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Iedizioneebook:gennaio2015©2014LitEdizioniSrl
CastelvecchièunmarchiodiLitEdizioniSedeoperativa:ViaIsonzo,34–00198Romawww.castelvecchieditore.cominfo@castelvecchieditore.com
ISBN:9788868265656Versionedigitalerealizzata
delcapitalismo
I.CROLLOFINANZIARIO,CRISIECONOMICA,«DOUBLEDIP»
1.Ilmotoredellacrescita2.CrisiescienzaeconomicaGrafici
II.EQUILIBRIO/SQUILIBRIO,CICLO,CRISI
1.Ladebolezzadeiconcettidiequilibrioesquilibrio2.Scambio,distribuzione,accumulazioneeilvelodiSmith3.Equilibriesquilibrinelmercatodellaforzalavoro4.ImodelliDsge5.Modellidinamici6.Ilcicloeconomicoeleaspettativerazionali7.Equilibri,squilibri,cambiamentie
trasformazioni
III.L’ASIMMETRIADELLECRISI
1.Lacrisididomanda2.Lacrisidioffertael’asimmetriadellecrisi3.L’agenterappresentativo4.L’interventodelloStato5.Lacrisideldebito(pubblico)Grafico
PARTESECONDA.Lacecitàdeicapitalisti
IV.FONDAMENTIMACROECONOMICIDELLAMICROECONOMIA
1.IlvelodiSmitheloStato2.Ilvaloreaggiunto3.IlmoltiplicatorediLeontief4.Ilmoltiplicatoredegli
investimenti(odellaspesaautonoma)5.Ilmoltiplicatoredeidepositibancari6.Lamonetafiduciariaeilsignoraggio7.Iltempo8.LaleggediEngel9.Ilprogressotecnico10.Laconcorrenza11.L’impresa12.Laregolaaurea13.Lapienaoccupazione14.Leleggi
macroeconomiche15.Ilconflittotraicapitalistiel’economia16.Economiaesocietà
PARTETERZA.Letrasformazionidelcapitalismo
V.LEISTITUZIONIDELCAPITALISMODALLAGRANDEDEPRESSIONE
ALLAGRANDEINFLAZIONE:ILCOMPROMESSOTRASTATOECAPITALISTI
1.Lapoliticamonetaria2.Ilsistemabancario3.Ilmercatofinanziario4.Ilmercatodellaforzalavoro5.Ilbilanciopubblico6.Ilcommerciointernazionale7.LoStato8.L’impresa
9.Il«fordismo»10.IlrapportotraloStatoeicapitalisti11.LaGrandeInflazioneelafinedelcapitalismorooseveltiano12.Ildeclinodellapoliticaperlapienaoccupazione:ilcambiofisso13.Ildeclinodellapoliticaperlapienaoccupazione:ilcambiofluttuante
Grafici
VI.LEISTITUZIONIDELNUOVOCAPITALISMO:LARINASCITADELCAPITALISMOFINANZIARIO
1.Lareazione:riformemonetarie2.Lariformabancaria3.Laderegolamentazionedeimercatifinanziari:unanuovamonetaendogena
4.Iltassodiinteresse5.Iltitoloelacosa6.Guadagnifinanziarieprofitti7.Oligopolioemercatofinanziario8.Latrasformazionedell’incertezzainrischioGrafici
VII.LECONSEGUENZEECONOMICHEDELNUOVOCAPITALISMO
1.Laglobalizzazione2.Monetaendogenaecrescitaeconomica3.L’accumulazione4.Checosasuccedealleleggimacroeconomiche?5.Ilmercatodellaforzalavoro6.Ilmeritoeilcapitaleumano7.L’impresadelnuovocapitalismo8.IlbilanciopubblicoeilruolodelloStato
9.Lefunzionipubbliche10.LaGrandeModerazioneGrafici
VIII.ILDECLINODELNUOVOCAPITALISMO
1.Ilcrollo2.Dopoilcrollo3.Lepoliticheanti-crisielaVolckerRule4.Ildeclinodell’economiadel
«leverage»
PARTEQUARTA.Versouncapitalismomercantilista
IX.IPOSSIBILIESITIDELLACRISI
1.LoStatoalserviziodeicapitalisti:ilbanchierecentrale2.LoStatoalserviziodeicapitalisti:ilprogresso
tecnico3.LoStatoalserviziodeicapitalisti:l’economiadellarendita4.LoStatoalserviziodeicapitalisti:dalmercantilismoalnazionalismoeconomico5.Ilconflittotraicapitalisti6.IcapitalistialserviziodelloStato7.IcapitalistieloStatoautoritario
X.RIFLESSIONINONCONCLUSIVE
1.LoStato2.LacontraddizionedelloStatominimo3.Ilmercatofinanziarioel’accumulazione4.IlconflittotracapitalistieilcompromessoconloStato
Note
PREFAZIONE
Non ci sarebbe bisogno diun nuovo lavoro sulla crisi,che anche in Italia hasuscitato molte analisi eriflessioni critiche, se nonfosse evidente che né il
pensiero economicodominantenéigovernihannoabbandonato i princìpi, leteorieeleazionicheavevanocaratterizzato, per quasi untrentennio, il periodoprecedente la crisi. Sequalche cambiamento nellepolitiche è stato introdotto,esso è più figlio delpragmatismo che di unpensiero compiuto. Non è laprima volta che la storiaeconomica mostra analoghe
assenze di memoria, ma nonmi sembra che di ciò si siadataunaspiegazione.Keynesriteneva folle il ritorno altallone aureo (l’emissione dimoneta limitata dalle riserveauree) dopo la crisisuccessiva al primodopoguerra,manemmeno luiha spiegato perché quell’ideasenza sensoavevacontinuatoa ispirare le politicheeconomiche per molti anni.Anche oggi, superata la
caduta iniziata nel 2007, manon sconfitta definitivamentela crisi, i tanti che ne hannoscritto non hanno spiegatoperché sia così difficileabbandonare le idee delpassato,purnell’evidenzadellorofallimento.In questo saggio mi
avventurosuunterrenocheèpoco familiare per chi trattadi economia e offro troppopochespiegazioniperchinonha avuto una formazione in
proposito, ma non uso unlinguaggio formalizzato espero di non aver commessoerrori né omesso troppipassaggi logici. Il problemadella comunicazione, però,nasce soprattutto perchépropongo di spiegare laresistenzadiunpuntodivistaormai superato nonattribuendolaallapigriziadelpensiero accademico, ma auna forma particolare dieconomia, consolidatasi in
decenni, che riguarda irapporti tra il capitalismo(meglio, i capitalisti) e loStato.Ilcapitalismo,infatti,èun modo di essere dellesocietà che non si distruggenelle crisi,maevidentementesi trasforma e, una voltatrasformato, dà luogo a unanuovaculturacapitalisticaeanuovi rapporti tra icapitalistie lo Stato e tra gli stessicapitalisti: interpreti,capitalisti e governi
ritengono, però, che ilvecchio capitalismo siapermanente,echelecrisinonsianoaltrocheuntemporaneodisallineamento tra glielementichelocompongono.Non sto dando una
notazione di classe aicapitalisti che, in questepagine,nonsonodefiniti conprecisione: sono sia iproprietaridelcapitale(enonsemplicemente dellaricchezza) sia gli
imprenditori, e certamente leloro imprese, e ciò sia nelleattività di produzione di benie servizi sia nelle attivitàbancarieefinanziarie;persinole famiglie possonocomportarsi da capitalisti.Uno dei temi principali diquesto saggio, infatti, nonriguarda la classe, ma la«cecità»deicapitalisti,valeadire l’impossibilità,connaturataalla loroessenza,che essi si rendano
consapevolideglieffettidelleloro azioni sull’economia nelsuo complesso. Qualcunopotrebbe osservare che èproprioquestacecitàchecrealeclassi.Per comprendere la
trasformazione delcapitalismo,comeilmiopehabisogno degli occhiali, così icapitalisti hanno bisognodello Stato. Esistono, infatti,leggi che operano a livellodell’economia nel suo
complesso, e solo lo Statopuò rendersi conto della loropresenza e dei loro effetti –ma non è detto che ciòavvenga, perché anche loStato può condividere lamiopia dei suoi stessicapitalisti.Non posso negare che,
nello scrivere, oltre allostudio,hapesato l’esperienzadirettadellungooscuramentoche, dopo le politicheThatcher-Reagan, ha colto
chiunque si sia occupatodell’economia nel suocomplesso. Eravamo pochi edispersi, in quel periodo,anche perché i maestri dellanostra generazione – JohnMaynard Keynes, FedericoCaffè, Joan Robinson, PieroSraffa, Nicholas Kaldor,Paolo Sylos Labini – eranostati sconfitti e molti loroallievi, o per opportunismooper realismo o per timidezzaintellettuale, avevano
abbandonato il campo dellamacroeconomia. Quella cheuna volta era chiamata lascuola «anglo-italiana» ècontinuata nelle persone diLuigi Pasinetti, PierangeloGaregnani,AugustoGraziani,AlessandroRoncaglia,ma fuignorata,quandononrimossacon fastidio, dalle teoriedominanti(Friedman,Lucas),e le politiche economichel’hanno dimenticata. Dopol’ultima crisi, sono sorti
abbozzi di teorie critiche enumerosi eclettismieconometrici, offerti dabanche centrali, governi,economisti e scienziati dellapolitica,masiètrattatoquasisempre di tentativi diricondurre una realtàrecalcitrantedell’economiaaisuoi tradizionali modelli diequilibrio, anche corretti dasquilibriintrodottiadhoc.Metto a repentaglio
l’attenzione del lettore,
affaticandolo, perché iniziocon un’analisi critica, moltosemplificata, dei modelli diequilibrio e dei fondamentidelle politiche economicheche ne derivano: è quasi unespediente, che ritengonecessario per spiegare la/lecrisi. Con tutti i rischi diproposizioni falsificabili,guardo allo squilibrio comeall’altrafacciadell’equilibrio:i due termini si reggonovicendevolmente, perché non
sarebbe possibile alcunanozione di equilibrio, se nonci fosse la possibilità dellosquilibrio. Ciò che vienetrattato come squilibrio è inrealtà il continuocambiamento nell’economia,dovuto all’incessantedinamica sia nell’offerta sianella domanda, e mi èsembrato più utile,approfittando dello squarciodi realtà offerto dalla crisirecente, trasportare lo studio
di queste dinamiche dallivello dell’astrazioneeconomica a quello (purastratto)delcapitalismo.Dopoaverdiscussolecrisi
didomandaequelledioffertache, pur provocate dacomportamenti aggregabilidei capitalisti,mostranobenel’inconsapevolezza deisoggetti economici, procedoconl’illustrazionediuncertonumero di leggi permanentiche riguardano l’economia
nel suo complesso e che nonderivano dalla somma deicomportamenti dei singolicapitalisti, delle imprese, deilavoratori, dei consumatori.Queste leggi sono unostrumentoutileperanalizzarele politiche adottate dopo laGrandeDepressionedel1929– e le istituzioni create inproposito–econfrontarleconle politiche e le istituzionicreate dopo la Grande
Inflazione1 degli anniSettanta: le modificazioniintervenute sono certamentedovuteaun’infinitàdi cause,ma l’analisi di quelleeconomiche conferma che lostudio deve essere delcapitalismo, più che dimodelli economici diequilibrio/squilibrio.L’analisinon consente di capire latrasformazione delcapitalismo dopo la crisi del
2007-08,anchesehoespostoalcune possibilità, più perscaramanzia che perlungimiranza.Nonsoseho raggiuntoun
qualsiasiobiettivoscientifico.Qualche risultato nuovo, oalmeno non usualenell’analisi economica, l’hoforse trovato, ma lo devo amolti miei critici. Devoringraziare Giovanni Galliche ha letto il testo,individuatomoltedebolezzee
ricercatoesceltoidatichehosfruttato, oltre a farmiincontrare il Fisher del 1933.Stefano Sylos Labini mi haaperto gli occhi sullamonetaendogena. Paolo Pini hacriticato il manoscritto esuggerito molti riferimenti,compresalatesidell’austeritàespansiva. Alessandro Leonmi ha fornito la chiave peraffrontare i possibili esitidopo la crisi più recente.RobertoRomano ha discusso
lacoppiaequilibrio/squilibrioe ha suggerito cambiamentinella divisione in capitoli.ConSergioFerrarihocercatodi collocare meglio il ruolodelle tecnologie. AntonellaPalumbohaindividuatomoltipassaggi insufficienti e hasuggerito una miglioreinterpretazione dellapreferenza per la liquidità inKeynes. Giuseppe Amari miha trasmesso l’ansia intornoalleconseguenzeeconomiche
esocialideiragionamentiquisvolti.GuidoCarandinimihainsegnatoilsignificatostoricodell’analisi economica.Naturalmente, gli errori sonosolo di chi scrive. Una partedelleideecontenuteinquestosaggio è già stata pubblicata,in occasione della Lezione2011, dalla FondazioneRossi-Doria, che ringrazio,insieme agli editori(Feltrinelli e Giappichelli) diduemieiprecedentilavori.
INTRODUZIONE
A parte gli economisticlassici (Smith, Ricardo,Marx), non conosco unmetodo capace di indagaresulla specifica natura di ognitrasformazione del
capitalismo, nonostante gliinnumerevoli modelli checercano, dopo averabbandonato i classici, dispiegare, mimandolo, ilcomportamentodell’economia e dei suoisoggetti. Perciò, sonocostretto a descrivere leistituzioni economiche delcapitalismo nelle due epocheche ho vissuto direttamente:la prima, successiva allepolitiche del New Deal, e la
seconda, che parte dalleriforme conservatrici delPrimo Ministro Thatcher edel Presidente Reagan, tra il1979 e il 1981, e finisce (?)con la crisi del 2007-08. Èimpressionante l’espansioneplanetaria della crescitaeconomica nel capitalismopost-Reagan-Thatcher,quando la netta inferioritàdello Stato rispetto agliinteressi dei capitalistiavrebbe dovuto impedirla, se
la giudicassimo sulla basedelleistituzionirooseveltiane.Non si possono paragonareperiodi storici diversi, ma ilconfronto fornisce indizicorposi sulle trasformazionidel capitalismo, stilizzandolefortemente e osservandone leevoluzioni. Nel farlo, hodovuto anche riferirmi allevicende economiche e aiprincipali cambiamentiistituzionali dei due periodi;mi auguro che questo saggio
non sia giudicato sulmetodostorico, ma sullaverosimiglianza dell’ipotesigenerale: che ognicapitalismogeneradinamicheal proprio interno che lotrasformanoinuncapitalismodiverso dal precedente e chetale diversità si vede nelrapportotracapitalistieStatoe tra diversi capitalisti.Saranno anche evidenti ledifferenze tra il capitalismoamericanoequelloeuropeo.
Dal 1981 è accadutoqualcosadiparadossaleenonprevisto: il tentativo dicontrollare l’inflazionerazionando l’offerta dimonetadapartedellebanchecentrali (moneta esogena) etagliando il finanziamentomonetario dei disavanzipubblici, ha provocato unacrescitagigantescadimonetaprivata (endogena) che hafinanziato lo sviluppo deiPaesi emergenti, la crescita
della cui produzione habloccato l’inflazione chesarebbe stata altrimentiprovocata dall’aumento noncontrollato della stessamoneta privata. Questamoneta è debito che, infatti,può espandersi se cresce ilvalore del capitale che gli fada garanzia («leverage»);maquesto valore cresce finchécrescono gli indici deimercati finanziari, e questiindici, a loro volta, crescono
trascinatidalladomandadellebanchechenehannobisognoper estendere nuovi prestitialla clientela, creando nuovodebito e nuovi debitori.L’economia fondata sul«leverage», ovvero sulrapportotradebitoecapitale,èunaveratrasformazionedelcapitalismo,uneventoche laStoria aveva già registrato,ma che nell’economiacontemporanea avevabisogno di alcune condizioni
perprosperare.Daunlato,losfruttamento della forzalavoro nei Paesi emergenti,così da rendere convenientel’investimento estero, che,però, avrebbe indebolito ilpotere contrattuale deilavoratori nei Paesi ricchi e,di conseguenza, ridotto ladomanda per consumi e ilprincipale mercato di sboccodei Paesi emergenti. D’altrolato,lostesso«leverage»che,facendocrescereivaloridella
ricchezza delle famiglieamericane ed europee (lacasa, e non solo), consentivaloro, nonostante salariindeboliti, di aumentare iconsumi trasformando inreddito la nuova ricchezza,ricostituendo così gli sbocchiperiPaesiemergenti.Questa straordinaria
costruzione nascedall’interventodelloStatochederegolamenta il sistemabancario:latesi,qui,èchela
finanziarizzazionedell’economiamondiale è unrisultato della necessitàdeterminatadallasostituzionedelsistemabancariopubblicocon mercati bancari efinanziari affidati allaconcorrenza (monopolistica,ovviamente). Da allora,quello bancario non è più unvero sistema, ed è fatto dibancheicuidepositi(olecuiriserve, al passivonello statopatrimoniale)determinanogli
impieghi (all’attivo) e hannosempre bisogno di nuovocapitale (ed ecco che siaffaccia l’accumulazione) sedevono aumentare o solocontinuare l’attività diprestito; con le riforme delNew Deal erano invece gliimpieghi (attivo) chedeterminavanoidepositi(eleriserve, al passivo), ecreavano tendenzialmente ilcapitale sufficiente afinanziarli (moltiplicatore dei
depositi).Erano anche necessarie,
perché il nuovo capitalismofunzionasse, laderegolamentazione delmercato della forza lavoro ela completa liberalizzazionedeiflussidicapitale.Né lo Stato né i capitalisti
erano consapevoli deglieffettidellenuovepolitiche,ehanno attribuito la crescitaeconomica mondiale al«laissez faire», al merito
individuale, all’egoismo. Ilprocesso,infatti,avviene,nonè stato né programmato néprevisto: al suo seguito sonocambiate molte struttureeconomiche e la stessageografia dello sviluppo. Sequalche economista avevaprevisto la crisi di questoprocesso, non lo avevaattribuito a cambiamentistrutturali dell’economiamondiale, ma all’ingigantirsidi una misteriosa, quanto
sorprendente, «bollaspeculativa». Fenomenoosservato, ma non realmentecapito. In particolare, glieconomistitrattanoilcapitalecome una grandezzafinanziaria, che sparisce,insieme alla ricchezza,quando costruiscono modellidi equilibrio (perché ilpassivo è sempre ugualeall’attivo, nei bilanci, e laricchezza netta è sempreugualeazero).Perciò,lecrisi
nonsonoricondotteallostatopatrimoniale dell’economianelsuocomplesso(maèbenericordare le notevolieccezionidiMinsky,Godley,Graziani e degli economisticosiddetti «circuitisti»). Ilrisultato è di ragionare interminidicontoeconomicoedi ignorare che il passivo (ildebito) nelle opportunecircostanze genera attivi(credito) e conti economicisostanzialmenteinfiniti,cheil
debitoreècausadelcreditore,che la spesa è causa delrisparmio, che l’investimentoècausadelprofitto.Questoèl’ambito delle crisi: comevedremo, la crisi recente nonè parte di un ciclo che siripete ogni tanto, ma unarottura di continuità nellestrutturedelcapitalismo1,elepolitiche per affrontare lacrisi e la conseguentetrasformazione economica,
sono diverse da quellenecessarie per stabilizzare ilciclo.Mi rendo conto che, nel
parlaredistatopatrimonialeedi ricchezza, inevitabilmentesi introduce il motivodell’accumulazione; iltermine è usato nel testo neltentativo di far vedere ladifferenza tra motivo delprofitto e motivodell’accumulazione nelleimprese, nelle banche e nelle
famiglie: le politicheThatcher-Reagan hannocreato un nuovo tipo disoggetto finanziario, la cuisetediaccumulazioneèvoltaaspeculareperaccumulare,enon guarda al profitto,ma alvalore crescente del propriostato patrimoniale. Questatrasformazione crea conflittotra capitalisti «reali» efinanziari, e può causarecrescita e crolli, ma poichénoneranelle intenzionidelle
nuove politiche economiche,si è aperto un vaso diPandora. L’accumulazioned’impresanonèquiesplorataasufficienza,èunfatto,però,che mentre l’economiapostrooseveltiana è fondatasul profitto, quellapostreaganiana è fondatasull’accumulazione: questa eilrapportoconloStato,sonole maggiori differenze tra idue capitalismi. Il crollo del2007-08apre scenarinuovie
certamente nuovetrasformazioni delcapitalismo(tracapitalisti,tracapitalistieStato).Il ragionamento in queste
pagine non scorre come mipiacerebbe,enonèdettochequantodescrittoperilpassatosiasufficientementeprecisoocompleto: ci si scontraanchecon la saggezzaconvenzionale. Latrasformazione delcapitalismo ha creato, infatti,
una cultura che sembraperpetuarsi dopo la crisi: cheavesse i piedi d’argilla noneracomprensibileperchivisiera formato. Dopo il crollodel 2007-08, le politicheamericane ed europee sidivaricano, ma lentamentesembra che prendano piedequelle europee: tutteconservatrici, contrarie allacrescita attraversol’intervento pubblico, senzariguardo per la
disoccupazione, tutte aprotezionedell’accumulazione, anchealterando il significato dellaglobalizzazione. Gli esitipossibili sono quirappresentati, ma l’eserciziononèunaprevisioneenonècosì robusto come il lettorevorrebbe.
Il crollo del 2007-08 halasciatounasituazioneincertaper l’economia mondiale: siosservano casi di bassacrescita, di stagnazione e permolti Paesi un nuovorallentamentoounadoppia,etalvolta tripla, recessione (ilfamoso«doubledip»,Grafici1a-1c). La crescita dei Paesiemergenti rallenta, mentrequella dei Paesi ricchi, inparticolare dei membridell’Eurozona, è modesta e
non ha raggiunto il livellopre-crisi. Quelle economieche mostrano qualchesussultodicrescita,lodevonoa circostanze particolari. È ilcaso della Germania, le cuiesportazioni sfruttano lasvalutazione implicita delmarco nell’euro, chequalcuno valuta tra il 30 e il40%1 (Grafico2). Il governotedesco attribuisce la suamigliore prestazione, rispetto
agli altri Paesi membridell’Unione Economica eMonetaria,allevirtùdellesuepoliticheperlaflessibilitàdellavoro (messe in atto diecianni prima della crisi), cheerano, per la prima volta daldopoguerra, una svalutazionemascherata, ma ignora lacontemporanea svalutazionedel marco-ombra. Questaillusione ottica spinge ilgoverno tedesco a sollecitarei Paesi dell’area euro ad
applicarelesuestessemisuresul lavoro, ma non tiene innessun conto le conseguenzenegative di un marco-ombraartificialmente debole sullealtre monete-ombra, e premeperché si adottino misure diausterità su spesa ed entratepubbliche, con l’idea cheaccrescanolacompetitività.Ilrisultatoè,ovviamente,chelaripresadeiPaesimediterranei–enonsolo–siarrestadopola crisi e la speculazione
finanziaria si accanisce suiloro debiti pubblici e privati(delle banche). Si tratti diignoranza o gioco di poterenazionalistico, si spiega cosìperché il Consiglio Europeonon abbia considerato utileuna regolazione dellaspeculazione finanziaria e sisia disinteressato dellanecessità di ricostruire unqualche motore di crescitaeuropeo o internazionale:sonoingiocograndiinteressi,
ma occorre un’analisiapprofondita, per noncrogiolarsi nel rancoredell’ingiustizia.Anche l’economia
americana mostra segnali dicrescita, dovuti alla maggiordomanda complessivaprovocata dalla spesapubblica, finanziata conl’emissione di obbligazioniacquistate dalla Fed, e gliindici di borsa hannoriguadagnato i livelli pre-
crollo. Mentre scrivo, ilGiapponehasvalutato,l’euronon perde valore rispetto aldollaro, la crescita dei Paesiemergenti, pur sostenuta, èinferioreaquelladelpassato;ma è difficile sostenere chel’economia mondiale siauscita dalle difficoltà, perchénon è chiaro quale sia ilmotore della crescita piùrecente.IlGrafico3mostraildeclino del surplus correntedellaCina.
1.Ilmotoredellacrescita
Prima della crisi, ilprincipale motore delladomandainternazionaleeralaspeciale relazione tra Usa (ealtri Paesi ricchi) e Cina (ealtriPaesi emergenti), perchéil consumatore americanopoteva vedersi finanziaticrescenti livelli di spesa(immobiliare, mobiliare e diconsumo) a causa dellaliquidità assicurata dai
mercati finanziari, il cuicreditorediultimaistanzaeralaCina,chevendeva ipropriprodottinegliUsa,investendoil surplus corrente dellabilancia dei pagamenti intitoli nordamericani.Analogamente, anchel’impresa dei Paesi ricchi, especialmente quellaamericana, vedeva finanziatala propria spesa corrente e ipropri investimenti, a lorovolta dipendenti dalla
domanda dei consumatori, acausa della liquiditàassicurata dai mercatifinanziari. Esauritosi lostimolo dei consumatori deiPaesi ricchi, indebitati e arischio di perdita di capitale(essenzialmente, la proprietàdell’abitazione) e dibenessere,espentalacrescitadella loro domanda di beni eservizi, non si è formato unaltro motore di crescita2.
Nessuna efficace regolazioneinternazionale dei flussifinanziari ha avuto luogo nelfrattempo, e la liquiditàesistente si spende in fortispeculazioni sulle materieprime e sui debiti sovrani.Poiché, nonostante ciò, ilmercato finanziario, pur congrande volatilità, è tornato ailivelli precedenti la crisi(Grafico 4), si è spinti aconfermare il giudiziopopolare che distingue la
finanza (cattiva e ricca)dall’economia reale (buona epovera). Questo giudizio,come vedremo, ha unfondamento,malaripresadelmercato finanziario non èspontanea, ed è certamentelegata alla liquidità messa adisposizionedamoltebanchecentrali a favore dei settoribancari che, nella crisi,rischiavanoilfallimentoeuncrolloancorapiùdrammaticodelleeconomie,rispettoaciò
che è avvenuto. Tantaliquidità (Grafico 5) avrebbeanche dovuto stimolare lacrescita mondiale, almenoquantohastimolato imercatidei capitali, ma ciò non èavvenuto nell’Eurozona esolo parzialmente negli Usa(e, più che per l’aumento diliquidità offerta al sistema,per il finanziamento deldeficit pubblico) e nevedremo le ragioni.Laprovache qualcosa ha girato a
vuoto in tutto ciò, è rivelatadalla fluttuazione abnormedel prezzo dell’oro (Grafico6) che non ha più alcunafunzione monetaria: unclassico segnale di squilibrioche il sistema economicomondiale lancia a chidovrebberegolarlo.Non possiamo provarlo,
ma poiché la distribuzioneinternazionaledellacrescitaèmolto disuguale (alta neinuovi emergenti, bassa nelle
«tigri asiatiche», negativa inEuropa, lenta negli Usa), seun motore della crescita èstato ricostruito, non sembragenerale e la globalizzazionesièalterata.Noneraquestalageografia della crescita neglianni precedenti il crollo del2007-08, che sono statidefiniti come quelli della«Grande Moderazione»3.Stiamoassistendoaungiocoa somma zero o molto
piccola, con forti dosi dimercantilismo: dove lacrescita di alcuni avviene aidannidellacrescitadeglialtri.
2.Crisiescienzaeconomica
Gli eventi appena ricordatisono oggetto di numerosistudi da parte di singolieconomisti e diorganizzazioni nazionali e
internazionali. Non moltiriconoscono, in ciò che èaccaduto, qualcosa checolpisce profondamente lecapacità analitiche dellascienza economica4. Ilparalleloconlacrisidel1929è però venuto in mente atanti, e pur nelle grandissimedifferenze strutturali tral’economia mondialedell’epoca e quella attuale, il«double dip» 1929-1937
(Grafico 7) ossessiona iresponsabili economici.Anche allora, nonostanteRoosevelt avesse messo inatto una prima politicad’intervento pubblico, laripresa fu timida e, comesappiamo, breve. Allora,come oggi (con la notevolema parziale eccezione degliUsa), gli interpreti nederivaronolaconclusionechel’intervento pubblico non eraefficace ed era invece
necessario ridurre il debitoaccumulatosi dal precedenteintervento pubblico – ed èsoltantodopoil1936,quandoKeynes pubblica la TeoriaGenerale5, che si riconosceuniversalmente la necessitàche lo Stato contribuisca ageneraredomandaeffettivainforme strutturate epermanenti.Useròmolto spesso questo
concetto.Keynesdefinisce la
domanda dell’economia nelsuo complesso (omacroeconomia) comefunzione dell’occupazione, asua volta derivante dalladomandadiforzalavorodelleimprese. Quanto maggiore èl’occupazione tantomaggioresarà la domanda di beni eservizidi impresee famiglie.La domanda effettiva non èaltro che la domanda chederiva dalla forza lavoroeffettivamente occupata. Gli
imprenditori si attendono diricevere un profittodall’ammontare di forzalavoro che decidono diassumere, ma non c’è unaragione generale per la qualegli imprenditori,massimizzando il profitto,riescono a generare la pienaoccupazione e perciò ladomanda effettiva può essere(e forse è sempre)insufficiente e determinare
crisi e squilibri6. Piùsemplicemente,laproduzionedi beni e servizi è funzionedella loro domanda: è questache determina l’offerta. Noiparleremo indifferentementedi domanda effettiva ecomplessiva, anche se nellinguaggio economico si usail termine «aggregata»,intendendo la domandaattribuibile all’economia nelsuocomplesso7.
Lacrisidialloraequelladiieri non possono esserespiegate con il ricorso allescuole di pensiero prevalentiin economia, che hannovolutamente accantonatoproprio il principio delladomandaeffettiva.
1b–Domandainterna2000-2012
Valoriconcatenati:annodiriferimento2005
Variazione%superiodocorrispondente
1c–DomandainternaItrimestre2007-IItrimestre
2013Valoriconcatenati:annodi
riferimento2005Variazione%sutrimestre
corrispondente
«standard»utilizzailmodellodi equilibrio economicogenerale1, le cui ipotesi dibase (tra le altre, liberaconcorrenza, mercaticompletipresenti e futuri–eperciòconoscenzadel futuro:«Perfect foresight» – assenzadello Stato, moneta velo2,razionalità utilitaristica,agenti omogenei erappresentativi, preferenzeomotetiche3) ammettono
squilibrisolofrizionalieciclisolo casuali, sempretemporanei e subito correttiautomaticamente,mamaiunacrisi vera e propria4. Lacrescente divaricazione tra ilmodello e la realtà ha spintomolti economisti a formularenuove ipotesi da innestarenello stesso modello e, inparticolare, elementistrutturalidisquilibrio5;così,s’introducono, tra le tante
variazioni, salari e prezzirigidi, agenti eterogenei,preferenzediversificatetraglioperatori, formemonopolistiche di mercato6.Lamotivazione, tuttavia,nonè quasi mai orientata arendere operativi i modellieconomici, ma a giustificarel’esistenza di una forzaautoregolatrice del liberomercato, una vera fissazionedellascuolaneoclassica7;neè
però risultato un ritornoall’alchimia, dove ciascunomescola ingredienti dei qualinon conosce la natura.Ricordo, a questo proposito,il pensiero di Keynes nelrispondere a Tinbergen, intema di econometria8:«L’economia è una scienzadove si pensa in termini dimodelli insieme all’arte discegliere quelli che sonorilevanti per il mondo
contemporaneo.Èobbligataaciò,perché,adifferenzadellatipica scienza naturale, ilmateriale sulquale si applicaè, per molti aspetti, nonomogeneo nel tempo». Inqueste pagine, la forte criticaai modelli di equilibrio nonimplica che non sianecessario costruire modelliper capire la realtà e, purnellarozzezzadellinguaggio,anchequisicercaovviamentedi ricostruire una
rappresentazione della realtànelsuomutamento.
1.Ladebolezzadeiconcettidiequilibrioesquilibrio
Lo scopo di questitentativi, e di altri chevedremo, è quello diricostruire ogni voltal’equilibriodelsistema,quasispinti dall’introspezione
individuale che definisce ciòche scuote un equilibrio un«male» e ciò che loricostituisce un «bene». Alcontrario, la nozione disquilibrio è riconducibile alsuo apparente antagonista,l’equilibrio. I due termini,infatti, si sostengonovicendevolmente: losquilibrio serve a giustificarela ricerca delle condizioni diequilibrio,ovverodiunostatoottimo o almeno
soddisfacente dell’economia,e serve a ridurre l’irrealtàdell’equilibrio. Non si puònemmenocercaredicostruireuna teoria dello squilibrio daopporre a quella standard,senza implicitamentericonoscere che uno è laconseguenza dell’altro: unateoria dello squilibrio è lastessa cosa di una teoriadell’equilibrio, perché laprima non esisterebbe senzala seconda. Perfino i grandi
critici del sistema diequilibrio economicogenerale,comePieroSraffaeJoan Robinson9, studianol’equilibriodiunsistema:nelprimo caso, però, facendopiazza pulita del concetto diequilibrio automatico eaffidando alle variabilidistributive (salario oprofitto) provenientidall’esterno del modello ilcompito di determinare ogni
voltal’equilibrio;nelsecondocaso, mettendo a confrontounostatodiequilibrioconunaltro, ciascuno caratterizzatodaunaspecificatecnologia,emostrando le incongruenzenel passaggio tra l’uno el’altro10. Robinson ha poicriticato esplicitamente ilconcetto di equilibrio inquanto tale11 e ha messo inevidenza i cambiamentistrutturali delle economie
derivanti da diversedistribuzioni del reddito e dadiverse intensità di capitale:una ricerca di grande rilievo,perché è un passo nelladirezione della dinamicaendogenadiun’economia.È necessario, perciò,
osservare con scetticismoentrambi i termini, rinunciareagli automatismi, mostrareche la distribuzione tra salarieprofitti,nonmenodiquelladella ricchezza, dipende da
meccanismi cheappartengono alla natura delcapitalismo, e accontentarci(pretendere?) di studiare ladinamica strutturaledell’economiao,megliodellasua forma sociale, ilcapitalismo. È evidente chequesta dinamica implicasquilibri ma, come giàanticipato, sono interessantiletrasformazionielecrisidelcapitalismo, non gli squilibrinel senso della letteratura
economica, né, per così dire,lo stato in riposo delcapitalismo in un momentodato.Certo, se si guarda alleserie statistiche di qualsiasifenomeno – pensiamo alleborse – gli andamenti sonosempre oscillanti, ma salvoper le crisi e le rotturestrutturali, riflettono lanaturale rincorsa tra prezzi ecosti, tra speculazioni alrialzoealribasso,traonestàecrimine, tra effetti strutturali
di infiniti cambiamenti,compresiglieventiesogeni–dal clima alle malattie alleguerre.Poiché non si deve
indulgerenénelle«osteriedelfuturo» né in quelle delpassato, lo sforzo saràessenzialmente analitico, purin assenza di quel rigoreformale che potrebberassicurare i cultoridell’equilibrio. Qualcheulteriore riflessione
sull’equilibrio è però utile,anche per evitare i pericoliche si incontrano facilmentenelrespingereletentazionidiuna grande costruzioneintellettualecome l’economiadell’equilibrio.
2.Scambio,distribuzione,accumulazioneeilvelodiSmith
Quando avviene lo
scambio, anche se prezzi equantità si bilanciano nelsenso che non lascianoqualcosainvendutoelemerciportate allo scambio siesauriscono, non c’è alcunaragione che si realizziun’ugualequantitàdibenefici(reddito, soddisfazione,benessere,ricchezza)pertuttii partecipanti.Stoesplorandouna condizione che è spessodimenticata: sui mercati,domanda e offerta
s’incontrano, ma nel farloqualcuno inevitabilmenteperde rispetto agli altri,altrimenti non spiegheremmola sempre disugualedistribuzione di reddito ericchezza; per essere ottima,la continuazione delloscambio dovrebbe produrreogni volta un miglioramentodistributivo, ma è altrettantoprobabile che lo scambio nedetermini un peggioramento.Ricardo sosteneva che
oggetto dello studioeconomicoè ladistribuzione:se si può dire che ciascunpartecipante massimizza lapropria utilità, non ne segueche le utilità realizzate sianouguali né che rispettino ladistribuzione precedente loscambio. Preciso che nelleesegesi neoclassiche sulloscambio, nelle quali entrabene la teoria dei giochi,l’equilibrio si forma, unprezzo è espresso e accettato
dalle parti, ciascunoottimizza, nelle circostanzedate, la propria utilità: i dueottimi, però, sempreincommensurabili, sonouguali solo per caso12. Ineffetti,unmisterocirconda ilsignificato di ciascunequilibrio particolare perl’economia nel suocomplesso, e l’equilibrioraggiunto può scatenarecambiamentialtrove,appunto
nelladistribuzionedelredditoe della ricchezza. LecollaninediColombosono lìperricordarcelo:deve,infatti,esistere un «lato debole» delmercato, dove nello scambiosi manifesta quella violenzache il capitalismo hatrasformato in diritto (e pagoundoverosodebitoaMarx).Nell’esegesi dello scambio
non entra la ricchezza.Eppureèarduosostenerechelo scambio è tra equivalenti,
se la ricchezza deipartecipantièdisuguale:bastapensare alla possibilità delpiù ricco di ottenere creditorispettoalpiùpovero–comeil giocatore di poker chevinceperchéhalerisorseperaumentare la puntata più delsuorivale.Nonc’èbisognodidefinire la ricchezza, se nonper ricordare che il ricco ètalenonperchéilsuoredditoè elevato, ma perchéaccumulabenietitolinelsuo
(effettivo o implicito) statopatrimoniale13.Il concetto di
accumulazione non apparenei modelli di equilibrio osquilibrio, e raramente nellaletteratura economica.Robinson ne ha fatto uncaposaldo della sua ricerca,perché accumulazione ecapitale sono tutt’uno:accumulare significaaumentare la dotazione di
capitale di un’economia, el’investimento non è chel’aumento del capitale, e lostrumento perl’accumulazione. Tutto vero,ma è anche vero chel’accumulazione ha la stessasostanzadellaricchezza,enecondividelecaratteristicheeiparadossi. Ad esempio, laricchezza netta è sempreuguale a zero, in economiachiusa e per il pianetaTerra;ma è sempre perseguita dai
singoli individui, anche se,nell’aggregato, è, appunto,zero. Se crediti e debiti sibilanciano, ciò non significanullaquantoallivelloalqualesibilanciano,edèconcepibileunaleggegeneralechespingagli individui ad accumularericchezza indefinitamente.Infatti, la particolarità delmotivo dell’accumulazione,diverso in questo da quellodel profitto, è che non halimiti – salvo che nella
malinconiadelricco.Ilpuntoè che l’utilità marginaledell’accumulazionenonèmaidecrescente, a differenza diquella del reddito (e perciòdelprofitto).Quandosicercadi massimizzare il profitto,s’incontrano dei limiti a talemassimizzazione,etraquesti,il principale sta nellariduzione della domandaeffettiva, perché quanto piùcresce il profitto ai dannidelsalario, tanto meno crescono
le vendite e tanto più cala ilprofitto. L’accumulazione,invece, ha limiti piùcomplessi.Si accumulacon iprofitti, le rendite, laconcentrazionemonopolistica, laspeculazione su altraaccumulazione; quando simassimizza ciascuna diqueste fonti, anche in questocaso si riduce la domandaeffettiva,maArpagonenonèarbitro del proprio suicidio.
Infatti, ecco il punto, siaccumula soprattutto estrutturalmente, comevedremo spesso, con illeverage, cioè il rapporto tradebito e capitale: un datocapitale consente di prenderea prestito una quantità dicapitalemaggiore (nell’attesache il rendimento futurocompensi la differenza epaghi un interesse), ma ciòche importa è che nelfrattempo ilmaggior capitale
può dare luogo a nuovoprestito: come si vedel’accumulazione ha generatoaccumulazione.Illimitedellaricchezza creata con illeverage, che genera unaparticolare forma di monetaendogena14, è forsenell’inflazione, come perqualsiasi moneta; ma non èsempre così, e la ricchezzapuò generare ricchezza,mentre il profitto non può
generareprofitto.Nell’accumulazione,
naturalmente, e proprioperché la ricchezza generaricchezza, senza chediminuisca la sua utilità, illegame tra questa e laproduzione (la cui utilitàinvece decresce) si allenta,come fra i titoli e le cosesottostanti,eperciòanche trala moltiplicazione dellaricchezza e la crescita delprodotto nazionale, e l’attesa
remunerazione del prestitooriginariosiallontanasemprepiù: la rottura è inevitabile,ma per lunghi periodil’accumulazione può avereeffetti macroeconomicipositivi. Una delle ragioni,che verrà discussaampiamente,stanel fattochel’accumulazione, checome ilprofitto confligge con ilsalarioedeprimeladomandaeffettiva, può tuttaviatrasformarsi in reddito delle
famiglie, ottenebrarel’eventuale peggioramentodistributivo e, con questo,evitareoritardarelariduzionedella domanda effettiva. Ingenerale, l’accumulazione èun comportamentomicroeconomico, comune a(quasi)tuttigliindividui(nonperipoveri,eperl’impresalecose stanno diversamente),mamanca la consapevolezzache l’accumulazione puòdistruggere se stessa e
l’economia, altrimenti nonspiegheremmo le crisifinanziarie.In definitiva, l’equilibrio
nello scambio, così benillustrato con le curved’indifferenzafindaParetoeperfezionato da una lungaschiera di economistineoclassici, è impostato aprescindere dai risultati intermini di distribuzione (delreddito, della soddisfazione,del benessere, della
ricchezza)15:èsufficiente,perogni teoria microeconomica,che lo scambio abbia luogoperché l’economia nel suocomplesso realizzi lamassima utilità possibile16.Ma non è vero che,soddisfatte le parti delloscambio,nonc’èpiùnulladadire; per l’economia nel suocomplesso, non solo ilrisultato dello scambio nonproduce un equilibrio
generale17 se non per caso,mal’assenzadiequilibriononè nella consapevolezza delleparti, altrimenti nonscambierebbero.È il velo d’ignoranza
smithiano: l’individuo,«perseguendo il propriointeresse, spesso perseguequello della società», ma«generalmente… né intendepromuovere l’interessepubblico né sa di quanto lo
stiapromuovendo»,altrimenti–diremmonoi–chiederebbedi esserne retribuito18. Conquesta frase, Smith inaugural’economia politica ponendol’interesse personale allaguida dello scambio, ma èsfuggito a molti che, perSmith, i partecipanti alloscambio non hannocognizione (né s’interessano)degli effetti del loro scambiosugli altri partecipanti, sui
non partecipanti e perciòsulla domanda effettiva esull’economia nel suocomplesso.Del resto, è ovvio: non vi
sarebbe egoismo seprevalesse l’interessepubblico. Così, ciascunopersegue il proprio interesse,egoistico o altruistico, nonpersegue obiettivi economicicollettivi, né si ponemoralisticamente sul
mercato19,eSmithapplica lascienza di Machiavelliall’economia.Se è vero che ciò che
accade a livello collettivo èdiverso da ciò che accade alivello individuale, non nederiva che le sorpresemacroeconomicheimpediscano l’azione deisingoli operatori: questi nonsannonullasulrapportotrailperseguimento del proprio
interesse e il risultatocollettivo, e non ne traggonoalcunaconseguenzaquantoalpropriointeresse.Non ne segue nemmeno
che l’ignoranza dei singolisoggetti dia luogo acomportamenti irrazionali.Ciascuno perseguerazionalmente il propriointeresse e non èall’irrazionalità che vaattribuita la crisi o la ripresadi un’economia. Le scelte
industriali sono semprerazionali,maciònon implicaanaloga razionalità nelleconseguenzemacroeconomiche.Anche il velo d’ignoranza
di Adam Smith è dunqueall’origine della scienzaeconomica, ma è spessodimenticato, benché sia laporta attraverso la quale sientra nella macroeconomia,separata dall’economia deisingoli individui o delle
imprese.
3.Equilibriesquilibrinelmercatodellaforzalavoro
Preferisco usare questaformulazione, anziché quellausuale di «mercato dellavoro», perché non bisognadimenticare che il lavoratoresiseparadallasuaprestazioneper evitare che una merce,come la forza lavoro,
trasformiinmercelapersonadellavoratore.A cosa si debba attribuire
la mancata ottimizzazione suquesto mercato (e, cioè, ladisoccupazione e lasottoccupazione, che neimodellidiequilibriogeneralesono impossibili), ha datoluogo a una varietà d’ipotesidiverse dalla liberaconcorrenza (queste formeirrompono, non spiegate,dalla finestra della realtà
economica). Alcuneelaborazioni fattenelperiodopre-crollo20 hannoconsiderato che il mercatodella forza lavoro èmonopolizzato dal sindacato(un elemento estraneo almodello di equilibrio) e nonpresenta perciò salariottimali; ciò creadisoccupazione e crisi,ma sitratterebbe di uno squilibrioeliminabile eliminando il
sindacato – una di quelleriformedistruttura,tipicheda«economia dell’offerta»,quando si accetta la legge diSay (l’offerta crea sempre lapropria domanda, e cioè ilcontrario del principio delladomanda effettiva, vedi piùavanti).Neseguirebbeperòlanecessità di eliminare anchele imprese le cui forme dimercato sono imperfette omonopolistiche,eicuiprezzinon sono ottimali, ma,
singolare contraddizione,questeformesonopropriociòche caratterizza la correzioneche questi stessi economistiapportanoalmodellopurodiequilibrio generale. In ognicaso, l’interoedificio non stainpiediperchéèfondatosullamicroeconomia, e gli effettidegli squilibri tra singoliagenti si trasferiscono alivello economicocomplessivo conun’aggregazionenonspiegata
– giacché se gli agenti nonsono tutti uguali, anchequandociascunoottimizzassela propria soddisfazione, nonne seguirebbenecessariamente un ottimogenerale.Ho già ricordato altri
economisti, cosiddettineokeynesiani21, cheaccettano le ipotesi dicomportamento economicodelmodellodi equilibrio,ma
introduconociòcheritengonoessereelementikeynesiani,inparticolare la rigidità22 deisalari e dei prezzi verso ilbasso, che non riguarda lecrisi (semmai il contrario),masquilibricomel’inflazionee la stagflazione, la causadelle quali starebbe appuntoinquellerigidità.Questesonopresentinell’operadiKeynes,ma non sono un fondamentodelsuopensiero.PerKeynes,
se i salari fossero veramenteflessibili, i prezzivarierebbero con i salari, eciò farebbe mancare allamoneta la stabilità necessariaallesuefunzioni.Poichéperòla stabilitàdellamoneta èunrimedio all’incertezza, epoiché l’incertezza è semprepresente, la stabilità dellamoneta non può mai essereassoluta e perciò i salaripossono ben essere flessibili.È forse Keynes il primo che
osserva come i sindacaticontrattino in termininominali, mentre i prezzi lifanno le imprese, ma comepoi i sindacati resistano ariduzioni di salari monetari,rivelandosi economistimigliori di quellipseudokeynesiani,perchéèingioco la domanda effettiva.Questi economistidimenticano di quale rigiditàparlasse Keynes: «Ogniriduzione del salario
monetariosaràaccompagnatada un aumentodell’occupazione solo se ladomanda effettiva noncambia»23, ma con salari econsumi che si riducono, ladomanda effettivadiminuisce24 e calano levenditedelleimprese.Keynesha fatto anche notare chenelle crisi, i salari monetarisi riducono econtemporaneamente la
disoccupazioneaumenta,unadimostrazione del fatto cheuna riduzione dei salari nonha effetti positivisull’occupazione.Glieconomistichesifanno
scudo di questa pretesarigidità ritengono che,eliminandola (e dunque larigidità non sarebbe naturale,masoloistituzionale),sitornaall’equilibrio, dove tutti ipartecipanti stanno meglio.C’è, però, una ragione più
sottile.IlcriticopiùstringentedellerigiditàcitateèPigou25,un economista neoclassico,per il quale esisterebbe uneffetto («realbalanceeffect»,d’ora in poi, effetto Pigou)che fa ritornare all’equilibrioun’economia in crisideflativa, attraversol’aumento dei redditi e dellaricchezza in termini realidovuto proprio alla riduzionedeiprezzi–cosìdaeliminare
insieme la disoccupazionekeynesiana e la rigidità deisalari. Già Keynes eKalecki26 avevano spiegatodov’eral’errore:ladeflazioneè l’opposto dell’inflazione;come il debito e gli interessiinterminirealisiriduconosei prezzi salgono, cosìaumentano se i prezzidiminuiscono. Se anche ilreddito reale delle famigliedovessecrescereequestenon
fossero indebitate, poiché leimprese sono invecenormalmente indebitate, lacrescita in termini reali deldebito e degli oneri perinteressi ridurrebbe i profitti,ladomandarivoltaaifornitoridibeni e servizi, ladomandadi forza lavoroe, alla fine, ilreddito delle famiglie,riproducendo le cause dellacrisi. Del resto, nella realtà,né l’effetto Pigou si è maimanifestato né i salari e i
prezzi sono rigidi verso ilbasso – comemostra la crisiattuale.Così, eliminato Pigou, si
può ricominciare con ladenuncia delle rigidità egiocare con le politicheeconomiche avverse alsindacato e allo Stato,entrambi considerati ostacoloalla libera espressione(ottimizzante)delmercato.
4.ImodelliDsge
Una conferma interessantesulle involuzionipseudokeynesiane èrappresentata dai modelliDsge (Dynamic StochasticGeneral Equilibrium)costruiti da singoli studiosi edalle maggiori istituzioniinternazionali (dal FondoMonetario Internazionale,Fmi, alla Banca CentraleEuropea, Bce). Questi
modelli non sono sempliciesercizieconometricimavereguide per le politicheeconomiche,eprospettanounmiglioramento dei precedentigrandi modelli econometricidi previsione di originekeynesiana27 che servivano aimpostare le politicheeconomiche dei governi edelle banche centrali28.Occorreva rispondere allacriticadiLucas29,perilquale
era sbagliato fare previsionisulla base di dati storicimacroeconomici,inevitabilmente giàinfluenzatida sceltepoliticheprecedenti, con il risultato diriscoprirelevecchiepoliticheenoniproblemidarisolvere.Nei modelli Dsge non siutilizzano più serie storichemacroeconomiche, ma siopera su basi microfondate,partendo perciò da equazioniche incorporano,
generalizzandoli, icomportamenti di individui eimpresenellaformadiagentirappresentativi. Questimodelli sono stocastici,perché introducono shockcasuali (come le tecnologie).Una recente rassegna30 faemergere alcune singolaricaratteristiche di questimodelli. Ad esempio: icomportamenti deglioperatori producono
continuamenteeffetticontrariaquellidesideratidalloStato,quando utilizza la spesapubblica in funzione anti-crisi, perché le aspettativedegli imprenditori sonorazionali (nel senso diLucas)31esibasanosull’ideache la spesa pubblica non haeffetti economici o, se li ha,sono dannosi; il mercatofinanziario è assente; leimposteeitrasferimentisono
incifrafissaenondistorsivi;l’aumento dell’occupazionedovuto alla maggiore spesapubblica fa crescere salari ecosto del capitale, e perciòdetermina inflazione, quasichel’economia,cheinipotesiè in crisi e per la quale loStato interviene, siacaratterizzata da pienaoccupazione e pieno utilizzodella capacità produttiva. Ladisoccupazione non èdimenticata, ma è irrilevante
perchésiaccogliel’idea,cosìbendescrittadaBalzac,cheladisoccupazione è semprevolontaria, poiché derivadalla scelta tra lavorare ooziare (il «leisure time» otempolibero–questasceltaèalla base di quasi tutte leteorie neoclassiche sulmercato della forza lavoro ene spiega l’insensibilità difronte alla disoccupazione).Soprattutto, i modelli Dsgesonostatisorpresidallacrisie
dalla ripresa successiva.Noncalcolano, tra l’altro, l’effettodi stabilizzazione automaticadella spesa pubblica. Poichéla crisi èuna sorpresa,nonèstata reintrodotta come talenei modelli, e questiriprendono il loro«tran-tran»normale, cambiando oraquesta ora quell’ipotesiinizialesullabasedeglieffettidella crisi (non delle suecause), così da «migliorare»la risposta dei modelli: un
metodo davvero pocoscientifico.
5.Modellidinamici
Quando i modelli disquilibrio/equilibriopseudokeynesiani si vestonodi panni dinamici, sicontinuano a immaginaresistemi che crescono inequilibrio con occasionalisquilibri, e lacriticaalla loro
debolezza nasce quasiimmediatamentedopo la loroformulazione32.Ilsegnodellaloro inadeguatezza sta neltener conto del passare deltempo, ma nella paradossaleassenza di elementi dinamicio, meglio, nel limitare lapossibile dinamica alcambiamento dei rapporti traalcune variabili del sistema,mantenendo inalterata sia lacomposizione della domanda
sia quella della produzionefinale: come nel caso dellavariazione dei tassi dei salaririspetto ai tassi del profitto,con le usuali conseguenzesugli equilibri finali, dove(nella teoria standard) i duefattori della produzionericevono sempre la giustamercede, e ogni squilibrio sicorregge automaticamente;oppure, come nel caso dellavariazione delle tecniche diproduzione (a maggiore o
minore intensità di capitale),dove si altera l’equilibriopreesistente ma vi si ritorna,perché ilmercatocorregge leeventuali conseguenzenegative sull’occupazione osulladistribuzionedelredditotra salari e profitti. Neimodelli di equilibriodinamico ciò che cresce èsempreunprodottonazionaleuguale a se stesso, per unasocietà compostadi individui(anche se eterogenei) che si
rinnovanosempreugualiasestessi, per gusti (Always thesame lunch,Mr. Friedman?),per preferenze, per capacitàpotenziali e in assenza delmotivodell’accumulazione,enon c’è posto né perpeggioramenti distributivi néper crisi endogene. Si trattasempre di modelli diequilibrio, e una voltamodificate le originaliimpostazioni di Arrow-Debreu, e generato uno
squilibrio, si tornaall’equilibrio precedente; mailsistemaeconomicononpuòrestare uguale a se stessodopo che le nuove ipotesipseudokeynesianeconsentonouno squilibrio, a meno disempre nuove ipotesi cheannullano quellepseudokeynesiane. Unesempio: per spiegarel’inflazione s’introduce larigidità dei salari, poi la sielimina con politiche
restrittive, e si ritornaall’equilibriodellaflessibilità,lasciandosenzaspiegazioneilperché della rigiditàoriginaria – è medicina deisintomi, non delle cause. Ineffetti,leteoriedell’equilibrioe dello squilibrio, e i relativimodelli, non semplificano larealtà per osservarne lestrutture portanti e imovimenti di fondo, macostruiscono una realtàdesiderata, nella quale si
realizza(osideverealizzare)un’economia in equilibrioautomatico, che sarebbe perciòstesso«normale».Sonoinvecemoltelecause
fondamentali della dinamicaeconomica e riguardanocertamente i fattori dellaproduzione,maanche,eforsedi più, il volume e lacomposizione del prodotto.Tralealtre,eneparleremo,laleggediEngel,perlaqualealcrescere del reddito il
consumo varia la propriastruttura, e perciò varianosemprelacomposizionedellaproduzione e il valore dellaproduzione aggregata; ilprogressotecnico,chelegalacrescita all’offerta di nuovibeni, indipendentementedall’intensità di capitale; e lacrescita del livello disussistenza al crescere delreddito33. Si tratta di fattoridinamici che avvengono nel
tempo, ma non è il passaredeltempochelidetermina34.
6.Ilcicloeconomicoeleaspettativerazionali
Contro la formulazionedell’equilibrio automatico eistantaneo (cioè senzatempo), intervengono ancheleteoriedelcicloeconomico.Inquesteteorie,l’equilibrioèmobile ed equilibrio e
squilibrio s’inseguono l’unl’altro; si rappresenta, infatti,un’economia che oscilla conqualche regolarità trapavimenti e tetti, e questeoscillazioni sono descrivibilie razionali, anche se siammette che gli individuipossono sbagliarsi perchéhannodifficoltàariconoscereil tetto o il pavimento35. Perverità, lascuolacherielaborail pensiero di Friedman36, la
cosiddetta «nuova economiaclassica», attribuisce il cicloeconomico a un erroretelescopico presente neimercati. Nel mercato dellaforzalavoro«unaumentodeisalari monetari transitorio èpercepito come un aumentotransitorio dei salari reali… ilavoratori pertanto decidonodi lavorare di più» permassimizzare i ricavi,rinviando il recupero deltempo libero perduto a
quando«isalarirealisarannopercepiti come inferiori… aisalari monetari»37. In questomodo, l’equilibrio siricostruisce, e anzi, si puòsostenere che il ciclo è «diequilibrio». A parte che, dinuovo, il rilievodatoall’ozioèpariaquellodatoalsalario– indicazione di un’idea dellavoratore che incarna, allostesso tempo Oblomov e ilsuo servo – questo errore
sarebbe presente in tutti imercati, perché gli operatoriconsidererebbero ognicambiamento come fossereale, quando è solomonetario: ma allorasarebbero inconsapevoli, e leloroprevisionisempreerrate;inoltre, qualificare lapercezionecome transitoria èun giudizio introspettivodell’economista,enonriflettenecessariamentelapercezionedel lavoratore o
dell’operatore.Unateoriapopolare,quella
del «real-rational businesscycle»38 di Kydland ePrescott, attribuisce il ciclo aeventi imprevedibili (shock)sulletecnologie,malasciatoase stesso, lo squilibriosarebbe temporaneo e ilsistema tornerebbeognivoltaa essere stabile e incondizioni di ottimo. Difronteallafrequenzadeicicli
economici, gli autori diquestateoriahannopensatositrattasse di eventi esogeni –dalle innovazioni alleavversitànaturaliallapoliticaeconomica – e hannocostruito un ragionamentobasato sul fatto che i ciclidevono esserenecessariamente razionali,altrimenti sarebbero staticorretti dal comportamentoautonomo dei soggettieconomici (che, per questi
autori,sonoconsapevolideglieventi macroeconomici).Come nel caso della nuovaeconomia classica,un’innovazione che facrescerelaproduttivitàspingegliindividuialavoraredipiù,produrre di più e guadagnaredi più, per poi sostituiretempo libero a lavoro (eccouna causa «razionale» delciclo, come se i lavoratoriavessero libertà di entrare eusciredaunpostodilavoro).
Inoltre, se la produttivitàcresce, gli individui (tutti,altrimenti il ragionamentonon fila) guadagneranno dipiù e consumeranno di più,ma possono rimandare ilconsumo, investire econsumare nel futuro. Se, inquesto contesto, ci riferiamoalla teoriadelciclodivitadiModigliani39, gli individuiinvestiranno di più quando ilredditoèaltoemenoquando
il reddito è basso, e lefluttuazioni sarebberoammortizzate da scelteconsapevoli (qui sarebbe ilrisparmio che general’investimento…). Il risultatonon sembra una teoriacompiuta, ma una somma diipotesi fondatesull’introspezione degliautori:ilciclodivitarispondeall’intera durata della vita, eciò attenua gli improvvisiaumenti o riduzioni di
reddito, e il risparmiofunzionacomeunmagazzino,ma ciò dovrebbe eliminare ilciclo, e un’unica teoria suicomportamenti individualinonsembrapossacreareepoisopprimereilciclo.Più in generale, la
produttività si trasforma inmaggiore prodotto emaggiore salario quando ladistribuzione del redditosegue la regola aurea (vedipiù avanti) ed è sempre
«giusta»,eciòimplicacheladisoccupazione è semprevolontaria. Inoltre, l’aumentodellaproduttivitàcomeshockesogeno non è definito neisuoi risultati: le innovazioninon sono tutte uguali, e seaumentano la produttività inuna parte dell’economia,possono ridurla in altre parti,generando forse un ciclo oforse una veratrasformazione;nonèuncasoche gli autori utilizzino una
funzione Cobb-Douglas che,come vedremo in maggiordettaglio, lascia dietro di séresiduimisteriosi.Il nucleo centrale della
teoria di Kydland e Prescottè, però, altrove. Qui non c’èun agente rappresentativo,come in Modigliani, mal’equilibrioèilrisultatodelleaspettativerazionali40,ovverodi aspettative convergentideglioperatorieconomici.La
teoria è così riassunta daMuth: «Per spiegare… comesi formano le aspettative,formuliamol’ipotesicheessesono le stesse previste dallateoria economica rilevante».L’apparenza è di un banalesofisma, ma per Muth e glialtri sostenitori delleaspettative razionali, ilmodello di funzionamentodell’economiaè condivisodatutti gli operatori checonoscono i parametri del
modello e si comportano diconseguenza, mentre glierrori sono casuali e sicompensano41. In questateoria, gli individui formanole proprie attese «come se»conoscessero il veromodellodell’economia, ed è ciò cherende il ciclo e il ritornoall’equilibrio «razionali»: mase fossero convinti di ciò,allora sparirebbero incertezzae rischio. Tra l’altro, nei
parametri del modello èassente il moltiplicatore (chevedremo),eperciòilmodellocondiviso è sbagliato; enessuno può condividere unmodellosbagliato,datochelarealtàlosmentirebbe.Questatesisulleaspettative
èstatapoi ripresaeapplicataalla politica monetaria e aisuoi effetti sull’economia«reale».Gliautoridellateoriadel ciclo economico reale laampliano perché considerano
la politica economica unoshock esogeno tra i piùrilevanti, chegeneraun cicloche si attenua perché glioperatorihannolacapacitàdiconoscere gli esitimacroeconomici delle azionipubbliche, mentre lo Stato,che pure ne è l’autore, nonavrebbe la simmetricacapacitàdiconosceregliesitidelleazioniprivate.LoStato,poi, soffrirebbe di unacontinua coazione a ripetere
le politiche sbagliate,altrimenti non siformerebbero dei cicli. Misembra uno dei principalierrori logicidella teoriadelleaspettative razionali. Per glieconomisti che adottanoquesta teoria, gli individuisono razionali, loStato no: èvero che, se entrambiavesserolestesseconoscenzee previsioni, non sipotrebbero costruireprogrammi economici
ottimali da parte dello Stato,perché ciascuna delle partianticiperebbe ilcomportamento dell’altra,annullandosi. Non ne segue,tuttavia, che lo Stato èstupido e gli individuiintelligenti;neseguepiuttostocheleduepartinonhannoinmente lo stesso modello dieconomia: cosa ovvia, maallorailmodellodieconomiaprevalente nella mente degliindividui non può consentire
che il singolo agente sia piùintelligente dello Stato. Lateoria si basa sull’idea che icomportamenti strutturali delsettore privato non variano(Hanno la testa dura?, Nonguardanofuoridallafinestra?,Sono sempre sicuri di sestessi?) quando varia ilcomportamento del settorepubblico42, e che il settorepubblico non sa che queicomportamenti sono
invarianti, se non quandoglielo fanno sapere glieconomisti delle aspettativerazionali.Si tratta di una flagrante
contraddizione, che originadalla convinzione che lapolitica monetaria, e ingenere qualsiasi politicaeconomica, sia un’attivitàinutile se non dannosa43.Comeabbiamogiànotato,unmododiprospettarel’inutilità
della politica economica44consiste nell’affermare cheunamaggiore spesa pubblicaoggi indurrebbe gli agentieconomici a prefigurare uninevitabile aumento delletasse domani, obbligandoli arisparmiare e rendendo cosìinutile l’intervento pubblicosulla domanda effettiva45. Èun equivoco basato sulleaspettative razionali, perchénon c’è alcuna ragione che
tutti gli agenti guardinoall’economia nello stessomodo, come se avessero lostesso modello in mente,soprattutto quando non tuttipagano le stesse imposte néhanno la stessa ricchezza.Siamo nell’errore diconsiderare un modelloconforme di comportamentodegli agenti, che è capace dicogliereilrapportotradebitopubblico e tasse, non quellotraspesapubblicaecrescita,
néquello tradebitopubblicoericchezzaprivata.In quest’ultimo caso, il
deficit pubblico e il debitoconseguente sono necessariogni volta che il settoreprivato voglia arricchire ilproprio stato patrimoniale (one sia costretto), cosa cheavviene normalmente nellecrisi46. Se il settore privatoacquista nuovi titoli deldebito pubblico, non mette
nel conto che le impostedomani dovranno essereaumentate per pagare queldebito,perchéèinteressatoalproprio stato patrimoniale, eperciòalvaloredellapropriaricchezza. Non è interessatoal conto economico, perchénon guarda al rendimento:semmaiguardaallevariazionidel rendimento, che sono unindice della variazione delvalore della ricchezza.L’acquistodi titolipubbliciè
una forma di accumulazione,dato che costituiscono lagaranzia di altri acquistipatrimoniali; altrimenti nonspiegheremmo l’aumento deidebiti pubblici dopo la finedelle politiche rooseveltiane.Amolti sembrerà strano nonimputare soltanto ai governil’aumentodeidebitipubblici,ma è un fatto che taleaumentoèstatoresopossibiledalla domanda di titolipubblici, ritenuti ovviamente
una garanzia («collateral»)migliore di quella dei titoliprivati. Questa domanda nonè attribuibile a unaconsapevolezza sullasuperiorità del settorepubblico nel gestirel’economia, ma si basa sullacapacità dello Stato diemettere moneta quantonecessario per pagare ilproprio debito – anche se lamoneta fiduciaria è
considerataunfurto47.Leaspettativerazionalinon
sonoderivatedallarealtà,madalla necessità di ottenereprevisioni convergenti, chenonproducano,appunto,crisi(ma allora non dovrebberonemmenoprodurreilciclo).Icicli, o meglio le crisiricorrenti, sono certamentereali, ma in questi modellinon sono razionali nel sensodi Hegel, perché si cerca di
spiegarneilmeccanismo,nonla necessità. C’è d’aiutoKeynes, perché nella TeoriaGeneralerifiutaunsistemainequilibrio automatico e faentrare lo Stato non comeriequilibratoredelcicloma,sibadibene,dellecrisi.
