede professata e al primato petrino, elementi di comunione)

Il Battesimo si può ricevere da chiunque, anche un laico, dunque anche da un “sacerdote” di altra confessione che possa battezzare nel nome della Trinità. Questo è il requisito minimo perché non si debba parlare di due religioni ma solo di due confessioni.

Anche la Comunione si può ricevere da un altro ministro. Ma bisogna distinguere. Dipende da come è creduta l’eucaristia nella comunità che celebra. Nessun problema per gli ortodossi, la cui fede eucaristica è uguale a quella cattolica. Quindi fare la comunione da loro è “valido”. Si dà sotto le due specie (pane e vino), sempre e solo, mentre i cattolici “separano”. Gli hussiti ribadivano (in Boemia) che bisognava dare anche il calice, la Chiesa Cattolica risponde dicendo che anche nel pane c’è il segno del sangue.Se invece andiamo in una chiesa evangelica e l’incaricato della predicazione, pronunciata la preghiera di ringraziamento, fa passare pane e vino, non sarebbe bene fare la comunione, poiché essi credono che non ci sia la presenza reale ma solo simbolica, come un ricordo. Le indicazioni pastorali chiedono che i cattolici non si accostino a tale “memoria” dell’ultima cena. Diverso se invece ci fosse del pane benedetto che non pretendesse di essere pane della ultima cena.

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Ancora: la successione apostolica. Se non c’è, o non si è sicuri, con ciò stesso è messo in dubbio il sacramento. Ma visto che hanno una coscienza di consacrazione eucaristica, allora la grazia supplisce a quanto manca. Comunità ecclesiali sono quelle dei cristiani che non rientrano nei parametri di comunione (fede, papa, sacramenti). La chiesa anglicana da un secolo sta intessendo rapporti di avvicinamento (soprattutto con Benedetto XVI).

La confessione: la posso ricevere nelle chiese dove si crede, ad es. dagli ortodossi.

Matrimonio: è valido anche se celebrato con un altro testimone. I ministri sono gli sposi, ma il primo testimone è il vescovo/sacerdote/diacono. Anche il vescovo può celebrare matrimoni. Se i sacramenti sono dati dagli apostoli ai loro successori, cioè i vescovi, questi rimangono i principali ministri, dando il mandato ai sacerdoti. Le cresime rimangono per i vescovi, che sembrano così limitati a tale incarico. Al vescovo rimangono anche i sacramenti di iniziazione cristiana degli adulti, che possono poi esser delegati al sacerdote (cui compete celebrare la cresima solo per chi stesse morendo senza tale sacramento). Nella chiesa ortodossa il ministro del matrimonio è invece il vescovo o il sacerdote (non gli sposi!) ma non il diacono. Per cui per matrimoni misti cattolico-ortodosso, la chiesa cattolica raccomanda di evitare un diacono come “testimone” per rispetto agli ortodossi. Attenti però che l’ortodosso non sia già sposato e abbia avuto una separazione religiosa. Gli ortodossi la permettono fino al terzo matrimonio. Se manca la materia del sacramento, questo non è celebrato. Quindi non si può consacrare ciò che non è pane o non è vino. Stessa cosa accade per il matrimonio che può risultare nullo, cioè non esser mai stato celebrato. Per la Chiesa Cattolica il “dopo” conta poco (solo nel caso del rato e non consumato), mentre è essenziale il prima e il momento del matrimonio. Per gli ortodossi conta invece che possa venir meno la materia del matrimonio che è l’amore. Può dunque durare il sacramento, ma poiché viene meno l’esperienza dell’amore, si concede per il principio di economia (misericordia) che ci sia stata una fragilità che ha inficiato il matrimonio, per cui si possono celebrare seconde nozze (e anche terze!), senza che cessi il precedente sacramento.Se un ortodosso ha avuto tale “annullamento”, non può sposare però un cattolico, poiché la chiesa cattolica non riconosce questo “divorzio”. A meno che l’ortodosso in questione ricorra al tribunale ecclesiastico per riconoscere la nullità matrimoniale e, ottenutala, possa sposarsi.

Papa Francesco sta lavorando a una commissione che riveda la procedura di riconoscimento della nullità matrimoniale. Per renderla più spirituale e accessibile. Già Benedetto XVI si chiedeva se, mancando la fede, potesse esser considerato un matrimonio valido… Poiché la fede è necessaria per ricevere i sacramenti. Ma papa Ratzinger non pretendeva di rispondere.

Il Battesimo “vale” anche se non si è consapevoli. Non è un sacramento ripetibile, come non lo sono la cresima né l’ordine. Mentre il matrimonio è ripetibile (si può restare vedovi) e dunque la fede è condizione essenziale perché ci sia il sacramento (come diceva papa Benedetto!).La pastorale cattolica sconsiglia di sposarsi nella chiesa “altra”. E neppure si può concelebrare perché non c’è communicatio in sacris. Se l’ortodosso (sacerdote) volesse aggiungere l’incoronazione (che è elemento sacramentale) la chiesa cattolica non glielo permette, perché non vuol intromissioni sacramentali nel proprio rito.Raramente si concede il permesso di celebrare il matrimonio ad esempio nella chiesa ortodossa, anche perché si chiede l’impegno a educare i figli nella fede ortodossa, e questo è un problema per la chiesa cattolica. Si concede però per un bene maggiore, di natura pastorale (ad es. le famiglie d’origine).Il battesimo decide del rito di appartenenza per tutta la vita (salvo dispensa del papa).

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Noi possiamo concedere il battesimo presso la chiesa latina a una coppia ortodossa, per cui il bambino diventa cattolico ma resta vincolato nel rito bizantino dei genitori (quindi greco-cattolico).Quando gli evangelici chiedono di entrare nella loro comunità, spesso lo fanno tramite il ri-battesimo che è un gesto antiecumenico per eccellenza (perché il battesimo è uno, e deve valere quello amministrato nella propria chiesa di appartenenza). Se un cattolico accetta di ri-battezzarsi, di fatto sta rinnegando il battesimo cattolico, uscendo formalmente dalla chiesa (apostasia). Per essere riammessi, occorre confessare tale peccato al vescovo. Tale rientro deve essere pubblico tanto quanto è stato di scandalo l’uscita dalla chiesa. Visto che spesso tale uscita è accaduta senza che nessuno se ne accorgesse, allora non si dà tanta pubblicità. Però si chiede che almeno si rinnovi la professione di fede dinanzi alla comunità ecclesiale.

(16.10.14)Giustino – dottrina del Logos: nella tradizione ebraica ci sono dei semi del Verbo, come pure nelle tradizioni pagane. Questo riferimento ricorre anche nel dialogo ecumenico. E così pure nella relazione del Card. Erdo (di Budapest, presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee) al nr 20 si legge che si rende necessario un discernimento spirituale sulle diverse situazioni, poiché spetta alla Chiesa riconoscere quei semi del Verbo sparsi nelle situazioni extra-canoniche ed extra-sacramentali (si riconoscono semi extra-cristianesimo, a maggior ragione potrebbero riconoscersi quelli intra-cristianesimo).

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ELENCO DELLE CHIESE (schema) – non serve conoscerle tutte a memoria, ma è sufficiente avere una idea delle principali, distinguendo le Chiese ortodosse da quelle “controparte” (cattoliche orientali).

LE CHIESE ORIENTALI Per le chiese cattoliche è indicata la tradizione, il titolo e la sede di fatto 1) CHIESA ASSIRA D'ORIENTE (nestoriani) riconosce i primi due Concili, ma non Efeso

(431) che condanna Nestorio. Il Patriarca / Katolikos risiede negli Stati Uniti. In parallelo con questa Chiesa ci sono le Chiese cattoliche: - caldea (tradizione caldea) patriarca di Babilonia dei Caldei (Baghdad) - siro malabarese (tradizione caldea) arcivescovo maggiore (Ernakulam – India)

2) CHIESE ORTODOSSE ORIENTALI («non-calcedonesi») riconoscono i primi tre Concili, ma non Calcedonia (451). I loro aderenti sono chiamati anche Monofisiti o precalcedonesi. - armena apostolica Katolikos / patriarca supremo di tutti gli Armeni (Etchmiadzin) - copta ortodossa papa di Alessandria / patriarca della sede di S. Marco (Il Cairo) - etiopica ortodossa patriarca (Addis Abeba) - eritrea ortodossa Tewahido patriarca (copti, etiopi ed eritrei riconoscono come primus inter pares il papa di Alessandria) - siro ortodossa (giacobiti) patriarca siro ortodosso di Antiochia e dell’Est (Damasco) - siro ortodossa malankarese Katolikos dell’Est (Kottayam – India) - [siro ortodossa dell'India autonoma (sotto il patriarca siro ortodosso di Antiochia)] In parallelo con queste Chiese ci sono le Chiese Cattoliche: - armena cattolica (tradizione armena) patriarca di Cilicia degli Armeni (Beirut) - copta cattolica (tradizione alessandrina) patriarca di Alessandria dei Copti (Il Cairo) - etiopica cattolica (tradizione alessandrina) arcivescovo (Addis Abeba) - eritrea cattolica (tradizione alessandrina) - siro cattolica (tradizione antiochena) patriarca di Antiochia dei Siri (Beirut) - siro cattolica malankarese (tradizione antiochena) metropolita (Trivandrum – India)

3) CHIESE ORTODOSSE la cui rottura con ROMA risale al 1054. Sono in comunione fra di loro e riconoscono il Patriarca di Costantinopoli come “primus inter pares”. antichi patriarcati: - COSTANTINOPOLI - ALESSANDRIA - ANTIOCHIA - GERUSALEMME nuovi patriarcati: - Russia - Serbia - Romania - Bulgaria - Georgia Chiese autocefale: - Cipro arcivescovo - Grecia arcivescovo - Polonia metropolita - Albania arcivescovo - Repubbliche Ceca e Slovacca metropolita - Chiesa Ortodossa d'America metropolita Chiese autonome: - Monte Sinai abate / metropolita - Finlandia arcivescovo - Giappone metropolita – CinaIn parallelo con queste Chiese ci sono le Chiese Cattoliche: - melkita cattolica (tradizione antiochena) patriarca greco cattolico di Antiochia (Damasco) - ucraina cattolica (tradizione bizantina) arcivescovo maggiore (Leopoli) - rutena cattolica (tradizione bizantina) vescovo (Ushorod – Ucraina) - rumena cattolica (tradizione bizantina) arcivescovo (Blaj) - greca cattolica (tradizione bizantina) esarca apostolico (Atene) - bulgara cattolica (tradizione bizantina) esarca apostolico (Sofia) - slovacca cattolica (tradizione bizantina) vescovo (Preshov) - ungarica cattolica (tradizione bizantina) vescovo (Nyiregyhaza) - della ex-Jugoslavia (tradizione bizantina) vescovo (Zagabria) Chiese Cattoliche Orientali senza controparte - maronita cattolica (tradizione antiochena) patriarcato di Antiochia dei Maroniti (Libano) - italo albanese cattolica (tradizione bizantina)

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NASCITA DEL MOVIMENTO ECUMENICO

Storia del m.e., teologia dell’ecumenismo, pastorale ecumenica: sono tre discipline diverse che per ragioni di tempo/curricolo siamo costretti a mettere insieme.

Il luogo in cui le divisioni sono più evidenti è il Santo Sepolcro: ogni venerdì alle 15 greco-ortodossi, cattolici e armeni non trovano comunione nella preghiera neppure lì.Studieremo i diversi tentativi di ricomporre l’unità perduta, per realizzare la preghiera di Gesù: “ut unum sint” (Gv 17, 21).

ECUMENISMO = sforzi per l’unità della cristianità.Il termine nella chiesa cattolica si diffonde negli anni ’50, perché fino agli anni ’40 ai cattolici era vietata ogni azione ecumenica e si parlava piuttosto di “riunificazione nella fede”.Oggi la chiesa cattolica (che conta il 60% dei cristiani) non è membro a pieno titolo del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), ma l’idea ecumenica è più vecchia dello stesso movimento ecumenico. Il testo esamina dunque gli ultimi cent’anni, con particolare attenzione alla Germania, in cui ha avuto origine la divisione della cristianità occidentale (Lutero).

STORIA DELLE DIVISIONISecondo il NT l’unità dei cristiani è opera di Dio e non dell’uomo, essendo conseguenza della stessa unità/unicità di Dio (mentre i pagani sono divisi): “Un solo corpo, un solo spirito, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti” (Ef 4, 4ss); è un unico corpo, la Chiesa, di cui Cristo è il capo (1Cor 12); un corpo reso unico dal partecipare “dell’unico pane”, cioè dell’eucaristia (1Cor 10, 17). La comunione tra cristiani si fonda sul battesimo, e si esprime nell’eucaristia. La preghiera di Gesù è il titolo dell’enciclica di GPII sull’impegno ecumenico: Ut unum sint (1995).Le divisioni ci sono da sempre: già Paolo ammoniva Corinzi e Galati rispetto alle tendenze gnostiche e alle divisioni interne tra giudeo-cristiani e nuovi cristiani.La storia delle divisioni cristiane parte con le chiese monofisite o precalcedonesi (451), poi attraversa lo scisma d’oriente (1054) e quello d’occidente (1517), passando per la chiesa anglicana (1534).I tentativi di unione con gli ortodossi non sono mancati: concilio di Lione (1274) e di Firenze (1439) raggiungono “unioni” in chiave politica (vs espansione islamica) che però sfumano dopo la presa di Costantinopoli (1453). Nel XX secolo le fratture si sono aggravate, con la nascita di Testimoni di Geova, Avventisti, Mormoni e chiese pentecostali. Ma tre teologi cattolici (Moehler, Newman, Scheeben) ridanno slancio a ripensamenti ecclesiologici, sostituendo alla “società perfetta” del CV I (1870) una chiesa intesa come organismo vivente.Nel frattempo nascono organizzazioni cristiane giovanili trasversali da cui provengono i pionieri dell’ecumenismo, mentre nascono forme di collaborazioni tra le chiese come la conferenza di Lambeth (1867) per gli anglicani o l’Alleanza per le chiese riformate (1875). Ma è soprattutto la fine della prima guerra mondiale e la nascita della Società delle Nazioni (1920) a ridare slancio alle istanze ecumeniche: le divisioni tra chiese devono finire, per non favorire nuovi conflitti tra Paesi.

PRIME CONFERENZEIl ME nasce un secolo fa circa, nell’Assemblea di Edimburgo (1910), promossa dai missionari che chiesero alle chiese madri in Europa di lavorare per intessere migliori rapporti tra di loro affinché i nuovi cristiani non patissero lo scandalo di un cristianesimo diviso, incontrando invece la testimonianza di unità. Non si parla ancora del ME, ma si indica questa circostanza come inizio del

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ME. L’anima è di stampo missionario. Non si invitano cattolici o ortodossi, ma sono tutti (1388) protestanti.

Negli anni successivi nascono altre due anime nella ricerca ecumenica. Sul fronte sociale e su quello teologico si sviluppano queste due anime.

LIFE & WORK è il primo movimento che, in orizzonte sociale, mira a un cristianesimo “pratico”. L’anima è l’arcivescovo Soederblom: “la teoria divide, la pratica unisce”. Dopo la prima guerra mondiale 1914-1918, le divisioni tra nazioni cristiane erano emerse in tutta la loro drammaticità, per cui L&W cerca anzitutto di ricostruire i rapporti tra le nazioni, per garantire la pace, mentre a livello civile nasce la Società delle Nazioni che diverrà poi (1948) l’ONU. Soederblom puntava a un consiglio mondiale delle Chiese (che lui non vedrà, poiché nascerà solo dopo la II GM). Soederblom, primate della chiesa svedese, era convinto che l’unità dei cristiani ci fosse già in quanto imprescindibile dall’unicità di Dio e che le apparenti divergenze fossero una ricchezza per l’intera cristianità. Il riavvicinamento non doveva avvenire tramite dottrina ma con una pratica religiosa comune.

FAITH & ORDER è il secondo movimento, che punta a un orizzonte teologico di comunione tra le chiese, che non prescinda dalla gerarchia, dal riconoscimento dei sacramenti e degli ordini sacri. A questo si collega ad esempio il problema del sacerdozio, dell’eucaristia, etc…Nel secondo dopoguerra i due movimenti si fonderanno.

L&W si trova nel 1925, sotto la guida di Soederblom (+1930), a Stoccolma. Sono circa 600 delegati, quasi tutti protestanti e pochi ortodossi, si toccano diversi temi: problemi economici, educativi, morali… Ogni tema è “Chiesa e…”, nell’ottica di un cristianesimo pratico. Ci sarà una celebrazione conclusiva che conclude quella che viene ribattezzata come una nuova “Nicea” (a 1600 anni dal concilio del 325). Si ritiene che lo spirito niceno della chiesa primitiva possa riportare all’unità. Emergono divergenze tra chi sostiene un impegno socio-politico e chi privilegia l’orizzonte escatologico.L’unità si esprime con la preghiera comune, secondo il motto “la teoria divide, la pratica unisce”.Mancando i cattolici, si ritiene prematura la nascita di un’istituzione ecumenica, benché, dopo la condanna dell’ecumenismo da parte di Roma nel 1928, non mancherà di sosterrà il bisogno di “partire” anche senza i cattolici.

F&O si ritrova nel 1927 a Losanna dopo aver lavorato quasi un decennio per organizzarlo. Circa 600 delegati, soprattutto protestanti e ortodossi, ma non cattolici. Il Papa li riceve, ma si limita a proporre loro di rientrare nella comunione con la chiesa cattolica. Temi teologici: sacramenti, ministeri, unità tra diverse chiese. Ma quale unità? Divisione: sul concetto di “ministero”; sulla divisione (espressione di peccato o dono dello Spirito Santo?). L’obiettivo era giungere a una piena comunione nei sacramenti. 4/5 osservatori cattolici partecipano a Losanna anche per riferire in Vaticano quanto stava accadendo. Alcuni cattolici emergono come figure di dialogo, accettati dalla Santa Sede purché non siano svolti in forma ufficiale. L’Osservatore Romano si pone contro tali incontri ecumenici, condannati poi dall’enciclica “Mortalium Animos” di Pio XI nel 1928. Si ripropone agli Ortodossi di sottomettersi al Papa in prospettiva unionista: modello teologico per cui tutti si uniscono sotto il papa. L’uniatismo è invece un procedimento (entro l’unionismo) in cui si permette agli ortodossi di mantenere i propri riti (diventando cioè chiese cattoliche orientali).

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La partecipazione degli ortodossi a iniziative ecumeniche di stampo evangelico-anglicano (maggioranza in F&O) porta i cattolici a preoccuparsi di uno slittamento dogmatico dei cristiani orientali (teologicamente vicini a Roma). Ma è un modo per gli Ortodossi di esprimere il disagio per il proselitismo delle chiese uniate in Oriente.

Anche con gli anglicani si parla di un ritorno. B XVI (Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus, 2009) ha concesso agli anglicani più vicini a Roma di rientrare nella chiesa cattolica mantenendo la tradizione anglicana (realizza quanto il ME pensava negli anni Venti del Novecento), diventando cioè cattolici di rito anglicano, staccandosi dalla chiesa d’Inghilterra ma mantenendo usi e costumi. B XVI consente di mantenere le loro celebrazioni, seguendo il loro Prayer Book; i nuovi anglicani (ministri) non potranno sposarsi più, mentre quelli che già sono sposati conservano la moglie. Perché gli anglicani non possono sposarsi? Perché si inseriscono nel rito occidentale, a differenza di quello ortodosso/orientale. I casi umani sono quelli dei seminaristi che si sono trovati in diocesi trasformate: chi è fidanzato deve scegliere se sposarsi o se restare in seminario e farsi poi ordinare. Si chiede loro di abbandonare una tradizione (sposarsi, purché prima del matrimonio), entrando nella tradizione occidentale che unisce l’ordine al celibato.Il documento è uscito. Con alcune anticipazioni serali, che solo nella notte vengono dette al card. Kasper, incaricato del dialogo con gli anglicani.Altro problema con gli anglicani: non si è sicuri della successione apostolica. Occorre procedere comunque a una riordinazione: il ministro sposato resta tale e viene ordinato (nel dubbio che non ci sia la successione apostolica e dunque l’ordinazione non sia valida); il vescovo sposato invece viene riordinato prete, confermato “ordinario” della diocesi (con insegne, etc…) ma non viene riordinato vescovo.Le divisioni interne alla chiesa anglicana favoriscono il riavvicinamento degli anglicani più conservatori. Accanto alle iniziative dei movimenti, ci sono incontri di preghiera, come la messa celebrati a Westminster Abbey tra anglicani e ortodossi, che susciterà le proteste cattoliche sull’Osservatore Romano che dice che il grande assente era Cristo (mancanza dell’Eucaristia come presenza reale per gli anglicani).

Nel 1929 nasce il Consiglio ecumenico per il cristianesimo pratico (L&W), antesignano del CEC. Nel 1930 Soederblom riceve il nobel per la pace.Il ME segue la teologia di Barth fino a tutto il dopoguerra: l’unità è nel Credo, vs ecumenismo del consenso (che invece si afferma dopo la II GM).

Nel 1937 c’è il seguito delle prime due conferenze. Oxford (L&W) ed Edimburgo (F&O) come sedi. È una continuazione del lavoro iniziato dieci anni prima. Se le prima due conferenze erano state piene di entusiasmo, il secondo incontro di entrambi gli ambiti vede scemare l’entusiasmo e aumentare la diversificazione delle posizioni, pur con l’intento di continuare a lavorare per fondare un organismo che raccolga in sé i diversi ambiti. Pessimismo anche a causa dei regimi totalitari in Germania, Italia e URSS che impediscono la partecipazione di molti delegati.

A Edimburgo F&O rileva notevoli distanze dottrinali: il ministero, la concezione della Chiesa, il “sola gratia” e il “sola scriptura”. Ci si accordò sulla “reale” presenza di Cristo nell’eucaristia, senza però definire il modo nei dettagli.

A Oxford ed Edimburgo emergono diversi modelli di unità: i luterani (L&W) puntano a una confederazione di chiese, autonome e collaborative solo sul piano socio-politico; gli anglicani (F&O) avrebbero invece puntato a una unione organica, una nuova istituzione in cui ogni chiesa avrebbe dovuto entrare, ma restava il nodo del dissenso teologico, oltre al fatto che molte chiese

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non erano rette da vescovi. Questo secondo modello ha potuto realizzarsi con le chiese della Riforma e gli anglicani, soprattutto in America, Africa e Asia dove la divisione non si era originata e prevaleva il desiderio di unità. In pratica ci si accordava sulle antiche professioni di fede (niceno-costant.) e poi si manteneva la propria tradizione liturgica.

La REAZIONE CATTOLICA fu negativa, poiché le chiese protestanti si presentavano come espressione della (intera) cristianità. Già nel 1917 i vescovi tedeschi avevano disapprovato l’ecumenismo richiamandosi a Gv 17, 21 e trattando i fratelli separati con tolleranza. Il Vaticano è indifferente, anzi agli inviti di F&O prima delle conferenze di Stoccolma (1925) e Losanna (1927) Benedetto XV replica invitandoli a rientrare nella “vera Chiesa”. Anzi, nello stesso 1919 il Sant’Ufficio vieta ai cattolici discussioni pubbliche coi non cattolici. Cui si sottraggono però le cosiddette Conversazioni di Malines (1921-26) a casa del card. Mercier, primate del Belgio, tra anglicani e cattolici.Il mancato veto per questa iniziativa “privata” mostra però l’interesse del Vaticano, come pure il fatto che Pio XI nel 1924 autorizzasse alcuni monasteri benedettini a celebrare la liturgia bizantina; nell’enciclica del 1928 Rerum orientalium, il papa invitò a occuparsi di liturgia e teologia ortodosse.

Sempre nel 1928 la Mortalium animos di Pio XI condanna l’ecumenismo, ammettendo solo (1) il ritorno dei fratelli separati nella Chiesa cattolica, (2) la preghiera per tale ritorno.Solo nel 1937 il domenicano francese Yves Congar in Chrétiens désunis afferma che la chiesa una e indivisa già esiste e le diversità sono ricchezze, accostandosi a F&O nel vagheggiare una unione organica, non una semplice confederazione di chiese.

Al cattolico americano Paul Watson si deve l’invenzione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), approvata da Pio X nel 1908: Gv 17, 21 è una preghiera “ut unum sint”, quindi bisogna pregare insieme per l’unità, come chiesto da Gesù.

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANIIl CEC sovrintende, ma il sussidio per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) viene redatto da una chiesa locale (Canada, Brasile…). Tradotto dal “Centro pro Unione” dei francescani che viene stampato con il marchio Paoline ma da Città Nuova. L’introduzione all’edizione italiana porta le firme del presidente della Commissione per Ecumenismo e Dialogo della CEI, il presidente delle Chiese Evangeliche, il metropolita ortodosso: nella realtà dunque esiste ciò di cui parliamo in teoria!Ma non è obbligatorio che ogni chiesa locale o parrocchia viva o celebri la SPUC (Settima di Preghiera per l’Unità dei Cristiani). Idem dicasi per le chiese evangeliche che magari sono in tensione tra loro. I segni proposti nella veglia di preghiera sono tipici del Paese in cui viene elaborata.La cosa significativa è partire da un testo biblico guida, che per il 2015 è Gv 4: l’incontro con la Samaritana. L’immaginetta presenta in versione ridotta le preghiere per l’ottavario di preghiera.Nella immagine di copertina del sussidio si vede che il vestito di Gesù si confonde con il pozzo (Lui è il pozzo di acqua viva!), così come il suo mantello (azzurro come l’acqua) avvolge la samaritana.

La II GM rallenta tale lavoro. L’esperienza dei Lager rappresenta un grande momento di comunione tra sacerdoti di confessioni diverse, uniti nella stessa ricerca di speranza e di senso. Gli aderenti del ME si sentono confermati nella ricerca della unità e della pace.

IL TERZO REICH – La condanna cattolica di Pio XI (Mit brennender Sorge, 1937) si accompagna a quella protestante e la comune persecuzione in Germania favorisce un riavvicinamento fra le chiese che la polizia segreta guarda con sospetto. Nel 1934 si tiene una

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conferenza comune tra evangelici e cattolici, cui partecipa anche Romano Guardini. Il clima si distende e J. Lortz, cattolico, presenta la profonda spiritualità di Lutero.Oltre ai teologi, anche nelle comunità nascono iniziative ecumeniche, come il movimento Una Sancta fondato nel 1939 (vi entreranno anche K. Rahner e J. Ratzinger) dal cappellano militare Metzger, condannato poi a morte dal regime. Nel 1937, alle conferenze mondiali di L&W e F&O a Oxford e Edimburgo molti delegati tedeschi non sono autorizzati all’espatrio: il regime teme l’unità e vuol favorire il particolarismo ecclesiale. L’ecumenismo assume anche un tono politico come resistenza al nazismo.

DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE - Si organizza dunque un grande assemblea ad Amsterdam (1948) e si raduna il primo Consiglio Ecumenico delle Chiese - CEC (World Church Council – WCC). Ancora oggi c’è un sito in diverse lingue che informa su quelle che sono le attuali attività ecumeniche del Consiglio.Nel 1937 le due conferenze di L&W e F&O avevano deciso la fusione dei due movimenti e delle rispettive istanze pratiche e teologiche.

Dal 1948 il WCC continua a radunarsi, svolgendo ordinaria attività ecumenica. Sede a Ginevra, nello stesso palazzo in cui c’era anche il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (oggi spostato a Bruxelles, per esser più vicino agli organismi europei). Il primo incontro del CEC fissò una commissione mista (luterano-ortodosso-metodista-anglicano) e definì l’identità: “riconoscere il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore”, una formula di consenso minimo poi ampliata nel 1961 (riferimento trinitario). Il CEC afferma di NON essere una super-chiesa e le chiese aderenti conservano la loro autonomia. Difficoltà con le chiese libere, carismatiche, che puntano più su unione spirituale.Il CEC si assimila all’ONU.Durante la guerra fredda il CEC non sceglie né capitalismo né comunismo.La seconda assemblea (Evanston, USA) affronta l’etica sociale ecumenica, cercando altresì un centro dogmatico vincolante tra le diverse chiese.La terza assemblea è a New Dehli nel 1961: uniti nel Battesimo, nella fede in Gesù Salvatore, nell’unico Vangelo, nella preghiera comune.

Dopo il CVII si sono formate le diverse conferenze episcopali “regionali” (cioè nazionali), che si sono radunate per continenti. CCEE (Consiglio Conferenze Episcopali Europee) con segretariato (fino a un certo punto) nello stesso palazzo del WCC. Esiste l’Unione Europea, dunque esiste anche un organismo dei vescovi degli stati dell’UE.Il WCC (mondiale) ha delle branche a livello continentale. Per l’Europa esiste il KEK (in tedesco) che però non comprende i cattolici, ma i rappresentanti di tutte le altre chiese d’Europa. Così pure non ci sono i cattolici nel WCC. Esiste una commissione congiunta di lavoro permanente che lega però CCEE e KEK, organizzando ogni tanto eventi ecumenici a livello europeo. La “Carta Ecumenica” è un documento firmato dalle due sigle del CCEE e KEK (cattolici + tutti gli altri cristiani). Anche in Medioriente esiste un equivalente del KEK, ma comprende anche i cattolici. Il più sviluppato fuori Europa è il consiglio delle chiese del Canada.La condanna della Mortalium Animos (come il Non expedit di Pio IX) impediva ai cattolici di partecipare a iniziative e associazioni ecumeniche, ancora 20 anni dopo la pubblicazione.

REAZIONE CATTOLICA AL CEC – Già nel 1943 c’era stata una apertura con la Divino afflante spiritu che aveva riconosciuto diversi generi letterari biblici, favorendo la collaborazione biblica tra cattolici ed evangelici. Sempre nel 1943 la Mystici Corporis presenta la chiesa come organismo,

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MA identifica il corpo di Cristo (già unito) con la Chiesa cattolica, nella quale i separati devono rientrare. E si ammette PERO’ una certa relazione con la Chiesa anche per i non cattolici battezzati!

Tutto questo prepara il terreno per una reazione positiva: nel 1949 il Sant’Uffizio pubblica una istruzione per i vescovi “Ecclesia Catholica”: riconosce che esiste un ME, frutto dello Spirito Santo, e afferma che non desisterà mai dal perseguire l’ideale del “ut unum sint”. Infatti “con affetto materno la Chiesa Cattolica abbraccia tutti coloro che tornano a lei come unica vera chiesa di Cristo” (modello unionista: si ritorna all’unico ovile cattolico). Tornare a Roma significa “convertirsi”, cioè tornare sulla strada giusta dal punto di vista morale o di fede. Un ortodosso o un protestante non è nella fede giusta. Oggi questo linguaggio non c’è più: si è già cristiani, non si può più convertirsi. Si parlava di “dissidenti” per indicare i cristiani non cattolici. Anche questo termine oggi non viene più impiegato. Si chiede dunque ai vescovi di allontanare i pericoli del ME dai loro fedeli, mettendoli in guardia. Designeranno sacerdoti ben formati per educare i fedeli, con il permesso di partecipare alle riunioni ecumeniche, controllando le pubblicazioni degli a-cattolici per segnalarle al Sant’Ufficio. Spetta ai vescovi promuovere iniziative per avvicinare gli a-cattolici. Evitare che si conformi l’insegnamento cattolico con quello del ME in nome di un pericoloso irenismo, predicando la dottrina cattolica integralmente e senza rispetto umano per i lontani.Si ribadisce che quella cattolica è l’unica vera chiesa di Cristo. La Santa Sede concede che in eventuali incontri ecumenici si possa pregare insieme il Padre Nostro (oratio dominica) e questo viene letto come un gesto di grande apertura.Si accettano collaborazioni umanitarie e sociali.

La Chiesa cattolica non accetta di partecipare agli incontri ecumenici anche se formalmente invitata.

Si riconosce il ruolo delle preghiere che i fedeli elevano per l’unità dei cristiani. La settimana di preghiera a inizio ‘900 era un invito a pregare per il ritorno dei non cattolici alla sede di Pietro, quindi aveva l’appoggio dei papi ma non aveva spirito ecumenico. Viene rinnovata la finalità grazie a un respiro più ecumenico.Dal 18 al 25 gennaio si prega per l’unità dei cristiani. Nasce un ecumenismo spirituale che negli anni Trenta si sviluppa fortemente.Nell’emisfero australe gennaio non è il mese pastoralmente più idoneo, è come una estate, quindi si sceglie la settimana di Pentecoste.LG 8 definisce la Chiesa Cattolica come quella in cui sussiste la Chiesa universale di Cristo, secondo una visione di pienezza o di cerchi concentrici che favorisce il dialogo ecumenico.Si può dire che l’ecumenismo precede le posizioni dottrinali della Chiesa Cattolica.

Dalla Mortalium animos del 1928 all’ Istruzione del 1949 si vede un cambiamento ispirato dalla Mystici Corporis e il risultato più importante è sdoganare la preghiera in comune del Padre Nostro, mentre già in concreto si tenevano incontri di preghiera ecumenico.

TAIZE’ - Oltre al gruppo di Dombes, anche Taizé è una tappa importante del movimento ecumenico. Come diceva GPII è una fonte cui ci si abbevera prima di tornare nella propria realtà.Attorno a f. Rogér nasce una comunità di riformati, a cui si aggiungono dei cattolici. È una fraternità monastica che sta nel mondo, sulla linea Maginot, occupandosi dei rifugiati, degli ebrei e degli sfollati, in questo paesino (Taizé, appunto). Dopo la guerra dei giovani si ritrovano a pregare con questa fraternità, unendo cattolici e protestanti, che sempre più numerosi salgono la collina per pregare. Si costruisce una tendopoli per accogliere quanti confluiscono in questo luogo. Nel 1962 viene edificata una chiesa (eglise de la reconciliation) che invita a riconciliarsi con i fratelli. Si lavora (accanto ai fratelli della comunità) e si fa lettura comunitaria della Bibbia, condivisione e commento. La preghiera 3 volte al giorno scandisce la giornata, vivendo in modo

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povero e semplice, prima di tornare a casa per impegnarsi anche nella società (“ lotta e contemplazione” è il motto degli anni Sessanta).

Negli anni Settanta iniziano incontri europei, scegliendo una capitale o città importante per visitare luoghi di speranza (le periferie!), pregando insieme ad altri fratelli.

Crollato il muro nel 1989, aumenta considerevolmente il numero dei cristiani d’oriente (cattolici e ortodossi). Si edifica una cappella ortodossa, per favorire le celebrazioni del rito proprio.Il principio di Taizé è mettere in comune i doni. Per cui i frati riformati parlano delle icone… F. Rogér è stato al CVII come osservatore, insieme a Max Thurian. A Roma aprono le porte del loro appartamento a vescovi cattolici per pregare insieme.Le GMG nascono nel 1983 con Giovanni Paolo II che ha chiesto a f. Rogér come organizzasse gli incontri europei. Sempre vengono coinvolti i frati di Taizé nelle GMG.

Negli anni Ottanta delle comunità di Taizé nascono anche in Africa e Bangladesh, instaurando rapporti con m. Teresa.Il priore è detto “servo della comunione” e ogni anno viene ricevuto dal Papa. La comunità resta autonoma e gode di indulto speciale: nella comunità, i cristiani anche non cattolici possono ricevere la comunione se riconoscono la presenza reale dell’eucaristia. Questo vale per i fréres, non per i giovani che si trovassero a partecipare. I quali possono invece ricevere il pane benedetto, tradizione della chiesa ortodossa (cosa, quest’ultima, che si fa per andare incontro a chi non fa la comunione, ma che non si può fare nella messa cattolica, per evitare che si confondano l’eucaristia e il pane benedetto).

Esiste insomma, in Taizé, un esempio di ecumenismo spirituale reale che anticipa la riflessione in corso nella Chiesa cattolica.Dal giovedì alla domenica si vivono momenti di preghiera molto intensi, che dalla parola alla croce, dalla resurrezione alla messa, scandiscono un percorso di fede che culmina nella messa cattolica a cui tutti possono partecipare (ricevendo il pane benedetto chi non fa la comunione).I fréres hanno anche incontrato i frati di Assisi alla Porziuncola, condividendo un incontro di preghiera sulla povertà.

Il coraggio di Taizé: condividere i doni. La Parola è tipica della matrice riformata. Ma l’apporto cattolico è stato centrato sull’eucaristia. Irenismo, indifferentismo… sono parole usate dai giornali per indicare l’ecumenismo. Invece il CVII stabilisce che ci sono verità essenziali e altre no. Per un cattolico centrale è l’eucaristia (peccato che la celebrazione eucaristica sia solo la domenica!! Anche Bose non ha l’eucaristia tutti i giorni, ma la alterna alla Parola), è Taizé è organizzato tutto intorno alla Parola, ammettendo poi l’eucaristia per tutti la domenica. Ma lasciando anche la possibilità di andare a messa ogni giorno (per tutti, al mattino presto). Un ecumenismo non per sottrazione, ma per addizione.

F. Rogér è stato ucciso nell’agosto del 2005. Durante la preghiera della sera una ragazza (una squilibrata, che era stata rifiutata dalla comunità che non poteva accoglierla a vivere stabilmente, essendo una donna) - subito perdonata da frère Aloise, tedesco di origine cattolica, nominato successore dal fondatore quando ancora era vivo - lo ha accoltellato. È morto poco dopo. Nella GMG di Colonia BXVI ha detto “f. Rogér ci sorride dal Cielo”. Un martire dell’accoglienza.

Sacro silenzio: nell’atto penitenziale, dopo l’omelia, dopo la comunione. Fanno parte della preghiera liturgica. Ma sono poco usati.

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Il cammino della Chiesa che riflette (tramite i documenti) si riverbera nella preghiera condivisa e nell’ecumenismo spirituale.

La convocazione del CVII avviene il 25 gennaio 1959. GV XXIII è a San Paolo fuori le mura, per la conversione di San Paolo e la chiusura della settimana per l’unità dei cristiani. È un concilio ecumenico (cioè universale) e – precisa il papa – avrà un intento “ecumenico” come respiro, benché indirizzato solo ai cattolici, cioè teso a trovare un dialogo col movimento ecumenico che era in opera dal 1900 e dal 1948 esisteva il CEC. Si deve superare – siamo nel 1959! – la Mortalium animos del 1928.

Giovanni XXIII nel 1961 forma il “Segretariato per promuovere l’unità dei cristiani” (coi card. BEA e JAEGER) dotato degli stessi mezzi e poteri dei dicasteri, elevato poi nel 1988 a tale rango (“Pontificio consiglio”) da GPII.Da questa commissione verrà elaborato un documento dedicato nel CVII, Unitatis redintegratio, pubblicato il 21 novembre 1964. In questo segretariato ci sono figure chiave dell’opera di dialogo ecumenico informalmente svolto già prima del CVII. Parliamo di quei contatti non ufficiali che erano stati favoriti dalla stessa Santa Sede.Il Concilio capisce che non può fare a meno di dialogare con le altre realtà del mondo.Si definisce quindi il dialogo della Chiesa cattolica con quella ortodossa (tradizione, sacramenti, culto dei santi e della Madonna, successione apostolica), con quella protestante (la Sacra Scrittura) in un secondo cerchio.

IL CONCILIO VATICANO II

Il 28 ottobre papa Giovanni XXIII diventa papa e il 25 gennaio 1959 annuncia il CVII.Angelo Roncalli, bergamasco, insegnò a Roma storia della Chiesa antica e Patrologia. Consacrato vescovo nel 1925 (l’anno della grande assemblea ecumenica a Stoccolma di L&W, nel 1600mo anniversario di Nicea). Il cardinale che consacra vescovo Roncalli è quello di Nicea, incaricato di organizzare il 1600mo di Nicea. Inviato in Bulgaria come nunzio (4 vescovi locali da tenere in rapporto con la Santa Sede) si trova un po’ abbandonato da Roma, lontano dal papa… ma è l’occasione per fare esperienza della periferia (pur vicina) della Chiesa. Si accorge che chi è stato solo a Roma non poteva sapere come stessero le cose nel resto della Chiesa. Negli anni Venti sentiva le grida anti-ecumeniche che giungevano da Roma ma vedeva nascere sul territorio rapporti amichevoli col Pope. Dalla Bulgaria viene mandato nel 1944 a Parigi dove conosce il mondo protestante, della Riforma, e anche il processo di scristianizzazione che in Francia procede più velocemente che altrove. Già a metà del Novecento si parlava della “figlia primogenita della chiesa” come nuova terra di missione, cioè da rievangelizzare. Sceglie di visitare tutte le diocesi francesi per conoscere i vescovi a uno a uno, venendo anche a contatto con Taizé (cui concede l’indulto per la comunione).

Nel 1953 viene mandato come Patriarca a Venezia, dove c’è una significativa presenza ortodossa ed armena. Quando dunque diventa papa porta con sé una ricca esperienza di contatti ecumenici e interreligiosi e lo stimolo a un concilio ecumenico che abbia un respiro ecumenico e altresì tratti il rapporto della Chiesa col mondo.

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Si prepara quindi anche uno schema sull’ecumenismo, dopo aver discusso se fosse meglio un documento a parte o nella LG. Comunque vengono approvati entrambi i documenti sullo stesso giorno.

Il CVII permise la celebrazione delle liturgie in lingue moderne, avvicinandosi così ai luterani (che leggono la bibbia tedesca dal 1525!). Clima favorevole all’unità, il cui ristabilimento è uno degli intenti del CVII.

UR e LG sono legati da due principi teologici:

1. L’ecclesiologia non più esclusivista: la Chiesa di Cristo non è la Chiesa cattolica (Mystici Corporis, 1943) ma “sussiste” in essa, quindi non si escludono altre forme di realizzazione di chiesa. Per i battezzati non cattolici si parla di una “certa comunione, sebbene imperfetta” con la Chiesa cattolica. Si esalta ciò che unisce, non ciò che separa.

2. La gerarchia delle verità: non ogni dottrina ha lo stesso collegamento con il centro della fede. Dal punto di vista degli elementi essenziali della verità della fede si parla di una struttura a centri concentrici: al centro la chiesa cattolica, poi gli ortodossi (ma non primato papale), quelle riformate (ma non papato né ordine). Obiettivo: celebrazione eucaristica comune e collaborazione sociale nei Paesi poveri.

UNITATIS REDINTEGRATIO

Il documento UR si collega alla LG. Entrambi approvati il 21 novembre 1964, ormai verso la fine del concilio.Partiamo dalla LG

I capitoli vanno letti a 2 a 2, non in opposizione ma in completamento (2 facce della moneta)

1. Il Mistero della Chiesa (1-8)2. Il Popolo di Dio (9-17)

3. Gerarchia-Episcopato (18-29)4. I Laici (30-38)

5. Vocazione alla santità (39-42)6. I Religiosi (43-47)

7. Indole escatologica (48-51)8. Maria SS modello e segno (52-69)

La Chiesa, realtà visibile e spirituale8. Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità [9], quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino [10]. Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16) [11].Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica [12] e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro (cfr. Gv 21,17),

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affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. Mt 28,18ss), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cfr. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui [13], ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica. Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo «che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo» (Fil 2,6-7) e per noi « da ricco che era si fece povero» (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre «ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito» (Lc 4,18), «a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. Ma mentre Cristo, «santo, innocente, immacolato » (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr. 2 Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio» [14], annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce.

Anche fuori dalla Chiesa Cattolica esistono elementi di santificazione (sacramenti) e di verità (dottrina) che appartenendo alla (unica e una) Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica.Cristo ha voluto la Chiesa (Cattolica) ma gli elementi spirituali che sussistono al di fuori spingono verso l’unità. Prospettiva unionista (rientrare all’ovile) ma non si condanna nessuno per il suo esser fuori dalla Chiesa. Immagine dei cerchi concentrici: al centro la Chiesa cattolica, e progressivamente le altre chiese.

I cristiani non cattolici e la Chiesa15. La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l'unità di comunione sotto il successore di Pietro [28]. Ci sono infatti molti che hanno in onore la sacra Scrittura come norma di fede e di vita, manifestano un sincero zelo religioso, credono amorosamente in Dio Padre onnipotente e in Cristo, figlio di Dio e salvatore [29], sono segnati dal battesimo, col quale vengono congiunti con Cristo, anzi riconoscono e accettano nelle proprie Chiese o comunità ecclesiali anche altri sacramenti. Molti fra loro hanno anche l'episcopato, celebrano la sacra eucaristia e coltivano la devozione alla vergine Madre di Dio [30]. A questo si aggiunge la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi, una certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro egli opera con la sua virtù santificante per mezzo di doni e grazie e ha dato ad alcuni la forza di giungere fino allo spargimento del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo desiderio e attività, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo Pastore [31]. E per ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l'immagine di Cristo risplenda più chiara sul volto della Chiesa.

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Si parlerà poi dei non cristiani, gli ebrei, i monoteisti, i credenti vari, gli atei… Secondo uno schema di preghiera che si ritrova nella liturgia del Venerdì Santo. In virtù del battesimo, i cristiani sono uniti tra loro anche aldilà dei confini della Chiesa cattolica. Il battesimo è uno, e riceverne un altro è un vulnus assai grave. Un conto è l’esperienza sacramentale, altro è l’esperienza carismatica. Anche se non lo si è sentito, perché si era bambini, è comunque un sacramento. La cui portata può anche essere accentuata con successivi rinnovi delle promesse battesimali, ma senza voler ripetere l’esperienza carismatica.Alcuni non riconoscono integralmente la dottrina di fede, o il primato petrino (riformati), benché alcuni abbiano episcopato, liturgia eucaristico, culto della Madonna (anglicani).

Oltre a questo sussiste una “certa vera unione con lo Spirito Santo”: lo Spirito agisce anche al di fuori della Chiesa Cattolica. Tanto da suscitare martiri, dentro e fuori la chiesa, come “seme di nuovi cristiani” (Tertulliano). Il martirio è un importante elemento di unione tra le diverse chiese, cattolica e non.Dai veti vs ecumenismo, si giunge a dire che il fine è giungere a essere un solo gregge e un solo pastore (cioè il Papa) e per questo la Chiesa non cessa di pregare. Grande attenzione al linguaggio (non si parla di “ritornare” ma “unirsi” sotto il Papa nella Chiesa voluta da Cristo, cioè Cattolica).

Il decreto UR, benché non sia costituzione, è parte integrante del lascito del CVIII.Testamento di Paolo VI: continuate col cammino del CVII, con l’ecumenismo e il dialogo col mondo.

LEGGERE il testo di UR (tutto insieme, per cogliere il percorso)

 

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UNITATIS REDINTEGRATIO (1964)

PROEMIO1.Promuovere il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II. Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso (1Cor 1, 13). Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura.

Tutte le chiesa pensano di essere l’una e vera. Ma oggi qualcuno aggiunge: va bene anche avere diverse chiese, poiché ognuna appartiene all’unica Chiesa spirituale di Cristo. Edimburgo, 1910: le giovani chiese chiedono di metter da parte le divisioni e tenere solo il Vangelo.

Ora, il Signore dei secoli, il quale con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l'interiore ravvedimento e il desiderio dell'unione. Moltissimi uomini in ogni dove sono stati toccati da questa grazia, e tra i nostri fratelli separati è sorto anche per grazia dello Spirito Santo un movimento che si allarga di giorno in giorno per il ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo movimento per l'unità, che è chiamato nuovamente ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e confessano Gesù come Signore e Salvatore, e non solo presi a uno a uno, ma anche riuniti in comunità, nelle quali hanno ascoltato il Vangelo e che essi chiamano la Chiesa loro e la Chiesa di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano a una Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata al mondo intero, perché questo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio.Perciò questo sacro Concilio, considerando con gioia tutti questi fatti, dopo avere già esposta la dottrina sulla Chiesa, mosso dal desiderio di ristabilire l'unità fra tutti i discepoli di Cristo, intende ora proporre a tutti i cattolici gli aiuti, gli orientamenti, e i modi, con i quali possano essi stessi rispondere a questa vocazione e a questa grazia divina.

La teologia di Ireneo esponeva il grande disegno di misericordia del Signore. In questo contesto si colloca il desiderio di unità che oggi anima tanti cristiani. Parla di fratelli separati, non scismatici o eretici, mitigando molto il linguaggio. E riconosce che tra loro è nato il movimento ecumenico.

A New Dehli nel 1961 si definiscono i criteri di appartenenza al CEC (Consiglio Ecumenico delle Chiese) e i cattolici vanno come osservatori. UR riprende tali criteri per l’ecumenismo: confessare la Trinità e riconoscono Gesù Signore e Salvatore. Si riafferma la fede comune in Gesù Redentore.Gli ecumenici vengono riconosciuti non solo nelle loro individualità bensì anche come realtà che “si chiamano chiesa”: non arriva fino a dire che “sono” chiese, ma il passo avanti è molto forte. Tutti questi credono che la Chiesa sia una, santa, cattolica e apostolica (Costantinopoli, 381) ma si tratta di ristabilire l’unità. Considerando con gioia questi fatti ecumenici (grande cambiamento rispetto alle condanne degli anni precedenti).

Per leggere la UR occorre partire da LG 7-8.I due testi sono approvati lo stesso giorno.Il punto di partenza è la Sacra Scrittura come punto in comune, benché vi siano punti chiave della fede – con le chiese della riforma – che ci separano da questi fratelli.

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Cerchi concentrici:Chiesa cattolicaChiese ortodosseChiese della riformaComunità ecclesiali

Il primo capitolo è teorico (i principi), il secondo pratico (l’applicazione). Dopo anni di ostracismo, è il CVII che promuove l’ecumenismo.

CAPITOLO IPRINCIPI CATTOLICI SULL'ECUMENISMOUnità e unicità della Chiesa

2. In questo si è mostrato l'amore di Dio per noi, che l'unigenito Figlio di Dio è stato mandato dal Padre nel mondo affinché, fatto uomo, con la redenzione rigenerasse il genere umano e lo radunasse in unità (2). Ed egli, prima di offrirsi vittima immacolata sull'altare della croce, pregò il Padre per i credenti, dicendo: « che tutti siano una sola cosa, come tu, o Padre, sei in me ed io in te; anch'essi siano uno in noi, cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17,21), e istituì nella sua Chiesa il mirabile sacramento dell'eucaristia, dal quale l'unità della Chiesa è significata ed attuata. Diede ai suoi discepoli il nuovo comandamento del mutuo amore (3) e promise lo Spirito consolatore (4), il quale restasse con loro per sempre, Signore e vivificatore.

L’ecumenismo cattolico parte dalla preghiera di Gesù: che la Chiesa sia una, per testimoniare con l’unità che sono discepoli di Cristo.

Innalzato poi sulla croce e glorificato, il Signore Gesù effuse lo Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della Nuova Alleanza, che è la Chiesa, come insegna l'Apostolo: « Un solo corpo e un solo Spirito, come anche con la vostra vocazione siete stati chiamati a una sola speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4,4-5). Poiché « quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo... Tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,27-28). Lo Spirito Santo che abita nei credenti e riempie e regge tutta la Chiesa, produce questa meravigliosa comunione dei fedeli e li unisce tutti così intimamente in Cristo, da essere il principio dell'unità della Chiesa. Egli realizza la diversità di grazie e di ministeri (5), e arricchisce di funzioni diverse la Chiesa di Gesù Cristo « per rendere atti i santi a compiere il loro ministero, affinché sia edificato il corpo di Cristo» (Ef 4,12).Per stabilire dovunque fino alla fine dei secoli questa sua Chiesa santa, Cristo affidò al collegio dei dodici l'ufficio di insegnare, governare e santificare (6). Tra di loro scelse Pietro, sopra il quale, dopo la sua confessione di fede (Mt 16), decise di edificare la sua Chiesa; a lui promise le chiavi del regno dei cieli (7) e, dopo la sua professione di amore (Gv 21), affidò tutte le sue pecore perché le confermasse nella fede (8) e le pascesse in perfetta unità (9), mentre egli rimaneva la pietra angolare (10) e il pastore delle anime nostre in eterno (11).Gesù Cristo vuole che il suo popolo, per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell'amministrazione dei sacramenti e del governo amorevole da parte degli apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il successore di Pietro, sotto l'azione dello Spirito Santo, cresca e perfezioni la sua comunione nell'unità: nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio. Così la Chiesa, unico gregge di Dio, quale segno elevato alla vista delle nazioni (12), mettendo a servizio di tutto il genere umano il Vangelo della pace (13), compie nella speranza il suo pellegrinaggio verso la meta che è la patria celeste (14).

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Questo è il sacro mistero dell'unità della Chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, mentre lo Spirito Santo opera la varietà dei ministeri. Il supremo modello e principio di questo mistero è l'unità nella Trinità delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo.

Sulla testimonianza del Vangelo si fonda il primato di Pietro. L’unità è il desiderio del Padre, per il quale Cristo prega, affidando a Pietro il compito di unire il gregge nella fede e nell’amore. Dottrina e comunione. Il pv cattolico lega dunque l’unità al primato petrino, ribadendo che tale elezione vale anche per tutti i successori. Questo è il punto storico del contendere: solo Pietro o anche i successori? Ed è stato esercitato davvero un primato petrino? Primato d’onore o di giusrisdizione?

Relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica3. In questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni (15), condannate con gravi parole dall'Apostolo (16) ma nei secoli posteriori sono nate dissensioni più ampie, e comunità considerevoli si staccarono dalla piena comunione della Chiesa cattolica, talora per colpa di uomini di entrambe le parti. Quelli poi che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità, non possono essere accusati di peccato di separazione, e la Chiesa cattolica li circonda di fraterno rispetto e di amore. Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, e talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo (17) e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore (18).

