Gramsci · Gramsci Rivista di politica e di cultura diretta da Raffaele De Grada A Milano, in via...

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Anno VIII N. 9 - Luglio 2004 - Sped. Abb. Post. L. 662/96, art. 20/c P.I. Teramo - 5.00 Gramsci Rivista di politica e di cultura diretta da Raffaele De Grada A Milano, in via C. Porta 5, presso la sede di “Corrente”, il 22 maggio scorso si è svolta la riunione della Presidenza allargata del “Centro Gramsci di Educazione e di Cultura”. La riunione è stata presieduta dal Presidente Raffaele De Gra- da che ha tenuto una relazione che di seguito pubblichiamo. Tutti i compagni presenti sono in- tervenuti approvandone i contenuti e soffermandosi sulla necessità di im- pegnarsi, dopo l’estate, in uno sforzo organizzato per riprendere il dibatti- to culturale sui temi del rapporto tra ricerca scientifica e concezioni filo- sofiche basate sui fondamentali inte- ressi delle classi lavoratrici. Nel suo intervento il Vicepresiden- te Mario Geymonat ha messo in evi- denza l’importanza dei movimenti de- mocratici degli ultimi anni in tutto il mondo e la necessità di portare in essi i contenuti di una rinnovata battaglia culturale progressista per sconfigge- re i tentativi della becera restaurazio- ne clericofascista mirante a riportare la ricerca scientifica e tecnologica sotto il dominio del profitto. Al termine della riunione è stato preso l’impegno di stendere un calendario di iniziative, su tutto il territorio nazionale, di presentazione del libro “Il pensiero unitario di L. Geymonat”. A tal fine hanno dato la loro dispo- nibilità la prof. Margherita Hack, il prof. Riccardo Luccio, il prof. Fabio Minazzi, il prof. Silvano Tagliagambe, e altri re- latori. I gruppi Gramsci locali dovranno preparare le inizia- tive di presentazione avendo cura di interessare le Istituzioni democratiche, gli organismi culturali, sindacali e antifasci- sti, le scuole e le università al fine di ottenere la massima partecipazione dei giovani lavoratori, studenti e ricercatori. Le presentazioni dovranno avere un carattere di largo respi- ro, e in esse giovani dovranno sentirsi a loro agio nel parteci- pare e nell’esprimersi. E’ bene ricordare che il nostro Centro, di cui mi onoro avere la presidenza fin dalla sua fondazione, non vuole essere una organizzazione politica ma uno strumento, per quanto mode- sto, di cultura politica e di elaborazione filosofica sociale. La vittoria del centrosinistra, già auspicata dal Centro Gramsci, alle amministrative del 13 giugno scorso ha un gran- de significato poiché ha modificato il clima del paese ogni giorno più succube alla dittatura berlusconiana. Ma non si pensi che da questa vittoria derivi au- tomaticamente la caduta del gover- no Berlusconi. Come già sta succe- dendo si ha un rimescolamento delle carte all’interno della cosiddetta Casa delle libertà con una presidenza Fini o di un democristiano Doc. Ma la si- tuazione cambierebbe poco e i passi verso la piena dittatura procedereb- bero di giorno in giorno. Questo non è pessimismo, è la semplice valuta- zione dei fatti che viene dalla mia lunga esperienza. La destra fascistoi- de è completamente padrona dei mez- zi di informazione e di formazione culturale, la Rai, specialmente dopo l’asservimento del Tg3 e l’estromis- sione dell’Annunziata, dopo la distru- zione del Gr3 e in particolare della rubrica del colloquio con gli ascolta- tori di Prima pagina sempre più anti- berlusconiano, con l’ipocrita manipolazione di Gasparri del- l’unificazione delle reti, mandando il Gr3 in modulazione di frequenza e cioè alla impossibilità di ascolto, con l’asservi- mento dei grandi giornali, perfino il Corriere della Sera, del resto in continuo calo di vendite, al regime berlusconiano, con la distribuzione gratuita nei metrò e negli altri punti di affollamento di quei fogli gratuiti destinati al sottoproletaria- to, con la sfacciata ostentazione dei manifesti elettorali della destra in luoghi pubblici gratuiti, manifesti probabilmente pagati dagli stessi enti pubblici, mentre quelli del centrosini- stra sono praticamente assenti; tutto ciò significa, con una te- levisione sempre più anticulturale e di distorta informazione, che tutto l’apparato d’informazione e di formazione culturale è assolutamente nelle mani della destra reazionaria. Ma ciò sarebbe meno grave se tutto questo apparato propagandistico GRUPPI GRAMSCI Per l’unità fra scienza ed esigenze materiali e culturali delle masse popolari continua a pag. 2 SOCIALISMO SCIENTIFICO EDITORIALE di Raffaele De Grada

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Anno VIII N. 9 - Luglio 2004 - Sped. Abb. Post. L. 662/96, art. 20/c P.I. Teramo - € 5.00

G r a m s c iRivista di politica e di cultura diretta da Raffaele De Grada

A Milano, in via C. Porta 5, presso la sede di “Corrente”,il 22 maggio scorso si è svolta la riunione della Presidenzaallargata del “Centro Gramsci di Educazione e di Cultura”.La riunione è stata presieduta dal Presidente Raffaele De Gra-da che ha tenuto una relazione che di seguito pubblichiamo.

Tutti i compagni presenti sono in-tervenuti approvandone i contenuti esoffermandosi sulla necessità di im-pegnarsi, dopo l’estate, in uno sforzoorganizzato per riprendere il dibatti-to culturale sui temi del rapporto traricerca scientifica e concezioni filo-sofiche basate sui fondamentali inte-ressi delle classi lavoratrici.

Nel suo intervento il Vicepresiden-te Mario Geymonat ha messo in evi-denza l’importanza dei movimenti de-mocratici degli ultimi anni in tutto ilmondo e la necessità di portare in essii contenuti di una rinnovata battagliaculturale progressista per sconfigge-re i tentativi della becera restaurazio-ne clericofascista mirante a riportarela ricerca scientifica e tecnologicasotto il dominio del profitto.

Al termine della riunione è statopreso l’impegno di stendere un calendario di iniziative, su tuttoil territorio nazionale, di presentazione del libro “Il pensierounitario di L. Geymonat”. A tal fine hanno dato la loro dispo-nibilità la prof. Margherita Hack, il prof. Riccardo Luccio, ilprof. Fabio Minazzi, il prof. Silvano Tagliagambe, e altri re-latori. I gruppi Gramsci locali dovranno preparare le inizia-tive di presentazione avendo cura di interessare le Istituzionidemocratiche, gli organismi culturali, sindacali e antifasci-sti, le scuole e le università al fine di ottenere la massimapartecipazione dei giovani lavoratori, studenti e ricercatori.Le presentazioni dovranno avere un carattere di largo respi-ro, e in esse giovani dovranno sentirsi a loro agio nel parteci-pare e nell’esprimersi.

E’ bene ricordare che il nostro Centro, di cui mi onoro averela presidenza fin dalla sua fondazione, non vuole essere unaorganizzazione politica ma uno strumento, per quanto mode-

sto, di cultura politica e di elaborazione filosofica sociale.La vittoria del centrosinistra, già auspicata dal Centro

Gramsci, alle amministrative del 13 giugno scorso ha un gran-de significato poiché ha modificato il clima del paese ognigiorno più succube alla dittatura berlusconiana. Ma non si

pensi che da questa vittoria derivi au-tomaticamente la caduta del gover-no Berlusconi. Come già sta succe-dendo si ha un rimescolamento dellecarte all’interno della cosiddetta Casadelle libertà con una presidenza Finio di un democristiano Doc. Ma la si-tuazione cambierebbe poco e i passiverso la piena dittatura procedereb-bero di giorno in giorno. Questo nonè pessimismo, è la semplice valuta-zione dei fatti che viene dalla mialunga esperienza. La destra fascistoi-de è completamente padrona dei mez-zi di informazione e di formazioneculturale, la Rai, specialmente dopol’asservimento del Tg3 e l’estromis-sione dell’Annunziata, dopo la distru-zione del Gr3 e in particolare dellarubrica del colloquio con gli ascolta-tori di Prima pagina sempre più anti-

berlusconiano, con l’ipocrita manipolazione di Gasparri del-l’unificazione delle reti, mandando il Gr3 in modulazione difrequenza e cioè alla impossibilità di ascolto, con l’asservi-mento dei grandi giornali, perfino il Corriere della Sera, delresto in continuo calo di vendite, al regime berlusconiano,con la distribuzione gratuita nei metrò e negli altri punti diaffollamento di quei fogli gratuiti destinati al sottoproletaria-to, con la sfacciata ostentazione dei manifesti elettorali delladestra in luoghi pubblici gratuiti, manifesti probabilmentepagati dagli stessi enti pubblici, mentre quelli del centrosini-stra sono praticamente assenti; tutto ciò significa, con una te-levisione sempre più anticulturale e di distorta informazione,che tutto l’apparato d’informazione e di formazione culturaleè assolutamente nelle mani della destra reazionaria. Ma ciòsarebbe meno grave se tutto questo apparato propagandistico

GRUPPI GRAMSCIPer l’unità fra scienza ed esigenze materiali e culturali delle masse popolari

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SOCIALISMO SCIENTIFICO

EDITORIALEdi

Raffaele De Grada

Luglio 20042 Gramsci

cadesse su un paese che reagisce alla dittatura montante. In-vece esso si rivolge ad un Paese che in pochi anni si è progres-sivamente in gran parte corrotto.

Forza Italia, Lega, An, Comunione e liberazione hannovinto anni fa, perché avvalendosi della caduta della fiduciadelle masse nel comunismo e nel socialismo, hanno promessoposti e prebende a persone che, nella loro modestia morale, sisono visti inserire per meriti politici negli ospedali, nelle scuole,nei pubblici incarichi, prendendo il posto di altri rimossi colprepensionamento o con l’abbassamento di livello di carriera,umiliati e portati ad abbandonare il loro ruolo professionale.

Tutta la gente, più o meno orientata a sinistra, è stata più omeno perseguitata in questi anni, fino ad essere portata allastanchezza, al timore di perdere il posto di lavoro, all’abban-dono. Qualcosa di simile a ciò che avvenne agli ebrei e ai nontesserati al fascio negli anni trenta.

Si è creata così una massa che voterà la destra per conser-vare e migliorare il posto mal requisito. E dietro questa mise-ra gente ci sono le famiglie, i postulanti, la massa degli incer-ti. Giova perciò, nello spirito delCentro Gramsci, nel nome di uncomunista umano e martire, pre-parare gli italiani alla continuitàdi un lavoro che penetri nelle co-scienze, preparando il futuro.

Innanzitutto chiarire in sinte-si, destinata ad ulteriore analisi, lasituazione attuale, che è innanzitutto di guerra, imposta dagliimperialisti americani. Con inusitata ipocrisia la destra berlu-sconiana ha fatto passare la partecipazione italiana alla guerraimperialista nell’Iraq come una missione di pace, obliterandogli spaventosi terroristici bombardamenti americani che nonhanno toccato soltanto il regime di Saddam Hussein ma han-no massacrato la popolazione civile, distruggendo città, paesie impianti industriali. La loro ricostruzione sarà affidata algrande capitale americano che ne trarrebbe un immenso gua-dagno speculativo. I vari Berlusconi, Fini, Martino, Frattini,Bondi e compagnia non ci spiegano però come mai la popola-zione irachena si sia levata compatta contro gli invasori.

I terroristi sono tutto il popolo iracheno.Quando gli angloamericani vennero a liberare l’Italia, tro-

varono al loro fianco noi partigiani italiani. I nazisti e i repub-blichini ci chiamarono allora banditi e terroristi, ma noi alloracombattemmo contro i nazifascisti accanto agli angloameri-cani. Oggi il popolo dell’Iraq non combatte contro Saddam,ma contro gli imperialisti invasori. E’ dunque un intero popo-lo di terroristi? La favola non regge. Si parla dell’Onu chedovrebbe permettere l’avvento della democrazia nell’Iraq. Madov’è l’Onu? I primi a non volerlo sono proprio gli angloa-mericani anche se oggi, sotto l’incalzare della guerra di resi-stenza, sotto la sua copertura tentano di insediare un governofantoccio senza poteri e senza autorità.

Dal 1989, dalla caduta del mondo che tentava l’avvenirecomunista, l’imperialismo capitalista ha vinto una battagliastorica, rovesciando praticamente, il corso di progresso cheera stato aperto due secoli prima, nel 1789, dalla Rivoluzionefrancese. Per due secoli l’umanità aveva lottato, con il marti-

rio di migliaia e migliaia di persone, per l’affermazione deldiritto, per l’affermazione di stati nazionali, contro l’egoismodell’individuo e per la socialità della nazione, pur permanen-do a diversi livelli la lotta di classe e la lotta per l’emancipa-zione dei popoli subalterni in Europa, nelle Americhe, in Asia,in Africa.

Il progresso era visto, secondo la concezione razionalistadel Settecento, che portò alla Rivoluzione francese, come iltrionfo della ragione sovrana sul basso istinto dell’uomo pri-mitivo, portato alla violenza, alla sopraffazione, all’idealismobarbarico, al sadismo, all’irrazionale.

Il Foscolo così lo riassumeva: «Dal dì che nozze e tribuna-li ed are / dier alle umane belve esser pietose / di sé stesse ed’altrui» (Sepolcri), ponendo in rilievo la costituzione dellafamiglia, il dovere della legge ma anche la moderazione dellareligione come base della formazione della civiltà, aprendo ilfuturo del mondo.

In questi giorni, di fronte al dramma della tortura (ma an-che a quelle del Vietnam, dell’Argentina, del Cile e di Guan-tanamo. E chi si ricorda più di Ocalan, forse morto sotto letorture turche?), mi ricordavo Dei delitti e delle pene di Cesa-

re Beccaria e della Storia della Co-lonna infame del Manzoni.

Queste e tante altre dovrebberoessere memorie preistoriche e in-vece sono purtroppo attuali. Si di-ceva della malvagità del popolo te-desco. E quello americano e quelloinglese? Non esistono popoli buo-

ni e popoli cattivi. Tutto dipende da chi li dirige e dalla culturache li informa. Il nostro passato di antifascisti e di combatten-ti contro la barbarie ci impone il dovere (non solo il diritto) dipretendere che il corso positivo della storia riprenda dopoquesta oscura farsa di quindici anni, comunismo o non comu-nismo.

L’origine di queste aberrazioni è l’egoismo umano, il pia-cere della sopraffazione che ne consegue, l’accecamento chene deriva.Oggi, nella nostra fase storica, esso si chiama impe-rialismo. Si va a bombardare e distruggere un paese per con-quistare il monopolio assoluta del petrolio, come un tempoquelle delle acque, si vuole costruire armi per trarne immensiguadagni, poi le armi bisogna consumarle e venderle. Si troval’immonda scusa di portare la libertà. Perché poi in Iraq piut-tosto che nell’Arabia Saudita, nel Pakistan, ecc.?

L’imperialismo doveva distruggere gli eserciti nazionali,fatti dal popolo, come quelli nati dalla rivoluzione francese,aveva bisogno di eserciti mercenari come quelli dei fondatoridei pricipati e delle antiche monarchie.

Il mestiere delle armi (un bel titolo del regista ErmannoOlmi) si adatta all’imperialismo di stile medioevale di oggi.La libertà (parola oggi sporcata dagli imperialisti) significapurtroppo licenza di guadagno speculativo. In Italia in pochianni libertà ha significato il potere di distruggere il patrimo-nio pubblico, accumulato per generazioni, per regalarlo allaspeculazione privata, gratuitamente.

Vedi le privatizzazioni volute e attuate dalla “Casa dellelibertà”. Quando entrerà nelle coscienze degli italiani che illiberismo sciagurato del capitalismo è il contrario del liberali-smo, sarà un momento decisivo nella nostra storia.

segue da pag. 1

L’imperialismo doveva distruggere glieserciti nazionali, fatti dal popolo, come

quelli nati dalla rivoluzione francese, aveva biso-gno di eserciti mercenari come quelli dei fon-datori dei pricipati e delle antiche monarchie.

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LE RADICI CULTURALI IDEALISTE (LIBERISTE) DELSOCIALISMO LIBERALE E DEL COMUNISMO LIBERTARIO

SOCIALISMO LIBERALEdi Palmiro Togliatti

La critica di certe posizioni ideologiche che hanno o pos-sono aver corso in qualche corrente politica che si richiamaalla classe operaia è tanto più necessaria in quanto esse porta-no a conseguenze pratiche pericolose. Così è di quelle ideeche taluni vanno elaborando, e non da oggi, per dar vita econsistenza ad una «dottrina» socialista-liberale.

Gli ideatori dello pseudo socialismo-liberale partono, alpiù spesso, dal presupposto della vitalità di un socialismo nonmarxista, presupposto che non ha nessun fondamento nellaesperienza: basti constatare il fatto che da quando sono inco-minciate a diffondersi una propaganda e una organizzazionesocialiste, i movimenti socialisti non marxisti hanno sistema-ticamente fallito alla prova.

Ma vi sono pure degli ideatori di un socialismo-liberale, iquali presumono essere il marxismo invecchiato, come dottri-na e come prassi, e perciò convenga oggi porsi «al di là delmarxismo» (cioè fuori dal marxismo), ovvero «completarlo»per metterlo in armonia coi biso-gni del nostro tempo.

Non ci vuole molto per convin-cersi che questi più recenti «ag-giornatori» del marxismo, i qualirappresentano frusti motivi che ilmarxismo ha più volte battuti, di-mostrano di non possedere l’abbi-cì del marxismo.

Certo, se il marxismo fosse uninsieme di precetti, di norme, didogmi, e l’opera di Marx e di En-gels una Bibbia, un Talmud, i marxisti sarebbero dei ben po-veri chierici e si troverebbero davvero nell’imbarazzo di fron-te alle mutevoli vicende della vita, ricca di originalità e difantasia. Ma il marxismo non è un dogma, è una guida perl’azione pratica del proletariato, e perciò la teoria marxista siarricchisce continuamente dell’esperienza della lotta politicaproletaria e della lotta delle classi nel suo insieme.

Quando parliamo di teoria marxista, non ci limitiamo aimateriali teorici elaborati da Marx e da Engels. La teoria èesperienza accumulata. E’ impossibile ad un marxista ignora-re l’esperienza della lotta proletaria svoltasi dopo la morte diMarx e di Engels. Marx ed Engels hanno elaborato, ad esem-pio, una dottrina dello Stato; ma Lenin ha sviluppato questadottrina, sulla base dell’esperienza delle lotte rivoluzionarieproletarie dell’ultimo secolo. Così pure, Lenin ha elaborato ladottrina marxista dell’imperialismo, «ultima fase del capitali-smo», la quale dottrina è il risultato dell’analisi dei nuovi fe-nomeni apparsi nel mondo capitalistico e che i fondatori delsocialismo scientifico non avevano conosciuti.

Allo stesso modo, è a Stalin che è toccato il compito di

sviluppare e dare compiutezza alla teoria leninista della co-struzione del socialismo in un solo paese (l’Urss), la quale hadato ai marxisti un’arma ideologica e politica formidabile persbaragliare i «teorici» antimarxisti della cosiddetta «rivolu-zione permanente».

Tutto ciò significa che, tenendo bene i piedi sul solido ter-reno costituito dalla dottrina marxista, e adoperando il meto-do marxista di indagine dei fatti, la teoria non solo si sviluppacostantemente e si aggiorna davvero; ma - e questo è il piùimportante - fa sviluppare ed avanzare la organizzazione pro-letaria, permette al proletariato di conquistare nuove e saldeposizioni politiche, fa progredire il socialismo. E poiché inquesto processo il proletariato acquista nuove esperienze, lastessa azione pratica del proletariato diventa, a sua volta, fon-te perenne di accrescimento e di sviluppo della teoria.

Perciò noi non abbiamo nessun bisogno di pasticci ideolo-gici per affrontare i sempre nuovi compiti che la vita ci pone

dinanzi. I fatti dimostrano che noisiamo sempre più aggiornati di co-loro che vorrebbero «aggiornare»il marxismo, perché la nostra è unadottrina della classe ascendente,che ha in pugno l’avvenire, la vita,- e l’albero della vita è sempre ver-de.

E poi, le idee debbono corri-spondere alla realtà perché possa-no impossessarsi delle larghe mas-se e diventare una forza politica.

Vi sono, forse, nella realtà attuale dei motivi che possano dareuna base qualsiasi al cosiddetto socialismo-liberale?

Il liberalismo ha avuto, non v’è dubbio, una funzione sto-rica notevole, nel campo della cultura e dell’azione economi-ca e politica, in quasi tutto il secolo XIX. Nessun uomo dimedia cultura ignora che l’ideologia filosofico-politica con laquale la borghesia fece la sua rivoluzione industriale e fu acapo delle rivoluzioni nazionali, nel secolo scorso, fu l’ideo-logia liberale. Noi non dimentichiamo che dal movimentosociale e nazionale borghese del secolo XIX sorse e si svilup-pò il proletariato moderno e che il proletariato di parecchienazioni d’Europa si liberò dall’oppressione straniera per con-durre la sua lotta emancipatrice entro i confini della propriapatria indipendente. In nome delle idee liberali, la parte piùavanzata della borghesia europea guidò, con varia vicenda,con diversa fortuna, la rivoluzione antifeudale, sviluppò leforze produttive abbattendo gli ostacoli che si opponevano allosviluppo della iniziativa individuale, dette impulso alla de-mocrazia politica e impresse il suo sigillo al secolo XIX.

Ma questa grande epoca ha generato gli elementi della pro-

Perciò noi non abbiamo nessun bisognodi pasticci ideologici per affrontare i sem-

pre nuovi compiti che la vita ci pone dinanzi. I fattidimostrano che noi siamo sempre più aggiornati dicoloro che vorrebbero «aggiornare» il marxismo,perché la nostra è una dottrina della classe ascen-dente, che ha in pugno l’avvenire, la vita, - el’albero della vita è sempre verde.

Luglio 20044 Gramsci

pria decadenza.Il proletariato, sviluppatosi numericamente con lo svilup-

po della borghesia, è andato sviluppando, nello stesso tempo,la propria forza organizzata e la coscienza di questa forza.Stimolata dalla nuova necessità sociale, quella di spezzare irapporti attuali di produzione che ostacolano lo sviluppo ulte-riore delle forze produttive e la giusta distribuzione socialedella produzione, il proletariato si è presentato sulla scena dellastoria come la classe alla quale spetta di creare una società piùavanzata, superiore all’attuale, risolvendo tutti i problemi chela borghesia, ha lasciato insoluti od ha aggravati, e i nuovi cheessa ha suscitato nel suo stesso sviluppo.

Molti sono stati i pensatori «socialisti» che hanno elabora-to delle dottrine per la nuova classe ascendente; ma la dottrinache ha trovato le sue radici più solide è il marxismo, fondatosul materialismo storico e dialettico, sullo studio del regimeeconomico capitalistico, sulle cause del suo fiorire e della suadecadenza e sulla lotta di classe. E’ attorno alla bandiera delmarxismo che si sono raggruppati milioni di proletari in tuttoil mondo. E’ dietro la bandiera del marxismo teorico e mili-tante che il proletariato ha conquistato il potere in Russia, perla prima volta nella storia, nell’ottobre del 1917. Il marxismoè l’ideologia filosofico-politica del proletariato, è il pensieroche guida la sua lotta per l’avvenire dell’umanità.

Ma, come si comprende, esso non è una dottrina che sisostituisce puramente e semplicemente ad un’altra. Esso com-porta la necessità e la volontà di milioni di uomini, di trasfor-mare le condizioni di vita esistenti. E’ una dottrina che corri-sponde a una nuova realtà sociale, profondamente diversa daquella anteriore, così come la dottrina liberale corrispondevaa una realtà sociale profondamente diversa da quella feudale.

V’è chi ha sostenuto e c’è chi sostiene che il socialismoassolve la funzione storica che il liberalismo ha abbandonato,e quindi trova che il liberalismo continua nel socialismo. Que-sta posizione è sostenibile nel senso che il liberalismo teoricoriconosce il diritto degli uomini alla conquista della libertà,elemento essenziale della individualità. Ma questa posizioneteorica, abbandonata dal liberalismo economico e politico, nonpuò diventare realtà se non in condizioni sociali completa-mente diverse da quelle dalle quali nacque il liberalismo, e apatto che quelle condizioni siano distrutte, ciò è compito pre-cipuo del socialismo.

Ora, discendendo da queste idee generali alla situazioneattuale, ci accorgiamo subito che i più grossi problemi chestanno di fronte al nostro paese non possono essere affrontatie risolti con il metodo liberale, salvo che non si vogliano sa-crificare gli interessi della collettività nazionale e l’avveniredel paese agli interessi di piccoli gruppi di privilegiati. L’ope-ra fondamentale della ricostruzione del paese, nel campo in-dustriale, agricolo, commerciale, dei trasporti, esige tali e lun-ghi sacrifici di lavoro e di denaro da parte del nostro popoloche essi potranno essere e saranno accettati alla condizioneche gli sforzi che quest’opera comporta non andranno a bene-ficiare alcuni gruppi di grossi capitalisti, ma l’intera colletti-vità nazionale. Questo non significa ancora attuare il sociali-smo, ma significa che l’iniziativa individuale dovrà essereadoperata per realizzare un piano nazionale della ricostruzio-ne, il quale strappi le posizioni economiche-chiavi dalle manidei privati e le metta nelle mani dello Stato, per il bene della

collettività.Tale sarà, in fondo, la via più sicura per distruggere tutti i

residui del fascismo e le sue cause, giacchè solo i superficialipotrebbero credere che la defascistizzazione del paese saràportata a fondo dall’alto commissarioto per le sanzioni controil fascismo.

