Post on 08-Aug-2015
MATERIALI DENTALI a cura di Caterina Roncoroni I materiali dentali sono prodotti utilizzati in odontoiatria è difficile elencare ed analizzare tutti i materiali
in quanto essi sono in continuo progresso evolutivo con immissione nella pratica clinica di nuove
sostanze.
Essi assolvono al fine ultimo che l’odontoiatra persegue, quello di ristabilire ‘integrità anatomo-
funzionale della’apparato stomatognatico.
In ogni settore dell’odontoiatria vengono utilizzati materiali dentali: in prevenzione, in parodontologia,
in ortodonzia ed infine nell’odontoiatria estetica.
Attualmente al fine di rendere i materiali dentali sicuri sia per chi li usa che per il paziente ogni singolo
materiale deve possedere della caratteristiche chimico-fisiche biologiche che rispondono a norme
precise dettate dalla comunità europea.
La realizzazione di un materiale dentale è frutto della collaborazione del chimico del fisico
dell’ingegnere del biologo e dell’istologo in quanto il materiale dentale deve possedere delle proprietà
tali da mantenere la sua stabilità in condizioni ambientali diverse quali quelle che si realizzano nella
cavità del cavo orale come un ph acido o basico, temperature diverse, aggressione batterica, saliva con
la sua azione chimico-fisica.
L’assistente dentale ha il compito di conoscere le proprietà e i diversi tipi di uso di ogni materiale.
I CEMENTI ODONTOIATRICI
Generalità Il cemento è una sostanza capace di aderire a materiali non adesivi e di mantenerli saldamente uniti fra
loro. I cementi in odontoiatria sono i materiali di più largo uso, la loro applicazione clinica è molto
ampia e per tale motivo ne esistono vari tipi e con caratteristiche chimico-fisiche differenti a secondo
dell’impiego cui sono preposti. La maggior parte dei cementi sono in commercio in confezione da due
flaconi, uno contenente polvere uno contenente liquido, oppure come pasta-pasta, che miscelati formano
un prodotto di varia consistenza, il quale indurisce rapidamente. La reazione chimica che avviene tra i
costituenti è per la maggior parte una reazione tra un acido e una base. Alcuni cementi di più recente
introduzione in campo odontoiatrico ( cementi allo monomero di vetro, cementi resina, compomeri)
hanno tra i costituenti delle resine che provocano una presa (indurimento) del 2
cemento per fotopolimerizzazione o per auto-polimerizzazione. La polimerizzazione è il processo che
consente attraverso l’unione di più unità monometriche la formazione di una macromolecola polimerica.
Una unità monometrica è una molecola singola a basso peso molecolare che in particolari condizioni si
lega ad altri monomeri della stessa specie o di specie diversa dando luogo alla formazione di un
polimero.
Uso di cementi Il cemento è usato per :
Fissare in modo definitivo o provvisorio manufatti protesici, restauri conservativi, bande
ortodontiche;
Sottofondi;
Endodonzia insieme ai coni di guttapercha deputati alla chiusura dei canali radicolari;
Proteggere ferite chirurgiche;
Materiale impronte (irreversibile).
Generalità
I cementi che vengono presi in considerazione sono:
cementi all'ossido di zinco-eugenolo
cementi a base di acido fosforico
cementi a base di acidi polialchenoici
polialchenoici
I cementi all'ossido di zinco-eugenolo, detti anche ZOE, sono formati da polvere (ossido di zinco al
95%) e un liquido (eugenolo ed olio di garofano al 95%). La reazione è un tipico processo acido-base in
cui si forma un complesso chelato formando una massa solida. Esistono formulazioni liquido-polvere o
a due paste.
Questo cemento viene utilizzato in cavità profonde, sotto i restauri in amalgama, mentre non possono
essere utilizzati sotto le otturazioni in composito in quanto ne inibiscono la polimerizzazione e ne
variano il colore.
Sono capaci di garantire una barriera termica, una azione batteriostatica, ma hanno una bassa resistenza
alla compressione.3
Questi cementi si applicano dopo aver impastato polvere e liquido o le due paste, il tempo di
lavorazione è di 1-3 minuti a 37 gradi e quello di indurimento varia da 4 a 10 min.
I cementi all'ossido di zinco-eugenolo oggi in commercio sono: Cavitec, Temp Bond, Kalsogen plus.
I cementi a base di acido fosforico sono:
cementi al fosfato di zinco
cementi al silicato
cementi silicofosfatici
di questi cementi solo quelli al fosfato di zinco vengono utilizzati come sottofondo, gli altri vengono
usati solo per l'otturazione dei decidui anteriori in quanto anticariogene.
I cementi al fosfato di zinco sono quelli più utilizzati, formulati sottoforma di polvere e liquido da
mescolare al momento hanno una composizione a base di ossido di zinco (oltre a calcio e magnesio)
nella polvere e acido fosforico nel liquido; quando questi cementi vengono usati come sottofondo vanno
accoppiati ad un isolante (liner) o cemento all'ossido di calcio per evitare di irritare la polpa dovuto al
loro ph acido.
Sono cementi da utilizzare come sottofondi di cavità piccole e medie sotto otturazioni in amalgama e
per la cementazione di protesi fisse o bande ortodontiche.
I cementi al silicato sono stati introdotti come materiali da restauro estetico, sono poco utilizzati in
quanto sono stati sostituiti da quelli vetroionomeri.Vengono utilizzati solo per le otturazioni dei decidui
quanto anticariogeni.
Anche questi sono sottoforma di polvere simile ad un vetro e liquido costituito da una parte acquosa
contenente acido fosforico simile a quella del fosfato di zinco.sono cementi acidi che possono
compromettere la polpa per l'elevata tossicità.
I cementi silifosfatici sono un ibrido tra i cementi al fosfato di zinco e quelli al silicato, vengono
utilizzati per la cementazione di corone di porcellana, bande ortodontiche e i decidui in pedodonzia;
sono poco in commercio in quanto sostituiti dai cementi ionomeri o altri.
Cementi a base di acidi polialchenoici hanno la caratteristica di fare presa grazie all'azione di un acido
organico con ossido di zinco o silicofosfatici, se ne ricordano 2 tipi:
cementi policarbossilati (tipo Durelon)
cementi vetroionomeri
I primi sono formulati sottoforma di polvere e liquido o sola polvere con acqua. 4
La polvere contiene ossido di zinco, magnesio,fluoruri di stagno, clacio e sodio.Hanno una solubilità
maggiore dei cementi al fosfato di zinco, buona resistenza alla trazione e compressione,sono acidi ma
non irritanti per la polpa.
Sono utilizzati come sottofondi per cavità, cementazione di protesi fisse e ortodontiche.
Quelli vetroionomeri hanno come costituenti principali la silice, l'allumina e la fluorite che sono fusi
insieme formando un materiale vetroso che ridotto in polvere costituisce la componente solida.
Esistono almeno 5 tipi di questo cemento, vengono usati per:
per cementazioni
per ricostruzioni estetiche
per sigillare solchi e fessure
per sottofondi di amalgama e compositi.
Hanno una azione cariostatica per la liberazione di ioni fluoro e resistono alla compressione vengono
inoltre utilizzati per otturazione di decidui in quanto poco resistenti alle forze di masticazione degli
adulti, per cementazione di bande ortodontiche o come sigillanti di solchi e fessure in pedodonzia. In
commercio esistono cementi vetroionomeri per sottofondi e per cementazioni definitive (quali Ketac,
Fuji GC).
Miscelazione dei cementi per fissaggio La miscelazione del cemento per fissaggio è l’operazione che ha lo scopo di unire meccanicamente i due
componenti e il cemento stesso: la polvere ed il liquido. A questa unione meccanica fa seguito una
reazione chimica (reazione di presa dipendente da diversi fattori che la influenzano). L’inizio della
reazione di presa avviene dopo una tempo di presa più o meno lungo ed è in relazione alla temperatura
ambiente, a quella del liquido del cemento, a quella della piastra per miscelazione ed al modo di
spatolatura. La corretta miscelazione del cemento è una condizione imprescindibile per l’ottimale
fissaggio o cementazione del manufatto protesico (operazione di per se stesa non facile ), può essere
notevolmente facilitata dalla corretta miscelazione del cemento e da alcune misure precauzionali che
possono essere adottate prima e durante la miscelazione.
Tali precauzioni consistono:
nell’impiegare preferibilmente un cemento a presa lenta;
nel ritardare il più possibile l’inizio del tempo di presa del cemento allo scopo di favorire l’ottimale
unione meccanica della polvere con il liquido e di agevolare il corretto alloggiamento del manufatto
protesico, soprattutto nei casi che presentano
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una certa difficoltà di posizionamento (quali possono essere, ad esempio: la cementazione di perni
moncone, di ponti con più elementi pilastro, di corone con attacchi di precisione, ecc.).
Risulta ovviamente impossibile elaborare un unico protocollo operativo per la miscelazione di tutti i
cementi per fissaggio: in questo lavoro sarà pertanto descritta una tecnica di miscelazione del cemento al
fosfato di zinco introdotto in odontoiatria nel 1879 che a tutt’oggi può ancora essere considerato il
cemento d’elezione e uno dei più affidabili.