7.Equilibri,squilibri,cambiamentietrasformazioni
Così, nelle teorie
microeconomiche che sonoalla base dei modelli diequilibrio, si studianoequilibri, squilibri e nuoviequilibri, ma non vericambiamenti. Detto in altritermini, nei modellimicroeconomici nei qualis’introducono presunte«asprezze» keynesiane, ilprocesso è il seguente:Equilibrio-Squilibrio-Equilibrio. In una primaimpostazione di questo
lavoro, avevo pensato che ilprocesso di crescita dovessesvolgersi diversamente:Squilibrio-Equilibrio-Squilibrio. È vero che nelprimo caso l’equilibrio è lanorma, e lo squilibriol’eccezione, mentre nelsecondo, lo squilibrio è lanorma e l’equilibriol’eccezione, ma, pensandocibene, il loro abbraccio noncoglie la dinamicadell’economia:seequilibrioe
squilibrio sono soltantodeuteragonisti uno rispettoall’altro, allora è irrilevantechi viene prima o dopo.Nell’analisi che sto peraffrontare, potremmosostenere che lo squilibrio èla Grande Depressione,l’equilibrio è la politicarooseveltiana, lo squilibrio èla Grande Inflazione deglianniSettanta,l’equilibrioèladeregolamentazione e lanuovaeconomiafinanziaria,
lo squilibrio è il crollopiùrecente. Non si potrebbeopporre che, proprio per gliesempi storici che ho appenaproposto, il periodo dellosquilibrio è breve rispetto aquello dell’equilibrio e chedunque la regola è quelladell’equilibrio: la gravitàdegli squilibri, infatti, puòessere molto più rilevantedellalorodurata.Laveritàèche,selaStoria
èriprodottacomeunciclotra
squilibri ed equilibri che sirincorrono ogni volta, alloranon è Storia, perché nonracconta nulla d’importante.Invece, sono i cambiamenti,prima e dopo le crisi, oggiben rappresentabili da duestraordinariamente diversestrutturedieconomia,anzidicapitalismo – quellorooseveltiano e quelloreaganiano – che sonointeressanti, insiemealla lorostessa erosione e alla
trasformazione della loroforma economica (esociale)48. Questo mi èsembrato il passaggionecessario per distinguerel’analisidimodellieconomicinel tempo ma non dinamici,compresoilmodellodelcicloeconomico, dall’esamedell’economiacapitalistica.
capace di prosperare,declinare e trasformarsi, èperché si confronta conistituzioni che lo prendonoper la collottola e lorimettonoinmoto;altrimenti,se fosse per i capitalisti, lavisione sarebbe solo attentaagli interessidiciascunoe leistituzioni sarebbero a lorovolta regolatrici ai confinidell’egoismo: essenzialmentelagiurisdizioneperdirimereiconflitti sui diritti di
proprietà. Questi conflittisono endemici, o meglioinevitabili, inun’economiadimercato, perché ogniproprietà è privata e perciòesclude i non proprietari dalsuo godimento. Proprio perquesta escludibilità si formaun conflitto tra gli esclusoriper le spoglie degli esclusi,compreso lo Stato in quantoproprietario, e da ciònascono, logicamente, ladivisione dei poteri, la
giurisdizione e, più ingenerale, lo Stato minimo.Siamo, perciò, abituati asostenere che le crisi sirisolvono con l’interventodello Stato, e che ilcapitalismoècomeunAnteoche, dopo il crollo, ritrovanuova forza: esservi abituatinon significa avere chiarocome gli interessi deicapitalisti alla libera ricercadel profitto siano compatibilicon l’intervento pubblico.Le
crisi,infatti,nonsonosempreuguali: quelle di domandasono diverse da quelle diofferta.
1.Lacrisididomanda
Questa crisi si manifestaquando le imprese si trovanonella difficoltà di vendere ipropri prodotti e servizi, el’economia sperimentaeccessodicapacitàproduttiva
e disoccupazioneinvolontaria. In questasituazione, il comportamentospontaneodeglioperatorièdiridurre la produzione peravvicinarlaalladomanda,mamantenendo i prezzi, o diridurreiprezziperaumentarela domanda e mantenere laproduzione.Nelprimocasosicrea riduzione dellaproduzione, disoccupazione,calo di consumi e crisi. Nelsecondo caso, i profitti si
riduconoeleimpresecercanodi contenere i costi perricostituirli: o riducono gliacquisti dai fornitori – e lacrisi si trasmette aquesti–oriducono salari, stipend eonorari, e si torna al casoprecedente, provocando crisiinentrambeleopzioni.Sialeteorie per le quali leeconomie sono sempre inequilibrio, salvo eccezioni,sia i governi che vi siispirano,hannoinvecenegato
il secondo caso, perchésuppongono (partendodall’effetto Pigou) che lariduzione di prezzo, in unacrisi di domanda, induce iconsumatori a continuare aspendere,poichéfacrescereilloro reddito reale. L’idea,come abbiamo già visto, èsbagliata.Le teorie dell’equilibrio
possono poi fare a meno diPigou perché potrebberoaccontentarsi della legge di
Say, per la quale l’offertacrea sempre la propriadomanda; sparisce la crisi didomanda, e se ci sono crisi,questesonodiofferta.Anchequestaleggeèsbagliata;ognioffertaèunavendita,partediunoscambioconaltraofferta.Seloscambioavviene,alloral’offerta avrà incontrato ladomanda; se non avviene oavviene soloparzialmente,visarà eccesso di offerta o didomanda, e per evitarlo la
legge di Say cade in unsofisma, perché inferisce,dall’avvenutoscambio,chevièsempreequilibriotraoffertae domanda: l’evento ex postgiustifica lo squilibrio exante. Inoltre, con Say siamonel baratto, senza moneta;poiché la moneta, mezzodello scambio, ha anchefunzioni speculative,precauzionali e finanziarie,non si esaurisce nelloscambio,puòesseretrattenuta
informaliquidaeognioffertapotrebbe non incontrare unadomandaadeguata.Keynes affronta il tema su
una base diversa ericostruisce così la tesiequilibrista, per criticarla:«L’aumento del desiderio didetenere ricchezzaè lastessacosa dell’aumento deldesiderio di detenereinvestimento; così, l’atto dirisparmio, poiché stimolal’investimento futuro,
provvede lo stimolo alla suaproduzione; in questo modo,l’investimento corrente èspinto dal risparmioindividuale nella stessaproporzioneincuidiminuisceilconsumopresente».Keynesritiene fallacequest’impostazione, perchéderiva dalla convinzione che«il proprietario dellaricchezzadesiderauncapitalein quanto tale, mentre eglidesideraeffettivamente il suo
futuro rendimento», e questorendimento dipenderà «dallafutura domanda effettiva»1.Se cambiamo l’impostazionedi Keynes, e assumiamoinvece che il proprietariodella ricchezza desideri ilcapitale in quanto tale(l’accumulazione), la criticanon cambia: il risparmioindividuale può forsestimolare l’investimentofuturo, ma un aumento del
risparmio di tutti i capitalistinell’economia nel suocomplessoriduceladomandaeffettivapresente,eannullalostimoloall’investimento.Potremmo argomentare
diversamente? Se peraumentare l’offerta, leimprese hanno dovutoassumere più lavoratori,allora la domandacrescerebbe in ragione deinuovi salari distribuiti: maqui Say non c’è più, perché
non si sa da dove spunta lamotivazione ad aumentarel’offerta, dato che la nuovadomanda è successivaall’aumentodell’offerta.La crisi di domanda
suggerisce che ilcomportamento pro-crisi deisingoli è generale eaggregabile, paradossalmenteproprio perché siamo in unmondo integralmenteindividualistico – ma gliindividui non sanno le
conseguenze di quello chefanno.
2.Lacrisidioffertael’asimmetriadellecrisi
Quando,invece,lacapacitàproduttiva è pienamenteutilizzata, la domanda crescepiùdellacapacitàproduttivaeicostidiproduzionecresconoal crescere del volumeprodotto, le imprese
reagiranno per mantenere iltasso di profitto: orestringono la produzione,tornando all’utilizzo normaledella capacità produttiva, e icosti si riducono, oaumentano i prezzi percoprireimaggioricosti,eciòdovrebbe ridurre l’eccesso didomanda. Nel processo, siriduce anche l’eccesso didomandadiforzalavoro:conil suo comportamentospontaneonormale,ecomune
a tutte le imprese, ciascunasembrerebbe risolvere ilproblemagenerale.Inentrambiicasidicrisi,i
comportamenti sonoaggregabili, ma nonsembrano simmetrici: nelprimolacrisièaggravata,nelsecondo è risolta. D’altraparte,poichégli imprenditoritendono al massimo profitto,ancheinunacrisidioffertaèpossibile che, dopo averridotto i costi, le imprese
continuino a ricercare unaumento di efficienzaattraverso la riduzione dellapropria domanda di beni eservizi e soprattutto di forzalavoro, approfittando, tral’altro, della ridotta forzacontrattualedeilavoratori.Setutte le imprese sicomportassero nello stessomodo (e in questo caso èpossibile, perché deriva dallaloro stessa ignoranza),causerebbero una crisi di
domanda.Perquesta ragione,le crisi di offerta e quelle didomanda,anchesediverseinorigine, finiscono perinseguirsi.Da ciò deriva che
l’aggregazione deicomportamenti, sia pureasimmetrici e ciclici, èpossibile. Troviamo qui unrisultato interessante: nellecrisi i comportamentiindividuali sono sommabili,proprio perché ciascun
individuo si comporta inmodo analogo, ma non nesegue né una razionalitàcollettiva né un equilibrioautomatico del mercato.Siamo nel campo dello«stimolo-risposta», adattoaglianimali,macheapplicatoall’uomo rivela i limiti delletesi individualiste. Inentrambe le circostanze,infatti, tutti gli individui sicomportano nello stessomodo, ma nessuno conosce
glieffettidelleproprieazioni.
3.L’agenterappresentativo
Nelle teorie dell’equilibriosi concepiscono solo crisi diofferta: da un lato, perché sipostula che vi sia semprepiena occupazione e che ladisoccupazionesiavolontaria,datochesipensacheesisteràsempreunsalariocosìinfimo
da indurre ad assumere ildisoccupato e questil’accetterà pur disopravvivere; d’altro lato,perché in equilibrios’immagina che la massimaefficienza (= minimizzazionedei costi) sia sempre ugualealla massima efficacia (=massimizzazione dellaproduzione), e applicando leideediPigouediSay2,nonsiforma mai una crisi di
domanda.Daquesteteorie,seci fossero crisi, sarebberosempre di offerta, quandol’aggregazione deicomportamenti individuali èapparentemente risolutiva, edi qui nascono alcune delleidee dell’equilibrioautomatico.La prima è quella
dell’agente rappresentativo –ununico soggetto economicoche sarebbe capace dirappresentarsi l’economianel
suo complesso, una specie diLeviatano. La seconda èquella delle aspettativerazionali che, come abbiamovisto,ipotizzalacondivisionedel modello di economia daparte di tutti gli agenti,proprio per sostituirel’ingenua ipotesi dell’agenterappresentativo: solo che setutti la pensano nello stessomodo, tutti diventano uno.Allabasediqueste teoriec’èsempre l’ipotesi implicita
secondo cui la possibileaggregazione rendeconsapevoli gli individui,ancheseciò rompe ilvelodiSmith.Quelleteoriederivanoda un peccato d’orgoglio,perché ipotizzano una formadi onniscienza non soloestranea al mondo reale, maancheallanaturaumana;cisispinge così verso l’assurdoper la necessità di difenderel’impianto individualista delmodellodiequilibrio.
Ho forse ottenuto unrisultato prima nascosto,perché non si nega che icomportamenti, nei casi oradescritti, siano sommabili,ancheseconesitiinfelici,masi conferma l’idea di AdamSmith,per laquale i soggettieconomici non possono, nédevono conoscere gli effettidelle loro azioni sull’interaeconomia. Su questaimpossibilità è costruita latesicentralediquestolibro.
È poi corretto sostenereche i comportamentiindividuali sono talvoltasommabili, ma non sonosempre sommabili, e occorreognivoltastabilireilmodoincui l’aggregazione avviene.L’economista, lo statistico,l’econometrico osservano unfenomeno aggregato (cheriguarda l’economia nel suocomplesso) dopo che si èmanifestato, ma non c’èalcuna ragione che
l’aggregazione derivi dallasomma o da qualche mediadei comportamentiindividuali ex ante3. Per glieconomisti dell’equilibrio,invece, aggregare è processoelementare: si imita ilcomportamento sul mercatodegli operatori che,nell’incontro tra curve didomanda e curve di offerta,determinano un prezzo diequilibrio; analogamente,
l’incontro tra curve didomanda aggregata e dioffertaaggregatadeterminanoun punto di equilibrio.Tuttavia, l’imitazione èspuria, perché se si puòammettere per viaintrospettiva qualcosa chesomiglia alla curva didomanda individuale, lasemplice sommatoria diqueste domande non èfattibile, perché occorrerebbeuna sorta di «introspezione
sociale», oppure un’ipotesiperlaqualetuttigliindividuiabbianolestesseinclinazioni,indipendentementedaredditoe ricchezza, o le loroinclinazioni siano sommabili.Il dibattito in merito alleaspettative razionali, che èuno dei modi di costruire i«fondamenti microeconomicidella macroeconomia»,mostra bene, insiemeall’ansia di aggregarecomportamenti, il continuo
pericolo di caderenell’onniscienza.Che aggregare non sia
ovvio, l’aveva ben compresoMarshall nella sua famosaparabola della forestavergine: essa resta integraattraverso la nascita e mortedei singoli alberi. Comevedremospesso,iltuttononèuguale alla somma delleparti4. Qui basta ricordareche la legge della domanda,
per laqualequando ilprezzodiunbenescendeladomandasale (o viceversa),nell’aggregato non vale, siaperché la deflazione è lapeggiore delle crisi siaperché, riprendendo un notorisultato della stessa analisineoclassica, la variazione delprezzo5, oltre a effetti sulreddito, ha anche effetti disostituzione, cheinevitabilmentemodificanola
struttura e la curva delladomanda aggregata e conessal’interaeconomia6.Per concludere, se
aggregare è possibile, nonvuoldirecheisoggetti,ancheaggregati, sappiano tutte leconseguenze delle propriedecisioni. Se nei modelliaggregare non è possibile, ilvelo di Smith diventaimpenetrabile.
4.L’interventodelloStato
La soluzione delle crisiattraverso l’agenterappresentativo o leaspettative razionali, hamesso in sordina una lungastoriadelpensieroeconomico– da Malthus a Marx e aKeynes. Marx poneva ilproblema della«realizzazione» del profittoatteso, e cioè della semprepossibile insufficienza della
domandaeffettiva,manonglidavatuttoilpesocheavrebbemeritato (forse perchépreferivaRicardoaMalthus);era per lui più importante lasocializzazione dellaproduzione, derivante dalleeconomie di scala, e laconseguente crescita delgrado di monopolio. Marxnon vedeva un problema nelpassaggio dallamicroeconomia allamacroeconomia, perché
faceva derivarel’aggregazione delcomportamentodeicapitalistidal loro grado dimonopolio.Non è però possibile cheesista una forma diorganizzazione delcapitalismo che neghi il velod’ignoranza sugli effettimacroeconomici dell’azionedeisingolicapitalisti:ancheilpiù onnicomprensivo deimonopoli7 ha natura
microeconomica, e il suoimprenditore-capitalistacercherà sempre diminimizzare i costi, inparticolaredellaforzalavoro,creandoinvolontariamenteunrischio permanente diinsufficiente realizzazione.ForseperquestoMarxavevainserbolo Stato come comitato di
affari della borghesia, e ilcomitato trasmetteva alloStato una visione
macroeconomica.Che lo Stato intervenga
nellecrisièunrisultatodellanostra osservazione, noncerto una conseguenza delleteorie e delle politichefondate sull’individualismo esull’equilibrio economico.Occorre perciò dimostrare,oltre alla necessitàdell’intervento, imodiche lodeterminano.Bisognaevitare,per non contrastare la Storia,che la semplice introduzione
dello Stato alteri la naturacapitalisticadelsistema:cosache avverrebbe, sel’intervento pubblico fosseautomatico.Allostessotempo, loStato
è struttura originaria,storicamente precedente lastessa forma capitalistica, eperciò dotato di qualcheelemento strutturale che nedifende la sopravvivenza.Così, l’osservazione dellarealtà mostra con sufficiente
chiarezza sia che, a causadelle sue trasformazioni,l’economiamodernaèsemprestata capitalistica8, sia che,purtrasformatoasuavolta,loStato è presente in ognitrasformazione delcapitalismo.
5.Lacrisideldebito(pubblico)
La dimostrazione più
recente della presenza delloStato si è avuta nel 2008,quando si è evitata ladistruzione dell’economiamondiale attraversoimponenti interventi pubblicia difesa di banche sull’orlodelfallimentoe,nelsolocasodegli Stati Uniti, ancheattraverso la spesa pubblicaperdareslancioalladomandaeffettiva. Come vedremo, lacrisi non ha alterato leistituzioni economiche, e il
crollo dei mercati finanziarinonnehacambiatolanatura.Dopo il salvataggio pubblicodelle banche e delle lorosocietà finanziarie eassicurative, queste,direttamente o indirettamente(attraverso i fondi hedge, dicui parleremo) si sonodedicate a speculare contro idebiti pubblici dei Paesieuropei facenti partedell’euro, nell’intelligenteconvinzione che interventi
per ridurre il debito, fondatisui modelli di equilibrio deltipo Dsge, avrebbero minatole prospettive di crescita deiPaesiindebitati,generandouncircolo vizioso che avrebbeconsentito grandi guadagni.L’attacco ai Paesi indebitatidell’Eurozona, infatti, è statocontrastato, in ciascun Paeseaggredito,confortimisurediausterità che, riducendo ilredditonazionale, riducevanoanche ilgettito tributarioe la
stessa capacità di ripagare ildebito.Una situazione idealeperlospeculatoreche,controla sua azione, non dovevaattendersi una svalutazionedelle inesistenti monetenazionali,né l’acquistosenzalimiti (che poi saràminacciato, e avverrà conmolti limiti) da parte dellaBce dei debiti pubblici indifficoltà, né l’insolvenza diqualche Stato, che avrebbemesso in pericolo la stessa
moneta europea. Invece, lospeculatore gioca al ribasso,perché non corre rischi se loStato sotto attacco ripagheràognivoltalaratadeldebito,epotrà ripetere gli attacchiperché, come abbiamo giàvisto, l’austerità avrà ridottoilgettito tributarionecessarioperpagarelarata.Tral’altro,la speculazione è anche alloscoperto, così che, nellecircostanze, non si pone unproblema di risorse per
finanziarla9.Quella del debito è una
crisinellacrisichescaturiscedalla libertà d’azioneconcessa alla finanzainternazionale dopo il grandecambiamentodelle istituzioniiniziato dai governi Thatchere Reagan ai primi anniOttanta, e proseguito a operadituttiigoverni,conservatorio «riformisti», quando sipensava che la
globalizzazione avrebbeprodottobenesseregeneraleeche, aperti i mercati, questiavrebbero trovatospontaneamente il loroequilibrio.Sesiosservanogliandamenti del rapporto tradebito e Pil nei maggioriPaesiindustrializzati(Grafico8), in effetti, il debitopubblicotendearidursidopola prima crisi degli anniOttanta per impennarsi dopol’ultima crisi. Obnubilati
dalla cultura dell’offerta, igoverni degli Stati membri equello dell’Unione Europea,insieme ai loro economisti,hanno ragionato come unafamiglia indebitata che nonpuò evitare di ridurre lapropriaspesaperfarfronteaipropri debiti, ma se è unoStato a comportarsi così,procura a se stesso una crisiognivoltapiùsevera.Una parziale eccezione è
rappresentata dalla politica
della Bce, già ricordata, che,reinterpretando i vincoliderivanti dal suo Statuto, haminacciato la speculazionecon acquisti illimitati deidebiti delle banche e degliStati. La giustificazione,almeno ufficialmente, nonriguarda la crisidell’economia edell’occupazione: la Bce hafatto riferimento alladifficoltà incontrata nellapropria politica monetaria,
poiché i tassi di interesse daessa praticati, negativi interminireali,eranopositiviedelevatineiPaesimembrisottoattacco speculativo, bassi onegativi negli altri, e allostesso tempo, bassi tassi abreve termine siaccompagnano a tassi moltoelevati a medio e lungotermine. Si era gravementealterata la geografia e lastruttura desiderata dei tassidiinteressenell’areaeuroela
politica monetaria erad’improvviso diventatainefficace. Naturalmente, ilpericolo inconfessato cui erasottoposta la politicamonetaria della Bcedipendeva dalla crisiconseguente all’austeritàpraticata dai Paesi indebitati.NonsipuòdireselaBceusistrumentalmente il fallimentodella politica monetaria perrivelare l’insufficienza delTrattato che l’aveva istituita,
o se crede che la politicamonetaria sia capace dirisolvere la crisi. Glispeculatori, inognicaso,nonsi sono intimiditi, e sonosubito tornati a esercitare illoromestiere, anche perché ipossibili aiuti dellaBce sonocondizionatianuoveeseveremisure di austerità, forse perconsolare la mente deiconservatori – ripercorrendol’ennesimocircolovizioso.Talvolta,pergiustificarela
politica di austerità, sisostiene che la conseguentefiduciadeimercatinelloStatoindebitato ostacolerà laspeculazione:èinveceveroilcontrario,perchéselafiduciaconcerne la possibilità diripagare il debito, laspeculazione saràincoraggiata. Per verità,l’Unione Europea, puraderendo alla filosofiadell’austerità, ha creato unfondo «salva Stati»
(Meccanismo Europeo diStabilità), destinato aintervenire sui mercatifinanziari per acquistare ildebito pubblico dei Paesi indifficoltà. In generale, anchequestapoliticaproduceilsuocontrario: lo speculatore sachevi saràun intervento checonsentiràalPaeseindebitatodi pagare il proprio debito, eperciò non corre rischi diinsolvenza. Però, se il debitoacquistato da tale fondo
venisse poi riacquistato dallaBce, la speculazione sarebbesconfitta, perché mentre lerisorsedel fondoprovengonodai bilanci pubblici dei Paesidell’euro, compresi quelliindebitati e oggetto dispeculazione, le risorse dellaBcedipendonosolodallasuavolontà di emettere moneta,acquistando il debito(pubblicoeprivato)deiPaesimembri10.
Molto diverso è il casodegli Stati Uniti. Qui si èavutaunaforteimmissionediliquidità, il ben noto«quantitative easing» e,contemporaneamente, ilfinanziamento del deficitpubblico attraverso la Fed11,un evidente ritorno allepolitiche rooseveltiane. Ilriflesso negativo sul debitopubblicoc’èstato,soprattuttoperché la crescita derivante
dalle politiche economiche èstatalentaemodesta,manonvièstataspeculazionecontroi titoli di Stato, proprio perl’acquisto daparte dellaFed.È possibile che la grandedivergenza tra le politicheeconomiche europee e quelleamericane abbia determinatoanche la lentezza dellacrescita degli Usa, figlia siadella recessione europeacausata dall’austerità sia delperduto motore di crescita
causato dalla ricchezza dellefamiglieamericane.Riprenderemo questi
eventi, perché saràinteressante capire in qualicircostanzelecrisiprovocanol’intervento pubblico, anchese non è necessariamenteefficace.
A differenza della teoriadell’equilibrio economicogenerale, degliequilibri/squilibripseudokeynesiani, delleaspettative razionali,dell’analisi del ciclo, chetrattano nello stessomodo lamicroeconomia e l’economianel suo complesso, ritengoche le crisi siano immanential sistema capitalistico, chenon siano sempre il risultatodella semplice somma di
comportamenti individuali,che il singolo non possaconoscere gli effetti delleproprie azioni sull’economianelsuocomplesso.Iltemavasotto il titolo di «fondamentimacroeconomici dellamicroeconomia»1, un modounpo’astrusopercontrastarel’ideologia individualista perla quale esistono solo i«fondamenti microeconomicidella macroeconomia».
Scusandomiperibisticci,piùsemplicemente descriveròleggi, comportamenti econcetti macroeconomici chenon dipendono da leggi,concetti o comportamenti deisingoli individui o dellesingole imprese. Si tratta diosservazioni note ma che,nelle teorie dell’equilibrio,dello squilibrio e del ciclo,come nelle politicheeconomiche, sono spessodimenticate o volutamente
omesse.
1.IlvelodiSmitheloStato
Il capitalismo è fatto diindividui o imprese nonconsapevoli degli effettimacroeconomici delle loroscelte; anche quando le loroscelte sono aggregabili e iloroeffettipositivi, comenelcaso delle crisi di offerta,
questi effetti o sonocontrointuitivi o non colgonoun interesse da parte delsingolo individuo o dellasingola impresa. Invece, loStato può, se il sistemapolitico glielo permette,conoscere gli effettimacroeconomicidellepropriescelte e di quelle deicapitalisti; può sbagliare, mapossiede gli strumenti percorreggersi. Così, lo Stato èsempre istituzione
macroeconomica anchequando, influenzato dacapitalisti anarchici, nega lasua stessa natura, e ritiene diessereunsoggettocometantialtri nella società: è l’istintodi sopravvivenza che gliimpedisce di sparire, quandole circostanze presentasseroquesto pericolo. Lasubalternità dello Stato aicapitalisti, come un rapportodi mutua dipendenza, èpossibile perché non
dobbiamo dimenticare che loStato ha bisogno deicapitalisti, che concretamenteproduconobenessere,reddito,utilità, attraverso le proprieimprese, mentre i capitalistihanno bisogno almeno delloStato minimo, per difenderela proprietà privata. LoStatononpotrebbe sopravvivere sei capitalisti nonprovvedessero le basi dellacrescita del reddito (delbenessere, dell’utilità, dello
sviluppo della persona)2,attraverso l’aumento delprodotto per addetto – che èinevitabile fin dalla primaselce scheggiata, destinata afar risparmiare tempo efatica3: forse siamo inpresenza degli «spiritianimali» di Keynes4 eRobinson, e il termine haun’illustre ascendenzaletteraria, ma è più unpostulato che una
spiegazione. D’altra parte, icapitalisti non potrebberosopravviveresel’aumentodelprodotto per addetto nonfosse accompagnato da unaumento della domanda diquelprodotto;insuaassenza,si creerebbe disoccupazione,crisi e fallimento degli stessicapitalisti. È lo Stato,separato dai capitalisti,l’istituzione che può evitarequestoesito.
2.Ilvaloreaggiunto
Ricordo che nessuno deglioperatori vorrà maimassimizzare la nozione divalore aggiunto, che è lasommadiprofittiesalariedèuna rappresentazione delreddito nazionale; ne segueche il valore aggiuntonon faparte dei processi decisionalidelleimprese,malostatisticopuòsemprecalcolareilvaloreaggiunto di un’impresa che,
sommato a quello di tutte lealtre, dà luogo al valoreaggiunto aggregato e alreddito nazionale. Il valoreaggiunto potrebbe essere unindicatore suggestivo per imercatideicapitali,maanchei soggetti di questi mercatinon conoscono tutte leimplicazioni di uncambiamento nel redditonazionale, anche perché lavariazione dellacomposizionedelredditotrai
diversi redditi nei quali sidistribuisce non è nota exante, né sono prevedibili leconseguenze di un suomutamento, salvoscommettere su diversipossibili esiti. Certo, poichélastatisticafornisceidatidelvalore aggiunto per l’interaeconomia e per ciascunsettore, gli operatori possonolegare le aspettative cheriguardano i loro interessi aquei dati. Il ricorso alla
statistica e all’econometriafornisce una verosimiglianzadel legame, ma esse non lospiegano e non danno unacertezza sul risultato delleloro decisioni: sfugge aglioperatoricomesitrasformalasingola azione nel tutto. Èovvio che se il legame tra leaspettative e i datimacroeconomici fosse certo,o tutti la pensassero nellostesso modo a proposito diquel legame, non ci sarebbe
bisogno di decidere, né diavere degli operatori;basterebbe un grandecalcolatore per gestirel’economia e la nuovaeconomia classica diverrebbeinutile.Forseèutileunesempio«a
contrario»: per i mercati, unaumento della quota deiprofitti nel reddito nazionalefacresceregliindicidiborsa,perchéprofittimaggiorifannoaumentare la domanda dei
titoli che li promettono; maciò implica una riduzionedella quota dei salari e,perciò, della quota deiconsumi e, di seguito, unariduzione del prodotto(reddito) interno; ma ancheun aumento della quota deisalariaidannideiprofitti,chefa aumentare i consumi, facrescere gli indici, perché ifatturati delle impresecresceranno5.
Poiché gli operatori nonmassimizzano il valoreaggiunto,epoichéilredditoeil prodotto nazionale sonoriconducibili al valoreaggiunto, gli operatori nonmassimizzano il prodottonazionale e la cosiddetta«centralità» dell’impresa,come fattore dell’economianel suo complesso, deveessereridimensionata.Nello scambio tra
produttori e consumatori,
come tra datori di lavoro elavoratori,simassimizzanoleutilitàdiciascuno,mahogiàillustrato come, in tema discambio e distribuzione, nonc’è alcuna ragione che ciòporti a massimizzareautomaticamenteilprodottoeil reddito nazionale. Indefinitiva,l’economianelsuocomplesso, misurata dalvalore aggiunto, non è ilrisultato delle decisioniottimizzantideglioperatori,e
perciò non è la somma deiloro fatturati. È vero che setutti gli operatorimassimizzassero i lorofatturati, potrebberomassimizzare anche il valoreaggiunto. Il problema è chegli operatorimassimizzano ilprofitto,non il fatturato6. Piùprecisamente, le impresecercano di massimizzare iprofitti (una qualchedifferenzatraricaviecosti)e
i lavoratori i salari (unaqualche differenza tra ilsalario e il prezzo dei beniacquistatidallefamiglie,otrailsalarioelafatica):solochemassimizzare i profittiimplica anche minimizzare isalari e massimizzare questiimplicaminimizzarequelli, enessuno dei due soggettisomma i profitti e i salari.Abbiamo già visto chenell’equilibrio economicogenerale la minimizzazione
dei costi (salario) a prodottodato è uguale allamassimizzazionedelprodottoacosto (salario)dato,maciòèsoltantoilfruttodell’ipotesidi piena occupazionepermanente,cheneimodellièunvincolo,nonunrisultato.C’è un caso nel quale gli
operatoripossonoutilizzareilconcetto di valore aggiuntoper massimizzare il proprioprofitto, e l’abbiamo visto intema di debito pubblico:
quandounqualsiasioperatoreche s’impegni nellaspeculazione finanziaria devevalutareseunoStatorischiailfallimento perché non è ingrado di ripagare il debito,guarderà all’andamentodell’economia nel suocomplesso, eperciòalvaloreaggiunto. Se, infatti, prevedeuna riduzione del valoreaggiunto, saprà che il gettitotributario si ridurrà e sapràanche che se il governo di
quello Stato cercherà diaumentare il gettitoaumentando le tasse ocercheràdiridurrelaspesa,ilvalore aggiunto del Paese siridurrà, riproducendo lacondizione di possibileinsolvenza. Da notare chequesto stesso ragionamentonon è applicabile a titoli delsettore privato, ma solo aititolidiStato,adimostrazioneche il valore aggiunto èconcetto che riguarda lo
Stato.Nonsiamoinpresenzadi operatori capaci disollevareilvelodiSmith,ediconoscere ciò che avviene allivello dell’economia nel suocomplesso: ciascunspeculatoreosservasoltantoilcomportamento del debitorepubblico e non sa se,avvicinando il fallimento diquesti, produrrà la rovina dialtriStati eperciò lapropria;scommette,eguadagneràsolose gli Stati, sposando la sua
cultura, gli danno corda.Aggiungiamo che, se unospeculatore vende alloscoperto, provocando unariduzione del prezzo deltitolo, qualche altro deve purcomprare dal primo: leaspettative,però,nonsonoinconflitto, perché l’acquirenteimmaginadipotervendere,asua volta, allo scoperto, eriacquistaredinuovo il titoloaprezzopiùbasso,qualechesiailprezzochehapagato.
In queste circostanze, se ilgovernoaderisceallateoriadiBarro e pensa che glioperatori tradurrebberoun’eventuale maggiore spesapubblica in maggiorrisparmio privato per farfronteafutureimposte,allorasmette di riconoscere alvalore aggiunto la natura diun obiettivo di politicaeconomica.Vaperòricordatoche lo Stato riconosce lanozione statistica di valore
aggiuntodaepocherecenti(ilpensiero di Keynes èall’origine dei moderni continazionali7), e ciò è avvenutoproprio perché si trattava diun obiettivo di politicaeconomica; sostenere che lapoliticaeconomicaèinutileedannosa farebbe assimilareogni intervento dello Stato aformulazioni premoderne,come quando lo Stato siesprimeva in forma
mercantilista – e il valoremassimizzato era l’avanzo dibilancia commerciale, che èsolounapartedelconcettodivalore aggiunto – o in formaliberista, ottimizzando leproprie riserve auree –irrilevanti per il concetto divalore aggiunto, che è unflusso, a differenza delleriserve, che sono uno stock.L’applicazione dellacontabilità nazionale allapoliticaeconomicaèfigliadei
cambiamenti iniziati daRoosevelt, dopo la GrandeDepressione, e ha segnalatounanuovacultura economicadel capitalismo,successivamentenegata.
3.IlmoltiplicatorediLeontief
Esiste un significatomacroeconomico applicabileal termine costo che, se tutti
gli operatori minimizzassero,distruggerebbe l’economia,datocheicostidiun’impresasono i ricavi di un’altra. Ilcomportamento èeffettivamente aggregabile,perché tutti gli operatoricercano di minimizzare icosti, ma nessuno di loro sache ciò può distruggerel’economia e, di riflesso, lasuastessaimpresa.Qui, è in causa il
moltiplicatore di Leontief8chenascedagli effettidiretti,indiretti e indotti di ogninuovaspesasullamatricechemostra gli acquisti e levendite tra i settori diun’economia9.Ciascunacelladella matrice rappresental’acquisto/vendita di beni oservizi tra due settori. Unanuova spesa in un settoregeneraacquistidaaltrisettori,fornitori del primo, e questi
acquistano da altri ancora, inuna catena di effetti che èspecifica per ciascun tipo dispesa. Se la capacitàproduttiva di un settore èlimitata, questo settore dovràinvestire acquistando da unaltro che, a sua volta, dovràacquistaredaunaltroancora,e così via. Un moltiplicatoreleonteviano sempre applicatoriguarda l’occupazione,perché ogni nuova spesa oaumenta la produttività del
lavoro in tutta la matrice, el’occupazione non cambia, ofa aumentare l’occupazioneneisettorichehannocapacitàproduttivainutilizzata.Poichési genera una catena dispese/acquisti, si determinaanche il reddito complessivoderivante dalla catena, epoichéanchequestoredditoèspeso, si genera una nuovacatena. Vi sono limiti allosviluppo delle catene dieffetti, quando questi non
sonosoddisfattinellamatrice,come nel caso delleimportazioni, o quando unanuova spesa, incontrando unsettore già pienamenteoccupato, dà luogo adacquisti sostitutivi in altrisettori,alterandoirapportitraquestielacatenasuccessiva.Sonoappuntorappresentati
i settori, non le singoleimprese, perché una matricecosì dettagliata non è maistatacostruita.Nonètantola
complicazione statistica o lanumerosità degli elementidella matrice che ostacolanouna sua rappresentazione perimpresa anziché per settore,quanto gli infiniticambiamenti nelle imprese,cherendonoforseimpossibilefotografarne lamatrice in unistante nel tempo. Il concettodi settore, perciò, è unasemplificazione statistica,perché le imprese sonoassociate a un settore sulla
base dell’attività prevalente;nonostante ciò, la matrice diLeontief è uno strumentodella politica economica,perché anche se imperfetta ecausadierrori,leconseguentiscelte pubbliche possonosempre correggersi. Non è,invece, uno strumento per leimprese: le imprese possonoforserappresentarsiglieffettiper le proprie vendite, e connotevoledifficoltàperchénonsono tutte monopoliste; ma
nemmeno i monopolistipossono conoscere gli effettisututtiiproprifornitoriesuifornitori dei fornitori; certo,unmonopsonista conosce glieffetti sui suoi fornitori, mal’economia non è fattasoltanto da monopsonisti. Inogni caso, nessuna impresa,anche monopolista, saprebbenulla degli effetti indiretti eindottisututtalamatriceelaretroazionediquestisullasuaimpresa.
Apparentemente,lamatricedi Leontief sembra legata almodello di equilibrioeconomico generale, che èrappresentabilenellaformadiun sistema di equazioni e,perciò,dimatrici;ma,invece,non è nulla di ciò, perchéLeontieffotografalerelazioniintersettoriali come sipresentano ex post, e nonambisce a trasformarle in unex ante. È forse possibilericostruire in forma rigorosa
una matrice dinamica10, ma,come abbiamo già notato, imodelli di equilibrio, chevorrebbero fare proprioquesto, non sonopropriamentedinamici.
4.Ilmoltiplicatoredegliinvestimenti(odellaspesaautonoma)
RicordoilmoltiplicatorediKahn-Keynes11, per il quale
unaumentodellapropensioneal risparmio (il rapporto trarisparmio e reddito) riduce illivello del redditonazionale12. Verbalmente,ogni spesa di un individuo èredditodiqualcunaltro,cheoloconsumaolorisparmia;selo consuma, determinareddito per altri, che a lorovolta o risparmiano oconsumano, in una catena(dettaseriediTaylor)chealla
finepresenteràunasommadirisparmi uguale alla spesainiziale e un redditomoltiplicato per l’inverso delrapporto tra consumo ereddito (che è ilmoltiplicatore): così, tantomaggioreèilrisparmio,tantominoreèillivellodelredditonazionale,elavirtùprivata(ilsacrificio dell’astensione dalconsumo) può produrre unvizio pubblico (un minorlivellodelredditonazionale).
Attraverso questomeccanismo, un aumento dispesa, data la propensione alrisparmio, produce unmaggior livello di reddito, epoiché la spesa è fatta, tra lealtre voci, di investimenti, senedevededurre che sonogliinvestimenti che causano ilreddito nazionale e i profittiche ne sono una parte:concetto incomprensibile perun’impresa, che considera ilprofitto come la causa del
proprio investimento; maancheperlafamiglia,incuiilrisparmio è la causa delproprio investimento. Allostessotempo,ilmoltiplicatorespiega come unadistribuzione del reddito chefavorisce i salari rispetto aiprofitti, poiché fa crescere lapropensione al consumo,maggiore per i primi rispettoai secondi, tende a faraumentare il livello delreddito nazionale: è un caso
interessanteperché,mentreingenere i consumi dipendonodal reddito,qui è il reddito adipendere dai consumi (chesono chiamati «consumiautonomi»,enevedremoaltriesempi), che perciòinfluenzano la domandaeffettiva.Infine,seè laspesapubblicaamettere inmoto ilmoltiplicatore, allora loStatopuò far aumentare domandaeffettiva e occupazione.Keynes ha rovesciato
l’affermazione di Say: ora, èla domanda (la spesa) chedeterminalapropriaofferta.Lunga è stata la
discussione sulmoltiplicatore, perché dàmolto fastidionelmodellodiequilibrio generale e nelleelaborazioni liberiste, datoche si presenta comel’inversione del modo diragionaredeisingoliindividuiche, proprio per questo, nonsanno le conseguenze delle
proprieazioni,esen’èmessoin dubbio il significatoquantitativo (è piccolo,ininfluente, una curiosità)13.È vero che in economiaaperta il moltiplicatore è ingenere inferiore a quello diun’economia chiusa (perchéla propensione a importaresottraedomandaall’economianazionale),mailmeccanismoèsempreoperativo(perchéleimportazionidiunPaesesono
le esportazioni degli altri).Non è stato possibile, infatti,smentire l’essenza delmoltiplicatore, che separanettamente, come Mosè ilMarRosso,lamicroeconomiadalla macroeconomia,annullando l’edificioequilibrista14.
i)Sull’efficienzamarginaledelcapitale.NelKeynesdellaTeoria Generale, gliinvestimenti non dipendono
dal reddito, ma appaionocome funzione del tasso diinteresse (l’efficienzamarginale del capitale): sidisegna la domanda diinvestimentocomeunacurvachedipendeinversamentedaltasso di interesse. Riducendoil tasso, diventerebbero piùconvenienti progetti a minorrendimento,innestandonuovadomanda effettiva; eviceversa.Wicksellavevagiàdefinito un tasso «naturale»
di interesse – che riflette ilrendimento dell’investimento– distinguendolo dal tasso dimercato – che riflettel’emissione di moneta – eillustravacomeunariduzionedel tasso di mercato rispettoaltassonaturaleavrebbefattocrescere l’investimento (unargomento simile a quellodell’efficienza marginale delcapitale). I ragionamenti diKeynes e di Wicksell sonomicroeconomici, perché
aggregano aspettative deisingoli agenti che sarebberotutte coerenti tra loro: esembra plausibile, quanto alrapportofratassodiinteressee tasso di rendimento perciascuna impresa, ma nonquando si mettono insiemetanti diversi progetti di tantidiversi soggetti. Keynesstesso, infatti, afferma che larelazionefratassodiinteressee investimenti non è stretta;perciò,segli«spiritianimali»
nonavesserofunzionatonellacrisi, egli prospettava una«socializzazione» degliinvestimenti, ovverol’interventodirettodelloStatonellaproduzione.Difatti,sesipartecondomandabassaoinflessione, una riduzione deltassodiinteresseriducesoloicostifinanziaridelleimprese,manonfacrescere ilvolumedeiprestiti,perchéleimpresenonvedonounaumentodelladomanda dei loro prodotti; i
progetti a basso rendimentoexantesonosemplicementearendimentonulloexpost.Traitantieffettidiunariduzionedel tasso di interesse, nonbisogna dimenticare che essasegnala15 un aumento delvalore dei titoli sul mercatofinanziario, e può sempreaccadere che alcuni operatoripreferiscano investire,anziché in beni e servizi, intitoligiàesistentisenzaeffetti
sulla domanda di beni eservizi – se si trattasse dititoli nuovi destinati afinanziarenuoviinvestimenti,il risultato sarebbe diverso,manellecrisi le impresenonemettono nuove azioni,perché non investono. Infine,una riduzione del tassoaumenta anche il valore delmagazzino, ciò che puòspingere qualche operatore arimandare l’investimento peradeguarlo.
Più in generale, sianell’impresa sianell’economia, se i progettisono ordinati sulla base delrendimentoatteso, scontati ailoro valori attuali, al variaredel tasso di sconto16 varieràl’ordine dei progetti e lastessa forma della curva17,chehaperciòsignificatosoloaun tassodiscontodatoeaun tasso di interesse dato(poiché, nell’economia
dell’equilibrio, i due tassisono parenti stretti)18 – secambia il tasso di interessecambierà anche la curva,disperdendo il risultato.Occorre anche comprendereche i tanti progetti di tantediverse imprese non sonoindipendenti gli uni daglialtri, e la realizzazione dialcuni può alterare ladecisione in merito ad altri:nel frattempo, cambia la
domanda effettiva, il reddito,ilrisparmioeilprofitto19–eperciò anche la curvadell’efficienza marginale delcapitale. Possiamorappresentare il problema intermini semplificati: in unmodello di economia dovesolo i capitalisti risparmiano,risparmio e profitto sonoidentici e perciò il profittodipenderàdalredditoequestodall’investimento, piuttosto
che viceversa: se il tasso diprofittoe il tassodi interessesonoanaloghi,anche il tassodi interesse dipenderàdall’investimento (e nonviceversa) – ma i capitalistinonlosanno.Inpiù,anchesel’investimentofossedecisodaciascuna impresa secondo ilconcetto di efficienzamarginaledelcapitale,nonnesegue che l’aumento dellacapacità produttiva derivantesarebbe effettivo: non c’è
ragione che la domandacresca tanto da utilizzarepienamentelanuovacapacità,perché sarebbe necessarioche i salari crescessero inproporzione all’investimento,ma nulla lega le duevariabili. Di mezzo c’è laregola aurea dellaproduttività,dicuipiùavanti.È in gioco una legge
macroeconomica: ineconomia chiusa, e perl’intera economia
capitalistica, l’investimentofinanzia se stesso, creandosempre il risparmionecessario,indipendentemente dal tassodiinteresse.Naturalmente,sel’aumento degli investimentiavviene in un momento dipiena occupazione, allora ilmoltiplicatore funziona, maproduce inflazione e unaumento solo nominale dellivellodelreddito.
ii) Moltiplicatore, politicamonetaria, preferenza per laliquidità. Ci viene propostoche al crescere degliinvestimenti,selaquantitàdimonetanoncresce,iltassodiinteresse aumenterà,riducendo la spesa perinvestimenti e annullando ilmoltiplicatore (è un’ipotesidella sintesi neoclassica diHicks). La quantità dimoneta,invece,cresceperchéi maggiori investimenti
richiedonomaggioriimpieghibancari, che inevitabilmentetornano alle banche eproduconomaggiori depositi,moltiplicando la monetabancaria (vedi più avanti):quando si suppone che lamoneta non accomodiautomaticamente la crescita20si assiste a una distorsioneneoclassica avversa almoltiplicatore e allepoliticheperladomandaeffettiva.
Aquestoproposito,valelapenaspenderequalcherigasuuna teoria, tanto curiosaquanto falsa, per la quale,rovesciando tutto ciò chesappiamo, una politica diausterità produrrebbe effettiespansivi; in particolare, unapolitica di tagli alla spesapubblica farebbe crescere ladomandaeffettivaperché«segli operatori ritengono cheridurre il deficit pubblicoriduce la probabilità di
maggiori aggiustamentifiscali nel futuro… allora siaspettano unmaggior redditoinfuturoespenderannodipiùal momento presente»21; inquestomodo,l’interoedificiodelmoltiplicatoreèannullato,sostituito dal gioco delleprevisioni: ma è solo unavariazione sul ragionamentoerratodiBarro inmerito allaneutralità ricardiana, eall’inutilità della politica
economica.Qui si apre il tema della
politica monetaria. Keynesammettevacheuna riduzionedei tassi di interesse (unaumento della quantità dimoneta) poteva far crescerel’investimento; ma avevaancheintrodottoilconcettodipreferenza per la liquidità22.Il tasso di interesse non è ilpremio per la virtùdell’astinenza, dato che se
tieni i soldi nelmaterasso (osiseppellisceuntalentonellaterra) nessuno ti paga uninteresse; il tassodi interesseè così un fenomenomonetario, che non riflettenecessariamente ilrendimento degliinvestimenti, perché famiglieeimpresepreferisconorestareliquide o per profittare delleopportunità che possonopresentarsi sul mercato operché l’incertezza su come
agire ne blocca le decisioni.Di qui, la ben nota «trappoladella liquidità», quandofamiglie, imprese e societàfinanziarie,alridursideitassidi interesse e in attesa di unlorofuturoaumento(odiunafuturaminoreincertezza)noncomprano obbligazioni (eperciò azioni). Anche lebanche non prestano, perchénon riusciranno acartolarizzare (rivendere) ilprestito che, agli occhi del
possibile acquirente,presenterà lostessoproblemadelle obbligazioni: in questofrangente non solo lariduzione del tasso diinteressenonèefficace,malacrisi si aggrava, perché lapreferenza per la liquiditàriduce la spesa (lapropensione al risparmio èmaggiore).Sinoteràcome,anchequi,
le aspettative siano comuni atuttigliagentieconomici,ma
non può essere così.Preferiscono tenersi liquidi,infatti, solo quelli che hannole risorseper farlo,mamoltefamiglie e imprese, in ogniistante, sono povere oinsolventi. Quando, poi, ilreddito nominale diminuisce,diminuisce anche il numerodi chi può tenersi liquido;anzi, molte famiglie eimprese, al diminuire delreddito, spenderanno laliquidità che avevano per
compensare proprio quellariduzione: nelle crisi ilconsumo diminuisce menodel reddito, e la propensionealrisparmiocalainsiemeallapreferenza per la liquidità.Quanto più profonda è lacrisi, tanto minore sarà ilvolumediliquiditàtrattenuto,maselacrisièmoltodura,allimite la liquidità saràinteramente spesa perconsumidellefamiglieecostidiretti delle imprese. Certo
non si vedrà nuovoinvestimento, non per latrappolamaperchénellacrisi,anche se la domanda diimpreseefamigliediminuiscemenodellororeddito,tuttaviadiminuisce,eallafinecauseràuna riduzione del redditonazionale: il moltiplicatorenegativoèsolofrenatofinchélapropensionealrisparmiosiriduce a favore di quella alconsumo, ma non siricostituiscono l’occupazione
e la domanda precedenti.Così, l’eccesso di liquiditàpuò non rendere efficace lariduzionedeitassidiinteresseai fini dell’investimento, mail caso più generale derivatale inefficaciadall’insufficienza delladomandaeffettiva.Si tornaaquantoavevamo
già visto: quanto più èduratura una crisi didomanda,tantomenoefficacesarà la politica monetaria.
L’eccezione principale stanella combinazione trapolitichemonetarieespansivee l’acquisto del deficitpubblicodapartedellabancacentrale:ciòcheconsentesiaaumenti salariali nel settorepubblico (guida per aumentinel settoreprivato,quandocisi avvicina alla pienaoccupazione) sia soprattuttomaggiore spesa pubblica;l’alternativa sta solo nellasvalutazione della moneta
nazionale o in altre formeprotezionisticheperridurreleimportazioni e aumentare leesportazioni.Lo Stato, nei propri
esercizi di finanza pubblica,applica sempre ilmoltiplicatore, anche quandola sua politica economicaaderisce alle teorie che lonegano23, perché altrimentinon valuterebbe gli effettidell’aumento o della
riduzione della propria spesao delle imposte; quando glieconomisti dei capitalistigiungono al governo,applicano il moltiplicatore,ma quando tornano a fornireconsulenzaalleimpreseoallebanche centrali, se lodimenticano.
5.Ilmoltiplicatoredeidepositibancari
Èevidenteilrapportotrailmoltiplicatoredellaspesaeilmoltiplicatore dei depositi (odelcreditoodellamoneta):inun sistema bancario, gliimpieghi (l’attivo)determinano i depositi (ilpassivo) e non viceversa,come pensano i risparmiatorielestessesingolebanche.Perchiarire, con ilmoltiplicatorediKhan-Keynes,unaumentodegliinvestimenti(I)generairisparmi (S) necessari per
finanziarlo. Con ilmoltiplicatoredeidepositi,gliimpieghi (L) generano idepositi (D) necessari perfinanziarli. Supponendo chel’aumento degli investimentisia stato tutto finanziato conimpieghi bancari, questi sitrasformano in depositi chesono, perciò, identici alrisparmio generato dagliinvestimenti.PoichéI=SeL=D,seL=I,alloraS=D24.
Naturalmente,nonèverochelapropensioneal risparmioèla stessa cosa dellapropensione a depositare ipropri risparmi – in mezzoc’è la preferenza per laliquidità, l’investimento intitoli, la speculazione, lefughe di capitale, ecc. Ma ilpunto importante è chequandocrescel’investimento,cresce anche la quantità dimoneta bancaria25. Non è
detto che gli investimentisiano tutti finanziati conprestiti: perché se ènecessario fornire garanzie oanticipare una caparra, allorasarebbelacapacitàfinanziariadel debitore a determinare laquantità di investimento.Quale che sia la regola delfinanziamento, però,l’investimento risultante saràsempreugualeairisparmi,eidepositi tendenzialmenteuguali ai prestiti, cosicché la
quantità di moneta bancariasarà tendenzialmente sempreadeguata: di nuovo,l’avverbio è necessario pertener conto della preferenzaper la liquidità; sono liquidiancheidepositiavista,masela banca è regolata così daprestare solo sulla base didepositi vincolati, allora visaràunlimiteall’emissionedimoneta bancaria. Se questaregolazione, invece, manca,alloralamonetabancariasarà
sempre prodotta in quantitàsufficienti. D’altra parte, ilmoltiplicatore dei depositi,non limitato dallaregolazione,nonimpedirebbealle banche di emetteremoneta in eccesso (ineconomiachiusa).Il moltiplicatore dei
depositinonècheilreciprocodelle riserve, ed è sempremaggiore di 1, perché lebanchemettonoariservasolouna quota degli impieghi;
teoricamente, se nonmettessero nulla a riserva, eseladomandadiprestitifosseillimitata,creditoemonetasimoltiplicherebberoall’infinito. In generale, lebanche si dotano di riservetanto maggiori quanto piùlungaèlavitadeiprestitichefanno, e lenta la restituzionedel principale da parte deldebitore: come ogni impresa,del resto, che se deveinvestire dovrà trovare il
capitale necessario. Con ilmoltiplicatore dei depositi,però, il capitale torna allebanche, e l’attività nonavrebbe bisogno di attenderela restituzione del prestito,esattamente come accade peril moltiplicatore della spesa,dove il risparmio generatofinanzia la spesa iniziale;male singole banche sonoinconsapevolideglieffettidelmoltiplicatore.LaStoria,però,cidiceche,
lasciateasestesseequandoilgrado di monopolio delsettoreèelevato,lebanchesirendono conto che ogniimpiego crea un deposito, equesto a sua volta un nuovoimpiegoeunnuovodeposito.La moneta bancaria, cosìcreata, è moneta a tutti glieffetti, ed è denominatamonetaendogena–nelsensoche è il mercato che la crea(Wicksell è stato forse ilprimo a identificare questa
moneta) – e si differenziadallamoneta esogena, che èquella regolata dalle banchecentrali. Se la banca fossecerta che i suoi impieghicausanoisuoistessidepositi,sarebbe spinta a produrretanta moneta quantonecessario per prevaricaresulloStato e sui capitalisti, eprima o poi, a far crollare leborse o, a seconda del gradodi utilizzo della capacitàproduttiva dell’economia, a
produrreinflazione.Tantopiùmonopolistica è la forma delmercatofinanziario,tantopiùla singola concentrazione, iltrust o il cartello sanno chesono gli impieghi a crearedepositi, ma non interessalorocheuneccessodimonetabancaria possa provocareinflazione. Quandol’emissione di monetabancaria si accompagna a unaumento del prodottonazionale, le banche
continuerannoadaumentareipropriimpieghianchealdilàdel limite della capacitàproduttiva (ma vedremo checi sono limiti dal lato delladomanda di prestiti); imoltiplicatori produrrannoreddito nominale crescente ele banche continueranno aprestare anche in presenza diinflazione: i loro ricavi,infatti, crescono con gliimpieghi e non diminuirannoin termini reali, una
condizione sempredimenticata sia nei modellisia nelle politicheeconomiche. Questo è unpericolo immanente nelleeconomie e un vantaggiostraordinario delle societàfinanziarie rispetto alleimpresenonfinanziarie.Quando, invece, la
concorrenza tra banche èattiva,nonc’ècertezzacheildeposito conseguenteall’impiego ritorni alla stessa
banca, e ogni nuovo impiegoha bisogno di nuovo capitaleariserva.Tuttavia,sequalchebanca aumentasse i propriimpieghi, altre bancheregistrerebberounaumentodidepositi e delle riserve, epotrebbero aumentare gliimpieghi.Poichéilprocessoèinconsapevole, se non avesseun freno, anche in questocaso si produrrebbeinflazione: ecco una leggemacroeconomica. Di qui,
infatti, nasce logicamentel’obbligo di riserva impostodalla banca centrale, e lamoneta si moltiplica inproporzione al coefficienteche lega gli impieghi aidepositi – la monetaendogena si trasforma inesogena26.Torniamo sui nostri passi.
Il temadelle riservebancarieè centrale per il loro effettosui tassi di interesse.
Consideriamo un sistemabancario nel quale laregolazionefissilaquantitàdiriserve che ogni banca devedetenere: al variare dellaregola, varierà la quantità diimpieghi di ciascuna banca,con il risultato che regolemeno (più) severe possonofar crescere (diminuire) gliimpieghi; ne seguirebbe chela politica monetaria èdecisiva. Inoltre, se unadiminuzione del tasso di
interesse equivalesse a unaminore severità del creditobancario (perché un aumentodella quantità di moneta fadiminuire il tasso diinteresse), allora la stessariduzione del tasso farebbecrescere gli investimenti:l’efficienza marginale delcapitale tornerebbe a esserevalida.Ricordocheseiltassodiinteressesiriduce,ilvaloredelle riserve delle banchecresce, e cresce anche la
quantitàdi impieghicheessepossonoestendere.La questione è di grande
importanza perché ha dettatole politiche monetarie,almeno dalla fine del XIXsecolo, ma è mal posta.L’ipotesi nascosta nelragionamento è che esistasempre una domandad’investimenti che attende diessere finanziata, ma sel’economia è in crisi, ladomanda di investimenti è
bassa o nulla, e la maggiordisponibilità di credito o lariduzionedeitassidiinteressenonlafaaumentare,esitornaalla critica dell’efficienzamarginaledelcapitale.In realtà, non tutti gli
impieghi sono uguali: non èindispensabile, per l’aumentodegli impieghi, che vi siadomanda di prestiti perinvestimentiinbenieservizi,perché è possibile che siformiunadomandadiprestiti
per investimenti in titoli, ealla singola banca dovrebbeessereindifferenteselasceltadel suo debitore consistenell’acquistare beni e servizio titoli. In questo secondocaso, però, gli impieghi noncreano necessariamente27depositi che possano esserereimpiegati, e le banche sicomporterebbero soltantocome un magazzino di titolialtrui; il moltiplicatore dei
depositi si incepperebbe.L’ipotesi non è di scuola: sispecula sempre al rialzo e alribasso, anche inun’economia in crisi, perchési opera sulle previsioni dimaggiore o minore crisi diciascuna impresarispettoallealtre, ed è per questo chenelle crisi il prestito dellabancaè speso in titoli,anchedellastessabanca,anzichéinbeni e servizi. Si presentacosì, nelle circostanze che
vedremo, una scelta dipoliticabancaria:sefavorireiprestiti che danno luogo adepositi,oiprestitichedannoluogo ad acquisti di titolidella banca, che neaumentano il capitale.Entrambi gli esiti fornisconocapitaleallabanca:masolo iprestiti che aumentano idepositi riguardano tutte lebanche, gli altri sonospecifici a ciascuna banca, efrenano il moltiplicatore dei
depositi; e le banche, se nonfossero regolate, non losaprebbero. Ecco perché ilmoltiplicatore dei depositi èunaleggemacroeconomica.Per chiudere, questo
moltiplicatoreerabennotoaimicroeconomisti, ma erarelegato allo studio dellamoneta, che nel modello diequilibrio economicogenerale è assente, perché lamoneta è velo (e nessunmodello di quel tipo mi
sembra abbia mai indicatodove fosse finita la monetabancaria)28.
6.Lamonetafiduciariaeilsignoraggio
Gli operatori economici ele famiglie hanno bisognodella moneta per scopitransattivi, precauzionali,speculativi: la sua utilità stanelle sue funzioni, non nel
suo valore intrinseco (oro,argento) come nel mondoantico. Essi, tuttavia, nonsono consapevoli o noninteressalorosaperecheogniemissione di monetafiduciaria fatta dalla bancacentrale29, non sorretta daalcunariserva, non è che uncredito gratuito provvisto daicittadini allo Stato: ecco unalegge macroeconomica. È ilsignoraggio, che si può
definire anche come unatariffaperl’usodellamoneta.Il nomenonè senza senso30,perché la moneta emessadallo Stato ha valore per gliindividuisesonocerti(hannofiducia) di poterla scambiarecon beni e servizi, con titoli,dimetterlanelmaterasso,odifarla recapitare in Svizzera.Moneta fiduciaria è tutta lamoneta:siaquellacartaceaincircolazione sia quella
bancaria. Quest’ultima èfiduciaria anche se le banchecommisurano i loro impieghialle riserve, perché è ilmoltiplicatore dei depositicheformalamonetabancaria,ed è la banca centrale che,alterando l’obbligo diriserva31, ne regola laquantità,senzacheciòscuotala fiducia degli operatori neiconfronti delle banche. Leriserve accumulate dalle
banchecentrali,a lorovolta,non sono commisurate allaquantitàdimoneta fiduciariaemessa,ma servono a parareil rischio che il deficit dellepartite correnti della bilanciadeipagamenti (cosapossibilese con la moneta si compraall’esteropiùdiquantononsivenda)nonsiacompensatodaun surplus nelle partite dicapitale. Queste riserve sonogeneralmente composte divalutefiduciariedialtriPaesi
(il dollaro, lo yen, l’euro),anchesel’oro,cheormainonserve, è ancora conservatocomeunareliquia.Lo Stato, se vuole, può
usare l’emissione di monetafiduciaria per finanziare laspesa pubblica. Poiché lamonetafiduciarianonèfruttodi uno scambio, comeavveniva nel caso del talloneaureo, nessun agenteeconomico è partecipedell’offerta di questo bene,
che dipende esclusivamentedalla sovranità dello Stato.Per l’agente economico, chelegge i libri di testo deglieconomisti che si attengonoai modelli di equilibrio, lamoneta non produce effettidiversi dal baratto, e lamoneta fiduciaria è unfurto32. Che possa portaredanni, attraverso l’inflazione,è ciò che si deriva da queimodelli, che dunque la
espungonodallateoria,eanziindicano proprionell’emissione di monetafiduciariaunaformadipotereassoluto. Che possa portarebenefici non è previsto. E ibenefici sono tutti a livellomacroeconomico.In effetti, in economia
chiusa, una banca centralepuò emettere una quantità(quasi) illimitata di monetafiduciaria, e ciò non sarebbepossibile se la moneta fosse
emessa in proporzione alleriserve (in oro, in titoli, inmerci, in valuta); il limiteall’emissione è dato dalpericolo di inflazione che, asua volta, dipende dal livellodi occupazione o, più ingenerale, dal rapporto tralivello della domandacomplessiva e livello dellacapacitàproduttiva.Poiché abbiamo
argomentato che l’aumentodella quantità dimonetanon
ha effetti diretti sulladomanda effettiva, perchéquestapossaesserestimolataoccorre che l’emissione dimoneta sia destinata afinanziare la spesa pubblicain deficit: il maggior debitopubblico resta nelle riservedella banca centrale, e nondetermina effetti sui tassi diinteresse sul mercatofinanziario,almenofinoachela corrispondente emissionedi moneta non ha effetti
inflazionistici o, se si vuole,finoache l’effettoespansivodella spesa pubblica nonincontra un limite nellacapacità produttiva. Ineconomia aperta, la barrierainflazionistica è anticipatadalla propensione aimportare: non è detto chel’emissione di moneta creiinflazione, ma la bilanciacorrente dei pagamenti entrain passivo, e con liberacircolazione dei capitali la
speculazione può costringerea frenare l’emissione dimonetafiduciaria33.