Nei primi decenni della vita della Chiesa c’erano divisioni, come testimoniato da san Paolo (1Cor, Gal 1) o san Giovanni che denuncia la presenza di anticristi (2Gv). Le divisioni successive sono imputate non alla Chiesa, ma agli uomini di Chiesa. Riconoscendo anche errori di entrambe le parti: Assiri dell’Est, Armeni, Copti, e poi Ortodossi e Riformati… ma le responsabilità talvolta sono ricadute da entrambe le parti (ad esempio Umberto da Silva Candida che scomunica Michele di Cerulario, patriarca di Costantinopoli, nel 1054).Chi nasce in chiese separate, non può esser considerato in peccato. Non si parla di scismatici o eretici, ma di cristiani nati in comunità separate. Il peccato dei padri non ricade sui figli. Chi è battezzato è in una “certa” comunione (attenzione ai termini) con la Chiesa cattolica, sebbene imperfetta. Questa è la visione cattolica, che comunque si distanzia parecchio dalle chiusure al ME del momento preconciliare.

Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono a buon diritto all'unica Chiesa di Cristo.Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza.Perciò queste Chiese (19) e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo

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infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica.

Con un po’ di fatica, si riconoscono però elementi di santificazione anche nelle altre chiese. Delicato il punto dei sacramenti, dei quali si dice che alcuni sono validi e pienamente salvifici. Si riconosce dunque una certa vita di grazia, aldilà delle diversità della vita sacramentale. Si usa una terminologia negativa: la grazia non è assente, lo Spirito non rifiuta di usarle come strumenti di salvezza… Se dai tempi di Giustino si pensava che Socrate possedesse semi del Verbo, a fortiori la grazia è in questi fratelli cristiani separati.

Tuttavia i fratelli da noi separati, sia essi individualmente, sia le loro comunità e Chiese, non godono di quella unità, che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme per formare un solo corpo in vista di una vita nuova, unità attestata dalle sacre Scritture e dalla veneranda tradizione della Chiesa. Infatti solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è il mezzo generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà noi crediamo che al solo Collegio apostolico con a capo Pietro il Signore ha affidato tutti i tesori della Nuova Alleanza, al fine di costituire l'unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio. Il quale popolo, quantunque rimanga esposto al peccato nei suoi membri finché dura la sua terrestre peregrinazione, cresce tuttavia in Cristo ed è soavemente condotto da Dio secondo i suoi arcani disegni, fino a che raggiunga gioioso tutta la pienezza della gloria eterna nella celeste Gerusalemme.

L'ecumenismo4. Siccome oggi, sotto il soffio della grazia dello Spirito Santo, in più parti del mondo con la preghiera, la parola e l'azione si fanno molti sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità che Gesù Cristo vuole, questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all'opera ecumenica.Per « movimento ecumenico » si intendono le attività e le iniziative suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei cristiani, secondo le varie necessità della Chiesa e secondo le circostanze. Così, in primo luogo, ogni sforzo per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con giustizia e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi. Poi, in riunioni che si tengono con intento e spirito religioso tra cristiani di diverse Chiese o comunità, il « dialogo » condotto da esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunione e ne presenta con chiarezza le caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione. Inoltre quelle comunioni vengono a collaborare più largamente in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune, e possono anche, all'occasione, riunirsi per pregare insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di riforma.

Si riconosce il ME come frutto dello Spirito Santo e si chiede a tutti i fedeli di riconoscere questo segno dei tempi (attivo dagli anni Venti) e di parteciparvi. Definisce il ME e intima di non usare parole di giudizio e divisione.Possono riunirsi per pregare insieme: ben diverso dalla concessione di pregare insieme il Padre Nostro (1917)

Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza sono compiute dai fedeli della Chiesa cattolica sotto la vigilanza dei pastori, contribuiscono a promuovere la giustizia e la verità, la concordia e la

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collaborazione, la carità fraterna e l'unione. Per questa via a poco a poco, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani, nell'unica celebrazione dell'eucaristia, si troveranno riuniti in quella unità dell'unica Chiesa che Cristo fin dall'inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica, e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli.

Non si tratta solo di pregare insieme, ma di rendere visibile questa unità, arrivando alla celebrazione eucaristica (la preghiera per l’unità della chiesa è elevata da Gesù nel corso dell’ultima Cena).

È chiaro che l'opera di preparazione e di riconciliazione delle singole persone che desiderano la piena comunione cattolica, si distingue, per sua natura, dall'iniziativa ecumenica; non c'è però tra esse alcuna opposizione, poiché l'una e l'altra procedono dalla mirabile disposizione di Dio.I fedeli cattolici nell'azione ecumenica si mostreranno senza esitazione pieni di sollecitudine per i loro fratelli separati, pregando per loro, parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i primi passi verso di loro. E innanzi tutto devono essi stessi con sincerità e diligenza considerare ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella stessa famiglia cattolica, affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli.

Si deve mettere a posto la “casa” se vi si vogliono accogliere i fratelli separati. Attenzione all’esterno e rinnovamento all’interno.

Infatti, benché la Chiesa cattolica sia stata arricchita di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri non se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore. Ne risulta che il volto della Chiesa rifulge meno davanti ai fratelli da noi separati e al mondo intero, e la crescita del regno di Dio ne è ritardata. Perciò tutti i cattolici devono tendere alla perfezione cristiana (20) e sforzarsi, ognuno secondo la sua condizione, perché la Chiesa, portando nel suo corpo l'umiltà e la mortificazione di Gesù (21), vada di giorno in giorno purificandosi e rinnovandosi, fino a che Cristo se la faccia comparire innanzi risplendente di gloria, senza macchia né ruga (22).Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l'unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa poi pratichino la carità. Poiché agendo così manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l'apostolicità della Chiesa.D'altra parte è necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo talora sino all'effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e deve essere ammirato nelle sue opere.

La conoscenza con i fratelli separati ci fa riconoscere le ricchezze presenti presso di loro. Senza però dimenticare lo specifico cattolico, né scadere in un superficiale relativismo che tutto appiattisce.Molto più facile è il dialogo con chiese apostoliche, in cui c’è almeno la figura del vescovo. Diverso il caso dei pentecostali, divisi in singole chiese…

Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano, non è

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mai contrario ai beni della fede ad esso collegati, anzi può sempre far sì che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente.Tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa realizzi la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione. Inoltre le diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità nella realtà della vita.Questo santo Concilio costata con gioia che la partecipazione dei fedeli all'azione ecumenica cresce ogni giorno, e la raccomanda ai vescovi d'ogni parte della terra, perché sia promossa solertemente e sia da loro diretta con prudenza.

CAPITOLO IIESERCIZIO DELL'ECUMENISMO

L'unione deve interessare a tutti5. La cura di ristabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo le proprie possibilità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici. Tale cura manifesta già in qualche modo il legame fraterno che esiste fra tutti i cristiani e conduce alla piena e perfetta unità, conforme al disegno della bontà di Dio.

La riforma della Chiesa6. Siccome ogni rinnovamento della Chiesa (23) I consiste essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione, esso è senza dubbio la ragione del movimento verso l'unità. La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno. Se dunque alcune cose, sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica ed anche nel modo di enunziare la dottrina - che bisogna distinguere con cura dal deposito vero e proprio della fede--sono state osservate meno accuratamente, a seguito delle circostanze, siano opportunamente rimesse nel giusto e debito ordine. Questo rinnovamento ha quindi una importanza ecumenica singolare. I vari modi poi attraverso i quali tale rinnovazione della vita della Chiesa già è in atto - come sono il movimento biblico e liturgico, la predicazione della parola di Dio e la catechesi, l'apostolato dei laici, le nuove forme di vita religiosa, la spiritualità del matrimonio, la dottrina e l'attività della Chiesa in campo sociale--vanno considerati come garanzie e auspici che felicemente preannunziano i futuri progressi dell'ecumenismo.

La conversione del cuore7. Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento dell'animo (24), dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia di una sincera abnegazione, dell'umiltà e della dolcezza nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri. « Vi scongiuro dunque - dice l'Apostolo delle genti - io, che sono incatenato nel Signore, di camminare in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e dolcezza, con longanimità, sopportandovi l'un l'altro con amore, attenti a conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace» (Ef 4,1-3). Questa esortazione riguarda soprattutto quelli che sono stati innalzati al sacro ordine per continuare la missione di Cristo, il quale « non è venuto tra di noi per essere servito, ma per servire » (Mt 20,28).Anche delle colpe contro l'unità vale la testimonianza di san Giovanni: « Se diciamo di non aver peccato, noi facciamo di Dio un mentitore, e la sua parola non è in noi» (1 Gv 1,10). Perciò con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati, come pure noi rimettiamo ai nostri debitori.Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo. Quanto infatti più

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stretta sarà la loro comunione col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, tanto più intima e facile potranno rendere la fraternità reciproca.

Le dichiarazioni comuni ecumeniche iniziano sempre con atti di pentimento per le divisioni

L'unione nella preghiera8. Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, devono essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale.È infatti consuetudine per i cattolici di recitare insieme la preghiera per l'unità della Chiesa, con la quale ardentemente alla vigilia della sua morte lo stesso Salvatore pregò il Padre: « che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21).In alcune speciali circostanze, come sono le preghiere che vengono indette « per l'unità » e nelle riunioni ecumeniche, è lecito, anzi desiderabile, che i cattolici si associno nella preghiera con i fratelli separati. Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità e costituiscono una manifestazione autentica dei vincoli con i quali i cattolici rimangono uniti con i fratelli separati: « Poiché dove sono due o tre adunati nel nome mio, ci sono io in mezzo a loro » (Mt 18,20).Tuttavia, non è permesso considerare la « communicatio in sacris » come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell'unità dei cristiani. Questa « communicatio » è regolata soprattutto da due principi: esprimere l'unità della Chiesa; far partecipare ai mezzi della grazia. Essa è, per lo più, impedita dal punto di vista dell'espressione dell'unità; la necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l'autorità episcopale del luogo, a meno che non sia altrimenti stabilito dalla conferenza episcopale a norma dei propri statuti, o dalla santa Sede.

La reciproca conoscenza9. Bisogna conoscere l'animo dei fratelli separati. A questo scopo è necessario lo studio, e bisogna condurlo con lealtà e benevolenza. I cattolici debitamente preparati devono acquistare una migliore conoscenza della dottrina e della storia, della vita spirituale e liturgica, della psicologia religiosa e della cultura propria dei fratelli. A questo scopo molto giovano le riunioni miste, con la partecipazione di entrambe le parti, per dibattere specialmente questioni teologiche, dove ognuno tratti da pari a pari, a condizione che quelli che vi partecipano, sotto la vigilanza dei vescovi, siano veramente competenti. Da questo dialogo apparirà più chiaramente anche la vera posizione della Chiesa cattolica. In questo modo si verrà a conoscere meglio il pensiero dei fratelli separati e a loro verrà esposta con maggiore precisione la nostra fede.

La formazione ecumenica10. L'insegnamento della sacra teologia e delle altre discipline, specialmente storiche, deve essere impartito anche sotto l'aspetto ecumenico, perché abbia sempre meglio a corrispondere alla verità dei fatti. È molto importante che i futuri pastori e i sacerdoti conoscano bene la teologia accuratamente elaborata in questo modo, e non in maniera polemica, soprattutto per quanto riguarda le relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica. È infatti dalla formazione dei sacerdoti che dipende soprattutto l'istituzione e la formazione spirituale dei fedeli e dei religiosi. Anche i cattolici che attendono alle opere missionarie in terre in cui lavorano altri cristiani devono conoscere, specialmente oggi, le questioni e i frutti che nel loro apostolato nascono dall'ecumenismo.

Modi di esprimere e di esporre la dottrina della fede11. Il modo e il metodo di enunziare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli. Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è

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più alieno dall'ecumenismo che quel falso irenismo, che altera la purezza della dottrina cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso.Allo stesso tempo la fede cattolica va spiegata con maggior profondità ed esattezza, con un modo di esposizione e un linguaggio che possano essere compresi anche dai fratelli separati. Inoltre nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, fedeli alla dottrina della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà. Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più profonda cognizione e più chiara manifestazione delle insondabili ricchezze di Cristo (25).

La cooperazione con i fratelli separati12. Tutti i cristiani professino davanti a tutti i popoli la fede in Dio uno e trino, nel Figlio di Dio incarnato, Redentore e Signore nostro, e con comune sforzo nella mutua stima rendano testimonianza della speranza nostra, che non inganna. Siccome in questi tempi si stabilisce su vasta scala la cooperazione nel campo sociale, tutti gli uomini sono chiamati a questa comune opera, ma a maggior ragione quelli che credono in Dio e, in primissimo luogo, tutti i cristiani, a causa del nome di Cristo di cui sono insigniti. La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente l'unione già esistente tra di loro, e pone in più piena luce il volto di Cristo servo. Questa cooperazione, già attuata in non poche nazioni, va ogni giorno più perfezionata-- specialmente nelle nazioni dove è in atto una evoluzione sociale o tecnica--sia facendo stimare rettamente la dignità della persona umana, sia lavorando a promuovere il bene della pace, sia applicando socialmente il Vangelo, sia facendo progredire con spirito cristiano le scienze e le arti, come pure usando rimedi d'ogni genere per venire incontro alle miserie del nostro tempo, quali sono la fame e le calamità, l'analfabetismo e l'indigenza, la mancanza di abitazioni e l'ineguale distribuzione della ricchezza. Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare come ci si possa meglio conoscere e maggiormente stimare gli uni e gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei cristiani.

 CAPITOLO IIICHIESE E COMUNITÀ ECCLESIALI SEPARATE DALLA SEDE APOSTOLICA ROMANA

Le varie divisioni13. Noi rivolgiamo ora il nostro pensiero alle due principali categorie di scissioni che hanno intaccato l'inconsutile tunica di Cristo.Le prime di esse avvennero in Oriente, sia per la contestazione delle forme dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia, sia, più tardi, per la rottura della comunione ecclesiastica tra i patriarchi orientali e la sede romana.Le altre sono sorte, dopo più di quattro secoli, in Occidente, a causa di quegli eventi che comunemente sono conosciuti con il nome di Riforma. Da allora parecchie Comunioni sia nazionali che confessionali, si separarono dalla Sede romana. Tra quelle nelle quali continuano a sussistere in parte le tradizioni e le strutture cattoliche, occupa un posto speciale la Comunione anglicana. Tuttavia queste varie divisioni differiscono molto tra di loro non solo per ragione dell'origine, del luogo e del tempo, ma soprattutto per la natura e gravità delle questioni spettanti la fede e la struttura ecclesiastica. Perciò questo santo Concilio, il quale né misconosce le diverse condizioni delle diverse Comunioni cristiane, né trascura i legami ancora esistenti tra loro nonostante la divisione, per una prudente azione ecumenica decide di proporre le seguenti considerazioni.

Con le chiese della Riforma ci sono anche difficoltà legate alla fede, alla sacramentaria (ordine assente, eucaristia simbolica)

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I. Speciale considerazione delle Chiese orientaliCarattere e storia propria degli orientali

14. Le Chiese d'Oriente e d'Occidente hanno seguito per molti secoli una propria via, unite però dalla fraterna comunione nella fede e nella vita sacramentale, sotto la direzione della Sede romana di comune consenso accettata, qualora fra loro fossero sorti dissensi circa la fede o la disciplina. È cosa gradita per il sacro Concilio richiamare alla mente di tutti, tra le altre cose di grande importanza, che in Oriente prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali, e come non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi apostoli. Perciò presso gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di conservare, in una comunione di fede e di carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, devono esistere tra le Chiese locali.Non si deve parimenti dimenticare che le Chiese d'Oriente hanno fin dall'origine un tesoro dal quale la Chiesa d'Occidente ha attinto molti elementi nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine giuridico. Né si deve sottovalutare il fatto che i dogmi fondamentali della fede cristiana sulla Trinità e sul Verbo di Dio incarnato da Maria vergine, sono stati definiti in Concili ecumenici celebrati in Oriente e come, per conservare questa fede, quelle Chiese hanno molto sofferto e soffrono ancora. L'eredità tramandata dagli apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e, fin dai primordi stessi della Chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per le diversità di carattere e di condizioni di vita. Tutte queste cose, oltre alle cause esterne e anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero ansa alle separazioni.Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, a tenere in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d'Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la Sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio su tutte queste cose. Questa regola, ben osservata, contribuirà moltissimo al dialogo che si vuole stabilire.

Sarà Giovanni Paolo II a riprendere, in Orientale Lumen (1995), le considerazioni positive che qui sopra emergono sulle chiese orientali, elencandone le ricchezze teologiche e spirituali.“Chiese”: dove si è conservato l’episcopato e la consacrazione eucaristia; diversamente si parla di “comunità ecclesiale”. (Ratzinger, 2000). La Chiesa Cattolica è madre e non sorella. Ma Giovanni Paolo II salutava ancora la Chiesa di Costantinopoli come “sorella”.

Tradizione liturgica e spirituale degli orientali15. È pure noto a tutti con quanto amore i cristiani d'Oriente celebrino la sacra liturgia, specialmente quella eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura; in essa i fedeli, uniti al vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la santissima Trinità, fatti «partecipi della natura divina » (2 Pt 1,4). Perciò con la celebrazione dell'eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce (26), e con la concelebrazione si manifesta la comunione tra di esse.In questo culto liturgico gli orientali magnificano con splendidi inni Maria sempre vergine, solennemente proclamata santissima madre di Dio dal Concilio ecumenico Efesino, perché Cristo conforme alla sacra Scrittura fosse riconosciuto, in senso vero e proprio, Figlio di Dio e figlio dell'uomo; similmente tributano grandi omaggi a molti santi, fra i quali vi sono Padri della Chiesa universale.Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti - e soprattutto, in virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l'eucaristia - che li uniscono ancora a noi con strettissimi

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vincoli, una certa « communicatio in sacris », presentandosi opportune circostanze e con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, non solo è possibile, ma anche consigliabile.In Oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni spirituali che sono espresse specialmente dal monachismo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiorì quella spiritualità monastica che si estese poi all'Occidente, e dalla quale, come da sua fonte, trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito ricevette di tanto in tanto nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze de Padri orientali, che elevano tutto l'uomo alla contemplazione delle cose divine.Tutti sappiano che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell'integra tradizione cristiana per la riconciliazione dei cristiani d'Oriente e d'occidente.

Disciplina degli orientali16. Inoltre fin dai primi tempi le Chiese d'Oriente seguivano discipline proprie, sancite dai santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. Una certa diversità di usi e consuetudini, come abbiamo sopra ricordato, non si oppone minimamente all'unità della Chiesa, anzi ne accresce la bellezza e costituisce un aiuto prezioso al compimento della sua missione perciò il sacro Concilio, onde togliere ogni dubbio dichiara che le Chiese d'Oriente, memori della necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline, come più consone al carattere dei loro fedeli e più adatte a pro muovere il bene delle anime. La perfetta osservanza di questo principio tradizionale, invero non sempre rispettata, appartiene a quelle cose che sono assolutamente richieste come previa condizione al ristabilimento dell'unità.

Carattere proprio degli orientali nell'esporre i misteri17. Ciò che sopra è stato detto circa la legittima diversità deve essere applicato anche alla diversa enunziazione delle dottrine teologiche. Effettivamente nell'indagare la verità rivelata in Oriente e in Occidente furono usati metodi e cammini diversi per giungere alla conoscenza e alla confessione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi. Per ciò che riguarda le tradizioni teologiche autentiche degli orientali, bisogna riconoscere che esse sono eccellentemente radicate nella sacra Scrittura, sono coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori ascetici orientali, e tendono a una retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità cristiana.Questo sacro Concilio, ringraziando Dio che molti orientali figli della Chiesa cattolica, i quali custodiscono questo patrimonio e desiderano viverlo con maggior purezza e pienezza, vivano già in piena comunione con i fratelli che seguono la tradizione occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena cattolicità e apostolicità della Chiesa.

Conclusione18. Considerate bene tutte queste cose, questo sacro Concilio inculca di nuovo ciò che è stato dichiarato dai precedenti sacri Concili e dai romani Pontefici, che cioè, per ristabilire o conservare la comunione e l'unità bisogna « non imporre altro peso fuorché le cose necessarie » (At 15,28). Desidera pure ardentemente che d'ora in poi, nelle varie istituzioni e forme della vita della Chiesa, tutti gli sforzi tendano passo passo al conseguimento di essa, specialmente con la preghiera e il dialogo fraterno circa la dottrina e le più urgenti necessità pastorali del nostro tempo. Raccomanda parimenti ai pastori e ai fedeli della Chiesa cattolica di stabilire delle relazioni con quelli che non vivono più in Oriente, ma lontani dalla patria. Così crescerà la fraterna collaborazione con loro in spirito di carità, bandendo ogni sentimento di litigiosa rivalità. Se questa opera sarà promossa con tutto l'animo, il sacro Concilio spera che, tolta la parete che divide la Chiesa occidentale

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dall'orientale, si avrà finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola (27).

II. Chiese e Comunità ecclesiali separate in Occidente

Condizione di queste comunità19. Le Chiese e Comunità ecclesiali che, o in quel gravissimo sconvolgimento incominciato in Occidente già alla fine del medioevo, o in tempi posteriori si sono separate dalla Sede apostolica romana sono unite alla Chiesa cattolica da una speciale affinità e stretta relazione, dovute al lungo periodo di vita che il popolo cristiano nei secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica.Ma siccome queste Chiese e Comunità ecclesiali per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita spirituale, differiscono non poco anche tra di loro, e non solo da noi, è assai difficile descriverle con precisione, e noi non abbiamo qui l'intenzione di farlo.Sebbene il movimento ecumenico e il desiderio di pace con la Chiesa cattolica non sia ancora invalso dovunque, nutriamo speranza che a poco a poco cresca in tutti il sentimento ecumenico e la mutua stima.Bisogna però riconoscere che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze, non solo di carattere storico, sociologico, psicologico e culturale, ma soprattutto nell'interpretazione della verità rivelata. Per poter più facilmente, nonostante queste differenze, riprendere il dialogo ecumenico, vogliamo qui mettere in risalto alcuni elementi, che possono e devono essere la base e il punto di partenza di questo dialogo.

La fede in Cristo20. Il nostro pensiero si rivolge prima di tutto a quei cristiani che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo. Sappiamo che vi sono invero non lievi discordanze dalla dottrina della Chiesa cattolica anche intorno a Cristo Verbo di Dio incarnato e all'opera della redenzione, e perciò intorno al mistero e al ministero della Chiesa e alla funzione di Maria nell'opera della salvezza. Ci rallegriamo tuttavia vedendo i fratelli separati tendere a Cristo come a fonte e centro della comunione ecclesiale. Presi dal desiderio dell'unione con Cristo, essi sono spinti a cercare sempre di più l'unità ed anche a rendere dovunque testimonianza della loro fede presso le genti.

Studio della sacra Scrittura21. L'amore e la venerazione--quasi il culto-- delle sacre Scritture conducono i nostri fratelli al costante e diligente studio del libro sacro. Il Vangelo infatti « è la forza di Dio per la salvezza di ogni credente, del Giudeo prima, e poi del Gentile » (Rm 1,16).Invocando lo Spirito Santo, cercano nella stessa sacra Scrittura Dio come colui che parla a loro in Cristo, preannunziato dai profeti, Verbo di Dio per noi incarnato. In esse contemplano la vita di Cristo e quanto il divino Maestro ha insegnato e compiuto per la salvezza degli uomini, specialmente i misteri della sua morte e resurrezione.Ma quando i cristiani da noi separati affermano la divina autorità dei libri sacri, la pensano diversamente da noi - e in modo invero diverso gli uni dagli altri - circa il rapporto tra la sacra Scrittura e la Chiesa. Secondo la fede cattolica, infatti, il magistero autentico ha un posto speciale nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta.Cionondimeno nel dialogo la sacra Scrittura costituisce uno strumento eccellente nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini.

La vita sacramentale22. Col sacramento del battesimo, quando secondo l'istituzione del Signore è debitamente conferito e ricevuto con le disposizioni interiori richieste, l'uomo e veramente incorporato a Cristo crocifisso e glorificato e viene rigenerato per partecipare alla vita divina, secondo le parole dell'Apostolo: «

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Sepolti insieme con lui nel battesimo, nel battesimo insieme con lui siete risorti, mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha ridestato da morte (Col 2,12) (28).Il battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati. Tuttavia il battesimo, di per sé, è soltanto l'inizio e l'esordio, che tende interamente all'acquisto della pienezza della vita in Cristo. Pertanto esso è ordinato all'integra professione della fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, quale Cristo l'ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica.Le comunità ecclesiali da noi separate, quantunque manchi loro la piena unità con noi derivante dal battesimo, e quantunque crediamo che esse, specialmente per la mancanza del sacramento dell'ordine, non hanno conservata la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico, tuttavia, mentre nella santa Cena fanno memoria della morte e della resurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa. Bisogna quindi che la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa costituiscano oggetto del dialogo.

La vita in Cristo23. La vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla fede in Cristo e beneficia della grazia del battesimo e dell'ascolto della parola di Dio. Si manifesta poi nella preghiera privata, nella meditazione della Bibbia, nella vita della famiglia cristiana, nel culto della comunità riunita a lodare Dio. Del resto il loro culto mostra talora importanti elementi della comune liturgia antica.La fede con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio; a ciò si aggiunge un vivo sentimento della giustizia e una sincera carità verso il prossimo. E questa fede operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare la miseria spirituale e corporale per l'educazione della gioventù, per rendere più umane le condizioni sociali della vita, per stabilire ovunque una pace stabile.Anche se in campo morale molti cristiani non intendono sempre il Vangelo alla stessa maniera dei cattolici, né ammettono le stesse soluzioni dei problemi più difficili dell'odierna società, tuttavia vogliono come noi aderire alla parola di Cristo quale sorgente della virtù cristiana e obbedire al precetto dell'Apostolo: « Qualsiasi cosa facciate, o in parole o in opere, fate tutto nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui » (Col 3,17). Di qui può prendere inizio il dialogo ecumenico intorno alla applicazione morale del Vangelo.

Conclusione24. Così dopo avere brevemente esposto le condizioni di esercizio dell'azione ecumenica e i principi con i quali regolarla, volgiamo fiduciosi gli occhi al futuro. Questo sacro Concilio esorta i fedeli ad astenersi da qualsiasi leggerezza o zelo imprudente, che potrebbero nuocere al vero progresso dell'unità. Infatti la loro azione ecumenica non può essere se non pienamente e sinceramente cattolica, cioè fedele alla verità che abbiamo ricevuto dagli apostoli e dai Padri, e conforme alla fede che la Chiesa cattolica ha sempre professato; nello stesso tempo tende a quella pienezza con la quale il Signore vuole che cresca il suo corpo nel corso dei secoli.Questo santo Concilio desidera vivamente che le iniziative dei figli della Chiesa cattolica procedano congiunte con quelle dei fratelli separati, senza che sia posto alcun ostacolo alle vie della Provvidenza e senza che si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo. Inoltre dichiara d'essere consapevole che questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unità di una sola e unica Chiesa di Cristo, supera le forze e le doti umane. Perciò ripone tutta la sua speranza nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella potenza dello Spirito Santo. «La speranza non inganna, poiché l'amore di Dio è largamente diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci fu dato » (Rm 5,5).Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito

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Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.Roma, presso San Pietro, 21 novembre 1964.

13.11.2014

DOPO IL CONCILIO VATICANO II il cammino ecumenico prosegue nella Chiesa Cattolica ma anche nel CEC. Con punti di contatto (New Dehli 1961 e UR assumono la stessa base di partenza per aderire al CEC e per un dialogo ecumenico dal pv ecumenico: Trinità e Gesù Salvatore e Redentore dell’uomo).L’ecumenismo per la Chiesa Cattolica è allora la ricerca dell’unità visibile tra quanti professano la stessa fede. Si possono riconoscere diversi punti di vista: ad esempio per la Chiesa Cattolica l’unità è attorno a Pietro, secondo la volontà di Gesù. Altri sono i perni dell’unità per le altre chiese.

CEC ed ecumenismo cattolico proseguono in parallelo, pur registrandosi convergenze di dottrina e di prassi. Il CEC ha una 4^ assemblea plenaria nel 1968 a Uppsala (Svezia), sullo sfondo del ’68: si afferma l’impegno per cambiare il mondo presente, per lottare contro la discriminazione razziale; ci si distacca da Barth e dal suo pessimismo, esaltando lo sviluppo o la rivoluzione. “Tutti i cristiani in tutti i luoghi” è il motto. La 5^ assemblea è a Nairobi (Kenya) nel 1975: vs razzismo, pro ecologia, vs nucleare. Da essa esce nel 1982 il documento Battesimo, Eucaristia e Ministero (la “dichiarazione di Lima”) per permettere celebrazioni comuni.La 6^ assemblea è a Vancouver (Canada) nel 1988: ecologia, Nord vs Sud, corsa agli armamenti. Il CEC è a servizio non solo delle chiese ma dell’intera umanità.Nella 7^ assemblea, nel 1991 a Canberra (Australia), si rileva il concetto del NT di comunione. Nella 8^ assemblea, ad Harare (Zimbabwe) nel 1998: spiritualità ecumenica, ruolo della donna nella chiesa, la globalizzazione.La 9^ assemblea, a Porto Alegre (Brasile), nel 2006: formazione ecumenica, giustizia globale e testimonianza profetica delle chiese. L’unità dei cristiani rende credibile l’annuncio del vangelo. Rapporti con le altre religioni. Ecumenismo secolare: si occupa più di giustizia e pace che di ricercare un centro teologico. Sono 348 chiese per 400 milioni di cristiani rappresentati. Ci sono commissioni tecniche per (1) unità e rinnovamento (con F&O); (2) missione, formazione, testimonianza; (3) giustizia, pace, salvaguardia del creato; (4) condivisione e servizio. Non unione organica, bensì “comunione di chiese”, con reciproche autonomie. “Diversità riconciliata” nel nome di un centro cristologico. Gradi differenti di comunione: piena con riconoscimento di ministeri, sacramenti e dottrina, se no solo parziale.

L’ECUMENISMO CATTOLICO

Eletto papa nel 1963, Paolo VI chiude il CVII. Promuove UR ma frena l’ecumenismo selvaggio. Incontra il patriarca ecumenico Atenagora a Gerusalemme nel 1964. Cordiale abbraccio dopo oltre 500 anni, recita del Padre Nostro insieme. Da qui l’enciclica Ecclesiam Suam (1964). L’ultima seduta del CVII revoca la scomunica del 1054. Paolo VI incontra ancora Atenagora nel 1967 a Istanbul; incontrerà anche Ramsey, primate anglicano (1966). Visita la sede del CEC nel 1969, a Ginevra, entrando a braccia aperte (dialogo). Ma nel 1972 ribadisce che la Chiesa Cattolica NON può entrare in pieno nel CEC: si acuirebbe la crisi post conciliare; sarebbe sempre in maggioranza (60%); non è democratica ma gerarchica. Ma collaborano con la commissione comune per società, giustizia e pace SODEPAX (1968).

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La chiesa cattolica preferisce dialogare con le conferenze generali delle confessioni piuttosto che col CEC.Nel 1965 si fonda una commissione di dialogo tra luterani e cattolici, rivalutando la cena del Signore, il ministero (benché non con “carattere indelebile”), arrivando fino a una dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata ad Augusta (1530, confessio augustana) MA: l’uomo collabora alla salvezza o è passivo? Resta peccatore o è davvero giustificato? Comunque: Dio giustifica l’uomo solo per grazia.

Le questioni teologiche sono una cosa, la convivenza tra cristiani un’altra. Per questo ci sono tre direttori ecumenici (1967, 1970, 1993) che raccomandano la preghiera per l’unità, la collaborazione sociale, il dialogo

Lo sviluppo canonico e teologico in campo ecumenico continua con GPII, autore dell’enciclica Ut unum sint (1995), che ammette la colpa della divisione tra cristiani (2000). La Congr. per la dottrina della fede pubblica la Dominus Iesus (2000) sull’unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa. Rallenta il dialogo: distingue le chiese dalle comunità ecclesiali (senza episcopato e sacerdoti, quindi senza autentica eucaristia) ma sono anch’esse “strumenti di salvezza”, benché l’unica vera chiesa “sussiste” in quella cattolica.

La teologia più recente vede un riavvicinamento: su Dio ci si divide di meno che su cristologia ed ecclesiologia! Restano due opzioni: il consenso di fondo e la differenza di fondo (espressa nelle singole diversità).Non si può tornare indietro, prima del 1054 o del 1517, perché le teologie si sono sviluppate. Se si esamina però la chiesa antica e ortodossa, allora le diverse chiese possono essere in una “comunione dei santi” rispetto a essa e tra loro, mantenendo autonomia giuridica e di riti.

Aldilà delle diversità dottrinale, ci sono però pratiche comuni: a livello sociale, a livello di preghiera e di dialogo. Un esempio: le traduzioni interconfessionali della Bibbia. Ancora: il documento pontificio sui matrimoni misti del 1970 (la famiglia mistia come esempio di feconda condivisione ecumenica), benché permangano nodi problematici (gli evangelici divorziano, i cattolici no).Passi avanti anche nel battesimo, comune a tutti i cristiani, per evitare “ribattesimi”.

Chiese cristiane in Italia: ortodossi (Romania), spesso accolti in chiese cattoliche; chiesa Valdese (la più antica chiesa evangelica in Italia, del XII secolo, aderente alla Riforma dal 1535; chiese metodiste, battiste, evangelica luterana, avventista del settimo giorno, chiese cristiane libere.

Unionismo (Lione – 1274; Firenze – 1439) vs ecumenismo, soprattutto dopo il CVII.

Oggi l’ecumenismo rischia di confondersi col dialogo interreligioso, con gli ebrei; le chiese pentecostali “libere” son una nuova sfida per l’ecumenismo. Come pure materialismo e agnosticismo in Europa, che dovrebbero vedere i cristiani uniti a trasmettere il fondamento della fede.

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PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL'UNITÀ DEI CRISTIANIDIRETTORIO PER L’APPLICAZIONE DEI PRINCIPI E DELLE NORME SULL’ECUMENISMO (1993) 

PREMESSA1-La ricerca dell’unità dei cristiani è stata uno degli obiettivi principali del concilio Vaticano II. Il Direttorio ecumenico, richiesto durante il Concilio e pubblicato in due parti, l’una nel 1967 e l’altra nel 1970 [1], «si è rivelato strumento prezioso per orientare, coordinare e sviluppare lo sforzo ecumenico» [2].

Motivi della presente revisione2. Oltre la pubblicazione del Direttorio, numerosi altri documenti che si riferiscono all’ecumenismo sono stati pubblicati dalle competenti autorità [3].La promulgazione del nuovo Codice di Diritto canonico per la Chiesa latina (1983) e quella del Codice dei Canoni delle Chiese orientali (1990) hanno creato, in materia ecumenica, una situazione disciplinare in parte nuova per i fedeli della Chiesa cattolica.Allo stesso modo il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 1992, ha posto la dimensione ecumenica nell’insegnamento di base per tutti i fedeli della Chiesa.3. Inoltre, dopo il Concilio si sono intensificati rapporti fraterni con le Chiese e le comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica; si sono avviati e moltiplicati i dialoghi teologici. Nel suo discorso in occasione di un’assemblea plenaria del Segretariato (1988), che si occupava della revisione del Direttorio, il Santo Padre fece rilevare che «l’estensione del movimento ecumenico, la moltiplicazione dei documenti di dialogo, l’urgenza avvertita di una maggior partecipazione di tutto il popolo di Dio a tale movimento e, conseguentemente, la necessità di una informazione dottrinale esatta in vista di un giusto impegno , tutto ciò esige che, senza indugio, si diano direttive aggiornate» [4]. E in questo spirito ed alla luce ditali sviluppi che si è proceduto alla revisione del Direttorio.

Destinatari del Direttorio4. Il Direttorio ha come primi destinatari i Pastori della Chiesa cattolica, ma riguarda anche tutti i fedeli, chiamati a pregare e ad agire per l’unità dei cristiani sotto la guida dei loro vescovi . Costoro, individualmente per la propria diocesi e collegialmente per tutta la Chiesa, sono responsabili, sotto l’autorità della Santa Sede, dell’indirizzo e delle iniziative in materia di ecumenismo [5].5. Ma c’è anche da augurarsi che il Direttorio sia utile ai membri delle Chiese e delle comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. Con i cattolici, essi condividono la sollecitudine per la qualità dell’impegno ecumenico. Sarà vantaggioso per loro conoscere la direzione nella quale i responsabili del movimento ecumenico nella Chiesa cattolica intendono promuovere l’azione ecumenica ed i criteri ufficialmente approvati nella Chiesa. (…) Va precisato che il Direttorio non intende trattare dei rapporti della Chiesa cattolica con le sètte o i nuovi movimenti religiosi [6].

Finalità del Direttorio6. La nuova edizione del Direttorio è destinata ad essere uno strumento al servizio di tutta la Chiesa e specialmente di coloro che nella Chiesa cattolica sono direttamente impegnati in un’attività ecumenica. (…) Alla luce dell’esperienza della Chiesa dopo il Concilio e tenendo conto dell’attuale

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situazione ecumenica, il Direttorio raccoglie tutte le norme già fissate per applicare e sviluppare le decisioni del Concilio e, quand’è necessario, le adatta alla realtà attuale. Esso rafforza le strutture che sono state realizzate per sostenere e guidare l’attività ecumenica ad ogni livello della Chiesa. Nel pieno rispetto della competenza delle autorità a tali vari livelli, il Direttorio dà orientamenti e norme d’applicazione universali, per indirizzare la partecipazione cattolica all’azione ecumenica. (…) Esso garantirà che l’attività ecumenica nella Chiesa cattolica sia conforme all’unità di fede e di disciplina che unisce i cattolici fra di loro.Nel nostro tempo c’è, qua o là, una certa tendenza alla confusione dottrinale. Perciò è molto importante che, nel campo dell’ecumenismo come in altri, si evitino abusi che potrebbero contribuirvi o portare all’indifferentismo dottrinale. (…)

Piano del Direttorio7. Il Direttorio si apre con una esposizione dell’impegno ecumenico della Chiesa cattolica (capitolo I). Segue una elencazione dei mezzi usati dalla Chiesa cattolica per tradurre in pratica tale impegno. Essa lo realizza attraverso l’organizzazione (capitolo II) e la formazione dei suoi membri (capitolo III). A coloro che sono in tal modo organizzati e formati sono destinate le disposizioni dei capitoli IV e V sull’attività ecumenica.I. La ricerca dell’unità dei cristianiL’impegno ecumenico della Chiesa cattolica fondato sui principi dottrinali enunciati dal concilio Vaticano II.II. L’organizzazione nella Chiesa Cattolica del servizio dell’unità dei cristianiLe persone e le strutture destinate a promuovere l’ecumenismo a tutti i livelli, e le norme che regolano la loro attività.III. La formazione all’ecumenismo nella Chiesa cattolica Le categorie di persone da formare; finalità, ambito e metodi della formazione nei suoi aspetti dottrinali e pratici.IV. La comunione di vita e di attività spirituale tra i battezzatiLa comunione che esiste con gli altri cristiani sulla base del legame sacramentale del battesimo e le norme per la condivisione della preghiera e di altre attività spirituali, ivi compresi, in casi particolari, alcuni beni sacramentali.V. Collaborazione ecumenica, dialogo e testimonianza comuneI principi, le diverse forme e le norme della collaborazione tra cristiani in vista del dialogo e della comune testimonianza nel mondo.

8. Così (…) la promozione dell’unità desiderata da Cristo possa essere perseguita in maniera equilibrata e coerente, nella linea e secondo i principi fissati dal concilio Vaticano II.

I - LA RICERCA DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

9. Il movimento ecumenico intende essere una risposta al dono della grazia di Dio, chiamando tutti i cristiani alla fede nel mistero della Chiesa, secondo il disegno di Dio che vuole condurre l’umanità alla salvezza e all’unità in Cristo mediante lo Spirito santo. Questo movimento chiama i cristiani alla speranza che si realizzi pienamente la preghiera di Gesù «perché tutti siano una sola cosa» [9]. Li chiama a quella carità che è il comandamento nuovo di Cristo e il dono per mezzo del quale lo Spirito santo unisce tutti i fedeli. Il concilio Vaticano II ha esplicitamente chiesto ai cattolici di abbracciare nel loro amore tutti i cristiani con una carità che anela a superare, nella verità, ciò che li divide e attivamente si impegna a farlo; essi devono operare sperando e pregando per la promozione dell’unità dei cristiani; la loro fede nel mistero della Chiesa li stimola e li illumina in maniera tale che la loro azione ecumenica possa essere ispirata e guidata da una vera comprensione della Chiesa che è in Cristo come «sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» [10].

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10. L’insegnamento della Chiesa sull’ecumenismo (…) nella Lumen gentium e nell’Unitatis redintegratio (…) il Direttorio ecumenico (1967 e 1970) (…). Tali insegnamenti costituiscono il fondamento del presente Direttorio.

La Chiesa e la sua unità nel piano di Dio

11. Il Concilio colloca il mistero della Chiesa nel mistero della sapienza e della bontà di Dio, il quale attira tutta la famiglia umana ed anche l’intera creazione all’unità in lui [11]. (…) Il Concilio presenta la Chiesa come il nuovo popolo di Dio, che in sé riunisce, con tutte le ricchezze della loro diversità, uomini e donne di ogni nazione e di ogni cultura, dotati di multiformi doni di natura e di grazia, posti a servizio gli uni degli altri, e consapevoli d’essere mandati nel mondo per la sua salvezza [13]. Essi accolgono nella fede la Parola di Dio, sono battezzati in Cristo, confermati nello Spirito della Pentecoste e celebrano insieme il sacramento del corpo e del sangue di Cristo nell’Eucaristia (…).12. A servizio del popolo di Dio, per la sua comune vita di fede e sacramentale, sono posti i ministri ordinati: vescovi, presbiteri e diaconi [15]. In tal modo, unito dal triplice legame della fede, della vita sacramentale e del ministero gerarchico, tutto il popolo di Dio realizza ciò che la tradizione di fede dal Nuovo Testamento in poi [16] ha sempre chiamato la koinonia/comunione. (…)

La Chiesa come comunione

13. La comunione nella quale i cristiani credono e sperano è, nella sua realtà più profonda, la loro unità con il Padre per Cristo nello Spirito santo. Dopo la Pentecoste essa è donata e ricevuta nella Chiesa, comunione dei santi. Ha il suo pieno compimento nella gloria del cielo, ma si realizza già nella Chiesa sulla terra mentre cammina verso quella pienezza. Coloro che vivono uniti nella fede, nella speranza e nella carità, nel servizio vicendevole, nell’insegnamento comune e nei sacramenti, sotto la guida dei loro Pastori [18], hanno parte alla comunione che costituisce la Chiesa di Dio. Tale comunione concretamente si realizza nelle Chiese particolari, ognuna delle quali è riunita attorno al proprio Vescovo. In ciascuna di esse «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica ed apostolica» [19]. Tale comunione, per sua stessa natura, è perciò universale.

14. La comunione tra le Chiese si conserva e si esprime specialmente attraverso la comunione tra i loro vescovi. Insieme essi formano un collegio, che succede al collegio apostolico e ha come suo capo il Vescovo di Roma, quale successore di Pietro [20]. (…)

15. Ogni Chiesa particolare (…) è mandata in nome di Cristo e per la potenza dello Spirito a portare il Vangelo del Regno ad un sempre maggior numero di persone, (…). Con la sua unità, questa famiglia testimonia la comunione con Dio (…) «perché tutti siano una sola cosa (…) perché il mondo creda che tu mi hai mandato» [21].16. (…). La diversità è una dimensione della cattolicità della Chiesa. La ricchezza stessa ditale diversità può, tuttavia, generare tensioni nella comunione. Ma, nonostante queste tensioni, lo Spirito continua ad agire nella Chiesa chiamando i cristiani, nella loro diversità, ad una sempre più profonda unità.

17. I cattolici conservano la ferma convinzione che l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, «governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui» [22]. (…) Quando perciò i cattolici usano le parole «Chiese», «altre Chiese», «altre Chiese e comunità

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ecclesiali», ecc., per designare coloro che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, si deve sempre tener conto di questa ferma convinzione e confessione di fede.

Le divisioni tra i cristiani e la ricomposizione dell’unità

18. L’insensatezza e il peccato degli uomini, tuttavia, lungo la storia hanno opposto resistenza alla volontà unificante dello Spirito santo e indebolito la forza dell’amore che supera le tensioni che si creano nella vita ecclesiale. Fin dagli inizi della Chiesa avvennero scissioni. Successivamente si manifestarono dissensi più gravi e alcune Chiese in Oriente non si trovarono più in piena comunione con la Sede di Roma e con la Chiesa d’Occidente [24]. Più tardi, in Occidente, divisioni più profonde causarono il formarsi di altre comunità ecclesiali. Tali scissioni avevano alla loro origine questioni dottrinali o disciplinari e perfino divergenze sulla natura della Chiesa [25]. Il decreto del concilio Vaticano II sull’ecumenismo riconosce che dissensi sono nati «talora non senza colpa di uomini d’entrambe le parti» [26]. Tuttavia (…) la pienezza dell’unità della Chiesa di Cristo si è conservata nella Chiesa cattolica, mentre altre Chiese e comunità ecclesiali, pur non essendo in piena comunione con la Chiesa cattolica, in realtà mantengono con essa una certa comunione. (…) «Lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza» [30].

19. Tuttavia nessun cristiano o cristiana può essere pago di tali forme imperfette di comunione, che non corrispondono alla volontà di Cristo e indeboliscono la sua Chiesa nell’esercizio della missione che le è propria. (…) cercare con decisione di superare le divisioni ereditate dal passato e di ricostruire una comunione d’amore mediante la preghiera, il pentimento, la reciproca richiesta di perdono per i peccati di divisione del passato e del presente, e attraverso incontri per iniziative di collaborazione e di dialogo teologico. Tali sono gli obiettivi e le attività di quello che è stato chiamato movimento ecumenico [31].

20. Durante il concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha preso solennemente l’impegno di operare per l’unità dei cristiani. Il decreto Unitatis redintegratio precisa che l’unità voluta da Cristo per la sua Chiesa si realizza «per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell’amministrazione dei sacramenti e del governo esercitato nell’amore da parte degli apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il successore di Pietro». (…) Il Concilio dichiara che essa non richiede affatto che venga sacrificata la ricca diversità di spiritualità, di disciplina, di riti liturgici e di elaborazione della verità rivelata che sono andati sviluppandosi tra i cristiani [33], nella misura in cui tale diversità rimane fedele alla tradizione apostolica.21. Dopo il concilio Vaticano II (…) l’ecumenismo «si è profondamente e indelebilmente impresso nella coscienza della Chiesa» [34].

L’ecumenismo nella vita dei cristiani

22. Il movimento ecumenico è una grazia di Dio, concessa dal Padre in risposta alla preghiera di Gesù [35] e alle suppliche della Chiesa ispirata dallo Spirito santo [36]. (…) il suo compito specifico è la ricomposizione dell’unità tra i cristiani [37]. (…)

23. (…) Gli Ordinari del luogo [39], i Sinodi delle Chiese orientali cattoliche [40] e le Conferenze episcopali si troveranno talvolta nella necessità di prendere speciali misure per superare il pericolo di indifferentismo o di proselitismo [41]. Ciò potrebbe riguardare particolarmente le giovani Chiese. I cattolici, in tutti i loro rapporti con membri di altre Chiese e comunità ecclesiali, agiranno con rettitudine, prudenza e competenza. (…)

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24. Qualunque sia la situazione locale, i cattolici, per essere in grado di assumere le loro responsabilità ecumeniche, devono agire insieme e in accordo con i loro vescovi. (…)

25. L’ecumenismo (…) richiede quella «conversione del cuore e quella santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani», che il decreto del concilio Vaticano II sull’ecumenismo chiama «ecumenismo spirituale» (…).

I diversi livelli dell’azione ecumenica

27. Nella diocesi, raccolta attorno al suo Vescovo, nelle parrocchie (…) uomini e donne ascoltano nella fede la Parola di Dio, pregano, celebrano i sacramenti, (…).28. Il fatto di riunire, all’interno della comunione cattolica, le Chiese particolari in istituzioni affini, quali i Sinodi delle Chiese orientali e le Conferenze episcopali, manifesta la comunione esistente tra queste Chiese. (…)

Complessità e diversità della situazione ecumenica

30. (…) Vanno incoraggiate anche le iniziative dei fedeli nel campo dell’ecumenismo. E però indispensabile un attento e continuo discernimento, che compete a coloro che hanno la responsabilità ultima della dottrina e della disciplina della Chiesa [48]. A costoro spetta incoraggiare iniziative serie ed assicurare che siano attuate secondo i principi cattolici dell’ecumenismo. (…)

31. (…) La scelta dell’impegno ecumenico appropriato spetta primariamente al Vescovo, il quale deve tener conto delle specifiche responsabilità e delle esigenze tipiche della sua diocesi. (…)

32. (…) Il compito assumerà aspetti ancora diversi in paesi nei quali c’è una maggioranza di non cristiani. (…)

34. Le diverse caratteristiche del compito ecumenico dipenderanno sempre dal particolare contesto locale. (…)

Le sètte e i nuovi movimenti religiosi

36. Per quel che riguarda le sètte e i nuovi movimenti religiosi, la situazione è assai complessa e si presenta in modo differente secondo il contesto culturale. (…) i principi della condivisione spirituale o della cooperazione pratica indicati in questo Direttorio si applicano esclusivamente alle Chiese e alle comunità ecclesiali con le quali la Chiesa cattolica ha instaurato relazione ecumeniche. (…)

II - L’ORGANIZZAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA DEL SERVIZIO DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

Introduzione37. Attraverso le Chiese particolari, la Chiesa cattolica è presente in molti luoghi e regioni in cui affianca altre Chiese e comunità ecclesiali. (…)

39. Il concilio Vaticano II ha raccomandato l’azione ecumenica in modo speciale «ai vescovi d’ogni parte della terra, perché sia promossa con sollecitudine e sia con prudenza da loro diretta» [51].

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40. Alla luce di questa competenza particolare per promuovere e guidare l’attività ecumenica, è proprio della responsabilità dei singoli vescovi diocesani, dei Sinodi delle Chiese orientali cattoliche, o delle Conferenze episcopali stabilire le norme secondo cui le persone o le commissioni sotto indicate svolgeranno le attività loro demandate e vigilare sull’applicazione di tali norme. (…)

Il delegato diocesano per l’ecumenismo

41. Nelle diocesi il Vescovo nomini una persona competente come delegato diocesano per le questioni ecumeniche. Costui potrà essere incaricato di animare la commissione ecumenica diocesana e di coordinarne le attività (…).

La commissione o il segretariato ecumenico di una diocesi

42. Il Vescovo della diocesi, oltre a nominare un delegato diocesano per le questioni ecumeniche, istituirà un consiglio, una commissione o un segretariato con l’incarico di attuare le direttive o gli orientamenti che egli potrà dare, e, più generalmente, di promuovere l’attività ecumenica nella diocesi [52]. (…)

43. La commissione (…), in linea di massima, comprenda membri del clero, dei religiosi, delle religiose e del laicato, con varie competenze, e specialmente persone che abbiano una specifica competenza ecumenica. (…)

44. Oltre alle funzioni che già le sono state assegnate, è compito di questa commissione:a) tradurre in pratica le decisioni del Vescovo diocesano (…)b) mantenere rapporti con la commissione ecumenica territoriale (cfr. infra) e adattare i suoi consigli e i suoi suggerimenti alle condizioni locali (…)c) favorire l’ecumenismo spirituale (…) riguardo alla preghiera, pubblica e privata, per l’unità dei cristiani;d) offrire aiuto e appoggio (…) al modo in cui i seminaristi vengono preparati a dare la dovuta dimensione ecumenica alla predicazione (…)e) coltivare la cordialità e la carità tra i cattolici e gli altri cristiani (…)h) promuovere, in collaborazione con altre organizzazioni diocesane e con gli altri cristiani, nella misura del possibile, una testimonianza comune di fede cristiana (…)

La commissione ecumenica dei Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e delle Conferenze episcopali

46. Ogni Sinodo delle Chiese orientali cattoliche e ogni Conferenza episcopale, secondo le procedure loro proprie, costituiranno una commissione episcopale per l’ecumenismo, assistita da esperti, uomini e donne, scelti tra il clero, tra religiosi e religiose e tra laici (…).

47. Le funzioni di questa commissione comprenderanno quelle enumerate al n. 44 (…)

Istituti di vita consacrata e società di vita apostolica

50. Poiché la cura di ristabilire l’unità dei cristiani riguarda tutta la Chiesa, tanto i ministri sacri quanto i laici [55], gli ordini religiosi, le congregazioni religiose e le società di vita apostolica, per la natura stessa dei loro compiti nella Chiesa e per il loro contesto di vita, hanno occasioni specifiche di favorire l’ideale e l’azione ecumenica. In conformità ai propri carismi (…):

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a) favorire la consapevolezza dell’importanza ecumenica delle loro particolari forme di vita, poiché la conversione del cuore, la santità personale, la preghiera, pubblica e privata, e il servizio disinteressato alla Chiesa e al mondo sono il cuore del movimento ecumenico (…)f) collaborare con altri cristiani in un’azione comune per la giustizia sociale, lo sviluppo economico, il miglioramento delle condizioni sanitarie e dell’educazione, la tutela del creato, e per la pace e la riconciliazione tra le nazioni e le comunità (…).