Ma perché l’opera di ricostruzione economica, politica,morale, culturale del paese sia possibile, perché le libertà po-polari siano estese e consolidate, occorre aumentare semprepiù la partecipazione sociale organizzata nella produzione in-dustriale e agricola, nella vita politica, culturale e morale delpaese. Questa partecipazione, come si comprende, non ha nullaa che vedere con il liberalismo, nel significato economico epolitico che essa ha da un secolo e mezzo, e come si presentanella sua più recente incarnazione.

Non vi sono dunque motivi, nella situazione attuale, chepossano dare una base positiva ad una posizione socialista-liberale. Ma ci sono, invece, nella situazione attuale, delle ten-denze evidenti che agiscono nel senso di indebolire le forzesocialiste, introducendo nel socialismo elementi ideologicidisgregativi e cercando di spezzare l’unità d’azione tra socia-listi e comunisti, cioè d’interrompere il processo che deveportare alla ricostituzione dell’unità politica del proletariatoitaliano.

Il riaffacciarsi di un cosiddetto socialismo liberale è, dun-que, anche una espressione del mutamento dei rapporti di for-za che si va operando nella vita politica italiana, in conse-guenza del crollo delle classi dirigenti.

Col «socialismo liberale» facemmo già conoscenza moltianni or sono, dopo che il fascismo si impadronì del potere. Ipartiti tradizionali borghesi erano in completa disgregazionee gruppi di intellettuali cercavano punti di riferimento per orien-tarsi. Taluni di essi si raggrupparono attorno alla rivista Quar-to stato, diretta da Carlo Rosselli; e per il suo tramite cercaro-no di avvicinarsi al programma della classe operaia, la qualeriorganizzava faticosamente le proprie forze per prendere ladirezione della lotta antifascista, direzione che ha tenuta poisempre, in tutto il periodo della dominazione fascista. Fu larivista di Carlo Rosselli che lanciò le idee di un «socialismoliberale», di un neo revisionismo del marxismo; e queste ideevennero più tardi raggruppate in un libro, scritto dallo stessoRosselli, e che vide la luce in Francia.

Le posizioni di Quarto stato e del Rosselli, apparentemen-te di sinistra, si collocavano, in realtà, molto più a destra diquelle alle quali era arrivato Piero Gobetti. Questi era giunto,nella nuova situazione storica apertasi con la prima guerramondiale, a riconoscere la funzione dirigente che spettava or-mai al proletariato, e che il proletariato, come classe dirigen-te, sarebbe stato superiore alla borghesia. Perciò Piero Gobet-ti chiamava i giovani intellettuali ad affiancare il proletariatonel suo compito; e non solo i tecnici, ma anche quegli intellet-tuali nati sul terreno sociale contadino e che possono essere iltramite tra i contadini e gli operai, «portatori dell’avvenire».

Gli scrittori «socialisti-liberali» di Quarto stato negavano,invece, la funzione dirigente del proletariato nella lotta antifa-scista e democratica, e assegnavano questa funzione agli in-tellettuali neoliberali, ai quali il nome di «socialista» dovevapoter dare l’apporto di una parte almeno del proletariato. Co-sicchè, i «socialisti-liberali» di Quarto stato si assumevano

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praticamente una funzione regressiva.Se osservate un poco qual è l’atteggiamento politico dei

nuovi «socialisti-liberali», dentro e fuori del campo proletarioitaliano, nel momento attuale, vedete subito che esso ha comeconseguenza non già di portare innanzi la democrazia, raffor-zando le posizioni del proletariato e dando soluzioni nuove ecoraggiose ai problemi della ricostruzione; ed ha la conse-guenza opposta: impedire che la rottura tra le masse operaie epopolari e le vecchie classi dirigenti si approfondisca e crea-re, sul terreno politico, un blocco contro i comunisti, cioè controla parte più energica e combattiva del proletariato, il che ren-derebbe difficile la soluzione dei problemi nazionali quale èimposta dalla necessità e dalla volontà popolare.

Non è senza ragione che negli ultimi tempi, da parte discrittori appartenenti al partito liberale, siano state fatte delleavances ai socialisti, per una sorta di alleanza liberale-sociali-sta. E’ probabile che le intenzioni di questi scrittori non giun-

gano sino a credere alla possibilità pratica di una alleanza trai due partiti; ma essi contano verosimilmente sulla esistenzadi correnti «socialiste-liberali», e si adoperano per rafforzar-le.

Chi conosce qual è l’impostazione che i liberali danno atutti i problemi del paese, ai più grandi e ai più piccoli, com-prende che i passi che questi scrittori si sforzano di compierenella direzione socialista, non sono compiuti per una subita-nea attrazione verso il socialismo. Il giuoco, nelle loro inten-zioni, è più serio e più grosso. E vorremmo dire che è, nellarealtà, infantile, se non sapessimo dell’esistenza di correnti«socialiste-liberali» anche in seno alla organizzazione socia-lista, e le quali vanno combattute da tutti i socialisti degni diquesto nome, cioè da tutti i socialisti che vogliono lottare per-ché l’Italia si rinnovi sul serio e proceda innanzi, e perché lanuova democrazia italiana abbia i suoi cardini nelle forze dellavoro. (Rinascita: “Socialismo liberale”, n. 3 Marzo 1945)

Il plurinquisito capo del governo il cui enorme patrimonioaccumulato nel giro di pochi anni, di origini oscure e mai chia-rite, ha messo in questi ultimi mesi al centro della sua propa-ganda elettorale l’attacco contro i comunisti e il comunismo.

La caratteristica fondamentale di questa becera campagnaorchestrata dai “pensatori berlusconiani” è che essa oscilla tradue considerazioni: la prima è l’affermazione che in Italia esi-stono ancora (per nostra fortuna) gruppi comunisti che secon-do la loro logica non dovrebbero esistere; la seconda è la con-statazione che il comunismo è morto e sepolto.

Ma evidentemente la logica non appartiene ai nostri Eroi iquali non si accorgono che questa violenta campagna da essiscatenata sulla “morte del comunismo” è la migliore provadella sua esistenza e vitalità. Certamente la questione postanon meriterebbe di essere presa in considerazione se non fos-se che essa circola nel paese influenzando settori di opinionepubblica.

Per questi “pensatori” ben pagati, una sola cosa conta: te-nere il più lontano possibile lo “spettro del comunismo” cheancora una volta si aggira per l’Europa, assoldando per lo scopopreti esorcisti, alla cui testa è stato posto il cappellano di Ar-core padre Baget Bozzo.

E come ad ogni imbonitore nelle piazze corrisponde uninsieme di persone disposte a farsi truffare, così ad ogni Apo-stolo inviatoci dallo Spirito Santo corrisponde un insieme diasini che lo ascoltano a bocca aperta. Ogni Apostolo dell’anti-comunismo ha un arsenale di armi, sempre lo stesso da alcunisecoli a questa parte, usato dai fascisti e, più recentemente,dai clericali e dai gesuiti. Oggi è la volta del padrone Berlu-sconi il quale riprende, non avendo egli stesso idee in propo-sito, un “argomento” che fu già dell’anticomunista BenedettoCroce sulla «morte del socialismo» apparso per la prima voltacome intervista a «La Voce» nel 1911.

In questa intervista il Croce, dopo aver cervelloticamenteargomentato sulla fine del marxismo, si dichiara altresì d’ac-cordo col sindacalismo rivoluzionario di G. Sorel affermando

COMUNISMO LIBERTARIOdi Piero De Sanctis

che: «Il sindacalismo fu la nuova forma del gran sogno diMarx, e fu risognato da un osservatore acuto quanto lui deifatti sociali, e forse più di lui animato da spirito etico e reli-gioso: da Giorgio Sorel il quale assimilò il movimento opera-io a quello cristiano, volle disciplinarlo su quel modello, gliconcedette con l’idea dello sciopero generale, il conforto delmito, e lo armò del sentimento di scissione. Questa volta io fuipiù prudente: ammirai il Sorel; riconobbi che il socialismo, sedoveva essere, doveva essere a quel modo e non altrimenti;ma mi tenni in guardia a non credere facilmente all’esistenzadella nuova ecclesia dei sindacati, e agli operai, apostoli emartiri della nuova fede».

Ma c’è di più. Nella stessa intervista il Croce si scagliaviolentemente contro l’opuscolo di F. Engels L’evoluzione delsocialismo dall’utopia alla scienza negando che si potesseparlare di scienza nei fatti che riguardassero i fenomeni socia-li.

In questo opuscolo Engels ricorda, tra l’altro, le due fon-damentali scoperte di Marx: «la concezione materialistica dellastoria e la rivelazione del segreto della produzione capitalisti-ca mediante il plusvalore. Con queste due grandi scoperte ilsocialismo è diventato una scienza che occorre anzitutto ela-borare ulteriormente in tutti i suoi particolari nessi».

Vale forse la pena ricordare che queste critiche al marxi-smo dei primi anni del Novecento non furono un fatto esclusi-vamente italiano, ma abbracciarono tutta l’Europa le cui clas-si dominanti erano allora molto preoccupate per l’enorme svi-luppo del movimento operaio, della sua forza, della sua orga-nizzazione e della sua presenza sulla scena della vita politicae sociale mondiale.

Così, mentre gli scioperi operai e i moti rivoluzionari russidei primi anni del XX secolo dimostrarono la vacuità delleidee sorelliane, tanto che tra il 1905-’07 lo stesso Sorel ab-bandonerà il “sindacalismo rivoluzionario” per il pragmati-smo e il bergsonismo fino a convergere con le tesi di Berne-stein, in Italia, nel clima culturale dell’italietta giolittiana, ciar-

Luglio 20046 Gramsci

latana e piccolo-borghese, il Croce si fa non solo paladino deimiti sorelliani, ma, sulla scia della critica al positivismo e del-la polemica antilluministica , proclamava anche la “bancarot-ta della scienza” sulla base di deliri mistici e sogni teosoficisempre rimasti infecondi.

E, tuttavia, quando la Rivoluzione d’Ottobre del ’17 spaz-zò via tutti questi sogni reazionari riaffermando la validità delmarxismo come l’unico metodo scientifico di analisi dellasocietà, il Croce intensificò la sua azione contro il movimentooperaio italiano, aiutando e sostenendo, con gli scritti e la pa-rola, il nascente movimento fascista.

E sebbene egli passasse indenne e sereno attraverso il ven-tennio del dominio fascista, durante il quale la sua «opposi-zione» conservatrice al regime si esprimerà, al più, con la ri-pubblicazione degli scritti di Antonio Labriola e del Manife-sto, dopo la Liberazione si accrediterà come pilastro fonda-mentale dell’antifascismo italiano.

E’ con acume che Raffaele De Grada, parlando degli intel-lettuale vissuti sotto il fascismo, ha detto: «Gli intellettualiitaliani, è noto, sono molto simili a quelli del Rinascimento:vanno col potere. Anche se durante il ventennio, tra le filadegli scrittori, dei pittori o dei giornalisti, ci sono stati brillan-ti fenomeni di antifascismo, morale e militante pagato con ilcarcere o il confino.

Non bisognerebbe quindi dare degli intellettuali il giudi-zio che di solito danno i montanelliani, a immagine di se stes-

si... L’intellettuale italiano comunque, è stato molto proclive aconsiderarsi legato al fascismo, perché pensava che il fasci-smo sarebbe durato. E siccome la vita culturale di un uomodura invece qualche decennio, pensava fosse inutile perderele proprie posizioni per ostacolare un regime ormai stabile. Iorifiutavo quest’acquiescenza. L’intellettuale doveva esserecome l’operaio, il contadino, come tutte le persone che aveva-no una coscienza. Doveva partecipare alla lotta clandestinaprima e alla Resistenza poi. E aveva meno scusanti di tutti,perché al privilegio della ragione, a una capacità di compren-sione aumentata dagli studi, corrisponde necessariamente unamaggiore responsabilità».

E come negli anni immediatamente successivi alla Libera-zione vari furono i tentativi di “aggiornare” il marxismo, diadeguarlo alla “nuova” realtà e, in definitiva, di renderlo ac-cettabile alla borghesia (al punto che lo stesso Togliatti dovet-te intervenire con un articolo apparso su Rinascita, sopra ri-portato), così oggi gli attacchi più subdoli al comunismo pro-vengono da parte di Bertinotti e Sofri i quali immersi nell’in-forme cibreo idealistico e, in assonanza con Berlusconi, suo-nano la stessa musica sulla “fine del comunismo”. Bertinotti,sostituendo a Marx e Lenin Walter Benjamin (letterato e filo-sofo idealista), non fa altro che ripetere in forma confusa quelloche altri “pensatori” borghesi, in situazioni diverse, hanno giàfatto meglio di lui: attaccare il marxismo col pretesto di “rin-novarlo”.

La visita di Bush in Italia nel giugno 2004 ha dato la sturaa tutta una serie di discorsi volti ad accreditare la tesi secondola quale la guerra intrapresa dagli angloamericani contro l’Iraqnon sarebbe altro che la continuazione della battaglia antina-zista condotta dagli Alleati nel corso della seconda guerramondiale. La stessa occasione della visita (60° anniversariodella liberazione di Roma e dello sbarco in Normandia), hapermesso a Bush di rinverdire ifasti del passato tentando di farpassare come “antinazista” an-che l’attuale campagna contro ilpopolo iracheno.

Peccato però che i conti nontornino proprio.

La seconda guerra mondialevide tutti i popoli dei paesi oc-cupati dai nazifascisti organiz-zare la resistenza armata controgli invasori. Hitler aveva occu-pato gran parte dell’Europa,esportando i metodi che avevagià sperimentato in Germania:liquidazione degli avversari,deportazioni, torture, occupazio-ne militare del territorio, terrore. Combattendo contro Hitlere Mussolini, gli Alleati si trovavano oggettivamente a fianco

BUSH A ROMAdi Emanuela Caldera

della Resistenza antinazista e antifascista e infatti questa ope-rò soccorrendo i militari alleati che erano sfuggiti ai nazifa-scisti, come la storia della famiglia Cervi attesta.

L’attuale campagna contro l’Iraq non ha nulla in comunecon questo passato. Ricorda semmai la corsa alle colonie difine ‘800, quella che i libri di storia per la scuola non ancorariveduti e corretti dal governo Berlusconi definiscono “l’età

dell’imperialismo”.La guerra contro l’Iraq è sta-

ta fatta per il controllo della pro-duzione e della distribuzione delpetrolio, cioè di una materia pri-ma strategica. E, come è noto,una delle funzioni fondamenta-li delle colonie di cent’anni faera proprio quella di fornirematerie prime a basso costo allamadrepatria, cioè alla potenzacoloniale.

La guerra contro l’Iraq è sta-ta fatta anche per piazzare basimilitari americane in MedioOriente e nel cuore dell’Asia, inmodo da controllare altre even-

tuali potenze emergenti (Europa, Russia, Cina), proprio comela guerra del ’99 contro la Federazione Jugoslava era stata

Il soldato Lyndie con un prigioniero legato per il collo.

Gramsci Luglio 2004 7

fatta per seminare basi militari nei Balcani, anch’essi area stra-tegica per la vicinanza al Medio Oriente e per la presenza deicorridoi energetici e quindi, di nuovo, per il controllo delladistribuzione del petrolio.

Quindi, la guerra contro l’Iraq, come già la guerra controla Federazione Jugoslava, è stata ed è una guerra coloniale. Echi, nel corso della seconda guerra mondiale, andava ad occu-pare le terre altrui per controllarne materie prime e territorio?Hitler.

Pertanto, ciò che gli angloamericani hanno fatto e stannofacendo in Iraq assomiglia non a quello che essi avevano fattodurante la seconda guerra mondiale, ma a quello che nel corsodi quel conflitto aveva fatto Hitler. E infatti, la resistenza po-polare in Iraq è molto viva e partecipata, proprio come tutte leresistenze popolari che erano nate per scacciare gli invasoridurante la guerra del ’39-’45.

Quindi, l’accostamento, operato da Bush, dei fasti del pas-sato alle avventure coloniali del presente, non regge.

Vediamo invece quale è stato il cavallo di battaglia delnostro Presidente del Consiglio. Il suo ritornello è che dob-biamo essere grati agli americani perché ci hanno liberato dalnazismo e dal comunismo, i mali del secolo testè trascorso(del fascismo è meglio non parlare, dato che i suoi eredi sonoalleati di governo).

A parte il fatto che a liberarci dal nazismo è stato in primoluogo lo sforzo sostenuto dall’Unione Sovietica, dal suo eser-cito e dalla sua popolazione, si pone una domanda: che cos’èil “comunismo” per il nostro Presidente del Consiglio? Tutticoloro che non sono d’accordo con lui, si sarebbe tentati dirispondere, dato che dà comunemente dei “comunisti” anchea persone che comuniste non sono. Purtuttavia, l’affermazio-ne del nostro Presidente del Consiglio potrebbe stimolare qual-che considerazione più interessante.

Gli americani (nel senso dei dirigenti americani) hannosicuramente lottato contro il comunismo, e anche con tutti imezzi, compresi i meno leciti, la storia della guerra fredda è lìad attestarlo. Ma qual era il motivo di questa lotta? E il “co-munismo”, che cos’era?

Se partiamo dalla Rivoluzione d’Ottobre del ’17 (per oc-cuparci solo dell’esperienza dei comunisti al potere), notiamoche sin dall’inizio uno dei capisaldi dell’impostazione di Le-nin e del Komintern è la coniugazione delle lotte degli operaidelle metropoli, cioè delle potenze coloniali, con le lotte deipopoli oppressi delle colonie. Sin dall’inizio è chiaro il nessotra la lotta per il socialismo (vale a dire per un sistema socialebasato su un altro modo di produrre e di distribuire la ricchez-za rispetto al modo capitalistico) e la lotta antimperialista, cioèla lotta contro la schiavitù coloniale. Tutta la storia successivadel comunismo novecentesco, da Ho Chi Minh a Che Gueva-ra, sarà segnata da questa congiunzione tra gli operai dellemetropoli e le masse rurali delle periferie del sistema capitali-stico.

E come sono stati dentro questa storia, gli americani? Gliamericani ci sono stati dentro sostituendosi alle principali po-tenze coloniali d’anteguerra. Si sono autodesignati successoridell’impero di Sua Maestà britannica. Laddove i vecchi colo-nialisti facevano fagotto, subentravano loro, basta vedere ildopo-Dien Bien Phu in Vietnam.

Da quando è entrata in voga la “globalizzazione”, cioè

l’apertura senza freni dei mercati nazionali ai capitali stranie-ri, la privatizzazione selvaggia, la fine del welfare nell’esteuropeo e nel sud del mondo e la sua “ristrutturazione” neipaesi “forti” del sistema, la Nato prima e gli Usa poi si sonosostituiti alle Nazioni Unite per mantenere l’ “ordine”. Qualeordine? L’ordine di un sistema complessivo in cui i paesi pro-duttori di materie prime tornano ad essere colonie, le potenzeconcorrenti vengono invitate a partecipare al banchetto colo-niale ma mangiando con molta moderazione e pagando i costidella festa e la potenza militarmente più forte si mangia ilgrosso della torta, facendosi assegnare gli appalti della rico-struzione là dove ha fatto prima terra bruciata con missili ebombe.

Per tutto quello che precede, possiamo allora dire che “sal-vandoci” dal comunismo, gli americani ci hanno riportato in-dietro di cento anni, ossia che “salvarci” dal comunismo hasignificato riportare i popoli del sud del mondo ai bei tempidella rapina coloniale e i lavoratori in genere (in particolaredell’est europeo e delle periferie ma vale anche per certi set-tori delle metropoli) ai bei tempi in cui non esistevano né ga-ranzia del posto di lavoro né contrattazione sindacale.

A questo punto, potrebbe sorgere anche qualche dubbiosull’entusiasmo con cui la classe dirigente statunitense ha fat-to la guerra al nazifascismo. Non è un mistero per nessunoche grandi imprenditori americani hanno finanziato Hitler pri-ma che questi diventasse un antagonista e che Mussolini ave-va molti fans nel mondo anglosassone. Certo, quando si tiratroppo, la corda si rompe.

Occupare, come fece Hitler, la Polonia legata a doppio filoalla Gran Bretagna, significava andarsele a cercare (invececon la Cecoslovacchia, legata da un patto di alleanza all’Urss,il führer fu lasciato fare).

Hitler, come del resto Mussolini, fu visto con benevolenzafino a quando si trattò di mettere i “rossi” in condizione dinon nuocere (la Kpd, il Partito Comunista Tedesco era moltoforte prima della guerra) ma divenne troppo ingombrante quan-do si rivelò un concorrente insaziabile.

In ogni caso, dall’apertura ritardata del secondo fronte finoalle atomiche su Hiroshima e Nagasaki e passando attraversola guerra aerea contro le città, che del nemico colpiva la popo-lazione civile, molti hanno visto nella strategia americana lavolontà deliberata di far sostenere il grosso dello scontro coni nazifascisti all’Unione Sovietica (che infatti ebbe venti mi-lioni di morti e distruzioni enormi), indebolendone così le basiumane ed economiche per il dopoguerra.

Per quanto riguarda Hiroshima e Nagasaki, diversi storicihanno rilevato come le sorti del conflitto non rendessero ne-cessario l’uso della bomba atomica, essendo il Giappone giàfuori gioco.

In molti hanno valutato il ricorso al nucleare come un av-vertimento lanciato dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica suchi avrebbe retto le sorti del mondo nel dopoguerra, il che nondepone certo a favore di una grande coscienza antifascista del-l’establishment yankee.

Naturalmente, parliamo dei dirigenti, di chi deteneva leleve del potere politico ed economico, perché anche il popoloamericano contava tra le sue fila cittadini di provata fede anti-fascista, come la guerra civile spagnola aveva dimostrato ecome si vide dopo il 1945 con le vittime del “maccartismo”.

Luglio 20048 Gramsci

LETIZIA MORATTI AFFLIZIONE E MESTIZIAPER I GIOVANI E PER LA SCUOLA ITALIANA

di Mario Geymonat

Letizia Moratti all’istruzione? No all’economia? No anco-ra all’istruzione! Nella crisi di piena estate del governo Berlu-sconi, la ricca ministressa milanese è stata al centro del turbi-ne politico, di un vero carosello di cariche: ma che disastro inogni caso!

La Moratti ha legato il suo nome a una legge iniqua che hapermesso l’assunzione in ruolo di molti professori di religio-ne, ma di nessun altro, si è distinta per l’altezzoso rifiuto diogni serio confronto con la classe docente, nel portare avantila privatizzazione di tutto il privatizzabile, nel sostegno di ini-ziative culturalmente equivoche, come quella del CEPU, chesi fa propaganda riproducendo nei manifesti le facce felici maun po’ ebeti, e certo tutt’altro che intellettuali, di calciatori-clienti che con il CEPU superano con facilità ogni esame uni-versitario. Un bell’esempio per chi studia e si impegna conserietà!

Dopo quasi due anni alla guida del ministero più impor-tante per dare una vera formazione ai giovani, e quindi unaprospettiva positiva per il loro lavoro e per costruire un futuromigliore all’intero paese, il bilancio è fallimentare, e non acaso nel mondo della scuola si respira in questi mesi una at-mosfera da “ultimi giorni di Pompei”, anche se per fortunanon mancano professori coraggiosi e motivati che non inten-dono arrendersi, e manifestano contro di lei assieme ai lorostudenti, con coraggio e un cospicuo sacrificio economico.Unica attenuante per la Moratti, debbo riconoscere, è che l’ori-gine di questo disastro risale ad anni addietro, né si può direche il ministro dell’istruzione di centro-sinistra, Luigi Berlin-guer, pur col nome illustre che porta, sia stato da meno. Viavia i contenuti sono stati considerati sempre meno importanti,e la scuola è stata affidata a una pletora di sociologi, psicologie pedagogisti per i quali la retorica della riforma è stato unpretesto per buttare via il bambino ancora prima dell’acquasporca.

Come è noto un punto particolarmente importante dellapolitica dell’istruzione è assumere nelle nostre università (ene abbiamo ormai quasi settanta!) i giovani meglio preparati,quelli che potrebbero davvero sostenere nei loro ambiti speci-fici la concorrenza che ormai si presenta anche in ambito cul-turale a livello internazionale. Sono giovani che sanno perfet-tamente un paio di lingue straniere e si sono in notevole parteperfezionati anche all’estero, frequentando con successo imigliori laboratori e le più cospicue biblioteche di tutto ilmondo.

Ma che prospettiva viene offerta a loro? Io stesso ne cono-sco parecchi, usciti da scuole prestigiosissime, che hanno alloro attivo pubblicazioni davvero interessanti, ma il cui rap-porto con le nostre università si regge solo su aiuti totalmenteprivati (dei genitori o magari dei nonni) e sull’accettazione dicontratti capestro, che prevedono un lavoro corrispondente aquello dei professori, ma lo compensano in modo veramenteridicolo (2000 o 3000 euro l’anno, quando va bene).

Credo che sia sbagliato considerare solo come negativa la

cosiddetta “fuga dei cervelli”, e ritengo assolutamente neces-sario che i nostri giovani più preparati si confrontino ancheall’estero con altri giovani e altre scuole, così come ritengoimportante che nei nostri istituti di ricerca operino anche spe-cialisti stranieri, europei, asiatici o americani (si pensi all’Isti-tuto di Fisica di Trieste).

