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TEOLOGIA SPIRITUALE Più che un corso monografico dal punto di vista tematico lo è da quello storico, presentando le figure più significative che, nel corso della storia cristiana, hanno lasciato una traccia importante nella sua spiritualità. Faremo teologia, parlando di Dio e dell’uomo, poiché dell’incontro tra i due si dovrà parlare. In modo particolare è la TH Spirituale che affronta il tema di questo incontro tra Dio e l’uomo. I mistici usano il linguaggio dell’amore e della sponsalità per parlare di questa interazione tra i due soggetti che di volta in volta dà origine a una storia diversa. San Giovanni della Croce afferma che nessuna anima percorre la strada già percorsa da un’altra. Tutto questo dice della bellezza della teologia spirituale. L’unicità della storia tra Dio e l’uomo è la peculiarità ma anche il limite della Th Spirituale. Breve storia della spiritualità cristiana (Borriello – Di Muro, Ed. Ancora). Breve relativamente – sono 500 pagine! – ma rispetto alle storie ben più ampie che si possono trovare in commercio (come i 13 voll. delle edizioni Dehoniane). Il testo affronta moltissimi autori, mentre il docente ne sceglierà alcuni da approfondire, per offrire un panorama esauriente della spiritualità cristiana. Esiste una dimensione mistagogica della th sp, cioè la tendenza ad accompagnare, con risvolto pastorale, nella esperienza del Mistero. Non si limita cioè a narrare il Mistero, ma cerca di presentare l’opportunità di viverlo. Questo è anche l’auspicio del corso che andiamo a cominciare. Non è facile studiare la storia della spiritualità cristiana. Occorre anzitutto chiarire i termini. Con “spiritualità” si parla della preghiera? O di accenti della fede personale? E ancora: quale “storia”? Quale periodo? Quale angolatura, tema, filone di pensiero? Occorre limitare la ricerca. Tante anime hanno vissuto l’esperienza di fede, altrettante le spiritualità di cui ci si potrebbe interessare…

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TEOLOGIA SPIRITUALE

Più che un corso monografico dal punto di vista tematico lo è da quello storico, presentando le figure più significative che, nel corso della storia cristiana, hanno lasciato una traccia importante nella sua spiritualità.

Faremo teologia, parlando di Dio e dell’uomo, poiché dell’incontro tra i due si dovrà parlare. In modo particolare è la TH Spirituale che affronta il tema di questo incontro tra Dio e l’uomo.I mistici usano il linguaggio dell’amore e della sponsalità per parlare di questa interazione tra i due soggetti che di volta in volta dà origine a una storia diversa. San Giovanni della Croce afferma che nessuna anima percorre la strada già percorsa da un’altra. Tutto questo dice della bellezza della teologia spirituale. L’unicità della storia tra Dio e l’uomo è la peculiarità ma anche il limite della Th Spirituale.

Breve storia della spiritualità cristiana (Borriello – Di Muro, Ed. Ancora).Breve relativamente – sono 500 pagine! – ma rispetto alle storie ben più ampie che si possono trovare in commercio (come i 13 voll. delle edizioni Dehoniane).Il testo affronta moltissimi autori, mentre il docente ne sceglierà alcuni da approfondire, per offrire un panorama esauriente della spiritualità cristiana.

Esiste una dimensione mistagogica della th sp, cioè la tendenza ad accompagnare, con risvolto pastorale, nella esperienza del Mistero. Non si limita cioè a narrare il Mistero, ma cerca di presentare l’opportunità di viverlo. Questo è anche l’auspicio del corso che andiamo a cominciare.

Non è facile studiare la storia della spiritualità cristiana. Occorre anzitutto chiarire i termini. Con “spiritualità” si parla della preghiera? O di accenti della fede personale?E ancora: quale “storia”? Quale periodo? Quale angolatura, tema, filone di pensiero? Occorre limitare la ricerca. Tante anime hanno vissuto l’esperienza di fede, altrettante le spiritualità di cui ci si potrebbe interessare…

Spiritualità cristiana. Non è altro che la vita dell’uomo, intesa come insieme di relazioni che possono essere ricondotte a tre: con Dio, con gli altri, con il mondo/il cosmo. È una relazione di vita che viene abitata dallo Spirito che imprime nel credente i dinamismi figliali propri del Cristo. La relazione con se stessi è una premessa delle altre tre: occorre infatti prima possedersi, per poter poi entrare in relazione con Dio, gli altri e il mondo.Lo Spirito opera efficacemente nelle relazioni umane, trasformandole a immagine del Cristo. Lavoro, studio, preghiera, sport, affettività… in ogni dimensione della vita entra lo Spirito Santo che in esse vuol dipingere l’immagine del Cristo, trasformando l’uomo nell’immagine di Dio, facendone quindi un vero Figlio di Dio (per adozione, mentre Gesù lo è per natura).La spiritualità va dunque oltre la vita di preghiera. È la vita di Cristo che nella grazia viene regalata all’uomo che si apre a Lui nella fede. È dunque un campo assai vasto e complesso.

La grazia è un incontro, una relazione che si instaura tra la libertà dell’uomo e quella di Dio: il Signore si offre, l’uomo accoglie il dono d’Amore di Dio. In questo rapporto di libertà entrano in gioco la fantasia di Dio e la sensibilità dell’uomo. Dio non può esser bloccato in schemi, ma può agire con uno in un modo, con l’altro in un modo differente. Così pure ogni uomo risponde in modo diverso, a seconda della propria sensibilità. La vita spirituale dell’uomo è dunque unica e irripetibile perché dipende dalla iniziativa divina (diversa per ogni individuo) e dalla risposta umana (differente da singolo a singolo).

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Lo scopo è poter discernere la propria esperienza personale sulla base delle diverse esperienze spirituali incontrare lungo il percorso di studio.

L’oggettivo della fede cristiana viene personalizzato da ogni singolo credente: questa è la sintesi del pensiero sopra espresso. È una espressione dovuta al teologo milanese Moioli. Oggettivo della fede cristiana è la Persona di Cristo o il mistero di Dio che chiama l’uomo alla comunione con sé (fides quae creditur); la personalizzazione della fede avviene quando la storia della salvezza diviene la mia storia personale di salvezza (fides qua creditur). Cristo è sempre lo stesso, ma viene accolto nel dinamismo di una vita individuale e attraverso i dinamismi battesimali di fede, speranza, carità l’accoglienza del mistero di Cristo assume i connotati di una cristificazione e santificazione (simili a Cristo, quindi in comunione con Dio). In questa dinamica – unico il mistero di Cristo, molteplici le interiorizzazioni della fede - stanno la ricchezza e il limite della spiritualità cristiana.

L’ambito cui circoscrivere la nostra ricerca è definito dalle figure che hanno inciso profondamente sul sentire comune e che hanno iniziato una certa scuola di spiritualità. Di ogni epoca si metteranno in evidenza i dinamismi rappresentativi, leggendo i testi caratteristici di un certo tempo. Le fonti sono numerosissime, poiché molti di questi credenti hanno lasciato la narrazione della loro esperienza di personalizzazione dell’oggettivo cristiano. Tante saranno le testimonianze dei martiri – in terza persona, oltre alle esortazioni al martirio in prima persona.Accanto al manuale, ci saranno dunque diversi file (in segreteria) con testi da leggere. Ma si tratta di una selezione. Per cui ad esempio della scuola cistercense parleremo solo di Bernardo di Chiaravalle, il fondatore, e non dei suoi discepoli.

Scuola di spiritualità. Nasce attorno a una figura rappresentativa (1) con lo sviluppo di una dottrina (2) che interpreta e orienta l’esperienza spirituale di un gruppo significativo (3) di fedeli. La dottrina deve essere originale e peculiare, per cui oltrepassando l’esperienza del singolo o del gruppo possa imporsi come valida nel perdurare del tempo (4) nelle diverse situazioni contingenti. Solitamente tali SdS si formano attorno a grandi fondatori e si possono riassumere tramite esperienze significative che ne evidenziano il carisma.Ad esempio, la spiritualità benedettina (San Benedetto, la sua Regola) si riassume in “ora et labora”, motto che risale ad Antonio il Grande, cui occorre aggiungere “non anteporre nulla all’amore di Cristo” (San Cipriano). Altro esempio: la scuola domenicana, attorno a San Domenico e il carisma di “contemplata aliis tradere”, cioè trasmettere agli altri quanto contemplato. Ancora, la spiritualità Ignaziana, condensata negli Esercizi, col motto “ad maiorem Dei gloriam” i contemplativi nell’azione. E poi: la spiritualità salesiana (S. Francesco di Sales), francescana, la devotio moderna (l’Imitazione di Cristo). Confrontandoci con i diversi modelli, potremo confrontare la nostra esperienza spirituale e trovare il nostro posto.

Si comincia coll’esame della spiritualità biblica, ovvero come nelle pagine della Bibbia emerga a relazione tra Dio e l’uomo (tanto che la collana in 13 voll. della Queriniana si apre proprio coi due volumi sulla spiritualità dell’AT e del NT).

DV2 - Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate

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dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.

Nel rivelarsi di Dio – che ci vuol chiamare alla comunione con sé – esiste un profondo intersecarsi tra parole e azioni, l’accadere e l’interpretazione di un evento. È quello che avviene anche nel processo gnoseologico dell’esperienza: un evento viene percepito, poi riempito di senso… Non basta che accada, ma occorre ridirlo per farne emergere il senso. La parola rende evidente ciò che è accaduto e ne manifesta il senso più profondo. La Divina rivelazione non è dunque solo dottrina bensì anche esperienza. È la narrazione dell’incontro tra Dio e l’uomo, non la trasmissione di una dottrina astorica e spersonalizzata. Per cui in essa si possono rinvenire i diversi modi di relazionarsi tra Dio e l’uomo.Ad esempio il doppio racconto della creazione nella Genesi (stesso evento, due percezioni diverse). Oppure Abramo e Giobbe: racconto di due esperienze di relazione con Dio completamente diverse tra loro. O ancora: Isaia, la Vergine Maria, la vocazione di Paolo… Ogni narrazione biblica traccia un possibile incontro tra l’uomo e Dio. La parola completa e rivela il fatto, l’evento. Il vertice di questo incontro si ha nell’incarnazione: in Cristo la divinità assapora la carne, mentre l’uomo tocca la divinità. È una esperienza di incontro che si gioca non a livello intimistico e individuale, bensì comunitario:

1Gv 1 Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita 2 (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), 3 quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo.

L’iniziativa è di Dio.

DV 5 - A Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli «il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa. Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». Affinché poi l'intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.

DV 21 - La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio» (Eb 4,12), «che ha il potere di edificare e dare l'eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).

Le Scritture sono regole della fede nel senso che indicano che cosa credere e come credere.

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Non si può prescindere dal riferimento alla Bibbia se si vuol rinvenire la gamma dei molteplici incontri tra Dio e l’uomo. Nella Scrittura emerge il canone, la norma della nostra esperienza spirituale. Si tratta di esperienze autentiche – quelle della spiritualità successiva – in quanto si rifanno al canone della sacra Scrittura.

Sal 145/61 Alleluia. Loda il Signore, anima mia:2 loderò il Signore per tutta la mia vita, finché vivo canterò inni al mio Dio.3 Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare.4 Esala lo spirito e ritorna alla terra; in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.5 Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio,6 creatore del cielo e della terra, del mare e di quanto contiene. Egli è fedele per sempre,7 rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri,8 il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti,9 il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l'orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi.10 Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione.

Questo salmo apre la raccolta degli ultimi 5 salmi, detti “alleluiatici” (dall’esordio “alleluia”). Il cuore di questa lirica è il v. 10, conclusivo, che canta la regalità di Dio, di cui tutte le generazioni possono fare esperienza. La regalità si esprime in 12 attributi legati ad altrettante azioni divine (creatore… sconvolge) espresse come litania di attenzioni misericordiose di Dio. Una misericordia di cui fa esperienza chi confida nel Signore. Una fiducia che si esprime nella lode che segue il discernimento delle illusorie sicurezze umane. La casa di Giacobbe ha fatto esperienza di questa azione di Dio (liberati nell’esodo o dall’esilio babilonese). C’è quindi una storia di salvezza ben precisa dietro al salmo. Orfani e vedove: le categorie più deboli, per cui Dio è il “goel” (vendicatore). L’orante stesso dice “mio” Dio, ma conclude con “tuo” Dio: lodando il proprio Dio, annuncia e rende possibile anche per gli altri il fidarsi di quel Dio di cui ha sperimentato la misericordia nella vita e nella storia del suo popolo.Questo salmo offre un modello di esperienza spirituale ben preciso: emerge una relazione precisa tra l’orante e Dio (e il popolo). Il criterio per discernere la relazione con Dio è la consapevolezza delle azioni misericordiose con cui Dio ha intessuto la storia del suo popolo, per cui l’orante conclude annunciando la sua esperienza per tutta Sion.

Un altro esempio è quello di Giobbe. Che parla al credente di oggi. C’è una storia a lieto fine – quella di Giobbe – che è un racconto istruttivo tipico di quella area in cui nascono i testi biblici. Ma nel contesto di questa cornice, Giobbe maledice il giorno in cui è nato, giungendo a chiedere “perché?” al Signore: perché la fatica, la sofferenza, l’ingiustizia, la morte… I 3 + 1 amici di Giobbe cercano di giustificare l’agire di Dio. Ma non riescono a persuadere Giobbe che resta fermo nella sua convinzione di innocenza. Ma neanche Dio è convinto da queste loro argomentazioni razionali che, al termine del poema, rimprovera questi interlocutori che cercavano una risposta preconfezionata e valida. Ma anche a Giobbe Dio non dà risposta, presentandosi nella immensità del suo Mistero e ponendo Lui una domanda a Giobbe: “Chi sei tu per osare interrogarmi?”. E Giobbe non può che porsi una mano sulla bocca e dire: “Ho parlato da stolto”. “Prima ti conoscevo per sentito dire, ora so come sei”. Tace, di fronte a un Mistero grandissimo che lo porta al silenzio.(NdA – non credo che sia solo sfoggio di potenza, ma una risposta indiretta: c’è una tale grandezza e un tale ordine, che quello che adesso ti appare disordinato in realtà ha un suo insieme e una sua spiegazione). Accanto a Giobbe – che non offre risposte – potremmo invece affiancare il canone di Apocalisse che rivela una lettura di ordine superiore per rileggere le vicende contemporanee (la persecuzione del tempo e il tendere alla Gerusalemme celeste).

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Mosè non entra nella terra promessa, morendo dopo averla ammirata dal monte Nebo. È punito per non aver dato gloria a Dio quando avrebbe dovuto. Eppure è un profeta quale non ne sorgeranno altri se non uno (Cristo, come ben dice il Vangelo di Giovanni). Mentre nella Terra Promessa entrerà Giosuè.

Anche il NT offre idee di spiritualità biblica. Ad esempio l’esperienza di Paolo dice del rapporto tra la povertà e l’annuncio del Vangelo (tema caro a Papa Francesco e alla sua Evangelii Gaudium).Paolo vive nella bipolarità: di condizione agiata, dispone di denaro personale e altro affidatogli dalla comunità, eppure svolge un lavoro manuale e cerca di essere autosufficiente. Si presenta come uno strumento minimo, umile, desideroso di partecipare della condizione di debolezza e povertà che Cristo ha guardato con predilezione. Ma non esita ad annunciare il Vangelo a tutti. Ad esempio scrive a Filemone, un ricco possidente cui rende lo schiavo Onesimo, invitandolo a considerarlo come un fratello. Anche Aquila e Priscilla che erano fabbricanti di tende non erano dei poveracci ma piccoli imprenditori. Quindi: Paolo sceglie personalmente di stare dalla parte dei poveri, prediletti di Dio, ma non rinuncia ad annunciare il Vangelo anche ai ricchi.

Il Vangelo parla in molti modi della povertà: gli anawim (poveri, umili) sono i poveri spiritualmente e al tempo stesso gli schiacciati: umiliati dalla povertà, hanno l’atteggiamento corretto nei confronti di Dio. Paolo dipende dalla LXX – versione greca della Bibbia – e parla di astenia (mancanza di forza), privazione di risorse, svuotamento di se stessi (tapéinos). Tutti abbiamo lacune e povertà per Paolo, ma alcune povertà di possono scegliere positivamente e personalmente. Una lacuna che verrà riempita dalla grazia di Cristo che si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (2Cor 8, 9).Paolo personalmente è povero, per scelta; è anche ammalato, tribolato, ma tramite questa sua povertà passa una forza superiore che arricchisce tutta la chiesa. Gal 4, 13 – “Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il vangelo”.Lo stato di debolezza lo porta ad arricchire la comunità dell’annuncio del Vangelo.2Cor 11, 7 – “O forse ho commesso una colpa abbassando me stesso per esaltare voi, quando vi ho annunziato gratuitamente il vangelo di Dio?”Ancora una volta lo svuotamento di sé porta ad arricchire del Vangelo la comunità di Corinto, in modo gratuito.

Domenico e Francesco scelgono la povertà ma per motivi diversi: per esser libero nell’annunciare il Vangelo il primo, per somigliare a Cristo il secondo.

1 Cor 9, 12 Se gli altri hanno tale diritto su di voi, non l'avremmo noi di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al vangelo di Cristo. 13 Non sapete che coloro che celebrano il culto traggono il vitto dal culto, e coloro che attendono all'altare hanno parte dell'altare? 14 Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo.Paolo non ha sfruttato il diritto di esser remunerato o mantenuto. Ma vuol esser povero per non intralciare l’annuncio di Cristo (come Domenico). E l’annuncio viene accolto proprio da chi vive la stessa povertà…

1 Cor 1, 27 Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, 28 Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, 29 perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. 30 Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, 31 perché, come sta scritto:Chi si vanta si vanti nel Signore.Questa esperienza della povertà nell’annuncio del Vangelo può esser canone anche per la nostra esperienza di fede.

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IL MARTIRIO

È l’esperienza che accompagna i primi 4 secoli della cristianità e segna la vita di moltissimi cristiani di oggi. E GPII parlava del XX secolo come il “secolo dei martiri”. Anche se quanto accade in questo tempo, agli inizia del XXI, è forse senza precedenti nella storia della chiesa.Non si fa archeologia spirituale ma si cercano gli strumenti per dare senso a quanto capita nella chiesa di oggi. È una esperienza spirituale trasversale alla bimillenaria storia della chiesa. Ed è un’esperienza di ecumenismo del sangue (i cristiani sono uccisi in quanto tali, non perché cattolici, protestanti od ortodossi: la dottrina divide, il sangue unisce).

Martirio, Verginità e Monachesimo sono 3 esperienze spirituali che emergono nei primi 4 secoli di vita della chiesa. Non sono le uniche, ma le più rilevanti. Ma accanto a esse abbiamo il fissarsi del canone delle Scritture (forte esperienza spirituale), il formarsi della vita liturgica (i riti, le feste), il catecumenato; la vita cristiana è alla luce del sole (non vivono nelle catacombe!), benché fortemente perseguitati.

Nella chiesa del II secolo ci sono due tradizioni della Pasqua: quartodecimana (si celebra il 14 di Nisan, a prescindere dal giorno della settimana, secondo il calendario lunario) e lunare-solare (la domenica successiva al plenilunio successivo all’equinozio di primavera). Il confronto tra le due tradizioni favorì la riflessione sulla Pasqua e sulla sua centralità nella spiritualità cristiana. Nonostante le persecuzioni, i vescovi si muovevano, si incontravano (e scontravano), permettendo un arricchimento della vita spirituale della chiesa.

Il MARTIRIO è l’esperienza più significativa dei primi 3 secoli della chiesa. Le persecuzioni sono localizzate nel tempo e nello spazio. Per cui le prime comunità si possono diffondere, arrivando al tempo di Costantino a contare il 10% di popolazione cristiana. Possiedono beni: domus ecclesiae, poi basiliche. Beni che spesso erano colpiti durante le persecuzioni. Ma questo non arresta la corsa del Vangelo nell’Impero. Il testo “Le cause dei santi” (LEV), che introduce alle pratiche della Congregazione, riporta una sintesi del martirio.

Sotto Settimio Severo (193-211) iniziano le restrizioni contro la chiesa quale istituzione riconosciuta, colpendo catecumeni e neofiti.Decio (250-251): estende la restrizione a tutto l’Impero, diffondendo la prima persecuzione generalizzata. Subitanea ed estesa, portò a molti “lapsi” (apostati) a causa della paura. E si pose il problema della riammissione nella comunità. È il tempo di Cipriano e Cornelio. Novaziano è assai intransigente, Cipriano più conciliante. Sotto Decio, muore papa Fabiano e Origene viene torturato.Valeriano (257-260): persecuzione violenta e diretta ai capi delle chiese cristiane. Cipriano, sfuggito a Decio, muore in questa ondata di persecuzioni.Dalle domus ecclesiae (spazi interni alle case private destinate alle riunioni di fedeli) si passa alle basiliche. Queste sono spesso sottoposte a sequestro, sotto Valeriano, per indebolire la comunità cristiana. Diocleziano (303-311): persecuzione violenta come mai prima.

Domiziano (81-96) e Traiano (98-117) vedono pure forti persecuzioni.

Nel martirio si giunge al vertice dell’esperienza spirituale cristiana. Il martire è il discepolo perfetto di Cristo e il martirio è sinonimo di santità cristiana. Il martire per antonomasia è Cristo che è testimone fedele.

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Martyr = testimone.

Nel martirio si imita il Signore attraverso lo spargimento del sangue. Colui che testimonia in modo certo qualcosa che conosce bene. Pian Piano viene ad assumere un significato più specifico.

Negli Atti si trova un esempio di perfetta imitazione, tanto che Luca segue la falsariga della Passione di Cristo: è il martirio di Stefano, primo martire.

Atti 7, 51 O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. 52 Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; 53 voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete osservata».54 All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui.55 Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra 56 e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». 57 Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, 58 lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. 59 E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». 60 Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.

Stefano è davvero l’alter Christus: stesse espressioni usate dal Signore nella Passione, stesso annuncio prima della morte…

Clemente Alessandrino (150-215; esponente della sana gnosi cristiana), tratteggia la figura del vero gnostico, e lo descrive come un martire.

Alcune precisazioni sul concetto di martirio.

La nozione di martirio vigente nelle attuali cause di canonizzazione (il martirio è sufficiente per essere beatificati, mentre per essere “santi” occorre il miracolo)

“martyres non facit poena, sed causa” (S. Agostino): è il principio fondamentale. Non solo come causa efficiente, bensì la causa finale (la fede nel martire, l’odio alla fede nel persecutore). Non basta esser uccisi & cristiani, bensì uccisi perché cristiani. E così pure occorre che chi riceve questa pena, la accolga in una vita di fede.

II.II/Q 124 (S. Tommaso) – l’amore è la motivazione fondamentale per il martirio, che diventa un dono della propria vita, il bene più prezioso. È ovvio che c’è la paura, ma la forza interiore deriva dalla grazia del Signore. Quindi chi si offre volontario, raramente arriva fino in fondo. È Dio che dona “agli inermi la forza del martirio”. Non si tratta di eroi, ma di innamorati.E di fronte a una simile esperienza così radicale non occorre indagare l’esercizio eroico delle virtù cristiane, poiché il martirio è accoglienza estrema e radicale della grazia del martirio che copre una moltitudine di peccati. Grazia che il Signore accorda a chi comunque già sta seguendo un cammino di perfezione cristiana.

NdA - La consapevolezza del martirio è fondamentale, al punto che non si può definire “martire” in bimbo abortito, nella misura in cui non si conosce la possibilità che questi ha di corrispondere nella fede alla persecuzione scatenata contro di lui (per odio alla fede? O alla vita?)

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Maria Goretti ha vissuto la sua esistenza da innamorata di CristoBenedetto XIV scrive un’opera che resta un riferimento imprescindibile per le “cause dei santi”, redatta quando ancora è Prospero Lambertini. Definisce il martirio come la morte volontariamente accettata per la fede o per l’esercizio di un’altra virtù in rapporto con la fede.Maria Goretti non era minacciata nella fede ma nella castità, virtù legata alla fede. Così mons. Romero, ucciso per il suo impegno in favore dei poveri, virtù che esercitava perché cristiano.E forse anche Massimiliano Kolbe, imprigionato in quanto sacerdote ma ucciso perché offertosi in luogo di un compagno di prigionia.San Giovanni Nepomuceno, sacerdote di Praga, buttato nel fiume per non aver voluto svelare il contenuto di una confessione.Ancora: san Giosafat, ucciso perché come vescovo cattolico nel XVI secolo portava ortodossi a farsi cattolici.

Quindi il MARTIRIO è definito da due elementi fondamentali:- Testimonianza pubblica in favore di Cristo- Morte volontariamente accolta per confermarla (pur avendo paura, la si accoglie

interiormente)

Ci sono moltissimi testi che possono esser una base per la teologia del martirio.

Figura centrale è sant’Ignazio di Antiochia, la cui Lettera alla Chiesa di Roma è un trattato sulla spiritualità del martirio. Esprime come la seconda generazione cristiana accolse il martirio.Ancora: gli Atti dei martiri, che paiono una copia di atti giudiziari e interrogatori dell’autorità pubblica contro i cristiani. Documenti che venivano conservati e dovevano esser in parte pubblici, visto che i fedeli potevano attingervi, rimaneggiarli, farne memorie e letture anche per le altre comunità. Di altro valore sono le Passioni dei martiri, più tardivi, redatti interamente dai cristiani per narrare il martirio dei loro compagni. Il racconto si lega interamente alla interpretazione teologica. NON sono racconti inventati – come le Leggende dei martiri, assai posteriori, redatte a scopo edificante – ma riletture teologico-spirituali di eventi reali. Le Passioni sono importanti perché ci fanno capire come il martirio fosse vissuto dalle prime comunità cristiane.Infine, le Esortazioni al martirio: testi in cui i pastori della chiesa propongono al popolo cristiano una lettura degli eventi per prepararli a vivere la grazia del martirio.

Studiando tutte queste fonti, si evidenziano alcune dinamiche spirituali proprie del martirio come luogo in cui si concentra tutta l’esperienza della spiritualità cristiana. Anzitutto il M è un DONO, una chiamata, espressione di una particolare grazia di Dio. Come ogni dono, può esser accolto, ma non preteso. Il martire non ricerca il martirio, ma ne accoglie la grazia.(Cipriano fu molto criticato perché si nascose durante le persecuzioni, ma il Vangelo dice di fuggire se in una città ti perseguitano…).

Non tutti i martiri muoiono nel circo, con le belve. Bensì per decapitazione. Poi le leggende contribuiscono a costruire il racconto del martirio che verrà poi diffuso nella comunità.

Il martire non cerca la morte, ma cerca Cristo e la perfetta comunione con Lui, il vivere l’ESPERIENZA DI CRISTO.

1. Anzitutto con il martirio si giunge alla perfetta somiglianza con Cristo, che è il senso di tutta la vita cristiana. Ignazio dirà che inizierà a diventare perfetto discepolo di Cristo solo nel momento del martirio, diffidando di se stesso e fidandosi unicamente di Cristo, desidero si assomigliargli perfettamente. Lui, vescovo dell’Oriente, giunge in Occidente. Viene da dove

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sorge il Sole di giustizia che è venuto a visitarci dall’alto (Cristo) e conclude la sua vita dove il sole tramonta. Ed esorta i suoi a non ascoltarlo, in futuro, se dovesse chiedere di esser liberato. Sa benissimo che se la grazia di Cristo non lo sostenesse, rischierebbe di non farcela fino alla fine.

2. Il martirio è poi esperienza di Cristo perché è vera esperienza mistica poiché il martire è consapevole che nel momento della prova sarà Cristo a soffrire con lui e in lui.Felicita partorisce il figlio in carcere, urlando di dolore. E ai carcerieri che la biasimano, preventivandole sofferenze ben peggiori nell’arena con le belve, lei replica adesso soffro io, allora soffrirà Lui per me e con me.

L’esperienza è la perfetta CONFORMAZIONE a Cristo.“Imprimi in me Signore la tua divina somiglianza” (S. Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto)“Fa’ che io ti rassomigli” (S. Teresina).

Ancora: il M è TESTIMONIANZA al mondo, ma ancor prima alla Chiesa per confermare l’identità del cristiano. Non testimoniano Cristo di fronte al mondo che non crede, ma anzitutto nella Chiesa e per la Chiesa. Attorno alle tombe dei martiri sorgeranno infatti i primi luoghi di culto cristiani. E si cercherà di avere sotto ogni altare la tomba di un martire. Cosa che porta alla pratica di mettere almeno le reliquie di un martire nell’altare in cui verrà celebrata l’eucaristia.

Quarto aspetto: martirio & EUCARISTIA. Tramite i diaconi, l’eucaristia era portata nelle carceri, dove i futuri martiri aspettavano il momento della suprema testimonianza. Ignazio interpreta il suo martirio come il divenire “pane puro di Cristo, macinato dai denti dei leoni”, quindi eucaristia perfetta. Il racconto di san Policarpo di Smirne si conclude presentandone la morte come ultima eucaristia celebrata dal pastore di quella comunità. La preghiera elevata prima del martirio ha il sapore del Prefazio, la preghiera che precede la commemorazione dell’ultima cena nella Messa. Non si tratta di una eucaristia rituale ma esistenziale, per cui pronuncia il prefazio sulla propria vita. Lo stesso corpo del martire, mentre brucia sul rogo, viene visto assomigliare a un pane cotto in un forno. C’è una significativa rilettura teologica: dalla pira non esce odore di carne bruciata, bensì di pane cotto nel forno. Riflesso della catechesi che il pastore aveva tenuto alla sua comunità in cui viene redatta la testimonianza del suo martirio. Eucarestia = sacramento dell’amore di Dio. Si tratta di un sacramento dell’àgape, cioè dell’amore vissuto in pienezza.Ben presto esso verrò considerato un vero battesimo per i catecumeni e un secondo battesimo per i fedeli.

Questi principi teologici emergenti nella chiesa antica ci aiutano a comprendere quanto accade nella chiesa odierna, soggetta a persecuzioni senza precedenti.

Leggiamo ora alcuni testi.

Dalla Passione di Perpetua e Felicita (attribuita a Tertulliano). Si tratta di un racconto che risente dunque della elaborazione della comunità cristiana, che reinterpreta teologicamente il fatto.

15. In quanto poi a Felicita le fu riserbata dal Signore questa grazia. Essendo essa all’ottavo mese (che, quando l’arrestarono era incinta), e avvicinatosi ormai il giorno dello spettacolo, era in grande passione per timore che ella a cagione del suo stato non fosse rimandata ad altra volta, non essendo permesso offrire all’arena a supplizio le incinte; così che le fosse poi toccato di versare il suo sangue innocente insieme con delinquenti. Anche i compagni di martirio si affliggevano assai, nel dubbio di dover lasciare una compagna così valente e quasi loro guida, indietro da sola nella via di raggiungere la loro medesima speranza. Pertanto

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sul fare del terzo giorno prima dello spettacolo, con le lacrime unanimi e concordi fecero orazione dinanzi al Signore. Tosto finita l’orazione, Felicita fu sorpresa dalle doglie; e poiché, stentando, dolorava nel parto, per la naturale difficoltà dell’ottavo mese, uno dei soldati sorveglianti del carcere le disse: ‘O tu che ora patisci tanto strazio, che farai quando verrai gettata in pasto a quelle belve che disprezzasti rifiutando di sacrificare?’ E quella rispose: ‘Ora sono io che devo sopportare questi strazi; quivi invece vi sarà dentro di me un altro, il quale patirà per me, perché anch’io mi dispongo a patire per lui’. Così Felicita mise alla luce una bambina, la quale fu allevata come figlia da una sorella di fede.

Dagli Atti del martirio di Giustino e compagni, testo più essenziale e aderente ai fatti

Il prefetto Rustico chiese: Dove vi riunite?Giustino rispose: Dove ognuno preferisce e può, poiché senza dubbio ti immagini che tutti noi ci riuniamo nello stesso luogo. Ma non è così, poiché il Dio dei cristiani non è circoscritto in un solo luogo, ma che essendo invisibile, riempie il cielo e la terra e dovunque è adorato e glorificato dai fedeli.Il prefetto Rustico disse: Dimmi dove vi riunite, voglio dire, in quale luogo ti riunisci con i tuoi discepoli?Giustino rispose: Io vivo insieme ad un certo Martino, nel bagno di Timiolino. E questa è stata la mia residenza tutto il tempo che sono stato questa seconda volta a Roma. Non conosco nessun altro luogo di riunioni, tranne questo. Lì, se qualcuno voleva venire a vedermi, io gli comunicavo le parole della verità.Il prefetto Rustico disse: Dunque, in definitiva, sei un cristiano?Giustino rispose: Sì, sono cristiano.Il prefetto Rustico disse a Cariton: Di’ tu ora, Cariton, anche tu sei cristiano?”Cariton rispose: Sono cristiano per impulso di Dio.(E così chiede a tutti i suoi compagni)Il prefetto Rustico disse: Così, quindi, riassumendo, ti immagini che hai da salire nei cieli a ricevere lì non so quali buone ricompense?Giustino rispose: Non me lo immagino, ma lo so per scienza certa, e di ciò ho piena certezza.Il prefetto Rustico disse: Veniamo ora alla questione proposta, alla questione necessaria e urgente. Mettetevi, dunque, insieme, e all'unanimità sacrificate agli dei.Giustino disse: Nessuno che è sano di mente passa dalla pietà all'empietà.Il prefetto Rustico disse: Se non obbedirete, sarete inesorabilmente castigati.Giustino disse: Il nostro desiderio più ardente è di soffrire per amore di nostro Signore Gesù Cristo per salvarci, poi questa sofferenza si convertirà in motivo di salvezza e di fiducia davanti al tremendo ed universale tribunale del nostro Signore e Salvatore.Nello stesso modo parlarono gli altri martiri: Fai quello che vuoi, perché siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli.Il prefetto Rustico pronunciò la sentenza, dicendo: "Coloro che non hanno voluto sacrificare agli dèi né obbedire al mandato dell'imperatore, siano, dopo essere frustati, condotti al supplizio, soffrendo la pena capitale, conforme alle leggi".I santi martiri glorificando Dio, salirono al luogo solito, e, decapitati, consumarono il loro martirio nella confessione del nostro Salvatore. Ma alcuni dei fedeli presero di nascosto i corpi di essi e li collocarono in un luogo adatto, cooperando con essi la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Dal Martirio di San Policarpo

Fermo sulla piraXIII, 1. Questo fu più presto fatto che detto; subito la folla si mise a raccogliere legna e frasche dalle officine e dalle terme. Soprattutto i giudei con più zelo, come è loro costume, si diedero da fare in questo. 2. Quando il rogo fu pronto, deposte le vesti e sciolta la cintura incominciò a slegarsi i calzari, cosa che precedentemente non faceva, perché ogni fedele si affrettava a chi prima riuscisse a toccargli il corpo. Per la santità di vita era venerato prima del martirio. 3. Subito furono apprestati gli attrezzi necessari per il rogo. Mentre stavano per inchiodarlo egli disse: "Lasciatemi così. Chi mi dà la forza di sopportare il fuoco mi concederà anche, senza la vostra difesa dei chiodi, di rimanere fermo sulla pira".

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La preghiera di PolicarpoXIV, 1. Non lo inchiodarono ma lo legarono. Con le mani dietro la schiena e legato come un capro scelto da un grande gregge per il sacrificio, gradita offerta preparata a Dio, guardando verso il cielo disse: "Signore, Dio onnipotente Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio, per il cui mezzo abbiamo ricevuto la tua scienza, o Dio degli angeli e delle potenze di ogni creazione e di ogni genia dei giusti che vivono alla tua presenza. 2. Io ti benedico perché mi hai reso degno di questo giorno e di questa ora di prendere parte nel numero dei martiri al calice del tuo Cristo per la risurrezione alla vita eterna dell’anima e del corpo nella incorruttibilità dello Spirito Santo. In mezzo a loro possa io essere accolto al tuo cospetto in sacrificio pingue e gradito come prima l’avevi preparato, manifestato e realizzato, Dio senza menzogna e veritiero. 3. Per questo e per tutte le altre cose ti lodo, ti benedico e ti glorifico per mezzo dell'eterno e celeste gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio, per il quale sia gloria a te con lui e lo Spirito Santo ora e nei secoli futuri. Amen".

(Il tono eucaristico introduce la preghiera a mo’ di Prefazio di Policarpo).

Un profumo come di incensoXV, 1. Appena ebbe alzato il suo Amen e terminato la preghiera, gli uomini della pira appiccarono il fuoco. La fiamma divampò grande. Vedemmo un prodigio e a noi fu concesso di vederlo. Siamo sopravvissuti per narrare agli altri questi avvenimenti. 2. Il fuoco, facendo una specie di voluta, come vela di nave gonfiata dal vento, girò intorno al corpo del martire. Egli stava in mezzo, non come carne che brucia ma come pane che cuoce, o come oro e argento che brilla nella fornace. E noi ricevemmo un profumo come di incenso che si alzava, o di altri aromi preziosi.

LETTERA AI ROMANI di IGNAZIO DI ANTIOCHIA

Lettera ai RomaniSalutoIgnazio, Teoforo, a colei che ha ricevuto misericordia nella magnificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo suo unico figlio, la Chiesa amata e illuminata nella volontà di chi ha voluto tutte le cose che esistono, nella fede e nella carità di Gesù Cristo Dio nostro, che presiede nella terra di Roma, degna di Dio, di venerazione, di lode, di successo, di candore, che presiede alla carità, che porta la legge di Cristo e il nome del Padre. A quelli che sono uniti nella carne e nello spirito ad ogni suo comandamento piene della grazia di Dio in forma salda e liberi da ogni macchia l'augurio migliore e gioia pura in Gesù Cristo, Dio nostro.Incatenato in Gesù CristoI,1. Dopo aver pregato Dio ho potuto vedere i vostri santi volti ed ottenere più di quanto avevo chiesto. Incatenato in Gesù Cristo spero di salutarvi, se è volontà di Dio che io sia degno sino alla fine. 2. L'inizio è facile a compiersi, ma vorrei ottenere la mia eredità senza ostacoli. Temo però che il vostro amore mi sia nocivo. A voi è facile fare ciò che volete, a me è difficile raggiungere Dio se non mi risparmiate.L'altare è prontoII,1. Non voglio che voi siate accetti agli uomini, ma a Dio come siete accetti. Io non avrò più un'occasione come questa di raggiungere Dio, né voi, pur a tacere, avreste a sottoscrivere un'opera migliore. Se voi tacerete per me, io diventerò di Dio, se amate la mia carne di nuovo sarò a correre . 2. Non procuratemi di più che essere immolato a Dio, sino a quando è pronto l'altare, per cantare uniti in coro nella carità al Padre in Gesù Cristo, poiché Iddio si è degnato che il vescovo di Siria, si sia trovato qui facendolo venire dall'oriente all'occidente. È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui.Il cristianesimo odiato dal mondoIII,1. Non avete mai insediato nessuno, avete insegnato agli altri. Desidero che resti fermo ciò che avete insegnato. 2. Per me chiedete solo la forza interiore ed esteriore, perché non solo parli, ma anche voglia, perché non solo mi dica cristiano, ma lo sia realmente. Se io lo sono potrei anche essere chiamato e allora essere fedele quando non apparirò al mondo. 3. Niente di ciò che è visibile è buono. Dio nostro Signore Gesù Cristo essendo nel Padre si riconosce maggiormente. Non è opera di persuasione ma di grandezza il cristianesimo, quando è odiato dal mondo.Sono il frumento di DioIV,1. Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo

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delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. 2. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. 3. Non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi io a tuttora uno schiavo. Ma se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui. Ora incatenato imparo a non desiderare nulla.Raggiungere il CristoV,1. Dalla Siria sino a Roma combatto con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, il manipolo dei soldati. Beneficati diventano peggiori. Per le loro malvagità mi alleno di più "ma non per questo sono giustificato". 2. Potessi gioire delle bestie per me preparate e m'auguro che mi si avventino subito. Le alletterò perché presto mi divorino e non succeda, come per alcuni, che intimorite non li toccarono. Se incerte non volessero, le costringerò. Perdonatemi, so quello che mi conviene. 3. Ora incomincio ad essere un discepolo. Nulla di visibile e di invisibile abbia invidia perché io raggiungo Gesù Cristo. Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché voglio solo trovare Gesù Cristo.Imitare la passione del CristoVI,1. Nulla mi gioverebbero le lusinghe del mondo e tutti i regni di questo secolo. È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. 2. Perdonatevi fratelli. Non impedite che io viva, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo né seducete con la materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che riceva la luce pura; là giunto sarò uomo. 3. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio. Se qualcuno l'ha in sé, comprenda quanto desidero e mi compatisca conoscendo ciò che mi opprime.L'amore crocifissoVII,1. Il principe di questo mondo vuole rovinare e distruggere il mio proposito verso Dio. Nessuno di voi qui presenti lo assecondi. Siate piuttosto per me, cioè di Dio. Non parlate di Gesù Cristo, mentre desiderate il mondo. Non ci sia in voi gelosia. 2. Anche se vicino a voi vi supplico non ubbiditemi. Obbedite a quanto vi scrivo. Vivendo vi scrivo che bramo di morire. La mia passione umana è stata crocifissa, e non è in me un fuoco materiale. Un'acqua viva mi parla dentro e mi dice: qui al Padre. 3. Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David e come bevanda il suo sangue che è l'amore incorruttibile.Scrivo secondo la mente di DioVIII,1. Non voglio più vivere secondo gli uomini. Questo sarà se voi lo volete. Vogliatelo perché anche voi potreste essere voluti da Lui. Ve lo chiedo con poche parole. 2. Credetemi, Gesù Cristo vi farà vedere che io parlo sinceramente; egli è la bocca infallibile con la quale il Padre ha veramente parlato. 3. Chiedete per me che lo raggiunga. Non ho scritto secondo la carne, ma secondo la mente di Dio. Se soffro mi avete amato, se sono ricusato, mi avete odiato.CongedoIX,1. Ricordatevi nella vostra preghiera della Chiesa di Siria che in mia vece ha Dio per pastore. Solo Gesù Cristo sorveglierà su di essa e la vostra carità. 2. Io mi vergogno di essere annoverato tra i suoi, non ne sono degno perché sono l'ultimo di loro e un aborto. Ma ho avuto la misericordia di essere qualcuno, se raggiungo Dio. 3. Il mio spirito vi saluta e la carità delle Chiese che mi hanno accolto nel nome di Gesù Cristo e non come un viandante. Infatti, pur non trovandosi sulla mia strada fisicamente mi hanno preceduto di città in città.X,1. Questo vi scrivo da Smirne per mezzo dei beatissimi efesini. Con me tra molti altri vi è Croco, nome a me caro. 2. Credo che voi conoscerete coloro che mi hanno preceduto dalla Siria a Roma nella gloria di Dio. Avvertiteli che sono vicino. Tutti sono degni di Dio e di voi: è bene che li confortiate in ogni cosa. Vi scrivo nove giorni prima delle calende di settembre. Siate forti sino alla fine nell'attesa di Gesù Cristo.

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Ignazio d’Antiochia sa che essere cristiano significa vivere il martirio, scomparendo al mondo (come il monachesimo medioevale intenderà fare con la fuga mundi)

“Ascesi” è la fatica che il cristiano mette per raggiungere la pienezza della vita cristiana, facendo corrispondere il proprio impegno al dono di Dio. Questa esperienza emerge nella lettera ai Romani di sant’Ignazio di Antiochia. Le grandi scelte vocazionali – quelle sacerdotali come quelle matrimoniali – sono vissute come opportunità per raggiungere la pienezza della vita cristiana, ma costano la fatica di tendere alla “forma” nuova che Cristo ci dona nel battesimo e perfeziona con la vocazione personale donata a ognuno. Ogni scelta di vita spirituale contiene in sé dunque una parte del Martirio, come fatica e uniformità.

Emerge pure la tensione escatologica. Mentre in San Paolo (Corinzi, Tessalonicesi) emerge una dimensione escatologica “a breve”, in cui si attende il ritorno di Gesù, ecco che adesso, nella seconda generazione cristiana, i martiri sono consapevoli che saranno loro a raggiungere Dio, invece che esserne raggiunti in questo mondo.

Così è anche per noi: sappiamo di essere in attesa di Cristo che verrà alla fine dei tempi, ma al tempo stesso sappiamo che siano protesi a raggiungerlo (nell’ultimo giorno della nostra vita).In II.1 emerge la consapevolezza di diventare “parola vivente” di Dio (se i suoi amici taceranno e lo lasceranno al martirio), diversamente rimarrebbe un semplice suono. Solo assomigliando al Verbo nel martirio si può sperare di esser Parola vivente di Dio. Così pure i monaci vivranno il desiderio di diventare Parola vivente di Dio, ruminando continuamente la parola di Dio!

In IV.1 leggiamo la dimensione escatologica e anche quella cultuale del martirio di Ignazio che parla di sé come frumento di Dio che viene macinato dai denti delle belve per diventare pane di Cristo. Anche la Didaché parla della eucaristia come pane formato da molti chicchi di grano e del vino come unica bevanda da molti acini d’uva…

In V.III e in IX.2 si parla ancora del raggiungere Cristo.

L’atto di culto non è solo in IV.1 ma anche in II.2, laddove si parla della liturgia che accompagnerà il sacrificio del suo martirio. In particolare con riferimento al ciclo del sole che tramonta e risorge.

Il martirio è altresì un combattimento, una lotta, legato alla dimensione della ascesi: un tema biblico e paolino in particolare, come nella lettera agli Efesini in cui si dice che bisogna prepararsi a lottare per la fede…

Il martirio è poi momento di nascita in Cristo: cerca colui che è morto per noi e vuole colui che è risorto per noi. Non si cerca dunque la morte, ma Cristo.

Ancora: il martirio è imitazione di Cristo (VI.3). Si tratta di un ripetere l’esperienza di Cristo, mentre la sequela è una partecipazione al mistero stesso (un passo oltre, dunque).

Emerge poi la memoria di una forte esperienza mistica di stampo trinitario (VII.2). Sente in sé “l’acqua viva”, cioè lo Spirito che parla dentro di Lui e lo invita a venire al Padre, di cui non si può parlare senza riferirsi anche al Figlio. È il primo testo in cui si tratteggia una simile esperienza mistica.

Infine, in VII.3 un richiamo all’eucaristia esplicito: “voglio il pane di Dio”.

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IL MONACHESIMO

È la seconda forma di esperienza spirituale, accanto al martirio e prima della verginità.Parliamo del monachesimo nella chiesa antica, diverso da quello medievale inaugurato da Benedetto, cerniera tra le due età del monachesimo.Tralasciamo l’esperienza del monachesimo episcopale, ad esempio quello di Eusebio vescovo di Vercelli che raccolse attorno a sé i presbiteri e strutturò le chiese piemontesi. Anche Benedetto XVI ne ha trattato in una sua catechesi. Un altro esempio eccellente è Martino di Tours monaco divenuto vescovo e che fu il primo santo della chiesa venerato come tale senza esser martire. Ancora: Cesario di Arles, attorno al quale si forma un cenobio di presbiteri…

Soffermiamoci invece sul monachesimo come movimento spirituale che nasce dal 250 dC in Egitto e in Asia Minore. L’Egitto fu la culla del monachesimo antico, vera e propria colonna della chiesa. “Monos” significa “solo”, “uno”, intese come il solo alla ricerca solo dell’Uno. Ma si può anche riferire alla monotropia, cioè alla ricerca di unificazione interiore. Sono infatti i primi, i monaci, a indagare sulla psicologia dell’uomo. Sulla cristianità grava ancora il peso della persecuzione, dunque il monachesimo non nasce come risposta alla mancanza di fervore originario conseguente all’esser ormai il cristianesimo diventato religione di stato (inizio secolo IV). Certo, il monachesimo contribuirà al rinnovamento della vita spirituale della chiesa, eppure le origini del monachesimo sono precedenti l’editto di Milano (313). Inoltre, se il monaco si fosse “opposto” a una chiesa ormai mondanizzata, non si capisce perché uno dei vescovi più inserito nelle tensioni chiesa/impero (Atanasio) abbia fatto conoscere la storia dell’iniziatore del monachesimo antico (Antonio). In Asia Minore il monachesimo nasce addirittura per iniziativa di ecclesiastici (Basilio) che suscitano questa esperienza, ne scrivono la regola e la incoraggiano per rinnovare la chiesa. È un fenomeno dunque variegato e complesso. Ma che non può esser ridotto alla “reazione” alla statalizzazione della fede cristiana. Né si può assimilare questa esperienza così specifica al monachesimo buddista o ebraico (Qumran, gli Esseni). Grazie agli scritti di Filone sappiamo anche di un gruppo di filosofi che vivevano nella ricerca della verità (terapeuti), come pure i Pitagorici… Antonio nasce intorno al 250 dC.Con il cessare delle persecuzioni è fuori discussione che il monaco prende il posto del martire nel testimoniare l’assoluto primo posto di Cristo nella vita del credente. Clemente Alessandrino chiamava “vero martirio” la vita di quanti cercavano di vivere la piena fedeltà nel vivere i precetti del Signore. Da subito si vede dunque nel monaco il “nuovo martire”. Così infatti lo stesso Atanasio presenta la vita del monaco Antonio come un martirio della coscienza. La vita di Antonio fu lunghissima (250-356 dC) e gli permise di vede l’ultima persecuzione che colpì la chiesa di Alessandria.

I monaci continuano a testimoniare una vita cristiana in cui il credente non è “del mondo” pur essendo “nel mondo”.Anche Antonio, che da bambino dovette vivere ai margini perché obbligato a causa della sua vita, da grande sceglierà di stare ai limiti del mondo in maniera volontaria.Atanasio usa la figura di Antonio per sottolineare la fede di Nicea: se il Verbo non fosse Dio, come avrebbe potuto rendere così spirituale la vita di Antonio, indirizzandola alla sola ricerca di Dio?

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Il monachesimo si radica sulla rinuncia al matrimonio e sulla proposta delle verginità in vista del Regno (proposta messa in evidenza dalla predicazione e dallo stile di vita di Gesù), per ripetere la forma di vita degli apostoli, chiamati da Gesù a vivere per sempre con Lui. Quindi il monachesimo ripropone anche la forma della vita apostolica e delle prime comunità cristianeQuindi: VERGINITA’ + VITA APOSTOLICA + IMITAZIONE DELLE PRIME COMUNITA’ CRISTIANE

Il beato Columba Marmion è ad esempio autore di “Cristo ideale del monaco”, in cui si comprende come la motivazione di fondo del monachesimo siano anzitutto cristologiche. Come il martire non cerca la morte bensì Cristo, così il monaco nella sua esperienza di anacoresi o separazione dal mondo non cerca la solitudine fine a sé stessa ma cerca Cristo.

FONTI del monachesimo primitivo.“Vita di Antonio” del vescovo Atanasio. In un esilio, Atanasio stette lungo tempo a Treviri e la fece conoscere.“Vita di Pacomio” – esempio di vita cenobitica“Apoftegmi dei padri del deserto” (Apoftegma Patrum) – raccolta dei detti e delle parole dei monaci del deserto. Ne possediamo due raccolte: una alfabetica (i nomi dei padri del deserto sono ordinati per alfabeto, per cui il primo è “Antonio”, e a ognuno sono attribuiti detti e parole), una sistematica (raccolta ordinata per grandi temi).Infine, la “Storia lausica di Palladio”, che racconta la storia di alcuni padri attorno ai quali si formarono piccole comunità di monaci.

Monachesimo ANACORETICO è quello in cui il monaco vive da solo e distante da tutto e da tutti; non si tratta di esser autocefali o autoreferenziali: si vive una certa forma di fraternità spiritualità, poiché i monaci si prestano il prezioso servizio della “direzione spirituale”. Ogni monaco aveva infatti il suo “Abbà” o “padre”, cioè la guida spirituale che poteva esser una figura carismatica eccezionale (Antonio) attorno a cui si radunavano (spiritualmente) diversi monaci.L’abitudine era quella di abitare in un luogo dove nessuno fosse visto dagli altri, mantenendo adeguate distanze ma con almeno barriere visive che impedissero anche solo il contatto oculare, per preservare la perfetta anacoresi.

Il monachesimo CENOBITICO prevede invece la condivisione della casa, degli spazi, delle regole di vita. Le forme di esperienza attuale sono cenobitiche, mentre restano alcune forme eremitiche (ad esempio tra i camaldolesi o i certosini).

Antonio è prototipo del monaco anacoreta, che si sente legato solo all’Abbà, la figura dell’anziano carismatico, senza alcun ruolo istituzionale. Antesignano di quella figura che nell’occidente cristiana verrà definito “direttore spirituale”. La regola fondamentale della direzione spirituale era una sola: che ogni giorno ogni monaco potesse raccontare i propri pensieri a un altro monaco, l’Abbà cui ci si rivolgeva dicendo “Abbà, dimmi una parola”, e questa parola arrivava, profumando di Parola di Dio senza però doverla – salvo casi rarissimi – citare direttamente. Erano così intrisi di Parola di Dio che non potevano che “dirla” anche senza citarla.

Pacomio, più giovane di Antonio di una trentina d’anni ma a lui contemporaneo, originario del deserto alessandrino d’Egitto, è iniziatore del monaco cenobita. Rinuncia al matrimonio per il regno dei Cieli e raduna attorno a sé alcuni monaci. La prima esperienza sarà però fallimentare poiché non aveva chiesto l’obbedienza. Tutti scaricavano su quella persona problemi e necessità e dunque Pacomio più che la guida era preso per servo di tutti. Quindi congeda tutti e riparte da capo,

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chiedendo a tutti che obbediscano in modo fermo alla sua persona, così da rifuggire l’anarchia e la dispersione, garantendo la disciplina comune.Scrive una regola in cui la figura dell’Abbà oltre al ruolo carismatico inizia ad assumere anche quello istituzionale. Si distingue così tra foro interno (la coscienza) e il foro esterno (la vita comunitaria), che oggi si precisa NON debbano essere affidate alla stessa persona (così il Rettore del seminario non può essere anche Direttore Spirituale). La separazione oggi vigente non era invece praticata in Occidente, dove l’Abate (Abbà) era garante della dimensione carismatica e di quella istituzionale al tempo stesso.Solo evolvendosi il monachesimo in Occidente avremo una struttura più sistematica di questa esperienza di vita (regola di san Benedetto).

La vita del monaco – cenobitica o anacoretica – era scandita dalla ruminatio della Parola di Dio per arrivare alla preghiera continua. Gli animali ruminanti ingoiano il cibo e poi lo masticano e rimasticano di continuo; similmente il monaco doveva ascoltare la Parola di Dio e poi ripeterla dentro di sé fino a incontrare Dio nello stato di preghiera continua. Poteva anche essere una parola sola, che andava però ripetuta instancabilmente per incontrare Dio.

La preghiera del cuore o del Nome di Gesù– “Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore” – non è una ripetizione che ripieghi su di sé, bensì apre a Cristo e al suo amore. È la tradizione esicastica orientale.

A furia di leggere la Scrittura, il monaco finiva quasi per impararla a memoria. Cosa necessaria, visto che non era scontato né saper leggere né possedere un testo per la lettura. Il monaco finisce così per diventare “Parola di Dio”, come già Ignazio che si appresta al martirio…L’unica Parola che ascoltano è quella di Dio, rifuggendo ogni altra cultura. Questa sì è la scelta controcorrente che il monachesimo d’Egitto pratica, scegliendo appunto di rifiutare il rapporto e il contatto (mondano) con qualsiasi forma di cultura. Invece, solo Parola di Dio e lavoro manuale (rifuggendo ogni lavoro intellettuale). Diverso sarà per il monachesimo dell’Asia Minore, che invece privilegia il lavoro intellettuale, fino ai padri cappadoci che fanno riferimento alla ricerca teologica di Origine, ricerca culturalmente molto forte.

ANTONIO – l’esperienza spirituale

La fonte è la vita scritta da Atanasio. I due si conoscevano e stimavano.Lunghissima vita (250-356) che va dalle persecuzioni di Decio e l’editto dell’imperatore Gallieno (260) che rende ai cristiani luoghi di culto e proprietà private precedentemente sequestrate. Qui inizia la vita di Antonio, in una relativa tranquillità.

Antonio sceglie di vivere isolato per amore di Cristo, come da bambino era stato costretto perché membro di famiglia cristiana benestante colpita dalla persecuzione di Decio. Restituitigli i beni di famiglia, rimasto orfano con una sorella, incontra la Parola di Dio che lo spinge a dare via ogni bene per incontrare il solo Cristo. Entra in chiesa mentre viene proclamato il testo del giovane ricco che gli tocca il cuore e lo porta alla progressiva spoliazione di tutto.