7.Iltempo
Esiste il tempomicroeconomico dei singoliindividui, e dei capitalisti, eun tempo dello Stato e dellamacroeconomia. Il primo èlegato alla preferenzatemporale per il presente
rispetto al futuro, che èspecifica dei singoli, emoltodiversa tra ricchi e poveri. Iltempo dei ricchi vale di più,semplicemente perché il lororeddito, quale che ne sial’origine, è maggiore diquello dei poveri: «perdere»tempo è più oneroso per iprimi che per i secondi. Èanche diversa la preferenzatemporaledeigiovanirispettoai vecchi, perché, questivalutanomoltopiùilpresente
del breve futuro che liattende. Non è, invece,possibile assegnare unapreferenza temporale alloStato, tra presente e futuro,perché, a differenza degliindividui, la cui vita èlimitata,quelladelloStato,inlinea di principio, è eterna;per questa stessa ragione, èindifferente se lo Stato siaricco o povero, ai fini dellasua valutazione del tempo. Iltempo dello Stato, a ben
vedere, dipende dal tempodella macroeconomia, che èfunzione della sua stessadinamica strutturale; questa,purprovenendodapreferenzedei consumatori e da scelteimprenditoriali, nonne è unasemplice sommatoria. Lamacroeconomia, perciò, ècaratterizzatadaunaspecificanozioneditempocheloStatopuò far propria solo aposteriori, quando sideterminano conflitti tra le
sue esigenze atemporali e lerisorse disponibili persoddisfarle: i capitalisti e lefamiglie, infatti, non sannoche il tempo dello Stato èdiversodalloro,ancheperchélo Stato si finanzia dai lororedditi con le imposte e dalloro risparmio con il debito,elementi rilevanti nelle lorosceltetemporali34.Così, mentre i capitalisti,
nel misurare i futuri ricavi
dall’investimento, devonoscontarli a un tasso chemisura la loro preferenza peril presente, per lo Stato nondovrebbe essere così. Pigou,adesempio,pensavache,perrispettare gli interessi dellefuturegenerazioni, il tassodisconto praticato dallo Statodovesse essere uguale a zeroo, addirittura, negativo (perevitare di sfruttare le risorseoggi, impedendone ladisponibilità alle generazioni
future).Non sono in grado di
definire il tasso di interesseapplicabile allo Stato eall’economia nel suocomplesso. Forse, comePasinettihasuggerito,iltassodi sconto sociale èequivalente al tassod’incremento dellaproduttività che, accrescendolaquantitàdisponibiledibenieservizi,neriduceilvalore–e in questo modo, il futuro
varrebbe meno del presente.Tuttavia, ciò è ragionevolesoloinassenzadella leggediEngel (sulla variazione dellacomposizione del consumo,vedi più avanti): i nuoviprodotti, infatti, non sonocomparabiliaquellivecchi,esolo il valore di questidiminuisceneltempo.Inaltritermini, l’aumento dellaproduttività della forzalavoroperl’economianelsuocomplesso è misurabile in
termini di beni o di valore,solo se la struttura dei benidomandati e offerti noncambia.Si potrebbe forse
argomentareche,adifferenzadei singoli individui, deicapitalisti, dei lavoratori, deiconsumatori, le imprese sonoorganizzazioni il cui tempononèmisurabileconunciclodivita individuale.Maanchele imprese dovrebbero avereuna preferenza temporale per
il presente, non perchépreferiscanolaspesacorrenteall’investimento,ma perché iricavi futuri produrrannoinvestimenti e profitti futuri,mentre i ricavi presentiproducono investimenti eprofitti immediati e, adifferenza dei ricavi futuri,non precludono possibiliopzioni. Inoltre, lacomposizione dell’impresa(dei fattori della produzione,delle singole funzioni
organizzative, dei suoimercati di sbocco) non èstabile per definizione, vistoche l’impresa deve tendere amassimizzare il profitto incircostanze che, derivantidallepropriedecisioni,dannoluogoaeffettinonconoscibilisull’economia nel suocomplesso,eperciònonpotràmai avere l’«eternità» delloStato.La macroeconomia ha,
quindi,una specificanozione
di tempo che i capitalistinonpossonocapire,ancheperché,dato che lo Stato si finanziadai loro redditi, pensano cheesso abbia la loro stessaconsiderazione del tempo.Nonostante il modo difinanziarsi,restaverocheperlo Stato il tasso di sconto èsempre diverso da quello deisuoi cittadini. Se il tasso diinteressemisura il valore deltempo, poiché lo Stato è«eterno», il tassodi interesse
che lo caratterizza è perdefinizioneugualeazero.Se,invece, il tasso di interesse èuguale al rendimento futuroatteso dell’investimento, epoichéanche loStato investeallo scopo di ottenere unrendimento (collettivo,sociale) che corrispondeall’inevitabile cambiamentodella società, allora il suotassodiinteresseèdiversodazero35. Mentre la preferenza
temporale per lo Stato èirrilevante, la dinamicaeconomica non lo è: eun’economia non può evitaredicambiare,comevedremo.Restaperòverocheiltasso
di rendimento (di interesse)dello Stato è sempre diversodaquellodei suoicittadini, eciò fa nascere un problema,traStatoecapitalisti:ilmodostorico degli Stati difinanziareiltassodiinteresseche devono pagare sul
proprio debito, consistenell’emettere monetafiduciaria, ma questo non èun modo legittimo per chi,come ilcapitalista,pensachenon esista «un pasto gratis»(come afferma Friedman).Esistono altri modi difinanziare lo Stato (leimposte, l’inflazione, il tassodicrescitadell’economia),maè la moneta fiduciaria la suafonte originaria, quella chenei modelli di equilibrio e
nella cultura politica deicapitalistièunfurto.
8.LaleggediEngel
Gli individui, come leimprese, non possono saperecome,alcresceredelreddito,cambia la struttura deiconsumi:è la leggediEngel,un oscuro funzionarioprussiano del XIX secolo,amante della statistica, che
notò come al crescere delreddito, il consumo di beninecessari (alimentari, adesempio) delle famiglieaumentava meno che inproporzione al reddito.Questa legge è simile allaconcezione del reddito disussistenza di alcunieconomisti classici, per iquali il livello di sussistenzanon era semplicemente ilconsumo necessario per lasopravvivenza e la
riproduzione,ma incorporavail cambiamento storico neglistili di vita: al cresceredell’economia un numerocrescente di beni diventavameno necessario, o, detto inaltro modo, il loro consumoaumentava meno che inproporzione al reddito, eperciò la struttura deiconsumi cambiava con lacrescita.Ciascun individuo si
accorgerà del cambiamento
quandoègiàincorso,manonpotrà conoscerlo ex ante.Ancheseèperfinoovviochela struttura dei consumi sirinnovi,tuttavianonènotoinquale direzione, se non agrandi linee (servizi controalimentari): non è inquestionel’incertezza,perchéil fenomeno è certo, ma lacapacità di anticiparlo daparte dei soggettidell’economia.Sitrattadiunaleggesocialeche,comemolte
altre, pur dipendendo dalladiretta volontà dei singoli,non li rende consapevoli deisuoi effetti (Durkheim36
approverebbe, credo)37. Laconseguenza è che siamo difronte a un’altra smentitadella teoria delle aspettativerazionali: semplicementeperché, se anche larappresentazionedell’economia fosse comunea tutti i soggetti, sarebbe
sempre sbagliata, e perciòinutile.Più in generale,
un’economia è dinamicaquandovarialacomposizionedelladomandadiconsumo,equesta variazione è diversaper i diversi individui inrelazioneal rispettivo redditopro capite: la legge cominciaa funzionare dai redditi piùalti, al crescere del reddito,per poi trasmettersi ai redditiinferiori. Le preferenze,
perciò non sono omotetiche(vedi sopra), e al modello diequilibrio generale viene amancare un’ipotesinecessaria.Da dove provenga lo
stimolo (individuale, macertamente anche sociale) èstato oggetto di ricerca. Èinevitabile il riferimento allostudio ormai classico di J.S.Duesenberry (1949) chedescrive un fenomenoapparentemente simile a
quelloespressodallaleggediEngel come un «effetto didimostrazione»: ciascunindividuo tenderà a essereinsoddisfattodelproprio stiledi vita (struttura delconsumo) se ritiene che altrine abbia uno piùsoddisfacente,e l’emulazionesarebbe la causa psicologicaper una permanente crescitadella varietà dei consumi.D’altraparte,l’ideadel«keepup with the Joneses»
(l’imitazionedelconsumodelceto più ricco) semplificatroppo le complessità dellapsicologiasocialeedimenticache occorrerebbe sempregiustificare il cambiamentonella varietà dei consumi deipiù ricchi, che non devonoemularenessuno;inoltre,seilpiù ricco all’apice dellapiramide della ricchezza è ilproprietario del capitale, nonè il consumo ciò che necaratterizza il
comportamento, mal’accumulazione.Non sono in grado di
approfondire il tema, maricordo che nelle società checonsideriamo primitive, lastruttura dei consumi nonvariae la leggediEngelnonfunziona, come accade neimodelli di equilibrioeconomico generale (!). Nescaturisce che la legge diEngel è una caratteristica delcapitalismo fin dalla sua
antica origine38:l’investimento ha senso se iconsumi crescono, ma iconsuminoncresconosenoncresce il reddito, e alcrescere del reddito non sipossonoconsumaresempreinmaggiori quantità gli stessibeni e servizi, senzainfluenzare negativamente lapropensione al consumo e,per questa via, il reddito e,alla fine, l’investimento.
Questa catena di eventi (ilcuore della dinamicaeconomica) non è nota néprevedibileper i capitalisti, eil motivo del profitto sispegnerebbe se la catena siinterrompesse. Lo Statosembra l’unica forza perevitarlo e rimediarne glieffetti: le crisi sono anchequesto. La legge di Engel è,perciò, una leggemacroeconomicaspecificadelcapitalismo.
9.Ilprogressotecnico
Il progresso tecnico hanatura simile alla legge diEngel: il fenomeno èperseguito continuamentedagli agenti economici,ma ilrisultato economico generalenon è loro noto. La ragionemicroeconomica delprogresso tecnico è chiara: èperfinobanalecheleimpresericerchino nuove tecnologieper innovare i beni prodotti
(ma siamo nella legge diEngel che obbliga alcambiamentodelletecnicheeal cambiamento dellastruttura dei consumi), persconfiggere la concorrenza,perridurreicostidellavoroedel capitale e, in genere, permassimizzare il profitto: mache ciascuno lo faccia, nonimplica ancora nulla perl’economia nel suocomplesso. Supponiamo cheun’impresadecidadiadottare
unanuovatecnicaarisparmiodi lavoro: la sua domanda diinvestimentoaumentae,perilmoltiplicatore, fa crescere ilprodotto nazionale el’occupazione; tuttavia, latecnica adottata non aumentala disoccupazione solo sel’occupazione generata dalmoltiplicatore compensaperfettamente l’originalerisparmio di lavoro, ma nonc’è garanzia che ciò accada.Né accade se la nuova
tecnologia è generale (comel’informatica),perchénonc’èuna relazione altrettantogenerale tra l’originalerisparmio di lavoro el’occupazione provocata dalnuovo investimento. Comegià osservato, il singoloimprenditore non ha laminimaideasel’occupazioneperduta nell’impresaspiazzata è compensatadall’aumento nella suaimpresa:enonneènemmeno
interessato. La letteratura inproposito è ampia, maaffronta il problemasupponendo che lacompensazione avvenga(l’offerta crea la propriadomanda): un’ipotesiinsostenibile, perché ognicambiamento tecnologicoaltererà in modi nonconosciuti l’intera matrice diLeontief.Quale che sia la natura
della ricerca di nuove
tecnologiedapartedisingoleimprese, manca, nella teoriaeconomica, una causanecessariaesufficienteperlaquale ilprogresso tecnico siaelemento permanentedell’economia nel suocomplesso – perché la spintaainnovareècertamentepartedi una dinamica economicapermanente, non una serie dieventioccasionali.Marx riteneva che
l’accumulazione di capitale
avesserendimentinegativi(lacaduta tendenziale del tassodi profitto) e che ciòstimolasse la ricerca e ilprogresso tecnico.Anche perKeynes39, nel lungo periodol’efficienza marginale delcapitaleènegativa,altrimentinon si formerebbe unascarsità di capitale che negarantisce il rendimento.Cheil capitale immobilizzato inimpianti e in edifici abbia
rendimentimarginalinegativiè plausibile, ma nonsappiamo molto del capitalenell’aggregato:nonesisteunacurva del rendimentomarginale del capitale cheabbia le caratteristiche dellefunzioni di produzioneneoclassiche (cheassomigliano molto all’ideamarxiana della dinamica delcapitale). Come vedremo,infatti, è molto difficileparlare del capitale
nell’aggregato cui poiassegnare funzioni diprogresso tecnico, e ciòperché i capitali fisici nonsono sommabili senzaconoscereprima il lorocosto(o valore), nel quale ècompreso necessariamente iltassodiinteresse,chedunquedeve essere noto prima delcosto(valore)delcapitale:mail tasso di interesse, per gliequilibristi, deriva dalrendimento del capitale,
generandouncircolovizioso.Non potendo aggregare icapitali fisici, si perde lamisura fisica dellaproduttività marginale delcapitale40, e non possiamodire se al crescere dellaquantità di capitale i suoirendimentidiminuiscano.Siamo alla ricerca di una
motivazione al progressotecnologico che non dipendadalla ridotta produttività dei
capitali esistenti,dall’aumento del reddito odalla diversificazione delladomanda per consumi: ci sipuò forse accontentare degli«spiriti animali», ma iltermine, quasi un ossimoro,nonsoddisfalasetedisapere.Si resta, così, senzaunaverateoria, ma è certo che, nellarealtà, il progresso tecnico èpermanente41.Rischiando di camminare
suunterrenoinstabile,sipuòforse ripetere, anche qui,l’osservazione fatta per lalegge di Engel.Nelle societàprimitive le tecniche sonodate,laproduttivitàmarginaledel capitale e il tasso diprofitto (netto) sono uguali azero, non c’è concorrenzaall’interno dei gruppi umani,non si massimizza l’utilitàindividuale42 né si accumula.È, forse, dalla nascita del
capitalismochesiassisteaunpermanente cambiamentodelle tecnologie, perché ilcapitalista è obbligato adadottare nuove tecniche (eprodurrenuovibeni)sevuolespiazzareglialtricapitalistieappropriarsidel lorocapitale,e lo deve fare sia perchéaltrimenti verrebbe spiazzatoeglistessodaaltri,siaperchédeve continuare adaccumulare. Non è inquestione la ricerca di
economie di dimensione, né,più ingenerale, ilmotivodelmassimo profitto: ecco ilpunto, è l’aspettoproprietariodell’accumulazione che è ingioco, forse la massimaespressionedell’individualismo(èilMarxdi «accumulate, accumulate,questa è la Legge e questodicono i suoi profeti»). Ilprogressotecnicodiventacosìun figlio diretto della ricerca
della massima ricchezza,l’accumulazione –comportamento individuale,ma comune a tutti iproprietari del capitale, chenon risponde a unaproduttività marginaledecrescente, che invecemotiva l’innovazione ai finidel massimo profitto. Sequantoindicatoèvero,siamoin presenza di una confermadi quanto già affermato: laricercadelmassimoprofitto–
un reddito – non è la stessacosa della ricercadell’accumulazione – laricchezza.C’è, infine, incertezza sul
risultato direttodell’applicazione delle nuovetecniche, o almeno c’èrischio, e non esiste unmodello di equilibrio chetenga conto, ex ante, dellecondizioni per il passaggiodalla ricerca allarealizzazione del nuovo
processo/prodotto e deglieffetti macroeconomici diquesto passaggio. Abbiamovisto come sono trattati gli«shock» esogeni derivanti danuove tecniche nelle teoriedel «ciclo razionale», ed ècurioso notare che quegli«shock», dei cui effetti nonsono consapevoli né gliinventori né chi applica leinvenzioni, producono ciclieconomici ma noncambiamentistrutturali.
In questa sede mi bastaforseosservareche,comenelcaso della legge di Engel,anche il progresso tecnicocambia la composizione delprodotto, ma il cambiamentoperlasingolaimpresaoperilsingolo settore è diverso dalsuo risultato per l’economianel suo complesso, dato chenesarannoinfluenzatetutteleimprese e tutti i settori inmodi non comprensibili exante.
Bisogna aggiungere cheprogresso tecnico e legge diEngel si influenzanoreciprocamente: ognicambiamento tecnologicoaltera la struttura dellaproduzione e del reddito, eperciò la struttura deiconsumi; ogni cambiamentonella struttura dei consumialtera la produttività delletecnologie esistenti e stimolalaricercadinuovetecnologie.Leconseguenzeriguardanola
trasformazione della matricedi Leontief e il relativomoltiplicatore: di nuovoelementiinconoscibiliexantedapartedelleimprese.In sintesi, gli effetti
macroeconomici delcambiamento delleproduzioni legate alla leggedi Engel o al progressotecnico, che sono elementicostituenti la dinamicaeconomica, non sonointelligibili da parte di
imprese o individui, e loStato,a suavolta,puòesseresorpreso sia dalla legge diEngel sia dal progressotecnico: ma possiede glistrumenti per rivelarnel’influenza e per correggerneladirezione,senonèinlineaconlesuepreferenze.
10.Laconcorrenza
Èconvinzionegeneraleche
la concorrenza sia una leggedi comportamento che nascenella psicologia individualema che, comune a tutti gliindividui, diventa una leggemacroeconomica; e sarebbequesto uno dei modi perpassare dall’economia deisingoliindividuiall’economianel suo complesso. Laconcorrenza, invece, è unodei frutti del velo diignoranza di Smith, il primoeconomista che ha legato il
suo nome a un fenomenocontrointuitivo.Seguendo Smith e gli
economisti classici, leimpresenonhannoungrandeinteresseafarsiconcorrenzaesoprattutto a subirla, ma visono costrette perché ladivisione del lavoro altera leconvenienze relative nellaproduzione come nelcommercio; d’altra parte, leimprese non devonoconoscere tutti gli effetti
diretti, indiretti, indotti e diretroazione delle proprieazionisusestesse,sullealtreimprese e, ovviamente,sull’economia nel suocomplesso. Perché ci siaconcorrenzaèsufficiente,peri classici, il motivo delmassimoprofittochesiattivaogni volta che cambiano lecondizioni del mercato, equeste cambianocontinuamente (divisione dellavoro, sussistenza crescente,
casoenecessità).Se si eccettua Marx, nei
classici non appare ilmotivodell’accumulazione: varicordato, perché,nell’accumulazione, laconcorrenza è endemica(l’ansia di accrescere laricchezza spinge adappropriarsi della ricchezzaaltrui)esimanifestaancheinassenza di cambiamenti nelladivisionedellavoro.Ciascuna impresa, in
queste circostanze mutevoli,si muove strategicamente ecompetecon lealtre secondole regole di un gioco, edesistono giochi che portanoall’equilibriodelmercato,main nessun caso un giocatoreconosce le carte degli altri,altrimenti il gioco nonesisterebbe più. Alla fine, lalegge della concorrenza è unfondamentomacroeconomicodella microeconomia nonperché concerne tutti, ma
perché operatori e individui,alla ricerca del profitto edell’accumulazione, non neconoscono le conseguenzeper l’economia nel suocomplesso.È diverso il concetto di
concorrenza per i teoricidell’equilibrio e dellosquilibrio. Anche qui laconcorrenza sarebbe ilrisultato diretto del motivodel massimo profitto, maquesto motivo si
esprimerebbe in una naturaleaggressività individuale ecomune a tutti, forsederivante dal pensiero diHobbes – una legge amoralechesiestende inogniangolodel tempo e dello spazio diunasocietà.Perverità,questalegge amorale ha più a chevedere con l’accumulazionecheconilprofitto,perchénelprimo caso si ammettel’eliminazione delconcorrente, mentre nel
secondo si ammette solol’azzeramento dei suoi extraprofitti(quasirendite).Era necessario porre il
principio della concorrenzaentro la psicologiaindividuale come unamotivazione all’azione,altrimenti si sarebbe perso ilsensodell’individualismoesisarebbe potuta giustificarel’intromissione esterna –dello Stato, delle religioni,del costume, dei sentimenti
morali – sulla libertà deisingoli43. Per rappresentareconseguentemente laconcorrenza che, in base aun’interpretazione strettadell’individualismo sarebbeimpossibileperchéciascunoèunamonade44,glieconomistidell’equilibrio (fin da AlfredMarshall) sono costretti aimmaginare che le impreseconoscano i costi dei loroconcorrenti, ed entrino nei
mercati ogni volta che siaccorgono dell’esistenza diextra-profitti; inquestomodola concorrenza fa sì che ilprezzodiunbenesiadatoperciascun produttore, e questiaumenterà la produzionefinché il costo incrementaledi produzione resta inferioreal prezzo di vendita,realizzando un automaticomassimo benessere. Le cosenon stanno così. Le impresepotenziali conoscono il
prezzo sul mercato del beneda loroprodottoeprevedonoi propri costi: se questi sonoinferioriaquello,entranonelmercato. Per contare su taledifferenza, tuttavia,dovrebberosapereche il loroconcorrente sta guadagnandoextra-profitti o quasi-rendite,perché, non sapendolo, siespongono al rischio di unariduzionedelprezzodapartedelconcorrente, e ilprezzoèdatosolodopochesonostate
annullate le quasi-rendite.Poiché le imprese nonconoscono, né devonoconoscere(seguendoSmith)icosti delle altre, all’impresaentrante mancano entrambigli indicatori necessari perdecidere se misurarsi con laconcorrenza – il prezzo e ilcosto del concorrente. Delresto, se le impreseconoscessero effettivamente icosti dei concorrenti,saprebbero anche le
conseguenze delle propriedecisioni su tutte le imprese.Si può immaginare l’entratasulmercatodinuoveimprese,senzachequesteconoscano icostidellealtre,solamentesesi tratta di imprese di sololavoro,senzacapitali:entrarepuò essere rischioso, ma ilfallimento è senzaconseguenze dato che si è inassenza di capitale. Com’èovvio, l’ipotesi è solo discuola. Nelle teorie
dell’equilibrio si strappa dinuovo il velo di Smith e siescedallascienzaperentrarenell’ideologia.Le regole della
concorrenzanell’accumulazione sonoprobabilmente diverse, manon ho approfondito il tema,né mi sembra esista unaricercainmateria45.La critica economica46 ha
poi mostrato come esistano
sempre forme di mercatodiverse dalla concorrenzapura e perfetta; di questeforme non è quasi47 maichiaro il perché e siconsiderano semplicementeunfattoabnormedellarealtà,relegate alla discussione dipolitica economica che ledovrebbeeliminare48.SololoStato ha la possibilità diriconoscere il grado dimonopolioediporvirimedio,
se produce danniall’economia nel suocomplesso.La concorrenza ha anche
un altro significato. Sia per iclassici sia per le teoriedell’equilibrio, il tasso diinteresse dovrebbe esseretendenzialmente unico pertutti i soggetti, perché icapitali si dirigerebberosempreversoquelleattivitàilcui rendimentoèmaggiore,eciò tenderebbe a rendere
uguali tutti i rendimenti: laconcorrenza tra diversiimpieghi delle risorsespingerebbe verso un unicotasso di interesse e un unicotassodiprofitto.Esistonovariproblemicon
questa ipotesi.Seciponiamonella condizione di una crisidi domanda, i diversi settoririspondono in manieradifferenziata alla crisi: isettoricheproduconobenidisussistenzadeclinanomenodi
altri, così come i settori direndita e tutti quelli dotati diun rilevante grado dimonopolio. Finché dura lacrisi, i tassi di profitto sonodifferenziati ed èproblematico un movimentodicapitaliversoisettoriicuiprofitti sono meno bassirispetto agli altri, perchénessun settore sta realmenteinvestendo,eproprioacausadella crisi. La geografia deiprofitti si congela, e la
concorrenza sui capitali èsospesa.Nella crisi, anche laricchezza è diversamentedistribuita. Alcune impresepossonocomprarnealtreeciòcrea una forma diconcorrenza perl’accumulazione, ma sicomprano e si vendonocapitali esistenti, non se neformanodinuovi.La ripresa, comunque
originata, può ricostruire ilmovimento dei capitali e
produrre un tasso di profittotendenzialmente unico, maanchenellaripresalacrescitadei diversi settori èdifferenziata (legge diEngel,progresso tecnico): in unanormale dinamica, dove sisusseguono cambiamentistrutturali, nessuna economiapotrà presentare uguali tassidicrescitapertuttiisettori,eper questa stessa ragionenessuna presenterà tassi diprofitto tendenzialmente
uniformi49.I capitali si muoveranno,
perciò, in linea con unadomanda di investimentodifferenziata – e laconcorrenza dei capitali nontendeaunificareirendimenti,se non nell’ipotesi di unastruttura dell’economia che,crescendo, resta sempreuguale a se stessa; uncontrosenso, raramenteconfessato nelle teorie
dell’equilibrio. Tra l’altro, ladifformità dei tassi direndimento mette indiscussionel’applicazionedelprincipio dell’efficienzamarginale del capitaleall’economia nel suocomplesso.È possibile che il tasso di
interesse non segua ladifferenziazione dei tassi diprofitto o di rendimento,perché dipenderà da sceltesulla domanda di prestiti o
sull’autofinanziamento chesono specifiche per ogniimpresa o famiglia, ma nonne segue nemmeno che iltassosiaunico.Sipotrebbeobiettarechela
differenziazione del tasso diprofitto è determinata daldiverso rischio dei prenditoridi prestiti, e nel quadroappenadescritto,nellacrisi enella ripresa, il rischio èprobabilmente maggiore neisettori dinamici che in quelli
stagnanti: il rischio è l’altrafaccia del maggiorrendimento, e sarebbe soloper questo che il tasso diprofitto è diversificato.Tuttavia, sostenere che iltasso di interesse sarebbeunicosenonci fosse rischio,ècomesostenerechel’attivitàeconomica è senza rischi: unassurdo50. Alla fine, laconcorrenza c’è, ma è lavariazione strutturale, e il
rischioconnessoaquesta,chenedeterminalanecessità:nonè un postulato, una leggepsicologica generale, o undeusexmachina.Ci si può chiedere come
funzioni un’economiasoggetta a continuicambiamenti, e la risposta èsemplice: imercati cambianocontinuamente i prezzi e lequantità, come si vedequando si osserva nellastatistica la volatilità dei
fenomeni, mentre icomportamenti micro noncambiano – salvo, comevedremo, quando cambia uninterosistemaistituzionale.
11.L’impresa
Siamo abituati a ritenerechel’impresa(emiriferiscoaquella che produce beni eservizi non finanziari) sia lacausa del modo di essere
capitalistico,edèovviamentevero, ma ne deduciamo chesono le decisioniimprenditoriali a causarel’andamento, lo sviluppoe lacrisi dell’economia nel suocomplesso, e questo è invecemenovero,mahobisognodiricostruire una sempliceteoria dell’impresa perdimostrarlo. Sappiamo che icomportamenti individuali sipossono aggregare einfluenzare l’economia nel
suo complesso: l’abbiamovistonellecrisi.Michiedosee come gli andamentidell’economia nel suocomplesso influenzino icomportamenti delle imprese(un possibile fondamentomacroeconomico dellamicroeconomia). A primavista, sembra banale: sel’economia cresce conregolarità, le impreseinvestiranno e manterrannoelevato il tasso di crescita.
Invece, non c’è nulla dibanale, perché le impresereagiscono ai propri mercati(diacquistoedivendita),nonall’andamento dell’economianazionale/valoreaggiunto.
i) L’impresa divisa.Semplificando, ogni impresaèdivisatrafunzioniprincipali– la produzione, la vendita,gli acquisti, il controllo digestione, il finanziamento –ciascuna delle quali ha una
facciarivoltaall’interno,dovei valori di ciascuna funzionesono calcolati in base al lorocosto, e una rivolta versol’esterno, dove i mercativalutano l’impresa e le sueparti, oltre alla sua stessaproduzione, sulla base diprezzi51. Esistono così duesistemi di valori: interni alcosto, esterni al prezzo – èl’osservazione di Coase cheritiene che i confini di
un’impresa dipendano da uncalcolo economico sullaconvenienza di produrre benie servizi necessari allaproduzione all’interno oacquistarli all’esterno,definendo la differenza comecosto di transazione52. Ladoppia natura dei mercati –interno ed esterno – nonconsentediapplicareleteoriedell’equilibrio: risparmiare ilcosto di transazione
producendo internamente èciò che riduce l’esplosionedeirischi,mentreunmodellodi equilibrio non puòammettere rischi sistematici,come quelli presentinell’ipotesi diCoase. In quelmodello, infatti, non solo siproduce sulla base di tanticontrattidi acquisti evenditesul mercato quanto ènecessario per realizzare ilmassimo profitto, ma deveesserecosì,perchéilmercato
èfattodaimpreseindividuali,ciascuna delle qualicostruisce il proprio prodotto(compresa l’assicurazionecontroirischi)attraversoqueimolteplici contratti, visto chela pura e perfetta liberaconcorrenza postulaun’impresa infinitamentepiccola: ma questa visionedella concorrenza, comeabbiamogiàvisto,èfattapergiustificare l’equilibrio. Ilmodello e il costo di
transazione hanno inveceanimato un dibattito sulleimperfezioni dei mercati;purtroppo, seppur geniale,l’ispirazione è sempreneoclassica, e in questa isingoliindividuifinisconopercomportarsi come un agenterappresentativo.
ii) Profitto eaccumulazione. Benché ladiscussione su cosa ottimizzil’impresasiamoltovasta,non
si sbaglia dicendo chel’impresa è costruita alloscopo di massimizzare ilprofitto, ma è dubbio chel’impresa cerchi anche dimassimizzarel’accumulazione. Adifferenza delle teoriesull’utilità attesa – impiegateper spiegare perché gliindividui giochino pursapendo di perdere – laricchezza non presentaun’utilità marginale
decrescente come il profitto:la letteratura ci descrivel’accumulazione come unprocesso senza fine, e il«bisogno» di ricchezza comemai soddisfatto, mal’attribuisce all’individuo,nonall’impresa.Se, infatti, siabbandona l’ambito delsingoloindividuoesiguardaall’impresa, questa devecerto accumulare, ma alloscopo di massimizzare ilprofitto: deve, infatti, sempre
evitare unasovracapitalizzazione, che neaccrescerebbe i costi diproduzione.InuoviArpagonenonsonoleimprese«reali»ogli imprenditori, dunque,ma,com’è sempre stato, i loroproprietari (che possonoessere altre imprese), chetendono invece amassimizzare la ricchezzarappresentata dall’impresa,facendo riferimento soltantoal mercato dei capitali;
l’accumulazione, così, nonimplica decisioniimprenditoriali, ma solodecisioni proprietarie dinaturaspeculativa53.Vedremo più avanti se
l’imprenditore di un’impresafinanziaria, che è appuntospeculativa, costituisca uncapitalista-proprietario,dominato dal motivodell’accumulazione. Per ilmomento, e so di non essere
originale,avanzol’ipotesicheesistano due specie dicapitalisti: quelli «reali»,dominati dal motivo delprofitto, e quelli finanziari,dominati dal motivodell’accumulazione. Occorreaggiungerecheènell’impresache si conoscono lecondizioni necessarie persoddisfare il motivodell’accumulazione, ma sel’impresa fosse volta amassimizzare la ricchezza, e
cioèilvaloredell’impresaperi suoi proprietari,indebolirebbe il ruolodell’imprenditore comeproduttore di profitto.Ritroviamo, qui, unadistinzionegiàfatta:ilmotivodel profitto, pur essendo unadelle causedell’accumulazione, èseparato dal motivodell’accumulazione. È forsegiustoricordarecheilprofittoè l’obiettivo del conto
economico, l’accumulazionedellostatopatrimoniale.
iii) Conflitto ecooperazione. Perl’imprenditore «reale», delquale adesso ci occupiamo,esiste una seria difficoltà nelvalutare sia il profitto sia ilcapitaleaccumulato, edèperquesto che, per decidere,l’imprenditore deve avvalersidel giudizio delle singolefunzioni: certo, può sempre
credere di essere il solo adecidere, ma anchenell’organizzazione piùsemplicesiillude.Ciascuna funzione può
essere organizzata in modipiùomenoautonomirispettoal resto dell’impresa, macompito di chi ne è ilresponsabile èinevitabilmente quello dimassimizzare il proprioobiettivo. Se però,nell’impresa divisa, tutte
riuscissero a farlo, l’impresasi distruggerebbe. Se levendite massimizzano ilfatturato, senza riguardo aicostidiproduzione,l’impresafallisceperchénonpuòavereeconomie di scala infinite e,primaopoi, icostimarginaliemedi aumenteranno; la suaautonomia, d’altra parte,consente proprio divalorizzare le economie discala, ma non consente diconoscerne i limiti. Se la
produzione massimizzal’output, senza riguardo agliinputnecessarioallevendite,l’impresa fallisce, perchéanche se la sua autonomiaconsente di sfruttare almassimoleeconomiediscalaquandoesistono,nonconoscei limiti della domanda delmercato né l’eventualeaumento del prezzo degliinput a seguito della suastessaproduzione.SeI’ufficioacquisti è esterno alla
funzione della produzione, eminimizza quantità e costidegli input variabili,compresa la forza lavoro,l’impresa fallisce. Se ilcontrollo di gestioneminimizza il costo diproduzione,l’impresafallisceperché non potrà sfruttare leeconomie di scala o quelled’integrazione, e cercheràsemprediridurreilnumeroeil costo del personale dellealtre funzioni. Se la funzione
finanziaria massimizza ilricorso al prestito piuttostocheal capitaledi rischio, pernon diluire il potereimprenditoriale, o preferiscel’investimento in titolianzichéinimpianti,l’impresafallisce54.All’interno dell’impresa le
singolefunzionigodonodiunlimitato potere contrattuale,che non è semplicemente ilfrutto di una delega generica
dell’imprenditore, ma è ilrisultato dell’efficaciadell’azione della stessafunzione: quanto maggiore èil potere contrattuale internodi ciascuna, tanto più essarappresentaunpericoloperlasopravvivenza dell’impresa.Semplificando, è come se,entro l’impresa, si formasseun mercato-ombra55 nelrapporto tra funzioni eimprenditore (che esiste
anche nei rapporti tra lefunzioni, ma non hoapprofonditoil tema).Questomercato-ombra dà luogo aprezzi-ombra, ciascuno deiquali è riferito alla funzioneche esprime una domanda oun’offerta. Si tratta, sempre,di costi-opportunità relativi aogni decisione, evento oscambio tra le funzioni el’imprenditore, e tali costi-opportunità non sono ugualiper tutte le funzioni,enonsi
formaunprezzo-ombraunicoperl’impresa.Le singole funzioni
cercanodiraggiungereilloroobiettivo sulla base diprevisioni in meritoall’andamento dei proprimercati di riferimento (forzalavoro, forniture, finanza,sbocchi), fondatesull’esperienza del passato,che è l’unica informazioneprovenientedall’esternodellaquale abbiano il controllo:
anche qui non è possibilealcuna forma di aspettativarazionale, mentre le sorpresesono sempre dietro l’angolo.L’esperienza, poi, è specificaa ciascuna funzione: lafunzionedellevenditeguardasoloiprezzideibeniprodottisui mercati esterni; lafunzione della produzioneguarda solo i costi diretti;l’ufficio acquisti guarda iprezzi della forza lavoro equelli delle forniture; la
funzione finanziaria guardainteressi e dividendiprevalenti all’esterno e iprezzi in borsa della propriaimpresa come garanzia deiprestiti; la funzione delcontrollo di gestione guardalespeseperunitàvenduta56.Iresponsabili si farannocertamenteun’ideadel futuroandamento degli specificiprezzi e costi che liriguardano,manonpossiamo
dedurneunaprevisionevalidaper l’impresa, perchéciascuna funzione, illuminatadall’esperienza, guarda soloal futuro dei rispettiviprezzi/costi, e non opera unasintesi tra prezzi e costi perl’impresa.
iv)Iparametriperlesceltedell’imprenditore. Ciò cheimpedisce il fallimentodell’impresa e gli inevitabili(ma non casuali) errori di
previsione delle singolefunzioni, è la capacitàdell’imprenditore di creareforme di collaborazioneconflittuale con le diversefunzioni, evitando chel’obiettivo di ciascunaprevalga su quelli dellealtre57. Si badi bene:l’imprenditore si proponecertamentedimassimizzareilprofitto,manonèingradodivalutare il tasso di profitto
(P/K)58. Non quellodell’impresaesistente,perchénon conosce il valore delcapitale accumulato nelpassato, e cioè ildenominatore del tasso diprofitto: sia perché il valoreiscrittonei libricontabilinonha relazione col valore dimercato,siaperchéilcapitaleè ormai congelatonell’impresa, sia perché nonpuò valutarlo al costo di
sostituzione,perchélatecnicaè probabilmente cambiatadurante la vita dell’impiantoprecedente59. Non è suocompito guardare al valoredell’impresa sul mercato deicapitali, perché non è suo ilmotivo dell’accumulazione;in ogni caso, quel mercatonon fornisce un metrosoddisfacente60, perché laquotazione è influenzata daeventi esterni alle
capacità/volontàdell’imprenditore, che nonspecula, e si tratterebbe poidel prezzo utile per usciredall’impresa, non perottimizzarneilrisultato.L’imprenditore ha
difficoltàperfinonelvalutareil tasso di profitto atteso,perché l’investimento cuimira per far crescere ilprofitto dipende anchedall’andamentodell’economia nel suo
complesso, e dai riflessi diquesto sul suo settore diattivitàe sui suoiconcorrenti– elementi per luiinconoscibili. Inoltre,dovrebbeipotizzareiltassodiinteresse cui commisurare ilsuo tasso di profitto, e ancheinquestocasononsacomesicomporterà il tasso diinteresse durante la vitadell’investimento progettato(tantopiù lunga lavita, tantopiù incerto il futuro tasso di
interesse). Il valore delcapitale,ingenerale,èparialvalore attuale dei rendimentifuturi attesi, e questidipendono strettamente dallafutura dinamica dei prezzirelativinell’economianelsuocomplesso,unadinamicachel’impresa non conosce.Infine, anche il numeratoredel tasso (P) presentaproblemi: non è il profittorealizzato nel passato, e se èquello atteso nel futuro,
dipenderà da previsioni conpoco fondamento, dato chenessun imprenditore puòsapere che, per l’economianel suo complesso, èl’investimento che genera ilprofitto, e non il profitto chegeneral’investimento61.
v) Aspettative e decisioni.Com’è ovvio, l’imprenditoretuttavia agisce e formulaaspettative in merito aiparametri che deve usare per
valutare sia il capitaleinvestitosia ilprofittoatteso,e può farlo perché ognidecisione si forma su duepiani.Il primo è quello esterno,
influenzato dal mercatofinanziario e dai suoiproprietari, che traducel’impresa in valore el’investimento progettato inun debito; la funzionefinanziaria interna esercita inquesto caso un peso, perché
l’impresa dovrà pagare gliinteressi e ammortizzare ilprestitoe,perquantoincerto,l’imprenditore dovrà cercaredi prevedere il futuroandamento del tasso diinteresse, ed è costretto afarlo dal suo finanziatore,dato che si deve indebitare.La funzione finanziariainterna, a sua volta, puòaiutare l’imprenditore alimitare l’incertezza seassicura il risultato di un
progetto con il ricorso a unfondo hedge (di cui piùavanti): è una novità recenteper le imprese,ma in questomodol’incertezzasiriduceinrischio(sempreparzialmente,perché nemmeno lo stessofondo hedge conosce ilfuturo), e il rischio èassicurato. Da notare chel’esperienzadell’imprenditorediventa meno decisiva sel’impresasiaffidaaunfondohedge: ne deriva una
riduzione dell’autorevolezzadell’imprenditoreeunrilievopiù importante del mercatofinanziario, all’internodell’impresa, rispetto almercato dei beni da essaprodotti.Il secondo è il piano
interno, dove le singolefunzionidell’impresasonouncanale di trasmissione degliandamenti esterni relativi almercato cui si riferisceciascuna funzione.Quando il
mercatodei capitali è in fasecrescente, l’obiettivo dellafunzione finanziaria tende aperdererilievoperchéèfacileottenere finanziamenti;quando la domanda deiprodotti dell’impresa cresce,prevale l’obiettivo dellaproduzione, che si affacciaanche sul mercato delleinnovazioni; quando ladomanda stagna odiminuisce, sono levenditeaprevalere perché essa deve
trovare segmenti di mercatoin crescita; quando i prezzidegli input salgono, siaffaccia l’ufficio acquisti chedeve comprimere l’uso degliinput; quando il sindacato èforte, interviene l’ufficio delpersonalechedeveformulareil contratto; quando le spesecrescono più delle entrate,cresceilpesodelcontrollodigestione. Ciascuna funzioneguarda all’esterno con ipropriocchiali, e semprecon
riferimento all’esperienzapassata trasmetterà le proprieprevisioni, e le conseguentinecessità, all’imprenditore; ilruolo di questi consiste,ovviamente, nel bilanciare ilpotere contrattuale relativodelle divisioni interne, e isuoi strumenti sono quellitradizionali: assumere elicenziare, rimescolare ipoteri delle funzioni,comprare e vendere pezzi diimpresa, magari
suddividendola prima percentri di profitto, utilizzare ilsindacato, contrattareall’esterno alcune attività,ecc.L’esistenzadiunafacciadelle singole funzioni rivoltaall’esterno influenza i prezzi-ombra interni alle imprese, ealtera continuamente ilvalore del capitale sul qualemisurareiltassodiprofitto,eanche per questoall’imprenditore viene menolapossibilitàdiutilizzareuna
misura oggettiva diottimizzazione:l’impresanonè una macchina (comepensavano i pianificatorisovietici).Nulla ci assicura, perciò,
che l’imprenditore sia ingrado di equilibrareperfettamentelediverseforzeche dividono l’impresa, néche,raggiuntol’equilibrio,siacapace di massimizzare ilprofitto.Nonsiescludechesiformi un conflitto tra
funzioni, che segue leclassiche regole dello«scambio politico» (perMachiavelli, «o vezzeggi ospegni» l’avversario). Inquestomododivedere il suoruolo, l’imprenditore ècontinuamente in tensione edeve dotarsi di uno staff checonosca e regoli i flussiinformativi provenienti dallesingole funzioni, e tengacontodegliandamentiesterniche influenzano le funzioni.
Questo staff, a sua volta, èuna funzione che puòautonomizzarsi – come ipretoriani dell’ImperoRomano–e,nellecircostanzeavverse, portare alladefenestrazionedell’imprenditore (come nelcaso del «management buyout»).
vi) I’impresa e lamacroeconomia. Nonpretendodiesporreunateoria
dell’impresa che sostituiscal’ampia letteratura che si èformata in decenni di studieconomici e sociologici. Ilproposito,qui,èpiùmodestosu questo piano, ma piùambizioso sul pianoeconomico generale. Ildifficile equilibrio traconflitto e collaborazioneriflette, infatti, solol’andamento dei mercaticome percepito nell’impresa,non quello dell’economia nel
suocomplesso.Sinoteràche,seilmercatodeibeniprodottidall’impresa è orientato al«bello», le funzioniproduttive (produzione,acquisti, vendite, personale)godranno, nei confrontidell’imprenditore, di unpotere contrattuale maggioredi quello delle funzioni dicontrollo (controllo digestione, funzionefinanziaria): la decisionedell’imprenditore è
certamente più facile, e glierroripossonoesserenascostidalsuccessodell’impresa.Se,invece, ilmercatoèorientatoal«brutto»,allora le funzionidi controllo prevarranno, equeste inevitabilmenteporterannol’impresaaridurrela produzione, abbassare iprezzi, svendere ilmagazzino, fino asmembrarsi. Quando lafunzione finanziaria dovesseproteggere l’impresa
affidandosiaunfondohedge,o aumentando il ricorso aldebito, il suo successodipenderà dalla natura dellacrisi: se è dello specificomercato, l’impresa si salverà,se la crisi è generale,l’impresasidistruggerà.Nessuno degli attori
dell’impresa conosce lanatura specifica o generaledella crisi: e certo nonconoscono cause ed effettimacroeconomici. Possiamo
osservare come: quando ladomanda aggregata siespandeoquandol’economiaè in fase di trasformazioneper il progresso tecnico,allora la funzione dellaproduzionenonè ingradodidistinguere questi eventi daquelli che nel passato hannointeressato il suo specificomercato di riferimento, eattribuirà a se stessa ilmaggiorpoterecontrattuale–è come se il potere della
funzione crescessespontaneamente; ciò cheriduce le capacità dibilanciamentodell’imprenditore e lacapacità produttiva puòcrescerealdilàdellacrescitadella domanda.Analogamente accade per lafunzione delle vendite,quando la struttura delladomanda cambia (legge diEngel), o per la funzione delcontrollo di gestione, quando
siprofilaunacrisi (dioffertao di domanda), o per lafunzione finanziaria, quandoil mercato dei capitali è incrisi.Né l’imprenditore né lefunzioni sanno qual èl’origine degli andamentieconomici e le conseguenzesull’economia nel suocomplesso, e perciò sullastessa impresa e sulle suefunzioni.Ecco, finalmente, un
fondamento macroeconomico
della microeconomia. Certo,dopoche lacrisi è scoppiata,l’impresa cercherà dicombatterne le conseguenze,magiàsappiamocheopereràper la riduzione dei costi,aggravando la situazione perse stessa e per le altreimprese.Tra l’altro,poichénessuno
degli attori interni o esterniall’impresa è in grado diconosceretuttiglieffettidelleproprie azioni, è inevitabile
che i rischi dell’impresa sitrasformino in incertezza. Etantomaggioreèl’incertezza,tanto maggiore sarà latendenza generale verso laminimizzazione dei costi, eperciò la crisi. Anche sel’impresaavesse fatto ricorsoa un fondo hedge,l’assicurazione fornita riducesolo l’incertezza dellospecifico mercatodell’impresa,manonsaràmaicapace di rovesciare le
conseguenze di una crisigenerale. Per questa ragione,l’istinto di sopravvivenzaindurrà l’imprenditore adaffidareunpotere«finale»alcontrollodigestione,epoichéciò mentre minimizza i costiminimizza anche i ricavi,l’impresaèperduta.
12.Laregolaaurea
Abbiamo già incontrato, e
troveremo ancora spesso, lacosiddetta«goldenrule».Quiè definita come una regolamacroeconomica che noninteressa gli operatori e gliindividui, i quali, in ognicaso, non possono rendersicontodellasuaimportanzaaifini della stabilitàdell’economia capitalistica.Nei modelli di equilibrioquesta regola è onnipresente.Se, infatti, l’aumento dellaproduttivitàdellaforzalavoro
(del prodotto per occupato)nell’economia nel suocomplesso non si distribuisseequamente,comevorrebbe laregolaaurea,traisalarietuttigli altri redditi (rendite,interessi, premi assicurativi,marchi e brevetti)62,l’equilibrio del modellosarebbe in pericolo. Se, adesempio, il salario realecrescesse più dell’aumentodella produttività in termini
reali, allora i costi diproduzione aumenterebbero,e se le imprese volesseromantenere il margine diprofitto, dovrebberoaumentare i prezzi, creandoinflazione.Se,invece,isalariaumentassero menodell’incremento dellaproduttività, la distribuzionedel reddito peggiorerebbe, ilconsumo delle famiglielavoratrici crescerebbe menodel prodotto nazionale, e la
crescita sarebbecompromessa63.Nell’economia capitalistica,la tendenza delle imprese, aseconda del grado dimonopolio nel propriosettore, è sempre quella diaumentare i prezzi,indipendentementedall’aumento dei salari; macertamente i prezzicresceranno se i salaricrescono. Se invece i salari
noncrescono, le impresenonsannocheciòcondurràaunacrisi di domanda, efavoriranno, nei modi loropossibili, il peggioramentodella distribuzione delreddito. Inunastratto regimedi pura e perfetta liberaconcorrenza, non è detto cheleimpresepossanoaumentarei prezzi al crescere delsalario;ma in questo caso, ilprofitto si annullerebbe everrebbemenoilmotivodelle
impreseaesistere64.LoStato,sevuole,conosce
irisultatidellaregolaaurea,epuò intervenire percorreggere la sua mancata oparziale applicazione. Che lovoglia fare, è questione chevedremodiffusamente.
13.Lapienaoccupazione
A prima vista, la pienaoccupazione sembra un
obiettivo della politicaeconomica, non un elementocausaledellamacroeconomia:è un concetto che nonappartiene alle singoleimprese o ai singolilavoratori, entrambiinteressati al propriobenessere e non in possessodistrumentiperfarproprioilsignificato della pienaoccupazione. I capitalisti, sepossiedono una qualsiasicultura economica, non la
desiderano nemmeno, perchécauserebbe un aumento delpotere contrattuale deilavoratori e, perciò, unaggraviodicosto.Sipotrebbeaffermare che i lavoratorihanno come obiettivo anchelapienaoccupazione,manonuti singuli, bensì in quantoorganizzati nel sindacato,altrimenti sarebbero inconcorrenza gli uni con glialtri. Come vedremo, ilsindacato non è
necessariamente un soggettomacroeconomico, epoiché lapienaoccupazionenonderivadalle preferenze di soggettimicroeconomici, inquelcasoi lavoratori subirebbero ilmaggior potere di capitalistianarchici.LoStatopuòesserel’agente della pienaoccupazione, perché lacondizionegliènota,manonèdettocheintendaesserlo.La piena occupazione è
invece un fondamento
macroeconomico dellamicroeconomia, perché inquesta condizione siproducono beneficieconomici che non sonoconoscibilidapartedisingoleimprese o individui. Unesempio importante è datodalle economie di scala:quanto più un’economia èlontana dalla pienaoccupazione, tanto menoefficaci sono le economie didimensioneetantopiùlentoè
il ritmo della crescita, ma leimprese non lo sanno ereagiscono nei modi indicati– licenziando, chiudendoimpianti, fuggendo con lacassa. Proseguendo, la nonpiena occupazione determinadisavanzi nei sistemipensionistici basati sulmetodo della ripartizione –ma anche se sono basati sulmetodo della contribuzione,in assenza di pienaoccupazione,lacontribuzione
risulterà insufficiente afornire una previdenzaadeguata ai disoccupati. Lanon piena occupazione, poi,distingue la società traoccupati e disoccupati: laconcorrenzanelmercatodellaforza lavoro diventa piùforte65, il potere contrattualedei lavoratori nei confrontidell’impresa diminuisce, ladistribuzione del redditopeggiora e la domanda
effettivasiriduce.Ilprodottopotenziale dell’economia èpiù basso se l’occupazionenon è piena, e si riducequanto più alta è ladisoccupazione. Il gettitotributario segue il prodottopotenziale, e quanto piùl’economia è lontana dallapiena occupazione, tantominore è il livello del gettitotributario e, di conseguenza,maggiore l’indebitamentopubblico potenziale. Inoltre,
quando l’occupazione non èpiena, quella che c’è saràdistribuita sul territorio inrelazione alla concentrazionedell’attivitàeconomica,cheèinevitabilmente diversificata.Interminidinamici,iltassodidisoccupazione crescerà dipiù nelle aree più ricche; intermini strutturali, il tasso didisoccupazione sarà piùelevatonelleareepiùpovere;ne seguirà emigrazione, emaggioreconcorrenzialitànel
mercato generale della forzalavoro.All’impresa non interessa,
ma quanto più l’economia èlontana dalla pienaoccupazione,tantopiùsprecala forza lavoro, la sua risorsaoriginaria più preziosa, eaggrava i costi sociali suicittadini che subiscono ladisoccupazione e suicontribuenti che nefinanziano gli inevitabilisussidi. Che la forza lavoro
sia una risorsa, le impresenon lo concepiscono – salvoforse per particolarispecializzazioni professionali– perché si presenta ai loroocchicomeuncosto.La piena occupazione, che
rafforza il potere contrattualedei lavoratori perché leimprese si fannoconcorrenzastrappandosi la forza lavorooccupata, può creare unaumento del costo del lavorosuperiore all’aumento della
produttività. Gli esegetidell’equilibrio economicogenerale respingono questaeventualità, perché ilavoratori, raggiunto il tassodei salari corrispondente allaproduttività erogata, nonsfruttano il poterecontrattuale, non aumentanol’offerta di forza lavoro epreferiscono il tempo libero.Così, la domanda perconsumi raggiunge un tettoche è compatibile con la
capacità produttiva, e laregola aurea è rispettata. Loscambio tra tempo libero eaumento dei salari è statoinventato proprio perconsentire l’equilibrio, masiamo di nuovo nel regnodelleipotesiprefabbricatecherifiutano l’evidenza dellasubordinazionedel lavoratorerispetto all’impresa.Lapienaoccupazione ha, invece, uneffetto negativo sulla regolaaurea (a favore dei salari
rispettoaiprofitti),chemancanei modelli «puri» perl’assenza del sindacato;quando poi il sindacato èintrodotto nei modellipseudokeynesiani, va abolitocome un ostacolo allaconcorrenza che impedisce ilraggiungimentodell’equilibrio.La realtà è diversa. In
piena occupazione, ilsindacato, forte del propriopoterecontrattuale,tenderàad
aumentare i salari senzariguardo all’aumento dellaproduttività. Non c’è, infatti,una ragione che spinga ilsindacato a ragionare sullaproduttività,siaperchéquellaaziendale o di settore non ènecessariamente uguale allaproduttività aggregata, siaperchélaproduttivitàdipendedall’organizzazioneenondaisingoli fattori di produzione,sia perché la produttivitàrilevanteèquella invalore,e
i lavoratori non fannocerto iprezzi di vendita del lorostesso prodotto. Il sindacatopuò valutare la produttivitàgenerale, per settore o perterritorio, soltanto aposteriori,quandolastatisticagli mostra la dinamica delprodotto e quella del salario.A priori, perciò, nellacontrattazione, o il sindacatosi limita a recuperare quantonon è stato retribuito nelpassato, e in piena
occupazione certamente nonbasta,o tenderàa rivendicareun aumento compatibile conil proprio potere negoziale:nel farlo, sarà sempreorientato a mantenere unadistribuzione equa deimaggiorisalaritratuttiisuoiaderenti, indipendentementedal contributo di ciascunoall’aumento dellaproduttività. Ciò, tuttavia,può disgustare i lavoratorichesisentonomenopremiati,
o ai quali l’impresa assegnauna qualifica o un indicatoredi merito, frazionandol’adesione sindacale, eaprendo il varco allacontrattazione individuale,dove la forza dell’impresa èinevitabilmente maggiore diquelladelsingololavoratore.Non voglio affermare con
ciò che la piena occupazioneè la condizione normale diun’economiao,peggio,cheèsempre in equilibrio, ma qui
interessa riconoscere cheesistonocorpiintermediilcuipotere contrattuale altera gliequilibrisulmercato:laleggemacroeconomica della pienaoccupazione è in balìa diinteressi microeconomici, esolo lo Stato potrebbe porrerimedio alle inevitabili crisi(mavedremocasidisindacaticapaci di porsi obiettivimacroeconomici, anche seignari delle conseguenzemacroeconomiche dei loro
stessiobiettivi).
14.Leleggimacroeconomiche
Di fondamentimacroeconomici ne esistonocertamente altri66, ma milimito a quelli ora descritti,alcuni dei quali considerocome vere e proprie leggimacroeconomiche (imoltiplicatori,laregolaaurea,
laleggediEngel,ilprogressotecnico, il tempo, l’impresa,lapienaoccupazione).Ciascunaleggeononèalla
portatadeisingolioperatori,oquesti se ne disinteressanoperchéessenonliriguardano;i comportamenti deglioperatori, anche seaggregabili, determinanoeffetti macroeconomiciindipendenti dalla lorovolontà, portatori di crisicome di ripresa. Non ho
trattatol’accumulazionecomeuna legge macroeconomica,anche se i capitalistiproprietari non ne conosconogli esiti per l’economia nelsuo complesso, perché sonoobbligatoatrattareiltemapiùavanti, quandol’accumulazione diventeràmotivo d’impresa, nonindividuale. Nonostante ilrinvio, l’accumulazioneinterferisce con le altre leggimacroeconomiche.
Per ragioni di simmetria,dobbiamo tornare a unragionamento già fatto: ledecisioni di famiglie eimprese possono certamenteinfluenzare l’economia nelsuo complesso, comeabbiamo visto parlando dicrisididomandaediofferta,maglieffettiditaleinfluenzasono spesso controintuitivi, enon vanno nella direzionedesiderata dalle famiglie odalle imprese. Inoltre, perché
questa influenza simanifesti,occorre che i comportamentidei soggetti economici sianocoerenti tra loro. In altritermini, ledecisionichesonoprese nel proprio interesse,non devono determinareinteressi in contrasto,altrimenti le decisioni sielidono, e se sicompensassero sarebbe soloper caso. Poiché invece ledecisioni non sono semprecoerenti e contrasti nascono
continuamente, pur essendovero che i comportamentimicro possono influenzare ilmacro, i singoli soggetti nonpotrannoconosceregli effettidelle loro decisioni (ricordoqui il casodell’accumulazione): ed èanche per questo che le crisisonosemprepossibili.Per quanto possa sembrare
inconcepibile, nessuna diqueste leggi ha un ruolo neimodelli di equilibrio perché
tutti santificano le virtùottimizzanti delle scelteindividuali e sono costruitiper far sì che il tutto risultidallasommadelleparti.Le leggimacroeconomiche
hanno importanti rapporti traloro. Gli impieghideterminano i depositi, ma èil debito (la domanda) chedetermina il credito(l’offerta); il moltiplicatoredei depositi è ridottodall’accumulazione, ma
questa aumenta il «leverage»e il merito di credito; gliinvestimenti determinano ilrisparmio,masi traduconoinaccumulazione; la spesapubblicadeterminaleentrate,ma poiché la ricchezza èmenotassatadelreddito,selaspesa fa lievitarel’accumulazione, le entratenon copriranno la spesa.Perciò, il cambiamento diciascunodiquestielementihaeffetti diversi sulla domanda
effettiva e sul reddito. Adesempio, i moltiplicatori chedeterminano il livello delreddito sono limitati nellaloro efficacia da specifichevariabilichenediminuisconoladimensione:ilpiùnotoèlapropensioneall’importazione,che riduce il moltiplicatoredegliinvestimenti,dellaspesapubblica, degli impieghibancari, e anche ilmoltiplicatorediLeontief.Si vede bene come lo
studiodiquestimoltiplicatorisia compito dello Stato, noncerto di ciascun capitalista.Esiste,infatti,unmeccanismopiù fondamentaleche,senonfunziona, limita l’efficacia ditutti i moltiplicatori, ed è laregola aurea. Se una spesapubblica aumenta il livellodel reddito, ma questo sidistribuiscenonrispettandolaregola aurea, allora(semplificando) i profitticrescono più dei salari, e
poiché la propensione alrisparmio dai profitti èmaggiorediquelladai salari,il moltiplicatore si riduce (epeggio accade se i maggioriprofitti emigrano verso iparadisi fiscali). Teniamoconto che con ilmoltiplicatore di Kahn-Keynes la spesa pubblicainiziale è sempre finanziatadal gettito tributariosuccessivo all’aumento dellivellodelreddito,mapoiché
il sistema fiscale progressivocolpisce più i redditi dalavorochequellidacapitale–poiché i primi, pro capite,sono inferiori ai secondi (equesti evadono più di quelli)– il gettito tributario nonfinanzierà piùautomaticamente la spesainiziale, e si darà luogo a undeficit pubblico. Lo stessoaccade per il moltiplicatoredei depositi: se tutto ilrisparmio ha la forma di
deposito e tutti gli impieghivanno agli investimenti,poiché questi mettono inmoto il moltiplicatorekeynesiano, si formanorisparmi sempre uguali aidepositi; ma se prevale ilmancato rispetto della regolaaurea, e i consumi (salari)aumentanomenodeirisparmi(profitti), anche ilmoltiplicatore bancario siriduce, perché la domandadiimpieghi crescerà meno che
in proporzione ai depositi(una bella inversione delsensocomune).Inoltre,segliimpieghi sono destinati afinanziare l’acquisto di titolidi credito già esistenti, illivellodel redditononcrescee i depositi non cresconocome gli impieghi. Qui puòsovvenire l’accumulazione,nella forma di monetaendogena che riproduce sestessa, ma il legame con ladomanda effettiva, se esiste,
puòfacilmentespezzarsi.È forse inutile ricordare
che non vi è nulla cheproduca la giustadistribuzione del reddito,nemmeno nei modelli diequilibrio,quandosimettonoin moto i diversimoltiplicatori67.
15.Ilconflittotraicapitalistiel’economia
Storicamente, le causedelle crisi del capitalismosono molto diversificate; maqui interessa mostrare ilcontinuoconflitto,nelmondocapitalistico, tra ilcomportamentodeisingolieisuoi effetti sull’economia nelsuocomplesso. Anzi, proprioquesto conflitto definisce ilcapitalismo: è la suacaratteristica individualistica,l’obiettivo individuale delprofitto che lo stimola
continuamente, ma lo mettein crisi, e ogni crisi deveessere risolta mantenendo ilconflitto. Allo stesso tempo,il capitalismo è diversificatoal proprio interno tra motivodel profitto e motivodell’accumulazione, e purnella stessa visionemicroeconomica eindividualistica, i due motivisono in conflitto68. Così, il«modello» del capitalismo è
più complesso di quellodell’equilibrio economicogenerale, perché la sualongevitàrivelacheognicrisilo trasforma, ma non lodistrugge, e tutto ciò nonavviene automaticamente,come dovrebbe risultare daimodelli di equilibrio; e nonavvienenemmenoneimodellidi squilibrio, che ammettonola correzione da parte delloStato, che tuttavia devecomportarsi così da
ricostruire un modello diequilibrio.Ilproblemastanelfattocheilcapitalismononè,forse, un sistema: noi loosserviamocomese lo fosse,ma è solo somma diimprenditori, di proprietaridei capitali, di lavoratori, diindividui, di corpi intermedi,nessuno dei quali è in gradodi rappresentarsi l’operaredellasomma,nédisapereglieffetti della propria azionesulla società e sull’economia
nelsuocomplesso.Durkheimsostiene che l’agire socialenon è la somma dell’agireindividuale, e l’esperienzacollettiva non è la sommadelle esperienze individuali:questa distinzione separal’individuo dalla società cuiappartiene, e la coesione69 èuna condizione perché siformi una società. ComeDurkheim, sto discutendoproprio la natura
individualistica delcapitalismo, e se non negoche l’agirecapitalisticopossatalvolta essere la sommadell’agire dei capitalisti(come nei casi delle crisi odell’accumulazione, primadescritti),ciònonimplicacheda tale somma nasca unaconsapevolezza collettiva, ecertononmibastailconcettodi coesione. Questo è unobiettivo sociale che non ècompatibile con l’anarchia
degli individui: per icapitalisti, l’unica coesioneaccettabile è quellacompassionevole, chemantieneledistanzetraricchie poveri, tra capitalisti elavoratori, tra profitto eaccumulazione, tra Paesiindustrializzati e Paesisottosviluppati.