Io stesso mi occupo un poco della Venice InternationalUniversity fondata in Laguna da Ca’ Foscari e dall’IstitutoUniversitario di Architettura di Venezia, e insieme dalle Uni-versità di Monaco di Baviera, Barcellona, Tel Aviv, e da co-spicue istituzioni accademiche della North Carolina e del Giap-pone. E’ un luogo ideale per organizzare seminari, scuole dieccellenza, convegni di grande prestigio: ma che cosa farannopoi i giovani che si affermano in questa e in altre simili istitu-zioni? L’unica prospettiva rimane la “fuga”, per lo più versoricche università americane, che trarranno beneficio dalle loroscoperte.

Guidata da Letizia Moratti e prima da Luigi Berlinguer, lastruttura dell’università è stata infatti irresponsabilmente ro-vesciata: ci sono ormai più “baroni” che ricercatori universi-tari, più generali che soldati semplici, con un disprezzo dellegenerazioni future e dell’intero paese che grida vendetta. Dob-biamo prepararci a lottare anche aspramente perché questacondizione venga rovesciata, perché la politica assuma le pro-prie responsabilità, perché si possa ridare coraggio a chi meri-ta e studia, collegando gli intellettuali migliori con le avan-guardie politiche, riprendendo e sviluppando i motivi e i con-tenuti più validi sostenuti già nelle generazioni passate dallacultura marxista.

O al contrario bisognerà rassegnarci a precipitare nellabarbarie, e ci faremo dominare per secoli dai valori peggiorioggi propagandati da chi detiene il potere, dalla superficialitàculturale, dalla aggressività del denaro, dallo sfruttamento,dall’imperialismo. La storia umana ha superato momenti dif-ficili, e quello che stiamo attraversando è certamente uno deipeggiori, ma i comunisti hanno fiducia nello sviluppo delleidee, nella lotta degli sfruttati, nelle forze di liberazione e pro-gressiste di tutto il mondo. Per sostenere questo programma,nel nostro come negli altri paesi, la cultura, l’università, i gio-vani, sono le armi migliori.

G r a m s c iDIRETTORE Raffaele DE GRADA

DIRETTORE RESPONSABILE Ada DONNO

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Chiuso in tipografia il 23 Luglio 2004

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Gramsci Luglio 2004 9

Quando lo scandalo delle torture irruppe tra le righe deibollettini di guerra della “coalition of the willings”, i thinktank (mi adeguo al linguaggio neoborghese…) dell’imperiali-smo pretesero di postulare la superiorità della cultura occi-dentale sulla base di un semplice assioma: nelle democrazieliberali le verità sono sempre pubbliche e consentono di lava-re i panni sporchi alla luce del sole. Dopo poche settimane,invece, tutto di nuovo tace, a riprova che non di eco liberale sitrattava, ma di gigantesca realtà che non poteva essere insab-biata, ma solo sotterrata da una valanga di “buone novelle”,come la fantomatica risoluzione Onu o la parodiaca restitu-zione di sovranità agli iracheni. Con qualche processo-farsain stile Chieti (quello a Volpi e Dumini per l’omicidio- Matte-otti, per intenderci) si vorrebbe chiudere l’incidente mettendoalla gogna le poche mele marce che infangano la bandieradella “democrazia”, e ricordandoci che ben altri furono i prin-cipi ispiratori della “missione”.

Gli aguzzini sotto accusa si difendono secondo la linea-Eichmann: “eseguivo gli ordini”. Ma gli ordini, a quanto pare,provenivano da “facilitatori di interrogatori” regolarmenteappaltati (sic!) a compagnie nordamericane, da direttori dicarcere direttamente dipendenti dal Pentagono, da specialistidell’intelligence (la Cia) che, come noto, fanno capo alla CasaBianca. E poi c’è il fuoco divertito sui nemici feriti, comebulletti al Luna Park, autorizzato, anzi ordinato, via radio daisuperiori… Permettete: qualche dubbio sulla teoria delle melemarce può sorgere, non necessariamente ad un comunista, seErnesto Galli Della Loggia, in uno stimolante editoriale sulCorriere della Sera, rimpiange l’esercito americano “dei bi-scotti, dei circoli e delle uova in polvere” in Italia nel ’43. Amodo suo il “nostro” coglie un aspetto molto importante: l’in-gresso del mercato e delle sue leggi nella gestione della sicu-rezza americana (e quindi mondiale) ne ha espunto trasparen-za, democrazia e valori condivisi. Viene da domandarsi se lostesso rischio non si corra anche negli altri settori della socie-tà, ma questo è un altro discorso. Accetto di calarmi nell’are-na dell’analisi puramente sovrastrutturale, mettendo, per unattimo, nel cassetto categorie socioeconomiche e vere moti-vazioni della guerra.

Che torture e democrazia siano filosoficamente inconci-liabili è concetto condiviso ed autoprovantesi. Che gli esercitisiano fatti da uomini (e donne!) in carne ed ossa è un dato difatto. Da quanto è accaduto dobbiamo, dunque, dedurre duepossibili postulati, non necessariamente inconciliabili: o glieserciti della coalizione sono microcosmi a sé stante avulsidalle rispettive società, ed in tal caso non hanno il diritto dirappresentarle, né di fare la Storia per nostro conto; oppure, alcontrario, ne sono parte integrante, per quanto peculiare, edallora, nei Paesi della coalizione, democrazia è una parolavuota. Norberto Bobbio, nel suo “Il futuro della democrazia”,tocca le vette più alte della sua analisi (in vero difficilmentecondivisibile per un comunista) quando afferma che il gradodi democrazia di una società si misura anche e soprattutto sul-la domanda “fin dove?”. Pare evidente che l’apparato dellaDifesa degli Usa e, quindi, oggi, del mondo intero, è nelle

TORTURE DEMOCRAZIA GIUSTIZIA VERITÀdi Marco Calvarese

mani di enti (esercito, servizi segreti, ecc.) ove la democrazia(eguaglianza, dignità umana, trasparenza, soggezione alla vo-lontà ed al giudizio popolare) non trova cittadinanza.

Se gettiamo uno sguardo anche all’interno della societàstatunitense, l’immagine che ne ricaviamo non è tanto quelladella grande democrazia decantata da Toqueville, quanto piut-tosto di un immenso “campo Hobbit” in cui centinaia di mi-lioni di persone si affannano a sopravvivere, si alienano qual-siasi forma di partecipazione alla gestione della società stes-sa, che demandano, “confusi e felici”, ai guardiani della lorofinta tranquillità. Due cose inquietano: che questo sia il mo-dello sociale vagheggiato da generazioni di giovani neofasci-sti, e che tutto il mondo sia destinato, nei piani della classepadronale, a questi scenari. Ma un democratico può e devedomandarsi, con Platone :”chi controlla i controllori?”. I fili-stei risponderebbero: negli Stati Uniti è il presidente, demo-craticamente eletto ed espressione personificata della sovra-nità popolare, a farlo.

Quindi, indirettamente, sono i controllati a controllare icontrollori. Ma il giro di valzer non convince, se il controllore(Rumsfield) si assume in prima persona, di fronte al Senato,“la responsabilità politica e morale di quanto accaduto” (in-quietante assonanza con analogo discorso, in analoga sede,tenuto in Italia il 3 gennaio 1925…) ed il presidente, pur for-malmente indignato, ne elogia il lavoro e lo esorta a prosegui-re! È evidente che guardiano e sovrano sono la stessa parte, equella parte non è la stessa del popolo, cioè della democrazia.È il frontespizio di una dittatura democratica borghese chenon si esporta, si estende sul mondo intero; è il “velo di Maya”che cela l’indicibile ferocia contro ogni forma di opposizione.È un intero sistema che ha il suo Zenit a Guantanamo, spar-tiacque tra la “ridente” democrazia americana e la kafkianacolonia penale riservata ai cittadini di Eurasia (non è parafrasidella Fallaci, che non merita la dignità di una menzione, macitazione letterale di Orwell, la cui lettura è consigliabile aipiù), non solo afgani ed iracheni. Guantanamo è la modernaBastiglia, monito per quanti osino, con la penna o con le armi,disturbare il manovratore.

Ma la democrazia è concetto universale che si fonda sueguaglianza e stato di diritto. La sospensione di questo, nonsolo a Guantanamo, ma su tutto il territorio nazionale (PatriotAct, 2002) è, di fatto, la sospensione dell’habeas corpus, deipiù elementari rudimenti del diritto e della democrazia mede-

Torture nel carcere di Abu Ghraib.

Luglio 200410 Gramsci

sima. Ritengo importante rendere noto che queste misure, sban-dierate come eccezionali e transitorie, sono frutto, in realtà, diun vulnus già presente, in embrione, nei principi costitutividello stato americano: Hamilton, nel 1793, proclamava solen-nemente, negli scritti federalisti, che “[la giustizia] è il fine diogni società civile. L’abbiamo sempre cercata, e sempre laricercheremo, finché non l’avremo ottenuta, o finché non per-deremo, in questa ricerca, la nostra libertà”.

Quindi, per la democrazia liberale, di cui quella americanavanta il primato, la giustizia non è un valore assoluto, bensì lasua ricerca si può (o si deve) fermare di fronte alla loro liber-tà. Basta leggere qualche sentenza della Corte Suprema ame-ricana per aver chiaro cosa si intenda, da quelle parti, per li-bertà. Questa è la democrazia che si presume di esportare!

Ecco che (come volevasi dimostrare…) la logica dedutti-va, applicata alla sovrastruttura, riconduce all’analisi di strut-tura: le torture dimostrano che la guerra in Iraq non esporta

democrazia, non solo, o non tanto, perché non si tratta di mer-ce esportabile, ma perché, per esportare una merce, occorre-rebbe prima di tutto possederla. La Storia è stata, è e sarà sem-pre lotta di classe, e l’odierna classe dominante, negli Usa enel mondo, vuole Eurasia, con la “croce” della sua parodia didemocrazia, se possibile, con la “spada” dell’oppressione edella tortura, se necessario.

Non a caso ho citato solo intellettuali e grandi teorici dellostato borghese, ma per dimostrare che il mito del liberalismocrolla nel momento in cui, avvitandosi su sé stesso, giungealla negazione dei suoi stessi principi.

Il liberalismo moderno, alla mercé dell’impero, è la nega-zione della democrazia, il cui testimone, com’è scritto nelladialettica della Storia, passa a pieno titolo al socialismo edalla edificazione della “futura umanità”. A noi, e solo a noicomunisti, l’onore e l’onere di tenere alta la bandiera dei dirit-ti umani!

L’EUROPA CHE NON C’Èdi Giuseppe Amata

1. I risultati delle elezioni europee, con il massiccio asten-sionismo evidenziato e con la bocciatura della politica di tuttii governi (ad eccezione di quelli spagnolo e greco, sia per sin-goli fatti interni che per le vicende internazionali), se si asso-ciano alla spaccatura che si è determinata tra i governi euro-pei di fronte alla guerra americana in Iraq, nonché alle diver-genze sulla formulazione della Costituzione europea, metto-no in evidenza che l’Unione Europea è e rimane, almeno perora, solo un’area di libero scambio di capitali e di merci e dilibera circolazione delle persone e non quanto declamato neiproponimenti degli anni ’90 e nella retorica ufficiale l’affer-mazione di uno Stato sovranazionale su basi federative.

Infatti, il Parlamento europeo non ha alcun potere decisio-nale, a differenza del Consiglio dei ministri ed all’orizzontenon si scorgono elementi di riavvicinamento tra i governi ri-spetto alle questioni internazionali, alla politica di difesa ed alruolo dell’America come potenza egemone.

2. Eppure sul piano internazionale, sia a livello politicoche economico, molti eventi attestano che la situazione, purfluida, si evolve verso l’affermazione di una grande area con-tinentale euro-asiatica e di un’altra latino-americana le quali,nel rispetto delle proprie identità nazionali e delle differenzeregionali, cercano di mettere in evidenza gli elementi di colle-gamento e di unione rispetto a quelli di disaccordo per strap-pare la camicia di forza che l’America vuole avvolgere almondo con la scusa delle guerre infinite al terrorismo.

L’Europa dovrebbe essere parte attiva dell’area continen-tale euro-asiatica ed in posizione di referente con quella lati-no-americana per i suoi legami storici, anche se rimangono isegni nella coscienza di quei popoli delle sofferenze impostedal colonialismo e dal suo retaggio storico nello scambio ine-guale d’oggi. Ma l’Europa dei 25 per la volontà di molti suoigoverni, rimane inserita nella strategia americana, in mododiretto od indiretto, ed attraverso la Nato, con l’allargamentoad Est, sulle rovine dell’Unione Sovietica e del Patto di Var-savia, si rende complice di una politica espansiva che preoc-cupa seriamente la Russia.

Molte forze politiche minori in Europa, cosiddette radicalio di ispirazione di sinistra, ancor che molti intellettuali, dietroil paravento dei diritti umani e delle libertà democratiche, gio-cano un ruolo negativo in una strategia di ampio respiro, di-ventando complici, volenti o nolenti, della politica egemoni-ca Usa, trascurando aspetti principali come il fatto che, l’im-pianto di sicurezza sociale scaturito dai diversi compromessiistituzionali dopo il secondo conflitto mondiale tra le massepopolari da una parte e settori della borghesia monopolisticadei diversi paesi dall’altra, la quale è stata costretta a sotto-scriverli, dopo aver dato il sostegno tra il primo ed il secondoconflitto mondiale ad una politica di sfruttamento degli stratipiù deboli e, in alcuni paesi (Italia, Germania, Spagna, ecc.),alle dittature nazi-fasciste.

3. I popoli europei negli ultimi anni hanno manifestato inmassa contro la guerra, contro l’egemonismo americano, con-tro l’attacco alla politica della sicurezza sociale, della libertàd’insegnamento, d’informazione ed in generale delle libertàdemocratiche; nonché a favore della salvaguardia ambientalee territoriale e dell’uso corretto delle risorse. Ma la mancanzadi una visione unitaria e l’agire concreto sui singoli problemiparticolari e generali, utilizzando i giusti legami organizzati-vi, non ha consentito i relativi successi, lasciando inespressoo passivo un grande potenziale di lotta e di volontà di cambia-mento. L’astensionismo alle elezioni europee con punte supe-riori al 60% in diversi paesi e le lotte sin qui maturate attesta-no che siamo vicini ad una “situazione di catastrofe”. O im-mediatamente si creino le condizioni per un compromessosocio-istituzionale tra le masse popolari e settori della bor-ghesia monopolistica europea che si vuole emancipare dal-l’egemonismo americano (è inutile fingere con parole altiso-nanti quella che si configura una cruda realtà politica o ma-scherare con aggettivi “antagonistici” l’accettazione di fattodi un ruolo passivo per non assumersi con lealtà di fronte allemasse le proprie responsabilità!) per delineare su basi demo-cratiche, pacifiche (come ad esempio quanto recita l’art. 11della Costituzione italiana) e sociali la Costituzione europea

Gramsci Luglio 2004 11

per dare successivamente consistenza alla nascita effettiva subasi federali dell’Unione Europea oppure si accrescerà il gio-co alla demolizione di quanto fin qui costruito in Europa, alprezzo di tanti sacrifici e costi sociali da parte delle massepopolari (basti pensare alla politica agricola pagata a caro prez-zo dai contadini dell’Europa mediterranea, alla politica mo-

ELEZIONI EUROPEE 2004di Ada Donno

Se dalle elezioni europee del 13 giugno, in cui é stata datala parola ai 350 milioni di cittadini per eleggere i 732 rappre-sentanti nel nuovo Parlamento dei 25, qualcuno si aspettavala prova di un entusiastico consenso popolare alla realizzazio-ne fin qui fatta dell´Unione Europea, non é stato confortatodai risultati.

Il primo dato significativo di queste elezioni, infatti, é sta-ta ancora una volta l¨astensione, che sembra procedere increscendo dalle prime elezioni del 1979 ad oggi, raggiungen-do il 54% nei paesi della Europa occidentale e punte massimenei paesi entrati nell´Unione il primo maggio scorso, fino al65% della Polonia. Risultato che non é da imputare alla “im-maturitá” dell´elettorato, come ha fatto con scarso senso poli-tico dal presidente polacco Kwamenewski nel tentativo di tro-vare l´alibi per se stesso ed isuoi alleati di governo accu-sati di corruzione dal giudi-zio popolare.

Se i cittadini dell´UnioneEuropea ancora non perce-piscono quanto possa cam-biare nella loro vita quotidia-na in virtú del voto espres-so, é piuttosto responsabili-tá di chi ha finora diretto ilgioco.

Il confronto sulla costru-zione dell´Unione, in realtáé totalmente staccato dallasocietá reale e finora i cittadini non sono stati coinvolti demo-craticamente nel processo di costruzione.

Una parte consistente dell´astensione si puó leggere comeespressione di un rifiuto cosciente da parte degli elettori diuna costruzione europea, quale quella che si é venuta realiz-zando di vertice in vertice da Roma a Maastricht, ad Amster-dam, a Nizza, a Barcellona, fino a Salonicco, centrata esclusi-vamente sul mercato, senza tener conto dei bisogni dei citta-dini e anzi andando spesso contro i loro interessi immediati.Gran parte del disinteresse é motivato dal fatto che i popolinon vedono alcuna possibilitá di modificare col voto questacostruzione. Non si puó imputare agli elettori di non essersiappassionati ad una campagna elettorale che non chiedeva lorodi pronunciarsi sul modello sociale da difendere, dato per scon-tato una volta per tutte, né poneva al centro del confronto igrandi temi della Costituzione europea che stava per esserevarata.

Nella migliore delle ipotesi, la maggior parte dei candida-

ti, di destra, di centro e anche della sinistra socialdemocratica,hanno esibito davanti agli elettori delle rispettive circoscri-zioni la loro abilitá di infilarsi nelle pieghe dei bilanci europeiper rastrellare porzioni di fondi strutturali, sulla cui gestionela gran parte dei cittadini non ha la possibilitá di esercitarealcun controllo.

Questa Europa, in definitiva, si presenta troppo comeun´Europa monetarista, delle banche e dei banchieri, dellegrandi multinazionali e troppo poco come l´Europa dei popo-li.

Il secondo dato riguarda poi il giudizio espresso con il votodai cittadini che hanno scelto di andare a votare. Si é parlatogiustamente di voto-sanzione nei confronti dei governi in ca-rica, al di lá del colore politico. Da Berlino a Londra, da Roma

a Praga, a Vienna, a Parigi, éstata sanzionata la politicaneoliberista adottata per sa-nare i disavanzi pubblici, itagli feroci alle pensioni ealle spese sociali, sia che fos-sero opera di governi di de-stra, sia di “sinistra”, comenel caso della SPD di Schro-eder e dei labouristi di TonyBlair, o del Partito Sociali-sta Democratico Ceko.

A fronte di una partecipa-zione al voto che in Germa-nia scende al 43% e in Gran

Bretagna al 39%. Anche se il voto che sanziona la politica deigoverni socialdemocratici non premia le destre conservatrici.In Francia perde Chirac, in Italia non perde complessivamen-te la destra, ma il voto-sanzione colpisce il partito del Cava-lier Berlusconi.

In Italia, nonostante i quattro milioni di voti perduti daBerlusconi, il centro sinistra non è riuscito a superare il centrodestra, soprattutto perché il listone di Prodi e D´Alema perdeoltre due milioni di voti rispetto alla somma dei voti ottenutinel 2001 dai partiti che ne facevano parte. L´aggregazionenon ha funzionato, evidentemente, nonostante la campagnaincentrata sul “voto utile”, che mirava a sottrarre voti ai partitiminori della sinistra. I quali invece hanno tenuto bene. Se in-fatti i dati confermano la crescita dell´opposizione di centrosinistra nel suo complesso, avvertono chiaramente che perbattere la destra occorre dare forza alla pluralitá dei partitidella coalizione.

In generale tiene la sinistra riunita nel Parlamento europeo

netaria, ecc.), da parte dei vari Blair, Berlusconi, dei simili diAznar, dei dirigenti polacchi, ed altri che per la loro sopravvi-venza politica e per la sopravvivenza degli strati economici diborghesia che rappresentano, preferiscono mantenere la lorosubordinazione o “lealtà” agli Usa, in barba all’apparente de-clamata volontà europeistica.

Prigioniero iracheno morso da un cane aizzato dai carcerieri Usa.

Luglio 200412 Gramsci

Dopo tre giorni dalle elezioni per il rinnovo del Parlamen-to europeo, contrassegnato da un elevato tasso di astensioni-smo e dall’avanzamento delle forze neofasciste, xenofobe econservatrici, il Consiglio dei capi di Stato e di governo dellaUe hanno approvato la Costituzione europea.

Essa verrà ratificata degli stati membri, in alcuni casi sono

L’ EUROPA DEL CAPITALE E LA SUA COSTITUZIONEdi Lorenzo Pace

previsti dei referendum popolari e entrerà in vigore nel 2009.In realtà la Costituzione europea racchiude tutti i precedentitrattati dell’Ue che garantiscono la libera circolazione dei ca-pitali e accrescono le ingiustizie verso la classe operaia e lemasse popolari. Resta, pertanto, l’impianto borghese dellaCarta medesima dove il “patto di stabilità” rappresenta il gri-

nella GUE (Sinistra Unita Europea): la PDS tedesca raggiun-ge con il 6,1% e sette eurodeputati, il risultato piú alto finoratoccato; cosí pure il Partito comunista portoghese con il 9,5%e il Kke greco (9,5%). Bene anche il Partito comunista (5,3%)in Francia, dove invece arretra la componente trotskista pre-sente nel precedente parlamento. Ottimo risultato raggiungeil Partito comunista ceko, e in generale si puó dire fallito iltentativo perseguito concentricamente di annientare i partiticomunisti storici dell´Est europeo.

Il risultato dei comunisti in Italia è buono, dove il PdCIvince la battaglia contro la cosiddetta “tenaglia” stretta da Ri-fondazione e Ds.

Il 13 giugno, in ogni caso, era considerato un test impor-tante per l´immediato futuro politico.

Se in Italia era senso comune diffuso nelle masse popolariche l´obiettivo vero della campagna elettorale fosse batterequesta destra sfrenatamente liberista, tracotante ed eversivadell´ordine costituzionale, in Europa in generale si puó direche il voto abbia premiato le ragioni della sinistra che sostie-ne la costruzione di un´altra Europa possibile: quella della pace,dei diritti, dell´accoglienza e della solidarietá, dello sviluppoequo e sostenibile e della cooperazione internazionale; le ra-gioni della sinistra che sostiene la necessitá del coinvolgimentodemocratico nel processo di costruzione per colmare la di-stanza fra le istituzioni europee ed i cittadini.

Durante la campagna elettorale ho ricevuto, come credotutti i candidati, la richiesta da parte dell´Associazione Nazio-nale delle organizzazioni non governative italiane di sotto-scrivere un manifesto-dichiarazione che impegnava, in casodi elezione al Parlamento Europeo, a sostenere una politica diincremento della cooperazione allo sviluppo e della solida-rietá con i paesi del Sud del mondo; ad assumere tra le prioritádel programma politico la necessitá di raddoppiare i flussidell´aiuto allo sviluppo; ad assicurare il rispetto del principiodi coerenza giá dichiarato in teoria statutariamente: cioé chepolitiche commerciali, agricole, della pesca, ma anche la poli-tica estera e di sicurezza dell´Unione siano coerenti con gliimpegni di aiuto allo sviluppo equo e compatibile. Perché, sidiceva nel manifesto, quello che l´Europa dá con una mano,non puó riprendersela con l´altra!

Non ho avuto esitazione a sottoscrivere, come credo ab-biano fatto tutti i candidati comunisti, al di lá dei risultati elet-torali personali, perché credo che quelle richieste coincidanocon il nostro modo di pensare ed agire da sempre.

I comunisti sono impegnati a pensare e sostenere un pro-getto di Unione Europea che superi le basi su cui essa si évenuta costruendo, dentro le cui compatibilitá si sono collo-cate invece in modo subalterno le socialdemocrazie europee.

Un progetto delineato nella Piattaforma comune per le ele-zioni sottoscritto dai partiti del gruppo GUE/NGL alla vigiliadelle elezioni, dove si legge l´idea di un´Europa autonoma sulpiano politico istituzionale, non subalterna all´imperialismoUsa, fondata sull´unitá fra stati sovrani con una comune col-locazione di pace e cooperazione internazionale multilatera-le, su un´autonoma politica di sicurezza e difesa che rifuggaperó dalle spinte in direzione del riarmo e della militarizza-zione e dai richiami neoimperialistici in essa presenti; che sicostituisca come parte essenziale di un mondo basato su unequilibrio multipolare.

Infine, nell´ambito della discussione sul trattato per la nuo-va Costituzione, adottata dai 25 paesi nel Consiglio d´Europa,é sorto un dibattito assai significativo sulla sovranitá degli statiin seno all¨Unione. Significativo é che proprio quei paesi (comela Gran Bretagna) e quei governi (come quello di Berlusconi)che piú accesamente si son fatti paladini della sovranitá deisingoli stati in seno all´Unione, siano gli stessi che hanno datomaggior prova di prona sudditanza nei confronti degli StatiUniti.