Atanasio parla di 4 momenti ben precisi: (1) scelta di vendere tutto come gli apostoli per dedicarsi alla vita ascetica fuori dal suo villaggio, dopo aver affidato la sorella a donne di sua conoscenza; (2) quindi sente l’esigenza di lasciare gli altri, per ritirarsi in una tomba e lottare contro il demonio, come Cristo tentato dal diavolo nel deserto; (3) si spinge poi nel deserto, in un fortino abbandonato, per circa vent’anni; inizia a esser una figura conosciuta; (4) la gente sa di poter trovare in lui un riferimento per la sua vita spirituale e decide di forzare la mano: buttano giù la porta del fortino e

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vogliono farne la loro vita spirituale; divenuto anthropòs pneumatikos, inizia il periodo più fecondo per la vita di Antonio, segnato dalla sua paternità spirituale. Non è Antonio che si propone come padre spirituale, ma sono gli altri che glielo domandano. Dinamica fondamentale anche per l’oggi. La paternità/maternità spirituale non si lega al sacerdozio o alla consacrazione religiosa, né alcuno può arrogarsi il diritto di dire una parola di vita a uno che non l’abbia richiesta!Unico desiderio: vivere una assoluta ricerca di Cristo.Visse così il martirio della coscienza dedicandosi alla paternità spirituale.

Perché il deserto e perché la tomba? Perché la tradizione biblica dice che il demonio abitava luoghi deserti e le tombe (indemoniato di Gerasa). Volendo cercare Cristo nella lotta, sa che deve seguirne i passi e affrontare il demonio che gli appare sotto forma di bestie orribili. Il riferimento è agli affreschi tombali dell’Egitto, cioè i mostri e gli animali che rappresentano le diverse divinità egizie. Sant’Antonio è rappresentato col maiale che nella tradizione biblica è un animale impuro e dunque sta per lo spirito impuro. Gli animali esprimono gli istinti bestiali che agitano l’animo di ogni individuo.

La vita nel deserto è una sfida: si impara a conoscere se stessi, poiché nella solitudine e nel silenzio emerge il nostro vero io, poiché nell’a-tu-per-tu con Dio emerge ciò che Dio pensa di noi. È nel silenzio che emerge l’uomo vecchio che – dice san Paolo – si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Queste tensioni interiori che emergono come segno dell’uomo vecchio che va corrompendosi sono analizzate da Evagrio Pontico. Dall’altra parte, emerge però anche l’uomo nuovo, creato nella santità e nella giustizia da Dio. Il vero io è dunque l’uomo nuovo, l’uomo secondo il pensiero/progetto di Dio.

Vent’anni nel deserto possono portare alla follia (mancanza di comunicazione con altri), oppure l’accidia, cioè la noia spirituale. Antonio infatti ha solo la Bibbia da leggere e la preghiera. Ecco perché gli viene consegnato il precetto dell’alternanza di preghiera e lavoro manuale. Questo allontana il rischio della accidia spirituale e dona equilibrio interiore. Essenziale è alternare alla preghiera del lavoro però manuale, non intellettuale, per “staccare” e diversificare le attività.

Nel “Trattato pratico sulla vita monastica” (Pratikon) di Evagrio Pontico si legge (nr. 12) che il demonio dell’accidia o “del mezzogiorno” (salmo 90) è il più gravoso e si incolla al monaco dall’ora quarta all’ottava (10-14), facendo apparire il sole lento se non immobile: pare che il giorno debba durare fino a 50 ore! Persuaso a guardare fuori dalla finestra, mirando il sole, cercando l’ora nona (del pranzo, alle 15) e scrutando l’orizzonte in cerca di confratelli. Si sente noia, irrequietezza. Nasce l’odio per quella vita, quella dimora, il suo lavoro manuale. La noia porta la tristezza. E nasce il desiderio di altri luoghi più ameni, pensando che ovunque si può adorare Dio. Si ha l’incapacità di restare sulle posizioni/decisioni prese. Quindi si rimpiange la vita passata, i familiari, temendo la gravità della futura vita nell’ascesi. Finché il monaco lascia la cella, desiderando la fuga. Oppure riporta la vittoria sul demonio, sentendo poi dentro di sé una gioia grandissima. Anche oggi è così difficile restare in silenzio…Qui non si parla dal pv morale, ma dell’orizzonte spirituale. ACCIDIATRISTEZZADESIDERIO DI FUGA

Una intensa vita di preghiera va quindi accompagnata da una seria attività lavorativa. Il monaco benedettino vive infatti all’insegna del motto “ora et labora”, in un monastero che alterna luoghi di preghiera e altri di lavoro manuale.

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La preghiera quando si è in tanti, per evitare di cedere alla noia, deve essere breve, così da non stancare chi sia meno abituato alla preghiera prolungata. Così l’adorazione eucaristica con 200 fedeli presenti non può esser di un’ora di silenzio totale, ma si possono alternare spazi di silenzio, preghiera vocale, canti…

Leggiamo alcuni detti dei padri del deserto, in particolare quelli attribuiti ad Antonio

1.Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto (accidia) e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: «O Signore! Io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?». Ora, sporgendosi un po’, Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto a intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l’angelo che diceva: «Fa’ così e sarai salvo». All’udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò (76b; PJ VII, 1).

3. Un tale chiese al padre Antonio: «Che debbo fare per piacere a Dio?». E l’anziano gli rispose: «Fa’ quello che io ti comando: dovunque tu vada, abbi sempre Dio davanti agli occhi; qualunque cosa tu faccia o dica, basati sulla testimonianza delle Sante Scritture; in qualsiasi luogo abiti, non andartene presto. Osserva questi tre precetti, e sarai salvo» (PJ I, 1).

(Non andartene = resta fermo sulle tue posizioni/decisioni)

13. Nel deserto c’era un tale che cacciava belve feroci; e vide il padre Antonio che scherzava con i fratelli e se ne scandalizzò. Ma l’anziano, volendo fargli capire che occorre talvolta accondiscendere ai fratelli, gli dice: «Metti una freccia nel tuo arco e tendilo». Egli lo fece. Gli dice: «Tendilo ancora», e lo fece. Gli dice un’altra volta: «Tendilo». Il cacciatore gli dice: «Se lo tendo oltre misura, l’arco si spezza». L’anziano gli dice: «Così accade anche nell’opera di Dio: se coi fratelli tendiamo l’arco oltre misura, presto si spezzano. Perciò talvolta bisogna essere accondiscendenti con i fratelli». Ciò udendo, il cacciatore fu preso da compunzione e se ne andò molto edificato. E anche i fratelli ritornarono confortati ai loro posti (77d-80a; PJ X, 2b).

(Il senso della misura è rispetto per l’altro, le sue possibilità e i suoi tempi; vale anche nei rapporti affettivi)

Detti del Padre Poemen

Un fratello gli dice di aver molti pensieri cattivi… “Se non puoi fermare i venti col tuo petto, neppure puoi impedire ai pensieri di sopraggiungere, ma gli puoi resistere”.

(Un conto è aver un pensiero, altro è acconsentirvi; questo accade soprattutto nei momenti più intensi dal pv di spiritualità, disturbati da pensieri negativi; ad esempio nel momento della consacrazione durante la santa messa…)

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VITA DI ANTONIO (Versione ridotta, NdR)

Atanasio di Alessandria Lettera di Atanasio, vescovo di Alessandria, ai monaci che vivono in paesi stranieri sulla vita del beato Antonio il Grande PrologoBella è la gara che avete intrapreso con i monaci d’Egitto, proponendovi di uguagliarli o addirittura di superarli nell’ascesi secondo virtù. Poiché dunque avete interrogato anche me sul genere di vita del beato Antonio, desiderosi di conoscere in che modo iniziò la vita ascetica, chi era prima di dedicarsi all’ascesi, quale fu la fine della sua vita e se sono vere le cose che si dicono di lui, per poter emulare il suo zelo, ho accolto la vostra richiesta con grande entusiasmo. So bene che anche voi, quando ne avrete sentito parlare, proverete ammirazione per quell’uomo e desidererete imitarne l’intento, poiché la vita di Antonio per dei monaci è sufficiente quale modello di vita ascetica. Mi sono affrettato a scrivervi quello che io stesso so, perché ho visto spesso Antonio. Nascita e infanzia di Antonio1. Antonio era di origine egiziana; nacque da genitori nobili, sufficientemente ricchi. Essi stessi erano cristiani per cui anch’egli fu allevato nella fede cristiana. Da bambino fu allevato da loro e non conosceva nessun altro al di fuori dei genitori e della sua casa. Inoltre, da bambino, nonostante la sua condizione agiata, non molestava i genitori pretendendo cibi svariati e ricercati e non cercava godimento nel cibo; si accontentava di quello che trovava e non chiedeva niente di più. In obbedienza alla Parola dona i suoi beni ai poveri2. Dopo la morte dei genitori rimase solo, con una sorella ancora molto piccola. Aveva circa diciotto anni, o forse venti, e si prendeva cura egli stesso della casa e della sorella. Non erano ancora passati sei mesi dalla morte dei genitori e considerava tutto questo: come gli apostoli avessero lasciato tutto per seguire il Salvatore. Pensando a queste cose, entrò nella casa del Signore e accadde che proprio in quel momento veniva letto il Vangelo; e sentì il Signore che diceva al ricco: Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri; poi vieni, seguimi e avrai un tesoro nei cieli. Antonio, come se il ricordo dei santi gli fosse venuto da Dio stesso e come se la lettura fosse proprio per lui, subito uscì dalla casa del Signore, donò alla gente del suo villaggio i beni che aveva ereditato dai genitori. Vendette poi tutti gli altri beni mobili che possedeva, ne ricavò una considerevole somma di denaro e la diede ai poveri, riservandone una piccola parte per la sorella. Si ritira ai margini del villaggio3. Entrato un’altra volta nella casa del Signore, come sentì il Signore che diceva nel Vangelo: Non preoccupatevi del domani, non poté più restare oltre, ma uscì e distribuì anche quei pochi beni ai poveri. Poi affidò la sorella a delle vergini conosciute e fedeli e la lasciò affinché fosse allevata nella verginità. In un primo tempo cominciò anch’egli ad abitare nei dintorni del villaggio e ogni sua sollecitudine era rivolta allo sforzo ascetico. Lavorava con le proprie mani. Pregava continuamente ed era così attento alla lettura delle Scritture che ricordava tutto e la memoria stava per lui al posto dei libri. Cerca ammaestramento presso altri solitari4. Così viveva Antonio e per questo era amato da tutti. Si sottometteva con cuore sincero a quegli uomini pieni di fervore che andava a visitare e da ciascuno apprendeva lo zelo e l’ascesi in cui eccelleva. Con i suoi coetanei non amò essere in contesa che su un solo punto: non apparire mai secondo nel bene. Il diavolo tenta di ostacolarlo nel suo proposito di vita5. Ma il diavolo, che odia il bene ed è invidioso, non sopportò di vedere in un giovane tale proposito di vita e incominciò a mettere in opera anche contro di lui i suoi intrighi abituali. Per prima cosa cercò di distoglierlo dall’ascesi ispirandogli il ricordo delle ricchezze, la sollecitudine per la sorella, l’affetto per i parenti, l’amore per il denaro, il desiderio di gloria, il piacere di un cibo svariato e ogni altro godimento della vita.

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Infine gli suggeriva il pensiero di come sia aspra la virtù e quali fatiche richieda e gli metteva dinanzi la debolezza del corpo e la lunghezza del tempo. Insomma risvegliò nella sua mente una grande tempesta di pensieri, perché voleva distoglierlo dalla sua giusta decisione.Ma come il Nemico si vide debole di fronte al proposito di Antonio e vide che era piuttosto lui a essere vinto dalla fermezza di Antonio, respinto dalla sua grande fede e abbattuto dalle sue continue preghiere, allora confidò in quelle armi che si trovano presso l’ombelico e se ne gloriò – sono queste le prime insidie contro i giovani–. Assale così il giovane turbandolo di notte, molestandolo di giorno al punto che quelli che lo vedevano si accorgevano della lotta che si combatteva tra i due. L’uno, infatti, suggeriva pensieri impuri, l’altro li scacciava con le preghiere; l’uno lo eccitava, l’altro, come arrossendo di vergogna, dava forza al suo corpo mediante la fede e i digiuni. Il diavolo, sciagurato, di notte assumeva anche l’aspetto di una donna e ne imitava il comportamento in tutte le maniere, con il solo intento di sedurre Antonio. Ma questi, pensando a Cristo e meditando sulla nobiltà che l’uomo possiede grazie a lui e sulla qualità spirituale dell’anima, spegneva il fuoco della sua seduzione. Il Signore, che si rivestì di carne per noi e che diede al corpo la vittoria sul diavolo, aiutava Antonio. Perciò ciascuno di quelli che così combattono può dire: Non io, ma la grazia di Dio che è con me. Antonio esce vincitore dalla prima lotta con il Nemico6. Infine il drago, poiché non era riuscito a far cader Antonio neppure in questo modo e vedeva che invece era lui a essere respinto dal suo cuore, digrignando i denti, come sta scritto e come fuori di sé, gli apparve quale egli è spiritualmente, nelle sembianze di un ragazzo nero. “Mi chiamano spirito d’impurità. Quanti, che volevano vivere castamente, sono riuscito a ingannare! Io solo colui che spesso ti ha molestato e che altrettante volte si è visto respinto da te”.

Il regime di vita di Antonio7. Questa fu la prima lotta di Antonio contro il diavolo o meglio la prima vittoria che riportò in Antonio il Salvatore. Ma Antonio, che aveva appreso dalle Scritture che molte sono le insidie del Nemico, si dedicava intensamente all’ascesi. Decise poi di abituarsi a un regime di vita più duro. Vegliava così a lungo che spesso passava tutta la notte senza prendere sonno e destava ammirazione poiché faceva così non una sola volta, ma di frequente. Mangiava una sola volta al giorno, dopo il tramonto del sole; talvolta prendeva cibo ogni due giorni, spesso perfino ogni quattro. Si nutriva di pane e sale e beveva soltanto acqua. Per dormire gli bastava una stuoia, ma si coricava per lo più sulla nuda terra. Diceva, infatti, che il cuore acquista la forza quando si indeboliscono i piaceri del corpo. Antonio, dunque, non si ricordava del tempo trascorso, ma ogni giorno, come se incominciasse in quel momento la vita di ascesi, intensificava i suoi sforzi per progredire. Il ritiro in un sepolcro8. Rinvigoritosi in tal modo, Antonio se ne andò fra i sepolcri che si trovavano lontano dal villaggio. Dopo aver dato ordine a un suo amico di portargli del pane a lunghi intervalli di tempo, entrò in un sepolcro, chiuse la porta e rimase là dentro, solo. Ma il Nemico, che non sopportava la cosa, perché temeva che in breve tempo il deserto divenisse una città di asceti, una notte entrò nel sepolcro con una moltitudine di demoni e lo percosse a tal punto da lasciarlo steso a terra, incapace di parlare. Apparizioni diaboliche9. Non riusciva neppure a stare in piedi a causa dei colpi ricevuti dai demoni e pregava coricato. Dopo la preghiera gridava a gran voce: «Eccomi qui, sono Antonio; non fuggo ai vostri colpi. Anche se me ne darete di più, niente mi separerà dall’amore di Cristo».Per il diavolo è facile assumere forme diverse per fare del male. E così di notte fecero un tal baccano che tutto quel luogo pareva scosso da un terremoto. I demoni, quasi squarciando le quattro pareti della casetta, parevano entrare attraverso di esse sotto forma di belve e di serpenti. E subito il luogo si riempì di immagini di leoni, di orsi, di leopardi, di tori, di serpenti, di vipere, di scorpioni e di lupi . Insomma, terribile era il furore di tutte quelle apparizioni unito al frastuono delle loro grida.Antonio, frustato e ferito, provava sofferenze fisiche ancor più atroci, ma restava a giacere senza paura, con animo vigilante. Gemeva per le sofferenze fisiche, ma nella mente restava vigile e, come deridendoli, diceva: “Il Signore vi ha reso impotenti, per questo cercate di spaventarmi venendo in tanti. È segno della vostra debolezza il fatto che imitiate le forme di bestie prive di ragione”.

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Il Signore consola Antonio10. Ma il Signore neppure in questo momento si dimenticò della lotta di Antonio e venne in suo aiuto. Come levò lo sguardo, questi vide che il tetto era come aperto e che un raggio di luce scendeva fino a lui. I demoni erano scomparsi all’improvviso, subito cessò il dolore del corpo e la casa era di nuovo intatta.“Dov’eri? Perché non sei apparso fin dall’inizio per porre fine alle mie sofferenze?” E gli giunse una voce: “Antonio, ero là! Ma aspettavo per vederti combattere; poiché hai resistito e non ti sei lasciato vincere, sarò sempre il tuo aiuto e farò sì che il tuo nome venga ricordato ovunque”. A quel tempo aveva circa trentacinque anni. Antonio parte per il deserto11. Il giorno seguente era ancor più sollecito nel servizio di Dio; Antonio partì solo verso la montagna.

Antonio si stabilisce in un fortino abbandonato12. Vide, gettato per la strada, dell’oro vero; glielo aveva mostrato il Nemico. Antonio si meravigliò della quantità, ma l’oltrepassò come se si trattasse di un fuoco, passò oltre senza nemmeno voltarsi, affrettando il passo. Sempre più risoluto nel suo proposito, si diresse verso la montagna. Al di là del fiume trovò un fortino abbandonato, pieno di serpenti perché non era più abitato da tempo; qui si trasferì e stabilì la sua dimora. I serpenti, come se qualcuno li inseguisse, se ne fuggirono subito. Antonio sbarrò l’ingresso e depositò i pani sufficienti per sei mesi. All’interno aveva l’acqua e rimase là dentro l’eremo solo, come se fosse disceso in un santuario, senza uscire e senza vedere nessuno di quelli che venivano da lui. Nuovi assalti del demonio13. Antonio non pativa alcun danno da parte dei demoni e neppure si stancava di lottare. Quelli che lo conoscevano lo sentivano recitare il salmo: Sorga Dio e i suoi nemici si disperdano, siano scacciati dal suo cospetto quelli che lo odiano. Si dileguino come si dilegua il fumo; come fonde al fuoco la cera, così periscano i peccatori davanti a Dio. Antonio esce dal fortino14. Passò così circa vent’anni, da solo, nella vita ascetica; non usciva e si faceva vedere raramente. Poi, siccome molti desideravano ardentemente imitare la sua vita di ascesi , e poiché erano venuti altri suoi amici e avevano forzato e abbattuto la porta, Antonio uscì come un iniziato ai misteri da un santuario e come ispirato dal soffio divino. Allora per la prima volta apparve fuori dal fortino a quelli che erano venuti a trovarlo. Era tale e quale l’avevano conosciuto prima che si ritirasse in solitudine. Non provò turbamento al vedere la folla; non gioiva perché salutato da tanta gente, ma era in perfetto equilibrio, governato dal Verbo, nella sua condizione naturale. Il Signore, per opera sua, guarì molti dei presenti che pativano nel loro corpo e liberò altri dai demoni. Convinse molti ad abbracciare la vita solitaria. E così apparvero dimore di solitari sui monti e il deserto divenne una città di monaci che avevano abbandonato i loro beni e si erano iscritti nella cittadinanza dei cieli. Antonio diventa padre spirituale dei monaci della regione15. Con frequenti conversazioni accresceva lo zelo di chi già era monaco e spingeva molti altri all’amore per la vita ascetica. In breve tempo, trascinati dalle sue parole, sorsero molte dimore solitarie ed egli guidava tutti come un padre. Inizia la grande catechesi ai monaci16. Le Scritture sono sufficienti alla nostra istruzione, ma è bello esortarci vicendevolmente nella fede e incoraggiarci con le nostre parole. Accresciamo il nostro zelo come se incominciassimo ogni giorno. L’intera vita dell’uomo è brevissima a paragone dei secoli futuri, tutto il nostro tempo è niente di fronte alla vita eterna. Esorta ad abbandonare tutto in vista del Regno17. Se anche fossimo padroni di tutta la terra e vi avessimo rinunciato, neppur questo sarebbe degno del regno dei cieli. Perciò nessuno di noi si lasci dominare dal desiderio di possesso. Quale guadagno vi è nell’acquistare quello che non porteremo via con noi? Perché non cerchiamo piuttosto di acquistare quello che possiamo portare con noi e cioè la prudenza, la castità, la giustizia, la forza, l’intelligenza, la

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carità, l’amore per i poveri, la fede in Cristo, la mitezza, l’ospitalità? Se acquisteremo questi beni, li troveremo là, davanti a noi, pronti ad accoglierci come ospiti nella terra dei miti. Necessità della perseveranza18. Dobbiamo perseverare nell’ascesi ogni giorno, sapendo che, se siamo negligenti anche un giorno solo, il Signore non ci perdonerà a causa del tempo passato. Così anche Giuda, per una sola notte, perse anche le fatiche del tempo passato. Vivere come se ogni giorno fosse l’ultimo19. Se vivremo così anche noi, come se ogni giorno dovessimo morire, non peccheremo. Questo significa che ogni giorno, quando ci svegliamo, dobbiamo pensare che non arriveremo fino a sera, e di nuovo, al momento di coricarci, dobbiamo pensare che non ci sveglieremo più. La perseveranza nella virtù20.1. Perciò, dal momento che abbiamo cominciato a percorrere la via della virtù, tendiamo verso la meta. Nessuno si volga indietro. Il regno dei cieli è dentro di voi. La virtù, dunque, non ha bisogno che della nostra volontà, dal momento che si trova in noi e nasce dentro di noi.

La lotta contro i demoni21. Lottiamo, dunque, per non essere dominati dall’ira, né posseduti dalla concupiscenza. Custodiamo con ogni cura il nostro cuore. Abbiamo dei nemici terribili e pieni di risorse, i demoni malvagi; contro di loro è la nostra lotta, come ha detto l’Apostolo: Non contro il sangue e la carne, ma contro i principati e le potenze, contro i dominatori delle tenebre di questo mondo, contro gli spiriti del male che abitano le regioni celesti. Il discernimento degli spiriti22. Innanzitutto, dunque, dobbiamo sapere che, se i demoni si chiamano così, non è perché sono stati creati tali. Dio infatti non ha creato niente di malvagio! Anche i demoni furono creati buoni, ma, decaduti dalla sapienza del cielo e aggirandosi poi attorno alla terra, ingannarono i greci con le loro apparizioni. Invidiosi di noi cristiani, fanno di tutto per impedirci la via che sale al cielo , perché non vogliono che noi saliamo là da dove essi sono caduti. Perciò occorre pregare molto e praticare l’ascesi perché, una volta ricevuto per opera dello Spirito il carisma del discernimento degli spiriti, possiamo conoscere ciò che riguarda i demoni: quali di loro sono meno malvagi, quali di più e qual è l’arte in cui ciascuno è più solerte e in che modo ciascuno può essere respinto e scacciato. Molteplici sono le loro astuzie e le loro manovre insidiose.

I molteplici inganni dei demoni23. Se, infatti, non sono riusciti a trarre in inganno il cuore allettandolo con piaceri manifesti e impuri, ritornano all’assalto in altri modi, e poi cercano di spaventarci creando immagini e assumendo altre forme e imitando donne, belve, rettili, corpi giganteschi ed eserciti di nemici. Ma non dobbiamo temere neppure queste visioni perché sono inconsistenti, svaniscono subito, specialmente se ci fortifichiamo con la fede e con il segno della croce.

Non dobbiamo temerli24. Ma noi credenti non dobbiamo temere le apparizioni del demonio, né prestare ascolto alle sue parole, perché egli mente e non dice nulla di vero. Del resto, anche se osa vantarsi con tali e tante parole, viene trascinato dal Signore come un drago dall’amo, come una bestia da soma viene stretto dalla cavezza alle narici e come lo schiavo fuggitivo è legato con un anello al naso e ha le labbra traforate da un anello. Tentano di ingannarci25. I demoni sono astuti e pronti a ricorrere a ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Ma non bisogna prestar loro attenzione neppure quando ci svegliano per farci pregare o ci consigliano di non mangiare affatto, e neppure quando pretendono di accusarci e di rimproverarci per dei peccati di cui sono a conoscenza al pari di noi. Non fanno questo per amore di Dio o per amore della verità, ma per indurre gli uomini al disgusto per la vita solitaria, prospettandola come pesante e gravosa e per ostacolare chi così vive lottando contro di loro.

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Non dobbiamo mai ascoltarli27. Il Signore, dunque, in quanto Dio, imponeva il silenzio ai demoni. Anche noi, dunque, non prestiamo ascolto ai demoni perché ci sono estranei, non obbediamo loro anche se ci svegliano per la preghiera e ci parlano di digiuni. Badiamo piuttosto al nostro proposito di vita ascetica e non lasciamoci trarre in inganno perché sono deboli e non possono fare nulla, se non proferire minacce. Dopo la venuta del Signore hanno perduto il loro potere28. Con la venuta del Signore, il Nemico cadde e i suoi poteri furono ridotti all’impotenza . Per questo non può far nulla, eppure si comporta come un tiranno: una volta caduto, non se ne resta tranquillo, ma continua a minacciare anche solo a parole. Ciascuno di noi pensi a questo e potrà disprezzare i demoni. Il diavolo, padre della malvagità, è omicida fin da principio, come ha detto il Salvatore. Eppure noi continuiamo a vivere e per di più in lotta contro di lui; è chiaro quindi che i demoni non possono far nulla. Si limitano a minacciare. Bisogna poi considerare anche questo per non averne timore: se fosse loro possibile, non verrebbero in molti, non ricorrerebbero a visioni, né muterebbero sembianze; sarebbe sufficiente che ne venisse uno solo e facesse tutto quello che può e vuole fare, perché chi ne ha il potere non ricorre a visioni per uccidere, né atterrisce con una moltitudine, ma usa subito il suo potere come vuole.

L’insegnamento della storia di Giobbe29. Se uno riflette sulla vicenda di Giobbe e dice: “Ma perché il diavolo andò a fare tutte quelle cose contro di lui? Perché lo spogliò di tutti i suoi beni, uccise i suoi figli e lo colpì con un’ulcera maligna?”. Sappia costui che potente non era il diavolo, ma Dio che consegnò Giobbe al diavolo perché lo tentasse. Proprio per questo, perché non aveva nessun potere, il diavolo ne chiese il permesso, lo ricevette e allora poté agire.Ma non ha potere neppure sui porci, come sta scritto sul Vangelo: (i demoni) pregavano il Signore dicendo: “Permettici di entrare nei porci”; se non hanno potere neppure sui porci, a maggior ragione non ne hanno sugli uomini creati a immagine di Dio. Le armi che sconfiggono il demonio30. Solo Dio, dunque, bisogna temere, bisogna invece disprezzare i demoni e non averne alcun timore. Quanto più ci importunano, tanto più dobbiamo intensificare la nostra ascesi contro di loro. Una vita retta e la fede in Dio sono un’arma potente contro di loro. Essi temono il digiuno degli asceti, le veglie, le preghiere, la mitezza, la quiete, il disinteresse per il denaro e per la vanagloria, l’umiltà, l’amore per i poveri, le opere di misericordia, la dolcezza e specialmente la fede nel Cristo. I demoni fingono di predire il futuro31. E se i demoni fingono di predire il futuro, non dobbiamo badarvi perché non abbiamo bisogno di questo genere di profezie. Non sanno quanto non è ancora accaduto. Solo Dio conosce ogni cosa prima che accada. I demoni corrono ad annunciare quello che vedono come dei ladri. A quanti vanno a dire a di noi, che siamo qui riuniti e parliamo contro di loro, prima che qualcuno di noi parta e lo racconti! Ma questo lo potrebbe anche fare un ragazzo veloce nella corsa, che precede chi è lento. In che modo i demoni riescono a sapere quanto accadrà32. I demoni s’informano vicendevolmente al solo fine di trarci in inganno. Ma se nel frattempo la Provvidenza decide diversamente riguardo alle acque o a chi sta viaggiando – dato che ne ha il potere – i demoni risultano mentitori e quelli che han prestato loro attenzione restano ingannati. Non ci si deve stupire delle previsioni dei demoni33. Anche se a volte dicono il vero, non ci si deve meravigliare. Anche chi guida le navi e i contadini, quando vedono il cielo, sanno predire, grazie alla loro esperienza, se vi sarà tempesta o bel tempo, ma non per questo si può sostenere che abbiano fatto tali previsioni per ispirazione divina, ma solo in base all’esperienza e alla consuetudine. Non li si deve ammirare, né prestar loro attenzione. Che utilità c’è, per chi li ascolta, a sapere da loro alcuni giorni prima quel che accadrà? L’importante non è prevedere il futuro, ma essere graditi a Dio34. Bisogna pregare non per poter conoscere in antecedenza il futuro, né per chiedere tale dono come ricompensa per la nostra ascesi, ma perché il Signore ci aiuti a vincere il diavolo. Io credo, infatti, che

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un’anima interamente purificata e conforme al suo stato di natura diventa chiaroveggente e può prevedere più cose e vedere più lontano dei demoni, perché è il Signore a rivelargliele.

Ancora sul discernimento degli spiriti35. Quando i demoni vengono a voi di notte e vogliono parlarvi di cose future oppure dicono: “Siamo angeli!”, non badate loro perché mentono. Anche se lodano la vostra ascesi e vi dichiarano beati, non ascoltate. Se Dio lo concede, è possibile e facile discernere la presenza degli spiriti buoni e quella dei malvagi. La visione dei santi non causa turbamento; non muoverà contesa, non griderà, nessuno udrà la sua voce. Essa giunge con calma e dolcezza e subito appaiono nell’animo gioia, esultanza e coraggio. L’anima, illuminata di luce interiore, contempla quelli che le appaiono. La invade allora il desiderio delle cose divine e dei beni futuri e vorrebbe assolutamente congiungersi ai santi, se solo potesse partire con loro!

I segni della presenza degli spiriti malvagi36. L’irruzione e l’apparizione tumultuosa degli spiriti malvagi sono accompagnate da colpi, strepiti e grida, come avviene quando passano dei ragazzi maleducati o quando giungono i predoni. Subito l’anima è presa da timore e da turbamento, sconvolta nei suoi pensieri, abbattuta; ha in odio chi conduce vita ascetica, prova sconforto, tristezza, rimpianto per i familiari e paura della morte; avverte poi il desiderio di cose malvage, tiepidezza nei confronti della virtù, instabilità nel comportamento. Il Signore scacciò il demonio citando le Scritture37. Ma il Signore non ha permesso che noi fossimo ingannati dal diavolo, poiché quando costui operò tali astuzie nei suoi confronti, lo rimproverò e gli disse: Vattene dietro a me, Satana, perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo renderai culto. Tanto più, dunque, dobbiamo disprezzare quell’astuto. Il Signore, infatti, ha detto quelle parole per noi, perché i demoni le sentano ripetere anche da noi e siano respinti grazie al Signore che li ha rimproverati con queste stesse parole. È il Signore a scacciare i demone e a operare prodigi38. Non bisogna vantarsi di riuscire a scacciare i demoni, né inorgoglirsi per avere operato guarigioni e neppure ammirare chi scaccia i demoni e disprezzare chi non li respinge. Occorre, invece, considerare l’ascesi di ciascuno, imitarla ed emularla, oppure correggersi. Non è compito nostro che diceva ai suoi discepoli: Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi, rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nel cielo. Antonio narra le sue lotte contro il demonio39. Perché crediate che vi parlo per esperienza e secondo verità, vi dirò ancora le imprese del demonio che ho potuto vedere.

Come Antonio vinse i demoni40. Una volta mi apparve un demonio che si mostrava altissimo e osò dirmi: “Io sono la potenza di Dio”, e: “Io sono la Provvidenza. Che cosa vuoi che ti doni?”. Io allora soffiai con più forza contro di lui, invocando il nome del Cristo, e cercai di colpirlo. Mi sembrò di averlo colpito; subito quello disparve nel nome di Cristo con tutti i demoni suoi compagni.Una volta giunse mentre stavo digiunando; l’astuto aveva preso l’aspetto di un monaco e, nella visione, portava con sé del pane e mi consigliava dicendo: “Mangia! Desisti dalle tue molteplici fatiche. Sei un uomo anche tu, perderai le forze!”. Ma io compresi il suo tranello e mi alzai per pregare. Il demonio non poté resistere, si dileguò uscendo attraverso la porta come fumo. Quante volte nel deserto mi mostrò in visione dell’oro, anche solo perché lo toccassi e lo vedessi! Ma io dicevo un salmo contro di lui e quello si dissolveva. Quante volte mi copriva di colpi e io dicevo: Niente mi potrà separare dall’amore di Cristo, e allora i demoni si percuotevano ancor di più a vicenda.Non ero io, però, a farlo desistere e a vincerlo, ma il Signore che dice: Vedevo Satana cadere dal cielo come folgore.

Chi si affida al Signore non teme il demonio42. Se il diavolo stesso confessa di non poter fare nulla, dobbiamo assolutamente disprezzare sia lui che i suoi demoni. Il nemico con i suoi cani ricorre a tali astuzie, ma noi, conoscendo la sua debolezza, possiamo disprezzarlo. Meditiamo e riflettiamo sempre che, se il Signore è con noi, i nemici non potranno farci

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nulla. Quando arrivano, infatti, adeguano il loro comportamento a quello che trovano in noi e creano immagini conformi ai pensieri che trovano in noi. Se dunque ci trovano pieni di paura e di turbamento, ci assalgono subito come briganti che scoprono un posto incustodito e ingigantiscono i pensieri che già trovano in noi. Se ci vedono pieni di timore e di paura, aumentano ancora di più la nostra paura con immagini e minacce e così la povera anima è tormentata da queste cose.Se invece ci trovano lieti nel Signore, intenti a pensare ai beni futuri, a meditare nel nostro cuore le cose del Signore si ritirano pieni di confusione.

Occorre smascherare il demonio interrogandolo senza paura43. Per prima cosa si domandi, pieni di coraggio: “Chi sei e da dove vieni?”. Se la visione viene dai santi, ti rassicureranno e cambieranno in gioia la tua paura; se si tratta di una visione diabolica, invece, si indebolirà subito vedendo la tua forza d’animo. Effetti dell’insegnamento di Antonio44. Tutti erano persuasi di poter disprezzare le insidie del demonio e ammiravano il dono del discernimento degli spiriti che il Signore aveva concesso ad Antonio. Sui monti le abitazioni dei solitari erano come dimore piene di cori divini che cantavano i salmi, studiavano la parola di Dio, digiunavano, pregavano, esultavano nella speranza dei beni futuri, lavoravano per poter fare l’elemosina, vivevano in amore e concordia vicendevole.3. Si poteva vedere veramente una regione solitaria tutta consacrata al servizio di Dio e alla giustizia.

Antonio vive nel desiderio del regno dei cieli45. Antonio, ritiratosi nella sua dimora, come era sua abitudine, intensificava la sua ascesi. Più volte, poi, quando stava per mangiare con molti altri monaci, ricordandosi del nutrimento spirituale, rifiutava il cibo e si allontanava ritenendo vergognoso che gli altri lo vedessero mangiare. Mangiava, dunque, da solo, per le necessità del corpo; spesso, però, mangiava anche con i fratelli, sebbene se ne vergognasse, ma era rassicurato perché poteva parlare a loro edificazione.Diceva che occorre prestare ogni cura all’anima piuttosto che al corpo, concedere poco tempo al corpo per i suoi bisogni, e dedicarsi, invece, interamente all’anima e cercare ciò che le è utile affinché non sia trascinata dai piaceri del corpo; è il corpo che deve diventare schiavo dell’anima. Si reca ad Alessandria a confortare i cristiani perseguitati46.1. In seguito la Chiesa subì la persecuzione di Massimino. Quando i santi martiri furono condotti ad Alessandria, Antonio lasciò la sua dimora solitaria e li seguì dicendo: «Andiamo anche noi a combattere, se saremo chiamati, o a contemplare quelli che combattono». Desiderava ricevere il martirio, non voleva però consegnarsi di sua iniziativa e serviva i confessori condannati nelle miniere e nelle prigioni. Grande era il suo zelo in tribunale nell’incoraggiare quelli che erano chiamati a sostenere la lotta, nell’assisterli quando rendevano testimonianza e nell’accompagnarli fino alla morte. Pregava di poter subire anche lui il martirio, come ho già detto, e sembrava rattristarsi di non avere potuto testimoniare la propria fede; ma il Signore lo custodiva per il bene nostro e degli altri, perché divenisse maestro di molti nella vita ascetica che aveva appreso dalle Scritture.

Ritorna nel deserto e intensifica la sua ascesi47. Quando cessò la persecuzione e il beato vescovo Pietro subì il martirio, Antonio partì e si ritirò di nuovo nella sua dimora solitaria; stava là e viveva ogni giorno il martirio della coscienza e combatteva le battaglie della fede. Praticava una grande ascesi con più forte vigore. Guarisce un’indemoniata48. Antonio, dunque, si ritirò ma un certo Martiniano, un ufficiale che aveva una figlia tormentata dal demonio, venne a disturbarlo. Restò a lungo a battere la porta. Antonio non volle aprire ma disse: «O uomo, se credi nel Cristo che io servo, va’, prega Dio secondo la tua fede e la tua preghiera sarà esaudita». Quello subito credette, invocò il Cristo e se ne andò e sua figlia fu liberata dal demonio. Assediato dalle folle, desidera un luogo di solitudine49. Come vide che molti lo importunavano e che non poteva restarsene in solitudine come era suo desiderio, temendo di insuperbirsi per i prodigi che il Signore operava per mezzo suo, o che altri lo

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stimassero più di quanto meritasse, rifletté e decise di ritirarsi nella Tebaide superiore, dove non era conosciuto. Mentre era immerso in questi pensieri gli giunse una voce dall’alto: «Se vuoi veramente vivere in pace, va’ nel deserto interiore». Subito la voce gli indicò dei saraceni che stavano per intraprendere quella via. Antonio si avvicinò e li pregò di lasciarlo partire con loro per il deserto. Quelli, come per un ordine della Provvidenza, lo accolsero di buon grado. Antonio viaggiò con loro tre giorni e tre notti e giunse a un monte altissimo; alle pendici del monte scorreva dell’acqua limpida, dolce e freschissima; attorno vi era una pianura e poche palme selvatiche. Antonio si stabilisce sul monte interiore50. Antonio restò solo sul monte; nessun’altro stava con lui. Ormai considerava quel posto come casa sua. Esplorò i dintorni della montagna e, trovato un piccolo campo adatto alla coltivazione, cominciò a lavorarlo e, dato che il fiume gli forniva acqua in abbondanza per irrigarlo, cominciò a seminare.Così fece ogni anno e in questo modo si procurò il pane, ben contento di non infastidire nessuno e di non essere di peso agli altri in nulla. All’inizio le bestie del deserto, che veniva per l’acqua, danneggiavano spesso le sue sementi e le sue colture, ma Antonio prese dolcemente una di queste bestie e a tutte disse: «Andatevene e nel nome del Signore non avvicinatevi mai più a questo posto». E da quel momento, come spaventate dal suo ordine, non si avvicinarono più. La vita di Antonio sul monte51. Anche là udivano molti rumori e molte voci e dei colpi di armi e di notte vedevano la montagna riempirsi di scintille e contemplavano Antonio che pareva lottare contro esseri visibili e pregava contro di loro. Ed era cosa veramente degna di meraviglia che, standosene solo in quel deserto, non avesse timore dei demoni che lo assalivano né provasse paura per la ferocia delle belve, dei quadrupedi e dei serpenti che erano numerosissimi in quella zona. Nuove lotte contro i demoni52. Una notte, mentre vegliava, il diavolo mandò contro di lui delle belve e quasi tutte le iene che abitavano nel deserto uscirono dalle loro tane e lo circondavano. Antonio era là in mezzo: «Se avete ricevuto potere su di me, sono pronto a farmi divorare da voi, ma se siete state mandate dai demoni, non indugiate, andatevene perché io sono servo di Cristo». Così disse Antonio e le belve fuggirono come fustigate dalle sue parole. Antonio ottiene da Dio acqua nel deserto54. Una volta i monaci lo pregarono di scendere presso di loro per un po’ di tempo e di andare a trovarli e a vedere i luoghi dove dimoravano; Antonio, dunque, si mise in viaggio con i monaci che erano venuti a trovarlo. Ma per via l’acqua venne a mancare; faceva molto caldo e rischiavano tutti di morire. L’anziano, vedendo che erano in pericolo di vita, profondamente afflitto e desolato, si allontanò un poco da loro, si inginocchiò, tese le mani e si mise a pregare. Subito il Signore fece sgorgare l’acqua là dove Antonio si era fermato a pregare.

Consigli ai monaci che vengono a visitarlo55. Alcuni giorni dopo ritornò sulla montagna; a tutti i monaci che venivano a trovarlo raccomandava costantemente di avere fede nel Signore, di amarlo, di tenersi lontani dai pensieri impuri e dai piaceri della carne. Ma soprattutto consigliava di meditare costantemente le parole dell’Apostolo: Non tramonti il sole sulla vostra ira. 5. Pensava che queste parole dovessero essere riferite ugualmente a ogni comandamento così che il sole non abbia a tramontare non solo sull’ira, ma neppure su un altro peccato. Per ottenere questo è bene ascoltare e custodire le parole dell’Apostolo che dice: Esaminate voi stessi, giudicate voi stessi.Ogni giorno ciascuno si chieda conto delle azioni compiute durante il giorno e durante la notte; se ha peccato, desista dal male; se non ha peccato, non si inorgoglisca, ma perseveri ne bene, non sia negligente; non condanni il prossimo, né giustifichi se stesso, esaminiamo noi stessi e sforziamoci di compiere quello che ancora ci manca.Osserviamo anche quest’altra precauzione per essere sicuri di non peccare: ciascuno annoti e scriva le azioni e i moti dell’anima, come se dovessimo farli conoscere gli uni agli altri; state certi che, per la vergogna di essere conosciuti, smetteremo di peccare e di nutrire nel cuore pensieri malvagi. Chi desidera essere visto peccare? Chi, dopo aver peccato, non preferisce mentire pur di rimanere nascosto? Lo

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scrivere, dunque, sarà per noi come lo sguardo dei nostri compagni di ascesi e così, poiché nello scrivere arrossiremo come se fossimo visti, non avremo più pensieri malvagi. Amore di Antonio per i malati56. Aveva compassione di quelli che soffrivano e pregava con loro; spesso, in molti casi, il Signore lo ascoltava. Quelli che venivano guariti imparavano a ringraziare non Antonio, ma soltanto il Signore. Guarisce una giovane donna58. Una giovane donna di Busiride di Tripoli era afflitta da una malattia molto grave e penosa. I suoi genitori, come vennero a sapere che alcuni monaci si recavano da Antonio, avendo fede nel Signore che guarì l’emorroissa, chiesero di poterli accompagnare insieme con la loro figlia.Quando lo pregarono di lasciar venire anche i genitori e la fanciulla sul monte, non lo permise, ma disse: «Andate e, se non è già morta, troverete la fanciulla guarita. Non è in mio potere operare guarigioni sì che essa debba venire da me, misero uomo; guarire è opera del Salvatore che fa misericordia in ogni luogo a quelli che lo invocano. Il Signore ha prestato orecchio alle sue preghiere e nel suo amore per gli uomini mi ha rivelato che avrebbe guarito la malattia della fanciulla laggiù». Avvenne dunque il miracolo; i monaci andarono e trovarono i genitori pieni di gioia e la fanciulla ormai guarita. Vede l’anima di Amun salire in cielo60. Un’altra volta, mentre stava sul monte e guardava in alto, vide che un uomo era portato in cielo e quelli che gli andavano incontro erano pieni di gioia. Allora, stupito, proclamava beato quel coro e pregava per sapere cosa stesse accadendo. E subito giunse a lui una voce che gli disse che era l’anima di Amun, monaco di Nitria. Amun aveva perseverato nella vita ascetica fino alla vecchiaia. Ora, la distanza tra Nitria e la montagna dove stava Antonio è di tredici giorni di cammino. Quelli che stavano con Antonio, vedendo l’anziano meravigliato, desideravano saperne il motivo e udirono che Amun era appena morto. Malati e indemoniati ricorrono ad Antonio62. Alcuni venivano soltanto per vederlo, altri perché malati, altri ancora perché tormentati dai demoni. E nessuno considerava penosa e gravosa la fatica del viaggio, perché ciascuno al ritorno sentiva di averne tratto giovamento. Antonio aveva queste visioni e faceva tali profezie, supplicava tutti però di non ammirarlo per queste cose, ma di ammirare piuttosto il Signore che ha fatto dono a noi uomini di conoscerlo secondo le nostre forze. Un’altra guarigione64. Venne da lui un altro uomo illustre posseduto da un demonio. Il demonio era così terribile che quell’uomo non sapeva neppure che stava andando da Antonio e divorava perfino i propri escrementi. Quelli che l’avevano portato supplicavano Antonio di pregare per lui. Antonio ebbe compassione del giovane pregò e vegliò tutta la notte con lui. Verso l’alba, all’improvviso il giovane assalì Antonio e si gettò su di lui. «Non adiratevi contro questo giovane; non è lui a far questo, ma il demonio che è in lui. È segno che il demonio è uscito da lui». 5. Così disse Antonio e subito il giovane guarì; rinsavì, capì dove si trovava e abbracciò l’anziano rendendo grazie a Dio. Antonio ha una visione65. Una volta stava per mangiare, si alzò per la preghiera verso l’ora nona e sentì che la sua mente veniva rapita. Quello che è straordinario è che, stando in piedi, si vedeva come rapito fuori di sé e trasportato nell’aria da alcuni esseri. Poi ne vide altri terribili e crudeli ritti nell’aria, che volevano impedirgli di passare. Ma poiché quelli che lo conducevano lo difendevano, gli esseri malvagi chiesero se non fosse sottomesso a loro; volevano un resoconto della sua vita a partire dalla nascita, ma le guide di Antonio si rifiutavano dicendo: «Il Signore ha cancellato tutti i peccati compiuti dalla nascita; gli si può chiedere conto di quello che ha fatto da quando è diventato monaco e si è consacrato a Dio».

Vede le anime salire al cielo66. Aveva inoltre anche questo carisma. Quando abitava in solitudine sul monte, se per caso ricercava qualche cosa fra sé e sé ed era in difficoltà, gli veniva rivelato nella preghiera dalla Provvidenza. Come dice la Scrittura, il beato era istruito da Dio stesso.

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La notte seguente qualcuno lo chiamò dall’alto e gli disse: «Antonio, alzati, esci e guarda». Antonio uscì – sapeva infatti a chi gli conveniva ubbidire –, levò lo sguardo e vide in lontananza un gigante deforme e terribile, che stava in piedi e giungeva fino alle nubi, e alcuni esseri che sembravano alati e salivano in alto. Il gigante tendeva le mani e ad alcuni impediva di salire, ma altri volavano sopra di lui, riuscivano a passare ed erano trasportati in alto senza fastidi. Allora gli si aprì la mente e comprese che si trattava del passaggio delle anime e che quel gigante in piedi era il Nemico, invidioso dei credenti, che aveva potere su quelli che gli erano sottomessi e non li lasciava passare, ma non poteva trattenere quelli che non gli avevano ubbidito ed essi riuscivano a oltrepassarlo.Come ammonito da questa nuova visione, lottava ancor più per progredire ogni giorno.

Umiltà di Antonio67. Quant’era paziente e umile! E proprio per queste sue qualità aveva un grandissimo rispetto per il clero e voleva che tutti i chierici lo precedessero nell’onore. Non si vergognava di piegare la testa davanti ai vescovi e davanti ai preti.Non si distingueva dagli altri perché fosse più alto o più forte, ma per la disposizione del suo carattere e per la purezza dell’anima. La sua anima, infatti, era in pace e quindi anche il suo comportamento esterno era tranquillo; la gioia del cuore rendeva lieto il suo volto e i movimenti del corpo lasciavano intuire e percepire lo stato della sua anima, non era mai turbato, la sua anima era in pace, non era mai triste, perché la sua mente era piena di gioia. Antonio fugge gli eretici68. Aveva una fede e una pietà straordinaria. Non ebbe mai rapporti né con i meleziani scismatici, ben discernendo fin da principio la loro malvagità e la loro apostasia, né ebbe mai rapporti di amicizia con i manichei o con altri eretici, se non per ammonirli ed esortarli a ritornare alla vera fede. Pensava e diceva apertamente che l’amicizia e la familiarità con gli eretici causavano danno e rovina all’anima . Allo stesso modo detestava l’eresia ariana ed esortava tutti a non avvicinarsi neppure a loro e a non seguire la loro fede perversa.

Si reca ad Alessandria a confutare gli ariani69. Poi, su richiesta dei vescovi e di tutti i fratelli, scese dal monte; venne ad Alessandria e condannò pubblicamente gli ariani dicendo che la loro eresia era l’ultima e precedeva la venuta dell’Anticristo. «Perciò è un’empietà dire: “Vi fu un tempo in cui non esisteva” perché il Verbo è sempre esistito insieme al Padre. Non abbiate dunque nessun rapporto con gli empi ariani». Le folle accorrono per vedere Antonio70. Tutto il popolo accorreva a vedere Antonio: «Chiediamo di vedere l’uomo di Dio».Così lo chiamavano tutti. Anche là il Signore, per mezzo suo, liberò molti dai demoni e guarì altri malati di mente. In seguito alcuni pensarono che Antonio fosse infastidito dalle folle e volevano allontanare tutti, ma egli, per nulla turbato, diceva che non erano sicuramente più numerosi dei demoni contro cui combatteva sul monte. Discute con i filosofi pagani72. Antonio era estremamente saggio e il fatto straordinario è che, senza aver fatto studi, era un uomo dotato di perspicacia e intelligenza. Una volta vennero a trovarlo due filosofi greci, pensando di poterlo mettere alla prova. Si trovava allora nella parte esterna del monte.3. Antonio comprese dal loro aspetto con chi aveva a che fare, uscì incontro a loro e disse loro: «Se siete venuti da uno stupido, è superflua la vostra fatica, ma se mi giudicate saggio, fate come me, perché bisogna imitare ciò che è buono». Quelli se ne ripartirono pieni di meraviglia perché vedevano che anche i demoni temevano Antonio. Antonio annuncia la croce di Cristo74. Più tardi vennero di nuovo a trovarlo altri filosofi che, tra i greci, godevano fama di essere sapienti e gli chiesero ragione della nostra fede in Cristo. Tentavano di sofisticare sull’annuncio della croce divina con l’intenzione di schernirlo. Antonio indugiò un poco; dapprima provò compassione per la loro ignoranza, poi, tramite un interprete che traduceva fedelmente le sue parole, diceva: “È meglio dire che il Verbo di Dio non ha subito mutamento, ma che, restando sempre uguale a se stesso, ha assunto un corpo umano per la salvezza

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e il bene degli uomini, e così, divenuto partecipe del genere umano, ha reso gli uomini partecipi della natura divina e spirituale, oppure assimilare Dio agli essere privi di ragione e adorare quadrupedi, serpenti e immagini umane? Questi sono gli oggetti di venerazione dei vostri sapienti! Come osate deriderci perché affermiamo che Cristo si è manifestato come uomo?” La forza della fede78. Noi cristiani non abbiamo ricevuto il mistero tramite la sapienza dei discorsi greci, ma nella potenza della fede che ci viene data da Dio in Gesù Cristo. Ed ecco la prova della verità di quel che diciamo: noi non abbiamo appreso le lettere, eppure crediamo in Dio e riconosciamo per mezzo delle sue opere la Provvidenza universale. La nostra fede è efficace e ne è la prova il fatto che noi facciamo assegnamento sulla fede in Cristo, voi, invece, su discussioni filosofiche sofistiche . L’illusione dei vostri idoli crolla, la nostra fede invece si diffonde ovunque.

I cristiani sono perseguitati ma la loro fede si diffonde79. Diteci, dunque, dove sono ora i vostri vaticini? Dove sono gli incantesimi degli egiziani? Dove sono le illusioni dei maghi? Quando tutto questo è finito ed è diventato inefficace, se non quando è apparsa la croce di Cristo? È la croce, dunque, che merita derisione oppure quelle cose che la croce ha reso inutili e di cui ha rivelato l’impotenza? E anche questo desta meraviglia: le vostre dottrine non sono mai state perseguitate, ma ricevono onore dagli uomini in ogni città; quelli che seguono Cristo, invece, sono perseguitati, eppure la nostra fede fiorisce e si diffonde più delle vostre superstizioni . Nessuno può avere dubbi vedendo i martiri disprezzare la morte a motivo di Cristo e vedendo le vergini della Chiesa custodire il proprio corpo puro e incontaminato a causa di Cristo. Antonio esorta i pagani alla fede80. Ci sono qui alcuni tormentati dai demoni; Antonio li portò nel mezzo e disse: «Voi, con le vostre argomentazioni o con qualche arte o magia, come preferite, invocate i vostri idoli e liberateli dal demonio. Ma se non ci riuscirete, desistete dal farci guerra e vedrete la potenza della croce di Cristo».Dopo queste parole, invocò Cristo, fece due o tre volte il segno della croce sui malati ed essi furono subito risanati, rientrarono in se stessi e ringraziavano il Signore. I filosofi lo ammirarono e se ne andarono, abbracciandolo e riconoscendo di aver tratto giovamento dall’incontro con lui. Riceve lettere dagli imperatori81. La fama di Antonio giunse fino agli imperatori. Non appena Costantino Augusto e i suoi figli, gli Augusti Costanzo e Costante, ebbero notizie dei prodigi compiuti da Antonio, gli scrivevano come a un padre e lo pregavano di rispondere. Ma Antonio non tenne in gran conto le loro lettere, né provò piacere al riceverle; rimase tale e quale prima che le scrivessero.Quando gli portavano le lettere, chiamava i monaci e diceva: « Perché vi meravigliate se un imperatore ci scrive? È un uomo! Meravigliatevi piuttosto che Dio abbia scritto la legge per gli uomini e abbia parlato loro per mezzo di suo Figlio». Visione profetica sui tumulti degli ariani82. «Figli, è meglio morire prima che accada quello che ho visto». E poiché ancora una volta lo pregavano, disse tra le lacrime: «La collera divina sta per abbattersi sulla Chiesa, che sarà consegnata a uomini simili a bestie senza ragione. Ho visto l’altare della casa del Signore: tutto intorno vi erano dei muli che prendevano a calci tutto quello che trovavano all’interno, come farebbero animali scalpitanti. E», continuava, «avete certamente sentito come mi lamentavo. Ho udito, infatti, una voce che diceva: “Il mio altare sarà contaminato”».Così disse l’anziano e due anni dopo ecco l’attuale irruzione degli ariani che dura ancor oggi e il saccheggio delle chiese. E allora tutti noi capimmo che i calci dei muli avevano predetto ad Antonio quello che stanno facendo ora gli ariani comportandosi come bestie senza ragione.«Non scoraggiatevi, figlioli. Come il Signore si è adirato, così ancora una volta ci guarirà. 12. La Chiesa riacquisterà presto la sua bellezza e risplenderà come al solito. State solo attenti a non contaminarvi con gli ariani, perché tale dottrina non è quella degli apostoli, ma è la dottrina dei demoni e del loro padre, il diavolo. Essa è priva di ragione e sterile, frutto di una mente deviata, così come i muli sono privi di ragione».

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Antonio difende la necessità della solitudine85. «Come i pesci muoiono se restano a lungo sulla terra asciutta, così i monaci che si attardano tra di voi e restano a lungo in vostra compagnia perdono vigore. Come dunque il pesce deve affrettarsi al mare, così noi dobbiamo affrettarci a tornare sul monte, perché non accada che, attardandoci all’esterno, dimentichiamo le cose interiori».

Su tutti riversa il suo amore87. Veramente Dio l’aveva dato all’Egitto come medico. Chi andò da lui nel dolore e non tornò nella gioia? Chi andò da lui piangendo i suoi morti e non depose subito il lutto? Chi andò da lui nella collera e non si convertì a sentimenti d’amore? Chi, afflitto per la sua povertà, venne a trovare Antonio e ascoltando e vedendolo non disprezzò la ricchezza e non trovò conforto nella sua povertà? Quale monaco scoraggiato andò da lui e non divenne più saldo? Quale giovane salì alla montagna e, veduto Antonio, non sentì subito inaridirsi i piaceri e non amò la temperanza? Quando mai andò da lui qualcuno tormentato dal demonio e non fu liberato? E chi andò da lui tormentato dai pensieri e non trovò la pace della mente? È amato da tutti come un padre88. Vi era ancora questo di grande nell’ascesi di Antonio, che, come ho già detto, grazie al dono del discernimento degli spiriti, sapeva riconoscere i movimenti e le inclinazioni e le preferenze di ciascuno. E veramente, da quando è morto, tutti, come orfani di padre, trovano consolazione soltanto nel ricordarlo e nel custodire i suoi ammonimenti e le sue esortazioni. Si congeda dai suoi fratelli89. Poiché lo desiderate, è giusto che io ricordi e che voi sappiate anche quale fu la fine della sua vita. Anch’essa è degna di emulazione. Secondo la sua abitudine, si era recato a far visita ai monaci che abitavano nella parte esterna della montagna e, istruito dalla Provvidenza riguardo alla sua morte, parlava con i fratelli e diceva: «Questa è l’ultima visita che vi faccio; mi stupirei se ci vedessimo ancora in questa vita. Anche per me ormai è tempo di sciogliere le vele, dato che ho quasi centocinque anni».I fratelli, all’udire le sue parole, piangevano, abbracciavano e baciavano l’anziano, ma Antonio, come se dovesse partire da una città estranea per far ritorno alla propria, parlava loro con gioia e li esortava a non scoraggiarsi nelle fatiche e a non perdersi d’animo nell’ascesi, ma a vivere come se dovessero morire ogni giorno e, come ho già detto, li esortava a custodire con ogni cura la loro anima dai pensieri impuri e a emulare i santi.