16.Economiaesocietà
Ho cercato di individuarecosa sia l’economia nel suocomplesso, al di là della suaconnotazione statistica, eseguounalungatradizionesela riferisco alla società. Nonpenso sia un’eresia sostenereche qualsiasi società èdefinita almeno dal suocriterio di sopravvivenza, eciò implica che il suo agente–loStato–dovrebbeoperarein modo da evitare chemembri della società siano
esclusi, emarginati oeliminati. In altre parole, lasocietà non può escludere isuoi membri senza negare lapropria stessa esistenza70.Invece, il capitalismo, perdefinizione, mentre creasviluppo, redditoe ricchezza,esclude, generadisuguaglianza, distribuiscearbitrariamente ricchezza ereddito, e i capitalisti nonsono consapevoli
dell’economia nel suocomplesso, e perciò dellasocietà.Sedunque loStato èl’agente della società, ma ilcapitalismo è in continuoconflittoconessa,saràanchein conflitto con lo Stato.Poiché le trasformazioni delcapitalismo hanno avutobisogno dell’interventopubblico e il conflitto si èmutatoincollaborazione,nonne segue né che,collaborando,ilcapitalismoe
lo Stato rispettinoobbligatoriamente l’esigenzadi sopravvivenza dellasocietà, né che lacollaborazione sia tale. Nellecrisi, i rapporti tra Stato ecapitalisti cambiano ognivolta, e il compromesso sidovrebbe risolvere in formedi egemonia (talvolta forte,talvolta debole: anche questitermini generici) dell’uno odeglialtri.Occorrerebbe prima
definire una tale egemonia, enon ne sono capace; ma ènecessario almeno illustrarecome siano ammissibili taliegemonie e, non potendoutilizzare modelli diequilibrio o di squilibrio, névolendo ricorrereall’ennesimo «deus exmachina», sono costretto aricorrere a un metododiacronico, paragonando leistituzioni del capitalismocome si sono trasformate
dopo la Grande Depressionedegli anni Trenta del secoloscorso, con le istituzionicreate dopo la GrandeInflazionedellasecondametàdegli anni Settanta. Anchequesta secondatrasformazione finisce nelcrollo degli anni 2007-08, edèprobabilmente incorsounanuova trasformazione71. Ilparagone può esserefacilmente criticato, sia
perché non ho preso inconsiderazione le cause dellaGrande Depressione, sia esoprattutto perché il lungoperiodo successivo allaGrande Depressione ha vistouna varietà di sviluppi chehannocambiatoleriformedelNew Deal, pur mantenendofermo il ruolo dell’interventopubblico72. Analogamente, illungoperiodosuccessivoallaGrande Inflazione della
seconda metà degli anniSettanta ha visto un gradualecambiamento dell’economiacapitalistica, verso laglobalizzazione delle attivitàeconomiche, un’espansionegigantesca della sferafinanziaria rispetto a quella«reale»,unadiversadivisioneinternazionale del lavoro, ildeclino del ruolo pubblico.Queste trasformazioni miconfortano nel respingere latentazione di operare sui
V.LEISTITUZIONIDELCAPITALISMODALLAGRANDEDEPRESSIONEALLAGRANDEINFLAZIONE:
ILCOMPROMESSOTRASTATOECAPITALISTI
Certamente ammaestratodallacrisideglianni2007-08(e seguenti), mi soffermeròper prima cosa, in questastoria stilizzata, sulleistituzioni monetarie ebancarie. Non è solol’esperienza recente che miguida, ma il ruolo centraleche queste istituzioni hannonel distinguere vecchio enuovo capitalismo. D’altraparte, le trasformazionimonetarie e finanziarie si
accompagnano a granditrasformazioni sul mercatodella forza lavoro, sul ruolodello Stato, sul commerciointernazionale.
1.Lapoliticamonetaria
È noto che, comeconseguenza della GrandeDepressione (dal 1929 negliUsa), e sulla base della«rivoluzione» rooseveltiana,
in tutti i Paesi a economiaavanzata si stabilirononorme1 che separavano lebanche di credito ordinariodalle società finanziarie od’investimento (come dagliagenti di cambio, dallesocietàdicreditocooperativo,dai fondi comuni, dallesocietà di assicurazione,ecc.). Lo scopo era didividere il mercatomonetario,chedovevarestare
pubblico, dal mercatofinanziario, che dovevarestare privato. Si trattò diuna politica di grandeintelligenza,perchéutilizzavale banche, istituzioni private,a fini pubblici: com’è statodetto, ilmercatomonetario èun bene pubblico. Le banchecentrali, a loro volta, purmantenendo parvenze diautonomia dai rispettivigoverni – necessarie persostenere l’evanescenza della
moneta fiduciaria, in unmondocheuscivadal talloneaureo – tuttavia aderivano aiprincìpi keynesiani, eoperavano allo scopo dievitare che le economieprecipitassero in nuovi crollio nella stagnazione. Tra lealtre politiche, oltre alcontrollo della quantità dimoneta bancaria, esistevanoaccordi che legavano almenouna parte dell’emissionemonetaria (il signoraggio),
attraverso l’acquisto di titolipubblici, alla copertura deidisavanzi pubblici – politicanecessaria per finanziarel’intervento dello Stato senzadiminuirne l’efficacia,attraverso nuove e crescentiimposizioni fiscali2 eriducendo il ricorso alpiazzamento delleobbligazioni del debitopubblico sul mercatofinanziario. Nei Paesi a
economia di mercato si eraformato un compromesso,successivo alla GrandeDepressione, per il quale ilfabbisogno pubblico, nonricadendo interamente sulsistemafiscale,alleggerivalapressione su imprese efamiglie, mentrel’investimento pubblico nonpesava interamente sulmercato finanziario. Glieconomistieigoverninonneerano consapevoli, ma in
questomodo il compromessotendeva a riconciliare lavalutazione del tempo tramicro e macroeconomia o,meglio, la valutazione deltempo dei capitalisti conquella dello Stato, evitandoconflitticheavrebberopotutocolpire ora questo ora quelli:troviamo qui uno deifondamenti strutturali delcompromesso a egemoniapubblica.Le imprese investivano
sulla basedell’autofinanziamento edella raccolta di risparmioattraverso azioni eobbligazioni, gestite eacquistate da società diinvestimento a mediotermine, a loro voltafinanziate sul mercatoobbligazionario. Il sistemabancario finanziava ladomanda di fondi di breveperiodo.Schematicamente, inquella politica, il ruolo dello
stato patrimoniale nei bilancidelle imprese consisteva nelfinanziare il contoeconomico, e non aveva unapropria forte autonomia. Ilprofitto derivava dal contoeconomico ed era misuratosul passivo. In questo modo,l’impresa era vincolata alproprio passivo e il singolocapitalistapoteva investire seaveva la capacità dimobilitareilrisparmioprivatonella forma di
autofinanziamento,dicapitaledirischioodidebito.Poiché,però, lo sviluppodell’economia dipendedall’investimento, e questo èla causa e non l’effetto delrisparmio (come ildebitoreèla causa del credito) erasempre necessario che ladomanda effettiva fosse intensione e l’interventopubblico fosse sempredisponibile a questo scopo, eper questa via formasse i
risparmi (e il credito)necessari. Altrimenti, latendenza generale delleimpreseaminimizzareicostiavrebbeavutoriflessinegativisull’investimento, sul gradodi utilizzo della capacitàproduttiva, sull’occupazione:e questo è un altrofondamento delcompromesso. Anche se laGrande Depressione partivadal crollo delle borse, lacausa prima della crisi era
attribuita a un difetto didomanda derivante dalpeggioramento delladistribuzione del reddito traprofittiesalari3.Leistituzionierano disegnate percorreggere proprio queldifetto.Da queste osservazioni,
risalta una particolaritàdimenticata delle politicherooseveltiane:poiché lo statopatrimoniale non aveva un
ruolo definito, anche ilmotivo dell’accumulazionenon era vitale, el’imprenditore prevaleva sulproprietariodelcapitale.Allostesso tempo, il signoraggioera una forma di spoliazionedella ricchezza e, cioèdell’accumulazione. Forsepossiamo denominare questaforma di capitalismo comel’economia del profitto, nondell’accumulazione.
2.Ilsistemabancario
Le imprese bancarieformavano un sistema nelquale, come abbiamo giàvisto, i depositi (passivo)derivavano dagli impieghi(attivo), al contrario di ciòcheguidalesingolebanche(ele imprese). Il sistemabancario funzionava daprovveditore di monetabancaria (endogena, prodottadalle stesse banche), e il
moltiplicatoredeidepositieravincolato, insieme con altristrumenti, dall’obbligo diriserva, una prescrizionesquisitamente pubblica e aguardiadell’economianelsuocomplesso, che trasforma lamoneta endogena in monetaesogena. Banca centrale egoverno avevano insiemel’intero controllo dellapolitica monetaria, e se neservivano per superare oevitare le crisi di domanda,
finanziandolaspesapubblica,o di offerta, aumentando itassi di interesse orestringendo il credito. Nonc’è, infatti, simmetria nellepolitiche monetarie: comeabbiamo visto, un aumentodellaquantitàdimonetaeunadiminuzione del tasso diinteresse non fanno crescereladomandaeffettiva4,maunadiminuzione della quantità eun aumento dei tassi hanno
inveceeffettidepressivi5.Le ragioni principali di
questa trasformazione eranodue: la prima era quella diimpedire che le banche,prestandoalungotermineeamaggiore tasso di profitto,rischiassero il fallimento perdifetto di riserve; la secondaera quella di evitareun’espansione non regolatadellamoneta bancaria.Comeormai sappiamo, in un
sistemadibancheprivatemaunite da legami da trust,ancheseciascunabancadevecostruire riserve nel propriostato patrimoniale, gliimpieghi dell’una diventanodepositideltrust,esicreaunmoltiplicatore privato deidepositi che supera le riserveaccumulate, creando insiemebolle speculative e crolli suimercati finanziari. Con lenuoveregole,invece,iltrustèdisperso e la vecchiamoneta
endogena diventa nuovamonetaesogena.È sorprendente osservare
come, sconfiggendo il trust equindi liberalizzando ilmercato bancario, il ruolopubblico si accentui6. Lanovità della situazione è chelebanchenontrovanopiùunlimite alla propria attivitàcaratteristica nel loro statopatrimoniale. La singolabanca deve certo avere un
capitale,perchésesonoisuoiimpieghi che generano idepositi nell’intero sistema,nonèdettocheisuoidepositiderivino dai suoi impieghi,ma non ha ragione diaumentare il capitale alloscopo di aumentare gliimpieghi, una volta che è inopera il moltiplicatore deidepositi, perché l’aumentodegli impieghi di ciascunabancafacrescereidepositidi
tutte le altre7. Inoltre, lebanchediventanopartecipidiun meccanismo pubblico diclearing, cioè una stanza dicompensazione tra banchequando, confrontando gliassegni in entrata e in uscitarelativi ai depositi di tutte, sicalcolailsaldonettoacaricodi ciascuna, evitandoduplicazioni, riducendo irischi (o la percezione delrischio) di ciascuna e,
soprattutto, il fabbisogno dicapitaleariserva.Inrealtà,labanca non dovrebbenemmenofareprofitti,perchénella funzione ora descrittaappare come un sempliceservizio pubblico, necessarioperché il profitto emergaaltrove. Usando le categoriedella scienzadelle finanze, ilsistema bancario non è unbenepubblico,perchéilcostomarginale di ogni operazione
è diverso da zero8, né unmonopolio naturale; è inveceun bene di merito9, cherichiede l’interventopubblicoperchégliagentisulmercato,e le stesse banche, sonoinconsapevolidelfattochegliimpieghi determinano idepositi, piuttosto cheviceversa.Le società finanziarie
hanno invece il compito diprestare a medio e lungo
termine, e si finanzianoemettendo obbligazioni:devono perciò presentare unvero stato patrimoniale,perché i loro impieghi nontornano loro nella forma didepositi, e ciò ne limitadrasticamentelapossibilitàdispeculare sul mercatofinanziario. È bene rilevareche banche e societàfinanziarie, ora regolate,possono ben essere in manoprivata; nella Storia
successiva alla GrandeDepressionemolte sono statenazionalizzate, ma solo perevitarefallimenticontagiosieuna corsa ai depositisull’ondadellacrisi.Proprio la poca rilevanza
deimercati finanziari e deglistatipatrimonialidibancheeimprese rivela che siamonell’economia del profitto,non in quelladell’accumulazione. Nepossiamo derivare una
conseguenza: nell’economiadel profitto i titoli sono unaspecificazione delle cose,nell’economiadell’accumulazione le cosesono una specificazione deititoli o, se si vuole, titoli ecosechenonsonoseparabilinella prima, lo sono nellaseconda.
3.Ilmercatofinanziario
La varietà dei titoli sulmercatoeramodesta–azioni,obbligazioni, obbligazioniconvertibili, cartelle dicredito, contratti assicurativi–anchepereffetto,negliUsa,della creazione di un’autoritàregolatrice, la Securities andExchange Commission(Sec)10. In precedenza, ilmercato era affidatosostanzialmenteall’autoregolazione degli
operatorifinanziari.Delresto,con pochi titoli, eranosufficienti poche regole e laspeculazione, pur attiva, eravietata alle banche, concessaagli agenti di cambio aservizio dei risparmiatori, esempre limitata a quantitàmarginali, perché ilfinanziamento delle impresesul mercato dei capitali eramolto parziale rispetto alcredito bancario,all’autofinanziamento, alla
circolazione di «pagherò»(cambiali).La relativa esiguità del
mercato finanziario e la pocarilevanza dello statopatrimoniale delle imprese,confermano che, in tutto ilperiodo fino alla GrandeInflazionedeglianniSettanta,non si poteva distinguerel’economia«reale»daquellafinanziaria o, meglio, gliinteressideicapitalisti«reali»dominavano quelli dei
capitalistifinanziari.Questaèuna caratteristica strutturaledell’economia del New Dealche, riducendo il ruolo delmercato finanziario, hadiluito il potere deiproprietari del capitale efavorito quello degliimprenditori, facilitando ilcompromesso con lo Stato egiustificandonel’egemonia11.Ilperiodopostbellicovedrà
crescere la complessità del
mercatoelavarietàdeititoli,in corrispondenza con losviluppo delle economie deiPaesi vinti e con laliberalizzazione degli scambiinternazionali, ma le regoledel mercato finanziario e laprevalenza del motivo delprofitto su quellodell’accumulazioneresteranno essenzialmentequelle del New Deal, anchesele«lobby»bancarieintuttoil mondo le ritenevano un
ostacoloallorosviluppo,eunaspetto «socialista» dellepoliticherooseveltiane.In Europa, i mercati
finanziari si sviluppanoancora più lentamente: lenazionalizzazioni e leproprietà familiari, oltreall’applicazione delle regoleispirate al New Deal, hannoritardato la formazione di unveromercatodeicapitaliediuna classe di speculatoriprofessionali del calibro di
quellanordamericana.
4.Ilmercatodellaforzalavoro
i) Il New Deal. Insisto adefinirlo come il mercatodellaforza-lavoro,perevitaredi confondere il capitalismocon il mondo antico: unatentazione forte, quando siparla, come vedremo, di«capitaleumano».Lapolitica
rooseveltiana non riguardavasoltanto la moneta e ilmercato dei capitali, ma haavutounaprofonda influenzasul mercato della forzalavoro, attraverso ilriconoscimento del sindacatoe del diritto di sciopero e lacostituzione del NationalLabor Relations Bureau12,portandosottol’autoritàdelloStato la mediazionenecessaria tra imprenditori e
lavoratori. Il significato diquesta riforma consisteva nelriconoscere l’esistenza diun’asimmetria nel poteredelle parti, con l’impresa piùforte dei singoli lavoratori,bilanciata appuntodall’interventopubblico,eciòsoprattutto, ma non solo, inperiodi di non pienaoccupazione. Si trattava,certo,diunattodiciviltà,maanche di una vera e propriapolitica macroeconomica,
destinataa frenare lacadutadella domanda per consumimoderando la riduzione deisalari, altrimenti inevitabilese,nellecrisi,sifosselasciataalla sola iniziativadell’impresa la decisione suisalari. Prima delriconoscimento legale delsindacato e dello sciopero,anche in periodi di pienaoccupazione e di scarsità diforzalavoro,l’asimmetrianelpoteredellepartierapresente,
perchéogniformadiprotestadei dipendenti era assimilataaunreatocontro laproprietàprivata; proprio talesituazione rendeva inefficacela regola aurea dell’aumentodella produttività, creandouna situazionesemipermanentediscarsitàdidomanda. Il riconoscimentolegaledeidirittideilavoratoriera un altro elementostrutturale che favorival’egemonia dello Stato,
perché creava un altrosoggetto, oltre ai concorrentisul mercato dei beni, con ilquale l’impresa dovevacontrattare: ma poiché sitrattava di contrattazione, ilconflitto restava formalmenteentro regole dimercato, e loStato aveva il compitoresiduale di regolare ilconflitto quando lecircostanze (come nellaguerra) alteravano il poterecontrattuale delle parti. La
nuova rigidità sul mercatodella forza lavoro nonimplicavaunariduzionedellasua mobilità: semplicemente,le dimissioni diventavano ilcanale principale, rispetto ailicenziamenti; in pienaoccupazione, poi, questa è laregola generale, perché leimprese si fannoconcorrenzaper lapiùscarsa forza lavorodisponibile13.NelNewDealnonsarebbe
statopossibileper le impresecaricarsi di costi del lavoroche appesantivano il contoeconomicoseallebanchenonfosse stato concesso diammorbidire i criteri suiprestitialleimpresecomeallefamiglie – una politica dibassi interessi e dirifinanziamento delle banchepraticata dalla Fed e, piùtardi, dalla generalità dellebanche centrali nei Paesisviluppati. Si confidava che
l’aumento del debito delleimprese sarebbe rientratononappenalaripresasifossemanifestata. In questo caso,una politica monetariaespansiva aveva effetti reali,perché la domanda effettivaera stata stimolata propriodalle politiche a favore delsindacato.Nei Paesi capitalistici a
regimetotalitario,primadellaSeconda Guerra Mondiale,furono adottate politiche
simili, ma sulla forza lavoroci fu piuttosto o lasottomissione dei sindacatiliberio lasoppressionefisicadei suoi dirigenti. Queigoverni si presero il compitodiretto di evitare una crisi didomanda per consumi, siadecretando le condizionisalarialidall’alto,siacreandouna domanda pubblica diinvestimenti (compreso ilriarmo) e ottenendo la pienaoccupazione, sia imponendo
un controllo sui prezzi, perplacare il disagio dellefamiglie.
ii) Il dopoguerra e laliberalizzazione delcommercio mondiale. Dopola guerra, i lavoratori sipresero qualche vendetta enelle Costituzioni dei Paesivinti furono introdotti ildiritto allo sciopero e ilriconoscimentodelsindacato,ma si crearono forti
differenze tra gli Stati UnitidaunaparteeiPaesieuropeioccidentali dall’altra. Neiprimi, diritto di sciopero eforme di organizzazionesindacale furono ristretti nonappena iniziò la GuerraFredda14. Il partitodemocratico, che aveva fattoproprioiltemadellasicurezzasociale assicurando unapensione e il sussidio didisoccupazione a tutti i
lavoratori15, pur ampliandoqualche istituto di welfare,non hamai proseguito lungola direzione dello statosociale universale16, cheinvece ha caratterizzato neldopoguerra prima il RegnoUnito e poi tutta l’Europa.Questa differenza è dovuta ainnumerevolicausestoricheepolitiche, ma rivela una verae forte divergenzasull’obiettivo della piena
occupazione, e perciòsull’asse portante dellepolitichemacroeconomiche17.NegliUsa,l’obiettivodella
piena occupazione avevaquasinaturacostituzionaleedera comune a entrambi ipartiti, democratico erepubblicano, affidando unaparte molto rilevante deidiritti sociali (i fondipensione e l’assicurazionesanitaria) alla contrattazione
tra le parti sociali, peraltrorealizzata generalmente alivello di singola impresa. Inquel Paese, diventava cosìpoliticamente obbligatorioevitarelecrisididomanda,eigoverni si misuravanolargamente sul successooccupazionale. In Europa,invece, diventa gradualmenteobbligatorio lo stato socialeuniversale, originariamente acarico integrale del bilanciopubblico, poiché provvede
una rete di sicurezza per icittadini (e non solo per ilavoratori) anche durante lecrisi. L’obiettivo della pienaoccupazione, ancorchépresente in qualcheCostituzione (come il dirittoal lavoro in Italia), non è unobiettivopoliticogenerale.InEuropa, prima i lavoratori epoi tutti i cittadini sonogarantiti da eventi nonattribuibili alla loro volontà,appunto i diritti sociali, ma
non c’è una difesa«costituzionale» della pienaoccupazione attraversopolitiche macroeconomiche.Per chiarire, la pienaoccupazione, e perciòl’azione combinata delmercato e dello Stato, è unaltro modo di definirel’adeguatezza della domandaeffettiva, mentre lo statosociale universale haincidenza sulla domandaeffettiva, ma rappresenta più
unadifesadelbenessereedeldiritto del cittadino che unostrumento perl’occupazione18.Lacaratteristicacomuneai
due lati dell’Atlantico è,invece, il consenso deicapitalisti a entrambe lepolitichesocialie,pertuttoillungo periodo dal New DealfinoaglianniSettanta,essisirassegnano a sopportareforme di egemonia dello
Statosull’economia,ancorchéindebolite.Nel dopoguerra, infatti,
alcuni elementi delcompromesso rooseveltianocambiano. In tutti i Paesiindustrializzati si intensifical’abbandono delle campagnein relazione allo sviluppodell’industria: più in Europacontinentale che nel RegnoUnito e negli Usa, dove ilprocesso era già moltoavanzato, e ciò fornisce
l’aumento dell’offerta diforza lavoro necessario allacrescita sostenuta delladomandaeffettiva.Questa crescita è anche
frutto della Guerra Fredda edellaconseguentenecessitàdiorganizzare il mercato deiPaesi occidentali, ma lagraduale liberalizzazionedegli scambi internazionaliera statagiàdecisa aBrettonWoods, il luogo nel NewHampshire dove, nel luglio
del 1944, i Paesi vincitoriavevano sottoscritto unaccordo che imponeva aciascun Paese politichemonetarie che assicurasseroun cambio fisso legato aldollaro, a sua voltaconvertibile in oro. Ciòriduceva i rischi e leincertezze nel commerciointernazionale e ampliava ladomanda estera per ciascunPaese,riducendo lanecessitàdi concentrare la politica
economica sulla domandainterna e fornendo unostrumento automatico percalmierare i salari (non sipossono mettere in attosvalutazionicompetitive).Il motore estero della
domanda effettiva, però,complica il rapporto traimpresa e sindacato: ilcambio è fisso e laconcorrenza di prezzo sullemerci a livello internazionalesi rafforza, spingendo le
imprese a confliggere con ilsindacato, restringendo, nellacrescita, la forza della regolaaurea. Il conflitto èinizialmente contenutoproprio dall’abbondanzadell’offerta di forza lavoro(anche dalla smobilitazionedelleforzearmate),eilpoteresindacale cresce solo quandosi riduce l’afflusso di nuovaforzalavoroversol’industria.Il potere crescente delsindacato, d’altra parte, crea
in molti Paesi ricchi unarisposta nelle associazionidelle imprese industriali, e ilconflitto in Europa, anzichéaffidarsi a legislazionirepressive come negli Usa19,si distende su tavoli dicontrattazione moltoelaborati, dove i contenuti siapplicanoallageneralitàdelleimprese e dei lavoratori. Lacontrattazione chiamerà incausa lo Stato, attraverso
forme di concertazione che,nei diversi Paesi,costruiscono una vera epropria istituzione. Lacontrattazione, pur validaerga omnes, non ha naturamacroeconomica; laconcertazione, invece,introduceelementidipoliticaeconomica. Questi diventanorilevanti, tuttavia, solo nellefasi di crisi (inflazione,svalutazione), perché incondizioni di forte domanda
aggregata non c’è bisogno diquesto tipo di interventopubblico.
5.Ilbilanciopubblico
È ben noto che la politicadellaspesapubblicanelNewDeal fu inizialmente frenatadalla Corte Suprema20 e siscontrò con il fortepregiudizio dei partiti e delleimprese contro il disavanzo
pubblicoeciòchesiriteneval’inevitabile aumento deldebito pubblico (che avrebbespiazzato il debito privato).Un pregiudizio simile avevareso difficile la ripresa inGranBretagnadopolaPrimaGuerra Mondiale, quandoKeynes non fu in grado dimodificare l’atteggiamentosia del partito conservatoresia di quello laburista,orientatiacombattere lacrisidi domanda con misure da
politichediofferta(equilibriodel bilancio pubblico,riduzionedeldebitopubblico,nostalgia per il goldstandard)21. Al di làdell’ideologia egoistica deiconservatori, vi era unaquestione di insufficienteconoscenza della teoriaeconomica (la TeoriaGeneralevienepiù tardi).Leteorie fiscali del tempoconsideravanoottimasoltanto
l’imposta incifra fissa (epermolti economisti è ancoracosì),perchénonmodifica lastruttura dei prezzi dei benisul mercato; ma il gettito diquestaimpostaoèdepressivoo, per definizione,insufficiente a finanziare laspesa pubblica, specialmentein periodi di crisi22. Lemotivazioni del governoRoosevelt, invece,riguardavano l’effetto
macroeconomico della spesapubblica, perseguito primache Keynes lo teorizzassenella Teoria Generale. Èquesta la politica che dovevacreare le condizioni per unaumento della domandaeffettiva e, per questa via,compensare le impreseper ilcosto del riconoscimento delsindacato, e ridurreprogressivamente il debitopubblico. D’altra parte, purciechi, i capitalisti avevano
ben netto il ricordo dellaGrande Depressione e dellesue necessarie conseguenzeistituzionali23. Anche sel’imposta progressiva erastata già introdotta in moltiPaesi, con la guerra lealiquote aumentaronorapidamente24, e se ciò nonpotevatrovaregradimentoneicapitalisti, tuttavia l’obbligopatriottico della guerraimponeva una disciplina
sociale,rispettatadatutti.La necessità di un’imposta
progressivaderivavaanchedaun’idea di giustizia fiscale,ma la progressività dovevaessere tantomaggiore quantopiù era utile per mettere inmotoladomandaeffettiva(e,nella guerra, per evitaredeficitpubblicoeinflazione).In generale, si puòdimostrare25 che anche unbilancio in pareggio può
avere effetti macroeconomicipositivi, se l’imposta gravasui redditi elevati a bassapropensione al consumo piùche sui redditi inferiori amaggiore propensione alconsumo, e si può forsesostenerechel’aumentodellaprogressività e del gettitotributario evitavano uneccesso di emissione dimoneta a copertura deldisavanzopubblico.D’altra parte, non era
sostenibile negli Usa unlivello di tassazioneprogressivasuperioreaquellodegli altri Paesiindustrializzati, pena unariduzione della competitivitàamericana nel nuovo mondodiBrettonWoods,ovverodelcommercio in via diliberalizzazione. Comevedremosubito, inunmondoa cambi fissi la concorrenzafiscale sulle aliquote puòessere un modo
apparentemente legittimo peraumentare la competitivitànazionale.Ma se tutti iPaesipraticano politicherooseveltiane, poiché ladomanda effettiva aumenta,non c’è bisogno di formesurrettiziediprotezionismo,oalmenoquestepossonoessereresiduali e giustificate soloneiPaesiinviadisviluppo:laconcorrenza fiscale tende, inquestecircostanze,a livellarele curve della progressività
neiPaesiricchi.
6.Ilcommerciointernazionale
Dopo la GrandeDepressione, le economievivevanoalriparodipoliticheprotezionistiche, anche comereazione alla stessa crisieconomica. Le misure delNew Deal, volte adaccrescere la domanda
aggregata, erano tanto piùefficaciquantopiùchiusaeral’economia, sia dal lato dellemerci e dei servizi, sia dallato dei capitali. Questacondizione del commerciointernazionale, che purrestringevaladomandaesterae scoraggiava l’interscambio,evitava le svalutazionicompetitive. Mentre ilprotezionismo aveva, com’ènoto, gravi difettimicroeconomici (inefficienza
nella produzione, permancanza di concorrenza,bassa propensioneall’esportazione), avevameriti macroeconomici,almeno per le economieindustrialmentesviluppate.Tuttequesteeconomie,con
l’approssimarsi della guerramondiale, praticaronoanaloghe politicheprotezionistiche e di spesapubblica, ma dopo BrettonWoods la scena cambia
profondamente.In contrasto con le idee di
Keynes, che proponeva unavaluta internazionale, ritornauno pseudo-tallone aureonella forma del goldexchange standard con ildollaro moneta di riservainternazionale, e si istituisceil Fondo MonetarioInternazionale allo scopo difinanziare i Paesi indisavanzodibilanciacorrentedei pagamenti in un regime
generale di cambi fissi.Allora, come oggi,l’equilibrio degli scambicommerciali richiede chesurplusedeficitstrutturalineiconti con l’estero sianoentrambi scoraggiati26, ma èsempre stato impossibile«punire» i Paesi in surplus eperciò si è fatto ricorso alsussidio per quelli in deficit.Tuttavia, l’idea originaria èsubito mutata, perché il
finanziamento del sussidio,cheavrebbedovutoprovenireinevitabilmente dai Paesi insurplus, non poteva essereimpostoinassenzadiautoritàsopranazionali,eilsussidioaiPaesi in deficit mutò inmisure di svalutazione e diriduzionedidomandainternain quegli stessi Paesi, eperciò anche di domandaglobale. L’austerità comepolitica per correggere ladepressione, altrimenti
incomprensibile, nasce inquesto contesto. La granderiformapropostadaKeynesaBretton Woods consistevainvece nella creazione diun’autorità monetariasopranazionale capace di«razionare» la liquidità aiPaesi in surplus, e ridurre lanecessità delle misure diausterità nei Paesi in deficit:il surplus di alcuni è causatodai deficit degli altri, unconcetto derivato sempre da
quello della domandaeffettivaeche,ignorato,vedeil surpluscomeunavirtùe ildeficit come un vizio. Laparabola del fariseo e delpubblicano dipinge benel’orgoglio dei Paesi insurplus.Di fronte all’ostilità degli
Stati Uniti, che avrebberopersoilsignoraggioderivantedalla funzione del dollarocome moneta di riservainternazionale, a Bretton
Woods ci si limitò ascongiurare svalutazionicompetitive e favorire,insieme alla creazione delGatt27, una liberalizzazioneordinata del commercio dibeni e servizi. I flussi dicapitale restavano, invece,sotto il controllo dei singoliStati, che ne ostacolavano indiversi modi la liberacircolazione28. Per nonridurre l’afflusso di capitali
verso i Paesi da ricostruire epoi verso i Paesi in via disviluppo, era stata istituita laBanca Internazionale per laRicostruzioneeloSviluppo,esi dava ampia priorità agliaiuti pubblici. La liquiditàinternazionale era nelle manidei singoli Paesi, chedovevano procurarsi i dollarinecessari a finanziarel’espansione del commercio:e proprio questa espansionesollecitaval’offertadidollari.
Come abbiamo già notato, ilsistemanonera inequilibrio,perché il Paese più riccoaveva un deficit con l’esteropermanente,maperun lungoperiodo ha consentito lastraordinaria crescitapostbellica dei Paesi europeie del Giappone, soprattuttoperché era possibile farcrescere la domandaaggregata nazionale,utilizzando come motore leesportazioni, anziché o in
aggiuntaallaspesapubblicaeall’aumento dei salari. Perquesta stessa ragione,abbiamo già osservato chenon era necessaria laconcorrenza fiscale tra gliStati.Sipuò forseaffermareche
ilmodellodiBrettonWoods,egemonizzato dagli Usa,consentì di proseguire leistituzionirooseveltianeconilconsenso dei capitalisti:l’accento sulla
liberalizzazione delcommercio(manondeiflussidi capitale) appare comeun’occasione che i governioffrono agli imprenditori«nazionali» di fare profitti29riducendo sia il peso fiscaledelle politiche di spesapubblica sia la forza delsindacato. Nel periodo dellaPresidenza Roosevelt, ilcompromesso tra loStato e icapitalisti «reali» era fondato
sull’egemonia dellanecessità: dopo la guerra, lanecessitàsiattenua.
7.LoStato
Come conseguenza delNew Deal, le politicheeconomiche dei governi deiPaesi industrializzati, qualeche fosse il relativo regimepolitico, si somigliano,soprattutto perché gli Stati
diventano capaci dirappresentarsi l’economianelsuo complesso. Non è statosempre così e, comevedremo, non sarà così piùtardi. L’istituzione principaleche sostiene la capacitàtelescopica dello Stato è labanca centrale, che mantieneunrapportodicollaborazionecon il governo – pur agendosulla base di propri obiettivi,quali quelli tradizionali delcontrollodellabasemonetaria
afiniantinflazionisticiedellavigilanza sulle banche. LoStato, però, è anche resoconsapevole della situazionedell’economia nel suocomplesso dalla sferapolitica, perché sial’occupazionesiailbenesseredella popolazione sonoobiettivi di partiti e governi,alla ricerca del consenso.Molti hanno definito questosistema politico come«populista»,perché la ricerca
delconsensopuòfarcrescerei costi del raggiungimentodegli obiettivi di pienaoccupazione e benessere.Altri l’hanno definito comeuna versione dellasocialdemocrazia, perché ilsistema può tendere, anchespontaneamente, versol’uguaglianza, e non soloquella delle opportunità.D’altra parte, il cambio fissocreava un vincolo anche alloStato, perché politiche di
domanda e regola aureapotevano incidere sullabilancia corrente deipagamenti,creandodisavanziche era difficile correggere(sempre facendo eccezioneper gli Usa e il ruolo deldollaro) con l’aumento deiflussidicapitale,datochesuquesto versante laliberalizzazione si eraarrestata. In qualche caso, sipoteva anche creare unconflitto tra lo Stato e il
sindacato, se mantenere ilcambio fisso implicava unariduzione di domandaeffettiva e ladisoccupazione30.Poiché la consapevolezza
macroeconomicadelloStatoèla caratteristica di questoperiodo,occorrericordarecheil sistema politico che laconsente può non essereaffatto democratico, come hadimostrato l’espansione delle
dittature europee dopo laGrande Depressione, maancheneldopoguerra,quandosi sono manifestateinvoluzioni autoritarie (laFrancia di De Gaulle) o ledittature precedenti si sonoprotratte a lungo (Spagna,Portogallo). Le politichemacroeconomiche, perciò,non hanno un rapportopreciso con diverse forme diStato – democratico oautoritario.
Bisognerebbe aggiungereche,nelloStatopostbellico,ladivisione dei poteri ècambiata rispetto al periodoprecedente. Negli Usa, ladistinzione tra esecutivo elegislativo, quasi assentedurante la PresidenzaRoosevelt, torna più fortedopo la PresidenzaEisenhower, perché i partitidemocratico e repubblicanopossono di nuovo competeread armi pari. Il potere
giurisdizionale, già forte nelNew Deal soprattutto per larinnovata Corte Suprema31,continua ad avere grandeimportanza, e si manifestasoprattutto nella materia deidiritti civili. In Europa, ladivisione dei poteri restarilevante durante tutto ilperiodo postbellico: siaperché i partiti sono vitali elegislativo ed esecutivo sonoincontinuacompetizione, sia
perché l’indipendenza dellagiurisdizione, umiliata nelledittature, trova nuovalegittimità. La divisione deipoteriè lasintesipiùaltadelpluralismo, che si sviluppaquasi dappertutto, inOccidente, nel secondodopoguerra.
8.L’impresa
Storici e sociologi
dell’economiahanno studiatoafondol’impresacapitalisticaall’epoca del New Deal32.Poiché ladomandaaggregataeramantenuta continuamentein tensione – ricordiamol’economiadiguerraintuttiiPaesi di vecchiaindustrializzazione – leimprese manifatturieretendevano verso grandidimensioni, economie discala, organizzazioni del
lavoro tayloristiche confrazionamento delleoperazioni (così da poterutilizzare forza lavoro nonprofessionalizzata e, inguerra,ledonne,icontadini,iforzati, gli schiavi), proprietàaziendali familiari, ma anchenuove forme di proprietàimprenditoriale quando leazioni erano disperse nellamoltitudine dei risparmiatori.Le imprese pubbliche inEuropa, compresa l’Unione
Sovietica,elegrandiimpreseprivate negli Usa sisomigliavano sia nelledimensioni sianell’organizzazione, anche sele prime dipendevano dalpoterepolitico.Nel dopoguerra, la grande
impresa continua a essere ilnucleo principaledell’industria, magradualmente si estendeancheaiservizi, soprattuttoaquelli bancari, commerciali e
di trasporto, in relazioneall’aumento dei consumi dimassa. Né prima né dopo laguerra, la grande dimensioned’impresa favorisce laconsapevolezza degli effettimacroeconomici delledecisioni aziendali, innessuna parte del mondocapitalistico.Quando sono inmano pubblica, però, leimprese sono certamentestrumento utile per tenereelevataladomandaeffettivae
l’occupazione: non sono imanager pubblici ad avere lanecessaria consapevolezza,maigovernicheliguidanoesorvegliano la congiunturaperevitareladisoccupazione,attenti a non perdere ilconsenso degli elettori. InEuropa, la presenzasimultanea nelle impresepubbliche di obiettiviaziendali (massimoprofittoominimo costo) e di obiettivisociali (domanda effettiva,
occupazione, equitàterritoriale)hararamentedatoluogo a una legislazionecapace di rendereistituzionale la lealtàdell’impresa pubblica verso idueobiettivi, e ciòha spessodeterminato gestioni passive.Questo sarà uno dei pretestiaddotti dai governiconservatori (non importa seliberisti o laburisti) per leprivatizzazioni del periodosuccessivo.
LadivergenzatraEuropaeUsa è peraltro evidente,perché al di là dell’Atlanticonon ci sono grandi impresepubbliche33, e la domandaeffettiva è sostenuta dapolitiche macroeconomichegenerali, essenzialmentebasate sulla spesa pubblica esu politiche monetariepermissive; da questa parte,invece, pur nonmancando lostesso tipo di politiche
macroeconomiche, hannopeso significativo quelleindustriali.Nella singola impresa,
poiché la domanda è semprepresente, la funzione dellaproduzione (che comprendericerca e innovazione) ha lamassima importanza, mentresono asfittiche quella dellevendite e quella degliacquisti. La funzionefinanziaria non è rilevante,perché le borse e le società
finanziarie non sonosviluppate, e proprio perquesto l’autofinanziamento èalmeno altrettanto importantedelprestitoobbligazionarioodell’emissione di azioni, chea loro volta dipendono dalrapporto tra capitale e debito(leverage) dell’impresa e,perciò,dall’autofinanziamento: inqueste circostanze, il ruolodella funzione finanziaria èpiùdicontrollosugliequilibri
di bilancio che di ricerca difondi. Poiché, nonostante ilcambio fisso, il sindacatoresta forte, favorito dalladoppia presenza di pienaoccupazioneedifesadeisuoidiritti, si sviluppa la funzionedelpersonaleeciòcrea,asuavolta,lecondizionipernuoveforme di controllo digestione. Tra questi ruoli simuove l’imprenditore,mantenendo un equilibrioispirato al raggiungimento
dell’obiettivo del profitto:non lo sa, ma l’obiettivo èraggiungibilesoltantoinvirtùdelle politiche per ladomanda aggregata. Etuttavia, il capitalista non hala presunzione di attribuire ase stesso il merito delsuccessoaziendale,siaperchévive intensamente ilconflitto/collaborazioneconilsindacato, sia perché ladomandapubblicaèattiva.Stiamo parlando
dell’impresa non finanziaria,perché nelle impresefinanziarie, comprese lebanche, il ruolo effettivo diservizio pubblico, pur nongiuridicamente rilevante, lerende organismi di meroservizioalleimprese«reali».Nell’impresa pubblica
europea, la geometria dellefunzioni è simile, manaturalmente la politica entranellagestionesiaattraversolaproprietà sia attraverso i
finanziatori, anch’essi spessopubblici. Poiché i governisonoallaricercadiconsenso,potranno distorcere lafunzione macroeconomicadelleimpresepubblicheversoobiettivi particolari(favorendo territori, imprese,fornitori, finanziatori);tuttavia, se la domandaaggregata tiene el’occupazione è piena,l’impresa pubblica puòresistere all’inframmettenza
pubblica, e la sua dirigenzapuò far prigionierol’azionista. In periodi di crisio di stagnazione, invece, ladirigenzadegradaelediversefunzioni d’impresa simuovono anarchicamente.Infine, poiché è pubblica,l’impresa non rispondeall’obiettivodell’accumulazione. Sonoforse queste le ragioni dellarapida dissoluzione dellalegittimità dell’impresa
pubblica,quandosiconsolidaun nuovo capitalismo (dopole riforme Thatcher-Reagan)a seguito della GrandeInflazionedeglianniSettanta.Uncambiamentorilevante,
rispetto al passato, fu lacreazione e lo sviluppo diautoritàantitrust,inizialmentesoltanto negli Usa: senzafarne la storia, l’antitrustdeterminava un particolareequilibriotraleforzepresentisulmercato,chesarebbestato
altrimenti travolto dallagrande dimensione delleimprese34.
9.Il«fordismo»
Nel periodo rooseveltianoleformediimpresaerano,percosì dire, caratteristiche: c’èchi ha parlato di grandeimpresa e di «socialismosocietario». Si sosteneva chele forme organizzative non
cambiassero, tra il mondocapitalistico e quellosovietico, quasi che lastruttura dell’impresa fosseinvariante rispetto ai sistemipolitici, perché comandatadallatecnologia,ederalasuastabilità che dava luogo apolitiche simili. Lasomiglianzanoneraattribuitaallepoliticherooseveltianedaun lato e alla pianificazionecentrale dall’altro, come sel’intervento pubblico fosse
irrilevante. Questa visionepan-organizzativa non reggeai cambiamenti successivi, ec’èanchechi,illuminatodallemutazioni post-1979 (lepolitiche di Thatcher eReagan), l’ha attribuita al«fordismo»35. Si sottintendeuna particolareorganizzazione della forzalavoro (la linea diassemblaggio, forme ditaylorismo applicate a
popolazioni rurali) ed’impresa, tutta determinatadalle economie di scala, cheentra in rapportocon iproprilavoratori, consapevole cheuno sfruttamento eccessivoimplicherebbe – via bassisalariealtaproduttività–unacrisi di domanda e disovrapproduzione.Utilizzando il modellod’impresagiàdescritto,latesidel fordismo attribuirebbeall’imprenditore non
solamente il compito dimediare tra le funzionidell’impresa, sempre ai finidel massimo profitto, maanche la consapevolezza cheil capitale accumulato ha unvalore che dipendedall’economia nel suocomplesso. Saremmo difronte a un capitalistamacroeconomico, dunque,che deriverebbe queste suecapacità telescopiche non dalconflitto con il mercato, la
banca,loStatooilsindacato,ma dalla sua stessadimensione, essenzialmenteoligopolistica. Ilragionamento si applicavaabbastanza bene allapianificazione sovietica, tuttafondatasullagrande impresa,a sua volta determinata dalpianificatore che, perdefinizione, era consideratol’agente dellamacroeconomia36, ma non si
applica al capitalismo, doveperfino il monopolista hanatura microeconomica37. Ilmonopolista è interessato aisuoimercati, e se anche nonignorasse il moltiplicatore diKahn-Keynes38, ignorerebbecertamenteilmoltiplicatorediLeontief. Così, anche il piùestremo dei monopolisti èanarchico; è sembratoconsapevole perché i governine valorizzavano la
dimensione e il ruolo nellaformazionedelconsenso.
10.IlrapportotraloStatoeicapitalisti
Neldopoguerra,nonostanteil permanere dell’interventopubblico, il rapporto traquesto e i capitalisti non fucerto senza urti e sbalzi. Iconflitti sono stati numerosi,e di solito incentrati sulla
tendenza degli Stati adaumentare la pressionefiscale, o sulle norme chelimitavano il potereimprenditoriale sui mercati esulla forza lavoro. In tutto ilperiodo non è mancato ilriconoscimentodell’egemonia dello Statocome ultimo responsabiledella piena occupazione edella crescita del prodottonazionale, ma laliberalizzazione del
commercio mondiale e laregola del cambio fissostabiliti a Bretton Woodsindebolivano quell’egemonia,perché rendevano piùcomplessa l’azione delsindacato,epiùconflittualeilsuo rapportocon i capitalisti.Entrambi i soggetti, comeindicato, avevano bisognodello Stato, ed è lacaratteristica di questoparticolare Stato che èinteressantestudiare.
Lariduzionedell’egemoniapubblica è forse legata a unaprofondamutazione sociale epolitica. I canali ditrasmissione delcambiamento sono noti eall’epoca anche ben studiati:dai gruppi di interesse alledeontologie di professioni eassociazioni, dai corpiintermedi fino al pluralismopolitico, dove partiti emovimenti si misurano
continuamente39, società eStato formano quasi uncontinuum di presenze einfluenze reciproche. Icapitalisti, sempre anarchicianche se associati, poichépongono obiettivi socialiristretti (profitto) non sonoegemoni, e la cultura deicapitalisti è eclettica: purdifendendo la proprietàprivata come elementocentrale della libertà
d’impresa, in questo periodoaccettanoilcompromessoconlo Stato e, in molti casi, neapprofittano per farsiriconoscere benefici cheingrassanolerendite,insiemeai profitti. Del resto, la viadello sviluppo aziendale,mentreèagevoleinrelazionealla domanda effettiva, èstretta, dal lato sindacale,fiscale e dei capitali, tra ilfinanziamento a brevetermine del sistema bancario
pubblico e quello a lungo –attraverso le obbligazionicommerciate dalle societàfinanziarie – con le borseasfittichee,dopoleistituzionidelNewDeal, controllate daspecificheregolamentazioni.
11.LaGrandeInflazioneelafinedelcapitalismorooseveltiano
È giusto ricordare che il
declino dell’economiaispirata dalle innovazioni diRoosevelt avviene negli anniSettanta a seguito di unprolungato periodo diinflazione mondiale a duecifre (Grafico 9) – pur nonessendo un processoinflazionistico esplosivo, sitrattavadiunasituazionechenon si poteva lasciar correreperché, come si disse allora,«l’inflazioneèlapiùingiustadelle tasse». Quale che ne
fossestatalacausaprima,trala fine del gold exchangestandard, la crisi petrolifera(Grafico 10), la guerra nelVietnam – tutti fenomeni daricomprenderenell’analizzarela caduta del capitalismopostrooseveltiano – erasaggezza convenzionale chel’inflazione derivasse da uneccesso di domandaaggregata, frutto a sua voltadella forza contrattuale delsindacato e della priorità
attribuita alla politica dellaspesa pubblica (la GuerraFredda provocava facilmentequesta tendenza). Tra l’altro,l’inflazione rendeva ancorapiù dura la progressivitàdell’imposta che, se non sialterano lealiquote,genera il«fiscal drag» (dove crescesolo il reddito nominale, escattano le aliquoteprogressive): benché ciòcolpisca tutte le aliquote, sicapiscechequellepiùelevate
possono assomigliare a unesproprioconl’inflazione,eicapitalisti certamente nongradivano.Nonsierastudiatoabbastanza, nell’economiapostrooseveltiana, il KeynesdiHowtoPayfortheWar40.Questa è l’interpretazionetradizionale, ma vaapprofondita, perché nonsembra sufficiente una faseinflazionisticaper spiegare lagrande trasformazione
successiva.
12.Ildeclinodellapoliticaperlapienaoccupazione:ilcambiofisso
Tornando all’analisi delmercatodella forza lavoro,sisono determinate circostanzenuove già dai primi anniSessanta (PresidenzaKennedy) e nella secondametà di quel decennio
sorgono grandi movimentipopolarineiPaesiricchi(FreeSpeechnegliUsanel1966,il1968 francese, il 1969italianoe tedesco), tutti forselegati strutturalmente allaraggiunta piena occupazione.Non cerco qui di comporreuna ricostruzione storicarigorosa, ma di fornireelementi di un’ipotesiinterpretativa.Come si è detto, anche in
regimedicambi fissimacon
difesa istituzionale dei dirittidei lavoratori (limiti allicenziamento, diritto disciopero)edomandaeffettivasollecitata al fine dimantenere la pienaoccupazione, il poteresindacale resta forte. Con lapoliticadelcambiofisso,unavolta esaurita la disponibilitàdi forza lavoro provenientedalla smilitarizzazione,dall’agricoltura o dalprogressotecnico,ilcostodel
lavoro tende ad aumentarementre i prezzi sonocalmieratidalcambio.Èveroche il cambio fisso espone ilavoratori di un Paese allaconcorrenza di quelli di altriPaesi, ma solo se c’è liberacircolazione di lavoro, mercie capitali: quando i flussi dimanodoperaedicapitalisonocontrollati dai governi, laconcorrenza tra economie èlimitataallemercieaiservizi,sui quali si esercitano forme
di protezionismo nontariffario.Questa limitazione,pur combattuta da continuiaccordi di liberalizzazione,può permettere che i salaricrescano più dei prezzi eperciò più della produttivitàdella forza lavoro: la regolaaurea continua a non essererispettata, ma stavolta afavoredeilavoratori.CiascunPaese sperimenterà analoghetensioni,eigovernidovrannointervenire. È interessante
osservare come sidifferenzianolepolitiche.Negli Usa la domanda
effettivaèsempreintensioneper l’intervento pubblico,soprattutto strategico emilitare(l’Ursselacorsaagliarmamenti), e i governi delpartitodemocraticotentanodipatteggiareconilsindacatoilmododievitarelarincorsatrasalari e prezzi. La bilanciacorrente dei pagamenti èdeficitaria, mentre i flussi di
capitale in entrata sonoscoraggiati dalla debolezzadel dollaro e dal cambioartificiale derivante dal goldexchangestandard:essovienesuperato nel 1968, limitandolaconvertibilitàdeldollaroinoro alle banche centrali; nel1971, anche questa residuaconvertibilità sarà annullatadalPresidenteNixon.Daquelmomento il dollaro, checontinuerà a essere il mezzodi scambio internazionale,
diventa moneta fiduciaria, epoiché il resto delmondo habisogno di quella valuta perpoter commerciare41, gli Usariceveranno un creditogratuito, senza subire ildrenaggio delle proprieriserve,comeavvenivaconilgoldexchangestandard.Che la domanda fosse in
tensione è fuori di dubbio, eche la bilancia corrente deipagamenti Usa fosse
permanentemente in deficit èparimenti indubbio. Quandoil dollaro diventa monetafiduciaria, e il deficit esternocresce, l’aspettativa sulmercato mondiale è per unasvalutazione del dollaro che,infatti, si manifesta e causaunagrandeondatadiaumentodei prezzi nei mercatioligopolistici dell’energia edelle materie prime e daquesti progressivamente a
tuttiglialtriprezzi42.Occorreaggiungere che l’aumentocolpiscedipiùiPaesieuropeie il Giappone (più aperti alcommercio internazionale)che gli Usa, ed è forse perquesto che nessuna politicaper rafforzare il dollaro fumessa in campo dal governoamericano.In Europa occidentale, i
governi intervengonodiversamente. La dinamica
salarialeèsimile,magovernie sindacatonegozianopatti–talvolta anche espliciti – chefanno crescere l’interventopubblico nella forma diun’estensione dello statosociale universale: il deficitpubblicopuò crescere,ma sela banca centrale lo finanziain tutto o in parte, il debitonellemanideirisparmiatorièfrenato. Si opera perl’educazione di massa,tendenzialmente fino alle
scuole superiori e alleuniversità, per la sanitàgratuita per tutti, per laprevidenza pubblica diretta(metodo retributivo), mentresi allarga il diritto al lavorodelledonneeinqualchecasoalla parità salariale (mairaggiunta).Inquestomodo,sicostruisce una formaparticolare di ciò che verràchiamata politica dei redditi,perché si sottraggono allevertenze sindacali beni e
servizi che altrimenti ilavoratori avrebbero dovutopagare con il proprio salario;cresconoiredditifamiliarideiceti medio-bassi mentrecrescelapressionefiscalesuiceti medio-alti, migliorandoladistribuzionedelreddito.Siè formata rapidamente unavastissima classe media, unrisultato inaspettato dellapiena occupazione e dellacontrattazione tra sindacati,Statoeimprese.
Questa fu la politicaeffettiva,maeradiversadallapolitica dei redditi cheall’epoca tenne moltooccupati gli economisti. Sicercava una spiegazioneall’inflazione nella dinamicadelcostodellaforzalavoro,eci si affidava alla cosiddettacurva di Phillips43 che mettein relazione il tasso didisoccupazione e lavariazione del salario
monetario,suggerendoche lascelta dei lavoratori e delsindacato era tra salarimonetari (inflazione) edisoccupazione. Glieconomisti monetaristi equelli pseudokeynesianiusavanomodellidaeconomiachiusa, e sostennero che lacurva di Phillips è verticale:inunmercato liberoda leggia favore dei lavoratori,esisterebbe un unico tasso didisoccupazione che non
produce inflazione, perché inquel punto i salari ricevonotuttalaproduttivitàchespettaloro44. L’analisi è, però,debole: se si trattava diaumentarel’occupazionealdilà del suo livello massimo,allora l’inflazione erainevitabile, ma la politicasindacale non avrebbe avutoalcun senso. Né sicomprendevache l’inflazioneera sostanzialmente
importata, sia in Europa sianegli Stati Uniti, e che eracompito impossibile cercaredi batterla con la politica deiredditiinciascunPaese.Per verità, la costruzione
intorno alla politica deiredditi acquista una parvenzadi realismo in regime dicambio fisso. In questo caso,però, l’ordine delle cause èinverso: quando aumentano iprezzi internazionali causatidallasvalutazionedeldollaro,
il cambio fisso, che era statoinauguratoanchepertenereafreno i salari in pienaoccupazione sperando nellaconcorrenzainternazionaletralavoratori, non funziona più;cresce il prezzo delleimportazioni in termini divalutanazionale,e l’aumentosi trasmette a tutti i prezziinterni, compresi i salari, chedunque non ne sonoresponsabili o ne sonoresponsabili solo in parte.La
tentazione di batterel’inflazione frenandol’aumento dei salari era soloun riflesso inconscio dellafrustrazione pubblica con ilcambio fisso45. La fine deltallone aureo, nel 1971, cheproduce l’abbandono deicambifissi,nonfuuneventoben compreso, all’epoca,soprattutto in Europa, maimplicava la fine delcompromesso realizzato a
Bretton Woods e ladistruzione di una forma,certo imperfetta, diregolazione dell’economiamondiale, che non sarà maipiùricostruita.
13.Ildeclinodellapoliticaperlapienaoccupazione:ilcambiofluttuante
Icambifluttuantioccupanoun periodo lungo: dal 1971
fino, con varie vicende, al1987.Alle prese con tassi dicambio che fluttuano (ovengono fatti fluttuare daigoverni) al variare sia dellecondizioni economicheinterne sia di quelleinternazionali, si generaun’originaleeinaspettata(peril monetarismo di Friedman)alleanza oggettiva trasindacatoeimprenditori:seiprimi sono in grado di farcrescere i salari più della
produttività, i secondiricostruiscono lacompetitività delle proprieproduzioni aumentando iprezzi,spingendoigoverniadattuare politiche di cambiocompensative ocompetitive46. Anche le crisioccasionali favorisconoquestastranaalleanza,perchéle imprese non licenzianonella recessione e ottengonoin compenso un maggior
credito bancario47 in attesadella ripresa, quandol’eccesso di manodoperaimpiegata si esaurirà, imargini di profitto siricostruiranno e diminuiràl’esposizione con le banche.Così, l’inflazionesiperpetua,ma non è esplosiva: laproduzione cresce sia perchéla domanda estera è intensione, sia perché i salarireali oscillano nel processo,
mamantengonolaloroquotanel reddito nazionale. Né igoverni né le parti sociali nesono consapevoli: e di fronteall’inflazione, la necessitàdellapoliticadeiredditi«allaPhillips»sirafforzaanchese,nelle circostanze del cambioflessibile, non ha senso erivela una nostalgia per iltalloneaureo.L’elemento comune tra
NordAmericaedEuropaè,dinuovo, il forte potere del
sindacato, contrattuale epolitico e, paradossalmente,proprio in regime di cambifluttuanti,presuntosegnalediliberalizzazionedeimercati.Isingoli capitalisti si trovanofavoriti dalle politichedell’intervento pubblico chetengono elevata la domandadei loro prodotti, sfavoritidalla forza del sindacato chevuole estrarre il massimoritornoperilavoratori,madinuovo favoriti dalle
svalutazioni.Benché la fluttuazione dei
cambi sia durata a lungo, la«strana alleanza» erainstabile, tra inflazione esvalutazione. Nella culturadei capitalisti, chel’intervento pubblico assicuriloro levenditenoncontapiùperché, dopo laliberalizzazione dei mercatiinternazionali, ritengono chelacrescitadellevenditederividalle loro capacità
imprenditoriali, e lamemoriadellaGrandeDepressionenonregge al livello elevatodell’imposta progressiva48che d’improvviso appare, aisingolicapitalisti, soltantounfurto ai danni del giustorendimento dell’attivitàimprenditoriale.Nonpossonocomprendere le leggi cheproteggono un sindacato chemette a rischio profitti eaccumulazione. Lo stato
sociale, quale che sia la suauniversalità,nonliriguarda,eperciò non ne capiscono lanecessità. Tanto menoapprezzano le ragionioriginariediBeveridge49,peril quale lo stato sociale eragaranzia di libertà deicittadini: per i capitalisti,l’unica libertà concepibile èquelladell’impresa.Anchesefavoriti da politiche dicambio permissive,
l’apparenza,perloro,èquelladi un’economia gestita dalfattore lavoro: una forma di«socialismo». Laconseguenza è che icapitalisti vedono in pericolola proprietà privata, la basesulla quale si fonda il loroessere capitalisti. Del resto,hanno sempre pensato che imaggiori salari siano ascapito dei profitti e nonsanno né possono apprezzareche i loro eventuali minori
profitti si tradurranno inmaggiori risparmi deilavoratori e, per questa via,daranno luogo, nel sistemabancario,amaggioridepositi,a maggiore generosità negliimpieghieapiùbassitassidiinteresse e minori garanziesui prestiti fatti alle loroimprese; né si rendono contoche la spesa dai maggiorisalari darà luogo, in realtà, amaggiori profitti, e ciòtenderà a moderare l’effetto
negativo,perloro,dellapienaoccupazione sulla regolaaurea. Il velo di ignoranzaimpedisce loro di ricostruirequestepossibilievoluzioni.Anche il sindacatoassegna
a se stesso il merito per gliaumenti salariali e ilmiglioramentodeidirittinellostatosociale,eignorailruolodecisivo della politicaeconomica, dell’obiettivodella piena occupazione, esoprattutto del tasso di
cambiofluttuante50.Così, sindacato e imprese,
nelle circostanze, si rivelanoattori microeconomici e,salvoalcunerareeccezioni51,diffidano dell’interventopubblico, vuoi perchéinterferisce nelle vertenzesindacato-impresa, vuoiperché il ceto politico siritiene in concorrenza conquesta stessa contrattazione,vuoiperchétemonoilriflesso
inflazionisticosuilorocrediti,vuoi perché temono leconseguenze delle politicheantinflazionistiche.Intuttociò,èpossibileche
si alteri anche la soggettivitàdei lavoratori, perchéanch’essi ciechi all’economianel suo complesso (altridirebbero che la classeoperaia non era realmentediventata una classedirigente). Se, infatti,attribuiscono alle proprie
capacità il merito deimaggiori salari (dellariduzionedelleorelavorative,dello stato sociale, ecc.) eacquistano i modi di essereindividualistici dei capitalisti(consumi, status, ecc.), allorail sindacato e l’interventopubblico appariranno loro(alla nuova classe media)meno necessari. Ci si puòchiedere, perciò, se imovimenti popolari deglianni Sessanta e Settanta,
suscitati dalla libertàeconomicafornitadallapienaoccupazione, non abbianoritenuto inutile fardello leforme tradizionali dirappresentanza sociale epolitica, e non si sianotrasformati in domandelibertarie e individualistiche,e se ciò, alla fine, non abbiacreato il consenso allesuccessive politicheantistatali e antisindacali delPrimo Ministro Thatcher e
del Presidente Reagan. Nonsono in grado di addentrarminella storia e nell’analisi deimovimenti, e questariflessione può facilmenteessere smentita; tuttavia, nonmi sembra che l’influenzamacroeconomicaesocialedelcambio fluttuante sia stataconsiderata come unelemento rilevante percontribuire a spiegare sia lapersistenza dei movimentipopolari sia la successiva
distruzione del capitalismorooseveltiano.Sto semplificando la
crescita e il declino di unsistema economico nel qualeil capitalismo e lo Statohanno costruito uncompromesso, certamenteoggettivooimplicito52,per ilqualeilmercatofinanziarioequello del lavoro eranoregolati per evitare cheproducessero crisi e la
politicaeconomicaassicuravasempre sufficiente domandaeffettiva. Tuttavia, lasoggettività di capitalisti,sindacati, sistemi politici,dove ciascuno ritiene diessere il creatore del propriosuccesso, ha finito percoinvolgere anche lo Stato.La politica della domandaeffettiva finisce inuncul-de-sac,edavantiall’inflazione,ecioè a una crisi percepitacomedioffertaeproveniente
da cause interne, ilcomportamentodeicapitalistinei diversi Paesi tende arisolvere il problema con lariduzione della capacitàproduttiva e ladisoccupazione.Non è la fine dell’età
dell’oro:visonostate,infatti,numerose crisi e riprese nelperiodo delle politiche delladomandaeffettiva–del restoho certamente semplificatotroppo, escludendo dal
quadro il sottosviluppo, lapresenza dell’economiasovietica, iparadisi fiscali, laricerca scientifica, l’incertorapporto tra governi eparlamenti,ledifferenzenelladivisionedeipoteri.Èperòlafine di un rapporto tra icapitalisti e lo Stato cheaveva gradualmentemiglioratoladistribuzionedelreddito e creato diritti socialial posto della beneficenza edella compassione. A
giustificazione di questaricostruzione, certamente unpo’ onirica, del vecchiosistema, metterò in risalto,non meno fortementesemplificati, gli elementidell’economia capitalisticacome si sonoevoluti dopo lanascita, tra il 1979e il 1981,dellanuovapoliticadelPrimoMinistro Thatcher e delPresidenteReagan.
Per verità, fu il Presidentedemocratico Carter che, nel1979,chiamòPaulVolckeradirigere la Fed, dandoglil’obiettivo di sconfiggerel’inflazione, e Volcker sirivolse alle politichemonetariste di MiltonFriedman1. Fu, però, con ilrepubblicano Reagan2 e laconservatrice Thatcher3 cheiniziarono i maggioricambiamenti nelle istituzioni
economiche e si delineò unnuovo capitalismo e undiversorapportotraloStatoeicapitalisti–chechiameremolo Stato dei capitalisti. Ilprocesso di cambiamento èstato graduale e il lettoredovrà ancora subirel’insufficienza dell’analisistorica4.
1.Lareazione:riformemonetarie
Ilprimocambiamentoènelruolo delle banche centrali5,che acquistano una nuovaindipendenza6 dai governi, eperciò non emettono monetain relazione al deficit deibilanci pubblici, ma solo inrelazione allastabilità/instabilità deiprezzi7: non tutte le banchecentraligodrannodellostessogrado d’indipendenza, matutte smetteranno per lungo
tempo di finanziare irispettivi governi. È uncambiamento decisivo etrattato solo superficialmentedall’analisi delle politicheeconomiche, ma ha unimpatto fortissimo sulleriforme e sulla loromotivazione. Se l’emissionedimonetanonèpiùdirettaafinanziare i disavanzipubblici, non è più possibilericonciliarelavalutazionedeltempo tra capitalisti e Stato.