Strumenti Gli strumenti per una corretta miscelazione del cemento (miscelazione che garantisca l’ottimale unione
meccanica della polvere con il liquido) e la facilitazione delle operazioni di cementazione sono:
un’adeguata spatola per impasto e un’idonea piastra per miscelazione.
Spatola per impasto Deve essere d’acciaio inossidabile e possedere una discreta flessibilità.
Piastra per miscelazione
La piastra per miscelazione più appropriata è rappresentata da una piastrella rettangolare per
rivestimenti di pareti in muratura, avente 15 x 7.5 cm per lato, 0.7 cm di spessore e con superficie
smaltata assolutamente liscia. Il vantaggio principale derivante dall’impiego di piastrelle di questo tipo
sta nel fatto che, essendo costituite da un a materiale di scarsa conducibilità termica, perdono molto
lentamente la temperatura ottimale per la corretta miscelazione del cemento (temperatura di 4 o 5° circa
raggiungibili con il raffreddamento in un comune frigorifero).
Un altro vantaggio è dato dalla superficie liscia, che permette, dopo la loro utilizzazione, di essere pulite
perfettamente e di eliminare così ogni traccia di cemento residuo che potrebbe compromettere le
ulteriori miscelazioni (più avanti sarà descritto un accorgimento per una semplice, veloce ed ottimale
rimozione del cemento residuo dalle piastre per miscelazione e da qualsiasi altro strumento.
Misure precauzionali per una corretta miscelazione
Sono rappresentate da alcune norme da osservare per la conservazione del cemento e delle piastre per
miscelazione.
Conservazione del cemento La polvere del cemento va conservata a temperatura ambiente nei rispettivi flaconi accuratamente
chiusi. Il liquido invece conservato in frigorifero: il liquido a bassa temperatura consente di prolungare
il tempo di miscelazione (viene così ritardato l’inizio del tempo di presa e di accelerare il tempo di presa
in bocca).6
Conservazione delle piastre per miscelazione Le piastre per miscelazione devono essere conservate in frigorifero, avvolte in una busta di carta e ne
vanno tolte solo nel momento in cui devo essere utilizzate.
La conservazione delle piastre dentro una busta di carta ha lo scopo di evitare che le piastre si
umidiscano: l’umidità provoca l’idratazione della polvere del cemento, che ha come conseguenza
un’accelerazione del tempo di presa ed un’alterazione delle caratteristiche del cemento. Per la stessa
ragione bisogna asciugare con un fazzoletto di carta l’eventuale condensa che può formarsi quando le
piastre vengono a contato con l’aria dell’ambiente: le piastre non devono “sudare”.
Vantaggi derivanti dall’uso di piastre fredde I vantaggi derivanti dall’uso di piastre fredde sono i seguenti:
possibilità di incorporare una maggiore quantità di polvere, il che aumenta di gran lunga la
resistenza del cemento
ritardo dell’inizio di presa del cemento, che consente:
1. una migliore amalgamazione tra polvere e liquido;
2. una facilitazione delle operazioni di posizionamento e d’alloggiamento del manufatto protesico;
3. accelerazione del tempo di presa in bocca del cemento (minor disagio per il paziente).
Tecnica della miscelazione o dell’impasto o della spatolatura Le varie fasi per una buona miscelazione del cemento per fissaggio sono le seguenti:
1. porre su una estremità della piastra fredda la quantità di liquido necessaria (3-5 gocce per ogni
elemento da fissare) e sull’altra estremità una congrua quantità di polvere;
2. ancor prima di cominciare l’effettiva operazione di miscelazione aggiungere al liquido una quantità di
polvere pari ad una capocchia di un fiammifero, o poco meno, spatolare fino ad ottenere un liquido
lievemente lattiginoso e lasciare riposare il tutto per qualche minuto(anche questo accorgimento
contribuisce a far ritardare l’inizio del tempo di presa);
3. iniziare la miscelazione vera e propria portando una piccola quantità di polvere nel liquido lattiginoso
e spatolare lentamente per una quindicina di secondi;
4. sospendere per quindici secondi la miscelazione e quindi apportare un’altra piccola quantità di
polvere che verrà a sua volta miscelata per una quindicina di secondi;
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5. proceder in questo modo (quindici secondi di spatolatura, quindici secondi di riposo) fino ad ottenere
un impasto di consistenza tale che sollevando la spatola dall’impasto il cemento abbia a filare tra la
piastra e la spatola stessa formando un filamento della lunghezza di circa 1-2 cm; a questo punto il
cemento è pronto e si può procedere alle operazioni di cementazione.
Osservazioni
L’apporto di piccole quantità di polvere, la spatolatura lenta con alternanza di movimenti d’impasto e di
riposo (come sopra descritto) consente di:
1. incorporare nel liquido una maggiore quantità di polvere (cemento più resistente);
2. ritardare l’inizio del tempo di presa (miscelazione migliore, facilitazione delle operazioni di
cementazione).
Pulizia delle piastra per miscelazione e degli strumenti
Una veloce ed ottimale pulizia della piastra per miscelazione e degli strumenti può essere ottenuta
utilizzando una soluzione satura di bicarbonato di sodio. Questa soluzione è preparata una volta ogni
tanto aggiungendo un paio di cucchiai di bicarbonato di sodio ad un litro d’acqua; si agita bene il
contenitore e si lascia sedimentare il bicarbonato: il liquido che si ottiene è la soluzione satura.
Quando si deve procedere alla miscelazione del cemento si versa un poco della soluzione in una
vaschetta (senza agitare il contenitore) e si imbeve con la soluzione un batuffolo di cotone idrofilo della
grandezza di una noce. Terminate le operazioni d’impasto si immergono spatola ed eventuali strumenti
sporchi di cemento nella soluzione contenuta nella vaschetta: in pochi secondi spatola e strumenti
saranno perfettamente puliti. Si preme pio la soluzione che impregna il cotone idrofilo sulla piastra e
con il cotone si strofina la piastra stessa, che in pochi secondi sarà perfettamente pulita.
Cementi vetrionomerici resinosi-compositi Le resine acriliche, già in uso a partire dal 1950 per le protesi, vennero proposti successivamente anche
per i restauri estetici dei settori anteriori; ben presto si è scoperto che davano la formazione di fessure
marginali (all'interfaccia dente-otturazione) e conseguente infiltrazione di fluidi e batteri orali. Inoltre
presentavano:
scarsa durezza;
scarsa resistenza alla compressione e alla trazione;
bassa resistenza all'usura;
alta tossicità per la polpa causata dal monomero libero.
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Nel 1960 numerose ricerche hanno portato all'introduzione di resine acriliche di seconda generazione ,
dette anche resine composite o semplicemente compositi, la cui formulazione prevede:
un monomero acrilico di Bowen;
un riempitivo inorganico rinforzante;
un legante;
coloranti e additivi per conferire il colore adatto delle strutture dentali.
L'evoluzione dei compositi ha permesso di soppiantare definitivamente i cementi per otturazioni
estetiche e permettere di risolvere situazioni cliniche spesso evitando anche ricostruzioni protesiche.
Le resine composite, i componenti attuali della formulazione di un composito sono:
un riempitivo inorganico rinforzato o filler;
una matrice polimerica detta di Bowen;
un legante (che nel composito finale lega filler e matrice).
Il riempitivo inorganico: è costituito da particelle di silice o di silicati, bario, stronzio.
Il legame del riempitivo con il legante avviene per reazione di un gruppo ossidrilico del riempitivo con
un gruppo ossidrilico del legante e porta a un legante Si-O-Si.
Le dimensioni medie delle particelle del riempitivo inorganico usato nelle prime generazioni erano
relativamente grandi, per cui i primi compositi avevano una elevatissima quantità di riempitivo ed erano
detti resine macroriempite o convenzionali, quelle successive erano ancora difficilmente lucidabili, e
non si potevano ottenere tute le sfumature di colore e avevano un tempo di lavorazione troppo breve,
così per migliorare ciò sono stati introdotti i compositi a particelle fini, detti microriempitivi più facili
da lucidare ma meno duri e meno resistenti perché meno ricchi di filler.
La soluzione intermedia è stata quella di creare compositi ibridi derivanti dalla miscelazione di
compositi convenzionali e microibridi che riuniscono i vantaggi dei due sistemi
La matrice polimerica di Bowen: quella più usata negli attuali compositi è quella che si ottiene dalla
polimerizzazione del monomero di Bowen (indicato con la sigla BIS-GMA 9
bisfenologlicidilmetacrilato); si tratta di monomeri acrilici la cui polimerizzazione può essere attivata
per via chimica o fotochimica mediante l'uso di una luce ultravioletta.