Abbiamo visto questi governi vendersi per un pugno didollari e partecipare alla guerra contro l´raq a fianco degli Usa,senza tener conto né dell´opposizione della maggioranza diessi né di quella dei loro stessi popoli che sono scesi nellestrade in massa per manifestare la loro opposizione alla guer-ra. Pretendere di costruire l´Europa unita su queste basi con-traddice lo spirito stesso della sovranitá. E´ evidente che gliUsa non hanno interesse a che l´Europa si costituisca comepolo regionale politicamente, economicamente e militarmen-te autonomo e faranno di tutto per impedirlo. Ma é proprioqui che si giocherá il futuro del pianeta.Il dibattito sulla Costi-tuzione, per lo piú eluso nella campagna elettorale, torneráprepotentemente nei prossimi mesi. Dei 25 governidell´Unione, alcuni hanno giá annunciato che sottoporranno areferendum il testo adottato; altri per non rischiare rimette-ranno la cosa ai parlamenti in cui hanno la maggioranza assi-curata: altri ancora non hanno definito la strada da prendere.

Nella sinistra si sono registrate posizioni diverse e anchecontraddittorie. Si é andati dal NO deciso al NO con i se econ i ma, fino al SI purché.

Il gruppo della GUE/NGL si é pronunciato complessiva-mente per un “No progressivo”, che significa che lavorerá alprogetto di un nuovo trattato, pur non rinunciando al confron-to sui contenuti e sugli emendamenti possibili a quello adotta-to.

Il coinvolgimento in questo dibattito delle organizzazionipolitiche e sociali di massa sará la misura della partecipazio-ne democratica alla costruzione dell´Europa unita.

Gramsci Luglio 2004 13

CONGRESSO MONDIALE DI POESIAdi Giuliana Grando*

Nell’ambito del Congresso Mondiale di Poe-sia, ospitato dal 24° Festival del Caribe, a Santia-go di Cuba, è stato presentato nei giorni scorsi laraccolta di poesie di Anna Lombardo e AntonellaBarina (testi in italiano e spagnolo): “NESSUNALIBI / NINGUNA COARTADA”. Il dialogo po-etico a due voci delle autrici veneziane, nato dauna reciproca lettura di testi, apre una particolarefinestra sulle contraddizioni del mondo attraver-sando temi come il mito, la guerra, l’amore.

“Nessun Alibi” è strato apprezzato per il ri-chiamo esplicito alla responsabilità dei poeti nel-l’attuale momento storico. Oltre alle due poetes-se veneziane, era presente anche l’italiano Gianlui-gi Nespoli con un prezioso lavoro su Neruda. Trai tanti poeti presenti spiccavano i nomi della cubana NancyGalano Stivens, infaticabile organizzatrice del Congresso, delpoeta e ricercatore portoricano Vicent Rodriguez Nietzsche edella panamense Yolanda Hacsh. “La poesia è la lampada delmondo, grazie per averla accesa”, ha detto il poeta nazionaledi Santiago Jesus Cos Causse, principale animatore del con-gresso. Il 20 luglio prossimo, Anna Lombardo e Antonella Ba-rina presenteranno un’anteprima di “NESSUN ALIBI” al Fe-stival di Poesia del Lido di Venezia, quindi, alla fine di ago-sto, reciteranno le loro poesie nella Casa di Pablo Neruda, aValparaiso in Cile. Per l’autunno, infine, è prevista una pre-

sentazione ufficiale a Venezia. “NESSUN ALI-BI”, edito da Editoria Universitaria di Venezia,comprende 18 testi, composti in epoche diverse:da “Che importa” di Barina, del 1975,� a “Ed èvero che un tempo” di Lombardo, del 1985, finoai più recenti di entrambe.

Tra le poesie di Lombardo figura “Che occhiaveva la tua morte”, che, dice l’autrice, “sarà ‘di-smessa solo quando le guerre e le distruzioni ces-seranno”. Nel libro, anche testi ispirati ai siti didiversi continenti da “Materno Ancestrale” diBarina, rappresentato dal 1990 in poi a Venezia edintorni. Il libro si apre con una “Proposta” che,al settimo punto, recita: “Non ci sono più alibirispetto alla responsabilità che la nostra stessa

scrittura ci getta addosso. Da questa responsabilità traiamoassieme la forza per essere nel mondo”. Il libro, dedicato allamemoria di Vittorio Tommasi a cui è intolato anche il Circolodi Amicizia Italia Cuba di Venezia, nasce da una sinergia dilavoro con l’Associazione Italia-Cuba.*(Presidente Associazione di Amicizia Italia Cuba - Circolo di Venezia“Vittorio Tommasi”).Titolo: “NESSUN ALIBI / NINGUNA COARTADA” .Autore: Anna Lombardo e Antonella Barina.Prezzo: euro 7,00.Editoria Universitaria - Venezia, San Polo 2199 - 30125 Venezia. Tel.0415246242 - 3388167955. [email protected] - dir. Albert Gardin

maldello per piegare i lavoratori alle esigenze del grande ca-pitale finanziario europeo.

Il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato o di go-verno degli stati membri, dal suo presidente e da quello dellaCommissione, ha l’incarico “di definire gli orientamenti e lepriorità politiche”. Nel Consiglio europeo le decisioni saran-no approvate a maggioranza qualificata, 55% dei paesi e 65%della popolazione europea. Mentre l’assemblea parlamentaredi Strasburgo avrà solo poteri di indirizzo e non avrà nessunpotere in materie importanti quali la politica estera e quellamilitare. Inoltre la borghesia dominante europea, con i suoicentri finanziari reazionari, ha impedito che nella Costituzio-ne ci fosse qualsiasi riferimento all’antifascismo europeo e alprincipio che l’Europa rifiuta la guerra come mezzo di risolu-zione delle controversie internazionali. Va perciò sottolineatoil carattere antidemocratico di questa Costituzione, sia per ciòche concerne la sua composizione, che per i poteri che asse-gna alle diverse istituzioni.

Essa è stata redatta da un gruppo di 105 membri che inmodi diversi rappresentano gli interessi del monopolismo fi-nanziario europeo. Se confrontiamo questa Costituzione conquella Russa del ’18 e con quella sovietica del ’24, nelle qua-li, durante la stesura, intervennero attivamente nelle discus-sioni e nelle decisioni milioni di lavoratori, in migliaia di as-semblee e con milioni di emendamenti, non possiamo non ri-levare che la Costituzione sovietica è l’espressione dello Sta-to dei lavoratori, mentre quella europea, affidando tutti i pote-

ri agli esecutivi, esautorando gli organismi collettivi elettivi,è l’espressione del blocco imperialista europeo. Attraversoquesta Carta costituzionale l’Unione Europea si dota di unostrumento istituzionale che rafforza il blocco economico fi-nanziario su cui si fonda.

Divisa sul patto di stabilità e in politica estera, la Ue èinvece unita nel cancellare i diritti dei lavoratori e nel preca-rizzare le condizioni di lavoro, nel favorire la chiusura e lospostamento delle fabbriche laddove si possono sfruttare me-glio gli operai e nel distruggere la fiorente agricoltura dellepiccole e medie aziende agricole per mantenere alti i profittidelle grandi aziende agricole capitaliste. Oggi l’Europa, dagliUrali all’Atlantico, liberata dalle basi militari Usa e Nato,potrebbe rappresentare il baluardo della democrazia, del pro-gresso e della trasformazione sociale.

Questo solo se i lavoratori diverranno il perno centrale diun nuovo modello di sviluppo economico, politico e socialeeuropeo. Per fare ciò è necessario che i comunisti si ponganol’obiettivo della loro unità attraverso un Coordinamento delleloro forze e dei loro partiti, assumendo come elemento fonda-mentale della loro azione politica la lotta antimperialista-an-ticapitalista e la direzione e il coordinamento delle lotte dellaclasse operaia.

Così si potrà lottare con efficacia, nelle istituzioni e allatesta della classe operaia, perché il vecchio continente gestitodai banchieri di Maastricht diventi l’Europa del lavoro, dellapace, dell’antifascismo e della democrazia socialista.

RECENSIONI

Luglio 200414 Gramsci

CESARE PAVESE E IL REVISIONISMO STORICOdi Antonio Catalfamo

Il 13 giugno scorso, nella suggestiva cornice della casanatale di Cesare Pavese, a Santo Stefano Belbo, è stato pre-sentato il quarto volume di saggi internazionali dedicato alloscrittore langarolo, col titolo: “La stanza degli specchi. Cesa-re Pavese nella letteratura, nel cinema e nel teatro”. Il libro,abbastanza corposo (oltre duecento pagine),è stato pubblicato per iniziativa dell’ “Os-servatorio permanente sugli studi pavesia-ni, nel mondo”, coordinato da Antonio Ca-talfamo (Università di Messina). Questo or-ganismo, nato nel febbraio 2001, ha il com-pito di “monitorare” il panorama letterariointernazionale per individuare nuovi studisull’opera di Cesare Pavese.

Ad esso hanno aderito docenti universi-tari e critici di fama provenienti dalle varieparti del mondo. I risultati del “monitorag-gio” sono stati resi noti attraverso la pubbli-cazione di volumi a cadenza annuale.

Il presente, quarto della serie, allargal’orizzonte degli studi pavesiani al di là del-la letteratura, investendo il campo del cine-ma e del teatro.

Alla manifestazione di presentazione, ol-tre al coordinatore Antonio Catalfamo, era-no presenti le professoresse Anna Tylusinska (Università diVarsavia) e Giovanna Romanelli (La Sorbonne Nouvelle diParigi), corrispondenti dell’ “Osservatorio permanente” dai ri-spettivi paesi.

Dagli studi compiuti nel corso degli anni dal suddetto or-ganismo internazionale è emerso che l’opera di Pavese è dif-fusa in tutto il mondo. Si contano traduzioni perfino in Viet-nam. Una particolare attenzione allo scrittore era dedicata neiPaesi dell’Est europeo.

Di solito nell’ex blocco sovietico erano tradotti e pubbli-cati i romanzi più politicamente impegnati di Pavese, come“Il compagno” e “La luna e i falò”. Ma in Polonia e in Roma-nia sono state pubblicate anche opere come “Dialoghi conLeucò” e “Il mestiere di vivere”, che sono considerate dallacritica meno impegnate.

Il presente volume contiene, appunto, nelle pagine con-clusive, un saggio della professoressa Doina Condrea Derer(Università di Bucarest) sulla presenza pavesiana in Roma-nia, dal quale emerge che autorevoli intellettuali si sono im-pegnati in questo paese nella traduzione delle opere dello scrit-tore piemontese. E’ significativo sottolineare che oggi, nel-l’Est europeo, non si pubblica più niente di Pavese e gli studisu di lui languiscono.

Il presente volume rappresenta anche l’occasione per com-battere le tesi revisioniste, che oggi investono anche Pavese,che viene raffigurato come un personaggio ambiguo, com-promesso col fascismo o, quantomeno, appartenente alla co-siddetta “zona grigia”. Nel saggio di apertura, Antonio Catal-famo dimostra ampiamente che lo scrittore non fu arrestatoper caso, nel ’35, nell’ambito della retata che portò in carcere

il gruppo degli antifascisti torinesi di “Giustizia e Libertà”,raccolti intorno alla casa editrice Einaudi. La polizia fascistaera ben informata, perché aveva un infiltrato d’eccezione, loscrittore Pitigrilli (al secolo Dino Segre), che, in un’informa-tiva del 23 ottobre 1934, definì “La Cultura”, rivista einaudia-

na diretta da Pavese, “un ago calamitato sulquale si raduna tutta la limatura di ferro del-l’antifascismo culturale torinese”. Inoltre,Pavese non ebbe sconti dal fascismo nean-che dopo il confino a Brancaleone Calabro.

Difatti, non fu ammesso alla scuola pub-blica e fu costretto ad insegnare al liceo pri-vato “Giacomo Leopardi”, gestito da Ludo-vico Geymonat, compagno di scuola delloscrittore al ginnasio inferiore, e dai fratelliMassara. Questo istituto era una specie dilager nel quale venivano confinati gli intel-lettuali scomodi per il regime: vi insegnòpure Ennio Carando, militante comunistafucilato dalla banda fascista di Spirito No-vena a Villafranca Piemonte e insignito del-la medaglia d’oro per la Resistenza. Il sag-gio di Catalfamo si occupa pure della mili-tanza comunista di Pavese nel dopoguerra edella sua collaborazione, nei giorni imme-

diatamente successivi alla Liberazione, a “L’Unità” di Torino,di cui era capo redattore Davide Lajolo. Tratta, inoltre, dei“Dialoghi col compagno”, pubblicati dallo scrittore propriosul quotidiano comunista, e del “filone resistenziale” dell’operapavesiana, rappresentato da tre romanzi: “Il compagno”, “Lacasa in collina”, “La luna e i falò”. A proposito del primo diquesti romanzi, il volume ospita una testimonianza di CittoMaselli, che è stato regista della versione cinematografica de“Il compagno”.

Il libro comprende anche uno studio di Laurana Lajolo,figlia di Davide, sulla genesi de “Il vizio assurdo”, biografiadedicata dal padre all’amico fraterno Cesare Pavese. Segueun saggio di Fabio Pierangeli (Università di Roma Tor Verga-ta) sulla versione teatrale de “Il vizio assurdo”, per la qualeDavide Lajolo si avvalse della collaborazione di Diego Fab-bri. Il personaggio di Pavese in teatro fu impersonato dal com-pianto Luigi Vannucchi, che, in seguito, si suicidò.

Secondo un diffuso luogo comune, il gesto dell’attore fudeterminato proprio dal rapporto con l’opera di Pavese, an-ch’egli morto suicida nell’agosto del ’50. Una testimonianzadella figlia dell’attore, Sabina, presente nel suddetto volume,smentisce queste illazioni.

Il saggio di Marina Beelke (Università di Berlino) eviden-zia l’avversione di Pavese nei confronti della guerra, di ogniguerra, che emerge dal romanzo “La casa in collina”.

Possiamo concludere che il quarto volume di saggi inter-nazionali di critica pavesiana ha smentito tante interpretazio-ni di comodo diffuse dai revisionisti di turno.Per richiedere copia del libro pavesiano rivolgersi a: CE.PA.Mvia Cesare Pavese, 20 - 12058 Santo Stefano Belbo (Cuneo).

Gramsci Luglio 2004 15

IL PENSIERO UNITARIO DI LUDOVICO GEYMONAT

Con la pubblicazione, nei mesi scorsi, degli Atti del Con-vegno sul Pensiero unitario di L. Geymonat, tenutosi a Bolo-gna nel gennaio 2002 in occasione del decimo anniversariodella scomparsa del filosofo, le “Edizioni Nuova Cultura”hanno voluto non solo ricordare il compagno, l’educatore elo scienziato Ludovico Geymonat, ma soprattutto offrire ailettori e ai giovani in particolare, uno strumento di confrontoe di discussione sui maggiori temi posti oggi sul tappeto dallosviluppo tumultuoso delle scienze.

Il rapporto della ricerca scientifica con il potere politico ela società in generale, non può, e non deve essere, appannag-gio degli “addetti ai lavori”, come accadeva nel XIX secolo.E’ vero che ancora oggi l’introduzione di nuove macchine, dinuovi sistemi produttivi e di nuove tecnologie si traducono inaumento di profitti e in una maggiore disoccupazione operaia(ciò è una legge immanente del sistema produttivo capitalisti-co), tuttavia, l’entrata sulla scena politica mondiale di enor-mi masse popolari e operaie e di numerose organizzazionisindacali, ha reso tale contraddizione più evidente, più odio-sa e profonda di prima.

E’ apparso evidente, così, come i grandi raggruppamentifinanziari capitalistici non svolgono più nessuna funzione so-ciale che non sia l’intascare rendite e il tagliare cedole. PerL. Geymonat, la scienza, non può ignorare i bisogni dell’uo-mo, il tormento del lavoro coatto, la schiavitù salariale e l’i-gnoranza.

Essa è tale solo se riesce a capire il modo di agire delle

Centro Gramscidi Educazione e di Cultura

Il pensiero unitario diLudovico Geymonat

Convegno di Bolognagennaio 2002

Edizioni Nuova Cultura 2004

forze naturali e sociali e volgerle, se-condo un piano, a beneficio dell’in-tera società. In questo senso la scien-za è rivoluzionaria. •

Ludovico Geymonat è stato certamente uno dei massimi filosofi italiani del secondo do-poguerra e uno degli studiosi che più ha influenzato la cultura italiana con le sue intui-zioni teoriche e il suo impegno politico. Nato a Torino nel 1908, si laureò in filosofia all’Università di Torino nel 1930 e, due an-ni più tardi, anche in matematica sotto la guida di Giuseppe Peano. Nel 1934 dovette ab-bandonare il posto di assistente di analisi infinitesimale perché non iscritto al partito fa-scista. Nello stesso anno si reca a Vienna per seguire le lezioni del fisico-filosofo neopositivistico Moritz Schlick. Rientrato in Italia insegna per alcuni anni matematica e fisica in un Liceo privato, dove incontra Cesare Pavese, ma nel gennaio del 1941 il Prov-veditorato agli Studi di Torino lo costringe a lasciare anche questo posto essendo troppo noto come antifascista. Si iscrive al Partito comunista e svolge un ruolo di primo piano nelle formazioni partigiane garibaldine come commissario della brigata Carlo Pisacane. Il 25-Aprile-1945, giorno della Liberazione, esce il suo volume Studi per un nuovo ra-zionalismo che rilancia l’interesse filosofico per le scienze naturali in opposizione all’idealismo che ancora dominava il panorama culturale italiano. Nel dopoguerra concilia attività scientifica e attività politica e nel ’56 diviene titolare all’Università di Milano della Prima cattedra di filosofia della scienza istituita in Italia. Pubblica nello stesso anno e negli anni seguenti, il volume Galileo Galilei (Einaudi 1956) e degli scritti dove, con sempre maggior vigore, pone l’accento sul carattere pro-gressivo della conoscenza scientifica, fino ad approdare ad una visione della scienza im-prontata al materialismo dialettico e storico. Monumentale è la sua Storia del pensiero filosofico e scientifico (Edizioni: Garzanti) in sette volumi. Nel decennio 1970-80, nella convinzione - allora condivisa da tutti i marxi-sti- che sul fronte culturale si stesse combattendo una delle battaglie decisive per le sorti della cultura italiana, grande fu il suo impegno per far conoscere, soprattutto tra i giova-ni, le istanze filosofiche del materialismo dialettico. Ed è proprio nel rapporto uomo-na-tura, nello sviluppo sempre più stretto dei legami tra marxismo e scienza, nell’appro-fondimento del materialismo dialettico, tanto denigrato dai critici del marxismo e perfi-no da alcuni professori che si autoproclamano marxisti, che - secondo Geymonat - van-no trovati tutti i suggerimenti più fecondi per la elaborazione di una visione del mondo adeguata a livello delle nostre conoscenze scientifiche. Fra i suoi numerosi scritti ricordiamo inoltre: Saggi di filosofia neorazionalistica (1953); Filosofia e filosofia della scienza (1960); Attualità del materialismo dialettico (1974); Scienza e realismo (1977); Lineamenti di filosofia della scienza (1985); Le ragioni della scienza (Geymonat ed altri: 1986). Nel 1985 l’Accademia dei Lincei gli assegna il pre-mio nazionale di filosofia. Sono questi gli anni in cui il suo rapporto con il Partito comu-nista si incrina e dopo molte polemiche esce dal partito e nel 1980 si presenta alle elezio-ni come candidato di Democrazia Proletaria. Nell’autunno del ‘87 fu tra i promotori del Comitato per l’unità dei comunisti. Muore a Milano il 29 novembre del 1991.

€ 15,00

Combattente iracheno morto sottole sevizie dei militari americani.

Luglio 200416 Gramsci

FIDEL CASTRO RISPONDE A BUSH

«Signor George W. Bush,il milione di cubani che si è riunito oggi per recarsi di fronte

al suo Ufficio di Interessi è solo una piccola parte di tutto unpopolo coraggioso ed eroico che vorrebbe stare qui vicino anoi se fosse fisicamente possibile.

Non si riunisce in atteggiamento ostile contro il popolodegli Stati Uniti, le cui radici etiche, originarie dell’epoca incui emigrarono in questo continente i primi pellegrini, cono-sciamo bene.

Tanto meno desideriamo disturbare i funzionari, gli im-piegati e i guardiani di questo edificio che, nel compimentodelle loro missioni, godono di tutta la sicurezza e delle garan-zie che un popolo colto e civile come il no-stro è capace di offrire.

È un atto di indignata protesta e una de-nuncia contro le brutali, spietate e crudelimisure che il suo Governo ha appena adot-tato contro il nostro paese.

Conosciamo in anticipo quello che leipensa, o pretende di far credere. Nella suaopinione si tratta di masse oppresse e an-siose di libertà lanciate nella strada dalGoverno di Cuba. Ignora completamenteche il popolo dignitoso e orgoglioso che haresistito per 45 anni all’ostilità, al blocco ealle aggressioni della potenza più podero-sa della Terra, non potrà essere trascinatoda nessuna forza al mondo come un gregge, ciascuno di lorolegato con una corda al collo.

Uno statista, o qualcuno con la pretesa di esserlo, dovreb-be sapere che le idee giuste e realmente umane hanno dimo-strato nel corso della storia di essere molto più potenti dellaforza: di questa continuano a rimanere polverose e spregevolirovine, di quelle, raggi luminosi che nessuno potrà spegnere.A ogni epoca sono toccate le sue, sia le buone sia le cattive, etutte sono andate accumulandosi. Ma a questa fase che vivia-mo, in un mondo barbaro, incivile e globalizzato, sono tocca-te le peggiori e le più tenebrose e incerte.

Nel mondo che lei vuole oggi imporre non esiste la mini-ma nozione di etica, di credibilità, di norme di giustizia, disentimenti umanitari, né dei più elementari principi di solida-rietà e di generosità.

Tutto quello che viene scritto sui diritti umani nel suomondo, e in quello dei suoi alleati che condividono il sac-cheggio del pianeta, è una colossale menzogna. Migliaia dimilioni di esseri umani vivono nella fame, senza sufficientialimenti, medicine, vestiti, scarpe, abitazioni, in condizionisubumane, senza le più elementari conoscenze e sufficientiinformazioni per comprendere la loro tragedia e quella delmondo in cui vivono.

Sicuramente nessuno l’ha informata su quante decine dimilioni di bambini, di adolescenti, di giovani, di madri, di per-sone di media o di maggiore età che potrebbero essere salva-te, muoiono ogni anno in questo “idilliaco Eden di sogni” cheè la Terra, né a che ritmo vengono rovinate le condizioni natu-

rali di vita e su come si stiano sperperando in un secolo emezzo, con terribili effetti nocivi, gli idrocarburi che il piane-ta ha impiegato 300 milioni di anni per creare.

A lei basterebbe chiedere ai suoi aiutanti i dati precisi sulledecine di migliaia di armi nucleari, chimiche, biologiche, ae-roplani da bombardamento, missili intelligenti, di grande por-tata e precisione, corazzate, portaerei, armi convenzionali enon convenzionali sufficienti per mettere fine alla vita nel pia-neta.

Né lei né nessuno potrebbe mai dormire tranquillo. Nean-che i suoi alleati che cercano di emulare lo sviluppo dei suoiarsenali. Se si prendono in considerazione il basso coefficien-

te di responsabilità, il talento politico, glisquilibri tra i loro rispettivi stati e lo scar-sissimo coraggio di riflettere, tra protocolli,riunioni e consiglieri, quelli che hannonelle loro mani il destino dell’umanità, po-che sono le speranze che possano alberga-re quando contemplano, tra perplessi e in-differenti, questo manicomio reale in cuisi è trasformata la politica mondiale.

L’obiettivo di queste righe non è quel-lo di offenderla né di insultarla; ma datoche lei si è proposto di intimorire, di spa-ventare questo paese, e alla fine di distrug-gere il suo sistema socio-economico e lasua indipendenza, e se fosse necessario la

sua stessa esistenza fisica, considero un dovere elementarericordarle alcune verità.

Lei non ha titolo morale né diritto alcuno di parlare di li-bertà, di democrazia e di diritti umani, quando ostenta il pote-re sufficiente a distruggere l’umanità e il tentativo di imporreuna tirannia mondiale, ignorando e distruggendo l’Organiz-zazione delle Nazioni Unite, violando i diritti di qualsiasi pa-ese, portando a termine guerre di conquista per impadronirsidei mercati e delle risorse del mondo, imponendo sistemi po-litici e sociali decadenti e anacronistici che conducono la spe-cie umana verso l’abisso.

Lei, per altre ragioni, non può menzionare la parola demo-crazia perché, tra l’altro, la sua ascesa alla Presidenza degliStati Uniti, come tutto il mondo sa, è stata fraudolenta. Nonpuò parlare di libertà, perché non concepisce altro mondo chequello retto dall’impero del terrore delle mortali armi che lesue mani inesperte possono lanciare sull’umanità.

Non può parlare di ambiente perché ignora completamen-te che la specie umana corre il rischio di sparire. Lei accusa ditirannia il sistema economico e politico che ha condotto ilpopolo di Cuba ai più alti livelli di alfabetizzazione, di cono-scenza e cultura, tra i paesi più sviluppati del mondo; che haridotto la mortalità infantile a un indice minore di quello degliStati Uniti, e la cui popolazione riceve gratuitamente tutti iservizi di salute, educazione e altri di grande trascendenzasociale e umana.

Suona vuoto e risibile ascoltarla parlare di diritti umani aCuba. Questo è, signor Bush, uno dei pochi paesi di questo

Gramsci Luglio 2004 17

continente dove in 45 anni non vi è mai stata una sola tortura,un solo squadrone della morte, una sola esecuzione extragiu-diziaria, né un solo governante che sia diventato miliardarionell’esercizio del potere. Lei manca di autorità morale per par-lare di Cuba, un paese degno che ha resistito a 45 anni di bru-tale blocco, di guerra economica e di attacchi terroristici chesono costati migliaia di vite e decine di migliaia di milioni didollari in perdite economiche.