D’improvvisoècomeseiduefronti si allontanassero, e lamacroeconomia(il tempoperloStato)fossesostituitadallamicroeconomia (il tempo deicapitalisti): un ritornoindietro, alle politicheeconomiche fondate sultalloneaureo,purinpresenzadimonetafiduciaria!Indirettamente, qualcosa
della valutazionemacroeconomica rimane,ancorché ben nascosta nelle
esegesi degli economistiamericani. Si tratta del ruolodel dollaro, già discusso,perchéadifferenzadeglialtriStati, quello nordamericanoemette moneta che serve alcommercio internazionale, eil credito gratuito ottenuto inquestomododagliUsaèunaforma di finanziamento chepuò ridurre (ma noneliminare) l’emissione didebito pubblico e alleviare ilpesodeltassodiinteressesui
contipubblici8. Ciò non valeper il resto del mondo, cheusa enonproducemonetadiriserva9.Selebanchecentralinon acquistano«strutturalmente» debitopubblico, ma lo devonovendere sul mercatofinanziario, si creaungrandee nuovo mercato di titolipubblici,eibilancidegliStatisonolimitatidallacapacitàdipiazzarliepagarneilservizio
con l’imposizione fiscale; sequestaharaggiuntounlimite,al di là del quale viene amancare il consenso politicoe/o il gettito non cresce alcrescere del Pil, l’interventopubblicoperde la suanaturamacroeconomica, e il suocompitooèdaStatominimo(difesa,sicurezza,giustizia)oè redistributivo (oggidiremmo «equitativo», maalla Hobbes, perché servesoloper evitare la rivoltadei
poveri).Il capitalismo può ora
mostrare tutta la propriatradizionale potenzadistruttiva: all’epoca dellanuova politica economica, ilmondofu,ineffetti,scossodauna recessione profonda. Lateoria ispiratrice, ilmonetarismo di MiltonFriedman10, prevedevacrescita «naturale» senzainflazione, e ciò si sarebbe
ottenuto annunciando, daparte della banca centrale, ilfuturoaumentodellaquantitàdimonetaauntassoinferiorea quello precedente, così dainfluenzare le aspettativeinflazionistiche deglioperatori11. Poiché si vuoleridurre la quantità di monetaper frenare l’inflazione,inevitabilmente si ottiene unaumentodeitassidiinteresse,ma se la riduzione della
quantità è graduale, ci siaspetta che altrettantograduale sarà l’aumento deitassi. Invece, l’aumento deitassi di interesse reali fuesplosivo (da negativi conl’inflazione,apositiviemoltopiù alti del tasso di crescitadel reddito – Grafici 11a e11b), sia per la nuovadomanda di fondi perfinanziare i debiti pubblici,sia, e soprattutto, perl’improvvisa scarsità di
dollarisulmercatomondiale,indottapropriodallepolitichemonetariste.Non si poteva prevedere
questo esito perché, nelliberismo più rigoroso diFriedman, l’equilibrio nelcommercio internazionale,nelladistribuzionedelredditoe nel mercato della forzalavoro era assicurato propriodalla natura fluttuante deitassi di cambio, che dovevagenerare un equilibrio stabile
e sconfiggere le svalutazionicompetitive. Semplificando,se unPaese avesse svalutato,avrebbe creato un surplusnella bilancia corrente deipagamenti, ma un deficit inquella in conto capitale, finoalpuntoda ridurre i flussidicapitale in entrata eaumentare quelli in uscita,riportando la produzione allivello precedente lasvalutazione. Il complementoal monetarismo di Friedman
fu, infatti, la liberalizzazionedei flussi internazionali deicapitali, senza la quale gliequilibri non si sarebberopotuti riprodurre. Nonostanteciò,nulladiquantodesideratoaccadde, e la politicamonetaria restrittiva negliUsa provocò una crisigenerale.La crisi non fu sgradita,
non tanto perché potevabloccare l’inflazione in corso(che però continuò per lungo
tempo in Europa, a causadellesuccessivesvalutazioni),ma perché la disoccupazionecreata riduceva il poterecontrattuale dei sindacati12.La riduzione della domandaeffettiva,conseguenteaglialtitassi di interesse determinatidalla nuova politicaeconomica, spinse le impreseverso una politica salarialetanto più restrittiva quantopiù esse cercavano di
massimizzare (mantenere,nella crisi) il profitto.Con ladomanda effettiva in doppiopericolo, perché se tuttiminimizzano i costi delpersonale, si minimizzerannoanche i ricavi (i costi delpersonale, ovvero il redditodistribuito, di un’impresasono i ricavi delle altre), laforza del sindacato si riduce,e da quel momento sarà piùfacilenoncompensareisalariper l’aumento della
produttività: si rompe laregola aurea dellaproduttività. Sappiamo ormaiche se i salari non cresconoquanto la produttività, ineconomiachiusa,ladomandaglobalesiriduce;maancheineconomia aperta, se tutti glioperatorisicomportanonellostesso modo, com’è il casodelcapitalismoglobale13.La relazione tra
l’indipendenza delle banche
centrali, la riduzione delpotere sindacale e l’aumentodella probabilità di una crisidi domanda fu forsecompresa all’inizio dellenuove politiche (primi anniOttanta) perché si pensavache l’inflazione dell’epocaoriginasse dall’eccesso diforza sindacale, e chequalsiasi sacrificio in terminidi domanda, di crescita e didisoccupazione sarebbe stato
dibreveperiodo14.Daallora,però, si è perso il ricordo diquesta relazione e della crisiche poteva determinare, edessanonfapiùpartenédellepolitiche sulle banchecentrali15 né dei modellieconometrici usati dallediverse autorità. La ragionestanel fatto,ma lo sappiamosolo a cose fatte, che la crisiinizialedelnuovocapitalismoerasimileaidoloridelparto.
L’economia, in tutti iPaesi, opera da allora conmenoStatoemenosindacato,più impresa privata e menoimpresapubblica,piùflussidicapitale e più accumulazioneche flussi dimerci e profitti:la domanda effettiva non èpiù un obiettivo di politicaeconomica.Passatoilparto,ilnuovo capitalismo ha trovatoaltrove la domanda effettivanecessaria per la propriatrasformazione.
La crisi, d’altronde,contribuì a far abbandonare,sia puremolto gradualmente,una parte della lezione diFriedman. Alla politica sulcambio fluttuante, fupreferito,apartiredal1987,ilritorno al cambio fisso,mentre la politica monetariasubì un fortemutamento conAlanGreenspan,nominato inquello stessoannoPresidentedella Riserva Federale, cheadottòquellacheinseguitofu
chiamata «la regola diTaylor»16. Questa regolastabilisce come obiettivodellabancacentraleiltassodiinteresseelolegasiaaltassonaturale (in questo caso, iltasso di equilibrio delmercatodeifondiaprestitodilungoperiodo),siaaltassodiinflazione, sia, eccol’eccezione americana, altassodidisoccupazione,vistocome dipendente dal tasso di
crescitadelprodotto(masolodi quello potenziale, che nonimplica automaticamente lapienaoccupazione).La ragione dell’abbandono
dellaregolafissadiFriedmanstava forse proprio nellanatura internazionale deldollaro, la cui domanda nonera solo il fruttodell’economia americana.Con le politiche sul tasso diinteresse, in effetti, sideterminava, a partire dagli
Usa, il tasso di interesse nelcommerciointernazionale,eicambi nel resto del mondoriflettevano anche ledivergenze tra i tassinazionalidiinteresseequellointernazionale fissato dallaFed17.Èpossibilechepropriol’adozione della regola diTaylor abbia contribuito arafforzare il ruolo di WallStreet come mercato diriferimento di tutte le altre
borse, anche quando leeconomie si muovevano indirezioni divergenti. Cheesista un unico mercato deicapitali insieme a moltimercatideibeniedeiservizi,è fenomeno non indagatodagli economisti, prima edopolacrisidel2007-08,maèfenomenocertamentelegatoallaliberalizzazionedeiflussidi capitale in tutto il mondooccidentalee,dopolafinedelregime sovietico, in tutto il
pianeta. Tra l’altro,l’esistenza sul mercatofinanziario americano delleborse merci, dove siscambiano titoli futuri, è unaformadiunificazionedituttiimercati:laglobalizzazione,dicuipiùavanti,èanchequesto.Nontuttelebanchecentrali
abbandonarono la politicamonetaria di Friedman; inparticolarelaGermaniae,piùtardi, la Banca CentraleEuropea non seguirono la
regola di Taylor, anche sehanno oscillato intorno adiversi obiettivi (target) dipoliticamonetaria.Ciò che èsempremancato,inEuropa,èl’obiettivo del tasso dicrescita dell’economia el’analogo obiettivooccupazionale che, nelleregole che saranno imposteallaBancaCentraleEuropea,è soltanto secondario (perchénon sembra né vincolo néobiettivo) rispetto a quello
dellastabilitàmonetaria.
2.Lariformabancaria
Un secondo cambiamento,perfino più importante delprimo, è l’eliminazione delladistinzione tra banche esocietà finanziarie e ilconseguente declino dellapolitica bancaria pubblica.Negli Usa e nel resto delmondo a economia di
mercato, non si potevaconsentire che le banchefossero strumento dello Statonel creare moneta (esogena)bancaria, perchénell’ideologia conservatriceciò consentiva ai poteripubblici ampia libertàmonetaria, e perciò ilcontinuo pericolodell’inflazione, causato dallapropensione «populista»(ricerca del consenso) deigoverni. Così, si ricostruisce
la concorrenza tra le banche,e tra queste e le societàfinanziarie; per renderlaefficace,sirimuoveildivietodiprestarealungoesiamplialo spettro delle attività,compresa la possibilità dispeculare sul mercatofinanziario, di acquistareazionidelleimpresedebitrici,di conglomerare ogni attivitàdi raccolta. Laliberalizzazione dei flussi dicapitaleèstataforsesiacausa
sia effetto della riformabancaria.NegliUsa, il processo che
haportatoaldeclinoe,infine,alla delegificazione delladistinzione tra banche esocietà finanziarie è statolungo18,ehaprecedutoanchelenuovepolitichediReagan.Erano le stesse bancheamericane che da qualchetempo invocavano lapossibilità di comprare e
vendere titoli, perchéassistevano a una crescenteconcorrenza di tipo bancarioda istituzioni non bancarienazionali, per un progressivoallargamento delle eccezioniallaleggeGlass-Steagall,edaistituzioni bancarie nel restodel mondo già libere davincoli (per non ricordare iparadisi fiscali). Le leggibancarie del periodorooseveltiano furonogiudicate una forma di
protezionismo.La speculazione è attività
chesipresentacontinuamentein qualsiasi circostanza,perché i prezzi sui mercatioscillanoesipuòguadagnare(o perdere) su taleoscillazione. Ciò chespecifica la speculazionefinanziaria diversamente daaltre forme, è che le banchepossono speculare,cartolarizzandoli, anche suiprestiti ai loro clienti,
operando sia sulla variazionedei tassi di interesse osull’andamento dei mercatifinanziari, sia sulcambiamentodellasituazionedelcliente,checonoscono.Èevidente che si crea unformidabile conflitto diinteressi, anche perché ilcliente non può specularecontrolabanca19.Gradualmente, le banche
non sono più gli elementi di
un sistema, né un serviziopubblico,masingole impreseche devono rispettare unqualcherapportotrapassivoeattivo: la lobby bancaria hadesiderato questo sviluppo,ignorando che così avrebbepersol’esclusivitàdell’attivitàcreditizia e, perciò, anchedell’emissione di moneta. Ilclearing tra le banche èconsiderato un ostacolo allaconcorrenzaedèsostituitodaun mercato interbancario,
doveciascunpartecipantenonha ragione di evitareduplicazioniedirimuovereilrischiodel concorrente,maodà o prende a prestito dallealtre banche, e in questomodocresce il fabbisognodiriservediciascuna.Laconcorrenzatrabanche,
ora, è resa acuta dall’assenzadel clearing, dalla possibilitàdi prestare a lungo e perqualsiasimotivoeinqualsiasipartedelmondo,edientrare,
sia pure indirettamente, nelcapitale dei debitori: nonmeno importante, è l’assenzadi una regolamentazioneantitrust nel settore. Lamoneta è ancora esogena,perché l’obbligo di riserva simantiene, e, salvo eccezioni,imperizie e truffe, ilmoltiplicatore dei depositiopera automaticamente pertutte le banche in modo chegli impieghi di ciascuna sitrasformino automaticamente
nei lorodepositi.Semprechela domanda di credito siaattiva,laconcorrenzatuttaviaspinge le banche adaccrescere i depositi al di làdelmeccanismodellamonetaesogena, in modo daaumentare gli impieghi piùdei concorrenti: si tratta,infatti, per ciascuna, dimassimizzare il profitto (maanche di accumulare).Tuttavia, è possibileaumentare gli impieghi solo
se aumenta anche il capitaledelle stesse banche, e i duemodi tradizionali perraggiungere questo scoposonolavenditadiproprititoliai depositanti e lacartolarizzazionedeiprestiti.La vendita dei titoli ai
depositanti fa aumentare ilcapitale delle banche, equantopiùgrandeè labancain termini di depositi, tantopiùpuòvendereproprititolieaumentare i propri impieghi.
Ora, questi prestiti non èdetto che torneranno allabanca nella forma di nuovidepositi, perché laconcorrenza li distribuirà inrelazione al grado dimonopolio sul mercatobancario: ma quanto piùgrande è la banca, tantomaggiorisaranno idepositi–sia derivanti dai propriimpieghi sia derivanti daquelli di altre banche. Nescaturisce una particolare
formadiconcorrenza,voltaamassimizzarel’accumulazione.La cartolarizzazione dei
prestiti ha lo stesso scopo.Vendendo le rate del mutuo,labancaperdecapitale,maloriacquista sia perché ildeposito derivante dalmutuooriginarioè, almeno inparte,tornatoallabanca, siaperchéincassailricavodallavenditadello stesso mutuo. Inoltre,poiché attribuisce
all’acquirente il propriorischio, la qualità del suocapitalemigliora.Il«normale»moltiplicatore
dei depositi può diventaresecondario rispetto allamoltiplicazione del capitaledelle banche, e puòindebolirsi, rispetto allacreazione dimoneta bancariaendogena,sebancheeclientiaumenteranno acquisti evendite di titoli, rispettoall’acquisto di beni e servizi.
In altri termini, ilmoltiplicatore dei depositiattraverso la speculazionefinanziaria riduce ilmoltiplicatore di Kahn-Keynes, e ciò fa ridurre ladomanda di impieghi perscopi di investimento e diconsumo. Le banche devonomassimizzare fatturato eprofitti, e perciò dovrannoaumentare il capitale ariserva,aldilàdelritornodeidepositi, ora minore per la
minore domanda di prestitiper scopi di consumo einvestimento; si forma cosìl’ansiadiaccumulazione,chefa aumentare il valore dimercato dei titoli e facrescere sul mercato ladomanda di prestiti peracquistare titoli; siricostruisce unmoltiplicatore,machenonhapiù nulla a che vedere conl’andamento dell’economianelsuocomplesso.
Inoltre, con le nuoveregole, le banche possonoprestarealungo(eamaggiortassodi interesse),mapoichési presta a lungo, larestituzione avverrà a lungo,il rischio dell’attivitàaumenta, e capitale e riservedevono aumentareulteriormente.La qualità delle riserve è
anche rilevante: se sonocostituite da obbligazioni eazioni o, in genere, da
strumentipocoliquidi, il lorovolume per unità di impiegodeve aumentare, e ciò riduceulteriormente i possibiliimpieghi(eperciòlaquantitàdi moneta bancaria). Infine,poiché le stesse banchespeculanosuititoli,ilmercatointerbancario diventa unafonte di finanziamento chenonaiutailmeccanismodellamoltiplicazionedeidepositi.Si sono create almeno sei
diverse cause dell’aumento
strutturale della domanda diriserve bancarie: la fine delclearing, la concorrenzamonopolistica tra le banche,la ridotta efficacia delmoltiplicatore dei depositi,l’aumento del rischio neiprestiti, laqualitàdeipassivi,la speculazione attraverso ilmercato interbancario.Indipendentemente daeventuali regolazioni, ogninuovo impiego avrà bisognodinuoveriserve,elaquantità
di moneta esogena non siadatterà più alla domanda.Siamo di fronte a una veratrasformazionedell’economiacapitalistica, che costringe lebanche a operare sullo statopatrimoniale, e non più sulsolocontoeconomico,perchéora sono le riserve chefinanzianogliimpieghi:parteda qui lo sviluppo dellanuova economiadell’accumulazione.In questo quadro, la
singola banca ha perso laconsapevolezza che ogniimpiegodeterminadepositi,eanche se cercherà diconservarelafedeltàdeisuoiclienti, non ci può contare:nemmeno è interessata almoltiplicatore dei depositi,perchénonsonoquestiormaila causa principale degliimpieghi. Il punto è che labanca deve sempre acquisirenuovo e maggiore capitale emettere a riserva nuove e
maggiori risorse, se vuolefare nuove e maggioriattività; e non può che farnenuove e maggiori, perchéaltrimenti «ossifica» le sueattività: o perché dovrebbeattendere la restituzione deiprestiti,operchéridurrebbelapropria quota di attivitàspeculative sui titoli, in ognicasoindebolendosirispettoaiconcorrenti.Sipotràopporrecheanche
nel vecchio sistema i prestiti
erano usati dai clienti peracquistare titoli, anzichébenie servizi, e perciò ancheallora il moltiplicatore deidepositi era indebolito.Tuttavia,abbiamovistocomedopo ilNewDeal ilmercatodei capitali fosse asfittico, laspeculazione sui titolimodesta, l’autofinanziamentorilevante rispettoall’emissione di azioni, ilconto economico piùimportante dello stato
patrimoniale.Nel nuovo capitalismo,
mentre il moltiplicatore deidepositi è meno efficace, ladomandadicapitaleeriservedelle banche è maggiore.Mentre cresce la domanda dicapitale delle banche,crescono i prezzi dei titoli egli indici finanziari, cresce laconvenienza a speculare suititoli da parte deirisparmiatori, e la monetaesogena perde ruolo:
d’improvviso, tutti glioperatori si rendono contodell’importanzadivalorizzarelo stato patrimoniale, comefontediprofittoediulterioreaccumulazione.Questo sviluppo non è
ricercato:avviene.Senonerapossibile mantenere unsistema bancario pubblico,quando tutto doveva essereprivato, non ne segue che lesingole banche dovesseroesserelasciatesole.Sipoteva
immaginare un sistemabancario tradizionale conclearing e vigilanza sullaquantità di moneta bancariadapartedellabancacentrale,perchéavrebbedovutoesseresufficiente tagliare i legamitra questa e i governi perlimitarelafunzionemonetariaai soli scopi transattivi, cheera l’obiettivo delle politichemonetariste di Friedman, edeliminare il finanziamentodello Stato attraverso
l’emissionedimoneta.Èveroche le successivepolitichediGreenspan sono indirizzate afissare il tasso di interessepiuttosto che la quantità dimoneta, ed è vero che inquelle politiche è presente iltasso di crescita; ci si affidaall’idea che il tasso diinteresse dovrebbe avereeffettisiarestrittivi,incasodiinflazione, sia espansivi incasodicrisi.Ormaisappiamoche l’effetto espansivo è,
invece, assente o moltolimitato (vuoi per lapreferenza per la liquidità,vuoi per il mancatofunzionamentodell’efficienzamarginale del capitale) e unaqualsiasi difficoltà nelladomanda effettiva non èrisoltadallaregoladiTaylor.Una volta liberate le
societàfinanziarie–bancarie,speculative, assicurative,d’affari, d’investimento –dagli obblighi del sistema
bancario pubblico, ciascunadoveva comportarsi comeun’impresa qualsiasi erivolgersi a un mercatoconcorrenzialeallaricercadeimezzi più adatti permassimizzareipropriprofitti.Apparentemente s’imponevala cultura dellamicroeconomia, che dovevarendere universale sia ilcomportamento di mercatosia la valutazione individualedel tempo, ma in realtà si
vede prevalere gradualmenteil motivo dell’accumulazionesuquellodelprofitto.I legami politici della Fed
con il governo federale nonerano stati alterati in modorilevante, tanto che i suoiobiettivi di crescita eoccupazione non sono maistati aboliti, perché il nuovogoverno Reagan non volevarinunciare allo strumentomonetario che riteneva utileper l’occupazione (e il
consenso)20. Anche laThatcher fu più opportunistadiquantosicrede,perchépercorreggere la crisi successivaalle politiche monetariste,svalutò la sterlina, come delrestoavevanofattopiùdiunavolta i governi laburisti,imponendosi facilmente sullaBanca d’Inghilterra. Unavolta risolta la crisi, però, inentrambi i Paesi si tornò apolitiche monetarie più
ortodosse, a una maggioreautonomia delle rispettivebanche centrali, e non fu piùricostruitoilsistemabancariorooseveltiano.Questa è stata una storia
americana, con una codabritannica. Nell’Europacontinentale si seguì lapoliticadellafinedelsistemabancario pubblico, ma comeabbiamo visto, alle banchecentraliprima21,eallaBanca
CentraleEuropeapiùtardi,silasciò solo l’obiettivoantinflazionistico, forseproprio per la tradizionalenoncuranza dell’obiettivodella piena occupazione22.Ciòcheèrilevante,tuttavia,èche in Europa, e dovunquenel mondo, le banche hannoseguito (hanno dovutoseguire)lapoliticadellostatopatrimoniale.
3.Laderegolamentazionedeimercatifinanziari:unanuovamonetaendogena
Poiché sono sempre più leriserve che determinano gliimpieghi,dobbiamoosservarecon maggior precisione lacatena successiva delletransazioni.Quando la banca presta a
chi acquisterà beni e servizi,si mettono in moto duemeccanismi. Il primo è il
moltiplicatore di Kahn-Keynes, per il quale la spesagenera un maggior livello direddito (nominale o reale, aseconda delle circostanze), eun risparmio esattamenteuguale alla spesa originaria(in economia chiusa), chetornerà in parte alle banchenella forma di deposito (ilrestoè liquidonellemanideirisparmiatori). Il secondo,simile al primo, è ilmoltiplicatore della moneta
bancaria che nasce dallatrasformazionedelprestito indepositi. Con la riformabancaria, poiché la bancavuoleassicurarsiunmaggiorecapitaleariserva,ladomandadicapitalecresce,e ilprezzodei titoli aumenta, con ilrisultato che la convenienzarelativa dei clienti nelprendere a prestito percomprare beni e servizipeggiora rispetto adacquistare titoli (ecco la
nuova economia dello statopatrimoniale) e ilmoltiplicatore di Kahn-Keynes s’indebolisce,riducendo la domandaeffettiva. Allo stesso tempo,poiché il valore dei titoliaumenta, i debitori potrannoottenere nuovi prestiti,garantiti proprio dal maggiorvaloredel titolooriginario.Èfacile concludere che questaattività mette in moto il
leverage23, ma, eseguita lanuova transazione, la singolabancasidevefermareperchéavrà, in ipotesi, esaurito ilcapitalesulqualefareprestiti.È a questo punto che la
deregolamentazione dellepolitiche bancarie generagrandi conseguenzefinanziarie. Come abbiamovisto,labanca,infatti,cheperricapitalizzarsi ha vendutopropri titoli ai depositanti,
offrirà ai depositanti nuoviprestiti (leverage) che poivende sul mercato(cartolarizzandoli),accrescendo la propriacapitalizzazione. Si creacertamente un conflitto diinteressi, che, però, finché ilmercato finanziario mostraindici crescenti, causatiproprio dall’ansia diaccumulazione delle banche,non determina un danno aidepositanti. Quando quegli
indici crescono, poichéaumentailvaloredelcapitale,il leverage potenziale a suavolta cresce, ed è inevitabilela rincorsa tra debito ecredito, e si crea lamoltiplicazione finanziariagià descritta, complementareo, meglio, sostitutiva sia delmoltiplicatoredeidepositinelvecchio sistema bancariopubblico sia di quello dellamoneta bancaria endogena24
(Grafici12ae12b).Proseguiamo. Il mercato
dei titoli è spintooriginariamente dalle singolebanchechecercanocapitalidirischio, emettendo titoli alunga scadenza a bassorischio,pronticontrotermine,titoli rappresentativi deidepositi. Questa domandanonincontrasubitoun’offertadi fondi, che sono giàcollocati in investimentiimmobiliari o finanziari.
Tuttavia, la banca ottienecapitali oltre che vendendopropri titoli ai depositanti,anche vendendo qualsiasititolo allo scoperto percomprarloinseguitoaprezzopiù basso, uno strumentoquesto di grande importanza,perché mentre lo statopatrimoniale della banca siarricchisce subito col nuovotitolo,ilsuocontoeconomicopresenterà interessi e
dividendipagabilipiùtardi25.Ladomandadititoli,praticatadalla generalità delle banche,neaumentailprezzoeperciòil valore del capitale e, piùche in proporzione, illeverage, che consente nuoviacquisti. Non appena gliindici cominciano a crescere,s’innesta la speculazione alrialzo, che non haapparentemente un freno, sela causa originaria, la
massimizzazione dei fatturatibancari, resta attiva. Infine,le banche possono portare acapitale anche creditirischiosi, se il rischio èprotetto da un fondo hedge(di cui, più avanti), e questospiegaanchel’espansionedeimercatideiderivati.Chiunque abbia liquidità a
disposizione – i fondipensione, ad esempio – evede lievitare il valore delproprio capitale, potrà
prendere a prestito perprofittare della bonanza sulmercato finanziario e,naturalmente, non si limiteràad acquistare titoli bancari,maognititoloeiloroderivati(come le opzioni sui titoli)che faranno crescere il suoportafoglio almeno quantocresce ilmercato.Nonsiamodi fronte auna scelta, perchése il leverage aumentato nonè investito, si affronta unaperdita rispetto a ogni altro
operatorepiù attivo– ecco illucrocessante–masicorreilpericolo maggiore di essereacquistati da altri – ecco ilmotivodell’accumulazione.Il mercato finanziario, nel
processo descritto, moltiplicai propri soggetti, perché lanecessaria varietà daintrodurre nel portafogliodegli stessi capitalisti (nonsolo i fondi pensione, maancheleimprese,lefamiglie,le stesse banche) diversifica
la forma dei titoli e quelladegli intermediari, ed è cosìche si crea la domanda el’offertadinuovititoli–daglioriginali fondi comuni, aglihedge fund, ai fondimonetari, ai future, ai titolirappresentatividelladinamicadegli indici di borsa, aidiversitipidiopzioni,aititolistrutturati, per nondimenticare le azioni e tutti iloro derivati (Grafico 13). Ilcapitale di rischio, acquistato
evendutoaWallStreet,nonèpiù il principale attore deimercati eperdepesodopo lacompleta liberalizzazione delPresidente Clinton nel 2000(Grafico14),tuttaviaèaNewYork,nelle sedidellebancheedellesocietàfinanziariechesi sviluppa il mercatofinanziario. È una storiaamericana,perchéèinquestestrutture che diventaconvenienteinventaresempre
nuovi titoli26 o, meglio,cartolarizzare tutto ciò che sipresentaaccompagnatodaunrischioodaunaprobabilitàdiopportunità (per Marx, ilcapitalismomercifica anche isentimenti).Tutti questi titoli entrano
nello stato patrimoniale dibanche, impreseefamiglie,ediventa necessario gestirli,per permettere a ciascunoun’accumulazione che
proceda di conservaall’accumulazione ricercatada tutti i soggetti.Naturalmente,tantomaggioreè la complessità delmercato,tantomaggiore è la necessitàdegli operatori di valutarerischi e opportunità. Talirischi e opportunità, a lorovolta, danno luogo a titolicommerciabili,apparentemente simili ascommesse che, tuttavia,possonoessereassicurate(nel
valore, nel rendimento, neltempo) acquistando nuovititoli, o proteggendosi con ifondihedge.Questi (chiamati fondi
speculativi)27 sono tra i titolipiù interessanti e hannol’obiettivo di fornire unaforma di assicurazione e diproteggere dai rischi –bancari, finanziari, valutari,commerciali,politici,solopercitarne alcuni. In pratica,
rimborseranno il cliente se ilprezzo del bene (del titolo,dell’opzione)sulmercatosaleo scende più di quanto siastato previsto nel contrattocon il fondo hedge,consentendo unaspeculazione a rischiominimo; se la previsione sirealizza, l’assicurato ottienequantodesiderato,eseinvecenonsirealizza,ilfondohedgedeve compensare la perdita,ma il fondo ha sempre
l’accortezza di offrire laprotezione a tutti i soggetticheoperanosulmercato,eseassicura Tizio contro ilrischio di Caio, assicuraancheCaiocontroilrischiodiTizio. In questo modo, nelpeggiore dei casi torna inpari, guadagnando lecommissioni. Ciò riducesoprattutto il rischio dellasocietà emittente il titolo ol’opzione, e crea un nuovomercatoilcuirischioglobale
è minore della somma deirischi in assenza di hedging,ciò che, in particolare,interessa l’attività bancariaalla ricerca di riserve epotenzia il moltiplicatorefinanziario.Le società di hedging
speculanocontemporaneamente sia alrialzosiaalribasso,cercandodi realizzare guadagniindipendentementedall’andamentodeimercati,e
forniscono,senzavolerlo,unamaggiore regolarità di taliandamenti (la GrandeModerazione, di cui piùavanti, ha un sostegno ancheda tali attività speculative).L’attivitàdihedgingaccrescela liquidità di tutti i titoliprotetti in questo modo erafforza il motivodell’accumulazione inrelazione alla riduzione deirischi.Questi fondi possono, a
loro volta, comprare evendere contratti hedge sulmercato, normalmente ascopo speculativo (ancheperché conoscono meglio dialtri le condizioni dei loroclienti),ma se le circostanzeliobbligano, come accade inuna crisi finanziaria, con talecompravendita possonoaddossare ad altri il peso discelte che gli stessi fondiritengonoeccessivo,inquestomodo proteggendosi, ma
scaricando una nuovaincertezza sul mercatofinanziario.Ifondihedgenonhanno bisogno di capitaleproprio, perché il loro statopatrimoniale non è rilevanteai fini della loro attività, epoiché non fannopropriamente attivitàbancaria,nessunaregolazioneostacola la loro libertà dimovimento: il fascino delnuovo capitalismo sta anchenel fatto che i maggiori
sostenitoridell’accumulazione nonhanno bisogno diaccumulare.Molti interpreti ritengono
che la molteplicità deisoggetti finanziari determiniuno «shadow banking»(un’attività bancaria«ombra») quasi fosse unconcorrente illegittimo dellestessebanche.Nonpensochequesta distinzione siacorretta: tutto il mondo
finanziario è «banking» etutto è anche fondato sullaspeculazione, anche seesistono specializzazionidiverse tra le imprese. È ilcaso delle società finanziarieche cartolarizzano titoli, lirivendono a banche eimprese,esercitandoformediprestito attraverso titoli (gli«swap»)28, ma non devonosottostare a regolamentazioniditipobancario.Èilcasodei
fondi hedge, che puresvolgendo una funzione ditipo assicurativo, speculanosuipropristessicontratti,esenon fanno politiche bancarie,tuttavia riducono il rischioper qualsiasi operazionebancaria legata allaspeculazione.Il segreto del successo
della finanziarizzazionedell’economiastaanchenellacircolarità dei soggetti:perchéinuovititolipotessero
avere collocazione, eranecessario che vi fosse unmercato,eunaparterilevantedi tale mercato erarappresentata dagli stessiemettitori di titoli, e inparticolare dalle banche29.Ritroviamo l’economia delleverage: attraverso latrasformazione del debito increditoedelcreditoindebito,si è creata nuova monetaendogenadalnullao,meglio,
dalla deregolamentazione. Laderegolamentazione legal’emissione di monetapubblica (esogena) intorno altasso di interesse, con loscopo principale di evitarel’inflazione,piuttostochealloscopo di soddisfare i bisognidello Stato e dell’economia(soprattutto quandol’economia cresce, comenegliUsa),esel’inflazioneèfrenata, lo sarà anche laquantità di moneta esogena.
Allo stesso tempo, il sistemabancariodinaturapubblicaèdistrutto:ilnuovocapitalismocausainconsapevolmenteunanuovamonetabancariachesimoltiplica attraverso illeverage, che a sua volta simoltiplica attraverso ilcontinuorialzodelprezzodeititoli30.È difficile dimostrare
statisticamente l’esistenzadella nuova moneta e la sua
dipendenza dal rialzo deititoli. La volatilità delmercato finanziario, le crisichel’hannocolpito,laminorevisibilità delle transazionisono responsabili di questadifficoltà.D’altraparte,nonècosì essenziale per la nuovamoneta che la crescita delmercatosiaregolare,seilsuotrend resta in ascesa, perchénel nuovo capitalismo lapossibilità continua dispeculare al rialzo e al
ribasso permette, per unlungoperiodo,chesiproducalanuovamonetaendogena, echesievitinoicrolliolecrisidistruttive tradizionalmentespiegate con l’eccesso didebito che, pur crescendo(Grafico15),nelnostrocaso,si trasforma in credito e inricchezza31: l’accumulazioneriproducesestessa.È il concetto di liquidità
chemeglio facapirecosasia
questa nuova monetaendogena: tantopiùè liquidoun titolo, tanto meno èrischioso, tanto piùassomiglia alla moneta32,tantopiùcircolaeprovvedeasoddisfare, oltre al normalemotivo finanziario, sia ilmotivo precauzionale e,poichéillucrocessanteèunaperdita non meno del dannoemergente, sia soprattutto ilmotivo speculativo, ovvero
dell’accumulazione. Proprioper queste caratteristiche iltitolosoddisfaancheunvastoe crescente raggio deimotividelle transazioni. Come lamonetapubblicaèquellacheconsente di profittare dinuove opzioni, così anche lanuova moneta endogena, alcrescere del valore dei titoli.Liquidità e leverage, perciò,sono profondamenteconnessi: la prova evidente èragionare «a contrario» – in
periododi«deleveraging», laliquidità si assottiglia e siforma scarsità di moneta edeflazione, che è una dellemanifestazioni delle crisifinanziarie.Misipotrebbeopporreche
vi è contraddizione tra ilmotivo dell’accumulazione ela liquidità dei titoli:ma nonè così. Il gioco è nello statopatrimoniale e questo si puòmobilizzare più facilmente,allo scopo di accrescerlo
(accumulazione) quanto piùliquidi sono i titoli, e perciòpiùagevolelaspeculazione.Non c’è alcuna ragione,
immediatamentericonoscibile, che leghil’espansione della nuovamonetaendogenaallacrescitadell’economia;ladomandadiimpieghi cresce perchéciascunoperatorediventaunospeculatore,pernonincorrerein lucro cessante, eperché ladistribuzione della ricchezza
peggiorerebbe per chiunquenon profittasse del leveragecrescente.Permoltiinterpreti,qui nascerebbe l’espansionedel debito e l’inevitabilecrollo dei mercati e delleeconomie: nel nuovocapitalismoquestoesitononèinevitabile, se la crescita deldebitofacrescerel’economia,comevedremo.
4.Iltassodiinteresse
Bisogna ora chiarire ilruoloelavariazionedeltassodi interesse. Il leverage nondipendedaltassodiinteresse,ma dalla deregolamentazionedel mercato dei capitali. Ilmercato finanziario puòmostrare uno pseudo-effettoPigou, se il leverage è spintodapiùbassi tassidi interesseche causano33 un aumentodella ricchezza, ma sarebbenecessaria un’impossibile
riduzione indefinita del tassodi interesse per produrre unaricchezza che crescecontinuamente34.Invece,datoil tasso di interesse, èl’aumento degli indici deiprezzi dei titoli che creasempre nuova ricchezza. Ingenerale,seilvaloredeititoliaumenta, il tasso di interessedovrebbe diminuire e, inassenzadi inflazione, toccarepresto un valore pari a zero:
se fosse così, la convenienzaofferta dai mercati siridurrebbe e il leverage sirestringerebbe rapidamente.Ciò che avviene, invece, èche l’aumento del valore deititoli è esso stesso unrendimento, e perciò nondobbiamo guardare al tassoformaledi interesse,maauntasso-ombra nascosto nelladinamica dei mercatifinanziari35, o se si vuole,al
rendimentodell’accumulazione, che siesprime come aumento dellastessa accumulazione(aumentosiadellaquantitàdititolisiadellorovalore).La scoperta di Keynes in
merito alla preferenza dellaliquidità era anchenecessariaper spiegare, tra le altre,quellasituazione(latrappola)nella quale il tasso diinteressecorrenteècosìbasso(eilprezzodeititolialto)che
gli operatori prevedono chenelfuturosaràmaggiore(e ilprezzo dei titoli minore), ciòche li spinge a mantenersiliquidi, nel frattempo, inattesa dell’opportunità36.Nell’economia del leverage,gli operatori non fanno piùprevisioni sul tasso diinteresse, ma sul nuovodebitochepossonoaccenderesullabasedelmaggiorvaloredei titoli. Se nel futuro il
valoredeititolièprevistopiùelevato del valore corrente,alloraglioperatoriacquistanotitoli a lunga scadenza evendono quelli a breve: laliquidità si riduce, e ci sitrova in una situazione nontroppolontanadalpensierodiKeynes, perchéapparentemente la preferenzaper la liquidità diminuisce.D’altra parte, siamo in unmondo diverso da quello diKeynes:l’acquistodeititolia
lunga scadenza fa subitocrescere ilvaloredi tali titolie il potenziale di leverageaumenta,datochenei titoli abreve scadenza quelpotenziale è più basso37. Ilprocesso perciò continua, illeverage fa aumentare ildebito e la ricchezza, ilmercato dei titoli continua acrescere, come i guadagni inconto capitale. Mentrenormalmente un aumento del
valoredeititolicorrispondeauna riduzione dei tassi diinteresse, nell’economia delleverage avviene unfenomenodiverso:lacrescitadel valore dei titoli aumentail leverage, il debito, ilcredito, la ricchezza e laliquidità, indipendentementedal tasso di interesse. Latrappola è irrilevantenell’universodell’accumulazione.Un ruolo marginale i tassi
di interesse lo conservanoquando interviene la bancacentrale o per aumentarli oper ridurli38: ma nel nuovocapitalismo, la politicamonetaria non ha veramentela forza di alterare irendimenti che si formanonell’economia, perché lanuova moneta endogena èmolto più potente dellamoneta bancaria e di quellaesogena, e non reagisce, o
almeno offre una forteresistenza, alle manovre suitassidiinteresse.Gli economisti
dell’equilibrio,chenonhannomoneta ma solo baratto, nonpossono concepire la monetaendogena, e men che menoquella dovuta al leverage, eciò perché nei loro modellidebito e credito sicompensano semprenell’economia nel suocomplesso e, dunque, la
ricchezza finanziaria èsempre uguale a zero39: inquei modelli,l’accumulazione sparisce,insieme all’autonomia dellostato patrimoniale dal contoeconomico di banche,impreseefamiglie.La liberalizzazione del
sistema bancario haincontrato più di una crisifinanziaria (la più severanell’ottobre 1987 con un
crollo aWall Street che si èripercosso in tutto il mondo,forse la conseguenzadell’accordo del Louvre delfebbraio precedente), e lebanche centrali prima e igoverni poi hanno cercato diporre basi regolamentariall’attivitàbancaria:aBasileasono stati prodotti tresuccessivi regolamenti(BasileaInel1988,BasileaIInel 2004, Basilea III nel2008) che, almeno
apparentemente, dovevanoridurreilrischiodellebanche.L’applicazione delle ultimeregole è stata ripartita neltempo e riguardaessenzialmente qualità emisura del capitale diciascuna banca (più severeper le piccole che per legrandi!). La filosofia diqueste regole, che nonricostruiscono un sistemabancario ma solo bancheapparentemente più solide,
consiste nel rendere menorischiosi sia il credito sia laspeculazione fatta dallebanchestesse,essenzialmenteper proteggere il mercatofinanziariodal loroeventualefallimento: la loro natura èsquisitamentemicroeconomica – delleconseguenze di tali regolesull’economia nel suocomplesso non sembra si siapreoccupata nessuna delleautorità che le hanno
progettate e messe in atto.Poiché non vi è stataun’analoga regolazione deiderivati, queste decisionitendonoanchea frazionare ilmercatofinanziario,arenderepiù difficile l’attivitàcreditizia, ma non intaccanola natura delle banche néfrenano lo «shadowbanking».Le regole bancarie
mostrano che i governi sonosensibili al rischio delle
banche più che al rischiodell’economia nel suocomplesso, e che hannodimenticato i benefici delvecchio sistemabancario.Neè derivata anche unadistorsione nella culturafinanziaria: nelle politicheanti-crisi, la restrizione delcredito per l’acquisto di benie servizi non è attribuita allaregolazione più severa delleriserve bancarie ma,attraverso un’intensa
propaganda, allo Statodebitore, che requisirebberisorse altrimenti disponibiliper quelle riserve bancarie el’attività di prestito –un’illuminante inversione tracauseedeffetti.
5.Iltitoloelacosa
All’epoca delle istituzionidelNewDeal,ilvalorediuntitolo non poteva allontanarsi
per un lungo periodo dalvalore del sottostante,cosiddetto «reale», se nonprovocando una bollaspeculativa, d’altro cantoimprobabileperlelimitazioniposte al mercato finanziario.La situazione mutaradicalmente nel nuovocapitalismo. Il sottostante,infatti, non esiste se non inquanto rappresentato da untitolo, perché la cosa in sé,per avere significato
economico, non deve esseresolo comprata e venduta,macisiaspettachesiacompratae venduta, e in questi casi sicomprasempreuntitolosullacosa.Infondo, il titolononèaltro che il certificato dellaproprietàattualeefutura,edèin virtù di ciò che ogniproprietà può essere mobile.Ciò vale anche per il titolorappresentativo diun’aspettativa (opzione)sull’andamento degli altri
titoli, anche perché questetransazioni sono quelle sullequali intervengono i fondihedge. Perfino il pane è untitolo? Sì, perché può essererivenduto, trasformato,consumato, o scambiato contitoli. È vero che il pane vaconsumato fresco, ciò chenedetermina il tempo di vita(peròilgranonelsilosèpanefuturo),maogni titoloeognicosa hanno sempre unapropria durata (con
l’eccezionedelloStato).I titoli hanno, però, una
particolarità,diversadaquelladelle cose. I titoli sonoricchezzaesiaccumulano;sehanno una durata, sitrasformano in altri titoli conaltra durata. Le cose, invece,si possono certamenteaccumulare, ma non per sestesse:lostockdimercièunascommessasultempo,esehauna durata superiore a quelladella merce immagazzinata
per scopi produttivi, diventaun titolo. In altre parole, ilmagazzino è certamentecapitale, ma nel nuovocapitalismo non tanto perchémerce, bensì in quanto«riserva di tempo», e inquestocasoèun titoloenonunacosa.In generale, il tempo
individuale ha un rapportostretto con la proprietàprivata, attraverso i titoli:comeper lamoneta esogena,
questitrasportanolaproprietàdal presente al futuro (oaltrove), guadagnano ilrendimento della proprietà,perisconoalperiredellacosa;ma anche una cosa morta èstata in precedenzatrasformata in titoli che neprevedevano proprio la fine,sulla data della qualespeculare. Ecco l’aspettostrutturale della finanza: ilbenesulmercatoèl’ombradisestesso;tuttoèmobile,ese
non lo fosse, si perderebbel’opzione a realizzare, avendere e a comprare, oggi,domaniefratrent’anni.Questa universalità del
titolo non elimina le bollespeculative, ma avvicina ilnuovo capitalismo ad alcunecaratteristiche delmodello diequilibrio economicogenerale: ciò che inprecedenza era un’ipotesiparticolarmente irrealistica–l’esistenza di un solo bene
prodotto (o di una solastruttura di beni) – sembradiventare una riproduzioneeffettiva del mercato, perchétutti i titoli sono fungibili, adifferenza delle cose, e se iprezzisulmercatosonoquellidei titoli e non delle merci,allora esiste un mercato,presentee futuro,pertutte lecose. Inoltre, se i titoliriflettessero, attraverso ilcambiamento nella strutturadei loro prezzi, gli elementi
dinamicidell’economia–peresempio,laleggediEngeleilprogresso tecnico – allorasarebbepossibilecostruireunsistema in equilibriodinamico.Ovviamente, non è così.
Intanto, occorrerebbeintrodurre nei modelli laricchezza. La ricchezza nettaè sempre uguale a zero,perché il passivo deve esseresempre uguale all’attivo, mail netto deriva da volumi
effettivi lordi crescenti odecrescenti di ricchezza(accumulazione), e perciò dititoli: il modello devecomprenderenuoveequazionienuoveincognite,manonc’èragione che sia in equilibrio.Con la nuova monetaendogena, infatti, lecondizioni economichecambiano e, come vedremo,cambia la strutturadell’economia.In secondo luogo, i titoli
sono fungibili, le cose no. Ilcontoeconomicononspariscequando si valorizza lo statopatrimoniale – e si fannoprofitti sulle cose, non solosuititoli–eproprioperchélecosenonsonofungibilicon ititoli. Infatti, si consumanocose,nontitoli,es’investeinimpianti,fabbricati,brevettienonsolointitoli:esistel’ideadelle cose, ma è proprio perquesto che le cose esistonoehanno una capacità di
rappresentarsi,indipendentemente dalla lorovalutazione in termini dititoli. Senza voler faresofismi,ancheititoliesistononella forma di idee, e l’ideadel titolo è diversa da quelladellacosa.Vedremo presto, però, che
lanuovamonetaendogenahaavuto effettimacroeconomici«reali» (sulle «cose») moltorilevanti, nonostante ladebolezza del moltiplicatore
di Kahn-Keynes. Il mercatodei titoli ha avuto qualchevirtù nel creare la pienaoccupazioneneiPaesiricchieuno straordinario sviluppo ingrandi Paesi poveri (eventi«reali»), e il nuovocapitalismodifendelaproprialegittimità attribuendo almercatofinanziariolapropriafortuna, ritenendolo, se noneterno, certo duraturo. Glieffetti reali dellafinanziarizzazione hanno
consentito agli economististandard di dimenticare larilevanza dei moltiplicatori:ma proprio il dimenticatomoltiplicatoredellaspesasaràla causa profonda del crollodelnuovocapitalismo.
6.Guadagnifinanziarieprofitti
Dobbiamo anche chiarireun tema che gli operatori
conoscono bene: i guadagnichesiconquistanonelsettorefinanziario non si misuranocon il tasso di profitto o diinteresse. Un’operazione èvantaggiosa se, nell’istantenel quale si attua, porta unsurplus qualsiasi, anche inpercentuale molto bassa; è ilvolumemanovrato, quando èdi grandi dimensioni, cheproducegrandiguadagni,manon necessariamentel’equivalente del tasso di
profitto(questiguadagnisonoassimilabili a una rendita,perché sono funzione deltempo necessario a decideredi comprare e vendere, e iltempo è divenuto scarso,specie dopo l’avventodell’informatica)40.Non è uncaso che gli onorari deifunzionaridellafinanzasianocosì elevati: sono, infatti,misurati sul volume delletransazioni, non sui tassi di
profitto. È evidente che unaserie di operazioni, ripetute365giorni l’anno,darà luogoanche a un tasso direndimento (profitto piùrendita), che sarà poi visibilenel bilancio dell’operatore;ma non è questo l’obiettivoricercato. Il capitalistafinanziario non perseguetanto il massimo tasso diprofitto, quanto il massimoguadagno in ogni istante ditempo(eccoperchéèsempre
accusatodiguardarealbreveperiodo: ma è comerimproverare allo scorpionedi pungere); tuttavia,probabilmente, non ènemmeno il guadagno il suoobiettivo, quanto l’accrescerei volumi di capitaleaccumulato, rivenduto,ricomprato, ogni volta avalori unitari sempre piùelevati.L’impresa finanziaria non
ha le caratteristiche
dell’impresacheproducebenie servizi non finanziari, manon sono in grado diricostruirne l’organizzazione.In ogni caso, anchequest’impresa èmicroeconomica e non èconsapevoledeglieffettidellapropria azione sull’economianel suo complesso; anzi,poiché si sente protetta daicontratti hedge, ritiene che ilmercato sia effettivamente inequilibrio e i prezzi sempre
rappresentativideivalori41.Le transazioni
internazionali di naturafinanziaria sono registratenelle bilance dei pagamentidei singoli Stati; quando sitrattadi rappresentare i flussiinternazionalidicapitali, li sicalcolatraentrateeuscitenelperiodo esaminato (mensile,trimestrale, annuale),perdendo gran parte dellasignificatività del fenomeno:
sono i flussi lordi istantaneiche interessano, perché è suquesti che si realizza ilguadagno dell’industriafinanziaria. Il fenomeno deigiganteschi movimentifinanziari, che si èmanifestato non appena icapitali sono stati liberi dicircolare e che deriva dallamoltiplicazione finanziariasopra descritta, impedisceaglioperatoridimisurareconcorrettezzailtassodiprofitto.
Gli ostacoli sono molti: leoperazioni dipendonodall’andamento dei mercatifinanziari, è oscuro su qualecapitale misurare profitto erendita (il leverage ècalcolabile, ma è soltanto uncapitale potenziale), e unaparte rilevante dei guadagniderivanti dalle operazioni,chesonocertamenteprofittierendite, è invece scorporatacome reddito personale deglioperatori. Anche per questa
ragione, il nuovo capitalismoaccentua la cecità deglioperatori.Il ruolo dei fondi hedge è
molto rilevante. Leoperazioni di questiintermediari si svolgonoutilizzando gli andamenti deimercati: i rischi dellaspeculazione al ribasso e alrialzo sono assicuraticontemporaneamente econtinuamente dai fondihedge, e perciò i singoli
capitalisti– finché ivaloridimercato crescono – nondevono preoccuparsi deglieffetti delle loro azioni;guardano, infatti, ai mercati,non all’economia. Vedremoperò come, nel processo dicreazione della monetaendogena, le imprese nonfinanziarie – quelle cheproducono le «cose» chestanno dietro i titolicorrispondenti – subirannounaprofondamutazione.
7.Oligopolioemercatofinanziario
Laderegolamentazionedelmercato finanziario, mentreaccresce enormemente lavarietà dei titoli, riduceparadossalmente laconcorrenza. È, infatti,consentito di conglomerarebanche, banche d’affari,società finanziarie, società diassicurazione,fondicomunieconsulenza finanziaria.
L’attivitàdeifondihedgenonè regolata (avviene«over thecounter»), ma sono ammessisolo se le loro dimensionisono rilevanti42. Moltelegislazioni impongono aognuna delle attivitàconglomerate ilmantenimento della formasocietaria originaria (societàper azioni), ma nullaimpedisce a ciascuna diagglomerare le altre: si tratta
di un fenomeno noninteramente nuovo ma che,nella liberalizzazione deimercati,consenteallebanchedi ricapitalizzarsi vendendotitoli alle proprie societàfinanziarie e di assicurazione(e viceversa), creando unleverage interno, che a suavolta incrementa la monetaendogena.Non è escluso cheproprio questa forma dideregolamentazione abbiacontribuito a facilitare
l’emissione di titolistrutturati, nei quali sipossono mischiare azioni,obbligazioniederivatiemessidalle proprie società (diassicurazione, finanziarie,bancarie), obnubilando latrasparenza del rischio per icompratori esterni ai quali,d’altra parte, interessa solola dinamica del prezzo deltitolo strutturato, non la suacomposizione.Unadelleconseguenzeèil
formidabile aumento delgrado di concentrazione cheprevarica («too big to fail»)su qualsiasi forma dicontrollo: pubblico, dellebanchecentrali,delleautoritàantitrust,delmercato,erendevana, perché imbelle, laregolazione di Basilea. Ilrisultato è voluto, perché laconcentrazione e leconglomerate sono sotto gliocchi di tutti: l’assenza dicontrollièdunquefigliadella
cultura del «laissez faire» daun lato, e dall’altro dellabonanza che deriva dallanuovamonetaendogenaecheproduce, come vedremo,crescita e piena occupazione;si è prodotta una culturadell’accumulazionecherendeincomprensibile ai suoi attoril’idea che l’oligopolio possaessereundannoeconomico.Dopoilcrollodel2007-08,
la struttura finanziaria nonperisce, pur debilitata dalla
caduta dei mercati. È soloun’ipotesi, ma l’oligopoliofinanziario sul mercato diWall Street43 potrebbe averdeterminato una formaprivata di istituto diemissione:simetteinmotolamacchina del leverageapplicata ai propri titoli,commerciati all’internodell’oligopolio; se fossecosì,si sarebbe prodotta nuovaquantitàdimonetaendogena,
capace di far prosperarel’oligopoliofinanziario.
8.Latrasformazionedell’incertezzainrischio
Finora abbiamoidentificato lafinanziarizzazionedell’economia conl’emissione di nuova monetaendogena. La finanza, però,nonsilimitaaquesto.
Inuovistrumentifinanziarieleimpresecheliproduconoe li commerciano hannodiverse qualità: comeabbiamovisto,trasformanointitoli le proprietà mobili ofisse, le previsioni, ipregiudizi (anche le stesseteorie marginaliste eindividualiste sono statetrasformate in titoli, suiqualiscommettere),irendimenti,lerendite, le invenzioni, ecc.Sitrasformano in titoli –
contratti speculativi, a lorovolta commerciabili – gliaumenti e le riduzioni deivalori dei titoli. Si creanotitolichespeculanosuivalorifuturi e spesso lideterminano44.Lapartedegliaffari finanziari che più siavvicina a una scommessaopera come un casinò, cheincassa una percentuale dellegiocate, e distribuiscecasualmente vincitori e vinti:
questapartesoffrelacrisi,manon sparisce e, anzi, comeaccade per i casinò, puòattirareigiocatoripiùingenuiopiùdisperati.La parte strutturata della
finanza, però, sta altrove: ènella trasformazione in titolidella liquidità edell’aspettativasullaliquidità.La liquidità riducel’incertezza, ovvero lafinanza riesce a trasformarel’incertezza in un titolo,
caricandolo di unaprobabilità45. La probabilitàpuò essere soggettiva46: chicompraovendeunbeneountitolo assegna sempre unaprobabilità al risultato,ma sitratta di introspezionemicroeconomica, e nonimplica nulla rispetto alprobabile valore del benecomprato o venduto datutti47. La probabilità è peròanche oggettiva, esprimibile
in frequenze perché siriferisce agli andamenti deimercati finanziari, e se gliindici su tali mercaticrescono, la liquidità èassicurata. Se non si sa cosasuccederà all’euro domani,figuriamoci fra trent’anni:domani è un rischio, dopo èincertezza. Ildopo,però,puòdarluogoauntitolo«future»il cui rischio assoluto(incertezza) è mascherato,nascosto, da quello che
succederà all’euro domani;se, infatti, qualcuno reputachedomani l’eurocontinueràa esistere, allora potràvendere i titoli a lungascadenza, anche se non sanulla degli eventi fra domanietrent’anni.Chicompratitolia trent’anni pensa dirivenderli prima, anche nellostesso giorno dell’acquisto,per guadagnarci. Più ingenerale, nell’economia delleverage la durata del titolo,
divisibileincartelle,nonèunproblema (salvo per titolimolto brevi), perché sispecula sulle cartelle, con ilrisultatodivederaumentatoilleveragee,diconseguenza,lacapacità di prendere aprestito. Alla fine, sono ifondihedgechecontinuanoaspeculare quale che sia lacondizione del mercato: equesto,mentrerendeliquidi ititoli, tende a trasformarel’incertezzainrischio.
D’altra parte, se ilprogresso realizzato dallanuova finanza sta nella suapossibilità di monetizzarel’incertezza,nonlaelimina.Icapitalisti non conoscono lamacroeconomia, nondistinguono l’incertezza dalrischio, consideranoquest’ultimo una risorsa sulmercato, e possono perfinopensare che la crisi divengaun’opportunità,com’è ilcasodei fondi hedge. Ma anche
sostituendo, affare dopoaffare, speculazione dopospeculazione, il rischioall’incertezza, si spostasoltanto quest’ultima «piùavanti»,edèl’incertezzache,quando il leverage nonfunzionapiù,distruggeititolisui quali poggia la nuovamonetaendogena.C’èqualcosa,qui,chehaa
chevedereconlafiducia.Nel«venture capital»48 l’attore
finanziario compraun’aziendaelapuòrivendereanche solo sulla base dellasuareputazione:sivedebenecome la fiducia/reputazionesiaunaltromododiattenuarel’incertezza, non solo unmodo da partedell’imprenditore(s)venturatoper sostituire il mancatoprestito della banca concapitaledirischio.L’incertezza è poi ridotta
dai riti propiziatori49: ineffetti, se si dà fiducia allareputazione, si produce unrito e la ripetizione del ritoassomiglia alla certezza (o auna fede religiosa). Proprioper la fiducia, che sembravincere sull’incertezza, nellaletteratura romantica iltruffatore e il finanziere siassomigliano. Non si potràeliminare l’incertezza, ma ilgran teatro del capitalismo
l’attenua e ciò spinge i suoipersonaggiacrederediesseregli autori di se stessi (e nonvogliono sapere che lo Statopotrebbe surrogare l’inazionedei capitalisti derivantedall’incertezza).Dovrebbe esistere, però,
un’incertezza che riguardal’economia nel suocomplesso,enonèlasommadelle incertezze checolpisconoisingoliindividui:nesappiamopoco,perchéchi
se n’è occupato ha sempresommato il concettoindividuale di incertezzatrasportandolo direttamenteall’economia nel suocomplesso. Non può esistereun’incertezza «collettiva» odellasocietà,che,nonavendouna qualsiasipersonificazione, non puòesprimere nessuna certezza,incertezza o volubilità; esisteinvece l’incertezza checolpisce lo Stato: quando
l’incertezza produceesclusione – come nelle crisi– allora lo Stato – occhi eorecchie della collettività –dovrebbe intervenire perridurla. Non è detto cheaccada,perchéilfuturononènella consapevolezza deisingoli né in quella delloStato, ma la differenza traindividui eStato è, in questocaso, eclatante, perchél’incertezza individuale èanchelegataallabrevitàdella
vita,mentrel’incertezzadelloStato è diminuita dalla sua«eternità»;nonèuncasocheesista lo Stato minimo,sempre presente (perchéstrutturaoriginaria)qualechesial’incertezzaperildistantefuturo.SeèverocheloStatoha gli strumenti percorreggere gli eventi incertiche si rivelassero sgraditi, èanche necessario che gliobiettivi dello Stato non siconfondano con quelli dei
capitalisti, ma nel nuovocapitalismo le due incertezzesi confondono, e l’efficaciadell’intervento pubblico èmessaaduraprova.
È perfino ovvio che latrasformazionefinanziariadelcapitalismo porti con sécambiamenti imponenti nelleistituzioni, nei soggetti e neicomportamenti economici:non credo che sia stata latendenza conservatrice delduo Thatcher-Reagan adominare direttamente ilcambiamento rispetto almodello del New Deal, oalmeno non credo che quellatendenza prevedesse un
capitalismo finanziario cosìpotente, tant’è vero che ilcompletamento delle riformesi deve al Presidentedemocratico Clinton. D’altraparte, è l’ideologiaconservatrice la levatrice delritorno del capitalefinanziario, ed è tale ritornoad aver creato un nuovocapitalismo. Parlo di«ritorno» perché leinnovazioni del mercatofinanziario appena descritte
hanno una forte somiglianza– con proporzioniimmensamente maggiori –con il capitalismo dellasecondametàdelXIXsecoloe con le follie finanziariedeglianniVenti.
1.Laglobalizzazione
La globalizzazione èinsieme causa e conseguenzadel nuovo capitalismo. Il
sistema di Bretton Woodsviene meno, soprattuttoperché è necessario che siliberalizzino pienamente imovimentidicapitale1.Itassidi cambio sono mantenutifissi non da regoleinternazionali, ma dalleautorità delle diverse areemonetarie (Usa, Europadell’euro, Giappone e Cina)che non devono alterare(almeno non troppo, ma
vedremo le eccezioni) leragioni di scambio. La finedel periodo della GrandeInflazioneèanchedovutaagliaccordi tra le maggiorieconomie, il cui scopo è dichiudereilcapitolodeicambifluttuanti per frenare lesvalutazioni competitive2 eaumentare la libertà negliscambi e, soprattutto, neiflussidicapitale.Gliinteressidei singoli capitalisti li
spingono a ricercare leoccasioni di profitto e diaccumulazioneovunquevisialibertà d’entrata, e si cercanolocalizzazioni meno costoseper le produzioni,indebolendo il motore delleesportazioni come sostegnodella domanda effettiva neiPaesi di vecchiaindustrializzazione, marafforzandolo potentementeneiPaesicosiddetti,daallora,emergenti. Gli investimenti
diretti esteri aumentanoregolarmente nei Paesiemergenti (Grafico 16a),mentre sono in declino evolatili in quelli di vecchiaindustrializzazione (Grafico16b).IlFondoMonetariononha
piùilruolodelguardianodelcambio fisso, opera solo suiPaesi in via di sviluppo e,dimenticando le proprieorigini nella visione diKeynes, impone sempre
politiche ispirate all’interessedei singoli capitalisti; ingenere, il Fondo vuolericostruire ogni volta, Paeseper Paese, il motore delleesportazioni, ai danni deicosti interni di produzione, isalari in specie. Questo è il«Washington consensus», lacui idea di base è che losviluppo sia «naturale» se silasciano libere le forze delmercato, ignorando, purpresente nelle teorie della
politica economica, quantosia grande il grado dimonopolio a livellointernazionale e forte latentazione versoprotezionismi non tariffari, eipotizzandoche le condizionieconomiche di tanti diversiPaesi siano «naturalmente»simili:così,sitrattavailMalinello stesso mododell’Indonesia, o il MessicocomegliStatiUniti.La Banca Mondiale e le
agenzie delle Nazioni Unitevedono ridursi la quota deiloro aiuti sul totale delleimmissioni di capitale neiPaesi in via di sviluppo,mentre crescono inproporzioni gigantesche iflussi privati di capitale. Nelpassato, un limite al ricorsodei Paesi poveri al mercatodei capitali era rappresentatodalla loro scarsa«bancabilità» o merito dicredito, misurato in genere
dalrapportotrailserviziodeldebito in valuta e il valoredelle esportazioni. Con laliberalizzazione dei flussi, imercati finanziari hannoridottoilrischiosuldebitodiStati e imprese dei Paesi invia di sviluppo,cartolarizzandolo estrutturandolo in nuovi titoli,dove si cerca di bilanciare ilrischio tra investimenti inPaesi non bancabili einvestimenti in Paesi più
solidi. E anche se labancabilità è certamentepeggiorata in molti Paesi, inquelli cosiddetti emergenti lacrescita della produzionenazionaleedelleesportazionièstatapiùfortedellacrescitadelserviziodeldebito.I rischi del commercio e
degli investimenti direttiall’estero si riducono ancheper merito dei fondi hedge,che proteggono dallevariazioni dei cambi, dalle
fluttuazioni dei prezzi dimaterie prime, dalleincertezze della politica, dalpericolodiinsolvenza.Così, i flussi di capitale
liberi di muoversi ovunquesono una tra le causeprincipali dell’aumento delcommercio mondiale,superiore alla crescita dellaproduzione mondiale(Grafico 17). Non è soltantoun semplice effetto dell’usodi percentuali d’incremento
nel paragonare dimensionicosì diverse: è l’effetto dipolitiche economiche basatesulle esportazioni, in assenzadi altre fonti di domandaeffettiva.Èlaglobalizzazioneche divide la dinamica delcommercio internazionale traPaesi emergenti e quelli divecchiaindustrializzazione.Il teorema dei costi
comparati come base delladivisione del lavoro non siapplica, perché non c’è
specializzazioneproduttivainsensostretto:comesièdetto,«tuttiproduconotutto».Forseè applicabile il teorema diHeckscher-Ohlin3, dove ladivisione del lavoro èfunzione del fattore piùabbondante; tuttavia, più chel’abbondanza del fattorelavoro–certamentepresente,machenoninfluenzalasceltadelle tecniche, che sonougualidappertutto–èilcosto
dellaforzalavorochesembradecisivo, in economienazionali non ancorasviluppate,icuirischipergliinvestitoriesterisonoprotettidai fondi hedge. Si puòaggiungere che i governidelle economie emergenti,pur aderendovi, eludono leregole formali del nuovocapitalismoeusanoiltassodicambio (e dazi e tariffe) ascopocompetitivo.Superficialmente, sembra
che nel commerciointernazionale valga unmodello d’equilibrio, per ilquale i capitali si dirigonoversoeconomieconsalaripiùbassi per unità di prodotto,abbandonando quelli a salaripiù elevati; al passare deltempo, i salari e il tasso dicrescita delle primeaumenterebbero più di quellidelle seconde, e, alla fine, siformerebbe un equilibriointernazionale a saggi dei
salari uguali dappertutto.Ciòimplicherebbe che nei Paesiemergenti è in funzione laregolaaurea:manonècosì,epoiché i salari nei Paesiemergentinoncresconocomela produttività, anche lacrescita dei salari nei Paesiricchi sarà depressa. Se ilprocesso continuasse, forse isaggi dei salaridiventerebbero davverouguali dappertutto, madappertutto la regola aurea
non funzionerebbe, e ladomanda aggregatainternazionalesprofonderebbe–chenonèilrisultato atteso dalle teoriedell’equilibriointernazionale.Siamo alla ricerca della
causadellaglobalizzazioneo,se si vuole, del perché lepolitiche di liberalizzazionehanno avuto successo nonsolonelprovocare lacrescitadel nuovo capitalismo maanchelacrescitadelprodotto
mondiale.