I compositi che vengono attivati per via chimica sono costituiti da due paste una delle quali contiene
l'iniziatore di polimerizzazionee l'altra funziona da attivatore (la base attiva l'iniziatore) e coloranti per
conferire il colore ai denti (tempo di indurimento max in 8 min)
Nelle resine composite fotoattivabili la polimerizzazione avviene per via fotochimica e i compositi sono
costituiti non più da due ma da una sola pasta contenuta in una siringa opaca al riparo dalla luce, dopo il
posizionamento della pasta nella cavità si procede alla polimerizzazione con apposita lampada che ne
favorisce l'indurimento grazie ad un fascio di luce ultravioletta (i tempi di manipolazione e lavorazione
sono maggiori che nel precedente!).
Classificazione dei compositi I compositi vengono classificati in base alle dimensioni delle particelle del loro riempitivo che ne
determinano le proprietà dei vari compositi:
compositi a macroparticelle, hanno un alto contenuto di riempitivo (80%), hanno qualità estetiche
scadenti, poco tralucenti;
compositi a particelle fini, hanno ancora un alto contenuto di riempitivo (80%), i restauri sono ben
levigati ma non lucidi e brillanti, adatti per i margini incisali;
compositi a microparticelle, si tratta di un composito ben lucidabile e con eccellenti caratteristiche
estetiche;
compositi con particelle ibride, è un composito derivante da un misto di microparticelle e
macroparticelle, ha una buona resistenza alla compressione e all'erosione e buona lucidabilità; contiene
alcuni ossidi di metallo che li rendono radiopachi.
Proprietà biologiche e fisiche dei compositi Tra le proprietà ideali troviamo:
buona biocompatibilità;
bassa contrazione da polimerizzazione (per ridurre la contrazione si polimerizza a strati);
basso assorbimento di acqua;
elevata resistenza alla compressione;
elevata resistenza alla corrosione;
radiopacità;
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buona stabilità del colore;
facilità di manipolazione;
facilità di rifinitura e lucidatura.
Proprietà meccaniche dei compositi I compositi ibridi sono quelli che hanno maggiori proprietà meccaniche
durezza e resistenza alla compressione (che rende i compositi ibridi adatti al restauro dei posteriori)
resistenza alla trazione (si tratta di compositi fragili e soggetti a fratture, tranne che per i compositi
ibridi che hanno una durezza paragonabile a quella degli amalgami e maggiore dei cementi al silicato)
elasticità, sono poco elastici e quindi facilmente deformabili sotto le forze occlusali
usura ossia perdita di materiale dalla superficie, rappresenta ancora oggi uno dei punti deboli dei
compositi
Conclusioni
I compositi sono un materiale da restauro indicati:
per la ricostruzione dello smalto e le otturazioni delle superfici vestibolari e linguali degli elementi
anteriori;
per la ricostruzione di spigoli incisali e cuspidi;
per il restauri cervicali;
per la ricostruzione di incisivi fratturati;
per lo splintaggio dei denti mobili in parodontologia;
per la ricostruzione di monconi su cui montare corone fuse;
in ortodonzia per fissare i Brackers.
I sigillanti per solchi e fessure: sono soluzioni di composti organici come il bisfenologlicidil-
metacrilato in trietilenglicol-metacrilato. Sono materiali dentali utilizzati in odontoiatria conservativa.
Queste soluzioni sono applicate sulle superfici occlusali dei molari ritenuti a rischio di carie perché
presentano solchi o fessure profondi difficili da detergere che possono facilmente divenire ricettacolo di
placca, batteri e residui alimentari. La sigillatura dei solchi è una tecnica introdotta intorno agli anni ’60
è risultata essere nel tempo uno dei metodi più efficaci al fine della prevenzione della carie. I sigillanti
scorrendo e penetrando in profondità e successivamente con la polimerizzazione creano una matrice
organica solida 11
simile ad un film rigido che isola il dente e impedisce la formazione della placca e di conseguenza
l'insorgere della carie.
Un sigillante ideale dovrebbe essere:
non irritante;
non tossico;
resistente all’usura e all’acqua;
di viscosità idonea all’uso che permetta di penetrare in profondità;
di facile applicazione;
economico.
L'applicazione dei sigillanti comprende i seguenti passaggi:
− applicazione della diga per isolare il dente dalla saliva e dall'umidità della respirazione;
− detergere il dente con uno spazzolino con pasta pomice per eliminare la placca;
− sciacquare e asciugare con aria;
− applicare acido ortofosforico (37%);
− sciacquare e asciugare (si verificherà una demineralizzazione dello smalto che ad occhio nudo appare
opaco, biancastro e gessoso);
− applicazione del monomero con pennellino o applicatore in dotazione;
− polimerizzare con lampada a raggi ultravioletti;
− controllare i margini della sigillatura con una sonda (deve essere liscia e senza bolle);
− rimuovere la diga;
− controllare l'occlusione (ridurre lo spessore, se necessario);
− trattare con fluoruri sia il dente sigillato che quelli adiacenti.
PROTESI E RAPPORTI CON IL LABORATORIO
Considerazioni preliminari
Attualmente la protesi dentale viene definita e regolata nel capitolo legislativo 93/42, dispositivi medici
su misura. Per protesi dentale si intende una struttura artificiale atta a sostituire parti coronali di un dente
o uno o più o tutti i denti mancanti, avente il fine ultimo di ripristinare al meglio le funzioni del sistema
stomatognatico (SSG). SSG è costituito dall’apparato dento parodontale (denti e parodonto) e dalle
articolazioni temporo-mandibolari e dal sistema neuro-muscolare (nervi e muscoli) propri del SSG
stesso. 12
Gli apparati che costituiscono il SSG sono interdipendenti e sono collegati con il sistema nervoso
centrale per via ascendente tramite i nervi sensitivi e per via discendente tramite i nervi motori: il
sistema nervoso centrale governa tutte le funzioni del SSG.
Le funzioni del SSG sono: la masticazione e la cooperazione alla deglutizione, alla fonazione, alla
definizione della fisionomia e al mantenimento della postura del corpo e delle varie parti del corpo. La
postura dipende dal tono posturale.
Il tono posturale è il grado di contrazione involontaria dei muscoli anti-gravitari, che si oppongono alla
forza di gravità sia durante la fase statica sia durante i movimenti. Questi muscoli sono quelli che
mantengono eretta la colonna vertebrale, quelli che tengono diritti il collo e la testa, quelli che
sostengono e fissano la mandibola (fra questi ultimi i più importanti sono i masseteri, i più potenti
muscoli elevatori della mandibola).
Una protesi non correttamente eseguita può essere causa di disturbi della masticazione, della
deglutizione, della fonazione di alterazione del tono muscolare dei masseteri.
La realizzazione di una buona protesi funzionale deriva da un buon lavoro di “equipe” (odontoiatra,
assistente alla poltrona, odontotecnico) e da una buona impronta. Alla realizzazione di un’impronta
ottimale contribuiscono l’odontoiatra, l’assistente alla poltrona, i materiali per impronta e la tecnica di
impronta.
L’impronta è la registrazione in negativo della forma del processo alveolare della mandibola, del
processo alveolare e della volta palatina del mascellare superiore con i relativi aspetti superficiali della
gengiva e della mucosa, della forma e dei rapporti dei denti. L’impronta serve a riprodurre in positivo
con gesso o altri materiali un modello della superficie registrata. Per rilevare un’impronta occorrono
appositi materiali i quali presentano caratteristiche diverse secondo la loro composizione chimica.
Qualsiasi materiale per impronta, quando viene utilizzato, passa attraverso tre fasi successive: una fase
di preparazione o di condizionamento o di miscelazione o d’impasto, un tempo di lavorazione ed una
fase di presa o indurimento.
La fase di preparazione è quella durante la quale al materiale si fa assumere la consistenza plastica per
rilevare l’impronta.
La fase plastica è quella durante la quale il materiale, reso plastico dalla fase di preparazione, viene
collocato sul portaimpronta e/o in apposite siringhe e quindi portato nella cavità orale.
La fase di presa è quella durante la quale il materiale indurisce assumendo una consistenza che può
essere, secondo il materiale, elastica o non elastica.13
In base alla consistenza finale i materiali da impronta sono stati divisi in elastici e non elastici. ELASTICI
-IDROCOLLOIDI
• Reversibili o agar
• Irreversibili
-ELASTOMERI
• polisolfuri
• siliconi per condensazione
• siliconi per addizione
• polieteri
NON ELASTICI
Gesso tenero da impronta
Cera da impronta
Resine termoplastiche
La distinzione fondamentale dei materiali da impronta elastici e non elastici è che solo i primi sono in
grado di rilevare anche i sottosquadri nel cavo orale, questo è il motivo per cui oggi i materiali da
impronta elastici sono quelli più usati in odontoiatria.
Gli idrocolloidi usati in odontoiatria sono dispersioni acquose di polisaccaridi, macromolecole insolubili
in acqua, che si comportano come colloidi molecolari. Gli idrocolloidi per il rilievo di impronte
sfruttano il passaggio dalla condizione fluida e viscosa a quella molto viscosa (semisolida). Per alcuni
tale passaggio è reversibile e quindi l'idrocolloide è detto reversibile, per altri il passaggio è irreversibile
e pertanto sarà detto irreversibile.