Lei aggredisce Cuba per meschine ragioni politiche, allaricerca del sostegno elettorale di un gruppo decrescente di rin-negati e di mercenari, senza etica né alcun principio. Lei nonha titolo morale per parlare di terrorismo, perché è circondatoda un gruppo di assassini che mediante azioni di questo tipohanno causato la morte di migliaia di cubani.

Lei non nasconde il suo disprezzo per la vita umana, per-ché non ha vacillato nell’ordinare la morte extragiudiziaria diun numero sconosciuto e segreto di persone nel mondo.

Lei non ha alcun diritto, che non sia quello della forza bru-ta, di intervenire negli affari di Cuba e di proclamare a suocapriccio il passaggio da un sistema a un altro, e di adottaremisure per arrivare a questo fine.

Questo popolo può essere sterminato – bene, vale la penache lo sappia - spazzato della faccia della Terra, ma non sog-giogato né sottomesso di nuovo alla condizione umiliante dineocolonia degli Stati Uniti.

Cuba lotta per la vita nel mondo; lei lotta per la morte.Mentre lei ammazza innumerevoli persone con i suoi attacchiindiscriminati preventivi e a sorpresa, Cuba salva centinaia dimigliaia di vite di bambini, di madri, di malati e di anziani nelmondo.

L’unica cosa che lei conosce su Cuba sono le menzogneche provengono dalle bocche voraci della mafia corrotta e in-

saziabile dei vecchi seguaci di Batista e dai loro discendenti,esperti in frodi elettorali e capaci di fare eleggere Presidentenegli Stati Uniti qualcuno che non ha ottenuto i voti sufficien-ti per raggiungere la vittoria.

Gli esseri umani non conoscono né possono conoscere li-bertà in un regime di disuguaglianza come quello che lei rap-presenta. Nessuno nasce uguale negli Stati Uniti. Nei ghetti dipersone di origine africana e latina, e nelle riserve di indianiche hanno popolato quella terra e che sono stati sterminati,non esiste altra uguaglianza che quella di essere poveri edesclusi.

Il nostro popolo, educato alla solidarietà e all’internazio-nalismo, non odia il popolo nordamericano né desidera vede-re morire giovani soldati del suo paese, bianchi, neri, indios,meticci, molte volte latinoamericani, trascinati dalla disoccu-pazione ad arruolarsi in unità militari per essere inviati in qual-che angolo del mondo in attacchi traditori e preventivi o inguerre di conquista.

Le incredibili torture effettuate sui prigionieri in Iraq han-no lasciato il mondo stupefatto.

Non pretendo di offenderla con queste righe, l’ho già det-to. Aspiro solo al fatto che in qualsiasi istante di ozio qualchesuo aiutante metta davanti a lei queste verità, anche se in real-tà non saranno assolutamente di suo gradimento.

Dato che lei ha deciso che la nostra sorte è segnata, ho ilpiacere di salutare come i gladiatori romani che andavano acombattere nel circo: Salve, Cesare, quelli che vanno a morireti salutano.

Mi dispiace solo che non potrò vederla almeno in viso,perché in questo caso lei sarà a migliaia di chilometri di di-stanza, e io sarò nella prima linea per morire combattendo adifesa della mia patria». (L’Avana 14 maggio 2004)

IMMAGINE E PAROLA

La percezione visiva del mondo esterno da parte dell’uo-mo, nella sua linea evolutiva, sia come specie, sia comeindividuo, nei vari stadi successivi della sua crescita, è sem-pre stata ritenuta il fondamento più certo nel conoscere ilmondo in tutte le sue differenziazioni e complessità .L’ uomo,così come per molti altri esseri viventi , possiede inoltre altrefacoltà: udito, tatto, gusto , olfatto. La facoltà che però ha de-terminato la differenziazione dell’uomo dagli animali è un’al-tra: la parola. Secondo la maggior parte degli intellettuali edei filosofi, questo evento che ha quasi del “miracoloso”, haagganciato la parola allo spirito, all’anima, alla coscienza,determinando la separazione tra il mondo del corpo e il mon-do dello spirito. Non è così. Un confronto tra parola e imma-gine è d’obbligo al giorno d’oggi, un momento storico impor-tante nel quale stiamo assistendo al trapasso molto veloce ,nei mass-media ( soprattutto nella televisione), dal linguaggioverbale al linguaggio visivo. Di qui questa rubrica, che vuolemettere in evidenza il legame intrinseco e dialettico tra l’im-magine e la parola.

Infatti le immagini rappresentano oggi lo strumento piùinfluente della comunicazione e della cultura. In ogni epoca

gli strumenti della comunicazione sono stati manipolati dalleclassi dominanti per imporre il loro potere.

I suoni, i segni, la scrittura e le arti sono fioriti alle cortidei mecenati così come oggi i fumetti, il cinema e la televisio-ne vengono usati dalle classi dominanti per esercitare un’ege-monia sulle classi subalterne.

L’insidia è nel potere delle immagini che affondano neisedimenti profondi della mente dell’uomo e nella difficoltà dirisposte “per immagini” che hanno le classi sfruttate. Valgaun esempio per tutti: in una seguita trasmissione televisivapolitico-culturale, non certamente super partes, subdolamen-te vengono proiettate immagini documentarie manipolate etendenziose aventi la sola funzione di smentire le tesi deglioratori in sala. Sono “immagini preconfezionate” secondo gliinteressi di chi lautamente paga e protegge il conduttore.Esse colpiscono la mente degli spettatori con tanta efficaciache neanche 1000 parole potrebbero contrastarle, quand’an-che nel salotto “plurale” sedesse Carlo Marx. •(La rubrica è aperta al contributo di tutti i lettori i quali pos-sono inviare i loro articoli al seguente.e-mail:[email protected]).

NUOVARUBRICA

Luglio 200418 Gramsci

LA VISIONE DELLA PAROLAdi Bruno Tonolo

Nei lontani anni 1895-1897, in una delle prime sale cinema-tografiche di Parigi, ciò che impressionò le prime folle, non fuun’uscita dalla fabbrica, un treno entrato in stazione (sarebbestato sufficiente andare alla stazione o alla fabbrica), ma un’im-magine del treno, un’immagine dell’uscita dalla fabbrica. Nonera per il reale, ma per l’immagine del reale che si faceva ressaalle porte del “Salon Indien”.

Come spiegare questa qualità così straordinaria che non ènella vita ma nell’immagine della vita? (visioni di accadimentidella vita ripresi e proiettati su uno schermo). Ci sono stati cri-tici, intellettuali che hanno definito questa propietà del cinema“fotogenia”, la caratteristica cioè che l’immagine cinematogra-fica, pur mantenendo il contatto con il reale, trasfigura il realefino alla magia.

Da allora è passato più di un secolo e oggi possiamo , senzarifare tutta la storia del cinema, percorrere rapidamente i passiprincipali di questa tecnologia, tra l’altro in continua evoluzio-ne, che ha portato, da 50 anni circa, in quasi tutte le case del-l’Occidente un intruso: il tubo catodico, il cinema in casa.

1. Dal “Cinematografo” dei primi tempi si è passati al “Ci-nema”. C’ è una sostanziale differenza tra i due termini : nelprimo caso si tentava di modificare il sistema di proiezione in-troducendo, ad es., il sonoro, i colori, lo schermo panoramico...il tutto per un riflesso più fedele e completo delle cose; nel se-condo caso si sono inventate le cosiddette tecniche primarie ,risultato di 25 anni di invenzioni e di reinvenzioni. Il registaMèliès, capostipite del “cinema”, alla fine del 1896, filma lapiazza dell’Opera di Parigi; ad un tratto la pellicola si blocca,ma in capo a pochi secondi si rimette in marcia; nel frattempola scena era mutata: l’omnibus Madeleine- Bastille trainato dacavalli aveva lasciato il posto ad un carro funebre e ad altripedoni che attraversavano il campo dell’obiettivo. Proiettandola pellicola Mèliès vide improvvisamente un omnibus trasfor-mato in carro funebre e uomini mutati in donne. Il trucco dellemetamorfosi era stato trovato.

Queste formule magiche, questi trucchi genialmente appli-cati, amplificati e modificati diedero vita, tra l’altro, anche aicapolavori delle avanguardie storiche del cinema Europeo. Sicrearono così i germi della sintassi del cinema. Ecco un elencodi questi trucchi che invece di accrescere la fedeltà dell’imma-gine alle cose della realtà, aprono la via della fantasmagoria piùassoluta: effetti speciali di luce, dissolvenze, dilatazione del tem-po, compressione del tempo, il primo piano... (così le cose, glioggetti, la natura sotto l’influenza della fluidità, del ritmo, deimovimenti della macchina da presa, degli ingrandimenti, deigiochi di luce ed ombra acquistano una qualità nuova, stupefa-cente, superiore alla realtà).

Così facendo il regista con l’applicazione di questi artifizi,compresa la musica, tende ad integrare lo spettatore nel flussodel film, lo portano fuori da se stesso.

2. La cosa non poteva sfuggire ai poteri economico-politicidel tempo: dal 1945 in poi tutto questo patrimonio tecnico-cul-turale fu traslato sul tubo catodico. La Tv è diventata “cinema”

e il “cinema” è diventato Tv. Con la Tv di stato lo spettatoreveniva quasi estraniato dalla sua quotidianetà e inserito in un’al-tra realtà, quella fittizia, virtuale attraverso la quale si riusciva esi riesce ad avere il consenso politico di una buona parte dellapopolazione senza usare il manganello. Il mondo immaginarioe falsificato, comprendente tutte le trasmissioni televisive, tele-giornali, documentari, fiction... ecc. viene costruito così pezzoper pezzo dai direttori di netwuork, dagli autori, dagli sceneg-giatori, dagli speakers, dai presentatori, diviene così realtà ne-gli occhi e nella mente del pubblico.

La veridicità, garantita delle immagini (ciò significa che iprocessi della percezione pratica o oggettiva entrano in gioconella percezione delle immagini del “cinema” televisivo risve-gliando alcune partecipazioni affettive collegate alla vita rea-le), che per millenni ha rappresentato la sintesi dei segni visiviaffondando le proprie radici agli albori dell’uomo, diventa oraattraverso un uso sconsiderato dello strumento, fattore di per-suasione, di condizionamento, di contagio. L’immagine mani-polata diventa così valore , diventa morale.

3. Da questo momento il carattere, la coscienza, la moraledi un giovane non saranno più decisi dalla famiglia, dalla scuo-la, dalla comunità, ma entreranno in questo processo educativoanche i messaggi, diretti e indiretti, che continuamente sonoproposti dalla televisione.

Per indiretti s’intendono quelli subliminali, da notare chenel nostro caso non si fa riferimento al significato classico deltermine, cioè a stimoli che operano al di sotto della soglia dellapercezione, ma a quei segnali che nel loro insieme, sia visivoche verbale, hanno un significato nascosto.

Ad es. se l’argomento in discussione è il terrorismo, argo-mento principe in questi giorni, e nello stesso tempo vengonoproiettate immagini differenti, anche di personalità arabe, ades. Arafat, ecco che la magia del “cinema” dà il suo messaggiosubliminale senza che lo spettatore se ne accorga e viene cosìcreato lo stereotipo del terrorista e questo va a far parte dell’im-maginario collettivo degli spettatori.

L’emotività di enormi masse di cittadini viene così indiriz-zata e condizionata. L’immagine riesce a convincere più dellaparola, l’immagine diventa così la verità, il riferimento dei va-lori e delle consuetudini , la visione diventa parola.

4. Un’altra caratteristica dei media Tv è quella di separare,il più possibile, il mondo reale dall’uomo, spezzando il suorapporto con la natura di cui è parte integrante. Sparisce il mon-do della fatica, del lavoro e di chi lo esegue.

Scusate la favola: il re non vedeva di buon occhio che suofiglio, abbandonando le strade controllate, si aggirasse per lecampagne per formarsi un giudizio sul mondo; perciò gli rega-lò carrozza e cavalli: «Ora non hai più bisogno di andare a pie-di» furono le sue parole. «Ora non ti è più consentito di farlo»era il loro significato. «Ora non puoi più farlo» era il loro effet-to.

La morale la conosciamo: la comunicazione, l’informazio-ne, per questa loro capacità incantatrice, vengono gestite nel-l’interesse di pochi per mantenere ed estendere il dominio sulleclassi sfruttate.

(continua dal numero 7)

Gramsci Luglio 2004 19

MASS MEDIA E DEMOCRAZIA AUTORITARIAdi Aristide Vecchioni

“Senza dubbio il nostro tempo… preferisce l’immagine allacosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà,l’apparenza all’essere”.

Ludwig Feuerbach(prefazione alla II edizione de’

“L’essenza del Cristianesimo”, 1843).

Lungo gli accidentati sentieri della meditazione umana rie-cheggiano voci che, di tempo in tempo, tentano di scuotere lementi dal torpore conformistico, per aiutarle a cogliere le con-traddizioni ed i risvolti negativi che si celano dietro l’effime-ro splendore di un’epoca e di una civiltà. Esse svolgono lamaieutica funzione di stimolare le facoltà critico-riflessivegenerando forme più elevate di conoscenza.

La verità (noésis), anche se relativa, deve scaturire da unintimo processo conoscitivo; diversamente, se viene precon-fezionata e passivamente accettata, essa diventa preordinataimpostura, manipolazione di massa, organizzazione gregariadel consenso. Contro tale atrofia mentale, voluta dal potere ditutti i tempi (vis imperii), si ripropongono gli alti e severi monitidi quei pensatori il cui impegno è teso a liberare gli animidalle ingannevoli illusioni e dalla condizione di acritici conte-nitori di informazioni mistificanti. Ricordiamo Platone.

IL MITO DELLA CAVERNANel settimo libro della “Repubblica”, il filosofo ateniese

immagina un’antro sotterraneo dove gli uomini, sin dalla na-scita, sono incatenati e costretti a voltare le spalle all’uscitasenza poter vedere, neanche per un attimo, la realtà esternadella natura. Sullo sfondo della caverna, dove essi sono obbli-gati a guardare, si proiettano ombre di oggetti che vengonofatti sfilare a tergo su un muricciolo, mentre un fuoco brilla inalto. I prigionieri scambiano quel gioco d’ombre e di luci perrealtà concreta, poiché non hanno alcuna possibilità di andareoltre quell’infimo livello di conoscenza sensoriale. Se peròuno di questi schiavi si libererà dai ceppi e, dopo essersi fati-cosamente inerpicato lungo l’erta riuscirà a venire fuori, ri-marrà abbagliato dalla luce accecante del sole. Poi, superatol’iniziale disorientamento, gradualmente si abituerà a contem-plare la realtà vera ed acquisirà così la chiara coscienza delsuo destino. A questo punto sarà diventato autosufficiente: unessere libero e raziocinante che sentirà la responsabilità mo-rale e storica di tornare nella caverna per redimere gli antichicompagni dall’ignoranza. Ma il compito si presenterà rischio-so. Egli sarà deriso, minacciato e, forse, anche ucciso comeaccadde a Socrate. Non tutti, infatti, vogliono intraprendere lafaticosa ascesa verso la verità. Anzi, la maggior parte, irretitadal magnetismo fantasmagorico di quelle labili figure, prefe-risce cullarsi nelle false supposizioni piuttosto che cimentarsinella riflessione critica. Costa meno fatica rimanere devoti ailati notturni dell’esistenza che impegnare le energie per dissi-pare le ombre e far prevalere la parte solare e razionale di sestessi. Platone si servì di quest’allegoria per porre l’educazio-ne filosofica (simboleggiata dal sole) a fondamento del rinno-vamento morale della polis. Ma non andò oltre. Bisogna arri-

vare agli albori dell’età moderna per trovare una rilettura delmito platonico in chiave socio-antropologica. Denis Diderot,nel 1765, prendendo spunto da un dipinto di Fragonard, evocal’antro del filosofo per esplorare il meccanismo del potere e lasua forza di persuasione nei confronti dei cittadini. Sono idominatori (re, ministri, mercanti e ciarlatani di ogni risma)che plasmano le sagome proiettandole sul fondo. E’ una éliteesclusiva che provvede alla rappresentazione delle scene ortragiche ed ora burlesche della vita. Ogni briccone è munitodi un pittoresco campionario di pupazzi che manovra a piaci-mento per ammaliare le teste vuote della platea. I prigionieri,da parte loro, partecipano commossi a quelle rappresentazio-ni. Ridono, piangono, si inebriano. Qualcuno prova a spezza-re i ferri che lo avvinghiano. Ma il risultato è scontato. Nono-stante gli impulsi emotivi, i sudditi soggiacciono alla forzaipnotica dell’autorità. L’educazione viene loro impartita a re-gola d’arte: non conviene forzare la mano poiché il Potere -come ammoniva Calvino- spetta a chi lo ha. Tuttavia il pessi-mismo del Diderot si rivelò eccessivo in un contesto comequello del XVIII secolo. Appena cinque lustri dopo questeriflessioni, il popolo parigino assaltò la Bastiglia (14 Luglio1789) dando inizio a quella Rivoluzione che spazzò via l’an-cien règime ed i suoi rappresentanti. Evidentemente, almenoin quel periodo, il ceto dominante non disponeva di tecnichedi condizionamento psichico così raffinate come l’illuministafrancese pensava.

IL NOVECENTO: SPERANZE E DELUSIONICon l’avvento del cinema, della radio e della stampa a ro-

tocalco, la “comunicazione” cominciò ad assumere un ruolopreponderante nella vita sociale. Essa diventò di massa. Pene-trò nella psiche collettiva con tale intensità da impregnarne lepiù intime fibre. Le predette innovazioni offrirono un’imma-gine euforica della vita e, pertanto, furono salutate come stru-menti di democrazia, di emancipazione e di pluralismo cultu-rale. Prendiamo in esame il cinema: positiva variante simbo-lica della mitica caverna platonica. I primi films muti, prodot-ti in America, Francia e Italia permisero a strati sociali incoltidi accostarsi a lavori letterari come “Quo Vadis?” diSienkiewicz, “Viaggio nella luna” di Verne, “Cabiria”, la cuisceneggiatura dannunziana si ispirò a Salambò di Flaubert,ecc… Il cinema espressionista tedesco (R. Wiene, F. Lang,G.W Pabst) ed il cine-verità sovietico (Knio Pravda) miseroin luce emozioni, pensieri e prospettive che, prima di allora,le masse difficilmente riuscivano a cogliere. Anche la diffu-sione della stampa e l’invenzione della radio suscitarono sug-gestioni e speranze. Specie nei Paesi di area anglosassone, ilgiornalismo scritto e radiofonico si propose come “serviziopubblico”, indipendente dai poteri forti e finalizzato alla in-formazione obiettiva, alla riflessione lucida, al confronto dia-lettico, alla libertà di analisi e di scelta. Si ritenne che la co-scienza umana, una volta illuminata dalle nuove tecnologie,potesse divenire libera ed attiva, in grado cioè di assumere laresponsabilità del proprio destino in modo radicale e profon-do. Purtroppo, si trattò di una illusione. Già nel 1922, Walter

Luglio 200420 Gramsci

Lippman, col saggio Public Opinion, fu tra i primi ad indaga-re sui pericoli latenti di tali mezzi di comunicazione. Il nuovoapparato tecnologico era certamente in grado di raggiungerein breve tempo un numero sempre maggiore di persone in ogniparte della terra, ma non forniva alcuna garanzia di imparzia-lità e di promozione culturale. Anzi, poteva trasformarsi inveicolo di insidiosa propaganda per spoliticizzare le masse edasservirle al blocco sociale dominante. Il nazi-fascismo, delresto, ne fu la più eloquente testimonianza. Mussolini ed Hit-ler riuscirono ad imporsi ed a consolidare un ampio consensograzie ai media allora disponibili (cinema, giornali L.U.C.E.,radio, stampa, musica, arti visive), spregiudicatamente utiliz-zati in una martellante azione propagandistica che generava:narcosi sociale, delega carismatica e fede assoluta nel capo.

Nel corso degli anni Trenta e Quaranta, si sviluppò unampio dibattito sulla perniciosa invadenza dei media e suimeccanismi di coazione psichica ad essi legati. Ortega y Gas-set, sia pure in chiave elitaria, fu uno dei primi a criticare lamassificazione di una cultura degenerata e priva di qualità cheinibiva l’intelligenza intuitiva e la creatività individuale fa-cendo leva solo sugli istinti più volgari della folla. In “LaRebelìon de las masas”(1929), il filosofo spagnolo accusò l’on-nipresente Stato Burocratico di volere i cittadini sempre piùvincolati e deresponsabilizzati. Seguirono altri autorevoli con-tributi di G. Orwell, T. Mann, W. Benijamin, A. Huxley, H.D.Lasswell ecc…che, da angolazioni diverse, evidenziarono ilcarattere negativo dell’integrazione collettiva operata dai nuovimezzi di comunicazione. Ma furono Horkeimer e Adorno afornire la più lucida ed avanzata teoria critica sulla mistifica-zione di massa. In La dialettica dell’illuminismo (1947), essirifiutarono il termine di Massenkultur (cultura di massa) perassumere quello più appropriato di Kulturindustrie (industriaculturale), che irrompe nella vita quotidiana dei poveri diavo-li facendo piovere dall’alto messaggi, simboli, bisogni, sche-mi mentali che non presentano alternative ed a cui la maggio-ranza si uniforma supinamente. Secondo i due esponenti dellaScuola di Francoforte, i veicoli della comunicazione sono stru-menti attivi della logica di potere. Sarebbe semplicistico valu-tarli contenitori neutri da riempire o meno di contenuti ideo-logici. I media, già in partenza, sono mezzi ideologici a tuttigli effetti. Essi investono violentemente l’animaprovocando…atrofia della immaginazione e della spontanei-tà, …paralisi delle facoltà critiche, …istupidimento progres-sivo dei soggetti pensanti. In altre parole i media, secondoHorkheimer ed Adorno, indipendentemente dai contenuti, perla sola capacità di riuscire a bombardare l’intelletto fino al-l’ossessione, si rivelano ordigni ideologici micidiali finaliz-zati a non far pensare, ma solo a fare riecheggiare, imitare,copiare. Merton, a tal proposito, parlò di effetti narcotizzanti,mentre Marcuse, più tardi, li riterrà responsabili del livella-mento inerte dell’umanità e della sua tragica unidimensiona-lità. Ad ogni buon conto, tornando alla situazione storica de-gli anni Trenta e Quaranta, la radio e la cinematografia diven-tarono in Europa i maggiori strumenti di propaganda del Ducee del Fuhrer, mentre negli Stati Uniti trovarono la loro uti-lizzazione nella promozione pubblicitaria del sistema econo-mico-commerciale neocapitalista. Grazie ai microfoni ed algrande schermo, zio Sam cominciò a strombazzare prodotti,servizi, affari, politica e religione. Tutto veniva banalizzato e

mistificato, ridotto cioè ad elemento di vendita e di consumo.

IL CICLOPE CATODICOCon la fine della seconda guerra mondiale (1939-1945), si

diffonde su larga scala la comunicazione audiovisiva. Tecno-logie complesse forniscono notizie e fiction attraverso le im-magini con la velocità della luce (300.000 km al secondo).Nasce la televisione e con essa la civiltà, o meglio, l’imperia-lismo dello spettacolo. Dai tetti delle case, nelle città comenei villaggi più remoti, spuntano selve di antenne che alimen-tano l’occhio ciclopico che campeggia nei salotti. Al postodella cupa e primitiva spelonca platonica compare la nicchiaincantata dei nuovi ed ignari reclusi. Essi non sono avvinti aiceppi come i loro antenati ma, sdraiati su poltrone, si lascianougualmente irretire dalle penetranti malìe del piccolo scher-mo. Il moderno homo videns manovra con frenesia il teleco-mando. Accede alla cronaca, agli spot, alle telenovelas, a ru-briche varie: un caleidoscopio di linguaggi, iconografie, astra-zioni che finiscono per svuotare il cervello invece di arric-chirlo. Non a caso, Vittorino Andreoli ha parlato di frantuma-zione dei processi mentali. Secondo il noto psichiatra, la tele-visione è la peggiore nemica del pensiero lineare, riflessivo ecoerente. Aggiungiamo noi che per secoli il discorso raziona-le ha obbedito a strutture formali ed articolazioni consequen-ziali finalizzate alla persuasione ed alla dimostrazione. Il prin-cipio di non contraddizione (Parmenide), il sillogismo comeragionamento deduttivo (Aristotele), il metodo ad directio-nem ingenii (Cartesio), la dialettica quale mediazione del pen-siero (Hegel), l’allegoria per svelare la realtà del mondo (Be-nijamin) costituivano alcuni punti di riferimento che davanosenso e ordine al discorso umano. La vita comunicativa degliuomini trovava il suo filo conduttore nella ricerca dei valori,nella fede delle relazioni sociali, nel bisogno di svelare espe-rienze autenticamente vissute. In definitiva, “il discorso tradi-zionale” aveva una capacità vivificante e rigeneratrice dellasocietà. Oggi non più. Con la televisione il primato viene at-tribuito all’immagine che affossa pensiero, lettura, scrittura,ricerca solitaria della verità. Prevalgono faciloneria, sensazio-nalismo, finzione, spettacolarizzazione. Tutto procede perflash, tra amenità e passatempo. Le notizie, rapide e numero-se, schizzano come frammenti impazziti di rifiuti sottovuoto.In tempi brevi si mescolano celermente brandelli di generidiversi e contraddittori: politica, narrativa, sesso, arte, sport,moda ecc. Si tratta di ipertrofia catodica, di martellamentofitto, di alluvione incessante di immagini che, lungi dal solle-citare intellettualmente la mente, ne ottundono le facoltà, ge-nerando sensazioni confuse, perdita di personalità e idioziamassificata. Lo stesso cardinale Carlo Maria Martini, nellalettera pastorale del 1991, ammoniva a tal proposito: La co-scienza esposta al messaggio televisivo rischia di dare consi-stenza di realtà alla finzione dello spettacolo. Ben più durisono stati i giudizi di Charless Clark e di Karl R. Popper. Ilprimo, scienziato della comunicazione, considera la televisio-ne una scuola di delinquenza. Sono suoi, infatti, i rilevamentistatistici secondo cui un bambino americano, grazie ai canalitelevisivi, assiste in media a ottomila omicidi ed a centomilaatti di violenza prima di avere terminato le scuole elementari.Il secondo, filosofo austriaco, ha lapidariamente affermato chela tivù è pericolosa per la democrazia.