Le sue ultime parole ai fratelli91. Antonio salutò i monaci che stavano fuori del monte e si affrettò a partire. Entrò nella parte interna della montagna, là dove abitava di solito, e pochi mesi dopo si ammalò. Chiamò allora i suoi compagni – erano due che abitavano con lui nella parte interna della montagna e che da quindici anni conducevano vita ascetica e lo servivano poiché era molto anziano – e diceva loro: “Vedo che il Signore mi chiama. Voi siate vigilanti, non lasciate che la vostra lunga ascesi si perda, ma preoccupatevi di tener viva la vostra sollecitudine come se cominciaste soltanto adesso. Conoscete le insidie dei demoni, sapete quanto sono feroci eppure deboli. Non temeteli, dunque, ma respirate sempre Cristo e abbiate fede in lui. Vivete come se doveste morire ogni giorno, vigilate su voi stessi e ricordate le esortazioni che avete udite da me.Non abbiate alcun rapporto con gli scismatici, nessun rapporto con gli eretici ariani: sapete come anch’io li evitassi a motivo della loro dottrina avversa a Cristo ed eretica. E se mi volete bene e vi ricordate di me come di un padre, non permettete che il mio corpo sia portato in Egitto per metterlo in qualche casa. È per questo motivo che sono rientrato sulla montagna e sono venuto qui. Sapete anche come cercavo sempre di convincere quelli che così facevano e come li ammonivo a desistere da quest’uso. Seppellite voi il mio corpo, nascondetelo sotto terra e osservate quello che vi ho detto, cosicché nessuno, tranne voi soli, conosca il luogo dove è deposto. Nel giorno della risurrezione dai morti io lo riceverò incorrotto dal Salvatore. E ora, figlioli, addio! Antonio se va e non è più con voi». Morte e sepoltura di Antonio92.1. Dopo queste parole i fratelli lo abbracciarono. Antonio sollevò i piedi e, come vedesse degli amici venire da lui, pieno di gioia per la loro presenza – giaceva sdraiato con il volto radioso – spirò e fu riunito ai suoi padri. I fratelli, secondo l’ordine ricevuto, lo avvolsero in un lenzuolo e lo seppellirono nascondendo il suo corpo sotto terra. Nessuno fino a oggi sa dove sia nascosto, tranne quei due monaci.

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Suo ultimo ritratto93.1. Questa è la fine della vita di Antonio nella carne, quello fu l’inizio della sua ascesi. E anche se quello che ho narrato è molto poco in confronto alla sua virtù , tuttavia già da questo potete comprendere anche voi chi fosse l’uomo di Dio, Antonio, che mantenne identico zelo nell’ascesi dalla giovinezza alla vecchiaia.Il fatto che ovunque si parli di lui, che tutti lo ammirino e che anche quelli che non l’hanno visto lo rimpiangano, è segno della sua virtù e della sua anima amante di Dio. Anche se questi uomini restano nascosti e vogliono restare sconosciuti, il Signore li mostra a tutti come lampade, perché chi li ascolta sappia qual è la potenza dei comandamenti e desideri seguire la via della virtù. Esortazione a leggere il racconto della vita di Antonio94. Leggete dunque questo mio racconto agli altri fratelli perché imparino quale deve essere la via dei monaci e si convincano che il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo glorifica chi lo glorifica e non solo fa entrare nel regno dei cieli quelli che lo servono fino alla fine, ma li rende noti e celebri ovunque a motivo della loro virtù e per il bene degli altri, anche se restano nascosti e vogliono vivere appartati.Se ve ne sarà bisogno, leggetela anche ai pagani affinché almeno così riconoscano non solo che il Signore nostro Gesù Cristo è Dio e figlio di Dio, ma anche che quanto lo servono con cuore sincero e credono in lui con fede vera, cioè i cristiani, provano che quei demoni, ritenuti dèi dai pagani, non sono affatto dèi, anzi i cristiani li calpestano e li scacciano come ingannatori e corruttori degli uomini, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

Gli “Antoniani” sarebbero un ordine religioso nato in onore di Antonio il grande. E poiché il maiale veniva usato per fare alimenti e medicamenti, soprattutto per guarire il “fuoco di sant’Antonio”, ecco che si iniziò a rappresentare il santo col maiale e il fuoco. Forse è migliore la spiegazione che vede nel maiale la rappresentazione dello spirito impuro.

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EVAGRIO PONTICO

Nei deserti di Nitra e di Celle (II-IV sec.), nell’alto Egitto, si trovano molte esperienza monastiche. Accanto a esse trova collocazione anche la figura del monaco Evagrio, originario del Ponto (Turchia), per cui detto Pontico, contemporaneo dei padri Cappadoci, amico e collaboratore di Gregorio Nazianzeno (insieme a Gregorio di Nissa e Basilio il Grande, sono i 3 padri cappadoci).Quando Gregorio viene scelto come vescovo di Costantinopoli, Evagrio collabora con lui. Già da bambino, vivendo vicino a una tenuta di Basilio il Grande, cresce alla scuola di questo grande padre della Chiesa.Si innamora della persona sbagliata a Costantinopoli (dove Gregorio N. è vescovo e lo ha voluto ivi come diacono), quindi deve lasciare la città e andare a Gerusalemme, dove si mette alla scuola di due monaci figli spirituali di Origene (di scuola origeniana, come i suoi tre maestri cappadoci erano debitori a Origene). In Gerusalemme vive l’esperienza monastica, quindi diventa copista (sapeva leggere e scrivere, cosa non scontata per o monaci di allora).Palladio – discepolo di Evagrio e poi vescovo – diceva che Evagrio copiava ogni giorno tante righe quante servivano per sopravvivere e badare ai poveri. Maturato spiritualmente, compone le sue opere, fortemente intrise di idee origeniane, e dunque furono condannate a Costantinopoli II (553) insieme alle opere e al pensiero di Origene. Le opere di Evagrio vennero dimenticate e la sua figura accantonata, ma sopravvisse nella chiesa perché alcune sue opere furono attribuite a san Nilo (autore che non aveva aderito alle dottrine di Origene) e dunque si salvarono.

Recentemente (metà Novecento) si è riscoperta la grandezza della figura di Evagrio in tutta la sua grandezza, fino a considerarlo antesignano della moderna psicanalisi, al punto che pare che Freud avesse nella sua biblioteca il Pratikon di Evagrio (in cui parla dell’interpretazione dei sogni).Parla anche degli 8 pensieri fondamentali come sorgenti di peccato, che divennero poi nella tradizione latina di Gregorio Magno i cosiddetti vizi capitali. Sono detti loghismoi (pensieri), come “pensieri cattivi”, pensieri appassionati, che smuovono qualcosa dentro la persona.

In Occidente il pensiero di Evagrio viene portato dal monaco marsigliese Cassiano attraverso conferenze spirituali.

APATIA = condizione indispensabile, secondo Evagrio, per giungere alla contemplazione. Consiste nella imperturbabilità di fronte alle emozioni che accadono nell’interiorità.

Cap. 67 – L’anima in possesso dell’apatia non è quella che non prova emozioni, ma ne resta imperturbata.

La contemplazione ha due livelli: la conoscenza delle cose naturali viste alla luce di Dio (1) e la conoscenza stessa di Dio (2). L’apatia è presupposto di entrambe. È tracciato un primo abbozzo di itinerario spirituale:passibilitàimpassibilitàcontemplazione delle cose naturalicontemplazione di Dio.Sono tre tappe: la vita pratica che conduce all’impassibilità; la vita gnostica che porta a conoscere le cose nel Mistero di Dio; la comunione col Mistero di Dio.

A un certo punto della contemplazione, anche la natura di Cristo diventa ostacolo alla contemplazione di Dio, e questo è un limite del suo pensiero. Sarà Santa Teresa di Gesù a specificare questi punti, risolvendo il problema: l’umanità di Cristo è centrale per giungere alla piena contemplazione.

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Problematica è pure l’idea della doppia creazione: della realtà spirituale, poi decaduta a realtà materiale, destinata a essere redenta e ritornare spirituale. Ma il Pratikon di Evagrio è ortodosso.

EVAGRIO parla degli…Otto pensieri generatori di vizi: gola, fornicazione, avarizia, tristezza, collera, accidia, vanagloria, orgoglio. Gregorio Magno distingue anche l’invidia e muta l’ordine…Non è in nostro potere che questi pensieri scuotano l’anima, ma che si trattengano o meno nel nostro animo, eccitando o meno le nostre passioni, questo dipende da noi.

1--Anzitutto compare il pensiero. Ma la presenza di esso – dice Massimo il Confessore – non dipende da noi, poiché i pensieri vengono da fuori di noi. Eppure nel vangelo di Matteo, Gesù dice che quanto viene/esce dal cuore dell’uomo lo rende impuro. Origene dice che prima di uscire dal cuore, quelle cose sono entrate dentro. Origene ha una visione ottimista dell’uomo: creato a somiglianza di Dio, non può generare da sé pensieri impuri. Questi entrano da fuori e, una volta entrati, possono dunque uscire da noi.

2--A questo punto si può scegliere se dialogare o meno con tale pensiero. Per chi non è spiritualmente maturo è pericoloso dialogare col pensiero; chi invece è maturo fa bene a dialogarci, poiché in esso può manifestarsi in modo errato un’autentica esigenza del cuore. Ad esempio, in sacerdote che avesse pensieri sensuali, potrebbe scorgere dietro di essi un bisogno affettivo reale, ad esempio il doversi rimettere in discussione con i suoi confratelli, instaurando legami di amicizia più forti.Al direttore spirituale è dunque utile una certa formazione psicologica (secondo una scuola corretta).

La maturità spirituale non è decisa dal singolo, ma dalla guida (nemo iudex in causa sua).Nel deserto il dialogo tra monaco e abbà avveniva raccontando il corso dei pensieri avuti nella giornata. Bastava esternare quanto vissuto nella giornata, anche senza ricevere un consiglio. Poiché ogni pensiero che venga rivelato, smette di avere la sua influenza. S. Ignazio di Loyola, che redige gli esercizi spirituali rifacendosi anche ai padri del deserto, dice che il demonio è come un falso amante che vuol sedurre la moglie di un bravo marito. Finché le sue trame restano nascoste, può operare.

3--Dialogando col pensiero, può capitare che vi si acconsenta, facendo propria la sua logica. A questo livello si colloca la connotazione morale del peccato di pensiero. I peccati di pensiero non sono i pensieri avuti, ma quelli cui si è dato il consenso.

4--A questo punto, il pensiero può generare l’azione.

5—L’azione ripetuta diviene vizio.

Sono questi i 5 gradi di penetrazione del pensiero (secondo san Massimo il Confessore).

Nell’Antirektikos (Contro i pensieri malvagi), Evagrio si sofferma ancora sugli 8 pensieri fondamentali. La lotta va affrontata contrapponendo al pensiero appassionato la Parola di Dio che propone una realtà diametralmente opposta. Oltre alla eziologia (Pratikon), arriva alla terapia (Antirektikos): è la Parola di Dio.

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Sono 8 capitoli – quanti i pensieri fondamentali. Per ogni pensiero, Evagrio individua testi della Scrittura da ripetere e far propri quando si è turbati da un pensiero appassionato. Ad es. “Questo comando che oggi di ordino non è troppo alto per te né troppo lontano da te” (Dt 30, 11) è valido contro la gola che insidia il proposito del digiuno…Aldilà della scelta di questo o quel pensiero, il metodo dobbiamo farlo nostro perché la Parola di Dio è potente, efficace, guaritrice: è realmente terapeutica. Questo perché Cristo stesso è la Parola di Dio!

Nelle immagini che conserviamo dei sogni, i demoni stessi aggrediscono la nostra parte concupiscibile e producono belle immagini di banchetti e festi… Quando invece conturbano la parte irascibile, ci appaiono dinanzi uomini armati e bestie voraci che ci inseguono. Le parti insidiate dalle immagini emerse nel sogno sono da curare, poiché i sogni fanno emergere i conflitti irrisolti e inconsci della nostra vita interiore, che si riverberano nell’esistenza quotidiana.Se ci facciamo caso, i sogni riflettono sovente la giornata vissuta.Conviene dunque addormentarsi con un pensiero bello nei confronti del Mistero di Dio. Così, benché non consapevoli, quest’ultimo pensiero continua ad avere la sua influenza durante la notte. Gli autori spirituali consigliano di scegliere alla sera la materia di meditazione per la mattina successiva.

Tre cause di pensieri spirituali (secondo s. Ignazio)naturali – noi stessi, se cioè sono fatto così, ho un certo carattere, una inclinazione alla sensualità, etc.. è normale che vengano più certi pensieri di altrida Dio – consolazione o desolazione spirituale (se sto andando di male in peggio, i pensieri tristi sopravvengono nella mia mente per richiamarmi al retto cammino; se sto andando di bene in meglio, non è certo Dio a ispirare pensieri di desolazione…)dal demonio – il nemico della natura umana (che ispira desolazione quando questa potrebbe arrestare un buon cammino spirituale), benché spesso i padri del deserto parlino di demonio quando la moderna psicologia possa aiutare meglio a discernere.

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ORIGENE

Si può studiare a parte, oppure come esempio di spiritualità proto-monastica in quanto, pur non essendo stato monaco, anticipò quello che i monaci avrebbero vissuto nella loro esperienza spirituale a livello di ascesi e di spiritualità.Nasce ad Alessandria d’Egitto nel 185 circa. Quando è ancora adolescente, il padre Leonida subisce il martirio, mentre Origene si salva dalle persecuzioni (perché la madre gli nasconde i vestiti e non può uscire) e si trova a badare alla madre e ai 7 fratelli. Compiuta la scelta di evirarsi – secondo la lettera del Vangelo, volendo iniziare a vivere il “martirio” per Cristo e il suo Regno, rinnegando se stesso – offre con ciò al vescovo Demetrio – che gli aveva affidato la scuola catechistica di Alessandria - invidioso del suo successo come predicatore, il motivo per allontanarlo. Origene aveva strutturato la scuola su due livelli, uno per catecumeni (cultura religiosa) e uno più impegnativo e approfondito (specialistica), incentrandola sullo studio e interpretazione della Sacra Scrittura secondo la chiave allegorico-tipologica, secondo alcuni, o esegesi spirituale, secondo altri: in un modo o nell’altro, Origene voleva raggiungere l’esperienza di Cristo tramite lo studio della Scrittura.Manlio Simonetti ha pubblicato sull’OR un articolo introduttivo a una serie di omelie attribuite a Origene. Simonetti fa sì che a Cesarea il successo di Origene non fu così ampio come ad Alessandria, poiché al pubblico mancavano gli strumenti intellettuali per cogliere la profondità del suo pensiero.A Cesarea, intorno al 250, viene incarcerato e torturato, senza però esser ucciso. Muore nel 253 anche in seguito alle sofferenze patite nelle persecuzioni. Il suo pensiero viene condannato da Costantinopoli II (553) e quindi gran parte delle sue opere sono andate perdute. Qualcuno parla di 2000 rotoli, altri di 8000. Una enormità, l’opera stilata da Origene. Alcune opere, come il commento al Cantico dei Cantici, ci giunge in latino (non in greco), in forma rimaneggiata (tradita, oltre che tradotta) dal traduttore. Verrà riscoperto poi nel Rinascimento.

L’opera fondamentale di Origene fu la ESAPLA, ovvero il testo dell’AT in 6 versioni in sinossi, opera importante e di difficilissima realizzazione. Fu il primo pensatore cristiano ad ardire di porsi con autorevolezza nel panorama culturale della sua epoca. Dopo di lui, non si potrà più considerare la fede cristiana come una favola per vecchi e bambini, poiché la teologia cristiana ebbe la possibilità di inserirsi a pieno titolo nel mondo culturale di allora.

L’esagerata radicalità del rendersi “eunuco per il regno dei Cieli” – scelta non approvata, ma ammirata da molti – suscitò critiche profonde, tanto che il vescovo Demetrio colse l’opportunità per allontanarlo. Anche perché la goccia che fece traboccare il vaso fu che a Cesarea Origene si fece ordinare sacerdote dal vescovo locale senza richiedere l’approvazione di Demetrio, che si sentì scavalcato. A Cesarea, però, non incontrò un pubblico culturalmente preparato come ad Alessandria e quindi riscosse minor successo.

La spiritualità di Origene – Il suo messaggio spirituale dipende dal suo approccio alla Scrittura. In essa si trovava un senso letterale e uno spirituale. Così anche nella vita del cristiano possiamo individuare tre momenti: (1) il momento dei principianti, legato alla semplice lettura del testo biblico – PROVERBI è il libro più adatto a loro, (2) i progredienti, legati al senso morale della Bibbia – QOELET e (3) i perfetti, legati al senso spirituale della Scrittura – IL CANTICO.

Il Cantico dei Cantici si può leggere solo se giunti al livello di lettura spirituale della Bibbia.

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Si conserva il commento fino a Ct 2, 15, in copia latina emendata delle scorrettezze teologiche da Rufino. È il primo autore a leggere il Ct come una storia d’amore tra Cristo sposo e l’anima sposa.La lettura ebraica e quella patristica si fermavano al livello letterale (un amore a livello umano) oppure si indicava lo sposalizio tra Dio e il suo popolo. Ma è una novità aver individuato la storia di amore tra Cristo e l’anima, fino alla unione sponsale. È l’iniziatore della cosiddetta mistica sponsale nella spiritualità cristiana (Bernardo di Chiaravalle la farà giungere ai suoi massimi vertici). Usa l’immagine della “ferita d’amore” tipica del Ct facendone una espressione tipica per descrivere un fenomeno mistico anche nella spiritualità successiva (cfr. Teresa d’Avila e la sua estasi).

Individua poi i passaggi e momenti (42) dell’itinerario di un’anima verso Dio, prendendo a prestito le diverse tappe descritte nel libro dei Numeri (cap. 33). 33, 1 Queste sono le tappe degli Israeliti che uscirono dal paese d'Egitto, ordinati secondo le loro schiere, sotto la guida di Mosè e di Aronne. 2 Mosè scrisse i loro punti di partenza, tappa per tappa, per ordine del Signore; queste sono le loro tappe nell'ordine dei loro punti di partenza.3 Partirono da Ramses il primo mese, il quindici del primo mese. Il giorno dopo la pasqua, gli Israeliti uscirono a mano alzata, alla vista di tutti gli Egiziani, 4 mentre gli Egiziani seppellivano quelli che il Signore aveva colpiti fra di loro, cioè tutti i primogeniti, quando il Signore aveva fatto giustizia anche dei loro dèi.5 Gli Israeliti partirono dunque da Ramses e si accamparono a Succot. 6 Partirono da Succot e si accamparono a Etam che è sull'estremità del deserto. 7 Partirono da Etam e piegarono verso Pi-Achirot, che è di fronte a Baal-Zefon, e si accamparono davanti a Migdol. 8 Partirono da Pi-Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara. 9 Partirono da Mara e giunsero ad Elim; ad Elim c'erano dodici sorgenti di acqua e settanta palme; qui si accamparono. 10 Partirono da Elim e si accamparono presso il Mare Rosso. 11 Partirono dal Mare Rosso e si accamparono nel deserto di Sin. 12 Partirono dal deserto di Sin e si accamparono a Dofka. 13 Partirono da Dofka e si accamparono ad Alus. 14 Partirono da Alus e si accamparono a Refidim dove non c'era acqua da bere per il popolo. 15 Partirono da Refidim e si accamparono nel deserto del Sinai.16 Partirono dal deserto del Sinai e si accamparono a Kibrot-Taava. 17 Partirono da Kibrot-Taava e si accamparono a Cazerot. 18 Partirono da Cazerot e si accamparono a Ritma. 19 Partirono da Ritma e si accamparono a Rimmon-Perez. 20 Partirono da Rimmon-Perez e si accamparono a Libna. 21 Partirono da Libna e si accamparono a Rissa. 22 Partirono da Rissa e si accamparono a Keelata. 23 Partirono da Keelata e si accamparono al monte Sefer. 24 Partirono dal monte Sefer e si accamparono ad Arada. 25 Partirono da Arada e si accamparono a Makelot. 26 Partirono da Makelot e si accamparono a Tacat. 27 Partirono da Tacat e si accamparono a Terach. 28 Partirono da Terach e si accamparono a Mitka. 29 Partirono da Mitka e si accamparono ad Asmona. 30 Partirono da Asmona e si accamparono a Moserot. 31 Partirono da Moserot e si accamparono a Bene-Iaakan. 32 Partirono da Bene-Iaakan e si accamparono a Or-Ghidgad. 33 Partirono da Or-Ghidgad e si accamparono a Iotbata. 34 Partirono da Iotbata e si accamparono ad Abrona. 35 Partirono da Abrona e si accamparono a Ezion-Gheber.36 Partirono da Ezion-Gheber e si accamparono nel deserto di Sin, cioè a Kades. 37 Poi partirono da Kades e si accamparono al monte Or all'estremità del paese di Edom. 38 Il sacerdote Aronne salì sul monte Or per ordine del Signore e in quel luogo morì il quarantesimo anno dopo l'uscita degli Israeliti dal paese d'Egitto, il quinto mese, il primo giorno del mese. 39 Aronne era in età di centoventitré anni quando morì sul monte Or. 40 Il cananeo re di Arad, che abitava nel Negheb, nel paese di Canaan, venne a sapere che gli Israeliti arrivavano.41 Partirono dal monte Or e si accamparono a Salmona. 42 Partirono da Salmona e si accamparono a Punon. 43 Partirono da Punon e si accamparono a Obot. 44 Partirono da Obot e si accamparono a Iie-Abarim sui confini di Moab. 45 Partirono da Iie-Abarim e si accamparono a Dibon-Gad. 46 Partirono da Dibon-Gad e si accamparono ad Almon-Diblataim. 47 Partirono da Almon-Diblataim e si accamparono ai monti Abarim di fronte a Nebo. 48 Partirono dai monti Abarim e si accamparono nelle steppe di Moab, presso il Giordano di Gerico. 49 Si accamparono presso il Giordano, da Bet-Iesimot fino ad Abel-Sittim nelle steppe di Moab.50 Il Signore disse a Mosè nelle steppe di Moab presso il Giordano di Gerico: 51 «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan, 52 caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture. 53 Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà».

Non c’è solo un itinerario spirituale nel tempo, ma anche oltre esso. Ricorda la dottrina cattolica del purgatorio. La conclusione del cammino spirituale del cristiano termina – secondo i teologi spirituali di oggi – con la resurrezione dei corpi.Nell’omelia relativa, Origene individua 42 tappe per l’uscita del popolo dall’Egitto, come Matteo indica 14 x 3 = 42 generazioni fino a Gesù (anche se sono 40 in realtà, poiché si ripetono quelle di raccordo… NdA). L’analogia sta nel fatto che per arrivare al Padre bisogna percorrere la strada che è Cristo, tramite il quale si passa da questo mondo al Padre. L’itinerario della vita spirituale non è dunque altro che ripercorrere il mistero di Cristo. Colui che è disceso è lo stesso che è anche asceso al Cielo. Nel commentare alcune tappe, descrive che cosa sia la contemplazione (quando la mente resta attonita e piena di stupore per la conoscenza di cose grandi e magnifiche). Così pure il passaggio da una tappa all’altra è immagine del passaggio tra le tentazioni della vita e il progresso della fede. Ma altresì il cammino dell’anima che si scioglie dal corpo al momento della morte per accedere alle dimore eterne.

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Questi concetti sono importanti perché per la prima volta Origene ne parla. La Didaché si era limitata a dire che c’è una via del bene e una via del male, per la vita e per la morte, con le proprie opere. Ma non aveva descritto come avvenga il cammino dalla via del male a quella del bene. Origene invece racconta quali tappe vengano compiute dall’anima per passare dall’Egitto di questo mondo alla visione di Dio.

Lettura della prefazione al Cantico dei Cantici (cfr. antologia di testi): il concetto di ferita d’amore.

ORIGENE, PREFAZIONE AL CANTICO DEI CANTICI (versione ridotta, NdR)

Questo epitalamio, cioè carme nuziale, mi sembra che sia stato scritto da Salomone a mo’ di azione drammatica, ed egli lo ha cantato a guisa di sposa promessa che va a nozze e che arde di amore celeste per il suo sposo, che è il Verbo di Dio. Infatti lo ha amato, sia l’anima che è stata fatta a sua immagine sia la chiesa. Definiamo azione drammatica – come quando una rappresentazione è messa in scena – l’azione in cui sono introdotte varie persone e, mentre alcune entrano in scena ed altre si allontanano, la trama della narrazione è svolta da alcuni personaggi che si rivolgono ad altri. Il nostro testo contiene queste singole scene disposte in ordine, e tuttora la sua sostanza è formata da espressioni mistiche.Ma innanzitutto bisogna che noi sappiamo che, come l’età infantile non è mossa all’amore passionale, così non viene ammesso a comprendere le parole del Cantico colui il cui uomo interiore è ancora in età infantile: mi riferisco a coloro che in Cristo sono alimentati con latte, non con cibo solido e che ora per la prima volta desiderano il latte razionale e senza inganno. Se invece si sarà accostato a questo testo qualcuno che vive soltanto secondo la carne, a costui deriverà non poco rischio e pericolo. Poiché infatti non sa ascoltare le espressioni amorose con purezza e casto orecchio, tutto ciò che ascolta trasferirà dall’uomo interiore all’uomo esteriore e carnale, lo piegherà dallo spirito della carne, nutrirà in sé concupiscenze carnali e a motivo della sacra Scrittura sembrerà spinto e incitato alla libidine della carne. Perciò ammonisco e consiglio ognuno, che non è ancora libero dalle molestie della carne e del sangue e non si è ancora affrancato dalle affezioni della materia, di astenersi completamente dalla lettura di questo libro e dalle spiegazioni che su di esso vengono fornite. Prima di venire alla spiegazione di ciò ch’è scritto in questo libro, mi sembra necessario trattare un po’ proprio dell’amore, che è la causa principale per la quale il libro è stato scritto; poi dell’ordine dei libri di Salomone, fra i quali questo occupa il terzo posto; quindi del titolo del libro, perché sia intitolato Cantico dei cantici; e infine anche in che modo sia stato composto a mo’ dio azione drammatica, quasi come una rappresentazione che viene messa in scena con mutamento di personaggi. Cibo e bevanda di questo uomo materiale, che è chiamato anche esteriore, sono affini alla sua natura, cioè corporei e terreni. Analogamente l’uomo spirituale, che è chiamato anche uomo interiore, ha il suo proprio cibo, il pane vivo che è disceso dal cielo, e la sua bevanda è di quell’acqua che Gesù promette dicendo: Chi avrà bevuto da questa acqua che io gli do, non avrà più sete in eterno. Così è stabilita perfetta somiglianza di vocaboli secondo l’uno e l’altro uomo, ma i caratteri propri delle realtà corrispondenti sono mantenuti distinti per l’uno e per l’altro. All’uomo corruttibile sono presentate cose corruttibili mentre all’uomo incorruttibile sono proposte realtà incorruttibili. Di qui è successo che alcuni semplici, non sapendo distinguere ciò che nella sacra Scrittura va riferito all’uomo interiore e ciò che invece va riferito all’uomo esteriore, tratti in inganno dalla somiglianza delle parole si sono volti a sciocche favole e a vane invenzioni, sì da credere che anche dopo la resurrezione ci si dovrà servire di cibi corporali e si dovrà bere non soltanto da quella vite vera e che vive nei secoli, ma anche da queste viti e frutti di legno. E per parlare più chiaramente, se c’è qualcuno che porta ancora l’immagine del terrestre secondo l’uomo esteriore, costui è spinto dal desiderio e dall’amore terreno; chi invece porta l’immagine del celeste secondo l’uomo interiore, costui è spinto dal desiderio e dall’amore celeste. E l’anima è spinta dall’amore e dal desiderio celeste allorché, osservata la bellezza e la grazia del Verbo di Dio, ha preso ad amare il suo aspetto e da lui ha ricevuto un dardo e una ferita d’amore. Infatti il Verbo è l’immagine e la luce riflessa del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione, nel quale sono state create tutte le cose che sono in cielo e che sono in terra, sia visibili sia invisibili. Pertanto chi avrà potuto con mente capace considerare e comprendere la grazia e la bellezza di tutte le cose che sono state create in lui, colpito dalla

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bellezza di esse e ferito dalla magnificenza dello splendore come la freccia eletta, secondo quanto dice il profeta, riceverà da lui una ferita che apporta salvezza e arderà del fuoco beato del suo amore. Ma è opportuno che noi sappiamo anche questo: come l’uomo esteriore può essere preso da amore illecito e contro la legge, sì che, p. es., ami non la fidanzata o la moglie bensì una prostituta o un’adultera, così anche l’uomo interiore, cioè l’anima, può essere presa da more non per lo sposo legittimo, che abbiamo detto essere il Verbo di Dio, ma per un adultero e un corruttore. Così anche questo amore spirituale dell’anima, come abbiamo spiegato, a volte arde per alcuni spiriti maligni e a volte per lo Spirito Santo e per il verbo di Dio: questo è lo sposo fedele che è detto marito dell’anima dotta, e proprio della sua sposa si parla principalmente in questo libro della Scrittura di cui ci stiamo occupando.Mi sembra poi che la sacra Scrittura, volendo evitare che sorga qualche inciampo ai lettori a causa della parola amore, per riguardo a qualcuno un po’ troppo inesperto, quello che i sapienti del mondo dicono desiderio (eros) con termine più decoroso ha chiamato amore (agape).Il nome di amore spetta in primo luogo a Dio, per cui ci si comanda di amare Dio con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze: infatti è da lui che noi deriviamo questa facoltà di esercitare l’amore. Abbiamo voluto fare distinzione chiara e precisa sulla natura dell’amore e del desiderio, al fine di evitare che, poiché la Scrittura definisce Dio amore, si creda che l’amore che deriva da Dio sia in tutto ciò che noi amiamo, anche se si tratta di cose corruttibili. Infatti si dimostra che l’amore è, sì, cosa e dono di Dio, ma non sempre viene messo in opera dagli uomini per finalità che sono di Dio e che Dio vuole. Salomone, volendo separare e distinguere fra loro queste tre che abbiamo definito scienze generali, cioè morale, naturale e contemplativa, le ha trattate in tre libri disposti in ordine logico. Prima nei Proverbi ha fatto conoscere la morale, componendo norme di vita con massime brevi e compendiose, come si addiceva. La seconda scienza, quella denominata naturale, la comprese nell’Ecclesiaste nel quale tratta a lungo di questioni naturali e, distinguendo le cose inutili e vane da quelle utili e necessarie, insegna ad abbandonare la vanità e a ricercare ciò che è utile e buono. Infine fece conoscere la scienza contemplativa in questo libro che abbiamo fra le mani, il Cantico dei cantici, nel quale istilla nell’anima l’amore per le cose celesti e il desiderio delle realtà divine, sotto la figura della sposa e dello sposo, e insegna che per le vie dell’amore si deve arrivare all’unione con Dio. Dopo queste considerazioni, la connessione degli argomenti vuole che noi diciamo qualcosa anche intorno al titolo stesso di Cantico dei cantici: questo è il solo cantico che doveva essere cantato, quale carme nuziale, proprio dallo sposo che ormai stava per ricevere la sposa; ed essa non vuole che le sia cantato dagli amici dello sposo, ma ormai desidera ascoltare proprio le parole dello sposo presente, dicendo: Mi baci con i baci della sua bocca. Per tale motivo ben a ragione esso è preposto a tutti i cantici. Infatti tutti gli altri cantici, che la legge e i profeti cantarono, sembrano essere stati cantati alla sposa ancora troppo giovane e che non era ancora entrata nella maturità: invece questo cantico è cantato a lei ormai adulta e valida, adatta ad accogliere la capacità generatrice dell’uomo e il perfetto mistero.

SENSI SPIRITUALI – L’uomo spirituale, per il peccato, decade nella situazione carnale, trovandosi così i due uomini – spirituale e carnale – a convivere. Come il secondo ha 5 sensi carnali, così l’uomo spirituale ha 5 sensi spirituali per cogliere le cose.

Lettura di una pagina sui sensi spirituali – “Poiché Gesù Cristo è una fonte…”. Chi è “unto” diviene “Cristo”, e riceve Luce che illumina gli occhi delle anime, e Parola, per ascoltare, e Pane per il gusto dell’anima, e Unzione o Nardo per odorare, e Tangibile/Carne affinché la mano dell’anima potesse averne contatto. Una volta che i sensi spirituali hanno gustato il Verbo, non desiderano nient’altro. Il card. Spidlik, nel Manuale sistematico di spiritualità dell’oriente cristiano, dice che la dottrina dei sensi spirituali risale a Origene, che rivendica per l’anima il senso della vista spirituale (Evagrio Pontico), mentre gli altri sono solo dei sostituti qualora dovessero mancare gli occhi dell’anima. L’olfatto percepisce il profumo delle virtù, il tatto dà la certezza come all’apostolo Tommaso, mentre il gusto sente la dolcezza di Dio. Ma sono sensi che si risvegliano quanto più si mortificano quelli corporali.

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Sovente usiamo immagini a questa dottrina riferite – gustare la dolcezza di Dio – ma si dimenticano i 5 sensi dell’anima che sono radice di questo linguaggio.Qualche teologo afferma che la grazia elevi i sensi corporali in modo che possano percepire le realtà spirituali; altri dicono che sono solo figure retoriche i 5 sensi spirituali, poiché l’antropologia di Origene non è senza discussione…

Leggiamo anche Agostino. - Confessioni, X

L'oggetto dell'amore verso Dio6. 8. Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la tua parola, ti amai, e anche il cielo e la terra e tutte le cose in essi contenute, ecco, da ogni parte mi dicono di amarti, come lo dicono senza posa a tutti gli uomini, affinché non abbiano scuse 40. Più profonda misericordia avrai di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il quale fosti misericordioso 41. Altrimenti cielo e terra ripeterebbero le tue lodi 42 a sordi. Ma che amo, quando amo te? Non una bellezza corporea, né una grazia temporale: non lo splendore della luce, così caro a questi miei occhi, non le dolci melodie delle cantilene d'ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli unguenti e degli aromi, non la manna e il miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di tutto ciò amo, quando amo il mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso nell'amare il mio Dio: la luce, la voce, l'odore, il cibo, l'amplesso dell'uomo interiore che è in me, ove splende alla mia anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo, ove olezza un profumo non disperso dal vento, ov'è colto un sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda una stretta non interrotta dalla sazietà. Ciò amo, quando amo il mio Dio.

Ricerca di Dio oltre la materia6. 9. Che è ciò? 43. Interrogai sul mio Dio la mole dell'universo, e mi rispose: "Non sono io, ma è lui che mi fece". Interrogai la terra, e mi rispose: "Non sono io"; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi 44 e i rettili con anime vive 45; e mi risposero: "Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi".

27. 38. Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai 70 e ho fame e sete 71; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.

Ripensando alla propria esperienza personale, riflettiamo se non ci sia stato un momento in cui senza questa sensibilità interiore non ci sia possibile descrivere una nostra esperienza spirituale.

Anche Ignazio di Loyola, parlando negli Esercizi della preghiera, suggerisce di fare la meditazione sul testo biblico applicando i 5 sensi: usare l’immaginazione per la composizione del luogo (l’orante deve anzitutto crearsi nella mente una immagine che ripresenti più fedelmente possibile la situazione della pagina biblica), sapendo che sovente questa immaginazione va fermata e concentrata su un oggetto (cfr. Teresa d’Avila); quindi si tratta di applicare i 5 sensi all’immagine formatasi nella mente: quali parole sento? Quali profumi? Cosa vedo? Quali sapori nella bocca? Che cosa tocco? – tutto questo con lo scopo di giungere a gustare interiormente il mistero, passando dalla conoscenza di sé alla decisione di servire Dio.I sensi spirituali si esercitano maggiormente quanto più si mortificano i sensi carnali.

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AGOSTINO d’IPPONA

354-430 dC. Segna profondamente cultura e teologia dell’Occidente cristiano. Tutta la sua vita fu ricerca dell’assoluto… Partendo dal manicheismo, passando per il neoplatonismo, giunge alla fede cristiana, al battesimo, allo stile di vita monacale, incontrando la persona di Cristo, divenendo presbitero e poi vescovo, periodo cui risalgono le sue opere migliori: le Confessioni, De Trinitate, De Civitate Dei, Commento ai Salmi, …

Nelle Confessioni narra l’esperienza mistica di Ostia, insieme alla madre Monica, ove sa di trovarsi dinanzi a un Dio personale che lo ama, ma usa categorie plotiniane per descrivere questa esperienza. Il suo cristianesimo fino al presbiterato fu forse plotiniano/filosofico (per cui la centralità della persona di Cristo non risale al momento stesso del battesimo, 387 dC).

Nel Commento al Salmo 41 si tocca la mistica di Agostino, più che nelle Confessioni… Da tale commento si evince come, maturando l’esperienza di vita cristiana, Agostino ha capito che si tratta di approfondire il dono del battesimo in un contesto ecclesiale: questa è la mistica, l’esperienza di Dio. Non è più ricerca individuale, bensì accoglienza di un dono personale che si sperimenta in un tessuto comunitario.

Affrontando la crisi pelagiana – nel De gratia et libero arbitrio – Agostino specifica le tre possibilità rispetto al peccato: dice che Adamo poteva non peccare, dopo il peccato originale non poteva che peccare (esperienza personale di Agostino che sente in sé la morsa della concupiscenza), in Paradiso non si può peccare, perché nella perfezione della gloria.Nel tempo, è la grazia che fa passare dalla condizione decaduta (non poter non peccare) al poter non peccare (uomo rigenerato dalla grazia di Cristo). Come unire grazia e libertà? Afferma che la grazia si sperimenta come desiderio, per cui mantiene intatta la libertà dell’uomo.

La Città di Dio è costruita sull’amore di Dio e il disprezzo di sé, mentre la città degli uomini si fonda sull’amore di sé fino al disprezzo di Dio. Non ci sono spazi intermedi. Forse questo limita in parte il suo pensiero.La svolta del suo pensiero sta nel comprendere che la essenza del cristianesimo è l’amore che si identifica con la grazia. Tutto è carità e tutto si muove per amore. Ma come distinguere la carità dalla cupidigia (il falso amore). Distingue “frui” e “uti”, cioè che si fruisce con gratuità e quello che si usa per il proprio utile. Il primo è un amare qualcosa per se stesso, mentre il secondo ama l’oggetto come mezzo per un fine successivo. Oggetto della dinamica del FRUI non può che essere DIO, in quando solo Lui può esser FINE della nostra vita (amato per Se stesso). Anche il prossimo può essere amato come fine, ma sempre quale mezzo in vista del Fine unico che è Dio.

Agostino individua una certa dinamicità per pervenire alla perfezione della carità che distingue in incipiente, progrediente, proficiente, da cui deriva la distinzione* tra credenti incipienti, progredienti, perfetti.

Altro schema è quello dello sviluppo della capacità di preghiera.Lo Pseudo Dionigi parla di vita purgativa, illuminativa, unitiva. Mentre Agostino distingue i tre stadi dei credenti*.

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LETTERA 130 – “A PROBA” (Scritta non molto dopo il 411).

Agostino espone a Proba come si debba pregare e come anche i ricchi possano entrare nel regno dei cieli (nn. 14). L'anima deve sentirsi desolata finché non arriverà alla beatitudine (nn. 5-6). Come dobbiamo servirci delle ricchezze e in che riporre la felicità (nn. 7-14). Le parabole della vedova e del padre di famiglia importuni (n. 15). La preghiera liturgica: si deve pregare non con molte parole ma con intenso affetto (nn. 16-20). Le espressioni del Padre nostro hanno corrispondenze nelle preghiere dei santi dell'Antica Alleanza (nn. 21-22). Chiedere a Dio che ci liberi dalla cupidigia dei beni terreni e avvalorare le preghiere con le opere buone (un. 23-24). Desiderare il sommo Bene (nn. 25-28). Perché le vedove debbono pregare con maggiore assiduità (n. 29). Proba preghi anche per Agostino e per i suoi confratelli (nn. 30-31).

AGOSTINO, VESCOVO, SERVO DI CRISTO E DEI SERVI DI CRISTO, SALUTA NEL SIGNORE DEI SIGNORI LA VENERABILE SERVA DI DIO PROBA (versione ridotta, NdR)

La preghiera assidua necessaria alle vedove.1. 1. Ricordandomi che tu mi hai chiesto e io ho promesso di scriverti qualcosa sul modo di pregare Dio, dato che adesso per grazia di Colui che noi invochiamo nella preghiera ci è concesso il tempo e la possibilità, era mio dovere saldare subito il mio debito e nella carità di Cristo accondiscendere al tuo pio desiderio. (…) Poiché qual altra maggior occupazione avresti dovuto avere nella tua vedovanza che persistere nella preghiera notte e giorno , secondo la raccomandazione dell'Apostolo? Egli infatti dice: Colei però ch'è veramente vedova e desolata ha riposto la sua speranza nel Signore e attende con perseveranza alla preghiera notte e giorno. Potrebbe quindi sembrare strano come mai pur essendo tu, nell'estimazione del mondo, nobile, ricca, madre d'una famiglia si numerosa e benché vedova, non però desolata, può - ripeto - sembrare strano come il pensiero della preghiera sia penetrato nel tuo cuore e se ne sia interamente impossessato, se non fosse che tu capisci bene che in questo mondo e in questa vita nessuno può sentirsi al sicuro.

Com'è accessibile ai ricchi il regno di Dio.1. 2. Colui perciò che ti ha ispirato questo pensiero fa proprio come fece coi suoi discepoli: essendo essi rattristati non tanto per se stessi quanto per il genere umano e avendo perso la speranza che alcuno potesse salvarsi dopo aver sentito dire da Lui ch'è più facile che un cammello entri per la cruna d'un ago che un ricco nel regno dei cieli, Egli con una promessa stupenda e piena di bontà rispose loro che quel ch'è impossibile agli uomini è facile a Dio. Colui quindi, al quale è facile che perfino un ricco entri nel regno dei cieli, ha ispirato a te la pia sollecitudine con cui hai pensato dovermi consultare in qual modo tu debba pregare. Orbene, come potresti darti tanto pensiero di pregare Dio, se non sperassi in lui? E come potresti sperare in Lui, se riponessi le tue speranze nell'instabilità della ricchezza?

I veri beni.2. 3. Per amore della vita vera devi quindi considerarti anche desolata nella vita di quaggiù per quanto grande possa essere la felicità in cui ti trovi. Come infatti la vera vita è quella, al cui confronto questa nostra, da noi tanto amata, per quanto piacevole e lunga, non merita d'esser chiamata vita, così anche la vera consolazione è quella che promette Dio. Senza questo conforto, in tutte le altre gioie terrene si trova più desolazione che consolazione . Quale consolazione infatti possono arrecare le ricchezze, le più alte dignità e gli altri beni di tal fatta per i quali i mortali, prima della vera felicità, si credono felici, quando è meglio non averne bisogno che segnalarsene, dal momento che ci tormenta più il timore di perderli, una volta che si sono acquistati, che non l'ardore di acquistarli?

Preziosi gli amici, ma come conoscerne il cuore?2. 4. Se infatti ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci rattristasse l'esilio, ci tormentasse qualche altra calamità, ma ci fossero vicine delle persone buone che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono, che sapessero rivolgere parole di sollievo e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità. Ma questo effetto è prodotto in essi e per mezzo di essi da Colui che li rese buoni col suo Spirito. Nel caso invece che sovrabbondassero le ricchezze, che non ci capitasse nessuna perdita di figli o del coniuge, che fossimo sempre sani di corpo, che abitassimo nella patria preservata da sciagure, ma convivessero con noi individui perversi fra i quali non ci fosse nessuno di cui fidarci e da cui non dovessimo temere e sopportare inganni, frodi, ire, discordie, insidie, non è forse vero che tutti questi beni diventerebbero amari e insopportabili e che nessuna gioia o dolcezza proveremmo in essi? Così in tutte le cose umane nulla è caro all'uomo senza un amico. Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all'animo e alla condotta in questa vita? Nessuno conosce un altro come conosce sé stesso: eppure nessuno è tanto noto nemmeno a sé stesso da poter essere sicuro della propria condotta del giorno dopo.

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In paradiso né tentazioni né bisogno d'orazione.2. 5. Allora, solo dopo la morte, ci sarà la vera vita, e dopo la desolazione la vera consolazione. Sarà quella vita a liberare l'anima nostra dalla morte, sarà quella consolazione, a liberare gli occhi nostri dalle lacrime. Se non vi sarà poi tentazione, non vi sarà più neppure orazione, in quanto non vi sarà più aspettazione di un bene promesso, ma la contemplazione d'un bene concesso.

Saremo desolati finché non arriveremo al paradiso.2. 6. Poiché tu, vedova ricca e nobile e madre di sì numerosa famiglia, mi hai posto dei quesiti sulla preghiera, io ti ho dette queste cose affinché, anche se in questa vita restino con te fedeli e pieni di premure i tuoi familiari, tu abbia a considerarti desolata in quanto non hai ancora conseguita la vita in cui risiede il vero e sicuro conforto , in cui si compirà ciò che è detto nella profezia: Ci hai colmati di gioia in compenso dei giorni nei quali ci hai afflitti, degli anni nei quali abbiamo visto sventure.

Le ricchezze: per la salute non per la superbia.3. 7. L'uomo vive di tutto ciò che ama, che brama come gran cosa e in cui crede di essere beato. Perciò quello che la Scrittura dice delle ricchezze: Se le ricchezze sovrabbondano, non attaccate ad esse il vostro cuore, lo dico a te anche dei piaceri: Se i piaceri abbondano, non attaccarvi il tuo cuore. Non tenerti in gran conto perché essi non ti mancano, anzi sovrabbondano e scorrono come da una sorgente abbondante di felicità terrena. Disdegnali e disprezzali assolutamente per quanto ti riguarda e non ricercarvi se non la piena salute del corpo. Questa infatti non deve essere trascurata per le necessità della vita terrena, prima che questo corpo mortale si rivesta dell'immortalità, cioè della vera, perfetta ed eterna salute, che non s'indebolisce per la infermità terrena né si ristabilisce con un piacere corruttibile ma, persistendo nel celeste vigore, è vivificata da un'eterna incorruttibilità. L'Apostolo stesso ci dice: Non vi preoccupate della carne, per soddisfarne i desideri, poiché noi ci prendiamo cura della carne, ma solo per la necessità della salute.

Non attaccare il cuore alle ricchezze.3. 8. Da questi piaceri - vivendo in mezzo ai quali una vedova, se v'è attaccata con l'affetto del cuore e ingolfata, benché viva, è, morta - si sono astenuti in modo assoluto molti santi e molte sante distribuendo ai poveri le ricchezze che sono per così dire la matrice dei piaceri, e così le han poste maggiormente al sicuro negli scrigni celesti. Ora, se tu non fai altrettanto perché impedita da qualche dovere d'amore verso la famiglia, sai da te stessa qual conto dovrai renderne al Signore.

La felicità è da chiedersi a Dio.4. 9. Hai udito con quali disposizioni devi pregare: ascolta ora quale dev'esser l'oggetto delle tue preghiere, poiché per questo soprattutto hai voluto consultarmi, poiché ti fa impressione ciò che dice l'Apostolo: Noi non sappiamo che cosa dobbiamo dire nelle preghiere per pregare come si deve. Tu in realtà temi che più del non pregare possa nuocerti il non farlo come si dovrebbe. Te lo posso dire in poche parole: prega (per ottenere) la vita beata. La desiderano tutti; anche coloro che menano una vita sregolata e pessima, non vivrebbero affatto così, se non fossero convinti di essere o di poter divenire beati in quel modo. Che altro dunque conviene chiedere nelle preghiere se non quel bene che bramano tanto i cattivi che i buoni, ma al quale arrivano solo i buoni?

I beni terreni e la vera felicità.5. 11. E' beato dunque chi possiede tutto ciò che vuole e non vuole nulla di sconveniente.

Chi è retto pospone i beni terreni agli eterni.7. 14. E' forse tutto qui, è forse questo tutto ciò che costituisce l'essenza della vita beata, oppure la Verità c'insegna qualche altro bene da preferire a tutti questi beni? In effetti anche la sufficienza dei mezzi e l'incolumità tanto nostra che degli amici, poiché sono beni temporanei, devono essere disprezzati per il conseguimento della vita eterna . Anche se per caso il corpo gode buona salute, l'anima non si può affatto considerare sana, se non antepone le realtà eterne a quelle temporali. E per vero non si vive utilmente nel tempo se non per acquistare il merito, in grazia del quale vivere nell'eternità. Ne consegue che ogni altro bene, che è desiderato utilmente e convenientemente, dev'essere senza dubbio riferito all'unica vita che si vive con Dio e di Dio.

Le parabole sull'efficacia della preghiera.8. 15. Perché mai dunque ci perdiamo dietro a tante considerazioni e cerchiamo di sapere che cosa dobbiamo chiedere nelle nostre preghiere per timore di non riuscire a pregare come dovremmo? Perché non diciamo piuttosto col salmo: Una cosa sola ho chiesta al Signore, quella sola io ricercherò: di restare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita per contemplare le delizie di Dio e visitare il suo tempio? Lì tutti i giorni non si sommano col venire e col passare, e l'inizio dell'uno non è la fine dell'altro: sono tutti insieme senza fine, dove non ha fine neppure la vita a cui quei giorni appartengono. Per l'acquisto di questa vita beata la vera Vita beata in persona c'insegnò a pregare , ma non con molte parole, come se ci esaudisse di più quanto più siamo loquaci, dal momento che la nostra preghiera è rivolta a

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Colui che conosce, come dice il Signore medesimo, ciò che ci è necessario prima che glielo chiediamo . Potrebbe sembrare strano che, pur proibendo il multiloquio, Colui il quale conosce, prima che glielo chiediamo, ciò che ci è necessario, ci abbia esortato con tanta insistenza a pregare, da dire: Occorre pregare di continuo e non stancarsi. Così dicendo ci propose l'esempio d'una vedova che, desiderando ottenere giustizia contro il proprio avversario, piegò un giudice iniquo ed empio col sollecitarlo spesso a darle ascolto, mosso non già da un senso di giustizia o di compassione, ma vinto dalla noia. Ci volle così ricordare che molto più sicuramente è disposto ad ascoltarci Dio, Signore misericordioso e giusto, quando preghiamo senza interruzione, dal momento che quella vedova, grazie alle sue assidue sollecitazioni, non poté essere trascurata neppure da un giudice iniquo. Ci volle anche insegnare quanto volentieri e benignamente è disposto a compiere i buoni desideri di coloro che Egli sa che perdonano i peccati altrui, se la vedova, che voleva le si facesse giustizia, raggiunse lo scopo desiderato. Anche quel tale, presso cui era giunto un amico da un viaggio e che non aveva nulla da servirgli a tavola, desiderando che da un altro suo amico gli fossero prestati tre pani, sotto i quali è adombrata forse la Trinità di un'unica sostanza, a forza di supplicare con grande petulanza e molestia, lo svegliò quando già dormiva coi suoi servitori, perché gli desse i pani che voleva. L'amico glie li diede più per evitare d'essere infastidito che per benevolenza. Volle il Signore che da questa parabola comprendessimo che se è costretto a dare chi, mentre dorme, è svegliato suo malgrado da un supplicante, tanto più benevolmente dà Colui che non dorme mai e stimola noi che dormiamo a fargli delle richieste.

Cristo esorta: chiedete, cercate, bussate!8. 16. A questo proposito troviamo anche scritto: Chiedete e otterrete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto; poiché chi chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. Qual è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra o se gli chiede un pesce gli darà un serpente o se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi dunque, pure essendo cattivi, sapete dare ai vostri figli doni buoni, quanto più il Padre vostro celeste li largirà a voi quando glieli chiedete? Delle tre note virtù raccomandate dall'Apostolo la fede è simboleggiata nel pesce, sia a causa dell'acqua del battesimo, sia perché rimane integra in mezzo ai flutti di questa vita: ad essa si oppone il serpente, il quale con velenoso inganno persuase i progenitori a non credere a Dio; la speranza è raffigurata nell'uovo, perché la vita del pulcino non c'è ancora ma ci sarà, non si vede ancora ma si spera, poiché una speranza che si vede non è più speranza; all'uovo si oppone lo scorpione, poiché colui che spera la vita eterna, dimentica le cose che gli stanno dietro e si protende verso quelle che gli stanno davanti, mentre gli nuoce rivolgersi a guardare indietro; dallo scorpione però bisogna guardarsi nella sua parte posteriore, velenosa e armata di aculeo; nel pane è raffigurata la carità, ch'è la più grande di queste virtù, a quel modo che il pane è superiore per utilità a tutti gli altri alimenti: al pane si oppone la pietra, giacché i cuori duri respingono la carità. Anche se queste cose ammettono un'altra interpretazione più conveniente, nondimeno Colui che sa concedere ai suoi figli i buoni doni, ci spinge a chiedere, a cercare, a bussare.

La preghiera, esercizio di fede e speranza.8. 17. Potrebbe far meraviglia che agisca così Colui che conosce ciò che ci è necessario prima che glielo chiediamo, se non comprendessimo che il Signore Dio nostro non desidera che noi gli facciamo conoscere qual è il nostro volere ch'egli non può non conoscere, ma desidera che nelle preghiere si eserciti il nostro desiderio, onde diventiamo capaci di prendere ciò che prepara di darci. Questo bene è assai grande, ma noi siamo piccoli e angusti per accoglierlo. Perciò ci vien detto: Allargate il cuore, per non mettervi a portare il giogo con gli infedeli 39. Con tanto maggiore capacità riceveremo quel bene molto grande, che occhio non ha veduto perché non è colore, orecchio non ha udito perché non è suono, né è entrato nel cuore dell'uomo 40, perché tocca al cuore dell'uomo elevarsi fino ad esso, con quanto maggior fede crediamo ad esso, con quanto maggiore fermezza speriamo in esso, con quanto maggiore ardore lo desideriamo.

Pregare sempre per mantenere il fervore.9. 18. Noi dunque preghiamo sempre con desiderio continuo sgorgato dalla fede, speranza e carità. Ma a intervalli fissi di ore e in date circostanze preghiamo Dio anche con parole, affinché mediante quei segni delle cose stimoliamo noi stessi e ci rendiamo conto di quanto abbiamo progredito in questo desiderio e ci sproniamo più vivamente ad accrescerlo in noi. Più degno sarà l'effetto che sarà preceduto da un affetto più fervoroso. Perciò anche quel che dice l'Apostolo: Pregate senza interruzione, che altro significa se non: "Desiderate, senza stancarvi, di ricevere da Colui, che solo ve la può dare, la vita beata, che non è se non la vita eterna"? Se dunque sempre la desideriamo da Dio nostro Signore, non cesseremo nemmeno di pregare. Ecco perché in determinate ore noi distogliamo il nostro pensiero dalle preoccupazioni e dagli affari, che ci fanno intiepidire in qualche modo il desiderio , e lo rivolgiamo alla preghiera eccitandoci con le parole dell'orazione a concentrarci in ciò che desideriamo per evitare che il desiderio, cominciato a intiepidirsi, si raffreddi del tutto e si spenga completamente qualora non venisse ridestato con più fervore.

La preghiera non è multiloquio.10. 19. Stando così le cose, non è male né inutile pregare a lungo quando abbiamo tempo, cioè quando non sono impedite altre incombenze di azioni buone e necessarie, sebbene anche in quelle azioni, come ho detto, bisogna pregare sempre con quel desiderio. Infatti il pregare a lungo non equivale, come credono alcuni, a un pregare con molte parole. Una cosa è un parlare a lungo, altra cosa un intimo e durevole desiderio. Anche del Signore infatti sta scritto

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che passò la notte a pregare e che pregò assai a lungo. E nel fare così, che cos'altro voleva se non darci l'esempio, egli che nel tempo è l'intercessore opportuno, mentre nell'eternità è col Padre colui che ci esaudisce?