Organizzazioni dei fedeli

52. Le organizzazioni dei fedeli cattolici (…) Nello svolgere le loro attività ecumeniche, restino in rapporto con le commissioni ecumeniche territoriali e locali (…).

Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

53. A livello della Chiesa universale, il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che è un dicastero della Curia romana, ha la competenza e l’incarico di promuovere la piena comunione di tutti i cristiani. (…)a) Il Pontificio Consiglio si occupa della retta interpretazione dei principi dell’ecumenismo e dei mezzi per la loro applicazione; attua le decisioni del concilio Vaticano Il concernenti l’ecumenismo; stimola e assiste i gruppi nazionali e internazionali impegnati a promuovere l’unità dei cristiani e aiuta a coordinare le loro iniziative.b) Organizza dialoghi ufficiali con le altre Chiese e comunità ecclesiali a livello internazionale ; (…)

III - LA FORMAZIONE ALL’ECUMENISMO NELLA CHIESA CATTOLICA

Necessità e finalità della formazione ecumenica55. «La cura di ristabilire l’unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo la propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici» [57]. Tenuto conto della natura della Chiesa cattolica, i cattolici troveranno nella fedeltà alle indicazioni del concilio Vaticano II i mezzi per contribuire alla formazione ecumenica sia di ciascun membro sia dell’intera comunità alla quale appartengono. (…)

Adeguamento della formazione alle condizioni concrete delle persone

56. (…) la formazione ecumenica richiede una pedagogia che sia adattata alle concrete situazioni di vita delle persone e dei gruppi (…).

57. Tutti coloro che si occupano di pastorale e non soltanto gli insegnanti verranno, quindi, formati gradatamente, secondo i seguenti orientamenti fondamentali:a) Fin dagli inizi sono necessarie la conoscenza della sacra Scrittura e la formazione dottrinale, non disgiunte dalla conoscenza della storia e della situazione ecumenica del paese in cui si vive.b) La conoscenza della storia delle divisioni e degli sforzi di riconciliazione, come pure delle posizioni dottrinali delle altre Chiese e comunità ecclesiali (…).Sapranno vagliare e accogliere la verità, ovunque sia: « Ogni verità, da qualunque parte venga, è dallo Spirito santo» [60].

A. FORMAZIONE DI TUTTI I FEDELI

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58. La sollecitudine per l’unità è al cuore della concezione della Chiesa. Scopo della formazione ecumenica è che tutti i cristiani siano animati dallo spirito ecumenico, qualunque sia la loro particolare missione e la loro specifica funzione nel mondo e nella società. Nella vita del fedele, riempito dello Spirito di Cristo, è di capitale importanza il dono implorato da Cristo prima della sua Passione, cioè «la grazia dell’unità». Tale unità è, in primo luogo, l’unità con Cristo in un unico moto di carità verso il Padre e verso il prossimo. In secondo luogo, è la comunione profonda e attiva del fedele con la Chiesa universale nella Chiesa particolare cui appartiene [61]. In terzo luogo, è la pienezza dell’unità visibile ricercata con tutti i cristiani delle altre Chiese e comunità ecclesiali.

I mezzi di formazione59. L’ascolto e lo studio della Parola di Dio. (…)60. La predicazione. (…)61. La catechesi (…):a) (…) deve esporre con chiarezza, con carità e con la dovuta fermezza tutta la dottrina della Chiesa cattolica, rispettando specialmente l’ordine e la gerarchia delle verità [65] (…)b) Parlando delle altre Chiese e comunità ecclesiali, è importante presentare correttamente e lealmente il loro insegnamento. (…) Lo Spirito di Cristo non rifiuta di servirsi ditali comunità come mezzi di salvezza. (…)62. La liturgia. (…)a) Poiché la santa eucaristia è «il mirabile sacramento dal quale l’unità della Chiesa è simboleggiata e prodotta» [74], è molto importante aver cura che sia ben celebrata, affinché i fedeli che vi partecipano, (…) siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti» [75].b) È bene essere fedeli alla preghiera per l’unità dei cristiani, secondo le indicazioni del presente Direttorio (…)63. La vita spirituale. (…) «Questa conversione del cuore e questa santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale» [76]. (…)

Gli ambiti più adatti alla formazione65. Sono i luoghi in cui si sviluppano gradualmente la maturità umana e cristiana, il senso della socialità e la comunione. Per questo la famiglia, la parrocchia, la scuola, i gruppi, le associazioni e i movimenti ecclesiali hanno una singolare importanza.

66. La famiglia (…)a) consapevolezza della propria identità cristiana e della propria missione (…) «i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori del Vangelo» (LG 11).b) Le famiglie sorte da un matrimonio misto hanno il dovere di sforzarsi di annunziare Cristo (…) rendersi esse stesse artefici di unità [82].

67. La parrocchia, in quanto unità ecclesiale radunata attorno all’Eucaristia, deve essere e proclamarsi luogo dell’autentica testimonianza ecumenica. Uno dei grandi doveri della parrocchia è, pertanto, quello di coltivare nei suoi membri lo spirito ecumenico. (…)

68. La scuola, di ogni ordine e grado, deve dare una dimensione ecumenica all’insegnamento religioso in essa impartito e, secondo la propria peculiarità, tendere alla formazione del cuore e dell’intelligenza ai valori umani e religiosi, educando al dialogo, alla pace, alle relazioni interpersonali [85] (…)

69. I gruppi, le associazioni e i movimenti ecclesiali. (…)

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B. FORMAZIONE DI COLORO CHE OPERANO NEL MINISTERO PASTORALE

1. Ministri ordinati70. Tra i principali doveri di ogni futuro ministro ordinato c’è quello di (…) acquisire una attitudine autenticamente ecumenica. Ciò è essenziale per chi ha una funzione di maestro e di pastore in una Chiesa particolare, come il Vescovo, come pure per chi come presbitero viene destinato alla cura d’anime, ma non è meno importante per il diacono, e in modo particolare per i diaconi permanenti, chiamati a servire la comunità dei fedeli.

a) Formazione dottrinale

72. Le Conferenze episcopali si accerteranno che i piani di studi mettano in rilievo la dimensione ecumenica di ogni materia e prevedano uno studio specifico dell’ecumenismo. Verificheranno che questi piani di studio siano conformi alle indicazioni del presente Direttorio.

74. Gli studenti devono imparare a distinguere tra le verità rivelate — le quali esigono tutte il medesimo assenso di fede —, il modo con cui vengono enunziate e le dottrine teologiche[88]. (…)75. Inoltre, è necessario che sia sempre rispettata la «gerarchia delle verità» della dottrina cattolica; (…)

77. In ogni disciplina teologica, l’approccio ecumenico deve portare a considerare il legame esistente tra la materia particolare e il mistero dell’unità della Chiesa.

79. Anche se tutta la formazione teologica dev’essere permeata dalla dimensione ecumenica, è di singolare importanza che nell’ambito del primo ciclo, al momento più adatto, sia proposto un corso di ecumenismo, che dovrebbe essere reso obbligatorio. (…)

2. Ministri e collaboratori non ordinatia) Formazione dottrinale83. All’azione pastorale, oltre ai ministri ordinati, collaborano altri operatori riconosciuti: i catechisti, gli insegnanti, gli animatori laici. Per la loro formazione, nelle Chiese locali sono stati costituiti gli istituti di scienze religiose, gli istituti di pastorale e altri centri di formazione e di aggiornamento. Valgono per essi gli stessi piani di studio e le medesime norme degli istituti di teologia, ma con i necessari adattamenti al livello dei partecipanti e dei loro studi.

C. FORMAZIONE SPECIALIZZATA

87. Importanza della formazione al dialogo. Tenendo conto dell’influenza dei centri superiori di cultura, appare evidente che le facoltà ecclesiastiche e gli altri istituti di studio superiori hanno una funzione particolarmente importante nella preparazione al dialogo ecumenico, in vista del suo svolgimento e del progresso dell’unità dei cristiani, che proprio il dialogo aiuta a conseguire. (…)

Ruolo delle facoltà ecclesiastiche88. (…) fin dal primo ciclo della facoltà di teologia, si deve studiare la teologia fondamentale con riferimento anche alle questioni connesse con l’ecumenismo [101]. Parimenti, durante il secondo ciclo, «le questioni ecumeniche devono essere accuratamente trattate, secondo le norme emanate dalla competente autorità ecclesiastica» [102].

Ruolo delle università cattoliche

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89. Anche le università cattoliche sono chiamate a dare una solida formazione ecumenica.

D. FORMAZIONE PERMANENTE91. La formazione dottrinale e pratica non si limita al periodo di formazione, ma esige dai ministri ordinati e dagli operatori pastorali un continuo aggiornamento, dato che il movimento ecumenico è in evoluzione. (…)

IV - COMUNIONE DI VITA E DI ATTIVITÀ SPIRITUALE TRA I BATTEZZATI

A. IL SACRAMENTO DEL BATTESIMO

92. Per mezzo del sacramento del battesimo una persona è veramente incorporata a Cristo e alla sua Chiesa, e viene rigenerata per partecipare alla vita divina [103]. Il battesimo costituisce quindi il vincolo sacramentale dell’unità (…)

93. Il battesimo è conferito con l’acqua e una formula che indica chiaramente l’atto di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Di conseguenza, è di somma importanza (…) che il battesimo venga amministrato da tutti in questo modo (…)

95. Per arrivare a tali forme di accordo, occorrerà avere ben presenti i seguenti punti:a) Il battesimo per immersione, o per infusione, con la formula trinitaria è, in sé, valido. (…)b) La fede insufficiente di un ministro in ciò che concerne il battesimo, di per sé non ha mai reso invalido un battesimo. L’intenzione sufficiente del ministro che battezza deve essere presunta, a meno che non ci sia un serio motivo di dubitare che egli abbia voluto fare ciò che fa la Chiesa.

97. (…) un battesimo non deve essere conferito congiuntamente da due ministri appartenenti a Chiese o a comunità ecclesiali diverse. (…)

98. Secondo il pensiero cattolico, i padrini e le madrine, nell’accezione liturgica e canonica, devono essere membri della Chiesa o della comunità ecclesiale nella quale viene celebrato il battesimo. Essi non si assumono soltanto la responsabilità dell’educazione cristiana della persona battezzata (o cresimata) in qualità di parente o amico; essi sono lì pure come rappresentanti di una comunità di fede, garanti della fede e del desiderio di comunione ecclesiale del candidato.a) Basandosi sul battesimo comune (…) un battezzato che appartiene ad un’altra comunità ecclesiale può tuttavia essere ammesso come testimone del battesimo, ma soltanto insieme con un padrino cattolico [107]. Un cattolico può svolgere la medesima funzione nei confronti di una persona che deve essere battezzata in un’altra comunità ecclesiale.b) In forza della stretta comunione esistente tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse, è consentito, per un valido motivo, ammettere un fedele orientale con il ruolo di padrino congiuntamente ad un padrino cattolico (o una madrina) al battesimo di un bambino o di un adulto cattolico, a condizione che si sia sufficientemente provveduto all’educazione del battezzato e che sia riconosciuta l’idoneità del padrino.

99. Ogni cristiano ha il diritto, per motivi di coscienza, di decidere liberamente di entrare nella piena comunione cattolica [109]. (…)a) La validità del battesimo, come è conferito nelle varie Chiese orientali, non è assolutamente oggetto di dubbio. E quindi sufficiente stabilire che il battesimo sia stato amministrato. In queste Chiese il sacramento della confermazione (crismazione) è legittimamente amministrato dal sacerdote contemporaneamente al battesimo; può pertanto accadere con una certa frequenza che nella certificazione canonica del battesimo non sia fatta alcuna menzione della confermazione. Ciò non autorizza affatto a mettere in dubbio che sia stata conferita anche la confermazione.

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b) Quanto ai cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali, (…) la mancanza di un accordo formale sul battesimo, non deve automaticamente condurre a dubitare della validità del battesimo.

101. Allo stato attuale delle nostre relazioni con le comunità ecclesiali sorte dalla Riforma del XVI secolo, non si è ancora arrivati ad un accordo né sul significato, né sulla natura sacramentale e neppure sull’amministrazione del sacramento della confermazione. Di conseguenza, nelle circostanze attuali, le persone che entrassero nella piena comunione della Chiesa cattolica e che venissero da queste comunità, dovrebbero ricevere il sacramento della confermazione secondo la dottrina e il rito della Chiesa cattolica, prima di essere ammesse alla Comunione eucaristica.

B. CONDIVISIONE DI ATTIVITÀ E DI RISORSE SPIRITUALI

Principi generali

103. L’espressione «condivisione di attività e di risorse spirituali» comprende realtà quali la preghiera fatta in comune, la partecipazione al culto liturgico in senso stretto, come viene specificato sotto, al n. 116, e così pure l’uso comune dei luoghi e di tutti gli oggetti liturgici necessari.

104. (…) Poiché la concelebrazione eucaristica è una manifestazione visibile della piena comunione di fede, di culto e di vita comune della Chiesa cattolica, espressa dai ministri di questa Chiesa, non è permesso concelebrare l’Eucaristia con ministri di altre Chiese o comunità ecclesiali.

107. I cattolici devono dar prova di un sincero rispetto per la disciplina liturgica e sacramentale delle altre Chiese e comunità ecclesiali (…)

Preghiera in comune

108. Là dove è opportuno, i cattolici devono essere incoraggiati a radunarsi per pregare con cristiani appartenenti ad altre Chiese e comunità ecclesiali, secondo le norme dettate dalla Chiesa. (…)

110. La preghiera comune dovrebbe avere però come oggetto innanzi tutto la ricomposizione dell’unità dei cristiani. (…) La preghiera comune è particolarmente raccomandata durante la «Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani» o nel periodo che intercorre tra l’Ascensione e la Pentecoste.

112. (…) le celebrazioni comuni, di cui si è ora parlato, possono aver luogo nella chiesa dell’una o dell’altra delle comunità interessate, con il consenso di tutti i partecipanti. (…)

114. In alcuni casi, (…) può essere utile ricorrere alla condivisione spirituale sotto la forma di ritiri, di esercizi spirituali, di gruppi di studio e di reciproca comunicazione di tradizioni di spiritualità, nonché di forme di incontro più stabili per l’approfondimento di una vita spirituale comune. (…)

115. Dato che la celebrazione dell’Eucaristia nel giorno del Signore è il fondamento e il centro di tutto l’anno liturgico [120], i cattolici, fatto salvo il diritto delle Chiese orientali[121], hanno l’obbligo di partecipare alla messa la domenica e nei giorni di precetto [122]. Per questo motivo si sconsiglia di organizzare servizi ecumenici la domenica e si ricorda che, anche quando dei cattolici partecipano a servizi ecumenici e a servizi di altre Chiese e comunità ecclesiali, nei giorni suddetti rimane l’obbligo di partecipare alla messa.

Condivisione di vita sacramentale, in particolare dell’Eucaristia

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a) Condivisione di vita sacramentale con i membri delle varie Chiese orientali122. Tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali che non sono in piena comunione con essa, esiste comunque una comunione molto stretta nel campo della fede [125]. (…) «quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia»  (…).123. (…) è lecito a ogni cattolico, per il quale sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi da parte di un ministro di una Chiesa orientale [128] (…)

125. I ministri cattolici possono amministrare lecitamente i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi ai membri delle Chiese orientali (…)

b) Condivisione di vita sacramentale con i cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali129. (…) la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile. (…) la Chiesa cattolica, in linea di principio, ammette alla comunione eucaristica e ai sacramenti della penitenza e della unzione degli infermi esclusivamente coloro che sono nella sua unità di fede, di culto e di vita ecclesiale [133]. (…)

130. In caso di pericolo di morte, i ministri cattolici possono amministrare questi sacramenti alle condizioni sotto elencate (n. 131) (…)

131. Le condizioni (…) sono: che detta persona sia nell’impossibilità di accedere ad un ministro della sua Chiesa o comunità ecclesiale per ricevere il sacramento desiderato, che chieda del tutto spontaneamente quel sacramento, che manifesti la fede cattolica circa il sacramento chiesto e che abbia le dovute disposizioni [137] (…).

Condivisione di altre risorse per la vita e l’attività spirituale

137. (…) il Vescovo diocesano può loro permettere di usare una chiesa o un edificio cattolico e anche prestar loro gli oggetti necessari per il loro culto.

C. MATRIMONI MISTI

143. (…) L’espressione «matrimonio misto» si riferisce ad ogni matrimonio fra una parte cattolica e una parte cristiana battezzata che non è in piena comunione con la Chiesa cattolica [139].

144. (…) La perfetta unione delle persone e la condivisione completa della vita, che costituiscono lo stato matrimoniale, sono più facilmente assicurati quando i coniugi appartengono alla medesima comunità di fede. Inoltre (…) i matrimoni misti presentano spesso difficoltà per le coppie stesse e per i loro figli in ordine alla conservazione della fede, all’impegno cristiano e all’armonia della vita familiare. Per tutti questi motivi, il matrimonio tra persone che appartengono alla stessa comunità ecclesiale rimane l’obiettivo da raccomandare e da incoraggiare.

148. (…) Ciascuno dei coniugi, pur continuando ad essere fedele al proprio impegno cristiano e a viverlo, dovrà ricercare ciò che può condurre all’unità e all’armonia, senza minimizzare le reali differenze ed evitando un atteggiamento di indifferenza religiosa.

149. Per favorire una maggiore comprensione e una più profonda unità, ciascun coniuge dovrà cercare di conoscere meglio le convinzioni religiose dell’altro e gli insegnamenti e le pratiche religiose della Chiesa o comunità ecclesiale cui l’altro appartiene. (…) la preghiera in comune è

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essenziale per la loro armonia spirituale, e che la lettura e lo studio della sacra Scrittura sono di grande importanza. (…)

150. (…) si chiederà alla parte cattolica (…) di dichiararsi pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e di promettere sinceramente di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica. (…)

151. Il genitore cattolico, nel compiere il proprio dovere di trasmettere la fede cattolica ai figli, rispetterà la libertà religiosa e la coscienza dell’altro genitore, e avrà cura dell’unità e della stabilità del matrimonio e di conservare la comunione della famiglia.

159. Poiché possono presentarsi problemi riguardanti la condivisione eucaristica, a causa della presenza di testimoni o di invitati non cattolici, un matrimonio misto, celebrato secondo la forma cattolica, ha generalmente luogo al di fuori della liturgia eucaristica. (…)

V - COLLABORAZIONE ECUMENICA, DIALOGO E TESTIMONIANZA COMUNE

161. Quando i cristiani vivono e pregano insieme nel modo descritto nel capitolo IV, danno testimonianza della fede che condividono e del loro battesimo nel nome di Dio, il Padre di tutti, nel Figlio suo Gesù, Redentore di tutti, e nello Spirito santo che con la potenza del suo amore tutto trasforma e unisce. Fondate su questa comunione di vita e di doni spirituali, ci sono molte altre forme di collaborazione ecumenica che esprimono e giovano all’unità e mettono in luce la testimonianza della potenza salvifica del Vangelo che i cristiani offrono al mondo (…)

162. (…) La loro collaborazione li può aiutare a superare ciò che ostacola la piena comunione, a mettere insieme le loro risorse per realizzare una vita e un servizio cristiani insieme alla comune testimonianza che ne deriva, in vista della missione che condividono:

Consigli di Chiese e Consigli cristiani

166. I Consigli di Chiese e i Consigli cristiani sono le più stabili tra le strutture costituite per promuovere l’unità e la collaborazione ecumenica. Un Consiglio di Chiese è composto di Chiese [158] ed è responsabile nei confronti delle Chiese che lo formano. Un Consiglio cristiano è composto, oltre che di Chiese, di altre organizzazioni e gruppi cristiani. (…) procurano di dare ai loro membri la possibilità di operare insieme, di avviare un dialogo, di superare le divisioni e le incomprensioni, di sostenere la preghiera e l’azione per l’unità, e di offrire, nella misura del possibile, una testimonianza e un servizio cristiani comuni. (…)

170. L’appartenenza cattolica ad un Consiglio locale, nazionale o regionale è completamente differente dalle relazioni tra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese.

Il dialogo ecumenico172. Il dialogo è al centro della collaborazione ecumenica e l’accompagna in tutte le sue forme. Il dialogo esige che si ascolti e si risponda, che si cerchi di comprendere e di farsi comprendere. (…) La reciprocità e l’impegno vicendevole sono clementi essenziali del dialogo e, così pure, la consapevolezza che gli interlocutori sono su un piede di parità [161].

173. La Chiesa cattolica può avviare il dialogo a livello diocesano, a livello di Conferenza episcopale o di Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e a livello di Chiesa universale. (…)

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174. A livello locale vi sono innumerevoli occasioni di incontro tra cristiani: dalle conversazioni informali che avvengono nella vita quotidiana (…) ai gruppi di studio su argomenti specificamente ecumenici.

176. Gli interlocutori cattolici del dialogo si attengano ai principi riguardanti la dottrina cattolica enunciati dal decreto Unitatis redintegratio:

(…) si ricordino che esiste un ordine o «gerarchia» nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. (…)

178. Una commissione o un comitato istituito per avviare il dialogo su richiesta di due o più Chiese o comunità ecclesiali può giungere a gradi diversi di accordo sul tema proposto e può formulare conclusioni in una dichiarazione. (…)

179. Quando le competenti autorità ritengono i risultati di un dialogo pronti per essere sottoposti ad una valutazione, i membri del popolo di Dio, secondo il loro ruolo e il loro carisma, devono essere impegnati in questo processo critico. I fedeli, infatti, sono chiamati a esercitare «il senso soprannaturale della fede (sensus fidei)», che è dell’intero popolo, allorché, «dai vescovi fino all’ultimo dei fedeli laici» esprime un consenso universale alle verità concernenti la fede e i costumi. Questo senso della fede, suscitato e sorretto dallo Spirito di verità e sotto la guida del sacro Magistero (magisterium), mette in grado, se gli si obbedisce fedelmente, di accogliere non più una parola umana, ma la parola di Dio qual è veramente [164] (…).

Il lavoro comune a riguardo della Bibbia

183. La Parola di Dio, consegnata nelle Scritture, alimenta in diversi modi [170] la vita della Chiesa ed è un «eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini» [171]. La venerazione delle Scritture è un fondamentale legame di unità tra i cristiani, (…) La pubblicazione e la diffusione di adeguate edizioni della Bibbia sono condizioni preliminari all’ascolto della Parola.

185. Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, tramite il Segretariato generale della Federazione biblica cattolica, stabilisce e sviluppa rapporti con l’Alleanza biblica universale, che è l’organizzazione cristiana internazionale con cui il Segretariato ha congiuntamente pubblicato le Direttive riguardanti la cooperazione interconfessionale nella traduzione della Bibbia [173]. (…) Una collaborazione di questo tipo può costituire un antidoto contro l’uso della Bibbia secondo una prospettiva fondamentalista o con vedute settarie.

Testi liturgici comuni187. Le Chiese e le comunità ecclesiali i cui membri vivono in un ambiente culturale omogeneo dovrebbero, là dove è possibile, redigere insieme una raccolta dei più importanti testi cristiani (il Padre Nostro, il Simbolo degli apostoli, il Credo di Nicea–Costantinopoli, una Dossologia trinitaria, il Gloria). Tale raccolta sarebbe destinata ad essere usata regolarmente da tutte le Chiese e comunità ecclesiali, almeno quando pregano in comune, in occasioni ecumeniche. (…)

La collaborazione ecumenica nel campo della catechesi188. A integrazione della normale catechesi, che in ogni modo i cattolici devono ricevere, la Chiesa cattolica riconosce che, in situazioni di pluralismo religioso, la collaborazione nel campo della catechesi può arricchire la sua vita e quella di altre Chiese e comunità ecclesiali, e anche rafforzare la sua capacità di rendere, in mezzo al mondo, una testimonianza comune alla verità del Vangelo, nella misura attualmente possibile (…)

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La collaborazione in istituti d’insegnamento superiore191. Molte occasioni di collaborazione ecumenica e di testimonianza comune sono offerte dallo studio scientifico della teologia e delle discipline ad essa connesse. Tale collaborazione è vantaggiosa per la ricerca teologica. Essa migliora la qualità dell’insegnamento teologico, aiutando i professori ad accordare all’aspetto ecumenico delle questioni teologiche l’attenzione che, nella Chiesa cattolica, è richiesta dal decreto conciliare Unitatis redintegratio [176]. (…)

La collaborazione nell’attività missionaria

205. La testimonianza comune data mediante tutte le forme di collaborazione ecumenica è già per se stessa missionaria. (…) Le divisioni esistenti tra i cristiani sono indubbiamente un grave ostacolo al buon esito della evangelizzazione [181]. (…)

208. La collaborazione ecumenica è soprattutto necessaria nella missione fra le masse scristianizzate del mondo contemporaneo (…)

La collaborazione ecumenica nel dialogo con altre religioni

210. (…) Nello stabilire rapporti religiosi con gli ebrei e nei loro rapporti con membri di altre religioni, in conformità alle direttive che li regolano, i cattolici possono trovare molte occasioni di collaborazione con membri di altre Chiese e comunità ecclesiali. (…)

La collaborazione ecumenica nella vita sociale e culturale211. La Chiesa cattolica considera la collaborazione ecumenica nella vita sociale e culturale un aspetto importante dell’azione che tende all’unità. Il decreto sull’ecumenismo ritiene che questa cooperazione esprima limpidamente il legame che unisce tutti i battezzati [187]. (…)

a) La collaborazione nello studio comune delle questioni sociali ed etiche214. (…) affrontare in modo ecumenico questioni di natura sociale cd etica; (…). Il fine di uno studio di questo genere condotto in comune è di promuovere una cultura cristiana, una «civiltà dell’amore»: l’umanesimo cristiano di cui spesso hanno parlato i papi Paolo VI e Giovanni Paolo II.

b) La collaborazione nell’ambito dello sviluppo, dei bisogni umani e della salvaguardia della creazione215. C’è un intrinseco legame tra lo sviluppo, i bisogni umani e la salvaguardia della creazione. L’esperienza ci ha insegnato che lo sviluppo che risponde ai bisogni umani non può fare cattivo uso o abusare delle risorse naturali senza gravi conseguenze.La responsabilità della tutela della creazione, la quale ha in se stessa la propria particolare dignità, è stata data dallo stesso Creatore a tutti i popoli in quanto custodi della creazione [193]. (…)

c) La collaborazione nel campo della sanitàd) La collaborazione nei mezzi di comunicazione sociale

Sua Santità papa Giovanni Paolo II ha approvato il presente Direttorio il 25 marzo 1993. L’ha confermato con la sua autorità e ne ha ordinato la pubblicazione. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario.

 

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LETTERA ENCICLICA UT UNUM SINT DI GIOVANNI PAOLO II (1995) Divisa in 3 capitoli, l’ultimo dei quali si concentra sulla strada che ancora resta da percorrere sulla via dell’unità (“quanta est nobis via”).Il primo capitolo - “L’impegno ecumenico della Chiesa Cattolica” - ribadisce la dottrina di UR sull’ecumenismo inteso come risposta alla precisa volontà di Dio rispetto all’unità visibile della Chiesa. Si ricordano le diverse modalità del dialogo, a partire dal riconoscimento delle proprie colpe per la divisione. Si fissa poi la base di partenza nella fede nella Trinità e in Cristo Salvatore e Redentore del mondo. Si rileva quindi il valore spirituale dell’ecumenismo. Necessitano il dialogo e la collaborazione pratica tra le diverse chiese.

Il secondo capitolo – “I frutti del dialogo” – ripercorre il cammino ecumenico nel corso del XX secolo, evidenziando le tappe che hanno riportato sulla via di una unità condivisa, attraverso azioni di bene comuni e iniziative teologiche: la TILC biblica, la traduzione interconfessionale in lingua corrente: è riconosciuta dalle varie chiese, dunque è una base negli incontri ecumenici di preghiera quando si parte dalla Parola; è in lingua corrente, dunque si privilegia la comprensione piuttosto che la fedeltà strettamente letterale al testo. Prima si usava la ABU (Alleanza Biblica Universale) che era una versione facilitata, adatta per i ragazzi. Si riconosce che i beni spirituali delle chiese possono esser un dono reciproco.

Nei nn. 50-51 GPII ricorda il dialogo con l’Oriente: esiste una commissione mista permanente di dialogo tra cattolici e ortodossi. Prima però (n. 52) ci sono stati incontri fondamentali tra i capi delle Chiese: Paolo VI e Atenagora, patriarca di Costantinopoli, si abbracciano a Gerusalemme nel 1964. Il primus inter pares ortodosso compie un pellegrinaggio comune con il Papa, scambiandosi poi la visita nelle rispettive residenze a Gerusalemme. Questo abbraccio è uno degli eventi del XX secolo, dopo lo scisma del 1054. A distanza di 50 anni, papa Francesco e Bartolomeo si sono incontrati nello stesso luogo, pianificando alcuni momenti comuni di un pellegrinaggio, firmando una comune dichiarazione di intenti ecumenici.Altro momento di dialogo nel 1965 – alla vigilia della chiusura del CVII, l’8 dicembre – è una dichiarazione comune di richiesta reciproca di perdono. Gli Ortodossi revocano di fatto la scomunica, mentre i cattolici la considerano soprattutto una purificazione della memoria (gli scomunicati ormai sono morti), riconoscendo i fatti del 1054 una colpa comune di cui chiedersi perdono. Una aggravio della divisione si ha con la IV crociata (1204) in cui i veneziani saccheggiarono Costantinopoli (con l’alibi di procurarsi risorse per la crociata) e il patriarca fu messo in fuga, spostandosi a Nicea per oltre 50 anni, mentre il papa vi stabilì un patriarca latino, creando un nuovo patriarcato opposto a quello ortodosso di Costantinopoli.

GPII nel 2001, in un incontro in Grecia, ha chiesto perdono per la IV crociata, affinché la misericordia di Dio potesse coprire la memoria di un tale evento.Il rapporto tra Paolo VI e Atenagora si stringe con visite comuni e reciproche. Ogni anno il 29 giugno gli ortodossi vengono a Roma per San Pietro, mentre una delegazione va a Costantinopoli per la festa di Sant’Andrea, il 30 novembre. Quest’anno sarà papa Francesco in persona in visita dal patriarca ortodosso Bartolomeo (28-30 novembre 2014).

GPII può dire di aver continuato in prima persona il CE, andando in visita da Dimitrios il 30 novembre 1979, decidendo l’istituzione di una commissione bilaterale permanente per il dialogo tra la Chiesa Cattolica e le chiese ortodosse. Oltre a Costantinopoli, ci sono i patriarcati antichi (Alessandria, Antiochia) e moderni (Russia, etc). Quindi le chiese ortodosse si trovano una settimana prima per coordinare un linea comune su cui avviare il dialogo coi cattolici, quindi alla fine si trovano 20 cattolici + 20 ortodossi delle diverse chiese.

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Ultimo incontro è stato ad Amman, con un certo irrigidimento dei russi sul primato petrino, ma si va avanti nel dialogo. Mentre i teologi discutono, dice papa Francesco, noi andiamo avanti (come vescovi e popolo di Dio). Il problema teologico è il primato di Pietro. Che viene affrontato nella terza parte.

Il terzo capitolo – “Quanta est nobis via?” – esamina quanto ancora resta da fare. In modo particolare si esamina che cosa può fare il papa, al servizio dell’unità. Nn 88-96 (95!)LG ma soprattutto UR ricorda che l’unità deve esser attorno al segno visibile che è il vescovo di Roma (sub/cum Petro).Il vescovo di Roma è successore di Pietro e di Paolo: è vescovo di sede apostolica, fondata da Pietro e Paolo – così facendo si ricorda che Roma non è importante solo per Pietro ma per entrambi gli apostoli. Così si smorza l’insistenza su Pietro soltanto. Mt 16, 18 ribadisce il primato di Pietro ma il servizio dell’unità va condotto nell’umiltà. Non è una autorità di comando bensì di servizio. È il primo dei servitori dell’unità (fr Roger si fa chiamare “servo della comunione”).

Nel nr. 95 emerge il contenuto più importante: 95. Tutto questo si deve però compiere sempre nella comunione. Quando la Chiesa cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi "vicari e delegati di Cristo"153. Il Vescovo di Roma appartiene al loro "collegio" ed essi sono i suoi fratelli nel ministero.Ciò che riguarda l'unità di tutte le comunità cristiane rientra ovviamente nell'ambito delle preoccupazioni del primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti "dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina"154.In tal modo il primato esercitava la sua funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios I, ho detto di essere consapevole che "per delle ragioni molto diverse, e contro la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha potuto manifestarsi sotto una luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri"155. 

GPII sente la responsabilità di un ruolo speciale nel favorire il CE. Sente il dovere di prestare ascolto alle richieste della commissione bilaterale di dialogo. Il primato voluto da Cristo è semplicemente un primato di unità oppure, come nelle chiese cattoliche, ha anche un peso gerarchico? GPII è disponibile a trovare forme nuove di esercizio del primato, senza però rinunciare alle caratteristiche essenziali. Bisogna guardare alla storia precedente lo scisma del 1054, prima rottura cui son seguite quella della Riforma e infine l’odierna con le chiese pentecostali.

Anche papa Francesco nella Evangelii Gaudium (2013), n. 32, ricorda tale coscienza di GPII e si sente di proseguire sulla stessa strada, riconoscendo che c’è ancora tanto da fare: (1) anch’io devo esser disponibile a riconoscere un rinnovamento del modo di esercitare il primato petrino, (2) ritrovando la collegialità tra vescovi, valorizzando le conferenze episcopali, lasciando ai primati

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delle diverse aree pastorali la responsabilità di nominare i singoli vescovi… In Oriente ci sono i patriarcati, in Occidente le conferenze episcopali nelle diverse realtà locali.

Il Card. Bergoglio a Buenos Aires era anche ordinario per i cattolici di rito orientale che erano sprovvisti di un loro ordinario. Ha poi avuto amicizie e buoni rapporti personali con cristiani non cattolici, ad esempio partecipando al Natale ortodosso (7 gennaio), favorendo le relazioni fra le stesse chiese ortodosse separate tra loro. La sera del 13 marzo 2013, appena eletto pontefice, si è presentato come “vescovo di Roma”, non con primaria intenzione ecumenica ma perché anzitutto pensava di essere papa in quanto vescovo di Roma. Ma il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, è andato a Roma per l’inizio del ministero petrino (19 marzo, san Giuseppe). Si è creata una amicizia personale molto profonda. I due temi su cui stanno lavorando maggiormente sono la lotta alla povertà (priorità di papa Francesco) e la custodia del creato (priorità del “patriarca verde”, Bartolomeo). Il 1 settembre è una giornata ecumenica dedicata alla “custodia del creato”. È il giorno di avvio ufficiale dell’anno pastorale ortodosso. Papa Francesco lavora con i suoi “fratelli”, cioè i patriarchi delle chiese orientali che sono “discendenti” degli apostoli. In particolare col patriarca di Costantinopoli. Con un avvicinamento che suscita un certo timore nel patriarcato russo.

Introduzione L'impegno ecumenico

1. Ut unum sint! L'appello all'unità dei cristiani, che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha riproposto con così appassionato impegno, risuona con sempre maggiore vigore nel cuore dei credenti, specie all'approssimarsi dell'Anno Duemila che sarà per loro un Giubileo sacro, memoria dell'Incarnazione del Figlio di Dio, fattosi uomo per salvare l'uomo.La testimonianza coraggiosa di tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica, infonde nuova forza all'appello conciliare e ci richiama l'obbligo di accogliere e mettere in pratica la sua esortazione. Questi nostri fratelli e sorelle, accomunati nell'offerta generosa della loro vita per il Regno di Dio, sono la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo.Cristo chiama tutti i suoi discepoli all'unità. L'ardente desiderio che mi muove è di rinnovare oggi questo invito, di riproporlo con determinazione, ricordando (…) che, uniti nella sequela dei martiri, i credenti in Cristo non possono restare divisi. Se vogliono veramente ed efficacemente combattere la tendenza del mondo a rendere vano il Mistero della Redenzione, essi debbono professare insieme la stessa verità sulla Croce. La Croce! (…)

2. A nessuno sfugge la sfida che tutto ciò pone ai credenti. Essi non possono non raccoglierla. (…) per superare ostacoli e pregiudizi, che impediscono l'annuncio del Vangelo della salvezza mediante la Croce di Gesù, unico Redentore dell'uomo, di ogni uomo?Ringrazio il Signore perché ci ha indotto a progredire lungo la via difficile, ma tanto ricca di gioia, dell'unità e della comunione fra i cristiani. I dialoghi interconfessionali a livello teologico hanno dato frutti positivi e tangibili: ciò incoraggia ad andare avanti.Tuttavia, oltre alle divergenze dottrinali da risolvere, i cristiani non possono sminuire il peso delle ataviche incomprensioni che essi hanno ereditato dal passato, dei fraintendimenti e dei pregiudizi degli uni nei confronti degli altri. Non di rado, poi, l'inerzia, l'indifferenza ed una insufficiente conoscenza reciproca aggravano tale situazione. Per questo motivo, l'impegno ecumenico deve fondarsi sulla conversione dei cuori e sulla preghiera, le quali indurranno anche alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la grazia dello Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati dall'amore, dal coraggio della verità e dalla volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di

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riconciliarsi, sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua purtroppo a provocare anche oggi. Sono invitati dalla forza sempre giovane del Vangelo a riconoscere insieme con sincera e totale obiettività gli errori commessi e i fattori contingenti intervenuti all'origine delle loro deprecabili separazioni. Occorre un pacato e limpido sguardo di verità, vivificato dalla misericordia divina, capace di liberare gli spiriti e di suscitare in ciascuno una rinnovata disponibilità, proprio in vista dell'annuncio del Vangelo agli uomini di ogni popolo e nazione.

3. Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i "segni dei tempi". Le esperienze, che essa ha vissuto in questi anni e che continua a vivere, la illuminano ancor più profondamente sulla sua identità e sulla sua missione nella storia. La Chiesa cattolica riconosce e confessa le debolezze dei suoi figli, consapevole che i loro peccati costituiscono altrettanti tradimenti ed ostacoli alla realizzazione del disegno del Salvatore. Sentendosi costantemente chiamata al rinnovamento evangelico, essa non cessa dunque di fare penitenza. Al tempo stesso, però, riconosce ed esalta ancora di più la potenza del Signore il quale, avendola colmata del dono della santità, l'attira e la conforma alla Sua passione e alla Sua risurrezione.Edotta dalle molteplici vicende della sua storia, la Chiesa è impegnata a liberarsi da ogni sostegno puramente umano, per vivere in profondità la legge evangelica delle Beatitudini (…) nulla ricerca per sé se non la libertà d'annunciare il Vangelo. La sua autorità infatti si esercita nel servizio della verità e della carità.Io stesso intendo promuovere ogni utile passo affinché la testimonianza dell'intera comunità cattolica possa essere compresa nella sua integrale purezza e coerenza (…)

4. È questo un preciso impegno del Vescovo di Roma in quanto successore dell'apostolo Pietro. Io lo svolgo con la convinzione profonda di ubbidire al Signore e con la piena consapevolezza della mia umana fragilità. Infatti, se Cristo stesso ha affidato a Pietro questa speciale missione nella Chiesa e gli ha raccomandato di confermare i fratelli, Egli gli ha fatto conoscere allo stesso tempo la sua debolezza umana ed il suo particolare bisogno di conversione: "Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32). Proprio nell'umana debolezza di Pietro si manifesta pienamente come, per adempiere questo speciale ministero nella Chiesa, il Papa dipenda totalmente dalla grazia e dalla preghiera del Signore: "Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede" (Lc 22,32). (…) Il Vescovo di Roma in prima persona deve far sua con fervore la preghiera di Cristo per la conversione, che è indispensabile a "Pietro" per poter servire i fratelli. Di cuore chiedo che partecipino a questa preghiera i fedeli della Chiesa cattolica e tutti i cristiani. Insieme a me, tutti preghino per questa conversione.Sappiamo che la Chiesa nel suo peregrinare terreno ha sofferto e continuerà a soffrire di opposizioni e persecuzioni. La speranza che la sostiene è tuttavia incrollabile, come è indistruttibile la gioia che da tale speranza scaturisce. Infatti, la roccia salda e perenne, su cui essa è fondata, è Gesù Cristo suo Signore. I - L'impegno ecumenico della Chiesa cattolica

Il disegno di Dio e la comunione

5. Assieme a tutti i discepoli di Cristo, la Chiesa cattolica fonda sul disegno di Dio il suo impegno ecumenico di radunare tutti nell'unità. Infatti "la Chiesa non è una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la

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costituisce: raccogliere tutti e tutto in Cristo; ad essere per tutti "sacramento inseparabile di unità""4.Già nell'Antico Testamento, riferendosi a quella che era allora la situazione del popolo di Dio, il profeta Ezechiele, ricorrendo al semplice simbolo di due legni prima distinti, poi accostati l'uno all'altro, esprimeva la volontà divina di "radunare da ogni parte" i membri del suo popolo lacerato: "Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele" (cfr. 37,16-28). Il Vangelo giovanneo, da parte sua, e di fronte alla situazione del popolo di Dio a quel tempo, vede nella morte di Gesù la ragione dell'unità dei figli di Dio: "Doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (11,51-52). Infatti, spiegherà la Lettera agli Efesini, "abbattendo il muro di separazione, [...] per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia", di ciò che era diviso egli ha fatto una unità (cfr. 2,14-16). 

6. L'unità di tutta l'umanità lacerata è volontà di Dio. Per questo motivo Egli ha inviato il suo Figlio perché, morendo e risorgendo per noi, ci donasse il suo Spirito d'amore. Alla vigilia del sacrificio della Croce, Gesù stesso chiede al Padre per i suoi discepoli, e per tutti i credenti in lui, che siano una cosa sola, una comunione vivente. Da ciò deriva non soltanto il dovere, ma anche la responsabilità che incombe davanti a Dio, di fronte al suo disegno, su quelli e quelle che per mezzo del Battesimo diventano il Corpo di Cristo, Corpo nel quale debbono realizzarsi in pienezza la riconciliazione e la comunione. (…) La "divisione contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ed è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura"5. 

La via ecumenica: via della Chiesa

7. "Il Signore dei secoli, che con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato ad effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l'interiore ravvedimento ed il desiderio dell'unione. Moltissimi uomini in ogni parte del mondo sono stati toccati da questa grazia, e anche tra i nostri fratelli separati è sorto, per impulso della grazia dello Spirito Santo, un movimento ogni giorno più ampio per il ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo movimento per l'unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Signore e Salvatore, e non solo singole persone separatamente, ma anche riunite in gruppi, nei quali hanno ascoltato il Vangelo e che i singoli dicono essere la Chiesa loro e di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio"6. 

8. Tale affermazione del Decreto Unitatis redintegratio va letta nel contesto dell'intero magistero conciliare. (…).Nell'indicare i principi cattolici dell'ecumenismo, l'Unitatis redintegratio si ricollega prima di tutto all'insegnamento sulla Chiesa della Costituzione Lumen gentium, nel suo capitolo che tratta del popolo di Dio8. Allo stesso tempo, esso ha presente quanto affermato dalla Dichiarazione conciliare Dignitatis humanæ sulla libertà religiosa9. La Chiesa cattolica accoglie con speranza l'impegno ecumenico come un imperativo della coscienza cristiana illuminata dalla fede e guidata dalla carità (…).

9. Gesù stesso nell'ora della sua Passione ha pregato "perché tutti siano una sola cosa" (Gv 17,21). Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all'essere stesso di questa comunità. Dio vuole la Chiesa, perché egli vuole l'unità e nell'unità si esprime tutta la profondità della sua agape.

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Infatti, questa unità data dallo Spirito Santo non consiste semplicemente nel confluire insieme di persone che si sommano l'una all'altra. È una unità costituita dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti e della comunione gerarchica10. (…) Le parole di Cristo "che tutti siano una cosa sola" sono dunque la preghiera rivolta al Padre perché il suo disegno si compia pienamente, così che risplenda "agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, Creatore dell'universo" (Ef 3,9). Credere in Cristo significa volere l'unità; volere l'unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l'eternità. Ecco qual è il significato della preghiera di Cristo: "Ut unum sint". 

10. (…) Il Concilio dice che "la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui" e nel contempo riconosce che "al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica"11."Perciò le Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto prive di significato e valore. Lo spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui efficacia deriva dalla stessa pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica"12. 

11. In questo modo la Chiesa cattolica afferma che, durante i duemila anni della sua storia, è stata conservata nell'unità con tutti i beni con i quali Dio vuole dotare la sua Chiesa, e ciò malgrado le crisi spesso gravi che l'hanno scossa, le carenze di fedeltà di alcuni suoi ministri e gli errori in cui quotidianamente si imbattono i suoi membri. La Chiesa cattolica sa che, in nome del sostegno che le proviene dallo Spirito, le debolezze, le mediocrità, i peccati, a volte i tradimenti di alcuni dei suoi figli, non possono distruggere ciò che Dio ha infuso in essa in funzione del suo disegno di grazia. Anche "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18). Tuttavia la Chiesa cattolica non dimentica che molti nel suo seno opacizzano il disegno di Dio. Evocando la divisione dei cristiani, il Decreto sull'ecumenismo non ignora la "colpa di uomini di entrambe le parti"13, riconoscendo che la responsabilità non può essere attribuita unicamente agli "altri". Per grazia di Dio, non è stato però distrutto ciò che appartiene alla struttura della Chiesa di Cristo e neppure quella comunione che permane con le altre Chiese e Comunità ecclesiali.Infatti, gli elementi di santificazione e di verità presenti nelle altre Comunità cristiane, in grado differenziato dall'una all'altra, costituiscono la base oggettiva della pur imperfetta comunione esistente tra loro e la Chiesa cattolica.Nella misura in cui tali elementi si trovano nelle altre Comunità cristiane, l'unica Chiesa di Cristo ha in esse una presenza operante. Per questo motivo il Concilio Vaticano II parla di una certa comunione, sebbene imperfetta. La Costituzione Lumen gentium sottolinea che la Chiesa cattolica "sa di essere per più ragioni unita"14 a queste Comunità con una certa vera unione nello Spirito Santo. 

12. La stessa Costituzione ha lungamente esplicitato "gli elementi di santificazione e verità" che, in modo diversificato, si trovano ed agiscono oltre le frontiere visibili della Chiesa cattolica: (…) la Sacra Scrittura (…) Battesimo (…) la sacra Eucaristia. (…).

13. (…) Oltre i limiti della comunità cattolica non c'è il vuoto ecclesiale. Parecchi elementi di grande valore (eximia) che, nella Chiesa cattolica sono integrati alla pienezza dei mezzi di salvezza e dei doni di grazia che fanno la Chiesa, si trovano anche nelle altre Comunità cristiane. 

14. (…) Secondo la grande Tradizione attestata dai Padri d'Oriente e d'Occidente, la Chiesa cattolica crede che nell'evento di Pentecoste Dio ha già manifestato la Chiesa nella sua realtà escatologica, che egli preparava "sin dal tempo di Abele il Giusto"19. Essa è già data. Per questo

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motivo noi siamo già nei tempi ultimi. Gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre Comunità20, dove certi aspetti del mistero cristiano sono stati a volte messi più efficacemente in luce. L'ecumenismo intende precisamente far crescere la comunione parziale esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità.

Rinnovamento e conversione

15. Passando dai principi, dall'imperativo della coscienza cristiana, alla realizzazione della via ecumenica verso l'unità, il Concilio Vaticano II mette soprattutto in rilievo la necessità della conversione del cuore. L'annuncio messianico "il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino" e l'appello conseguente "convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15) con cui Gesù inaugura la sua missione, indicano l'elemento essenziale che deve caratterizzare ogni nuovo inizio: la fondamentale esigenza dell'evangelizzazione in ogni tappa del cammino salvifico della Chiesa. Ciò riguarda, in modo particolare, il processo al quale il Concilio Vaticano II ha dato avvio, inscrivendo nel rinnovamento il compito ecumenico di unire i cristiani tra loro divisi. "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione"21. (…)

16. Nel magistero del Concilio vi è un chiaro nesso tra rinnovamento, conversione e riforma. Esso afferma: "La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui essa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno, in modo che se alcune cose [...] sono state, secondo le circostanze di fatto e di tempo, osservate meno accuratamente, siano in tempo opportuno rimesse nel giusto e debito ordine"23. Nessuna Comunità cristiana può sottrarsi a tale appello.Dialogando con franchezza, le Comunità si aiutano a guardarsi insieme alla luce della Tradizione apostolica. Questo le induce a chiedersi se veramente esse esprimano in modo adeguato tutto ciò che lo Spirito ha trasmesso per mezzo degli Apostoli24. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, a più riprese, come ad esempio in occasione dell'anniversario del Battesimo della Rus'25, o del ricordo, dopo undici secoli, dell'opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio26, ho richiamato tali esigenze e prospettive. Più recentemente, il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, pubblicato con la mia approvazione dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, le ha applicate al campo pastorale27.

17. Per quanto riguarda gli altri cristiani, i principali documenti della Commissione Fede e Costituzione28 e le dichiarazioni di numerosi dialoghi bilaterali hanno già fornito alle Comunità cristiane utili strumenti per discernere ciò che è necessario al movimento ecumenico e alla conversione che esso deve suscitare (…)La crescente comunione in una continua riforma, realizzata alla luce della Tradizione apostolica, è senza dubbio, nell'attuale situazione del popolo cristiano, uno dei tratti distintivi e più importanti dell'ecumenismo. D'altra parte, essa è anche una essenziale garanzia per il suo avvenire. I fedeli della Chiesa cattolica non possono ignorare che lo slancio ecumenico del Concilio Vaticano II è uno dei risultati di quanto la Chiesa si era allora adoperata a fare per scrutarsi alla luce del Vangelo e della grande Tradizione. Il mio Predecessore, Papa Giovanni XXIII, lo aveva ben compreso, lui che, convocando il Concilio, rifiutò di separare aggiornamento e apertura ecumenica29. Al termine di quell'assise conciliare, Papa Paolo VI, riannodando il dialogo della carità con le Chiese in comunione con il Patriarca di Costantinopoli e compiendo con lui il gesto concreto e altamente significativo che ha "relegato nell'oblio" - e ha fatto "sparire dalla memoria e dal mezzo della Chiesa" - le scomuniche del passato, ha consacrato la vocazione ecumenica del Concilio. Vale ricordare che la creazione di uno speciale organismo per l'ecumenismo coincide con l'avvio stesso della preparazione del Concilio Vaticano II30 e che, per il tramite di tale organismo, i pareri e le

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valutazioni delle altre Comunità cristiane hanno avuto la loro parte nei grandi dibattiti sulla Rivelazione, sulla Chiesa, sulla natura dell'ecumenismo e sulla libertà religiosa.

Importanza fondamentale della dottrina18. (…) Non si tratta in questo contesto di modificare il deposito della fede, di cambiare il significato dei dogmi, di eliminare da essi delle parole essenziali, di adattare la verità ai gusti di un'epoca, di cancellare certi articoli del Credo con il falso pretesto che essi non sono più compresi oggi. L'unità voluta da Dio può realizzarsi soltanto nella comune adesione all'integrità del contenuto della fede rivelata. In materia di fede, il compromesso è in contraddizione con Dio che è Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è "via, verità e vita" (Gv 14,6), chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a prezzo della verità? (…) 

19. Tuttavia, la dottrina deve essere presentata in un modo che la renda comprensibile a coloro ai quali Dio stesso la destina. Nell'Epistola enciclica Slavorum apostoli, ricordavo come Cirillo e Metodio, per questo stesso motivo, si adoperassero a tradurre le nozioni della Bibbia e i concetti della teologia greca in un contesto di esperienze storiche e di pensiero molto diversi. Essi volevano che l'unica parola di Dio fosse "resa così accessibile secondo le forme espressive, proprie di ciascuna civiltà"34. Compresero di non poter dunque "imporre ai popoli assegnati alla loro predicazione neppure l'indiscutibile superiorità della lingua greca e della cultura bizantina, o gli usi e i comportamenti della società più progredita, in cui essi erano cresciuti"35. Essi mettevano così in atto quella "perfetta comunione nell'amore [che] preserva la Chiesa da qualsiasi forma di particolarismo o di esclusivismo etnico o di pregiudizio razziale, come da ogni alterigia nazionalistica"36. (…) L'espressione della verità può essere multiforme. E il rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario per trasmettere all'uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile significato38. (…)

20. (…) Così credeva nell'unità della Chiesa Papa Giovanni XXIII e così egli guardava all'unità di tutti i cristiani. Riferendosi agli altri cristiani, alla grande famiglia cristiana, egli constatava: "È molto più forte quanto ci unisce di quanto ci divide". (…)

Primato della preghiera21. "Questa conversione del cuore e questa santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, si devono ritenere come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale"42.Si avanza sulla via che conduce alla conversione dei cuori al ritmo dell'amore che si rivolge a Dio e, allo stesso tempo, ai fratelli: a tutti i fratelli, anche quelli che non sono in piena comunione con noi. Dall'amore nasce il desiderio dell'unità anche in coloro che ne hanno sempre ignorato l'esigenza. (…) Tale amore trova la sua più compiuta espressione nella preghiera comune. Quando i fratelli che non sono in perfetta comunione tra loro si riuniscono insieme per pregare, il Concilio Vaticano II definisce la loro preghiera anima dell'intero movimento ecumenico. Essa è "un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità", "una genuina manifestazione dei vincoli, con i quali i cattolici sono ancora uniti con i fratelli separati"43. (…) La preghiera comune dei cristiani invita Cristo stesso a visitare la comunità di coloro che lo implorano: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). 