2.Monetaendogenaecrescitaeconomica
Dobbiamo ancora, infatti,spiegare l’elemento piùimportante, la condizionenecessaria, per ilfunzionamento del nuovocapitalismo, vale a direperché la moneta endogena,espandendosi,haeffettireali,
eperchéessacreaoprovocanuova domanda effettiva.Sarebbe una novità, perchéabbiamo già negato chepolitiche per l’aumento dellaquantitàdimoneta(esogenaoendogena) siano efficaci aifini della ripresa o dellacrescita della domandaaggregata.Poichélacompetitivitànon
è più seriamente impedita alivello internazionale, lanuova liquidità da moneta
endogena causa lo sviluppodei Paesi emergenti perchéfinanziagliinvestimentinellaproduzione in loco cheadottano tecniche cheproducono come o più4 delletecniche applicate nei Paesiricchi, ma costano5 di menoper tutti i fattori (lavoro,terra,ambiente)–aicontadinicinesi e indiani si applica iltaylorismo, flessibilità dellavoro,maggioreduratadella
giornata lavorativa, minoreprotezione sociale rispetto ailavoratori dei Paesi ricchi, esenza incorrere in maggioririschi, protetti dai fondihedge. I beni prodotti e iprocessi produttivi non sonodiversi da quelli dei Paesi divecchia industrializzazione, eanche se la ricerca procedeprevalentemente da questi, lamanifattura è esportata: laglobalizzazione è come una
nuova tecnica superiore6. Èinteressante notare che lasuperiorità, in questo caso, èpiùorganizzativachetecnica,e dipende dall’accentuatosfruttamento dei lavoratoridei Paesi emergenti. Questosfruttamento esercitaun’influenza sullosfruttamento nei Paesi ricchi,e la globalizzazione, purtecnica superiore, contieneelementidiungiocoasomma
zero, perché la crescita deiPaesi emergenti avvieneanche ai danni della crescitadeiPaesiricchi.Nonostante ciò, la
globalizzazione della finanzaelaconseguentestraordinariacrescita economica non sisarebbero prodotte se non sifosse creata una sufficientedomanda effettiva. È dubbioche i minori prezzi dei beniimportati nei Paesi ricchiabbiano aumentato i redditi,
tanto da causare unasufficientedomandaeffettiva,perché, comeal solito, anchel’effetto di sostituzione deveessere contato; soprattutto, laregola aurea è indebolita.Undiversomeccanismo,peraltrogià ricordato, deve essereall’opera. È la famigliaamericana (e in misuradiversaquelladeglialtriPaesiricchi)ilcompratorediultimaistanza dei beni prodotti daiPaesi emergenti, ed è
certamente l’aumento delreddito delle famiglie neiPaesi ricchi che crea ilmercato di quei prodotti:questi incorporano tutte lequalità adatte al più elevatostandard di vita di quellefamiglie (per questo, laspecializzazione produttiva èsostanzialmente uguale neiPaesi ricchi e in quelliemergenti). Deve, però,essere spiegato perché cresceil reddito familiare dei Paesi
ricchi,ecomeaccadechetalereddito cresca tanto dagiustificarelacrescitaaltrove.La spiegazione di
quest’apparente sproporzionesta nell’effetto del leveragesulla ricchezza delle famiglienei Paesi ricchi. È un fatto,anchestatisticamenterilevato,chenello sviluppodel nuovocapitalismo le famiglielavoratricihannotrasformatol’aumento della lororicchezza, derivata dalla
crescitadeimercatifinanziarie, soprattutto, di quelliimmobiliari,innuovoreddito.Èverochelaricchezzaèunostock, mentre il reddito è unflusso:maquando i valori dimercato della ricchezzacrescono con regolarità, laricchezzadiventaunflusso,operché è percepita comenuovo reddito, o perché sipuò trasformare in liquiditàspendibile,connuovodebito.Quando cresce la ricchezza e
le famiglie la percepisconocome nuovo reddito, i loroconsumiaumenteranno,senzachedebbanoancheaumentarei loro risparmi, visto che laloro ricchezza continua adaumentare. L’effetto è unariduzionedellapropensionealrisparmio (Grafico 18) – uneventochemisembranonsiastatospiegatoadeguatamente,e che ha colpito tutte leeconomie di vecchiaindustrializzazione.
Misipotrebbeopporrechequesta stessa trasformazionedella ricchezza in redditodeve accadere quando,applicando politichemonetarie permissive eriducendosi il tasso diinteresse,ivaloripatrimonialiaumentano automaticamente:in questo modo, sigiustificherebbe anchel’efficienza marginale delcapitale, sebbene per viafinanziaria. Ma non è così.
Perché le famiglie sianocapaci di trasformare laricchezza in reddito, occorrechel’aumentodellaricchezzasia tanto duraturo e continuoda reprimere la propensionemarginaleal risparmio, echenon vi siano altre fonti direddito a disposizione, comel’aumento dei salari7. Poichéuna riduzione indefinita deltasso di interesse non èconcepibile, e poiché la
regola aurea non è rispettata,si capisce comeglobalizzazione e monetaendogena siano (piuttosto,siano state) la causadell’aumento della domandaeffettiva.Quando il fenomeno è
duraturo, la percezione dellaricchezza come redditoriguarda anche le imprese,che vedono aumentare lapropria «bancabilità» alcrescere degli indici dei
mercati finanziari e ciò, inpresenza di domanda, leinduceadaumentare laspesacorrente e a investire di più.Banche e società finanziarienon si devono preoccuparedell’aumento del debito,perché a questo corrispondeunaumentodellaricchezzadiimpreseefamiglie.Nonèunmiracolo: senza laglobalizzazione e laproduzione nei Paesiemergenti, l’aumento
continuo del debito e,soprattutto, della nuovamoneta endogena, avrebbegeneratoinflazione,riduzionedeldebito,crollodelleveragee crollo dei mercatifinanziari.In queste speciali ma
durature circostanze, invece,l’economia «dello statopatrimoniale» producecrescita: aumental’occupazione, si riduce laquota degli inattivi, crescono
i redditi dei lavoratori,ma lapropensione al risparmio noncresce e anzi diminuisce,perché il valore dellaricchezza familiare continuaad aumentare. Ciòmoltiplicagli acquisti immobiliari dellefamiglie, fa crescereulteriormente i valoriimmobiliari, tutti sembranodiventare più ricchi –comprese le imprese, la cuipropensione a investireaumenta (ma, ecco la
differenza con le famiglie,spesso nei Paesi emergenti,piùcheinpatria)all’emergeredi sempre nuova domandaeffettiva. Paradossalmente,come vedremo, la quota deisalari nel reddito nazionalediminuisce, ciò che rivelacome la regola aurea nonfunzioni.Le politiche economiche
all’interno delle singoleeconomie dei Paesi ricchitendono a somigliarsi, ma
poiché gli Usa emettonomoneta (esogena edendogena) internazionale,quila propensione al risparmiocala più che negli altri Paesiricchi. Questi, di fronte alladelocalizzazione delle loroattività produttive e incapacidi emetteremonetanazionalecome moneta internazionale,non potranno che farsiconcorrenza sui costi diproduzione,eciòlispingeràaridurre i costi della forza
lavoro, rendendo così piùdebole la domandacomplessiva, pur sollecitatadalleverage.Lacompetitivitàricercatasiscaricaallorasullapressione fiscale, e icapitalisti si fannoconcorrenza internazionalespingendo gli Stati dei Paesiricchiapraticareformediciòche si chiama«mercantilismo» fiscale. Perquesta via diventa necessarioridurreentratee,perciò,spese
pubbliche, ma la ricerca delconsenso, nelle difficoltàposte dalla liberalizzazionedel commerciointernazionale, spingecapitalisti e Stati versosempre nuove formesurrettiziediprotezionismo.La forma più popolare,
perseguitaintuttiiPaesie,inparticolare, in quelli dove ladomanda estera è debole, èl’investimento nell’ediliziaprivata, con la sostituzione
della proprietà all’affitto. Ilsettore è poco aperto alcommercio internazionale,maèunpotentestrumentodiaccumulazione, attraverso lacartolarizzazione dei mutuiipotecari. Gli Usa sono inprima linea nel promuoverequestepolitiche,ehannofattocrescere in proporzioniinusitate il settoredell’ediliziaprivata;unadelledivergenze con il periodorooseveltiano è proprio la
riduzionedellecase inaffittorispetto a quelle in proprietà.Il fenomeno è presente inquantità rilevanti anche nelresto dei Paesi ricchi e inquelli emergenti, quasi unareazione spontanea allaglobalizzazione. Il paradosso(uno dei tanti) è che laglobalizzazione crea il suocontrario, il protezionismo,ancorché in formeapparentemente compatibilicon la libera espressione del
mercato e perfettamenteomogenee al motivodell’accumulazione. Saràproprio la finanza del settoreabitativo l’occasione dellacrisi che annullerà latrasformazione dellaricchezza in reddito e ridurràla crescita della domandaaggregata nei Paesiemergenti: questa forma diaccumulazioneprotezionistica diventerà unboomerang.
3.L’accumulazione
Siamoabituatiadefinirelaglobalizzazione come liberacircolazione di merci, servizie capitali. Ma, nellecircostanze del nuovocapitalismo, èl’accumulazione che sembrala causa profonda dellaglobalizzazione.L’accumulazione ha trovato,infatti, una rinascitainaspettata e si manifesta in
tutte le economie, anche inquelle, come la Cina, che sidichiarano comuniste. Se siguarda alla moltiplicazionefinanziaria, alla varietà deititoli e dei nuovi soggettipresenti sul mercatofinanziario, e soprattutto alrilievo che assume lo statopatrimoniale rispetto al contoeconomico in tutte leattività,è inevitabile derivarne chel’accumulazioneèdiventatailmotore del nuovo
capitalismo,piùdelprofitto8.L’accumulazione ha le stessecaratteristiche discusse inprecedenza, e cioè cheutilitàe produttivitàmarginali dellaricchezza non sonodecrescenti, e che il«bisogno» di ricchezza èinesausto. La straordinarianovità–anchesepresente inaltreepochestoriche–èche,nel nuovo capitalismo,cambia il soggetto
dell’accumulazione:nonèpiùil proprietario del capitale inquanto tale e separatodall’imprenditore. Sono lebanche e le impresefinanziariecheaccumulanoecreano una continuadomanda di accumulazione,mostrando utilità eproduttività marginalicrescenti – ed è questo ilfondamento microeconomicodella continua crescita degliindici finanziari e dei valori
deititoli.Anche in questa
trasformazione si produconoparadossi. L’accumulazionedelle imprese finanziarie,com’è ovvio, non è derivatadall’apprezzamentopsicologico della ricchezza,mahaloscopodimobilizzarequanto accumulato peraccumulare ancora di più: leimprese non sono i nuoviArpagoni.Nonèilmotivodelprofitto, in gioco, come
sappiamo, ma l’aumento delvalore dei titoli accumulatinello stato patrimoniale delleimprese.Come le cose diventano
titoli,cosìleimpresetendonoa trasformarsi in impresefinanziarie o, piùrealisticamente, l’impresafinanziaria che accumula èegemone rispetto all’impresa«reale»chefaprofitti,machedeve anch’essa accumulare,per non essere fagocitata
dalle imprese finanziarie.Tutteleimprese,così,devonoaccumulare per speculare eaccumularecontinuamente:laricchezza aumentaenormemente,epoichéononè tassata o paga soloun’imposta patrimonialeproporzionale, ha vantaggiconsiderevoli rispetto alreddito da profitti. La cattivadistribuzione tra profitti esalari è poca cosa, rispettoallacattivadistribuzionedella
ricchezza–eneriparleremo.Se il suo fondamento è
microeconomico, ancorchénon individuale perché nascenell’impresa,l’accumulazione ha effettimacroeconomicisostanzialmente ignoratidalle stesse imprese. Queste,infatti, non sanno che i titoliaccumulatiedecumulatisonomoneta, né che l’inevitabileinflazione è frenata dallosviluppodeiPaesiemergenti,
frutto della globalizzazione –a sua volta causa ed effettodell’accumulazione. Per leimprese, speculare a fini diaccumulazione è, per cosìdire, «naturale»comportamentoeconomico.
4.Checosasuccedealleleggimacroeconomiche?
Dobbiamo chiederci qualeruoloabbianoassuntoleleggi
macroeconomiche nel nuovocapitalismo. Non offro unquadro statistico, ma solo leconclusioni di osservazionisulle singole areeeconomiche: gli errori sonopossibili e le conclusionicertamente affrettate, mal’analisi è necessaria permegliocomprenderelanaturadelnuovocapitalismo.Il moltiplicatore di Kahn-
Keynes è attivo, sia pure condiversa efficacia nei diversi
Paesi. Negli Stati Uniti, conun consumo crescente,l’efficacia sarebbe massimase i consumi non fosserosoddisfatti con importazionicrescenti.LeesportazionideiPaesiemergentisonolafonteoriginaria della loro crescita,maiconsumicresconopocoeil moltiplicatore è frenato;l’intervento pubblicoprobabilmentehacompensatola più debole domandaprivata. In Europa, cala la
propensione al risparmiomentresimantieneinqualcheequilibrio labilanciacorrentedei pagamenti: ilmoltiplicatore è attivo, solofrenato dalle politiche diausterità che razionano laspesa pubblica e accentuanogli avanzi primari. Nelregolare le politicheeconomiche, i governiminimizzanol’importanzadelmoltiplicatore perchéutilizzanoimodelliDsge.
IlmoltiplicatorediLeontiefètantopiùattivodoveèfortel’investimento come quotadel prodotto nazionale:menonei Paesi di vecchiaindustrializzazione,moltoneiPaesi emergenti, la cuistruttura economica ècambiata con una rapiditàimpressionante.LematricidiPaesi come laCina, l’India eil Brasile non hanno piùalcuna relazione con lematrici di questi Paesi fino
agli anni Ottanta. I governi,però, non sembrano avercontezza dell’operare delmoltiplicatorediLeontief, nése la loro nuova strutturaproduttiva sia desiderabile:decidono pragmaticamente,mescolando teorie liberiste einterventopubblicoasecondadellecircostanze.Il moltiplicatore dei
depositi è largamentesostituito dal moltiplicatorefinanziario, ma eccezioni
rilevanti sono, di nuovo,quelle dei Paesi emergenti,perché la crescita degliinvestimenti e l’aumentodell’occupazioneedeiredditihafattolievitareidepositi,inquei Paesi, largamenteinvestiti in «cose», oltre chein titoli. Che l’inflazioneabbia accompagnato quellacrescita è indice che ilmoltiplicatore dei depositi èattivo. È vero che una quotarilevante dei depositi è poi
investita in titolidegliUsa,eciò può aver ridotto ilmoltiplicatore, ma nonsarebbe stata possibilel’espansione delleesportazioni di queiPaesi, senonsifosserodotatidiriservein dollari, necessari perfinanziarle: è il rapportoparticolare tra Usa e Cina,conquestoPaesechefinanziail disavanzo del primo,creando il mercato delleproprie esportazioni, e la
causadellapropriacrescita.Del progresso tecnico
parleremo più avanti, ma lalegge di Engel è statacertamenteilmaggiormotoredelladinamicaeconomica,siaperl’aumentodellavarietàdibenidestinatialconsumodeiPaesi ricchi sia, e certamentedi più, per l’accesso a salarisuperiori alla sussistenza dienormimasse di popolazionenei Paesi emergenti. Lacuriosità, che i futuri
ricercatori dovrannorisolvere, è che la strutturadel consumo degli emergentiè grossolanamentecomparabile con la strutturadeiPaesiricchiinunpassatoormai lontano, e la strutturadella produzione per ladomanda interna di consumoè anch’essa antica; ma è dacapire se i nuovi prodottiesportatidaiPaesiemergentiabbiano un mercato interno,e siano cioè adattabili alle
diverseabitudinidiconsumo.In altri termini, nei Paesiemergenti, al ridursi dellacrescita delle esportazioniverso i Paesi ricchi,occorrerebbe una nuovaredistribuzionedelredditopersostituire i consumi interni aquelli esteri: ma i dubbi inpropositosonograndi.La regola aurea non ha
avuto alcuna verasoddisfazione: ladistribuzione del reddito è
peggiorata in tutti i Paesiricchi ed è probabile anchenei Paesi emergenti – inquesti, però, occorrerebbemostrare qual era ladistribuzione prima dellacrescita, per passare qualchegiudiziononsuperficiale.
5.Ilmercatodellaforzalavoro
Torniamo alle origini del
nuovo capitalismo. Lareazione del nuovocapitalismo a un’economiagovernata dal «fattorelavoro», come ipotizzato, hasubitocolpitoilsindacato:nelRegnoUnitoapprofittandodiscioperi invisi alle comunitàlocali, negliUsa indebolendoulteriormente le difese delWagner Act, nell’Europacontinentale abbandonandogradualmente laconcertazione governo-parti
socialielapoliticadeiredditi,ma soprattutto, prima congliaccordi monetari europei giàcitati,piùtardiconlamonetaunica, eliminando il cambioflessibile e tornando alcambiofisso.Nonèquestoilluogo di analisi specifiche,ma è importante rilevarecome la perdita di ruolo deisindacati,purdifferenziatatraPaeseePaeseeneltempo,haavuto effetti similidappertutto, a riprova
dell’efficacia generale dellenuovepolitiche.D’altra parte, il cambio
fissodasolononèsufficienteper liberalizzare il mercatodella forza lavoro: anzi, ilpotere contrattuale delsindacato è forse più visibileperché le imprese sonocostrette a confrontarvisi, sevogliono mantenere lacompetitività. È per questoche, quasicontemporaneamente, gli
Stati del nuovo capitalismoprovocano forme diindebolimento del sindacatoper via istituzionale. Lepolitiche sono diverse neidiversi Paesi, ma quella piùintelligenteèla«flexicurity»,che rende molto flessibilel’uso della forza lavoro, efacile il licenziamento, econtemporaneamente isola ilavoratori dal sindacato,perchéilgenerososussidiodidisoccupazione non deve
nullaalla rappresentanza sulluogodilavoro.I governi che hanno
fermato la fluttuazione deicambieinstauratouncambiofisso nel 1987, non lo hannofatto soltanto per evitaresvalutazioni competitive, maanche perché si proponevanodi indebolire il sindacato:erano autentici governi deicapitalisti – tutti, finanziari e«reali» – indipendentementeda quale partito fosse al
potere. È stato affermato cheil cambio fisso renderesponsabile il sindacatodell’equilibrio della bilanciacorrente dei pagamenti,perché le svalutazioni, chedipenderebbero dall’eccessodi richieste salariali e dinorme protettive per la forzalavoro (orari, limiti aglistraordinari, limiti ailicenziamenti,ecc.),nonsonopiùpossibili; tuttavia, laveranovità con il cambio fisso è
che, nei processi diliberalizzazione dei flussi dimerci e di capitali, si formauna concorrenzainternazionaletrailavoratorideidiversiPaesi.Le impresehanno interesse sia aimportare manodopera daPaesi a basso reddito procapite, sia a delocalizzare leproprie strutture verso queiPaesi: l’ostilità dei lavoratori«nazionali» rispetto a quelliimmigrati produce tossine
razziste che il sindacato hadifficoltà a sublimare,perdendo ruolo nei confrontidegli associati (Grafico 19).La produzione si sposta, conlaglobalizzazioneelafinanzache l’assiste, nei Paesiemergenti. Così, nei Paesi divecchia industrializzazione èpiù facile imporre tetti aisalari ed esigere laliberalizzazione del mercatodellaforzalavoro,ecioèunaminore difesa normativa dei
lavoratori; entrambi elementiportatori di bassa domandacomplessiva. In questecondizioni, quando la regolaaurea non funziona, sono glistessi sindacati nazionali chetalvoltapensanodirafforzarsiavversando i lavoratori dialtri Paesi e, perciò, i lorosindacati,allacuiconcorrenzaattribuiscono la propriadebolezza. Tutti questielementi, diversamentearticolatineiPaesidivecchia
industrializzazione, spingonoi sindacati a concedere aicapitalisti maggioremoderazione salariale eregolamentare. In qualchePaesesovrastimanolapropriaforza, e nel fare nuoveconcessioni alle imprese,ritengono di svolgere unruolodi«difesanazionale».Nel nuovo capitalismo
tenderanno a prevalerecontratti individuali,precariato, mobilità
dell’occupazione: la forzalavoro torna allo status diquasimercecosìbendescrittodaMarx, mamentre nel suocaso lamercificazioneeraunprogressorispettoalmododiproduzioneservile,nelnostrocaso è un peggioramentorispettoaidiritti«umani»deilavoratorie,soprattuttoperletesi qui esposte, al possibileruolo macroeconomico delsindacato. Tramonta quellasingolare politica dei redditi
che si manifestava attraversol’estensione dello statosociale universale, e inveceiniziaungradualeprocessodirestrizione, apparentementegiustificato dalla necessità dicontrollare i disavanzipubblici,mainrealtàcausatodalla necessità di faremergereinogniintrapresalostato patrimoniale (nascostonella contabilità pubblica),con il quale operare perl’accumulazione. In Europa,
molte trasformazioni delleimprese e delleamministrazioni pubbliche insocietà per azioni,ingenuamente giustificatedalla ricerca di maggioreefficienza attribuita alleimprese private, erano inrealtà un adeguamentoall’economiadell’accumulazione,edunquenon una sempliceprivatizzazione, ma unapporto sostanziale alla
crescitadeimercatifinanziarie allo sviluppo della nuovamoneta endogena. Non è lacompassione che vince sullasolidarietà o i diritti, èl’accumulazione.La rigidità del mercato
della forza lavoro è stataspesso considerata la causadel peggior andamentodell’economia europea (dovela rigidità era la regola)rispetto a quellodell’economia americana
(dove la mobilità è laregola)9. Si trattava di ungiudizio superficiale, perchéla novità, nel nuovocapitalismo europeo, è laformazione di una sorta di«esercito industriale diriserva» all’interno dellaforza lavoro occupata,rappresentato da tutte leforme di precarietà neicontratti di lavoro. Siamo difronte a una piena
occupazione che rafforza lacultura individualistica deilavoratori,iqualiorasannodipoter trovare un posto dilavoro,purprecario,piuttostoche la disoccupazione, e cheliponeinconcorrenzagliunicontro gli altri. Questamobilità è un modo efficaceperbloccareilfunzionamentodella regola aurea e deprimesalariedomandaeffettiva,mala crescita indottadall’espansione della nuova
moneta endogena, attraversoiredditidellefamiglie,riducel’effetto depressivo dellamobilità. Si può forsesostenere che le condizionidella liquidità della monetaendogena e il breve periodoche caratterizza la naturadelle operazioni finanziarie,obbligano le imprese adaccentuare la mobilità dellavoro, anche sacrificando ilpatrimonio professionaleincorporato in ciò che
sarebbe, in altro capitalismo,ilvaloredell’impresa.In generale, pur con
qualche diversità tra Paese ePaese, il mancato aumentodelsalarioinproporzioneallaproduttivitàel’indebolimentodel sindacatodeterminanounpeggioramento nelladistribuzione del reddito(Grafici 20 e 21) che nonprovoca politiche correttiveperchéèattribuitodaigovernialla bassa produttività (della
forza lavoro, naturalmente),invece che alla mancataretribuzione degli aumenti diproduttività – cheavverrebberose,conlagiustaretribuzioneeconcontrattidilavoro stabili, la domandaeffettivamontasseeconessala produzionenazionale.Si èindebolita la funzione distabilizzatore del mercatodella forza lavoro, tornandoalla più forte asimmetria neicontrattitradatoridilavoroe
lavoratori, prevalente primadella Grande Depressione: sivede bene, ora, comel’asimmetria cresca perchél’impresa produttiva èalmeno altrettanto attenta adaccumulare che a fareprofitti, e perciò il poterecontrattuale dei lavoratori èmeno decisivo. Dovremmo,naturalmente, differenziarequeste osservazioni per leimprese finanziarie, dovel’aleatorietà del lavoro è
massima,malaretribuzioneèlegata al risultato; nepotremmodedurrechequestomodello si trasporta alleimprese «reali», ma non ècosì, perché queste ultimedevonofareprofitti,ancheseaccumulano, e ciò imponemobilità del lavoro e salarislegati dalla produttività. Lamobilità del lavoro si ètrasformata nell’opposto diquella del periodorooseveltiano: ora sono i
licenziamenti che prevalgonosulle dimissioni, e proprioperché,inassenzadiunaverapiena occupazione, non c’èconcorrenza tra le impreseperlaforzalavoroche,nellaprecarietà,nonèmaiscarsa.Il maggior potere delleimprese consente dimobilizzarelaforzalavorotracrisi e riprese, rendendocertamente più acute le crisi,e non necessariamente piùrapide le riprese, e ciò deve
averavutounpesonelcrollodel2007-08.Laminorforzacontrattuale
eassociativadelsindacatohaanche effetti sul mercato deicapitali. Proprio la mobilitàdeilavoratoririduceilrischiodell’impresa produttiva nellefasi di domanda bassa, e neaumenta il merito di credito.Inoltre,lanuovafinanzatrovameno ostacoli sindacali allachiusura, trasferimento,smembramento dell’impresa.
Ciascunaimpresa«reale»puòessere sezionata come in unmattatoio,alfinediricercarnele parti valorizzabili intermini di titoli dacommerciare sul mercato deicapitali, mentre è possibilecostruire titoli strutturati neiquali precipitare il capitaledell’impresa, oscurando lecause delle oscillazioni deivaloriborsistici.Se inquestomodo s’indeboliscono leeconomie di integrazione
dell’organizzazione aziendalenonèunproblema,vistochequelle economie nondipendono dalla dimensionedi una specifica impresa, epossono essere riprodotte innuoveimprese.Èpiùdifficilesmembrare impresecaratterizzate da economie discala nella produzione:ma èil nucleo dove si formanoquesteeconomiecheinteressailmercato finanziario, e tuttoil lavoro indiretto (staff,
vendite, acquisti, finanza,controllo) può esseredismesso e le attivitàesternalizzate. In questecircostanze, il rapporto dilavoro diventa ancora piùfragile:losmembramentononsolo spezza il sindacatoaziendale, ma è l’occasione,ogni volta, di trasformare icontratti a tempoindeterminato in contrattiflessibili.L’impresa produttiva così
raffigurata non è quellapiccola, così tipica dei Paesimediterranei, spessoconcentrata in distretti. Nellepiccoleimpreseilsindacatoèin genere assente, mentreimpresa e imprenditorecoincidono. Il mercatofinanziario non ha interessirilevanti,salvoleeccezionidipiccole imprese con fortiinnovazioni e progressotecnico. L’indebolimento delsindacato, tuttavia, ha effetti
anche su questo tipo diimprese. Prima del nuovocapitalismo, infatti, eral’azione del sindacato sullegrandi imprese nel territorioche qualificava tutte lerelazioni industriali e, inpienaoccupazione,quandoleimprese si fannoconcorrenzaper la forza lavoro, anchenellepiccoleimpreseilpoterecontrattualedei lavoratorieraforte. Quando, invece,s’indebolisce il sindacato
nellagrande impresa,anche ilavoratori della piccola sonomeno protetti: è l’osmosi delmercato che, con gradidiversi, espande la debolezzasindacale. È vero che nellapiccola impresa i lavoratorisonotalvoltaconsideratipartedel patrimonio della stessaimpresa, e questi lavoratorisono a loro volta futuriimprenditori in concorrenzacon chi li ha assunti: maquando la concorrenza sul
mercato della forza lavoro èglobalizzata, questesingolarità nelle relazioniindustriali non hanno granpeso.
6.Ilmeritoeilcapitaleumano
Nei capitalismi di cuidiscutiamo, attribuire ailavoratori il loroimpoverimento relativo si
accompagnaaunaculturasulsuccesso personale e sulmerito individuale, che sisposa bene con il nuovoindividualismo delle classimedie: l’idea è che laproduzione, ovunqueavvenga, dipenda dal meritodi chi lavora. Ipocritamente,si sottintende che chi è alcomandohailsuopremionelmercato dei capitali (bonus,opzioni, ecc.) e perciò non èlì che si annida il problema
della bassa produttività. E sechi comanda merita unpremio, vuol dire che non èsua la responsabilità dellacattiva distribuzione deiredditi.Il merito, da sempre
considerato l’elementoprincipale della promozionesociale, è diventato inveceuna vera e propria ideologia;non sarebbe l’organizzazionedella produzione laresponsabile dei risultati, ma
ogni singolo elementodell’organizzazione, quasiquesta non esistesse eciascuno fosse libero diaggiustare la propria forzalavoro intorno alla propriapersonale preferenza (ingenere sempre connotatanegativamente: pigrizia,inerzia, indisciplina,infedeltà). In questo modo, icapitalistipossonoignorarelecondizioniorganizzativedellaproduzione: accecandosi
ancorpiùprofondamente.È possibile che
l’espandersi dell’ideologiadelmeritoprovengadalmododi organizzare la produzionenellesocietàfinanziarie,dovegiovani impiegati sono postinella condizione di operaresuimercati istantanei, eper iquali i premi si misurano inpercentuale del volume dellaspeculazione: chi riesce aguadagnaredipiùèpremiatoin misura incomparabile con
quelladiquasiqualsiasialtrolavoro subordinato, e la suaretribuzioneassomigliamoltoa una partecipazione aiguadagni dell’impresa; chinon riesce, è licenziato. Sipuòcertoaffermarecheesisteunmeritointaliguadagni,mail loro volume è funzionedell’economia del leverage,più che della bravuradell’operatore10.L’ideologia del merito
sottintende anche lagerarchia. Chi giudica ilmerito dovrebbe esserealtrettanto o più meritevoledel candidato, ma non c’èalcuna assicurazione che ciòavvenga, perché perdefinizione la gerarchiaprecede il giudizio e laprocedura sul merito,altrimenti i meritevoliesisterebbero già, e nonsarebbe necessaria alcunaprocedura formale di
selezione, che invece implicaun basso merito dei giudici.Nella costruzione diindicatori oggettivi dimerito11 si finisce quasiinevitabilmente per premiareilconformismo,datocheogninovità(chesarebbeilfinedelmerito) trascende gliindicatorioggettivi.Senza entrare in troppi
sofismi, la cultura delmeritonon guarda più alla
promozione sociale12, ma èfiglia della concezione del«capitale umano»13,sviluppatasi dopo larestaurazione Thatcher-Reagan. Il concetto dicapitale umano nasceoriginariamente dallanecessitàdivalutareiprogettieducativi. La novitàintrodottaconquestoconcettoconsiste nel misurare idifferenziali retributivi
derivanti dal differenzialeeducativo:tantomaggioreèillivello di istruzioneraggiunto,tantomaggioreèlaretribuzione e, una voltaattualizzata, tantomaggioreèil valore del capitale umano.Poiché lastatisticamostra, intutti i Paesi, che in media illaureato guadagna (salario,stipendio, partecipazione airicavi)piùdelnonlaureato,eil diplomato della scuolasecondaria superiore più di
chihalalicenzamedia,senededuceche il capitaleumanodellaureatoedeldiplomatoèmaggiorediquellodeglialtri.Ma, allora, se si potesserolaureare/diplomare tutti, tuttiavrebbero lo stesso capitaleumano e perciò la stessaretribuzione: l’assurdo fasubitocapire l’errore14.Nelleteoriedelcapitaleumanovièun malcelato fastidio perl’istruzione pubblica,
universaleegratuita:perchéilcapitale, in questo caso,proviene dalla collettività,non dal singolo individuo.Nella concezionedel capitaleumano, invece,è il risparmiodel singolo che devefinanziare la sua scelta distudio: la cicala avrà uncapitaleumano(!) inferioreaquello della formica, comechi preferisce lavorare eguadagnare subito anzichéstudiare, e il merito è
precisamente misurato dalladifferenza nel redditoprocuratodaquelsacrificio–il merito, come la grazia, simisura dal successoeconomico,ecioè,nelnuovocapitalismo, dalla capacità diaccumulare o di faraccumulare. La sceltaindividualetrastudioelavorosembra razionale, ma èpropriociòcheloStatovuoleevitare, sia con l’impostaprogressiva (che, nelle teorie
del capitale umano,disincentiva la ricerca delmerito, o del successo), siacon l’istruzione obbligatoria:che è un bene di merito,perché il singolo individuonon conosce gli effettidell’istruzione sulle propriedecisioni nel futuro. Sicapisce, allora, chel’invenzione del capitaleumano è la premessa perprivatizzare l’istruzione efrenare l’estensione
dell’obbligo scolastico. Ilparadosso è che il capitaleumanodeilorolavoratorinonfa parte dello statopatrimoniale dei datori dilavoro:perciòèunnome,nonun patrimonio effettivo. Delresto, se il lavoratore fosseconsiderato parte del capitaledell’impresa, e fosse perciòesso stesso capitale, nonsarebbe cresciuta tanto laprecarietà.Tra l’altro, è proprio il
nome che è ingannevole: iltermine implica che il suovalore può essere speso sulmercato in quanto capitale,nella forma di azioni, digaranzia per il prestito, dipotenzialediagglomerazione,fusione o separazione. Ilcapitale può essere compratoe venduto, diviso inmultipli,di maggioranza e diminoranza e, soprattutto,accumulato: nessuna diqueste caratteristiche attiene
alcapitaleumano.Èverocheil capitale è anche il valoreattuale dei suoi rendimentifuturi, come per l’istruzione,ma mentre capitale erendimenti sono separabili –il primo sul mercato deicapitali, il secondo su quellodel credito – non è,ovviamente, così per ilcapitaleumano.È certo che la maggiore
competenza o professionalitàottiene in genere una
retribuzionemaggiore,maciòdipende dalla domanda dilavoro, non dall’offerta: se ilmercatorichiedepiùsaldatorinon laureati di contabililaureati, la retribuzionedovrebbepremiareiprimipiùdeisecondi.Senonavviene,etalvoltaavviene,èperragionidi gerarchia, di costume, di«classe», non di capitaleumano.Infine,proviamoaseparare
il capitale umano dalla
persona nella quale èimmerso. Se si valutano gliindividui sulla base delcapitale umano, alloraesistono necessariamenteindividui senza capitaleumano:seguendolalogicadiquesto filone di pensieroandrebberoforseeliminati?Èavvenuto, come sappiamo.Senza andare agli estremi, seanche la persona è capitale,allora sparisce qualsiasidifferenza tra capitale e
lavoro. Siamo nella puraideologia, o, piuttosto, nellacultura economica del nuovocapitalismo, dove il giudiziodi valore è in termini diaccumulazione.
7.L’impresadelnuovocapitalismo
Èorapossibileosservareledivergenze tra l’impresarooseveltiana e quella
successiva. Riassumo laprima. La funzionefinanziaria non è rilevante,perché l’autofinanziamentoprevale sulla domanda dicredito; nessuna funzione sadi dipendere dall’andamentodell’economia nel suocomplesso, ma poiché ladomanda sul mercato èsempre in tensione a causadellepoliticheeconomiche,lafunzionedellevenditenonhaspazio. Prevale la funzione
dellaproduzioneesonoattiviil controllo di gestione el’ufficiodelpersonale,perchédevonoaffrontarelaforzadeilavoratori sindacalizzati. Nederiverebbe una buonapropensione al rischio, lariduzione dell’incertezza, ilricorso continuo al progressotecnico.Poichéinquestotipodicapitalismolaregolaaureadella produttività non èrispettataautomaticamente,ladistribuzione del reddito
sarebbe disuguale e limitantela crescita della domandaeffettiva, se non fossepresente l’azione sindacale.Nei Paesi emergenti,l’organizzazione tayloristicaresta invigoreanchedopo lepolitiche di Thatcher-Reagan15, il sindacato èdeboleoassenteeilmancatorispetto della regola aurea,con cattiva distribuzione,fornisce un elevato grado di
competitività internazionalee, perciò, il motore esternoperlalorocrescita.Nell’impresa «reale» del
nuovo capitalismo tutte lefunzioni potrebberosvilupparsi, a eccezione diquella finanziaria, sostituitadalnuovomercato,moltopiùriccodititoliediopportunità.Invece, è proprio questo ciòche rende la funzionefinanziariainternapotente,siaperché fornisce il
capitale/leverage necessarioper la crescita delle attività,siaperchésideveconfrontarecon un mercato finanziariocapace di cartolarizzare lediverse parti dell’impresa, isuoi brevetti, il suo know-how, le sue funzioni e i suoiprogetti di investimento: ilruolo di controllo dellafinanza aziendale svaniscerispetto a quello costitutivodell’attività d’impresa, chedeve adesso operare anche
sullo stato patrimoniale.Aggiungo che nelle grandiimprese si ricorre ai fondihedgeperassicurareilrischiocheicompratorinonpaghino,che i prezzi degli inputcrescano, che i fornitorifalliscano: attività nuove perla funzione finanziariainterna, che ne accresce ilpeso (ad esempio, rispettoall’ufficio acquisti e alcontrollo di gestione) econtemporaneamente illude
l’imprenditore che i rischidell’impresa sianominimizzati. Il peso dellafunzione della produzionesembrerebbe sollecitato,mentre cresce l’economia e irischi sono nascosti, manell’impresa del nuovocapitalismo l’investimentoper aumentare la capacitàproduttivaeperl’innovazionee il progresso tecnico èperseguito non soltanto permassimizzare i profitti, ma
perché il risultato di questeattività è trasformabile intitoli e soddisfa il motivodell’accumulazione – e ilrendimento sta nell’aumentodivaloredei titoli.Ne derivache, se per accumulareoccorre anche investire,tuttavia l’investimento èfunzione dell’accumulazione,chelomotiva.Questa situazione
determina la continuacreazionedinuove impresee
la trasformazione di quellevecchie, pur sempre tutteimprese«reali»,nonsoloperfare profitti, ma pertrasformare l’attività inricchezza, fornendo nuovititoli speculativi,commerciabili direttamentesul crescente mercatofinanziario16. Le grandiimprese di produzione e leminori imprese innovativepossono scambiarsi i ruoli,
perché le prime tendono adacquistare le seconde, maqueste si riproducono incontinuità.È chiaro che, nell’impresa
«reale», la lealtà dellafunzione finanziaria èoscillante: o essa sostituiscel’imprenditore, e trasformal’impresa da produttiva afinanziaria, oppure sitrasforma nella «quintacolonna» delle societàfinanziarie, delle banche, e
dei fondi hedge, chealtrimenti nonconoscerebbero i valoripotenziali dell’impresa darealizzare sul mercatofinanziario.Unaspettodelladebolezza
delle imprese non finanziariesta nel frequenteacquisto/vendita dipartecipazioni azionarie daparte di fondi comuni,talvolta di maggioranza,favorendol’uscitadaimprese
in difficoltà di proprietàfamiliari o di posizioni dicontrollo. A prima vista,sembrerebbe un’opportunitàper preservare le capacitàproduttive rispetto alleinefficienzedell’imprenditore-capitalista,ma in realtà queste attivitàrendono mobile il capitaleazionario dell’impresainteressata, abbandonandolaalla mercé di scalate diconcorrenti, speculatori, altri
fondi e facilitando il suosmembramento.Gradualmente, la figura
dell’imprenditore diventameno capace di generareequilibrio nel conflitto-collaborazione interno,perché è la funzionefinanziaria, e i suoicorrispondenti nel mercatofinanziario, che decidonoquale impresa debbasopravvivere.Ilsindacatononha più ruolo, né macro né
microeconomico, e anche senon muore, lentamente sidilegua. Ciò alleggerisce ilpeso della funzione delpersonale, che diventa partedelcontrollodigestione.Naturalmente,
l’indebolimentodell’organizzazione aziendalegenera anche una reazione.Questa,forse,èlacausadellacrescita del grado dimonopolio, delle impreseconglomerate, della
finanziarizzazione di grandiimprese (come nei settoridelle costruzioni e di moltiservizi), ma occorrerebbeun’analisi più accurata perconvalidarequestatesi.Ladiversitàdell’istituzione
«impresa» tra i duecapitalismi illustra benecome, perduta l’efficaciadell’azione pubblica sulladomandaeffettiva, ilmercatofinanziarioelanuovamonetaendogena non sono un
sostituto equivalente. Nelnuovo capitalismo l’impresanon è soltanto un’istituzionemicroeconomica,ma è ancheuna pallida imitazionedell’impresa rooseveltiana, ela sua fragilità potrebbemettere a rischio questaforma di capitalismo(l’ennesima ipocrisia è chenella cultura dei capitalistil’impresa «reale» sarebbe ilcuore dell’economia) quandodovesse riprendere forza
l’intervento pubblico per ladomandaeffettiva.Nei Paesi emergenti, dove
la globalizzazione ha fattonascere e sviluppare imprese«reali» e finanziarie, èevidenteunruoloattivodelloStato, che intervienepesantemente non solo pergenerare il motore esternodella crescita, ma anche persostenere i propri capitalistidi fronte alla minacciadisgregante del mercato
finanziario. Tuttavia, se ladomandaesteraflettesse,quelmotore non funzionerebbeappieno, e occorrerebbemettere in moto la domandainterna, con un interventopubblico di tiporooseveltiano: ma come giànotato, anche i governiautoritariooligarchicidiqueiPaesinonconoscono le leggimacroeconomiche, perchénon le hanno mai
sperimentate17, e anch’essivivono immersinell’economiadell’accumulazione.
8.IlbilanciopubblicoeilruolodelloStato
Nel nuovo capitalismo, lospazio per una spesaautonomadapartedelloStatoè, ovviamente, ridotto. Tuttele funzioni pubbliche sono
giustificate se danno luogo oa una redditività sul mercatooaunaredditivitàimplicita18nelsensocheleimpostesonoin realtà tasse, cherappresentano ilprezzodiunservizio, perché (quasi) tuttequeste funzioni pubblichesono sostituibili da funzioniprivate. Servizi pubblici eimprese pubbliche, comeabbiamo visto, devonotrasformarsi in società di
capitali, così da esporli almercatofinanziario.Una serie di studi
sull’economiadelleleggi19 farisalireall’interessepersonaledei giudici, poliziotti,funzionari, controllori ilfunzionamento di quello cheè chiamato il mercato (o loscambio) politico e chedetermina, alla fine deiprocessi di scambio, unaumento patologico dei
bilancicontrollatidaciascunadi queste figure: non c’èposto, di nuovo, perl’organizzazione e la suadeontologia, per beni noncommerciabili, per beni dimerito. Compito dellestrutture politiche sarebbequello di costruire emantenere lo Stato minimo,anche più piccolo di quelloche si fondava su giustizia,sicurezza e difesa, e proprioperché tutte (o quasi) le sue
funzionisonoprivatizzabili(itrasporti, le carceri, gliospedali, le scuole, lediscariche, i beni culturali,ecc.). Questa auto-esautorazione fa sostituire ilmercato all’assemblea diRousseau e al Leviatano diHobbes, fornisce nuovomateriale per il mercato deicapitali – perché le attivitàprivatizzate operano oraanchesullostatopatrimoniale– favorisce le rendite da
concessioni pubbliche,delegittima l’intervento deifunzionari dello Stato,assimilandoli aun’associazione a delinquere,eindeboliscelademocrazia.Perverità,icomportamenti
effettivi dei governi sonomeno estremisti rispetto aquantorichiederebbeilnuovocapitalismo. Già Reaganutilizzò la spesa pubblicacomevolanoperlacrescita.Igoverni dell’Europa
continentale, pur aderendo aiprincìpi del liberismo con ilTrattatoEuropeo,conservanoampie riserve di impresepubbliche,nazionaliolocali20che, anche se trasformate insocietà di capitali, non sonoeffettivamente esposte almercato finanziario (ma,ovviamente, ciò dipendedall’indirizzo politicoprevalente). Nei Paesiemergenti, la presenza dello
Stato nelle imprese è spessodecisiva. Ciò che tuttaviarende simili le politiche ditutti i Paesi ricchi nel nuovocapitalismo è la convinzione– simile a quella del periodoprecedente la GrandeDepressione e ispirata, ora,dalle teorie sullanocività/inutilitàdellapoliticaeconomica – che ogni nuovaspesa pubblica comportiinevitabilmente, prima o poi,unmaggiordebitopubblicoo
una maggiore pressionefiscale; anche se la spesapotrebbe avere effettianticiclici, deve sempreessere precedutadall’accumulazionedi riservefiscali, necessarie per coprirequellaspesa.Lo Stato nel nuovo
capitalismo non dovrebbepresentare un deficit dibilancio né l’accumulazionedi debito, perché se puòessere sostituito dall’impresa
in tante funzioni e se la suaspesa «minima» è finanziatacon le imposte pagate daicittadini e con le tasse perservizi resi, non dovrebbeprodursi un disavanzo traentrate e spese correnti.Questa è la tesi di tantieconomisti e sociologiliberisti, che la giustificanoanche perché l’economiaprivata, in ipotesi piùefficiente di quella pubblica,eviterebbe corruzioni e
concussioni (!). Capitalisti egoverni, come i loroeconomisti, sono ciechi,altrimenti saprebbero che laspesapubblicapuò–espessodeve – essere finanziata indisavanzo. È impressionantequanto seguito abbia questopregiudizio anche dopo ilcrollodel2007-08(teaparty,austerity, liberalizzazioni).Siamodifronteaunabrutalesemplificazione del ruolodelloStatoeaun’esaltazione
dell’equilibrioautomaticodelmercato: semplice ideologiao,meglio,sempliceignoranzasulla nuova prevalenza dellostato patrimoniale rispetto alcontoeconomico.Èdiversalaconsiderazione
dellaspesaincontocapitale21perché, tradizionalmente, gliinvestimenti pubblici, speciequelli infrastrutturali o checorrispondonoabenipubblicipuri22, non assoggettabili
teoricamente a tariffa (chéaltrimenti dovrebbero essereforniti dai privati), possonoesserefinanziaticonilricorsoal debito pubblico o essereaffidati in concessione aprivati o essere coperti datasse di scopo. Invece,stupisce osservare come, nelnuovo capitalismo, la spesapubblicacorrenteecapitaleèsempre trattata nel suoinsieme23. Probabilmente,
questadistorsionedellateoriatradizionaledevefarsirisalirealla fuga dalle imposte deisingoli capitalisti, cuiinteressa liberarsene, permassimizzare profitto eaccumulazione: se l’interaspesapubblicadeveessereinpareggio, per i capitalisti ciònon deve accrescere lapressione fiscale, ma darluogo a riduzione di spesa,assottigliando sempre di piùle competenze dello Stato,
anchediquellominimo.Unapartedeglieconomisti
dell’equilibrio e alcunipseudokeynesiani, di fronteall’ostilità manifestata daicapitalisti nei confrontidell’imposta progressiva, haargomentato che è possibileapplicare un’impostaproporzionale (flat tax),mantenendo gli effettimacroeconomici dell’impostaprogressiva – basterebbefinanziare con imposta
negativa i redditi bassi eoperare sui redditi intermedicon detrazioni e deduzioni.L’ingenuità di quest’analisi,geometricamente corretta, stanel fatto che nel nuovocapitalismo sono proprio glieffetti macroeconomici chenon interessano, perché isingoli capitalisti (tutti, dinuovo) attribuiscono a sestessi ilmeritodell’eventualecrescita: se anche siaccettasseunaflattax,nonne
deriverebbe affattol’accettazione da parte deicapitalisti di un’impostanegativasuiredditibassi.Tuttavia, se si guarda alla
Storiarecente,suquestotemai capitalisti non sono ugualidappertutto. Negli Usa, adesempio, laspesapubblica indeficit è una regola seguitasia nel periodo rooseveltianosia nel periodo successivo;Reagan e i due Bush hannocontribuito al deficit,
riducendo anchedrasticamente laprogressività. D’altra parte,questoPaesegodedelcreditogratuito dovuto all’emissionedi dollari necessari alcommercio internazionale,come si è visto, e il deficitpubblicoèinpartepagatodalresto del mondo. In Europa,laprogressivitàèstataridottaenonesistePaeseinavanzooinpareggiodibilancio, salvocircostanze particolari, ma le
regole stabilite nell’UnioneEuropea, in diverse fasi,limitano deficit e debito, erecentemente impongono ilpareggiodibilancio(correnteecapitale)e,siapureintempilunghi,lariduzionedeldebitoin percentuale del prodottonazionale a un livelloprestabilito(sprovvistodiunaqualsiasibaselogica)24.Evidentemente, o l’Unione
è accecata dalla propria
ideologia, o sta operandostrategicamente per faredell’euro una moneta diriservae spiazzarealmeno inparte il dollaro nelcommercio internazionale; inquest’ipotesi, potrebbeparametrare il rapporto tradebito pubblico e prodottonazionale degli Stati membriall’analogo rapporto degliUsa,nonprestandoilfiancoaspeculazioni aggressive suidebiti pubblici. L’euro forte,
però, implica conflitto apertotra Europa e Usa, condifficoltà a conciliare leposizioni, perché la primaguadagna credito gratuito inprecedenza inesistente, isecondi lo perdono, e nonpotrebberosostenereilvaloredel dollaro, perché le riservedel resto del mondo se nelibererebbero. La caduta deldollaro riequilibrerebbe labilancia dei pagamentiamericani, sposterebbe la
sede dei mercati finanziariverso l’Europa, che invecesperimenterebbeun crescentedeficit nella bilancia correntecon l’estero, e farebbe degliUsa un nuovo concorrentenell’industriaeneiservizi.Se l’Europa mantiene la
propria cultura liberista, nonelimina il divorzio tra BancaCentraleegovernoeuropeo,enonhariguardoalladomandaeffettiva,alloralastrategiadiuneurofortenonportaalcun
vantaggio, nemmeno all’eurocome moneta di riserva: lacrescita europea sarebbeannullata, e con essa anche irendimenti dei capitali chevolessero lasciare ildollaroeriferirsi all’euro. Laconseguenza sarebbe unadrammatica riduzione delladomanda aggregata e unacrisi prolungata delleeconomie europee, coninevítabile svalutazionedell’euro e annullamento del
progetto di monetainternazionale.Nonostante lepoliticheper
unoStatominimo,idisavanzipubblici non diminuiscono ecrescono i debiti pubblici. Ilsospetto è che si sia formatoun vortice, nel nuovocapitalismo dei Paesi ricchi,che parte dalla riduzionedell’imposta progressiva,genera disavanzo pubblico,cui si pone rimediorestringendo la spesa e la
domandaeffettiva,chea lorovolta determinano lariduzione del gettitotributario. È vero che lo«shadow banking» producecrescitaglobalechedovrebbefar aumentare il gettitotributario, ma la crescita, daun lato, è concentrata nelleeconomie emergenti,dall’altro, nei Paesi ricchi,deriva dalla trasformazionein reddito della ricchezza –che sfugge all’imposizione
progressiva, e riduce ilreddito tassabile per la quotadiinteressisuldebito;poichéil debito cresce con illeverage, cresce anche laquota deducibile degliinteressi, aumentando ilreddito di famiglie e impresealnettodelleimposte.
9.Lefunzionipubbliche
Ilvorticeoradescrittoe la
natura del nuovo capitalismospingono i governi dei Paesiricchi a privatizzare tutto ciòcheèpossibile:comequandolasicurezzainternaèaffidataa vigilantes, l’esercito amercenari, gli aiuti allosviluppo al volontariato. Inquesticasi,apparentementedidettaglio, si rivela ladiffidenza perfino neiconfrontidelloStatominimo,perché è possibile che icapitalisti non riescano a
distinguere con chiarezzaquesto Stato da quellointerventista.Ho già definito il rapporto
tra il nuovo capitalismo e loStato come «lo Stato deicapitalisti»,perindicareversoquale delle due parti si èspostata l’egemonia. In quelchesegue,mirivolgoaiPaesidi vecchiaindustrializzazione, perchénon ho la stessa conoscenzarispetto ai Paesi emergenti,
dove le funzioni pubblichesono presenti e forti: masospetto che, poiché il lorosviluppo è dipesodall’investimento esteroprivato e le formedell’industrializzazione sonosimili, difficilmente potrannosfuggire alle stesse tendenzedeiPaesiricchi.
i) La giustizia e lademocrazia. Anche se hannobisogno della giurisdizione
per difendere la proprietàprivata,icapitalistitendonoaridurre il potere autonomodellamagistratura.Questa haa cuore l’applicazione dellenorme, ed è perciò unostacolo oggettivo alla loroeliminazione e, ciò cheinteressa maggiormente icapitalisti, si oppone allasostituzione della sanzionepenale con un prezzo (unamulta,unrimborso),ocom’èstato detto, si oppone alla
sostituzione del principio dilegalità con quello delrisultato25. Inoltre, come pertutte le professioni, anchenello Stato dei capitalistiesiste la deontologia che, nelcaso della giustizia, faprevalereuncriteriogiuridicorispetto a uno mercantile, eche, dunque, va posta sottocontrollo. Il paradosso èevidente: per ridurre il ruolodello Stato, occorre
aumentarne i poteri neiconfronti di chi, come igiudici, è autonomo rispettoalmercato;allafine,loscopoè di ridurre la divisione deipoteriedifarprevalerecriterimercantili. La riduzionedell’autonomia dellamagistratura aumenta lospazio dell’esecutivo; lateoria dello scambio politico,comeabbiamogiàaccennato,fa risalire la necessariariduzione dell’autonomia dei
giudici alla loro altrimentiinevitabile corruzione,protetta proprio dalladivisionedeipoteri.Questaèuna tendenza piuttostogenerale nello Stato deicapitalisti, che tiene assai dipiù alla stabilità dei governiche all’equilibrio di forzealtrimenti contrapposte: nonper la malvagità del nuovocapitalismo, ma per lanecessità di limitare i poteriche si esercitano fuori del
mercato, i quali, a differenzadei capitalisti, nonmassimizzanoné iprofittinél’accumulazione.LoStatodeicapitalisti ha dunque,necessariamente, una qualitàimplicitamente autoritaria,che trova un riscontro nellatrasformazione delle leggielettorali, tendenzialmentemaggioritarie.L’elettore mediano delle
teorie squilibriste26 è quello
chesceglieunlivellodispesapubblica che dividel’elettorato in due27, tracoloro che preferiscono unaspesa pubblica maggiore ecoloro che ne preferisconouna minore; il reddito diquesto elettore è mediano epiù basso del reddito medio(perché i poveri sono piùnumerosideiricchi),eperciòegli preferisce una spesapubblica maggiore: ergo, la
democrazia porta aldisavanzo pubblico. Ilragionamento è specioso.L’elettorenonhamaisoltantouna scelta sulla maggiore ominorespesapubblica,madaun lato guarda agli effetti diquesta, dall’altro alla propriaspecifica situazioneeconomica, fiscale e socialeal momento del voto. Se èdisoccupato, vorrà unintervento pubblicomaggiore; se è occupato, si
disinteresserà del voto; se èafflitto dall’inquinamento,vorrà un maggior interventopubblico, ma se è ricco sisceglierà una diversalocalizzazione; se èimmigrato non vorràdiscriminazioni, ma se èautoctono avrà timore dellaconcorrenza dell’immigrato;se non vuole figli, vorràmetodi anticoncezionali, mase è religioso non li vorrà.Possiamo immaginare una
lungaseriediesempidovelademocrazia e l’interventopubblico non sono decisisulla base delle entrate euscite dello Stato, e perciònon è vero che democraziaimplichi eccesso di spesapubblica.È, invece, vero che il
nuovo capitalismo cercacontinuamente l’equilibrio dibilancio, e poiché senzadisavanzo pubblico in genereaumenta la disuguaglianza
sociale, la repressione tendead aumentare, il dirittoconfonde la povertà con lacolpa, e ciò riduce lo spaziodella democrazia. Ilcompromesso tra i capitalistiegemoni e lo Stato devetuttavia fornire ai governiqualche strumento perassicurare il consenso, ed èciòchetendeamantenereundisavanzo nei conti pubblici:equilibri incerti, ma nontemporanei, se nel frattempo
la crescita economica èassicuratadallanuovamonetaendogena.
ii) La disoccupazione.Nello Stato dei capitalisti, leagenzie pubbliche perl’impiego sono sostituite, intutto o in parte, da aziendeprivate e la tutela «passiva»del disoccupato, attraverso isussidi,èsostituita(maanchequi,soloinparte,perragionidiconsenso)dallaformazione
professionale,nell’ideacheladisoccupazione derivi dallapigrizia del disoccupato sianella ricerca di un posto dilavorosianell’aggiornamentodella sua professionalità.Nelmigliore dei casi, ladisoccupazione è attribuita aimperfezioni nell’incontro tradomanda e offerta(«mismatch»), ed è curiosoche ciò si applichi anchequandolacrisièdidomanda.Abbiamo già visto la
divergenzanellepolitichedellavoro tra le due spondedell’Atlantico. La divergenzaaumenta, però, con il nuovocapitalismo,perchéinEuropala disoccupazione è attribuitaalla volontà del disoccupato,e il calcolo della perdita direddito potenziale derivantedalla disoccupazione non fapartedeiparametriconiqualisi giudica l’efficacia dellepolitiche economiche. Nelperiodo della Grande
Inflazione si calcolaval’indice di «disagio», ovverola combinazione fra tasso diinflazione e tasso didisoccupazione, ma con lafinedell’inflazione,ildisagiodella disoccupazione è statodimenticato, a conferma chequell’indice aveva solo unsignificatopropagandistico.
iii) Lo stato sociale. LoStato dei capitalisti perde lavisione dello stato sociale
universale come condizionedella stessa libertàdell’individuo,pursantificatadai capitalisti, e procede asmantellarlo, sostituendol’iniziativa privataall’intervento pubblico. Tuttoil campo dei diritti sociali èmesso in pericolo,dall’istruzione alla sanità,dallaprevidenzaalsussidiodidisoccupazione: leattivitàe iservizi pubblici non sonoespressi in uno stato
patrimoniale,edevonoperciòessere sostituiti da imprese,che dunque emettono titoli epartecipanoall’accumulazione. Ilprocesso, come sempre, ègraduale. Nella scuola enell’università, i PaesieuropeiimitanogliStatiUnitidove, dopo la PresidenzaCarter, l’espansione dellostato sociale, purmodesta, sièarrestata.Nel campo dell’istruzione,
la parte obbligatoria si fermapresto alla scuola secondariaenon investe l’università.Ledifficoltà finanziarie degliStati nel nuovo capitalismofavoriscono lo sviluppo diistituzioni private, religiose,internazionali a pagamento,contribuendo così a costruireun doppio regime: quelloprivato, che dovrebberaggiungere qualità piùelevate di quello pubblico, equesto, sussidiato e per i
poveri, ma con risorseinsufficienti a garantire unaqualità competitiva con ilsettore privato. Il nuovoobiettivodelmeritoselezionala classe dirigente futura,premia la qualitàdell’istruzione privata efavorisce così i ceti piùabbienti; in questo modorallentando l’antipaticapromozione socialedeimenoabbienti.Èanalogoilprocessonella
sanità, dove si scoraggia ilservizio universaleimponendo tariffe edesentando solo i poveri,mentresirazionaladomandacon lecode (che scoraggianoi più abbienti, il cui tempo èretribuito più di quello deipoveri, e che perciò sirivolgonoallasanitàprivata).Igovernitendonoaprocedereconcautelanelsettore,perchépossono mettere a rischio ilconsenso (nemmeno la
Thatcher privatizzò la sanitànel Regno Unito), ma hannoormai creato un doppioregime,elasanitàpubblicaèessenzialmente riservata aiceti meno abbienti. Si formacosì un sostituto dello statosociale, giustificato dallanecessità di aiutare,compassionevolmente, i piùpoveri: una geniale ipocrisia,chefadeigovernitanteMariaAntonietta.È simile il caso della
previdenza, originariamentecommisurata al salario diuscitadalmercatodellaforzalavoro(perevitareunacadutanello standard di vita deipensionati e nella lorodomanda per consumi) efinanziata con imposte suilavoratori attivi, e più tarditrasformata in una forma chela lega al contributo dellostessolavoratore.Ilrisultatoèche i periodi didisoccupazionericadonosulla
futura pensione. Così, iredditi più elevati possonoaggiungere una pensioneprivata a quella pubblica,insufficiente, allargando ladivisione sociale anche aipensionati.Quantopiùseveraè la difficoltà finanziaria deigoverni, nel nuovocapitalismo, tanto più sirestringono i futuri beneficidella previdenza pubblica.Più importante, nel nuovocapitalismo, è trasformare la
previdenza in assicurazioneprivata, così da arricchire ladomanda e l’offerta di titolisul mercato finanziario. È ilmotivo dell’accumulazioneche spinge verso i sistemicontributivi.In realtà, lo Stato dei
capitalisti tende allaprivatizzazione di tutti questigrandi settori di spesaattraversosistemiassicurativi.Non è un ostacolo se moltidei servizi pubblici in
questionenonrispondonoallaregola dei grandi numeri, lapiù adatta all’attivitàassicurativa, perché lo Statointerviene limitandosi acoprire eventi che leassicurazioni non ritengonoremunerativi: si possonoassicurare i lavoratori per lafutura previdenza, i cittadiniper la salute, i terremoti, leinondazioni, i lavoratori pergli incidenti sul lavoro e perla disoccupazione. L’idea è
che non si tratta di evitarel’evento dannoso, ma ditrasformarlo in titoli, percompensarloinmoneta:tornala rilevanza dello statopatrimoniale nella strutturadeiservizipubblici.Va notato che il passaggio
dallo stato sociale allafornitura privata di servizi faaumentare, ma soloapparentemente, il livello delprodotto nazionale. Lo statosociale,infatti,neicalcolidel
prodottonazionale,èvalutatoal costo; i servizi privati,invece, attraverso leassicurazioni,sonovalutatialprezzo. La sostituzione deisecondialprimofacrescereilprodotto nazionale delladifferenza tra prezzo e costo(profitti, rendite,intermediazione finanziaria).Conogniprobabilità, l’utilitàdellostatosocialeèsuperiorea quella dei servizi privati(comprese le economie di
scala presenti nel settorepubblico), ma ciò è nascostosiaagliocchideicittadinisiaaquellideimercati.Nello Stato dei capitalisti,
infine, un ruolo rilevantel’hanno assunto leorganizzazioni assistenzialinon-profit, che sonocertamente benemerite per laquantità di volontariato chemobilitano, ma cheinevitabilmente sono unsostituto dell’intervento
pubblico che i capitalistivogliono minimizzare.Questo non vuol dire chel’attività non-profit siainutile,datochehailcompitodi rimediare alla freddezzaburocratica dell’apparatopubblico nei servizi sociali,ma è anche sull’ambiguità diquesto ruolo che loStato deicapitalisti gioca la politica diriduzione dello stato socialeuniversale.
iv) L’equità. Il nuovocapitalismo cerca di nonincorrereinreazionisocialialpeggioramento delladistribuzionedelreddito,eloStato fornisce provvidenzealla popolazione più poveraattraversociòcheèchiamato«equità» o «fairness»,manifestazioni già presentiprima, e ancora più evidentidopo, il 1979. L’ideadell’equità presenta varivantaggi per la stabilità del
compromesso tra Stato ecapitalisti:•Icapitalistiritengonoche
ilrisparmiocausilacrescitaela piena occupazione,contrariamente a ciò cheavviene nella realtà, perciòostacolano una distribuzionedel reddito influenzata dallostato sociale universale egratuito, e lo Stato inventa ilconcettodiequità;• Lo Stato è legittimato,
agli occhi dei capitalisti,
proprioperlasuafunzionediequità; in questa veste,assomiglia allo Stato diHobbes, perché evita laviolenzadeipoveri;•Laspesaper l’equitàpuò
essereflessibileeparametratasul deficit e sul debitopubblico accettabili allaspeculazione;senecessario,èsufficiente ridefinire ognivoltaillivellodibisognochesivuolesoddisfare;• La divisione sociale
oscura la perdita di redditodella classe media, che nonmisura il proprio benesserein termini assoluti, marelativamente a quello dellapopolazioneassistita;• La classe media vede
crescerelapropriaricchezzael’accumulazione oscura lapercezione dello status diciascunindividuo;• Il consenso politico ai
governi, nel nuovocapitalismo, poggia proprio
suquestadivisionesociale.