Gli idrocolloidi reversibili (agar), sono costituiti da dispersioni acquose colloidali di agar, un
polisaccaride, estratto da alcune particolari alghe rosse, derivante dalla polimerizzazione lineare del
galattosio; queste dispersioni sono in grado di passare 14
reversibilmente dallo stato di sol allo stato di gel (questo passaggio è detto “punto di gelificazione”) per
raffreddamento della dispersione ed è questo che è responsabile dell'indurimento degli idrocolloidi.
I reversibili presentano una elevata flessibilità e buona bagnabilità e fluidità anche se sono solo
modestamente resistenti alla lacerazione; le impronte possono essere disinfettate senza variare le
dimensioni ma i modelli vanno preparati subito perchè i gel sono soggetti a variazioni dimensionali a
causa di due processi opposti:
per sineresi (trasudazione e perdita di acqua) in ambiente secco;
per imbibizione, in ambiente umido .
Gli idrocolloidi reversibili si trovano in commercio sottoforma di tubi di plastica deformabili, per il loro
uso il materiale deve essere preventivamente riscaldato in apposite vaschette condizionatrici dopo di ché
viene messo in porta impronte metallici non forati, internamente muniti di camera di raffreddamento
nella quale si fa fluire acqua fredda. Il condizionamento del materiale richiede l'uso di 3 vaschette
termostatiche dette bagno-maria contenete acqua mantenuta a tre temperature diverse da appositi
termostati:
nella prima vaschetta (bagno di liquefazione) la temperatura è di circa 100°C e l'idrocolloide passa
dallo stato di gel a quello di sol in un tempo medio di 8-12 min;
nella seconda vaschetta (bagno di conservazione) la temperatura è di 65-68°C e mantiene
l'idrocolloide allo stato fluido, pronto per l'uso clinico;
nella terza vaschetta (bagno di tempra) la temperatura è di 40-45°C e serve per scaldare per 4-5 min
il cucchiaio porta impronte riempito di idrocolloide prima di portarlo nel cavo orale.
Gli idrocolloidi reversibili sono usati anche dall'odontotecnico per duplicare i modelli in gesso
formandone di nuovi.
I requisiti di un idrocolloide reversibile sono:
assenza di odori e sapori sgradevoli;
assenza di azioni irritanti sui tessuti buccali;
assenza di azioni tossiche sull'organismo;
compatibilità con il gesso;
temperatura di gelificazione non inferiore a 37°C e non superiore a 45°C.
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Pregi: l'agar è un materiale mucostatico, ossia non comprime e non disloca i tessuti molli durante la
rilevazione delle impronte ed è facilmente rimovibile dai sottosquadri grazie alla sua flessibilità.
Difetti: è un materiale che ha scarsa stabilità dimensionale e scarsa resistenza alla lacerazione che lo
rende inadeguato per registrare le aree interprossimali e sottogengivali; un altro inconveniente è dato dal
fatto che il paziente è costretto a sopportare la temperatura di 45 gradi del porta impronte e poi subito
dopo quello di raffreddamento a 13 gradi circa, ciò rende complicato l'uso di questo materiale in
presenza di monconi preparati su denti vitali.
Gli idrocolloidi reversibili sono poco usati in quanto risultano fastidiosi per il paziente ma anche
laboriosi per l'odontoiatra e perchè hanno una scarsa stabilità dimensionale, tra quelli in commercio
possiamo ricordare:Acculoid e CartiLoids.
Gli idrocolloidi irreversibili, o alginati hanno come componete principale l'alginato di sodio o di
potassio, formato da tanti sali dell'acido mannuronico, con fosfato trisodico e solfato di calcio ed un
indicatore colorato che segnala il raggiungimento del tempo di presa.
In commercio si ritrovano sottoforma di polveri da mescolare con acqua nei modi e nelle proporzioni
suggerite dal fabbricante che generalmente sono in rapporto 1:2,5in volume.
Le polveri in genere sono conservate in barattoli metallici o buste di plastica o contenitori a chiusura
ermetica contenete materiale pre-dosato per una sola impronta e vanno conservate in luoghi asciutti.
La miscelazione viene effettuate in scodelle di plastica speciale con l'uso di una spatola (scodella e
spatola non devono avere residui precedenti in quanto può conferire una fluidità inadeguata); è
estremamente importante rispettare il tempo di miscelazione suggerito dal fabbricante che generalmente
varia da 45 a 60 secondi e non far formare bolle di aria.
Per ottenere l'impasto: prima si versa nella scodella la polvere, poi si aggiunge l'acqua che deve avere
una temperatura di circa 21°C, si mescola movendo la spatola in modo veloce evitando di inglobare aria,
riempire il cucchiaio e porre nel cavo orale, rimuoverlo dopo 2-3 min dalla presa.
La colatura del modello dovrebbe essere effettuata immediatamente (dopo la disinfezione) altrimenti
questa va conservata in appositi umidificatori al 100% di umidità. Con l'aggiunta di acqua, l'alginato (di
sodio o di potassio) forma una dispersione colloidale (sol) dall'aspetto viscoso.
A contatto con l'acqua l'alginato di sodio manda in soluzione parte dei propri ioni che interagendo con
gli ioni calcio formano un alginato di calcio, questo precipita e permette agli 16
altri ioni dell'alginato di sodio di andare il soluzione così che si verifica l'indurimento del materiale da
impronta.
Per ritardare la presa dell'idrocolloide il fabbricante aggiunge alle polveri di alginato il fosfato trisodico,
dalla reazione degli ioni fosfato con gli ioni calcio si forma il fosfato di calcio sottraendo gli ioni calcio
all'azione degli ioni alginato.
Gli ioni calcio reagiscono con l'alginato di sodio o potassio per formare alginato di sodio in modo
irreversibile; in questo modo l'odontoiatra ha il tempo di porre il materiale sul porta impronte e
posizionarlo nella cavità orale.
E' quindi molto importante il corretto dosaggio di fosfato di sodio per ottenere un tempo di gelificazione
ottimale. In assenza di fosfato di sodio non ci sarebbe il tempo necessario per preparare e prendere le
impronte.
Quando si versano gli alginati dalla busta al contenitore, è necessario indossare la mascherina per
evitare l’inalazione che risulta assolutamente dannosa.
Il porta impronte usato per questo materiale deve essere forato per permette al materiale di penetrare nei
fori e stabilire un'unione meccanica con il porta impronte.
E' possibile distinguere gli alginati in:
a rapido indurimento (60-70 secondi a partire dall'inizio della miscelazione);
a indurimento normale (da 2 a 4 min dall'inizio della miscelazione).
Gli alginati devono mostrare:
assenza di odori e sapori sgradevoli;
assenza di azioni irritanti per le mucose;
assenza di azioni tossiche;
compatibilità con il gesso;
tempo di indurimento compreso tra 60 e 120 sec per quelli ad indurimento rapido e 2-4 min x quelli
a indurimento normale;
deformazione dopo la presa dell'impronta inferiore al 3%.
Pregi: hanno una elevata flessibilità, elasticità, bagnabilità e resistenza alla lacerazione ed una discreta
stabilità dimensionale, vengono usati per la preparazione di modelli diagnostici, modelli ortodontici,
modelli delle arcate antagoniste edentule o parzialmente edentule, preparazione di porta impronte
individuali.
Difetti: non vengono usati per la preparazione di ponti o corone e in generale in protesi fissa a causa
della scarsa stabilità dimensionale; gli alginati, come gli agar, sono viscoelastici 17
pertanto qualsiasi movimento durante la presa potrebbe provocare distorsioni dell'impronta, inoltre
devono essere colati subito in quanto subiscono sineresi ed imbibizione come gli agar.
Tra gli idrocolloidi irreversibili si ricordano: Kromopan Lascod, Xantlgen Kulzer, Hydrogum.
Gli elastomeri sintetici indicano polimeri ad elevato peso molecolare con caratteristiche di elasticità
simili a quelle del caucciù. Possiamo distinguere 4 tipi di elastomeri:
polisolfuri
siliconi che polimerizzano per condensazione
“ “ “ per addizione
polieteri
Sul mercato sono disponibili come sistemi a due componenti in barattoli, tubi o cartucce accoppiate a
doppietta, con fondo mobile che per azione di appositi dispenser che ne spingono il fondo come se fosse
lo stantuffo di una siringa, estrudono il materiale in puntali miscelatori monouso; dopo la miscelazione
avviene una reazione chimica di polimerizzazione (che può essere per addizione o condensazione) che li
porta all'indurimento.
Gli elastomeri si sono affermati in commercio a causa della loro buona stabilità dimensionale e buona
resistenza alla lacerazione che invece non hanno gli idrocolloidi. Le proprietà degli elastomeri sono:
elevata elasticità
buona stabilità dimensionale
buona resistenza alla lacerazione
buona fluidità prima della polimerizzazione
Gli elastomeri vengono utilizzati in tutte le procedure di ricostruzioni protesiche totali e parziali: ponti,
corone, intarsi, impronte funzionali e per impianti. Sono disponibili in commercio sotto vari gradi di
viscosità e sono in grado di rilevare anche i più fini particolari di un modello. Le impronte possono
essere rilevate con vari metodi, i due più usati sono:
• il metodo della doppia miscela mediante l'uso di due paste a diversa viscosità. Il materiale meno
viscoso (più preciso) viene inserito in una apposita siringa e iniettato attorno ai denti o monconi, mentre
contemporaneamente si miscela e si posiziona sul porta impronte il materiale ad alta viscosità, in questo
modo ne risulta una impronta in cui i due materiali sono uniti e copolimerizzati.