22. Quando si prega insieme tra cristiani, il traguardo dell'unità appare più vicino. La lunga storia dei cristiani segnata da molteplici frammentazioni sembra ricomporsi, tendendo a quella Fonte della sua unità che è Gesù Cristo. Egli "è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (Eb 13,8). (…)Sulla via ecumenica verso l'unità, il primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso. Se i cristiani, nonostante le loro

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divisioni, sapranno sempre di più unirsi in preghiera comune attorno a Cristo, crescerà la loro consapevolezza di quanto sia limitato ciò che li divide a paragone di ciò li unisce. (…)

23. Infine, la comunione di preghiera induce a guardare con occhi nuovi la Chiesa e il cristianesimo. (…) È vero: non siamo ancora in piena comunione. Eppure, malgrado le nostre divisioni, noi stiamo percorrendo la via verso la piena unità, quell'unità che caratterizzava la Chiesa apostolica ai suoi esordi, e che noi cerchiamo sinceramente: guidata dalla fede, la nostra comune preghiera ne è la prova. In essa, ci raduniamo nel nome di Cristo che è Uno. Egli è la nostra unità.La preghiera "ecumenica" è a servizio della missione cristiana e della sua credibilità. (…) fino a quando, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani si riuniranno nell'unica celebrazione dell'Eucaristia44. 

24. È motivo di gioia il constatare come i tanti incontri ecumenici comportino quasi sempre la preghiera ed anzi culminino con essa. La Settimana di Preghiera per l'unità dei cristiani, che si celebra nel mese di gennaio, o intorno a Pentecoste in alcuni Paesi, è diventata una tradizione diffusa e consolidata. (…) Il Concilio ha fatto di questo peregrinare del Papa un preciso dovere, in adempimento del ruolo del Vescovo di Roma a servizio della comunione45. Queste mie visite hanno quasi sempre comportato un incontro ecumenico e la preghiera comune di fratelli che cercano l'unità in Cristo e nella sua Chiesa. (…) E come potrei mai dimenticare (…) la celebrazione nella Basilica di San Pietro, durante la visita a Roma del mio venerato Fratello, il Patriarca Dimitrios I (6 dicembre 1987)? In quella circostanza, presso l'altare della Confessione, noi professammo insieme il Simbolo niceno-costantinopolitano, secondo il testo originale greco. (…)

25. Non soltanto il Papa si è fatto pellegrino. In questi anni, tanti degni rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali mi hanno fatto visita a Roma e con loro ho potuto pregare, in circostanze pubbliche e private. (…) Mi è impossibile elencare tutti questi incontri, benché ciascuno meriti di essere nominato. Veramente il Signore ci ha preso per mano e ci guida. Questi scambi, queste preghiere hanno già scritto pagine e pagine del nostro "Libro dell'unità", un "Libro" che dobbiamo sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione e speranza. 

26. La preghiera, la comunità di preghiera, ci permette sempre di ritrovare la verità evangelica delle parole "uno solo è il Padre vostro" (Mt 23,9), (…) La preghiera "ecumenica" svela questa fondamentale dimensione di fratellanza in Cristo, che è morto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi, perché noi, diventando figli nel Figlio (cfr. Ef 1,5), rispecchiassimo più pienamente l'inscrutabile realtà della paternità di Dio e, al contempo, la verità sull'umanità propria di ciascuno e di tutti.La preghiera "ecumenica", la preghiera dei fratelli e delle sorelle, esprime tutto questo. (…)

27. Pregare per l'unità non è tuttavia riservato a chi vive in un contesto di divisione tra i cristiani. In quell'intimo e personale dialogo che ciascuno di noi deve intrattenere con il Signore nella preghiera, la preoccupazione dell'unità non può essere esclusa. (…) ho voluto proporre ai fedeli della Chiesa cattolica un modello che mi sembra esemplare, quello di una suora trappista, Maria Gabriella dell'Unità, che ho proclamato beata il 25 gennaio 198350. Suor Maria Gabriella, chiamata dalla sua vocazione ad essere fuori del mondo, ha dedicato la sua esistenza alla meditazione e alla preghiera incentrate sul capitolo 17 del vangelo di san Giovanni e l'ha offerta per l'unità dei cristiani. (…)

Dialogo ecumenico

28. Se la preghiera è l'"anima" del rinnovamento ecumenico e dell'aspirazione all'unità, su di essa si fonda e da essa trae sostentamento tutto ciò che il Concilio definisce "dialogo". Tale definizione non è certo senza nesso con il pensiero personalistico odierno. L'atteggiamento di "dialogo" si situa

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al livello della natura della persona e della sua dignità. Dal punto di vista filosofico, una tale posizione si ricollega alla verità cristiana sull'uomo espressa dal Concilio: egli infatti "in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa"; l'uomo non può pertanto "ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé"51. Il dialogo è passaggio obbligato del cammino da percorrere verso l'autocompimento dell'uomo, del singolo individuo come anche di ciascuna comunità umana. Sebbene dal concetto di "dialogo" sembri emergere in primo piano il momento conoscitivo (dia-logos), ogni dialogo ha in sé una dimensione globale, esistenziale. Esso coinvolge il soggetto umano nella sua interezza; il dialogo tra le comunità impegna in modo particolare la soggettività di ciascuna di esse. (…) In qualche modo esso è sempre uno "scambio di doni"53.

Primato della preghiera

29. (…) Vi è però in tutto questo una esigenza di reciprocità. Attenersi a tale criterio è impegno di ciascuna delle parti che vogliono fare dialogo ed è condizione previa per avviarlo. Occorre passare da una posizione di antagonismo e di conflitto ad un livello nel quale l'uno e l'altro si riconoscono reciprocamente partner. Quando si inizia a dialogare, ciascuna delle parti deve presupporre una volontà di riconciliazione nel suo interlocutore, di unità nella verità. (…)

30. Si può affermare, con viva gratitudine verso lo Spirito di verità, che (…) Durante il Concilio, i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità cristiane hanno sperimentato la disponibilità al dialogo dell'episcopato cattolico del mondo intero e, in particolare, della Sede Apostolica. 

Strutture locali di dialogo

31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o particolari. (…)

32. Come afferma la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, "la verità va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale"57.Il dialogo ecumenico ha una importanza essenziale. "Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le Comunioni (…)

Dialogo come esame di coscienza

33. Nell'intento del Concilio, il dialogo ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. (…)

34. (…) il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le parole della Prima Lettera di Giovanni? "(…) Se riconosciamo i nostri peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" (1,8-9). (…) il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un "dialogo delle coscienze", potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? (…)

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Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche divisioni, l'unità dei cristiani è possibile, a patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le "strutture" stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire alla divisione e al suo consolidamento. 

35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso dallo spirito di conversione59. Il dialogo ecumenico acquista in questo documento un carattere proprio; esso si trasforma in "dialogo della conversione" (…) Esso tende anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco riconoscimento della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. (…)

Dialogo per risolvere le divergenze

36. Il dialogo è anche strumento naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro. Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: "Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà"61.L'amore della verità è la dimensione più profonda di un’autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. (…) va inseparabilmente associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti. (…)Ovviamente, la piena comunione dovrà realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata ogni forma di riduzionismo o di facile "concordismo". (…)

37. Il Decreto Unitatis redintegratio indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di presentare o mettere a confronto le dottrine: "Si ricordino che esiste un ordine o "gerarchia" nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. (…)  38. Nel dialogo ci si imbatte inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più di una conseguenza per il compito ecumenico.In primo luogo, (…) conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un identico contenuto (…) A questo riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false interpretazioni. (…)

39. Il dialogo infine pone gli interlocutori di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. (…) Il confronto in questa materia ha due punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della Chiesa.

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La collaborazione pratica

40. Le relazioni tra i cristiani non tendono alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al messaggio del Vangelo66. (…) è una vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. (…) Agli occhi del mondo la cooperazione tra i cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri. 

II - I frutti del dialogo

La fraternità ritrovata

41. (…) Riconoscere quanto Dio ha già concesso è la condizione che ci predispone a ricevere quei doni ancora indispensabili per condurre a compimento l'opera ecumenica dell'unità.

42. Avviene ad esempio che - nello stesso spirito del Discorso della montagna - i cristiani appartenenti ad una confessione non considerino più gli altri cristiani come nemici o stranieri, ma vedano in essi dei fratelli e delle sorelle. (…) sostituire oggi vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione - legata al carattere battesimale - che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche e canoniche. Si parla degli "altri cristiani", degli "altri battezzati", dei "cristiani delle altre Comunità". Il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo designa le Comunità alle quali appartengono questi cristiani come "Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica"69. (…) La "fraternità universale" dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica. Relegando nell'oblio le scomuniche del passato, le Comunità un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda; (…) In una parola, i cristiani si sono convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo. (…)Bisogna ribadire a questo riguardo che il riconoscimento della fraternità non è la conseguenza di un filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia. Esso si radica nel riconoscimento dell'unico Battesimo e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella sua opera. (…)

La solidarietà nel servizio all'umanità

43. Accade sempre più spesso che i responsabili delle Comunità cristiane prendano insieme posizione, in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione umana, la libertà, la giustizia, la pace, il futuro del mondo. Così facendo essi "comunicano" in uno degli elementi costitutivi della missione cristiana: ricordare alla società, in un modo che sappia essere realista, la volontà di Dio, mettendo in guardia le autorità e i cittadini perché non seguano la china che condurrebbe a calpestare i diritti umani. È chiaro, e l'esperienza lo dimostra, che in alcune circostanze la voce comune dei cristiani ha più impatto di una voce isolata.(…) Oggi constato con soddisfazione che la già vasta rete di collaborazione ecumenica si estende sempre di più. Anche per influsso del Consiglio ecumenico delle Chiese, si compie un grande lavoro in questo campo.

Convergenze nella Parola di Dio e nel culto divino

44. I progressi della conversione ecumenica sono significativi anche in un altro settore, quello relativo alla Parola di Dio. Penso prima di tutto ad un evento così importante per svariati gruppi linguistici come le traduzioni ecumeniche della Bibbia. Dopo la promulgazione, da parte del Concilio Vaticano II, della Costituzione Dei Verbum, la Chiesa cattolica non poteva non accogliere

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con gioia questa realizzazione75. Tali traduzioni, opera di specialisti, offrono generalmente una base sicura alla preghiera e all'attività pastorale di tutti i discepoli di Cristo . Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni. 

45. Al rinnovamento liturgico compiuto dalla Chiesa cattolica, ha corrisposto in diverse Comunità ecclesiali l'iniziativa di rinnovare il loro culto. Alcune di esse, sulla base dell'auspicio espresso a livello ecumenico76, hanno abbandonato la consuetudine di celebrare la loro liturgia della Cena soltanto in rare occasioni ed hanno optato per una celebrazione domenicale. D'altra parte, paragonando i cicli delle letture liturgiche di diverse Comunità cristiane occidentali, si constata che essi convergono per l'essenziale. (…) Si tratta di segni di convergenza che riguardano vari aspetti della vita sacramentale. Certamente, a causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l'unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. (…)

Apprezzare i beni presenti tra gli altri cristiani

48. Le relazioni che i membri della Chiesa cattolica hanno stabilito con gli altri cristiani dal Concilio in poi, hanno fatto scoprire ciò che Dio opera in coloro che appartengono alle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Questo contatto diretto, a vari livelli, tra i pastori e tra i membri delle Comunità, ci ha fatto prendere coscienza della testimonianza che gli altri cristiani rendono a Dio e a Cristo. Si è così aperto un vastissimo spazio per tutta l'esperienza ecumenica, che è allo stesso tempo la sfida che si pone a questa nostra epoca. Il XX secolo non è forse un tempo di grande testimonianza, che va "fino all'effusione del sangue"? Ed essa non riguarda forse anche le varie Chiese e Comunità ecclesiali, che traggono il loro nome da Cristo, crocifisso e risorto?(…) "Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto nei fratelli separati, può contribuire alla nostra edificazione. (…)

Crescita della comunione

49. Frutto prezioso delle relazioni tra i cristiani e del dialogo teologico che essi intrattengono è la crescita della comunione. Le une e l'altro hanno reso consapevoli i cristiani degli elementi di fede che essi hanno in comune. Ciò è servito a cementare ulteriormente il loro impegno verso la piena unità. In tutto questo il Concilio Vaticano II rimane potente centro di propulsione e di orientamento.La Costituzione dogmatica Lumen gentium collega la dottrina concernente la Chiesa cattolica al riconoscimento degli elementi salvifici che si trovano nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali81. (…) Ne consegue che la ricerca dell'unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di opportunità, ma un'esigenza che scaturisce dall'essere stesso della Comunità cristiana.Similmente, i dialoghi teologici bilaterali con le maggiori Comunità cristiane partono dal riconoscimento del grado di comunione già in atto, per discutere poi in modo progressivo le divergenze esistenti con ciascuna. Il Signore ha concesso ai cristiani del nostro tempo di poter ridurre il contenzioso tradizionale.

Il dialogo con le Chiese d'Oriente

50. A questo riguardo, si deve innanzitutto constatare, con particolare gratitudine alla Provvidenza divina, che il legame con le Chiese d'Oriente, incrinato durante i secoli, si è rinsaldato con il Concilio Vaticano II. (…)Il Concilio, da parte sua, ha considerato con oggettività e con profondo affetto le Chiese d'Oriente, mettendo in rilievo la loro ecclesialità e gli oggettivi vincoli di comunione che le legano alla

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Chiesa cattolica. Il Decreto sull'ecumenismo afferma: "Per mezzo della celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce", aggiungendo, di conseguenza, che tali Chiese "quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli"82.Delle Chiese d'Oriente è stata riconosciuta la grande tradizione liturgica e spirituale, il carattere specifico del loro sviluppo storico, le discipline da loro seguite sin dai primi tempi e sancite dai santi Padri e dai Concili ecumenici, il modo che è loro proprio di enunciare la dottrina. Tutto ciò nella convinzione che la legittima diversità non si oppone affatto all'unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento della sua missione (…).

51. (…) Si è trattato di un processo lento e laborioso, che è stato però fonte di molta gioia; ed è stato anche entusiasmante, poiché ha permesso di ritrovare progressivamente la fraternità.

La ripresa dei contatti

52. Per quanto riguarda la Chiesa di Roma e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il processo a cui abbiamo appena fatto cenno ha preso avvio grazie alla reciproca apertura mostrata dai Papi Giovanni XXIII e Paolo VI, da una parte, e dal Patriarca ecumenico Athenagoras I e dai suoi successori, dall'altra. Il mutamento operato ha la sua espressione storica nell'atto ecclesiale per il cui tramite "si è tolto dalla memoria e dal mezzo delle Chiese"84 il ricordo delle scomuniche che novecento anni prima, nel 1054, erano diventate simbolo dello scisma tra Roma e Costantinopoli. Quell'evento ecclesiale, tanto denso di impegno ecumenico, avvenne negli ultimi giorni del Concilio, il 7 dicembre del 1965. L'assise conciliare si concludeva così con un atto solenne che era al tempo stesso purificazione della memoria storica, perdono reciproco e solidale impegno per la ricerca della comunione.Questo gesto era stato preceduto dall'incontro di Paolo VI e del Patriarca Athenagoras I a Gerusalemme, nel gennaio del 1964, durante il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. In quell'occasione egli poté anche incontrare il Patriarca ortodosso di Gerusalemme, Benedictos. In seguito, Papa Paolo poteva far visita al Patriarca Athenagoras al Fanar (Istanbul) il 25 luglio del 1967 e, nel mese di ottobre dello stesso anno, il Patriarca era accolto solennemente a Roma. Questi incontri nella preghiera additavano la via da seguire per il riavvicinamento tra la Chiesa d'Oriente e la Chiesa d'Occidente ed il ristabilimento dell'unità che esisteva tra loro nel primo millennio.Dopo la morte di Papa Paolo VI ed il breve pontificato di Papa Giovanni Paolo I, quando mi è stato affidato il ministero di Vescovo di Roma, ho ritenuto che fosse uno dei primi doveri del mio servizio pontificio rinnovare un personale contatto con il Patriarca ecumenico Dimitrios I, il quale aveva nel frattempo assunto, nella sede di Costantinopoli, la successione del Patriarca Athenagoras. Durante la mia visita al Fanar il 29 novembre del 1979, potemmo, il Patriarca ed io, decidere di inaugurare il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse in comunione canonica con la sede di Costantinopoli. (…) Il Patriarca ecumenico ha voluto restituirmi la visita che gli avevo reso, e nel dicembre del 1987 ho avuto la gioia di accoglierlo a Roma, con affetto sincero e con la solennità che gli era dovuta. In questo contesto di fraternità ecclesiale, va ricordata la consuetudine, ormai stabilita da vari anni, di accogliere a Roma, per la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, una delegazione del Patriarcato ecumenico, così come di inviare al Fanar una delegazione della Santa Sede per la solenne celebrazione di sant'Andrea. 

53. Questi regolari contatti permettono tra l'altro uno scambio diretto di informazioni e di pareri per un fraterno coordinamento. D'altra parte, la nostra reciproca partecipazione alla preghiera ci riabitua a vivere fianco a fianco, ci induce ad accogliere insieme, e dunque a mettere in pratica, la volontà del Signore per la sua Chiesa.

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Lungo il cammino che abbiamo percorso dal Concilio Vaticano II in poi, vanno menzionati almeno due eventi particolarmente eloquenti e di grande rilevanza ecumenica nelle relazioni tra Oriente ed Occidente: in primo luogo, il Giubileo del 1984, indetto per commemorare l'XI centenario dell'opera evangelizzatrice di Cirillo e Metodio e che mi ha permesso di proclamare compatroni d'Europa i due santi apostoli degli Slavi, messaggeri di fede. Già Papa Paolo VI nel 1964, durante il Concilio, aveva proclamato san Benedetto patrono d'Europa. Associare i due Fratelli di Tessalonica al grande fondatore del monachesimo occidentale vale a mettere indirettamente in risalto quella duplice tradizione ecclesiale e culturale tanto significativa per i duemila anni di cristianesimo che hanno caratterizzato la storia del continente europeo. Non è quindi superfluo ricordare che Cirillo e Metodio provenivano dall'ambito della Chiesa bizantina del loro tempo, epoca durante la quale essa era in comunione con Roma. Nel proclamarli, assieme a san Benedetto, patroni d'Europa, desideravo non soltanto confermare la verità storica sul cristianesimo nel continente europeo, ma anche fornire un importante tema a quel dialogo tra Oriente ed Occidente, che tante speranze ha suscitato nel dopo Concilio. (…)

54. L'altro evento che mi piace richiamare alla mente è la celebrazione del Millennio del Battesimo della Rus' (988-1988) (…): la Chiesa deve respirare con i suoi due polmoni! Nel primo millennio della storia del cristianesimo essa si riferisce soprattutto alla dualità Bisanzio-Roma; dal Battesimo della Rus' in poi, tale espressione dilata i suoi confini: l'evangelizzazione si è estesa ad un ambito ben più vasto, così che essa abbraccia ormai l'intera Chiesa. (…) la prospettiva secondo la quale la piena comunione va ricercata sia quella dell'unità nella legittima diversità. (…)

Chiese sorelle55. (…) Il cammino della Chiesa è iniziato a Gerusalemme il giorno di Pentecoste e tutto il suo originale sviluppo nell'oikoumene di allora si concentrava attorno a Pietro e agli Undici (cfr. At 2,14). Le strutture della Chiesa in Oriente e in Occidente si formavano dunque in riferimento a quel patrimonio apostolico. La sua unità, entro i limiti del primo millennio, si manteneva in quelle stesse strutture mediante i Vescovi, successori degli Apostoli, in comunione con il Vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo millennio, di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci.Il Decreto sull'ecumenismo mette in rilievo un ulteriore aspetto caratteristico, grazie al quale tutte le Chiese particolari permanevano nell'unità, la "preoccupazione - cioè - e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali"88. 

56. Dopo il Concilio Vaticano II e ricollegandosi a quella tradizione, si è ristabilito l'uso di attribuire l'appellativo di "Chiese sorelle" alle Chiese particolari o locali radunate attorno al loro Vescovo. (…) durante il secondo millennio, il Signore non ha cessato di dare alla sua Chiesa abbondanti frutti di grazia e di crescita. Ma purtroppo il progressivo reciproco allontanamento tra le Chiese d'Occidente e d'Oriente le ha private delle ricchezze di mutui doni ed aiuti. Occorre compiere con la grazia di Dio un grande sforzo per ristabilire fra esse la piena comunione, fonte di tanti beni per la Chiesa di Cristo. (…) L'appellativo tradizionale di "Chiese sorelle" dovrebbe incessantemente accompagnarci in questo cammino. 

57. Come auspicava Papa Paolo VI, il nostro scopo dichiarato è di ritrovare insieme la piena unità nella legittima diversità: (…) Ora, dopo un lungo periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore ci concede di riscoprirci come Chiese sorelle, nonostante gli ostacoli che nel passato si sono frapposti tra di noi"89. (…) Sono parte di questo "tesoro" anche "le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiorì quella spiritualità monastica, che si estese poi all'Occidente"91. Come ho avuto modo di rilevare nella

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recente Lettera apostolica Orientale lumen, le Chiese d'Oriente hanno vissuto con grande generosità l'impegno testimoniato dalla vita monastica, "a cominciare dalla evangelizzazione, che è il servizio più alto che il cristiano possa offrire al fratello, per proseguire in molte altre forme di servizio spirituale e materiale. Si può anzi dire che il monachesimo sia stato nell'antichità - e, a varie riprese, anche in tempi successivi - lo strumento privilegiato per l'evangelizzazione dei popoli"92. (…)

58. Dalla riaffermata comunione di fede già esistente, il Concilio Vaticano II ha tratto delle conseguenze pastorali utili alla vita concreta dei fedeli e alla promozione dello spirito d'unità. A ragione degli strettissimi vincoli sacramentali esistenti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, (…) Non si deve mai perdere di vista la dimensione ecclesiologica della partecipazione ai sacramenti, soprattutto della santa Eucaristia.

Progressi del dialogo

59. Dalla sua creazione nel 1979, la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme ha lavorato intensamente, orientando progressivamente la sua ricerca a quelle prospettive che, di comune accordo, erano state determinate, con lo scopo di ristabilire la piena comunione tra le due Chiese. Tale comunione fondata nell'unità di fede, in continuità con l'esperienza e la tradizione della Chiesa antica, troverà la sua espressione piena nella concelebrazione della santa Eucaristia. Con spirito positivo, basandoci su quanto abbiamo in comune, la commissione mista ha potuto progredire sostanzialmente e, come ho avuto modo di dichiarare insieme al venerato Fratello, Sua Santità Dimitrios I, Patriarca ecumenico, essa è pervenuta ad esprimere "ciò che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa possono già professare insieme quale fede comune nel mistero della Chiesa ed il vincolo tra la fede ed i sacramenti"97. La commissione ha poi potuto constatare ed affermare che "nelle nostre Chiese la successione apostolica è fondamentale per la santificazione e l'unità del popolo di Dio"98. Si tratta di punti di riferimento importanti per la continuazione del dialogo.

60. (…) nella ricerca della piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, (…) è apparso chiaramente che il metodo da seguire verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e sostenuto dal dialogo della carità. Il diritto riconosciuto alle Chiese orientali cattoliche ad organizzarsi e svolgere il loro apostolato, così come l'effettivo coinvolgimento di queste Chiese nel dialogo della carità e in quello teologico, favoriranno non soltanto un reale e fraterno rispetto reciproco tra gli ortodossi e i cattolici che vivono in uno stesso territorio, ma anche il loro comune impegno nella ricerca dell'unità99. Un passo avanti è stato compiuto. L'impegno deve continuare. Sin da ora si può constatare, però, una pacificazione degli spiriti, che rende la ricerca più feconda. (…)

61. In questa prospettiva, la Chiesa cattolica null'altro vuole se non la piena comunione tra Oriente ed Occidente. In ciò si ispira alla esperienza del primo millennio. In tale periodo, infatti, "lo sviluppo di differenti esperienze di vita ecclesiale non impediva che, mediante reciproche relazioni, i cristiani potessero continuare a provare la certezza di essere a casa propria in qualsiasi Chiesa, perché da tutte si levava, in mirabile varietà di lingue e modulazioni, la lode dell'unico Padre, per Cristo nello Spirito Santo; tutte erano adunate per celebrare l'Eucaristia, cuore e modello per la comunità non solo per quanto riguarda la spiritualità o la vita morale, ma anche per la struttura stessa della Chiesa, nella varietà dei ministeri e dei servizi sotto la presidenza del Vescovo successore degli Apostoli. I primi Concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante unità nella diversità"102. In che modo ricomporre tale unità dopo quasi mille anni? Ecco il grande compito che essa deve assolvere e che incombe anche alla Chiesa ortodossa. (…)

Relazioni con le antiche Chiese d'Oriente

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62. Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa cattolica, con modalità e ritmi diversi, ha riallacciato fraterne relazioni anche con quelle antiche Chiese dell'Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei concili di Efeso e di Calcedonia. (…)La ripresa delle relazioni fraterne con le antiche Chiese dell'Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca nonostante le barriere storiche, politiche, sociali e culturali. E proprio per quanto riguarda il tema cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle dichiarazioni in questo senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e Patriarca copto ortodosso103; e con il Patriarca siro-ortodosso d'Antiochia, Sua Santità Jacoub III104. Io stesso ho potuto confermare tale accordo cristologico e trarne delle conseguenze: per lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda105, e per la collaborazione pastorale con il Patriarca siro d'Antiochia Mar Ignazio Zakka I Iwas106.Con il venerato Patriarca della Chiesa d'Etiopia, Abuna Paulos, che mi ha fatto visita a Roma l'11 giugno 1993, abbiamo sottolineato la profonda comunione esistente tra le nostre due Chiese (…).Più recentemente, il Signore mi ha dato la grande gioia di sottoscrivere una dichiarazione comune cristologica con il Patriarca assiro dell'Oriente, Sua Santità Mar Dinkha IV, che ha voluto per questo motivo farmi visita a Roma nel mese di novembre 1994. (…)

63. Per le tradizionali controversie sulla cristologia, i contatti ecumenici hanno reso dunque possibili chiarimenti essenziali, tanto da permetterci di confessare insieme quella fede che ci è comune. (…)

Dialogo con le altre Chiese e Comunità ecclesiali in Occidente

64. Nell'ampio piano tracciato per il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani, il Decreto sull'ecumenismo prende ugualmente in considerazione le relazioni con le Chiese e Comunità ecclesiali d'Occidente. (…) "Bisogna però riconoscere che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze, non solo d'indole storica, sociologica, psicologica e culturale, ma soprattutto d'interpretazione della verità rivelata"110. 

65. Sono comuni le radici e sono simili, nonostante le differenze, gli orientamenti che hanno guidato in Occidente lo sviluppo della Chiesa cattolica e delle Chiese e Comunità sorte dalla Riforma. Di conseguenza esse possiedono una comune caratteristica occidentale. Le "divergenze", pur importanti sopra accennate, non escludono quindi reciproche influenze e complementarità.Il movimento ecumenico ha preso avvio proprio nell'ambito delle Chiese e Comunità della Riforma. (…) diventa un imperativo che impone di abbandonare le divisioni per ricercare e ritrovare l'unità, sospinti anche dalle stesse amare esperienze della divisione. 

66. Il Concilio Vaticano II (…) cerca poi di "mettere in risalto alcuni punti che possono [...] costituire il fondamento di questo dialogo ed un incitamento ad esso"113."Il nostro pensiero si rivolge [...] a quei cristiani che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo"114.Questi fratelli coltivano amore e venerazione per le Sacre Scritture: (…)essi affermano la divina autorità dei libri sacri"115.Allo stesso tempo, però, "pensano diversamente da noi [...] circa il rapporto tra le Sacre Scritture e la Chiesa, nella quale, secondo la fede cattolica, il Magistero autentico ha un posto speciale nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta"116. Malgrado ciò, "la Sacra Scrittura nello stesso

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dialogo [ecumenico] costituisce l'eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini"117.Inoltre, il sacramento del Battesimo che abbiamo in comune rappresenta "il vincolo sacramentale dell'unità, che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati"118. (…)

67. Divergenze dottrinali e storiche del tempo della Riforma sono emerse a proposito della Chiesa, dei sacramenti e del Ministero ordinato. Il Concilio richiede pertanto che "la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa costituiscano l'oggetto del dialogo"120.(…) anche se "nella Santa Cena fanno memoria della morte e della risurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa"121. 68. Il Decreto non dimentica la vita spirituale e le conseguenze morali: (…) Il documento conciliare, peraltro, non si limita a questi aspetti spirituali, morali e culturali, ma estende il suo apprezzamento al vivo sentimento della giustizia e alla sincera carità verso il prossimo, che sono presenti in questi fratelli; esso inoltre non dimentica le loro iniziative per rendere più umane le condizioni sociali della vita e per ristabilire la pace. Tutto questo nella sincera volontà di aderire alla parola di Cristo quale sorgente della vita cristiana. (…)

69. Gli auspici e l'invito del Concilio Vaticano II sono stati attuati e si è progressivamente avviato il dialogo teologico bilaterale con le varie Chiese e Comunità cristiane mondiali d'Occidente.D'altra parte, per il dialogo multilaterale, già nel 1964 si iniziava il processo di costituzione di un "Gruppo Misto di Lavoro" con il consiglio Ecumenico delle Chiese e, dal 1968, dei teologi cattolici entravano a far parte, come membri a pieno titolo, del Dipartimento teologico di detto Consiglio, la Commissione "Fede e Costituzione".Il dialogo è stato ed è fecondo, ricco di promesse. (…)

70. Tale ricerca difficile e delicata, che implica problemi di fede e rispetto della propria coscienza e di quella dell'altro, è stata accompagnata e sostenuta dalla preghiera della Chiesa cattolica e delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. (…)

Relazioni ecclesiali71. Bisogna rendere grazie alla Divina Provvidenza anche per tutti gli eventi che testimoniano il progresso sulla via della ricerca dell'unità. Accanto al dialogo teologico vanno opportunamente menzionate le altre forme d'incontro, la preghiera comune e la collaborazione pratica. Papa Paolo VI ha dato un forte impulso a questo processo con la sua visita alla sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, avvenuta il 10 giugno 1969, ed incontrando molte volte i rappresentanti di varie Chiese e Comunità ecclesiali. Questi contatti contribuiscono efficacemente a far migliorare la reciproca conoscenza e a far crescere la fraternità cristiana.(…) Il Signore ha concesso a me di operare in questa direzione. Oltre agli importanti incontri ecumenici a Roma, una parte significativa delle mie visite pastorali è regolarmente dedicata alla testimonianza a favore dell'unità dei cristiani. Alcuni dei miei viaggi mostrano perfino una "priorità" ecumenica, specie nei Paesi in cui le comunità cattoliche costituiscono una minoranza rispetto alle Comunioni del dopo Riforma; o dove queste ultime rappresentano una considerevole porzione dei credenti in Cristo di una data società. 

72. Ciò vale soprattutto per i Paesi europei, dove hanno avuto inizio queste divisioni, e per l'America del Nord. (…)Vorrei a questo riguardo richiamare un atteggiamento dettato da fraterna carità ed improntato a profonda lucidità di fede che ho vissuto con intensa partecipazione. Esso si riferisce alle celebrazioni eucaristiche che ho presieduto in Finlandia ed in Svezia durante il mio viaggio nei

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Paesi scandinavi e nordici. Al momento della comunione, i Vescovi luterani si sono presentati al celebrante. Essi hanno voluto dimostrare con un gesto concordato il desiderio di giungere al momento in cui noi, cattolici e luterani, potremo condividere la stessa Eucaristia, e hanno voluto ricevere la benedizione del celebrante. Con amore, io li ho benedetti. Lo stesso gesto, tanto ricco di significato, è stato ripetuto a Roma, durante la messa che ho presieduto in Piazza Farnese in occasione del VI centenario della canonizzazione di santa Brigida, il 6 ottobre 1991.(…)

73. È motivo, poi, di grande gioia il constatare come nel periodo postconciliare e nelle singole Chiese locali abbondino le iniziative e le azioni a favore dell'unità dei cristiani, le quali estendono le loro coinvolgenti incidenze a livello delle Conferenze episcopali, delle singole diocesi e comunità parrocchiali, come pure dei diversi ambienti e movimenti ecclesiali.

Collaborazioni realizzate

74. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21). La coerenza e l'onestà delle intenzioni e delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta. (…) Quello appena delineato è un terreno fertile non soltanto per il dialogo, ma anche per un'attiva collaborazione: (…) La vita sociale e culturale offre ampi spazi di collaborazione ecumenica. Sempre più spesso i cristiani si ritrovano insieme per difendere la dignità umana, per promuovere il bene della pace, l'applicazione sociale del Vangelo, per rendere presente lo spirito cristiano nelle scienze e nelle arti. Essi si ritrovano sempre più insieme quando si tratta di venire incontro ai bisogni e alle miserie del nostro tempo: la fame, le calamità, l'ingiustizia sociale. 

75. Questa cooperazione, che trae ispirazione dallo stesso Vangelo, per i cristiani non è mai una mera azione umanitaria. Essa ha la sua ragione d'essere nella parola del Signore: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare" (Mt 25,35). Come ho già sottolineato, la cooperazione di tutti i cristiani manifesta chiaramente quel grado di comunione che già esiste tra di loro127.(…) Le divergenze dottrinali che permangono esercitano un influsso negativo e pongono dei limiti anche alla collaborazione. La comunione di fede già esistente tra i cristiani offre però una solida base non soltanto alla loro azione congiunta in campo sociale, ma anche nell'ambito religioso.Questa cooperazione faciliterà la ricerca dell'unità. (…)

76. Come non ricordare, in questo contesto, l'interesse ecumenico per la pace che si esprime nella preghiera e nell'azione con una crescente partecipazione dei cristiani ed una motivazione teologica a mano a mano più profonda? Non potrebbe essere altrimenti. Non crediamo forse noi in Gesù Cristo, Principe della pace? I cristiani sono sempre più compatti nel rifiutare la violenza, ogni tipo di violenza, dalle guerre all'ingiustizia sociale.(…) Nel 1986, ad Assisi, durante la Giornata Mondiale di preghiera per la pace, i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali hanno invocato con una sola voce il Signore della storia per la pace nel mondo. In quel giorno, in modo distinto ma parallelo, hanno pregato per la pace anche gli Ebrei e i Rappresentanti delle religioni non cristiane, in una sintonia di sentimenti che hanno fatto vibrare le corde più profonde dello spirito umano. (…) 

III - Quanta est nobis via?

Continuare ed intensificare il dialogo77. Ora possiamo chiederci quanta strada ci separa ancora da quel giorno benedetto in cui sarà raggiunta la piena unità nella fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristica del

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Signore. La migliore conoscenza reciproca già realizzata tra di noi, le convergenze dottrinali raggiunte, che hanno avuto come conseguenza una crescita affettiva ed effettiva di comunione, non possono bastare alla coscienza dei cristiani che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati.In vista di questa mèta, tutti i risultati raggiunti sinora non sono che una tappa, anche se promettente e positiva. 

78. Nel movimento ecumenico, non è soltanto la Chiesa cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a possedere questa esigente concezione dell'unità voluta da Dio. La tendenza verso una tale unità è espressa anche da altri129.(…) La ricerca dell'unità si è espressa nei vari documenti delle numerose Commissioni miste internazionali di dialogo. In tali testi si tratta del Battesimo, dell'Eucaristia, del Ministero e dell'autorità partendo da una certa unità fondamentale di dottrina.Da tale unità fondamentale, ma parziale, si deve ora passare all'unità visibile necessaria e sufficiente, che si iscriva nella realtà concreta, affinché le Chiese realizzino veramente il segno di quella piena comunione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica che si esprimerà nella concelebrazione eucaristica.Questo cammino verso l'unità visibile necessaria e sufficiente, nella comunione dell'unica Chiesa voluta da Cristo, esige ancora un lavoro paziente e coraggioso. Nel far ciò bisogna non imporre altri obblighi all'infuori degli indispensabili (cfr. At 15,28). 

79. Sin da ora è possibile individuare gli argomenti da approfondire per raggiungere un vero consenso di fede: 1) le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede e la sacra Tradizione, indispensabile interpretazione della parola di Dio; 2) l'Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello Spirito Santo; 3) l'Ordinazione, come sacramento, al triplice ministero dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4) il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con lui, inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l'insegnamento e la salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria, Madre di Dio e icona della Chiesa, Madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l'umanità.In questo coraggioso cammino verso l'unità, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa131. (…)

Ricezione dei risultati raggiunti

80. Mentre prosegue il dialogo su nuove tematiche o si sviluppa a livelli più profondi, abbiamo un compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati sino ad ora raggiunti. (…) deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme. (…) È lo stesso Spirito che assiste il Magistero e suscita il  sensus fidei (…)

81. Questo processo, che si dovrà fare con prudenza e in atteggiamento di fede, sarà assistito dallo Spirito Santo. Perché esso dia esito favorevole, è necessario che i suoi risultati siano opportunamente divulgati da persone competenti. (…)L'intero processo è seguito ed aiutato dai Vescovi e dalla Santa Sede. L'autorità docente ha la responsabilità di esprimere il giudizio definitivo.In tutto questo, sarà di grande aiuto attenersi metodologicamente alla distinzione fra il deposito della fede e la formulazione in cui esso è espresso, come raccomandava Papa Giovanni XXIII nel discorso pronunciato in apertura del Concilio Vaticano II135. 

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Continuare l'ecumenismo spirituale e testimoniare la santità

82. Si comprende come la gravità dell'impegno ecumenico interpelli in profondità i fedeli cattolici. Lo Spirito li invita ad un serio esame di coscienza. La Chiesa cattolica deve entrare in quello che si potrebbe chiamare "dialogo della conversione", nel quale è posto il fondamento interiore del dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si compie davanti a Dio, ciascuno deve ricercare i propri torti, confessare le sue colpe, e rimettere se stesso nelle mani di Colui che è l'Intercessore presso il Padre, Gesù Cristo.(…) I legami della koinonia fraterna vanno intrecciati davanti a Dio e in Cristo Gesù.Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a quella continua riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena136, che sono le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. Uno dei procedimenti fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le Comunità cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa. 

83. Ebbene, tutte le Comunità cristiane (…) hanno dei martiri della fede cristiana137. Malgrado il dramma della divisione, questi fratelli hanno conservato in se stessi un attaccamento a Cristo e al Padre suo tanto radicale e assoluto da poter arrivare fino all'effusione del sangue. Ma non è forse questo stesso attaccamento ad essere chiamato in causa in ciò che ho qualificato come "dialogo della conversione"? Non è proprio questo dialogo a sottolineare la necessità di andare fino in fondo all'esperienza di verità per la piena comunione? 

84. In una visione teocentrica, noi cristiani già abbiamo un Martirologio comune. (…) Se si può morire per la fede, ciò dimostra che si può raggiungere la mèta quando si tratta di altre forme della stessa esigenza. Ho già constatato, e con gioia, come la comunione, imperfetta ma reale, è mantenuta e cresce a molti livelli della vita ecclesiale. Ritengo ora che essa sia già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l'apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (cfr. Ef 2,13).(…) Questi santi vengono da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l'ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla di un patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza, le tradizioni che tutte le comunità hanno conservato e dalle quali esse sono state plasmate, ma in primo luogo e innanzi tutto questa realtà della santità139. (…)

85. (…) si è dunque realizzata come una comunicazione della ricchezza della grazia che è destinata ad abbellire la koinonia. La grazia di Dio sarà con tutti coloro che, seguendo l'esempio dei santi, si impegnano ad assecondarne le esigenze. E noi, come possiamo esitare a convertirci alle attese del Padre? Egli è con noi.

Contributo della Chiesa cattolica nella ricerca dell'unità dei cristiani

86. La Costituzione Lumen gentium in una sua affermazione fondamentale che il Decreto Unitatis redintegratio riecheggia141, scrive che l'unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica142. Il Decreto sull'ecumenismo sottolinea la presenza in essa della pienezza (plenitudo) degli strumenti di salvezza143. La piena unità si realizzerà quando tutti parteciperanno alla pienezza dei mezzi di salvezza che Cristo ha affidato alla sua Chiesa. 

87. Lungo il cammino che conduce verso la piena unità, il dialogo ecumenico si adopera a suscitare un fraterno aiuto reciproco per mezzo del quale le Comunità si applicano a darsi scambievolmente

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ciò di cui ciascuna ha bisogno per crescere secondo il disegno di Dio verso la pienezza definitiva (cfr. Ef 4,11-13). Ho detto come siamo consapevoli, in quanto Chiesa cattolica, di aver ricevuto molto dalla testimonianza, dalla ricerca e finanche dalla maniera in cui sono stati sottolineati e vissuti dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali certi beni cristiani comuni. Tra i progressi compiuti durante gli ultimi trent'anni, bisogna attribuire un posto di rilievo a tale fraterno influsso reciproco. (…) Bisogna che i doni di ciascuno si sviluppino per l'utilità e a vantaggio di tutti"145.

Il ministero d'unità del Vescovo di Roma

88. Tra tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato il ministero del Successore dell'apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio ha costituito quale "perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità"146, e che lo Spirito sostiene perché di questo essenziale bene renda partecipi tutti gli altri. Secondo la bella espressione di Papa Gregorio Magno, il mio ministero è quello di servus servorum Dei. Tale definizione salvaguarda nel modo migliore dal rischio di separare la potestà (ed in particolare il primato) dal ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il significato di potestà secondo il Vangelo: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27), dice il Signore nostro Gesù Cristo, Capo della Chiesa. D'altra parte, come ho avuto modo di affermare nell'importante occasione dell'incontro al Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, il 12 giugno 1984, la convinzione della Chiesa cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei Padri, nel ministero del Vescovo di Roma, il segno visibile e il garante dell'unità, costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi. Per quello che ne siamo responsabili, con il mio Predecessore Paolo VI imploro perdono147. 

89. È tuttavia significativo ed incoraggiante che la questione del primato del Vescovo di Roma sia attualmente diventata oggetto di studio, immediato o in prospettiva, (…) generalmente nell'insieme del movimento ecumenico. (…) Dopo secoli di aspre polemiche, le altre Chiese e Comunità ecclesiali sempre di più scrutano con uno sguardo nuovo tale ministero di unità149. 

90. Il Vescovo di Roma è il Vescovo della Chiesa che conserva l'impronta del martirio di Pietro e di quello di Paolo: "Per un misterioso disegno della Provvidenza, è a Roma che egli [Pietro] conclude il suo cammino al seguito di Gesù ed è a Roma che dà questa massima prova d'amore e di fedeltà. A Roma, Paolo, l'apostolo delle genti, dà anche lui la testimonianza suprema. La Chiesa di Roma diventava così la Chiesa di Pietro e di Paolo"150.Nel Nuovo Testamento, la persona di Pietro ha un posto eminente. Nella prima parte degli Atti degli Apostoli, egli appare come il capo ed il portavoce del collegio apostolico designato come "Pietro [...] con gli altri Undici" (2,14; cfr. anche 2,37; 5,29). Il posto assegnato a Pietro è fondato sulle parole stesse di Cristo, così come esse sono ricordate nelle tradizioni evangeliche. 

91. Il Vangelo di Matteo delinea e precisa la missione pastorale di Pietro nella Chiesa: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (16,17-19). Luca evidenzia che Cristo raccomanda a Pietro di confermare i fratelli, ma che allo stesso tempo gli fa conoscere la sua debolezza umana ed il suo bisogno di conversione (cfr. Lc 22,31-32). È proprio come se, sullo sfondo dell'umana debolezza di Pietro, si manifestasse pienamente che il suo particolare ministero nella Chiesa proviene totalmente dalla grazia; è come se il Maestro si dedicasse in modo speciale alla sua conversione per prepararlo al compito che si appresta ad affidargli nella sua Chiesa e fosse molto esigente con lui. La stessa funzione di Pietro, sempre legata

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ad una realistica affermazione della sua debolezza, si ritrova nel quarto Vangelo: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? [...] Pasci le mie pecorelle" (cfr. Gv 21,15-19). È inoltre significativo che secondo la Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, il Cristo risorto appaia a Cefa e quindi ai Dodici (cfr. 15,5).È importante rilevare come la debolezza di Pietro e di Paolo manifesti che la Chiesa si fonda sulla infinita potenza della grazia (cfr. Mt 16,17; 2Cor 12,7-10). Pietro, subito dopo la sua investitura, è redarguito con rara severità da Cristo che gli dice: "Tu mi sei di scandalo" (Mt 16,23). Come non vedere nella misericordia di cui Pietro ha bisogno una relazione con il ministero di quella misericordia che egli sperimenta per primo? Ugualmente, tre volte egli rinnegherà Gesù. Anche il Vangelo di Giovanni sottolinea che Pietro riceve l'incarico di pascere il gregge in una triplice professione d'amore (cfr. 21,15-17) che corrisponde al suo triplice tradimento (cfr. 13, 38). Luca, da parte sua, nella parola di Cristo già citata, alla quale aderirà la prima tradizione nell'intento di delineare la missione di Pietro, insiste sul fatto che questi dovrà "confermare i suoi fratelli una volta che si sarà ravveduto" (cfr. Lc 22,32). 

92. Quanto a Paolo, egli può concludere la descrizione del suo ministero con la sconvolgente affermazione che gli è dato raccogliere dalle labbra del Signore: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza", e può esclamare quindi: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor 12,9-10). È questa una caratteristica fondamentale dell'esperienza cristiana.Erede della missione di Pietro, nella Chiesa fecondata dal sangue dei corifei degli Apostoli, il Vescovo di Roma esercita un ministero (…) L'autorità propria di questo ministero è tutta per il servizio del disegno misericordioso di Dio e va sempre vista in questa prospettiva. Il suo potere si spiega con essa. 

93. Ricollegandosi alla triplice professione d'amore di Pietro che corrisponde al triplice tradimento, il suo successore sa di dover essere segno di misericordia. Il suo è un ministero di misericordia nato da un atto di misericordia di Cristo. Tutta questa lezione del Vangelo deve essere costantemente riletta, affinché l'esercizio del ministero petrino nulla perda della sua autenticità e trasparenza (…)

94. Tale servizio dell'unità, radicato nell'opera della misericordia divina, è affidato, all'interno stesso del collegio dei Vescovi, ad uno di coloro che hanno ricevuto dallo Spirito l'incarico, non di esercitare il potere sul popolo - come fanno i capi delle nazioni e i grandi (cfr. Mt 20,25; Mc 10,42) -, ma di guidarlo perché possa dirigersi verso pascoli tranquilli. (…) La missione del Vescovo di Roma nel gruppo di tutti i Pastori consiste appunto nel "vegliare" (episkopein) come una sentinella, in modo che, grazie ai Pastori, si oda in tutte le Chiese particolari la vera voce di Cristo-Pastore. Così, in ciascuna delle Chiese particolari loro affidate si realizza l'una, sancta, catholica et apostolica Ecclesia. Tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i Pastori sono in comunione con Pietro, e così nell'unità di Cristo.Con il potere e l'autorità senza i quali tale funzione sarebbe illusoria, il Vescovo di Roma deve assicurare la comunione di tutte le Chiese. A questo titolo, egli è il primo tra i servitori dell'unità. Tale primato si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana. Spetta al Successore di Pietro di ricordare le esigenze del bene comune della Chiesa, se qualcuno fosse tentato di dimenticarlo in funzione dei propri interessi. Egli ha il dovere di avvertire, mettere in guardia, dichiarare a volte inconciliabile con l'unità di fede questa o quella opinione che si diffonde. Quando le circostanze lo esigono, egli parla a nome di tutti i Pastori in comunione con lui. Egli può anche - in condizioni ben precise, chiarite dal Concilio Vaticano I - dichiarare ex cathedra che una dottrina appartiene al deposito della fede152. Testimoniando così della verità, egli serve l'unità. 

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95. Tutto questo si deve però compiere sempre nella comunione. Quando la Chiesa cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi "vicari e delegati di Cristo"153. Il Vescovo di Roma appartiene al loro "collegio" ed essi sono i suoi fratelli nel ministero.Ciò che riguarda l'unità di tutte le comunità cristiane rientra ovviamente nell'ambito delle preoccupazioni del primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti "dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina"154.In tal modo il primato esercitava la sua funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios I, ho detto di essere consapevole che "per delle ragioni molto diverse, e contro la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha potuto manifestarsi sotto una luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri"155. 

96. Compito immane, che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo. La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa, lasciandoci trafiggere dal suo grido "siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21)?

La comunione di tutte le Chiese particolari con la Chiesa di Roma: condizione necessaria per l'unità

97. La Chiesa cattolica, sia nella sua praxis che nei testi ufficiali, sostiene che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale - nel disegno di Dio - della comunione piena e visibile. Bisogna, infatti, che la piena comunione, di cui l'Eucaristia è la suprema manifestazione sacramentale, abbia la sua espressione visibile in un ministero nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede. La prima parte degli Atti degli Apostoli presenta Pietro come colui che parla a nome del gruppo apostolico e serve l'unità della comunità - e ciò nel rispetto dell'autorità di Giacomo, capo della Chiesa di Gerusalemme. Questa funzione di Pietro deve restare nella Chiesa affinché, sotto il suo solo Capo, che è Cristo Gesù, essa sia visibilmente nel mondo la comunione di tutti i suoi discepoli.Non è forse un ministero di questo tipo di cui molti di coloro che sono impegnati nell'ecumenismo esprimono oggi il bisogno? Presiedere nella verità e nell'amore affinché la barca - il bel simbolo che il Consiglio ecumenico delle Chiese ha scelto come emblema - non sia squassata dalle tempeste e possa un giorno approdare alla sua riva. 

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Piena unità ed evangelizzazione 98. Il movimento ecumenico del nostro secolo, più delle imprese ecumeniche dei secoli scorsi, di cui tuttavia non va sottovalutata l'importanza, è stato contraddistinto da una prospettiva missionaria. Nel versetto giovanneo che serve da ispirazione e da motivo conduttore - "siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21) - è stato sottolineato perché il mondo creda con tanto vigore da correre il rischio di dimenticare a volte che, nel pensiero dell'evangelista, l'unità è, soprattutto, per la gloria del Padre. È evidente, comunque, che la divisione dei cristiani è in contraddizione con la Verità che essi hanno la missione di diffondere, e dunque essa ferisce gravemente la loro testimonianza. (…)Come, infatti, annunciare il Vangelo della riconciliazione, senza al contempo impegnarsi ad operare per la riconciliazione dei cristiani? (…) Messi di fronte a missionari in disaccordo fra loro, sebbene essi si richiamino tutti a Cristo, sapranno gli increduli accogliere il vero messaggio? Non penseranno che il Vangelo sia fattore di divisione, anche se esso è presentato come la legge fondamentale della carità? 

99. Quando affermo che per me, Vescovo di Roma, l'impegno ecumenico è "una delle priorità pastorali" del mio pontificato157, il mio pensiero va al grave ostacolo che la divisione costituisce per l'annuncio del Vangelo. (…)

Esortazione100. (…) anche oggi Cristo chiede che uno slancio nuovo ravvivi l'impegno di ciascuno per la comunione piena e visibile. 

101. Esorto, dunque, i miei Fratelli nell'episcopato a porre ogni attenzione a tale impegno. I due Codici di Diritto Canonico annoverano tra le responsabilità del Vescovo quella di promuovere l'unità di tutti i cristiani, sostenendo ogni azione o iniziativa intesa a promuoverla nella consapevolezza che la Chiesa è tenuta a ciò per volontà stessa di Cristo160. Ciò fa parte della missione episcopale ed è un obbligo che deriva direttamente dalla fedeltà a Cristo, Pastore della Chiesa. Tutti i fedeli, però, sono invitati dallo Spirito di Dio a fare il possibile, perché si rinsaldino i legami di comunione tra tutti i cristiani e cresca la collaborazione dei discepoli di Cristo: "La cura di ristabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo la propria capacità"161. 

102. (…) Come ottenerlo? In primo luogo con la preghiera. (…) La preghiera deve avere la priorità in questo cammino che intraprendiamo con gli altri cristiani verso il nuovo millennio. Come ottenerlo? Con l'azione di grazie, perché non ci presentiamo a mani vuote a questo appuntamento: (…) Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico.E se volessimo chiederci se tutto ciò è possibile, la risposta sarebbe sempre: sì. La stessa risposta udita da Maria di Nazaret, perché nulla è impossibile a Dio. (…)103. Io, Giovanni Paolo, umile servus servorum Dei, mi permetto di fare mie le parole dell'apostolo Paolo (…) "tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi [...]. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2Cor 13,11.13). Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 maggio, dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.GIOVANNI PAOLO II 

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ORIENTALE LUMEN (leggere!)