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VIDEOCRAZIA E MANIPOLAZIONE POLITICAL’assuefazione dei cervelli all’apparecchio elettronico è un

fenomeno che già di per sé – giova ribadirlo – rappresenta “ilbuco nero” della cosiddetta democrazia rappresentativa. Sepoi, a tale perdita di autonomia culturale si aggiunge l’impo-sizione ideologica di un pensiero unico, senza alternative ed asostegno di sordidi ed esclusivi interessi dell’establischment,l’anello si chiude inesorabilmente. Né deve trarci in ingannola messa in scena di qualche dibattito (o minuetto) politico.Esso è solo folklore, alibi, crema cosmetica per mascherarel’inganno di fondo. In realtà, a nulla possono servire pochiminuti di confronto tra opinioni diverse quando, giorno dopogiorno, senza soluzione di continuità, un’opprimente proie-zione televisiva propone modelli sociali, archetipi e pseudo-valori che costituiscono l’essenza del neoliberismo più sel-vaggio. Cosa volete che conti qualche decoroso reportage ri-spetto ai serials che ti accompagnano e ti intossicano, dallaculla alla bara, assieme a migliaia di messaggi pubblicitari,instillando surrettiziamente il culto per l’affarismo, la compe-titività, il successo, l’individualismo, la ricchezza ed il pote-re? Purtroppo è questo nauseabondo profluvio di spazzaturache plasma psicologia e compor-tamento collettivi nella società acapitalismo avanzato. Inoltre, se-condo il “tivù pensiero” un’azio-ne o una teoria è razionale quandoviene avallata dal libero mercatoo dalla comunicazione. Tutto ilresto è becera ideologia. Ne con-segue una crisi della politica inte-sa come disinteressato libero con-fronto tra soggetti sociali diversi per realizzare “il bene comu-ne”. I partiti tradizionali hanno perso ruolo, princìpi ed identi-tà originari. Sotto la pressione delle nuove tecnologie, il siste-ma politico appare cristallizzato, mummificato. Non è il po-tere popolare (la volontà generale di Rousseau) il fondamen-to della democrazia, ma il consenso, vale a dire l’accettazio-ne inerte di scelte essenziali operate molto in alto, spesso aldi fuori degli stessi organi istituzionali. E questa attivazionedi consenso viene praticata dal sistema audiovisivo attraver-so l’informazione che è diventata il vero formidabile stru-mento politico per manipolare le coscienze. Una notizia, di-vulgata in modo parziale (mezza verità = mezza bugia) e fa-ziosamente commentata, ingenera l’adesione di milioni di in-dividui a questa o quella tesi. Così, da una parte, abbiamo ilmondo del frastuono, dell’informazione urlata e, dall’altra,il teleutente silenzioso che assorbe tutto come una spugna,senza possibilità di replica e di controllo. Anzi, a livello d’in-conscio, egli si convince di avere un ruolo attivo nel “giuocopolitico” per il solo fatto di partecipare come spettatore aglieventi che appaiono sul piccolo schermo. Si tratta di un’invo-luzione profonda (monocultura mentale), che ha portato alristagno delle lotte sociali, al disarmo ideologico delle classisubalterne, al riflusso qualunquistico, alla regressione cultu-rale, al disinteresse politico. Il tessuto democratico si è inde-bolito favorendo la personalizzazione della leadership. Si de-linea il pericolo di una “democrazia autoritaria” a livello mon-diale: un nuovo ordine planetario dove alcune corporations,dopo aver raggiunto una posizione dominante nell’ambito

dell’informazione, cancellano progressivamente il pluralismodelle fonti dando di ogni evento una versione addomesticata esempre più rispondente alle finalità di dominio e di integra-zione della società di mercato. Pochi uomini, padroni dellacomunicazione globale, possono neutralizzare il dissenso etrasformare miliardi di persone in sudditi inconsapevoli, inburattini con diritto di voto. Recentemente, negli Stati Uniti,la televisione ha svolto un ruolo decisivo nella guerra di ag-gressione all’Iraq. Per mesi, prima dell’invasione, le reti dellaFox News, CNN, MSCN e l’emittente radiofonica della ClearChannel (con le sue 1225 potentissime stazioni radio), hannopropagandato fino alla nausea la dottrina Bush: la teoria dellaguerra preventiva, indefinita e permanente contro quei Paesiche, volta per volta, vengono definiti Stati canaglia (rogueStates), in quanto ritenuti pericolosi per gli interessi america-ni. Sin dal 2001 Michael K. Deaver, consulente ed amico diDonald Rumsfeld, specialista in guerra psicologica (psywar),confessava con franchezza: “la strategia militare dev’essereconcepita in funzione della copertura televisiva, poiché unavolta mobilitata l’opinione pubblica non si conoscono osta-coli, mentre senza di essa il potere è impotente”. Ci siamo

capiti? La televisione è il modernoinstrumentum regni. Senza di essail potere è sterile, non dà risultati.La sua copertura – secondo il Pen-tagono – è indispensabile per farprevalere la ragione del più forte,ovvero il diritto della forza sullaforza del diritto. Non è tutto. NegliStati Uniti esiste un’apposita strut-tura (O.S.I.). Essa dispone di una

sezione linguistica che crea artifizi espressivi per edulcorarel’amara realtà. Grazie alla nuova inpostura lessicale la guerraimperialistica è diventata “intervento umanitario”, le bombesi sono fatte “intelligenti”, le distruzioni e gli eccidi sono con-siderati “effetti collaterali”, le feroci incursioni diventano“operazioni chirurgiche”, l’invasione di altri Paesi rappre-senta una “difesa integrativa” e così via. Non bastavano glisquarci di una realtà fittizia; occorrevano anche le frodi se-mantiche per nascondere ciò che un limpido linguaggio avreb-be potuto invece onestamente svelare.

A questo punto qualcuno obietterà che se i media televisi-vi americani sono imbedded (cioè blindati, assoggettati ai centridi potere economico) rimane pur sempre una stampa che ma-nifesta un certo grado di indipendenza come il New York Ti-mes, il Washington Post, il San Francisco Cronicle, il MiamiHerald. Verissimo! Non si dimentichi però che questi quattrogiornali vengono letti da appena 2 milioni di persone su unapopolazione complessiva di 250 milioni, la cui stragrandemaggioranza resta incollata al televisore come l’ostrica alloscoglio.

CHE FARE?Dalle osservazioni, certamente sommarie, fatte finora, ri-

sulta tuttavia chiaramente che i media invasivi si sono rivelatii mezzi più efficaci per manipolare le teste e temprare lo scet-tro a’ regnatori. Essi condizionano profondamente le istitu-zioni tradizionali come la famiglia, la Chiesa, la scuola, i par-titi burocratizzati ecc. Neanche gli strumenti di repressione

A questo punto s’impone il fatidico: chefare? E’ evidente che occorre ridimensiona-re il potere mediatico e l’omologazione cul-

turale attraverso un servizio pubblico informativoqualitativamente superiore alle tv commer-ciali, e capace di garantire pluralità di opi-nioni, diritto di critica, ampio confronto.

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giudiziaria, tanto in voga nei regimi autoritari, reggono al con-fronto. Può succedere, infatti, che giudici con la schiena eret-ta non si lascino intimorire dal potere politico e, dopo unapaziente ricostruzione dei fatti, giudichino l’imputato sulla basedi specifici riscontri probatori (il processo politico a Dimitrovnella Germania nazista ne è un esempio eclatante). Al contra-rio, la videocrazia nella sua valenza strategica, non conoscecontraddizioni. Avanza come un rullo compressore. Propalale sue verità (leggasi falsità) e all’occorrenza “sbatte il mostroin prima pagina”, formulando cinicamente certezze colpevo-liste che si rivelano nel tempo infondate. A questo punto s’im-pone il fatidico: che fare? E’ evidente che occorre ridimensio-nare il potere mediatico e l’omologazione culturale attraversoun servizio pubblico informativo qualitativamente superiore

NERUDA CENTO ANNIdi Maurizio Nocera

Relazione di presentazione del libro “Neruda, l’invenzione diValparaiso” del prof. Sergio Vuskovic Rojo, tenuta il 14 lu-glio 2004 presso la sala della Camera della Dogana di Valpa-raiso (Cile), alla presenza del rettore dell’Università di PlayaAncha, prof. Oscar Quiroz Mejias e dello scrittore Luis Al-berto Mansilla, amico di Pablo Neruda. Il dibattito è statocoordinato dal prof. Alberto Madrid Letelier.

Nel film “Il postino” del 1994, diretto da Michael Radford,tratto dal romanzo Il Postino di Neruda, di Antonio Skarmeta1985, uno tra i più grandi attori italiani, che di questo film èanche il regista, Massimo Tro-isi, sfortunatamente già scom-parso, nella chiusura della pel-licola e prima della parola“fine”, l’interprete principale,cioè il portalettere, tale MarioRuoppolo, dice: “Carissimodon Pablo. È Mario. Spero chenon vi siete scordato di me. Vabé, comunque, vi ricordate chevoi una volta mi avete chiestodi raccontare una cosa bella del-la mia terra ai vostri amici e chea me non veniva niente. Ecco,adesso lo so. Perciò vi vogliomandare questo nastro che po-tete far sentire ai vostri amicise volete, se no, lo sentite voie, secondo me, vi ricordate di me e dell’Italia. Quando sietepartito, io mi pensavo che vi eravate portato tutte le cose bellecon voi, invece adesso lo so, adesso mi avete lasciato qualco-sa. Poi volevo dire che ho scritto una poesia per voi, non ve ladico perché mi vergogno. L’ho intitolata Canto per Pablo Ne-ruda, pure se parla del mare, perché è dedicata a voi. Se voinon foste capitato nella mia vita, non l’avrei mai scritta. Sonostato invitato a leggerla in pubblico, anche se so che mi tre-merà la voce, sarò felice. Voi sentirete la gente che applaudiràquando sentirà il vostro nome.

Canto per Pablo NerudaNumero uno: Onde alla cala di sotto... piccole. Numero due:Onde grandi. Numero tre: Vento della scogliera. Numero quat-tro: Vento dei cespugli. Numero cinque: Reti tristi di mio pa-dre. Numero sei: Campana dell’Addolorata... con prete. Nu-mero sette: Cielo stellato dell’isola... Bello però! Numero otto:Cuore di Pablito”.Massimo Troisi, che tanto aveva amato Neruda non riuscì afinire del tutto quel film, perché la morte lo colse prima. I suoimedici avevano consigliato all’attore di farsi operare quantoprima possibile, perché il suo cuore aveva assoluto bisogno di

essere trapiantato. Al tempodella lavorazione del film “Ilpostino”, i chirurghi tenevanogià pronto per lui un nuovocuore da trapiantare e lo disse-ro all’attore, ma egli chiese dinon essere sottoposto in quelmomento a nessuna operazio-ne chirurgica, perché altrimentiil film non sarebbe stato com-pletato, facendo così torto aNeruda e alla sua poesia. Il suofu un atto di grande umanitàma fu anche un suo tragico er-rore perché, appena dopo qual-che settimana, Trosi morìstroncato da un infarto. Il film,nelle sue ultime battute, venne

completato da una controfigura, quindi vide la luce. E fu ungrande successo. Ancora oggi lo è. Per Neruda in primo luo-go, ma anche per lo sfortunato attore-regista italiano, Massi-mo Troisi. Ho voluto narrare questo episodio, un pò ineditonelle cronache nerudiane, perché esso mi dà motivo per direquanto siano lunghi i rapporti di reciprocità culturale tra ilpopolo cileno e il popolo italiano. D’altronde è lo stesso Pa-blo Neruda che ne parla diffusamente in “Confesso che hovissuto”, là dove i suoi diversi soggiorni italiani sono raccon-tati con dovizia di particolari.

alle tv commerciali, e capace di garantire pluralità di opinio-ni, diritto di critica, ampio confronto. Contemporaneamentenon sarebbe male rivitalizzare le tradizionali forme di vitaculturale: buone letture, recupero di spazi di convivialità, au-togestione dei criteri di giudizio, forme autonome ed alterna-tive di comunicazione. Soprattutto, sic stantibus rebus, con-verrà accendere il televisore solo…per conciliare il sonno.Diversamente, non si potrà evitare la prospettiva di una muta-zione genetica dell’homo liber et faber in iconantropo: cioèuomo dell’immagine, appendice televisiva, bipede che razzo-la in una società imbarbarita dal crollo dell’intelligenza e daltrionfo dell’audience.

Valparaiso, 14 luglio 2004, Camera della Dogana. Da sin.Oscar Quiroz Mejias, Albert Madrid Letelier, Sergio Vuskovic

Rojo, Marta Contreras, �M. Nocera, Luis Alberto Mansilla.

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Per quanto riguarda invece il libro di Sergio Vuskovic Rojosu Pablo Neruda, che io ho avuto l’onore e la fortuna di curarein Italia, quale migliore inizio per me se non la dichiarazioneche lo stesso Neruda, che affermava di essere “poeta di pub-blica utilità”, fece il 26 gennaio 1969 su Sergio Vuskovic Rojoall’epoca proclamato, assieme al comunista Luis Corvalan,senatore della Repubblica cilena.

In quella occasione Neruda recitò alcune poesie e lesse iltesto “Giovane e saggio”, in cui scrive: “Questo giovane esaggio mio amico, per la cui proclamazione siamo qui conve-nuti, è un uomo politico di polso e un lucido filosofo; voi aValparaiso avete nella persona di questo giovane professoreun intellettuale di prim’ordine, e noi compagni nel campo dellelettere siamo soddisfatti ed orgogliosi che il Partico comuni-sta lo abbia proposto a senatore. Giacché non sono molti gliscrittori del nostro paese che abbiano avuto l’ardire d’irrom-pere nel bellicoso mare della filosofia e del pensiero, così comeha fatto Vuskovic, con un fondamento di studi e ricerche, cherivela un pensatore vigoroso, fervido e prospero nell’arduoterreno delle idee.

I suoi due o tre libri sulle origini e svolgimento del pensie-ro costituiscono la migliore prova dell’aver noi in Vuskovicun letterato di alto livello. Un intellettuale che non teme diesplorare le regioni più segrete dell’astrazione. Tanto sicurosi sente del prezioso bagaglio di scoperte raccolte in tale esplo-razioni, che non mostra timore alcuno del dialogo con coloroche sostengono un pensiero diverso dal suo; anzi, egli cerca ildialogo, lo sollecita, lo pratica con straordinaria costanza. Ah,ma questo che ho detto non significa in assoluto che SergioVuskovic sia di quegli intellettuali che, per il fatto di lavoraresovente sul terreno delle astrazioni, hanno paura di contagiar-si se si affacciano sul campo della realtà immediata. No. Nonè un mistero per nessuno che Vuskovic è un marxista e, cometale, sa che la teoria zoppica se non si appoggia definitiva-mente alla prassi, e che questa, se manca della spina dorsaledi quella, non supera lo stadio di un empirismo più o menosterile.

Nella nostra vita sociale tutti abbiamo accomunato i nostrimorti. Tutti sopportiamo qualche volta persecuzioni, calun-nie, penuria e nulla ci ha cambiati. La stessa cosa è accaduta aSergio, a Carlos Andrade e a tanti di voi. Ne usciamo, voi edio, più limpidi. Non ci ha macchiati la menzogna, il fango.Dovevamo compiere un dovere: il dovere dell’amore. L’amo-re e quello che ci conduce e non l’odio. Poiché la storia la siscrive con l’amore. Concludo, quindi, queste parole, espri-mendo la grande gioia di trovarmi a Valparaiso in seno al set-tore di intellettuali che hanno visto nel mio amico Vuskovicun nome capace di assumere il suo posto di rappresentanzanella più alta corporazione parlamentare. Noi scrittori, com-pagni di Sergio Vuskovic, lo vediamo anche come un alto va-lore delle lettere nazionali e come un giovane lottatore cheincarna la maggiore purezza, onestà e alta cultura di questoValparaiso che tanto amiamo” [in Neruda “... sono un poeta dipubblica utilità”, Tricase 2001, pp. 157-158].

Questo vale per Neruda, per noi italiani, invece, che cosa èSergio Vuskovic Rojo? Parafrasando Pablo Neruda, sicura-mente Sergio è per noi un filosofo di pubblica utilità, la cuifilosofia vale per tutti, cioè che non è solo nazionale, che havalore solo per voi cileni, ma è continentale ed anche inter-

continentale. Tale convinzione la deduciamo da alcune dichia-razioni fatte da Sergio Vuskovic. La prima: “Per filosofia inAmerica Latina intendiamo tutta la riflessione filosofica chesi è compiuta nel nostro subcontinente e per filosofia latinoa-mericana quel pensiero che, partendo dalle nostre radici, con-tribuisce a determinare i battiti del cuore dell’identità di quel-la parte dell’umanità che vive tra il Rio Grande e il Capo Horn”[cfr. “Segni e Comprensione”, n. 43, 2001, p. 5]. E poco oltre:“Partendo dalla base secondo cui la realtà latinoamericana nonpuò essere contenuta in nessuna teoria individuale o partico-lare, siamo chiamati a contribuire affinché l’America Latina,dall’essere priva delle proprie origini, divenga una speranzaverosimile, un vero Mondo Nuovo vivibile per tutti, in libertàe democrazia e nella quale fiorisca una filosofia propria, aper-ta al mondo e capace di assimilare acquisizioni dimostrate”[cfr. “S e C”, n. 43, 2001, p. 11]. E ancora, egli è per noi unfilosofo-politico aperto al mondo, alle idee degli altri. Nel 1988,su “La via del Cile”, un opuscolo curato edito in Italia, scrive:“Il sangue che scorreva dalle nostre ferite era rosso, era sem-plicemente e uniformemente colorato di rosso. Il sangue erarosso per tutti: nessuno aveva sangue azzurro o di altro colo-re.

Il cattolico e il comunista, il protestante e il massone, ilradicale e il socialista, il socialdemocratico e il cristiano disinistra, il discendente di un arabo o di un ebreo, tutti vedeva-mo - e lo soffrivamo nella nostra carne- che eravamo parteinscindibile del martirizzato e calpestato popolo del Cile” (cfr.“La via del Cile”, a cura di M. Nocera, Lecce 1988 p. 17).Inoltre, per noi italiani, Sergio Vuskovic è soprattutto l’alcal-de (sindaco) della città di Valparaiso, che negli anni più im-portanti del Cile moderno, dal 1970 al 1973, in quei difficilima gloriosi anni di Unidad Popular e della presidenza dellaRepubblica di uno dei figli più grandi del popolo cileno, ilmai dimenticato compagno Presidente Salvador Allende, inquegli anni -dicevo- Sergio Vuskovic Rojo, dal seggio più im-portante della municipalità della sua città, stava accanto, pre-stava attenzione, rimaneva con gli occhi e le orecchie apertealla “Guascona” di Santiago, alla “Sebastiana” di Valparaisoe alla “Casa” di Isla Negra, là dove Pablo Neruda, sicuramen-te uno dei poeti più amati nel mondo, sicuramente il poeta piùamato dal popolo cileno, invecchiava scrivendo accanto allasua amata Matilde Urrutia, accanto alla sua inseparabile so-rella, e riscaldando i piedi sul camino impreziosito dalle pie-tre di Maria Martner e nei dolci ricordi del suo amico medicoFrancisco (Pancho) Velasco. In questi giorni in ogni parte delmondo si tengono manifestazioni per celebrare il centenariodella nascita del Poeta “marinero in tierra”. Anche in Italia,paese da lui molto amato, si sono organizzate e si vanno orga-nizzando delle attività in tal senso.

Tra il ’51 e il ’52, che sono gli anni italiani meglio rievo-cati dal film “Il postino” dall’attore-regista Massimo Troisi,Pablo Neruda visse in Italia a fianco di intellettuali comeAmerigo Terenzi, suo grande amico e compagno (in quel mo-mento tesoriere del Partito comunista italiano) sostenitore,anche economicamente, di molte iniziative di Pablo in Italia;come lo scrittore Alberto Moravia e la sua prima moglie ElsaMorante; come lo scrittore e pittore Carlo Levi, altri pittoricome Consagra, Mafai, Cagli e Turcato; come il suo tradutto-re Dario Piccini e la moglie Stefania; come Claretta e Edwin

Luglio 200424 Gramsci

Cerio; Fulvia e Antonello Trombadori; Renato Guttuso che, proprio in quel tem-po, alla presenza del poeta e di Matilde, prese in moglie Mimise Dotti; e ancora,come Bianca e Alberto Tallone, il primo editore italiano che ebbe da Neruda ilprivilegio di stampare il suo discorso per il Premio Nobel del 1971. Tallone eraanche editore di libri bellissimi, realizzati a mano, di cui il poeta cileno era gran-demente innamorato. Chi oggi va a trovare la “Casa” di Pablo Neruda ad IslaNegra resta impressionato nel vedere in quel giardino una “specie” di trattoreagricolo camuffato da locomotiva. Pablo aveva visto per la prima volta una loco-motiva vera esposta in un giardino italiano, proprio nella villa dei Tallone adAlpignano (Torino). Raccontano che quando il poeta andò a trovarli, fu accoltoda una grande nuvola di fumo nero: Alberto Tallone aveva acceso insuo onore la locomotiva. Neruda, che era figlio di un ferroviere di Temuco, salìsulla locomotiva, rimanendo a lungo e pensieroso al posto di guida.

Oggi tutti questi ricordi saranno rievocati nelle iniziative organizzate in Ita-lia: il 12 luglio scorso, a Capri, si è tenuta una “Passeggiata nerudiana per terra eper mare”, con intellettuali italiani che si sono dati appuntamento nell’isola dei“Versos del capitan” per ricordare i luoghi e i paesaggi che furono impressi negliocchi e nella mente di Pablo. Nello stesso giorno sono state consegnate centoMedaglie d’onore del Presidente della Repubblica del Cile, Ricardo Lagos, aicento “migliori amici” di Pablo Neruda. Fra gli italiani, l’ambasciatore del Cile aRoma, José Goni, ha consegnato la medaglia agli amici italiani del poeta, e cioè

a Claretta Cerio, Fulvia Trombadori, Giuseppe Bellini, Giuseppe Zigaina, Igna-zio Delogu, Bianca Tallone e Giorgio Napolitano. Il 14 settembre prossimo, aRoma, presso l’Istituto Italo-Latinoamericano, si terrà pure un convegno, dovemolti amici, compagni e semplici cittadini, che hanno conosciuto Pablo Nerudanei suoi soggiorni italiani, interverrano, riportando aneddoti, ricordi, storie vis-sute con lui. Si terrà inoltre una mostra con l’esposizione di lettere inedite, foto-grafie inedite, quadri, che per la prima volta verranno esposti al pubblico, inparticolare il quadro di Renato Guttuso che ritrae Neruda nella postura di Maratassassinato. Anche noi del “Gramsci”, abbiamo inteso ricordare, per il nostropopolo e per i nostri giovani, il poeta della forza dell’amore, il poeta comunistacileno che, con la sua poesia, ha dato forza e vita all’amore e alla lotta politica.Per questo, amici e compagni cileni di Neruda, state pur certi che noi comunistiitaliani lo ricorderemo sempre, che non dimenticheremo mai il vostro grande

LENTAMENTE MUOREdi Pablo Neruda

Lentamente muorechi diventa schiavo dell’abitudine,ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,chi non cambia la marcia,chi non rischia e cambia colore dei vestiti,chi non parla a chi non conosce.Muore lentamente chi evita una passione,chi preferisce il nero su biancoe i puntini sulle «i»piuttosto che un insieme di emozioni,proprio quelleche fanno brillare gli occhi,quelle che fannodi uno sbadiglio un sorriso,quelle che fanno battere il cuoredavanti all’errore e ai sentimenti.Lentamente muorechi non capovolge il tavolo,chi è infelice sul lavoro,chi non rischia la certezza per l’incertezzaper inseguire un sogno,chi non si permettealmeno una volta nella vitadi fuggire ai consigli sensati.Lentamente muore chi non viaggia,chi non legge,chi non ascolta musica,chi non trova grazia in se stesso.Muore lentamentechi distrugge l’amor proprio,chi non si lascia aiutare;chi passa i giorni a lamentarsidella propria sfortuna odella pioggia incessante.Lentamente muorechi abbandona un progettoprima di iniziarlo,chi non fa domandesugli argomenti che non conosce,chi non rispondequando gli chiedonoqualcosa che conosce.Evitiamo la morte a piccole dosi,ricordando sempre che essere vivorichiede uno sforzodi gran lunga maggioredel semplice fatto di respirare.Soltanto l’ardente pazienza porteràal raggiungimentodi una splendida felicità.