18
• il metodo della doppia impronta che prevede il rilevamento dell'impronta in tempi successivi
mediante l'uso di due paste (uno ad alta ed uno a bassa viscosità); si rileva la prima impronta con il
materiale più viscoso, dall'impronta indurita si rimuove la parte superficiale in prossimità dei denti
mediante un bisturi dopo di che con una siringa contenete la seconda pasta (meno viscosa) si riempiono
le parti rimosse e attorno ai denti o monconi nella bocca, poi si porta in bocca fino alla presa.
I polisolfuri sono polimeri e si trovano in commercio sotto forma di 2 paste:
• una pasta base
• una pasta catalizzatrice
La pasta base è mercaptano, che è una sostanza costituita da alcoli e zolfo; il catalizzatore è costituito da
perossido di idrogeno, zolfo e olio di ricino. La reazione di presa avviene per miscelazione della base
col catalizzatore nel rapporto suggerito dal fabbricante che normalmente stabiliscono un rapporto di
miscelazione sia lineare che volumetrico di 1:1 ciò vuol dire che ad eguali lunghezze corrispondono
uguali volumi di pasta base e catalizzatore. I polisolfuri hanno una elevatissima resistenza alla
lacerazione ma possono deformarsi a causa della loro visco-elasticità pertanto la rimozione
dell'impronta è da effettuarsi con una manovra unica e decisa; i polisolfuri si distinguono in light-body,
regular body e heavy-body.
Vengono utilizzati per la protesi parziale, totale e scheletrati.
In commercio troviamo: Permlastic Kerr,
I siliconi per condensazione sono composti derivanti dalla reazione di un prepolimero con silicato di
tetraetile. I materiali in commercio sono costituiti da due paste, contenute in tubetti deformabili, o da
pasta e liquido e come nel precedente anche qui la formulazione è light, regular e heavy a cui si
aggiunge una formulazione detta putty caratterizzata da una viscosità particolarmente alta.
La reazione di presa per condensazione avviene miscelando i due componenti. I rapporti di miscelazione
lineare e volumetrica non sono uguali: ad esempio, il foro di uscita del tubo della pasta base ha un
diametro maggiore del foro di uscita del tubo della pasta catalizzatrice per cui il volume di due uguali
lunghezze di pasta è maggiore per la pasta base. Quando si miscelano pasta base e catalizzatore di un
silicone per condensazione avviene una reazione che porta all’indurimento della pasta base con
eliminazione delle sostanze volatili (alcool 19
etilico ed alcool metilico) senza alcuna trasformazione chimica della pasta base. L’eliminazione di
queste sostanze volatili è causa di una instabilità dimensionale della massa per impronta, nel senso che il
materiale va incontro ad una contrazione lineare (si ritira, si restringe). Per questo motivo è necessario
colare il modello nel più breve tempo possibile ed uno dei compiti dell’assistente è quello di
preoccuparsi di far consegnare l’impronta al laboratorio odontotecnico in tempo utile. I siliconi per
condensazione vengono usati per rilevare impronte di protesi fisse e sono più usati dei polisolfuri in
quanto essendo materiali elastici recuperano quasi completamente la forma iniziale dopo lo stress da
stiramento o compressione anche se si lacerano più facilmente dei polisolfuri; in commercio ritroviamo:
Zetaplus, Optosil Confort Xantopren
I siliconi per addizione sono simili per composizione al precedente ma si ottengono a partire da 2
prepolimeri (e non uno come il precedente), la formulazione in commercio è sotto forma di 2 paste, in
barattoli o cartucce accoppiate (Elite) mescolate con il dispenser che spinge sul fondo come uno
stantuffo e miscelate in un unico puntale (ad elica per permettere un'ottima miscelazione); il rapporto di
miscelazione lineare è di 1:1; il processo di unione della pasta base con il catalizzatore conduce alla
formazione di un prodotto completamente nuovo senza eliminazione di nessun sottoprodotto. Questa
reazione risulta equilibrata, il che si traduce in una grande stabilità dimensionale del materiale
polimerizzato e quindi la colata dell’impronta può essere differita. Si trovano in formulazione: light,
regular, heavy, putty sono utilizzati per la realizzazione di ponti, corone, e altre protesi parziali.
N.B. i siliconi per condensazione non possono essere usati in combinazione con i siliconi per addizione
e viceversa, però i siliconi per condensazione di marche diverse possono essere usati in combinazione
tra loro e cosi dicasi per i siliconi per addizione.
I polieteri da impronta sono costituiti da prepolimeri di natura polieterea e sono forniti in confezioni
contenenti pasta base e pasta catalizzatrice, la reazione di presa inizia quando le due paste vengono
mescolate e inizia la polimerizzazione; hanno una viscosità alta, media e bassa, si usano per impronte di
protesi fissa, mobile e per impronte per la protesizzazione su impianti. Hanno una stabilità
dimensionale, resistenza alla lacerazione e esattezza delle riproduzioni; a volte possono dare luogo a
fenomeni di allergia. I rapporti di miscelazione lineare e volumetrico non sono uguali: il foro di uscita
del tubo del catalizzatore è di 1/8 di quello della pasta base per cui a parità di misura lineare il volume
del catalizzatore è pari ad 20
1/8 di quello della pasta base. Nella miscelazione manuale è molto facile incorporare bolle d’aria per cui
la miscelazione deve essere particolarmente accurata e energica. I poliesteri sono materiali modicamenti
idrofili, pertanto non vanno conservati in ambiente umido in attesa della colata del modello, che può
essere anche differita. In commercio troviamo: Impregum Penta, Permadyne.
COME TRATTARE LE IMPRONTE IN ALGINATO PER LA PREPARAZIONE DI UN
OTTIMALE MODELLO IN GESSO L’impronta in arginato, quando viene rimossa dalla bocca, porta in superficie tracce più o meno
abbondanti dei fluidi presenti nella cavità orale (saliva, fluido clevicolare, muco eventuale gemizio
ematico) e residui dell’acido alginico che non hanno partecipato alla reazione di gelificazione
dell’alginato.
I fluidi provenienti dalla cavità orale ed in modo particolare il muco, modificano l’aspetto superficiale
dell’impronta nel senso che ne alterano i dettagli più fini; di conseguenza la superficie del modello in
gesso non riprodurrà esattamente gli aspetti più fini delle strutture delle quali si è rilevata l’impronta
anche perché il muco tende a rammollire lo strato superficiale del gesso. Per asportare le tracce
indesiderate dei fluidi orali presenti sulla superficie dell’impronta occorre lavare subito accuratamente
l’impronta con acqua fredda. I residui dell’acido alginico, che si trovano sulla superficie dell’impronta
reagiscono con il solfato di calcio della primissima quantità di gesso colata nell’impronta stessa, proprio
con quella parte di gesso che va a costituire la superficie del modello, superficie che, per questa ragione
viene a presentarsi modicamente friabile e farinosa. Il procedimento per neutralizzare l’acido alginico
presente sulla superficie dell’impronta è il seguente:
1. cospargere la superficie dell’impronta appena lavata con una piccola quantità di polvere di gesso;
2. con un pennello a pelo lungo e morbido imbevuto di acqua fredda impregnare la polvere di gesso
cosparsa sull’impronta;
3. sempre con lo stesso pennello distribuire delicatamente la miscela acquosa di gesso su tutta la
superficie dell’impronta: in questo modo il solfato di calcio costituente il gesso si combina con i residui
di acido alginico e li neutralizza;
4. con questa operazione non solo si neutralizzano i residui di acido alginico, ma si contribuisce ad
eliminare eventuali piccole tracce dei fluidi orali ancora presenti.
Con un successivo trattamento dell’impronta mediante soluzione acquosa al 7% di solfato di zinco è
possibile rendere più compatta e meno porosa la superficie del gesso. Si procede nel modo qui di seguito
descritto: immergere l’impronta nella soluzione di solfato di 21
zinco al 7%; trascorsi 4-5 minuti togliere l’impronta dalla soluzione e rimuovere gli eccessi con
movimenti di scuotimento seguiti dall’applicazione di un getto d’aria, che non deve però in alcun modo
asciugare la superficie dell’impronta stessa; a questo punto si può procedere alla colata dell’impronta.
MATERIALI DA IMPRONTA NON ELASTICI In odontoiatria accanto ai materiali da impronta elastici ve ne sono anche non elastici o rigidi. I materiali
da impronta rigidi più usati sono:
le paste a base di ossido di zinco o eugenolo
il gesso tenero
le cere e paste termoplastiche
Nei primi 2 materiali l'indurimento avviene attraverso vere e proprie reazioni chimiche mentre nel terzo
avviene un rammollimento termico reversibile, ossia si ammorbidiscono quando vengono scaldate e
ritornano alla durezza iniziale quando si raffreddano. Le impronte ottenute con materiali non elastici
sono rigide, sono adatte per rilevare impronte di bocche edentule e quindi si usano soprattutto nella
ribasatura di protesi totali e per le impronte della sella nelle protesi parziali; le paste termoplastiche
possono essere usate per la protezione dei tessuti in chirurgia parodontale.