La preghiera sia breve ma fervorosa.10. 20. Dicono che in Egitto i fratelli fanno preghiere frequenti sì, ma brevissime, e in certo modo scoccate a volo, affinché la tensione vigile e fervida, sommamente necessaria a chi prega, non svanisca e perda efficacia attraverso lassi di tempo un po' troppo lunghi. E con ciò essi dimostrano che la tensione, come non dev'essere smorzata se non può durare a lungo, così non dev'essere interrotta subito se potrà persistere. Siano bandite dall'orazione le troppe parole ma non venga meno il supplicare insistente, sempre che perduri il fervore della tensione. Usare troppe parole nella preghiera è fare con parole superflue una cosa necessaria: il pregare molto invece è bussare con un continuo e devoto fervore del cuore al cuore di Colui al quale rivolgiamo la preghiera. Di solito la preghiera si fa più coi gemiti che con le parole, più con le lagrime che con le formule. Iddio pone le nostre lagrime al suo cospetto e il nostro gemito non è nascosto a lui, che tutto ha creato per mezzo del Verbo e non ha bisogno di parole umane.

(Il senso della giaculatoria per mantenere vivo il desiderio che è la preghiera stessa, come frecce o giavellotti lanciati verso il cielo).

Spiegazione del Pater noster.11. 21. A noi dunque sono necessarie le parole perché richiamiamo alla mente e consideriamo che cosa chiediamo, ma non dobbiamo credere che con esse si suggerisca qualcosa al Signore o lo si voglia piegare ai nostri voleri. Quando diciamo: Sia santificato il tuo nome, eccitiamo noi stessi a desiderare che il nome di lui, ch'è sempre santo, sia considerato santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato, cosa questa che non giova a Dio ma agli uomini. Quando diciamo: Venga il tuo regno, il quale, volere o no, verrà senz'altro, noi eccitiamo il nostro desiderio verso quel regno, affinché venga per noi e meritiamo di regnare in esso. Quando diciamo: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, noi gli domandiamo l'obbedienza, per adempiere la sua volontà, a quel modo che è adempiuta dai suoi angeli nel cielo. Quando diciamo: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, con la parola oggi intendiamo " nel tempo presente ", in cui o chiediamo tutte le cose che ci bastano indicandole tutte col termine " pane " che fra esse è la cosa più importante, oppure chiediamo il sacramento dei fedeli che ci è necessario in questa vita per conseguire la felicità non già di questo mondo, bensì quella eterna. Quando diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, richiamiamo alla nostra attenzione che dobbiamo chiedere e fare per meritare di ricevere questa grazia. Quando diciamo: Non c'indurre in tentazione, ci eccitiamo a chiedere che, abbandonati dal suo aiuto, non veniamo ingannati e non acconsentiamo ad alcuna tentazione né vi cediamo accasciati dal dolore. Quando diciamo: Liberaci dal male, ci rammentiamo di riflettere che non siamo ancora in possesso del bene nel quale non soffriremo alcun male. Queste ultime parole della preghiera del Signore hanno un significato così largo che un cristiano, in qualsiasi tribolazione si trovi, nel pronunciarle emette gemiti, versa lacrime, di qui comincia, qui si sofferma, qui termina la sua preghiera. Con queste parole era opportuno affidare alla nostra memoria le verità stesse.

Si possono chiedere onori e ricchezze?12. 23. Queste sono le preghiere che senza alcun ondeggiamento di dubbio dobbiamo elevare per noi, per i nostri cari, per gli estranei e per gli stessi nemici, benché nel cuore di chi prega spunti e s'innalzi un sentimento diverso per l'una o l'altra persona a seconda dei rapporti più o meno stretti di parentela o di amicizia. Ma se uno nella preghiera dice per esempio: "Signore, moltiplica le mie ricchezze" o: "Dammene tante quante ne hai date a questo o a quello" ovvero: "Accresci i miei onori, fa che in questo mondo io sia assai potente e famoso" o altre simili cose, e le desidera ardentemente senza avere lo scopo di volgerle a vantaggio degli uomini secondo il volere di Dio, costui, a mio avviso, non trova affatto nella preghiera insegnataci dal Signore nessuna espressione compatibile con questi desideri. Perciò si abbia almeno il pudore di chiedere ciò che non si ha pudore di desiderare oppure, se si ha pudore anche di desiderarlo ma la passione ha il sopravvento, quanto sarà meglio chiedere al Signore che ci liberi anche da questo male della cupidigia, dato che gli diciamo: Liberaci dal male!

La preghiera sia avvalorata dalle opere buone.13. 24. I digiuni, l'astinenza dai piaceri, la mortificazione delle passioni carnali, senza tuttavia trascurare la salute, e soprattutto le elemosine sono di grande aiuto a chi prega, sicché possiamo dire: Nel giorno della mia tribolazione ho cercato il Signore con le mie mani, di notte, in presenza di Lui, e non mi sono ingannato. Come mai difatti si potrebbe cercare Dio incorporeo e impalpabile con le mani, se non venisse cercato con le opere?

Utilità delle sofferenze.14. 25. Tuttavia noi, poiché non sappiamo a che cosa giovino queste prove, desideriamo di essere liberati da ogni tribolazione. L'Apostolo stesso mostra di non essere esente neppure lui da questa ignoranza, benché forse sapesse pregare come si deve; infatti allorché, per non farlo insuperbire a causa del singolare privilegio delle rivelazioni, gli fu data una spina nella carne, un angelo di Satana che lo schiaffeggiasse, pregò tre volte il Signore perché lo allontanasse da lui, senza sapere purtroppo che cosa chiedere come conviene. Finalmente udì la risposta di Dio perché non avveniva

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quello che un si gran santo chiedeva e perché non conveniva che si realizzasse: Ti basti la mia grazia, poiché la forza si perfeziona nella debolezza.

Ignoriamo quel che ci giovi domandare.14. 26. In queste tribolazioni dunque, che possono giovare o nuocere, noi non sappiamo che cosa chiedere perché la nostra preghiera sia come si conviene; ma tuttavia, poiché sono prove dure, amare, che ripugnano alla sensibilità della nostra natura, noi preghiamo, con un desiderio comune a tutti gli uomini, che esse vengano allontanate da noi. Ma a Dio nostro Signore dobbiamo (dare) questa prova d'amore: che cioè, se non allontana le prove del dolore, non dobbiamo per questo credere di essere trascurati da Lui, anzi speriamo piuttosto beni più grandi con la santa sopportazione dei mali. Così si perfeziona la virtù nella debolezza. L'esempio ce l'ha dato il divino Mediatore quando disse: Padre, se è possibile, si allontani da me questo calice. Ma poi, modificando la volontà umana assunta nella sua incarnazione, soggiunse subito: Tuttavia (sia fatto) non ciò che voglio io, o Padre, ma ciò che vuoi tu . Ecco perché giustamente per l'obbedienza di uno solo molti sono costituiti giusti.

Il vero bene da chiedere: il sommo Bene.14. 27. Chiunque chiede al Signore e cerca d'ottenere l'unica cosa, senza la quale non giova nulla qualunque altra cosa abbia ricevuta pregando come si deve, la chiede con certezza e sicurezza, né teme ch'essa gli possa nuocere quando l'abbia ricevuta. Questa cosa infatti è l'unica vera vita e la sola beata: cioè il poter contemplare, immortali per l'eternità e incorruttibili nel corpo e nello spirito, le delizie di Dio . In vista di questa sola cosa si cercano e si desiderano onestamente tutte le altre.

Si può desiderare Dio conoscendolo imperfettamente.15. 28. C'è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza, dotta in quanto illuminata dallo Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza. Difatti l'Apostolo dopo aver detto: Se ciò che non vediamo lo speriamo, l'aspettiamo mediante la pazienza, subìto soggiunse: Allo stesso modo anche lo Spirito ci viene in aiuto nella nostra debolezza, poiché non sappiamo che cosa dobbiamo chiedere nella preghiera per pregare come si deve; ma lo stesso Spirito supplica per noi con gemiti ineffabili: Colui però che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, poiché esso intercede per i santi secondo Dio. Come potrebbe essere espresso un bene ignoto quando lo si desidera? Se lo si ignorasse del tutto, non sarebbe oggetto di desiderio; e se d'altro canto lo si vedesse, non sarebbe desiderato né domandato con gemiti.

Perché le vedove devono dedicarsi alla preghiera.16. 29. Con tutte queste considerazioni e con qualunque altra, che il Signore ti potrà suggerire intorno a questo argomento e che o non si affaccia alla mia mente o da parte mia sarebbe stato troppo lungo esporre, sfòrzati di vincere con la preghiera questo mondo: prega con speranza, prega con fede e con amore, prega con perseveranza e con pazienza, prega come una vedova di Cristo. Sebbene infatti, come insegnò lui, il dovere di pregare spetti a tutte le sue membra, cioè a tutti coloro che credono in lui e sono uniti al suo corpo, tuttavia nella sua Scrittura si trova prescritto per le vedove in modo particolare' un esercizio più scrupoloso delle preghiere. Quanto dunque le vedove debbano applicarsi alle preghiere più di tutte le altre donne, si può assai bene comprendere dal fatto che proprio dalle vedove è stato preso l'esempio per esortare tutti ad applicarsi con fervore alla preghiera.

L'unica vera ricchezza: Dio.16. 30. Ma quale è la caratteristica maggiormente messa in risalto in questo argomento della preghiera, a proposito delle vedove, se non l'abbandono e la desolazione? Ecco perché ogni anima che comprenda di essere, in questo mondo, abbandonata e desolata, finché è pellegrina lontana dal Signore affida quella che possiamo chiamare vedovanza a Dio difensore con continua e ferventissima preghiera. Prega dunque come vedova di Cristo poiché non godi ancora della vista di lui, del quale invochi l'aiuto. Benché inoltre tu possieda grandi ricchezze, prega come se fossi povera: poiché non possiedi ancora la vera ricchezza della vita futura, solo nella quale non avrai da temere perdita alcuna.

Ultime raccomandazioni a Proba.16. 31. Ricordatevi naturalmente di pregare premurosamente anche per noi. Non vogliamo infatti che ci tributiate l'onore per la carica che esercitiamo con pericolo, perché poi ci sottraiate l'aiuto che sappiamo esserci necessario. Dalla famiglia di Cristo si pregò per Pietro, si pregò per Paolo; ci rallegriamo d'essere anche noi nella famiglia di Cristo: più di Pietro e Paolo, senza confronto, abbiamo bisogno noi d'esser aiutati dalle preghiere dei fratelli. Pregate a gara con concorde e santa emulazione, poiché non lottate le une contro le altre, ma contro il diavolo, nemico di tutti i santi. I digiuni, le veglie e tutte le mortificazioni del corpo sono un potentissimo aiuto per la preghiera.

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BENEDETTO E LA SUA REGOLA

Vissuto dal 480 al 547, è considerato il padre del monachesimo occidentale, benché non ne sia stato l’iniziatore. Esistevano già cenobi sorti attorno a grandi figure episcopali (Martino di Tours, Cesario di Arles, Eusebio di Vercelli) e non (Cassiano, tramite tra oriente e occidente).Lo stesso Benedetto viene introdotto dal monaco Romano alla vita monacale. Gli esordi assomigliano a quelli di un monaco del deserto che si ponga alla scuola di un anziano. Il pregio di Benedetto fu quella di saper raccogliere la miglior tradizione monastica e rielaborarla con il suo genio personale, trasponendola in una regola monastica eccellente, tanto profonda quanto duttile, cioè capace di adattarsi alle diverse condizioni di vita di una comunità, in modo da poter resistere attraverso i secoli. Possiamo dire che la grandezza di Benedetto sta nella sua regola: equilibrio + adattabilità (e quindi durevolezza).

La regola di B non si diffuse subito. Per 4 secoli fu una tra diverse regole monastiche. Solo con san Benedetto da Aniane - in epoca carolingia, col tentativo di unificare e romanizzare tutta la chiesa, dovendo cercare di dare unitarietà anche alla vita monastica – si impose la regola di san Benedetto da Norcia a tutte le famiglie monastiche. Solo da questo momento dire “benedettino” equivale a dire “monaco”.

Un momento molto delicato della chiesa era stata la fine dell’Impero Romano e la presenza barbarica, allorché il vescovo di Roma, san Gregorio Magno, si era trovato a dover sollevare le sorti di Roma e della Chiesa. E per fare questo Gregorio scrive di figure passate che non si sono scoraggiate in un tempo di crisi: è il caso di Benedetto da Norcia, che viene presentato in un intero libro a lui dedicato non tanto come monaco quanto taumaturgo e campione della fede, per infondere entusiasmo nei lettori del secondo libro dei Dialoghi di Gregorio Magno. La figura che emerge è assai più simile a un Abbà del deserto piuttosto che a un monaco benedettino come da regola avrebbe dovuto essere.Perché questa scelta? Per dire che anche oggi Dio può camminare nel suo popolo attraverso figure di particolare santità e grandezza (ma non si lega a nessuna di esse, richiedendo una fiducia nel presente alla luce di quello che Dio ha operato nel passato).

Colui che istituzionalizza la vita monastica attorno all’abate (non solo carismatico ma capo giuridico) e al chiostro (cuore delle abbazie benedettine) viene descritto da Gregorio come un uomo costantemente alla ricerca della vita eremitica, poco incline alla stabilità, quasi costretto dalle necessità a fondare prima Subiaco e poi Montecassino per prendersi cura dei monaci come un padre farebbe con i suoi figli (quindi lontano dalla figura di abate giuridico).

Qual è dunque il vero Benedetto? Nel cap. XXXVI del II libro dei Dialoghi, dialogando con Pietro, Gregorio Magno dice che avrebbe voluto dialogare con Benedetto ma omette alcune gesta per descrivere altre figure, precisando però che la grandezza della sua figura si coglie anzitutto dalla Regola a cui Gregorio stesso rimanda per una più completa conoscenza dello stesso. Vista la complessità della figura storica di Benedetto, è dunque meglio attenersi a quanto è certo, ovvero la regola, parlando dunque della spiritualità della Regola benedettina.

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Leggiamo qualche pagina del II libro dei Dialoghi di Gregorio

Cap. II – tentato dal demonio che vuol indurlo ad abbandonare il deserto per desideri carnali (come i padri del deserto), si domina rotolandosi nelle spine… Gregorio racconta, Pietro interroga, Gregorio spiega il senso spirituale dell’episodio della vita di Benedetto (in questo caso la virtù della castità che, posseduta pienamente in età matura, abilità a divenire custodi di altre anime).

Cap. VI - Racconta poi un gesto miracoloso di B – restituisce a un goto un utensile che si era rotto, recuperando prodigiosamente la parte mancante dal fondo del lago.

Cap XXXV – Gregorio entra nella vita intima di B e ne racconta un’esperienza mistica. Che assomiglia moltissimo a quella che mille anni dopo avrà anche Ignazio di Loyola presso Manresa.Mentre vegliava nella torre di un monastero, nella notte vide una luce folgorante che lo mise in un attimo di fronte al mondo intero (in un raggio di luce, il tutto).

Cap XXXIII – L’episodio del famoso incontro tra Benedetto e Scolastica, con il sopraggiungere dell’ora tarda e la conseguente volontà di rientrare in monastero per B. Ma la sorella prega che Dio li lasci ancora insieme e Dio scatena una tempesta che li obbliga a restare fuori, in quello spazio neutro, per discorrere ancora di cose sante… “Ho pregato te di restare e non mi hai ascoltato, ho pregato Dio e mi ha esaudito”. Il giorno dopo vede l’anima della sorella levarsi in cielo come una colomba e capisce che è morta. Manda a prenderne il corpo per seppellirlo nel sepolcro fatto preparare per lui a Montecassino.

Anche la regola attribuita a Benedetto a leggerla attentamente si mostra non come un testo originale bensì come una collatio ispirata ad altre regole monastiche. Ad esempio alcune espressioni della regola di Basilio, e altre dalla “Regola del Maestro”: sarebbe questa la fonte, poi sintetizzata, della Regola di B? Fatto è che B raccoglie e rielabora il meglio delle regole precedenti.

Alcune espressioni attribuite a B non sono sue. Ad esempio “non anteporre nulla all’amore di Cristo” è di Cipriano… Bisogna quindi saper riconoscere che l’eccellenza della Regola sta nel genio di chi ha saputo fare sintesi del meglio delle diverse regole che fino ad allora erano state redatte.

La vita monastica è una scuola di servizio divino. Così la presenta la regola di san Benedetto.Il servizio divino si esprime in modo sommo nell’opus dei, letteralmente, cioè liturgia o preghiera liturgica che solitamente è comunitaria, ma non esclusivamente. Ampio spazio c’è infatti anche per la vita e la preghiera personale. Al punto che oltre ad essere una regola cenobitica, essa offre anche ampie possibilità per una interpretazione eremitica della regola stessa (così la rileggeranno San Romualdo - il monachesimo camaldolese: c’è una struttura cenobitica e una semi-eremitica – e San Bruno – fondatore della Certosa).

La preghiera comunitaria deve essere breve e fervorosa. Breve – per poter permettere al monaco di attendere ad altri servizi oppure di prolungare l’orazione.Nel X secolo una rilettura della regola in chiave di preghiera liturgica sarà operata dalla comunità di Cluny, dove verrà dato uno spazio forse esagerato alla preghiera comunitaria.B prevede la preghiera dei 150 salmi del salterio in una settimana (la liturgia delle ore della chiesa romana la colloca in 4 settimane), mentre Cluny la richiede in un giorno solo. E questo fu uno dei motivi per cui l’esperienza cluniacense ebbe presto termine.

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Leggiamo qualche pagina della Regola di Benedetto

Capitolo XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio divinoSappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che "gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi", ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all'Ufficio divino.Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: "Servite il Signore nel timore", e ancora: "Lodatelo degnamente", e ancora: " Ti canterò alla presenza degli angeli".Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli e partecipiamo alla salmodia (divino ufficio) in modo tale che l'intima disposizione dell'animo si armonizzi con la nostra voce.

La mente deve essere in sintonia con le parole durante la preghiera. La preghiera liturgica è dunque la preghiera vocale, non nel senso che sia una preghiera orale, bensì seguendo un testo. Per non perdersi, quanto sto dicendo con le labbra deve corrispondere a quanto penso. “Dire” nel senso non esclusivamente orale, ma come pronuncia di una parola interiore. Ma quello che dice preghiera “vocale” è il fatto che ci sia un testo di riferimento (che può esser enunciato ad alta voce o nella propria mente, ma sempre come parole ben definite, non sgorganti spontaneamente dal cuore).Il libro che per eccellenza ci consegna le preghiere vocali è quello biblico dei Salmi.

Capitolo XX - La riverenza nella preghieraSe quando dobbiamo chiedere un favore a qualche personaggio, osiamo farlo solo con soggezione e rispetto, quanto più dobbiamo rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda umiltà e sincera devozione.Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le lacrime.Perciò la preghiera dev'essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall'ardore e dall'ispirazione della grazia divina. Ma quella che si fa in comune sia brevissima e quando il superiore dà il segno, si alzino tutti insieme.

La preghiera comune sia dunque breve. Le lacrime sono segno del pentimento interiore che rende gradita dinanzi a Dio la nostra preghiera. La prima cosa da fare quando si prega è chiedere perdono dei peccati per rendersi graditi al Padre (che è il fondamentale insegnamento di Gesù – nella parabola del fariseo e del pubblicano – nonché il primo passo dell’eucaristia con il Confiteor).Quello delle lacrime è un dono mistico che viene concesso ad alcune anime per piangere i propri peccati o per commuoversi dinanzi al mistero di Dio e all’eucaristia (dottrina classica del pénthos o della profonda umiltà per cui si lacrima interiormente per i propri peccati in occasione della preghiera).

Come è organizzata la vita monastica? Ermanno Ancilli così scrive sulla spiritualità medievale, descrivendo l’orario monastico sulla base dei cap. 8 e 48:

Capitolo VIII - L'Ufficio divino nella notteDurante la stagione invernale, cioè dal principio di novembre sino a Pasqua, secondo un calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le due del mattino, in modo che il sonno si prolunghi un po' oltre la mezzanotte e tutti si possano alzare sufficientemente riposati.Il tempo che rimane dopo l'Ufficio vigilare venga impiegato dai monaci, che ne hanno bisogno, nello studio del salterio o delle lezioni.Da Pasqua, invece, sino al suddetto inizio di novembre, l'orario venga disposto in modo tale che, dopo un brevissimo intervallo nel quale i fratelli possono uscire per le necessità della natura, l'Ufficio vigiliare sia seguito immediatamente dalle Lodi, che devono essere recitate al primo albeggiare.

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Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidianoL'ozio è nemico dell'anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio.Quindi pensiamo di regolare gli orari di queste due attività fondamentali nel modo seguente: da Pasqua fino al 14 settembre, al mattino verso le 5 quando escono da Prima, lavorino secondo le varie necessità fino alle 9; dalle 9 fino all'ora di Sesta si dedichino allo studio della parola di Dio.Dopo l'Ufficio di Sesta e il pranzo, quando si alzano da tavola, riposino nei rispettivi letti in assoluto silenzio e, se eventualmente qualcuno volesse leggere per proprio conto, lo faccia in modo da non disturbare gli altri.Si celebri Nona con un po' di anticipo, verso le 14, e poi tutti riprendano il lavoro assegnato dall'obbedienza fino all'ora di Vespro. Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente della raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino, perché i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli. Tutto però si svolga con discrezione, in considerazione dei più deboli.Dal 14 settembre, poi, fino al principio della Quaresima, si applichino allo studio fino alle 9, quando celebreranno l'ora di Terza, dopo la quale tutti saranno impegnati nei rispettivi lavori fino a Nona, e cioè alle 14.Al primo segnale di Nona, ciascuno interrompa il proprio lavoro per essere pronto al suono del secondo segnale.Dopo il pranzo si dedichino alla lettura personale o allo studio dei salmi.Durante la Quaresima leggano dall'alba fino alle 9 inoltrate e poi lavorino in conformità agli ordini ricevuti fino verso le 4 pomeridiane.In quei giorni di Quaresima ciascuno riceva un libro dalla biblioteca e lo legga ordinatamente da cima a fondo. I suddetti libri devono essere distribuiti all'inizio della Quaresima.E per prima cosa bisognerà incaricare uno o due monaci anziani di fare il giro del monastero nelle ore in cui i fratelli sono occupati nello studio, per vedere se per caso ci sia qualche monaco indolente, che, invece di dedicarsi allo studio, perda, tempo oziando e chiacchierando e quindi, oltre a essere improduttivo per sé, distragga anche gli altri.Se si trovasse - non sia mai! - un fratello che si comporta in questo modo, sia rimproverato una prima e una seconda volta, ma se non si corregge, gli si infligga una punizione prevista dalla Regola, in modo da incutere anche negli altri un salutare timore. Non è neppure permesso che un monaco si trovi con un altro fuori del tempo stabilito.Anche alla domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a eccezione di quelli destinati ai vari servizi. Ma se ci fosse qualcuno tanto negligente e fannullone da non volere o poter studiare o leggere, gli si dia qualche lavoro da fare, perché non rimanga in ozio.Infine ai monaci infermi o cagionevoli si assegni un lavoro o un'attività che non li lasci nell'inazione e nello stesso tempo non li sfinisca per l'eccessiva fatica, spingendoli ad andarsene, poiché l'abate ha il dovere di tener conto della loro debolezza.

Ci si alza alle 2,30. L’ufficio dura circa 4 ore nell’inverno e 3,30 nell’estate perché si deve lavorare. E rendere ogni monastero sorta di cittadella autosufficiente, retta sul lavoro manuale dei monaci.

Monastero “Mater Ecclesiae” sull’isola San Giulio (lago d’Orta). Maria Canopi entra nel monastero benedettina di Viboldone (Milano), poi lo lascia con alcune consorelle e, invitata dall’allora vescovo di Novara, mons. Aldo Del Monte, fonda il Mater Ecclesiae (così il CVII definisce la Madonna) sull’isola di San Giulio. Un monastero dei più fiorenti, con giovanissime monache. Sono autosufficienti perché hanno un laboratorio di restauro all’avanguardia. Al lavoro manuale dedicano 5 ore nell’inverno e 9 d’estate. A quello intellettuale 5 d’inverno e 3,5 d’estate. Al sonno 9 ore filate d’inverno e 7 d’estate (più la siesta).

Nella liturgia romana è scomparsa l’ora I, mentre le minori – III, VI, IX – sono ridotte a una sola.

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Nel cenobio benedettino, il posto di Cristo è tenuto dall’abate. Deve essere un Abbà/Padre. Per la regola benedettina Cristo è un padre, quindi l’abate ne tiene il posto (non equivale a Dio Padre). Emerge la paternità di Cristo. A partire dalla figura del buon pastore e delle pecorelle…

Capitolo II - L'AbateUn abate degno di stare a capo di un monastero deve sempre avere presenti le esigenze implicite nel suo nome, mantenendo le proprie azioni al livello di superiorità che esso comporta.Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome, secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!".Perciò l'abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore, anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità.Si ricordi sempre che nel tremendo giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo insegnamento, quanto dell'obbedienza dei discepoli e sappia che il pastore sarà considerato responsabile di tutte le manchevolezze che il padre di famiglia avrà potuto riscontrare nel gregge.D'altra parte è anche vero che, se il pastore avrà usato ogni diligenza nei confronti di un gregge irrequieto e indocile, cercando in tutti i modi di correggerne la cattiva condotta, verrà assolto nel divino giudizio e potrà ripetere con il profeta al Signore: "Non ho tenuto la tua giustizia nascosta in fondo al cuore, ma ho proclamato la tua verità e la tua salvezza; essi tuttavia mi hanno disprezzato, ribellandosi contro di me". E allora la giusta punizione delle pecore ribelli sarà la morte, che avrà finalmente ragione della loro ostinazione.Dunque, quando uno assume il titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento, mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani.Confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole, per non correre il rischio di essere condannato dopo aver predicato agli altri e di non sentirsi dire dal Signore per i suoi peccati: "Come ti arroghi di esporre i miei precetti e di avere sempre la mia alleanza sulla bocca, tu che hai in odio la disciplina e ti getti le mie parole dietro le spalle?" e ancora: "Tu che vedevi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, non ti sei accorto della trave nel tuo".Si guardi dal fare preferenze nelle comunità: non ami l'uno piò dell'altro, a eccezione di quello che avrà trovato migliore nella condotta e nell'obbedienza: non anteponga un monaco proveniente da un ceto elevato a uno di umili origini, a meno che non ci sia un motivo ragionevole per stabilire una tale precedenza.Ma se, per ragioni di giustizia, riterrà di dover agire così lo faccia per chiunque; altrimenti ciascuno conservi il proprio posto, perché, sia il servo che il libero, tutti siamo una cosa sola in Cristo e, militando sotto uno stesso Signore, prestiamo un eguale servizio. Infatti, "dinanzi a Dio non ci sono parzialità" e una cosa sola ci distingue presso di lui: se siamo umili e migliori degli altri nelle opere buone.Quindi l'abate ami tutti allo stesso modo, seguendo per ciascuno una medesima regola di condotta basata sui rispettivi meriti.Per quanto riguarda poi la direzione dei monaci, bisogna che tenga presente la norma dell'apostolo: "Correggi, esorta, rimprovera" e precisamente, alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle circostanze, sappia dimostrare la severità del maestro insieme con la tenerezza del padre.In altre parole, mentre deve correggere energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti, deve esortare amorevolmente quelli che obbediscono con docilità a progredire sempre più. Ma è assolutamente necessario che rimproveri severamente e punisca i negligenti e coloro che disprezzano la disciplina.Non deve chiudere gli occhi sulle eventuali mancanze, ma deve stroncarle sul nascere, ricordandosi della triste fine di Eli, sacerdote di Silo.Riprenda, ammonendoli una prima e una seconda volta, i monaci più docili e assennati, ma castighi duramente i riottosi, gli ostinati, i superbi e i disobbedienti, appena tentano di trasgredire, ben sapendo che sta scritto: "Lo stolto non si corregge con le parole" e anche: "Battendo tuo figlio con la verga, salverai l'anima sua dalla morte".L'abate deve sempre ricordarsi quel che è e come viene chiamato, nella consapevolezza che sono maggiori le esigenze poste a colui al quale è stato affidato di più.Bisogna che prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto di dirigere le anime e porsi al servizio dei vari temperamenti, incoraggiando uno, rimproverando un altro e

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correggendo un terzo: perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza, in modo che, invece di aver a lamentare perdite nel gregge affidato alle sue cure, possa rallegrarsi per l'incremento del numero dei buoni.Soprattutto si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche, ma pensi sempre che si è assunto l'impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà rendere conto e non cerchi una scusante nelle eventuali difficoltà economiche, ricordandosi che sta scritto: "Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in soprappiù" e anche: "Nulla manca a coloro che lo temono".Sappia inoltre che chi si assume l'impegno di dirigere le anime deve prepararsi a renderne conto e stia certo che, quanti sono i monaci di cui deve prendersi cura, tante solo le anime di cui nel giorno del giudizio sarà ritenuto responsabile di fronte a Dio, naturalmente oltre che della propria.Così nel continuo timore dell'esame a cui verrà sottoposto il pastore riguardo alle pecore che gli sono state affidate mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si fa più attento al proprio e corregge i suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue ammonizioni.

Altro aspetto della regola è il senso della presenza di Dio. Ogni monaco deve vivere sapendo di trovarsi di fronte alla presenza di Dio, alla sua maestà e grandezza che suscitano timore, ma altresì una presenza che fa sentire a suo agio il monaco tramite l’amore (giustizia e misericordia).Anzitutto nell’Ufficio divino si coglie la presenza di Dio, poi nella persona dell’Abate (che tiene il posto di Cristo), quindi nell’accoglienza del forestiero. Anzitutto il forestiero è monaco – se no, non potrebbe entrare nel monastero – e colui che viene da fuori, riesce a vedere le cose in modo diverso, aiutando eventualmente ad individuare quali aspetti della vita comunitaria vadano ricalibrati. È un po’ come se lo sguardo di Dio giungesse in monastero attraverso il forestiero. Ancora, la presenza di Dio si coglie tra il malato e colui che lo cura: rispettivamente si riconoscono il Cristo sofferente e il Cristo medico…Infine, tra il maestro e l’allievo. Anche negli oggetti (liturgici e di uso quotidiano) bisogna scorgere qualcosa di sacro.

Obbedienza e umiltà sono gli atteggiamenti fondamentali del monaco. Ob-audire: pormi in ascolto dinanzi a colui che mi parla. Infatti la regola inizia così: “Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza” (dal Prologo della Regola).L’obbedienza della fede è il lasciarsi interpellare da una parola che è capace di plasmare la mia vita, come Lc 1 narra l’Annunciazione. Una parola che svela l’identità (Maria è “piena di grazia”, questa è la sua nuova identità), che porta a interrogarsi (“Come è possibile…?”), quindi a rendersi docili e disponibili (“Avvenga di me secondo la tua Parola”).

Secondo atteggiamento spirituale del monaco è l’umiltà (cap. 7), scandito in 12 gradini.

Capitolo VII - L'umiltàLa sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".Dunque il primo grado dell'umiltà è quello in cui, rimanendo sempre nel santo timor di Dio, si fugge decisamente la leggerezza e la dissipazione, si tengono costantemente presenti i divini comandamenti e si pensa di continuo all'inferno, in cui gli empi sono puniti per i loro peccati, e alla vita eterna preparata invece per i giusti.In altre parole, mentre si astiene costantemente dai peccati e dai vizi dei pensieri, della lingua, delle mani, dei piedi e della volontà propria, come pure dai desideri della carne, l'uomo deve prendere coscienza che Dio lo

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osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli (…).Il secondo grado dell'umiltà è quello in cui, non amando la propria volontà, non si trova alcun piacere nella soddisfazione dei propri desideri, ma si imita il Signore, mettendo in pratica quella sua parola, che dice: "Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato" (…).Terzo grado dell'umiltà è quello in cui il monaco per amore di Dio si sottomette al superiore in assoluta obbedienza, a imitazione del Signore (…).Il quarto grado dell'umiltà è quello del monaco che, pur incontrando difficoltà, contrarietà e persino offese non provocate nell'esercizio dell'obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente la sofferenza e sopporta tutto con pazienza (…).Il quinto grado dell'umiltà consiste nel manifestare con un'umile confessione al proprio abate tutti i cattivi pensieri che sorgono nell'animo o le colpe commesse in segreto (…).Il sesto grado dell'umiltà è quello in cui il monaco si contenta delle cose più misere e grossolane e si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto ciò che gli impone l'obbedienza (…).Il settimo grado dell'umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile di tutti, ma nell'esserne convinto dal profondo del cuore (…).L'ottavo grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo sprona la regola comune del monastero e l'esempio dei superiori e degli anziani.Il nono grado dell'umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogato (…).Il decimo grado dell'umiltà è quello in cui il monaco non è sempre pronto a ridere, perché sta scritto: "Lo stolto nel ridere alza la voce".L'undicesimo grado dell'umiltà è quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità (…).Il dodicesimo grado, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo atteggiamento esteriore (…).Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta, scaccia il timore.

Il Chiostro è il centro dell’abbazia. Altro centro è la “stabilitas loci”: si entra in quel monastero per rimanerci a vita, sotto la guida dello stesso abate. Questa sicurezza logistica e stabilità dà grande tranquillità per impostare la propria vita di monaco. Salvo che sia diventata troppo piccola per contenere tutti i monaci…Per esser abbazia, occorrono 12 monaci. Se sono meno, si ha un priore (e quindi un priorato).L’intimità della cella custodisce il rapporto del monaco con Dio.

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SAN BERNARDO

Da Gregorio Magno a Carlo Magno si sviluppa l’azione missionaria dei monaci irlandesi, tra cui san Colombano (morto e sepolto a Bobbio). La chiesa celtica ha vescovi, ma questi hanno funzione liturgico-sacramentale, mentre la vera guida della chiesa è quella dell’abate. Sono i monaci irlandesi a introdurre nella riconciliazione la pratica della confessione auricolare e della penitenza privata che, pian piano, soppiantò quella pubblica. Segno di una evoluzione nella pratica sacramentale, con costanti elementi di crisi e ripensamenti. In epoca carolingia si colloca invece il tentativo di centralizzare e romanizzare la cristianità occidentale: è questo il momento in cui si colloca e impone la figura del vescovo.È il momento della grande espansione missionaria della chiesa in Europa, da san Patrizio (angli) e san Bonifacio (sassoni), per non dire di Cirillo e Metodio (est Europa).Nascono verso la fine del I millennio gli ordini dei canonici regolari, istituiti da Norberto (premostratensi) e anche a Parigi (Scuola di San Vittore: Ugo e Riccardo). La vita monastica, mentre papato e gerarchia entrano in crisi – fino alla riforma gregoriana (Gregorio VII, 1074) – vede la nascita della potente abbazia di Cluny (910).

CLUNY fu una abbazia grandiosa. Il monachesimo cluniacense si regge su alcuni pilastri che furono la sua grandezza ma altresì segnarono il suo declino.Punto di forza fu il regime dell’esenzione canonica: Cluny e le abbazie a essa affiliate dipendevano esclusivamente dalla Sede Apostolica e non dal vescovo locale. In tal modo Cluny diventa una potenza feudale.Secondo punto di forza fu la centralizzazione: tutto nelle mani di un unico abate. Questo garantisce l’unitarietà della famiglia monastica cluniacense ma al tempo stesso è punto di debolezza poiché quando le fondazioni divennero molto numerose diverrà impossibile per l’abate di Cluny guidare ogni singola abbazia.Terzo pilastro è la dimensione liturgica nella vita dei monaci: il monaco è per l’opus Dei. Questo creò l’esigenza di avere accanto a dei monaci dediti esclusivamente alla liturgia (coristi) altri monaci (conversi) incaricati della gestione materiale dell’abbazia. Questa differenziazione tipologica è una novità rispetto alla regola benedettina che non la prevedeva. Si sviluppa notevolmente l’arte accanto alla liturgia, ma la vera espressione artistica di Cluny resta proprio la liturgia. I monaci divengono sempre più presbiteri – mentre la regola benedettina non ne parlava nello specifico – e quindi si moltiplicano funzioni e celebrazioni. Tra questi sacerdoti-monaci vengono di sovente scelti i vescovi. Col tempo divenne un punto di debolezza questa (eccessiva) vita liturgica poiché logorava il monaco, impedendogli un sano equilibrio tra “ora” et “labora”.

San Bernardo critica l’esperienza di Cluny per l’eccessivo sfarzo delle celebrazioni. A suo dire Cluny sfruttava la povertà della gente che faceva offerte all’abbazia che pregava incessantemente per ricevere il dono della salvezza eterna. Per queste critiche, Bernardo farà una scelta monastica di taglio opposto. Pietro il Venerabile apprezzerà invece la ricchezza della liturgia e la bellezza delle espressioni artistiche che la accompagnano. L’abbazia di Cluny diventa la più grande e bella della cristianità, tanto che papa Urbano II nel 1035 si reca a consacrare personalmente l’altare. Oggi restano pochi resti, a causa della opera di distruzione durante l’età napoleonica.

Attorno all’esperienza di Cluny si sviluppa anche l’arte culinaria perché per reggere un ritmo di preghiera così intenso si doveva avere una nutrizione se non più abbondante almeno migliore. E anche qui Bernardo si scaglia contro la cucina di Cluny, a suo dire troppo ricercata per dei monaci.

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Nonostante queste ambiguità e critiche, Cluny resta protagonista della storia della Chiesa al tempo della riforma gregoriana (Gregorio VII), sia perché direttamente legate al Papa, sia perché fonte di numerosi vescovi.Inoltre, ricordiamo diverse figure di santità legate a questa esperienza monastica.Ancora: a Cluny si deve lo sviluppo del calendario liturgico, ad esempio la commemorazione il 2 novembre dei monaci defunti, da cui è derivata l’usanza del giorno dei defunti l’indomani di Ognissanti anche nella devozione popolare.In Italia ricordiamo le abbazie di Savigliano, Susa, Torino, Milano (San Ambrogio), Pontida, Pavia, San Benedetto Po, Tiglieto (dopo Ovada, verso Genova, prima fondazione cluniacense al di fuori della Francia).

SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE E I CISTERCENSI

Roberto di Molesme, Alberico e Stefano Harding si propongono di dare vita a una nuova forma di vita monastica per rinverdire le origini benedettine. Fondano così un monastero a Cistercium (primo luogo di insediamento, o Citeaux) da cui il nome di “Cistercensi”.L’obiettivo è di essere difformi da Cluny, proponendo una vita austera ed essenziale.Si propongono una via più perfetta che possa essere alternativa alla via più comoda di Cluny.Se Cluny ha la chiesa abbaziale più grande della cristianità, la prima fondazione cistercense consta invece di povere capanne.Nel 1112 giunge a Citeaux Bernando (di Chiaravalle) portando con sé oltre trenta tra parenti e amici. Inviato da Stefano Harding a Clairvaux, fonda là una abbazia di cui diventa poi abate, venendo indicato così come Bernardo “di Chiaravalle”. Bernardo cercava solitudine, semplicità, preghiera e lavoro, secondo l’equilibrio tipico della regola benedettina originaria: orazione e lavoro manuale.

Bernardo, suo malgrado, venne rapito dal chiostro e gettato nella travagliata vita politica, culturale ed ecclesiale europea. Lasciando la sua impronta, benché desideroso di solitudine e vita ritirata. Diviene figura assai influente soprattutto dopo che un monaco di Citeaux viene eletto Papa col nome di Eugenio III.Ricordiamo il confronto accesso tra Bernardo e Abelardo.A lui si deve poi la conclusione dello scisma d’Oriente, nel 1130, allorché sostenne Innocenzo II e conquistò in suo favore tutta la chiesa. A Bernardo si deve poi la predicazione della prima crociata, oltre che interventi nei momenti più delicati della storia europea ed ecclesiastica. Appena poteva, Bernardo ritornava a Clairvaux. Muore nel 1153, divenendo una sorta di “padre della Chiesa” per acclamazione.

Le opere scritte da Bernardo sono moltissime, ma poche sono tradotte, ad esempio i sermoni per le feste della Madonna o sul Cantico dei Cantici, o su temi vari. Queste rende difficile l’accesso del grande pubblico al suo pensiero.

I gradi dell’umiltà e della superbia; Il dovere di amare Dio; 83 sermoni sul Cantico dei Cantici.Sono le 3 opere principali per conoscere la dottrina spirituale di Bernardo.Nei sermoni sul Cantico, Bernardo voleva ripresentare in chiave monastica tutta la dottrina della Chiesa. Quest’opera organica di teologia dogmatica-spirituale (diremmo oggi) fa sì che si possa indicare Bernardo come teologo. Bernardo intende il cammino spirituale dell’uomo come un “ritorno a Dio”. L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, esprime il progetto originario del Creatore, incrinato dal peccato originale che perde la somiglianza, pur conservando l’immagine. Il “ritorno a Dio” è dunque il

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percorso che progressivamente riporta l’uomo a essere non solo immagine bensì anche somiglianza di Dio. Ritornare a Dio implica orientarsi a Cristo in quanto permetta immagine del Padre. Se partecipo del mistero del Figlio, che assomiglia perfettamente al Padre, allora posso recuperare la somiglianza con Dio. Contemplare i misteri di Cristo non significa solo conoscerli, bensì anche parteciparvi. Quindi: conoscenza + partecipazione alla persona di Cristo.Come? Con lectio divina + celebrazione liturgica.Ciò che garantisce il recupero della somiglianza con Dio è il movimento d’amore (red-amatio) per cui ri-amo colui che mi ha amato per primo e lo amo così come lui mi ha amato. Cristo mi ama, io lo ri-amo e così facendo accordo sempre più la mia volontà alla sua. Amare Cristo non è questione di sentimentalismi bensì semplicemente conformarsi alla volontà di Dio.

In De diligendo Deo, Bernardo nota che il cammino progressivo del credente nell’amore consta di 4 momenti, come 4 gradi: amore carnale, mercenario, filiale, sponsale.Carnale: l’uomo ama se stesso per se stesso (autoreferenzialità)Mercenario: l’uomo inizia ad amare Dio per se stesso, a motivo del proprio interesse.Filiale: l’uomo ama Dio per Dio, in modo disinteressato.Sponsale: l’io si perde nel cercare solamente Dio e l’uomo ama se stesso per Dio. Quest’ultima tappa è propria di alcuni momenti della vita in quanto esprime lo stato delle anime beate.

Come Origene, anche Bernardo – esponente della mistica sponsale – interpreta con le categorie sponsali il senso della vita cristiana. Il senso dell’anima è di divenire sposa di Cristo, per essere introdotta nella comunione trinitaria. È una spiritualità fortemente affettiva, contrassegnata da grande dolcezza nel parlare di Cristo.La base dell’edificio spirituale è l’umiltà.(1)--Bisogna ritornare a Dio, recuperando la somiglianza con Cristo, (2)--conoscendo e partecipando dei misteri di Cristo, (3)--per entrare così nella vita trinitaria, (4)--giungendo alla profonda conoscenza di se stessi.

Bernardo commenta i 12 gradi dell’umiltà di Benedetto (cfr. Regola) affermando che l’umiltà è la verità.

(lettura in classe) “Io sono la via”, dice Gesù che aggiunge “imparate da me che sono mite e umile di cuore”: se lo imiti, avrai la luce della vita, cioè la verità, che illumina ogni uomo e gli indica dove sia la vera vita. Ecco perché Gesù ha detto “Io sono la vita, la verità e la vita”. L’umiltà cristiana è dunque il permettere che la luce di Cristo illumini il proprio essere, pervenendo così alla verità che non è altro che ciò che Dio pensa di me.Scopro la mia grandezza e la mia miseria contemporaneamente: il progetto di Dio su di me si accompagna alla mia natura di creatura fragile e peccatrice. Non si scopre solo la propria miseria, bensì la propria identità, che è anzitutto vocazione a diventare “figlio nel Figlio”, per cui è una identità chiamata alla grandezza.

(lettura in classe) L’umiltà apre le porte del cuore alla misericordia. Nell’umiltà, riconoscendo in me le stesse debolezze che ci sono nel fratello, mi apro più facilmente alla comprensione dell’altro. Come Cristo volle patire per imparare a compatire.

(lettura in classe) La Madonna viene detta “Stella” perché da Lei emana un raggio che resta integro nella maternità del Figlio. Lei è la stella fulgida e unica che si eleva sul mare tempestoso e immenso. Maria Stella Maris. Pagina ricca di poesia.

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<<Chiunque tu sia, che nel flusso di questo tempo ti accorgi che, più che camminare sulla terra, stai come ondeggiando tra burrasche e tempeste, non distogliere gli occhi dallo splendore di questa stella, se non vuoi essere sopraffatto dalla burrasca!Se sei sbattuto dalle onde della superbia, dell’ambizione, della calunnia, della gelosia, guarda la stella, invoca Maria.Se l’ira o l’avarizia, o le lusinghe della carne hanno scosso la navicella del tuo animo, guarda Maria.Se turbato dalla enormità dei peccati, se confuso per l’indegnità della coscienza, cominci ad essere inghiottito dal baratro della tristezza e dall’abisso della disperazione, pensa a Maria.Non si allontani dalla tua bocca e dal tuo cuore, e per ottenere l’aiuto della sua preghiera, non dimenticare l’esempio della sua vita. Seguendo lei non puoi smarrirti, pregando lei non puoi disperare. Se lei ti sorregge non cadi, se lei ti protegge non cedi alla paura, se lei ti è propizia raggiungi la mèta>>

Bernardo cantava Maria ma non condivideva l’idea della Immacolata Concezione di Maria (non la contrasta direttamente ma si ricava tale posizione dall’insieme delle sue riflessioni).

Il Sermone nr. 1 – “dell’acquedotto” – è il più bello dedicato a Maria. Paragona la Vergine a un acquedotto che porta all’umanità le grazie che Dio vuol concedere.

La cristologia di Bernardo.

(Inos Biffi). Bernardo per la comprensione del mistero di Cristo non parte da esigenze esterne o da problemi cui sia chiamato a rispondere in quel dato tempo, ma da una intrinseca esigenza del mistero che richiede per se stesso di essere contemplato e sperimentato. Quello che dunque Bernardo dice allora vale ancora oggi, a differenza di tante pagine medievali che, sorte per rispondere a questioni “di scuola”, hanno perso il loro valore e la loro attualità.Anche Anselmo d’Aosta interviene sul senso della morte redentrice di Cristo e scrive pagine che conservano intatto il loro valore, come ad esempio Cur Deus homo? (Perché un Dio-uomo?), opera scritta per rispondere alle obiezioni dei musulmani che chiedevano ai cristiani perché mai Dio avesse dovuto incarnarsi (visto che Cristo è solo un profeta, per loro). Questione estremamente attuale.

Dio, l’uomo e il mistero della loro unione sono i contenuti fondamentali della teologia di Bernardo.Può esser considerato l’ultimo dei padri della Chiesa poiché ne ha così ben assimilato il pensiero che quando si esprime pare di sentire un eco dei padri. E ne è consapevole, tanto da affermare che non dice cose nuove ma ripropone il pensiero degli antichi. Ma la sublimità delle sue parole e la sua dolcezza gli valgono il titolo di doctor mellifleus, cioè dottore dalle parole dolci come il miele.Bernardo trova Cristo in ogni pagina biblica e poiché vive il mistero di Cristo anzitutto nella liturgia, ecco che la sua cristologia ha ritmo liturgico, ovvero si sviluppa di festa in festa, man mano che predica.Gesù è anzitutto l’uomo riuscito, secondo il progetto di Dio. Il CVII usa un altro linguaggio: solo nel mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo (GS 22). L’uomo è Gesù – il primo Adamo – e noi siamo uomini in quanto partecipiamo della sua umanità.

La comunione con Cristo non è solo imitazione dall’esterno, bensì condivisione dei suoi misteri.

(Lettura in classe) Una pagina dei sermoni per le feste della Madonna, in particolare per la Natività.Nel Verbo fatto uomo, Dio si è rivelato nella carne.

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<< Questo Verbo, per mezzo di te si farà uomo, sicché colui che dice: Io sono nel Padre, e il Padre è in me (Gv 14, 10), dica pure nello stesso tempo: Io sono uscito da Dio e sono venuto (Gv 8, 42). In principio, è detto, era il Verbo. Già scaturisce la fonte, ma per il momento resta in se stessa. E il Verbo era presso Dio, in una luce inaccessibile; e da principio il Signore diceva: Io nutro pensieri di pace e non di sventura (Ger 29, 11). Ma il tuo pensiero è dentro dite, o Signore, e noi non sappiamo quello che tu pensi. Chi infatti conosceva i sentimenti del Signore, o chi era suo consigliere? Pertanto il pensiero di pace è disceso facendosi opera di pace: Il Verbo si fece carne, e ormai abita tra noi. Abita nei nostri cuori per la fede, anche nella nostra memoria, abita nel pensiero, ed è disceso fino all’immaginazione. Come avrebbe potuto prima formarsi una immagine di Dio, non forse facendosi con il cuore un idolo?Era del tutto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e inescogitabile. Ma ora ha voluto farsi comprendere, farsi vedere, farsi pensare. In che modo, mi chiedi? Eccolo che giace nel presepio, riposa in braccio alla Vergine, predica sul monte, passa le notti in preghiera, ovvero pende dalla croce, è coperto dal pallore della morte, scende libero e comanda negli inferi, ovvero ancora lo vedi risorgere il terzo giorno, mostrare agli Apostoli il luogo dei chiodi, segni della sua vittoria, e infine ascendere al cielo davanti ai loro occhi. Tutti questi pensieri rispondono a verità, alimentano la pietà e la santità. Quando penso a qualcuna di queste cose, io penso Dio, che è per ogni cosa il Dio mio.>>

Questa pagina indica i diversi misteri di Cristo, contemplando i quali Dio stesso di rivela “comprensibile, visibile, immaginabile”. È la migliore spiegazione della preghiera del Rosario. Fare teologia per Bernardo è fare spiritualità.Nel Verbo il Padre si rivela nella carne.

Proseguiamo con il Sermone XX sul Cantico dei Cantici

SERMONE XX

I. 1. Cominciamo il sermone con le parole del Maestro: Chi non ama il Signore Gesù, sia anatema (1 Cor 16,22). Devo veramente amare molto colui per il quale esisto, vivo e ragiono. Se sono ingrato, sono anche indegno. È veramente degno di morte, o Signore Gesù, chi ricusa di vivere per te, ed è morto; e chi non piace a te è un insensato, e chi cerca di essere senza di te, non è per niente ed è niente. Infine, che cosa è l’uomo, se non perché ti sei manifestato a lui? Per te stesso, o Dio, hai fatto tutte le cose, e chi vuol essere per sé e non per te, comincia a essere nulla tra tutte le cose. Temi Dio e osserva i suoi comandamenti; questo è tutto l’uomo (Prov 16,4). Se dunque questo è tutto l’uomo, senza di questo non c’è uomo (…).2. (…) Per creare le cose gli fu sufficiente proferire una parola, un comando, e furono fatte. Ma nella redenzione dovette sopportare nei detti la contraddizione, nei fatti quelli che lo spiavano per accusano, nei tormenti coloro che lo beffeggiavano e nella morte coloro che lo disprezzavano. Ecco come ha amato. Aggiungi che questo amore non fu una risposta al nostro amore, ma un’aggiunta agli altri benefici. Poiché, chi per primo ha dato a lui, sicché i doni di Dio fossero da ritenere un ricambio? Ma l’evangelista san Giovanni dice: Non che noi abbiamo amato lui, ma egli per primo ha amato noi (1 Gv 4,10).

Esempio di teologia della admiratio: Bernardo ammira quanto accaduto e cerca di esprimere il mistero di Cristo redentore. Bernardo ammira e partecipa del mistero di Cristo, non si limita a descriverlo da fuori e dunque fa emergere lo sguardo stupito e rapito dal mistero.

II. 3. Amò con dolcezza, con sapienza, con fortezza. Dolce direi il suo amore, perché si rivestì di carne; accorto, perché evitò la colpa; forte, perché sostenne la morte. Poiché non amò affatto carnalmente coloro che visitò nella carne, ma nella prudenza dello spirito. Spirito, infatti, è davanti a noi Cristo Signore (Lam 4,20), geloso di noi della gelosia di Dio, non di un uomo, e certamente più sana che non quella di Adamo per la sua Eva. Ci ha pertanto cercati nella carne e ci ha amati nello spirito, redimendoci con la sua forza. È cosa dolcissima e soavissima considerare il Creatore dell’uomo fatto uomo. E come con prudenza, prendendo la natura umana, ne evitò la colpa, con potenza allontanò pure la morte dalla natura. Nell’assumere la carne fu condiscendente verso di me, evitando la colpa provvide a sé, accettando la morte sodisfece al Padre; amico dolce, consigliere prudente, aiuto forte. A lui mi affido sicuro, perché vuole salvarmi, lo sa fare e lo può.

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Ammira e descrive l’amore di Cristo che è dolce, sapiente e forte.

III. 4. Impara, o cristiano, da Cristo come tu debba amare Cristo. Impara ad amare con dolcezza, ad amare con prudenza, ad amare con fortezza; dolcemente, affinché non allettati, con prudenza, affinché non ingannati, con fortezza, affinché non oppressi dalle cose del mondo siamo stornati dall’amore del Signore. Per non essere trascinato dalla gloria o dai piaceri della carne, ti diventi dolce più di tutte queste cose Cristo sapienza; per non essere sedotto dallo spirito di menzogna e di errore, splenda ai tuoi occhi Cristo verità; per non venir meno nelle avversità, ti conforti Cristo, forza di Dio.

Esempio di teologia della redamatio: come si debba ri-amare Cristo, lo impariamo da Cristo stesso.

V. 6. E osserva che l’amore del cuore è in qualche modo carnale, perché il cuore umano si volge maggiormente alla carne di Cristo e a quelle cose che Cristo operò e ordinò nella carne. Chi è pieno di questo amore, facilmente si commuove a ogni discorso che si tiene su questo argomento. Niente ascolta così volentieri, nulla medita con maggiore soavità. Da qui, l’olocausto delle sue orazioni trae abbondante alimento come dall’adipe di un vitello grasso.L’uomo di Dio in preghiera ha davanti a sé una sacra immagine, o della natività di Gesù, o di Gesù che viene allattato, o che insegna, o che muore, o che risorge, o che sale al cielo; è qualunque di queste cose venga presa in considerazione, necessariamente accende nell’animo l’amore per le virtù, disorienta i vizi della carne, schiaccia le turpi lusinghe, calma gli appetiti smodati.