Conoscere l’oriente significa tornare a respirare con due polmoni. Ecco perché la I parte presenta la conoscenza dell’oriente come una esperienza di fede. Non distingue tra le diverse realtà cristiane ma tutte accomuna sotto il nome di “Oriente cristiano”, la cui conoscenza arricchirà la nostra fede.Nella II parte, dalla conoscenza si è invitati a passare all’incontro.

“Orientale lumen”, luce dell’oriente, è Cristo, che ha illuminato da là – dove la Chiesa è nata – l’intero universo.

LETTERA APOSTOLICA ORIENTALE LUMEN   di GIOVANNI PAOLO II (1995)  Venerati Fratelli,Carissimi Figli e Figlie della Chiesa

1. La luce dell'Oriente ha illuminato la Chiesa universale, sin da quando è apparso su di noi «un sole che sorge» (Lc 1,78), Gesù Cristo, nostro Signore, che tutti i cristiani invocano quale Redentore dell'uomo e speranza del mondo.Quella luce ispirava al mio Predecessore Papa Leone XIII la Lettera Apostolica Orientalium Dignitas con la quale egli volle difendere il significato delle tradizioni orientali per tutta la Chiesa. Ricorrendo il centenario di quell'avvenimento e delle iniziative contemporanee con le quali questo Pontefice intendeva favorire la ricomposizione dell'unità con tutti i cristiani d'Oriente, ho voluto che un appello simile, arricchito dalle tante esperienze di conoscenza e d'incontro realizzatesi in quest'ultimo secolo, fosse rivolto alla Chiesa cattolica.Poiché infatti crediamo che la venerabile e antica tradizione delle Chiese orientali sia parte integrante del patrimonio della Chiesa di Cristo, la prima necessità per i cattolici e di conoscerla per potersene nutrire e favorire, nel modo possibile a ciascuno, il processo dell'unità.I nostri fratelli orientali cattolici sono ben coscienti di essere i portatori viventi, insieme con i fratelli ortodossi, di questa tradizione. E necessario che anche i figli della Chiesa cattolica di tradizione latina possano conoscere in pienezza questo tesoro e sentire così, insieme con il Papa, la passione perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa, espressa non da una sola tradizione, né tanto meno da una comunità contro l'altra; e perché anche a noi tutti sia concesso di gustare in pieno quel patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale [cfr. UR 17] che si conserva e cresce nella vita delle Chiese d'Oriente come in quelle d'Occidente.

2. Il mio sguardo si rivolge all'Orientale Lumen che risplende da Gerusalemme (cfr. Is 60,1; Ap 21,10), la città nella quale il Verbo di Dio, fatto uomo per la nostra salvezza, ebreo «nato dalla stirpe di Davide» (Rm 1,3; 2Tm 2,8), morì e fu risuscitato. In quella città santa, mentre si compiva il giorno di Pentecoste e «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (At 2,1), lo Spirito Paraclito fu inviato su Maria e i discepoli. Di lì il Buon Annuncio si irradiò nel mondo perché, ripieni dello Spirito Santo, «annunziavano la Parola di Dio con franchezza» (At 4,31). Di lì dalla madre di tutte le Chiese il Vangelo fu predicato a tutte le nazioni, molte delle quali si gloriano di aver avuto in uno degli apostoli il primo testimone del Signore. In quella città le culture e le tradizioni più varie ebbero ospitalità nel nome dell'unico Dio (cfr. At 2,9-11). Nel volgerci ad essa con nostalgia e gratitudine ritroviamo la forza e l'entusiasmo per intensificare la ricerca dell'armonia in quell'autenticità e pluriformità che rimane l'ideale della Chiesa [cfr. UR 4].

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3. Un Papa, figlio di un popolo slavo, sente particolarmente nel cuore il richiamo di quei popoli verso i quali si volsero i due santi fratelli Cirillo e Metodio, esempio glorioso di apostoli dell'unità che seppero annunziare Cristo nella ricerca della comunione tra Oriente ed Occidente, pur tra le difficoltà che già talvolta contrapponevano i due mondi. Più volte mi sono soffermato sull'esempio del loro operato anche rivolgendomi a quanti ne sono i figli nella fede e nella cultura.Queste considerazioni vogliono ora allargarsi per abbracciare tutte le Chiese orientali, nella varietà delle loro diverse tradizioni. Ai fratelli delle Chiese d'Oriente va il mio pensiero, nel desiderio di ricercare insieme la forza di una risposta agli interrogativi che l'uomo oggi si pone, ad ogni latitudine del mondo. Al loro patrimonio di fede e di vita intendo rivolgermi, nella coscienza che il cammino dell'unità non può conoscere ripensamenti ma è irreversibile come l'appello del Signore all'unità. «Carissimi, abbiamo questo compito comune, dobbiamo dire insieme fra Oriente e Occidente: Ne evacuetur Crux! (cfr. 1Cor 1,17). Non sia svuotata la Croce di Cristo, perché se si svuota la Croce di Cristo, l'uomo non ha più radici, non ha più prospettive: è distrutto! Questo è il grido alla fine del secolo ventesimo. E il grido di Roma, il grido di Costantinopoli, il grido di Mosca. E il grido di tutta la cristianità: delle Americhe, dell'Africa, dell'Asia, di tutti. E il grido della nuova evangelizzazione» [Discorso dopo la Via Crucis del Venerdi Santo (1° aprile 1994)].Alle Chiese d'Oriente si dirige il mio pensiero, come numerosi altri Papi fecero nel passato, sentendo rivolto anzitutto a sé il mandato di mantenere l'unità della Chiesa e di cercare instancabilmente l'unione dei cristiani dove fosse stata lacerata. Un legame particolarmente stretto già ci unisce. Abbiamo in comune quasi tutto [cfr. UR 14-18]; e abbiamo in comune soprattutto l'anelito sincero all'unità.

4. Giunge a tutte le Chiese, d'Oriente e d'Occidente, il grido degli uomini d'oggi che chiedono un senso per la loro vita. Noi vi percepiamo l'invocazione di chi cerca il Padre dimenticato e perduto (cfr. Lc 15,18-20; Gv 14,8). Le donne e gli uomini di oggi ci chiedono di indicare loro Cristo, che conosce il Padre e ce lo ha rivelato (cfr. Gv 8,55; 14,8-11). Lasciandoci interpellare dalle domande del mondo, ascoltandole con umiltà e tenerezza, in piena solidarietà con chi le esprime, noi siamo chiamati a mostrare con parole e gesti di oggi le immense ricchezze che le nostre Chiese conservano nei forzieri delle loro tradizioni. Impariamo dal Signore stesso che lungo il cammino si fermava tra la gente, l'ascoltava, si commuoveva quando li vedeva «come pecore senza pastore» (Mt 9,36; cfr. Mc 6,34). Da lui dobbiamo apprendere quello sguardo d'amore con il quale riconciliava gli uomini con il Padre e con se stessi, comunicando loro quella forza che sola è in grado di sanare tutto l'uomo.Di fronte a questo appello le Chiese d'Oriente e di Occidente sono chiamate a concentrarsi sull'essenziale: «Non possiamo presentarci davanti a Cristo, Signore della storia, così divisi come ci siamo purtroppo ritrovati nel corso del secondo millennio. Queste divisioni devono cedere il passo al riavvicinamento e alla concordia; debbono essere rimarginate le ferite sul cammino dell'unità dei cristiani» [Discorso al Concistoro straordinario, 13 giugno 1994].Al di là delle nostre fragilità dobbiamo volgerci a Lui, unico Maestro, partecipando alla sua morte, in modo da purificarci da quel geloso attaccamento ai sentimenti e alle memorie non delle grandi cose che Dio ha fatto per noi, ma delle vicende umane di un passato che pesa ancora fortemente sui nostri cuori. Lo Spirito renda limpido il nostro sguardo, perché insieme possiamo camminare verso l'uomo contemporaneo che attende il lieto annuncio. Se di fronte alle attese e alle sofferenze del mondo daremo una risposta concorde, illuminante, vivificante, contribuiremo davvero a un annuncio più efficace del Vangelo tra gli uomini del nostro tempo.

I - CONOSCERE L'ORIENTE CRISTIANO UN'ESPERIENZA DI FEDE5. «Nell'indagare la verità rivelata in oriente e in occidente furono usati metodi e prospettive diversi per giungere alla conoscenza e alla proclamazione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce

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dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi» [UR 17].Portando nel cuore le domande, le aspirazioni e le esperienze a cui ho accennato, la mia mente si volge al patrimonio cristiano dell'Oriente. Non intendo descriverlo né interpretarlo: mi metto in ascolto delle Chiese d'Oriente che so essere interpreti viventi del tesoro tradizionale da esse custodito. Nel contemplarlo appaiono ai miei occhi elementi di grande significato per una più piena ed integrale comprensione dell'esperienza cristiana e, quindi, per dare una più completa risposta cristiana alle attese degli uomini e delle donne di oggi. Rispetto a qualsiasi altra cultura, l'Oriente cristiano ha infatti un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente.La tradizione orientale cristiana implica un modo di accogliere, di comprendere e di vivere la fede nel Signore Gesù. In questo senso essa è vicinissima alla tradizione cristiana d'Occidente che nasce e si nutre della stessa fede. Eppure se ne differenzia, legittimamente e mirabilmente, in quanto il cristiano orientale ha un proprio modo di sentire e di comprendere, e quindi anche un modo originale di vivere il suo rapporto con il Salvatore. Voglio qui avvicinarmi con rispetto e trepidazione all'atto di adorazione che esprimono queste Chiese, piuttosto che individuare questo o quel punto teologico specifico, emerso nei secoli in contrapposizione polemica nel dibattito tra Occidentali e Orientali.L'Oriente cristiano fin dalle origini si mostra multiforme al proprio interno, capace di assumere i tratti caratteristici di ogni singola cultura e con un sommo rispetto di ogni comunità particolare. Non possiamo che ringraziare Dio, con profonda commozione, per la mirabile varietà con cui ha consentito di comporre, con tessere diverse, un mosaico così ricco e composito.

6. Vi sono alcuni tratti della tradizione spirituale e teologica, comuni alle diverse Chiese d'Oriente, che ne distinguono la sensibilità rispetto alle forme assolute della trasmissione del Vangelo nelle terre d'Occidente. Così li sintetizza il Vaticano II: «E noto a tutti con quanto amore i cristiani orientali compiano le sacre azioni liturgiche, soprattutto la celebrazione eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura, con la quale i fedeli uniti col Vescovo hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo Incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la santissima Trinità, fatti "partecipi della natura divina" (2Pt 1,4)» [Ibidem, 15].In questi tratti si delinea la visione orientale del cristiano, il cui fine è la partecipazione alla natura divina mediante la comunione al mistero della santa Trinità. Vi si tratteggiano la «monarchia» del Padre e la concezione della salvezza secondo l'economia, quale la presenta la teologia orientale dopo Sant'Ireneo di Lione e quale si diffonde presso i Padri cappadoci.La partecipazione alla vita trinitaria si realizza attraverso la liturgia e in modo particolare l'Eucaristia, mistero di comunione con il corpo glorificato di Cristo, seme di immortalità [cfr. S. Gregorio di Nissa, Discorso catechetico XXXVII: PG 45,97]. Nella divinizzazione e soprattutto nei sacramenti la teologia orientale attribuisce un ruolo tutto particolare allo Spirito Santo: per la potenza dello Spirito che dimora nell'uomo la deificazione comincia già sulla terra, la creatura è trasfigurata e il Regno di Dio è inaugurato.L'insegnamento dei Padri cappadoci sulla divinizzazione è passato nella tradizione di tutte le Chiese orientali e costituisce parte del loro patrimonio comune. Ciò si può riassumere nel pensiero già espresso da Sant'Ireneo alla fine del II secolo: Dio si è fatto figlio dell'uomo, affinché l'uomo potesse divenire figlio di Dio. Questa teologia della divinizzazione resta una delle acquisizioni particolarmente care al pensiero cristiano orientale [Innestati in Cristo «gli uomini diventano dei e figli di Dio, ... la polvere e innalzata ad un tale grado di gloria da essere ormai uguale in onore e deità alla natura divina», Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, I: PG 150,505].In questo cammino di divinizzazione ci precedono coloro che la grazia e l'impegno nella via del bene ha reso «somigliantissimi» al Cristo: i martiri e i santi [cfr. S.Giovanni Damasceno, Sulle immagini, I,19: PG 94,1249]. E tra questi un posto tutto particolare occupa la Vergine Maria, dalla quale è germogliato il Virgulto di Jesse (cfr. Is 11,1). La sua figura è non solo la Madre che ci

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attende ma la Purissima che - realizzazione di tante prefigurazioni veterotestamentarie - è icona della Chiesa, simbolo e anticipo dell'umanità trasfigurata dalla grazia, modello e sicura speranza per quanti muovono i loro passi verso la Gerusalemme del cielo.Pur accentuando fortemente il realismo trinitario e la sua implicazione nella vita sacramentale l'Oriente associa la fede nell'unità della natura divina alla inconoscibilità della divina essenza. I Padri orientali affermano sempre che è impossibile sapere ciò che Dio è, si può solo sapere che Egli è, poiché si è rivelato nella storia della salvezza come Padre, Figlio e Spirito Santo.Questo senso della indicibile realtà divina si riflette nella celebrazione liturgica, dove il senso del mistero è colto così fortemente da parte di tutti i fedeli dell'Oriente cristiano.«In oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi padri fiorì quella spiritualità monastica, che si estese poi all'occidente e dalla quale, come da sua fonte trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito ricevette ripetutamente nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze dei padri orientali, le quali trasportano tutto l'uomo alla contemplazione delle cose divine» [UR 15].

Antonio e Pacomio (monaci del deserto), Basilio (monaci della città). Basilio è il primo a scrivere una regola per un monachesimo non isolato (Antonio) né comune ma nel deserto (Pacomio), bensì vita comune in città, come i modelli dei primi tempi. Le regole monastiche sono una sorta di commento ai vangeli “in situ”, cioè nelle situazioni di vita concrete e reali, organizzate a domande e risposte.Dall’altura del monachesimo, potremo meglio vedere la bellezza dell’oriente cristiano.

Vangelo, Chiese e culture7. Già altre volte ho messo in evidenza che un primo grande valore vissuto particolarmente nell'Oriente cristiano consiste nell'attenzione ai popoli e alle loro culture, perché la Parola di Dio e la sua lode possano risuonare in ogni lingua. Su questo tema mi sono soffermato nella Lettera enciclica Slavorum Apostoli, ove rilevavo che Cirillo e Metodio «desiderarono diventare simili sotto ogni aspetto a coloro ai quali recavano il Vangelo; vollero diventare parte di quei popoli e condividerne in tutto la sorte»; «si trattava di un nuovo metodo di catechesi». Nel fare questo essi espressero un atteggiamento molto diffuso nell'Oriente cristiano: «Incarnando il Vangelo nella peculiare cultura dei popoli che evangelizzavano, i Santi Cirillo e Metodio ebbero particolari meriti per la formazione e lo sviluppo di quella stessa cultura o, meglio, di molte culture». Rispetto e considerazione per le culture particolari si uniscono in essi alla passione per l'universalità della Chiesa, che instancabilmente si sforzano di realizzare. L'atteggiamento dei due fratelli di Salonicco è rappresentativo, nell'antichità cristiana, di uno stile tipico di molte Chiese: la rivelazione si annuncia in modo adeguato e si fa pienamente comprensibile quando Cristo parla la lingua dei vari popoli, e questi possono leggere la Scrittura e cantare la liturgia nella lingua e con le espressioni che sono loro proprie, quasi rinnovando i prodigi della Pentecoste.In un tempo nel quale si riconosce come sempre più fondamentale il diritto di ogni popolo ad esprimersi secondo il proprio patrimonio di cultura e di pensiero, l'esperienza delle singole Chiese d'Oriente ci si presenta come un autorevole esempio di riuscita inculturazione.Da questo modello apprendiamo che se vogliamo evitare il rinascere di particolarismi e anche di nazionalismi esasperati, dobbiamo comprendere che l'annuncio del Vangelo deve essere, ad un tempo, profondamente radicato nella specificità delle culture ed aperto a confluire in una universalità che è scambio per il comune arricchimento.

Tra memoria e attesa8. Spesso oggi ci sentiamo prigionieri del presente; è come se l'uomo avesse smarrito la percezione di far parte di una storia che lo precede e lo segue. A questa fatica di collocarsi tra passato e futuro con animo grato per i benefici ricevuti e per quelli attesi, in particolare le Chiese dell'Oriente

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offrono uno spiccato senso della continuità, che prende i nomi di Tradizione e di attesa escatologica.La Tradizione è patrimonio della Chiesa di Cristo, memoria viva del Risorto incontrato e testimoniato dagli Apostoli che ne hanno trasmesso il ricordo vivente ai loro successori, in una linea ininterrotta che è garantita dalla successione apostolica, attraverso l'imposizione delle mani, fino ai Vescovi di oggi. Essa si articola nel patrimonio storico e culturale di ciascuna Chiesa, plasmato in essa dalla testimonianza dei martiri, dei padri e dei santi, nonché dalla fede viva di tutti i cristiani lungo i secoli fino ai nostri giorni. Si tratta non di una ripetizione immutata di formule, ma di un patrimonio che custodisce il vivo nucleo kerygmatico originario. E la Tradizione che sottrae la Chiesa al pericolo di raccogliere solo opinioni mutevoli e ne garantisce la certezza e la continuità.Quando gli usi e le consuetudini propri di ciascuna Chiesa vengono intesi come pura immobilità, si rischia certo di sottrarre alla Tradizione quel carattere di realtà vivente, che cresce e si sviluppa, e che lo Spirito le garantisce proprio perché essa parli agli uomini di ogni tempo. E come già la Scrittura cresce con chi la legge, così ogni altro elemento del patrimonio vivo della Chiesa cresce nella comprensione dei credenti e si arricchisce di apporti nuovi, nella fedeltà e nella continuità [DV 8]. Solo una religiosa assimilazione, nell'obbedienza della fede, di ciò che la Chiesa chiama «Tradizione» consentirà a questa di incarnarsi nelle diverse situazioni e condizioni storico-culturali. La Tradizione non è mai pura nostalgia di cose o forme passate, o rimpianto di privilegi perduti, ma la memoria viva della Sposa conservata eternamente giovane dall'Amore che la inabita.Se la Tradizione ci pone in continuità con il passato, l'attesa escatologica ci apre al futuro di Dio. Ogni Chiesa deve lottare contro la tentazione di assolutizzare ciò che compie e quindi di autocelebrarsi o di abbandonarsi alla tristezza. Ma il tempo è di Dio, e tutto ciò che si realizza non si identifica mai con la pienezza del Regno, che è sempre dono gratuito. Il Signore Gesù è venuto a morire per noi ed è risorto dai morti, mentre la creazione, salvata nella speranza, soffre ancora nelle doglie del parto (cfr. Rm 8,22); quello stesso Signore tornerà per consegnare il cosmo al Padre (cfr. 1Cor 15,28). Questo ritorno la Chiesa invoca, e di esso è testimone privilegiato il monaco e il religioso.L'Oriente esprime in modo vivo le realtà della tradizione e dell'attesa. Tutta la sua liturgia, in particolare, è memoriale della salvezza e invocazione del ritorno del Signore. E se la Tradizione insegna alle Chiese la fedeltà a ciò che le ha generate, l'attesa escatologica le spinge al essere ciò che ancora non sono in pienezza e che il Signore vuole che diventino, e quindi a cercare sempre nuove vie di fedeltà, vincendo il pessimismo perché proiettate verso la speranza di Dio che non delude.Dobbiamo mostrare agli uomini la bellezza della memoria, la forza che ci viene dallo Spirito e che ci rende testimoni perché siamo figli di testimoni; far gustare loro le cose stupende che lo Spirito ha disseminato nella storia; mostrare che è proprio la Tradizione a conservarle dando quindi speranza a coloro che, pur non avendo veduto i loro sforzi di bene coronati da successo, sanno che qualcun altro li porterà a compimento, allora l'uomo si sentirà meno solo, meno rinchiuso nell'angolo angusto del proprio operato individuale.

Il monachesimo come esemplarità di vita battesimale9. Vorrei ora guardare il vasto paesaggio del cristianesimo d'Oriente da un'altura particolare, che permette di scorgerne molti tratti: il monachesimo.In Oriente il monachesimo ha conservato una grande unità, non conoscendo, come in Occidente, la formazione dei diversi tipi di vita apostolica. Le varie espressioni della vita monastica, dal cenobitismo stretto, come lo concepivano Pacomio o Basilio, all'eremitismo più rigoroso di un Antonio o di un Macario l'egiziano, corrispondono più a stadi diversi del cammino spirituale che alla scelta tra diversi stati di vita. Tutti comunque si rifanno al monachesimo in sé, in qualsiasi forma esso si esprima.Inoltre il monachesimo non è stato visto in Oriente soltanto come una condizione a parte, propria di una categoria di cristiani ma particolarmente come punto di riferimento per tutti i battezzati,

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nella misura dei doni offerti a ciascuno dal Signore, proponendosi come una sintesi emblematica del cristianesimo.Quando Dio chiama in modo totale come nella vita monastica, allora la persona può raggiungere il punto più alto di quanto sensibilità, cultura e spiritualità sono in grado di esprimere. Ciò vale a maggior ragione per le Chiese orientali, per le quali il monachesimo costituì una esperienza essenziale e che ancora oggi mostra di fiorire in esse, non appena la persecuzione ha termine e i cuori possono levarsi in libertà verso i cieli. Il monastero è il luogo profetico in cui il creato diventa lode di Dio e il precetto della carità concretamente vissuta diventa ideale di convivenza umana, e dove l'essere umano cerca Dio senza barriere e impedimenti, diventando riferimento per tutti, portandoli nel cuore ed aiutandoli a cercare Dio.Vorrei anche ricordare la fulgida testimonianza delle monache nell'Oriente cristiano. Essa ha indicato un modello di valorizzazione dello specifico femminile nella Chiesa, anche forzando la mentalità del tempo. Durante recenti persecuzioni, soprattutto nei paesi dell'Est europeo, quando molti monasteri maschili furono chiusi con violenza, il monachesimo femminile ha conservato accesa la fiaccola della vita monastica. Il carisma della monaca con le caratteristiche che le sono specifiche, è un segno visibile di quella maternità di Dio alla quale sovente si richiama la Scrittura santa.Guarderò dunque al monachesimo, per individuare quei valori che sento oggi molto importanti per esprimere l'apporto dell'Oriente cristiano al cammino della Chiesa di Cristo verso il Regno. Senza essere esclusivi talvolta né della sola esperienza monastica né del patrimonio dell'Oriente, questi aspetti hanno spesso acquisito in esso una connotazione particolare. D'altronde noi stiamo cercando di valorizzare non l'esclusività ma l'arricchimento reciproco in ciò che l'unico Spirito ha suscitato nell'unica Chiesa di Cristo.Il monachesimo è stato da sempre l'anima stessa delle Chiese orientali: i primi monaci cristiani sono nati in Oriente e la vita monastica è stata parte integrante del lumen orientale trasmesso in Occidente dai grandi Padri della Chiesa indivisa [Grande è stato l'influsso in Occidente della Vita di Antonio, scritta da S. Atanasio].I forti tratti comuni che uniscono l'esperienza monastica d'Oriente e d'Occidente fanno di essa un mirabile ponte di fraternità, dove l'unità vissuta risplende persino più di quanto possa apparire nel dialogo fra le Chiese.

Il monaco è l’esempio per il cristiano che vuol imitare Cristo. Non si tratta di imitare lo stato di vita del monaco, bensì il valore delle scelte fatte dal monaco stesso, senza voler separare eccessivamente la spiritualità dallo stato di vita prescelto. Lo schematismo occidentale pone infatti limiti a quella ispirazione e condivisione più tipiche dell’oriente. “L’imitazione di Cristo” si pone in linea con la spiritualità orientale proponendo un ideale di vita che, incarnato esemplarmente dal monaco, è in realtà proposto a chiunque sia desideroso di incontrare il Signore.

Tra Parola ed Eucaristia10. Il monachesimo in modo particolare rivela che la vita è sospesa tra due vertici: la Parola di Dio e l'Eucaristia. Ciò significa che esso è sempre, anche nelle sue forme eremitiche, al contempo risposta personale a una chiamata individuale ed evento ecclesiale e comunitario.E la Parola di Dio il punta di partenza del monaco, una Parola che chiama, che invita; che personalmente interpella, come accadde agli Apostoli. Quando una persona è raggiunta dalla Parola, nasce l'obbedienza, cioè l'ascolto che cambia la vita. Ogni giorno il monaco si nutre del pane della Parola. Privato di esso egli è come morto, e non ha più nulla da comunicare ai fratelli, perché la Parola è Cristo, al quale il monaco è chiamato a conformarsi.Anche quando canta con i suoi fratelli la preghiera che santifica il tempo, egli continua la sua assimilazione della Parola. La ricchissima innografia liturgica, della quale vanno giustamente fiere tutte le Chiese dell'Oriente cristiano, non è che la continuazione della Parola letta, compresa,

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assimilata e finalmente cantata: quegli inni sono in gran parte delle sublimi parafrasi del testo biblico, filtrate e personalizzate attraverso l'esperienza del singolo e della comunità.Di fronte all'abisso della divina misericordia al monaco non resta che proclamare la coscienza della propria povertà radicale, che diviene subito invocazione e grido di giubilo per una salvezza ancora più generosa, perché insperabile dall'abisso della propria miseria [cfr. ad esempio S. Basilio, Regola breve: PG 31,1079-1305; S. Giovanni Crisostomo, Sulla compunzione: PG 47 391-422; Omelie su Matteo, om. XV,3, PG 57,225-228; S. Gregorio di Nissa Sulle beatitudini, om. 3: PG 44,1219-1232]. Ecco perché l'invocazione di perdono e la glorificazione di Dio sostanziano gran parte della preghiera liturgica. Il cristiano è immerso nello stupore di questo paradosso, ultimo di una infinita serie, tutta magnificata con riconoscenza nel linguaggio della liturgia: l'Immenso si fa limite, una vergine partorisce; attraverso la morte Colui che è la vita sconfigge per sempre la morte, nell'alto dei cieli un corpo umano si asside alla destra del Padre.Al culmine di questa esperienza orante sta l'Eucaristia, l'altro vertice indissolubilmente legato alla Parola, in quanto luogo nel quale la Parola si fa Carne e Sangue, esperienza celeste ove essa torna a farsi evento.Nell'Eucaristia si svela la natura profonda della Chiesa, comunità dei convocati alla sinassi per celebrare il dono di Colui che è offerente ed offerta: essi, partecipando ai Santi Misteri divengono «consanguinei» [cfr. Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, IV: PG 150,584-585; Cirillo d'Alessandria, Trattato su Giovanni, 11: PG 74,561; ibidem, 12, 1.c., 564; S. Giovanni Crisostomo, Omelie su Matteo om. LXXXII,5: PG 58,743-744] di Cristo, anticipando l'esperienza della divinizzazione nell'ormai inseparabile vincolo che lega in Cristo divinità e umanità.Ma l'Eucaristia è anche ciò che anticipa l'appartenenza di uomini e cose alla Gerusalemme celeste. Essa svela così compiutamente la sua natura escatologica: come segno vivente di tale attesa, il monaco prosegue e porta a pienezza nella liturgia l'invocazione della Chiesa, la Sposa che supplica il ritorno dello Sposo in un «marana tha» continuamente ripetuto non solo a parole, ma con l'intera esistenza.

La parola è il punto di partenza del monaco. Il primo monaco (Antonio) ha trovato la sua vocazione proprio nell'ascolto della PdDio (" vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri")Il culmine dell'esperienza orante è l'Eucaristia: attraverso questo cibarsi l'uomo viene deificato, innalzato fino a Dio (theosis). La theosis si verifica principalmente durante l'esperienza liturgica

Una liturgia per tutto l'uomo e per tutto il cosmo11. Nell'esperienza liturgica, Cristo Signore è la luce che illumina il cammino e svela la trasparenza del cosmo, proprio come nella Scrittura. Gli avvenimenti del passato trovano in Cristo significato e pienezza e il creato si rivela per ciò che è: un insieme di tratti che solo nella liturgia trovano la loro compiutezza, la loro piena destinazione. Ecco perché la liturgia è il cielo sulla terra e in essa il Verbo che ha assunto la carne permea la materia di una potenzialità salvifica che si manifesta in pienezza nei Sacramenti: lì la creazione comunica a ciascuno la potenza conferitale da Cristo. Così il Signore, immerso nel Giordano, trasmette alle acque una potenza che le abilita ad essere lavacro di rigenerazione battesimale [cfr. S. Gregorio di Nazianzo, Discorso XXXIX: PG 36,335-360].In questo quadro la preghiera liturgica in Oriente mostra una grande attitudine a coinvolgere la persona umana nella sua totalità: il mistero è cantato nella sublimità dei suoi contenuti, ma anche nel calore dei sentimenti che suscita nel cuore dell'umanità salvata. Nell'azione sacra anche la corporeità è convocata alla lode e la bellezza, che in Oriente è uno dei nomi più cari per esprimere la divina armonia e il modello dell'umanità trasfigurata [cfr. Clemente di Alessandria, Il Pedagogo, III,1,1: SCh 158,12], si mostra ovunque: nelle forme del tempio, nei suoni, nei colori, nelle luci, nei profumi. Il tempo prolungato delle celebrazioni, la ripetuta invocazione, tutto esprime un progressivo immedesimarsi nel mistero celebrato con tutta la persona. E la preghiera della Chiesa diviene così già partecipazione alla liturgia celeste, anticipo della beatitudine finale.

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Questa valorizzazione integrale della persona nelle sue componenti razionali ed emotive, nell'«estasi» e nell'immanenza, è di grande attualità, costituendo una mirabile scuola per la comprensione del significato delle realtà create: esse non sono né un assoluto, né un nido di peccato e di iniquità. Nella liturgia le cose svelano la propria natura di dono offerto dal Creatore all'umanità: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen1,31). Se tutto ciò è segnato dal dramma del peccato, che appesantisce la materia e ne ostacola la trasparenza, questa è redenta nell'Incarnazione e resa pienamente teoforica, cioè capace di metterci in relazione con il Padre: questa proprietà è massimamente manifesta nei santi misteri, i Sacramenti della Chiesa.Il Cristianesimo non rifiuta la materia, la corporeità, che viene anzi valorizzata in pieno nell'atto liturgico, nel quale il corpo umano mostra la sua intima natura di tempio dello Spirito e giunge ad unirsi al Signore Gesù, fatto anch'egli corpo per la salvezza del mondo. Né questo comporta una esaltazione assoluta di tutto quanto è fisico, perché conosciamo bene quale disordine abbia introdotto il peccato nell'armonia dell'essere umano. La liturgia rivela che il corpo, attraversando il mistero della Croce, è in cammino verso la trasfigurazione, la pneumatizzazione: sul monte Tabor Cristo lo ha mostrato splendente come è volere del Padre che torni ad essere.Ed anche la realtà cosmica è convocata al rendimento di grazie, perché tutto il cosmo è chiamato alla ricapitolazione nel Cristo Signore. Si esprime in questa concezione un equilibrato e mirabile insegnamento sulla dignità, il rispetto e la finalità della creazione e del corpo umano in particolare. Esso, rigettato parimenti ogni dualismo ed ogni culto del piacere fine a se stesso, diventa luogo reso luminoso dalla grazia e quindi pienamente umano.A chi cerca un rapporto di autentico significato con se stesso e con il cosmo, così spesso ancora sfigurato dall'egoismo e dall'ingordigia, la liturgia rivela la via verso l'equilibrio dell'uomo nuovo e invita al rispetto per la potenzialità eucaristica del mondo creato: esso è destinato ad essere assunto nell'Eucaristia del Signore, nella sua Pasqua presente nel sacrificio dell'altare.

La liturgia è per l'uomo e per il cosmo.Tutte le liturgie orientali create dai monaci ( cfr Basilio)Nella liturgia le cose svelano la loro natura di DONO. "Dio ha dato all'uomo due libri attraverso cui farsi conoscere, il libro della natura e il libro della s scrittura".Es acqua del battesimo -> dona la vita, non solo in senso biologicoCiò crea jn noi l'apprezzamento per la materia= antignosi per eccellenza. La natura viene offerta al Padre-> noi siamo i sacerdoti. La materia nella liturgia dà lode a Dio grazie al sacerdozio dell'umanità.Questa liturgia coinvolge tutto l'uomo: nelle sue componenti spirituali, psichiche, fisiche ( tutti i 5 sensi sono coinvolti: la bellezza delle icone coinvolge la vista, le melodie l'udito, l'incenso l'olfatto, il pane e vino il gusto, il bacio alle icone il tatto...). I sensi contemplank così la creazione che si fa dono (es: l'incenso è un modo per lodare dio con una cosa bella come il profumo).

Uno sguardo limpido alla scoperta di se stessi12. A Cristo, l'Uomo-Dio, si volge lo sguardo del monaco: nel volto sfigurato di Lui, uomo del dolore, egli già scorge l'annuncio profetico del volto trasfigurato del Risorto. All'occhio contemplativo il Cristo si rivela come alle donne di Gerusalemme, salite a contemplare il misterioso spettacolo del Calvario. E così, formato a quella scuola, lo sguardo del monaco si abitua a contemplare Cristo anche nelle pieghe nascoste della creazione e nella storia degli uomini, essa pure compresa nel suo progressivo conformarsi al Cristo totale.Lo sguardo progressivamente cristificato impara così a distaccarsi dall'esteriorità, dal turbine dei sensi da quanto cioè impedisce all'uomo quella lievità disponibile a lasciarsi afferrare dallo Spirito. Percorrendo questa strada egli si lascia riconciliare con Cristo in un incessante processo di conversione: nella coscienza del proprio peccato e della lontananza dal Signore, che si fa compunzione del cuore simbolo del proprio battesimo nell'acqua salutare delle lacrime; nel silenzio e nella quiete interiore ricercata e donata, dove si apprende a far battere il cuore in armonia con il

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ritmo dello Spirito, eliminando ogni doppiezza o ambiguità. Questo divenire sempre più sobrio ed essenziale, più trasparente a se stesso, può farlo cadere nell'orgoglio e nell'intransigenza, se arriva a ritenere che ciò sia il frutto del suo sforzo ascetico. Il discernimento spirituale, nella continua purificazione, lo rende allora umile e mansueto, cosciente di percepire solo qualche tratto di quella verità che lo sazia, perché è dono dello Sposo, Lui solo pienezza di felicità.All'uomo che cerca il significato della vita, l'Oriente offre questa scuola per conoscersi ed essere libero, amato da quel Gesù che disse: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). A chi cerca la guarigione interiore, egli dice di continuare a cercare: se l'intenzione è retta e la via onesta alla fine il volto del Padre si farà riconoscere, impresso com'è nelle profondità del cuore umano.

È la scoperta della 'cristificazione': guardare a cristo così profondamente da imparare ad amare nella storia il mistero della sua rivelazione ( = il cristo TOTALE, cioè cristo che si rivela progressivamente in tutto il mondo) -> saper vedere la presenza di cristo in tutta la storia/creazione. Si tratta insieme di - una contemplazione mistica: esperienza di dio attraverso la preghiera e il raccoglimento, in un luogo dedicato ( es luogo di ritiro)- una contemplazione della Provvidenza ( richiede un vero sguardo mistico)

Un padre nello Spirito13. Il percorso del monaco non è scandito in genere unicamente da uno sforzo personale, ma fa riferimento ad un padre spirituale, al quale si abbandona con fiducia filiale nella certezza che in lui si manifesta la tenera ed esigente paternità di Dio. Questa figura dà al monachesimo orientale una straordinaria duttilità: per l'opera del padre spirituale il cammino di ogni monaco è infatti fortemente personalizzato nei tempi, nei ritmi, nei modi della ricerca di Dio. Proprio perché il padre spirituale è il punto di raccordo e di ammonizzazione, ciò consente al monachesimo la più grande varietà di espressioni, cenobitiche ed eremitiche. Il monachesimo in Oriente ha così potuto essere realizzazione delle attese di ciascuna Chiesa nei vari periodi della sua storia. In questa ricerca l'Oriente insegna in modo particolare che ci sono fratelli e sorelle ai quali lo Spirito ha elargito il dono della guida spirituale: essi sono punti di riferimento preziosi, perché guardano con l'occhio di amore che Dio tiene su di noi. Non si tratta di rinunciare alla propria libertà, per farsi gestire da altri: si tratta di trarre profitto dalla conoscenza del cuore, che è un vero carisma per essere aiutati, con dolcezza e fermezza a trovare la strada della verità. Il nostro mondo ha un estremo bisogno di padri. Spesso li ha rifiutati perché gli sembravano poco credibili, o il loro modello appariva ormai superato e poco attraente per la sensibilità corrente. Stenta tuttavia a trovarne di nuovi, e allora soffre nella paura e nell'incertezza, senza modelli e punti di riferimento. Colui che è padre nello Spirito, se è veramente tale - e il popolo di Dio ha sempre mostrato di saperlo riconoscere -, non farà uguali a se stesso, ma aiuterà a trovare la strada verso il Regno.Certo, anche all'Occidente è dato il dono mirabile di una vita monastica, maschile e femminile, che custodisce il dono della guida nello Spirito ed attende di essere valorizzata. In quell'ambito e dovunque la grazia susciti tali preziosi strumenti di maturazione interiore, possano i responsabili coltivare e valorizzare un tale dono e tutti avvalersene: sperimenteranno così quale consolazione e quale sostegno sia la paternità nello Spirito per il loro cammino di fede.

È la pratica della 'exagoreusis'= mettere in piazza i propri pensieriNel monachesimo occidentale si è sviluppato il principio forte degli ABATI, in oriente quello dei PADRI SPIRITUALI.In Oriente troviamo: l'igùmeno = abate; lo starec/ starci ( leggi starez/ starzi) = padre spirituale

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Comunione e servizio14. Proprio nel progressivo distacco da ciò che nel mondo lo ostacola nella comunione col suo Signore, il monaco ritrova il mondo come luogo ove si riflette la bellezza del Creatore e l'amore del Redentore. Nella sua orazione il monaco pronuncia una epiclesi dello Spirito sul mondo ed è certo che sarà esaudito, perché essa partecipa della stessa preghiera di Cristo. E così egli sente nascere in sé un amore profondo per l'umanità, quell'amore che la preghiera in Oriente così spesso celebra come attributo di Dio, l'amico degli uomini che non ha esitato ad offrire suo Figlio perché il mondo fosse salvo. In questo atteggiamento è dato talora al monaco di contemplare quel mondo già trasfigurato dall'azione deificante del Cristo morto e risorto.Qualunque sia la modalità che lo Spirito gli riserva, il monaco è sempre essenzialmente l'uomo della comunione. Con questo nome si è indicato fin dall'antichità anche lo stile monastico della vita cenobitica. Il monachesimo ci mostra come non vi sia autentica vocazione che non nasca dalla Chiesa e per la Chiesa. Ne è testimonianza l'esperienza di tanti monaci che, rinchiusi nelle loro celle, portano nella loro preghiera una straordinaria passione non solo per la persona umana ma per ogni creatura, nell'invocazione incessante affinché tutto si converta alla corrente salvifica dell'amore di Cristo. Questo cammino di liberazione interiore nell'apertura all'Altro fa del monaco l'uomo della carità. Alla scuola dell'apostolo Paolo che indica la pienezza della legge nella carità (cfr. Rm 13,10), la comunione monastica orientale è sempre stata attenta a garantire la superiorità dell'amore rispetto ad ogni legge.Essa si manifesta anzitutto nel servizio ai fratelli nella vita monastica ma poi anche alla comunità ecclesiale, in forme che variano nei tempi e nei luoghi, e vanno dalle opere sociali alla predicazione itinerante. Le Chiese d'Oriente hanno vissuto con grande generosità questo impegno, a cominciare dalla evangelizzazione che è il servizio più alto che il cristiano possa offrire al fratello, per proseguire in molte altre forme di servizio spirituale e materiale. Si può anzi dire che il monachesimo sia stato nell'antichità - e, a varie riprese, anche in tempi successivi - lo strumento privilegiato per l'evangelizzazione dei popoli.

Evagrio: " il monaco è colui che, separato da tutti, è unito a tutti"Si può dire che il monachesimo sia stato mezzo missionario ( in oriente il mon era in parte di clausura, in parte di servizio)

Una persona in relazione15. La vita del monaco dà ragione dell'unità che esiste in Oriente fra spiritualità e teologia: il cristiano, e il monaco in particolare, più che cercare verità astratte, sa che solo il suo Signore è Verità e Vita, ma sa anche che egli è la Via (cfr. Gv 14,6) per raggiungere entrambe; conoscenza e partecipazione sono dunque un'unica realtà: dalla persona al Dio tripersonale attraverso l'Incarnazione del Verbo di Dio.L'Oriente ci aiuta a delineare con grande ricchezza di elementi il significato cristiano della persona umana. Esso è centrato sull'Incarnazione, dalla quale trae luce la stessa creazione. In Cristo, vero Dio e vero uomo, si svela la pienezza dell'umana vocazione: perché l'uomo diventasse Dio il Verbo ha assunto l'umanità. L'uomo, che conosce continuamente il gusto amaro del suo limite e del suo peccato, non si abbandona allora alla recriminazione o all'angoscia perché sa che dentro di sé opera la potenza della divinità. L'umanità è stata assunta da Cristo senza separazione dalla natura divina e senza confusione [cfr. Symbolum Chalsedonense, DS 301-302], e l'uomo non è lasciato solo a tentare, in mille modi spesso frustrati, una impossibile scalata al cielo: vi è un tabernacolo di gloria, che è la persona santissima di Gesù il Signore, dove divino e umano si incontrano in un abbraccio che non potrà mai essere sciolto: il Verbo si è fatto carne, in tutto simile a noi eccetto il peccato. Egli versa la divinità nel cuore malato dell'umanità e, infondendovi lo Spirito del Padre, la rende capace di diventare Dio per grazia.Ma se questo ci ha rivelato il Figlio, allora a noi è dato di accostarci al mistero del Padre, principio di comunione nell'amore. La Trinità Santissima ci appare allora come una comunità di amore:

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conoscere un simile Dio significa sentire l'urgenza che egli parli al mondo, che si comunichi, e la storia della salvezza non è che la storia d'amore di Dio per la creatura che egli ha amato e scelto, volendola «secondo l'icona dell'icona» - come si esprime l'intuizione dei Padri orientali, - cioè plasmata ad immagine dell'Immagine, che è il Figlio, condotta alla comunione perfetta dal santificatore, lo Spirito d'amore. E anche quando l'uomo pecca, questo Dio lo cerca e lo ama, perché la relazione non sia fratturata e l'amore continui a scorrere. E lo ama nel mistero del Figlio, che si lascia uccidere sulla croce da un mondo che non lo riconobbe, ma è risuscitato dal Padre, quale garanzia perenne che nessuno può uccidere l'amore, perché chiunque ne è partecipe è toccato dalla gloria di Dio: è quest'uomo trasformato dall'amore che i discepoli hanno contemplato sul Tabor, l'uomo che noi tutti siamo chiamati ad essere.

Nel monaco (da monos = essere unificato in tutto verso Dio) si realizza unione tra spiritualità e teologia

Un silenzio che adora16. Eppure continuamente questo mistero si vela, si copre di silenzio [Il silenzio («hesychia») è una componente essenziale della spiritualità monastica orientale], per evitare che, in luogo di Dio, ci si costruisca un idolo. Solo in una purificazione progressiva della conoscenza di comunione, l'uomo e Dio si incontreranno e riconosceranno nell'abbraccio eterno la loro mai cancellata connaturalità d'amore. Nasce così quello che viene chiamato l'apofatismo dell'Oriente cristiano: più l'uomo cresce nella conoscenza di Dio, più lo percepisce come mistero inaccessibile, inafferrabile nella sua essenza. Ciò non va confuso con un misticismo oscuro dove l'uomo si perde in enigmatiche realtà impersonali. Anzi, i cristiani d'Oriente si rivolgono a Dio come Padre, Figlio, Spirito Santo, persone vive, teneramente presenti, alle quali esprimono una dossologia liturgica solenne e umile, maestosa e semplice. Essi però percepiscono che a questa presenza ci si avvicina soprattutto lasciandosi educare ad un silenzio adorante, perché al culmine della conoscenza e dell'esperienza di Dio sta la sua assoluta trascendenza. Ad esso si giunge, più che attraverso una meditazione sistematica, mediante l'assimilazione orante della Scrittura e della liturgia. In questa umile accettazione del limite creaturale di fronte all'infinita trascendenza di un Dio che non cessa di rivelarsi come il Dio-Amore, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nel gaudio dello Spirito Santo, io vedo espresso l'atteggiamento della preghiera e il metodo teologico che l'Oriente preferisce e continua ad offrire a tutti i credenti in Cristo.Dobbiamo confessare che abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza adorata: la teologia, per poter valorizzare in pieno la propria anima sapienziale e spirituale; la preghiera, perché non dimentichi mai che vedere Dio significa scendere dal monte con un volto così raggiante da essere costretti a coprirlo con un velo (cfr. Es 34, 33) e perché le nostre assemblee sappiano fare spazio alla presenza di Dio, evitando di celebrare se stesse; la predicazione, perché non si illuda che sia sufficiente moltiplicare parole per attirare all'esperienza di Dio; l'impegno, per rinunciare a chiudersi in una lotta senza amore e perdono. Ne ha bisogno l'uomo di oggi che spesso non sa tacere per paura di incontrare se stesso, di svelarsi, di sentire il vuoto che si fa domanda di significato; l'uomo che si stordisce nel rumore. Tutti, credenti e non credenti, hanno bisogno di imparare un silenzio che permetta all'Altro di parlare, quando e come vorrà, e a noi di comprendere quella parola.È la teologia apofatica= senza parlareIl culmine dell'esperienza di dio è il silenzio. È l'unione di cuore ( cordiale) con DioI cappadoci dicevano: "bisogna dare a Dio l'onore del silenzio"Tutti gli ambiti della vita hanno bisogno di silenzio: la teologia, la preghiera, la predicazione -> è il silenzio che permette all'Altro di parlare.

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II - DALLA CONOSCENZA ALL'INCONTRO

17. Trent'anni sono trascorsi da quando i Vescovi della Chiesa cattolica, riuniti in Concilio con la presenza di non pochi fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, hanno ascoltato la voce dello Spirito che illuminava verità profonde sulla natura della Chiesa, manifestando così che tutti i credenti in Cristo si trovavano molto più vicini di quanto potessero pensare, tutti in cammino verso l'unico Signore, tutti sostenuti e sorretti dalla sua grazia. Emergeva di qui un invito sempre più pressante all'unità.Da allora molta strada si è fatta nella conoscenza reciproca. Essa ha intensificato la stima e ci ha consentito spesso di pregare insieme l'unico Signore ed anche gli uni per gli altri, in un cammino di carità che è già pellegrinaggio di unità.Dopo gli importanti passi compiuti da Papa Paolo VI, ho voluto che si proseguisse sulla strada della reciproca conoscenza nella carità. Posso testimoniare la gioia profonda che ha suscitato in me l'incontro fraterno con tanti capi e rappresentanti di Chiese e Comunità ecclesiali in questi anni. Insieme abbiamo condiviso preoccupazioni e attese, insieme abbiamo invocato l'unione tra le nostre Chiese e la pace per il mondo. Ci siamo sentiti insieme più responsabili del bene comune, non solo come singoli ma a nome dei cristiani di cui il Signore ci ha fatto pastori. Talvolta a questa Sede di Roma sono giunti i pressanti appelli di altre Chiese, minacciate o colpite dalla violenza e dal sopruso. A tutte essa ha cercato di aprire il proprio cuore. Per loro, appena è stato possibile, si è levata la voce del Vescovo di Roma, perché gli uomini di buona volontà ascoltassero il grido di quei nostri fratelli sofferenti.«Tra i peccati che esigono un maggior impegno di penitenza e di conversione devono essere annoverati certamente quelli che hanno pregiudicato l'unità voluta da Dio per il suo popolo. Nel corso dei mille anni che si stanno concludendo, ancor più che nel primo millennio, la comunione ecclesiale, "talora non senza colpa di uomini d'entrambe le parti" [Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 3], ha conosciuto dolorose lacerazioni che contraddicono apertamente alla volontà di Cristo e sono di scandalo al mondo. Tali peccati del passato fanno sentire ancora, purtroppo, il loro peso e permangono come altrettante tentazioni anche nel presente. E necessario farne ammenda, invocando con forza il perdono di Cristo» [Giovanni Paolo II, Lett. ap.Tertio Millennio Adveniente (10 novembre 1994), 34: AAS 87 (1995), 26].Il peccato della nostra separazione è gravissimo: sento il bisogno che cresca la nostra comune disponibilità allo Spirito che ci chiama a conversione, ad accettare e riconoscere l'altro con rispetto fraterno, a compiere nuovi gesti coraggiosi, capaci di sciogliere ogni tentazione di ripiegamento. Sentiamo la necessità di andare oltre il grado di comunione che abbiamo raggiunto.

18. Si fa in me ogni giorno più acuto il desiderio di ripercorrere la storia delle Chiese, per scrivere finalmente una storia della nostra unità, e riandare così al tempo in cui, all'indomani della morte e della risurrezione del Signore Gesù, il Vangelo si diffuse nelle culture più varie, ed ebbe inizio uno scambio fecondissimo ancor oggi testimoniato dalle liturgie delle Chiese. Pur non mancando difficoltà e contrasti, le lettere degli Apostoli (cfr. 2Cor 9,11-14) e dei Padri [cfr. S. Clemente Romano, Lettera ai Corinti: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, I, 64-144; S. Ignazio d'Antiochia, Lettere, l.c., 172-252; S. Policarpo, Lettera ai Filippesi, I.c., 266-282] mostrano legami strettissimi, fraterni, tra le Chiese, in una piena comunione di fede nel rispetto delle specificità e delle identità. La comune esperienza del martirio e la meditazione degli atti dei martiri di ogni Chiesa, la partecipazione alla dottrina di tanti santi maestri della fede, in una profonda circolazione e condivisione, rafforzano questo mirabile sentimento di unità [cfr. S. Ireneo, Contro le eresie, I,10,2: SCh 264/2,158- 160]. Lo sviluppo di differenti esperienze di vita ecclesiale non impediva che, mediante reciproche relazioni, i cristiani potessero continuare a provare la certezza di essere a casa propria in qualsiasi Chiesa perché da tutte si levava, in mirabile varietà di lingue e di modulazioni, la lode dell'unico Padre, per Cristo, nello Spirito Santo; tutte erano adunate per celebrare l'Eucaristia, cuore e modello per la comunità non solo per quanto riguarda la spiritualità o la vita

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morale, ma anche per la struttura stessa della Chiesa, nella varietà dei ministeri e dei servizi sotto la presidenza del Vescovo, successore degli Apostoli [cfr. LG 26; SC 41; UR 15]. I primi concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante unità nella diversità.Ed anche quando si rafforzarono certe incomprensioni dogmatiche - amplificate spesso sotto l'influsso di fattori politici e culturali - che già portavano a dolorose conseguenze nei rapporti fra le Chiese, rimase vivo lo sforzo di invocare e promuovere l'unità della Chiesa. Nel primo intreccio del dialogo ecumenico lo Spirito Santo ci ha consentito di rinsaldarci nella fede comune, perfetta continuazione del kerygma apostolico, e di questo rendiamo grazie a Dio con tutto il cuore [cfr. Giovanni Paolo II, Omelia in S. Pietro, alla presenza di Demetrio I, Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico (6 dicembre 1987), 3: AAS 80 (1988), 713-714]. E se lentamente, già nei primi secoli dell'era cristiana, sono andate sorgendo contrapposizioni all'interno del corpo della Chiesa, non possiamo dimenticare che per tutto il primo millennio perdura, nonostante difficoltà, l'unità fra Roma e Costantinopoli. Abbiamo sempre meglio appreso che a lacerare il tessuto dell'unità non è stato tanto un episodio storico o una semplice questione di preminenza, ma un progressivo estraneamento, sicché l'altrui diversità non è più percepita come ricchezza comune, ma come incompatibilità. Anche quando il secondo millennio conosce un indurimento nella polemica e nella divisione, quanto più cresce l'ignoranza reciproca e il pregiudizio, non cessano tuttavia incontri costruttivi fra capi di Chiese desiderosi di intensificare i rapporti e di favorire gli scambi, così come non viene meno l'opera santa di uomini e donne che, riconoscendo nella contrapposizione un grave peccato ed essendo innamorati dell'unità e della carità, hanno tentato in molti modi di promuovere, con la preghiera, con lo studio e la riflessione, con l'incontro aperto e cordiale, la ricerca della comunione [cfr. ad esempio Anselmo di Havelberg, Dialoghi: PL 188,1139-1248]. E tutta quest'opera meritoria a confluire nella riflessione del Concilio Vaticano II e a trovare come un emblema nella abrogazione delle reciproche scomuniche del 1054 voluta dal Papa Paolo VI e dal Patriarca ecumenico Atenagora I.