Pasta all'ossido di zinco ed eugenolo, hanno una composizione simile a quella dei cementi all'ossido di
zinco, sono sotto forma di due tubetti, una contiene eugenolo e resina e l'altra ossido di zinco;
all'eugenolo si aggiungono piccole quantità di cloruro di calcio che agisce come acceleratore dei tempi
di indurimento.
Sono usate soprattutto per la correzione di protesi, si tratta di un materiale che dopo la miscelazione
(tempo iniziale di presa) presenta un lento aumento di viscosità, poi induriscono rapidamente e non
possono essere più manipolate (tempo di presa finale).
Gesso tenero per impronte dirette, è simile al gesso usato per intonaci o stucchi, il componente
principale è il solfato di calcio, il gesso si presenta sotto forma di cristalli porosi che quando vengono
miscelati con acqua danno luogo ad una reazione chimica inversa detta di idratazione con formazione di
una massa.
La reazione di idratazione è esotermica e può risultare fastidiosa per il paziente che non sopporterebbe il
calore emesso se il gesso non venisse diluito con additivi compatibili; il gesso 22
è addizionato di miscele contenenti acceleratori e ritardanti di presa che stabilizzano il tempo di presa
intorno ai 3 min. utilizzando dei porta impronte individuali.
Paste termoplastiche da impronta, le formulazioni sono un miscuglio di cere, resine
termoplastiche,riempitivi e coloranti vari; l'ingrediente fondamentale è ancora ad oggi la cera d'api, gli
altri sono la ceralacca, l'acido stearico, la guttaperca, sostanze capaci di incrementare la plasticità e
lavorabilità delle paste.
Queste paste diventano fluide e sono idonee per le impronte quando hanno una temperatura di 40°C, al
di sotto di questa temperatura il materiale solidifica (si può accelerare l'indurimento con un getto
d'acqua fredda), sono disponibili in fogli o bastoncini e sono ammorbidite per immersione in acqua
calda o esposizione a fiamma, possono essere manipolate con le dita e stratificate 2 o 3 volte.
Sono paste che non sono in grado di registrare dettagli fini delle superfici ed il loro uso è limitato alla
realizzazione di protesi totali rimovibili; a volte si prende una prima impronta con pasta termoplastica e
su questa viene applicata la pasta all'ossido di zinco-eugenolo per avere una seconda impronta più
precisa.
Le cere da impronta, vengono usate da sole come materiali rigidi da impronta, contengono: cera d'api,
paraffina. Le cere possono essere usate per:
per registrare impronte correttive, un sottile strato di cera viene messo ad una base con valli
occlusali e viene lasciato in bocca per un periodo di tempo definito, in questo caso la cera scorre e si
adatta ai tessuti orali sotto l'influenza dell'occlusione funzionale;
per la registrazione occlusale, permettono di definire le relazioni interdentali tra le arcate
antagoniste così da poter posizionare i modelli in gesso negli articolatori sotto la loro guida;
per impronte dirette, per riprodurre con cera intarsi occlusali e cervicali senza l'uso di modelli in
gesso;
per la bordatura di protesi totali o parziali rimovibili.
GESSI PER USO ODONTOIATRICO
Il gesso in odontoiatria viene usato per:
il rilevamento di impronte;
il montaggio dei modelli in articolatore;
23
la costruzione di modelli;
la costruzione di monconi;
la costruzione di mascheri.ne
Il gesso per uso odontoiatrico si ottiene per disidratazione(si toglie acqua) delle pietre più bianche del
gesso naturale, si possono distinguere 3 tipi di gesso:
gesso tenero o di Parigi;
gesso duro;
gesso extraduro.
Il gesso tenero si ottiene per calcinazione del solfato di calcio diidrato in forni aperti ad una temperatura
di 120°C e viene usata per le impronte dirette e per il montaggio in articolatore.
Il gesso duro si ottiene per calcinazione del diidrato alla temperatura di 130°C e viene usato sia in
odontoiatria che in ortopedia.
Il gesso extraduro si ottiene facendo bollire una dispersione di gesso in una soluzione di colruro di sodio
ottenendo così cristalli più compatti.
Reazione di indurimento dei gessi e loro conservazione Il gesso mescolato con acqua a temperatura ambiente, si trasforma in solfato di calcio diidrato attraverso
una reazione che rappresenta la” presa del gesso”.
E' molto importante la quantità di acqua, infatti maggiore è l'acqua utilizzata per l'impasto, minore è la
durezza del gesso, il processo di indurimento inizia non appena il solfato di calcio vene a contatto con
l'acqua; il processo di presa consiste in una continua dissoluzione del solfato di calcio in acqua cui segue
la cristallizzazione del solfato di calcio diidrato.
Classificazione dei gessi per uso odontoiatrico
I gessi ad uso odontoiatrico sono di cinque tipi:
gesso tenero per impronte
gesso duro per impronte
gesso duro
gesso extraduro
gesso extraduro ad alta espansione
Il gesso tenero serve per rilevare impronte dirette nel cavo orale.24
Il gesso duro per la costruzione di modelli da studio, per montaggio in articolatore.
Il gesso duro per produrre modelli usati per la costruzione di protesi totali o parziali.
Il gesso extraduro per costruire modelli di monconi su cui si costruiscono le protesi fisse.
I gessi extraduri si usano per ottenere modelli di monconi leggermente più grandi dell'originale
Manipolazione del gesso e caratteristiche del prodotto dopo l'indurimento
L'operatore deve eseguire le seguenti operazioni:
− calcolare l'esatta quantità di acqua necessaria per l'impasto seguendo le istruzioni del fabbricante
− misurare e versare l'acqua in apposita scodella di gomma di forma circolare
− pesare il gesso necessario e versarlo nella scodella
− miscelare energicamente la massa con spatola rigida di acciaio fino ad ottenere una crema densa ed
omogenea cercando di non far formare bolle di aria (possono essere eliminate facendo vibrare la miscela
su un banco vibrante)
Parametri importanti per definire le proprietà di un gesso:
il tempo di lavorazione, inteso come l'intervallo di tempo durante il quale il miscuglio può essere
manipolato.
il tempo iniziale di presa, inteso come il tempo richiesto affinché il materiale acquisti un grado di
consistenza, il materiale sarà semiduro ed avrà perso la lucentezza.
il tempo finale di presa, inteso come il tempo richiesto affinché il materiale possa essere
completamente indurito e il modello di gesso può essere estratto dall'impronta.
Tra le variabili che possono ritardare la presa va ricordato:
il tempo di miscelazione
il rapporto acqua-polvere
LEGHE AUREE PER USO ODONTOIATRICO
L'oro è un metallo nobile che possiede un'elevata resistenza all'ossidazione, alla corrosione, ha un'alta
stabilità chimica e ottima biocompatibilità.25
E' usato fin dall'antichità anche in odontoiatria conservativa per il restauro di cavità dentarie, in
odontoiatria protesica per la fabbricazione di protesi fisse e rimovibili.
Tuttavia sciogliendo nell'oro fuso piccole quantità di altri metalli nobili quali argento, palladio, platino,
rame, dopo il raffreddamento si ottengono soluzioni solide dette “leghe auree” caratterizzate da una
forte resistenza e durezza maggiori di quelle dell'oro puro.
Queste leghe sono utilizzate per la costruzione di manufatti protesici con la tecnica della fusione a cera
persa (intarsi, corone, ponti) dette anche leghe da colata prevedendo una fusione dei vari componenti ed
il loro raffreddamento.
Alle leghe da colata appartengono anche le leghe auree per oro-ceramica e per oro-resina utilizzate per
la fusione di strutture metalliche su cui si mette un rivestimento estetico in resina o ceramica che
nasconde il metallo e simula la struttura dentale
Leghe auree di oro-resina (con ricopertura estetica di resina)
In queste protesi il metallo è rivestito da resina, tranne la parte occlusale che rimane di metallo in quanto
la resina non sopporterebbe il carico masticatorio; la resina viene fatta aderire tramite dei collanti a
temperatura ambiente; vengono classificate in:
leghe ad alto contenuto di oro (>del 65% di Au puro), sono adatti a lavori molto estesi;
leghe a medio contenuto di oro (> del 25% di Au);
leghe a basso contenuto di oro (< del 25% di Au), sono le meno costose e le meno resistenti alla
corrosione.
Leghe auree di oro-ceramica (con ricopertura estetica di ceramica) Sono le più usate in Italia. Per costruire una protesi di metallo-ceramica è necessario legare e compattare
, con un processo termico detto sintetizzazione, una massa ceramica sulla superficie di un manufatto
metallico, durante questo processo le particelle di ceramica vengono portate ad una certa temperatura, in
questo modo la ceramica aderisce al metallo.