Pregando è bene avere davanti a sé una immagine dell’uomo-Dio per contemplare i misteri del Verbo incarnato. Jesu dulcis memoria – inno medievale attribuito a Bernardo perché riecheggia alcuni passi di questo brano (niente è più dolce di meditare l’amore di Cristo…).Ma al tempo stesso Bernardo ci chiama ad andare oltre la carne di Cristo…

Sermone 61 sul Cantico dei Cantici di San Bernardo - SERMONE LXI (versione ridotta, NdR) I. Applicazioni della espressione che dice: «La mia colomba nelle fessure della roccia»; e quali sono le fessure della roccia. II. La casa dell’uomo sapiente ha le sue fondamenta su questa roccia; quanto è sicura questa abitazione. III. Dorso del Signore sono le ferite di Cristo, cioè le fessure della roccia; in esse abita la colomba. 1. Sorgi, amica mia, mia sposa, e vieni (Cant 2,13). Dimostra lo Sposo il suo grande amore ripetendo parole d’amore. Questa ripetizione infatti è espressione d’affetto; e nuovamente sollecita la diletta al lavoro delle vigne, mostrando la sua sollecitudine per la salvezza delle anime. Poiché già abbiamo detto che per vigne si intendono le anime. In nessun luogo tuttavia, come ricordo, di tutto questo lavoro, aveva ancora nominato espressamente la sposa, se non adesso mentre si va alle vigne, quando ci si avvicina al vino della carità. Quando questa verrà e sarà perfetta compirà lo spirituale connubio; e saranno due, non in una sola carne, ma in un solo spirito, secondo il detto dell’Apostolo: Chi aderisce a Dio forma un solo spirito (1 Cor 6,17). 2. Segue: Mia colomba, nelle fessure della roccia, nelle aperture della maceria, mostrami il tuo volto, fammi sentire la tua voce (Cant 2,14). Ama e continua con le espressioni amorose. La chiama nuovamente con fare carezzevole, la dice sua, affermando che gli appartiene; e quello che essa era solita chiedere con insistenza a lui, ora viceversa è lui a chiedere di vederla e di parlarle. Si comporta da Sposo, ma come Sposo verecondo ha vergogna del luogo pubblico, e stabilisce di godere delle sue delizie in luogo appartato, cioè nelle fenditure della roccia e nelle aperture della maceria. Quando pensate agli amanti stessi non vi immaginate un uomo e una donna, ma il Verbo e l’anima. E se dirò Cristo e la Chiesa è la stessa cosa, sennonché con il nome di Chiesa viene designata non una sola anima, ma l’unità, o piuttosto l’umanità di molte anime. 3. Un altro ha così commentato questo passo, chiamando «fessure della pietra» le piaghe di Cristo. Giusto davvero. Cristo è infatti la pietra. Buone fessure, che provano la resurrezione di Cristo e la sua divinità. Signore mio, dice Tommaso, e Dio mio! (Gv 20,28).E veramente dove vi può essere sicuro e stabile riposo per gli infermi se non nelle piaghe del Salvatore? Tanto più sicuro là abito, quanto più egli è potente nel salvare. Freme il mondo, preme il corpo, tende insidie

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al diavolo; non cado; sono infatti fondato sulla roccia. Ho commesso un grave peccato, si turberà la coscienza, ma non si abbatterà, perché mi ricorderò delle piaghe del Signore.  4. È perciò chiaro che ha sbagliato colui che ha detto: la mia iniquità è troppo grande perché io meriti il perdono (Gen 4,13). Sennonché egli non era delle membra di Cristo, né lo riguardavano i meriti di Cristo, in modo da poter dire suo quello che era di lui, come membra del capo. Io invece con fiducia prendo per me dalle viscere del Signore quanto mi manca, perché abbondano in misericordia, né mancano le fenditure per cui possano scorrere fino a me. Ma il chiodo penetrando, fu per me come una chiave che mi ha aperto perché io vedessi la volontà del Signore. Come non avrei potuto vedere, attraverso quella ferita? Grida il chiodo, grida la piaga che veramente in Cristo c’è Dio che riconcilia a sé il mondo. 

5. Il mio merito, pertanto, è la misericordia del Signore. Non sono privo di meriti fino a che egli non lo è di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, anche i miei meriti sono molti. Che importa se ho coscienza di molti delitti? Dove abbondarono i delitti, sovrabbondò anche la grazia (Rm 5,20). E se la misericordia del Signore è da sempre e dura in eterno (Sal 102,17), anch’io canterò in eterno le misericordie del Signore (Sal 88,1). 

6. Andrò per me a quella dispensa così ben fornita, e, ascoltando il monito del Profeta, lascerò la città e andrò ad abitare sulla roccia. Sarò come colomba che fa il nido in cima all’apertura della fenditura, affinché con Mosè posto nella spaccatura della roccia, passando il Signore, meriti almeno di vedere il suo dorso. Poiché chi potrà veder la sua faccia da fermo, cioè lo splendore dell’immutabile, se non colui che meritò di essere introdotto non solo nel santo, ma nel santo dei santi?  7. E il suo dorso nel pallore dell’oro (Sal 76,14). Come non impallidisce nella morte? Ma è meglio l’oro pallido che l’ottone lucente e ciò che è stolto di Dio è più sapiente degli uomini (1 Cor 1,25). Oro è il Verbo, oro è la sapienza. Quest’oro ha scolorito se stesso nascondendo la forma di Dio e mostrandosi con la forma di schiavo. Ha scolorito anche la Chiesa che dice: Non badate al fatto che sono scura, perché mi ha scolorita il sole (Cant 1,5). Dunque anche il suo dorso è di oro pallido, perché non si vergognò dell’oscurità della croce, non ebbe orrore dell’ustione della passione, non rifuggì dal livore delle piaghe. Anzi si compiace in esse e brama che le sue ultime siano simili a queste! Perciò in fine si sente dire:  Mia colomba nelle fessure della roccia, perché medita con tutta devozione le piaghe di Cristo, e con costante contemplazione abita in esse. Di qui la pazienza nel martire, di qui la sua grande fiducia nell’Altissimo. Non ha nulla da temere il martire che leva il suo volto esangue e livido verso di lui, dalle cui lividure è stato sanato, imitandone la gloriosa morte, veramente nel pallore dell’oro.  8. Poiché guardando le piaghe di lui non sentirà le sue. Ecco il martire tripudiante e trionfante, sebbene abbia tutto il corpo lacero, e mentre il ferro gli penetra i fianchi non solo con fortezza ma con ardore vede ribollire il sacro sangue dalla sua carne. Dov’è allora l’anima del martire? È al sicuro, cioè nella pietra, nelle viscere di Gesù, che con le ferite aperte invita ad entrarvi. Ma abitando nella pietra, che meraviglia  c’è se è duro come la pietra? Ma non fa neppure meraviglia se, assente in qualche modo dal corpo, l’anima non sente i dolori del corpo.

Sermone 83 (Da leggere e sapere)

SERMONE LXXXIII I. Come qualunque anima che voglia trasformarsi e uniformarsi a Lui, possa, in base a queste parole, ritornare ad aver fiducia nel Verbo. II. Come il sentimento dell’amore sia più potente degli altri. III. Lo Sposo ama prima e di più, per la sposa basta tuttavia se ama con tutta se stessa. I 1. Per tre giorni, quanto l’ora regolare ha permesso, abbiamo impiegato il tempo assegnato per parlare a voi per dimostrare l’affinità tra il Verbo e l’anima. Quale utilità in tutto questo lavoro? Questa: abbiamo insegnato che ogni anima, anche se carica di peccati, irretita nei vizi, presa dalle lusinghe, prigioniera in esilio, nel carcere del corpo, aderente al fango, immersa nel pantano, legata alle membra, attanagliata dalle

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preoccupazioni, dissipata dagli affari, contratta dai timori, afflitta dai dolori, sbandata tra gli errori, ansiosa nelle sollecitudini, inquieta per i sospetti, in una parola pellegrina in terra di nemici, secondo la parola del Profeta, infetta in mezzo ai morti, destinata alla compagnia con quelli che sono nell’inferno; per quanto così dannata e disperata, abbiamo detto che essa può notare in sé un motivo non solo di respirare nella speranza del perdono, nella speranza della misericordia, ma anche una ragione per osare aspirare alle nozze con il Verbo, per non trepidare di concludere con Dio un patto di alleanza, e non temere di sottoporsi al soave giogo di amore con il Re degli Angeli. Che cosa non oserà, infatti, senza timore presso colui della cui immagine si vede decorata, e della cui somiglianza illustrata? Che cosa avrà da temere dalla maestà essa a cui è data fiducia a motivo della sua origine? Basta che abbia cura di conservare con l’onestà della vita la libertà della natura; anzi, cerchi di abbellire e ornare con i degni colori dei costumi e degli affetti il celeste decoro che possiede dall’origine. 2. Perché mai dovrebbe sonnecchiare l’industria? Essa è un grande dono fatto a noi dalla natura, che se non mette in opera le sue parti, il rimanente che la natura ha in noi sarà deturpato, e tutto verrà ricoperto da una specie di ruggine come roba vecchia. Questo reca ingiuria all’autore. Ed è per questo che l’autore, Dio stesso, ha voluto che nell’anima si conservasse in perpetuo il segno della divina generosità, perché questa abbia sempre in sé dal Verbo materia di ammonimento, per stare sempre con lui, o per tornarvi qualora se ne fosse allontanata. Non allontanata quasi passando a un altro luogo o camminando con i piedi, ma come si addice a una sostanza spirituale, la quale con gli affetti, anzi con i difetti peggiora da sé e si rende dissimile a se stessa con la cattiveria della condotta, rendendosi degenere, la quale dissomiglianza non è distruzione della natura ma vizio, che fa risaltare al paragone il bene stesso della natura, e nello stesso tempo lo contamina unendosi ad esso. Ora, poi, il ritorno dell’anima, la sua conversione al Verbo la porta a riformare se stessa per mezzo di lui e a conformarsi a lui. In che cosa? Nella carità. Dice, infatti:  Siate imitatori di Dio come figli carissimi e camminate nell’amore come Cristo ha amato voi (Ef 5,1). 3. Tale conformità rende l’anima sposa del Verbo. Mentre si mostra simile per la volontà a lui al quale è simile per natura, amandolo come ne è amata. Dunque, se ama perfettamente è diventata sposa. Che cosa più dolce di tale conformità? Che cosa più desiderabile che la carità per la quale, o anima, non contenta del magistero umano, da te stessa accedi con fiducia al Verbo, aderisci costantemente a lui, lo interroghi con familiarità e lo consulti su ogni cosa, quanto capace di intelligenza altrettanto audace nel desiderio? Questo è veramente un contratto di spirituale e santo connubio. Ho detto poco, contratto: è un amplesso. Amplesso veramente dove il volere e non volere le medesime cose ha fatto uno solo di due spiriti. Né vi è da temere che la diversità delle persone faccia zoppicare in qualche cosa la connivenza delle volontà, perché l’amore non conosce la riverenza. L’amore prende nome dall’amare, non dall’onorare. Onori pure colui che ha orrore, che si stupisce, che teme, che si meraviglia; tutte queste cose sono assenti in chi ama. L’amore è già di troppo di per sé. L’amore dove arriva, trasforma in sé e occupa tutti gli altri affetti. Perciò colui che ama ama e non conosce nient’altro. Egli stesso, il Verbo, che a buon diritto merita onore, che giustamente è oggetto di stupore e di meraviglia preferisce di più essere amato. Sono Sposo e sposa. Quale altro legame o relazione cerchi tra gli sposi fuori dell’essere amati e di amare? II. Questo nesso vince anche quello cha la natura ha più strettamente unito, il vincolo tra i genitori e i figli. Per questo, dice la Scrittura, l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa (Mt 19,5). Vedi come questo affetto negli sposi sia più potente degli altri affetti non solo, ma anche di se stesso. 4. Aggiungi che questo Sposo non solo ama, ma è amore. È, forse, onore? Dica pure qualcuno che lo è; io non l’ho letto. Ho, invece, letto che Dio è amore (1Gv 4,16), e non ho letto che Dio è onore. Non che Dio non voglia l’onore, lui che dice: Se io sono Padre, dov’è il mio onore? (Ml 1,6). Questo è il Padre. Se, invece, si presentasse come Sposo, penso che cambierebbe parola e direbbe: «Se io sono Sposo, dov’è il mio amore?». Poiché anche prima aveva detto: Se io sono il Signore, dov’è il mio timore? (Ml 1,6). Esige, dunque, il Signore di essere temuto come Signore, di essere onorato come Padre, di essere amato come Sposo. Quale tra queste cose è la più grande, quella che sorpassa le altre? L’amore certamente. Senza di questo il timore ha la pena e l’onore manca della grazia. Il timore è servile quando non è accompagnato dall’amore. E l’onore che non viene dall’amore non è onore, ma adulazione. Eppure a Dio solo onore e gloria (1 Tm 1,17), ma Dio non accetterà nessuna delle due cose se non saranno condite con il miele dell’amore. Questo invece basta a se stesso, da sé piace e per sé. Esso è merito e premio a se stesso. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l’amore, se tuttavia ritorna al suo principio, se rinvenuto alla sua

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origine, se rifuso nella sua fonte, sempre da esso attingerà per sempre scorrere. L’amore è il solo dei movimenti dell’anima, sentimenti e affetti in cui la creatura può rispondere, anche se non alla pari, all’autore, di dargli un simile vicendevole contraccambio. Per esempio, se Dio sarà adirato con me, forse che io potrò essere adirato nello stesso modo con Lui? Certamente no, ma avrò paura, ma tremerò e chiederò perdono. E se mi rimprovera, non sarà sgridato da me, ma piuttosto sarà da me giustificato. Né se mi giudicherà, io giudicherò lui, ma lo adorerò: così, salvando me, non mi chiede di essere a sua volta salvato né viceversa ha bisogno di essere liberato da alcuno lui che libera tutti. Se domina, a me tocca servirlo; se comanda, io gli devo obbedire e non viceversa posso esigere dal Signore o servizio o ossequio. Ora vedi come la cosa è diversa per l’amore. Poiché quando Dio ama, altro non vuole se non essere amato, perché non ama per altro scopo se non per essere riamato, sapendo che per questo stesso amore saranno beati coloro che lo amano. 5. Grande cosa è l’amore; ma in esso vi sono dei gradi. La sposa sta sul più alto. Amano, infatti, anche i figli, ma pensano alla eredità, e quando temono in qualsiasi modo perderla, l’amore per colui dal quale l’aspettano diminuisce e si mescola al timore. Mi è sospetto quell’amore che sembra essere sostenuto dalla speranza di ottenere qualche cosa. È un amore debole, che se per caso quella speranza viene meno, o si spegne o per lo meno diminuisce. È impuro perché brama anche altre cose. L’amore puro non è mercenario. L’amore puro non prende forza dalla speranza, né d’altra parte sente i danni della diffidenza; è l’amore della sposa, perché questa è sposa, chiunque essa sia. Le cose della sposa e la sua speranza sono unicamente il suo amore. Di questo abbonda la sposa, di questo si accontenta lo Sposo. Né questi cerca altro, né essa altro ha. Per questo egli è Sposo ed essa è sposa. Questo è proprio agli sposi, non appartiene a nessun altro, neppure al figlio. III. E poi ai figli grida: Dov’è il mio onore (Ml 1,6) e non: «Dov’è il mio amore», riservandone la prerogativa alla sposa. Ma anche si comanda all’uomo di onorare il proprio padre e la propria madre, e dell’amore non si fa parola: non perché i figli non debbano amare i genitori, ma perché molti figli sono più disposti a onorare i genitori che non ad amarli. Sia pure che l’onore del re è di amare la giustizia (Sal 98,4); ma l’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore richiede in cambio solo amore e fedeltà. È dunque consentito alla diletta di ricambiare l’amore. Come non amerà la sposa, e sposa dell’Amore? Come non sarebbe amato l’Amore? 6. Giustamente rinunciando a tutti gli altri sentimenti si applica tutta e al solo amore côlei che deve rispondere allo stesso amore ricambiando l’amore. Poiché, quando si sarà tutta effusa nell’amore, che cosa è questo di fronte al perenne profluvio di quella fonte? Non scorrono certamente con uguale abbondanza l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura, non diversamente che l’assetato e la fonte. Che dunque? Sarà per questo sprecato e del tutto vano il voto della futura sposa, il desiderio di lei che sospira, l’ardore dell’amante, la fiducia ardimentosa per il fatto che non può correre a pari con un gigante, contendere per dolcezza con il miele, per mansuetudine con l’agnello, per candore con il giglio, per splendore con il sole, per carità con colui che è carità? No. Poiché, anche se la creatura ama meno perché è inferiore, tuttavia, se ama con tutta se stessa nulla manca dove è tutto. Perciò, come ho detto, amare così equivale ad aver celebrato le nozze, perché non può amare così ed essere poco amata, e nel mutuo consenso dei due sta l’integro e perfetto connubio. A meno che qualcuno dubiti che l’anima sia dal Verbo amata prima e di più. Essa è del tutto prevenuta nell’amore e vinta. Felice colei che ha meritato di essere prevenuta con la benedizione di tanta dolcezza. Felice lei, a cui fu dato di sperimentare l’insieme di tanta soavità! Questo altro non è che l’amore santo e casto, l’amore soave e dolce, amore tanto sereno e sincero, amore vicendevole, intimo e forte, che unisce due non in una sola carne ma in un solo spirito e fa sì che due non siano più due ma una cosa sola, come dice Paolo: Chi aderisce a Dio forma con Lui un solo spirito (1 Cor 6,17). E ora piuttosto ascoltiamo lei su questo argomento, lei resa facilmente maestra su ogni cosa, sia dall’unzione maestra, sia dalla sua frequente esperienza. Ma forse è meglio che riserviamo questo al principio di un altro sermone, per non restringere una cosa buona negli stretti limiti di questo che sta per finire. E se siete contenti finisco appunto prima del tempo affinché domani ci ritroviamo affamati a gustare le delizie dell’anima santa di cui merita, beata, di godere con il Verbo e a proposito del Verbo suo Sposo Gesù Cristo Signore nostro, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli. Amen. 

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La bellezza artistica di Cluny serviva a rapire il cuore del credente.Diverso è invece l’approccio all’arte della scuola cistercense: l’arte è volutamente imperfetta, poiché tale è l’uomo, rispetto a Dio che è perfetto. La stessa chiesa non ha una simmetria perfetta, né le proporzioni sono esatte, come pure i capitelli delle colonne sono lisci, scarni

SAN BRUNO E I CERTOSINI

Attorno alla figura carismatica di Bruno e alla figura della Certosa – fondata non lontana da Grenoble, presso un sito donato dal vescovo Ugo – nasce l’ordine dei Cistercensi che ancora oggi vive la fedeltà al carisma originario: “la certosa non è mai stata riformata perché mai è stata deformata”, si dice.

San Bruno cercava la solitudine come mezzo per cercare Dio. “Soli Deo” – Dio solo.I monaci si ritrovano solo per quanto necessario – ufficio, lodi, vespri, eucaristia – mentre gli altri momenti sono vissuti nel suo piccolo eremo (il monaco non ha una cella, ma un eremo).Oltre a spazi comuni – per pregare – ci sono piccoli eremi ove si trova tutto quello che serve per vivere in solitudine, composti di 4 piccole stanze: un oratorio per preghiera e lectio personale, uno studio, una camera da letto, una camera per il lavoro manuale; unitamente a un piccolo giardino/orto che perfette, con il contatto con la terra, di mantenere un equilibrio tra spirito e corpo.Anche i pasti vengono consumati singolarmente, nel proprio eremo.Vedi la Certosa di Pavia, con la ruota per lo scambio dei pasti posta presso ogni eremo.Forma di vita molto impegnativa, non da tutti, proprio per questa profonda solitudine.

L’ideale di Bruno era la sola ricerca di Dio, ma quando un suo monaco divenne papa col nome di Urbano II, ecco che Bruno, per obbedienza, dovette raggiungerlo a Roma. Quando poté liberarsi dall’incarico ricevuto di consigliere del papa, Bruno si ritira in un luogo solitario – oggi detto Serra San Bruno, in Calabria – dove con altri fratelli conclude la sua esistenza nel silenzio.

GUICO II è il personaggio di spicco della spiritualità certosina.Offre un trattato di “pedagogia” della preghiera nella “Scala dei monaci” o lettera sulla vita contemplativa, dove descrive la tecnica orante della lectio divina. È la prima volta che un monaco insegna tecnicamente come fare preghiera e, come monaco, descrive la lectio divina. Il testo è contenuto integramente nell’antologia del corso.

La lectio divina consta di 4 tappe: lectio, meditatio, oratio, contemplatio.Questi sono i 4 scalini che i monaci percorrono per sollevarsi al cielo.La lettura è lo studio attento delle Scritture; la meditazione è la ricerca del senso profondo; la preghiera è fervoroso rivolgersi a Dio per chiederne il sostegno; la contemplazione è il momento in cui si gusta la dolcezza della Parola.4 tappe in cui si cerca/trova/chiede/gusta la vita beata.

È come una ruminatio spirituale: la lettura porta il cibo alla bocca; la meditazione lo mastica; la preghiera lo assapora; la contemplazione lo gusta.

La lettura è un esercizio dei sensi: occorre la materialità del testo, ben comodi e illuminati, per leggere, tenendo la Scrittura ben salda tra le mani.

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È il percorso che fa chi si lascia afferrare e trasformare dalla Parola di Dio, percorrendo le diverse tappe della scala: principianti, proficienti, devoti, beati sono dunque le 4 categorie di praticanti la lectio divina.

Nr.9 – le visite dello Sposo e del Verbo sono poche e molto fugaci, mentre la norma è la aridità illuminata dal ricordo della dolcezza sperimentata. Anche se si ha l’impressione che lo sposo non ci sia più. Ma – dice Guico – viene meno la dolcezza della contemplazione e resta invece lo sposo in quanto orienta il cammino, ci sostiene con la grazia e anche se non lo sentiamo ci tiene stretti a Lui.La lectio divina non è un automatismo. La successiva scuola spagnola parlerà della stessa esperienza con un linguaggio diverso – “notte oscura”, “desolazione” – analizzando, più che la azione di Cristo durante la preghiera, gli effetti sulla psicologia del fedele (cfr. Madre Teresa che, quando non sentiva più la presenza di Dio, affermava che l’amore e il dovere coincidono, per cui doveva continuare a svolgere il suo compito per amare Dio, pur non sentendolo).Ma Guico esorta la sposa (anima) a non disperare: lo Sposo viene per consolare, e si allontana perché non si monti in superbia per la grandezza delle consolazioni.

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GLI ORDINI MENDICANTI (XIII secolo)

Si registra un profondo desiderio di ritorno alle origini. Ne fa fede la nascita di nuove forme di vita monastica riformate, tutte col desiderio di poter ritornare alla freschezza delle origini, accentuando ora un aspetto, ora un altro.È in questo periodo che prendono forma diverse consuetudini della devozione popolare rivolte a Gesù e Maria. Nascono inni bellissimi (Jesu dulcis memoria), preghiere (Ave Regina Coelorum, Salve Regina: le ultima parole di quest’ultima probabilmente sono state aggiunte da Bernardo di Chiaravalle, benché non sia sua la preghiera). Nasce il salterio mariano, antesignano del moderno rosario. I monaci meno colti o senza libri, invece di pregare i salmi del salterio, potevano recitare altrettante (150) Ave Maria.

Si accentua la devozione eucaristica perché si conferma la dottrina sulla presenza reale di Cristo (soprattutto con Tommaso d’Aquino, XIII sec.). Con accentuazioni che spostano dal “comunicare” all’eucaristia al contemplarla. Così il concilio lateranense IV (1215) dovrà ricordare ai fedeli di comunicarsi almeno una volta all’anno. Nasce la festa del Corpus Domini. È il tempo dei grandi miracoli eucaristici.Nasce un nuovo rito nella messa, richiesto dal popolo di Dio: l’elevazione delle sacre specie. Se non ci si comunica più, almeno si sollevino le sacre specie per poterle contemplare. All’epoca le condizioni erano di particolare durezza, per cui non potendola così facilmente ricevere, si trovava un sostituto nel “guardare” all’Eucaristia.Anche la disciplina della penitenza viene fissata dal Lateranense IV che stabilisce la confessione dal proprio parroco almeno a Pasqua. Il Concilio di Trento farà cadere questa norma che probabilmente non favoriva la frequenza al sacramento.

Ancora: il teatro sacro e le sacre rappresentazioni. Una eredità di questo può essere la rappresentazione della Passione in forma dialogata alla domenica delle Palme. Nelle annotazioni dei testi antichi, più che indicare i ruoli diversi si indicavano come andavano cantate le diverse parti, diversificando così i dialoghi anche tramite uno stesso lettore (mentre oggi si legge, affidandosi più facilmente a voci diverse).

Rara era la predicazione della Parola di Dio. Affidata ai vescovi, poiché i presbiteri non avevano una formazione sufficiente a guidarli nella predicazione. La teologia del tempo era dunque quella chiusa nelle abbazie, quasi una esclusiva dei monaci. Nel popolo di Dio nasce dunque il desiderio di riscoprire la freschezza del Vangelo delle origini che non pareva più nemmeno garantita dagli antichi ordini monastici che si trovavano fuori dalle città e dunque lontani dal popolo. Questo buon desiderio lascia spazio però a figure non ortodosse, non obbedienti alla Chiesa: i Catari (Albigesi), Pietro Valdo (in Piemonte soprattutto) … Domenico si troverà dinanzi alla sfida catara e risponderà facendo nascere qualcosa di nuovo nella Chiesa.

Nascono le università.In questo contesto nascono Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman.Simili nella scelta di una radicale povertà evangelica. Diversi per carattere, modo di vita, finalità degli ordini cui diedero vita.

Il Lateranense IV proibisce di redigere nuove regole.Nel 1209 Francesco riceve l’approvazione orale per la regola “non bollata”.

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Domenico, dando vita al suo ordine dopo il 1215, dovette scegliere una regola già esistente e scelse quella di Agostino + consuetudini dell’ordine premostratense.

Francesco resta un laico per tutta la vita (ma la tradizione dice che diventa diacono, visto che canta il Vangelo dopo aver fatto il presepio di Greccio). Non intendeva formare un ordine, ma viveva come uno dei tanti penitenti del tempo (come potevano anche sembrare i catari o Pietro Valdo).Solo quando crebbe il numero delle persone a lui aggregate, Francesco offre una prima regola di vita. Ci sarà poi la polemica tra osservanti e spirituali, cioè tra chi voleva essere un ordine monastico come gli altri e chi invece voleva vivere in modo estemporaneo, come Francesco.L’ideale della povertà segna l’ordine dei minori. Che però avrà presto conventi, scuole, ministero pastorale, docenti universitari (S. Antonio di Padova, incaricato da Francesco stesso di insegnare teologia).Francesco pare il santo che meglio assomiglia a Cristo. Lo stesso suo biografo ufficiale – Bonaventura da Bagnoregio – lo presenta come un uomo trasformato in Cristo dentro e fuori (tramite le stimmate).

Diversa è la storia di Domenico. Sacerdote, canonico regolare della cattedrale di Osma, insieme al suo vescovo Diego, mentre è in viaggio verso le Fiandre incontra gli Albigesi. E nota che i legati pontifici, incaricati di una predicazione più efficace della Parola di Dio, non erano credibili a causa di uno stile di vita che era esso stesso criticato dagli Albigesi in quanto non segnato dalla povertà. Mentre, per riconquistare a Cristo il popolo, bisognava vivere poveramente come Lui. Francesco cerca la povertà per assomigliare a Cristo, mentre Domenico la cerca come stile di vita efficace per la predicazione.

Ricevuto il permesso dal vescovo di predicare, si legano a lui dei compagni che sentono il desiderio pastorale di riconquistare le anime a Cristo. Sceglie dunque la regola di Agostino: preghiera, studio, predicazione sono i capisaldi dell’Ordine dei Predicatori.Pur fondando un ordine mendicante, non sceglie la povertà assoluta (come Francesco), evitando così le difficoltà che i Minori ebbero agli inizi proprio in merito alla radicalità della povertà.È in quel momento che Francesco inizia a scrivere quanto ancora oggi conserviamo, quando cioè – rinunciato alla guida dell’ordine dopo le polemiche tra le diverse anime a esso interne – si sente libero di esprimersi.

1170-1221 DOMENICO1182-1226 FRANCESCOProbabilmente si incontrarono a Roma nel Lateranense IV

Francesco ha spiritualità cristocentrica e affettiva. Profondo amore per l’eucaristia e la parola di Dio, grande rispetto per i ministri della Chiesa. Capisaldi della sua spiritualità:Cristo colto nei suoi due misteri di abbassamento: incarnazione e passione. Le sue mediazioni sacramentali: Parola e Eucaristia.La mediazione ecclesiale: i ministri della Chiesa.Francesco sente gioia per l’assoluta povertà, unitamente a grande umiltà.Infine, un vivo sguardo contemplativo rivolto al creato.

La spiritualità dell’OP.La finalità prima è la salvezza dei fratelli, da cui derivano i pilastri della spiritualità:

- la vita comune, lo studio, la preghiera, l’insegnamento, la predicazione.Differente da Francesco.

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La più importante è lo studio. Perché permette di predicare in modo appropriato, cosa che giova alla salvezza dei fratelli. Il ministero sacerdotale è servizio a Dio e ai fratelli, cui si serve anche predicando e insegnando.Se l’incontro con il lebbroso cambia la vita di Francesco, è invece l’incontro col cataro che cambia la vita di Domenico.Il frate OP o parla con Dio, o parla di Dio.La sintesi più bella è quella di Tommaso d’Aquino che nella “Summa” scrive: contemplata aliis tradere (trasmettere agli altri ciò che si è contemplato attraverso lo studio).Anche la preghiera, il coro e ogni altro impegno non devono mai andare a scapito dello studio. Per cui la preghiera corale è limitata al minimo indispensabile.

Di Domenico resta solo qualche lettera, oltre alla testimonianza offerta dall’ordine da lui fondato. E restano diverse testimonianze sulla sua vita. Di Francesco abbiamo invece diversi scritti, raccolti nelle Fonti francescane.

Francescani e Domenicani diventano punti di riferimento importanti per i laici che desideravano camminare verso la perfezione della vita cristiana. Molti OP e OFM diventano padri spirituali.Accanto al ramo maschile o Primo Ordine, sorge il ramo femminile – Secondo Ordine – e anche quello laicale o Terzo Ordine.I terz’ordini diventano un riferimento importante per i laici, con figure di spicco.Santa Caterina da Siena è dottore della Chiesa del terz’ordine femminile domenicano (“Mantellate”). Mentre Sant’Angela da Foligno è del Terz’ordine francescano.Tra gli OFM ricordiamo dottori della Chiesa: Bonaventura, Antonio di PadovaTra gli OP invece: Alberto Magno, Tommaso d’Aquino. Grazie a loro la riflessione teologia fa un grande balzo in avanti, sganciandosi dall’abbazia e legandosi all’università: nasce così la teologia scolastica.

Anche i Carmelitani nascono in questo tempo attorno alla regola di vita del Vescovo Alberto di Gerusalemme, sul monte Carmelo (Palestina), durante le Crociate, affermandosi come Ordine Mendicante nel XIII secolo.Nascono poi gli Agostiniani, e i Servi di Maria… Fu un periodo davvero fecondo, come accaduto nel XX sec con la nascita dei movimenti.Come pure ci sono figure di grandi sante e monache (Ildegarda di Bingen…).Si sviluppa altresì la tradizione spirituale di lingua inglese (Walter Hilton, Giuliana Di Norwich…).

IL BEGHINAGGIO

BEGHINE sono quelle donne che si collocano tra vita religiosa e vita laicale. Si univano a formare i beghinaggi, delle comunità che trovavano la loro connotazione in particolari quartieri della città (ognuno con la sua casa, facendo riferimento a uno stesso luogo di culto, riferendosi a un sacerdote diocesano, OFM o OP). Sia le donne sia gli uomini (BEGARDI) sceglievano tra loro un responsabile che aveva il compito di coordinare la vita spirituale della comunità. Non hanno voti né professione monastica (dopo il Lateranense IV non potevano più nascere nuovi ordini/regole) né regole: è un’esperienza più carismatica che istituzionale. Ma almeno stavano tutti insieme in un quartiere. Oltre alla preghiera personale, compivano opere di misericordia, in particolare verso i malati.Inizialmente diversi vescovi diedero l’appoggio. Poi, quando emersero tra le donne alcune figure non ortodosse, come Margherita Porete, lo sguardo della gerarchia mutò orientamento, divenendo conflittuale. Mancando punti di riferimento canonici ben precisi, parlando e insegnando cose dello

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spirito potevano esulare dall’ortodossia. L’esperienza di vita è però continuata per lungo tempo. Poteva anche essere una esperienza di vita temporanea, prima del matrimonio.Si sviluppano soprattutto nei Paesi Bassi, nei sec. XIII-XIV.La più conosciuta fu Heidevich di Anversa, oltre a Matilde di Magdeburgo.Grazie alla presenza di OP con figure significative (Meinster Heckart e Taulerio) al regione renano-famminga diviene culla della spiritualità del tardo medioevo. Nella stessa area si trova anche il beato Roebuck, da cui deriva la Devotio Moderna.

I NOVE MODI DI PREGARE DI SAN DOMENICOAnche la corporeità ha la sua importanza nella preghiera, per Domenico

1--Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati (Salmo 94,6) “In piedi profondamente inchinato, si umiliava dinanzi all’altare, come se Cristo...fosse lì realmente e personalmente... Dopo aver pregato in tal modo riassumeva la posizione eretta, poi inclinava il capo e fissando con umiltà il Cristo, suo vero capo, confrontava la di lui eccellenza con la propria bassezza...”Questa maniera di inclinare profondamente il capo era il punto di partenza delle sue devozioni. Analogo segno di umiltà egli lo esigeva dai frati in onore di tutta la Trinità quando recitavano solennemente il «Gloria...»Inchinarsi (come gli islamici e il mondo orientale in genere) o “metanoie”, sono posizioni di adorazione. 2--Io sono prostrato nella polvere, dammi vita secondo la tua parola (Salmo 119, 25) “Spesso pregava completamente disteso con la faccia contro la terra (=venia). Eccitava allora nel suo cuore sentimenti di compunzione, richiamando alla memoria e dicendo a voce alta «O Dio, abbi pietà di me che sono un peccatore» ... e piangeva emettendo gemiti...”Talvolta, volendo insegnare ai frati con quanta riverenza dovessero pregare diceva loro: «...Abbiamo trovato l’Uomo-Dio con Maria sua ancella. Perciò venite adoriamolo e prostriamoci piangendo davanti al Signore Dio che ci ha creati». E invitava anche i più giovani a piangere per i peccatori.Nell’ordinazione sacerdotale si prega così e anche il venerdì santo (il sacerdote si prostra per tutti i fedeli) 3--Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia (Salmo 66, 20) “Per questo motivo si rialzava da terra e con una catena di ferro si dava la disciplina”.Da questo esempio del Padre venne nell’Ordine la disposizione che tutti i frati nei giorni feriali la sera, dopo Compieta, ricevessero a dorso nudo la disciplina con verghe di legno, recitando devotamente il Miserere o il De profundis per le colpe proprie e per quelle dei benefattori.”Questo è un modo che non appartiene più alla sensibilità dei fedeli. Ma infliggersi sofferenze per partecipare a quelle di Cristo è stato introdotto da san Pier Damiani, fondatore dei Camaldolesi. Non è masochismo. Bensì il farsi liberamente partecipi delle sofferenze di Cristo.

4--I nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi (Salmo 123,2) “In seguito davanti all’altare o nel Capitolo egli (in piedi e a mani aperte) fissava lo sguardo nel Crocifisso, contemplandolo con incomparabile penetrazione e davanti a lui si genufletteva più volte. Succedeva così che, qualche volta, da dopo Compieta fino a mezzanotte, ora si alzava, ora si metteva in ginocchio...Mettendosi in ginocchio gridava per i peccatori: «Signore non imputar loro i peccati».Sorgeva allora in lui un sentimento di grande fiducia nella misericordia di Dio nei suoi riguardi e in quelli di tutti i peccatori e per la conservazione dei suoi frati...”

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5--Alzate le mani verso il Tempio e benedite il Signore (Salmo 134, 2) “Talvolta si metteva davanti all’altare in posizione ben eretta, senza appoggiarsi né sostenersi, con le mani aperte sul petto come (a sostenere) un libro. E restava in piedi così con grande riverenza e devozione, come leggendo alla presenza di Dio. Sembrava meditasse le parole di Dio, ripetendole dolcemente a se stesso. Talvolta giungeva le mani, tenendole fortemente unite davanti agli occhi e tutto chiudendosi in se stesso. Tal’altra le alzava all’altezza delle spalle (come fa il sacerdote nella Messa), quasi volesse tendere l’orecchio per udire meglio qualcosa... Avresti creduto vedere un profeta intrattenersi con un angelo o con Dio...” 6--Il Signore è vicino a quanti lo invocano a quanti lo cercano con cuore sincero (Salmo 145, 18) “Il santo padre Domenico alle volte fu visto pregare anche con le mani e le braccia completamente aperte e stese a forma di croce, mentre col corpo stava il più possibile eretto. Questa forma di preghiera non era frequente, ma egli vi aveva fatto ricorso quando, per divina ispirazione, sapeva che in virtù della sua preghiera sarebbe avvenuto qualcosa di grande e di meraviglioso. Così a Roma quando risuscitò il giovane che era morto cadendo da cavallo; così a Tolosa quando salvò circa quaranta pellegrini inglesi che stavano annegando nel fiume; così durante la celebrazione di una Messa.” 7--Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera (Salmo 141, 2) “Spesso lo si vedeva, mentre pregava, protendersi tutto verso il cielo, come una freccia scoccata dritta in alto: elevava le mani tenendole tese sopra il capo, ora congiunte ora un po’ aperte come a ricevere qualcosa. Era rapito fuori di sé. Quando tornava in sé era come se venisse da lontano e lo avresti detto un pellegrino...” 8--Sul rotolo del libro è di me è scritto che io faccia il tuo volere (Salmo 40, 9) “Il santo padre Domenico aveva anche un altro modo di pregare, assai bello, devoto e simpatico...Questo buon padre, ammirevole per la sua sobrietà e per lo spirito di devozione attinto nelle divine parole che si erano cantate in coro..., subito si ritirava in un luogo solitario...per leggere o pregare, raccolto in sé stesso e fissato in Dio. Si sedeva tranquillamente e, dopo essersi fatto il segno della croce, apriva un libro e leggeva. E mentre leggeva così in solitudine, faceva atti di riverenza vero il suo libro, chinandosi spesso a baciarlo, soprattutto se si trattava del Vangelo o vi leggeva riportate le parole proferite da Cristo. Poi...si alzava alquanto, con riverenza, e inclinava il capo. Quindi di nuovo calmo e tranquillo riprendeva a leggere.”Questa è la preghiera della Lectio Divina. 9--Il Signore fa sicuri i passi dell’uomo e segue con amore il suo cammino (Salmo 37, 23) “Quando a piedi viaggiava, sovente si separava dagli altri e pregava da solo. Si accendeva allora come fuoco ardente”. Da altre fonti sappiamo che “ruminava dei salmi” cantava l’«Ave maris stella» o il «Veni creator spiritus»...”.Avvicinandosi ad un paese pregava per i suoi abitanti. “Aveva l’abitudine di passare assai spesso la notte in chiesa, a tal punto che si pensava che mai o raramente egli usasse un letto...Pregava e prolungava le sue veglie. Quando poi sopravveniva la stanchezza, vinto dal bisogno del sonno, appoggiava la testa all’altare ... e riposava un momento. Poi si risvegliava e riprendeva la sua fervorosa preghiera.”

La preghiera itinerante, durante i viaggi, come oggi noi possiamo fare guidando, pregando il rosario.

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IL TESTAMENTO DI SAN FRANCESCO (1226)

Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.

E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

Il cuore della spiritualità di Francesco è dunque la persona di Cristo, colta nel lebbroso e nella sua mediazione sacramentale.

Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

Grande rispetto per la mediazione sacerdotale e per i ministri di Dio in quanto mezzo per ricevere i sacramenti da essi amministrati. Corpo e Sangue eucaristici sono ciò che Francesco vede del Signore e dunque onora coloro che glieli possono offrire.

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.

E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso.

Amore per le parole sacre, riflesso della Parola di Dio. Oltre all’eucaristia, sommo amore anche per i testi della Parola di Dio. Questo è ben oltre la banalizzazione di Francesco operata dalla mentalità ambientalista contemporanea. Stesso onore per i teologi e quanti annunciano e spiegano la Parola.Emerge una sorta di prudenza e quel desiderio di unità tra i suoi, nel nome dello spiriti originario dell’ordine, che era emerso assai forte dopo le divisione tra osservanti e conventuali (quando si era messo da parte, per non cadere nel tranello delle divisioni e dei conflitti). Ma una tale unità era possibile solo ponendosi nella piena obbedienza e rispetto dell’autorità ecclesiastica.

E tutti i teologi e quelli che amministrano le santissime parole divine, dobbiamo onorarli e venerarli come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.

E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò.

E quelli che venivano per intraprendere questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più.

Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.

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E io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. E quelli che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.

Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.

Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!».

Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre dimorandovi da ospiti come forestieri e pellegrini.

È come una stoccata ai conventuali che ricercavano la stabilità e la sicurezza delle strutture.

Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella Curia romana, né personalmente né per interposta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.

E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la volontà sua, perché egli è mio signore.

E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l'ufficio, così come è prescritto nella Regola.

E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire così ai loro guardiani e a dire l'ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non dicessero l'ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l'avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità.

E non dicano i frati: «Questa è un'altra Regola», perché questa è un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, fratelli miei benedetti, affinché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.E sempre abbiano con sé questo scritto accanto alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.

E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola né in queste parole dicendo: «Così devono essere intese»; ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine.E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto con il santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. E io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione.

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IL CANTICO DI FRATE SOLE (1224)

Il testo è stato rilanciato da papa Francesco all’esordio della sua enciclica LAUDATO SI’ che, originalmente, si apre non con parole latine – che poi darebbero il titolo all’enciclica – bensì con la citazione volgare di uno dei testi più famosi della nascente lingua italiana.

Composto da Francesco per essere cantato – non solo letto o recitato. Nel manoscritto conservato nella biblioteca civica di Assisi il compilatore ha lasciato, dopo le prime parole, 4 righe bianche dove doveva essere assai probabilmente annotata la musica/melodia (sul tetragramma allora in uso), probabilmente un adattamento di un motivo gregoriano allora in uso.

Tommaso da Celano nella sua Vita Prima descrive l’amore grande che Francesco nutriva per le creature a motivo del Creatore, ben lungi da ogni amore per il creato in sé. Ammirando il creato si inondava di gaudio, sentendo affetto persino per i vermi (Salmo 22 – riferimento a Cristo disprezzato come un verme…), che poneva al sicuro dai passanti. Come i tre fanciulli nella fornace ardente invitano gli elementi a lodare Dio (cfr. Daniele), così Francesco non si stancava di lodare in tutte le creature il Creatore. Nella creazione si scorge il riflesso del Creatore, del Verbo. Tommaso non aveva conosciuto personalmente Francesco.Coloro che erano stati i suoi compagni, nella “Compilazione di Assisi” (prima memoria scritta della vita di Francesco) dicono che anche solo nel camminare sulle pietre si muoveva con delicatezza a riguardo di colui che è chiamato “Pietra”; così raccomandava di non troncare interamente gli alberi nel far legna, né di coltivare tutto il terreno dell’orto ma lasciare spazio per erbe e fiori. Amore per ogni creatura che può gridare “Dio mi ha fatto per te, o uomo”.Si dilettava di quasi ogni creatura. E compose alcune lodi sulle creature affinché tutti le scorgessero come riflesso della bellezza del creatore (è il riferimento al Cantico, composto perché tutti potessero lodare il Creatore). Frate Elia, nella stessa Compilazione, aggiunge: due anni prima della morte, presso san Damiano, già malato agli occhi, compose il Cantico. Soggiorna 50 giorni e più, non sopportando alcuna luce, sempre immerso nella oscurità, soffrendo dolori atroci che quasi non poteva dormire, anche a causa dei topi che infestavano la sua cella e ne disturbavano soprattutto la preghiera (tentazione diabolica). È un contesto ben diverso dal quadretto bucolico descritto prima dai compagni: cieco, insofferente alla luce, a disagio con alcune creature così fastidiose… È in questo momento che compone il Cantico. Una notte prega per saper sopportare con pazienza tali infermità, per vincere il conflitto con l’esistenza che sta vivendo. Nella preghiera si sente fare una promessa da Dio: rallegrati come se fossi già nel mio Regno, queste tue sofferenze sono nulla rispetto a quanto godrai. E dice ai suoi fratelli di sentirsi come un servo che abbia ricevuto in dono il regno dal suo signore. Certo di possedere già il suo Regno, a lode di Dio e a consolazione propria ed edificazione del prossimo, decide di compiere una lode in onore del Signore per tutte le creature e a sua consolazione. E compose il Cantico… riconciliandosi con se stesso, il mondo e la vita.Leggendo il testo, dobbiamo quindi immedesimarci nello spirito e nel momento di profonda sofferenza e insofferenza di Francesco che, certo del Paradiso, si riconcilia e canta la lode del Creatore.

Nel Cantico manca l’uomo, la più bella delle creature, perché deve essere riconciliato. Nessun uomo è degno di lodare Dio. Composto di getto, tranne un aggiunta, quella sul perdono. Mentre componeva il Cantico, ad Assisi scoppia infatti una furibonda lite tra vescovo e potestà, per cui tale inserzione, aggiunta, viene fatta udire al vescovo dinanzi a cui si canta tale lode, portandoli alla riconciliazione.

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Altissimu, onnipotente, bon Signore,tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.Ad te solo, Altissimo, se konfano,et nullu homo ène dignu te mentovare.Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,spetialmente messor lo frate sole,lo qual è iorno, et allumini noi per lui.Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:de te, Altissimo, porta significatione.Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.Laudato si’, mi’ Signore, per frate ventoet per aere et nubilo et sereno et onne tempo,per lo quale a le tue creature dài sustentamento.Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,per lo quale ennallumini la nocte:ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,la quale ne sustenta et governa,et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amoreet sostengo infirmitate et tribulatione.Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,ka da te, Altissimo, sirano incoronati.Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare:guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,ka la morte secunda no ‘l farrà male.Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiatee serviateli cum grande humilitate.

Laudo si’ per: valore causale (a motivo di), di occasione (in virtù), strumentale (per mezzo), d’agente (da). Il latino esclude il valore causale, ma si potrebbe accogliere una lettura polisemica: sii lodato, Signore, a causa/da parte/per mezzo delle tue creature.

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ANGELA DA FOLIGNO

Non si conosce l’anno di nascita. Ma nel 1285, nella basilica superiore di San Francesco, improvvisamente si convertì. Angela, sposata e con figli, viveva in modo non consono ai valori evangelici, facendo vita mondana. Convertitasi, sceglie una vita cristiana. Resta vedova, senza figli (muoiono tutti) dedicandosi a una vita da penitente, come tanti all’epoca. Nella sua vita spirituale ben presto fanno irruzione fenomeni mistici straordinari. È seguita da un certo frate A., che resta per tanto anonimo, il quale era forse un parente, divenuto suo consigliere, ne accoglie le confidenze più intime. Grazie a queste nasce il primo nucleo di quello che sarà il “Memoriale” di Angela, fino a formare il libro della beata Angela (oggi santa). Muore il 4 gennaio 1309. Entrata nel terz’Ordine Francescano nel 1291, sviluppa una mistica trinitaria, cristologica, dove trova spazio anche la figura di Maria, oltre che Francesco d’Assisi, che incontra misticamente. È la prima testimone di un risveglio della chiamata universale alla santità intesa come intima comunione con Dio. Grande impegno ascetico personale. La sua mistica è un dono gratuito di Dio. Che Angela testimonia insieme al racconto della sua conversione e del suo cammino ascetico. Scandito da 30 tappe, sintetizzate in 26 gradini (“passi”) da frate A. Le sue esperienze mistiche del mistero di Dio sono tali da illuminare il senso delle affermazioni teologiche, tanto da esser detta maestra teologarum. Dal “libro” di Angela possiamo conoscere le sue esperienze mistiche cristologiche, legate alla passione (secondo la spiritualità francescana).Mentre sta meditando la passione, nel contesto della settimana santa, sente nella sua anima queste parole divine: “Io non ti ho amata per scherzo”. Furono un colpo mortale che aprì gli occhi della sua anima. Allo stesso modo, compreso il suo vero amore, si rese conto che in lei c’era tutto il contrario, cioè un amore meschino e umano. Credeva di morire per il dolore di tale scoperta. Questa esperienza illumina gli asserti teologici sulla morte di Cristo, dando loro una piena consistenza, ben aldilà delle semplici parole.

Il mercoledì della settimana santa stavo meditando sulla morte del Figlio di Dio incarnato e cercavo di liberare la mente da ogni altra cosa per poter avere l’anima più raccolta sulla passione e morte del Figlio di Dio ed ero occupata nella ricerca e nel desiderio di come poter meglio liberare la mente in merito a queste cose della passione e della morte del Figlio di Dio.E allora subito, mentre ero presa da questa occupazione e ricerca, avvenne nell’anima una locuzione divina che diceva: «Io non ti ho amata per scherzo».E allora quella parola fu per me come un colpo di dolore mortale, perché immediatamente si aprirono gli occhi dell’anima, e vedevo che era verissimo quello che diceva, e vedevo gli effetti di questo amore, e vedevo tutto ciò che fece questo Figlio di Dio per questo amore, e vedevo tutto ciò che sopportò in vita e in morte questo Dio e uomo passionato per questo indicibile amore e comprendevo che quella parola era verissima in lui, perché mi ha amata non per scherzo ma con perfettissimo e tenero amore, così vedevo tutto il contrario in me, io non lo amavo se non per scherzo e in modo non vero.E vedere questo era per me una pena mortale e un dolore talmente intollerabile che credevo di morire.

Altro mistero è quello dell’incarnazione:“O mio Dio - prega - fammi degna di conoscere l’altissimo mistero, che il tuo ardentissimo e ineffabile amore attuò, insieme all’amore della Trinità, cioè l’altissimo mistero della tua santissima incarnazione per noi. […]. Oh incomprensibile amore! Al di sopra di quest’amore, che ha fatto sì che il mio Dio si è fatto uomo per farmi Dio, non c’è amore più grande”.Si incarna per noi e con ciò ci rende certi della nostra salvezza. Linguaggio pieno di trasporto e affetto, assai penetrante.Due motivi dunque della incarnazione: (1) mi ama e (2) mi vuol donare la salvezza (“per me sei nato”).

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CATERINA DA SIENA

In ambito domenicano, è la prima donna proclamata Dottore della Chiesa (insieme a Teresa d’Avila, Teresina di Gesù e Ildegarda di Bingen). Nasce a Siena nel 1347, muore a Roma nel 1380. Il suo biografo Raimondo da Capua osserva che Caterina vive 33 anni, come il Signore. Perfetta somiglianza con Cristo. Giovanissima, fa voto privato di verginità e, non potendo andare in monastero, si ritira nella cella del suo cuore. Dove consuma una storia d’amore straordinaria con Cristo. Sempre dedicandosi al servizio degli altri: i poveri di Siena prima, i potenti della chiesa del tempo poi. Puntava alla riconciliazione sociale e alla pace.Associata all’ordine delle mantellate, dedica ogni suo sforzo per riportare la pace tra le città italiane, cominciando a inserirsi con autorevolezza a inserirsi sullo scenario della vita ecclesiale. Giunge fino a intimare a Gregorio XI di ritornare da Avignone a Roma. Decisa, benché considerasse il papa “il dolce Cristo in terra”. Sarà poi Urbano VI ad accogliere l’invito della santa, tornando a Roma e chiamandola con sé affinché pregasse per risolvere lo scisma d’Occidente.Vive dunque a Roma gli ultimi anni, consumandosi nella preghiera incessante per la preghiera.Usciva al mattino presto e pregava tutto il giorno nella basilica di san Pietro.È un dottore della chiesa che non sa scrivere. Forse non pienamente analfabeta, furono però i discepoli a raccoglierne le confidenze. Detta una serie innumerevole di lettere (1). Compone il Dialogo della Divina Provvidenza (2) e le Orazioni (3), sempre affidandosi a segretari per la stesura.

Attorno a lei si forma un cenacolo spirituale che la riconosce come “madre”. Donna, esprime la sua maternità in modo spirituale. Una lettera racconta come abbia dovuto occuparsi di un condannato a morte che la voleva presente al momento della esecuzione. Cfr. http://www.preticattolici.it/Santa%20Caterina.htm#capua

Quando nel 1375 - la santa ha ventotto anni - le tocca di assistere non un malato terminale, ma un uomo come lei giovane, intelligente e attivo, un condannato a morte. È soltanto la fiducia nella carità, «la quale fa questo, che ella s' inferma con quelli che sono infermi, piagne con quelli che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con quelli che godono», è solo questa sua abbondante risorsa a non far vacillare Caterina davanti a una prova sconvolgente. Ne è così profondamente scossa da trovare parole e atti che per un occhio moderno sono assai vicini a un transfert, mentre Caterina li vive come immedesimazione nel segno della «dolce carità». Il giorno dell'esecuzione, la giovane si accosta al ceppo e, «prima che giongesse elli, posimi e distesi el collo in sul ceppo». Che cosa si aspettava, Caterina, in questo gesto estremo? Lo dice con franchezza nella lettera che detta al suo direttore spirituale, il padre domenicano Raimomdo di Capua: «ma non mi venne fatto che io avessi l'effetto pieno di me». Aveva dunque sperato che le giungesse una visione rassicurante, che la togliesse dall'angoscia con lo spettacolo glorioso dell'accoglienza in cielo del condannato. La visione non le arrivò, l'«effetto» non fu pieno, malgrado la violenza di quella partecipazione. Nei colloqui con il prigioniero Caterina aveva avuto accenti di gioiosa speranza di fronte alla morte certa: «Confortati, fratello mio dolce, ché tosto giugneremo alle nozze. Tu n' andrai bagnato nel sangue dolce del Figliuolo di Dio, col dolce nome di Gesù...». E gli aveva promesso: «Io t' aspetterò al luogo della giustizia». A quali nozze pensava, e perché usava quel plurale «giugneremo» e collegava quelle nozze alla sua presenza presso quel ceppo che l'avrebbe così terribilmente attratta, qualche giorno dopo, poche ore prima dell' esecuzione? Può darsi - ma non sappiamo - che le tornasse l'immagine dell'altra Caterina, la santa di Alessandria, che nella prigione in cui il padre l' aveva tenuta si era unita in nozze mistiche con il piccolo Gesù. Il condannato sarebbe stato bagnato del sangue di Gesù e dunque perdeva la sua triste realtà terrena per trasfigurarsi. In lui Caterina si accingeva a vedere Gesù. La promessa di Caterina rincuorò il condannato. «Or pensate, padre e figliuolo, racconta a Padre Raimondo, che 'l cuore suo perdé ogni timore, la faccia sua si transmutò di tristizia in letizia; godeva, esultava e diceva: Unde mi viene tanta grazia, che la dolcezza dell'anima mia m'aspetterà al luogo santo della giustizia?». E subito dopo, quasi per sopire l'emozione ed esporre la redenzione ottenuta, commenta: «È giunto a tanto lume che chiama el luogo della

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giustizia luogo santo!». Dunque la mente del condannato non era oscurata. Anzi si era illuminata di «tanto lume» da convertire la propria decapitazione in un atto sacrificale. Caterina è presente all' esecuzione, come aveva promesso. E racconta: «La bocca sua non diceva se non Gesù, e, Catarina. E, così (egli) dicendo, ricevetti il capo nelle mani mie, fermando l'occhio della divina bontà e dicendo: Io voglio». Con queste parole - «Io voglio» - Caterina compie il miracolo. La testa mozza grondante che ha accolto ancora palpitante nelle sue mani e che inonda di sangue la candida veste di terziaria, si trasmuta nell' incontro finale con la carità. «Io voglio» è il grido d' amore che fugge dal petto e che risponde all' invocazione del morente: «Gesù, e, Catarina». La visione, prima negata, ora arriva: «allora si vedeva Dio-e-Uomo, come si vedesse la chiarità del sole». E Caterina continua il racconto, sollevandosi dalla terribile realtà terrena all' ineffabilità celeste. Il sangue del decapitato si confonde con quello del Cristo, il quale «stava aperto, e riceveva il sangue; nel sangue suo uno fuoco di desiderio santo». Così le apparve che il giovane partecipasse al «crociato amore» per il quale il Figlio di Dio aveva ricevuto «la penosa e obbrobriosa morte». Ne vide l'anima accolta nella ferita del costato del Crocifisso («nella buttiga aperta nel costato suo»). Niccolò di Tuldo da Perugia era stato condannato il 4 giugno del 1375 per aver portato zizaniam nella città di Siena. Invano Gerardo, abate di Marmoutiers, diocesi di Tours, scrisse da Perugia due volte alle autorità senesi per ottenere un supplemento d' indagine, perché i giudici accertassero la verità delle accuse. Di Niccolò non sappiamo altro. Sappiamo però che, se ha un posto nella storia della letteratura e della pietà, è solo perché fu «visto da lei»

Dialogo, XIII

Chi ne fu cagione, che tu ponessi l'uomo in tanta dignità? L'amore inestimabile col quale raguardasti in te medesimo la tua creatura e innamorastiti di lei; (Gn 1,31) e però la creasti per amore e destile l'essere, affinché ella gustasse il tuo sommo eterno bene.Vedo che, per lo peccato comesso, perdette la dignità nella quale tu la ponesti; per la ribellione che fece a te cadde in guerra con la clemenza tua, cioè che diventammo nimici tuoi.Tu, mosso da quel medesimo fuoco con che tu ci creasti, volesti porre il mezzo a reconciliare l'umana generazione che era caduta nella grande guerra, affinché della guerra si facesse la grande pace, e destici il Verbo de l'unigenito tuo Figlio, il quale fu mediatore fra noi e te.Egli fu nostra giustizia, (1Co 1,30) che sopra di sé punì le nostre ingiustizie, e fece l'obedienzia tua, Padre eterno, la quale gli ponesti quando lo vestisti della nostra umanità, pigliando la imagine e natura nostra umana.O abisso di carità! Qual cuore si può difendere che non (14r) scoppi a vedere l'altezza discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanità? Noi siamo imagine tua, e tu imagine nostra per l'unione che hai fatta nell’uomo, velando la deità eterna colla miserabile nuvola e massa corrotta d'Adam.Chi ne fu cagione? L'amore. Tu, Dio, sei fatto uomo, e l'uomo è fatto Dio. Per questo amore ineffabile ti costringo e prego che facci misericordia alle tue creature.