19. Il cammino della carità conosce nuovi momenti di difficoltà in seguito ai recenti avvenimenti che hanno coinvolto l'Europa centrale e orientale. Fratelli cristiani che insieme avevano subito la persecuzione si guardano con sospetto e timore nel momento in cui si aprono prospettive e speranze di maggiore libertà: non è questo un nuovo, grave rischio di peccato che dobbiamo tutti, con ogni forza, tentare di vincere, se vogliamo che popoli in ricerca possano più agevolmente trovare il Dio dell'amore, anziché essere nuovamente scandalizzati dalle nostre lacerazioni e contrapposizioni? Quando, in occasione del Venerdì Santo 1994, Sua Santità il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I fece dono alla Chiesa di Roma della sua meditazione sulla «Via della Croce», ho voluto ricordare questa comunione nella recente esperienza del martirio: «Noi siamo uniti in questi martiri fra Roma, la "Montagna delle Croci" e le Isole Soloviesy e tanti altri campi di sterminio. Noi siamo uniti sullo sfondo dei martiri non possiamo non essere uniti» [Discorso dopo la Via Crucis del Venerdi Santo (1° aprile 1994): AAS 87 (1995), 87].E dunque urgente che si prenda coscienza di questa gravissima responsabilità: oggi possiamo cooperare per l'annuncio del Regno o divenire fautori di nuove divisioni. Il Signore apra i nostri cuori, converta le nostre menti e ci ispiri passi concreti, coraggiosi, capaci se necessario di forzare luoghi comuni, facili rassegnazioni o posizioni di stallo. Se chi vuol essere primo è chiamato a farsi servo di tutti, allora dal coraggio di questa carità si vedrà crescere il primato dell'amore. Prego il Signore perché ispiri prima di tutto a me stesso ed ai Vescovi della Chiesa cattolica gesti concreti a testimonianza di questa interiore certezza. Lo chiede la natura più profonda della Chiesa. Ogni volta che celebriamo l'Eucaristia, sacramento della comunione, noi troviamo nel Corpo e nel Sangue condiviso il sacramento e l'appello alla nostra unità [cfr. Messale Romano, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, orazione sopra le offerte; ibidem, preghiera eucaristica III; S. Basilio, Anafora alessandrina, ed. E. Renaudot, Liturgiarum Orientalium Collectio, I, Francoforte, 1847, p.68]. Come potremo essere pienamente credibili se ci presentiamo divisi davanti all'Eucaristia, se non siamo capaci di vivere la partecipazione allo stesso Signore che siamo chiamati ad annunciare

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al mondo? Di fronte alla reciproca esclusione dall'Eucaristia sentiamo la nostra povertà e l'esigenza di porre ogni sforzo affinché venga il giorno nel quale parteciperemo insieme dello stesso pane e del medesimo calice [cfr. Paolo VI, Messaggio ai Mechitaristi (8 settembre 1977): Insegnamenti 15 (1977), 812]. Allora l'Eucaristia tornerà ad essere pienamente percepita come profezia del Regno e riecheggeranno con piena verità queste parole tratte da una antichissima preghiera eucaristica: «Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno» [Didachè, IX,4; Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, I,22].

Esperienze di unità

20. Ricorrenze di particolare significato ci incoraggiano a rivolgere il nostro pensiero, con affetto e riverenza, alle Chiese orientali. Anzitutto, come si è detto, il centenario della Lettera apostolica «Orientalium Dignitas». Da allora ha avuto inizio un cammino che ha portato, tra l'altro, nel 1917, alla creazione della Congregazione per le Chiese Orientali [cfr. Motu proprio Dei providentis (1° maggio 1917): AAS 9 (1917), 529-531] e all'istituzione del Pontificio Istituto Orientale [cfr. Motu proprio Orientis Catholici (15 ottobre 1917), l.c., 531 -533] ad opera del Papa Benedetto XV. In seguito, il 5 giugno 1960, fu istituito da Giovanni XXIII il Segretariato per la promozione dell'unità dei Cristiani [cfr. Motu proprio Superno Dei nutu (5 giugno 1960), 9: AAS 52 (1960), 435-436]. In tempi recenti, il 18 ottobre 1990, ho promulgato il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali [cfr. Cost. ap. Sacri canones (18 ottobre 1990): AAS 82 (1990), 1033-1044], perché fosse salvaguardata e promossa la specificità del patrimonio orientale.Sono questi i segni di un atteggiamento che la Chiesa di Roma ha sempre sentito parte integrante del mandato affidato da Gesù Cristo all'apostolo Pietro: confermare i fratelli nella fede e nell'unità (cfr. Lc 22,32). I tentativi del passato avevano i loro limiti derivanti dalla mentalità dei tempi e dalla stessa comprensione delle verità sulla Chiesa. Ma vorrei qui riaffermare che questo impegno porta nella sua radice la convinzione che Pietro (cfr. Mt 16,17-19) intende porsi al servizio di una Chiesa unità nella carità. «Il compito di Pietro è di cercare costantemente le vie che servono al mantenimento dell'unità. Egli, dunque, non deve creare ostacoli, ma cercare delle vie. Il che non è affatto in contraddizione con il compito assegnatogli da Cristo di "confermare i fratelli nella fede" (cfr. Lc 22,32). Inoltre, è significativo che Cristo abbia pronunciato queste parole proprio quando l'apostolo stava per rinnegarlo. Era come se il Maestro stesso avesse voluto dirgli: "Ricordati che sei debole, che anche tu hai bisogno di un'incessante conversione. Puoi confermare gli altri in quanto hai coscienza della tua debolezza. Ti do come compito la verità, la grande verità di Dio destinata alla salvezza dell'uomo, ma questa verità non può essere predicata e realizzata in alcun altro modo che amando". E necessario, sempre, "veritatem facere in caritate" - far verità nella carità (cfr. Ef 4,15)» [Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Milano 1994, p. 168]. Oggi sappiamo che l'unità può essere realizzata dall'amore di Dio solo se le Chiese lo vorranno insieme, nel pieno rispetto delle singole tradizioni e della necessaria autonomia. Sappiamo che questo può compiersi solo a partire dall'amore di Chiese che si sentono chiamate a manifestare sempre maggiormente l'unica Chiesa di Cristo, nata da un solo battesimo e da una sola eucarestia, e che vogliono essere sorelle [cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismoUnitatis Redintegratio, 14]. Come ebbi modo di dire, «è una la Chiesa di Cristo; se ci sono divisioni si devono superare, ma la Chiesa è una, la Chiesa di Cristo fra l'Oriente e l'Occidente non può essere che una, una e unità» [Visita al Pont. Istituto Orientale, 12 dicembre 1993].Certo, allo sguardo odierno appare che una vera unione era possibile solo nel pieno rispetto dell'altrui dignità, senza ritenere che il complesso degli usi e consuetudini della Chiesa latina fosse più completo o più adatto a mostrare la pienezza della retta dottrina; ed ancora che tale unione doveva essere preceduta da una coscienza di comunione che permeasse tutta la Chiesa e non si limitasse ad un accordo tra vertici. Oggi siamo coscienti - e lo si è più volte riaffermato - che l'unità si realizzerà come e quando il Signore vorrà, e che essa richiederà l'apporto della sensibilità e la

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creatività dell'amore, forse anche andando oltre le forme già storicamente sperimentate [cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese Orientali CattolicheOrientalium Ecclesiarum, 30].

21. Le Chiese orientali entrate nella piena comunione con questa Chiesa di Roma vollero essere una manifestazione di tale sollecitudine, espressa secondo il grado di maturazione della coscienza ecclesiale in quel tempo [cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio Magnum Baptismi donum (14 febbraio 1988), 4: AAS 80 (1988), 991-992]. Entrando nella comunione cattolica, esse non intendevano affatto rinnegare la fedeltà alla loro tradizione, che hanno testimoniato nei secoli con eroismo e spesso a prezzo del sangue. E se talvolta, nei loro rapporti con le Chiese ortodosse, si sono verificati malintesi e aperte contrapposizioni, tutti sappiamo di dover invocare incessantemente la divina misericordia e un cuore nuovo capace di riconciliazione, oltre ogni torto subito o inflitto.Più volte si è ribadito che la già realizzata unione piena delle Chiese orientali cattoliche con la Chiesa di Roma non deve comportare per esse una diminuzione nella coscienza della propria autenticità ed originalità [cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese Orientali CattolicheOrientalium Ecclesiarum, 24]. Qualora ciò fosse avvenuto, il Concilio Vaticano II le ha esortate a riscoprire in pieno la loro identità, avendo esse «il diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari, poiché si raccomandano per veneranda antichità, sono più corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle loro anime» [Ibidem, 5]. Queste Chiese recano nella loro carne una drammatica lacerazione perché è impedita ancora una totale comunione con le Chiese orientali ortodosse, con le quali pur condividono il patrimonio dei loro padri. Una costante e comune conversione è indispensabile perché esse procedano risolutamente e con slancio in vista della reciproca comprensione. E conversione è richiesta anche alla Chiesa latina, perché rispetti e valorizzi in pieno la dignità degli Orientali ed accolga con gratitudine i tesori spirituali di cui le Chiese orientali cattoliche sono portatrici a vantaggio dell'intera comunione cattolica [cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 17; Giovanni Paolo II, Discorso al Concistoro Straordinario, 13 giugno 1994]; mostri concretamente, molto più che in passato, quanto stimi e ammiri l'Oriente cristiano e quanto essenziale consideri l'apporto di esso perché sia pienamente vissuta l'universalità della Chiesa.

Incontrarsi, conoscersi, lavorare insieme

22. Ho vivo il desiderio che le parole che San Paolo rivolgeva dall'Oriente ai fedeli della Chiesa di Roma risuonino oggi sulle labbra dei cristiani d'Occidente riguardo ai loro fratelli delle Chiese orientali: «Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo» (Rm 1,8). E subito appresso l'Apostolo delle genti dichiarava con entusiasmo il suo proposito: «Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io» (Rm 1,11-12). Ecco dunque delineata mirabilmente la dinamica dell'incontro: la conoscenza dei tesori di fede altrui - che ho cercato appena di tratteggiare - produce spontaneamente lo stimolo per un nuovo e più intimo incontro tra fratelli, che sia di vero e sincero scambio reciproco. E uno stimolo che lo Spirito suscita costantemente nella Chiesa e che si fa più insistente proprio nei momenti di maggiore difficoltà.23. Sono peraltro ben cosciente che in questo momento alcune tensioni tra la Chiesa di Roma ed alcune Chiese d'Oriente rendono più difficile il cammino della stima reciproca in vista della comunione. Più volte questa Sede di Roma si è sforzata di emanare direttive che favoriscano il cammino comune di tutte le Chiese in un momento così importante per la vita del mondo, soprattutto nell'Europa Orientale, dove eventi storici drammatici hanno impedito spesso alle Chiese orientali, in tempi recenti, di realizzare in pienezza il mandato dell'evangelizzazione che pure sentivano impellente [cfr. Giovanni Paolo II, Lettera ai Vescovi del Continente europeo (31 maggio 1991): AAS 84 (1992), 163-168; inoltre «Les principes généraux et normes pratiques pour coordonner l'évangélisation et l'engagement oecuménique de l'Église catholique en Russie et dans

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les autres Pays de la C.E.I.» (pubblicati dalla Pontificia Commissione Pro Russia il 1° giugno 1992)].Situazioni di maggiore libertà offrono loro oggi rinnovate opportunità anche se i mezzi a loro disposizione sono limitati a causa delle difficoltà dei Paesi ove operano. Desidero affermare con forza che le comunità d'Occidente sono pronte a favorire in tutto - e non poche già operano in tal senso - l'intensificazione di questo ministero di diaconia, mettendo a disposizione di tali Chiese l'esperienza acquisita in anni di più libero esercizio della carità. Guai a noi se l'abbondanza dell'uno fosse causa dell'umiliazione dell'altro o di sterili e scandalose competizioni. Da parte loro le comunità d'Occidente si faranno un dovere anzitutto di condividere, ove possibile, progetti di servizio con i fratelli delle Chiese d'Oriente o di contribuire alla realizzazione di quanto esse intraprendono al servizio dei loro popoli e comunque mai ostenteranno, nei territori di presenza comune, un atteggiamento che possa apparire irrispettoso dei faticosi sforzi che le Chiese d'Oriente intendono compiere, con tanto maggior merito quanto più precarie sono le loro disponibilità.Esprimere gesti di comune carità, l'una verso l'altra ed insieme verso gli uomini che si trovano in necessità, apparirà come un atto di immediata eloquenza. Evitare questo o addirittura testimoniare il contrario indurrà quanti ci osservano a credere che ogni impegno di riavvicinamento fra le Chiese nella carità è solo enunciazione astratta, senza convinzione e senza concretezza.Sento fondamentale il richiamo del Signore ad operare in ogni modo perché tutti i credenti in Cristo testimonino insieme la propria fede, soprattutto nei territori dove più consistente è la convivenza fra figli della Chiesa cattolica - latini e orientali - e figli delle Chiese ortodosse. Dopo il comune martirio patito per Cristo sotto l'oppressione dei regimi atei, è giunto il momento di soffrire, se necessario, per non venire mai meno alla testimonianza della carità tra cristiani, perché se anche dessimo il nostro corpo per essere bruciato, ma non avessimo la carità, a nulla servirebbe (cfr. 1Cor 13,3). Dovremo pregare intensamente perché il Signore intenerisca le nostre menti e i nostri cuori e ci doni la pazienza e la mitezza.

24. Credo che un modo importante per crescere nella comprensione reciproca e nell'unità consista proprio nel migliorare la nostra conoscenza gli uni degli altri. I figli della Chiesa cattolica già conoscono le vie che la Santa Sede ha indicato perché essi possano raggiungere tale scopo: conoscere la liturgia delle Chiese d'Oriente [cfr. Congregazione per L'Educazione Cattolica, Istr. In ecclesiasticam futurorum (3 giugno 1979), 48: En Vat 6, p. 1080]; approfondire la conoscenza delle tradizioni spirituali dei Padri e dei Dottori dell'Oriente cristiano [cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istr. Inspectis dierum (10 novembre 1989): AAS 82 (1990), 607-636]; prendere esempio dalle Chiese d'Oriente per l'inculturazione del messaggio del Vangelo; combattere le tensioni fra Latini e Orientali e stimolare il dialogo fra Cattolici e Ortodossi, formare in istituzioni specializzate per l'Oriente cristiano teologi, liturgisti, storici e canonisti che possano diffondere, a loro volta, la conoscenza delle Chiese d'Oriente; offrire nei seminari e nelle facoltà teologiche un insegnamento adeguato su tali materie, soprattutto per i futuri sacerdoti [cfr. Congregazione per L'Educazione Cattolica, Lett. circ. En égard au développement (6 gennaio 1987), 9-14: L'Osservatore Romano, 16 aprile 1987, p. 6]. Sono indicazioni sempre molto valide, sulle quali intendo insistere con particolare forza.

25. Oltre alla conoscenza, sento molto importante la frequentazione reciproca. Al riguardo, auspico che un'opera particolare esercitino i monasteri, proprio per il ruolo tutto speciale che riveste la vita monastica all'interno delle Chiese e per i molti punti che uniscono l'esperienza monastica, e quindi la sensibilità spirituale, in Oriente e in Occidente. Un'altra forma di incontro è costituita dall'accoglienza di docenti e studenti ortodossi presso le Università Pontificie ed altre istituzioni accademiche cattoliche. Continueremo a fare il possibile perché tale accoglienza possa assumere proporzioni maggiori. Dio benedica inoltre la nascita e lo sviluppo di luoghi destinati proprio all'ospitalità dei nostri fratelli d'Oriente, anche in questa città di Roma, che custodisce la memoria vivente e comune dei corifei degli Apostoli e di tanti martiri.

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E importante che le iniziative d'incontro e di scambio coinvolgano nel modo e nelle forme più ampie le comunità ecclesiali: sappiamo ad esempio quanto positive possano risultare iniziative di contatto tra parrocchie, come «gemellate» per un reciproco arricchimento culturale e spirituale, anche nell'esercizio della carità.Giudico molto positivamente le iniziative di pellegrinaggi comuni sui luoghi dove la santità si è espressa in modo particolare, nel ricordo di uomini e donne che in ogni tempo hanno arricchito la Chiesa del sacrificio della propria vita. In questa direzione sarebbe poi un atto di grande significato il pervenire al riconoscimento comune della santità di quei cristiani che negli ultimi decenni, in particolare nei paesi dell'Est europeo, hanno versato il sangue per l'unica fede in Cristo.

26. Un pensiero particolare va poi ai territori della diaspora dove vivono, in ambito a maggioranza latina, molti fedeli delle Chiese orientali che hanno lasciato le loro terre d'origine. Questi luoghi, dove più facile è il contatto sereno all'interno di una società pluralistica, potrebbero essere l'ambiente ideale per migliorare e intensificare la collaborazione fra le Chiese nella formazione dei futuri sacerdoti, nei progetti pastorali e caritativi, anche a vantaggio delle terre d'origine degli Orientali.Agli Ordinari latini di quei Paesi raccomando in modo particolare lo studio attento, la piena comprensione e la fedele applicazione dei principi enunciati da questa Sede sulla collaborazione ecumenica [cfr. Pont. Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Directoire pour l'application des principes et des normes sur l'Oecumenisme, V: AAS 85 (1993), 1096-1119] e sulla cura pastorale dei fedeli delle Chiese orientali cattoliche, soprattutto quando costoro sono sprovvisti di una propria Gerarchia.Invito i Gerarchi e il clero orientale cattolico a collaborare strettamente con gli Ordinari latini per una pastorale efficace che non sia frammentaria, soprattutto quando la loro giurisdizione si estende su territori molto vasti ove l'assenza di collaborazione significa, in effetti, l'isolamento. I Gerarchi orientali cattolici non trascureranno alcun mezzo per favorire un clima di fraternità, di stima sincera e reciproca, e di collaborazione con i loro fratelli delle Chiese alle quali non ci unisce ancora una comunione piena, in particolare verso coloro che appartengono alla medesima tradizione ecclesiale.Laddove in Occidente non vi fossero sacerdoti orientali per assistere i fedeli delle Chiese orientali cattoliche, gli Ordinari latini ed i loro collaboratori operino perché cresca in quei fedeli la coscienza e la conoscenza della propria tradizione, ed essi siano chiamati a cooperare attivamente, con il loro apporto specifico, alla crescita della comunità cristiana.

27. Con riferimento al monachesimo, in considerazione della sua importanza nel cristianesimo d'Oriente, desideriamo che esso rifiorisca nelle Chiese orientali cattoliche e siano incoraggiati quanti si sentono chiamati a operare per questo rafforzamento [cfr. Messaggio del Sinodo Generale Ordinario dei Vescovi, VII: «Appello alle Religiose e Religiosi delle Chiese Orientali» (27 ottobre 1994): L 'Osservatore Romano, 29 ottobre 1994, p.7]. Esiste infatti un intrinseco legame fra la preghiera liturgica, la tradizione spirituale e la vita monastica in Oriente. Proprio per questo, anche per loro una ripresa ben formata e motivata della vita monastica potrebbe significare una vera fioritura ecclesiale. Ne si dovrà pensare che ciò diminuisca l'efficacia del ministero pastorale, che anzi uscirà corroborata da una così robusta spiritualità e ritroverà in tal modo la sua collocazione ideale. Tale auspicio riguarda anche i territori della diaspora orientale, ove la presenza di monasteri orientali darebbe maggiore solidità alle Chiese orientali in quei Paesi, offrendo inoltre un prezioso apporto alla vita religiosa dei cristiani d'Occidente.

Camminare insieme verso l'«Orientale Lumen»

28. Nel concludere questa Lettera il mio pensiero va ai diletti fratelli i Patriarchi, i Vescovi, i Sacerdoti e i Diaconi, i Monaci e le Monache, gli uomini e le donne delle Chiese d'Oriente.

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Sulla soglia del terzo millennio noi tutti sentiamo giungere alle nostre Sedi il grido degli uomini, schiacciati dal peso di minacce gravi eppure forse persino a loro insaputa, desiderosi di conoscere la storia d'amore voluta da Dio. Quegli uomini sentono che un raggio di luce, se accolto, può ancora disperdere le tenebre dall'orizzonte della tenerezza del Padre.Maria, «Madre dell'astro che non tramonta» [Horologion, Inno Akathistos alla Santissima Madre di Dio, Ikos 5], «aurora del mistico giorno» [Ibidem], «oriente del Sole di gloria» [Horologion, Compieta della domenica (1° tono) nella liturgia bizantina], ci addita l'Orientale Lumen.Da Oriente ogni giorno torna a sorgere il sole della speranza, la luce che restituisce al genere umano la sua esistenza. Da Oriente, secondo una bella immagine, tornerà il nostro Salvatore (cfr. Mt 24,27).Gli uomini e le donne d'Oriente sono per noi segno del Signore che torna. Noi non possiamo dimenticarli, non solo perché li amiamo come fratelli e sorelle, redenti dallo stesso Signore, ma anche perché la nostalgia santa dei secoli vissuti nella piena comunione della fede e della carità ci urge, ci grida i nostri peccati, le nostre reciproche incomprensioni: noi abbiamo privato il mondo di una testimonianza comune che, forse avrebbe potuto evitare tanti drammi se non addirittura cambiare il senso della storia.Noi sentiamo con dolore di non potere ancora partecipare alla medesima Eucaristia. Ora che il millennio si chiude e il nostro sguardo è tutto rivolto al Sole che sorge, li ritroviamo con gratitudine sul percorso del nostro sguardo e del nostro cuore.L'eco del Vangelo, parola che non delude, continua a risuonare con forza, indebolita solo dalla nostra separazione: Cristo grida, ma l'uomo stenta a sentire la sua voce perché noi non riusciamo a trasmettere parole unanimi. Ascoltiamo insieme l'invocazione degli uomini che vogliono udire intera la Parola di Dio. Le parole dell'Occidente hanno bisogno delle parole dell'Oriente perché la Parola di Dio manifesti sempre meglio le sue insondabili ricchezze. Le nostre parole si incontreranno per sempre nella Gerusalemme del cielo, ma invochiamo e vogliamo che quell'incontro sia anticipato nella Santa Chiesa che ancora cammina verso la pienezza del Regno.Voglia Dio far breve il tempo e lo spazio. Presto, molto presto Cristo, l'Orientale Lumen, ci conceda di scoprire che in realtà, nonostante tanti secoli di lontananza, eravamo vicinissimi, perché insieme, forse senza saperlo, camminavamo verso l'unico Signore, e quindi gli uni verso gli altri.L'uomo del terzo millennio possa godere di questa scoperta, finalmente raggiunto da una parola concorde e per questo pienamente credibile, proclamata da fratelli che si amano e si ringraziano per le ricchezze che reciprocamente si donano. E così noi ci presenteremo a Dio con le mani pure della riconciliazione e gli uomini del mondo avranno una solida ragione in più per credere e per sperare.Con questi voti imparto a tutti la mia Benedizione.Dal Vaticano, il 2 maggio, memoria di S. Atanasio, Vescovo e Dottore della Chiesa, dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.

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SPIRITUALITA' RUSSA

Il fulcro della spiritualità russa è la preghiera continua, detta anche preghiera di Gesù o la preghiera del cuore ( sviluppatasi in ambiente sinaitico intorno 4-5 secolo)." Signore Gesù, figlio di dio/ abbi pietà di me peccatore".Va pronunciata secondo le fasi del respiro: isp/ espirazione, in modo da renderla automatica -> lo scopo e' quello di arrivare a una contemplaziine affettiva ( se tu ami una persona, hai sempre il suo nome sulla bocca e nel cuore).

Questa preghiera ha avuto particolare diffusione nlla Russia del 19o secolo tramite il libro-> " Racconti sinceri di un pellegrino russo al padre spirituale" ( autore aninimo):

narra l'esperienza di un giovane che decide di lasciare tutto per andare in cerca di chi gli insegni la vera preghiera del cuore. Trova un monaco che gli dà la "Filocalia", testo composto a fine 700 da Nicodemo, vescovo del monte Athos nel 13/14o secolo ( tradotto dal greco al russo da un monaco, pertanto accessibile al popolo russo).

Consta di 8 racconti ( quelli potenti sono i primi 4).

Uno dei più grandi santi del popolo russo è san Serafino di Sarov ( con san Sergio), sorta di san Francesco russo. Vive in monastero. Per 3 anni da stilita. Poi recluso. Infine ritorna in monastero e riceve i pellegrini: a lui si deve il cosiddetto

-> " Dialogo con Motovilov": un giovane gli chiede di insegnargli a pregare. Lui lo abbraccia e gli fa provare un'esperienza mistica in cui sperimenta lo SS e poi gli dà insegnamentiun giovane gli chiede di insegnargli a pregare. Lui lo abbraccia e gli fa provare un'esperienza mistica in cui sperimenta lo SS e poi gli dà insegnamentiDimostra come il fine della vita cristiana sia-> acquisire lo SS ( l'olio nelle lampade delle vergini sagge), cioè vivere secondo lo spirito di dio ( le azionj buone sono richieste a tutti, non solo ai cristiani).

-> " Scritti spirituali di Silvano del Monte Athos". Silvano vive per 9 anni una notte spirituale = assenza di qualsiasi sensazione nella preghiera. Perché? Egli chiede a Dio una parola in risposta. In preghiera davanti a un'icona ha una visione di Gesù che gli dice:" Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare". Vive nella sua anima il dramma del l'ateismo dilagante nella Russia di inizio 900.

 

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20.11.2014

Col CVII siamo entrati nell’era dei dialoghi. Si dialoga con le altre chiese e con le commissioni.A livello mondiale - Il CEC (nato nel 1948) non vede al suo interno i cattolici, che però si avvicinano nel 1961. La federazione mondiale delle chiese (CEC/WCC) vede poi presenze anche dei cattolici che partecipano a Faith and Order nel CVII. Il dialogo vero e proprio c’è con un Gruppo Misto di Lavoro che si rapporta al Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani - PCUC.A livello europeo - In Europa il KEK (in tedesco, equivalente europeo dell’organismo mondiale CECE - Consiglio Ecumenico delle Chiese) tramite un comitato congiunto dialoga con i vescovi delle conferenze episcopali europee (CCEE – Consiglio Conferenze Episcopali Europee). Da una parte la Chiesa Cattolica ha dialoghi bilaterali con le singole chiese, e poi dialoghi ufficiali con organismi europei e mondiali.

Ogni 10 anni circa il KEK organizza assemblea: 1989 Basilea, 1997 Sibiu, 2003 Graz.Nel comitato congiunto del 2001 hanno approvato la Carta Ecumenica, un manifesto firmato dai vescovi europei (CCEE), sotto la presidenza di Erdo.

Comitato Congiunto CCEE-KEKEcumenismo in Europa

Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) appartengono quali membri le attuali 33 Conferenze episcopali presenti in Europa, rappresentate di diritto dal loro Presidenti, gli Arcivescovi del Lussemburgo, del Principato di Monaco, di Cipro dei Maroniti, il vescovo di Chişinău (Moldavia) e il vescovo eparchiale di Mukachevo. Dal 2006, lo presiede il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria; i Vicepresidenti sono il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e S.E. Mons. Józef Michalik, Arcivescovo di Przemyśl. Segretario generale del CCEE è mons. Duarte da Cunha. La sede del segretariato è a St. Gallen (Svizzera).La Conferenza delle Chiese Europee (KEK) è una comunione di 120 Chiese ortodosse, protestanti, anglicane e vecchio-cattoliche di tutti i paesi europei, e di 40 organizzazioni associate. Fondata nel 1959, la KEK ha uffici a Ginevra, Bruxelles e Strasburgo.Sin dal 1971, il CCEE collabora con la KEK. Dal 1972, annualmente si riunisce il Comitato Congiunto CCEE-KEK, formato oggi da 7 membri per ciascun organismo, compresi i membri delle presidenze. Esso è l´organo più autorevole di collaborazione ecumenica europea.Culmine di questa collaborazione sono state le tre grandi Assemblee Ecumeniche Europee:

1989 - Basilea, Svizzera: Pace e giustizia 1997 - Graz, Austria: Riconciliazione. Dono di Dio, sorgente di vita nuova. 2007 - Sibiu, Romania: La Luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e

unità in Europa.Oltre alle assemblee, in questi decenni sono stati realizzati numerosi incontri ecumenici europei. Particolarmente importante è stato quello di Strasburgo, Francia, 17-22 aprile 2001: Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo. Al termine dell’incontro venne sottoscritta la Charta Oecumenica (la cui redazione era stata proposta a Graz) “come

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impegno comune al dialogo ed alla collaborazione. Essa descrive fondamentali compiti ecumenici e ne fa derivare una serie di linee guida e di impegni. Essa deve promuovere, a tutti i livelli della vita delle Chiese, una cultura ecumenica del dialogo e della collaborazione e creare a tal fine un criterio vincolante. Essa non riveste tuttavia alcun carattere dogmatico-magisteriale o giuridico-ecclesiale. La sua normatività consiste piuttosto nell’auto-obbligazione da parte delle Chiese e delle organizzazioni ecumeniche europee. Queste possono, sulla base di questo testo, formulare nel loro contesto proprie integrazioni ed orientamenti comuni che tengano concretamente conto delle proprie specifiche sfide e dei doveri che ne scaturiscono”.

La Carta Ecumenica (2001) esprime gli impegni presi dalle chiese europee (CCEE) per proseguire il dialogo ecumenico. Sono 3 parti divise in 12 punti.

 CHARTA OECUMENICA (2001)

I. Crediamo "la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica" "Cercate di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti". (Ef 4, 3-6)

Parte dal Credo di Nicea-Cost., prima di ogni divisione nella Chiesa. “Cattolica” nel senso antico, cioè universale.Ognuno dei 12 articoli ha un titolo, una citazione biblica, una descrizione, alcuni impegni.

1. Chiamati insieme all’unità della fede In conformità al Vangelo di Gesù Cristo, come ci è testimoniato nella Sacra Scrittura ed è formulato nella Confessione ecumenica di fede di Nicea-Costantinopoli (381), crediamo al Dio Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dal momento che, con questo Credo, professiamo la Chiesa "una, santa, cattolica ed apostolica", il nostro ineludibile compito ecumenico consiste nel rendere visibile questa unità, che è sempre dono di Dio. Differenze essenziali sul piano della fede impediscono ancora l’unità visibile. Sussistono concezioni differenti soprattutto a proposito della Chiesa e della sua unità, dei sacramenti e dei ministeri. Non ci è concesso rassegnarci a questa situazione. Gesù Cristo ci ha rivelato sulla croce il suo amore ed il segreto della riconciliazione: alla sua sequela vogliamo fare tutto il possibile per superare i problemi e gli ostacoli, che ancora dividono le Chiese. Ci impegniamo § a seguire l’esortazione apostolica all’unità dell’epistola agli Efesini (Ef 4, 3-6) e ad impegnarci con perseveranza a raggiungere una comprensione comune del messaggio salvifico di Cristo contenuto nel Vangelo; § ad operare, nella forza dello Spirito Santo, per l’unità visibile della Chiesa di Gesù Cristo nell’unica fede, che trova la sua espressione nel reciproco riconoscimento del battesimo e nella condivisione eucaristica, nonché nella testimonianza e nel servizio comune.

Cerchiamo di interpretare insieme le scritture, mirando all’unità visibile. Attraverso il battesimo e l’eucaristia condivisi, quali obiettivi di lunga scadenza.

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II. In cammino verso l’unità visibile delle Chiese in Europa"Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". (Gv 13, 35)

2. Annunciare insieme il Vangelo Il compito più importante delle Chiese in Europa è quello di annunciare insieme il Vangelo attraverso la parola e l’azione, per la salvezza di tutti gli esseri umani. Di fronte alla multiforme mancanza di riferimenti, all’allontanamento dai valori cristiani, ma anche alla variegata ricerca di senso, le cristiane e i cristiani sono particolarmente sollecitati a testimoniare la propria fede. A tal fine occorrono, al livello locale delle comunità, un accresciuto impegno ed uno scambio di esperienze sul piano della catechesi e della pastorale. Al tempo stesso è importante che l’intero popolo di Dio si impegni a diffondere insieme l’Evangelo all’interno dello spazio pubblico della società, ed a conferirgli valore e credibilità anche attraverso l’impegno sociale e l’assunzione di responsabilità nel politico. Ci impegniamo § a far conoscere alle altre Chiese le nostre iniziative per l’evangelizzazione e a raggiungere intese in proposito, per evitare in tal modo una dannosa concorrenza ed il pericolo di nuove divisioni; § a riconoscere che ogni essere umano può scegliere, liberamente e secondo coscienza, la propria appartenenza religiosa ed ecclesiale. Nessuno può essere indotto alla conversione attraverso pressioni morali o incentivi materiali. Al tempo stesso a nessuno può essere impedita una conversione che sia conseguenza di una libera scelta.

3. Andare l’uno incontro all’altro Nello spirito del Vangelo dobbiamo rielaborare insieme la storia delle Chiese cristiane, che è caratterizzata oltre che da molte buone esperienze, anche da divisioni, inimicizie e addirittura da scontri bellici. La colpa umana, la mancanza di amore, e la frequente strumentalizzazione della fede e delle Chiese in vista di interessi politici hanno gravemente nuociuto alla credibilità della testimonianza cristiana. L’ecumenismo, per le cristiane e i cristiani, inizia pertanto con il rinnovamento dei cuori e con la disponibilità alla penitenza ed alla conversione. Constatiamo che la riconciliazione è già cresciuta nell’ambito del movimento ecumenico. È importante riconoscere i doni spirituali delle diverse tradizioni cristiane, imparare gli uni dagli altri e accogliere i doni gli uni degli altri. Per un ulteriore sviluppo dell’ecumenismo è particolarmente auspicabile coinvolgere le esperienze e le aspettative dei giovani e promuovere con forza la loro partecipazione e collaborazione. Ci impegniamo § a superare l’autosufficienza e a mettere da parte i pregiudizi, a ricercare l’incontro reciproco e ad essere gli uni per gli altri; § a promuovere l’apertura ecumenica e la collaborazione nel campo dell’educazione cristiana, nella formazione teologica iniziale e permanente, come pure nell’ambito della ricerca.

Non dobbiamo pensare che le esperienze delle altre chiese non possano essere una ricchezza anche per noi.

4. Operare insiemeL’ecumenismo si esprime già in molteplici forme di azione comune. Numerose cristiane e cristiani di Chiese differenti vivono e operano insieme, come amici, vicini, sul lavoro e nell’ambito della propria famiglia. In particolare, le coppie interconfessionali devono essere aiutate a vivere l’ecumenismo nel quotidiano. Raccomandiamo di creare e di sostenere a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale organismi finalizzati alla cooperazione ecumenica a carattere bilaterale e multilaterale. A livello europeo è necessario rafforzare la collaborazione tra la Conferenza delle

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Chiese europee (KEK) ed il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) e realizzare ulteriori assemblee ecumeniche europee. In caso di conflitti tra Chiese occorre avviare e sostenere sforzi di mediazione e di pace. Ci impegniamo § ad operare insieme, a tutti i livelli della vita ecclesiale, laddove ne esistano i presupposti e ciò non sia impedito da motivi di fede o da finalità di maggiore importanza; § a difendere i diritti delle minoranze e ad aiutare a sgombrare il campo da equivoci e pregiudizi tra le chiese maggioritarie e minoritarie nei nostri paesi.

Dove è possibile si lavora insieme: a livello sociale, di evangelizzazione, di educazione. Curare gli equilibri tra maggioranza e minoranza religiosa, tutelando quest’ultima. Così dovremmo come priorità tutelare i diritti dei cristiani minoritari prima ancora dei diritti dell’Islam. Come pure i cattolici dovrebbero operarsi per una legge sulla libertà religiosa che tutelasse anche le minoranze.

5. Pregare insieme L’ecumenismo vive del fatto che noi ascoltiamo insieme la parola di Dio e lasciamo che lo Spirito Santo operi in noi ed attraverso di noi. In forza della grazia in tal modo ricevuta esistono oggi molteplici sforzi, attraverso preghiere e celebrazioni, tesi ad approfondire la comunione spirituale tra le Chiese, e a pregare per l’unità visibile della Chiesa di Cristo. Un segno particolarmente doloroso della divisione ancora esistente tra molte Chiese cristiane è la mancanza della condivisione eucaristica. In alcune Chiese esistono riserve rispetto alla preghiera ecumenica in comune. Tuttavia, numerose celebrazioni ecumeniche, canti e preghiere comuni, in particolare il Padre Nostro, caratterizzano la nostra spiritualità cristiana. Ci impegniamo § a pregare gli uni per gli altri e per l’unità dei cristiani; § ad imparare a conoscere e ad apprezzare le celebrazioni e le altre forme di vita spirituale delle altre chiese; § a muoverci in direzione dell’obiettivo della condivisione eucaristica.

Si ribadisce l’obiettivo della condivisione eucaristica, secondo la volontà di Gesù.

6. Proseguire i dialoghi La nostra comune appartenenza fondata in Cristo ha un significato più fondamentale delle nostre differenze in campo teologico ed etico. Esiste una pluralità che è dono e arricchimento, ma esistono anche contrasti sulla dottrina, sulle questioni etiche e sulle norme di diritto ecclesiastico che hanno invece condotto a rotture tra le Chiese; un ruolo decisivo in tal senso è stato spesso giocato anche da specifiche circostanze storiche e da differenti tradizioni culturali. Al fine di approfondire la comunione ecumenica, occorre assolutamente proseguire negli sforzi tesi al raggiungimento di un consenso di fede. Senza unità nella fede non esiste piena comunione ecclesiale. Non c’è alcuna alternativa al dialogo. Ci impegniamo § a proseguire coscienziosamente e con intensità il dialogo tra le nostre Chiese ai diversi livelli ecclesiali e a verificare quali risultati del dialogo possano e debbano essere dichiarati in forma vincolante dalle autorità ecclesiastiche. § a ricercare il dialogo sui temi controversi, in particolare su questioni di fede e di etica sulle quali incombe il rischio della divisione, e dibattere insieme tali problemi alla luce del Vangelo.

La Carta Ecumenica deve esser tenuta presente da tutti i cattolici, in primis i pastori, poiché ne ispira l’azione pastorale e gli insegnamenti. Si dovrebbero rendere vincolanti i risultati del dialogo, andando a trasmettere in concreto i risultati del dialogo ai livelli di base della chiesa. Ad esempio la CO è uno strumento di riferimento per i cattolici.

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Sulle questioni etiche, cattolici e ortodossi sono uniti contro anglicani e protestanti. Le aperture a livello morale dei protestanti fanno sì che gli ortodossi stiano valutando se uscire o meno dagli organismi comuni europei.

III. La nostra comune responsabilità in Europa "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio". (Mt 5, 9)

7. Contribuire a plasmare l’Europa Nel corso dei secoli si è sviluppata un’Europa caratterizzata sul piano religioso e culturale prevalentemente dal cristianesimo. Nel contempo, a causa delle deficienze dei cristiani, si è diffuso molto male in Europa ed al di là dei suoi confini. Confessiamo la nostra corresponsabilità in tale colpa e ne chiediamo perdono a Dio e alle persone. La nostra fede ci aiuta ad imparare dal passato e ad impegnarci affinché la fede cristiana e l’amore del prossimo irraggino speranza per la morale e l’etica, per l’educazione e la cultura, per la politica e l’economia in Europa e nel mondo intero. Le Chiese promuovono una unificazione del continente europeo. Non si può raggiungere l’unità in forma duratura senza valori comuni. Siamo persuasi che l’eredità spirituale del cristianesimo rappresenti una forza ispiratrice arricchente l’Europa. Sul fondamento della nostra fede cristiana ci impegniamo per un’Europa umana e sociale, in cui si facciano valere i diritti umani ed i valori basilari della pace, della giustizia, della libertà, della tolleranza, della partecipazione e della solidarietà. Insistiamo sul rispetto per la vita, sul valore del matrimonio e della famiglia, sull’opzione prioritaria per i poveri, sulla disponibilità al perdono ed in ogni caso sulla misericordia. In quanto Chiese e comunità internazionali dobbiamo contrastare il pericolo che l’Europa si sviluppi in un Ovest integrato ed un Est disintegrato. Anche il divario Nord-Sud deve essere tenuto in conto. Occorre nel contempo evitare ogni forma di eurocentrismo e rafforzare la responsabilità dell’Europa nei confronti dell’intera umanità, in particolare verso i poveri di tutto il mondo. Ci impegniamo § ad intenderci tra noi sui contenuti e gli obbiettivi della nostra responsabilità sociale ed a sostenere il più possibile insieme le istanze e la concezione delle Chiese di fronte alle istituzioni civili europee; § a difendere i valori fondamentali contro tutti gli attacchi; § a resistere ad ogni tentativo di strumentalizzare la religione e la Chiesa a fini etnici o nazionalistici.

Parliamo come chiesa cristiana unita, non perché non ci siano differenze, bensì perché si punta sulla unità per “pesare” di più rispetto alle istituzioni europee. Occorre evitare di privilegiare fini etnici/razionalistici.

8. Riconciliare popoli e culture Noi consideriamo come una ricchezza dell’Europa la molteplicità delle tradizioni regionali, nazionali, culturali e religiose. Di fronte ai numerosi conflitti è compito delle Chiese assumersi congiuntamente il servizio della riconciliazione anche per i popoli e le culture. Sappiamo che la pace tra le Chiese costituisce a tal fine un presupposto altrettanto importante. I nostri sforzi comuni sono diretti alla valutazione e alla risoluzione dei problemi politici e sociali nello spirito del Vangelo. Dal momento che noi valorizziamo la persona e la dignità di ognuno in quanto immagine di Dio, ci impegniamo per l’assoluta eguaglianza di valore di ogni essere umano. In quanto Chiese vogliamo promuovere insieme il processo di democratizzazione in Europa. Ci impegniamo per un ordine pacifico, fondato sulla soluzione non violenta dei conflitti. Condanniamo pertanto ogni forma di violenza contro gli esseri umani, soprattutto contro le donne ed i bambini.

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Riconciliazione significa promuovere la giustizia sociale all’interno di un popolo e tra tutti i popoli ed in particolare superare l’abisso che separa il ricco dal povero, come pure la disoccupazione. Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi ed a chi cerca asilo in Europa. Ci impegniamo § a contrastare ogni forma di nazionalismo che conduca all’oppressione di altri popoli e di minoranze nazionali ed a ricercare una soluzione non violenta dei conflitti; § a migliorare e a rafforzare la condizione e la parità di diritto delle donne in tutte le sfere della vita e a promuovere la giusta comunione tra donne e uomini in seno alla Chiesa e alla società.

Da poco era finita la guerra dei Balcani che aveva opposto Musulmani, Cattolici e Ortodossi.

9. Salvaguardare il creato Credendo all’amore di Dio creatore, riconosciamo con gratitudine il dono del creato, il valore e la bellezza della natura. Guardiamo tuttavia con apprensione al fatto che i beni della terra vengono sfruttati senza tener conto del loro valore intrinseco, senza considerazione per la loro limitatezza e senza riguardo per il bene delle generazioni future. Vogliamo impegnarci insieme per realizzare condizioni sostenibili di vita per l’intero creato. Consci della nostra responsabilità di fronte a Dio, dobbiamo far valere e sviluppare ulteriormente criteri comuni per determinare ciò che è illecito sul piano etico, anche se è realizzabile sotto il profilo scientifico e tecnologico. In ogni caso la dignità unica di ogni essere umano deve avere il primato nei confronti di ciò che è tecnicamente realizzabile. Raccomandiamo l’istituzione da parte delle Chiese europee di una giornata ecumenica di preghiera per la salvaguardia del creato. Ci impegniamo § a sviluppare ulteriormente uno stile di vita nel quale, in contrapposizione al dominio della logica economica ed alla costrizione al consumo, accordiamo valore ad una qualità di vita responsabile e sostenibile; § a sostenere le organizzazioni ambientali delle Chiese e le reti ecumeniche che si assumono una responsabilità per la salvaguardia della creazione.

Salvaguardia del creato, poi “custodia” (termine biblico) del creato. Possiamo collaborare con chiunque, portando la ricchezza di sentire il mandato di Dio a “custodire” il creato, con scelte di vita precise. L’Italia ha aderito a questa indicazione, fissando al 1 settembre di ogni anno la festa della custodia del creato. Ma è una festa un po’ “infelice” perché in un momento in cui la vita sociale non è ancora ripresa e quindi non ci sono molte adesioni.

10. Approfondire la comunione con l’Ebraismo Una speciale comunione ci lega al popolo d’Israele, con il quale Dio ha stipulato una eterna alleanza. Sappiamo nella fede che le nostre sorelle ed i nostri fratelli ebrei "sono amati (da Dio), a causa dei Padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" (Rm 11, 28-29). Essi posseggono "l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne ..." (Rm 9, 4-5). Noi deploriamo e condanniamo tutte le manifestazioni di antisemitismo, i "pogrom", le persecuzioni. Per l’antigiudaismo in ambito cristiano chiediamo a Dio il perdono e alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ebrei il dono della riconciliazione. È urgente e necessario far prendere coscienza, nell’annuncio e nell’insegnamento, nella dottrina e nella vita delle nostre Chiese, del profondo legame esistente tra la fede cristiana e l’ebraismo e sostenere la collaborazione tra cristiani ed ebrei. Ci impegniamo

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§ a contrastare tutte le forme di antisemitismo ed antigiudaismo nella Chiesa e nella società; § a cercare ed intensificare a tutti i livelli il dialogo con le nostre sorelle e i nostri fratelli ebrei.

Il convegno ecumenico della CEI a Salerno (fine novembre) parte dal dialogo ebraico-cristiano.

11. Curare le relazioni con l’Islam Da secoli musulmani vivono in Europa. In alcuni paesi essi rappresentano forti minoranze. Per questo motivo ci sono stati e ci sono molti contatti positivi e buoni rapporti di vicinato tra musulmani e cristiani, ma anche, da entrambe le parti, grossolane riserve e pregiudizi, che risalgono a dolorose esperienze vissute nel corso della storia e nel recente passato. Vogliamo intensificare a tutti i livelli l’incontro tra cristiani e musulmani ed il dialogo cristiano-islamico. Raccomandiamo in particolare di riflettere insieme sul tema della fede nel Dio unico e di chiarire la comprensione dei diritti umani. Ci impegniamo § ad incontrare i musulmani con un atteggiamento di stima; § ad operare insieme ai musulmani su temi di comune interesse.

12. L’incontro con altre religioni e visioni del mondo La pluralità di convinzioni religiose, di visioni del mondo e di forme di vita è divenuta un tratto caratterizzante la cultura europea. Si diffondono religioni orientali e nuove comunità religiose, suscitando anche l’interesse di molti cristiani. Ci sono inoltre sempre più uomini e donne che rigettano la fede cristiana, si rapportano ad essa con indifferenza o seguono altre visioni del mondo. Vogliamo prendere sul serio le questioni critiche che ci vengono rivolte, e sforzarci di instaurare un confronto leale. Occorre in proposito discernere le comunità con le quali si devono ricercare dialoghi ed incontri da quelle di fronte alle quali, in un’ottica cristiana, occorre invece cautelarsi. Ci impegniamo § a riconoscere la libertà religiosa e di coscienza delle persone e delle comunità ed a fare in modo che esse, individualmente e comunitariamente, in privato ed in pubblico, possano praticare la propria religione o visione del mondo, nel rispetto del diritto vigente; § ad essere aperti al dialogo con tutte le persone di buona volontà, a perseguire con esse scopi comuni ed a testimoniare loro la fede cristiana. Gesù Cristo, Signore della chiesa "una", è la nostra più grande speranza di riconciliazione e di pace. Nel suo nome vogliamo proseguire in Europa il nostro cammino insieme. Dio ci assista con il suo Santo Spirito! "Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo" (Rm 15, 13) In qualità di Presidenti delle Conferenze delle Chiese europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) noi raccomandiamo questa Charta Oecumenica quale testo base per tutte le Chiese e Conferenze episcopali d’Europa affinché venga recepita ed adeguata allo specifico contesto di ciascuna di esse. Con questa raccomandazione sottoscriviamo la Charta Oecumenica nel contesto dell’Incontro ecumenico europeo, che si svolge la prima domenica dopo la Pasqua comune dell’anno 2001. Strasburgo, 22 aprile 2001 Metropolita Jeremie Presidente KEK - Card. Miloslav Vlk Presidente CCEE

Il documento dunque esiste, e non dovrebbe essere solo culturale, ma anzitutto esistenziale.

Cfr. allegato con le diverse chiese europee che aderiscono al CCEE. In Canada non c’è una conferenza episcopale e altre chiese, bensì una conferenza delle chiese che globalmente raccoglie cattolici e no.

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Il leader di Taizé, fr. Aloise, ha pubblicato un articolo sull’Osservatore Romano di oggi (20.11.2014) intervenendo sui “CRISTIANI SOTTO UNO STESSO TETTO. È tempo di osare l’unità”.Uno degli interrogativi cui rispondere: come mostrare che l’unità è possibile nel rispetto del pluralismo? Come porsi tra gli estremi dell’imposizione e del relativismo. Bisognerebbe esser uniti nel rispetto del pluralismo. Sono due esigenze insuperabili: l’unità e il rispetto del pluralismo. E se fosse così farebbe un servizio al mondo, visto che è segno e strumento di salvezza per il mondo intero.Il pluralismo globale oggi porta a tensioni e divisioni. Si rilevano le differenze. Ci sono rapporti tra chiese, ma è ancor più evidente che ci sono tantissime chiese e divise tra diversi vincoli di comunione. Dinanzi a così tante chiese, ci si chiede se occorra una unità visibile e se non basti dirsi cristiani. Eppure la volontà di Cristo è che sia visibile l’unità della Chiesa. I giovani di oggi chiedono unità. Non si pongono il problema dell’ecumenismo, ma traggono beneficio dall’unità.Nell’Evangelii Gaudium (230) papa Francesco parla di diversità riconciliata, cioè di una unità di spirito più profonda delle diversità.Ci si chiede: non è che incoraggiare la diversità porterà all’atomizzazione delle chiese? E all’opposto: non è che l’unità porterà all’uniformità?Per Ratzinger, se la divisione è privata del veleno della inimicizia e diviene ricchezza o “felix culpa” che favorisce l’unità. Alla fine, la divisione potrà scemare per lasciare sussistere la polarità (come uomo e donna uniti nel matrimonio). Forse non si dovrebbe partire dall’analisi delle differenze che dividono, bensì da Cristo che ci unisce in quanto non può esser diviso.Le Chiese cristiane, oggi, non dovrebbero osare di mettersi sotto uno stesso tetto anche se ancora non c’è un perfetto accordo teologico. Ci saranno sempre differenze tra cristiani, ma occorre mirare all’unità. Ricordando che la priorità spetta all’identità battesimale (che è una: il battesimo è lo stesso). Olivier Clement parla di una chiesa unita, basamento segreto e nascosto che bisogna saper far emergere. Non ci sarà unione statica, mai più, ma solo dinamica. Esiste già una comunione tra diversi cristiani. La famiglia abita una casa comune: se siamo una famiglia, perché non abitare fin da subito sotto lo stesso tetto, senza aspettare gli accordi dottrinali ufficiali? Dovremmo osare maggiormente. Taizé è un segno profetico, che raccoglie fratelli di fedi diverse, soprattutto quando 3 volte al giorno si riuniscono sotto lo stesso tetto per la preghiera comune. Se non ci troviamo sotto lo stesso tetto, come pensare che fra noi possa accadere l’unità.In una comunità locale si può fare tra vicini e famiglie, per la preghiera e l’aiuto. Tra chiese diverse, si può collaborare per evangelizzare e formarsi a livello teologico. Basterebbe mettere in pratica gli impegni della Carta Ecumenica. Bisognerebbe non far più nulla senza tener conto degli altri, coinvolgendoli e informandoli. Si può partire dalla preghiera comune che favorirebbe la comunione e l’armonia. Vivendo e pregando insieme si affrontano in maniera diversa le questioni.Servirebbe un ministero di comunione universale, tipico del vescovo di Roma che deve vigilare che nessun popolo sia escluso dal mistero della comunione con Dio. Potrebbe esser “servo della comunione” che veglia per l’unità dei cristiani. E pure non dovremmo abituarci alla divisione dinanzi all’eucaristia. Ma dovrebbe esser l’eucaristia l’obiettivo comune, come un orizzonte di unità concreto. Perché non cominciare già a fare insieme la comunione tra chi riconosce la presenza reale di Cristo?

Nell’udienza del 26.11.2014 il papa ha chiesto preghiere perché “Pietro va a trovare suo fratello Andrea”, alludendo alla visita al patriarcato di Costantinopoli in Turchia.

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COMMISSIONE MISTA tra CHIESA CATTOLICA e CHIESA ORTODOSSA nel suo insieme (1980).A volte qualche chiesa non partecipa. Ogni anno si ritrova il comitato di segreteria, col prefetto della p.c. per l’unità dei cristiani (card. Koch) + Zizioulas, ognuno con un proprio segretario e alcuni teologi che preparano i lavori per la riunione plenaria (ogni 2/3 anni). 1993 – Balamand (Siria) – Viene stilato un documento sull’uniatismo (fenomeno che ha portato alle chiese cattoliche orientali, nate alla fine del ‘500 dalle varie colonne ortodosse che si sono unite a Roma e sono detti “uniati”) in cui gli ortodossi chiedono di interrompere tale fenomeno. La commissione mista accetta. Roma afferma che non è espressione del Magistero. Ma resta un documento ufficiale che dice che Roma rinuncia ad aggregare chiese intere (non invece il singolo fede, che può convertirsi come e quando vuole).2007 – Ravenna (Italia) – conseguenza del fatto che GPII si è detto disposto a trovare nuove forme di esercizio del primato petrino. L’essenza del documento di Ravenna è che ogni chiesa locale ha un capo che è il vescovo (o esarca) segno visibile dell’unità di quel territorio. Esiste poi la dimensione regionale (metropolita, o più facilmente ancora la conferenza episcopale regionale e poi nazionale) che ha un suo capo. Quindi anche la chiesa universale deve avere un capo universale. Tutti hanno firmato tranne i Russi (assenti alla sessione per problemi con l’Estonia) che oggi rinnegano tale documento.2014 – Amman (Giordania) – i Russi si impuntano sulla questione di Ravenna, anche perché la questione ucraina è ancora aperta, fino al 2017, con la nuova plenaria.