La ceramica si lega chimicamente al metallo sfruttando alcuni ossidi dando origine ad un legame
resistente che non richiede l'esposizione del metallo dando anche un buon livello estetico che lo
differenzia dall'oro-resina.26
LEGHE DI METALLI DI BASE E ACCIAI Accanto alle leghe auree in odontoiatria si usano anche alcune leghe non nobili dette leghe di metalli di
base formate principalmente da tre metalli non nobili: cromo, cobalto, nichel e da piccole quantità di
carbonio, manganese, silicio, ferro ed alluminio; vengono utilizzate per la realizzazione di protesi fisse,
ma principalmente per protesi parziali rimovibili (scheletrati).
Queste leghe anche se sono formate da metalli non nobili hanno una buona resistenza all'ossidazione
grazie al cromo che forma uno strato sottile di ossido sulla,loro superficie proteggendo la superficie
sottostante dall'ossidazione; queste leghe hanno un basso costo, elevata durezza e resistenza alla
compressione, alla deformazione.
Il loro maggior difetto risiede nella difficoltà della loro lavorazione che richiede attrezzature
specializzate sia per la loro fusione (sono necessari forni a temperature super a 950°C) che per la loro
lucidatura che viene effettuata per via elettrolitica e non meccanica, pertanto la loro lavorazione è
affidata solo a laboratori odontotecnici specializzati. Le protesi costruite con leghe di metalli di base non
devono liberare sostanze dannose per il paziente e non devono corrodere dopo esposizione nell'ambiente
orale per almeno 1 anno.
Le leghe di metalli di base si distinguono in:
• leghe cromo cobalto (scheletrati)
• leghe cromo-cobalto-nichel
• leghe cromo-nichel (senza cobalto per corone e ponti)
LE CERAMICHE PER USO ODONTOIATRICO Il termine ceramico indica materiali che costituiscono i manufatti di terracotta e porcellana o meglio
ancora indica l'analisi della loro struttura, mostra che essi sono composti di piccoli cristalli cementati tra
loro con presenza di vuoti e crepe legati da forze di Van der Waals.
I materiali ceramici si differenziano dai metalli perché sono:
meno densi e quindi più leggeri
più duri e più compatti
resistono meglio alle alte temperature
ottimi isolanti termici
riproducono l'aspetto, il colore e la traslucenza dei denti
I difetti dei ceramici sono:27
fragilità e bassa resistenza alla rottura
dopo l'uso i ceramici possono venire meno (ciò avviene soprattutto con l'invecchiamento che fa
perdere loro la resistenza meccanica).
Inizialmente la porcellana era impiegata per la costruzione di intarsi, per le faccette vestibolari, per le
corone a giacca, ecc..., oggi rappresenta il materiale che meglio si presta a riprodurre le principali
caratteristiche chimico-fisiche ed estetiche dei denti ed ha praticamente sostituito l'oro resina.
I manufatti ottenibili in odontoiatria con le porcellane dentali In odontoiatria con la porcellana è possibile realizzare:
denti preformati di porcellana, si tratta di denti da usare nella costruzione di protesi, prodotte in
misure e forme standard, attraverso un aggancio meccanico (e non chimico) tramite dei perni metallici
che vengono inglobati nella resina. Si tratta di denti molto validi dal punto di vista estetico, ma hanno il
difetto di essere rumorosi e più fragili;
protesi di metallo-ceramica, sono fatte di una struttura dentale metallica (metallo nobile, seminobile
o di base) sulla quale viene applicato un rivestimento di materiale ceramico che ricopre tutta la struttura,
o limitato alla sola faccia vestibolare; si ottengono cuocendo uno strato di porcellana sulla struttura
metallica di sostegno (il primo strato è detto opaco ed ha lo scopo di mascherare la struttura metallica);
per aggancio alle piccole irregolarità della porcellana;
per compressione della lega sulla porcellana.
Caratteristiche chimico-fisiche dei manufatti di porcellana
Le porcellane devono presentare:
elevata stabilità chimica e termica
coefficiente di espansione termica molto bassa
conducibilità termica molto bassa
resistenza alla compressione e durezza molto elevata
resistenza a trazione molto bassa
28
Lavorazione delle porcellane dentarie L'odontoiatra prepara il dente da ricoprire riducendolo in maniera tale da prevedere uno spessore
opportuno e rileva le impronte, le quali una volta disinfettate sono inviate all'odontotecnico che procede
allo sviluppo delle impronte e preparazione della struttura metallica.
Nel moncone in gesso pone una vernice spaziatrice che corrisponde allo spessore che sarà occupato dal
cemento per il fissaggio. Preparato il modello maestro e il modello antagonista con l'aiuto di una cera di
masticazione si fissano questi ultimi in articolatore.
L'odontotecnico modellerà in cera la struttura della corona o del ponte che dovrà realizzare. Sulla
struttura in cera verranno applicati i canali di colata e il tutto verrà messo in un cilindro di metallo che
verrà riempito di un materiale refrattario a base gessosa o fosfatica. Il cilindro, una volta indurito il
rivestimento, verrà messo in forno di preriscaldo; per eliminare tramite calore la cera del modellato e
con il procedimento di fusione a cera persa il metallo fuso verrà “gettato” nel cilindro, a raffreddamento
avvenuto si smuffolerà la travata in metallo, tramite sabbiatura verrà eliminato il rivestimento di fusione
e verrà inserita sul modello maestro.
Dopo che la travata è stata inviata al clinico e provata in bocca al paziente ritorna in laboratorio e verrà
preparata per essere rivestita di porcellana dentaria.
Dopo rifinitura e sabbiatura si applica pasta contenente oro e polvere di ceramica, che per riscaldamento
crea un film aureo che assicura il legame tra ossido del metallo e ceramica, poi si procede alla stesura
dell'opaco e alla chiusura marginale della ceramica; si procede alla stratificazione personalizzata delle
masse ceramiche e si passa alla cottura creando le caratteristiche proprie dei denti del paziente.
MATERIALI PER LA COSTRUZIONE DI PROTESI IMPLANTARI L'implantologia è una disciplina medico-chirurgica che i interessa dell'applicazione di protesi dentarie
sorrette da monconi (fungono da radici artificiali) inseriti chirurgicamente all'interno dei mascellari
integrati nell'osso (detti impianti endossei osteointegrati).
Sono costituiti da due strutture distinte: l'impianto che è di sostegno ed è inserito nell'osso e il pilastro
che affiora dalla mucosa orale e che è bloccato nell'impianto per avvitamento e che sorregge la struttura
protesica visibile. La corona è fissata al pilastro per avvitamento o per cementazione.
L'inserimento di un impianto prevede l'esecuzione di un protocollo chirurgico per scoprire la base ossea
e posizionare la struttura di sostegno, per creare nell'osso il sito per gli impianti l'odontoiatra fa uso di
frese chirurgiche sotto abbondante irrigazione con soluzione 29
fisiologica sterile che fanno parte di un kit che comprende tutto il necessario per la procedura chirurgica
(chiavi, avvitatori dinamometrici, profondimetri,ecc...).
Gli impianti sono tutti di titanio commercialmente puro o di una lega di titanio conosciuta come Ti.
Gli impianti oggi disponibili possono essere di vario tipo, tra questi vi sono:
impianti a guarigione sommersa;
impianti a guarigione transommersa.
Quelli a guarigione sommersa, dopo essere stati introdotti, vengono chiusi con viti a testa piatta (viti di
chiusura), e protetti sotto la mucosa i cui lembi vengono suturati. Ad osteo-integrazione avvenuta si
riapre la mucosa con un secondo intervento e si sostituisce la vite di chiusura con una di guarigione;
dopo la maturazione dei tessuti molli attorno a questa vite si può procedere alla protesizzazione.
Gli impianti a guarigione transommersa emergono nel cavo orale già a partire dal primo intervento,
quello dell'inserimento, in quanto sono transmucosi monoblocco.
La procedura chirurgica è la stessa solo che i lembi della mucosa sono accostati al collo dell'impianto;
come nel precedente non c'è il carico immediato anche se in questa seconda procedura sull'impianto
insiste la pressione linguale e gli urti accidentali che si verificano durante la guarigione.
I pilastri odontoprotesici, vengono collocati all'interno dell'impianto che sostiene l'elemento protesico al
posto del moncone, possono essere fissati nell'impianto in maniera diretta o mediante una vite di
fissaggio e possono essere di svariate forme.
I materiali costituenti gli impianti odontoprotesici
I materiali usati per la costruzione di protesi implantologiche riguardano quelli per gli impianti, il
moncone artificiale e quelli per la ricostruzione del dente che fuoriesce dalla gengiva. Si tratta di:
materiali metallici
materiali ceramici
materiali ceramo-metallici
MATERIALI PER LA TERAPIA PARODONTALE
La parodontologia è la branca dell'odontoiatria che si interessa di prevenire e curare la parodontopatia,
ossia la malattia del parodonto che rappresenta l'apparato di sostegno che lega il dente all'osso
alveolare.30
I materiali per la terapia parodontale riguardano quelli che vengono utilizzati dopo un intervento
parodontale non solo per ridurre il dolore post-operatorio ma anche per proteggere le mucose da
possibili insulti di natura chimica, microbiologica e meccanica all'interno del cavo orale (anche se molti
parodontologi oggi sono contrari all'uso di questi cementi).