Dio ha creato l’uomo e nella sua bellezza vede l’immagine di Sé, vedendo la quale si innamora della bellezza riflessa nella creatura. Per misericordia sceglie dunque di farsi uomo.

Dialogo, XXVI

Allora Dio eterno, per fare più inamorare e inanimare quella anima verso la salvezza delle anime, § 20 le rispose e disse: - Prima che Io ti mostri quello che Io ti voglio mostrare, e di che tu mi domandi, ti voglio dire come il ponte sta.Detto ti ho che egli tiene dal cielo alla terra: cioè per l'unione che Io ho fatto nell’uomo, il quale Io formai del limo della terra. (Gn 2,7) Questo ponte, unigenito mio Figlio, ha in sé tre scale, delle quali le due furono fabricate in sul legno della santissima croce, e la terza ancora sentì la grande amarezza quando gli fu dato bere fiele e aceto.In questi tre scaloni conoscerai tre stati dell'anima, i quali Io ti spiegherò di sotto.Il primo scalone sono i piei, i quali significano l'affetto, poiché, come i piei portano il corpo, così l'affetto porta l'anima. I piei confitti ti sono scalone affinché tu possa arrivare al costato, il quale ti manifesta il

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segreto del cuore. Poiché, salito in su' piei de l'affetto, l'anima comincia a gustare l'affetto del cuore ponendo l'occhio dell’intelletto nel cuore aperto del mio Figlio, dove trova consumato e ineffabile amore.Consumato dico, ché non v'ama per propria (22r) utilità, poiché utilità a lui non potete fare, poiché egli è una cosa con me. Allora l'anima s'empie d'amore, vedendosi tanto amare. Salito al secondo giogne al terzo, cioè alla bocca, dove trova la pace della grande guerra che prima aveva avuta per le colpe sue. (Let 34; Let74; Let75; Let 120) Per lo primo scalone, levando i piei dell'affetto dalla terra, si spogliò del vizio, nel secondo si vestì d'amore con virtù, e nel terzo gustò la pace.Sì che il ponte ha tre scaloni, affinché salendo il primo e il secondo potiate arrivare all'ultimo. Ed è levato in alto, sì che correndo l'acqua non l'offende poiché in lui non fu veleno di peccato. (1Jn 3,5 Gv 8,46) Questo ponte è levato in alto, e non è separato perciò dalla terra. Sai quando si levò in alto? Quando fu levato in sul legno della santissima croce, non separandosi però la natura divina dalla bassezza della terra della vostra umanità. E però ti dissi che essendo levato in alto non era levato dalla terra, perché ella era unita e impastata con essa. Non vi era alcuno che sopra al ponte potesse andare fino a che egli non fu levato in alto, e però disse egli: «Se io sarò levato in alto ogni cosa attirerò a me». (Gv 12,32) Vedendo la mia bontà che in altro modo non potevate essere tratti, lo inviai perché fosse levato in alto in sul legno della croce, facendone un incudine dove si fabricasse il figlio dell'umana generazione, (Ps 128,3) per togliergli la morte e restituirlo alla vita della grazia. E però trasse ogni cosa a sé per questo modo, per dimostrare l'amore ineffabile che aveva, perché il cuore dell’uomo è sempre tratto per amore.Maggiore amore mostrare non vi poteva, che dare la vita per voi. (Jn 15,13) Per forza dunque è tratto da l'amore, se già l'uomo ignorante non fa resistenza in non lassarsi trare.Disse dunque ch'essendo levato in alto ogni cosa trarebbe a sé, e così è la verità, e questo s'intende in due modi.L'uno si è che, tratto il cuore dell'uomo per affetto d'amore, come detto ti ho, è tratto con tutte le facoltà dell'anima, cioè la memoria l’intelletto e la voluntà. Accordate queste tre facoltà e riunite nel nome mio, tutte le altre opere che l'uomo fa, attuali e mentali, sono tratte piacevoli, e unite in me per affetto d'amore, perché s'è levato in alto seguendo l'amore crociato. (22v) Sì che bene disse verità la mia Verità dicendo: «Se io sarò levato in alto ogni cosa trarrò a me», cioè che, tratto il cuore e le facoltà dell'anima, saranno tratte tutte le sue opere. (Mt 12,33-35; § 89 ,34ss.) L'altro modo si è, perché ogni cosa è creata in servigio dell’uomo. Le cose create sono fatte perché servano e sovvengano alla necessità delle creature; e non la creatura che ha in sé ragione è fatta per loro, anco per me, affinché mi serva con tutto il cuore e con tutto l'affetto suo. Sì che vedi che essendo attratto l'uomo ogni cosa è attratta, perché ogni cosa è fatta per lui. § 21 ,360-67-375-383) Fu dunque necessario che il ponte fosse levato in alto e avesse le scale, affinché si potesse salire con più agevolezza.

Questa pagina esprime la dottrina cristologica di Caterina.Cristo è un ponte a tre scaloni che unisce l’uomo a Dio.Dall’affetto (i piedi), si passa alla contemplazione (il costato), fino al gusto dell’intimità somma con Cristo (bocca). È un triplice cammino: vincere i vizi, giungere alla contemplazione, pregustare la comunione con Dio.

È una mistica cristocentrica, ecclesiocentrica, aperta però al mondo che lei riconosce bisognoso della misericordia divina. Il dialogo è fatto di domande che la santa rivolge a Dio – domande per lei, la chiesa, il mondo e una questione intima che ella non rivela – da cui riceve in risposta la dottrina mistica che dall’opera traspare.

Della chiesa considera in modo particolare eucaristia e sacerdozio.Ci sono nel dialogo delle pagine importantissime e anche molto forti a proposito del sacerdozio.

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SANT’IGNAZIO DI LOYOLA

Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) iniziò la sua carriera mondana come cortigiano, soldato e gentiluomo. Nel 1521 subì a Pamplona una grave ferità mentre difendeva una fortezza spagnola dalle truppe francesi e durante la convalescenza visse un’esperienza di conversione. Dopo aver visitato la Terra Santa, decise di studiare e diventare sacerdote per aiutare meglio le anime col proprio apostolato. Decise di passare dal servizio di un signore a obbedire al Signore dei signori. Dallo stendardo d’armi a quello di Cristo. Fondò la Compagnia di Gesù. Istituì istituti, collegi, opere di carità, ma sempre si impegnò direttamente nell’azione pastorale. Scrisse gli “Esercizi spirituali”, le “Costituzioni” dei Gesuiti e circa un migliaio di lettere.

Ignazio era lungo la strada per giungere a Montserrat (dopo aver difeso la verginità di Maria vs un moro) dove depone le armi e si consacra alla Madonna.Pensando alle imprese che doveva compiere per amore di Gesù, decise di fare un veglia d’armi per una notte intera, davanti all’altare della Madonna. Lì avrebbe lasciato i suoi abiti e indossata l’armatura di Cristo. Lì fece una confessione generale per iscritto, che durò tre giorni. Quindi fece trattenere la mula e appendere spada e pugnale in chiese. Il confessore fu il primo a cui svelò la sua decisione.La vigilia dell’annunciazione del 1522, di notte, andò da un povero e, spogliatosi, gli diede i suoi vestiti. Quindi andò a inginocchiarsi all’altare della Madonna e passò tutta la notte.Porta così a compimento la risoluzione di darsi tutto al signore.

Quindi iniziano manifestazioni soprannaturali, l’irruzione della vita mistica. Il momento più forte è ciò che avviene a Manresa, lungo le rive del fiume Cordoner, dove visse l’esperienza mistica fondamentale della sua vita cristiana, alla base degli Esercizi e della futura Compagnia.Ignazio così ricorda, nei “Racconti di un pellegrino”, in terza persona, raccolto dal p. Gonzales in un pomeriggio nell’estate del 1553, che ricorda dal ferimento di Pamplona fino al 1535 circa…

Una volta si recava in una chiesa a un miglio da Manresa (vicino a Barcellona, mentre Pamplona è a nord, verso l’Atlantico). Mentre era assorto si sedette col volto rivolto verso il fiume. Cominciarono ad aprirsi gli occhi della intelligenza: non aveva una visione, ma una luce di comprensione per cose di fede e di scienza. Ebbe una grande luce nell’intelletto. Tale che fino ai 62 anni di età, la somma di tutte le grazie ricevute non equivalgono a quella unica esperienza mistica. È la GRAZIA FONDATIVA della spiritualità ignaziana: non fu una visione, ma una intuizione intellettuale di molte verità di fede e di vita spirituale. (Anche nella nostra vita cristiana esiste una grazia fondativa, un evento spirituale significativo che ci segnerà per sempre, orientando la nostra vita in modo ben preciso).

Il desiderio iniziale di Ignazio era di recarsi pellegrino in Terra Santa. E così avviene nel 1523. Ma fu interrotta bruscamente poiché la sua presenza non fu molto gradita, a che per problemi di documenti. Ma non abbandona il territorio di vivere là. Tanto che coi primi compagni sacerdoti prese una decisione: di andare a Venezia, lì attendere per recarsi in Terra Santa. Se il viaggio fosse stato possibile, sarebbe stato segno di una chiamata di Dio a operare là. Diversamente, entro un anno sarebbero andati a Roma, offrendo il proprio impegno pastorale al Papa.

Rientrato in patria dopo il 1523, inizia a studiare teologia per avere strumenti scientifici pubblicamente riconosciuti per predicare liberamente gli Esercizi Spirituali che furono, prima che un libro, un modi di fare e di vivere di Ignazio. L’Inquisizione spagnola era assai attenta, per

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reprimere le devianze spirituali degli “Illuminati” e dunque Ignazio era controllato. E doveva studiare teologia prima di poter predicare. Prima studia in Spagna e poi a Parigi. Qui incontra i primi compagni che con lui daranno vita nel 1534 al primo germe della futura Compagnia di Gesù. Uno dei compagni era Francesco Saverio. Nel 1534 fa infatti voto di castità e di povertà, più il voto di recarsi in Terra Santa o mettersi a disposizione del Papa.Nel 1537 vanno dunque a Venezia, i futuri gesuiti. Il 24 giugno, mentre attendono un eventuale imbarco in Terra Santa, Ignazio viene ordinato sacerdote, ma attende di celebrare la prima messa nella città di Roma.

Sfumata la partenza per la Terra Santa, vanno a Roma. Ma prima, in un piccolo santuario mariano detto La Storta, alla periferia della città, Ignazio vive la seconda straordinaria esperienza mistica, dove capisce che il Padre lo poneva, insieme al Cristo, nel mistero della Trinità…Racconta Ignazio: aveva deciso che, una volta sacerdote, per un anno non avrebbe detto messa, preparandosi e pregando. Un giorno, nei pressi di Roma, sentì tale cambiamento nell’anima sua e vide che il Padre lo metteva con Cristo suo figlio, cioè Ignazio è incamminato verso la somiglianza perfetta col Cristo, tanto da occuparne il posto nella Trinità (e questo è il destino di ognuno di noi, chiamato a diventare “figlio nel Figlio”). La comunione con Dio è questa: immergersi nella comunione con la Trinità, che è essa stessa comunione di Persone. Partecipando della pericòresi trinitaria. Assomigliando a Cristo (che incarnandosi assomiglia a noi…).Analogamente, Francesco d’Assisi compone il cantico delle creature quando ha la certezza interiore di essere salvo. Riconciliandosi anche con le creature che lo turbavano, come la luce del fuoco a causa della infermità agli occhi. Giunto a una tale conformazione interiore a Cristo, da essere degno di ricevere le stimmate, come manifestazione esteriore di quanto già avvenuto interiormente in lui.

Nel 1539 Ignazio e compagni, per evitare la dispersione scelgono uno al loro interno cui promettere obbedienza, dopo i voti di povertà e castità. La scelta cade sullo stesso Ignazio. Nel 1540 nasce così ufficialmente la Compagna di Gesù (SJ) di cui resta generale fino al 1556 (+ 31 luglio).

Accostiamoci ora al libro degli Esercizi Spirituali (ES).Testo tecnico e difficile. Gli ES non sono un testo di meditazione, né raccontano l’esperienza di Ignazio, bensì sono un MANUALE per chi voglia dare/predicare gli esercizi aiutando l’esercitante a incontrarsi con Dio. È un cammino lungo, scandito in 4 settimane, che non sono scansione cronologica bensì 4 momenti diversi del cammino di vita spirituale. Sono dunque 4 tappe spirituali. Chi li guida, in base alla reazione dell’esercitante deve capire quanto allungare/abbreviare le singole settimane.

Tralasciamo il problema delle fonti e della cronologia di composizione, ma ricordiamo che dopo l’esperienza mistica fondativa presso Manresa il succo degli ES era già fissato, poi definendo meglio durante gli studi a Parigi. Aveva letto solo il Flos sanctorum di Jacopo da Varazze e la Vita Christi di Rodolfo di Sassonia, comprensiva di una importante introduzione. Queste erano le sole fonti teologiche prima degli studi universitari. Forse aveva anche letto alcune pagine della Imitazione di Cristo. Inoltre negli esercizi di Ignazio entrano la sua educazione cavalleresca (ad esempio quando si chiede cosa significhi militare sotto lo stendardo di Cristo o di Satana…) e l’esperienza mistica di Manresa.

Gli ES non sono meditazioni (come la Imitazione di Cristo) ma indicazioni per una traiettoria di maturazione nella vita cristiana. Non sono regole per 4 settimane di preghiera, ma un vademecum per una intera vita cristiana.

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Le 4 settimane sono 4 momenti qualitativamente e non cronologicamente diversi.1—fase purificativa2—fase illuminativa3—fase unitiva4—fase unitiva/bis

Il testo che sta a fondamento degli ES è il nn. 22-23.

[22] PRESUPPOSTO. Per maggiore aiuto e vantaggio, sia di chi propone sia di chi fa gli esercizi spirituali, è da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l'affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l'altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi. [23] PRINCIPIO E FONDAMENTO. L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre realtà di questo mondo sono create per l'uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato. Da questo segue che l'uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano per il suo fine, e deve allontanarsene tanto quanto gli sono di ostacolo. Perciò è necessario renderci indifferenti verso tutte le realtà create (in tutto quello che è lasciato alla scelta del nostro libero arbitrio e non gli è proibito), in modo che non desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo soltanto quello che ci può condurre meglio al fine per cui siamo creati.

Testo molto denso. 1--Ignazio mette in evidenza il FINE della vita umana: lodare e servire Dio e così salvarsi. “Primo nell’intenzione, benché ultimo nell’esecuzione”, dicevano gli scolastici. L’uomo ha senso solo in riferimento a Dio e il baricentro della sua esistenza è in Dio. Ignazio ha fatto questa esperienza a Manresa, passando dall’autoreferenzialità al decentramento in Cristo (fino alla seconda esperienza mistica, alla Storta, presso Roma).2--È il fine che orienta la scelta dei MEZZI, cioè le cose del mondo: devono aiutarci a raggiungere il fine per cui siamo creati. L’uomo esiste per Dio e le cose esistono per l’uomo. È un mettere in evidenza il valore delle cose “sante” in quanto ordinate alla salvezza dell’uomo.3--Di conseguenza, l’uomo deve servirsi delle cose “TANTO QUANTO” servono al fine. È la prima parola della spiritualità ignaziana.

Ad es. dare obbedienza a uno di loro è finalizzato al servire meglio Dio, evitando la dispersione.Così dinanzi a due scelte, dovremmo chiederci quale mi aiuta a raggiungere maggiormente il FINE.

Bisogna quindi rendersi INDIFFERENTI alle cose. E INDIFFERENZA è la seconda parola d’ordine della spiritualità ignaziana. Coincide con la libertà interiore rispetto all’uso e alla scelta dei mezzi.

Questo perché bisogna scegliere il fine che più ci porta al fine. Da cui MAGIS (di più) è la terza parola d’ordine della spiritualità ignaziana. Che si ricollega al fare tutto “ad maiorem Dei gloriam”. Tre parole che si distinguono per comprenderle ma che nella vita spirituale fanno parte della stessa, unica dinamica.

Questo testo è all’inizio degli ES ma si concretizza solo dopo aver compiuto tutto il percorso delle 4 settimane. Appunto: primo nell’intenzione e punto di arrivo come esecuzione.

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Ignazio, all’inizio della prima settimana, offre delle indicazioni sull’esame di coscienza quotidiano e generale.

[24] ESAME PARTICOLARE QUOTIDIANO: COMPRENDE TRE TEMPI E SI FA DUE VOLTE AL GIORNO. Primo tempo. Al mattino, appena alzati, si deve fare il proposito di evitare con impegno quel peccato particolare o quel difetto da cui ci si vuole correggere ed emendare.

[25] Secondo tempo. Dopo il pranzo si chiede a Dio nostro Signore quello che si vuole, cioè la grazia di ricordare quante volte si è caduti in quel peccato particolare o in quel difetto, e la grazia di emendarsene per l'avvenire. Si fa poi il primo esame, chiedendo conto alla propria coscienza di quel punto particolare dal quale ci si vuole correggere ed emendare, passando in rassegna ora per ora, o periodo per periodo, da quando ci si è alzati fino al momento di questo esame. Sulla prima linea della g = si segnano tanti punti quante sono le volte che si è caduti in quel peccato particolare o in quel difetto, e si rinnova il proposito di emendarsene fino al secondo esame che si farà.

La vita spirituale deve essere considerata in modo serio. Sono esercizi da svolgere con scrupolosità. Li chiama ES perché…

[1] Prima annotazione. Con il termine di esercizi spirituali si intende ogni forma di esame di coscienza, di meditazione, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale, e di altre attività spirituali, come si dirà più avanti. Infatti, come il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali i diversi modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi da tutte le affezioni disordinate e, dopo averle eliminate, a cercare e trovare la volontà di Dio nell'organizzazione della propria vita in ordine alla salvezza dell'anima. 

Come ci si allena con ferrea disciplina per il corpo, parimenti per lo spirito… In modo da (1) liberarsi dai legami col peccato e (2) cercare e trovare la volontà di Dio nell’organizzazione della propria vita. La stessa disciplina che Ignazio ben conosce per l’educazione cavalleresca ricevuta.

[26] Terzo tempo. Dopo la cena si fa il secondo esame allo stesso modo, di ora in ora, a partire dal primo esame fino a questo secondo. Sulla seconda linea della stessa g = si segnano tanti punti quante sono le volte che si è caduti in quel peccato particolare o in quel difetto.

Questo modo di vivere gli ES ha dato ottimi risultati. Pensate a Francesco Saverio.

[43] MODO DI FARE L'ESAME GENERALE: COMPRENDE CINQUE PUNTI. Primo punto: ringraziare Dio nostro Signore per i benefici ricevuti. Secondo punto: chiedere la grazia di conoscere i peccati e di eliminarli. Terzo punto: chiedere conto alla propria coscienza ora per ora, o periodo per periodo, da quando ci si è alzati fino al momento di questo esame, prima sui pensieri, poi sulle parole e infine sulle azioni, seguendo lo stesso procedimento che è stato indicato nell'esame particolare. Quarto punto: chiedere perdono a Dio nostro Signore per le mancanze. Quinto punto: proporre di emendarsi con la sua grazia. Infine dire un Padre nostro.

La prima cosa da fare è la confessio laudis (Card. Martini), ringraziando Dio. Sono indicazioni utilissimi per fare una buona confessione, anche oggi. Prima ancora di confessare i peccati, dovrei riconoscere le meraviglie operate da Dio nella mia vita dall’ultima confessione. Che è quello che fa Agostino nelle Confessioni e Teresa d’Avila nella Vita, cantando la misericordia di Dio. La seconda cosa è chiedere la grazia di conoscere ed emendare i peccati, chiedendo conto (terza cosa) ora per ora di pensieri, azioni, omissioni: è la confessio vitae. Da qui si arriva (quarta cosa)

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alla confessione dei peccati, emersi nella narrazione della mia vita. Infine, quinta cosa, si chiede perdono e si prega il Padre Nostro, proponendo di non più peccare con la grazia di Dio.Intesa così, la confessione è un bellissimo modo di pregare, poiché parto da Lui, non da me. La Chiesa ci chiede di fare l’esame di coscienza nella messa (prima del Confiteor) e nella preghiera di Compieta, quindi due volte al giorno.

Si entra così nel vivo della prima settimana degli esercizi, quella purificativa, in cui siamo chiamati a vivere la triplice meditazione sul peccato, per prendere coscienza del peccato e di come esso sia sempre posto dinanzi alla misericordia di Dio. Guardare solo alla misericordia senza peccato, mi porta alla presunzione. Guardare invece al peccato senza misericordia, mi porta alla disperazione. Ma è solo guardando il PECCATO dinanzi alla MISERICORDIA di Dio che si matura nella vita cristiana (cfr. Gv 8, l’episodio della donna adultera rimasta sola dinanzi a Gesù: Agostino afferma che restano “la misera e la misericordia”).

Ignazio propone una triplice meditazione sul peccato: sul peccato degli angeli (la superbia luciferina), sul peccato di Adamo e sul peccato commesso da una persona che si trova all’inferno. Per comprenderne la tragicità. Poiché il peccato mortale di cui non ci si pente, rovina in modo irrimediabile una esistenza, condannando all’eterna separazione da Dio.

[53] Colloquio. Immaginando Cristo nostro Signore davanti a me e posto in croce, farò un colloquio: egli da Creatore è venuto a farsi uomo, e dalla vita eterna è venuto alla morte temporale, così da morire per i miei peccati. Farò altrettanto esaminando me stesso: che cosa ho fatto per Cristo, che cosa faccio per Cristo, che cosa devo fare per Cristo. Infine, vedendolo in quello stato e appeso alla croce, esprimerò quei sentimenti che mi si presenteranno.

Medito sulla tragicità del peccato, ma vado oltre. Considerando il mistero di Cristo morto in croce per me. Dinanzi a questa suprema icona della misericordia che è il crocifisso, occorre interrogarsi… cosa devo fare per Cristo?

[54] Il colloquio deve essere spontaneo, come quando un amico parla all'amico, o un servitore parla al suo padrone, ora chiedendo un favore, ora accusandosi di una colpa, ora manifestando un suo problema e chiedendo consiglio. Alla fine si dice un Padre nostro.

Si tratta di parlare veramente. Come avviene tra di noi. Anche solo raccontando le proprie cose per chiedere consiglio. È così la nostra preghiera? O una mera recita di formule?

Insegna anche il metodo della preghiera attraverso l’applicazione delle potenze e dei sensi, come indica al punto 50:

[50] Primo punto. Il primo peccato è quello degli angeli: su questo devo esercitare la memoria, poi l'intelletto ragionando, infine la volontà. Voglio ricordare e capire tutto questo per vergognarmi e umiliarmi sempre più, confrontando l'unico peccato degli angeli con i miei tanti peccati: essi sono andati all'inferno per un solo peccato, e io l'ho meritato innumerevoli volte per i miei tanti peccati. Devo dunque richiamare alla memoria il peccato degli angeli: essi furono creati in grazia, ma non vollero usare la libertà per prestare rispetto e obbedienza al loro Creatore e Signore; perciò, divenuti superbi, passarono dalla grazia alla perversione e furono precipitati dal cielo nell'inferno. Devo poi ragionare più in particolare con l'intelletto e suscitare gli affetti con la volontà.

Intelletto, memoria e volontà sono le POTENZE dell’anima, da applicare alla materia della meditazione. Applicare la memoria significa richiamare la dottrina (ricordando o consultando il CCC). Quindi uso l’intelletto, ragionando e facendo interagire le diverse conoscenze. Infine

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applico la volontà, cioè mi lascio coinvolgere nella materia della meditazione, divenendo partecipe con la mia vita di quanto ho ricordato e compreso. Poi si applicano i sensi.

Sant’Ignazio e il modo di pregare applicando le potenze (intelletto, memoria, volontà) nella prima settimana degli Esercizi Spirituali.

Insegna anche a pregare applicando i sensi, modo usato anche dal gesuita Cardinal Martini per aiutare la pratica della lectio divina. Nr. 65 ss del libretto degli esercizi spiritualiL’oggetto della meditazione è quello dell’inferno (scelto da Ignazio come esempio, ma può esser anche un altro oggetto). Preghiera preparatoria usuale, due preamboli, 5 punti, 1 colloquio.

Primo preambolo – la composizione: consiste nel vedere con la vista della immaginazione la lunghezza, l’ampiezza e la profondità dell’Inferno.“Composizione del luogo” = una rappresentazione visiva interiore dell’oggetto della meditazione.Cioè immaginare una scena o uno spazio che raccolga ciò che si sta meditando (ad esempio per i misteri del rosario, contemplarli immaginando le relative scene).Il valore pedagogico di questo metodo è forte: ci permette di imbrigliare la fantasia che, diversamente, opererebbe in senso diverso da quanto richiesto dalla preghiera. Così invece la fantasia serve la contemplazione. Equivalente è il porsi dinanzi a una icona o immagine sacra che riproduca il mistero che si voglia contemplare.

Secondo preambolo – chiedere quello che voglio, ad esempio l’intimo sentimento che soffrono i dannati per i loro peccati in modo da esser aiutati col ricordo di questo dolore a non peccare. È un porsi in sintonia con i sentimenti relativi all’oggetto che si vuol meditare. È l’obiettivo della preghiera: non ci si accontenta di “vedere” un luogo, ma si vuol coinvolgere in profondità il proprio io, fino alla contemplazione (ben oltre il semplice livello intelligibile dello studio).Studio e contemplazione sono diversi, dicono la maggior parte degli autori, ma se la motivazione allo studio è non solo l’apprendere ma il “conoscere” (in senso biblico), diventa difficile separare le due dimensioni.

Quindi si arriva all’applicazione dei sensi. (Parlando di Origene si parlava dei “sensi spirituali”, in parallelo a quelli corporei). Il primo punto sta nel vedere con la vista dell’immaginazione le grandi fiamme e le anime come rinchiuse in corpi di fuoco (applico la vista alla composizione di luogo “inferno”).Secondo punto: sentire interiormente con l’udito quanto è relativo ai rumori tipici del posto immaginato (grida, stridore di denti…)Terzo punto: immaginare gli odori del luogo (zolfo…)Quarto punto: assaporare col gusto (più metaforico che reale) quanto sta accadendo – l’amarezza delle lacrime e il disgusto del peccato…Quinto punto: immaginare di toccare le fiamme dell’inferno e sentirne il bruciore…

Martini insegna la lectio divina dicendo di munirsi di matite di colore diverso per sottolineare in modo diverso le parole inerenti ai diversi sensi coinvolti nella contemplazione.

Per la seconda settimana (più illuminativa) degli esercizi, si ricordi che lo scopo è preparare l’esercitante a compiere l’elezione: o a scegliere lo stato di vita o riconfermare la scelta precedentemente fatto. Si usano diverse meditazioni, tra cui quelle sulla chiamata del re temporale e del re eterno, e sui due vessilli – di Dio e di satana -, per giungere alla elezione. Gli ES si rivolgono a chi è incerto su cosa fare della propria vita. Ad esempio Francesco Saverio fu recalcitrante fino all’ultimo a fare gli ES, ma poi si convinse e Ignazio dovette indirizzare l’entusiasmo suscitato in Francesco dagli ES stessi.

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Per Ignazio fare una “elezione” che significa? E in quanti modi si può fare?(ES 169) – In ogni buona scelta l’occhio dell’intenzione deve esser puro, badando solo alla lode a Dio e alla salvezza dell’anima (si torna al principio e fondamento, nn. 22-23 ES). Qualunque cosa sceglierò deve aiutarmi a conseguire il fine per cui sono creato, senza mai fare del fine un mezzo. Molti invece scelgono all’opposto prima di sposarsi e poi di servire, in esso, Dio. Mentre servire Dio è il fine, e il matrimonio il mezzo. Chiaramente la scelta incontra la proposta di Dio: è la volontà di Dio che va scoperta, per poter scegliere ciò che corrisponde alla propria vocazione. Una buona scelta è dunque quella che corrisponde alla propria vocazione.(ES 170) – Avvertenze sulle cose oggetto di scelta. Le cose devono essere indifferenti o in sé buone, ma non cattive né in contrasto con la Chiesa. Le cose immutabili non vanno più scelte (se si è sposati, lo si rimane) ma si può cercare di darvi un senso laddove si siano scelte per motivi non idonei (sposati per la carne e non per servire Dio).

DIVERSE CIRCOSTANZE DI ELEZIONECome san Paolo sulla via di Damasco o san Matteo seduto al banco delle imposte, capire subito e in modo chiaro la volontà di Dio dipende da una sola parola del Signore (così accadde pure ad Antonio ascoltando la pagina del giovane ricco) che risuona inequivocabile (A). È una ispirazione interiore che fa compiere all’istante la buona scelta.Ci sono però anche altre circostanze. Ad esempio quando attraverso le esperienze delle consolazioni e desolazioni e del discernimento degli spiriti (B) si raggiunge una profonda chiarezza di idee. Dentro l’anima del credente che si interroga si agitano diversi spiriti che lo spingono da una parte e lo trattengono dall’altra (esperienza di Ignazio a Manresa: seguire Francesco e Domenico o diventare cavaliere?). In questo caso bisogna farsi provocare dalle mozioni interiori suscitate dalle opposte alternative e capire quali indicano il compimento della volontà di Dio e quali un allontanamento da essa. Ancora, ci sono le circostanze di tranquillità (C) in cui si sceglie come mezzo uno stato di vita per esser più aiutato a servire il Signore e a salvare la propria anima. Non si è agitati da spiriti opposti ma si è in una sorta di indifferenza rispetto alle diverse soluzioni, per cui si ragiona e si valuta e poi si opera una scelta.

La terza e la quarta settimana degli ES sono quelle unitive (la prima purificativa, la seconda unitiva). Meditazioni sui misteri della vita di Cristo. Dopo aver fatto chiarezza sul suo mondo interiore (I settimana), l’esercitante ha scelto come servire il Signore (II settimana) e ora si trova a meditare sul vivere come Cristo (III settimana) e in Cristo (IV settimana).

Il percorso si conclude con la contemplazione per chiedere l’amore. Che si chiude con una preghiera che è la versione orante del “principio e fondamento” …“Prendi Signore e accetta tutta la mia libertà, memoria, intelletto e volontà, tutto ciò che ho e possiedo. Tu me lo hai dato e io te lo ridono. Tutto è tuo, disponine a tuo pieno piacimento. Dammi solo il tuo amore e la tua grazia e questo mi basta”. È una preghiera forte e rischiosa, perché Dio prende sul serio ogni preghiera. Ma questa orazione può esser pronunciata con serietà solo da chi ha vissuto appieno il percorso delle 4 settimane degli ES. Non si tratta di 4 settimane cronologiche, ma un tempo esistenziale e spirituale che si adatta alla singola anima del credente. È la preghiera del Figlio rivolto al Padre. Nel mistero della SS. Trinità il Figlio riceve tutto dal Padre e tutto al Padre ridona… Quindi anche alla fine si ritrova il principio e fondamento come compimento del cammino.

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Le regole per il discernimento degli spiriti(ES 313-337)Il discernimento indica un’azione prevalentemente intellettuale, in cui il soggetto fa passare al setaccio una realtà di per sé intricata per capire e giudicare della medesima. Un conto è discernere (compito dell’intelletto), altro è deliberare (compito della volontà). Le maglie del setaccio del discernimento vanno definite con attenzione (è il criterio assiologico o valoriale).In ambito spirituale il discernimento non è solo attività intellettuale bensì anche della libera volontà che sceglie. Dokimàzein e diakrìno sono i verbi greci che rimandano a tale operazione che include intellezione e deliberazione. Il discernimento spirituale significa due cose: (1) anzitutto l’individualità della persona, unica e irripetibile, nella cui coscienza avviene tale discernimento; (2) tale attività intellettiva e deliberativa è sorretta dall’azione dello Spirito Santo.

Un ambito in cui si applica questo discernimento è quello degli spiriti.Gli spiriti sono realtà che nel soggetto credente causano le mozioni di consolazione o desolazione. Spirito è tutto ciò che muove il cuore dell’esercitante secondo i sentimenti opposti di consolazione o desolazione. Ignazio distingue due serie di regole per discernere gli spiriti: 14 regole di una prima serie, più adatte alla prima settimana degli ES, in cui la persona è chiamata a fare verità su di sé; poi le 8 di una seconda serie, più elaborate, per un discernimento più fine, da farsi quando il soggetto è tentato sotto l’apparenza del bene, più adatte alla 2^, 3^ e 4^ settimana degli esercizi. Occorre tenere sempre presente l’orientamento generale che la persona dà alla sua vita, alla luce del principio e fondamento indicato da Ignazio (lode a Dio e salvezza dell’anima) per coglierne uniformità o difformità. Si tratta di capire se si è fatta una opzione fondamentale pro o contro Dio. Questo è necessario per applicare la prima serie di regole.

14 regole della prima serie

1 – Alle persone che vanno di peccato mortale in peccato, il nemico propone piaceri apparenti e godimenti sensuali perché persistano in tali peccati – chi ha scelto contro Dio si trova bene nelle situazioni che confermano tale scelta contraria al progetto divino, ma è gioia apparente; lo spirito buono all’opposto rimorde la coscienza e scuote l’animo. Sono due mozioni spirituali opposte: gioia apparente e fastidio interiore. Si tratta di discernere quale mozione sia meglio seguire, valutando la consolazione e la desolazione che si provano interiormente.

2 – alle persone che vanno di bene in meglio (OF secondo Dio), purificandosi nei loro peccati, accade il contrario: lo spirito cattivo turba e rimorde per scoraggiare dal procedere sulla buona strada, mentre lo spirito buono dà coraggio, forza, lacrime, ispirazioni, pace e togliendo ogni impedimento affinché si vada avanti nel bene operare.

3 – descrive che cosa siano consolazione e desolazione: la consolazione è una grazia attuale attraverso cui divengono esperienza psicologica dell’uomo gli effetti beatificanti dell’attrazione di Dio e della sua azione nella creatura. Ignazio parla di anima infiammata dall’amore di Dio, di lacrime per la passione di Gesù… In sintesi, la consolazione è aumento di fede, speranza, carità, letizia, pace.

4 - La desolazione è l’opposto: oscurità, turbamento, inquietudine, tristezza… Dal pv teologico è lo stato in cui l’anima sperimenta psicologicamente gli effetti della infedeltà e dell’allontanamento da Dio.

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5 – Come comportarci in tempo di desolazione? Non si facciano mai mutamenti né si prendano decisioni, ma si resti fermi su quanto scelto nella precedente consolazione. Perché in questo frangente di mancanza di serenità agisce maggiormente lo spirito cattivo. Quindi nel momento di crisi non si deve fare alcuna scelta, buttando all’aria tutto, ma bisogna aspettare che passi e, una volta sereni, valutare il da farsi. Nella difficoltà, deve entrare in gioco la fedeltà. La crisi non sorge per far saltare in aria la situazione di partenza, ma per farla maturare. Sempre pensando che anche se il Signore ci lascia per un po’ nella desolazione, non abbandona l’anima e presto la consolerà, sempre donandole la grazia necessaria per la salvezza.Cfr. la vicenda di Giona, infedele alla chiamata di Dio e preda della desolazione, ma salvato dal pesce che lo rigetta a terra…

Tre sono le cause che portano la desolazione: (1) una colpa della persona, negligente nella vita spirituale per cui, agendo con trascuratezza, si inizia a sentire la pesantezza della vita spirituale così vissuta, così come nel lavoro o in un rapporto di coppia; (2) oppure viene concessa da Dio, come nel caso della “notte oscura” di san Giovanni della Croce, per farci conoscere chi veramente siamo e per farci avanzare nel suo servizio senza tante grazie e consolazioni (per farci amare il Dio delle consolazioni e non le consolazioni di Dio); (3) ancora, Dio ci lascia nella consolazione per farci capire che tutto è sua grazia, mettendoci in guardia dalla superbia e aiutandoci a essere più umili.

Quando siamo nella consolazione, dobbiamo pensare che ci troveremo nella desolazione, accumulando forze per allora, ridimensionando il proprio io, coltivando l’umiltà, facendo memoria di come ci si sente a terra nella desolazione.

Nelle altre regole Ignazio offre tre esempi per ricordare come il nemico agisca nell’anima dell’uomo.Anzitutto lo paragona a una donna (1), debole dinanzi alla forza e forte dinanzi alla debolezza. Così il nemico si indebolisce e indietreggia se l’anima si oppone alle tentazioni con fermezza (san Giacomo: resistete al demonio e il demonio vi fuggirà), mentre si fa forte con quanti si piegano alle seduzioni del male. Ciò che si manifesta perde forza, mentre ciò che si mantiene dentro di sé acquista forza (come i padri del deserto esternavano i pensieri agli altri padri, per buttar fuori ogni pensiero e idea), come l’amante (2) di nascosto trama con più forza per portar via la moglie al marito o la figlia al padre.Infine, il nemico quando ci circonda esamina bene tutte le virtù per coglierci dove ci coglie più debole, come un comandante (3) cinge d’assedio una città e la colpisce dove scorge i punti deboli. Ecco perché occorre conoscersi per vigilare sui propri punti deboli.

La seconda serie di regole (otto in tutto) riguarda chi, avendo scelto uno stato di vita, desidera progredire nella perfezione, passando dal vivere come Cristo al vivere in Cristo.Il nemico in questo caso si comporta in modo subdolo, producendo turbamento e tristezza, mentre gli spiriti buoni danno dolcezza.L’angelo cattivo, quando prende le sembianze dell’angelo di luce, si introduce nell’anima devota con sentimenti buoni propri dell’anima stessa, per poi concludere a poco a poco verso i suoi perversi intendimenti. Es. ogni sacerdote non ha l’obbligo di celebrare la messa quotidianamente, ma di recitare l’Ufficio Divino ogni giorno. Eppure facendo tanto bene per gli altri si può pensare che sia bene tralasciare questo dovere, pensando che se si lascia la preghiera per fare del bene non si fa che lasciare Dio per andare da Dio… ma così non è! Riconosciuta la strategia del nemico, occorre farne tesoro per il futuro.

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SANTA TERESA DI GESÙ e SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Figure che sono alla base della spiritualità della scuola carmelitana. Santa Teresa è primo Dottore della Chiesa in quanto madre e maestra di orazione. Il carisma della orazione dato all’ordine carmelitano trova risposta nel grande numero di dottori della Chiesa (Santa Teresa di Gesù, San Giovanni della Croce, Santa Teresina di Liesieux), nonché nella patrona della Chiesa Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).

Teresa di Gesù nasce ad Avila nel 1515. La sua vita rappresenta il luogo teologico della presenza di Dio: raccontando la sua autobiografia, fa teologia. È una teologia narrativa. Così non sarà per Giovanni della Croce che, invece, è un teologo puro.

Narrando l’evolversi della relazione con Gesù, Teresa ci regala pagine splendide, sia nel Libro della Vita, che racconta la sua vita spirituale, sia nel testo delle Relazioni in cui racconta gli avvenimenti della sua vita mistica (testi chiesti dal direttore spirituale e dall’Inquisizione). Mentre per gli altri santi bisogna cercare tra le righe degli scritti, Teresa racconta per filo e per segno la sua esperienza spirituale. Abbiamo poi il libro delle Fondazioni, dove la santa rende conto delle diverse fondazioni dei monasteri, senza trascurare analisi teologiche.

Altri due testi hanno maggior carattere dottrinale, il Cammino di perfezione e il Castello interiore o “libro delle mansioni”. Nel primo caso vuol offrire un riferimento alle monache riformate per camminare verso la perfezione spirituale, ma sempre partendo dalla sua esperienza di religiosa e orante. Il secondo, che è il suo capolavoro, non è un semplice trattato di teologia spirituale ma sempre si lega alla revisione delle tappe della propria anima, dalla conversione al matrimonio spirituale (1577), descrivendo le 7 tappe di un cammino spirituale, mentre nel cammino di perfezione sono 4 le tappe.

È consapevole che ciò che scrive è anche dono dello Spirito Santo, non solo della sua capacità di scrivere.Ci sono infatti 3 modi in cui si rappresenta Teresa iconograficamente, due classici e uno contemporaneo. Il primo è l’ESTASI col cherubino che, col dardo infuocato, le penetra il cuore (grazia mistica della trans-verberazione, la ferita d’amore tipica del fidanzamento mistico col Signore). Il secondo è invece la figura di SCRITTRICE intenta a comporre, con lo sguardo al cielo e la colomba dello Spirito Santo sempre accanto a lei. Segno di quella ispirazione che sempre la accompagna, per cui quando si interrompe non deve rileggere ma riprende a scrivere senza difficoltà, guidata da una luce celeste. Una scrittrice ispirata dallo Spirito Santo, dunque. Il Castello interiore viene composto in 6 mesi, in ginocchio dinanzi a un tavolino, vessata da un forte mal di testa, ma in nulla condizionata da queste condizioni di salute nel redigere testi voluminosi e curatissimi. Il terzo modo è Teresa come RIFORMATRICE PELLEGRINA che percorre le strade del mondo per portare il suo stile di vita. Viene dunque rappresentata come religiosa carmelitana con la veste rimboccata, il sacco in spalla, il bastone da pellegrina.

Restano poi alcune poesie, una raccolta di lettere, un commento al Cantico dei Cantici.Ma fondamentali sono la VITA, il CAMMINO DI PERFEZIONE e il CASTELLO INTERIORE.Edith Stein si converte leggendo in una notte intera la vita di Santa Teresa.

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Nata nel 1515, propende da piccina per una scelta di vita cristiana impegnativa, tanto da sognare fin da piccola di andare tra i Mori (ancora presenti in Spagna) e morire martire. Forse il nonno era ebreo e, comprato il titolo nobiliare, diventa cristiano. Giunta in età adolescenziale, dotata di vivace femminilità e rara bellezza, desiderosa di amicizie, avrà per ciò tanti mali e tante grazie. Morta la mamma, il papà si preoccupa della ragazza e la colloca nel locale monastero delle agostiniane di Avila. Qui una monaca le insegna a fare orazione secondo il metodo di Osuna e qui matura la sua vocazione alla vita religiosa. La scelta della comunità cade sul CARMELO DELLA INCARNAZIONE di Avila, ove entra il 2 novembre 1535, fuggita di casa, per fare la professione nel 1537. Stranamente malata, trascorre tanto tempo in famiglia (come Padre Pio!), prima di rientrare nel Carmelo dove trascorre una vita seria ma tiepida, dividendo il suo tempo tra preghiera e parlatorio, all’epoca ridotto a vero e proprio salotto. Molte religiose erano di famiglia nobiliare, come Teresa, che avevano dunque alloggi particolari e addirittura la servitù interna. Nel parlatorio continuavano dunque a intrattenere rapporti con gli altri nobili che risiedevano ancora nel mondo. La preghiera corale è ridotta a formule latine che spesso sono recitate senza piena consapevolezza. Teresa usa anche l’abbecedario di OSUNA, un testo costruito su concetti spirituali ordinati alfabeticamente. Ma nulla di particolarmente intenso o caloroso.

La propensione all’amicizia nei primi vent’anni al Carmelo è la causa dei suoi mali. È infatti un’anima divisa tra l’essere tutta di Cristo e continuare a essere del mondo (in quanto nobile). Contemplando una immagine di Cristo piagato riceve la molla che la orienta verso un deciso cammino di santità. Vede il Cristo legato alla colonna, coronato di spine, flagellato… e decide di camminare in modo serio e spedito verso un intenso cammino di spiritualità, indirizzando femminilità e desiderio di amicizia al servizio di una vita in Cristo e per Cristo, al servizio della Chiesa. Ha inizio così la conversione di cui ella parla nella Ia e IIa mansione del Castello Interiore.

Nel 1562 viene fondato il primo Carmelo riformato, quello di SAN GIUSEPPE in Avila, per cui la santa compone il Cammino di Perfezione. Il Monastero in cui ella era entrata contava 180 monache quindi non presentava un carattere di vita familiare. Mentre i monasteri riformati devono avere al massimo 12 monache, per restare come una piccola famiglia. La prima fondazione deve approntarla in sordina perché molti erano già i monasteri di Avila e poche le risorse per mantenerli e sfamare le nuove monache (che gravavano sulle offerte della popolazione locale).

5 anni dopo Teresa torna nel Carmelo della Incarnazione perché la vogliono come priora, lavorando con Giovanni della Croce, incontrato proprio in quel 1567, alla riforma di quel grande carmelo. Da lì, partirà poi per le sue numerose fondazioni.

Nel 1567 Giovanni della Croce è un giovane sacerdote appena ordinato, nell’ordine carmelitano, ma qui non trova la sobrietà e la povertà della vita religiosa che vorrebbe condurre. Sta pensando di uscire dai Carmelitani per entrare nei Certosini, ma l’incontro con Teresa lo dissuade da tale intenzione, per impegnarsi anzi nella riforma del ramo maschile dell’ordine carmelitano. Teresa è già quasi ai vertici della sua esperienza spirituale, mentre Giovanni della Croce è giovane e immaturo dal pv umano e spirituale. Sarà poi nel 1577 che avverrà la svolta decisiva nella sua vita, entrando nella notte oscura che così profondamente lo cambierà.

La vita spirituale di Teresa raggiunge l’apice nel 1577 col Castello Interiore, dopo di che non scrive più nulla morendo nel 1582 mentre è intenta alla fondazione di un nuovo Carmelo. Muore dicendo “alla fine sono figlia della Chiesa”. Entrata spesso in contrasto con la Chiesa in quanto donna che parlava di cose spirituali. Ecco perché l’Inquisizione le scrive di scrivere sulla sua vita

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spirituale. La critica della Chiesa la porta a un sincero esame delle proprie intenzioni. Ma si dice convinta di essere morta all’interno della Chiesa…

Mentre deve fronteggiare le obiezioni che sorgono sulla sua dottrina di preghiera, Teresa conserva una profonda pace interiore, vivendo in pienezza la sua maturazione spirituale. Fu una grande grazia per lei: nonostante le difficoltà esteriori, vive una profonda e pacata comunione con Cristo.

Francisco de Osuna teorizza il metodo di orazione che Santa Teresa impara da giovane: creare un totale silenzio e distacco interiore, per lasciare posto solo alla presenza di Dio. Per anni Teresa segue questo metodo, finché la contemplazione del CRISTO PIAGATO muta anche la sua orazione. Il limite del metodo di Osuna sta nel voler creare uno spazio vuoto nell’anima, quando non si può fare a meno del riferimento alla sacra umanità di Cristo che coinvolge l’anima in profondità. Teorizzerà allora il metodo alternativo del raccoglimento interiore.

Teresa giunge a questo cambiamento nella preghiera in virtù di numerose grazie cristologiche: anzitutto, quando le furono proibiti dall’Inquisizione i libri di devozione, sentendosi senza riferimenti, si sente confortata da Cristo che le dice che Lui stesso sarebbe stato il suo Libro vivente. Ha poi sempre la consapevolezza che sempre Cristo è alla sua destra, testimone di ogni evento della sua esistenza. Quindi fu una mistica a carattere prevalentemente cristologico.

Passa attraverso quello che Teresa dice essere un FIDANZAMENTO SPIRITUALE, preparatorio della sua attività di fondatrice. Al cap. 29 della VITA racconta della trans-verberazione, segno di questo fidanzamento. Una esperienza mistica che ne fa una fondatrice: l’orazione conduce alle opere. Il vertice, cioè le settime mansioni, è caratterizzato dalla cessazione di qualsiasi fenomeno mistico e da un pieno coinvolgimento nella vita della Chiesa segnata da una profonda attività apostolica. Teresa infatti diventa riformatrice solo dopo la grazia del matrimonio spirituale.

L’orazione è un rapporto di amicizia con Cristo (VITA, cap. VIII, 5).

5. Del bene che attinge chi pratica l’orazione, intendo dire l’orazione mentale, hanno parlato molti santi e buoni scrittori. Ne sia ringraziato il Signore! E se così non fosse, per poco umile che io sia, non sono però tanto superba d’arrischiarmi io a parlarne. Posso dire soltanto quello di cui ho fatto esperienza, ed è che, per quanti peccati faccia, chi ha cominciato a praticare l’orazione non deve abbandonarla, essendo il mezzo con il quale potrà riprendersi, mentre senza di essa sarà molto più difficile. E che il demonio non abbia a tentarlo, come ha fatto con me, a lasciare l’orazione per umiltà; sia convinto che la parola di Dio non può mancare, che con un sincero pentimento e con il fermo proposito di non ritornare ad offenderlo si ristabilisce l’amicizia di prima ed egli ci fa le stesse grazie, anzi, a volte, molte di più, se il nostro pentimento lo merita. Quanto a coloro che non hanno ancora incominciato, io li scongiuro, per amore del Signore, di non privarsi di tanto bene. Qui non c’è nulla da temere, ma tutto da desiderare, perché, anche se non facessero progressi né si sforzassero d’essere perfetti, così da meritare le grazie e i favori che Dio riserva agli altri, per poco che guadagnassero, giungerebbero a conoscere il cammino del cielo; e, perseverando nell’orazione, spero molto per essi nella misericordia di Dio, che nessuno ha preso mai per amico senza esserne ripagato; per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama. E se voi ancora non l’amate (infatti, perché l’amore sia vero e l’amicizia durevole dev’esserci parità di condizioni e invece sappiamo che quella del Signore non può avere alcun difetto, mentre la nostra consiste nell’esser viziosi, sensuali, ingrati), cioè se non potete riuscire ad amarlo quanto si merita, non essendo egli della vostra condizione, nel vedere, però, quanto vi sia di vantaggio avere la sua amicizia e quanto egli vi ami, sopportate questa pena di stare a lungo con chi è tanto diverso da voi.

L’orazione è dunque per Teresa un intimo rapporto d’amicizia con Cristo e dunque coinvolge tutta la vita. La preghiera è dunque la vita. Il rapporto con Dio non può prescindere da un coinvolgimento con l’umanità di Cristo e potendo essere sempre in rapporto con Lui, allora l’orazione coincide con tutta la vita dell’orante.

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Per cui tutta la vita del cristiano può essere riletta come storia di preghiera, ecco perché narrando della propria vita, racconta una biografia spirituale che diventa insegnamento di orazione. Ecco perché il matrimonio con Cristo deve sfociare nella maturità apostolica, condividendoNe la missione e l’opera nella Chiesa. Questa è la necessaria chiave di lettura per potersi accostare al libro delle mansioni o stanze del CASTELLO INTERIORE.La porta di questo castello è proprio l’orazione.

(Prima e Seconda Mansione del CASTELLO – lettura in versione ridotta, NdR)

PROLOGO - I.H.S.

1 – Fra le cose impostemi dall’obbedienza, ben poche mi sono state così difficili come questa di mettermi ora a scrivere dell’orazione, sia perché sembra che il Signore non mi conceda lo spirito né il desiderio di farlo. Ma sapendo che la forza dell’obbedienza suole appianare ogni cosa, anche quelle che sembrano impossibili, mi accingo all’opera di buona voglia.

2 – Credo che poco saprò aggiungere di nuovo a quanto mi fu già imposto di scrivere. Temo anzi di non far quasi che ripetermi, perché io sono in tutto come quegli uccelli a cui s’insegna a parlare, e che non sapendo più in là di quanto hanno appreso o sentito, non fan altro che ripetere le stesse cose.

3 – Incomincio dunque quest’obbedienza oggi, festa della SS. Trinità dell’anno 1577, a Toledo, in questo monastero di S. Giuseppe del Carmine, ove attualmente mi trovo. Mi sottometto al giudizio delle dottissime persone che mi hanno imposto di scrivere. Si abbia intanto per certo che se mi sfuggirà qualche cosa di non conforme a quanto insegna la S. Chiesa Cattolica Romana, ciò non sarà per malizia, ma per pura ignoranza, poiché, grazie a Dio, sono stata, sono e sarò sempre ad essa soggetta. – Sia Egli benedetto e glorificato in eterno! Amen.

4 – Quegli che mi comandò di scrivere, mi disse che le monache di questi monasteri di nostra Signora del Carmine avevano bisogno di qualche spiegazione intorno a certi dubbi di orazione; e siccome le donne fra di loro s’intendono meglio, gli è sembrato che se fossi riuscita a dirne qualcosa, sarei stata di qualche loro vantaggio, specialmente per l’amore che mi portano. Perciò in questo scritto non mi volgerò che a loro, tanto più che sarebbe follia illudermi di esser utile ad altri. Grande grazia mi farebbe di certo il Signore se alcuna se ne giovasse per lodarlo un po’ di più.

PRIME MANSIONI, in due Capitoli

Capitolo 1

Bellezza e dignità dell’anima umana – Paragone per meglio intendersi – Vantaggi che si acquistano nel conoscersi e nell’intendere le grazie che si ricevono da Dio – La porta di questo castello è l’orazione.

1 – Oggi stavo supplicando il Signore di parlare in luogo mio, perché non sapevo cosa dire, né come cominciare ad obbedire al comando che mi è stato imposto, ed ecco quello che mi venne in mente. Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo.E allora come sarà la stanza in cui si diletta un Re così potente, così saggio, così puro, così pieno di ricchezze? No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un’anima e alla sua immensa capacità!Il nostro intelletto, per acuto che sia, non arriverà mai a comprenderla, come non potrà mai comprendere Iddio, alla cui immagine e somiglianza noi siamo stati creati. Tuttavia, per avere un’idea della sua eccellenza e dignità, basta pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, essendo anche l’anima una creatura.

2 – Che confusione e pietà non potere, per nostra colpa, intendere noi stessi e conoscere chi siamo!

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Non sarebbe grande ignoranza, figliuole mie, se uno, interrogato chi fosse, non sapesse rispondere, né dare indicazioni di suo padre, di sua madre, né del suo paese di origine?Sì, sappiamo di avere un’anima, perché l’abbiamo sentito e perché ce l’insegna la fede, ma così all’ingrosso, tanto vero che ben poche volte pensiamo alle ricchezze che sono in lei, alla sua grande eccellenza e a Colui che in essa abita.E ciò spiega la nostra grande negligenza nel procurare di conservarne la bellezza. Le nostre preoccupazioni si fermano tutte alla rozzezza del castone, alle mura del castello, ossia a questi nostri corpi.

3 – Come ho detto, questo castello risulta di molte stanze, alcune poste in alto, altre in basso ed altre ai lati. A1 centro, in mezzo a tutte, vi è la stanza principale, quella dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l’anima.

5 – Tornando al nostro incantevole e splendido castello, dobbiamo ora vedere il modo di potervi entrare. Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è la stessa anima, non si ha certo bisogno di entrarvi, perché si è già dentro. Non è forse una sciocchezza dire a uno di entrare in una stanza quando già vi sia? Però dovete sapere che vi è una grande differenza tra un modo di essere e un altro, perché molte anime stanno soltanto nei dintorni, là dove sostano le guardie, senza curarsi di andare più innanzi, né sapere cosa si racchiuda in quella splendida dimora, né chi l’abiti, né quali appartamenti contenga. Se avete letto in qualche libro di orazione consigliare l’anima ad entrare in se stessa, è proprio quello che intendo io.

7 – Per quanto io ne capisca, la porta per entrare in questo castello è l’orazione e la meditazione.Non sto più per la mentale che per la vocale, perché dove si ha orazione occorre che vi sia pure meditazione.Non chiamo infatti orazione quella di colui che non considera con chi parla, chi è che parla, cosa domanda e a chi domanda, benché muova molto le labbra.Quanto a voi, sorelle, spero nella bontà di Dio che questo non vi accada, grazie all’abitudine che avete di trattare spesso di cose interiori: cosa assai utile per preservarvi da simili stupidaggini.

8 – Non parliamo dunque di queste anime paralitiche. Parliamo, invece di quelle che poi finiscono con entrare nel castello. Benché ingolfate nel mondo, non mancano di buoni desideri. Finalmente entrano nelle prime stanze del pianterreno, ma vi portano con sé un’infinità di animaletti, i quali non solo impediscono di veder le bellezze del castello, ma neppur permettono di rimanervi in pace.Tuttavia han già fatto molto con l’entrarvi.

Capitolo 2

Deformità di un’anima in peccato mortale – Il Signore ne fa vedere qualcosa a una certa persona – Qualche pensiero sul proprio conoscimento – Capitolo assai utile per certi punti che meritano attenzione – Come intendere queste mansioni.