Pubblichiamo qui di seguito la traduzione italiana del «Documento di Ravenna» discusso ed approvato all’unanimità dai membri della «Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa» durante la decima sessione plenaria della Commissione a Ravenna, 8-14 ottobre 2007. Il documento è pertanto emanazione di una Commissione e non deve intendersi come una dichiarazione magisteriale. Il progetto base e la stesura finale del documento sono in lingua inglese. La traduzione italiana è stata curata dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

 COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICOTRA LA CHIESA CATTOLICA ROMANA E LA CHIESA ORTODOSSALE CONSEGUENZE ECCLESIOLOGICHE E CANONICHE DELLA NATURA SACRAMENTALE DELLA CHIESA COMUNIONE ECCLESIALE, CONCILIARITÀ E AUTORITÀRavenna, 13 ottobre 2007 Introduzione1. «Perché essi siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). Rendiamo grazia al Dio Trino che ci ha riuniti – noi, i membri della Commissione Mista per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa – affinché possiamo rispondere insieme in obbedienza a questa preghiera di Gesù. Siamo consapevoli che il nostro dialogo prende un nuovo avvio in un mondo che nei tempi recenti è profondamente cambiato. Il processo di secolarizzazione e di globalizzazione, come anche le sfide poste da nuovi incontri tra i cristiani ed i credenti di altre religioni, richiedono con rinnovata urgenza ai discepoli di Cristo di dare testimonianza della loro fede, del loro amore e della loro speranza. Possa lo Spirito di Cristo risorto consentire al nostro cuore e alla nostra mente di recare i frutti dell’unità nelle relazioni tra le nostre Chiese, affinché possiamo servire insieme l’unità e la pace di tutta la famiglia umana. Possa lo stesso Spirito condurci alla piena espressione del mistero della comunione ecclesiale, che noi riconosciamo con gratitudine come un dono meraviglioso di Dio al mondo, un mistero la cui bellezza rifulge specialmente nella santità alla quale siamo tutti chiamati.

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2. Secondo il «Piano» adottato nel primo incontro di Rodi nel 1980, la Commissione Mista aveva iniziato a trattare il mistero della koinônia ecclesiale alla luce del mistero della Santa Trinità e dell’Eucaristia. Ciò aveva permesso di comprendere più profondamente la comunione ecclesiale, sia a livello della comunità locale radunata attorno al suo vescovo, che a livello delle relazioni tra i vescovi ed tra le Chiese locali sulle quali ciascun [vescovo] presiede in comunione con la Chiesa Una di Dio che si estende attraverso l’universo (cfr. Documento di Monaco, 1982). Nell’intento di chiarire la natura della comunione, la Commissione Mista aveva sottolineato la relazione esistente tra fede, sacramenti – con speciale riguardo ai tre sacramenti dell’iniziazione cristiana – e l’unità della Chiesa (cfr. Documento di Bari, 1987). Successivamente, studiando il sacramento dell’Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, la Commissione aveva indicato chiaramente il ruolo della successione apostolica quale garante della koinônia di tutta la Chiesa, e la sua continuità con gli Apostoli, in ogni tempo ed in ogni luogo (cfr. Documento di Valamo, 1988). Dal 1990 al 2000, il principale argomento discusso dalla Commissione è stato «l’uniatismo» (Documento di Balamand, 1993; Documento di Baltimora, 2000), argomento che la Commissione Mista considererà ulteriormente in un prossimo futuro. Essa affronta attualmente il tema sollevato nella conclusione del Documento di Valamo, e riflette sulla comunione ecclesiale, la conciliarità e l’autorità.

3. Sulla base di tali affermazioni comuni della nostra fede, dobbiamo trarre ora le conseguenze ecclesiologiche e canoniche derivanti dalla natura sacramentale della Chiesa. Poiché l’Eucaristia, alla luce del mistero trinitario, costituisce il criterio della vita ecclesiale nella sua interezza, in che modo le strutture istituzionali riflettono visibilmente il mistero di questa koinônia? Poiché la Chiesa Una e Santa è realizzata in ciascuna Chiesa locale che celebra l’Eucaristia e, allo stesso tempo, nella koinônia di tutte le Chiese, in che modo la vita delle Chiese manifesta tale struttura sacramentale?

4. Unità e molteplicità, la relazione tra la Chiesa una e le molte Chiese locali, tale relazione costitutiva della Chiesa pone anch’essa la questione della relazione tra l’autorità, inerente ad ogni istituzione ecclesiale, e la conciliarità, che deriva dal mistero della Chiesa come comunione. Poiché i termini «autorità» e «conciliarità» abbracciano uno spazio molto vasto, inizieremo con il definire il modo secondo il quale noi li comprendiamo [1].

I. I fondamenti della Conciliarità e dell’Autorità

1. Conciliarità5. Il termine conciliarità o sinodalità deriva dalla parola «concilio» (synodos in greco,concilium in latino), che denota soprattutto un raduno di vescovi che esercitano una particolare responsabilità. Tuttavia è anche possibile comprendere il termine in un’accezione più ampia, nel senso di tutti i membri della Chiesa (cfr. il vocabolo russo sobornost). Di conseguenza, parleremo dapprima di «conciliarità» nel suo significato secondo il quale ciascun membro del Corpo di Cristo, in virtù del battesimo, ha il suo spazio e la sua propria responsabilità nella koinônia (communio in latino) eucaristica. La conciliarità riflette il mistero trinitario ed ha il suo fondamento ultimo in tale mistero. Le tre persone della Santa Trinità sono «enumerate», come afferma San Basilio il Grande (Sullo Spirito Santo, 45), senza che la designazione come «seconda» o «terza» persona, implichi una diminuzione o una subordinazione. Analogamente, esiste anche un ordine tra le Chiese locali, che tuttavia non implica disuguaglianza nella loro natura ecclesiale.

6. L’eucaristia manifesta la koinônia trinitaria attualizzata nei fedeli come un’unità organica di molteplici membri, ciascuno dei quali ha un carisma, un servizio o un ministero proprio, i quali sono necessari, nella loro varietà e nella loro diversità, all’edificazione di tutti nell’unico Corpo ecclesiale di Cristo (cfr. 1 Cor 12,4–30). Tutti sono chiamati, sono impegnati e sono resi

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responsabili – ciascuno in modo diverso, ma tuttavia non meno effettivo – nel comune compimento delle azioni che, per mezzo dello Spirito Santo, rendono presente nella Chiesa il ministero di Cristo, «Via, Verità e Vita» (Gv 14,6). Così è realizzato nel genere umano il mistero della koinônia salvifica con la Santa Trinità.

7. L’intera comunità e ciascuna persona che ne fa parte ha la «consapevolezza della Chiesa» (ekklesiastikè syneidesis), come essa è definita dalla teologia greca, ovvero il sensus fideliumsecondo la terminologia latina. In virtù del battesimo e della cresima (o crismazione), ciascun membro della Chiesa esercita una forma di autorità nel Corpo di Cristo. In questo senso, tutti i fedeli (e non soltanto i vescovi) sono responsabili per la fede professata all’atto del loro battesimo. Secondo l’insegnamento che dispensiamo in comune, l’insieme del popolo di Dio, avendo ricevuto «l’unzione dal Santo» (1 Gv 2, 20.27), in comunione con i loro pastori, non può errare in materia di fede (cfr. Gv 16,13).

8. Nel proclamare la fede della Chiesa e nel chiarire le norme del comportamento cristiano, i vescovi, per istituzione divina, hanno un compito specifico. «Quali successori degli Apostoli, i vescovi sono responsabili della comunione nella fede apostolica e della fedeltà alle esigenze di una vita conforme al Vangelo» (Documento di Valamo, n. 40).

9. I Concili costituiscono il principale modo di esercizio della comunione tra i vescovi (cfr. Documento di Valamo, n. 52). In effetti, «l’attaccamento alla comunione apostolica vincola tutti i vescovi tra loro collegando l’épiskopè delle Chiese locali al Collegio degli Apostoli. Anch’essi formano un collegio radicato dallo Spirito Santo nella “una volta per tutte” del gruppo apostolico, testimone della fede in modo unico. Ciò significa che non soltanto essi dovrebbero essere uniti tra loro nella fede, la carità, la missione, la riconciliazione, ma che essi hanno in comune la stessa responsabilità e lo stesso servizio alla Chiesa» (Documento di Monaco, III, 4).

10. Tale dimensione conciliare della vita della Chiesa appartiene alla sua natura più profonda. Ciò equivale a dire che essa è fondata sulla volontà di Cristo per i suoi seguaci (cfr.  Mt 18, 15–20), sebbene le sue realizzazioni canoniche siano necessariamente determinate anche dalla storia e dal contesto sociale, politico e culturale. Definita in questo modo, la dimensione conciliare della Chiesa deve essere presente nei tre livelli della comunione ecclesiale, locale, regionale e universale: a livello locale della diocesi affidata al vescovo; a livello regionale di un insieme di Chiese locali con i loro vescovi che «riconoscono colui che è il primo tra loro» (Canone degli Apostoli, 34); ed a livello universale, coloro che sono i primi (protoi) nelle varie regioni, insieme con tutti i vescovi, collaborano per ciò che riguarda la totalità della Chiesa. Inoltre a questo livello, i  protoidebbono riconoscere chi è il primo tra di loro.

11. La Chiesa esiste in molti luoghi diversi, ciò che manifesta la sua cattolicità. Essendo «cattolica», essa è un organismo vivente, il Corpo di Cristo. Ciascuna Chiesa locale, se essa è in comunione con le altre Chiese locali, è una manifestazione della Chiesa di Dio, una e indivisibile. Essere «cattolica» significa pertanto essere in comunione con l’unica Chiesa di tutti i tempi e in ogni luogo. Per questo motivo, rompere la comunione eucaristica significa ferire una delle caratteristiche essenziali della Chiesa, la sua cattolicità.

2. Autorità

12. Quando parliamo di autorità, ci riferiamo all’exousia, così come il Nuovo Testamento la descrive. L’autorità della Chiesa deriva dal suo Capo e Signore, Gesù Cristo. Avendo ricevuto la sua autorità da Dio Padre, Cristo, dopo la sua Resurrezione, l’ha condivisa, per mezzo dello Spirito Santo, con gli Apostoli (cfr. Gv 20,22). Attraverso di loro, essa è stata trasmessa ai vescovi, ai loro

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successori e, attraverso di loro a tutta la Chiesa. Nostro Signore Gesù Cristo ha esercitato questa autorità in vari modi attraverso i quali, e fino al suo compimento escatologico (cfr. 1 Cor 15,24–28), il Regno di Dio si manifesta al mondo: ammaestrando (cfr. Mt 5,2, Lc 5,3); compiendo miracoli (cfr. Mc 1,30–34; Mt 14, 35–36); scacciando gli spiriti impuri (cfr. Mc 1,27; Lc 4,35–36); rimettendo i peccati (cfr. Mc 2,10;Lc 5,24); e guidando i suoi discepoli sulla via della salvezza (cfr. Mt 16,24) In conformità al mandato ricevuto da Cristo (cfr. Mt 28, 18–20), l’esercizio dell’autorità propria agli apostoli e successivamente ai vescovi, comprende la proclamazione e l’insegnamento del Vangelo, la santificazione attraverso i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, e la guida pastorale di coloro che credono (cfr. Lc 10,16).13. L’autorità nella Chiesa appartiene a Gesù Cristo stesso, l’unico Capo della Chiesa (cfr.  Ef1,22; 5,23). Per mezzo del suo Spirito Santo, la Chiesa, in quanto suo Corpo, partecipa alla sua autorità (cfr. Gv 20, 22–23). Scopo dell’autorità nella Chiesa è radunare tutta l’umanità in Gesù Cristo (cfr. Ef 1,10; Gv 11,52). L’autorità, connessa alla grazia ricevuta nell’ordinazione, non è possesso privato di coloro che la ricevono né è un qualcosa che la comunità dà in delega; al contrario, è un dono dello Spirito Santo destinato al servizio (diakonia) della comunità e mai esercitato al di fuori di essa. Il suo esercizio comporta la partecipazione di tutta la comunità, essendo il vescovo nella Chiesa e la Chiesa nel vescovo (cfr. S. Cipriano, Ep. 66,8).

14. L’esercizio dell’autorità compiuto nella Chiesa, in nome di Cristo e per mezzo della potenza dello Spirito Santo, deve essere – in ogni sua forma ed a tutti i livelli – un servizio (diakonia) d’amore, al pari di quello che fu di Cristo (cfr. Mc 10,45; Gv 13, 1–16). L’autorità di cui parliamo, in quanto esprime l’autorità divina, può sussistere nella Chiesa soltanto nell’amore tra colui che la esercita e coloro che sono soggetti ad essa. Pertanto, si tratta di un’autorità senza dominazione, senza coercizione sia essa fisica o morale. In quanto partecipazione all’exousia del Signore crocifisso e esaltato, al quale è stata data ogni autorità in cielo e sulla terra (cfr. Mt 28,18), essa può e deve esigere obbedienza. Allo stesso tempo, a causa dell’Incarnazione e della Croce, essa è radicalmente diversa da quella esercitata dai Capi delle nazioni, e dai Grandi di questo mondo (cfr. Lc 22, 25–27). Sebbene sia fuori dubbio che l’autorità è affidata a persone, le quali – a causa della debolezza e del peccato – , sono spesso tentate di abusarne, non di meno, per sua natura stessa l’identificazione evangelica dell’autorità con il servizio costituisce una norma fondamentale per la Chiesa. Per i cristiani, governare equivale a servire. Ne consegue che l’esercizio e l’efficacia spirituale dell’autorità ecclesiale sono assicurati attraverso il libero consenso e la collaborazione volontaria. Ad un livello personale, ciò si traduce nell’obbedienza all’autorità della Chiesa per seguire Cristo, il quale è stato amorevolmente ubbidiente al Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,8).

15. L’autorità nella Chiesa si fonda sulla Parola di Dio, che è presente e viva nella comunità dei discepoli. La Scrittura è la Parola di Dio rivelata, così come la Chiesa – per mezzo dello Spirito Santo presente ed attivo in essa – l’ha percepita nella Tradizione vivente ricevuta dagli Apostoli. Il fulcro di questa Tradizione è l’Eucaristia (cfr. 1 Cor 10, 16–17; 11, 23–26). L’autorità della Scrittura deriva dal fatto che è la Parola di Dio che, letta nella Chiesa e dalla Chiesa, trasmette il Vangelo di salvezza. Attraverso la Scrittura, Cristo si rivolge alla comunità radunata e al cuore di ciascun credente. La Chiesa, attraverso lo Spirito Santo presente in lei, interpreta autenticamente la Scrittura, rispondendo ai bisogni dei tempi e dei luoghi. La consuetudine costante nei Concili di intronizzare i Vangeli al centro dell’assemblea, attesta la presenza di Cristo nella sua Parola, la quale costituisce il necessario punto di riferimento per tutti i loro dibattiti e decisioni, ed afferma nel contempo l’autorità esercitata dalla Chiesa nell’interpretare tale Parola di Dio.

16. Nella sua divina Economia, Dio vuole che la sua Chiesa abbia una struttura orientata alla salvezza. A tale essenziale struttura appartengono la fede professata ed i sacramenti celebrati nella successione apostolica. L’autorità nella comunione ecclesiale è legata a questa struttura essenziale:

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il suo esercizio è regolato dai canoni e dagli statuti della Chiesa. Alcune di queste regole possono essere differentemente applicate, secondo i bisogni della comunione ecclesiale, in tempi e luoghi diversi, a patto però che la struttura essenziale della Chiesa sia sempre rispettata. Pertanto, come la comunione nei sacramenti presuppone la comunione nella stessa fede (cfr. Documento di Bari, nn. 29–33), allo stesso modo, perché vi sia la piena comunione ecclesiale, deve esserci, tra le nostre Chiese, il reciproco riconoscimento delle legislazioni canoniche nelle loro legittime diversità.

II. La triplice attualizzazione della Conciliarità e dell’Autorità

17. Avendo evidenziato i fondamenti sui quali poggia la conciliarità e l’autorità nella Chiesa, e dopo aver rilevato la complessità del contenuto di tali termini, dobbiamo ora rispondere alle seguenti domande: in che modo gli elementi istituzionali della Chiesa esprimono visibilmente e sono a servizio del mistero della koinônia? In che modo le strutture canoniche della Chiesa esprimono la loro vita sacramentale? Per rispondere abbiamo distinto tre livelli delle istituzioni ecclesiali: il livello della Chiesa locale attorno al suo vescovo; il livello di una regione che comprende un certo numero di Chiese locali limitrofe; ed il livello dell’intera terra abitata (oikoumene), che abbraccia tutte le Chiese locali.

1. Il livello locale

18. La Chiesa di Dio esiste laddove vi è una comunità radunata dall’Eucaristia, presieduta, direttamente o attraverso i suoi presbiteri, da un vescovo legittimamente ordinato nella successione apostolica, il quale insegna la fede ricevuta dagli Apostoli, in comunione con gli altri vescovi e con le loro Chiese. Il frutto di questa Eucaristia e di questo ministero consiste nel radunare in una autentica comunione di fede, di preghiera, di missione, di amore fraterno e di reciproco aiuto, tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito di Cristo nel battesimo. Tale comunione è il quadro entro il quale è esercitata tutta l’autorità ecclesiale. La comunione è il criterio di tale esercizio.

19. Ciascuna Chiesa locale ha per missione di essere, per grazia di Dio, un luogo dove Dio è servito ed onorato, dove è annunciato il Vangelo, sono celebrati i sacramenti, un luogo dove il fedele si adopera a alleviare le miserie del mondo, e dove ogni credente può trovare la salvezza. Essa è la luce del mondo (cfr. Mt 5,14–16), il lievito (cfr. Mt 13,33), la comunità sacerdotale di Dio (cfr. 1 Pt 2, 5.9). Le norme canoniche che la governano hanno lo scopo di garantire tale missione.

20. In virtù dello stesso Battesimo, che fa di loro le membra di Cristo, ciascuna persona battezzata è chiamata, secondo i doni dell’unico Spirito Santo, al servizio nella comunità (cfr. 1 Cor 12, 4–27). Pertanto, attraverso la comunione, che pone tutti i membri a servizio gli uni degli altri, la Chiesa locale appare già «sinodale» o «conciliare» nella sua struttura. Questa «sinodalità» non risulta soltanto nella relazione di solidarietà, nell’assistenza reciproca e nella complementarità, che i vari ministri ordinati hanno tra di loro. Senza dubbio il presbiterio è il consiglio del vescovo (cfr. Sant’Ignazio d’Antiochia, Ai Tralliani, 3), ed il diacono è la sua «mano destra» (Didascalia A postolorum, 2,28,6), in modo che, secondo la raccomandazione di Sant’Ignazio d’Antiochia, ogni cosa si faccia di concerto (cfr. Ef 6). La sinodalità, tuttavia, come lo esige la comunione ecclesiale, riguarda anche tutti i membri della comunità nell’obbedienza al vescovo, il quale è il protos ed il capo (kephale) della Chiesa locale. Conformemente alle tradizioni orientale e occidentale, la partecipazione attiva del laicato, uomini e donne, degli appartenenti a comunità monastiche e delle persone consacrate, si attua nella diocesi e nella parrocchia attraverso svariate forme di servizio e di missione.

21. I carismi dei membri della comunità hanno origine nell’unico Spirito Santo, e sono orientati al bene di tutti. Questo fatto mette in luce sia le esigenze che i limiti dell’autorità di ciascuno nella

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Chiesa. Non dovrebbero esistere né passività né sostituzione di funzioni, né negligenza né sopraffazione dell’uno sull’altro. Tutti i carismi ed i ministeri della Chiesa convergono nell’unità sotto il ministero del vescovo, il quale serve la comunione della Chiesa locale. Tutti sono chiamati dallo Spirito Santo a rinnovarsi nei sacramenti ed a rispondere in una costante conversione (metanoia), di modo che sia garantita la loro comunione nella verità e nella carità.

2. Il livello regionale

22. Poiché la Chiesa rivela la sua cattolicità nella synaxis della Chiesa locale, tale cattolicità deve effettivamente manifestarsi in comunione con le altre Chiese che professano la stessa fede apostolica e condividono la stessa struttura ecclesiale fondamentale, a cominciare da quelle che sono vicine tra loro in virtù della loro comune responsabilità per la missione nella regione di cui fanno parte (cfr. Documento di Monaco, III, 3 e Documento di Valamo, 52 e 53). La comunione tra le Chiese è espressa nell’ordinazione dei vescovi. Tale ordinazione è conferita secondo l’ordine canonico da tre o più vescovi, e almeno da due (cfr. Concilio di Nicea, canone 4), i quali agiscono in nome del corpo episcopale e del popolo di Dio, avendo essi stessi ricevuto il loro ministero dallo Spirito Santo per il tramite dell’imposizione delle mani nella successione apostolica. Quando ciò è compiuto in conformità ai canoni, è garantita la comunione tra le Chiese nella retta fede, nei sacramenti e nella vita ecclesiale, così come è garantita la comunione vivente con le generazioni precedenti.

23. Una tale comunione effettiva tra Chiese locali, ciascuna delle quali è la Chiesa cattolica in un determinato luogo, è stata espressa da alcune pratiche: la partecipazione dei vescovi delle sedi limitrofe all’ordinazione di un vescovo per la Chiesa locale; l’invito rivolto ad un determinato vescovo di un’altra Chiesa a concelebrare nella synaxis della Chiesa locale; l’accoglienza estesa a fedeli di tali Chiese a condividere la mensa eucaristica; lo scambio di lettere in occasione di un’ordinazione; nonché l’offerta di assistenza materiale

24. Un canone accettato in Oriente ed in Occidente, esprime la relazione tra le Chiese locali in una determinata regione: «I vescovi di ciascuna nazione (ethnos) debbono riconoscere colui che è il primo (protos) tra di loro, e considerarlo il loro capo (kephale), e non fare nulla di importante senza il suo consenso (gnome); ciascun vescovo può soltanto fare ciò che riguarda la sua diocesi (paroikia) ed i territori che dipendono da essa. Ma il primo (protos) non può fare nulla senza il consenso di tutti. Poiché in questo modo la concordia (homonoia) prevarrà, e Dio sarà lodato per mezzo del Signore nello Spirito Santo (Canone Apostolico 34).

25. Tale norma, che riaffiora in svariate forme nella tradizione canonica, si applica a tutte le relazioni tra i vescovi di una regione, sia quelli di una provincia, che i vescovi di una metropolia, o di un patriarcato. La sua pratica applicazione può rilevarsi nei sinodi o concili di una provincia, regione o patriarcato. Il fatto che un sinodo regionale sia sempre composto essenzialmente di vescovi, anche quando esso comprende altri membri della Chiesa, rivela la natura dell’autorità sinodale. Soltanto i vescovi hanno voce deliberativa. L’autorità di un sinodo si basa sulla natura del ministero episcopale stesso, e manifesta la natura collegiale dell’episcopato a servizio della comunione delle Chiese.

26. Un sinodo (o concilio) implica in sé la partecipazione di tutti i vescovi di una regione. Esso è governato dal principio del consenso e della concordia (homonoia), che è espressa dalla concelebrazione eucaristica, così come si evince dalla dossologia finale del citato Canone Apostolico 34. Resta comunque il fatto che ciascun vescovo, nell’esercizio della cura pastorale, è giudice e responsabile davanti a Dio per le questioni che riguardano la sua propria diocesi (cfr. San

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Cipriano, Ep. 55,21); pertanto egli è il custode della cattolicità della sua Chiesa locale, e deve sempre attentamente adoperarsi a promuovere la comunione cattolica con le altre Chiese.

27. Ne deriva che un sinodo o un concilio regionale non ha autorità alcuna su altre regioni ecclesiastiche. Non di meno lo scambio di informazioni e le consultazioni tra rappresentanti di diversi sinodi sono una manifestazione della cattolicità, come anche di quella fraterna e reciproca assistenza e carità che debbono costituire la regola tra tutte le Chiese locali a maggiore vantaggio di tutte. Ogni vescovo è responsabile dell’intera Chiesa assieme a tutti i suoi colleghi nella stessa ed unica missione apostolica.

28. In questo modo alcune provincie ecclesiastiche sono pervenute a rafforzare i loro legami di responsabilità comune. Ciò costituisce uno dei fattori che, nella storia delle nostre Chiese, hanno condotto alla costituzione dei patriarcati. I sinodi patriarcali sono governati dagli stessi principi ecclesiologici e dalle stesse norme canoniche dei sinodi provinciali.

29. Nei secoli successivi, sia in Oriente che in Occidente, si sono sviluppate alcune nuove configurazioni della comunione tra Chiese locali. Nuovi Patriarcati e Chiese autocefale sono stati istituiti nell’Oriente cristiano, e recentemente, nella Chiesa latina, è emerso un tipo particolare di raggruppamento dei vescovi, le Conferenze Episcopali. Queste ultime, da un punto di vista ecclesiologico, non sono mere suddivisioni amministrative: esse esprimono lo spirito di comunione nella Chiesa, rispettando allo stesso tempo la diversità delle culture umane.

30. In effetti, indipendentemente dal profilo e dalle regole canoniche della sinodalità regionale, quest’ultima dimostra che la Chiesa di Dio non è una comunione di persone o di Chiese locali estirpate dalle loro radici umane. In quanto comunità di salvezza e poiché questa salvezza è «la restaurazione della creazione» (cfr. Sant’Ireneo, Adv. Haer. 1,36, I), essa ingloba la persona umana in ogni cosa che la lega all’umana realtà così come essa è stata creata da Dio. La Chiesa non è una congerie di individui; è fatta di comunità con culture, storie e strutture sociali diverse tra loro.

31. Nelle Chiese locali raggruppate tra loro a livello regionale, la cattolicità appare sotto la sua vera luce. Essa è espressione della presenza della salvezza non in un universo indifferenziato, ma in un’umanità che Dio ha creato e che egli viene a salvare. Nel mistero della salvezza, la natura umana è assunta nella sua pienezza e, allo stesso tempo, è guarita da ciò che il peccato ha introdotto in essa con l’autosufficienza, l’orgoglio, l’incapacità di aver fiducia negli altri, l’aggressività, la gelosia, l’invidia, la falsità e l’odio. La koinôniaecclesiale è il dono per mezzo del quale tutta l’umanità è radunata insieme, nello Spirito del Signore risorto. Questa unità, creata dallo Spirito, lungi dallo scadere nell’uniformità, esige e dunque preserva – ed in una certa maniera, accresce – la diversità e la particolarità.

3. Il livello universale

32. Ciascuna Chiesa locale non è soltanto in comunione con le Chiese vicine, ma anche con la totalità delle Chiese locali, con quelle attualmente presenti nel mondo, quelle che esistevano sin dall’inizio, quelle che esisteranno in futuro, e con la Chiesa già nella gloria. In conformità con la volontà di Cristo, la Chiesa è una e indivisibile, è la stessa, sempre ed in ogni luogo. Cattolici ed ortodossi confessano entrambi, nel Credo di Nicea–Costantinopoli, che la Chiesa è una e cattolica. La sua cattolicità abbraccia non soltanto la diversità delle comunità umane, ma anche la loro fondamentale unità.

33. Di conseguenza, è chiaro che una sola ed unica fede deve essere confessata e vissuta in tutte le Chiese locali, ovunque deve essere celebrata la stessa ed unica Eucaristia, ed un solo ed unico

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ministero apostolico deve essere all’opera in tutte le comunità. Una Chiesa locale non può modificare il Credo, formulato dai Concili ecumenici, sebbene essa debba sempre «dare risposte adeguate a nuovi problemi, risposte basate sulle Scritture, in accordo e continuità essenziale con le precedenti espressioni dei dogmi» (Documento di Bari, n. 29). Allo stesso modo, una Chiesa locale non può modificare, con una decisione unilaterale, un punto fondamentale che riguardi la forma del ministero, né essa può celebrare l’Eucaristia in volontario isolamento dalle altre Chiese locali senza nuocere alla comunione ecclesiale. Tutte queste cose riguardano il vincolo stesso di comunione e dunque l’essere stesso della Chiesa.

34. Proprio in ragione di tale comunione, tutte le Chiese, per mezzo dei canoni, regolano tutto ciò che riguarda l’Eucaristia ed i sacramenti, il ministero e l’ordinazione, la trasmissione (paradosis) e l’insegnamento (didaskalia) della fede. Si comprende chiaramente il motivo per il quale sono necessarie in questo campo delle regole canoniche e delle norme disciplinari.

35. Nell’evolversi della storia, quando sono sorti seri problemi circa la comunione universale e la concordia tra le Chiese – a riguardo dell’autentica interpretazione della fede, o ai ministeri e alla loro relazione all’intera Chiesa, o alla disciplina comune che la fedeltà al Vangelo esige – si è fatto ricorso ai Concili ecumenici. Tali Concili erano ecumenici non soltanto per il fatto che essi radunavano insieme i vescovi di tutte le regioni ed in particolare quelli delle cinque maggiori sedi secondo l’antico ordine (taxis): Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Essi erano ecumenici anche perché le loro solenni decisioni dottrinali e le loro comuni formulazioni di fede, specialmente su argomenti cruciali, erano vincolanti per tutte le Chiese e per tutti i fedeli, per tutti i tempi e tutti i luoghi. Tale è il motivo per il quale le decisioni dei Concili ecumenici restano normative.

36. La storia dei Concili ecumenici evidenzia quelle che debbono essere considerate le loro caratteristiche speciali. Tale questione deve essere ulteriormente studiata nel nostro futuro dialogo, tenendo in considerazione l’evoluzione di strutture ecclesiali verificatasi nei secoli più recenti sia in Oriente che in Occidente.

37. L’ecumenicità delle decisioni di un Concilio è riconosciuta attraverso un processo di ricezione di durata lunga o breve, per il cui tramite il popolo di Dio nel suo insieme – attraverso la riflessione, il discernimento, il dibattito e la preghiera – riconosce in tali decisioni l’unica fede apostolica delle Chiese locali, che è stata sempre la stessa e di cui i vescovi sono i maestri (didaskaloi) ed i custodi. Tale processo di ricezione è diversamente interpretato in Oriente ed in Occidente, secondo le loro rispettive tradizioni canoniche.

38. Pertanto la conciliarità o sinodalità implica molto di più dei vescovi radunati in assemblea. Essa coinvolge anche le loro Chiese. I primi sono i depositari della fede e danno voce alla fede delle seconde. Le decisioni dei vescovi devono essere ricevute nella vita delle Chiese, specialmente nella loro vita liturgica. Ciascun concilio ecumenico accettato come tale, nel significato proprio ed pieno del termine, è, di conseguenza, una manifestazione della comunione di tutta la Chiesa ed un servizio reso ad essa.

39. Contrariamente ai sinodi diocesani e regionali, un concilio ecumenico non è una «istituzione» la cui frequenza può essere regolata da canoni; piuttosto esso è un «evento», unkairos, ispirato dallo Spirito Santo, che guida la Chiesa affinché essa generi al suo interno le istituzioni di cui ha bisogno e che corrispondono alla sua natura. Tale armonia tra la Chiesa ed i concili è così profonda da far sì che entrambe le Chiese – anche dopo la rottura tra Oriente ed Occidente, che rendeva impossibile la convocazione di concili ecumenici nel senso stretto del termine – hanno continuato a tenere dei concili ogni volta che insorgevano serie crisi. Tali concili radunavano i vescovi di Chiese locali in

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comunione con la Sede di Roma o, rispettivamente, e sebbene compresi in modo diverso, con la Sede di Costantinopoli. Nella Chiesa cattolica romana, alcuni di tali concili tenuti in Occidente erano considerati ecumenici. Questa situazione, che ha costretto le due parti della cristianità a convocare concili propri a ciascuna di esse, ha favorito i dissensi che hanno contribuito al reciproco estraniamento. Debbono essere ricercati i mezzi che permetteranno di ristabilire il consenso ecumenico.

40. Durante il primo millennio, la comunione universale delle Chiese, nel normale svolgersi degli eventi, fu mantenuta attraverso le relazioni fraterne tra i vescovi. Tali relazioni dei vescovi tra di loro, tra i vescovi ed i loro rispettivi protoi, e anche tra gli stessi protoinell’ordine (taxis) canonico testimoniato dalla Chiesa antica, ha nutrito e consolidato la comunione ecclesiale. La storia registra consultazioni, lettere ed appelli alla principali sedi, specialmente la sede di Roma, che esprimono palesemente la solidarietà creata dallakoinonia. Disposizioni canoniche quali l’inserimento nei dittici dei nomi dei vescovi delle sedi principali, e la comunicazione della professione di fede agli altri patriarchi in occasione di elezioni, erano espressioni concrete di koinonia.

41. Entrambe le parti concordano sul fatto che tale taxis canonica era riconosciuta da tutti all’epoca della Chiesa indivisa. Inoltre, concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che «presiede nella carità», secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia (Ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis, e che il vescovo di Roma è pertanto il protostra i patriarchi. Tuttavia essi non sono d’accordo sull’interpretazione delle testimonianze storiche di quest’epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quantoprotos, questione compresa in modi diversi già nel primo millennio.

42. La conciliarità a livello universale, esercitata nei concili ecumenici, implica un ruolo attivo del vescovo di Roma, quale protos tra i vescovi delle sedi maggiori, nel consenso dell’assemblea dei vescovi. Sebbene il vescovo di Roma non abbia convocato i concili ecumenici dei primi secoli, e non li abbia mai presieduti, egli fu non di meno strettamente coinvolto nel processo decisionale di tali concili.

43. Primato e conciliarità sono reciprocamente interdipendenti. Per tale motivo il primato ai diversi livelli della vita della Chiesa, locale, regionale e universale, deve essere sempre considerato nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato.Per quanto riguarda il primato ai diversi livelli, desideriamo affermare i seguenti punti:1. Il primato, a tutti i livelli, è una pratica fermamente fondata nella tradizione canonica della Chiesa.2. Mentre il fatto del primato a livello universale è accettato dall’Oriente e dall’Occidente, esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici.

44. Nella storia dell’Oriente e dell’Occidente, almeno fino al IX secolo, e sempre nel contesto della conciliarità, era riconosciuta una serie di prerogative, secondo le condizioni dei tempi, per il protos o kephale, in ciascuno dei livelli ecclesiastici stabiliti: localmente, per il vescovo in quanto protos della sua diocesi rispetto ai suoi presbiteri e ai suoi fedeli; a livello regionale, per i protos di ciascuna metropoli rispetto ai vescovi della sua provincia, e per il protos di ciascuno dei cinque patriarcati rispetto ai metropoliti di ciascuna circoscrizione; e universalmente, per il vescovo di Roma come protos tra i patriarchi. Tale distinzione di livelli non diminuisce né l’eguaglianza sacramentale di ogni vescovo né la cattolicità di ciascuna Chiesa locale.

Conclusione

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45. Resta da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese. Quale è la funzione specifica del vescovo della «prima sede» in un’ecclesiologia di koinonia, in vista di quanto abbiamo affermato nel presente testo circa la conciliarità e l’autorità ? In che modo l’insegnamento sul primato universale dei Concili Vaticano I e Vaticano II può essere compreso e vissuto alla luce della pratica ecclesiale del primo millennio ? Si tratta di interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire la piena comunione tra di noi.

46. Noi membri della Commissione Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa, siamo convinti che la dichiarazione di cui sopra sulla comunione ecclesiale, la conciliarità e l’autorità rappresenta un positivo e significativo progresso nel nostro dialogo, e che essa fornisce una solida base per la discussione futura sulla questione del primato nella Chiesa ad un livello universale. Siamo consapevoli delle molte questioni difficili che restano da chiarire, ma è nostra speranza che, sostenuti dalla preghiera di Gesù: «che tutti siano uno …perché il mondo creda» (Gv 17,21), ed in obbedienza allo Spirito Santo, ci sarà possibile avanzare sulla base dell’accordo già raggiunto. Riaffermando e confessando: «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,5), rendiamo gloria a Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, che ci ha riuniti insieme.

[1] Dei partecipanti ortodossi considerano importante sottolineare che l’uso dei termini «Chiesa», «Chiesa universale», «Chiesa indivisa», e «Corpo di Cristo», nel presente documento e negli altri documenti elaborati dalla Commissione Mista, non sminuiscono in alcun modo la comprensione che la Chiesa ortodossa ha di se stessa quale Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, di cui parla il Credo di Nicea. Dal punto di vista cattolico, la stessa consapevolezza di sé implica che: la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica sussiste nella Chiesa cattolica (Lumen gentium, 8); ciò non esclude il riconoscimento che elementi della vera Chiesa siano presenti al di fuori della comunione cattolica.

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Conferenza Episcopale Italiana UFFICIO NAZIONALE PER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSOUFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI GIURIDICI

VADEMECUM PER LA PASTORALE DELLE PARROCCHIE CATTOLICHE VERSO GLI ORIENTALI NON CATTOLICI (2010)

INTRODUZIONE

L’immigrazione cambia il volto della cristianità italiana: fedeli delle Chiese orientali non cattoliche e nuove sfide pastorali Nel corso degli ultimi vent’anni ha assunto una rilevanza particolare l’immigrazione nell’Europa occidentale di fedeli appartenenti a Chiese orientali, provenienti da Paesi dell’Est europeo e dal Medio Oriente. Anche l’Italia è interessata dal fenomeno migratorio. Secondo i dati del 2009, i cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia ammonterebbero a circa quattro milioni e mezzo. Ad essi devono aggiungersi quelli che si trovavano nel nostro Paese senza regolare permesso di soggiorno. L’incremento della popolazione immigrata, tenendo conto dei nuovi ingressi e delle nascite, è stimato in circa trecento/trecentocinquantamila persone l’anno. Circa la metà degli immigrati sono cristiani: fra di loro i fedeli ortodossi erano stimati nel 2008 in circa un milione centotrentamila. Il numero dei cristiani orientali non cattolici, e in particolare ortodossi di tradizione bizantina, è in veloce incremento. Si può prevedere che, se i flussi migratori manterranno le caratteristiche attuali, nei prossimi anni l’insieme di tali fedeli diventerà la seconda comunità religiosa italiana. La presenza rilevante di cristiani di confessione ortodossa ha favorito l’erezione di parrocchie ortodosse, di diocesi in Italia o aventi giurisdizione sulle comunità ortodosse in Italia. Inoltre, i cristiani ortodossi costituiscono una presenza significativa in molte diocesi cattoliche, apportandovi la ricchezza di tradizioni diverse e un notevole fervore spirituale. Questa nuova realtà cambia anche i termini dei rapporti ecumenici nel nostro Paese. Essi, infatti, non possono più limitarsi alle tradizionali relazioni con piccole minoranze storiche, spesso circoscritte in ristrette aree geografiche, oppure con i vertici istituzionali delle diverse confessioni, coinvolgendo gli specialisti o un numero limitato di delegati. Si tratta di una presenza diffusa sul territorio nazionale, che interessa direttamente le strutture pastorali di base, coinvolgendo le diocesi e le parrocchie cattoliche. Infatti, il numero dei fedeli è tale da rendere impossibile alle comunità orientali, che pure vanno progressivamente strutturandosi, di fare fronte compiutamente alle loro esigenze spirituali e pastorali. È dunque urgente considerare le conseguenze pastorali e giuridiche della presenza dei fedeli orientali non cattolici all’interno delle comunità cattoliche, a motivo dei contatti che si instaurano, per rispondere in maniera corretta alle richieste che essi presentano. Il presente vademecum, destinato prevalentemente ai parroci, agli operatori pastorali e ai responsabili delle istituzioni educative cattoliche, si propone una finalità pratica di indole pastorale, quale sussidio alle Chiese particolari. A tal fine, raccoglie e organizza la disciplina vigente nella Chiesa cattolica sui corretti rapporti con i fedeli appartenenti a Chiese orientali non cattoliche, con un’attenzione particolare alla situazione italiana. Alieno da qualunque intento di proselitismo, vuole offrire alcune indicazioni utili ai rapporti con la gerarchia orientale non cattolica, qualora essa chieda la collaborazione delle diocesi italiane. Viene pubblicato in via sperimentale sotto la responsabilità congiunta dei due Uffici, competenti in ragione della materia, della Segretaria Generale della Conferenza Episcopale Italiana, a ciò autorizzati dal Consiglio Episcopale Permanente nella sessione del 21-24 settembre 2009. La prima parte del vademecum presenta, in modo sintetico, taluni elementi dottrinali utili per comprendere il profilo delle Chiese orientali non cattoliche in Italia. Vengono pure evidenziate

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alcune differenze relative alla teologia sacramentaria tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali non cattoliche, per favorire la comprensione reciproca e l’instaurarsi di una prassi di collaborazione e di rispetto. La seconda parte del vademecum intende offrire alcuni indicazioni relative alla condivisione del culto liturgico sacramentale, con specifica attenzione alla problematica della communicatio in sacris, ai matrimoni misti e all’ammissione dei fedeli alla piena comunione nella Chiesa cattolica. Conclude il testo un’appendice, utile per ulteriori approfondimenti. Le indicazioni che seguono sono indirizzate alla Chiesa latina e rispecchiano la disciplina del Codice di diritto canonico (1983). Sono anche presenti ampi riferimenti alla normativa delle Chiese cattoliche orientali sui iuris, raccolta nel Codice dei canoni delle Chiese orientali (1990), nella misura in cui questa è utile per l’applicazione analogica e per facilitare la comprensione delle diversità esistenti. Ci auguriamo che questo sussidio favorisca l’efficace azione pastorale delle nostre Chiese e accresca la tensione all’unione in Cristo, obiettivo del cammino ecumenico. Roma, 23 febbraio 2010

1. Linee generali

1.1. Le Chiese orientali non cattoliche in Italia

Le Chiese orientali sono state tradizionalmente raggruppate in due grandi denominazioni: le Chiese dette “precalcedonesi”, in quanto non riconoscono il concilio di Calcedonia, e le Chiese calcedonesi, che invece lo riconoscono. Per l’opposizione alle formulazioni cristologiche di Efeso o di Calcedonia, le Chiese dette precalcedonesi furono considerate, rispettivamente, nestoriane o monofisite. Oggi, grazie al dialogo teologico interconfessionale, si è potuto chiarire in quale senso le diverse formulazioni non inficiano la fede comune nel mistero di Cristo vero Dio e vero uomo. Per questa ragione, ora sono comunemente denominate “Antiche Chiese d’Oriente” o “Chiese ortodosse orientali”. Le altre Chiese orientali non in comunione con la Chiesa cattolica sono spesso dette “Chiese ortodosse di rito bizantino”. A partire da quanto esposto, e per motivi pratici, nel presente sussidio vengono usate le espressioni “Chiese orientali non cattoliche”, per indicare le Chiese delle diverse tradizioni orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa di Roma, e “fedeli/cristiani orientali non cattolici”, per indicare i fedeli di tali Chiese. Talvolta si usano le espressioni “Chiese ortodosse” o “fedeli ortodossi”, con riferimento alle Chiese e ai fedeli di rito bizantino, poiché la loro presenza è preponderante e le occasioni di contatto sono più frequenti. In nessun caso questi fedeli vanno confusi con i fedeli cristiani cattolici di rito orientale appartenenti alle Chiese orientali in piena comunione con la Chiesa cattolica. Alcune Chiese orientali non cattoliche (come il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, la Chiesa ortodossa di Romania, la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa copta) hanno costituito in Italia la rispettiva gerarchia o almeno parrocchie o missioni per la cura pastorale dei loro fedeli; altre invece non hanno una propria gerarchia, pur essendo presenti loro fedeli in molte aree del Paese. Va prestata attenzione alla presenza, anche in Italia, di diversi gruppi che si autodefiniscono “ortodossi”, ma che sono ritenuti non canonici o di dubbia canonicità. Le Chiese ortodosse rappresentano un mondo complesso, perché tendono storicamente a strutturarsi su base nazionale ed etnica. Le complesse vicende storiche del secolo passato che hanno interessato i Paesi del Medio Oriente e dell’Europa centro-orientale hanno provocato situazioni problematiche e talora conflittuali. Occorre quindi molta prudenza, per evitare di interferire in questioni interne a tali Chiese. Anche l’accoglienza o il semplice instaurarsi di rapporti tra una diocesi cattolica e una comunità orientale, che non gode del riconoscimento canonico, può essere inteso come una sorta di legittimazione, che può urtare la sensibilità delle Chiese orientali non cattoliche.

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Come indicazione generale, è bene limitare i rapporti istituzionali a quelle Chiese orientali non cattoliche che abbiano instaurato relazioni ecumeniche con la Chiesa cattolica, facendo riferimento, nei casi dubbi, ai competenti organi della Santa Sede.

1.2. Il dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali non cattoliche

Nell’ultimo ventennio del secolo scorso sono state superate, attraverso una serie di dichiarazioni comuni, le controversie cristologiche con le Antiche Chiese d’Oriente. Anche il dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse si è intensificato: con la Chiesa cattolica esse hanno in comune la Sacra Scrittura, i dogmi del primo millennio, l’Eucaristia e gli altri sacramenti, la venerazione della Santa Madre di Dio, Vergine Maria, e dei santi, la struttura episcopale. Fin dall’inizio del suo pontificato, il Santo Padre Benedetto XVI non solo ha confermato che l’ecumenismo è una scelta “irreversibile” per la Chiesa cattolica, secondo l’espressione cara al suo predecessore Giovanni Paolo II, ma lo ha indicato come una priorità del suo ministero. Il 29 maggio 2005, nell’omelia tenuta durante la concelebrazione eucaristica in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale a Bari, «terra di incontro e di dialogo con i fratelli cristiani dell’Oriente», ha ribadito la sua volontà «di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo», chiedendo a tutti «di prendere con decisione la strada di quell’ecumenismo spirituale, che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l’unità». Il 15 dicembre 2005, nel discorso rivolto ai membri del Comitato di coordinamento della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, ha affermato: «I Pastori che hanno il merito di averlo intrapreso, Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e Sua Santità Dimitrios I, Patriarca di Costantinopoli, nella dichiarazione comune con la quale l’hanno avviato, hanno aperto un cammino che spetta a noi proseguire, per condurlo a buon fine. Facendoci avanzare verso la piena comunione fra cattolici e ortodossi, il dialogo contribuirà anche ai molteplici dialoghi che si sviluppano nel mondo cristiano alla ricerca della sua unità». Riferendosi, poi, alla finalità di tale dialogo, il Papa ha precisato: «In questa nuova fase di dialogo, due aspetti devono essere considerati insieme: da una parte eliminare le divergenze che sussistono e dall’altra nutrire come desiderio principale quello di fare tutto il possibile per ripristinare la piena comunione, bene essenziale per la comunità dei discepoli di Cristo». La ripresa del dialogo teologico è stata dunque un evento particolarmente significativo nei rapporti tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Nel 2006, dopo una pausa di tredici anni, sono ripresi gli incontri della Commissione mista, in occasione della IX Assemblea Plenaria, tenutasi a Belgrado. Il 13 ottobre 2007, a Ravenna, la Commissione mista ha pubblicato un documento sulle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa, intitolato “Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità”. Questo documento afferma che «come la comunione nei sacramenti presuppone la comunione nella stessa fede (…), allo stesso modo, perché vi sia la piena comunione ecclesiale, deve esserci, tra le nostre Chiese, il reciproco riconoscimento delle legislazioni canoniche nelle loro legittime diversità» (n. 16). Con questa premessa, la Commissione mista ammette che tale reciproco riconoscimento non è ancora arrivato. Infatti, pur accettando il primato a livello universale e riconoscendo che durante il primo millennio Roma – in quanto “Chiesa che presiede nell’amore” – occupava il primo posto nella taxis canonica (ordine canonico tra i diversi patriarchi), tuttavia esistono ancora delle differenze nella comprensione sia del modo secondo il quale questo primato dovrebbe essere esercitato, sia dei suoi fondamenti scritturistici e teologici (cfr nn. 41-43 e 45).

1.3. La teologia sacramentale ortodossa e cattolica a confronto

Esula dagli obiettivi del presente sussidio presentare in maniera compiuta la teologia sacramentale cattolica e quella delle Chiese orientali non cattoliche. È peraltro utile fornire alcuni elementi di

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sintesi, con riferimento in modo particolare alle Chiese ortodosse di rito bizantino, vista la loro consistenza numerica in Italia e le molteplici occasioni di contatto. La teologia cattolica e quella ortodossa, relativa ai sacramenti e alla conseguente disciplina canonica, differiscono in alcuni punti, che comportano un quadro di rapporti asimmetrico. Infatti, tra cristiani appartenenti a Chiese diverse la piena partecipazione alle cose sante, come la preghiera, la liturgia, i sacramenti, implica una piena comunione di fede, ossia il reciproco riconoscimento come Chiese e come luogo di salvezza. In tale ottica, si pone la prima diversità tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Gli ortodossi riconoscono, infatti, l’unica vera Chiesa di Cristo nelle Chiese ortodosse. Anche la dottrina cattolica insegna che la Chiesa cattolica costituisce in terra l’unica realizzazione completa della Chiesa di Cristo; tuttavia riconosce l’esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine, specialmente nelle Chiese ortodosse, in cui è presente la successione apostolica e il sacerdozio ministeriale autentico. In queste Chiese sono pertanto presenti veri sacramenti, che forniscono ai fedeli i mezzi della salvezza, e che rendono non solo possibile, ma anche consigliabile, secondo il magistero cattolico, una certa comunione nelle cose sacre. In secondo luogo, anche nella dottrina dei sacramenti sono presenti delle differenze. La Chiesa cattolica insegna che i sacramenti sono segni sensibili ed efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali viene elargita la vita divina. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono. Per i fedeli i sacramenti sono necessari alla salvezza, perché conferiscono la grazia santificante, il perdono dei peccati, l’adozione a figli di Dio, la conformazione a Cristo e l’appartenenza alla Chiesa. Propria di ciascun sacramento è la grazia sacramentale, cioè una grazia specifica dello Spirito Santo, che aiuta il singolo fedele nel suo cammino di santità e la Chiesa intera nella sua crescita di carità e di testimonianza. Anche per le Chiese ortodosse i sacramenti sono un’azione divina, in cui mediante un segno visibile è accordata al fedele la grazia invisibile dello Spirito Santo. I segni esteriori del sacramento sono costituiti dalle preghiere, dalla forma della celebrazione e dalla materia, mentre l’elemento interno, invisibile, è la grazia dello Spirito Santo. I sacramenti sono impartiti nella Chiesa e dalla Chiesa e per tutti i fedeli sono indispensabili per la salvezza. Come per quella cattolica, anche per le Chiese ortodosse i sacramenti sono sette. I teologi ortodossi, tuttavia, non ritengono che questo numero abbia un carattere definitivo. Sia al momento della loro definizione, nel XIII secolo, sia più tardi, si è parlato di due, sei o dieci sacramenti. Alcuni ritengono, per esempio, che siano sacramenti anche la consacrazione monastica e le esequie: si ritiene che anche in queste e altre circostanze sia elargita la grazia dello Spirito Santo. Per quel che riguarda la validità e l’efficacia del sacramento indipendentemente dai meriti del ministro, la Chiesa ortodossa non ha sviluppato una dottrina analoga a quella cattolica, rimandando l’efficacia stessa alla preghiera della comunità. Inoltre, la Chiesa cattolica permette ai fedeli ortodossi (come in generale agli orientali non cattolici) di ricevere in essa i sacramenti della penitenza, dell’eucaristia e dell’unzione degli infermi in circostanze definite, in via straordinaria e a determinate condizioni. Essa consente anche ai fedeli cattolici, in caso di necessità, di impedimento fisico o morale, per il bene spirituale della persona e in assenza di pericolo di errore o di indifferentismo, di chiedere tali sacramenti in una Chiesa ortodossa. Tuttavia per le Chiese ortodosse il sacramento dell’eucaristia è segno di appartenenza a una Chiesa, segno di identità ecclesiale. Per questo, in genere, ammettono alla comunione soltanto i fedeli ortodossi. 2. Condivisione del culto liturgico sacramentale con i fedeli delle Chiese orientali non cattoliche

a) Indicazioni generali 1. Le Chiese orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica hanno validi e veri sacramenti, garantiti dalla successione apostolica.