Disegno inedito di Renato Guttuso che ritrae Neruda sul letto di morte.

Gramsci Luglio 2004 25

amico, fratello, padre e madre e figlio del popolo cileno. Perquesto, ora e qui, in Valparaiso, mi piace ricordarlo con leparole del dirigente operaio comunista Galo Gonzales Dias,che nel 1950, nell’edizione clandestina di Canto general, scris-se: “Il nome di Pablo Neruda è divenuto leggendario in Cile.Ha profili di poeta e di guerrigliero, di smascheratore e di eroe,di glorioso clandestino che il popolo sa nascondere in qualcheluogo del Cile, mentre i bracconieri della polizia ululano perle strade e per i campi, di notte, e sempre alla stessa ora, allaricerca della misteriosa mano che si alza per scrivere sui muri:“Viva Pablo Neruda”.Valparaiso, 14 luglio 2004

Biografia di Pablo NerudaPablo Neruda, pseudonimo di Neftali Ricardo Reyes (in ono-re del poeta cecoslovacco Jan Neruda), nacque a Parral nel1904, da una modesta famiglia cilena; frequentò le scuole finoal liceo nella cittadina di Temuco e poi l’Università a Santia-go. Dal 1926 al ’43 girò il mondo come rappresentante diplo-matico del suo paese, nel ’36-’37 visse l’esperienza della guer-ra civile spagnola (era console a Madrid, e amico di Lorca eAlberti). La scoperta della spagna fu per Pablo Neruda unfatto di estrema importanza. Allora la sua influenza non fupreponderante ma si fece sentire più tardi. Dopo aver subito il fascino dell’incontro con la poesia spa-gnola, il poeta cileno venne travolto nell’appassionata vicen-da della guerra civile: prese subito posizione a favore della

Repubblica aggredita; fu scosso dalla tremenda fucilazionedi Garcia Lorca e con César Vallejo, un poeta peruviano, fon-dò il Gruppo ispano-americano d’aiuto alla Spagna. La guerracivile determinò un mutamento profondo nell’animo, nelleconvinzioni, nella cultura, nella poesia del poeta. La sua poesia divenne una poesia sociale e di lotta politi-ca. E quando cessata la guerra civile e sconfitte le armi re-pubblicane tanti spagnoli furono costretti all’esilio o moriro-no fucilati o in carcere quel “legame materno” con la Spagnasi fece per Pablo drammatico e fu come una goccia di sangueche rimase indelebile. Nel 1944 tornato in Cile s’iscrisse al partito comunista ci-leno e venne eletto senatore. Dal ’48 al ’52 fu perseguitato ecostretto all’esilio per la sua presa di posizione contro il neo-dittatore Gonzalez Videla; così tornò a viaggiare per il mon-do. Nel 1951 ebbe il Premio internazionale di poesia per laPace, insieme con Nazim Hikmet. Nel 1971 vince il premio Nobel per la letteratura, nel 1973torna in Cile e in quello stesso anno muore a Santiago subitodopo il colpo di Stato del generale Pinochet. Tra le sue opere principali ricordiamo:La Canzone della festa (1921), Crepuscolario (1923), Ventipoesie d’amore e una canzone disperata (1924), Residenzadella Terra (1925-’35), Spagna nel cuore (1937), Canto ge-nerale (1950), I versi del capitano (1952), Stravagario (1958),Cento sonetti d’amore (1959-’60), La fine del mondo (1969),Confesso che ha vissuto(1974).

S C I E N Z A E S O C I E T ÀPresentazione del libro

“Il pensiero unitariodi Ludovico Geymonat”

Sabato 16 Ottobre 2004 - Ore 15.00

TERAMO Sala ………………………………Presidenza……………………………………SALUTI DI PERSONALITÀ ACCADEMICHE E ISTITUZIONALI

Introduzione di: ……………………………Interventi di: ………………………………

DibattitoConclusioni …………………………………

GRUPPO GRAMSCI - TeramoCentro di Educazione e di Cultura - E-mail: [email protected]

“Il pensiero unitariodi Ludovico Geymonat”

Luglio 200426 Gramsci

SBARCO IN NORMANDIA E RUOLO PRIMARIODELL’URSS CONTRO IL NAZIFASCISMO

di P. D. S.

COMPLETIAMO LA LIBERAZFASCISMO SMANTELLAND

Il 6 giugno scorso è stato celebrato il 60° anniversario delD-Day, l’operazione Overlord (signore supremo), cioè lo sbar-co nel 1944 delle forze angloamericane sulle coste francesidella Normandia.

E’ stata questa un’occasione, tra fanfare e parate militari,per accreditare, ancora una volta, la tesi secondo la quale sa-rebbero state le forze alleate ameri-cane e inglesi a liberare l’Italia el’Europa dall’oppressione nazifasci-sta e a sopportare il peso maggioredella seconda guerra mondiale. Lacoincidenza, poi, di queste celebra-zioni con la morte dell’ex Presiden-te degli Stati Uniti Ronald Reagan,è stata l’ennesima occasione per ten-tare di cancellare la differenza tra ag-gressori e aggrediti, tra carnefici e leloro vittime, tra chi ha combattuto per la liberazione e l’indi-pendenza dei popoli e chi cercava d’imporre al mondo la piùferoce e sanguinaria dittatura nazifascista. Anche Berlusconi,nella sua immensa tracotanza, non ha voluto essere da menodell’amico e compare Bush, dichiarando che in Italia la lottapartigiana non ha avuto nessuna influenza per la liberazionedel nostro paese. Certo non potevamo aspettarci di più da unpresidente che ignora perfino la storia dei sette fratelli Cervi,che non ha mai partecipato alle celebrazioni del 25 aprile eche ha nella sua compagine governativa i residui del passatofascismo. Le menzogne e le falsificazioni che ci vengono con-tinuamente propinate dalle sue televisioni e dai suoi giornali,e nella fattispecie le deformazioni degli eventi relativi alla se-conda guerra mondiale, non riescono tuttavia a nascondere ifatti storici realmente accaduti i quali dimostrano che non fulo sbarco in Normandia l’evento fondamentale della secondaguerra mondiale, bensì furono le battaglie di Leningrado, Sta-lingrado e di Mosca combattute qualche anno prima della sbar-co del ’44. A tal fine basta ricordare che se dallo sbarco del’44 alla fine della guerra passarono circa 10 mesi, dall’ag-gressione della Germania all’Unione Sovietica fino allo sbar-co in Normandia,passarono tre anni interi. A Stalingrado fuannientata l’armata di von Paulus, catturati 24 generali e 2500ufficiali nazisti e tutti i loro mezzi da guerra. Nei 200 giorni dibattaglie e di cruenti combattimenti casa per casa, il mondointero ascolterà col fiato sospeso i bollettini dal fronte, nellasperanza di vedere finalmente fermata l’inarrestabile avanza-ta delle truppe hitleriane. La vittoria dell’Armata Rossa se-

gnerà una svolta decisiva per le sorti della guerra. Segnerà lafine del mito dell’invincibilità della Wehrmacht e del TerzoReich e l’inizio di un’avanzata travolgente dell’esercito so-vietico che si arresterà a Berlino il 30 aprile 1945, giorno incui fu issata la bandiera rossa sulla cupola del Reichstag. Neicontinui tentativi di sminuire e di minimizzare al massimo la

portata e il significato della gran-de lotta patriottica di liberazionesostenuta dall’Unione Sovietica,gli storici borghesi si sono sem-pre soffermati ad analizzare par-ticolari irrilevanti, speciosi e nondecisivi come l’effetto sorpresadell’attacco nazista che colse l’Ar-mata Rossa impreparata, il suomal equipaggiamento, il suo ar-mamento antiquato e gli errori dei

capi militari con alla testa Stalin. Mentre tacciono, o afferma-no il falso, sulle gravi responsabilità politiche delle “liberal-democrazie” e dell’appoggio del grande capitale ai movimen-ti fascisti. Già W. Churchill, il 18 febbraio 1933 aveva dato ledirettive, in occasione dell’anniversario della Lega Antisocia-lista britannica, quando affermò: «Il genio romano imperso-nato da Mussolini, il più grande legislatore vivente, ha mo-strato a molte nazioni come si può resistere all’incalzare delsocialismo e ha indicato la strada che una nazione può seguirequando sia coraggiosamente condotta. Col regime fascista,Mussolini ha stabilito un centro di orientamento dal quale ipaesi che sono impegnati nella lotta corpo a corpo col sociali-smo non devono esitare ad essere guidati» (“Mussolini ilDuce” di Renzo De Felice, 1 parte, vol. III, pag. 553).

Innanzitutto tacciono sulla vigorosa difesa della pace daparte dell’Unione Sovietica, cardine fondamentale della suapolitica estera fin dal ’17. Ciò era la naturale conseguenza delsuo essere Stato operaio, il quale ha bisogno di pace per co-struire il socialismo. Ma era anche la conseguenza di quelpostulato di fondo che informava la sua politica estera: «Lapace è indivisibile. Non la si può violare in alcun punto, ten-tando di modificare con un atto di forza l’assetto internazio-nale, senza correre il rischio di scatenare un nuovo conflittogenerale, più disastroso di quello precedente. Bisogna, dun-que, impedire qualsiasi aggressione nell’interesse di tutti».Parole preveggenti pronunciate da Litvinov, capo delegazio-ne sovietica a Ginevra, poco dopo l’avvento di Hitler al pote-re, che testimoniano la consapevolezza dell’Urss sul pericolo

La famiglia Cervi.

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mortale che rappresentava per se stessa e per l’Europa il nazi-smo. Conseguentemente tutta la diplomazia sovietica, dal ’27al ’39, si prodigò, senza risparmio di forze, per creare, senzaindugi, un sistema di sicurezza collettiva in Europa.

Nella commissione preparatoria della Conferenza per ildisarmo nel 1927, il delegato dell’Urss a Ginevra aveva for-mulato la proposta di un disarmo totale e generale per sradi-care ogni minaccia di guerra, sgravando i popoli dal fardellodelle spese militari. Respinta questa proposta, nello stesso annone avanzò un’altra per un disarmo parziale destinato a dimi-nuire le possibilità di un conflitto. Respinta anche questa neavanzò una terza il 6 settembre del ’28, e poi un’altra ancora,sempre a Ginevra, l’11 febbraio del ’32. Il naufragio dellaConferenza di pace di Ginevra e di cinque anni di trattative,se da una parte portò al fallimento del piano di sicurezza eu-ropeo dall’altra, fece prendere coscienza ai sovietici di qualefosse la reale volontà degli anglofrancesi che, con la loro equi-voca diplomazia, cercavano di assecondare le manovre diMussolini. Infatti il 7 giugno del ’33, contro la Società delleNazioni, essi sottoscrissero con Mussolini quel patto a Quat-tro (Parigi, Londra, Roma e Berlino) - degno precursore del-l’accordo di Monaco del ’38 - per instaurare in Europa unaspecie di direttorio in sostituzione della stessa Società delleNazioni. Intanto un gruppo di potenze, aspiranti ad una nuo-va distribuzione delle ricchezze mondiali, andava coalizzan-dosi contro le due vecchie superpotenze europee: la Francia el’Inghilterra. Non c’era da farsi illusione. Anche l’Urss con lesue immense riserve di materie prime, con le sue fonti ener-getiche e con l’esempio della sua Rivoluzione, era una tre-menda tentazione per quei governi in cerca di prede. E troppierano gli indizi per non capire che i piani di Hitler erano ipiani degli industriali e militari al potere in Germania, desi-derosi di mettere le mani sul bottino sovietico e di distruggereil primo stato socialista. D’altra parte, nel Mein Kampf, Hit-ler afferma chiaramente «Se parliamo di nuove terre dobbia-mo pensare in primo luogo alla Russia e ai paesi con essaconfinanti». Così inizia quella politica propiziatoria e di con-cessioni da parte delle Cancellerie di Parigi e Londra nei con-fronti del fascismo italiano, del nazismo tedesco e del fasci-smo giapponese. Il 18 settembre 1931 il Giappone invase laManciuria (regione della Cina ricca di materie prime e di in-dustrie). Nessuno si mosse. Il 18 gennaio del ’32 il Giappone,dopo un terroristico bombardamento sulla popolazione civi-le, si installò a Sciangai. In Austria, il Cancalliere Dolfuss il15 febbraio del ’34 represse nel sangue il proletariato vienne-se, e il 25 luglio dello stesso anno cadeva egli stesso assassi-nato dai sicari di Hitler. Sarà il preludio per l’annessione del-l’Austria che avverrà il 18 marzo del ’38. Il 13 gennaio del’35, con un plebiscito farsa indetto dalla Società delle Nazio-ni, la Saar si pronunciava per l’annessione alla Germania. LaFrancia non osò reagire pur avendo l’esercito più potente di

tutti. Nel vano tentativo di staccare Mussolini da Hitler, laFrancia e l’Inghilterra, con la Conferenza di Stresa (11-14 apriledel ’35), diedero il via libera all’invasione fascista dell’Etio-pia. Intanto seguitava la politica di concessioni degli anglo-francesi permettendo a Hitler, in aperta violazione del trattatodi Versailles, di armarsi di tutto punto: il16 marzo del ’35 Hi-tler ristabiliva il servizio militare obbligatorio, nel maggio dellostesso anno proclamava che la sua aviazione era ormai pari aquella britannica e il 18 giugno del ’35, a seguito di un trattatoanglotedesco, si autorizzava la Germania a ricostituire la suamarina da guerra. Era ormai evidente che i rapporti di forzaandavano crescendo a favore della Germania. Inoltre, dopotante prove di debolezza e di complicità da parte di Londra eParigi, era più che logico che Hitler si sentisse libero di colpi-re scegliendo il bersaglio più semplice. E ciò, a maggior ra-gione, dopo che l’occidente aveva minato il piano sovieticoper la formazione di un sistema di difesa collettiva. Ed infattiil 17 marzo del ’36 le truppe naziste rioccuparono la Renaniae il 18 luglio il franchismo, sostenuto da Mussolini e Hitlercon il consenso del Vaticano, scatenò l’aggressione contro lagiovane Repubblica spagnola approfittando della sua debo-lezza e degli errori fatti mantenendo anche al loro posto tutti inemici delle Repubblica, compresi i generali che stavano com-plottando per distruggerla. Così, ancora una volta, mentre lepotenze occidentali esitavano a concludere un’alleanza difen-siva con l’Unione Sovietica, Ciano firmava con Ribbentrop,

il 25 luglio del ’36, un accordo militare per coordinare le futu-re prossime azioni belliche, e un mese dopo Ribbentrop fir-mava un analogo accordo con il Giappone, battezzato PattoAntikomintern. In tal modo si completò il dispositivo di attac-co su scala mondiale. Eppure, proprio in questi anni, dopo lavittoria del Fronte popolare spagnolo del 16 febbraio del ’36e di quello francese del 3 maggio del ’36, si aprì uno spiragliodi riscossa contro il fascismo. Quella necessaria determina-zione e quel vigore che finora erano mancati ai governi occi-dentali per respingere le aggressioni fasciste, venivano ora dallaclasse operaia e dal popolo. Il governo di Léon Blum, uscitoanch’esso sulla spinta propulsiva dei Fronti popolari, anzichéappoggiare la lotta dei repubblicani spagnoli, il 25 luglio del’36 dichiarò di voler restare fuori dalla mischia. La politicadel “non intervento” del governo francese e inglese si risolsecosì, in pratica, nell’autorizzazione di un intervento, a sensounico, in appoggio ai fascisti. Solo l’Urss rimase attivamenteal fianco della Repubblica spagnola la quale dovette anchelottare contro le posizioni trockiste che asserivano fosse arri-vato il momento della rivoluzione proletaria spagnola. Termi-

AZIONE DELL’EUROPA DAL NAZI-NDO LE BASI MILITARI USA-NATO

Basi USA-NATO in Italia 107Basi USA-NATO in Europa 177

Luglio 200428 Gramsci

nati i preparativi politici e militari, il 4 febbraio del ’38 Hitlerassumeva personalmente il comando supremo delle forze ar-mate tedesche. Nello stesso giorno dell’annessione dell’Au-stria alla Germania, avvenuta il 18 marzo del ’38, l’UnioneSovietica propose di convocare immediatamente una Confe-renza, alla quale avrebbero dovuto partecipare la Francia, l’In-ghilterra, gli Stati Uniti e l’Urss, per esaminare le misure daprendere in modo da «impedire ulteriori aggressioni». Ma ilprimo ministro inglese, Chamberlain, declinò l’invito dichia-rando che quell’incontro «non avrebbe esercitato alcuna in-fluenza favorevole sulle prospettive di pace in Europa».

E mentre il premier britannico si compiaceva di stringerecon Mussolini un nuovo e inconcludente «patto da galantuo-mini», Hitler, il 21 aprile del ’38, preparava, con i suoi gene-rali, il piano d’invasione della Cecoslovacchia, denominatoFall Grun previsto per il 1 ottobre. Allo scadere dell’ultima-tum tedesco alla Cecoslovacchia, Chamberlain, interrompen-do il suo discorso ai Comuni, annunciò di aver ricevuto daMussolini l’invito a partecipare a una Conferenza a quattro -Gran Bretagna. Francia, Italia e Germania - per la soluzionedel problema cecoslovacco. La Conferenza di Monaco del 30settembre 1938, rappresentò la resa incondizionata al fasci-smo e al nazismo. Tutto quello che Hitler chiedeva, servendo-si di Mussolini come portavoce, venne concesso senza la mi-nima opposizione. L’occupazione della Cecoslovacchia fu cosafatta. La remissività e la capitolazione delle democrazie bor-ghesi di fronte alla spregiudicata aggressività tedesca furonodenunciate con forza da un articolo di Thomas Mann col tito-lo Questa pace subito dopo Monaco. La verità è, a giudizio diMann, che le classi dirigenti dei maggiori Stati europei nonvolevano affatto la caduta della dittatura nazista, che conside-ravano anzi un solido baluardo innalzato contro il diffondersidel bolscevismo.

«Più forte di ogni disgusto per lo spirito plebeo e brigante-sco del nazionalsocialismo - dice Mann -, per la sua abbiezio-ne morale, per i suoi effetti disastrosi sulla cultura […] vi eranelle democrazie capitaliste dell’occidente l’incubo, la pauradel socialismo e della Russia». «Proprio questo, il crollo delfascismo, era ciò che i dominatori d’Inghilterra non volevano.Non volevano la guerra [contro la Germania, ndr], perché nonvolevano la vittoria comune con la Russia e il crollo del fasci-smo, una guerra che sarebbe stata finita prima di essere co-minciata». Sul medesimo concetto ritornerà Thomas Mann nelgiugno del 1948 (subito dopo il famigerato progetto di leggeMundt-Nixon che diede il via alla caccia alle streghe del se-natore McCarthy), in occasione di un discorso tenuto al Pea-ce Group di Hollywood: «Tutto quello che sta accadendo -disse Mann - accade per la rabbia e il rimpianto di non averbattuto la Russia a fianco della Germania, piuttosto che il fa-scismo a fianco della Russia». Ecco, allora, la ragione veraper la quale, anche dopo la caduta della Repubblica spagnoladel 28 marzo del ’39 e l’occupazione dell’Albania da parte diMussolini il 14 aprile del ’39, l’Inghilterra e la Francia respin-sero, ancora una volta, il piano sovietico di un’alleanza mili-tare anglo-franco-sovietica che prevedeva, in caso di ulterioriaggressioni da parte tedesca, una guerra su due fronti: quellooccidentale e quello orientale, la qual cosa avrebbe condottoHitler nel vicolo cieco della guerra su due fronti tanto temutadai suoi generali.

Caduta quest’ultima possibilità, all’Unione Sovietica nonrimase altro che cercare di assicurare la difesa dei suoi inte-ressi fondamentali e di tirarsi fuori dalla guerra immininente.Di conseguenza l’Urss, contemporaneamente con le trattati-ve con gli anglofrancesi, cominciò i primi sondaggi diplomaticicon la Germania per predisporre le condizioni di un patto dinon aggressione, cosa che avverrà il 19 agosto del ’39.

L’invasione della Polonia, già da tempo studiata e prepara-ta, del 1 settembre del ’39 dava inizio alla seconda guerra mon-diale. Quando il 22 giugno 1941, Hitler lanciò contro l’Urss190 divisioni, 5.000 aerei e oltre 7.000 carri armati, la Germa-nia dominava in Europa su un territorio di 5 milioni di kmq,con 290 milioni di abitanti e disponeva delle immense risorseproduttive dei territori occupati. Inoltre l’esercito nazista, nei21 mesi precedenti di guerra, non era stato logorato da nessungrande scontro frontale, ragion per cui l’Unione Sovietica sa-rebbe stata annientata nel giro di qualche mese, secondo l’opi-nione più diffusa nelle maggiori capitali europee. Ma le “profe-zie” inglesi e francesi e, più in generale dell’occidente capitali-stico, non si avverarono. Il 30 giugno del ’41 venne costituito ilComitato statale di difesa composto da Stalin, Molotov, Voro-scilov, Malenkov, Beria, Bulganin, Vosneshenski e Mikojan, egià il 5 dicembre iniziò la grande battaglia difensiva di Mosca.Il 6 dicembre partì l’offensiva sovietica e, l’11 dicembre, sulfronte di Mosca, i nazisti erano in completa rotta. Il 25 dicem-bre le truppe sovietiche avevano già ricacciato indietro quelletedesche per 110 km, liberando numerose città. Il 1942 fu in-dubbiamente l’anno più duro della guerra perché l’Unione So-vietica dovette lottare da sola contro tutta la coalizione nazifa-scista. L’apertura del secondo fronte, già chiesto da Stalin aChurchill con un messaggio del 18 luglio del ’41, tardava, con-sentendo ad Hitler di spostare decine di divisioni verso orientein direzione Stalingrado. L’eroica difesa di Stalingrado è cosaarcinota. Dal 19 dicembre del ’42 al 2 febbraio del ’43, l’Arma-ta Rossa condusse senza tregua l’offensiva, annientando 240mila soldati e ufficiali nazisti e fece prigionieri circa 91 milasoldati. Anche l’armata italiana (l’Armir), che Mussolini man-dò sul fronte di Stalingrado in sostegno di quelle tedesche, fuannientata e dispersa dall’esercito sovietico.Il sabotaggio na-scosto e palese alla creazione del secondo fronte in Occidente,non ancora aperto alla data gennaio ’44 (liberazione di Lenin-grado) e la strategia delle piccole operazioni del comando an-gloamericano, fecero sì che tutta la potenza dell’esercito tede-sco venisse concentrata contro l’Unione Sovietica. Con il loroindegno gioco provocatorio, con la loro politica di cedimenti,gli angloamericani, che contavano su un esaurimento totale del-l’Urss, diedero per tre anni a Hitler la possibilità di condurre laguerra sul solo fronte sovietico, e permettendogli così di con-centrare qui le immense masse del suo esercito senza temereper le proprie retrovie. E solo dopo, quando apparve chiaro chel’Unione Sovietica avrebbe da sola regolato i conti con la Ger-mania nazista, gli “alleati” si affrettarono, dopo tre anni di rin-vii, ad aprire il secondo fronte. Da questa sintetica ricostruzio-ne dei principali eventi bellici occidentali che precedettero losbarco in Normandia, risulta evidente che la guerra dei sovieti-ci contro il nazistifascismo fu una guerra di liberazione del-l’Urss e dei popoli europei, mentre lo sbarco in Normandia ful’exstrema ratio degli angloamericani per impedire che l’Euro-pa intera venisse liberata dall’Armata Rossa.

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ROMA LIBERATA DAI PARTIGIANIdi M. N.

“Fui tra i primissimi soldati americani a raggiungere Roma.Come altre, la mia pattuglia era stata mandata in avanscoper-ta. Entrammo in città in cinque o sei, dalla via Appia nuova, lasera del 3 giugno, tardi. Avevo vent’anni... I tedeschi se neerano andati e la gente si precipitò in strada per venirci incon-tro. Chi applaudiva, chi gridava di gioia, chi piangeva.Una signora mi abbracciò. “Grazie per averci liberato!”, migridò in inglese”. A ricordare questo episodio, sulle paginedel “Corriere della Sera” (30 maggio 2004, p. III dell’inserto)è il soldato Usa Robert Solow. Tutte affermazioni vere e veri-ficabili le sue, per di più scritte da un sincero democratico(democratico non nel senso del partito democratico dei Ken-nedy o dei Clinton che, come il partito repubblicano degli StatiUniti - due facce della stessa medaglia - è una concentrazionepolitica reazionaria, conservatrice e ugualmente totalitaristi-ca) quale egli è, già premio Nobel per l’economia. Però c’è unpasso dei suoi ricordi che resta alquanto controverso. È quelloche si riferisce alla dichiarazione della signora che in inglesegli grida: “Grazie per averci liberato”.

Ma liberato da chi? Da che cosa? Dal fascismo, il popolodi Roma si era già liberato il 25 luglio 1943, con l’implosionedello stesso gran consiglio del partito nazionale fascista e l’ar-resto di Benito Mussolini. Dalle truppe tedesche, neanche li-berato, perché quasi tutte esse avevano abbandonato la “cittàaperta” prima ancora che la Quinta armata del generale Clarkgiungesse alla periferia romana. La verità vera è che quandogli statunitensi giunsero alle porte della capitale, Roma, in uncerto senso, era già liberata, per cui per gli Alleati, almeno inquesto caso, si trattò di un ingresso con solo qualche sporadi-co episodio di cecchinaggio.