1 – Prima di andare innanzi, vi prego di considerare come si trasformi questo castello meraviglioso e risplendente, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita che è Dio, quando s’imbratti di peccato mortale.Il Sole che gli compartiva tanta bellezza e splendore è come se più non vi sia, perché, pur rimanendo ancora nel suo centro, l’anima tuttavia non ne partecipa più.Conserva sempre la capacità di goderlo, come il cristallo di riflettere i raggi, ma intanto non vi è più nulla che le sia di merito; e finché dura in quello stato, non le giovano a nulla per l’acquisto della gloria neppure le sue buone opere.Infatti, chi commette un peccato mortale intende di contentare, non Dio, ma il demonio; e siccome il demonio non è che tenebra, la povera anima si fa tenebra con lui.

2 – So di una persona [Parla di se stessa, ndr] a cui il Signore volle far vedere lo stato di un’anima in peccato mortale.Come da una fonte limpidissima non sgorgano che limpidi ruscelli, così di un’anima in grazia: le sue opere riescono assai grate agli occhi di Dio e degli uomini, perché procedenti da quella fonte di vita nella quale

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essa è piantata come un albero, e fuor dalla quale non avrebbe né freschezza né fecondità. Quell’acqua la conserva, impedisce che inaridisca e le ottiene frutti saporosi, ma se l’anima l’abbandona di sua colpa per mettersi in un’altra dalle acque sudicie e fetenti, non sgorgherebbe da lei che la stessa abominevole sporcizia.

3 – Si deve intanto considerare che la fonte, o, a meglio dire, il Sole splendente che sta nel centro dell’anima, non perde per questo il suo splendore né la sua bellezza. Continua a star nell’anima, e non vi è nulla che lo possa scolorire. Supponete un cristallo esposto ai raggi del sole, ravvolto in un panno molto nero: il sole dardeggerà sulla stoffa, ma il cristallo non ne verrà illuminato.

4 – Anime redente dal sangue di Gesù Cristo, aprite gli occhi e abbiate pietà di voi stesse! Com’è possibile che, persuase di questa verità, non procuriate di togliere la pece che copre il vostro cristallo? Se la morte vi sorprende in questo stato, quella luce non la godrete mai più!

5 – Quella persona inoltre diceva di aver ricavato due vantaggi dalla grazia di cui Dio l’aveva favorita: anzitutto, un timore grandissimo di offenderlo, per cui alla vista di così gravi danni continuava a pregarlo di non lasciarla cadere; e, in secondo luogo, uno specchio di umiltà, nel quale vedeva che il principio del bene che facciamo non procede da noi, ma dal fonte nel quale l’albero dell’anima è piantato, e dal Sole che feconda le nostre buone opere.

8 – Ritorniamo dunque al nostro castello e alle sue molte mansioni. Non dovete figurarvi queste mansioni le une dopo le altre, come una fuga di stanze.Portate il vostro sguardo al centro, dove è situato l’appartamento o il palazzo del Re.Egli vi abita come in una palmista [palma tipica dell’Andalusia, ndr] di cui non si può prendere il buono se non togliendo le molte foglie che lo coprono. Così qui: intorno e al di sopra della stanza centrale, ve ne sono molte altre, illuminate in ogni parte dal Sole che risiede nel mezzo. Le cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, perché la capacità dell’anima sorpassa ogni umana immaginazione.Oh, il proprio conoscimento! Esso è tanto necessario che le stesse anime ammesse da Dio nel suo medesimo appartamento non devono mai trascurarlo, nonostante siano giunte tanto in alto.Ma come l’ape non lascia di uscire a succhiare i fiori, così l’anima, la quale, pur addestrandosi nel proprio conoscimento, deve di tanto in tanto innalzarsi a considerare la grandezza e la maestà di Dio.In ciò scoprirà la propria miseria meglio che rimanendo in se stessa, e sarà meno infastidita dagli animaletti immondi che entrano nelle prime stanze, dove ci si esercita nel proprio conoscimento.

9 – Non so se mi spiego bene. Torno dunque a ripetere che è assai utile, – anzi, utile in modo assoluto – che prima di volare alle altre mansioni, si entri in quelle del proprio conoscimento , che sono le vie per andare a quelle. Ma credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio. Contemplando la sua grandezza, scopriremo la nostra miseria; considerando la sua purezza riconosceremo la nostra sozzura; e innanzi alla sua umiltà vedremo quanto ne siamo lontani.

10 – Vi sono in ciò due vantaggi: primo, perché una cosa bianca messa vicina a una nera appare più bianca, come una nera messa vicino a una bianca; e in secondo luogo, perché la nostra intelligenza e volontà, portate ora su Dio e ora su di noi, si rendono più nobili e più disposte al bene. Se dal fango della nostra miseria non ci sollevassimo mai, ne risulterebbero molti inconvenienti.È un fatto, però, che mantenendoci di continuo nella ignominia della nostra terra, le nostre correnti possono intorbidirsi a contatto con il fango del timore, della pusillanimità, della codardia e dei pensieri come questi: “Sarà per superbia se ardirò cominciare quest’opera? È bene che una miserabile come me si eserciti in cose così sublimi come l’orazione? Oh, no, una persona come me, non è fatta per le singolarità!”.

11 – Ohimè, figliuole mie, quante anime il demonio deve rovinare per questa strada, facendo loro credere che tutto ciò sia per sentimento di umiltà! E quante altre cose potrei dire, provenienti dall’insistere troppo sul proprio conoscimento!Se non usciamo mai da noi stesse, ne può venire questo e peggio ancora. Perciò, figliuole, fissiamo gli occhi in Cristo nostro bene e nei suoi santi, e vi impareremo la vera umiltà.

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12 – Non si deve dunque pensare che gli appartamenti siano pochi: ve ne sono a milioni.Le anime vi entrano in molti modi, e tutte con buona intenzione. Ma siccome il demonio è maligno, deve aver appostato in ogni stanza legioni di suoi pari, per impedire che passino da una mansione all’altra, e così le poverette, che ne sono ignare, si trovano impigliate in mille lacci: ciò non avviene tanto facilmente a quelle che sono più vicine all’appartamento reale.Queste, invece, essendo ancora fra le cose del mondo, ingolfate nei suoi piaceri e perdute dietro agli onori e alle ambizioni, si lasciano vincere facilmente, perché i loro vassalli, che sono i sensi e le potenze, si trovano destituiti di quella forza che in origine avevano da Dio ricevuta.Coloro che si trovano in questo stato devono far di tutto per ricorrere spesso al Signore, e non avendo vassalli capaci di difenderli, prendere per intercessori la benedetta Madre di Dio e i suoi santi, perché combattano per loro.

14 – Quanto alla luce che si diffonde dal palazzo reale, dovete avvertire che le prime mansioni ne ricevono assai poca.Benché non siano nere e tenebrose come quando l’anima è in peccato, tuttavia sono alquanto in penombra, e non possono essere vedute neppure da coloro che le abitano, non per difetto dell’appartamento, ma per ragione delle molte cose nocive, serpenti, vipere e animali velenosi che, essendosi introdotti con l’anima, le impediscono di avvertire la luce.Non so come spiegarmi, ma è come se uno entra in una stanza inondata di sole con gli occhi così impiastricciati di fango da non poterli quasi dischiudere. La sala è illuminata, ma egli non ne gode la chiarezza a causa di quel suo impedimento.

15 – Figliuole mie, pensate che poche sono le mansioni del castello in cui non vi sia da combattere con il demonio.È vero che in alcune le potenze, che, come ho detto, ne sono le guardie, hanno forza sufficiente per resistere, ma dobbiamo star molto attente per scoprire le insidie del demonio ed evitare che ci inganni col trasformarsi in angelo di luce.

16 – Ispira egli a una sorella desideri così violenti di penitenza, da farle credere di non aver riposo se non allora che si sta martoriando. Fin qui nulla di male.Ma ecco che la Priora le ordina di non fare penitenza senza suo permesso. Il demonio allora le fa credere che in cosa tanto buona può prendersi qualche libertà! Ed ella si macera in segreto fino a rovinarsi la salute e a non poter più seguire la Regola.

17 –Persuadiamoci, figliuole mie, che la vera perfezione consiste nell’amore di Dio e del prossimo.Lasciamo da parte questi zeli indiscreti che ci possono essere assai dannosi, e ognuna attenda a se stessa.

18 – L’andare osservando certe piccolezze nuoce alla pace dell’anima e inquieta le sorelle. Il demonio potrebbe far nascere questa tentazione anche in riguardo alla Priora, e sarebbe più pericolosa. Tuttavia bisogna agire con prudenza, perché se si tratta di cose contro la Regola e le Costituzioni, non si deve sempre passar sopra, ma avvisarla, e se non si corregge, darne conto al Superiore. E questa è carità. Però, dovete star bene in guardia a non lasciarvi ingannare dal demonio con parlare di queste cose le une con le altre. Il maligno ne potrebbe molto guadagnare, introducendo l’abitudine alla mormorazione.Se ne parli soltanto con chi può mettervi rimedio.

SECONDE MANSIONI, in un sol capitolo

Capitolo unico Per giungere alle ultime mansioni occorre perseveranza. – Guerra accanita da parte del demonio, e quanto convenga non sbagliare strada fin dal principio. – Mezzo che le fu molto utile.

1 – Diciamo ora quali siano le anime che entrano nelle seconde mansioni, e cosa vi facciano.

2 – Parlo dunque di coloro che han già cominciato a far orazione e hanno inteso quanto importi non rimanere nelle prime mansioni, benché non sappiano ancora uscirne definitivamente.

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Essendosi avvicinate all’appartamento di Sua Maestà, ne sentono gli inviti e capiscono di aver in Lui un buon vicinante, grande in bontà e misericordia.Siamo ancora ingolfati negli affari, nei passatempi, nei piaceri e nelle distrazioni mondane; e siccome fra bestie tanto velenose, pericolose e insidiose, fa quasi meraviglia non inciampare e cadere, cadiamo ancora nei peccati e poi ci rialziamo. Eppure questo nostro Signore vede tanto volentieri che noi l’amiamo e ne cerchiamo la compagnia, che non lascia di quando in quando di chiamarci perché andiamo a Lui. Ed è così dolce la sua voce che la povera anima, vedendo di non saper far subito quello che le dice, si sente tutta distruggere! Ecco perché ho detto che è più penoso udire che non udire.

3 – Quanto a questa prima grazia, guardatevi bene dal non farne il conto che si merita, né desolatevi per non sapergli subito rispondere, perché Sua Maestà sa aspettare anche per molti giorni ed anni, specialmente quando vede perseveranza e buoni desideri. Questa disposizione è assolutamente necessaria, e con essa si guadagna molto.Qui la lotta dei demoni è molto varia e terribile. I demoni mettono innanzi tutti i beni e i piaceri del mondo, che sono le serpi di cui parlo; li fanno apparire quasi eterni; mostrano la stima in cui sono tenuti; suggeriscono il ricordo dei parenti e degli amici; e siccome in questa mansione si desidera di far un po’ di penitenza, la mostrano come contraria alla salute, e mille altre difficoltà.

4 – O Gesù! Che scompiglio fan qui i demoni, e che afflizioni per l’anima! Non sa se andare avanti o tornare alle mansioni prime, perché mentre la ragione le fa presente la follia di mettere in confronto i beni della terra con quelli che spera, la fede le insegna quello che meglio le conviene, e la memoria le ricorda dove vanno a finire tutti i beni del mondo, rimettendole sotto gli occhi la morte di molte persone che ne godettero in abbondanza.Intanto la volontà s’inclina ad amare il Signore. Soprattutto la colpisce il pensiero che questo vero Amante non solo non l’abbandona, ma le resta sempre vicino per darle l’essere e la vita. L’intelletto le fa capire che un amico migliore non si potrà mai trovare, neppure in molti anni di vita; che il mondo è pieno di falsità; che i piaceri del demonio apportano inquietudine, contraddizioni e travagli; che fuori del castello non vi è sicurezza né pace, e che non bisogna frequentare le case altrui, perché, volendolo, si può godere in casa propria ogni abbondanza di beni.

5 – Eppure, Signore e Dio mio, la fede in noi è così debole che crediamo più facilmente a quanto ci cade sotto gli occhi, che non alle verità che essa ci insegna. E così la miseria di chi insegue queste cose sensibili, non è che troppo evidente: danno causato da quei rettili velenosi con i quali siamo in contatto.Qui l’anima va soggetta a gravi pene, specialmente se il demonio, riconoscendo le sue attitudini e qualità, la vede capace di andar molto innanzi, perché allora raduna tutto l’inferno per costringerla ad uscire dal castello.

6 – Ah, Signor mio! Qui il vostro aiuto è assolutamente necessario: senza di voi non si può proprio far nulla. Ma stia bene in guardia per non lasciarsi vincere dal demonio. Se il maligno la vedrà fermamente risoluta a perdere la vita, il riposo e tutto ciò che le presenta piuttosto di ritornare alla prima stanza, lascerà presto di combatterla. Si risolva coraggiosamente, immaginandosi di andare a combattere contro tutti i demoni, per vincere i quali non vi sono armi migliori della croce.

7 – Colui che comincia non deve neppur pensare alle consolazioni, perché se inizia il lavoro sulla sabbia, esso finirà col cadere, ed egli non potrà sottrarsi ai disgusti e alle tentazioni.Non è in queste mansioni che la manna viene dal cielo, ma più innanzi, là dove l’anima ha tutto quello che vuole, perché non vuole se non quello che Iddio vuole.Che pretese le nostre! Osiamo lamentarci delle aridità e voler dolcezze nell’orazione! Colei che per suo amore saprà patire di più, patisca, e sarà la più felice. Quanto al resto, ritenetelo per accessorio. E se il Signore ve lo darà, ringraziatelo senza fine.

8 – L’unica brama di chi vuol darsi all’orazione – non dimenticatelo mai, perché è importantissimo – dev’essere di fare di tutto per risolversi e meglio disporsi a conformare la sua volontà a quella di Dio.

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Più questa conformità sarà perfetta, maggiori grazie si riceveranno da Dio, e maggiore sarà pure il progresso nel cammino.Se sbagliamo fin da principio, volendo che il Signore faccia la nostra volontà e ci conduca per dove vogliamo noi, che saldezza potrà avere l’edificio?

9 – Perciò, se qualche volta cadete, non dovete così avvilirvi da lasciare d’andare innanzi. Per il sangue che Cristo sparse per noi, finisca ormai questa guerra! Lo chiedo a chi non ha ancora cominciato a rientrare in se stesso, mentre a chi ha cominciato, chiedo che la prospettiva della lotta non lo faccia tornare indietro.Pensi che la ricaduta sarebbe peggiore della caduta; ne intravegga la rovina, confidi, non in se stesso, ma nella misericordia di Dio; e il Signore lo condurrà da una mansione all’altra, sino a dove le bestie non solo non lo potranno più toccare né molestare, ma dove egli le terrà soggette e le burlerà, godendo, fin da questa vita, tale abbondanza di beni da superare qualsiasi desiderio.

10 – Purché non abbandoniamo l’orazione, il Signore volge tutto in nostro bene, anche se nessuno ce ne dica il modo. Ma se commettiamo questo sbaglio, non c’è altro rimedio che tornare a riprenderla, sotto pena d’indebolirci sempre più. E piaccia a Dio che ce n’accorgiamo!

11 – Ma – potrebbe qualcuno pensare – se tornare indietro è tanto pericoloso, è meglio neppur cominciare, ma star fuori del castello.Ora, pretendere di entrare nel cielo senza prima entrare in noi stessi per meglio conoscerci e considerare la nostra miseria, per vedere il molto che dobbiamo a Dio e il bisogno che abbiamo della sua misericordia, è una vera follia.Il Signore dice: Chi vede me, vede il Padre mio. Ora, se noi non lo guardiamo mai, né mai consideriamo quello che gli dobbiamo, né la morte che ha subito per noi, non so come possiamo conoscerlo e servirlo.

CASTELLO INTERIORE

La prima tappa è la conversione che inizia avendo chiara consapevolezza della propria identità nella luce del mistero di Dio che mette in evidenza ombre e preziosità. Si tratta cioè dell’umiltà: conoscere se stessi nella luce di Dio. Chiamati alla divina figliolanza, ma peccatori. Il fossato del castello infestato di mostri che cercano di divorare chi vuol accedere al castello di cristallo indica bene questa tensione interna all’individuo. Si tratta dunque di lottare contro il peccato.

La seconda tappa è la perseveranza nella lotta contro il peccato, desiderando di entrare nel castello, cioè nell’amicizia con Cristo.

La terza tappa è segnata da una nuova prova che fa maturare e porta a ulteriore conversione. Giovanni della Croce parlerà di “notte passiva dei sensi”, potremmo dire un momento di crisi che però si supera per entrare in una nuova consapevolezza di sé e della propria vocazione.

La quarta tappa è poi l’irruzione della passività della vita di preghiera. Nel cammino di preghiera è prevalentemente l’orante che prende l’iniziativa, all’inizio, come se fosse lui a scandire tempi e modi del rapporto di amicizia con Cristo. È orazione di raccoglimento attivo, in cui l’orante compie una serie di atti per porsi dinanzi a Cristo. Finché, a un certo punto, è Cristo che prende questa iniziativa, per cui inizia la passività dell’orante, del soggetto che si sente raggiunto da una azione di Dio che precede la sua iniziativa, cui deve rispondere con una docilità pronta e ferma. Si ha così la preghiera infusa, come orazione di quiete e come orazione di raccoglimento infuso.

La quinta tappa vede accadere una profonda trasformazione del credente con maturità affettiva e apertura apostolica, che avviene nella sofferenza, secondo le dinamiche pasquali di morte e risurrezione. Teresa usa l’immagine del baco da seta: il bruco si trasforma in crisalide e, morendo,

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si destruttura e diventa una farfalla, lo stesso di prima ma in modo diverso. San Paolo direbbe che muore l’uomo vecchio e rinasce l’uomo nuovo, che ha gli stessi sentimenti e desideri che furono di Cristo Gesù…

La sesta tappa è un vero trattato di fenomenologia mistica. L’orante, trasformato dalla grazia, entra in un momento di forte comunione con Dio, con ripercussioni concrete sul suo essere: sono i fenomeni mistici straordinari che hanno il compito di proseguire la purificazione passione iniziata nelle precedenti tappe, regalando grazia di unione.

SESTE MANSIONI, in undici Capitoli

Capitolo 1

Quanto più grandi sono le grazie che il Signore comincia a compartire, tanto più gravi sono i travagli che ne vengono – Si parla di alcuni di essi, e si dice come li sopporti chi è entrato in questa mansione – Utile per le anime che soffrono pene interiori

1 – Con l’aiuto dello Spirito Santo, veniamo ora a parlare delle seste mansioni, nelle quali l’anima, già ferita dall’amore dello Sposo, cerca con maggior cura di starsene in solitudine, sfuggendo, per quanto il suo stato glielo permette, tutto ciò che la potrebbe distrarre. La vista dello Sposo l’ha così colpita, che ora ogni suo desiderio è di tornare a goderlo. L’anima, dunque, è fermamente decisa di non prendere altro sposo. Ma lo sposo, invece di guardare all’ardore con cui ella desidera che si celebri il fidanzamento, vuole che i suoi desideri si rendano più intensi, e che quel bene, superiore a ogni bene, le costi almeno qualche cosa.Oh, mio Dio! Quali pene interiori ed esteriori deve mai ella soffrire prima di entrare nella settima mansione!

2 – In verità, quando vi penso temo che, prevedendole, sia assai difficile che la nostra debolezza si risolva a sopportarle, a meno che non si sia già arrivati alla settima mansione. La ragione è che allora è quasi sempre in intima unione col Signore, da cui le deriva ogni forza.

3 – Voglio cominciare dalle più piccole, che sono le mormorazioni, tanto delle persone con cui si hanno rapporti, come di quelle con cui non se ne hanno, e di cui non si avrebbe mai pensato che potessero occuparsi delle cose nostre.Dicono: «Vuol far la santa! Fa di tutto per ingannare il mondo e screditare gli altri, che sono assai migliori di lei, benché senza tante cerimonie!». Tuttavia, quelli che riteneva per amici si allontanano da lei, e facendosi suoi nemici l’assalgono: “Quell’anima è un’illusa! È in inganno evidente! Sono artifizi del demonio! Le avverrà come a quella e a quell’altra che andarono perdute! Dà motivo di screditare la virtù! Inganna i confessori!”.

4 – Io so di una persona che, al punto a cui le cose eran giunte, temeva di non poter più trovare chi volesse confessarla. Non mi fermo a raccontare i particolari, perché troppo numerosi.Il peggio è che questa guerra non termina tanto presto, ma dura tutta la vita, perché gli uni raccomandano agli altri di stare in guardia e di non trattare con tali anime.Mi direte che vi sono anche di quelli che ne parlano bene. Sì, figliole, ma come pochi di fronte al gran numero dei denigratori! Del resto, per quell’anima le lodi non sono che un motivo di tormento, perché, essendosi veduta poco prima in grandi peccati e molto povera, riconosce che se ora ha qualche bene, questo non è suo, ma di Dio che gliel’ha dato, per cui la stima degli uomini le si fa intollerabile.

5 – Ma incomparabilmente più grave di tutti è il tormento di vedersi pubblicamente ritenuti per buoni senza alcuna ragione. Quando un’anima arriva a non curarsene, molto meno si curerà delle critiche : queste anzi la ricreeranno come una musica soave.

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6 – Oltre a ciò il Signore suole inviare infermità molto gravi. Intendo dolori molto forti: degli altri, ne vengano quanti vogliono: l’anima si altera, non sa più cosa fare, tanto che pur di sottrarsi a quel tormento, accetterebbe di buona voglia qualunque rapido martirio.Bisogna però dire che il dolore non dura sempre nella sua più alta intensità, perché Dio non dà più di quello che si può sopportare, e prima di tutto infonde pazienza. Ma in via ordinaria manda sofferenze molto gravi e malattie di ogni specie.

7 – Conosco una persona che da quando cominciò ricevere la grazia di cui ho parlato, vale a dire da quarant’anni a questa parte, può affermare di non aver mai avuto un sol giorno senza dolori e senza soffrire in diverse altre maniere, tanto per mancanza di salute corporale che per altri travagli molto gravi.

8 – Che dire poi delle pene interiori? Cominciano col tormento d’incontrarci con un confessore così pauroso e poco sperimentato che non trova nulla di sicuro. Vedendo cose straordinarie, teme di tutto, dubita di tutto e condanna tutto come opera del demonio o effetto di melanconia.Ma la povera anima che, essendo agitata dai medesimi timori, ricorre al confessore come a un giudice e si vede da lui condannata, cade in preda ad angosce e a inquietudini così vive da non essere comprese se non da chi le ha provate.

9 – Ma questo è ancora nulla. Guai se oltre a ciò l’anima si lascia vincere dal timore di non sapersi manifestare e di ingannare i confessori! Allora non le giova a nulla neppure se, esaminandosi attentamente, non scorge in sé nemmeno un primo moto che tenga loro nascosto. L’intelletto è così al buio che non è più capace di vedere la verità, crede a tutte le rappresentazioni della fantasia, che allora è padrona, e a tutte le insinuazioni del demonio a cui Dio deve certo permettere di porre l’anima alla prova, sino a farle intendere di essere da Lui rigettata.In tanta tempesta, ogni consolazione è proscritta; e se ne cerca qualcuna dal confessore, le vien da pensare che tutti i demoni si colleghino con lui per tormentarla di più.

10 – Per questa tempesta non vi è rimedio di sorta: bisogna aspettare la misericordia di Dio, il quale, con una sola parola o con qualunque fortuito avvenimento, toglie immediatamente ogni angoscia quando meno si pensa.Allora l’anima si sente inondata di gioia, e così piena di sole da sembrarle di non essere mai stata fra le tenebre. È come un soldato uscito vittorioso da una tremenda battaglia, e ringrazia il Signore che ha combattuto per lei, ottenendole di vincere.

11 – Durante quella tempesta non ha offeso e non avrebbe offeso il Signore per alcuna cosa al mondo: perciò è in grazia, ma ella non lo sente. Anzi, le pare di non avere in sé neppure una scintilla di amor di Dio, né di averne mai avuto, sogno le buone opere compiute, e fantasia le grazie da Dio ricevute. Non vede altro che i suoi peccati, e questi con chiarezza.

13 – Che deve fare la povera anima se quel suo stato si prolunga per vari giorni? Se prega, è come se non pregasse (in riguardo, dico, ad averne consolazione) perché non solo non penetra il senso della preghiera, ma non sa neppure cosa dice, nonostante preghi vocalmente.Sa dire ciò che prova? No. Si tratta di cose indicibili, di pene ed angustie spirituali che non si sanno nominare. Il miglior rimedio, non già per farle scomparire – che non ve n’è – ma solo per poterle alquanto sopportare, è di occuparsi in opere di carità o in altre cose esteriori, fiduciosi nella misericordia di Dio che non manca mai a chi in Lui confida. 15 – Parleremo di altre pene interiori trattando dei diversi modi di orazione e dei favori che Dio accorda in queste mansioni. Molte di esse superano in intensità le precedenti, come appare dallo stato in cui lasciano il corpo. Tuttavia non meritano il nome di pene, e non è giusto che così si chiamino: sono elettissime grazie di Dio, riconosciute come tali anche dall’anima che le soffre, tanto da giudicarle superiori a ogni suo merito.La più grande di queste pene sopraggiunge all’ingresso della settima mansione, ed è accompagnata da molte altre. Hanno un’origine molto più alta delle precedenti; e se di quelle che sono di ordine più basso io non ho saputo dire che questo, meno ancora ne saprò dire della altre. Si degni Iddio, per i meriti di suo Figlio, di prestarmi in tutto il suo aiuto! Amen.

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Capitolo 2

Diversi modi con i quali Iddio eccita l’anima – Si tratta di favori molto grandi e preziosi, nei quali, a quanto sembra, non vi è nulla da temere 1 – Prima di darsi a lei totalmente, la fa sospirare a lungo, usando certi mezzi molto delicati che la stessa anima non comprende. Si tratta di certi impulsi che procedono dal profondo dell’anima, così delicati e sottili da non aver paragoni neppure per darne un’idea.

2 – Non si sente alcun rumore, ma l’anima intende che Dio l’ha chiamata, e lo intende così bene che alle volte, specialmente sul principio, trema ed esce in lamenti, benché nulla le dolga.Sente di essere stata ferita, ma non sa da chi, né in che modo. Però riconosce che è una ferita preziosa e non vorrebbe guarirne.

3 – Sto struggendomi per darvi ad intendere in che consista questa operazione di amore, ma non so come fare. Pare che lo Sposo, dalla settima mansione ove risiede, faccia sentire la sua voce senza dire parola , e che gli abitanti delle altre mansioni – sensi, immaginazione e potenze – non osino muoversi.

4 – L’effetto che ne risulta è che l’anima si va struggendo in desideri, pur senza sapere cosa brami, perché vede d’avere Iddio con sé.

Voi mi direte: Ma se l’anima ha questa conoscenza, che altro desidera? Di che si affligge? Che cosa vuole di più? Non lo so. Ma so che questa pena sembra compenetrarla intimamente, e che quando le vien tolta la saetta da cui è stata ferita, le pare, per il grande amore di cui arde, che con la saetta le strappino pure le viscere.Ecco ciò che mi vien da pensare. Non potrebbe essere che dal fuoco dell’acceso braciere che è il mio Dio, si fosse spiccata una scintilla e fosse venuta a toccare l’anima facendole sentire l’ardore di quell’incendio? Non potrebbe essere che, essendo una scintilla molto deliziosa ma non tanto forte per consumarla, lasciasse l’anima in balìa della pena prodottale nel toccarla?

5 – È un movimento che proviene da dove abita Colui che è immutabile, e i cui effetti sono molto diversi da quelli delle altre devozioni. Chi ha ricevuto da Dio questa grazia – e se l’ha ricevuta lo vedrà benissimo leggendo questo scritto – lo ringrazi infinitamente e non abbia paura di essersi ingannato. Tema soltanto di mostrarsene ingrato, e faccia il possibile per meglio servire il Signore e perfezionare la propria vita.

6 – Credo che il demonio non produca mai una pena così deliziosa come questa.

7 – Che non sia effetto d’immaginazione, lo si prova con l’incapacità di riprodurlo, neppure volendolo. È così chiaro, che l’illusione ne è assolutamente impossibile: impossibile, dico, che ci sembri essere quando non è, o si possa solo dubitarne.So di un’anima che temeva sempre di essere in inganno: eppure di questa orazione non poté mai dubitare.

Capitolo 3

Ancora sul medesimo argomento e dice del modo con cui Dio parla alle anime: nel qual caso non bisogna condursi a seconda dei propri lumi – Alcuni segni per conoscere se vi sia o non vi sia illusione – Capitolo molto utile

1 – Ecco un altro modo con cui Dio suole eccitare le anime. Si tratta di certe parole che Egli dice all’anima e che possono essere di diverso genere. Alcune sembra che vengano dal di fuori, altre dall’intimo più segreto dell’anima, altre dalla sua parte superiore, ed altre dall’esterno, in modo da udirle con le orecchie del corpo e da sembrare che siano dette con voce articolata.Qualche volta – spesso, anzi, – possono essere effetto di fantasia, specialmente in persone di debole immaginazione o melanconia: intendo di una melanconia notevole.

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3 – Bisogna dispensarle dall’orazione e far di tutto per indurle a non curarsi di quel che sentono, perché il demonio, anche se non nuoce a queste anime ammalate, può servirsi di esse per far del male alle altre. Ma si tratti di anime inferme o sane, in queste cose bisogna sempre diffidare, fino a quando non si abbia conosciuto da che spirito provengano.

4 – Ritornando ora alle locuzioni interiori di cui ho parlato, in qualsiasi modo esse avvengano, possono procedere da Dio, dal demonio o dalla propria immaginazione. Voglio ora dire – se con l’aiuto di Dio vi riuscirò – quali siano i segni per riconoscere la loro origine e quando possono essere pericolose.

5 – Per giudicare se tali parole vengano da Dio, i segni più sicuri sono i seguenti.Il primo e più rassicurante è la sovrana potenza che quelle parole hanno in sé, perché sono insieme parole ed opere.Mi spiego meglio. Con una sola di quelle parole, come: Non affliggerti! ella si ritrova nella pace e nella tranquillità, immersa nella luce e affatto libera da quella afflizione da cui credeva di non poter essere alleviata neppure da tutto il mondo e da tutti i dotti insieme uniti, malgrado ogni loro sforzo nel suggerirle ragioni per calmarsi.

6 – Il secondo segno è che l’anima rimane in una grande quiete, in un devoto e pacifico raccoglimento e in una disposizione che la porta a lodare Iddio.

7 – Il terzo segno è che queste parole non escono di mente neppure dopo moltissimo tempo. Alcune poi non si dimenticano mai. Passeranno pure degli anni, ma ella non cesserà di pensare che Dio le avvererà, ricorrendo anche a dei mezzi che gli uomini nemmeno sospettano, come sempre avviene.

10 – Quando tali parole provengono dall’immaginazione non hanno alcuno di questi segni, non la certezza, non la pace, non il gaudio interiore, eccetto il caso che si sentano quando l’anima è profondamente assorta nell’orazione di quiete o nel sonno spirituale. So che la cosa è possibile, perché avvenuta a persona di mia conoscenza.

11 – Il timore più grande è che siano dal demonio. Ma se hanno i segni che ho detto, si può essere sicuri che sono da Dio.Tuttavia, benché sembri e si sia convinti che vengano da Lui, non bisogna mai esserne così persuasi da fare alcuna cosa – o anche solo pensarla – senza il consiglio di un confessore dotto, prudente e vero servo di Dio, specialmente se tali parole importino cose gravi da dirsi o da farsi, concernenti tanto la stessa anima che altre persone.

12 – Iddio parla anche in un altro modo, con una azione che mi pare molto evidente: cioè, come appresso dirò, per via di visione intellettuale.Il fatto si svolge nel più intimo dell’anima: con l’udito dell’anima s’intende il Signore che pronuncia delle parole, ma in un modo così chiaro e segreto da non dovervi temere alcuna ingerenza diabolica, sia per la maniera con cui s’intende, come per gli effetti che ne vengono e che ci permettono di crederlo. Se non altro si ha la sicurezza che ciò non viene dall’immaginazione: sicurezza che con un po’ di avvertenza si può sempre avere per le ragioni seguenti.Primo, per la differenza che v’interviene in fatto di chiarezza , tanto che dalle parole di Dio non si può togliere una sillaba senza che ce n’accorgiamo.

13 – Secondo, perché spesso non vi si pensa neppure: vengono all’improvviso, anche in mezzo a una conversazione. Se qualche volta rispondono ai pensieri che passano allora per la mente, oppure a quelli che si ebbero prima, spesso riguardano avvenimenti non mai pensati, né creduti possibili.

14 – Terzo, perché nelle locuzioni di Dio l’anima è come una persona che ode, mentre in quelle dell’immaginazione è come una che compone a poco a poco quel che desidera di udire.

15 – Quarto, perché le parole sono molto differenti: con una sola di Dio si comprendono più cose che non sappia comporne l’intelletto in così breve spazio di tempo.

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16 – Quinto, perché spesso, mentre si percepiscono, si comprende assai di più di quello che esse significano, benché senza suoni e in un modo che io non so spiegare. Se è il demonio che parla, lo si conosce più presto. È vero che le sue astuzie sono molte e che sa trasformarsi anche in angelo di luce; ma non potrà simularne gli effetti: non solo non lascerà nella tranquillità e nella luce, ma riempirà di confusione e d’inquietudine. 17 – Se si tratta di grazie e di favori divini, più il favore è grande e più l’anima si umilia, più ricorda i suoi peccati, più dimentica i suoi interessi, più si applica con memoria e volontà a procurare l’onore di Dio.

Capitolo 4

Iddio sospende l’anima nell’orazione mediante i rapimenti, le estasi e i ratti: insieme di cose che credo formino un tutt’uno – Per ricevere da Dio grandi grazie occorre un coraggio particolare

1 – Che riposo può mai avere la povera farfalletta fra i travagli e le altre cose di cui ho parlato? Tutto contribuisce a farle desiderare il godimento dello Sposo.

2 – Osservate ora in che modo il Signore viene a conchiudere questo fidanzamento: favorendo l’anima con dei rapimenti che la fanno uscire dai sensi.Se l’anima conservasse l’uso dei sensi, credo che nel vedersi vicina a così grande Maestà non le sarebbe possibile rimanere in vita.

3 – Una specie di rapimenti è questa. L’anima, pur non essendo in orazione, si sente toccata da una parola di Dio che le viene in mente o che ode. Sembra allora che il Signore, mosso a compassione per averla veduta languire tanto tempo nel desiderio di lui, avvivi nel suo interno la scintilla di cui ho detto e così l’anima, dopo essersi completamente bruciata, risorge a nuova vita a guisa di fenice, con il perdono di tutte le sue colpe.Benché mantenga l’uso delle sue interne facoltà, non essendo qui come in uno stato di svenimento o parossismo nel quale non si ha percezione di sorta, né interna né esterna, tuttavia non sa dirne nulla.

5 – Quando l’anima è in questa sospensione e il Signore crede opportuno di svelarle qualche suo segreto, come certe cose del cielo, o le accorda delle visioni immaginarie, ella lo sa dire benissimo, perché la sua memoria ne rimane così colpita da non potersene più dimenticare.Ma non così nelle visioni intellettuali, non essendo conveniente che, viventi ancora di questa vita, se ne abbia tale conoscenza da saperne parlare. Tuttavia, siccome in quel tempo ne deve avere di assai sublimi, di molte di esse l’anima può dire qualche cosa dopo aver ripreso l’uso dei sensi.

6 – Ma voi mi direte: Se di queste grazie così sublimi non rimane alcun ricordo, che utilità ne ha l’anima nell’esserne favorita? Ah, figliuole! Ne ha vantaggi così grandi da non saperli abbastanza magnificare. Si tratta di beni che rimangono impressi nella parte più intima dell’anima: non si sanno esprimere, ma non si sanno nemmeno dimenticare.

8 – Voi entrate in una di quelle sale che hanno i re o i gran signori, e che credo si chiamino camerini, dove si conservano innumerevoli cristalli di vario genere, terrecotte e molti altri oggetti, disposti in tal modo che, appena entrati, si vedano subito.Fui introdotta in una di queste sale in casa della duchessa d’Alba, presso la quale i Superiori mi avevano comandato di fermarmi durante un mio viaggio dietro istanza della medesima.Mi sono trattenuta là dentro per un bel pezzo, ma vi era tanto da vedere che dimenticai subito ogni cosa: non mi rimase memoria di alcun oggetto, come se non li avessi visti, per cui non saprei dire come fossero. Mi ricordo soltanto di averli veduti. Così qui. L’anima è divenuta una cosa sola con Dio, e si trova nella stanza del cielo empireo che dobbiamo avere nel nostro interno, perché se Dio risiede in noi, è chiaro che di queste mansioni ne abbiamo almeno qualcuna.

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13 – Ritornando ora a quello che dicevo, lo Sposo comanda di chiudere le porte delle mansioni, nonché quelle del castello e del muro di cinta. Infatti, quando il rapimento comincia, cessa il respiro e manca la forza di parlare, nonostante che gli altri sensi si conservino alle volte un po’ di più.Talvolta invece si perde subito ogni senso: il corpo e le mani si raffreddano sino a sembrare di non avere più anima, tanto che alle volte non si sa nemmeno se si respiri.Però questa estasi così grande non dura molto.

14 – Tuttavia, accade che, finita l’estasi, la volontà rimanga così assorta e l’intelletto tanto astratto da durare in questo stato uno o più giorni senz’essere capaci, a quanto sembra, d’occuparci in altre cose che non muovano la volontà ad amare: per la qual cosa essa è molto sveglia, mentre è intorpidita quanto a determinarsi verso oggetti creati.

15 – Oh, la confusione che prova l’anima nel ritornare in se stessa! Si vorrebbero avere mille vite per impiegarle tutte per Iddio. Vivissimi i desideri di penitenza, benché nell’effettuarli non si soffra molto, per la gran forza dell’amore che impedisce di sentire ciò che si fa.

16 – L’anima stima assai di più questa grazia quando la riceve in segreto, perché quando ne è favorita in presenza di qualcuno, la confusione e la gran vergogna che ne sente le fan quasi dimenticare quello che ha goduto, per la pena e l’inquietudine di quello che dirà chi l’ha vista.

Capitolo 5

Prosegue sul medesimo argomento, e dice che Dio eleva l’anima anche in altro modo, mediante il volo di spirito – Motivi per i quali occorre aver coraggio – Spiega qualche cosa di quest’altra grazia, esprimendosi in modo piacevole – Capitolo assai utile

1 – Ecco un’altra specie di rapimento che io chiamo volo di spirito: sostanzialmente è un tutt’uno, ma agisce sull’anima in modo assai diverso.Si sente un movimento di anima così impetuoso da sembrare che lo spirito ci venga rapito, e ciò con tale velocità e così d’improvviso da sentirne, specialmente da principio, non poca paura. Per questo vi ho detto che chi riceve queste grazie ha bisogno non solo di gran coraggio, ma di fede, di fiducia e di pieno abbandono a quello che il Signore vorrà da lui.

2 – Vi è forse qualche mezzo per resistere? No. Anzi, so da una persona che a voler resistere è peggio. Siccome l’anima si è rimessa tante volte e tanto sinceramente nelle mani di Dio offrendosi a Lui con risoluta volontà, sembra che Dio le voglia far vedere che ormai non è più padrona di sé, e la rapisce con movimento evidente e impetuoso.

3 – E a quel modo che tutti gli sforzi del pilota e di coloro che governano la nave non possono fare che questa si fermi dove vogliono quando le onde la investono con furia, così non può fermarsi dove vuole l’interiore dell’anima, né fare che i sensi e le potenze si sottraggano all’impulso di chi li muove. Del corpo, non se ne fa alcun caso.

6 – Allora Sua Maestà le potrebbe rispondere come a una certa persona, la quale afflitta per questo stesso motivo, considerava innanzi a un crocifisso di non aver mai avuto di che dare, né di che lasciare per Iddio. Quel crocifisso la consolò, dicendole che Egli le offriva í dolori e i travagli della sua passione, affinché li considerasse come propri e li presentasse a suo Padre.Il fatto riportato mi è parso assai utile per farvi intendere quanto il Signore si compiaccia che noi ci sforziamo di conoscerci, procurando continuamente di mirare e rimirare la nostra miseria e povertà, persuase di non aver nulla che non ci venga da Lui.

7 – Ritorno a quell’improvvisa elevazione di spirito di cui ho parlato. Avviene in tal modo da far credere che veramente lo spirito si stia separando dal corpo. Benché la persona non muoia, ha però dei momenti in cui ella non sa dire se l’anima si trovi o non si trovi nel corpo.

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Si crede trasportata per intero in una regione molto diversa dalla nostra, dove in una luce che non ha paragone con la nostra, le vengono mostrate cose così grandi che da sé non potrebbe immaginare, neppure lavorandovi intorno per tutta la vita.Perciò avviene che in un solo istante le siano spiegati un’infinità di segreti, dei quali ella non giungerebbe a conoscere la millesima parte, neppure se per ordinarli vi si affaticasse molti anni con l’immaginazione e l’intelletto.Questa è visione immaginaria, non intellettuale. Con gli occhi dell’anima vi si vede molto meglio che non qui con quelli del corpo, come pure s’intendono varie cose senza l’aiuto delle parole: voglio dire che se si vedono alcuni santi, si riconoscono così bene come se si fossero spesso frequentati.

9 – Mentre l’anima è fuori di sé, le vengono mostrate grandi cose, e quando ritorna in sé si ritrova con grandissimi vantaggi. Le cose della terra le appaiono così spregevoli che, di fronte a quelle vedute, le sembrano immondezze.D’allora in poi non vive quaggiù che con pena, non essendovi nulla che la possa ancora interessare di ciò che prima le soleva essere attraente.

10 – Da ciò si vede che non è opera del demonio, e meno ancora dell’immaginazione. Effetti così sublimi non possono essere del demonio. No.La pace, il conforto e il profitto di cui l’anima si sente in possesso non possono venire da lui. E meno ancora queste tre cose che si sentono in grado molto alto: la prima, il conoscimento e la grandezza di Dio, perché, più son le cose che di Lui si vedono, più Egli ci appare magnifico; la seconda, l’umiltà e il conoscimento di noi stessi, nel pensare che un essere così vile abbia osato offendere il Creatore di tante meraviglie e osi ancora guardarlo; la terza, il disprezzo di tutte le cose della terra, eccetto di quelle che siano di aiuto nel servizio di così grande Signore.

11 – Queste le gioie che lo Sposo comincia a regalare alla sposa.

Capitolo 6

Espone un effetto dell’orazione precedente, e dice in che modo si può conoscere se sia vera o se si tratti d’inganno – Altra grazia che Dio accorda alle anime per impiegarle nelle sue lodi

1 – Con queste grazie così elevate l’anima sospira ardentemente di morire, e con lacrime incessanti supplica il Signore di toglierla da questo esilio, dove tutto l’annoia. Ha un po’ di sollievo nel ritirarsi in solitudine, ma la pena non tarda molto a tornare e l’accompagna dovunque, per cui la farfalletta non sa trovar riposo che duri.

2 – Mentre da una parte sembra che sia molto sicura, specialmente quando sta sola con Dio, dall’altra non lascia di essere in angustia per la paura che il demonio l’inganni sino a farle offendere il suo Amore. Non fa che domandare a tutti preghiere, e supplica incessantemente il Signore di condurla per altra via.

3 – Il Signore ispira a quest’anima un così vivo desiderio di non offenderlo, neppure nelle più piccole cose, e di evitare, potendolo, qualunque minima imperfezione, che vorrebbe fuggire gli uomini, e invidia grandemente coloro che vivono e son vissuti nei deserti.Nel contempo vorrebbe anche cacciarsi in mezzo al mondo, per fare che anche un’anima sola lodasse Iddio di più. 5 – Comunque, questi son gli effetti di quelle estasi e sospensioni, né si può dubitarne.Non sono desideri passeggeri ma duraturi, e che al presentarsi di una occasione che li metta alla prova, non si dimostrano finti.

6 – In questi grandi desideri di vedere Iddio, occorre che avvertiate una cosa: cioè, che essi alle volte si fanno molto violenti, e allora invece d’aiutarli bisogna reprimerli.Bisogna divertire l’attenzione, soprattutto se sono di grande struggimento, perché essendo retaggio di anime molto perfette, può darsi che ci siano suscitati dal demonio per farci credere di esser pur noi di quel numero, mentre è bene andar sempre innanzi con timore. Tuttavia non credo che il maligno possa produrre la

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pace e il riposo generato nell’anima da questa pena, ma soltanto un movimento di passione, uguale a quello che si sente quando si è afflitti per qualche cosa del mondo.

8 – Dato che trovo pericoli dovunque e che vi può essere inganno anche in una cosa tanto eccellente come nelle lacrime, mi sembra che mi vogliate chiedere che cosa si debba fare, o se piuttosto l’ingannata non sia io.Se le lacrime vengono da questa fonte, non potrete non accorgervene, perché in luogo di turbare, confortano, lasciano nella pace, e rare volte fan male.

9 – Vengano anche lacrime quando Iddio ce ne favorisca; ma non si faccia nulla per procurarle. Egli sa quello che più ci conviene, ed Egli ci dia quello che vuole: acqua o siccità. Così cammineremo tranquille, e il demonio non avrà tanta possibilità di tenderci insidie.

10 – In mezzo a queste cose che sono insieme dolci e penose, il Signore invia talvolta certi moti di giubilo e una certa strana orazione di cui non si sa comprendere la natura. Sembra che parli in arabo, ma è così. L’anima sente una gioia così grande che, non volendo esser sola a goderne, brama di farla conoscere a tutti, affinché l’aiutino a lodare il Signore, scopo di ogni suo movimento.Oh, che feste e che dimostrazioni farebbe per dimostrate a tutti il suo gaudio! Sembra che si sia ritrovata, e che voglia, come il padre del figliuol prodigo, invitare tutti a far festa, giacché si vede in tal luogo da non poter dubitare, almeno per allora, di doverne essere sicura.E ciò a ragione, essendo impossibile, a mio avviso, che il demonio produca nel più intimo dell’anima una gioia così grande, accompagnata da tanta pace da muoverla a dar lodi al Signore.

11 – Sotto l’impeto di tanta gioia, è molto se riesce a dissimulare, e non poco penoso a tacere.

13 – Piaccia a Dio di concederci spesso questa orazione che è molto sicura e profittevole.Con le nostre forze non la possiamo acquistare, perché soprannaturale. Alle volte può accadere che duri tutto un giorno. Allora l’anima somiglia a uno che abbia molto bevuto, ma non tanto da esser fuori dai sensi.Tuttavia è così. Il gaudio sommerge l’anima in tal modo che ella va dimentica di sé e di ogni altra cosa, non avverte né indovina a parlare se non di quello che ha rapporto alla sua gioia, voglio dire, delle lodi di Dio.

Capitolo 7

Pena che sentono dei propri peccati le anime che ricevono queste grazie – Gravissimo errore in cui si cade, per spirituali che si possa essere, quando non si procura di aver sempre innanzi l’umanità di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, la sua passione, la sua Madre gloriosa e i suoi santi – Capitolo molto utile

1 – Vi parrà, sorelle, che le anime a cui Dio si comunica così intimamente, siano ormai sicure di averlo a godere per sempre, e che non abbiano più motivo di temere né di piangere i loro peccati.Ma è un gravissimo errore. Il dolore dei peccati cresce in proporzione dei favori che Dio elargisce; e ritengo che non cessi se non in quel luogo dove nessuna cosa può dar pena.

2 – L’anima, invece di pensare al castigo che i suoi peccati le hanno meritato, non vede che l’ingratitudine di cui si è resa colpevole verso Colui che ha tutto il diritto di essere servito e a cui ella tanto deve.

3 – Dell’inferno non hanno affatto paura. Raro, benché tormentoso, è pure il timore di perdere Iddio. L’unica loro apprensione è che il Signore ritiri la sua mano, permettendo che l’offendano ed abbiano a ricadere nello stato infelice in cui per qualche tempo si sono vedute. Non si curano né della pena, né della gloria futura; e se desiderano di star poco in purgatorio, è più per non esser lontane da Dio che per i tormenti che vi si patiscono.

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4 – Il pensiero che Dio ha perdonato e dimenticato le nostre colpe, lungi d’alleviarne la pena, l’aumenta di più, mettendo innanzi quell’eccelsa Bontà che non lascia di favorire con le sue grazie chi non ha meritato che l’inferno.

6 – Certe anime credono di non essere capaci di pensare alla passione: meno ancora lo saranno quanto alla sacratissima Vergine e alla vita dei santi, dalla cui memoria ci deriva tanto aiuto e profitto. Ma io non capisco a che cosa pensino.Separarsi da ciò che è corporeo per bruciare continuamente di amore è proprio degli spiriti angelici, non di noi che viviamo in corpo mortale. Se abbiamo bisogno di trattare, pensare e accompagnarci con coloro che, pur essendo come noi, compiono per Iddio delle magnifiche imprese, a maggior ragione non dobbiamo separarci dalla sacratissima Umanità di nostro Signore Gesù Cristo, unico nostro bene e rimedio.

7 – Alcune anime, – molte delle quali han trattato con me – appena elevate alla contemplazione perfetta vogliono l’impossibile: cioè, star sempre in quello stato.

9 – Quando la volontà non arde di quel fuoco di cui ho parlato, né si sente in noi la presenza del Signore, è volere di Dio che ce ne andiamo in cerca, come la sposa dei Cantici.

10 – Io chiamo meditazione un discorso fatto con l’intelletto nel modo seguente. Cominciamo col pensare alla grazia che Dio ci ha fatto nel darci il suo unico Figliuolo; poi percorriamo senza fermarci tutti i misteri della sua gloriosa esistenza; oppure cominciamo con l’orazione nell’orto, seguendo con l’intelletto nostro Signore fino alla sua crocifissione.Questa è un’orazione assai bella e molto meritoria.

11 – Eppure, ripeto, questa è l’orazione che le anime elevate da Dio agli stati soprannaturali e alla contemplazione perfetta dichiarano di non saper fare. Io non ne so il motivo, ma ordinariamente è cosa, ed esse han ragione.

Con un semplice sguardo si vede chi Egli sia, e quanto enorme la nostra ingratitudine verso un dolore così grande. Accorre subito la volontà, sia pure senza tenerezza, ma col desiderio di rispondere in qualche cosa a tanta grazia e di soffrire un poco per Colui che ha tanto sofferto, ed altri simili desideri molto atti ad occupare la memoria e l’intelletto.Questo, a mio parere, è il motivo per cui l’anima non può passare innanzi e discorrere a lungo sulla passione, e ciò le fa credere di non sapersi in essa occupare. 12 – Qualora non lo possa veramente, è sempre bene che vi si sforzi , perché so che questo esercizio non impedisce neppure la più alta orazione.

Capitolo 8

In che modo Iddio si comunichi all’anima nella visione intellettuale – Alcuni avvisi in proposito – Effetti che questa visione produce quando è vera – Tali grazie si devono tener segrete

1 – È bene ora vedere che, quando Dio lo vuole, noi non possiamo far altro che star sempre con Lui , e ciò vi farà capire più chiaramente la verità di quello che vi ho detto e che quanto più un’anima va innanzi, tanto più continua si fa la sua compagnia col buon Gesù, secondo quello che si apprende dalle diverse maniere con cui Egli si comunica alle anime, mostrando l’amore che ci porta.

2 – Ecco ciò che avviene. Mentre l’anima è in tutt’altri pensieri fuorché in quello di avere tali grazie – grazie che non ha mai pensato di meritare – si sente vicino nostro Signor Gesù Cristo, ma senza che lo veda, né con gli occhi del corpo, né con quelli dell’anima. E questa – non ne so il perché – si chiama visione intellettuale.Una persona che ebbe questa grazia unitamente a molte altre di cui parlerò più avanti, da principio andava molto impressionata perché non capiva cosa fosse, non vedeva nulla e ciò nonostante intendeva così chiaramente essere Cristo quegli che le appariva, da non poterne dubitare.

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3 – Non poteva dubitarne nemmeno se le mettevano indosso delle gravi paure, specialmente quando il Signore le diceva: Non temere, sono io! Queste parole avevano tal forza da toglierle subito ogni dubbio, e da lasciarla in tale compagnia piena di gioia e di coraggio.Riguardo alle sue parole, ella le udiva non quando voleva, ma improvvisamente, a seconda del bisogno. Sentiva che le camminava al lato destro, ma con nessuno di quei segni sensibili per i quali si può conoscere che una persona ci è vicina, bensì in una maniera più delicata che non si deve saper dire: però con la medesima certezza, anzi maggiore, perché con i sensi si può cadere in inganno, mentre qui è impossibile.

4 – Col tempo la visione di quella persona si andò meglio manifestando, ed ella comprese che non era dal demonio. Tuttavia si sentiva alle volte piena di paura, e alle volte con grandissima confusione per non sapere da dove tal bene le venisse.Questa grazia apporta all’anima grande confusione e umiltà.Sarebbe tutto il contrario se fosse dal demonio. Né vi può aver parte l’industria umana, perché l’operazione di Dio è così evidente che in nessun modo l’anima può pensare che sia un bene di suo acquisto, ma datole unicamente dalla mano di Dio.

5 – Insomma, dai vantaggi che lascia si conosce chiaramente che è una grazia assai grande, degna d’immensa stima. Quando Dio crede di privarne, ella si sente sola, e a nulla giovano i suoi sforzi per riaverla, perché Dio la concede quando vuole, né vi son mezzi per procurarsela.

6 – Alle volte si tratta della presenza di qualche santo, e anche allora se ne ha grande giovamento.Ma voi mi direte: Se non si vede nulla, come si capisce che è Cristo, la sua gloriosissima Madre o qualche santo?L’anima non lo sa dire, non comprende come lo capisca e, ciò nonostante, ne è fermissimamente sicura.

7 – Quanto al demonio, non credo possibile, se è lui, che la cosa si protragga a lungo, con tanti vantaggi per l’anima e tanta pace interiore.Un essere così malvagio non potrebbe produrre tanto bene neppure volendolo, perché verrebbero certi fumi di propria stima a farci subito pensare di essere migliori degli altri.Dio poi è fedele, e non permetterà mai al demonio di aver tanta forza sopra un’anima , la cui unica brama è di piacergli e di sacrificare anche la vita per il suo onore e la sua gloria: anzi, farà in modo che ne esca presto disingannata.

8 – Il mio pensiero è e sarà sempre questo: dal momento che l’anima si sente con questi effetti che sono propri delle grazie di Dio, qualche volta Egli potrà permettere al demonio di tentarla, ma la farà uscire con vantaggio e coprirà il maligno di confusione.Da principio sarà bene che ne parliate sotto segreto di confessione con qualche persona molto dotta -sono costoro che ci devono illuminare – oppure con una molto spirituale. Però preferite il molto dotto, se la spiritualità dell’altro non è profonda. Meglio ancora: potendolo, consultate l’uno e l’altro.

Capitolo 9

In che modo Iddio si comunichi all’anima nella visione immaginaria – Raccomanda istantaneamente di non desiderare questa via, e ne dice le ragioni – Capitolo assai utile

1 – Veniamo ora alle visioni immaginarie, nelle quali dicono – e dev’essere vero – che il demonio può intromettersi più facilmente che non nelle precedenti.Ma se vengono da Dio, credo che ci siano più utili, perché più conformi alla nostra natura: eccetto quelle che Dio accorda nell’ultima mansione, alle quali non ve n’è una che possa essere somigliante.

2 – Ecco come nostro Signore si presenta nella visione descritta nel capitolo precedente. Supponiamo di tener chiusa in un astuccio d’oro una pietra preziosa di grandissimo valore e di ammirabili qualità.Non l’abbiamo mai vista, ma siamo sicuri di averla, e portandola con noi non lasciamo di sperimentarne gli effetti e d’apprezzarne il valore, avendoci essa guariti da certe infermità per le quali è appropriata. Tuttavia non osiamo guardarla, né aprirne l’astuccio.

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Anzi, non lo possiamo neppure, perché il modo di aprirlo è noto solo al suo padrone, il quale ce l’ha imprestata perché ce ne gioviamo, ma se ne è tenuta la chiave.Quando vorrà mostrarci la pietra, aprirà l’astuccio, come sua cosa propria; e quando gli piacerà, se la porterà via, così come suol fare.

3 – Supponiamo ora che di tanto in tanto apra improvvisamente l’astuccio in beneficio di colui a cui l’ha imprestata. Questi ne avrà un ricordo più vivo, e non potrà pensare all’ammirabile splendore di quella pietra senza provarne una gioia particolare. Così qui.Quando il Signore si compiace di favorire alcuno con maggior affetto, gli mostra svelatamente la sua sacratissima Umanità sotto la forma che vuole, o come era quando viveva sulla terra o come dopo la sua resurrezione, sia pure con tanta rapidità da fare pensare a un lampo.4 – Ho detto immagine, ma non già nel senso che debba parere una pittura, bensì come un Essere veramente vivo, che alle volte parla con l’anima e le svela dei sublimi segreti, nonostante che il suo splendore non offenda gli occhi dell’anima, come lo splendore del sole quelli del corpo.