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2. Si dà, tuttavia, una stretta relazione tra la comunione ecclesiale e la comunione sacramentale. Ne consegue che il principio generale da seguire è che «i ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli ministri cattolici». 3. La Chiesa cattolica, tuttavia, permette la condivisione di vita sacramentale (communicatio in sacris) – in particolare dell’eucaristia, della penitenza e dell’unzione degli infermi – con i membri delle altre Chiese e comunità ecclesiali, in certe circostanze e a determinate condizioni, poiché i sacramenti sono mezzi della grazia e della salvezza. Inoltre, è una condivisione per le singole persone, ossia per quei cristiani che manifestano una fede pienamente conforme a quella della Chiesa cattolica circa il sacramento richiesto e che abbiano un grave bisogno spirituale per la salvezza eterna. Tale bisogno riguarda l’unione più intima con Cristo e, perciò, implica anche l’inserimento più profondo nella Chiesa di Cristo. Se sono presenti nel fedele una vera fede nel sacramento e un grave bisogno spirituale, si presume che egli abbia anche la retta intenzione, insieme alle necessarie disposizioni per parteciparne fruttuosamente, ricevendo la grazia santificante e sacramentale. 4. Le condizioni affinché, in circostanze eccezionali e in casi singoli, sia legittimo per un ministro cattolico amministrare i sacramenti dell’eucaristia, penitenza e unzione degli infermi ai fedeli orientali non cattolici sono: la richiesta spontanea del sacramento, la buona disposizione personale, il grave bisogno spirituale. 5. Il ministro cattolico deve valutare anche le concrete circostanze in cui avviene la richiesta. In particolare, se il fedele orientale non cattolico non accedesse al proprio ministro, pur potendolo fare senza grave incomodo, si potrebbe cadere nel rischio di assecondare atteggiamenti di indifferentismo o relativismo ecclesiologico o di esporsi al dubbio di un latente proselitismo. Infatti, il requisito della “buona disposizione personale” presuppone l’esclusione di atteggiamenti polemici o sincretisti. 6. È auspicabile che il fedele orientale non cattolico, che chiede a un ministro cattolico di accedere a un sacramento, a pari condizioni si rivolga a un ministro cattolico orientale della stessa tradizione rituale. 7. Oltre ai sacramenti in cui è permessa la communicatio in sacris, si possono dare indicazioni concernenti il sacramento del matrimonio, del battesimo e della confermazione. Non si farà riferimento nelle presenti indicazioni al sacramento dell’ordine, se non per casi specifici.

b) Il battesimo 8. La Chiesa cattolica riconosce l’ecclesialità delle Chiese orientali non cattoliche e la presenza in esse di «veri sacramenti»14. La validità del battesimo conferito in tali Chiese non è assolutamente oggetto di dubbio. È quindi sufficiente stabilire che il battesimo sia stato amministrato. 9. In pericolo di morte, il figlio di genitori orientali non cattolici può essere battezzato lecitamente da un ministro cattolico. 10. Il diritto canonico orientale consente al ministro orientale cattolico di amministrare lecitamente il battesimo al bambino figlio di cristiani non cattolici, se a chiederlo sono i genitori o almeno uno di essi o chi ne fa legittimamente le veci17. In questo caso, il battesimo non deve essere registrato nel registro dei battesimi della parrocchia cattolica, bensì in un apposito registro diocesano, consegnando il relativo certificato ai genitori. Il ministro di rito latino, invece, non può accogliere la medesima richiesta, essendo tenuto alla norma del can. 868 § 1 del CIC, che non permette l’amministrazione del battesimo senza la fondata speranza che il battezzato sia educato nella religione cattolica. Ad ogni modo, occorre aver presente che ormai in parecchie città d’Italia esistono comunità e Chiese orientali non cattoliche con i loro sacerdoti legittimi. Tale fattispecie si presenta quindi molto raramente. 11. Se i genitori cristiani non cattolici chiedono il battesimo del loro figlio nella Chiesa cattolica affinché sia cattolico, occorre valutare anzitutto le loro motivazioni e la realistica speranza della sua futura educazione cattolica, nonché le eventuali ripercussioni dell’atto nei rapporti ecumenici. La

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richiesta dovrà essere formalizzata per iscritto e il battesimo sarà registrato nel libro dei battesimi della corrispondente parrocchia cattolica (orientale o latina), annotando pure a quale Chiesa sui iuris cattolica appartiene il neobattezzato. Nella misura del possibile, il ministro sia un sacerdote cattolico orientale della Chiesa sui iuris a cui verrà ascritto il battezzando, e il battesimo sia amministrato secondo le prescrizioni liturgiche di tale Chiesa, che in genere ne prevedono il conferimento insieme alla crismazione (confermazione) e all’eucaristia. Se non è presente un ministro orientale della Chiesa a cui apparterrà il battezzando, il Vescovo diocesano potrà designare un sacerdote, anche latino, con la facoltà di amministrare, insieme al battesimo, la cresima, qualora si ravvisi una «grave causa», e l’eucaristia, seguendo il rito liturgico proprio del ministro celebrante, a meno che questi abbia la facoltà di biritualismo. 12. I genitori cristiani non cattolici, quando chiedono il battesimo del loro figlio nella Chiesa cattolica perché sia cattolico e riceva un’educazione cattolica, nella misura del possibile devono presentare il proprio certificato di battesimo, per determinare a quale Chiesa sui iurissarà ascritto il battezzando. Se i genitori appartengono a Chiese o comunità ecclesiali diverse, di regola il figlio sarà ascritto alla Chiesa sui iuris cattolica corrispondente a quella del padre. Non è conveniente scegliere per il figlio una Chiesa sui iuris non corrispondente a quella dei genitori. 13. I figli di genitori ortodossi che chiedono il battesimo dopo aver compiuto il quattordicesimo anno di età possono scegliere liberamente di essere ascritti o nella Chiesa latina o in un’altra Chiesa rituale sui iuris. «Si eviti tuttavia di consigliare loro qualche cosa che possa ostacolare la loro ascrizione a una Chiesa che è più affine alla loro cultura». 14. Nelle coppie miste costituite da una parte cattolica e da una orientale non cattolica, il coniuge cattolico onorerà l’impegno assunto «di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica». La Chiesa cattolica, pur ricordando al coniuge cattolico questo suo grave dovere, è consapevole che la parte non cattolica può sentirsi tenuta in coscienza a un obbligo analogo e, perciò, rispetterà le decisioni che i coniugi prenderanno responsabilmente al riguardo. Qualora, nonostante tutti gli sforzi, i figli non vengano battezzati né educati nella Chiesa cattolica, il genitore cattolico non incorre nella censura comminata dal diritto canonico; tuttavia, per il coniuge cattolico non cessa l’obbligo di condividere con i figli la propria fede. Sebbene sin dall’inizio si debba offrire un’adeguata educazione intrisa di spirito ecumenico, in nessun caso si deve seguire una linea agnostica, neutrale o confusa. 15. In circostanze eccezionali, valutate le ragioni pastorali, l’Ordinario del luogo può permettere che il ministro orientale non cattolico partecipi alla celebrazione del battesimo cattolico proclamando una lettura o facendo una preghiera; il ministro cattolico può essere invitato a fare altrettanto nel battesimo non cattolico. Tuttavia, va escluso il conferimento “congiunto” del battesimo e ogni ambiguità quanto all’appartenenza del battezzato all’una o all’altra Chiesa. 16. Nel battesimo di un cattolico, in forza della stretta comunione esistente tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse, è consentito, per un valido motivo, ammettere un fedele orientale con il ruolo di padrino congiuntamente a un padrino cattolico (o una madrina), a condizione che sia riconosciuta l’idoneità del padrino. Tuttavia l’educazione cristiana competerà in primo luogo al padrino cattolico, in quanto rappresenta la comunità cristiana ed è garante della fede e del desiderio di comunione ecclesiale del battezzato e/o dei suoi genitori. 17. Circa l’incorporazione e l’ammissione alla piena comunione nella Chiesa cattolica di persone (infanti o adulti) appartenenti a una Chiesa orientale non cattolica, si rinvia ai nn. 48-62.

c) La confermazione 18. Nelle Chiese ortodosse il sacramento della confermazione (crismazione) è amministrato dal sacerdote, congiuntamente con il battesimo, sia ai bambini che agli adulti. Pertanto, l’assenza della menzione della cresima nel certificato del battesimo ortodosso non autorizza a mettere in dubbio che essa sia stata conferita nella stessa data e luogo del battesimo. 19. Qualora si presenti un bambino ortodosso al ministro cattolico, chiedendo di ricevere il sacramento della confermazione, occorre fare presente che molto probabilmente questi ha già

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ricevuto i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana. Se non ha ricevuto il sacramento della confermazione – eventualità piuttosto rara –, il ministro latino non può comunque cresimarlo. 20. Per ulteriori aspetti legati alla confermazione, si rimanda ai paragrafi relativi alla catechesi e all’ammissione alla piena comunione nella Chiesa cattolica.

d) L’eucaristia 21. La lecita ammissione all’eucaristia di un fedele orientale non cattolico da parte di un ministro cattolico può avvenire in circostanze speciali e in casi singoli, adempiendo i requisiti stabiliti per la communicatio in sacris. Si richiede infatti che il singolo fedele abbia un grave bisogno spirituale, richieda spontaneamente il sacramento e sia ben disposto. Tali casi devono essere vagliati dal ministro cattolico affinché non diventino prassi indiscriminata.22. Il fedele orientale non cattolico divorziato e risposato non può essere ammesso alla comunione eucaristica nella Chiesa cattolica, nonostante nella sua Chiesa ciò sia permesso. Infatti, il requisito di essere “ben disposti”, per poter ricevere l’eucaristia, include una situazione matrimoniale oggettivamente regolare. 23. Nel contesto italiano può capitare che alcuni genitori orientali non cattolici chiedano che il figlio riceva la “prima comunione” insieme ad altri ragazzi cattolici di rito latino. In questo caso, bisognerà ricordare che con ogni probabilità il bambino ha già ricevuto la prima comunione insieme al battesimo o subito dopo. La condivisione della proposta di catechesi può tuttavia costituire un aiuto a ricevere in modo più consapevole l’eucaristia. Si può eventualmente proporre uno speciale festeggiamento in occasione della “prima comunione” degli altri ragazzi.24. Un fedele orientale non cattolico può essere invitato a proclamare le letture in una celebrazione liturgica sacramentale.25. Nell’anafora eucaristica è permesso citare solo i nomi delle persone – vive o defunte – che sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.26. La concelebrazione dell’eucaristia tra sacerdoti cattolici e non cattolici è assolutamente vietata. Infatti, la finalità della concelebrazione è la manifestazione della piena comunione ecclesiastica tra i ministri. Questa non si verificherà finché tra le diverse Chiese non sia ristabilita l’integrità dei vincoli di comunione nella professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico. «Siffatta concelebrazione non sarebbe un mezzo valido, e potrebbe anzi rivelarsi un ostacolo al raggiungimento della piena comunione, attenuando il senso della distanza dal traguardo e introducendo o avallando ambiguità sull'una o sull'altra verità di fede».

e) La penitenza 27. I ministri cattolici possono amministrare lecitamente il sacramento della penitenza ai fedeli delle Chiese orientali non cattoliche nelle condizioni generali indicate al n. 4, valutando inoltre l’impossibilità di accedere al proprio ministro orientale non cattolico, come descritto al n. 5. 28. Nella celebrazione del sacramento della penitenza, i fedeli orientali non cattolici potrebbero trovarsi davanti a una prassi penitenziale diversa da quella della loro Chiesa. Infatti, il fedele ortodosso divorziato e risposato nella sua Chiesa non può essere assolto dal ministro cattolico, persistendo in uno stato matrimoniale oggettivamente irregolare. 29. Le norme della Chiesa cattolica circa i peccati e delitti riservati sono leggi puramente ecclesiastiche alle quali sono tenuti solo i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti. Pertanto, se un fedele orientale non cattolico confessa al ministro cattolico di aver commesso un peccato o un delitto che, secondo la disciplina cattolica, è riservato alla Sede Apostolica o al Vescovo, non è soggetto a tali riserve. Il confessore tuttavia faccia il possibile per verificare se la Chiesa del penitente prevede riserve speciali; in questo caso valuti attentamente se il penitente stesso non possa ricorrere al proprio ministro. Se ciò è impossibile, e vi è una causa grave e urgente, assolva il penitente facendogli presente la serietà del peccato o del delitto e imponendogli una penitenza adeguata.

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f) L’unzione degli infermi 30. Per quel che riguarda l’unzione degli infermi, si rimanda alle indicazioni generali di cui ai nn. 1-7.

g) Il matrimonio 31. Le Chiese orientali non cattoliche differiscono dalla Chiesa cattolica in alcuni aspetti riguardanti la dottrina sul matrimonio. Infatti, le Chiese orientali non cattoliche, accanto all’affermazione della sostanziale indissolubilità del matrimonio, ammettono nella prassi il divorzio e la possibilità di nuove nozze (a partire dal principio dell’oikonomia), senza che questo comporti l’esclusione dall’eucaristia. Si ricorda inoltre che ritengono ministro del sacramento del matrimonio il sacerdote, non i coniugi. 32. Per la celebrazione di un matrimonio misto tra una parte cattolica e una parte orientale non cattolica vanno adempiute le rispettive norme canoniche cattoliche e, salvo il diritto divino, anche quelle della Chiesa orientale non cattolica coinvolta. 33. L’Ordinario del luogo, se vi è una causa giusta e ragionevole, può concedere la licenza per la celebrazione di un matrimonio misto tra una parte cattolica e una parte orientale non cattolica, dopo il compimento delle seguenti condizioni: a) La parte contraente cattolica deve sottoscrivere davanti al parroco la dichiarazione di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandono della fede e la promessa di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica. b) Il parroco deve attestare che la parte non cattolica è stata chiaramente e tempestivamente informata circa la promessa e gli impegni assunti dalla parte cattolica e ne è consapevole. Non si richiede che essa faccia alcuna promessa. La reale consapevolezza della promessa e dell’obbligo della parte cattolica implica però la sincera intenzione e volontà di rispettarne gli impegni. Quindi, «l’Ordinario del luogo, per vagliare l’esistenza o meno di “una causa giusta e ragionevole”, in vista di concedere il permesso del matrimonio misto, terrà conto, tra l’altro, di un rifiuto esplicito della parte non cattolica». c) Entrambe le parti siano istruite sulla natura, sui fini e sulle proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere esclusi da nessuno dei due contraenti. Queste dichiarazioni devono essere esibite all’Ordinario del luogo unitamente alla domanda di licenza per il matrimonio misto. La normativa cattolica da un lato impone alla parte cattolica gli obblighi inerenti alla sua appartenenza ecclesiale, dall’altro rispetta la libertà di coscienza religiosa della parte non cattolica. La tutela della libertà religiosa deve costituire una preoccupazione fondamentale dei pastori, i quali sono tenuti a fare ogni ragionevole tentativo perché in futuro l’una o l’altra parte non eserciti un’ingiustificata violenza nei confronti della convinzione religiosa del coniuge, sia chiedendo indebitamente la conversione sia mettendo ostacoli al libero esercizio della pratica religiosa. 34. Sia la Chiesa cattolica sia le Chiese orientali non cattoliche esigono garanzie per autorizzare i matrimoni misti e richiedono che i figli siano battezzati ed educati nella propria Chiesa; le Chiese ortodosse impongono tale promessa scritta a entrambi gli sposi. Può quindi rappresentare un problema delicato la scelta da parte della coppia in ordine al battesimo e all’educazione cristiana dei figli. Infatti ciascuno dei coniugi, nella misura in cui vive la propria appartenenza ecclesiale, sente l’obbligo di coscienza di fare tutto il possibile affinché i figli condividano la propria appartenenza e tradizione confessionale. Tale aspetto, quindi, dovrebbe essere affrontato prima della celebrazione del matrimonio, tenendo specialmente conto del comune battesimo e deposito di fede. 35. Il numero crescente dei matrimoni misti in Italia evidenzia la necessità di una fraterna collaborazione con i pastori delle Chiese orientali non cattoliche, per uno studio accurato della dottrina del matrimonio nella sua dimensione sacramentale, nelle sue esigenze etiche, nella sua situazione canonica e nelle sue implicazioni pastorali ed ecumeniche. 36. I parroci devono procurare che non manchi mai al coniuge cattolico e ai figli, nati da un matrimonio misto, l’aiuto spirituale necessario per l’adempimento dei loro obblighi di coscienza;

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esortino lo stesso coniuge cattolico a tener sempre presente il dono divino della fede cattolica, dandone testimonianza con dolcezza e rispetto; aiutino i coniugi nello sviluppo dell'unità della vita coniugale e familiare, che trova il suo fondamento nel comune battesimo. È pertanto auspicabile, anche in questo caso, che i pastori stabiliscano con i ministri orientali non cattolici, nella misura del possibile, opportune relazioni. 37. Relativamente alla forma da usarsi nella celebrazione del matrimonio, il fedele cattolico, pur avendo ricevuto la licenza dell’Ordinario del luogo per la celebrazione di un matrimonio misto, è tenuto all’osservanza della forma canonica. Nei matrimoni misti con orientali non cattolici l’osservanza della forma canonica cattolica è necessaria solo per la liceità. Questo comporta che l’Ordinario del luogo può esimere dall’osservanza della forma canonica, per una causa grave. Per la validità della celebrazione, si richiede comunque che l’assistente sia un sacerdote e non un diacono. È da notare che le Chiese orientali non cattoliche esigono per la validità del matrimonio la presenza di un loro sacerdote. Pertanto, il matrimonio misto tra una parte cattolica e una parte orientale non cattolica celebrato nella Chiesa cattolica è ritenuto invalido da quasi tutte le Chiese orientali non cattoliche. Per questo motivo, a volte, la coppia, dopo la celebrazione cattolica, ricorre anche al sacerdote orientale non cattolico per un’altra celebrazione del matrimonio secondo il loro rito: questa prassi è un abuso in netta contraddizione con il can. 1127 § 3 del CIC e il can. 839 del CCEO. Invece, se il matrimonio misto viene celebrato in una Chiesa orientale non cattolica, la Chiesa cattolica lo riconosce valido e perciò non si deve richiedere la ripetizione del consenso. 38. «L’obbligo, imposto da alcune Chiese o Comunità ecclesiali, di osservare la forma del matrimonio loro propria non costituisce una causa di automatica dispensa dalla forma canonica cattolica. Le situazioni particolari di questo tipo devono essere oggetto di dialogo tra le Chiese, almeno a livello locale». Per condurre questi rapporti occorrerà, tra l’altro, tenere conto dei criteri indicati nel presente testo. 39. «Una persona appartenente a una Chiesa orientale [non cattolica] può fare da testimone a un matrimonio in una chiesa cattolica; allo stesso modo una persona appartenente alla Chiesa cattolica può fare da testimone a un matrimonio, celebrato secondo le norme, in una Chiesa orientale [non cattolica]». È opportuno, tuttavia, tener conto della diversità di disciplina delle Chiese orientali non cattoliche, le quali richiedono che «il/la testimone sia ortodosso/a». 40. L’Ordinario del luogo può permettere, tenuto conto delle circostanze, che il matrimonio misto con una parte orientale non cattolica sia celebrato durante la Santa Messa. In questo caso, ambedue gli sposi potrebbero ricevere la comunione eucaristica, se la chiedono spontaneamente e sono ben disposti. Comunque, successivamente, la condivisione dell’eucaristia non può essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposizioni generali sopra indicate. 41. Con la previa autorizzazione dell’Ordinario, il ministro cattolico può invitare il ministro della parte orientale non cattolica a partecipare alla celebrazione del matrimonio, proclamare le letture bibliche, fare una breve esortazione e benedire la coppia, evitando però accuratamente che ciò possa apparire come una “concelebrazione” o una doppia celebrazione del matrimonio, soprattutto perché in Oriente la benedizione degli sposi costituisce la parte essenziale del rito sacro del matrimonio. 42. Nel caso di celebrazione del matrimonio misto in una Chiesa orientale non cattolica, il parroco della parte cattolica deve chiedere «un attestato dell’avvenuto matrimonio affinché sia in grado di curare la dovuta registrazione nel libro dei matrimoni e nel registro dei battezzati». 43. Il matrimonio di due orientali non cattolici non può essere celebrato nella Chiesa cattolica secondo la forma canonica, perché né l’Ordinario né il parroco cattolico sono competenti. Tuttavia, «Il Gerarca [cattolico orientale] del luogo può concedere a qualsiasi sacerdote cattolico la facoltà di benedire il matrimonio dei fedeli di una Chiesa orientale acattolica i quali non possono recarsi dal proprio sacerdote senza un grave disagio, se lo chiedono spontaneamente e purché non vi sia nulla che ostacoli la valida e lecita celebrazione del matrimonio». Questa benedizione differisce dalla forma canonica. La Chiesa cattolica rispetta, in tale ambito, la giurisdizione dell’autorità della Chiesa orientale non cattolica cui appartengono i nubendi. Pertanto, per poter conferire la

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benedizione è necessario che tale Chiesa riconosca la validità di quel matrimonio. Spetta alla Chiesa non cattolica provvedere che esso sia registrato e ottenga gli effetti civili. 44. Per provare lo stato libero della parte orientale non cattolica, durante l’investigazione prematrimoniale il parroco deve chiedere «una dichiarazione che attesti che essa non ha mai contratto alcun matrimonio. Di norma questa dichiarazione deve essere comprovata per iscritto da parte almeno di un testimone idoneo, scelto possibilmente nell’ambito della famiglia della parte non cattolica. La parte battezzata non cattolica deve presentare anche il certificato di battesimo». 45. Dovendo accertare lo stato libero di un fedele orientale non cattolico sposato senza il dovuto rito sacro (p. es. sposato solo civilmente) e poi divorziato, è sufficiente l’investigazione prematrimoniale svolta dall’Ordinario del luogo o dal parroco dopo aver consultato l’Ordinario, in modo analogo a quanto avviene per i cattolici sposati civilmente. Tuttavia, qualora sorga il dubbio sulla possibilità di celebrare il matrimonio con il rito sacro senza grave incomodo e sull’esistenza del battesimo, la questione dovrà essere rimessa al tribunale ecclesiastico competente. 46. È frequente il caso di fedeli cattolici che si presentano al loro parroco insieme al futuro sposo/a orientale non cattolico/a divorziato/a chiedendo la celebrazione del matrimonio. In questi casi, si tenga presente che la dichiarazione di stato libero rilasciata dalla competente autorità della Chiesa orientale non cattolica non coincide con una dichiarazione di nullità. Permane quindi l’impedimento di legame, fino al momento in cui il precedente matrimonio sia dichiarato nullo con sentenza esecutiva da un tribunale ecclesiastico cattolico, oppure, se ne sussistono le condizioni, sia sciolto dal Romano Pontefice per inconsumazione o in favorem fidei. 47. Qualsiasi persona, anche non battezzata, può agire in giudizio. Quindi, anche un fedele orientale non cattolico può chiedere al tribunale cattolico la dichiarazione di nullità matrimoniale, purché abbia un titolo legittimo per impugnarne la validità. Infatti, «il giudice ecclesiastico può esaminare solo le cause di nullità dei non cattolici, siano essi battezzati o non battezzati, nelle quali è necessario che sia provato davanti alla Chiesa cattolica lo stato libero di almeno una delle parti», come avviene nella fattispecie in cui la parte orientale non cattolica desidera celebrare il matrimonio con una parte cattolica.

h) Ammissione alla piena comunione nella Chiesa cattolica 48. Ciascuna persona ha il diritto inviolabile e insieme l’obbligo di seguire i dettami della propria coscienza. Ne consegue quindi che «ogni cristiano ha il diritto, per motivi di coscienza, di decidere liberamente di entrare nella piena comunione cattolica». Tale scelta non deve essere frutto di un indebito proselitismo81, bensì essere libera e spontanea. 49. Il fedele orientale non cattolico che, in coscienza, desideri essere ammesso alla piena comunione della Chiesa cattolica, presenta una richiesta scritta al Vescovo diocesano. Questi, prima di accogliere il candidato, valuta le ragioni dell’istanza, aiutando eventualmente a purificarle, al fine di evitare motivazioni inadeguate. Tali possono essere, per esempio, motivi meramente sentimentali, interessi umani, concezioni erronee sul cattolicesimo e sull’unità dei cristiani, litigi con la comunità di origine. 50. Per l’ammissione alla piena comunione della Chiesa cattolica di un fedele orientale non cattolico, si segua l’apposito rituale con i relativi orientamenti preliminari. 51. Nella Chiesa latina l’autorità competente per decidere l’ammissione dei fedeli orientali non cattolici alla piena comunione nella Chiesa cattolica è il Vescovo diocesano. Nelle circoscrizioni ecclesiastiche cattoliche orientali, anche il parroco, non solo il Gerarca del luogo, può ammettere alla piena comunione nella Chiesa cattolica singoli laici. 52. A coloro che chiedono l’ammissione nella piena comunione «non si imponga altro onere fuorché le cose necessarie». Pur non trattandosi di catecumeni, si curi la preparazione dottrinale e spirituale di ciascun candidato, secondo le necessità dei singoli casi, affinché assumano consapevolmente quanto insegnato dal magistero della Chiesa cattolica (primato del Romano Pontefice, indissolubilità del matrimonio, ecc.) e comprendano cosa significhi essere cattolico. L’eventuale situazione matrimoniale irregolare dovrà essere chiarita prima dell’ammissione.

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53. Il candidato deve presentare, assieme alla domanda di ammissione alla piena comunione nella Chiesa cattolica, il proprio certificato di battesimo. La validità del battesimo conferito nelle Chiese orientali non cattoliche non è oggetto di dubbio. Dal momento che molti immigrati provengono da Paesi che hanno sperimentato situazioni di impedimento alla libertà religiosa o di persecuzione, può capitare che non siano in grado di presentare un certificato di battesimo. In questi casi, per la prova «è sufficiente la dichiarazione di un solo testimone al di sopra di ogni sospetto oppure la dichiarazione dello stesso battezzato fondata su indubbi argomenti, specialmente se il medesimo ha ricevuto il battesimo dopo che era uscito dall’infanzia». Se dopo una seria ricerca persistono i dubbi sull’esistenza del battesimo o sulla sua validità, il battesimo venga conferito sotto condizione in forma privata, spiegando il significato dell’atto. Poiché nelle Chiese orientali non cattoliche il sacramento della confermazione viene conferito congiuntamente con il battesimo, la prova del ricevimento del battesimo comporta anche la prova del ricevimento della cresima. Nell’eventualità che si conferisca il battesimo sotto condizione, si proceda anche al conferimento della cresima sotto condizione. 54. Per accogliere fedeli provenienti dalle Chiese orientali non cattoliche «non si richiede più di quanto esige la semplice professione della fede cattolica». Alla professione di fede segue un atto esplicito di accoglienza del candidato da parte del celebrante, come previsto nel Rito dell'ammissione, nn. 15-16. Inoltre, l’autorità competente dovrà registrare l’ammissione in un libro speciale, nel quale sarà anche annotato il giorno e il luogo del battesimo. 55. Gli orientali non cattolici «che giungono alla piena comunione con la Chiesa cattolica, conservino dovunque il proprio rito, lo rispettino e, secondo le proprie forze, lo osservino dappertutto; siano perciò ascritti alla Chiesa sui iuris del medesimo rito, salvo il diritto di adire alla Sede Apostolica in casi speciali di persone, di comunità o di regioni». Anche qualora siano affidati alla cura pastorale di un Vescovo latino o di altra Chiesa sui iuris, questi fedeli apparterranno alla Chiesa orientale cattolica corrispondente a quella orientale non cattolica di origine. Il sacerdote (anche latino) che accoglie nella comunione cattolica è tenuto ad annotare l’ascrizione alla rispettiva Chiesa orientale cattolica nell’apposito registro. In casi eccezionali, si può procedere al cambiamento di Chiesa sui iuris secondo la normativa canonica. 56. Un bambino battezzato in una Chiesa orientale non cattolica prima dei quattordici anni e, dopo il battesimo, adottato da genitori cattolici, viene ipso iure incorporato alla Chiesa cattolica e, generalmente, ascritto alla Chiesa sui iuris del padre cattolico adottante. L’adozione deve essere anche registrata nell’apposito registro. 57. Quando entrambi i genitori appartenenti a una Chiesa orientale non cattolica giungono alla piena comunione con la Chiesa cattolica, i figli ancora infanti sono essi pure incorporati alla Chiesa cattolica. Pertanto, sarà premura dei genitori curare la registrazione nell’apposito registro. Tuttavia, se solo un genitore giunge alla piena comunione con la Chiesa cattolica, si applichi la normativa già esposta sui matrimoni misti riguardo l’obbligo di fare tutto il possibile per educare la prole nella religione cattolica. 58. Il minore di quattordici anni di età non può essere accolto nella Chiesa cattolica se i genitori orientali non cattolici si oppongono. Anche nel caso in cui i genitori vi acconsentano, se a giudizio del Vescovo dall’accoglienza del medesimo si prevedono gravi disagi per la Chiesa o per il minore, l’accoglienza sia rimandata, tranne nel caso di imminente pericolo di morte. 59. Il figlio di genitori cattolici o l’adulto che, desiderando essere cattolico, ha invece ricevuto il battesimo in una Chiesa orientale non cattolica per causa di estrema necessità può rettificare la propria situazione tramite registrazione nel libro dei battesimi della parrocchia cattolica. 60. I fedeli che sono accolti nella Chiesa cattolica sono equiparati, nel diritto, ai battezzati nella medesima. 61. È conveniente che l’ammissione alla piena comunione nella Chiesa cattolica di un fedele orientale non cattolico non avvenga contemporaneamente alla celebrazione del suo matrimonio con una parte non cattolica. Il matrimonio misto richiede infatti una preparazione specifica.

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62. Può accadere che un fedele orientale non cattolico chieda di essere ammesso al noviziato e alla professione religiosa nella Chiesa cattolica. Ciò non è possibile, se prima non è avvenuta l’ammissione alla piena comunione. Da questa proibizione non si ammette dispensa, perché l’ingresso nella vita religiosa richiede la piena comunione nella Chiesa cattolica.

i) Altre celebrazioni 63. A prudente giudizio dell'Ordinario del luogo, il rito delle esequie può essere concesso ai fedeli orientali non cattolici, a condizione che ciò non sia contrario alla loro volontà, che non sia possibile avere il loro ministro e che non vi si oppongano le disposizioni generali del diritto. 64. Le benedizioni ordinariamente impartite ai cattolici possono essere impartite anche agli orientali non cattolici, su loro richiesta, in conformità alla natura e all'oggetto della benedizione. Occorre però aver presente che, nella tradizione orientale, il diacono non può benedire. Conviene, perciò, che la benedizione sia impartita da un sacerdote. 65. «In una celebrazione liturgica cattolica, i ministri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali possono avere il posto e gli onori liturgici che convengono al loro rango e al loro ruolo». In ogni caso, ciò non deve mai apparire come se fosse una concelebrazione. 66. «Preghiere pubbliche per altri cristiani, vivi o defunti, per i bisogni e secondo le intenzioni delle altre Chiese e comunità ecclesiali e dei loro capi spirituali, possono essere offerte durante le litanie e altre invocazioni di un servizio liturgico, ma non nel corso dell'anafora eucaristica». l) Casi particolari 67. Quando una Chiesa orientale non cattolica manchi di edificio sacro o cimitero e chieda aiuto al Vescovo cattolico, questi, prima di valutare la richiesta, verificherà la canonicità di tale Chiesa, con l’indicazione dell’eparchia e del Vescovo da cui dipende, nonché l’identità del sacerdote, il numero di fedeli orientali non cattolici che dovrebbero avvalersi della chiesa e la periodicità delle celebrazioni. Inoltre, si terrà conto della situazione del dialogo ecumenico con la Chiesa in questione e della devoluzione degli edifici di culto alle comunità orientali cattoliche nel paese di origine, secondo il criterio ecumenico della reciprocità. 68. Se il Vescovo diocesano ritiene opportuno concedere chiese cattoliche a una comunità orientale non cattolica, scelga preferibilmente edifici sacri non in uso. La concessione sia di norma formalizzata mediante un contratto di comodato per un tempo non superiore a diciannove anni. Si esiga che l’edificio sacro o il locale siano mantenuti in modo idoneo e decoroso, secondo le proprie norme liturgiche. Non si ammetta assolutamente che siano nominati parroci, o comunque incaricati della pastorale in quei luoghi, sacerdoti già appartenenti alla Chiesa cattolica. 69. Ordinariamente non si accolgano richieste di luoghi di culto distinti per comunità orientali non cattoliche della stessa tradizione rituale facenti riferimento a Chiese autocefale diverse. 70. Ove siano presenti comunità cattoliche orientali, queste abbiano la preferenza nella concessione di luoghi di culto. 71. Se nella diocesi esiste una parrocchia orientale cattolica con propria chiesa, paramenti e locali adeguati, il Vescovo diocesano può concederne l’uso a una comunità orientale non cattolica ad casum e non in forma abituale, per non creare sconcerto nei fedeli. 72. I luoghi di culto siano usati stabilmente da una sola confessione religiosa, cattolica od orientale non cattolica. Qualora il Vescovo diocesano abbia dato l’autorizzazione perché eccezionalmente gli orientali non cattolici, per mancanza di luoghi propri, celebrino in un luogo di culto cattolico in uso, è preferibile che la Santissima Eucaristia sia conservata nello stesso tabernacolo, anche se in pissidi diverse, al fine di non confondere le specie eucaristiche azzime con quelle lievitate. Non si esclude però la possibilità, tenuto conto delle diverse sensibilità di coloro che usano l’edificio, che le specie sacramentali consacrate nella Santa Liturgia orientale non cattolica siano conservate in un vano separato o in una cappella. 73. Se una parrocchia cattolica è frequentata stabilmente da fedeli orientali non cattolici, a giudizio dell’Ordinario questi possono essere invitati come osservatori al consiglio pastorale parrocchiale.

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74. A giudizio del parroco, i fedeli orientali non cattolici possono partecipare alla catechesi impartita nelle istituzioni cattoliche, se essi non hanno propri mezzi di formazione cristiana e lo chiedono spontaneamente. Tuttavia dovranno essere consapevoli che il contenuto di quelle lezioni sarà la dottrina cattolica. In ogni caso, i catechisti che seguono anche fedeli orientali non cattolici si sforzino di conoscere le posizioni dottrinali della Chiesa a cui essi appartengono, per poter rispondere alle eventuali domande di chiarimento. La presentazione leale e corretta di tali posizioni aiuterà i cattolici ad approfondire la loro fede e li metterà nella condizione di conoscere meglio e di stimare gli altri cristiani, favorendo in tal modo il cammino comune verso la piena unità, nella verità. 75. «Nelle scuole e istituzioni cattoliche si deve fare ogni sforzo per rispettare la fede e la coscienza degli studenti o dei docenti che appartengono ad altre Chiese o comunità ecclesiali. In conformità con gli statuti loro propri e approvati, le autorità di dette scuole e istituzioni dovrebbero vigilare a che i ministri ordinati delle altre comunità possano esercitare senza alcuna difficoltà il servizio spirituale e sacramentale per i loro fedeli che frequentano tali scuole o istituzioni. Per quanto le circostanze lo consentano, con il permesso del vescovo diocesano, tali opportunità possono essere offerte in locali appartenenti ai cattolici, ivi compresa una chiesa o una cappella». 76. «Negli ospedali, nelle case per persone anziane e nelle istituzioni analoghe dirette da cattolici, le autorità devono darsi premura di avvertire i sacerdoti e i ministri delle altre Comunità cristiane della presenza dei loro fedeli e agevolarli perché possano far visita a dette persone e portar loro un aiuto spirituale e sacramentale in condizioni degne e decorose, anche con l’uso della cappella». 77. Si raccomandano altre iniziative congiunte, come la reciproca comunicazione di informazioni , la partecipazione a organismi ecumenici, l’adozione di preghiere e canti comuni e, in genere, lo studio degli accordi ecumenici raggiunti. 78. Per ulteriori questioni non trattate in questo vademecum o per dubbi circa la sua applicazione, non si esiti a consultare i competenti Uffici della Conferenza Episcopale Italiana.

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Appendice A

Presentazione schematica delle Chiese orientali non cattoliche A) Le Chiese ortodosse di tradizione bizantina comprendono: 1) i quattro antichi Patriarcati: a. Patriarcato ecumenico di Costantinopoli (con giurisdizione su Turchia, Creta, diocesi della Grecia Settentrionale, eparchie greche della diaspora nelle Americhe, Europa occidentale e Australia); b. Alessandria (Egitto e Africa); c. Antiochia (Siria, Libano, Iraq, Kuwait, Iran, Americhe, Australia, Europa); d. Gerusalemme (Israele, Giordania, zone sotto il controllo dell’Autorità palestinese); 2) le altre Chiese autocefale: a. Chiesa ortodossa di Russia (con giurisdizione su Russia, Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan e le altre repubbliche ex sovietiche, nonché sulla diaspora russa); b. Chiesa ortodossa di Serbia (Serbia e le altre repubbliche ex jugoslave, Europa occidentale, Americhe, Australia e Nuova Zelanda); c. Chiesa ortodossa di Romania (Romania, Europa occidentale, Nord America); d. Chiesa ortodossa di Bulgaria (Bulgaria e diaspora in Europa e America); e. Chiesa ortodossa di Georgia; f. Chiesa ortodossa di Cipro; g. Chiesa ortodossa di Grecia; h. Chiesa ortodossa di Polonia; i. Chiesa ortodossa di Albania; j. Chiesa ortodossa delle Repubbliche Ceca e Slovacca; 3) le Chiese ortodosse autonome: a. Chiesa ortodossa del Monte Sinai (dipendente dal patriarcato di Gerusalemme), con giurisdizione su Sinai ed Egitto; b. Chiesa ortodossa di Finlandia (dipendente dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli); c. Chiesa ortodossa del Giappone (autonomia concessa dal patriarcato di Mosca, ma non riconosciuta da Costantinopoli); d. Chiesa ortodossa della Cina (autonomia concessa dal patriarcato di Mosca, ma non riconosciuta da Costantinopoli, che ha eretto a sua volta una metropolia a Hong Kong); e. Chiesa ortodossa apostolica estone (dipendente dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, non riconosciuta dal Patriarcato di Mosca); 4) le Chiese canoniche dipendenti da Costantinopoli: a. Diocesi americana ortodossa carpato-russa degli Stati Uniti d’America; 22b. Chiesa ortodossa ucraina degli Stati Uniti d’America e della diaspora; c. Esarcato ortodosso russo in Europa occidentale; d. Diocesi ortodossa albanese d’America; e. Chiesa ucraina ortodossa in Canada. B) Vi sono poi le Antiche Chiese d’Oriente: 1) Chiesa apostolica armena, con due catolicosati: Etchmiadzin (con giurisdizione sui patriarcati di Gerusalemme e Costantinopoli) e Cilicia; 2) Chiesa assira dell’Oriente (Patriarcato della Chiesa Assira dell’Oriente – Stati Uniti d’America); 3) Chiesa copta ortodossa; 4) Chiesa etiopica ortodossa Tewahedo; 5) Chiesa ortodossa eritrea (riconosciuta dalla Chiesa copta);

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6) Chiesa sira ortodossa (Patriarcato siro-ortodosso di Antiochia e dell’Oriente); 7) Chiesa ortodossa siro-malankarese (India). C) Vi sono infine alcune Chiese che hanno uno status canonico irregolare: 1) Vecchi credenti; 2) Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Kiev e Chiesa ortodossa autocefala ucraina; 3) Chiesa ortodossa autocefala bielorussa (Nord America, Regno Unito, Australia); 4) Chiesa ortodossa macedone; 5) Chiese ortodosse vecchio-calendariste. 23Appendice B Le Chiese ortodosse in Italia Esiste oggi in Italia una certa difficoltà a orientarsi in un panorama piuttosto complesso di realtà ecclesiali vecchie e nuove. Si elencano qui di seguito, senza pretese di esaustività, le presenze orientali non cattoliche più rilevanti nel nostro Paese: – Patriarcato ecumenico di Costantinopoli; – Chiesa ortodossa di Russia; – Chiesa ortodossa di Serbia; – Chiesa ortodossa di Romania; – Chiesa ortodossa di Bulgaria; – Chiesa ortodossa di Polonia; – Chiesa ortodossa di Grecia; – Chiesa copta ortodossa; – Chiesa etiopica ortodossa Tewahedo; – Chiesa ortodossa eritrea; – Chiesa apostolica armena; – Chiesa ortodossa macedone (non riconosciuta dalle altre Chiese ortodosse); – Esarcato ortodosso russo in Europa occidentale (legato al Patriarcato di Costantinopoli); – Chiesa ortodossa russa di rito antico (non canonica, legata ai Vecchi credenti russi); – Chiesa ortodossa greca del Vecchio Calendario (separatasi dalla Chiesa ortodossa greca, antiecumenica); – Chiesa ortodossa romena del Vecchio Calendario (separatasi dalla Chiesa ortodossa romena); – Chiesa ortodossa in Italia (non canonica); – Chiesa ortodossa autonoma dell’Europa occidentale e delle Americhe - Metropolia di Milano e Aquileia (non canonica).

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Evangelii Gaudium (2013) di Papa Francesco

La LUMEN FIDEI era a 4 mani e non accennava in alcun modo all’ecumenismo, tema invece presente in tanti altri documenti. Il suo primo documento, l’esortazione apostolica EVANGELII GAUDIUM (24.11.2013), rispecchia il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, ma non porta il sottotitolo “postsinodale” per dire che in parte si discosta da quanto detto nel sinodo precedente, attingendo ad altri sinodi (Aparecida) e documenti.Papa Francesco dice che anche il papato deve rinnovarsi. Nella “Ut unum sint” (del 1995, al nr 95) papa GPII diceva che accoglieva le sollecitazioni dei dialoghi ecumenici per rivedere in un certo modo l’esercizio del pontificato, si diceva disposto a rivedere le modalità di esercizio del ministero petrino, senza rinunciare al mandato di Cristo ma aperto a suggerimenti sull’esercizio.Occorre rinnovare il ministero di Pietro per essere fedele al Vangelo: è un rinnovare non per cambiare, ma per restare fedeli. Per servire meglio il mandato di evangelizzare. Cita UU 95 di GPII. Ma afferma che si è fatta poca strada.Da una parte, c’è un aspetto ecumenico: servire all’unità della chiesa con il ministero petrino. Inoltre, si deve meglio servire alle istanze della nuova evangelizzazione. Chiede dunque meno centralizzazione e valorizzazione delle conferenze episcopali sul modello delle antiche chiese patriarcali. Si potrebbe parlare di un principio di sussidiarietà, sul modello delle chiese orientali.

32. Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione. Il Papa Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria.

Il dialogo ecumenico

Altri tre numeri trattano esplicitamente il tema dell’ecumenismo: 244-246.Si parte dalle ragioni dell’impegno ecumenico: “ut unum sint” (Gv 17).Credibilità della testimonianza: cita UR invitando la Chiesa alla pienezza della cattolicità.Pone il fatto ecumenico a un livello relazionale: si tratta di camminare fianco a fianco. La pace è “artigianale”: conferma lo stile diretto e semplice proprio della sua oralità. Solo in questa disponibilità si trovano le condizioni per la pace.

244. L’impegno ecumenico risponde alla preghiera del Signore Gesù che chiede che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). La credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto più grande se i cristiani superassero le loro divisioni e la Chiesa realizzasse «la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione». Dobbiamo sempre ricordare che siamo pellegrini, e che peregriniamo insieme. A tale scopo bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, e guardare

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anzitutto a quello che cerchiamo: la pace nel volto dell’unico Dio. Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale. Gesù ci ha detto: «Beati gli operatori di pace» (Mt5,9). In questo impegno, anche tra di noi, si compie l’antica profezia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri» (Is 2,4).

245. – nel mondo privo della pace, i cristiani che cercano l’unità tra loro sono un segno della ricerca di unità.

Urgenza dell’appello all’unità, oltre un secolo dopo il primo appello del 1910 da cui partì (Edimburgo) il movimento ecumenico.Occorre concentrarsi su quanto unisce: il battesimo, la fede trinitaria e in Cristo Salvatore.Ricordiamo poi la gerarchia delle verità: alcune sono essenziali, altre no. Solo così si potrà procedere rapidamente, senza perdersi in lunghe e sterili disquisizioni teologiche. Mentre si discute, occorre lavorare insieme (secondo gli impegni della Carta Ecumenica).Se ci si perde nei dialoghi, si perdono quanti necessitano di sentire l’annuncio del Vangelo.Non basta informarci sugli altri, ma dobbiamo arrivare – a 50 anni dalla Unitatis Redintegratio del 21.11.1964 – a una reale unità.Un sinodo in due tappe – come quello sulla famiglia nell’autunno 2014 e 2015 – è un esempio dell’ispirarsi alla tradizione ortodossa.

246. Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi. Se ci concentriamo sulle convinzioni che ci uniscono e ricordiamo il principio della gerarchia delle verità, potremo camminare speditamente verso forme comuni di annuncio, di servizio e di testimonianza. L’immensa moltitudine che non ha accolto l’annuncio di Gesù Cristo non può lasciarci indifferenti. Pertanto, l’impegno per un’unità che faciliti l’accoglienza di Gesù Cristo smette di essere mera diplomazia o un adempimento forzato, per trasformarsi in una via imprescindibile dell’evangelizzazione. I segni di divisione tra cristiani in Paesi che già sono lacerati dalla violenza, aggiungono altra violenza da parte di coloro che dovrebbero essere un attivo fermento di pace. Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi. Solo per fare un esempio, nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità. Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene.

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Nel 2000 il dialogo con gli ortodossi si congela, e tuttora non è semplice. Diverso è però il cammino del papa con le persone che compongono l’ortodossia. Milioni sono gli ortodossi, con diversi patriarcati. Difficoltà con quello russo, grandi aperture con Costantinopoli, da almeno 50 anni.Il segno in tal senso si ha quando viene nominato Papa Francesco, presentandosi come vescovo di Roma che presiede le altre chiese nella carità (Sant’Ignazio di Antiochia). La più antica espressione

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sul primato di Pietro è quella che riguarda la carità. Bartolomeo assiste alle prime parole di Francesco e decide di andare a Roma per l’inizio del ministero (19 marzo 2013, San Giuseppe). È la prima volta che il patriarca di Costantinopoli va a Roma per tale evenienza. Alla spontaneità di papa Francesco corrisponde l’iniziativa di Bartolomeo di andare a Roma. Dove è accolto dal papa con il saluto “caro fratello Andrea!”. Mosca non manda il patriarca ma il nr. 2, Ilarion, che dona una icona della Madre di Dio, che poi la regala a Benedetto XVI. Nell’incontro personale del 20 marzo 2013, il patriarca invita Francesco ad andare a novembre a Costantinopoli per sant’Andrea, e poi ad andare insieme in Terra Santa. Erdogan, presidente turco, non ha invitato il papa – capo di Stato – e quindi dal novembre 2013 ha dovuto attendere il novembre 2014. Per la Terra Santa ha invece avuto tutti gli inviti civili e ha potuto andarci (maggio 2014). La visita in Turchia del 28-30 novembre 2014 è un avvenimento storico.Le interviste dei due dopo questi incontri hanno manifestato grande interesse per l’evangelizzazione, con attenzione ai poveri (papa Francesco) e all’ambiente (Bartolomeo). Per papa Francesco il patriarca Bartolomeo è riferimento di tutti gli ortodossi, ma Mosca resiste a tale identificazione. Roma e Costantinopoli camminano sempre più fianco a fianco, nel frattempo. Bartolomeo sa di non poter parlare anche a nome di Mosca. La distanza non è anzitutto teologica. Il problema è l’Ucraina. I problemi con Mosca si sono incrementati dal 1991, dopo lo scioglimento dell’URSS. Da quell’anno esiste la libertà religiosa per legge, mentre fino ad allora i greco-cattolici erano stati perseguitati sotto Stalin (che deporta o uccide tutti i vescovi), tanto che i sacerdoti (padri di famiglia) divengono in maggior parte ortodossi, mentre altri esercitano in clandestinità. Ma mancavano i vescovi per ordinare, e dunque alcuni vescovi andavano oltre cortina di nascosto per ordinare sacerdoti cattolici. Sorgono tensioni tra ortodossi e greco-cattolici. I primi sono ufficialmente riconosciuti, i secondi sopravvivono a fatica. Ci sono anche conflitti e scontri. Alessio II si oppone a GPII che verso il 2000 ordina ordinari cattolici in Ucraina.Vengono finanziate dal Vaticano scuole cattoliche e facoltà teologiche in Ucraina. Quella greco-cattolica è una chiesa martire, che deve conservare la propria storia. Le tensioni restano alte, anche quando si sviluppano rotture a livello politico tra chi vuole una Ucraina libera, filo-occidentale, e chi invece vorrebbe restare nell’orbita russa.Prima di essere greco-cattolici o ortodossi, si è ucraini. Metà sono filo-occidentali e metà filo-russi. Questo ha portato uno scisma nella chiesa ortodossa di Ucraina, il cui metropolita di Kiev – nominato da Mosca – desiderava esser riconosciuto come patriarca, ottenendo il riconoscimento della chiesa nazionale. Ma Mosca non ha voluto, per non lasciare autonomia alla chiesa ucraina, la quale ha quindi nominato un proprio patriarca che anche nazionalisticamente guardano all’Occidente. Mosca ha imposto un altro metropolita, fedele alla Russia. La divisione tra chiese – Kiev è ritenuta scismatica, benché ortodossa – ha anche sapore politico. La paura di Mosca è che greco-cattolici e ortodossi scismatici si uniscano per formare una grande chiesa Ortodossa. Nel sinodo sulla famiglia, Ilarion (2° del patriarca russo) ha attaccato i greco-cattolici, accusandoli di fare proselitismo con gli ortodossi-scismatici dell’Ucraina. Un intervento fuori luogo che ha fatto emergere quanto profonde siano le divisioni rispetto all’Ucraina tra greco cattolici, ortodossi scismatici e ortodossi filo-russi. Ilarion non li definisce scismatici, perché vuol almeno arrivare a una alleanza in vista della difesa dei valori fondamentali della famiglia in Europa. Mentre nessuno in Vaticano si sognerebbe di attaccare gli ortodossi che considerano l’Italia una propria diocesi…Tutto questo per dire come l’ecumenismo viaggi per vie difficili, anche per le distanze tra i protagonisti.

Per unirsi una strada potrebbero essere i martiri comuni (il 9.9.1990 è stato ucciso dai sovietici il prete ortodosso Aleksandr Men, tanto caro ai cattolici e a CL) Non ci sono martiri cattolici o

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ortodossi, ma martiri cristiani. Da GPII si lavora a un martirologio cristiano comune. Nella lettera di indizione del Giubileo, tra i segni moderni di unità indica anche la memoria comune dei martiri. Nel 2000 si è svolto un segno ecumenico importante, poiché al Colosseo – nello spazio in cui si ricordavano i primi martiri – si sono commemorati martiri delle diverse confessioni cristiani, con l’attenzione che nessuno leggesse i nomi della propria confessione. Nel 1999 è stata inaugurata una nuova cappella in Vaticano, con decorazioni a mosaico che respira a due polmoni: cattolico e ortodosso. La parusia mostra Cristo che ricapitola in sé tutta la storia, con 6 martiri: due antichi (S. Stefano e S. Prassede) e quattro del XX secolo (cattolico, ortodosso, greco-cattolico, luterano). Dove celebra il Papa vengono insomma raffigurati martiri di diverse confessioni.

L’ecumenismo si fa per strada, camminando insieme, aldilà e prima dei diversi dialoghi.

4.12.14

Il viaggio di papa Francesco a Costantinopoli e in Turchia in generale aveva anzitutto lo scopo di rinsaldare i rapporti ecumenici con gli ortodossi (3% della popolazione). È andato a trovare Bartolomeo, cioè “il fratello Andrea”. In Turchia è nata la Chiesa (ad Antiochia), mentre a Efeso ha vissuto la Madonna, e in Turchia ben 7 concili si sono tenuti.La celebrazione inter-rituale del sabato pomeriggio (dopo che il patriarca è andato ad accogliere il papa all’aeroporto) il papa ha detto ciò che intende lui per ecumenismo: le diversità delle varie chiese sono un dono dello Spirito Santo che suscita carismi diversi per poi fare un dono ulteriore: quello dell’unità. Questo significa togliere l’immagine di una unica chiesa vera per riconoscere l’essenzialità di una diversità riconciliata.L’altro pensiero espresso invece domenica pomeriggio dice che l’unità non indica né sottomissione né assorbimento. Si chiede solo l’unità di fede, quale è espressa nel Vangelo. Riconoscendo che ci sono differenti gradi di verità: quelle determinate dai concili fondamentali sono vincolanti, da lì in poi si possono riconoscere delle autonomie dottrinali delle diverse conferenze episcopali (EG 32), ferma restando la missione di confermare i fratelli nella fede propria di Pietro. Quando Francesco ha chiesto a Bartolomeo di benedire lui e la chiesa, Bartolomeo ne ha baciato lo zucchetto. Hanno quindi firmato una dichiarazione congiunta di unità di intenti e anche di sacramenti.

Un impegno ecumenico importante è la data comune della Pasqua. Papa Francesco ha dato grande disponibilità al patriarca russo per incontrarsi dove lui è più comodo, ma riconosce bene il peso della guerra in Ucraina.Si deve approfondire il tema del primato per trovarne (Ut unum sint, 95) una forma che possa calamitare un accordo condiviso.Per l’unità, la chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza. Si tratta di trovare un principio di autorità che rispecchi l’esercizio dei primi tempi. Ma questo si fa rispettando l’ispirazione dello Spirito Santo, che suscita quella “diversità riconciliata” che occorre accogliere.La Chiesa è “mysterium lunae” perché riflette la luce di Dio/Sole. Se la Chiesa guarda se stessa – dice papa Francesco – si perde il rapporto con lo Spirito. Così è successo nello scisma del 1054.Adesso occorre accogliere l’invito di GPII a ripensare l’esercizio dell’autorità petrina: papa Francesco è convinto che da questa strada passi il dialogo ecumenico.Se la Chiesa non si apre a questa diversità riconciliata, suscitata dallo Spirito, per continuare invece a guardare se stessa, rimarrà una “ong teologica”.

FINE