I guai con l’equità, però,sono rilevanti. Il successo diquella che è spesso unasemplice mistificazione,dipende tuttodall’accettabilità dello statusdi minorità degli assistiti edallamancataconsapevolezzadelpropriomalesseredapartedeicetimedinonassistiti,chesubiscono un peggioramentosolamente relativo di reddito
rispetto a ceti più abbienti eunmiglioramento assoluto intermini di ricchezza. Unareazionesocialeèperciòsoloimmanente e potrebbeemergerequandoipoverinonfossero in grado di ottenerealmeno il livello disussistenza28. Soprattutto,l’equità per i capitalisti nondeve migliorare ladistribuzione del reddito,perché, nella loro cecità, i
capitalisti ritengono che labeneficenza riduca, nonaccresca, il redditonazionale29. Allo stessotempo, l’equità nel reddito èsostituita da una sorta diequità nell’accumulazione(l’abitazione), cheapparentemente soddisfa ilbisogno di sicurezza dellefamiglie.Gli economisti dei
capitalisti, generalmente
favorevoli allo Stato minimoe ispiratori dell’anarchia deiloro protettori, sostengonoche la distribuzione ottimadelredditoèquellachederivada un miglioramento,cosiddetto paretiano, definitocome l’incremento di utilità(benessere, reddito) di unindividuo, mentre tutti glialtrimantengonolaposizioneprecedente.Si tratta, tuttavia,di un peggioramentodistributivo, perché la
distanza tra il benessere delprimo e il benessere deglialtri è aumentata. Puòaccadere lo stessopeggioramento anche conl’applicazionedelprincipiodiRawls (molto amato daisocialdemocratici nel periododel nuovo capitalismo)30, peril quale è equa ladistribuzione che aumenta ilbenessere della fascia piùpovera, disinteressandosi di
ciòcheaccadeallafasciapiùricca – un esempioilluminante di come l’equitàsostituiscelagiustiziasociale,e fornisce un buon sostegnoallo Stato dei capitalisti. Inrealtà, tutte le politicheeconomiche determinanocambiamenti redistributivi, euna politica ottima dal puntodi vista distributivo nonesiste.Questa affermazione è
troppo drastica, ma ha un
fondamento logico. Ilconcettodiottimoèapplicatoall’economia nel suocomplesso (alla società, allacollettività)edèconfigurabilesolo nelle ipotesidell’equilibrio economicogenerale: quando laconcorrenzaèpuraeperfetta,quando l’economia ècostantemente in pienaoccupazione e ladisoccupazione è volontaria,
quandovalelaregolaaurea31.Inoltre, sempre seguendoPareto, ridistribuendo ledotazioniiniziali,sidovrebbepoter ricostruire un nuovostato di ottimo. A parte ilfatto che chi ridistribuiscepuò essere solo lo Stato, eperciò il capitalismoparetiano ha un implicitofondamento pubblico (siespropria e poi siridistribuisce), il problema,
conquestaregola,ècheognipolitica redistributiva nondetermina mai unmiglioramento paretiano,perché – appunto – ledotazioni (di reddito, diricchezza, di utilità, difelicità) cambiano, e sequalcunostamegliodiprima,qualcunaltrostapeggio.Lacircostanza,però,ancor
più generale e che nega lapossibilitàdi riconoscereunostato di ottimo, è che
l’economia cambiacontinuamente la propriastruttura,eognicambiamentoaltera la situazioneprecedente, in ragione,almeno,delprogressotecnicoe della legge di Engel: seanche l’economia fosse inuna situazione di ottimo,dopo il cambiamento sialtererebbero anche iparametridelpossibilenuovoottimo. In un’economiadinamica, il concetto di
ottimo, fornitoautomaticamentedallapuraeperfetta concorrenza, non èconfigurabile. In assenza diun soggetto, come lo Stato,capace di porsi il tema delbenessere sociale, non c’èalcuna possibilità che sidetermini una situazioneottima, anche variandone(come fa Rawls) ladefinizione: in sintesi, ilconcetto di ottimo dipendedalsoggettogiudicante.
Ènecessario ricordareche,nei modelli di equilibrio nonsi presenta un problema diequità, perché i salaripartecipanoall’aumentodellaproduttività e c’è semprepiena occupazione. Ma nonesiste un equilibrio siffatto,perché i salari partecipanoall’aumentodellaproduttivitàsolo se c’è già pienaoccupazione, e c’è pienaoccupazione, e non sempre,se i salari ricevono la
produttività che spetta loro.Daquestocircoloviziosononsi esce senza interventopubblico; per l’occupazione,tuttavia, non per l’equità.L’equità octroyée o impostadallo Stato non genera pienaoccupazione, perché è unpeggioramento paretiano; èadottata per facilitare ladivisione sociale e influenzanegativamente la domandaeffettiva.Benché un vero reddito
minimogarantitoeuniversalenon sia mai stato realizzatocometale–soprattuttoperchénonhalecaratteristichediundiritto, ma quelle di unsussidio di povertà o didisoccupazione – nel nuovocapitalismo forme diassistenza ai più poveri sonomolto comuni, e hannosuggerito di razionalizzarlenella forma, appunto, di unredditominimo.Ilproblemaèche,unavoltaaccettatal’idea
diunredditominimo,loStatodei capitalisti potrebbesempre renderlo reversibile,riducendolo o applicandolo afascesemprepiùpovere,ognivolta che la spesa pubblicadovesse portare un aumentodella pressione fiscale. Ilreddito minimo è anche unsostituto della pienaoccupazionee,nelloStatodeicapitalisti, potrebbe fardimenticare (se mai ve nefosse consapevolezza)
l’insufficienzadelladomandaeffettiva, il mancato rispettodella regola aurea, ilpeggioramento delladistribuzione del reddito.Infine, unamisura di redditominimo è equivalenteall’imposta negativa giàdiscussa, come elemento cherende progressivo un sistemafiscale proporzionale: nelloStato dei capitalisti, questaforma non è accettabile,perché implicherebbe
l’accettazione dellaprogressività. Un redditominimo garantito è, invece,possibile e desiderabile incondizioni di pienaoccupazione, quando la parteinvolontaria delladisoccupazione deve essereassistita: ma non nello Statodei capitalisti, per il quale ladisoccupazione è semprevolontaria.Non si può negare che un
intervento per l’equità abbia
conseguenzemacroeconomiche anchesenzastatosocialeuniversale:seunaumentodellaspesaperl’equità fa crescere ladomanda aggregata, laconseguente crescitadell’occupazioneedelpoteredei lavoratori fa aumentare isalari e migliorare ladistribuzione. Quando ciòavviene, nello Stato deicapitalisti si può smettere lapolitica per l’equità, che è
appuntoreversibile;maalloral’efficacia macroeconomicadel l’equità è appesa allaqualitàdelrapportotraStatoe capitalisti: poiché non èconsentito un interventodiretto della spesa pubblicaper l’aumento della domandaeffettiva, l’equità non hasignificato macroeconomico,ma è solo un riparo dallaviolenza che scaturirebbe dalpeggioramento delladistribuzionedelreddito.
Da notare che, in tutta ladiscussione sull’equità nelladistribuzione, non siapprofondisce mai cosasuccede alla ricchezza: nelnuovo capitalismo, èl’accumulazione che contaalmeno quanto o più delreddito, ma non possediamoalcuna conoscenza né alcunateoria che ci dica qualcosasulla distribuzione dellaricchezza. Forse, ciò dipendedal fatto che le famiglie non
esibiscono uno statopatrimoniale, a differenzadelle imprese; però, è veroche il capitale delle famiglie(la casa, ad esempio) ètrasformabile in titoli epartecipa allamoltiplicazionefinanziaria, e perciò lefamiglie sono intestatarie diunostatopatrimoniale-ombra.D’altra parte, l’impostaimmobiliare, purproporzionale al valoredell’abitazione e perciò con
qualche caratteristica diprogressività (perché la casadel ricco vale più di quelladel povero), pesa sul redditodelle famiglie; l’imposta suipatrimoni finanziari o èassenteoèproporzionalesolosui guadagni in contocapitale, non sul capitale inquantotale32.
v) Beni pubblici e dimerito. Nel nuovocapitalismo si assiste a una
lenta egraduale eliminazionedelconcettodibenepubblico,che ricordo è bene nonescludibile. Per i capitalisti,ciòchenonèescludibilenonha valore, ed è vero, dalpunto di vista del mercato,datocheilcostomarginalediun bene pubblico puro èuguale a zero (ogni nuovoutente non fa crescere i costiper soddisfarne la domanda)e, dunque, anche il prezzodeve essere uguale a zero –
ed è questo che giustifical’interventodelloStatoanchenella letteratura liberista.Nello Stato dei capitalisti, ilbene pubblico deve invecediventareescludibile,eperciòreso scarso attraverso unprezzo: la radio con lapubblicità, la televisione conla pubblicità e il decoder,internet con il canonetelefonico o satellitare e lapubblicità.Lodimostraanchela riduzione dello spazio dei
beni cosiddetti liberi (ocomuni), come per la parteinevitabilmente inquinata diaria,acquaesuolo,consentitadalle regole (che nonricostruisconomai lo statodinatura).Allo stesso tempo, sono
riconosciuti come beni dimeritoquelli chegiustificanouna riduzione dell’impostaprogressiva e un aumento diquella in cifra fissa (droga,tabacco, gioco, ecc.), mentre
si degradano a beni privatiqueibenidimeritochefannoaumentare la spesa pubblica(l’istruzione, la sanità, lostesso sussidio didisoccupazione). I beni dimerito non sono presenticometalineldiritto,perchésiafferma spesso che la loroesistenzagiustificherebbeunafunzione paternalistica delloStato; il loro riconoscimentogiuridico, infatti, anche sedetta norme per preservarne
alcuni rispetto alla mancatatelescopia dei singoli,toglierebbe sovranità aquestie perciò «al popolo». NelleCostituzionièspessopresenteun«interessegenerale»,maèraramente specificato se taleinteresse trascenda i giudizidei singoli cittadini. NelloStato dei capitalisti un taleinteresse generale èimpossibile.
vi) L’ambiente. Dobbiamo
guardare più a fondo il casodell’ambiente. Nell’epocarooseveltiana il beneambientale era pressochésconosciutoenondavaluogoa politiche pubbliche; soloallametà degli anniSettanta,in connessione all’aumentodei prezzi del petrolio, sicominciò a sostenere ilprincipio «l’inquinatorepaga», anche se inizialmentesi riteneva che il dannocollettivo fosse riparabile
attraverso lagiurisdizione. Inassenza di uno Statointerventista, infatti, èattraverso il giudizio che ildanno ambientale viene alloscoperto, e cioè quandoqualcuno è danneggiato, masoloperlaquotadidannochelo riguarda direttamente equando questi non accetta ilrisarcimento offertovolontariamente daldanneggiante. In assenza diStato,dinormeedisanzioni,
l’ambientediventaunbenedimercato, anche se possiamodifferenziare tra aria, acqua,suolo, in relazione alladiversa efficacia erga omnesdel risarcimento a chi èdirettamente danneggiato33.In fondo, l’ambiente è unodei tanti beni dimerito, datoche l’inquinatore non sa, néha interesse a sapere, sel’ambiente che avràcompromesso può essere
ricostituito allo stato «quoante»: ma nello Stato deicapitalisti, se il bene non haunprezzodimercatoenonèaccumulabile, non dovrebbeesistere.È calcolabile il cosiddetto
prezzo «edonico»rintracciabile nellecostruzioni edili, ovveroquelprezzo di un edificio chevaria inversamente al gradodi inquinamento dell’aria (edel suolo) nella specifica
localizzazione; non si riducel’inquinamento, ma cresce ilprezzo delle case e ciò, inastratto, dovrebbescoraggiarnelacostruzionee,indirettamente, ridurrel’inquinamento –un’illusione, perché inquest’esempio,l’inquinamento non èprodotto dalle case e se le sitrasferisse altrove, ciò non loridurrebbe34.Del resto, suolo
e acqua possono essereprivatizzati, con leopportunenorme e l’assegnazione didiritti d’uso35. È più difficileprivatizzare l’atmosfera e ilmare (ma anche ciò accade),quando i parametri darispettare non ricostruisconol’atmosfera o le acque dimare nella loro qualitàoriginaria: se, poi, il mezzoambientale (aria, mare) èmolto vasto, la negligenza è
giustificata dalla diluizionedell’inquinamento – ed èproprio questo che ciconsentediaffermarecheariae mare sono privatizzabili.Nelle legislazioni piùavanzate, peraltro, ladiluizione è considerata unreato, ma a livellointernazionale non esisteautoritàingradodiimporrelostesso divieto. Sottolineo cheilcontrollosull’inquinamentonell’atmosfera è in via di
sostituzione con il mercatosui diritti di inquinamento(per il CO2): forse unapolitica utile, ma certamentesiamo di fronte allatrasformazione di un benecomune come l’atmosfera intitolidicreditocommerciabilie sui quali si esercita laspeculazione: una nuovaformadiaccumulazione.LoStatodeicapitalistinon
ha raggiunto una
sistemazione stabile dellepolitiche ambientali, puravendogradualmente istituitoregole,mezzidicontrolloediricerca, mercati degliinquinanti: se si partedall’assunto che i capitalistinon hanno consapevolezzadeglieffettidannosidelleloroazioni, essi non dovrebberofavorire le politiche diriduzione del dannoambientale, ed è evidentecome sia difficile battere le
tendenze protezionistiche dimolti Paesi in materia e ildumpingambientale.Ilnuovocapitalismo è capace diindividuare nuove areed’affari (profitto eaccumulazione) proprio nelleattività di controllo prima, edi bonifica poi, dei danniambientali, ma non desiderache il potere giurisdizionalesia arbitro delle bonifiche,perché il costo su ciascuncapitalista, che è ciò che
conta di più, può essereproibitivo (è noto che, ingenerale, ildannoambientalee il costo della bonificasuperano largamente ilprofittodell’inquinamento).
vii)La cultura. Analogo èil caso dei beni culturali,anch’essi beni di merito e,spesso, beni pubblici puri(come le facciate di chiese emonumenti, o come ilpaesaggio). Nello Stato dei
capitalisti il bene ècertamente privatizzabile,escludendone artificialmentel’uso (come quando siacquista un quadro d’autoreper rinchiuderlonellapropriacollezione, o si apre unbotteghino nel recinto diun’area archeologica, o si dàin concessione la visita aimonumenti, o si rendeedificabile la «centuriatio»romana, o si trasforma unpaesaggio in un parco,
sottoponendo la visita atariffa, ecc.), lasciando allaproprietàprivatailcompitodipreservarlo per le futuregenerazioni, e tanto peggioper loro, se ciò non avverrà:per i capitalisti, è ovvio, lefuture generazioni nonesistono,perchénonpossononé domandare né offrirequalcosa (per i loroeconomisti, invece, l’agenterappresentativocheaggrega icomportamenti dei singoli è
anche eterno)36. La teoriaeconomica standard lega ilvalore di questi beni alladomandadeisingoliindividuipresenti oggi: dal dirittoall’esclusione, ora citato, aldirittod’usoper soddisfare ilpropriobisognodi cultura, aldiritto di opzione (quando ilbene non è usato, maciascuno vuole assicurarsi lapossibilitàdigoderselo);sonotutti tentativi per ricondurre
all’interesse individuale ilconcettodibenemeritevoleedelegittimare l’interventopubblico. Una voltaprivatizzato,tuttavia,unbeneculturalediventapartediunostato patrimoniale (o nellaforma della proprietà privataoinquelladellaconcessione),e può essere trasformato intitoli: la singolarità dellaprivatizzazione è che non habisogno di un agenterappresentativo, e il bene
culturale,trasformatointitoli,puòancheessere«eterno».
viii) La regolamentazioneantitrust. Le leggi bancarieintrodotte dopo la fine delrooseveltismo erano stategiustificate dalla necessità disostituire il sistema pubblicocon la concorrenza trabanche. Fa impressionericordare che da allora ilgrado di monopolio nellafinanzaèaumentato inmodo
sorprendente. Non menorilevante è la privatizzazionemonopolistica di grandiaziende pubblichenell’industria e nei servizi.Questa è una politicagenerale,manoncolpiscegliUsa, dove la proprietàpubblica è soltantomunicipale. Nel resto delmondo, la privatizzazioneapre la strada verso fortiaumenti del grado dimonopolionelsettoreprivato
e a un rafforzamento dellarendita rispetto al profitto: icapitalisti, nel sollecitare igoverni alla privatizzazione,riducono la concorrenza37.Perciò è diventato necessariocambiareleregoleintemadicontrollo delle forme dimercato diverse dalla liberaconcorrenza. Nel nuovocapitalismo, la funzioneantitrustnondevesvolgersiaidanni delle opportunità di
crescita. E se la crescita èconsiderata funzionedell’offerta, e cioè delledimensioni aziendali, alloranon è il monopolio ol’oligopoliodaperseguire,mal’abusodiquestestesseformedi mercato: è stata offerta aicapitalisti una forma difurbizia giuridica proprio perevitare l’ovvio paradosso diuna filosofia liberista in unarealtà oligopolistica e spessodi semplice sopraffazione,
peraltro logica conclusionedell’individualismo. Poichél’abusoimplicachelarenditamonopolistica è legittima, ilgrado di monopolioinevitabilmentecresce38. Chepoi esistano monopoli eoligopoli non dipende dallaleggerezza delle autorità diregolazione dei mercati, madalla fisiologia diun’economia di mercato39;l’assenza di controlli sui
mercati impedisce didistinguere le formemonopolistiche necessitatedallosviluppodelleeconomiedi scala, da quelle frutto disemplice violenza. È noto,poi, che nessuna autoritàantitrust considerariprovevoli, per la liberaconcorrenza, le societàconglomerate, anche quellecheoccupanoun’interafilieradiproduzioneinformamonoooligopolistica.Néalcunoha
mai sentito parlare di unafunzione antitrust legataall’eccesso di accumulazioneo di ricchezza, sebbene inregimediconcorrenzal’unael’altra dovrebbero averedimensioniinfinitesimali…Nella globalizzazione, il
monopolio internazionale,spesso frutto diprotezionismi, è favoritodall’assenza di una funzioneantitrust internazionale,mentre le istituzioni (Omc,
Fmi) che regolanocommercio, cambi e liquiditàinternazionali si comportanocome se l’oligopolio nonesistessee,invece,punisconogli Stati che nazionalizzano imonopolilocali.
ix)Ricerca e sviluppo. Leliberalizzazioni e leprivatizzazionihannoalteratola fisiologia sia della ricercasia dell’innovazione, sullequali la letteratura si è spesa
molto. A prima vista, ilmaggior ruolo dell’impresaprivata e l’indifferenzapubblica per le grandidimensioni dovrebbero averportato sia una maggiorericerca privata sia maggiorsviluppo, rispetto alcapitalismo postbellico. Lestatistiche mostrano che, alivello internazionale, mentresi assiste a una crescita delrapporto tra spesa in ricerca(esviluppo)evaloreaggiunto
(Grafico 22), si osserva unaumento della quota dellaricerca privata (ma lamisurazione di questielementiètantopiùaleatoria,quanto maggiore è il pesodell’impresa privata rispettoall’intervento pubblico), e leinclinazioni della ricercapubblica–dalsettoremilitareallo spaziale – dovrebberoessere cambiate almeno apartire dalla fine delcomunismo sovietico, a
favore di oggetti più vicini aobiettivi sociali:comunicazione, sanità,istruzione, sicurezza,ambiente, cultura.L’istruzione universitaria,d’altra parte, ha subìto uncambiamento rilevante daquando i governi hannodeciso di ridurre deficit edebito, come per tutta laspesa pubblica40: ne èderivata una maggior
influenza del settore privatonella ricerca universitaria, eperciò un allontanamento diquesta dagli obiettivicollettivi (salvo per lefrequentisorpresequandoc’èdivergenza tra obiettiviprivatidellaricercaerisultaticollettivi). La ricerca privata,invece, dovrebbe averaumentato la propriaautonomia rispetto agliobiettivi pubblici, erispondere a stimoli
provenienti dalla domanda.Questoè soprattuttoveroperlo sviluppo, ben dimostratodall’espansione delletecnologie informatiche, siahardsiasoft.Naturalmente, effetti
derivanti dalla crescita edall’abbondanza di finanzacon la nuova monetaendogenanonpossonoesseremancati.UndubbionascedaldifferentetassodicrescitatraPaesi ricchi e Paesi
emergenti: questi non fannoné ricerca né sviluppo, edevono invece remunerarequei ritrovati che utilizzanonelle loroproduzioni,e ilcuimercato,comeabbiamovisto,è nella domanda dei Paesiricchi (che una voltaavremmo definito «piùsofisticata»). Allo stessotempo, l’enfasi, nel nuovocapitalismo, sulla proprietàintellettuale e sui brevettipiuttosto che sull’espansione
della conoscenza, deve averampliato gli obiettiviimprenditoriali nei Paesiricchi verso lo sfruttamentodelle rendite derivanti daquella protezione, facendoprevalere l’obiettivodell’accumulazione su quellodelprofitto.In ogni caso, mentre
l’analisi microeconomicadella ricerca edell’innovazione ha avutosviluppi considerevoli, gli
effetti della ricerca edell’innovazionesull’economia nel suocomplesso non sono noti airicercatori o alle imprese,anche grandi e globali:l’analisi statistica, comeabbiamo visto con il«residuo» di Solow, utilizzastrumenti inadatti a misurarequegli effetti che,razionalizzati in un modellodi equilibrio, non possonodare che risposte sbagliate,
visto che ricerca einnovazione cambiano lastruttura e la dinamica deimodelli.
10.LaGrandeModerazione
È evidente l’assenza delloStato nel processo diaccumulazione: l’antitrust èinefficace, la banca centralenon vigila sulle imprese
finanziarie, l’imposizionefiscale sul patrimonio èfrenata dalla concorrenza suicapitali tradiverseeconomie,non c’è bisogno di politicheeconomiche per la domandaeffettiva perché l’esplosionefinanziaria ha effettieconomici «reali», la nuovamoneta endogena sostituiscelamonetaesogenaeriducelasovranitàdegliStati.L’enfasisulloStatominimoèsoltantol’orpello ideologico del
nuovocapitalismo.Il periodo successivo alla
crisidel1981,conseguentelanuova politica economica emonetaria, ma piùchiaramente a partiredall’abbandono del cambiofluttuante nel 1987 e fino alcrollo del 2007, è statodefinitocomelagiàricordata«Grande Moderazione»41: lacrescita del prodottonazionale nei Paesi
industrializzati presentaoscillazioni meno marcaterispetto al periodo dellaGrande Inflazione, anche senegli anni dal secondodopoguerra fino ametà deglianni Settanta le oscillazionierano altrettanto pocomarcate. La ridotta volatilitàdelprodottonazionaleèstataspiegata dal ridotto tasso diinflazione nel periodo, e dalritirodelloStatodallapoliticaeconomica, nonché dal
miglioramento introdottodalla rivoluzione informatica,chehastabilizzatolepoliticheaziendali sul magazzino(operare in tempo reale haridotto notevolmente sia ivolumidegli stock sia il lorociclo)42.Ma, allora, le nuovepolitiche monetarie, che sifondano sull’intuizione diFriedman, per il quale lastabilitàmonetariaèfunzionedelle aspettative
inflazionistiche deglioperatori, sarebbero non soloefficaci per ridurrel’inflazione, ma ancheefficientiperchétenderebberoa minimizzare il ciclo: nederiverebbe che batterel’inflazione equivale a crearelecondizioniperunacrescitaregolare del prodotto – unsogno sul quale si fonda lostatuto della Banca CentraleEuropea. Peccato che in unalunga parte del periodo, la
monetapubblica,allaqualesiriferisce il pensiero diFriedman, sia stata sostituitada una gigantesca emissionedi moneta privata, e questaavrebbe ben potuto produrreinflazione, se non si fosseromanifestate le straordinariecrescite dei Paesi emergenti,come già indicato: né lacrescita della monetaendogena né lo sviluppo deiPaesi emergenti sonochiamatiincausaperspiegare
la Grande Moderazione. È,invece, il nuovo capitalismoche, spontaneamente,attraverso l’economia del«leverage» el’accumulazione,produceunacrescita stabile del prodottomondiale, essenzialmentedominatadaiPaesiemergenti.Questa interpretazioneattende una confermastatistica; ma la fine dellaGrande Moderazione, nonspiegabilenécon lepolitiche
delle banche centrali né conl’informatica, smentisce leinterpretazionitradizionali.
16a–Ide:Saldiannuali(In-
questo punto, affermare chegli squilibri creati dal nuovocapitalismononpotevanonongenerareunacrisidisistema:bisognaindividuareleragionidel crollo e, soprattutto,cercaredi indagare le ragionistrutturali e reali, nonsemplicemente quellefinanziarie. È vero cheun’economia del debito nonpuò durare a lungo; maquando dura a lungo, comenel nuovo capitalismo, non
bastaaffermarneladebolezzainevitabile: non ci bastanoDonn’Anna e Donna Elvirache, quando sprofonda DonGiovanni, cantano un ovvio,ma bellissimo concertato:«Questo è il fin di chi famal».
1.Ilcrollo
Con l’analisi svolta finoranon ho chiarito le cause del
crollo del nuovo capitalismo:che siano in gioco sia laregola aurea sia la domandaper consumi, ovvero ladistribuzione del reddito, ècertamente suggestivo, macomeequalepartedelnuovocapitalismo abbia ceduto èquestione non risolta. Unapartedelragionamentoèstatagià affrontata, cercando diconnettere la disuguaglianza,il leverage e la crisi,osservando come la causa
prossimadelcrollosiastatalacrisi finanziaria dellefamiglie, e perciò deilavoratori1.Indipendentemente dalmetodo usato, penso che illegame stabilito in questistudipossaesseremigliorato,perché si attribuisce al bassopotere contrattuale deilavoratori l’aumento deldebitodellefamiglie,manonsi spiega come ciò sia
possibileinpresenzadipienaoccupazione.Neabbiamogiàparlato,mapenso,invece,chesiastatol’aumentodeldebitodelle famiglie ad avercontribuito al peggioramentonella distribuzione delreddito: in altri termini, èl’aumento della lororicchezzacheleimpoverirà.i) Piena occupazione e
distribuzionedelreddito.Chelaquotadelredditodalavoronel prodotto nazionale
peggiori è un fatto inatteso(benché di lungo periodo)2,perché l’occupazione crescee, in queste circostanze,dovrebbe operare la regolaaurea. È vero che tutti iredditi crescono, ma quellielevati assai di più di quellimedi e bassi (Grafico 20,cit.).Qualcheautore3divideilavoratori o le famiglie traquelli pazienti e quelliimpazienti, con i secondiche
spendonoeaumentanoillorodebito, e i primi chefinanziano i secondi: unmodo nuovo per un vecchiomodello di equilibrio, nelquale crediti e debiti sibilanciano nell’economia,lasciando così senza unaspiegazione l’aumento delleverage. Molti elementi, nelnuovo capitalismo, conridotteistituzionididifesadeilavoratori, possono spiegarela debolezza contrattuale dei
lavoratori, ed è vero che inquesto capitalismo non siapplica la regola aurea, ma,sia pure indebolite dalprecariato, le istituzioni afavore dei lavoratori, inregimedipienaoccupazione,dovrebbero opporreresistenza all’erosione deisalari. La spiegazione delperché, all’aumentaredell’occupazione, ladistribuzione del redditopeggiora,staanche,conogni
probabilità,nel legame tra lacrescitadeimercatifinanziarieladebolezzadeilavoratori.
ii) Sindacato eindividualismo. Deve essereaccadutoquesto:quandoperilavoratori la ricchezza sitrasforma in reddito,l’aumentodel salarioèmenonecessario(Grafico21,cit.),eil sindacato s’indebolisce«oggettivamente». Abbiamogià commentato come, nel
nuovo capitalismo, condeboleregolaaureaecambiofisso, il potere sindacale èridotto, ma come, con lapiena occupazione derivantedallosviluppodellafinanzaedallacrescitadegliemergenti,lapienaoccupazione,purconforteprecariato,èricostituita.Poiché la piena occupazionecomprende un «esercito diriserva» di lavoratori precari,siformaunadivisionesocialeche spinge il sindacato al
conflitto, con lo scopo diattenuarla.Così facendo essotende a ridurre le differenzetrailavoratorieacalmierareisalari intorno alla media: inpiena occupazione, però,ciascun lavoratore ritiene dipoter ottenere salari econdizioni di lavoro miglioridi quelle medie, perché, conla flessibilità in entrata e inuscita, attribuisce al propriomerito la forza assicuratagli
inpassatodalsindacato4.In questo quadro, la
trasformazione dellaricchezza della famiglia inreddito, che si ottieneindipendentementedal datoredi lavoro o dal sindacato, èmoltorassicuranteperchénonimplica né uno scontro conl’imprenditore per un salariomaggiore, né il rispetto delladisciplina associativa delsindacato.Quando ilmercato
dei capitali mostra indicicrescenti, il leverageaumenta,eilconsumocrescecon l’aumento del debito,mentre il potere contrattualedei lavoratori, e perciò laquota dei salari nel redditonazionale, diminuisce. Per dipiù, i lavoratori che siattribuiscono il merito dellanuova ricchezza sono indottia considerare se stessi come«capitale umano» o, più,semplicemente, riterranno di
essere «ricchi». In questomodo, è possibile spiegareperché vi sia maggioredisuguaglianza in condizionidi pieno impiego, e perchépossa prevalere il partitoconservatore anche tra leclassimenoagiate.
iii)La causadel crollo: lefamiglie lavoratrici.Arriviamo al punto cruciale:quanto meno cresce il lorosalario rispetto all’aumento
dellalororicchezza,tantopiùi lavoratori devonoaumentare il lorodebito, permantenere il loro standard(relativo) di vita. In genere,c’è un limiteall’indebitamentonelleregoleche le banche si danno, manelnuovocapitalismo,conlamoneta endogena, il limite siallarga spontaneamente, ciòche fa sempre aumentare ilvalore della ricchezza deilavoratori: l’aumento,
apparentemente indefinito,del debito delle famiglie nonè irrazionalevisto chenon siformano sofferenze se ilvalore del mutuo diminuiscerelativamente al valore dellacasa delle famiglie. Quellostesso mutuo, poi, è statocartolarizzato, strutturato inaltri titoli, diluendone ilrischio e la stessa incertezza:laricchezzageneraricchezza–illeverage.D’altra parte, poiché i
salari delle famigliediminuiscono(inproporzioneal Pil) al crescere dellaricchezza delle stessefamiglie, tanto più devecrescere la trasformazionedellaricchezzainreddito,permantenere il livello delconsumo (sempre inproporzione al Pil). In realtà,lefamigliepossonoevitarediconsumare ricchezzariducendo il risparmio, maquandolaquotadelrisparmio
nelredditoèvicinaallozero,alloraèinevitabileconsumarericchezza. Perciò, se lefamiglie devono indebitarsiper consumare, possonoutilizzare solo parte delleverage che hanno adisposizioneperaumentarelaloro ricchezza, e per loro laricchezza genera solo partedi nuova ricchezza. Quandole famigliedei lavoratorinonsono più in grado dimantenere la loro posizione
nelmercato immobiliareo inquello finanziario, il loroleveragesiriduce,diminuiscela quantità di ricchezzatrasformabile in redditorispetto a quella di altrefamiglie,ecalanoiconsumi5,perché la propensione alconsumo è maggiore per lefamiglie lavoratrici rispettoalle altre più ricche. Ilcomportamentodellefamiglienel trasformare ricchezza in
reddito non sarà perciòugualeper tutte: per le classipiù ricche, la propensione alconsumo diminuisce e laricchezzaaumenta,generandoun peggioramento, oltre chenella ricchezza, anche nelladistribuzione della parte direddito derivabile dallatrasformazione dellaricchezza. Non c’è ragionechel’aumentodellaricchezzadei ricchi compensi lariduzione dei lavoratori,
perché la ricchezza totalelordadei secondi èmaggiorediquelladeiprimi:ècosìchela domanda di titolidiminuisce e si scatena lacrisifinanziaria.Non c’è da attendersi una
reazione delle famiglielavoratrici attraverso unamaggiore conflittualità con idatori di lavoro, perché èstata anche la sostituzionedella ricchezzaal redditocheha contribuito a precarizzare
la forza lavoro, riducendo ilpotere contrattuale delsindacato. Poiché il processonon avvienecontemporaneamente pertutte le famiglie6, saràsostanzialmente invisibile,perché anche se la statisticamostra l’aumentodell’indebitamento dellefamiglie, mostracontemporaneamentel’aumento della loro
ricchezza: la paraboladell’equilibrio economicogenerale si avvera, perchénulla accade alla ricchezzanetta. Peccato che il crollosmentisca la parabola. Deveessere chiaro che la causaultima del crollo è nelpeggioramento delladistribuzionedelreddito.
iv)La causa del crollo: leimprese non finanziarie. Hodescritto la situazione della
famiglia lavoratrice, maanche le imprese entrano nelquadro descritto. Finché laspesa delle famiglie crescecon il leverage, le imprese«reali» godranno dellamaggioredomandaeffettivaedella ridotta conflittualitàsindacale,eprofittoecapitalecresceranno; poiché, però,una parte rilevante dellanuova domanda è soddisfattadaiPaesiemergenti,neiPaesiricchi profitti e capitale
crescono meno che inproporzione alla domanda.Quando poi la riduzione delleverage frenerà la domandadelle famiglie lavoratrici,anche le imprese – compresequelle dei Paesi emergenti –soffriranno.Non è, però, in questione
sololaminoredomandadellefamiglieacolpire le imprese.L’impresa non finanziaria,che vede crescere la propriaricchezza, ha la possibilità di
scegliere se spendere peracquistare nuovi titoli, peraumentare la capacitàproduttivaoperaumentare ilmagazzinoelespesecorrenti.Nel primo caso utilizzerà illeverage per mantenere lapropriaposizionesulmercatofinanziario – ecco il ruolocrescente della funzionefinanziaria interna –sacrificando la spesa peracquistare beni diinvestimento e la spesa
corrente (del resto, menonecessarie, visto che unaquota crescente delladomanda delle famiglie èsoddisfatta nei Paesiemergenti). La domandaeffettiva soffre.Èvero, però,che la trasformazione delleverage in nuovo capitalefinanziario sarà parziale,perché non tutte le impresemanterranno inalterata laposizione sul mercatofinanziario, e alcune
spenderanno per consumi einvestimenti, ma poiché ciòdiminuisce il loro leverage,diminuirà anche la lororicchezza,equindi l’ulteriorepossibilità di spendere. Ladifferenza tra imprese efamiglie è importante: leprime sono incerte seinvestire o accumulare edeterminano, perciò, unadomanda effettiva debole; lefamiglie, invece, sonoobbligate a consumare, e
inizialmente rafforzano ladomanda, ma poiché il loroleverage e la loro ricchezzadiminuiscono, latrasformazioneinredditocalae anche il consumo nesoffrirà.La crisi diventa generale e
investesiaiconsumatorisiaiproduttori.Aldiminuiredellaricchezzaedelleveragedellefamiglie e di una parte delleimprese «reali», il mercatofinanziario non potrà non
ridurre i propri indici dicrescita.Ilcrolloèinevitabilee le cause si sommano:cadono la produzionenazionale, l’occupazione, iprofitti,isalari.Inparticolare,la caduta della domandaeffettiva nei Paesi di vecchiaindustrializzazione frena ilmotore della crescita, nellaforma di esportazioni, deiPaesi emergenti. La crisi èglobale,ilmercatofinanziarioè colpito dal declino del
leverage, le imprese vedonola loro accumulazionediminuita o annullata. Lebanche, con leveragecalante,si riempiono di creditiinesigibili; il valore e laqualitàdellelororiservesonoabbattuti, ma non sonocomunque in grado di crearela tradizionale monetabancaria, per difetto didomanda di impieghi. Siprofila un processo dideflazione che colpisce tutto
il mondo. Il nuovocapitalismohaprodottolasuastessarovina.
2.Dopoilcrollo
Purcon ilgrande successonelcommercio internazionalee nello sviluppo dei Paesiemergenti, ilcrollodel2007-08 ha mostrato la debolezzadel nuovo capitalismo7. Sipropone la domanda iniziale:
può continuare a esistere lostesso o un altro capitalismosenza intervento pubblico, ocon quale eventuale tipo diintervento pubblico?Sappiamo già che interventipubblici ci sono stati, primasui cambi, più tardi con laderegolamentazione. Dopo ilcrollo, i governi sonointervenuti per salvare lebanche dal fallimento e peraccelerare la domanda: si ètrattatodiinterventiparzialie
insufficienti, anche perchédopo il crollo sono cambiatesolo marginalmente sia lepolitiche sui mercatifinanziari sia quelle per ladomandaeffettiva.Èperòverochelepolitiche
adottate sono diverse tra gliUsa da una parte e l’Europadall’altra. Occorrerebbespiegare in dettaglio leragioni di questadivaricazione.Semplificando,si può forse ricorrere alla
divergenza in merito agliobiettivi sociali chesottostanno alle politichemacroeconomiche tra i duelati dell’Atlantico, comel’abbiamo descritta nelperiodo successivo allaSeconda Guerra Mondiale:negliUsadovrebbeprevalerel’obiettivo della pienaoccupazione, in Europaquellodellostatosociale.Nelprimo caso, è in gioco lapolitica economica, nel
secondo la politica fiscale.L’amministrazione Usa,infatti, ha reagito piùprontamente al crollo: la Fedharidottoitassidiinteresseeimmessoliquiditànelsistemarifinanziando le istituzionifinanziarie indifficoltà (dopoil fallimento della LehmanBrothers)8, cercando disostituire in questo modo lariduzione del leverage; ilgoverno federale (Presidente
Obama) ha aumentato laspesa pubblica finanziataanche con il ricorso alla Fed(che ha esplicitamenteindicato il tasso didisoccupazione comemisuratore della necessitàdell’intervento); il Congressoha approvato nuove normeper riordinare il sistemafinanziario9.In Europa, la Bce ha
seguito la Fed sui tassi e sul
rifinanziamentodellebanche,ma l’Unione non ha operatosulladomandaaumentandolaspesa pubblica europea, nonhafinanziatoideficitpubblicidegli Stati membri, né hafatto prevalere l’obiettivooccupazionale nelle sceltedella Bce, che poteva farloanche entro il Trattato, seavesse dovuto sostenere unanuova politica economicadell’Eurozonavoltaappuntoaridurre la disoccupazione.
L’Unione ha invece cercatodi frenare la speculazioneavversa ai titoli di Stato,imponendo forti misure diausterità che hanno depressola già debole domandaeffettiva10. Nel farlo,l’Europa ha indebolito lostato sociale universale,rendendo meno evidente ilritorno ai fondamentioriginaridellapropriapoliticaeconomica, e perciò,
rendendoladivaricazionecongli Usa particolarmenteampia. Ha prevalso lafilosofia politica tedesca, chenega ogni distinzione tramacroeconomia ed economiadi singole imprese oindividui,eiPaesimembrisirivolgono alle politichedell’offerta, anche dopo ilcrolloelecrisisuccessive.Ledueareeeconomichesi
comportano, invece, inmodoconforme di fronte alla
speculazione contro lebanche,oraindifficoltàperleriserve e con domanda dicredito bassa. Oscureistituzioni plurinazionali (giàviste, a Basilea), legittimatesolo indirettamente daiparlamenti degli Stati che nefannoparte,hannopensatodiaffrontare la crisi finanziariarendendo più severa laconcessione dei prestitibancari, provocando unagenerale restrizione del
credito e aggiungendo unacrisi di offerta alla crisi didomanda.Nessuno interviene sulla
finanza e, in particolare, suifondi hedge: anzi, larestrizioneimpostaall’attivitàspecificamente bancariaamplia ilcampod’azionepertutte le attività checommercianoinderivati.Analogamente, nulla
cambia, in Europa e negliUsa, nelle altre istituzioni.
Sul mercato della forzalavoro, la disoccupazione dimassa ha reso ancora piùevanescente il sindacato, piùdebole la legislazione suidiritti dei lavoratori,insufficienti i sussidi didisoccupazione: la povertàaumenta ovunque e, inEuropa, si restringel’universalità dello statosociale11.Lafinanzapubblicaè in difficoltà perché
l’assenzaoladebolezzadellacrescita restringe le entratetributarieefrenalaspesa,eildebitopubblicocresceintuttii Paesi di vecchiaindustrializzazione. Non tuttii Paesi europei subiscono leconseguenze dell’austeritànello stesso modo: alcuni,dentro e fuori dall’Eurozona,escono dalla crisi senzarientrarci, pur con tassi dicrescita del Pilmolto bassi ealta disoccupazione, altri
oscillanosenzariguadagnareilivelliprecrollo.
3.Lepoliticheanti-crisielaVolckerRule
Vale la pena soffermarsisulle riforme Usa dellafinanza: PaulVolcker è statorichiamato dal PresidenteObama (2010) per rovesciarele politiche da lui stessopropostenel1979,eneènata
la cosiddetta «VolckerRule»12. Questa politicabancaria, che riprende inparte le riforme del NewDeal, distingue le banche dicreditoordinariodallesocietàd’investimento, dagli agentidicambioedaifondidiogninatura,evuoleevitaresiachelebancheutilizzinoidepositidei clienti a proprio favore,sia che gli stessi impieghisianorivendutirovesciandoil
rischio di insolvenza sulmercato. In pratica, si vuoleevitare che le banchespeculino sui loro stessiimpieghi, dotandosi così dicapitale allo scopo diaumentare impieghi ecapitale. Ora, questa attivitàera proprio l’atto di nascitadella nuova finanza, e se nedovrebbe dedurre che laVolckerRulel’annienta.Non è così. La regola,
intanto, entra in vigore con
estremo ritardo rispetto alcrollo, ed è stata scritta inmodivolutamenteflessibili.Ilsuoannunciononhaavutoglieffetti sperati sul controllodella speculazione.Soprattutto, non è statoricostruito un vero sistemabancario nella forma diun’istituzione di serviziopubblico,cosìdaescluderelacreazione di moneta privata.Dopo il crollo, perciò, siconfrontano due diverse
monete: quella endogena,fondatasul leverageormai indeclino, e quella esogena,fondata sull’emissione dellebanchecentrali.Il governo americano non
haavutolaforzaolavolontàdifondareunanuovaBrettonWoodso,almeno,distabilireun accordo con Europa eGiappone per regolare imercati monetari e finanziariglobali,forseperdifenderelapropria «industria»
finanziaria,o forseperchédaquesta dominato. Il pattoamericano per la pienaoccupazione haaccompagnato questemodeste riforme, ma lacrescita dell’opinioneconservatrice l’ha indebolito:laculturapoliticaamericanaèoggi un’emulsione tra pienaoccupazione e politichesociali daun lato, epolitichedi austerità e pulsionireazionariedall’altro.
Nonostante i difetti, e adifferenza delle politicheeuropee che non hannoadottato la Volcker Rule,l’intervento pubblico c’èstato, e negli Usa anche conla ricerca di effetti positivisulla domanda effettiva, adimostrazione che icapitalisti, pur controvoglia,loammettono.Tuttavia,nonèdettochequestoconsensosiastabile, perché potrebbeessere interpretato come la
difesadiunmodellobancarioprivato, solotemporaneamente indifficoltà: in sostanza, unadifesa dell’accumulazione. Ineffetti, nonostante il crollo, epur dopo grandi perdite efallimentiepocali, lastrutturafinanziaria del capitalismosopravvive e, nellecircostanze, sembra perfinoprosperare. Vedremo perché,ma,senonostanteilcrollo,lastruttura finanziaria è rimasta
forte e presente, era facileconcludere che non c’erabisogno dimaggior controllopubblico sull’emissione dimoneta endogena, mentrel’adesione al finanziamentodel deficit pubblico da partedella banca centrale, sempreassente in Europa,s’indebolisce negli StatiUniti, dove sembra prevalerel’opinione conservatrice cheimpone limiti alla spesapubblica.
4.Ildeclinodell’economiadel«leverage»
Ilproblema,allora,ècomela struttura finanziaria siacapace di resistere dopo ladistruzione di un motoreinternazionale della domandaeffettiva.La creazione di moneta
endogena, come sappiamo,avviene con l’emissione dititoli da parte di societàfinanziarieedibanche:questi
titoli,inprimaistanzaedopouna crisi del mercato, nonsono liquidi, e dunque nonsono moneta, ma possonodiventarlo se gli istitutiemittenti ne promettono ilriacquisto. In sintesi, sesocietà finanziarie o bancheemettono titoli a lungascadenza, ma sono pronte ariacquistarli a breve, neaccrescono la liquiditàpotenziale, e consentono aquel titolo di circolare come
mezzo di pagamento: èl’opzione del riacquisto chetrasforma un titolo portatoredi interessi inmoneta, ancheinassenzadileverage.Perchéquesta opzione non siaoccasionale, è necessario chele società finanziarie e lebanche sappiano che laliquidità cresce con lapromessa di riacquisto deititoli emessi. Ma lo sanno,perché è proprio la liquiditàl’obiettivo delle loro
operazioni. Un titolo liquidonon vale per l’interesse chepromette, ma per le opzioniche consente – come per lamoneta pubblica, della qualecondividelanaturafiduciaria.La promessa di riacquisto
è, in realtà, un’opzione, e haun valore di mercato, inrelazione alla probabilità chel’opzione venga esercitata ealla reputazionedell’emittente: ma se lasocietà finanziaria e la banca
sono obbligate al riacquisto,devono poter contare surisorse adeguate. La fonteprincipale delle risorse, nellacrisi, sta nell’emissione dititoli a breve scadenza,acquistatidai fondimonetari,che si sostituiscono (e fannoconcorrenza) ai depositibancari, consentendo diaggirare la Volcker Rule. Èforse anche per questafunzione – una volutaeccezionenellanorma–chei
fondi monetari prosperano.Con domanda effettiva bassanon sarebbe possibile trovareuna domanda per qualsiasititolo, ma i fondi monetarinon si rivolgono alladomandadibenieservizioaibisogni delle famiglie: inquesta ipotesi, servonoproprio per rendere liquidi ititoli delle banche (e di altresocietàfinanziarie).Allafine,però, sarà necessario per lebanche sia ricomprare i titoli
a breve scadenza siaesercitare l’opzione diacquisto per almeno alcunidei titoli a lunga, altrimentil’opzione non sarà credibile.L’opzione di riacquisto,sostenuta dalla reputazione,non deve però essereesercitata in modosistematico, altrimenti laliquidità si ridurrebbe e idepositi, nel gioco descritto,non genererebbero impieghi,masologiacenzedititoli.
Quelladescrittaè solounadellepossibilievoluzioni,mamostracomeormailafinanzaèsoloingradodiprodurreunleverage «diminuito». Se,infatti, il titolo con l’opzionedi riacquisto può circolare erappresentare un capitale sulqualeprendereaprestito,è ilprestito che le banche nonpossono fare, se nonemettendo nuovi titoli conopzione di riacquisto. Èevidenteperòcheladomanda
di un solo tipo di titoli èinevitabilmente limitata, datocheognisoggettopresentesulmercato deve semprediversificareilportafoglio.D’altra parte, la struttura
finanziaria,specienellaformadei fondi hedge, puòcontinuareaesistere.Quandoi prezzi dei titoli calano, è,infatti, sempre possibilespeculare al ribasso, ma ènecessarioche ildebitoredeltitoloribassatopossaripagare
il debito; forse è questa laragione dell’improvvisaattenzione del mercatofinanziarioperititolipubblicieperquellibancari:nelprimocaso loStatonondeveononpuò fallire, nel secondo valeil principio «too big to fail».Maiprezzideititolipossonoanche crescere, e sempre perla speculazione: quando sispecula al ribasso, si creanorisorse che possono essereimpiegate per speculare al
rialzo, perché i mercatifinanziari mostrano sempreutili oscillazioni. Se si tieneconto dell’attività dei fondihedge, le due speculazionipossono coesistere, protette,come abbiamo visto, propriodaquesteformediderivati.Che la speculazione sia
attiva, non significa che siaattivo anche il leverage, el’economiadell’accumulazione tenderà adeclinare: non è, infatti,
altrettanto attiva la domandaeffettiva,eselaspeculazioneaccresce i profitti delleimprese finanziarie, si trattasoprattutto di unaridistribuzione avversa asalari e profitti, e perciòanche alla crescita delladomanda. Si divarica, estavolta in tutto il pianeta,l’andamento dei mercatifinanziari e quello delprodotto mondiale; ilprodotto cresce a ritmo
ridotto e forse solo perl’effetto della spesa pubblicanegliStatiUniti,manonsièformato un motoreinternazionale di crescitacomequellodel consumatoreamericano, né la crescita deiPaesi emergenti puòsostenersiconladomandadeiPaesi ricchi, almeno nelledimensioni precedenti ilcrollo, e ciò riduce gli effettireali del leverage.L’incertezzatornaadominare
il campo delle decisioniimprenditoriali e, pur inpresenza dei fondi hedge, sitrasforma con maggioredifficoltà in rischioassicurabile.Unsegnaledelladebolezza del leverage stanella deflazione, ben visibilenei prezzi delle materieprime; il fatto che il prezzodell’oro subisca caduteepocali significa che laspeculazionenonloritieneuntitoloportatoredileverage.Si
tratta di indizi che rivelanouna continuata riduzione delruolodellamonetaendogena.In queste circostanze,
perdura il conflitto traimpresefinanziariee imprese«reali»: l’egemonia delleprimeèscossadall’assenzadiun moltiplicatore finanziariocapacedi tradursi increscita,manonne segueunmaggiorruolo delle imprese «reali»,perché la crescita èmodesta.In assenza di una politica
generale per l’espansioneattraverso i deficit pubblicidei governi, aumenta laprobabilitàdinuovecrisi.Come abbiamo più volte
rilevato,lepoliticheUsasonovolte all’aumento delladomanda effettiva,ma hannoeffetti insufficienti sul debitopubblico,siaperché ilpartitoconservatorenonammetteunaumento sostanziale dellaspesa e nega gli effettidepressivi dei tagli di
bilancio, sia perché l’interaeconomia mondiale risentedella recessione europea,dovuta alle politiche diausterità, e della più debolecrescita dei Paesi emergenti.Nello stallo politico, resoancor più tale dal paradossodell’accresciuta forzadell’ideologia conservatriceanche dopo il crollodell’economia mondiale, ilconflitto tra il motivodell’accumulazione e quello
previsioni sullatrasformazione dell’ormainon più nuovo capitalismo.Mi sembra però interessantediscutere possibili esiti e laloro relativa fattibilità. Piùsemplicemente, dobbiamoesaminare diversi tipi diconflitto tra icapitalisti–deiqualilacecitànoncambia–eidiversi tipidicompromessotraquestieloStato.Nell’analisi che segue,
certamente incompleta e non
rigorosa quanto sarebbenecessario, ipotizzo che laglobalizzazione sia il portatoduraturo delle politicheThatcher-Reagan, anche se èinevitabile che subisca fortimodificazioni. Questa ipotesiè necessitatadall’impossibilità del suocontrario, e cioè che si tornial protezionismo universale,precedente Bretton Woods.Questo ritorno è impossibileperché le economie
emergenti, in surplus neiconti con l’estero, e leeconomie dei Paesi ricchi, indeficit, hanno entrambebisogno della liberacircolazione di merci, servizie capitali per sopravvivere. Ifortiattividibilanciacorrentedei pagamenti e le uscite inconto capitale di molti Paesiemergenti (tanto abbondantiche finanziano acquisizioninei Paesi ricchi) derivano daun surplus dovuto alla
crescita fondata sul motoredelle esportazioni. Dopo ilcrollo, la domanda estera neiconfronti delle economie deiPaesi emergenti non crescepiùconl’intensitàdelpassatoe, anzi, sembra generare ungioco a somma negativa opositiva ma molto piccola,perché per continuare,dovrebbe impoverire (vistoche lecostringerebbea salarisempre più bassi) leeconomie ricche che pure
esprimono la domanda dellaquale gli emergenti hannobisogno. Si uscirebbe dalgioco a somma negativa senelle economie emergentidovesse cambiare la politicaeconomica, orientata stavoltaa suscitare la domandainterna, sostitutiva dellaminorcrescitadelladomandaestera – un cambiamentoavvenuto in parte nellecosiddette «tigri» orientali(Corea del Sud, Taiwan,
Malesia, Singapore). Leeventuali politicheredistributive nei Paesiemergenti si scontre-rebberotuttavia con la struttura dellaloro produzione, orientata aibeniperl’esportazione,nonaquelliperladomandainterna.La stimolazione di questadomandadapartedeigovernidi quei Paesi creerebberapidamente condizioniinflazionistiche e di capacitàproduttiva insufficiente. In
questo caso, perciò, laglobalizzazione sarebbeancorapiùnecessaria,perchéla nuova politicarichiederebbe un maggiorflusso di importazioni neiPaesi emergenti, ed ènecessario che ciò avvengasenza che aumentino i prezzidelle merci e dei serviziimportati, cosa cheavverrebbe se la concorrenzainternazionale fosse ristretta.La differenza con il
capitalismoThatcher-Reagan,quando è assente un motoreinternazionale di crescitacomeildebitoreamericano,ènetta. I governi cercherannoperciò di utilizzare politichedi tipo mercantilistico, manon è detto che ci riescano alungo:siamovicinoalcampodella teoria dei giochi, dovesiccomelaforzadeigiocatorinonèuguale, i teoremicomequellodiNash1(doveciascun
giocatore sceglie l’alternativaottima, data la sceltadell’altro) non valgono. Tral’altro, ogni strategiamercantilistica (come lasvalutazione competitiva) haeffetti sulla distribuzione delreddito, ma se è generale eapplicatadaiprincipaliPaesi,può diventare un altro deigiochiasommazero.Si capisce bene il
problema: se laglobalizzazione è
caratteristica duraturadell’economia mondiale, maglieffettidelleverageedellamoneta endogena sullacrescita sono in declino, èinevitabileunnuovorapportotracapitalistieStato;manéilritorno generalizzato aRooseveltnéquelloaReagansembranorealistici–ilprimoperché a quel tempo eraassente la globalizzazione, ilsecondo perché si èdisseccatoilciclodivitadella
monetaendogena.Guardo alla
globalizzazione come a unrisultato specifico delrapportotracapitalistieStato:la globalizzazione conintervento pubblico sembra,ineffetti,unanuovaformadicapitalismo.Sidovràstudiaremeglio l’economia globale«mercantilista», soprattuttoperché distribuisce in modoimprevedibileisurplus/deficitdi bilancia dei pagamenti.
Nonsappiamo,però,quantiequali effetti macroeconomiciderivino da comportamentimercantilisti – comparabili acomportamenti individuali.Come vedremo, possiamodesiderare una diversaglobalizzazione, ma ildesiderio sarebbe piùrealistico se conoscessimo ledinamiche del capitalismomercantilista.Perora,semplificol’analisi
analizzandoprima loStatoal
serviziodeicapitalisti epoi icapitalisti al servizio delloStato:uneserciziocertamentetroppo simmetrico, ma che èvolto a individuare dove sisitua l’egemonia2 dell’uno odegli altri, sempre in uncontesto capitalistico, dove icapitalisti sono anarchici el’individualismo è la lorofilosofiasociale.
1.LoStatoalserviziodei
capitalisti:ilbanchierecentrale
Torniamo a osservare larealtà economica dopo ilcrollo del 2007-08. Sirestringeladomandaeffettivadei Paesi di vecchiaindustrializzazione, especialmente quella degliUsa, e si riducono prima itassi di crescita delleesportazioni e poi quelli delprodotto nazionale dei Paesi
emergenti, indebolendo ilmotore di crescita del nuovocapitalismo. Si riduce ladomanda di monetaendogena: la crisi nondistrugge la strutturafinanziaria,mapoichéivaloridiborsarisalgonolentamente,oscillando con notevolevolatilità, il leverage non hala forza del passato. Lebanche hanno grandedifficoltà a fare prestiti,perchéèdifficileprocacciarsi
capitale.Richiamounastoriatroppo
recente,macercodicostruireun caso più astratto e, forse,generale. Il pericolo del«double dip» è nellaconsapevolezza delle banchecentrali. Queste, al diminuiredella quantità della nuovamoneta endogena, capisconocheènecessarioaumentarelamonetaesogena,opubblica,elofannoimmettendoliquiditàcon i metodi classici:
riducendol’obbligodiriservadellebancheoconoperazionidimercatoaperto,comprandoe vendendo titoliobbligazionari. A questopunto, ho ammesso unintervento indiretto delloStato che influenza ilcomportamento delle banchecentrali, anche se non nealteraformalmenteilgradodiindipendenza dai governi: siscopre il velo dell’ipocrisiasull’indipendenza delle
banche centrali dai rispettivigoverni. Siamo,apparentemente, in unadiversa forma di capitalismo,con la banca centrale cheresuscitaunvecchioobiettivo(crescita, occupazione), e ciòè consentito dai governi,ancora ispirati dall’ormaideclinante capitalismo,perchél’interventoèindirettoe non implica una riduzionedellalibertàd’impresaodellaglobalizzazione: almeno
apparentemente, i capitalistihanno ancora l’egemonia.Così, la banca centralepersegue il vecchio/nuovoobiettivo, e lo fa immettendoliquidità e tenendo bassi itassidiinteresseperchéspera,perquestavia,diincoraggiarel’investimentodelleimpreseeladomandaeffettiva.Le banche centrali
potrebbero ispirarsi alla tesidi Irving Fisher del 1933, inpienacrisi,conilsuoPianodi
Chicago3, che proponevaproprio l’intervento dellabanca centrale comecreditrice di ultima istanza,perannullare(oridurre)siaildebito pubblico sia il debitoprivato, così da costituire unnuovo «leverage»,accrescendo in questo modo,attraverso nuovo debito, lerisorsedi famigliee imprese,e consentendo un aumentodella loro domanda4. Poiché
la sua efficienza marginaledelcapitaleerasimileal«rateofreturnovercost»diFisher,Keynes non avrebbe potutonegare l’effettosull’investimento dellariduzione del tasso diinteresse che derivava dalPiano di Chicago, mal’avrebbegiudicatoinadattoauscire dalla crisi: avrebbesostenuto che l’emissione dimoneta necessaria adacquistareunaparteol’intero
debito nazionale avrebberidotto il tasso di interesse azero, e la trappola dellaliquiditàneavrebbe impeditol’effetto positivo sulladomanda.L’ostacolo maggiore
all’efficaciadipolitichesimiliaquellediFisher,però,stainun terzo Keynes: nella crisi,la quota di famiglie senzareddito, per ladisoccupazione, o a bassoreddito, per salari ridotti, è
elevata,ealleviareildebitodiqueste famiglie è inutile,perché comunque insolventi,mentre le famiglie a redditopiù elevato non sonovincolate dal debitopreesistente e non sonosensibili alla riduzione deitassi di interesse; in più,famiglie e imprese, con ilcrollo, vedono distrutto ofortemente ridotto il capitaleaccumulato,enonbasterebbel’annullamentodeldebitoper
ricostruirlo, salvo che vi siauna ripresa dell’attivitàeconomica, attraverso laspesapubblica.In realtà, quasi tutte le
banche centrali sanno, siapureconl’ovviariluttanzaadammettere la scarsa o nullaefficacia dei propri strumentie del proprio potere sulladomanda effettiva, che ilprincipio dell’efficienzamarginale del capitale nonfunziona. È perciò più
probabile che, in uno Statodei capitalisti, le banchecentrali intervengano nontantoperstimolarelacrescitae l’occupazione, quanto perevitare il fallimento delsistema bancario, ormai indebito di liquidità dopo ilcrollo5. Questo modo diconsiderare le politichemonetarie e bancarie èingiusto nei confronti degliUsa, dove, invece, la Fed
opera esplicitamente perridurre il tasso didisoccupazione, e finanzia ildisavanzo pubblico, pur nelfrenoimpostodalCongresso.Sappiamo, infine, che una
riduzionedeitassidiinteressenonfacrescerelaspesadellefamiglie,perchéfaaumentareilprezzodelleobbligazionieconquesteilvaloredeldebitopregresso delle famiglie edelle imprese: se le une e lealtre potranno ottenere un
rifinanziamento del propriodebito dopo la riduzione deitassi (già difficile per leregolepiùsevereapplicatealcreditobancario),lovedrannoperò aumentato in valore, el’aggravio li indurrà arisparmiare più che aspendere. Solo un nuovodebito, a minor tasso diinteresse, potrebbe avereeffetti reali, ma la domandadi credito si esprime se vi èuna prospettiva di aumento
delladomandaeffettiva.Proprio l’assenza di
domanda produce un effettonon desiderato dalle banchecentrali.Laliquiditàimmessanell’economia per ovviarealla riduzione della monetaendogena,nonsitrasformainimpieghi,eperciòindepositi,e si sterilizza. I nuovi fondiservirebbero come capitaleper le banche, sul quale farcrescere l’offerta di credito,ma se la domanda di credito
dell’economia è bassa e icriteri prudenziali sui prestitisono più severi, le banchepreferiranno investire nellaspeculazione. La VolckerRule ha proibito laspeculazione con i depositidei clienti, e avrebbe ancheostacolato quella con ilcapitale proprio o preso aprestito6, ma le societàbancarie conglomeratepossono facilmente aggirare
lanorma.Lanuova liquidità,inoltre, può finanziare lespeculazioni al ribasso e alrialzo attraverso i fondihedge, come già visto, masenza conseguenze per ladomandaeffettiva.Lasoluzionesarebbemolto
semplice, se le banchecentrali finanziassero laspesapubblica senzaobbligodi restituzione e senzarimettere sul mercato i titolipubblici–riducendoperciòil
volumedeldebitodelloStatoin mano ai risparmiatori –perché la domanda effettivaaumenterebbe rapidamente(l’emissione di moneta, inquesto caso, ha effettibenefici).La soluzionenonègradita alle banche centrali,con la notevole eccezionedella Fed, sia perché temonol’improvviso potere concessoalla politica e la conseguenteriduzione della loroautonomia, sia perché
l’intervento pubblico diretto,nelloStatodeicapitalisti,nonè consentito nemmeno dopolacrisi(incasocontrariononavremmo più nulla dadiscutere), sia perché, se ilfinanziamento della spesapubblica è fatto in un soloPaese, la possibilesvalutazione degli altri neridurrebbe gli effetti interni.Questo è il problema dellaFed nei confronti dei Paesiemergenti e della Cina, ma
più in generale è proprio laglobalizzazione mercantilistache rende timide le banchecentrali.Così, che lo Stato dei
capitalisti sia divenutoindirettamente consapevoledella necessità di elevare ladomanda effettiva attraversol’azionedellebanchecentrali,si rivelerà inutile quando,dopo le nuove politichemonetarie, gli effetti non siprodurranno, come
nell’Eurozona, o sarannoinsufficienti a ripristinare lapiena occupazione, comenegli Usa. Lo Stato, allora,tornerà alla cecità dei suoicapitalisti e alle politicheeconomiche dell’equilibrio, enon saprà più come usciredallostallo.Ineffetti,ancheilmercantilismoha limiti quasiinvalicabili:laconcentrazionedegli attivi di bilancia deipagamenti in alcuni Paesiimpoverisce gli altri e può
generare un gioco a sommanegativa (per non mettere incontoespliciticonflitti).Tral’altro,dopoilcrolloè
tornata a farsi sentire unadivaricazione tra economisti.Quelli pseudokeynesianiamano l’efficienza marginaledel capitale e favoriscono lapolitica monetaria «lassista»delle banche centrali. Quellidell’equilibrio economicogenerale reputano inutilel’intervento,perchélamoneta
serve solo alle transazioni eun suo aumentoannuncerebbe l’inflazione(nella crisi!): basta «lasciarfare» perché l’economiariprenda la sua crescita«naturale».Nél’unanél’altravisione sembranocomprendere quanto siaindispensabile l’interventopubblico per la domandaeffettiva, perché nonriconoscono la cecità deicapitalistieladebolezzadello
Statodeicapitalisti,unavoltachiusa(oridotta)l’esperienzadell’economiadelleverage.Nell’analisichesegue,non
metto più l’accento sulledifferenti politicheeconomicheinEuropaenegliUsa: non perché noncontinuinoamanifestarsi,maperché l’espansionedell’opinione conservatrice ècomuneinentrambelearee,equestaopinioneè, allo stessotempo, labasedell’egemonia
dei capitalisti e del rapportotra gli Stati al servizio deicapitalisti.