Una vera e propria battaglia per la liberazione di Roma daparte degli Alleati non c’è mai stata. Con ciò non si vuoleaffatto sminuire l’importanza della presenza delle truppe alleatesul territorio italiano, quale contributo degli occidentali allaliberazione del nostro popolo dal nazifascismo. Si vuole, alcontrario, dare un giusto dimensionamento a quel loro contri-buto, perché altrimenti può ancora accadere di vedere trion-faggini indecorose come quelle accadute il 4 giugno 2004 aRoma con la presenza di un presidente degli Stati Uniti d’Ame-rica, George W. Bush che, in questo momento di dilaniantiguerre sul pianeta, appare essere più vicino alla statura milita-resca di un Hitler, piuttosto che alla dimensione politica di unRoosevelt. La storia parla chiaro.

La data d’inizio dell’intervento degli Alleati sul territorioitaliano notoriamente è quella del 10 luglio 1943 ed avvennesulle coste della Sicilia, significativamente sulla piana di Ca-tania, dove il primo loro indiscriminato bombardamento a tap-peto della città (8 dello stesso mese) portò morte e distruzionetra la popolazione civile.

Ci furono contemporaneamente altri sbarchi di truppe al-leate a Reggio Calabria, a Taranto e a Salerno. La risalita ver-so Roma delle diverse armate durò più di nove mesi, lascian-do lungo il percorso della penisola sofferenze e lutti da tutte leparti (un esempio per tutti, la distruzione di Cassino), com-presi gli stessi lutti delle truppe alleate, che non furono pochi.

Il contributo in cifre dei soldati alleati morti nella campagnad’Italia è scritto a caratteri cubitali nei nostri sacrari militari.Ma, ritornando al concetto di prima, allorquando gli Alleatientrarono in Roma, la città era già praticamente liberata. Èquesta la verità vera, nonostante che alcuni storici, ancora oggi,tendano ad enfatizzare l’ingresso della V armata statunitensenella capitale. Così, ad esempio, tende lo storico UmbertoGentiloni Silveri, docente di Storia contemporanea pressol’Università degli Studi di Teramo, che scrive: “Il 4 giugno1944 è una domenica, duecentosettantunesimo giorno dell’oc-cupazione nazista iniziata la sera dell’8 settembre 1943 a se-guito dell’armistizio dell’Italia [Badoglio, ndcs] con gli Alle-ati. All’alba le prime pattuglie statunitensi entrano in città.L’accesso è rischioso: imprevisti, rallentamenti, e presenza ditruppe tedesche [sic!] nei punti di scorrimento verso il cuoredella capitale. Mentre la Wehrmacht ripiega verso nord, i sol-dati alleati entrano con circospezione, spingendosi fin dentrole antiche mura.

Non c’è quasi traccia degli occupanti, le vie sono sgom-bre, alcuni cecchini rimangono nascosti nelle proprie posta-zioni. Le divisioni in avanscoperta fanno da battistrada ai re-parti della V armata dell’esercito statunitense. Il generale MarkW. Clark entra in città con il grosso degli uomini risalendo ilTridente, Appia, Casilina e Prenestina. Dopo il tramonto letruppe arrivano nel centro storico di Porta Maggiore. Si sparafino a tarda sera.

Alle 21 in piazza di Spagna un conflitto a fuoco coinvolgegruppi di nazisti, fascisti e alleati. La città è libera, la lunganotte di Roma è finalmente alle spalle. Nazisti e fascisti la-sciano il campo, abbandonano luoghi e strutture occupati pernove lunghi mesi; la popolazione irrompe nelle carceri, neglialberghi e negli appartamenti sedi dei comandi militari o poli-zieschi. Si può voltare pagina.

L’ultima strage compiuta dai nazisti in fuga avviene allaStorta, dove vengono fucilati quattordici prigionieri prelevatidalla prigione di via Tasso. Il 5 giugno cade colpito dal fuocodi un mortaio tedesco Ugo Forno, la piccola vedetta romana,un bambino di dodici anni che all’insaputa dei genitori eraimpegnato nel tentativo di proteggere un ponte di ferro sulfiume Aniene, all’altezza dell’aeroporto dell’Urbe. da quelponte sarebbero dovuti transitare i convogli alleati e Ughettovoleva difendere le vie d’accesso alla città” (cfr. “Il Messag-gero”, 1 giugno 2004, p. 23). L’assenza dei nazisti in città, ilgiorno dell’arrivo delle truppe alleate, è confermata da unatestimonianza autorevole quale quella di Alberto Ronchey, ri-portata sulle stesse pagine del giornale sul quale scrive lo sto-rico Gentiloni Silveri. Ronchey scrive: “Il 3 giugno, vigiliadell’ingresso alleato in città, noi scalpitavamo, proprio men-tre i tedeschi stavano evacuando la città e gli Alleati si avvici-navano alla capitale...

Ricordo anch’io un’attesa lunghissima, nessuno spiegavaniente, non succedeva niente. Finché un ordine arrivò: “Nes-suna insurrezione”. Perché? “Ordine trasmesso dal generaleBencivenga”. Ma obbediamo? “È un impegno tra il comandoalleato, il Vaticano e i tedeschi. Tutti i partiti lo rispettano”.

Luglio 200430 Gramsci

Noi più giovani, studenti usciti dalle tipografie clandestine,diciottenni o anche meno, eravamo delusi. Gli altri ci spiega-vano: “Sono tutti d’accordo che non si spara dentro Romacittà aperta... Strade aperte, ponti aperti... Al nemico che fug-ge ponti d’oro» (cfr. “Il Messaggero”, 1 giugno 2004, p. 25).Come si vede, le truppe naziste avevano iniziato ad evacuarela città a partire già dal 3 giugno, ma anche prima di questostesso giorno. Tanto è vero ciò che Brunello Mantelli, su“L’Unità” del 4 giugno 2004, scrive: “Il 4 giugno 1944 le truppedella V armata statunitense, comandata dal generale MarkClark, entrano in una Roma abbandonata precipitosamentedagli occupanti tedeschi... Il comando tedesco ha rinunciato aogni tentativo di difendere la città, preferendo portare in salvoverso Nord le proprie truppe in attesa di poterle ricollocare”(cfr. p. 27). Dal suo canto, il partigiano Vittorio Gozzer halasciato scritto una testimonianza che fa ben vedere come siastato l’ingresso delle truppe alleate in Roma. Egli ha scritto:“... quella mattina (4 giugno), proprio alle sei e venti, il 2°Battaglione del 2° Reggimento della “First Special ServiceForce” era arrivato a Tor Sapienza, ai margini della città, doveaveva avuto l’ordine di fermarsi dopo aver fatto prigionieroun reparto di retroguardia tedesco. Alla nostra sinistra una pat-tuglia di un battaglione della 88ª Divisione, aggregato alla no-stra brigata, era stata fermata poco dopo aver raggiunto alle 8il cartello stradale con la scritta «Roma» al km. 8 della Casili-na. Dopo qualche ora vi arrivò Clark con i generali Truscott,Keys, Frederick e altri, assieme ad un gruppetto di giornalistie fotografi. Proprio nel momento in cui questi ultimi, comeracconta Clark, “cominciarono a far scattare gli obiettivi dellemacchine, un cecchino tedesco si scatenò contro di noi. Laprima pallottola attraversò il cartello con un suono metalli-co”. E continua poi con tono umoristico: «Dubito che alcunoabbia mai visto tanti generali far civetta e gettarsi così rapida-mente»... Lasciammo Tor Sapienza senza rimpianti e ci tro-vammo in una delle plaghe che allora erano tra le più caratte-ristiche e suggestive della campagna romana. Superammo unaserie di avvallamenti e di collinette, incontrando una certaresistenza sulle ultime alture prima di scendere verso lo scaloferroviario di san Lorenzo... Le ultime scaramucce soprav-vennero tra i binari e i carri ferroviari dello scalo...: qualchececchino isolato continuava a resistere; ma poi anche questeisolate retroguardie ripiegarono verso il deposito dell’Atac -l’azienda tranviaria - allora situato a poca distanza da PortaMaggiore, dove fu questione di pronto intervento il metterlifuori combattimento” (cfr. “Patria Indipendente, periodicodella Resistenza e degli ex combattenti”, 23 maggio 2004, p.12). Questo quindi è veramente stato l’ingresso degli Alleatiin Roma il 4 giugno 1944. Quella Roma che altrimenti è stataliberata dalla lunga resistenza dei partigiani. È uno degli in-terpreti più autorevoli di quei giorni a dircelo, il comandantepartigiano Rosario Bentivegna, che scrive: “La dura offensi-va partigiana del febbraio e del marzo 1944, richiesta dagliAlleati dopo lo sbarco di Anzio e condotta dai partigiani cheoperavano nella città di Roma e in tutto il Lazio, provocò ine-vitabilmente delle misure di cautela cospirativa proprie dellaguerra clandestina... Il 15 maggio gli Alleati sfondarono aCasino, e la battaglia per Roma, bloccata dopo il fallimentodello sbarco di Anzio, ricominciò. Le nostre formazioni ripre-sero con più intensità gli attacchi ai tedeschi (nella zona di

Palestrina, con nostro orgoglio, furono affissi dai comandinemici i famosi cartelli «Achtung! Banditen!»), i tedeschi ri-sposero con la nota brutalità, anche con rappresaglie che cicolpirono direttamente... Stavamo in una situazione chenon era certo invidiabile: infatti, mentre combattevamo con-tro i tedeschi, subivamo insieme a loro i bombardamenti e icannoneggiamenti degli Alleati ma, insieme a una formazio-ne di carabinieri, riuscimmo a infliggere perdite al nemico, acatturare prigionieri e perfino gli approvvigionamenti per unbattaglione... Il primo di giugno.. decisi di rientrare a Romaper avere ulteriori istruzioni a proposito del trasferimento, inappoggio dei partigiani romani, delle formazioni che erano almio comando. Vennero con me Carla capponi e ante Bersini,comandante militare della formazione di Palestrina... Il duegiugno presi contatto con Valentino Gerratana, del comandocentrale garibaldino, il quale la sera del tre (giugno) mi conse-gnò quattro pesanti batterie con riflettori, che avrei dovutoportare a Tivoli per essere utilizzati come segnali luminosiper il campo di lancio sul Monte Gennaro. La parola d’ordine,che ci doveva pervenire da Radio Londra, era «La neve è ca-duta». La sera in cui l’avessimo sentita bisognava mettere insito quei fari e attendere il lancio...

La mattina del 4 (giugno) rimandai Bersini a Palestrina e,all’alba, Carla ed io con due biciclette e due pesanti zaini incui avevamo disposto i fari prendemmo la via Tiburtina. Al-l’altezza di Ponte Mammolo fummo fermati da reparti tede-schi in ritirata, disposti in posizione di combattimenti. Un uf-ficiale ci chiese dove stavamo andando. “Abbiamo il nostrobambino a Tivoli, dalla balia - gli dicemmo - e siamo moltopreoccupati: vogliamo raggiungerlo. «Impossibile - ci rispose- a due chilometri ci stanno gli americani».

Carla ed io ci consultammo, non potevamo credergli. Macome, se ieri sera ci hanno dato le disposizioni per i campi dilancio, è chiaro che gli alleati non saranno qui prima di diedi,quindici giorni. Insistemmo per proseguire, l’ufficiale tede-sco, cortese e comprensivo, cedette alle nostre insistenze, noncontrollò i nostri zaini e ci lasciò passare.

Ma dopo due chilometri incontrammo effettivamente gliamericani e tornammo indietro, attraversammo di nuovo, que-sta volta verso Roma, le linee tedesche e raggiungemmo ilcentro militare, cui demmo la notizia che gli alleati stavanoeffettivamente arrivando, e li avremmo visti in serata in città.Per tutto il giorno, sulla via Tiburtina, dove ci eravamo ferma-ti presso il comando di quella zona, vedemmo sfilare i tede-schi in ritirata, e ci sembrava ancora un esercito imponente,con le sue artiglierie pesanti e i suoi carri armati.

Ma quando vedemmo gli americani, con le loro attrezza-ture e le loro armi, i tedeschi ci sembrarono dei pezzenti: nonabbiamo mai capito perché, malgrado l’enorme sproporzionedi mezzi e la grande quantità di uomini che avevano a dispo-sizione, gli Alleati ci avessero messo tanto tempo ad arrivarea Roma. Il primo incontro che avemmo con loro fu la sera del4 giugno, verso le 7, sul piazzale Tiburtino. Roma, dopo novemesi di buio e di fame, di paura e di morte, esplose in talimanifestazioni di gioia che possono essere descritte solo dalleimmagini dei cinegiornali: le sue strade si popolarono di gen-te festosa, e tornarono a vedersi per le strade i ragazzi e gliuomini a rischio che la città aveva nascosto e protetto... I par-tigiani romani hanno lasciato sul terreno, dall’8 settembre del

Gramsci Luglio 2004 31

O43 al 4 giugno del O44, circa 1700 caduti; oltre diecimilasono stati i romani deportati in Germania” (cfr. “Patria Indi-pendente, periodico della Resistenza e degli ex combattenti”,23 maggio 2004, pp. 16-17).

Questa descrizione della liberazione di Roma, fatta dalpartigiano Bentivegna, è più veritiera di ogni altra, e fa capirequanto sia stato grande il contributo dei nostri partigiani. Cer-to, le truppe alleate hanno avuto anch’esse un ruolo, e indubi-tabilmente hanno dato anch’esse un loro contributo ma, asso-lutamente, va respinto il tentativo revisionista di falsare la storiae piegarla alle proprie volgarità elettoralistiche, così come èstato fatto il 4 giugno 2004 con la parata messa in scena daglisguatteri berlusconiani davanti ad uno dei peggiori presidentidegli Stati Uniti che la storia di quel paese abbia mai avuto,

George W. Bush, distintosi finora solo per avere messo in attouna serie infinita di guerre contro popoli e nazioni inermi, pri-ma fra tutte quella contro l’Iraq.

Non siamo noi a dirci contrari a quest’assurda guerra tut-tora in corso, che sta mietendo vittime su vittime. È lo stessopremio Nobel Robert Solow, con le parole del quale abbiamoaperto questa riflessione sulla liberazione di Roma, che lo scri-ve: “Sono stato contrario ad essa fino dall’inizio.

Penso che fu dichiarata dietro falsi pretesti, e per la mag-gioranza degli iracheni non rappresenta una guerra di libera-zione. Non ha le giustificazioni della seconda guerra mondia-le. Peggio, le torture dei detenuti rischiano di metterci su unpiano analogo a quello dei tedeschi in Italia” (cfr. «Corrieredella sera», 30 maggio 2004, p. III dell’inserto).

I NUMERI SUL RUOLO DELL’URSSNELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

di Marco Sacchi

Per dimensioni e violenza, vittime e distruzioni, laseconda guerra mondiale non ha eguali nella storia. Ori-ginato dal capitalismo, in quanto il modo di produzionecapitalistico di fronte alla crisi mette in moto tutta unaserie di misure di varia natura che vanno dall’inflazione,alla disoccupazione (con l’utilizzo di mano d’opera a buonmercato proveniente dai paesi dipendenti) all’esportazionedi capitali ecc. Ma il metodo più estremo per salvare ilcapitalismo è quello convulsivo: guerra verso l’esterno.

Dopo il crack della Borsa del 1929, si potenziò l’in-tervento dello Stato, nell’economia sia negli U.S.A. sia inEuropa. Il presidente degli Usa F.D. Roosevelt - sotto laspinta delle lotte di enormi masse di lavoratori e didisoccupati prodotte dalla crisi (1°) - varò un grandepiano di investimenti per l’espansione e l’ammoderna-mento delle infrastrutture, nell’intento di sostenere la do-manda globale e riavviare il ciclo espansivo dell’econo-mia. (2°)

Queste misure si rilevarono, di fatto, insufficienti asconfiggere la crisi. Gli Usa tutto il mondo capitalisticouscirono dalla crisi solo in seguito alle immani distruzionioperate dalla Seconda Guerra Mondiale.

Infatti, se si esamina la dinamica degli avvenimentipolitici che si sono succeduti a partire dalla crisi del ’29in avanti si nota che il mondo è stato scosso da eventidi grande e significativa portata. Si inizia con la rivoluzio-ne spagnola che portò alla caduta della monarchia (aprile1931) all’avvento di Hitler in Germania (gennaio 1933)all’apertura delle campagne militari dell’imperialismo giap-ponese in Cina fino alla guerra di Etiopia (1935) e allaguerra civile spagnola (1936-1939).

Nel tentativo di salvare l’ordinamento capitalista, lo Sta-to Borghese, questo comitato d’affari della borghesia im-perialista, cercando di uscire dalla crisi del ’29 attraversol’intervento statale ha sviluppato l’industria delle armi,mettendo in crisi la pace mondiale e favorendo l’ascesadel fascismo. L’ordine Hitleriano era riuscito ad aprire aicapitalisti tedeschi, colpiti dalla grande recessione, vasteprospettive di profitti. Un mese dopo l’ascesa al potere,

Hitler rivolgeva una nota di politica industriale alla Federa-zione tedesca dell’Industria Automobilistica presieduta daF. Porsch. I provvedimenti contenuti in questa nota preve-devano la costruzione rapida di infrastrutture, agevolazionifiscali e sovvenzioni all’esportazione, la messa a disposi-zione di manodopera (3°) e di materie prime a bassocosto, oltre che di crediti rilevanti. Decine di migliaia diimprese approfittarono del grande sviluppo dell’industriadegli armamenti, dell’esproprio della borghesia ebraica edei saccheggi della Wermacht. Parallelamente la nuovalegislazione del lavoro significò la totale liquidazione delleistituzioni della classe operaia edificate durante un secolodi lotte. La politica economica di intervento dello Statonell’economia della Germania nazista (come quella del-l’Italia fascista e quella del Giappone) è stata una variantedel capitalismo monopolistico di Stato e come tale ten-dente al rafforzamento della proprietà privata.

Ovviamente, quanto detto sopra, vale non solo per ipaesi della coalizione hitleriana.

La partecipazione dello Stato borghese nell’economiafu determinata da fattori endogeni quali la crisi generaledel sistema capitalistico e da fattori esogeni tra i quali inprimo luogo i primi successi dell’Urss nella realizzazionedel primo piano quinquennale e nell’eliminazione delladisoccupazione.

L’ammontare degli effettivi militari e l’impiego di mez-zi bellici crebbero costantemente nel corso del conflitto e,in particolare dopo l’aggressione dell’Unione Sovietica,l’entrata in guerra degli Usa. Se nel periodo fra il 1939 eil 1940 gli eserciti e le flotte degli stati belligerantieuropei contavano dai 10 ai 13 milioni di uomini, all’ini-zio del 1945 gli effettivi complessivi delle parti contrap-poste ammontavano a oltre 50 milioni di uomini.

Nell’ambito della coalizione antitleriana le forze arma-te dell’Urss furono quelle che si batterono con il massimogrado di impegno e di tensione. Le possibilità bellichedegli Usa e della Gran Bretagna, viceversa, la parte piùconsistente delle truppe di questi paesi restò fuori daiteatri delle operazioni belliche. L’insieme delle forze sta-

Luglio 200432 Gramsci

tunitensi e britanniche effettivamente coinvolte nelle ope-razioni di guerra aumentò solo dopo le durissime scon-fitte della Wermacht sul fronte orientale.

Ruolo dell’U.R.S.S. nella disfatta della coalizione fascistaLe forze armate dell’Unione Sovietica hanno esercitato

un ruolo decisivo nella distruzione della macchina bellicadegli aggressori. Lo sforzo più massiccio della Germania,lo stato più possente del blocco fascista, fu diretto control’Urss. L’attacco contro l’Urss venne sferrato dal un eser-cito forte di 190 divisioni e quattro battaglioni dell’avia-zione militare, vale a dire 5 milioni e mezzo di uomini, dioltre 47 mila cannoni e mortai, 43000 carri armati emezzi d’assalto e circa 5 mila aerei di guerra.

Durante tutto il periodo della guerra sul fronte sovieti-co-germanico fu concentrata tutta la potenza distruttiva difuoco della Germania e dei suoi alleati. Ne consegue cheproprio su questo fronte fu determinato il corso e l’esitodel conflitto. Distribuzione delle forze di terra della Ger-mania nazista e dei suoi alleati europei sui fronti opera-tivi nel periodo compreso fra il 1941 e il 1945 (indivisioni).

Nelle varie fasi della guerra sul fronte sovietico-ger-manico si trovarono di fronte da 8 a 12,8 milioni di uomini,da 84 a 163 mila cannoni e mortai, da 5,7 a 20.000 carriarmati e postazioni d’artiglieria semoventi, da 6,5 a 18,8mila aerei, vale a dire una concentrazione di effettivi belliciche non aveva precedenti nella storia. Per il 93% deltempo sul fronte sovietico-germanico si svolsero operazio-ni militari attive. Ed è proprio sul fronte orientale che siè verificata, in sostanza, la sconfitta della Wermacht valea dire il più potente esercito nel mondo capitalistico. Ledimensioni delle operazioni belliche in Africa Settentrio-nale e in Italia non possono essere paragonate con l’am-piezza e l’asprezza della lotta divampata nel teatro del-l’Europa Orientale. In tutto il periodo compreso fra il 1940 eil 1945 tutte le perdite della Wermacht in quella zona sonoammontate (fra morti, feriti, prigionieri e dispersi) a 550mila persone, una cifra nettamente inferiore a qualsiasidelle campagne sviluppatesi sul fronte sovietico-germanico.

Ben più imponente fu l’offensiva degli alleati sulfronte dell’Europa Occidentale (secondo fronte). Essa, tutta-via si sviluppò quando ormai le forze della Germanianazista erano assai logorate. Gli eserciti anglo-americanipotevano contare su una supremazia nettissima nei con-fronti del nemico. Essi si trovarono di fronte ad unnumero di divisioni tedesche variante da 56 a 75, dotateoltretutto, di un grado di combattività di molte volteinferiore rispetto a quello delle forze germaniche cheoperavano nel fronte orientale: Una notevole parte delle

truppe tedesche preferivano darsi prigioniere. (4°).Facciamo come esempio il confronto delle forze con-

trapposte nella battaglia di Stalingrado (1942-43) e l’of-fensiva degli alleati in Italia nel Giugno del 1944.

Non è neppure giusto sopravvalutare, come in generesi fa, la reale efficacia della cosiddetta offensiva aereadegli alleati sulla Germania. I dati della produzione belli-ca indicano che i bombardamenti strategici non ridusserodi molto il potenziale bellico tedesco. Più che gli obiettiviindustriali chi ebbe a soffrire dell’«offensiva aerea» fu lapopolazione delle grandi città.

Un ruolo importante fu esercitato senza dubbio nellaseconda guerra mondiale dalle azioni svolte delle marinemilitari nelle comunicazioni marittime, soprattutto nel-l’0cceano Atlantico. La lotta contro i sottomarini tedeschirichiese un grande impegno da parte degli alleati, inparticolare da parte della Gran Bretagna che dipendevafortemente dalle importazioni di materie prime, generialimentari e altri materiali.

Anche in questo settore, tuttavia il corso degli eventinon fu determinato unicamente dalle parti contrapposte,ma anche dallo sviluppo della situazione strategica in tuttigli altri teatri delle operazioni belliche e in primo luogoquello sovietico-germanico.

La disfatta della Germania Hitleriana, predeterminò eaccelerò anche la sconfitta del Giappone.

Durante tutto l’arco della guerra, i giapponesi tennerolungo le frontiere dell’Estremo Oriente con l’Urss un po-tente raggruppamento di truppe di terra, l’armata del Quan-tung, che, per consistenza dei propri effettivi (oltre unmilione di uomini) e potenziale bellico (oltre 6600 cannonie mortai, più di 1200 carri armati, quasi 2000 aerei daguerra), era decisamente più forte dei contingenti giappo-nesi operanti nelle isole dell’Oceano Pacifico.

I pesantissimi colpi inferti nell’agosto del 1945 dalleforze armate sovietiche su un fronte la cui lunghezza erasuperiore ai 5 mila chilometri portarono alla completadisfatta dell’armata del Quantung ed a un netto mutamen-to della situazione politico-militare in Estremo Oriente. E’sintomatico. A questo proposito, che i dirigenti degli Usae della Gran Bretagna non considerassero possibile diriportare una vittoria definitiva sul Giappone prima del1946 e che ritenessero che l’invasione del territorio avrebbecomportato parecchie vittime tra le truppe at-taccanti. Ma con la messa fuori combattimentodell’armata del Quantung il Giappone capito-lò. La seconda guerra mondiale era finita.

FRONTIEpoca sovietico-germanico altri rapporto22 giugno 1941 190 9 21: 1Aprile 1942 219 11 20: 1Novembre 1942 266 12,5 21: 1Aprile 1943 233 14,5 16: 1Gennaio 1944 245 21 11,7: 1Giugno 1944 239,5 85 2,8: 1Gennaio 1945 195,5 107 1,8: 1

OFFENSIVA DEGLI ALLEATI IN ITALIA (GIUGNO 1944)Effettivi militari Cannoni Carri armati Aerei(migliaia di (migliaia) (migliaia) (Migliaia)uomini)Alleati Germ. Alleati Germ. Alleati Germ. Alleati Germ.1339 441 8.5 4.1 2,5 0,4 4.0 0.3

STALINGRADOEffettivi militari Cannoni Carri armati Aerei(migliaia di (migliaia) (migliaia) (Migliaia)uomini)URSS Germ. URSS Germ. URSS Germ. URSS Germ.1106 1011 15,5 10.3 1,5 0,7 1,3 1,1