5 – Qui non vi è bisogno di chiedere come si conosca chi Egli sia. Non occorre che alcuno ce lo dica, perché si dà a conoscere da sé molto bene come Signore del cielo e della terra.

8 – Se l’anima può indugiarsi a lungo nella contemplazione del Signore, credo che non si tratti di visione, ma di una qualche figura formatasi nell’immaginazione in seguito a una considerazione molto intensa: figura che, paragonata a quella di cui parlo, sarà come una cosa morta.

9 – Ecco quanto avviene ad alcune persone. S’immergono in tal modo nelle loro immaginazioni da essere sicurissime di vedere tutto quello che pensano.Ma esse comprenderebbero tosto il loro errore, se avessero avuto una qualche vera visione, perché, non solo non ne risentono alcun effetto, ma siccome sono loro stesse a fabbricare quel che vedono con l’immaginazione, rimangono molto più fredde che se vedessero un’immagine devota.

10 – Non così nel caso nostro. Mentre l’anima è molto lontana e non pensa neppure di aver da vedere qualche cosa, ecco che d’improvviso le si presenta la visione, la quale mette sossopra le potenze e i sensi con gran timore e turbamento, per poi lasciarli in una pace deliziosa.Per qualche tempo l’anima conserva una tale certezza della divina provenienza di questa grazia che, per quanto le dicano in contrario, nulla può indurla à temere d’essere stata in inganno.Ma in seguito, quando il confessore cerca d’intimorirla, Dio permette che ne dubiti, pensando che ciò possa essere in castigo dei suoi peccati. Tuttavia non ne è convinta.

11 – Siccome è una cosa che i confessori non possono vedere, e la persona che ne è favorita non sa alle volte spiegarsi, essi han tutti i motivi di temere. Perciò si deve procedere con circospezione e attendere che il tempo ne mostri i frutti, osservando se l’anima ne esca più umile e più fortificata in virtù. Il demonio, se è lui, darà presto dei segni e si lascerà sorprendere in mille falsità.

12 – Importa molto, sorelle, che vi comportiate con il confessore con grande verità e schiettezza, non soltanto quanto a manifestargli i vostri peccati, com’è doveroso, ma anche nel dargli conto della vostra orazione.

14 – Un gran vantaggio di questa grazia è che l’anima, pensando al Signore, alla sua vita e alla sua passione, ricorda il suo dolcissimo e bellissimo volto e ne prova vivissima consolazione, a quel modo che anche tra noi si sente più piacere nel pensare ai benefici di una persona conosciuta che non di un’altra mai vista.

15 – E’ mancanza di umiltà volere che vi si dia quello che non avete meritato: e credo che chi lo desidera, di umiltà ne abbia ben poca. Queste grazie, a mio parere, non sono concesse che agli umili, perché il Signore, prima di accordarle, invia sempre un qualche grande sentimento della propria nullità.Credete forse che siano leggeri i travagli delle anime che così Dio favorisce? No, ma grandissimi e di vario genere. E allora, come sapete di essere capaci di sopportarli?

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16 – Oltre a queste, vi son altre ragioni. Per cui, credetemi, il più sicuro è di non volere se non quello che Dio vuole, il quale ci conosce più di noi e ci ama. Mettiamoci fra le sue mani, affinché compia in noi la sua santa volontà: mantenendoci in essa con animo risoluto, non cadremo mai in errore. Dovete inoltre avvertire che il fatto di ricevere tali grazie non significa che si abbia pure maggior merito. Anzi, ricevendo di più, si rimane obbligati. Capitolo 10

Altre grazie e diversa maniera con cui Dio le concede – Gran profitto che se ne ricava

1 – Il Signore si comunica con queste apparizioni in varie circostanze: alle volte quando l’anima è afflitta, altre volte quando le ha da venire qualche grave travaglio, ed altre quando Sua Maestà vuole deliziarsi con lei e favorirla. Sua Maestà si comunica ancora in altri modi; molto più sublimi e meno pericolosi, nei quali le contraffazioni del demonio non credo siano possibili. Ma siccome si tratta di cose molto occulte, non è troppo facile parlarne, a differenza delle visioni immaginarie che si possono spiegare più facilmente.

2 – Ecco ciò che accade quando Dio lo vuole. L’anima, mentre è in orazione e profondamente in essa assorbita, si sente improvvisamente sospesa, e il Signore le fa intendere grandi segreti, che ella crede di vedere nello stesso Dio.Ho detto vedere, ma in realtà non vede nulla, perché non si tratta di una visione della sacratissima Umanità e neppure di una visione immaginaria, ma di una molto intellettuale, nella quale s’intende in che modo si vedano in Dio le cose e come Egli le contenga in sé. Benché sia una grazia fugacissima, tuttavia s’imprime nell’anima profondamente, e grandi sono gli effetti che ne vengono.

7 – Mi chiedevo una volta perché Dio ami tanto l’umiltà, e mi venne in mente, d’improvviso, senza alcuna mia riflessione che ciò dev’essere perché Egli è somma Verità, e che l’umiltà è verità.È verità indiscutibile che da parte nostra non abbiamo nulla di buono, ma solo miseria e niente . Chi più lo intende, più si fa accetto alla suprema Verità, perché in essa cammina.

Capitolo 11

Tratta di certi desideri di godere Iddio, dati all’anima da Dio stesso, così grandi e impetuosi da mettere in pericolo la stessa vita. Vantaggi che l’anima ne ricava

1 – Bastano forse queste grazie perché la colombella o farfalletta – non crediate che me ne sia scordata – si senta soddisfatta e si riposi dove dovrà morire?No, certamente. Anzi, il suo stato si fa molto più grave, geme e va continuamente fra le lacrime. Benché riceva queste grazie da molti anni, tuttavia, ognuna di esse accresce il suo tormento, perché meglio vi conosce le grandezze del suo Dio.Ed ella, vedendosi da lui separata e così lontana dal possederlo, sente aumentare i suoi desideri, in proporzione dell’amore che va pur esso aumentando, a misura che più scopre quanto meriti di essere amato quel suo gran Dio e Signore.

2 – Mentre l’anima va così ardendo in se stessa, ecco che in seguito a un minimo pensiero o a una parola che senta sulla lentezza della morte, le viene – non si sa da che parte, né in che modo – come un colpo o una saetta di fuoco.Mi pare che si faccia sentire, non in quella parte dove si sperimentano i dolori della terra, ma nel più intimo e più profondo dell’anima, dove questo fugacissimo raggio riduce in polvere tutto ciò che trova di questa nostra bassa natura, tanto da esserci impossibile, finché esso continua, di ricordarci ancora di noi.

3 – Allora quella persona comprende quanto più grandi delle pene del corpo siano quelle dell’anima, e pensa che di questa natura debbano pur essere quelle del purgatorio, dove l’assenza del corpo non impedisce all’anima di soffrire assai di più che non qui sulla terra in compagnia del corpo.

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5 – Perché ancora vivere separata dal suo Bene? Si sente come in una strana solitudine, e non varrebbero a tenerle compagnia, non solo tutte le creature della terra, ma neppure, credo, gli stessi abitanti del ella ama: anzi, le sarebbero di tormento.Si vede come per aria, senza appoggi sulla terra e senza mezzi per salire al cielo. Arde di sete e non può giungere all’acqua: sete intollerabile, salita ormai a tali estremi da non poter essere saziata che con l’acqua di cui il Signore parlò alla Samaritana. Altra ella non ne vuole, e questa intanto non le viene concessa! ...

7 – Pensiamo un momento, sorelle, a coloro che sono all’inferno. Non hanno né questa conformità al volere di Dio, né questa gioia e contento interiore, né la speranza che i loro tormenti siano ad essi di vantaggio, ma una continua sofferenza che va sempre più aumentando: dico che va sempre più aumentando quanto alle pene accidentali.Ora, siccome le sofferenze dell’anima, sono assai più terribili di quelle del corpo; siccome i tormenti che là si soffrono sorpassano di gran lunga quelli di cui abbiamo parlato, con l’aggiunta che dovranno essere eterni, che sarà mai di quelle anime infelici?

8 – Ritorniamo ora al nostro argomento, cioè alla gran pena in cui abbiam lasciato l’anima.In quel grado d’intensità non dura molto: tutt’al più, tre o quattro ore. Più a lungo non lo credo possibile, tranne che per un miracolo, perché la nostra naturale debolezza non la potrebbe sopportare.

10 – È uno stato assai penoso, ma l’anima ne esce con grandissimi effetti, senza più la paura delle tribolazioni possibili, in quanto non vi è più nulla dopo quel tormento che possa ancora intimorirla.Avendo constatato che nessuna cosa della terra le può essere allora di conforto, sente per il mondo maggior disprezzo di prima; avendo compreso che solo il Creatore può consolare e saziare la sua anima, esce con maggior distacco dalle creature; e avendo veduto che se Egli può consolare, può anche far soffrire, ne concepisce maggior timore, e si studia più attentamente di non offenderlo.

La settima tappa è l’approdo alla piena comunione con Cristo nella orazione che conduce alla perfetta maturità apostolica: dall’orazione alle opere nella Chiesa, dunque.

Nelle tappe 1-3 è l’orante che si impegna, poi (4-7) è tutto dono di Grazia… non spetta dunque all’individuo scegliere a che livelli di orazione arrivare, ma è dato solo a qualcuno che viene preparato per un compito speciale nella chiesa (poiché dall’orazione si arriva alle opere!).

Un conto è poi progredire nel cammino di orazione e altro progredire nel cammino di santità: si può raggiungere il vertice della santità, pur senza raggiungere il vertice del cammino di orazione (si potrebbe giungere solo alla terza tappa e non oltre, poiché oltre sono chiamati quanti sono scelti per un compito speciale nella Chiesa). Si può vivere perfettamente la carità e la volontà di Dio, dunque essere perfettamente santi, senza però giungere ai vertici della orazione, poiché magari non si è scelti per compiti particolari nella Chiesa…

ORAZIONE DI RACCOGLIMENTO

È il metodo insegnato da Teresa. - Cammino di perfezione - CAPITOLO 26

Indica come raccogliere il pensiero e parla dei mezzi per riuscirvi. È un capitolo assai utile per coloro che cominciano a praticare l’orazione.

1. Ora, ritornando alla nostra orazione vocale, bisogna pregare in modo che senza rendercene conto, Dio ci conceda insieme l’altra, ma per questo – ripeto – occorre pregare come si deve.

L’esame di coscienza, il recitare il Confiteor e il farsi il segno della croce, si sa bene che devono essere la prima cosa. Subito dopo, figlie mie, poiché siete sole, cercate di trovare una compagnia. E quale compagnia migliore di quella dello stesso Maestro che ci ha insegnato la preghiera che state recitando? Immaginatevi

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questo nostro Signore vicino a voi e considerate con quale amore e con quanta umiltà vi istruisce; credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico. Se vi abituerete a tenervelo vicino, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete, come suol dirsi, togliervelo d’attorno; vi assisterà sempre; vi aiuterà in tutte le vostre difficoltà; l’avrete con voi dappertutto. Credete che sia poca cosa aver sempre al fianco un tale amico?

2. Oh, sorelle mie, voi che non potete discorrere molto con l’intelletto, né potete concentrare il vostro pensiero senza cadere in distrazioni, abituatevi a ciò che vi suggerisco, abituatevi! Badate che io so che potete farlo, perché ho trascorso molti anni in questo tormento, di non poter fermare il pensiero su un unico soggetto, ed è un grandissimo tormento, ma so che il Signore non ci lascia mai così sole da non tenerci compagnia se riusciamo a chiederglielo con umiltà; e se non l’otteniamo in un anno, impieghiamocene pure molti! Non rimpiangiamo un tempo così ben speso: chi ci corre dietro? Ripeto che potete acquistarne l’abitudine e adoperarvi a stare in compagnia di questo vero Maestro.

3. Non vi chiedo ora di concentrare il vostro pensiero su di lui, né di fare molti ragionamenti né profonde e sublimi considerazioni con la vostra mente: vi chiedo solo di guardarlo. E chi può impedirvi di volgere gli occhi della vostra anima, anche solo per un attimo, se non potete di più, a questo Signore? Se potete guardare cose ripugnanti, non potrete guardare la cosa più bella che si possa immaginare? Eppure, figlie mie, il vostro Sposo non distoglie mai gli occhi da voi; ha sopportato da voi mille cattiverie e offese, senza che ciò sia bastato perché lasciasse di guardarvi. Sicché è troppo per voi, tolti gli occhi dalle cose esteriori di quaggiù, rivolgerli qualche volta a lui? Badate che egli, come dice alla sposa, non aspetta altro se non un nostro sguardo. Lo troverete sotto l’aspetto in cui lo avrete desiderato. Stima tanto questo sguardo che, per averlo, non trascurerà nulla.

Non si tratta di formare pensieri o guardare immagini esteriori, bensì coglierlo con lo sguardo interiore. Mentre Ignazio chiedeva all’immaginazione interiore di ricreare la figura su cui fissarsi.

4. Così dicono che si debba comportare una donna con il marito, per essere una buona sposa: mostrarsi triste, se egli è triste, se allegro, allegra, anche quando non lo sia affatto (considerate, sorelle, da quale soggezione vi siete liberate). Ebbene, questo sinceramente, senza alcuna finzione, fa il Signore con noi: si fa vostro servo e vuole che voi siate le padrone, uniformandosi ai vostri desideri. Se vi sentite disposte alla gioia, contemplatelo risuscitato. E solo immaginare come uscì vittorioso dal sepolcro vi riempirà di allegrezza. In effetti, che splendore, che bellezza, quale maestà, quale trionfo e quale giubilo! Quelli che convengono a chi è uscito con gloria dalla battaglia dove ha conquistato un così gran regno che vuole tutto per voi, insieme con lui. È dunque molto che volgiate una volta gli occhi a colui che vi offre tanto bene?

5. Se siete afflitti o tristi, pensate a quando si reca per l’orazione nell’Orto degli ulivi: che profonda afflizione doveva avere nel cuore se, pur essendo il Servo sofferente, manifesta la sua sofferenza e se ne lamenta! O anche pensatelo legato alla colonna, spasimante di dolori, con tutte le carni a brandelli per il grande amore che vi porta! Quanti patimenti! Perseguitato dagli uni e coperto di sputi dagli altri, rinnegato e abbandonato dai suoi amici, senza che alcuno prenda le sue difese, morto di freddo e ridotto in tale solitudine che voi potete, accanto a lui, ben consolarvi a vicenda; o quando, sotto il peso della croce, non gli era concessa una tregua per respirare. Egli vi guarderà con quei suoi occhi tanto belli, compassionevoli, pieni di lacrime, e dimenticherà i suoi dolori per consolare i vostri, solo perché vi rivolgete a lui per essere consolati e volgete la testa dalla sua parte per guardarlo.

6. «Oh, Signore del mondo, vero Sposo mio», potete dirgli, se il vederlo in tale stato vi ha intenerito il cuore al punto che non solo desiderate guardarlo, ma che sentiate la gioia di parlare con lui, non con preghiere studiate, ma con la pena del vostro cuore, di cui egli fa grandissimo conto, «siete giunto a tali estremi, mio Signore e mio Bene, che vi degnate accettare una povera compagnia come la mia, e vedo dal vostro aspetto che vi sentite consolato nel sentirmi vicina a voi. Ma com’è possibile, Signore, che gli angeli vi lascino solo e che vostro Padre non vi consoli? Se, Signore, è perché voi volete sopportare tutto per me, cosa mai è questo che io soffro per voi? Di che mi lamento? Mi vergogno tanto di avervi visto in tale stato che voglio sopportare tutte le sofferenze che mi possano sopravvenire e stimarle come un grande bene per imitarvi in qualche cosa. Camminiamo insieme, Signore; io devo andare dove andrete voi; dovunque passerete, passerò anch’io».

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7. Prendete, figlie, su di voi parte del peso di quella croce; non curatevi di poter essere insultate dai giudei, purché il fardello, che tanto l’aggrava, sia più leggero; non badate a quello che vi diranno; fingetevi sorde alle mormorazioni, inciampando e cadendo con il vostro Sposo, non separatevi mai dalla croce, né abbandonatela. Considerate con quanta stanchezza si trascini e quanto il suo tormento superi i vostri patimenti. Per gravi che voi immaginiate che siano, e per quanto vi facciano soffrire, ne uscirete consolate, vedendo che sono uno scherzo in confronto a quelli del Signore.

8. Mi chiederete, sorelle, come ciò possa essere in pratica, perché lo avreste fatto ben volentieri e non avreste mai distolto lo sguardo da lui, se aveste potuto vederlo con gli occhi del corpo nel tempo in cui Sua Maestà era sulla terra. Non credetelo; chi infatti ora non può imporsi un po’ di forza per raccogliersi a contemplare il Signore nell’interno della sua anima (cosa che può fare senza alcun pericolo, ma solo con un po’ di diligenza), molto meno si sarebbe posto ai piedi della croce con la Maddalena, che vedeva la morte a faccia a faccia. Quanto hanno dovuto soffrire la gloriosa Vergine e questa santa benedetta! Quante minacce, quante parole ingiuriose, quanti maltrattamenti e villanie! Con che tipo di cortigiani riguardosi avevano a che fare! Sì, cortigiani dell’inferno, ministri del demonio. Certamente fu terribile quel che dovettero subire, ma di fronte a un dolore ben più grande non sentivano il proprio. Pertanto, sorelle, non credete che sareste state capaci di sopportare così grandi sofferenze, se non siete capaci di affrontare così piccole cose; esercitandovi in esse, riuscirete a conseguirne di più grandi.

9. Ciò che in questo potrà esservi di aiuto è avere un’immagine o un ritratto di questo Signore, che vi piaccia; non per recarlo sul seno e non guardarlo mai, ma per parlare spesso con lui, il quale vi suggerirà quello che gli dovrete dire. Come parlate con le creature umane, perché vi dovrebbero mancare le parole per parlare con Dio? Non temetelo, almeno io non credo che ciò possa accadere, se vi esercitate a farlo. Diversamente sì, perché la mancanza di rapporti con una persona causa un certo imbarazzo alla sua presenza e ci rende incapaci di parlare con lei, come se non la conoscessimo, anche se si tratta di un parente, in quanto parentela e amicizia si perdono con la mancanza di relazione.

Non si tratta dunque di immaginare (e distrarsi), bensì aiutarsi con una immagine o figura esteriore.

10. È pur un grande aiuto prendere un buon libro, in volgare, anche per concentrare il pensiero e pregare bene vocalmente: a poco a poco, con queste attrattive e con questi espedienti, abituerete la vostra anima alla meditazione, senza spaventarla. È come se una sposa da molti anni si sia separata dal suo sposo: perché ritorni alla sua dimora occorre far ricorso a molta diplomazia. Così è di noi peccatori: la nostra anima e la nostra mente sono talmente abituate a seguire il proprio piacere o, meglio, la propria afflizione, che la povera anima non si comprende più, e perché torni a nutrire l’amore di stare nella sua casa, è necessario servirsi di molta diplomazia; se non si fa così e non si procede per gradi non si riuscirà a nulla. Torno a garantirvi che, abituandovi con ogni cura a fare ciò che dico, ne trarrete un tale profitto quale a me non riesce spiegarvi, pur volendolo. Avvicinatevi, dunque, a questo buon Maestro, con la ferma risoluzione d’imparare ciò che egli vi insegnerà. E Sua Maestà farà sì che non manchiate di divenire sue buone discepole, né vi verrà meno se voi non venite meno a lui. Meditate le parole che pronunzia quella bocca divina, e fin dalla prima comprenderete subito l’amore che ha per voi. Non è certo piccolo conforto né dono da poco per un discepolo vedersi amato dal proprio Maestro.

Il libro diventa un mezzo per aiutarsi a diventare coscienti della presenza di Cristo. Quindi non è una orazione di pensieri e immagini (come per Ignazio), bensì un pensiero o una immagine che porta all’orazione. PREGARE NON CONSISTE NEL MOLTO PENSARE MA NEL MOLTO AMARE

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SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Dottore della Chiesa in forza della sua dottrina mistica. Possiede una solida formazione teologica che gli torna utile per interpretare e descrivere la vita mistica. È dunque un TEOLOGO oltre che POETA e MISTICO.

La sua esperienza spirituale non pare però trasparire nelle circa mille pagine di prosa redatte (mentre Teresa fa teologia narrando di sé). Come unico riferimento cita la Scrittura, ma lascia trapelare la sua formazione tomista e la sua esperienza di direttore spirituale, assai meno la sua esperienza mistica.

Nasce nel 1542 a Fontiveros e resta presto orfano di padre. Di agiata famiglia, suo padre si innamora di una serva e, nonostante l’opposizione famigliare, non rinuncia all’amore. Rinnegato dai suoi, una volta morto lascia il piccolo Giovanni nella povertà materiale e degli affetti. Si forma dunque un animo assai sensibile alle sofferenze altrui. Insieme alla madre e ai fratelli, cresce a Medina del Campo, dove si distingue per l’impegno volontario al servizio dei malati nel locale “ospedale”. Nel locale collegio dei gesuiti riceve una prima formazione, ma quando emerge la sua vocazione religiosa, sceglie a sorpresa l’ordine carmelitano, mentre si pensava che avrebbe scelto di essere prete e cappellano dell’ospedale, se non gesuita. Ordinato sacerdote nel 1567, dopo aver studiato a Salamanca, distinguendosi tra i migliori studenti. Nello stesso anno entra in crisi, ma incontra Santa Teresa d’Avila che lo incoraggia a lavorare per la riforma dell’ordine. Nel 1569 nasce il primo Carmelo riformato.Ancora immaturo umanamente e spiritualmente, compie scelte eccessive in merito alla povertà. Teresa, saputolo, ne modera l’impeto giovanile, e quasi subito chiude il primo monastero perché inadatto a che vi abitino dei religiosi. Fino al 1577 è formatore dei novizi e per 5 anni confessore al monastero dell’Incarnazione di Avila, finché accade la svolta. L’opera di riforma suona come critica di quanti non scelgono la vita riformata e suscita invidia e divisioni. Nel 1577 viene dunque incarcerato nel convento di Toledo e vi rimane fino al 1588. In questa reclusione riceve grandi grazie mistiche che lo conducono alla maturazione spirituale. In una stanzetta di 1,30 x 2,70 mt - pur piccolino per malnutrizione d’infanzia – è rinchiuso come un animale, con una sola finestra che non dava all’esterno, quindi senza luce del sole. Un po’ di acqua, un po’ di pane e 3 sardine al giorno. Nei giorni di penitenza della comunità, veniva portato a pranzare coi confratelli, mangiando pane e acqua in ginocchio, dopo di che veniva percosso dai confratelli con la disciplina. Non poté celebrare messa né ricevere cambi di biancheria, tenendo con sé solo il breviario. Ma in questo contesto Giovanni riceve grazie mistiche fondamentali, dopo aver attraversato la notte oscura dello spirito. Ed è qui che nasce il suo CANTICO SPIRITUALE. Riesce a fuggire, calandosi da una finestra, giungendo nell’orto del convento delle francescane e da qui scappa, mantenendo poi relazioni assai tese con l’ordine. Incorso in un tumore al piede che lo condurrà poi alla morte, scamperà l’invio nelle missioni del Messico da parte di chi voleva toglierselo proprio di torno. Muore nel 1591.

Scrive 1000 pagine circa, ma non ama scrivere. Ha un profondo spirito pratico (muratore, orticoltore) e apostolico: vorrebbe essere ministro della riconciliazione e predicare… Ma scrivere gli era pesante e preferiva scrivere in rima: è un poeta, il Dante della lingua spagnola! Letterariamente e misticamente al vertice.

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Le opere in prosa non sono che il commento teologico ai suoi versi poetici.Il CANTICO SPIRITUALE viene composto nel carcere, mentalmente, poiché non aveva da scrivere nella sua cella. Solo dopo la fuga (1588), potrà scriverlo. Lo rimaneggia, aggiunge delle strofe, ma fondamentalmente il nucleo è quello della prigionia.

Secondo poema è LA NOTTE OSCURA, cui segue LA FIAMMA D’AMORE VIVO.

Accanto a questi tre poemi maggiori, esiste una serie di poemi letterariamente minori ma fondamentali dal pv teologico. Tutti composti mentalmente nel carcere di Toledo, sono le romanze a carattere trinitario.

Viene poi la produzione in prosa: l’omonimo CANTICO SPIRITUALE, in due versioni A e B, successive, la seconda delle quali è rivista ed è quella normalmente citata.

Alla NOTTE OSCURA dedica il commento omonimo (“Notte oscura”) in due libri, pur limitandosi a commentare di fatto poche strofe.

Ancora, la SALITA AL MONTE CARMELO, in due libri, nella sua intenzione doveva essere un altro commento alla Notte Oscura (in rima), ma nel corso dello scrivere non farà altro che commentare uno schema che lui stesso aveva ideato e vergato su carta e consegnato alle diverse monache di cui era direttore spirituale. Un disegno detto “monte di perfezione” che sintetizza la sua dottrina spirituale.

La SALITA risulta piuttosto il commento a uno schema di vita spirituale che Giovanni della Croce era solito tracciare per i confratelli carmelitani (cfr. schema autografo di Giovanni della Croce).

Il CANTICO SPIRITUALE – composto in carcere – ha due commenti: il “commento al cantico spirituale A”, poi rimaneggiato come “commento al cantico spirituale B”, versione aggiornata e quindi ritenuta più affidabile per il suo pensiero e quindi usualmente citata.

FIAMMA D’AMOR VIVO è commentato nell’opera in prosa FIAMMA.

La raccolta nelle opere di SGC è logico, non cronologico. E secondo la nostra logica, non del santo.

Il santo infatti avrebbe messo Cantico spirituale, Fiamma d’amor viva, Salita, Notte oscura. Che si accettano solo alla luce delle due opere di commento (Cantico B e Fiamma). Il poema NOTTE e i commenti in prosa (SALITA e NOTTE) presentano la dimensione ascetica del cammino spirituale, ma SGC nella sua logica giustifica questo cammino perché si giunge all’unione di amore con Dio, che viene dunque cantata e spiegata nel CANTICO e nella FIAMMA. Dunque prima bisogna premettere le opere relative.

Per leggere le sue opere, è bene cominciare dal CANTICO (e relativo commento B). Gustata la bellezza del mistero di Dio, allora si potrà affrontare la parte più impegnativa.

Ma la raccolta pubblicata segue un ordine diverso, opposto, per cui è bene… cominciare dalla fine.

Il CANTICO SPIRITUALE è una sorta di riscrittura del Cantico dei Cantici. Lo riscrive partendo dal proprio genio poetico e dalla propria esperienza spirituale.

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Leggiamo il commento alla prima strofa (B)

I - Allorché l'anima riflette su quanto è obbligata a fare, si accorge che la vita è breve (Giob., 14, 5), il sentiero della vita stretto (Mt. 7, 14), il giusto a stento si salva (I Piet. 4 [18]); conosce che le cose del mondo sono vane ed ingannevoli, che tutto finisce e viene a mancare come l'acqua che scorre (2 Samo 14, 14), che il tempo è incerto, rigoroso il giudizio, la perdita molto facile e la salvezza molto difficoltosa· D'altra parte pensa al grande debito di gratitudine che ha verso Dio, per averla creata solamente per sé, onde gli deve il servizio di tutta la vita, e per averla redenta solo per sé, in forza di cui gli deve tutto l'affetto del cuore; riflette ai mille altri benefici per cui si sente obbligata a Dio prima ancora di nascere, mentre gran parte della sua vita è trascorsa invano, cosa di cui dovrà rendere strettissimo conto fino all'ultimo quadrante (Mt. 5, 26), nel giorno in cui il Signore scruterà Gerusalemme con lucerne accese (Sol. I, [12], perché è tardi, torse l'ultima ora del giorno (Mt., 20, 6). Per rimediare a tale male e danno, tanto più che sente che Dio è molto irato e nascosto perché ella si è voluta dimenticare di Lui in mezzo alle creature, presa da paura e da vivo dolore intimo per un pericolo così grave di perdizione, rinunciando a tutte le cose, anteponendolo ad ogni altra cura, senza differirlo né di un giorno né di un'ora, con ansie e gemiti sgorgati dal cuore ferito ormai di amore di Dio, comincia ad invocare 1'Amato dicendo:

STROFA IDove ti nascondestiin gemiti lasciandomi, o Diletto?Come Il cervo fuggisti,dopo avermi ferito;ti uscii dietro gridando: ti eri involato.

È una introduzione solenne, piena di gerundi, che attendono il verbo principale che arriva solo alla fine. Fatta l’esperienza nella propria vita della brevità dell’esistenza, di quanto ha sbagliato, di quanto Dio lo ama, ecco che l’anima invoca il Signore.

SPIEGAZIONE

2 -In questa prima strofa, l'anima innamorata del Verbo Figlio di Dio, suo Sposo, desiderando unirsi con Lui mediante la visione chiara ed essenziale espone le sue ansie di amore, lamentandosi con Lui della sua assenza. E ciò specialmente perché essendo stata ferita dall'amore suo, per mezzo del quale è uscita da tutte le cose create e da se stessa, deve ancora soffrire l'assenza dell'Amato, a momento che Egli non la discioglie dalla carne mortale per renderle possibile di goderlo nella gloria della eternità. Perciò dice:

Dove ti nascondesti?

3 – Come se dicesse: Verbo, Sposo mio, mostrami il luogo dove stai nascosto. Con queste parole gli chiede la manifestazione della sua divina essenza, perché il luogo dove il Figlio di Dio sta nascosto è, come dice S. Giovanni I, 18), il seno del Padre, cioè l'essenza divina, la quale è lontana ad ogni occhio mortale e nascosta a ogni intelletto. Ciò volle dire Isaia quando affermò: Veramente tu sei un Dio nascosto (45, 15). Quindi è bene notare come, per quanto grandi siano le comunicazioni e gli atti delle divine presenze, alte e sublimi le notizie di Dio che un'anima ha in questa vita, tutto ciò non e essenzialmente Dio né ha niente a che vedere con Lui, poiché invero Egli è ancora nascosto all'anima. È necessario perciò che essa lo stimi superiore a tutte queste grandezze, lo creda nascosto e lo cerchi come tale dicendo: Dove ti nascondesti? Poiché né l'alta comunicazione, né la presenza sensibile sono indizio maggiore della sua presenza per grazia, né la mancanza di tutto ciò nell'anima ne indica l'assenza; perciò il Profeta Giobbe dice: Se verrà a me non lo vedrò, se mi fuggirà non me ne accorgerò (9, I I).

“Uscire da sé” è tema della “Salita al monte Carmelo”. Ma ancora nella carne non si può entrare nella comunione col Figlio. Il Verbo è nascosto nel seno del Padre.

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5 - Proprio questo vuole affermare la sposa nel Cantico (I, 6) allorché, desiderando di unirsi con la divinità del Verbo suo Sposo, la chiede al Padre, dicendo: Mostrami dove ti pasci e ti riposi sul mezzogiorno. Chiedendogli dove si pasca, gli domanda di mostrarle l'essenza del Verbo divino, poiché il Padre non si pasce in altra cosa che nell'unico suo Figlio, che è la sua gloria. Pregando che le mostri dove riposa gli chiede la stessa cosa giacché il Padre non riposa ne sta in altro luogo che nel suo Figlio, unica sua delizia, nel quale riposa comunicandogli tutta la sua essenza, sul mezzogiorno, cioè nell'eternità dove lo ha generato e sempre lo genera. Dunque il Verbo divino dove il Padre si pasce con gloria infinita e questo petto fiorito dove Egli prende riposo con immenso diletto amoroso, nascosto ad ogni creatura mortale, chiede ora l'anima sposa quando dice: Dove ti nascondesti?

***Il commento di SGC è dunque appassionato, mistico, biblico.

STROFA 36 Godiam l'un l'altro, Amato,in tua beltà a contemplarci andiamosul monte e la collina,dove acqua pura sgorga;dove è più folto dentro penetriamo. SPIEGAZIONE 3 - Compiuta ormai l'unione perfetta di amore fra l'anima e Dio, ella desidera occuparsi ed esercitarsi nelle proprietà dell'amore. Perciò in questa strofa è lei che parla con lo Sposo chiedendogli tre cose proprie dell'amore.In primo luogo desidera di riceverne il gaudio e il gusto, che ella chiede dicendo: Godiam l'un l'altro, Amato; quindi desidera di rendersi simile al Diletto e glielo domanda quando dice: In tua beltà a contemplarci andiamo; desidera infine scrutare e conoscere le cose e i segreti dell'Amato, e glielo chiede quando afferma: Dove è più folto dentro penetriamo. in tua beltà a contemplarci andiamo; 5 - che significa: facciamo in modo che, per mezzo di questo esercizio di amore, giungiamo in cielo a specchiarci nella tua bellezza. Vale a dire: io sia trasformata nella tua bellezza tanto che, divenuta simile a te, anzi possedendo la tua stessa beltà, ci vediamo tutt'e due in essa. Ciò avvenga in maniera tale che, guardandoci l'un l'altro, ciascuno di noi veda nell'altro la propria bellezza giacché, essendo io già assorbita nella tua beltà, quella dell'uno e dell'altro è tua soltanto.Così io vedrò te nella tua bellezza e tu me nella tua bellezza, e tu ti vedrai in me nella tua bellezza ed io mi vedrò in te nella tua bellezza. Che io sembri te nella tua bellezza e tu sembri me nella tua bellezza e la mia bellezza sia la tua e la tua sia la mia, così io sarò te nella tua bellezza e tu sarai me nella tua bellezza poiché la tua stessa bellezza sarà la mia.Questa è l'adozione dei figli di Dio i quali con verità diranno a Lui ciò che dice lo stesso suo Figlio in San Giovanni (17, 10) all'Eterno Padre: Padre, tutte le mie cose sono tue e le tue sono mie. Egli lo dice per essenza perché Figlio naturale, noi per partecipazione perché figli adottivi. Perciò Egli dice ciò non solo per sé, che è il capo, ma per tutto il suo Corpo Mistico, cioè per la Chiesa la quale parteciperà alla stessa bellezza dello Sposo nel giorno del suo trionfo, che sarà quando vedrà Dio svelatamente. Per questo l'anima chiede che essa e lo Sposo arrivino a specchiarsi nella bellezza di Lui. Nell’anima si vede la bellezza del Verbo, per cui ci si trasforma nell’Amato.

Tutto il commento al Cantico Spirituale ha questo tenore…Lo scopo è descrivere quanto accade all’anima quando è tutta afferrata dal mistero di Dio e vive una profonda comunione d’amore con lui.

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L’immagine della FIAMMA D’AMOR VIVO è come qualcosa che, bruciando e consumandosi, viene dal fuoco trasformata in fuoco stesso. Questa è la comunione dell’anima con Dio.Solo da questo presupposto si può giungere poi a voler intraprendere la faticosa SALITA…

La SALITA AL MONTE CARMELO è commento allo schema di SGC. Il monte Carmelo è quello su cui si manifesta Dio ed Elia difende la purezza della fede di Israele. Non è solo un luogo arduo da raggiungere, il monte, ma anzitutto è il luogo in cui Dio si rivela e si manifesta. È Dio che anzitutto si manifesta e si rivela all’uomo, come ricorda la DEI VERBUM: Dio si rivela per chiamare a sé.L’uomo è dunque chiamato a compiere un cammino. Non è un cammino per conquistare una vetta, ma una corsa perché siamo stati per primi afferrati da Cristo (San Paolo). Questo è il presupposto necessario per interpretare correttamente il disegno di SGC.

Al termine del primo libro della SALITA, SGC riporta i versetti scritti in basso nel disegno.

I versi dicono così:Per poter gustare il tutto, non cercare il gusto in nulla.Per poter possedere il tutto, non voler possedere nulla.Per poter essere tutto, non voler essere nulla.Per poter conoscere il tutto, non voler sapere nulla.Per raggiungere ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.Per arrivare a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.Per arrivare al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove non hai.Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove non sei.

Se ti fissi su qualcosa, tralasci di slanciarti verso il tutto.Se vuoi giungere per davvero al tutto, devi rinnegarti totalmente in tutto.E qualora giungessi ad avere il tutto, devi possederlo senza voler nulla.Se vuoi possedere qualcosa nel tutto, non hai il tuo unico tesoro in Dio.

Al centro il sentiero della perfezione, che è quello di non desiderare altro che Dio.Poi due sentieri di imperfezione per i beni (1) della terra e (2) del cielo. Sì, perché ci si può attaccare disordinatamente anche a un bene spirituale. Nella SALITA SGC guarda all’esperienza di attaccamento verso i beni di terra & cielo partendo dai vizi capitali. E nota che c’è una gola terrena e pure una gola spirituale. Come pure una lussuria terrena e una legata ai piaceri del Cielo… Li chiama APPETITI (=desiderio / attaccamento), secondo la sua formazione tomista.

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Come intraprendere il sentiero del NIENTE, rinunciando al tutto? Come purificare gli appetiti?Qui entra in gioco la dottrina relativa alla NOTTE OSCURA che SGC distingue in (1) notte attiva dei sensi, (2) notte passiva dei sensi e (3) notte dello spirito.

La notte dei sensi è relativa ai beni terreni, quella dello spirito al rapporto con Dio e i beni spirituali.

Quella dei sensi è notte attiva quando il soggetto credente è più attivo nel praticare le indicazioni pedagogiche di SGC, cercando attivamente di liberarsi dagli appetiti disordinati che gli impediscono di spiccare il volo verso la vetta. Porta l’immagine di un uccellino che non può volare, sia che sia legato da una catena di ferro o da un sottile filo di seta. Non insegna una atarassia totale, ma la purificazione dagli attaccamenti disordinati che impediscono di spiccare il volo verso la meta. “Attivamente” significa impegnarsi per modificare atteggiamenti e azioni che sono di ostacolo verso il raggiungimento di Dio. Che siano catene di ferro o fili di seta, vanno spezzati per liberarsi e spiccare il volo.

Pare non esserci nulla da invidiare a quella spiritualità buddista od orientale cui molti si rivolgono oggi anche tra i cristiani. Anzi: il punto di arrivo è ben diverso: non il nulla per il nulla, bensì il nulla per il Tutto (Dio).

Con tutto l’impegno, resta però una radice di attaccamento. Finché non si estirpa alla radice l’appetito disordinato, c’è sempre il pericolo di farsi legare nuovamente. Ecco allora intervenire la notte passiva dei sensi. È l’inizio della esperienza di contemplazione infusa: attraverso una profonda aridità spirituale, che assomiglia a una notte, l’anima del credente viene liberata, attraverso dinamismi passivi, cioè operati solo da Dio, dalla radice dei propri attaccamenti disordinati.

Nella notte dello spirito emergono dinamismi legati alla dimensione teologale di fede, speranza, carità. Una esperienza tremenda che destruttura e ristruttura il credente nel suo orizzonte teologale. Un’opera dolorosa, perché il credente resta spiazzato, non comprendendo l’agire di Dio, trovandosi in una oscurità e aridità tremende, ma inizio di una comunione profonda con Dio. È come guardare il sole e restare abbagliati. La luce abbagliante produce oscurità. Così l’agire di Dio. Occorre l’aiuto di un direttore spirituale. Per discernere la luce di Dio laddove si crede di essere abbandonati da Lui. Come è successo a Madre Teresa.

SGC ne parla in modo assai forte e drammatico nella SALITA. Nel poema NOTTE OSCURA ne parla in modo liturgico: “Notte che mi hai guidato, notte che hai congiunto l’Amato con l’amata”. Si ricorda l’exultet, cioè il preconio della veglia Pasquale: “O notte veramente gloriosa, che ricongiungesti la creatura col Creatore”. Drammatica, dunque, ma sempre dinamica pasquale…Teresa d’Avila usava l’immagine del baco da seta. Muore l’uomo vecchio e rinasce quello nuovo.

Padre Federico RUIZ, studioso di SGC, immagina di intervistarlo sulla notte oscura…-Fuggito dal carcere, intervista SGC, specialista di “notte oscura”. Uscito dalla cella di Toledo, rifugiatosi in Andalusia, si sente libero ma anche solo e spaesato. Non ha più visto Madre Teresa e gli amici. Ma il soffrire oscurità dà grande luce…-Una sola delle grazie ricevute in carcere non si paga con molti anni di prigionia: non fa esempi su di sé, perché SGC parla pochissimo della sua esperienza (al contrario di Teresa che fa teologia narrando la propria esperienza). -Quando si è nel dispiacere, per non cedere al lamento ci si ricordi di Cristo Crocifisso e si taccia; e si ricordi che Dio dispone ogni avvenimento per il nostro maggior bene. Dove non c’è amore, metta amore e ne otterrà amore. -Solo dopo aver percorso la strada stretta, l’anima canta con gioia, avendo superata la prova da cui le è derivato tanto bene. Della notte si parla bene dopo che la si è superata, mentre si brancola nel buio

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vivendola. Così si esalta la croce perché si è sperimentata la Pasqua di resurrezione. Si esalta la luce, solo dopo aver superato le tenebre.-“Notte oscura” è una immagine scelta dall’infanzia sua per tre motivi: (1) l’anima si allontana dalle cose del mondo e questa privazione è come una notte per i sensi dell’uomo; (2) il cammino è di fede, che per l’intelletto è oscura come la notte; (3) infine il termine del cammino è Dio, il cui grande mistero rimane sempre oscuro fino alla comunione del Cielo (tradizione apofatica dell’oriente cristiano: di Dio si può solo dire ciò che non è).-Ognuno è purificato in misura della perfezione diversa che sta raggiungendo: travaglio, sconforto dal mondo; afflizione dei sensi; tentazioni e sofferenze dello spirito. Quando ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione (Siracide). Più si assomiglia al Figlio, più si è chiamati a portare nella propria carne la morte di Cristo perché nelle nostre membra mortali risplenda la vita di Cristo. (Ogni credente che vuol servire il Signore deve essere disposto a tutto questo).

SGC individua tre segni per discernere la notte oscura (NO) da altre esperienze psicologiche di aridità: (1) perdita del gusto in tutto ciò che riguarda le cose della terra e i beni del Cielo; potrebbe essere NO ma anche depressione…(2) non riesci più a fare meditazione come prima: la notte oscura è regalata a un’anima che sta camminando seriamente, facendo “lectio divina”, ma l’intelletto non riesce più a mettersi in gioco nella preghiera; potrebbe essere NO ma anche negligenza…(3) sei in profonda ansia perché, nonostante tutto, desideri servire il Signore: questo è il segno discriminante per individuare la NO. Ti sembra di non servire più il Signore come invece vorresti. Per cui nonostante la tempesta senti dentro di te il fuoco acceso che ti fa ardere di amore di Dio.

Ognuno attraversa la NO a suo modo. Magari è anche concomitante con un momento di depressione, di malattia, di delusione affettiva, occasioni che la grazia coglie per lavorare nell’anima del credente e introdurla nella dinamica pasquale di morte e resurrezione.

Leggiamo l’ORAZIONE dell’anima innamorata:

Mio Signore, mio amato, se non compi quello che io ti chiedo perché ancora ti ricordi dei miei peccati, fai pure, o Dio mio, riguardo ad essi la tua volontà, che è quanto io cerco di più; usa la tua bontà e misericordia e sarai conosciuto in essi. E se tu attendi le mie opere per concedermi ciò di cui ti prego, concedimele e compile tu e vengano pure le pene che tu desideri accettare da me, ma se tu non aspetti le mie opere, che cosa aspetti, o clementissimo mio Signore? Perché tardi? Se infine deve essere grazia e misericordia quella che ti chiedo nel tuo Figlio, accetta il mio piccolo contributo perché lo vuoi e concedimi questo bene, poiché vuoi anche questo.Chi potrà mai liberarsi dal suo modo di agire e dalla sua condizione imperfetta, se tu, o Dio mio, non lo sollevi a te in purezza di amore? (La Notte oscura, NdR)Come si innalzerà a te l'uomo generato e cresciuto in bassezza, se tu o Signore, non lo sollevi con la mano con cui lo creasti?Non mi toglierai, Dio mio, quanto una volta mi hai dato nel tuo unico Figlio Gesù Cristo, nel quale mi hai concesso tutto ciò che io desidero; perciò io mi rallegrerò pensando che tu non tarderai, se io attendo. Perché indugi a lungo, potendo tu subito amare Dio dentro il tuo cuore?Miei sono i cieli e mia la terra, miei sono gli uomini, i giusti sono miei e miei i peccatori. Gli angeli sono miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lo stesso Dio è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me.Che cosa chiedi dunque e che cosa cerchi, anima mia? Tutto ciò è tuo e tutto per te.Non ti fermare in cose meno importanti e non contentarti delle briciole che cadono dalla mensa del Padre tuo. Esci fuori e vai superba della tua gloria. Nasconditi in essa e gustala e otterrai quanto chiede il tuo cuore.

Un Dio tutto mio e per me, chiede un’anima innamorata.

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SAN FRANCESCO DI SALES

Lasciamo la Spagna del secolo d’oro della spiritualità e ci spostiamo in Francia, dove nascono due scuole nello stesso periodo: quella “francese” (che fa capo al Card. De Berulle) e quella detta “umanesimo devoto”. È terminato l’umanesimo culturale, il cui massimo esponente è Erasmo da Rotterdam. Francesco fa sue le istanze umanistiche e le declina secondo la spiritualità cristiana.Dalla sua spiritualità attingerà San Giovanni Bosco per la propria congregazione (i “salesiani”).Si pone a cavallo tra Francia e Italia, al confine della Savoia (politicamente orientati più a Torino che a Parigi). Quindi: lingua francese e cuore savoiardo.

Con FdS la spiritualità incontra il laicato, il popolo di Dio. Mentre San Giovanni della Croce e santa Teresa di Gesù scrivono per i carmelitani. Sant’Ignazio aveva predicato “anche” ai laici (gli esercizi spirituali) mentre FdS vive, predica e scrive per il popolo. Adulti e bambini. Risulta così antesignano di quella che il CVII designerà come vocazione universale alla santità.

Ha anche a che fare con la realtà religiosa, poiché con la De Chantal darà vita all’ordine della Visitazione (religione dedite alla vita contemplative) per le quali insegnerà e predicherà, offrendo insegnamenti che vengono poi raccolte dalle religiose col titolo di “Trattenimenti spirituali” (attribuiti direttamente a FdS).

Un’opera delle più lette in epoca moderna è la FILOTEA, nata “per caso”, per rispondere alle esigenze della moglie di un cugino che chiede una forma di direzione spirituale, che FdS le lascia sotto forma di alcune pagine di volta in volta scritte e poi, dopo qualche tempo, raccolte e pubblicate (1607), con enorme successo.

Nel 1616 viene pubblicata l’opera mistica della sua maturità, quella che gli varrà il titolo di Dottore della Chiesa: TEOTIMO o trattato dell’amore di Dio, opera nata a tavolino per scrivere la nascita, la crescita o il declino dell’amore di Dio in un’anima.

Alcune coordinate biografiche. Nasce il 31 agosto 1567 e per volere del padre è avviato agli studi giuridici, in vista di una carriera politica mirante a un seggio senatoriale a Torino. Studia prima a Parigi e poi a Padova, dove perfeziona le sue competenze giuridiche e si laurea in “utroque iure” (civile e canonico). Personalmente affronta lo studio della teologia “per far piacere a se stesso”, come studiava Legge per compiacere il padre. Approfondisce soprattutto la conoscenza della Scrittura, dell’ebraico, di esegesi dell’AT (in particolare il Cantico), formandosi una buona ossatura teologica, senza aver conseguito alcun titolo accademico (ma diverrà Dottore della Chiesa!).

A Parigi inizia a studiare teologia e vive un momento molto delicato della sua esistenza personale, trovandosi a studiare la più importante questione teologica del tempo, cioè il problema della predestinazione (de auxiliis) che verrà risolto dicendo che le due tesi concorrenti erano entrambi plausibili e bisognava fermarsi sulla soglia del Mistero. Se tutto è grazia, che cosa ha pensato Dio per me? E se tutto è grazia, cosa significa meritare? E come corrispondere alla grazia sufficiente?In crisi, entra in una chiesa, si getta in ginocchio e dice a Dio “qualunque cosa tu abbia pensato per me, io ti amerò sempre”. Si abbandona alla volontà di Dio.

A Padova incontra il Possevino, sacerdote in vista, che gli offre la possibilità di conoscere gli scritti di un suo confratello teatino, Lorenzo Scupoli, “Il combattimento spirituale” (opera di pregevole ed edificante lettura) che evidenzia la dimensione della lotta nella vita cristiana. FdS se ne innamora e ne porta sempre una copia in tasca, leggendolo quotidianamente fino alla fine dei suoi giorni.

Tornato a casa, il padre accetta che divenga sacerdote purché come prevosto della cattedrale, in quanto di famiglia nobile. FdS acconsente. Ma per poco tempo. È nella diocesi di Ginevra, a quel tempo calvinista.

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Quindi la sede episcopale era trasferita ad Annecy. Una volta sola FdS riuscirà a entrare a Ginevra. Presentatosi come vescovo di Ginevra, viene registrato come tale da un militare poco accorto.

Sente in sé la passione per annunciare il Vangelo, quindi intraprende l’attività missionaria nella zona di Annecy, ormai quasi tutta calvinista, col permesso del vescovo che gli affianca anche dei religiosi con cui FdS non entra in sintonia perché non cerca lo scontro ma l’incontro con chi è su sponde opposte alla fede cattolica. Non sceglie toni apologetici, ma di proposta.Invece di fare catechesi (per i pochi interessati) ne fa stampe da distribuire nottetempo (opera di volantinaggio – per cui diventa patrono dei giornalisti) e i cuori iniziarono ad aprirsi, al punto che finito il mandato missionario riesce a celebrare le 40 ore in quasi tutti i paesini caduti in mano ai calvinisti.I fogli redatti e fatti stampare da FdS hanno profondo tenore teologico, non sono banali né semplici, poiché vi impegna tutte le sue competenze. Raccolti, vengono pubblicati col titolo (non condiviso dall’autore) “Controversie”. Sempre in questo periodo missionario (1593-1602, quando, l’8 dicembre, diviene vescovo) viene scritta anche la “Difesa dello stendardo della Santa Croce” in cui si parla del mistero della croce. Quando diverrà vescovo di Ginevra, verrà affiancato dal fratello, divenuto anch’egli sacerdote.

Il 5 marzo 1604 incontra la sorella del vescovo di Digione, Giovanna Francesca de Chantal. Nasce subito una profonda amicizia spirituale che portò a maturazione il pensiero e la pastorale di FdS, culminando nella fondazione dell’ordine della Visitazione.

Governando la diocesi di Annecy, assai ampia e problematica, in cui non erano ancora istituiti i seminari (come invece prevedevano i canoni tridentini), né la predicazione del clero. FDS deve impegnarsi moltissimo per operare in diocesi quanto stabilito da Trento. Contro chi non voleva il cambiamento. Nessun sacerdote voleva impegnarsi nella catechesi di adulti e fanciulli. Così inizia FdS stesso col catechismo per i bambini di Annecy. La cattedrale si riempie anche di adulti.

Anche l’attività di scrittura fa parte del suo ministero pastorale. Nasce così un corpus epistolare veramente enorme. FdS è molto propenso all’amicizia e la direzione spirituale delle anime la porta avanti anche attraverso lettere (anche scrivendone 10 al giorno). Ne conserviamo volumi e volumi ancora oggi. Una certa parte sono tradotte, ma poche rispetto alla quantità globale.

Muore il 28 dicembre 1622. Consumato anche dall’impegno nel ministero pastorale. Diverse volte gli venne proposta la cattedra episcopale di Parigi, ma non accettò mai, benché sovente là inviato per ragioni diplomatiche. La residenza a Parigi gli permise il contatto coi locali circoli spirituali legati al card. De Berulle e alla beata Maria dell’Incarnazione. Qui entra dunque a contatto con la spiritualità “francese”, da cui però si distanzia.

La sua spiritualità. FdS intuisce che esiste una profonda convenienza tra l’uomo e Dio. L’uomo è naturalmente inclinato ad amare Dio sopra ogni cosa e Dio si manifesta proprio per questo come “Dio del cuore dell’uomo”. K. Rahner avrebbe detto “potentia obedientialis”.Nel Teotimo (libro XV) si parla proprio di questo. Una convenienza che tutti conoscono, ma pochi apprezzano e nessuno comprende pienamente. Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio: questo dice della profonda convenienza che lega l’uomo a Dio.Questo è il fondamento della spiritualità di FdS.

Questa convenienza (ontologica) si concretizza nell’uniformità della volontà dell’uomo con la volontà di Dio. Che a sua volta si realizza a due livelli: (1) rassegnazione e (2) indifferenza.

FdS parla della rassegnazione nel libro IX, 3 del Teotimo, mentre stava scrivendo il quale, in una lettera a Giovanna Francesca de Chantal dice che sta lavorando al “suo” libro per dire che sta scrivendo del cuore della futura santa. La quale dirà invece di avervi ritrovato tutto il cuore di FdS. È come una sorta di testamento spirituale.

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… L’amore della croce ci fa abbracciare mortificazioni volontarie e rinunciare a piaceri, onori e ricchezze. Tuttavia ancor più gradito a Dio è il ricevere con pazienza le prove e le sofferenze che arrivano dal beneplacito divino. La forma perfetta d’amore è il consenso dello spirito alle tribolazioni spirituali… La rassegnazione è dunque la dolce e paziente accettazione delle sofferenze spirituali, cioè della volontà di Dio che si fa presente nella nostra vita. Si accetta proprio perché è volontà di Dio, anche se si vorrebbe che fosse diversa, questa volontà. Di fronte alla volontà di Dio si acconsente con tutto il proprio essere interiore, ma si domanda che, se possibile, “passi da me questo calice”.…va tenuto presente che l’anima compie questo atto di rassegnazione con tanta confusione e ripugnanza, che quasi non le risulta neppure, poiché accolto quasi contro la compiacenza del cuore…Sono dei “sì” detti con la punta dello spirito, mentre tutto il resto del nostro essere è in una confusione e in un subbuglio tale che neanche si accorge di dire sì, anzi quasi si ribella a questo sì pronunciato contro la contentezza del cuore. Questo va contro lo stereotipo secondo cui bisognerebbe fare con gioia la volontà di Dio. Infatti a volte alcuni sì sono veri, ma nell’amarezza e nella ribellione. Questo permette di riscattare tanti “sì” detti a denti stretti. Come Gesù nel Getsemani.

Diversa è invece l’indifferenza. Che è ancor di più. Perché cessa di amare altre cose oltre la volontà di Dio. Non ama infatti nulla se non per amore della volontà di Dio, così nulla tocca il cuore indifferente quando è in presenza della volontà di Dio. Basta che sia la tua volontà, e posso amare quello che mi chiedi. Questo discorso ovviamente è già oltre il discernimento, quando cioè già si è compresa la volontà di Dio.Un’indifferenza che ricorda quella di sant’Ignazio (quando invogliava a scegliere quello che più mi fa propendere per la gloria di Dio).Per FdS il cuore indifferente è come un blocco di cera nelle mani di Dio, disposto a tutto, pronto a farsi plasmare dalla sola volontà di Dio. Non pone l’amore nelle cose volute da Dio, bensì dalla volontà di Dio.

Sempre nel libro IX, 9 FdS racconta la parabola di un musicista che diviene sordo. Un grande suonatore di liuto divenne sordo, senza smettere di suonare lo strumento. Ma siccome non provava alcun piacere, non sentendo alcunché, suonava solo per far piacere a un principe di cui era suddito fin dalla nascita. Quindi suonava per far piacere solo a lui ed era lieto (rassegnazione). Quando il principe gli ordinava di cantare e poi lo lasciava solo per andare a caccia, il cantore continuava con lo stesso impegno come se fosse presente il principe stesso, benché non provasse alcun piacere: né della musica che non sentiva, né della gioia del principe, che non gli era dato di vedere (indifferenza).

Nel libro X fa capire che tutti siamo chiamati a cantare l’amore di Dio, ma ognuno a suo modo. Non dobbiamo cantare per il nostro godimento. Ma per quello di Dio. Rachele e Lia son due spose, ma una è amata non solo perché sposa, bensì perché bella.Così il vescovo è chiamato a cantare il proprio canto di amore in mezzo al gregge a lui affidato, senza obiettare che l’amore di Dio è più dolce a Parigi. Bisogna guardarsi dal cercare la soddisfazione di sé, invece che il solo amore di Dio… (lui stesso era tentato di lasciare Annecy per Parigi).