I cementi per impacchi parodontali sono:
cementi a base di ossido di zinco-eugenolo
cementi a base di ossido di zinco e solfato di calcio
Le caratteristiche di un buon impacco parodontale sono:
facilità di applicazione
capacità di fare presa in un ambiente umido
plasticità
tempo di indurimento breve
consistenza e durezza per garantire la resistenza ai traumi masticatori
Adesivi sintetici e naturali usati in parodontologia Per facilitare la chiusura di ferite e l'emostasi si usano collanti sistetici e colle naturali come la colla di
fibrina (un componente è rappresentato da fibrinogeno e da altre proteine plamatiche e l'altro da
trombina liofilizzata).
Materiali per il bloccaggio dei denti mobili
A causa della malattia parodontale i denti perdono la loro stabilità negli alveoli e può essere utile
bloccarli tra loro per aumentarne la stabilità. Questo si può realizzare mediante:
otturazioni contigue rinforzate con barre;
bande ortodontiche;
legatura metallica;
protesi parodontali fisse.
PORTAIMPRONTE
Sono degli appositi cucchiai realizzati in metallo o materiale plastico che riproducono la forma delle
arcate dentarie, possono essere fabbricati in materiale plastico o in metallo, lisci o traforati, con bordo di
ritenzione interno o senza bordo. Si distinguono in portaimpronta superiori ed inferiori, per arcate intere
o per emiarcata destra e sinistra o per arcate edentule.31
I portaimpronta standard sono numerati con una numerazione progressiva a seconda della grandezza. La
scelta del portaimpronta è condizionata anche dal materiale utilizzato per l’impronta.
È possibile realizzare anche portaimpronta individuali con materiale acrilico che garantiscono
un’impronta ottimale. Per scegliere un portaimpronta ed evitare misurazioni inutili sul paziente si
utilizza un compasso a punte smusse che misura il diametro traverso maggiore sia per l’arcata superiore
che inferiore.
I portaimpronta lisci si usano per il gesso, i portaimpronta traforati o con ritenzione interna per
idrocolloidi irreversibili e i portaimpronta con circuito di raffreddamento per idrocolloidi reversibili.
L’IMPIEGO DEI DISINFETTANTI NEGLI STUDI ODONTOIATRICI Pur non essendo materiali dentali propri, questi prodotti sono necessari per lo svolgimento dell’attività
odontoiatrica in quanto l’ambiente sia operatorio che logistico deve poter presentare un alto grado di
decontaminazione soprattutto quando si effettuano interventi di chirurgia orale. Tutti i disinfettanti
devono essere utilizzati con appositi dispositivi di protezione soprattutto agli occhi, in quanto istolesivi
e devono essere conservati in ambiente asciutto ma soprattutto a bassa temperatura in quanto
temperature tra 1 18 e i 25 gradi attivano le sostanze disinfettanti, oltre queste temperature perdono di
efficacia.
Il rischio infettivo legato all’attività odontoiatrica rappresenta un problema di sanità pubblica,
soprattutto se si considera l’ampia diffusione di tale prestazione nella popolazione.
Le infezioni, sia di natura batterica che virale, possono essere trasmesse per via diretta, mediante il
contatto del paziente con lo strumentario contaminato, o per via indiretta attraverso l’ambiente inquinato
da aerosol prodotto durante la pratica odontoiatrica.
I contagi non coinvolgono solo il paziente ma anche gli operatori, spesso esposti a rischi occulti come i
portatori cronici di HBV e HCV.
Con il termine disinfezione si intende un processo che elimina tutti i microrganismi patogeni, ma non
necessariamente tutte le forme microbiche, ne consegue che un oggetto disinfettato non deve essere
considerato sterile.
Questo intervento di prevenzione che riduce il rischio delle infezioni crociate viene effettuato
utilizzando dei disinfettanti.
I disinfettanti possono essere distinti in:
- disinfettanti ad alto livello (attivi su tutto lo spettro microbico ad eccezione delle spore presenti in
carica elevata)
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- disinfettanti di medio livello (agiscono su quasi tutti i microrganismi ma non sulle spore)
- disinfettanti di basso livello (agiscono su molte forme vegetative batteriche, su alcuni funghi e virus)
Le caratteristiche di un disinfettante dovrebbero essere:
- efficacia
- rapidità e persistenza di azione nel tempo
- innocuità (non tossico)
- assenza di azione sensibilizzante
- non alterazione del substrato su cui agisce
- facile applicabilità
- stabilità chimica
- capacità di azione anche su materiale organico
- economicità.
Non si porrebbe il problema di scegliere quale disinfettante utilizzare se fosse disponibile un
disinfettante in grado di raccogliere in sé tutte queste caratteristiche.
Si deve quindi cercare di ottenere il massimo risultato con i minori inconvenienti, dando priorità
all’obiettivo di igiene da perseguire, a livello di disinfezione che si deve applicare e al materiale da
trattare.
I disinfettanti più utilizzati nella pratica odontoiatrica sono:
- glutaraldeide (alto livello di disinfezione, attiva anche sulle spore, tossica, irritante, corrosiva per
alcuni strumenti e necessita di smaltimento)
- ipoclorito di sodio (largo spettro di azione, sporicida, ad azione rapida, irritante, corrosivo, inattivato
da sostanze organiche)
- acido peracetico (alto livello di disinfezione, ampio spettro d’azione anche a basse concentrazioni,
corrosivo)
- alcoli (medio livello di disinfezione, facile da utilizzare, potenzia l’attività di altri disinfettanti, evapora
rapidamente, infiammabile, viene inattivato da sostanze organiche)
- Fenoli (medio livello di disinfezione , potenzia l’attività di altri disinfettanti, limitato spettro di azione,
corrosivo, irritante, assorbiti da plastica e guanti)
- Clorexidina (basso livello di disinfezione, rapidamente battericida, facilmente contaminabile, inattiva
in presenza o spore)
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- Sali di ammonio quaternario (basso livello di disinfezione, limitato spettro d’azione, inattivati da
sapone e anionici)
- Perossido d’idrogeno (sporicida, virucida battericida, il livello di disinfezione è subordinato alla
diluizione e al tempo di contattto)
Tutti i disinfettanti devono essere accompagnati da una scheda tecnica e scheda di sicurezza che
riportino proprietà, caratteristiche microbiologiche, applicazioni, modalità di impiego, composizione e
relative avvertenze. Devono essere certificati CEE e meglio ancora testati e certificati da un ente terzo
riconosciuto in Europa.
Disinfezione e detersione delle impronte Le impronte rappresentano elementi ad alto rischio infettivo visto che non è possibile la sterilizzazione
in autoclave. I disinfettanti utilizzati hanno quasi sempre una combinazione chimica a base aldeidica per
assicurare una disinfezione ad alto livello attiva contro batteri gram positivi e gram negativi,
microbatteri, funghi, virus compresi HIV e HBV senza comunque alterare la qualità delle impronte.
Disinfezione delle superfici Il disinfettante per superfici ha combinazioni chimiche meno aggressive ma comunque efficaci su gram
positivi e gram negativi, funghi, adenovirus, herpes, rinovirus; contengono inoltre negli eccipienti
sostante aromatiche che conferiscono una gradevole profumazione.
Disinfezione dello strumentario chirurgico e odontoiatrico
Sono disinfettanti a base di benzalconio cloruro o di ammonio quaternario che garantiscono in vaschetta
ad ultrasuoni oltre ad un’elevate attività battericida e virucida anche una valida detersione dello
strumentario dal materiale organico grazie alla presenza di tensioattivi. Sono presenti in commercio
anche soluzioni pronte all’uso a base di glutaraldeide al 2% che assicurano una sterilizzazione a freddo
nei confronti di batteri, gram positivi, gram negativi, funghi, microbatteri, spore, virus, HIV, HBV,
HCV.
Disinfettante per aspirazioni chirurgiche
Il disinfettante per aspirazioni chirurgiche ha una composizione più complessa: ha componenti
surfattanti, detergenti, oli antischiumogeni oltre ad impedire proliferazione batterica. È spesso a base di
fenolici di sintesi che assicurano una attività antimicrobica 34
elevata e persistente nel rispetto delle superfici e delle membrane degli impianti. Deve inoltre essere
attivo in un ambiente fortemente alcalino e fortemente contaminato.
Disinfettante per ambienti
La disinfezione degli ambienti operatori completa il protocollo di disinfezione migliorando la qualità e il
controllo delle infezioni nosocomiali. Si effettua tramite l’uso di spray con sistema di erogazione
automatico che permette la diffusione del prodotto in tutto l’ambiente riuscendo a penetrare negli
angoli più nascosti e sulle superfici difficili da raggiungere. Sono composti fenoli associati a cloruro di
achil-benzil-oleil-ammonio che consentono la disinfezione rapida di sale d’aspetto, sale chirurgiche…