2.LoStatoalserviziodeicapitalisti:ilprogressotecnico
Non possiamo escluderedall’analisi la teoriatradizionale degli eventiprovenienti dall’esterno,come gli shock esogeni di
Kydland e Prescott, peraltropresenti in letteratura almenoda Frisch7. Abbiamo giàincontrato le tecnichesuperiori e l’effetto delcambiamento delle tecniche,ma c’è sempre qualcheconfusione, nei modelli cheincludono il progressotecnico, tra il livello dellasingola impresa e quellodell’economia nel suocomplesso. Ogni diversa
struttura dell’economia èancheunadiversatecnologia,nel senso che sono vari irapporti tra fattori dellaproduzioneeprodotto,eognidiversa tecnologia cambia lastrutturadell’economia(comeci hanno insegnato JoanRobinson e Luigi Pasinetti).Esistono certamentetecnologie «generali», com’èstata l’espansionedell’informatica o, nelpassato, la radio e la
televisione. Quali siano lecondizioni macroeconomicheper cui queste, e tutte quelletecniche che analogamentecambiano la strutturadell’economia, passano dallostadio della ricerca a quellodell’applicazione, è statodescrittocasopercaso8,mailprocesso non è statorazionalizzato in una teoria9.Infine, la stessa struttura deifattori della produzione che
accompagna una diversastrutturadelladomandaèunanuova tecnologia: ilcambiamento tecnologico èfrutto sia di cambiamenti neifattorisiadicambiamentinelprodotto. Abbiamo già vistoanche il contrario.L’economiadel leverage e laglobalizzazione hannodeterminato lo sviluppo deiPaesi emergenti come unanuovatecnologia,ancheselesingole tecniche di
produzione erano già statericercate, inventate, eapplicateneiPaesidivecchiaindustrializzazione: unadimostrazione che le stessecondizioni del contestopossono trasformare letecniche da inferiori asuperiori. Nell’analisi chesegue, poiché nondisponiamodiunasufficienteteoria endogena, le singoletecnologie e il lorocambiamento provengono
dall’esterno.Con la crisi e la
conseguente riduzione dellevendite, l’impresa nonfinanziaria ha bisogno dicredito: cresce il magazzinoinvenduto e cresce il debito;la banca è più forte neiconfronti del debitore, mapoiché anch’essa soffreperché avrà un calo neidepositi, sarà spinta a farfallire il debitore più che aconsentirgli di sopravvivere.
Anche se crudele, può nonessereunasceltasbagliatadalpunto di vista dell’economianelsuocomplesso,perchéchiacquista i beni del debitorefallito a prezzi molto bassi,vedrà aumentata la propriaricchezza più che inproporzione alla spesa, e ilconseguente maggior valoredei titoli rappresentativi diquesta ricchezza costituisceuna garanzia effettiva per labanca.
Non tutti i settori, eperciòlerispettiveimprese,soffrononello stessomodo;quelli chesoffrono di meno hanno lanatura di stabilizzatoriautomatici (Stato minimo,consumi di sussistenza o dibase, le renditee imonopoli,i più ricchi, ecc.). Tuttavia,tali stabilizzatori provvedonosolo un pavimento alla crisi,non una nuova ripresa.Quando però il credito, purridotto, è destinato a nuove
tecnologie, nuovi prodotti onuovi settori sostitutivi deivecchi, allora molte impresesaranno obbligate a cambiaretecnologie e, nonostante illoro indebitamentoprecedente, l’investimentoaumenta,ladomandacresceenasce un’economia, talvoltaperfino un nuovo tipo dicapitalismo, con nuovetecnicheenuoviprodotti.Nello svolgimento della
crisi, mentre diminuiscono i
volumi sia del salario sia deiprofitti,iltassodiinteressedimercato può aumentare(ancheadispettodel tassodiscontodellebanchecentrali),perché viene a mancare o siriduce il rendimento di unleverage crescente. Leimprese che se lo possonopermettere scelgono alloratecniche aminor produzione,a minore occupazione e aparitàdiintensitàdelcapitale,o a minore intensità di
capitale e a produzione eoccupazionedate:inentrambii casi ciò aggrava la crisi10,perchénelprimocaso cala ilprodotto nazionale, e nelsecondo cala la domandarivolta ai fornitori e, dinuovo, il prodotto nazionale.Per essere adottate in tempodi crisi e meritare il prestitodella banca, le tecnichedevono invece esseresuperiori, come abbiamo già
descritto: devono produrre dipiùdiquelle inusoecostaremeno che in proporzioneall’aumento della produzione(dinuovo l’informatica;nellaStoria, l’acciaio, le ferrovie,lachimica,laradioelatv,learmi, ecc.). Non solo, ma latecnica superiore consente diprodurre di più, a minoreintensità di capitale e aoccupazione costante, o aminoreintensitàdilavoroeacapitale costante, e poiché le
banche finanziano meno chein precedenza, le tecnicheutili nella crisi sono quelleche producono di più aminore intensità di capitale.Allo stesso modo, i nuoviprodotti devono esseresuperiori, e fornire aicompratori una maggioreutilità a prezzo uguale o piùbasso, rispetto ai prodottiesistenti.Inentrambiicasi,ildebito
esistenteperunitàdiprodotto
(odiutilità)siriduceenuovodebito può essere acceso. Inqueste circostanze, diversedall’effetto Pigou, ladomanda effettiva aumenta,sia perché le imprese hannobisogno di nuovi beni diinvestimento, sia perché iconsumatori sostituiscono lnuoviprodottiaivecchi,eciòmette in moto ilmoltiplicatorediLeontief.Non è ragionevole pensare
che le tecniche offerte sul
mercato dell’innovazionesiano sempre superiori, néche i singoli imprenditorisiano capaci di riconoscerle,ma è ragionevole che tra letecniche offerte ve ne sianosempre alcune superiori; chiricerca e progetta nuovetecnologie sarà sempremotivato a crearne disuperiori, se vuolemassimizzare il ricavo dalleproprie scoperte. Nonpossiamo nemmeno supporre
che esista un automatismoperché siano disponibili, almomento giusto, tecnichesuperiori;anzi,ingenerale,setali tecniche fosseroimmediatamente disponibili,potrebbe trattarsi diprecedenti erroriimprenditoriali, altrimentisarebbero state già adottate.Nonostante ciò, se lecondizioni del contesto sonoquelle giuste11, la crisi di
domanda potrebbe esseresuperata in presenza dialmeno alcune tecnologiesuperiori.D’altra parte, nelloStato a
servizio dei capitalisti emercato della forza lavoroconcorrenziale (il sindacatoèdebole o assente), la regolaaureadell’equilibrionon saràrispettata,ladistribuzionedelreddito peggiorerà, ladomanda aumenterà menodella capacità produttiva e
non si uscirà dalla crisi,nonostante la nuovatecnologia. La ripresa, senzaintervento pubblico sulladistribuzione del reddito(l’egemonia è dei capitalisti)èpossibile,manonduratura.La globalizzazione, a sua
volta, muta di carattere. Lenuove tecniche superioricorrispondono a un aumentodella competitività, cui altreeconomie reagirannosvalutando la propriamoneta
nazionale, costruendo formenascoste di mercantilismo(dumpingambientale,sociale,culturale). Ciò riduce la«superiorità» delle nuovetecniche, perché i costi delletecniche «vecchie»diminuiranno12.In ogni caso, questa
soluzione si scontra con lacontemporanea crisifinanziaria.Latrasformazionetecnica, anche se risparmia
capitale rispetto alla tecnicaprecedente, richiedeinvestimenti che devonoessere finanziati. Se la bancacentrale sioccupa soltantodiregolare la quantità dimoneta, per evitarel’inflazione, quandol’economiaèincrisiessanoninterviene,perchéilrischiodiinflazione è assente. Ma lacrisiharidottoilleverageelebanche non possono, comegià visto, aumentare gli
impieghi. Anche se la bancacentrale cambiasse politica –comenelcasoprecedente–eimmettesse liquiditànell’economia e le singolebanche potessero dotarsi dicapitale sufficiente per nuoviimpieghi, tuttavia nonsaprebberonécheletecnichesono superiori né che ibenefici sono in grado dicoprire i prestiti, masoprattutto non sarebbero ingrado di conoscere gli effetti
macroeconomici delle nuovetecniche, che si manifestanoattraverso la domanda dinuovibenidi investimento, enoninterverrebbero13.Così, la cecità dei
capitalisti rende la crisiendemica, anche conprogresso tecnico.Losivedebene guardando al caso dellefamiglie.Èverocheinuoviesuperiori (più utili) beni diconsumo, a parità di prezzo,
stimoleranno la domandadelle famiglie, ma alla fine,senza regola aurea, il lororeddito crescerà menodell’offertadibeni,levenditedelle imprese subiranno uncalo e le banche resterannoconunpalmodinaso.
3.LoStatoalserviziodeicapitalisti:l’economiadellarendita
Un caso limite dellapossibile involuzionesuccessiva al crollo è quellonel quale l’economia ècostretta a non crescere, o acresceremoltopoco,perchéicapitalistitendonociecamentead accumulare. Coneconomiechecresconopoco,iprofitticresconopoco,malerenditepossonoaumentaresecresce ilgradodimonopolio.Questo, come si è già visto,puòavveniresianellafinanza
(mentre con le tecnologiesuperiori,comel’informatica,sarebbe dovuto avvenire ilcontrario),siasulmercatodeibeni e dei servizi. Per icapitalisti finanziari,soddisfare il motivodell’accumulazione conprofitti o con rendite èindifferente, e se nellecircostanze i profitti sonoscarsi, basta un aumentocostante delle rendite persoddisfarli, anche a costo di
peggiorare la distribuzionedel reddito e ridurre ilprodotto nazionale. Con unprodotto che si restringe, e ilgrado di monopolio cheaumenta, i capitalisti siriducono di numero ecrescono in potereaccumulativo: lo Statopredicherà la liberaconcorrenza,maabbiamogiàvistoquantaindulgenzasisiacreata con il cambiamentonelle regole delle autorità
antitrust.C’è «lotta» o concorrenza
per le rendite? Guardiamo alcaso delle città. Per sfruttarelerenditeurbane,ènecessarioche si formi una scarsità,perciò la città, nello Stato aservizio dei capitalisti, deveessere lasciata libera diespandersi «naturalmente»,con piani flessibili e vincolirapidamente eliminabili, cosìda far emergerecontinuamente rendite di
accessibilità. Questaespansione, tuttavia, riduce ilvalore dell’edilizia esistente,perchénonvi sono forzechefaccianocrescereladomanda,compresa quella degliimmobili: nel capitalismodelle rendite il prodotto noncresce. Più in generale, lerendite sono il rendimento dicapitali(disuoli,diambiente,di materie prime, di lavoroqualificato, di ricerca) scarsi,e i capitalisti «reali» delle
rendite devonoinevitabilmente confrontarsiconicapitalistidellafinanza,che produrrebbero monetaendogena cartolarizzando lerendite scaturenti da quellescarsità:quanto più scarso èun bene, tanto maggiore è ilvalore del suo titolo sulmercato finanziario, tantomaggiore la possibilità dicartolarizzarlo. Ciò nonriduce la rendita, ma netrasferisce una parte alla
finanza, e il gioco tra i dueattori si ripete: pur ciechi,potrebbero rendersi contodellamutuadipendenza,datocheicapitalisti«reali»hannobisogno della trasformazionedel leverage in debito, e ilconflitto si attenuerebbe.Siamo, però, nellamicroeconomia, dove isingoli interessi dominano lemotivazionideglioperatori,enonèlogicoche,nellacrisi,icapitalisti non finanziari e
intestatari di rendite sianotanto lungimiranti dalasciarsenesottrarreunaparte(che potrebbe anche esseretotale) dai capitalistifinanziari.Alivellomacroeconomico,
nel capitalismo delle renditelacrisinonèperòfacilmenterisolvibile. Qui il prodottonon cresce, né le renditeaumentano a prodottocostanteonegativo, senonadanno dei profitti, di altre
rendite e, come al solito, deisalari. Non si formainflazione, perché al cresceredella rendita, e cioè delprezzo dei beni, la domandacalapiùcheinproporzionealprezzo, perché ladistribuzione peggiora.Poichéinquestecondizionilarendita non è continuamenteriproducibile, anche la suatrasformazione in titolifinanziaridiventadifficile.Laricchezza non cresce, e
l’accumulazione declina. Lamutua dipendenza di primanonsirealizza,esiriproduceilconflittotracapitalisti.
4.LoStatoalserviziodeicapitalisti:dalmercantilismoalnazionalismoeconomico
Nel passato, lo Stato deicapitalistisièpresentatonelleforme di imperialismo eprotezionismo; oggi, più
semplicemente, abbiamomolti esempi di«nazionalismo economico» omercantilismo. Se laglobalizzazione è strutturapermanente, e i capitalidevono poter circolare, lacrisi inun singoloPaesepuòessere superata se alcunicapitalisti nel proprio Statoimpoverisconoaltricapitalistiin un altro Stato: ilcompromesso vede ancora loStatoaserviziodeicapitalisti.
La Storia recente presentaproprio queste situazioni:esistonoStaticonpermanentisurplusnellabilanciacorrentedei pagamenti (Germania,Paesi emergenti) ai danni dialtrichehannodeficitcorrentipermanenti, essenzialmentegli Usa dal 1968-71; ilGiappone nei confronti deiPaesi vicini; altrimenti, nelpassato,ancheilRegnoUnitoe, in misura limitata allepropriecolonie,laFrancia.Si
tratta di economie chepresentanoundeficitcorrentepermanente a causa dellostatus di riservainternazionale assegnato allaloro valuta fiduciaria, cheproduce un surplus correntealtrove. A parte i casi delleeconomie con monete diriserva, quando vi èstagnazione o decrescita delprodotto nazionale nei Paesiin deficit, anche la crescitadei Paesi in surplus ne sarà
influenzata, attraverso unaminore dinamica delle loroesportazioni. I Paesiemergenti praticano da anniun mercantilismo particolareutilizzando protezionitariffarie e non tariffarie,cambi sottovalutati, dumpingsociale e ambientale, masfruttando la liberacircolazione dei capitali. Ilnazionalismo economico, inquesticasi,ècompatibileconla globalizzazione, perché i
capitalisti «reali» dei Paesiricchi hanno convenienza adelocalizzare le loroproduzioni, ma poiché ciòriduce la loro occupazione ela loro domanda effettiva, èpossibilecheancheneiPaesiricchi si dia spazio alnazionalismo economico(come abbiamogià osservatoperlaGermanianell’euro).Ilmercantilismononèmai
in un Paese solo. Quando icapitalisti di un’economia vi
ricorrono, anche le altreeconomie reagiranno: osvalutano, e aumentano leesportazionieilloroprodottonazionale, oppure, se nonsvalutano (come nel caso deiPaesi dell’euro), devonoridurre ilcostodiproduzione(del lavoro) per ottenere uneffetto simile14. Ciò esercitauna pressione negativa sulladomanda internadi tutti, e lacrisisiaggrava.
Il gioco potrebbe nonessere a somma zero, tra leazionielereazionideidiversiPaesi. Se si esclude ilconflitto armato, la domandaeffettiva in qualche Paesepotrebbe essere stimolatadalla spesa pubblicanecessaria per far crescere lacompetitivitàdelleproduzionidei capitalisti nazionali(ricerca, innovazione,sviluppo, politiche anti-dumping, ecc.), e la
competizionetranazionalismipotrebbespingeretuttiiPaesisu questa strada: ilmercantilismopotrebbealloraaverel’effettodiaumentareladomanda effettiva – com’èsuccesso tra le due GuerreMondiali, con il riarmoepoiil conflitto. In questecircostanze, lo Stato è resoconsapevole di effettimacroeconomici dai suoistessi capitalisti – comesempre con il protezionismo,
la svalutazione o altrepolitiche con lo stesso segno– ma riflette i propricapitalisti «reali», non quellifinanziari,chevedonoinveceridursi la libertà dicircolazione di merci ecapitali. Nel mercantilismoeconomico dovrebberoprevalere i primi, ma l’esitosulcompromessoconloStatoè oscuro, perché gli stessicapitalisti «reali» nonpotrebbero sfruttare
pienamente le opzioni apertenel commerciointernazionale, comeaccadrebbe senzamercantilismo. È perciòpossibilechequesta formadicompromesso tra Stato ecapitalistisialimitatasoltantoa qualcuno dei Paesi incompetizione, e se ciòaccade, è dubbio che lepolitiche per la domandaeffettivapossanoavereeffettigenerali. Questo Stato dei
capitalisti che, nelle suediverse forme, ha certo unpresente, non sembra avereun futuro, salvo nel caso incuiilconflittotraStati(cheèconflitto tra capitalisti) fosserisolto attraverso unnegoziatodipace(unanuovaBretton Woods keynesiana):desiderabile, ma non ancoravisibile.
5.Ilconflittotrai
capitalisti
L’analisi svolta ci portaquasi naturalmente ariscoprire una caratteristicadella trasformazione delcapitalismo. La crisi prima elo stallo dopo, determinanounasituazionedifficileper leimprese non finanziarie neiPaesi ricchi: con la domandadi beni e servizi sempreinsufficiente rispetto allacapacità produttiva, la
struttura di queste imprese èscossa alle fondamenta. Leeconomie di scala, al ridursidellaproduzione,creanocosticrescenti per unità diprodotto, e la tendenzaspontanea delle imprese leporta a ridurre la propriadimensione, licenziando ilavoratori, chiudendoimpianti o delocalizzandoliverso mercati ritenuti menostagnanti (e spesso
sbagliando)15, frenando lespese per la ricerca el’innovazione. Anche neldeclino le imprese hannobisogno di credito, perché siriducono la ricchezza, imargini di profitto el’autofinanziamento. Lafunzione finanziaria internapuò mantenere peso nelledecisioni dell’imprenditore,mentre continuano a perdererilievo sia la funzione della
produzione sia quella delpersonale; resterebberilevante la funzione dellevendite,nellaricercacontinuadi nuovimercati. Tuttavia, ildeclino dell’impresa haregole, per così dire, fisse,imposte dal controllo digestione: riduzione delpersonale, riduzione dellespesecorrenti(eperciòanchediquelleperlosviluppodellevendite), riduzione dellespese in conto capitale. Nel
declino peggiora il rapportotradebitoevaloredelcapitaledell’impresa, e la funzionefinanziariainternaaccentualasua natura potenziale di«quintacolonna».Dopo il crollo, è ormai
palese come sia difficileparlare di capitalisti inmodoindifferenziato, dato che inogni circostanza sembradeterminarsiunafratturatrailcapitalistafinanziarioequello«reale».Non tutte le imprese
«reali» avrannocomportamenti coincidenti;anzi, quanto più il declino èrapido in una, tanto più èlento in altre che subentranonei mercati della prima. NeiPaesi emergenti, le difficoltàdelle imprese non finanziariehannoritmidiversi,perchéleimprese sconfitte nei Paesiricchi vi si trasferiscono, maciò non risolve il problemaglobale dato che, comeappena indicato, la mobilità
delle imprese le rende, ancheneiPaesiemergenti,arischiodi crisi e chiusura. Ingenerale,chiusureeriaperturefanno aumentare il grado dimonopolio e latrasformazionedelprofitto inrendita, e se ciò non apre gliocchi dei capitalisti «reali»sulle virtù dell’interventopubblico, tuttavia è nel lorointeresse che, dopo il crollo,lo Stato intervenga perampliare ladomandasui loro
specifici mercati (edilizia,opere pubbliche, spesemilitari, imprese pubblicheinsieme a privatizzazioni): ela consapevolezza sarebbesufficienteper favorire formedi mercantilismo onazionalismo economico.Questo, però, non è il casodei capitalisti finanziari, perlacuiculturaeconomicaogniintervento pubblico, poichédeve essere finanziato sulmercato, spiazza il risparmio
privato, riduce lamoltiplicazione finanziaria, emette in pericolo la liberacircolazionedeicapitali.Per le imprese produttive,
ilproblemamaggioreduranteil declino è la scarsità dicredito.Qualcheimprenditorepuòsperare, indebitandosi,disuperare quella che ritieneuna difficoltà temporanea,perchésa/sperachelaripresaavverrà con una più fortepresenza della funzione della
produzione e perciò a costidecrescentieaumentipiùcheproporzionali nei margini diprofitto, ma il leverage diciascuna impresa è diminuitoeconessoanchelapossibilitàdi ottenere credito. Se lageneralità delle impreseadottasselastessapoliticaeilcredito fossedisponibile,nonsi aprirebbe, però, unospiraglio nella crisi, perchénella crisi nessuna impresatrova nuova domanda
direttamente per i propriprodotti, e anche la banca losa. E, anzi, le regole diBasilea fanno capire che lebanche,anchesenonpossonofare a meno dell’attività diprestito, sono ostili neiconfronti delle imprese,soprattuttoperché,nelloStatodei capitalisti e in assenza diunsistemabancariopubblico,nonsiaspettanocheiprestitideterminino i depositi.Occorrerebbe, allora,
l’equivalente di un’impresapubblica–la«socializzazionedegliinvestimenti»diKeyneso il «socialismo» diSchumpeter (1954) – capacedi produrre anche in assenzadi una domanda diretta, siaperchélapuò«inventare»siaperché lavora per ilmagazzino: ma, di nuovo,avremmo risolto il problemaprima ancora di averloaffrontato.D’altra parte, vi sono
difficoltà alla permanenzadella struttura finanziaria. Laprincipaleènell’evanescenza,appena ricordata,dell’impresa non finanziaria:questa è attrice rilevante neiPaesi emergenti, ma è anchelì soggetta all’aleadell’indebolimento delladomanda estera e dellacontinua«transumanza»delleimprese; nei Paesi ricchi èdifficile capire come possarealmente contribuire alla
permanenza della strutturafinanziaria, visto che lapossibile sostituzione delfinanziere all’imprenditorecambierà la naturadell’impresa, da produttricedi beni e servizi aintermediarioespeculatore.Èvero che i titoli devono pursottintendere qualcosa, maabbiamo visto che ilsottostantecontapoco;perciòl’impresa non finanziariaconta poco. Il capitalismo
non potrebbe però fare ameno di queste imprese,perchéunqualunqueaumento(ex machina) della domandaeffettiva ha successo solo sele imprese sono realmenteproduttive, fornite di tutte lefunzioni descritte: altrimenti,qualsiasinuovadomandanondarebbe luogo a nuovaproduzione. Piùsemplicemente,lebancheelesocietà finanziarie nonsaprebbero a chi prestare,
senza imprese produttivecapaci di restituire il prestitoe pagare gli interessi, epotrebbero accentuare laconcorrenza tra le imprese,accrescendo il proprio poterecontrattuale. Con questocomportamento comune atutte le imprese finanziarie,quelle «reali», pur nonsparendo, diventerebbero unmero veicolodell’accumulazione: siespanderebbeladivaricazione
fra la tendenza degli indicifinanziari e quella delprodottonazionale.L’esito del conflitto tra
imprese sta, infatti, nelleconseguenze di una crisi didomanda sull’occupazione eil prodotto nazionale.Nell’analisi precedente, lastruttura della finanza puòcontinuareaesisterementreilprodotto stagna, perché puòspecularealribassoealrialzodei debiti pubblici, dei titoli
privati, degli stessi derivaticreati dai fondi hedge (eperfino del prodottonazionale, attraverso titolilegati a indici statistici).Tuttavia, chiunque speculi,dovrà anche prevedere laprobabilità che i titolirappresentativi delle impresenon finanziarie crollinoperché falliscono le imprese;e anche se queste soltanto siavvicinano al fallimento, lemisure di risparmio sui costi
che saranno costrette aoperare ridurranno ladomanda, e ciò metterà inmoto il moltiplicatorenegativo di Kahn-Keynes.Nellacrisididomanda,ititoliesistenti subiranno perdite, ese alcuni titoli crollano, siriducono anche i valori delleriserve di banche e societàfinanziarieeconesseivaloridelle opzioni emesse. Forsenon falliranno i fondi hedge,perché la funzione di
protezione dal rischio saràancora attiva, ma le impreseche cercano tale protezionesono in numero decrescente,nellacrisienellastagnazione.Il conflitto tra imprese
«reali» e banche e societàfinanziariesembralacausadiuna ripetizione delle crisi, elo Stato o è in balìa diinteressi contrapposti o è aservizio delle impresefinanziarie. In definitiva, loStatononvedeaprirsiunsuo
spazio di autonomia, perchénon avrebbe controparti (leimprese non finanziarie) conle quali costruire uncompromesso senzadeterminare uno scontro conaltre controparti (le impresefinanziarie), a meno di noncreare violenzainternazionale, conflittiarmati, e altre forme dicontrasto tra Paesi, cheaccrescono la domanda delleimprese«reali».
6.IcapitalistialserviziodelloStato
Vi saranno inevitabilmentereazioni politico-sociali allacrisi, alla stagnazione, alladisoccupazione e all’erosionedello stato sociale, ma nondovrebbe determinarsiun’esclusione sociale «dimassa»,perchéaltrimenti chiè escluso non parteciperebbee accetterebbe il propriodestino: si formerebbe una
nuova forma di servitù,incompatibile con ilcapitalismo16. Prima diun’esclusione generale,invece,unareazionesocialeèpossibile,ma deve trovare, odarsi, strumenti istituzionaliper incanalare una nuovaforma di capitalismo. Ènecessario che i capitalisti eloStatosiseparino,perchélareazione sociale abbia unesito. Il problema è che
questa trasformazione, giàavvenuta più volte nellaStoria, deve cogliere tutti iPaesi, o almeno le maggiorieconomie, dato che laglobalizzazioneèconnoiperrestare: lostrumentononpuòessere, perciò, soltanto ladomanda pubblica nazionale(salvo la guerra), ma deveessere qualcosa che riguardala finanza, e perciò laglobalizzazione, o la regolaaurea,oilmercatodellaforza
lavoroolastessanaturadelloStato.Parto da qui: un nuovo
compromessonelrapportotraStato e capitalisti, che poidovrebbe dar luogo a uncapitalismoconlapresenzadiun ruolo autonomo delloStato, dipende innanzituttodalla natura dello Stato, nelmomento in cui ilcompromesso diventa utile.Senza escludere transizionigraduali con adattamenti
parziali, la nascita dellaconsapevolezza politica delloStato dovrebbe avvenireproprio con la crisi e con ilconflitto tra capitalisti.Guardoallacrisididomandache, nella cecità capitalistica,è affrontata con politiche diausterità, che portano unpeggioramento delladistribuzione del reddito,l’indebolimentodelsindacatoe della rappresentanza deilavoratori (ipotizzo che le
politiche di Obama e dellaFed negli Usa sianoindebolite dai loro stessimodestirisultatisulfrontedelrapporto debito/Pil, a lorovolta frutto delle politiche diausterità nel resto delmondo).Supponiamochenonvisia
una reazione sociale allerestrizioni, e i lavoratori (e icittadini, in quantocontribuentinellepolitichediausterità) accettino la
riduzionedelbenessere,dellostatus, per sé e per i proprifigli. Non è un’ipotesiirragionevole, se i lavoratorihanno acquisito la culturaindividualistica dei capitalistie attribuiscono al mancatosuccesso individuale ilpeggioramento della propriacondizione.Poichéinassenzadella regola aurea i profitti ele rendite aumentano,mentrela quota di salari e stipendisul reddito diminuisce, la
domanda effettiva si riduce,salvo che non si formi unmercatoesteroperlaritrovatamaggiore competitività delleimprese. Siamo tuttavia nellaglobalizzazione, e lamaggiore competitività di unPaese incontrerà la reazionedeglialtri,generandoilsolitogioco a somma zero. Siprofila una crisi, e tutti icapitalisti vedono ridursi iprofitti e asciugarsi lepossibilitàdiaccumulazione.
Lo Stato, agente dellasocietà,puòassistereignaroaciò che accade: ma ilprocessodiesclusione,primadei lavoratori, poi deicittadini, e infine degli stessicapitalisti, mette in pericololasocietàdellaqualeloStatoè agente. Supponendo che loStato, pur non essendo unLeviatano, agisca per lapropriasopravvivenza–comeogniistituzione–allorapotràpresentarsi come portatore di
interventi per migliorare lasituazione di ciascunelemento della società e, inquesto modo, assicurare lapropriacontinuità.Comincio da un esempio
sucosapotrebbefareloStatoche avesse una qualcheautonomia rispetto ai propricapitalistinel fissareobiettivicollettivi.La cultura keynesiana è
stata soppressa,ma i governisanno che nuove norme
renderanno obsoleti impianti,beni intermediediconsumo:se le nuove normecorrispondessero a qualcheobiettivo pubblicocoinvolgente (l’ambiente, adesempio), simile a ciò cheavviene in tempo di guerra,allora le imprese e iconsumatori sarebberocostrettiacambiarelapropriadomanda e, se le politiche dirinnovo fosserosufficientementegenerali, ciò
potrebbeprovocarelaripresa.È avvenuto, parzialmente,con la conversione ecologicadell’economia (greeneconomy), ma il freno aquesta possibilità nasce siadalle politiche di austerità17,dato che è sempre richiestoun sussidio pubblico perlanciare l’industria«bambina», sia dall’ostilitàdegli inquinatori cheproducono energia, chimica,
acciaio, che nella crisi giàsoffrono una riduzione delladomandaeuncalodiutilizzonella capacità produttiva, siadalla concorrenza di altrimercantilismi.L’amministrazionepubblicaèconsapevole degli effettipositivi della regolazioneambientale sulla domandaeffettiva, ma poiché questapolitica aggrava i costi delleimprese, non sarà accettabilepericapitalistinonfinanziari,
salvo nel caso in cui unamaggiore generosità nelcredito bancario e nei criteriper l’emissione di nuoveazioni consentisse loro dicompensare l’aumento deicosti. Questa generosità,tuttavia, non avrebbe ragionedi manifestarsi, perché glieffetti possibili dei nuoviinvestimenti non sono dibreve periodo e spesso sonosolo indiretti, e perciò non sitrasformano in debiti
cartolarizzabili e nonrispondono alla valutazionedel rischio dei capitalistifinanziari.Comunque, a differenza
delcasodelloStatoaserviziodeicapitalisti,qui loStato sache deve costruire uncompromesso, partendo dallanecessità di ridurre oeliminare il conflitto tracapitalisti. Un interventopubblico diretto sulladomanda, infatti,
incontrerebbe l’ostilità deicapitalisti finanziari, chetemono l’iniziativa pubblicaperché porterebbe con sé laregolazione dei loro affari,mentre i capitalisti nonfinanziari, ognuno per ilproprio interesse,gradirebberovendere i propriprodotti allo Stato, ma nonvorrebbero che l’acquistopubblico fosse finanziatoaumentando la pressionefiscale – perché altrimenti
penserebberocheloStatostiasfruttando ciò che essiritengono frutto del propriomerito.Suquestabase,nonsiformerebbeuncompromesso,perchéappuntol’anarchiadeicapitalisti non li rendeconsapevoli dei beneficimacroeconomici della spesapubblica. Per evitarel’incomprensione deicapitalistienonaumentarelapressione fiscale, si formanodisavanzi nel bilancio
pubblico e nuovo debito. Ineconomia chiusa, o perl’interouniversocapitalistico,il moltiplicatore ricostruiscesempreunavanzoidenticoaldisavanzo iniziale e lo Statonondovràpreoccuparsiperildebito pubblico, perché ilmoltiplicatore (se non èostacolato da svalutazionicompetitive, protezionismi,controlli sui flussiinternazionali di capitale)avrà fatto crescere il livello
del reddito, così da lasciareinvariatoilrapportotradebitoe prodotto nazionale. Ilcompromessoeliminerebbelanecessità di misure diausterità, e poichéaumenterebbe l’occupazione,ancheselaregolaaureanonèrispettata, per un tempo chenonsappiamodefinirequantolungo, i capitalisti «reali»riconoscerebbero una formadi egemonia allo Stato.Tuttavia, non è detto che i
capitalistiintuttoilmondosicomportino analogamente, eleregoleperl’interouniversocapitalistico non valgono inciascunPaese,ancheperchéicapitalisti finanziarispeculerebbero contro ilnuovodebitopubblico.Inunoschema keynesiano, comel’investimento determina ilrisparmioel’investimentodeicapitalisti ne determina ilprofitto, così il disavanzopubblico determina il gettito
che lo compensa. È, però,sempre necessaria la regolaaurea, altrimenti, come giàdiscusso, il reddito nazionalee perciò il gettito tributarioaumentano meno di quantoaccadrebbe con una miglioredistribuzione del reddito, e ildebito crescerebbe inproporzione al Pil18. Inoltre,in economia aperta, laricostruzione dell’avanzo daspesapubblicaèsoloparziale
e il debito cresce anche inproporzione al Pil. Così,l’unicomodo che avrebbe loStato per finanziare il debitosarebbe venderlo ai propricapitalisti,manonc’èragioneche ciò accada nellaglobalizzazione; né potrebberequisire profitti e renditeattraverso l’imposizionefiscale, perché ciò non ècompatibile con questo tipodi capitalismo. Ilcompromesso è molto
instabile e non risolve ilconflitto tra i capitalistifinanziariequelli«reali».Abbiamo visto come,
nonostante la Volcker Rule,la finanza resti attiva. Lebancheelesocietàfinanziariegestiscono i risparmi cheancora si formano dopo ilcrollo (soprattutto perché,senza regola aurea, ladistribuzione del redditocontinua a peggiorare e afavorire i profitti e le
rendite)19. Su questi risparmisi può operare per parareeventualirischi,maèdifficilefare grandi guadagni – salvoper la speculazione su titoliesistenti. I capitalistifinanziari si rivolgeranno,allora, al debito pubblico,speculando al ribasso,differenziando i rischi sullabaseditrevariabiliprincipali:ilvolumedeldebitopubblicorispettoalprodottonazionale,
il tasso di crescita delprodotto nazionale, le risorseesistenti (riserve, proprietàimmobiliari, partecipazioniazionarie) per ripagare idebiti. Abbiamo ormaichiarito a sufficienza che, segli Stati indebitati sperano difrenare la speculazioneadottandomisure di austeritàperridurreildebito,creanolecondizioni per una riduzionedel tasso di crescita delprodotto nazionale,
disgustando i capitalisti«reali», rafforzando lapossibilità di insolvenza eindebolendo l’egemonia che,inipotesi,èstataconquistata.La presenza di fondi (comequello «salva Stati» inEuropa) volti a sostenere ildebitore, consente allospeculatore al ribasso dirientrare ogni volta dalprestito guadagnando dallariduzionedelvaloredeititoli.Sitratta,perlospeculatore,di
unasituazioneabassorischioalmeno finché esistonorisorse per pagare il debitopregresso. Mentre i rischisono piccoli, i guadagnispeculativi possono esseremolto grandi, perché i debitipubblici sono grandi involume e bastano piccolevariazioni nei tassi direndimento (nei prezzi diacquisto e vendita dei titoli)per realizzare immensefortune. Al crescere del
debito, e delle misure diausterità,ilcompromessoconi capitalisti non finanziaridiventa sempre più debole,perchéladomandaeffettivaèormai in calo, e lo Stato ècontinuamente ricattato dalsistema finanziario, che nondovendo (o potendo) piùfornire prestiti alle impresenonfinanziarie,perdifettodidomanda, moltiplica laspeculazione sui debitipubblici.
Certo, uno Statoeffettivamente egemonepotrebbe ignorarel’accumularsi del debitopubblico, e rivolgersi allabancacentraleperfinanziarloa tassi bassi o nulli e senzaobbligo di restituzione, e inquesto modo potrebbe anchefarsi finanziare la spesapubblica, così da mettere inmoto il moltiplicatore diKahn-Keynes. Tuttavia, unritorno al New Deal, come
tenta di fare la Fed, è resodifficiledallaglobalizzazionemercantilista, perché gli altriStati intercetteranno lamaggior domanda del primo,svalutando o riducendo ilcosto del lavoro – el’emissione originaria dimoneta della banca centraledel primo Paese, con ilmoltiplicatore frenato dallaconcorrenza internazionale,produrrebbe inflazione.PerchéglobalizzazioneeNew
Deal potessero andared’accordo,sarebbenecessarioche tutti gliStati, o almeno imaggiori, conquistassero lamedesima egemonia rispettoa capitalisti (finanziari o«reali») globali, anarchici eciechiallamacroeconomia.LoStato sa che la crescita
non è assicurata. Potrebbeimporre il rispetto dellaregola aurea, così damigliorareladistribuzionedelreddito per i lavoratori, ma
ciò è inaccettabile sia aicapitalisti sia allo stessoStato, nei Paesi ricchi comein quelli emergenti: per farlodovrebbe abbandonare illimite dello Stato minimo elegittimare il sindacato,creandosi un contropoterepolitico. In generale, perassicurarelacrescita,loStatoche deve costruire ilcompromesso non puòmigliorare la distribuzione,perchémetterebbearischioil
suo rapporto con tutti icapitalisti e ciò anche neiPaesi emergenti, dove unanuovapoliticaperampliareladomanda attraverso aumentisalariali comporterebbe una«rivoluzione» sociale epolitica. Potrebbe operare, alcontrario, per ridurre i salari,allo scopo di aumentare lacompetitività e utilizzare ilmotoredelladomandaestera,ma abbiamo argomentatocomequestavia sia rischiosa
(gli altri Stati e gli altricapitalisti reagirebbero),anchesepereconomiemoltopiccole potrebbe averequalche efficacia. In ognicaso, i Paesi emergentisarebbero i primi a reagire eprofittare dell’ulterioredelocalizzazione dai Paesiricchi, ma siamo instagnazione e anche ladelocalizzazione fallisce perdifetto di domanda. Esiste,così, una sola politica
possibile, e consiste – dinuovo – nell’ampliare ildisavanzo pubblico e ildebito,comegiàdescritto.Purtroppo, ilcompromesso
èinstabile.Lacrisipuòessererinviataalungo–semprechela speculazione avversa aidebiti non limitil’indebitamento – perché, selacrescitasimanifesta,alloral’occupazione cresce, ilpotere contrattuale delsindacatoaumenta, il sistema
politico si modifica, e siprofila un nuovo rispettodella regola aurea. Non èdetto che i profitti debbanoridursi, perché la domandaeffettiva aumenta e con essale vendite dei capitalisti, maquesti attribuiscono ilsuccesso a se stessi, non almiglioramento delladistribuzione del reddito, eogni volta cercheranno diaumentareciascunoilpropriomargine di utile. Il conflitto
con il sindacato che neemerge dovrebbe esseremediato dallo Stato, comesappiamoessereavvenutonelpassato,ma loStatononpuòrompere il compromesso coni capitalisti «reali» favorendoilsindacato.Ilrisultatononènecessariamente la fine delcompromesso, ma se, ognivolta, lo Stato deve diluire ilpoteredelsindacato,allora,aifini della domanda effettiva,dovrà sostituire l’eventuale
mancato rispetto della regolaaurea con nuovo disavanzo enuovo debito. Si profila,ancora una volta, lapossibilità di un aumentotendenziale del disavanzo edel debito come proporzionedel Pil, in tutte le economie,incluse quelle emergenti, chepuò essere corretto da unaumento della pressionefiscale sui lavoratori,manonsui capitalisti, per nonrompere il compromesso.
Come ormai sappiamo bene,ciò peggiorerà ladistribuzione e la crescita,rimetterà in gioco laspeculazioneavversaaidebitipubblici, non ridurrà ilconflittotracapitalisti.
7.IcapitalistieloStatoautoritario
Torniamo al caso di unareazione sociale, ma
raffiguriamola stavolta comeuna ribellione avversaall’egemoniadeicapitalisti.Èimprobabile che la ribellionesi ispiri a un egualitarismoestremo, perché il consensos’indebolirebbe rapidamente.Siamo lontani daimovimentideglianniSessantaeSettanta,ma anche allora le tesiegualitarie alla Babeuf nonavevano corso e simanifestarono piuttostoforme nuove di
rivendicazione di diritti civiliesociali.Sipuò,invece,immaginare
una diffusa violenza cheaprirebbe la strada a unoStato autoritario, che giàesiste in larga parte delpianeta (Cina e Russia, adesempio,ma anche inMedioOriente,inAfrica,inAmericaLatina e in molti Paesiasiatici), che adotta politichedi repressione e di riduzionedellelibertàcivili,edèperciò
capace di istituire uncompromesso, a sua voltaautoritario,conicapitalisti.Adifferenza del capitalismonazionalista o mercantilistadiscusso prima, dove icapitalistiesigonodalloStatopolitiche a loro favore, inquesto compromesso è loStato che «vezzeggia» icapitalisti,assicurando loro ilprofitto e l’accumulazione,maassumendosiilcompitodistabilizzare l’economia e la
società con l’esercizio dellaviolenza. Naturalmente, nonsiamo in un’economia che sipreoccupa del benesseredell’interapopolazione,anchese lo Stato e i capitalistipraticano politiche di«equità», ma si possonocostruire forme di pienaoccupazione, anche forzata,distinguendo i cittadini perclasse, razza, credo religioso,in modo che le divisioni neimpediscano un’azione
unitaria contro lo Statoautoritario. La Storiac’insegna che regimi diquesto genere hanno ancheistituito forme di statosociale,sempreoctroyéenoncreatoredidiritti.Il compromesso autoritario
può durare a lungo, perchél’eserciziodellaviolenzapuòessere efficace nel reprimerelaprotestaseèaccompagnatodapoliticheperl’occupazionee di divisione sociale. Nel
compromesso autoritariohanno rilievo le spese per ladifesa e per la sicurezza che,come ogni spesa, hannoeffetti macroeconomiciattraverso i moltiplicatoridescritti; lo scopo non è néquello anticiclico né quelloanti-crisi,ma l’aumentodelladomanda effettiva simanifesterà ugualmente,facendo crescerel’occupazione e producendo,così, un miglioramento nella
distribuzionedel reddito.Nelcompromesso autoritario,questo nuovo benessere,anche perché è frutto di unaconcessione e non di undiritto, non liberanecessariamente forzedestinate a cambiarlo; inparticolare, i capitalistisubiscono l’egemonia delloStato, chene influenzamoltedecisioni aziendali, compresequellecheriguardanolaforzalavoro, il settoreo ilmercato
da preferire, perché li lascialiberidiaccumulare.Ingenerale,poichélaforza
utilizzata dallo Stato deveessere minima, se la suaefficacia deve durare neltempo, e il consenso habisogno continuamente diessere sostenuto dalla pienaoccupazione, la stabilitàdell’autoritarismo non hanulla di automatico. Non sipuòapplicarelaregolaaurea,anche se è necessario
migliorareladistribuzionedelreddito, perché si devonosostenere i profitti el’accumulazione; non sipossono aumentare deficit edebito pubblico senza caderenella trappola dellaspeculazione; non si puòsvalutare senza provocare lacompetizione di altriautoritarismi, e in ogni casola globalizzazione nonsopporta una corsa allesvalutazionicompetitive.
La politica economicameno difficile è dunquequella della competitivitàinternazionale. Il sistemafinanziariointernazionaleelalibertàdicircolazionedibenie servizi sono sfruttati dalloStato, che provvedecondizioni di stabilimento diimprese e di rimpatrio dicapitali tali da costituire uncapitalismo protetto dalloStato ma finanziatointernazionalmente (se questi
elementi ricordano lepolitiche cinesi, èintenzionale). Ilcompromesso autoritario nonènecessariamente estendibilea tutte lemaggiorieconomie,ma poiché la globalizzazionenon è né democratica néintelligente,nonharagionediinterferire con quelcompromesso.Perciò, il capitalismo
autoritario non puòprescinderedallapresenzadei
mercati finanziari – laglobalizzazioneè indifferentea diversi tipi di regime, acondizione che la sua naturafinanziaria non sia repressa.Seilcompromessoautoritariointroducesse limiti allaglobalizzazione, quando ladomanda estera non fossesufficiente a sostenere lapiena occupazione, ilconsenso non potrebbesostenersi a lungo: icapitalisti hanno sempre una
doppianatura;possonoesseresubalterni allo Statoautoritario, ma,contemporaneamente, fannoparte della finanzaglobalizzata, e se siseparassero da quest’ultima,perderebberomercati,profitti,rendite,ricchezza/accumulazione.Questa forma di capitalismodello Stato autoritario resistefinché la domanda esteraforniscelecondizioniperuna
crescita della domandaeffettiva nel Paese. Quandociò non dovesse continuare,l’economia dello Statoautoritarioentrerebbeincrisi,e talvolta, per sopravvivere,creerebbe il tradizionale«nemicoesterno».
caratteristiche di un nuovocapitalismo, sufficientementeduraturo, soprattutto perchél’analisi precedente mostrache esiste una varietà dipossibili rapporti tracapitalisti e Stato, tral’anarchiadell’accumulazionee l’esigenza di mantenereelevato il tenore delladomanda effettiva, traglobalizzazione emercantilismo. Esistono,però,alcunipuntifermi.
1.LoStato
La globalizzazione noneliminalestrutturepubbliche,può limitarne il raggiod’azione e renderleservizievoli nei confronti deicapitalisti; poiché lo Stato èstruttura originaria, più delcapitalismo, può cambiareforma ma nonautodistruggersi.Sonomoltiimodi attraverso cui lo Statoprotegge lapropria esistenza,
ma tutti devono assicurareuna qualche capacità diosservazione sull’economianel suo complesso.Ne segueche per quanto servizievole,lo Stato deve promuovere oaccettare un compromessocon i capitalisti, soprattuttoallo scopo di correggerne,anche solo temporaneamenteo parzialmente, l’anarchia.Non è un evento frequente,ma un singolo Stato puòperdere anche l’istinto di
sopravvivenza: le unioni diStati, le federazioni e leconfederazioni, gli stessitrattati e accordiinternazionalicheregolanolesovranità, risultano daldeperimento di qualcheformazionediStatonazionale(feudale, confessionale,tirannico) precedente, marestaurano sempre una formadiStato.Èancheveroche lapressionedeicapitalistiversolo Stato minimo, che spinge
gli Stati a qualche forma diunione,nonnespegnel’ansiadiesistere:unbuonesempioèl’UnioneEuropea,cheoscillatra il desiderio di diventareuna federazione e ilmantenimento di singolesovranità nazionali, ma, purfinendoperesaltarelapropriaburocrazia e umiliarecontinuamente la sovranitàdel proprio parlamento,sopravvive. Meno estremo,ma pur sempre un indizio
nella stessa direzione, è ilmaggior ruolo degli StatinegliUsa,rispettoalgovernofederale, dopo la PresidenzaReagan.Nella globalizzazione, con
governi che sono sempretentati dal mercantilismo econ Stati che proteggono lapropria esistenza, simaterializza un conflitto traStati: in assenza di unaqualsiasiegemoniaplanetaria,sioscillerebbecontinuamente
tra forme di violenzamercantilisticaoautoritariaeaccordi provvisori fondatisulla cultura liberista deicapitalistifinanziari.La«freetrade area» dell’Atlantico èun esempio recente di questaoscillazione, considerandoche la moneta di riservaresterebbe il dollaro; mapoiché nel passatomercantilismo eprotezionismo hanno sempretrovatonuovevieperaggirare
i trattati liberoscambisti, gliaccordi regionali nonsostituisconounveroaccordointernazionalesunuovebasi.
2.LacontraddizionedelloStatominimo
Poiché lo Stato devemantenere una capacità diriconoscerelecrisiprimachesi manifestino, allora devedotarsi di politiche
economiche volte a questoscopo.Esistecosìunlimitealsuo possibileridimensionamento, ancheperché la sua stessadimensione è unostabilizzatore automatico: loStato minimo è lì adimostrarlo. Inoltre,l’intervento pubblico devepoter correggere l’anarchiadei capitalisti anchenazionalizzando imprese eproprietà,mafornendonuova
domandaaicapitalisti«reali»:non è in gioco la proprietàprivata, ma solo la suasacralità. Pur anarchici, icapitalisti«reali»nontemonoi propri simili nazionalizzati,se ciascunodi loro si troveràcon maggiori profitti orendite. Ogninazionalizzazione, però,ostacola il motivodell’accumulazione e laglobalizzazionenon apprezzaaffatto l’esproprio: ne segue
cheogniazionedelloStatoinquesta direzione devepresentarsicometemporanea,altrimenti il flussointernazionale dei capitali siarresteràalleportedelloStatoespropriante e verrà amancare l’adesione di tutti icapitalisti. Poiché spesso latemporaneità è solo formale,se le imprese nazionalizzaterimangonoinvita,nederiveràun rinnovato scontro tragoverni e capitalisti
finanziari,etraquestiequelli«reali».
3.Ilmercatofinanziarioel’accumulazione
Per quanto provvisto solodi un limitato potere dileverage, il mercatofinanziario è qui per restare,ma sembra inevitabile, dalconflitto tra capitalisti, unaregolazione pubblica: in
effetti, anche se i valori neimercatifinanziariaumentano,è finita la gloriosaaccumulazione, capace diaumentare la domandaeffettiva. Ciò dovrebbefavorireunaregolazionevoltaaseparareicapitalisti«reali»dai finanzieri, e i mercatidelle merci e della forzalavoro da quelli dei titoli,ponendo tutti i derivati sottoun’autorità che ne freni ilconflittodiinteressi,vietando
la possibilità di coprirecontemporaneamente i rischidellediversepartideglistessicontratti. Lo strumento diquesta separazione sarebbel’applicazione generalizzatadi una Volcker Rulerafforzata,contemporaneamenteconsentendo alle banchecentrali di diventare creditoridiultimaistanzadibanchee,soprattutto, di Stati. Ciò nonimpedirebbe la
globalizzazione, maindirizzerebbe il flusso deicapitali verso ilfinanziamento degliinvestimenti e dellaspeculazione«bonafide»,elebanche non sarebbero più ilveicolo per la creazione dimoneta endogena. Se questapolitica assomiglia troppo aun ritorno alle istituzionieconomiche del dopoguerra,allora non può reggere allamutazione avvenuta
successivamente1; ma sicapisce che un ritorno adalcunediquelle istituzioni inun quadro globalizzatosarebbe realistico se siriuscisse a far risorgere, inuna nuova Bretton Woods,invece dell’idea degliamericani sul dollaro comemoneta di riservainternazionale, quella diKeynes sulla monetamondiale, magari derivante
dall’accordo tra alcuni deiprincipali governi (G7 o G8,certo non G20). C’è dachiedersi,ovviamente,seunariforma che tenesse insiemeregolazioneeglobalizzazionesarebbecapacedi suscitare ilconsenso di tutti i capitalisti,e forse il cuore ha saltatol’ostacolo.
4.IlconflittotracapitalistieilcompromessoconloStato
Poiché i capitalisti nonsono solidali gli uni con glialtri, qualsiasi investimentoprivatochecreaunadisutilitàin altri capitalisti, come leimprese finanziarie, insemplici proprietari, inportatori di interessi (glievanescenti stakeholder),determina una reazione sullaqualepuòintervenireloStatoa favore dell’una o dell’altraparte. In generale, se dopo ilcrollo il motivo
dell’accumulazione siindebolisse, alcuni capitalisti«reali»–chesonopartediuncompromesso – laspunterebbero, ma nonpotrebbero sempre prevaleresugli altri, che sono pursemprecapitalisti; si possonoumiliareisempliciproprietarie i portatori di interessi, manon le imprese finanziarie, eciò rafforza lapossibilitàchelo Stato introduca nelcompromessoregolegenerali
dicondotta.Proprio perché i capitalisti
non sono tra loro solidali, epoiché la globalizzazionetendeadividerequellicapacidi parteciparvi da quelli chenon lo sono, realizzando unaforma particolare dicompetizione, lo Stato puòvalorizzare il sindacato,soprattutto allo scopo dirispettarelaregolaaurea,unadecente distribuzione trasalariealtriredditi,eottenere
un consenso utile al sistemapolitico. La globalizzazionemette, però, i lavoratori e isindacati di un’economiacontroquellidituttelealtre,el’unico modo per evitare ildepotenziamento delsindacatoèquellodiregolareglobalmente il dumpingsociale. Questo è un altromododidirecheènecessarioridurre il mercantilismo.L’interessante contraddizioneche emerge tra
globalizzazione (free trade) emercantilismo (interventopubblico) potrebbe forsegenerareleforzeperunaverariforma economicainternazionale. Mentre sidovrebbecompletarel’ambitodei poteridell’OrganizzazioneMondiale del Commercio,che oltre a sanzionarepolitiche protezionistiche,dovrebbe introdurre regolegeneraliincampoambientale,
con la forza di veri trattati,più che accordi tra Paesivolonterosi. Nei trattati chehanno costituitol’OrganizzazioneInternazionale del Lavoro,occorrerebbeprevedereformedisanzioneperlepolitichedidumping sociale. Ciò noneliminerebbe la concorrenzatra lavoratori, ma eviterebbedi trascinare verso il bassol’intero mercatointernazionale della forza
lavoro.Si trattadicondizioniimportanti per la domandaeffettiva, perché – seriuscissero – tenderebbero afar valere una regola aureaglobalizzata e a rendere piùstabile il ruolo pubblico.Certo, negli Stati che hannoraggiunto un compromessocon i capitalisti, è difficileimporreunaregolaavversaaldumping sociale che tutte leimprese – sia purerelativamente alla situazione
di ciascuna economia –praticano e desiderano; mapoiché il dumping sociale sitraduce in un dumping deicapitalisti, come accadequando la produzione sidelocalizza e il capitalecambia di proprietà, allora ilcompromesso tra i capitalistie lo Stato potrebbe reggere.Se una regolazione fosseritenuta – finalmente! –necessaria, dovrebbeesprimersi nella nuova
BrettonWoods aggiungendo,appunto,nuovipoterieffettiviall’Omceall’Oil.Il realismo di queste
proposte èmolto scarso2,mapotrebbe rafforzarsi se sidovessero affacciare nuovecircostanze negative perl’economia mondiale, cheperaltrosarebbe troppo lungoe difficile identificare eanalizzarecompiutamente:miaccontento di elencare, tra
queste,l’assenzadiunmotoreinternazionale della crescita,la divaricazione tra ladinamica degli indicifinanziari e quella delprodotto mondiale, lo stessoconflittotracapitalistie,forsepiù importante, lapermanenza el’estremizzazione dellacultura individualistica eproprietaria. D’altra parte, ladomanda effettiva mondialedipende più dalle politiche
economiche dei Paesiemergenti che da quelle deiPaesi di vecchiaindustrializzazione, e poichélo sviluppo sociale in queiPaesi è in corso, la lororesponsabilità internazionaledovrebbe aumentare: forsel’ostacolomaggiore è ancorailruolodeldollaro,monetadiuna grande economia, maormai insufficiente per ilmondo. Se fosse così, anchela riforma del sistema
maiuscoleperfattistorici,maviene spontaneo farlo perdistinguere le crisi dal ciclo,da semplici fatti esogeni, dasquilibrioccasionali.
INTRODUZIONE
1. Ho un debito diriconoscenza con StefanoSylos Labini e con GiorgioRuffolo (2012), che hannoscritto proprio sulla
mutazionedelcapitalismo.
CAPITOLOI
1.Sitratta,inprimoluogo,della posizione iniziale tra laGermania e gli altri membridell’Unione Monetaria, dovel’euro mediava tra il cambiodollaro-marco e il cambiodollaro-franco/lira/peseta,fornendo una svalutazione almarco tedesco, la cui carica
inflazionistica fu frenata damisure a favore dellaflessibilità del lavoro; insecondo luogo, delladebolezza strutturaledell’euro indotta sia dallabassacrescitadellamediadeiPaesimembri sia, di recente,dalla crisi dei debiti sovrani.Quantopiùforteèquestacrisie debole l’euro, tantomaggiore è il vantaggiocompetitivo della GermaniarispettoaglialtriStatimembri
dell’Eurozona. Una provaindiretta è negli andamentidelle esportazioni (vedi ilGrafico 2). Per chiarire,l’euro è più debole delvecchiomarco,ma nell’euro,il marco-ombra è più fortedelle altre valute-ombra. Inquesto modo, la Germaniasfruttaladebolezzadellealtremonete-ombra, procurandosimaterieprime, semilavorati eparti di prodotto ai più bassiprezzi degli altri Paesi
membri,eaccrescelapropriacompetitivitàaidannidi altriPaesi dell’Eurozona. A.Simonazzi, A. Ginzburg, G.Nocella (2013) ritengono leriforme del mercato dellavoro più importanti dellasvalutazionedelmarco:maledue cose sono strettamentelegate.Con i concetti di prezzo-
ombra, mercato-ombra,cambio-ombra, che useremopiù volte, si rappresenta un
valore implicito,nascostonelsistema dei prezzi. Il prezzodi un bene, in ipotesi unico,può nascondere prezzidiversi,secalcolaticoni loro costi opportunità,
ovvero con il prezzo/costodell’alternativa prossima nonscelta. Per esempio, se laGermania uscisse dall’euro(l’alternativa prossima nonscelta),iltassodicambioconil dollaro del nuovo marcotedesco sarebbe molto
superiore a quello dell’europrima dell’abbandonotedesco.2. Ne ho discusso al
Convegno del Centro Sraffa,all’UniversitàdiRoma3,peri cinquant’anni dallapubblicazione di Produzionedi merci a mezzo di merci.Molti economisti avevanomesso in luce l’esistenza diuna bolla speculativanell’edilizia residenziale –negli Usa e altrove – ma la
fonte principale su questotema è in A. Barba e M.Pivetti(2009).3.B.Bernanke(2004).4. Fra i tanti, L. Zingales
(2012) che riconosce i difettidel capitalismo, ma li vuolecorreggere con la selezionebasatasulmerito individuale,la coalizione deibenintenzionati, laconcorrenza, la sostituzionedel settore privato a quellopubblico: tutti elementi che
rivedremo. Ilpuntodolenteèla completa assenza delladomanda effettiva e tutte lepolitiche suggerite sono «diofferta». Il più acuto deicritici conservatori è forseR.A. Posner (2009), cheattribuisce alladeregolamentazione deimercati finanziari la causadella crisi, ma non individuanello scoppio della crisi undifettodistributivo.5. J.M. Keynes (1936),
d’orainpoiTeoriaGenerale.6. È utile identificare gli
elementi autonomi checompongono la domandacomplessiva, che cioè nondipendono dal reddito,ma lodeterminano: sono gliinvestimenti, le esportazioni(meno le importazioni), laspesa pubblica (meno leentrate), lapartedei consumiche non dipende dal redditocome la variazione dei gusti,il progresso tecnico nei beni
diconsumo,laleggediEngel(q.v.), l’interventopubblicoesindacalesuisalari.Peralcunieconomisti, come H.Minsky(1957) e W. Godley (1999)occorreaggiungerel’aumentodeldebitoprivato (rivedremoquesto aspetto). La domandaeffettiva non è la stessa cosadella domanda potenziale,che èquella che simanifestain condizioni di pienaoccupazione. Un periodo dicrisi riduce l’offerta
potenziale per la chiusuradegli impianti e laconseguente disoccupazione.Poiché nella statistica(sempre ex post) offerta edomanda devono essereuguali,ladomandapotenzialeè uguale all’offertapotenziale, e riflette ilcrescere o il diminuire diquesta: perciò il concetto èdebole.7. L’insufficienza della
domanda effettiva, quando è
riconosciuta, è sempreassegnata al breve periodo, ele crisi descritte da Keynessonosemprestateattribuite,aloro volta, al breve periodo,quasi a sostenere che nellungo periodo le crisi, chesarebbero occasionali,spariscono. Il concetto,tuttavia, si applica anche allungo periodo, come hannodiscussoP.Garegnani (1966)eN.Kaldor(1989).Inquestolibro non tratto il breve e il
lungo periodo, perché ladinamicacheverràdescrittaècontinua, e la famosadistinzione di Marshall tra idue tempi sembra,qui,menoutile.
CAPITOLOII
1. La letteratura è vasta emolto impegnativa, ma ilconcetto, pur anticipato daWalras, riemerge solo negli
anni Quaranta con vonNeumann (q.v.). La versionepiù completa sta in K.J.Arrow e G. Debreu (1954).Debreul’hapoiulteriormenteelaborato (1959). Il modellodi Walras era statico, quellodi Debreu dinamico o,meglio, intertemporale,perché la dinamica è altracosa, come si vedrà.L’evoluzione della ricercamatematica intorno almodello di equilibrio
economico generale non èperò conclusa; le provesull’unicità e la stabilità deimodelli dinamici nonsembrano sufficienti (è ilteorema di Sonnenschein,Mantel, Debreu, cherivedremo),mentre i tentatividi complicare le ipotesi peravvicinarle alla realtà hannodato frutti velenosi. Unadescrizione affascinante delprocesso che ha costruito ilmodellodiequilibriogenerale
è contenuta nel discorso diDebreu al Nobel (1983). Lascuola di Sraffa continua aprodurre analisi critiche deimodelli intertemporali, vediR. Ciccone, C. Gehrke, G.Mongiovi (2011), inparticolare Part I, sul ritornodelle tecniche (che smentiscela relazione inversa traintensità di capitale delletecnicheetassodiinteresse).2. O «gross substitution».
Si tratta della generale
sostituibilità tra beni, se «ilprezzo è giusto». Più inparticolare, si tratta dellasostituibilità tra moneta etitoli da una parte e benidall’altra: se il prezzo deititoli sale, la loro domandascende, ma sale quella deibeni. Questo assioma ècostruito anche per smentirel’esistenza del fenomenodella preferenza per laliquidità (q.v.),per ilquale ilsingolo individuo tratterrà
parte della spinta a profittaredeibassiprezzinellaformadititoli liquidi. È, perciò,implicita l’assenza diincertezza e, come vedremo,dimonetaendogena(vediM.Senzen, L. Ramattan, A.Gottesman,2006).3. È quell’ipotesi sulle
preferenze per la qualeconsumatori con redditidiversi reagiscono allo stessomodo al mutamento delprezzo di un bene, e cioè
nella stessa proporzionerispetto al proprio reddito.Nei modelli di equilibriogenerale dinamici, questaipotesi equivale a sostenerechel’elasticitàdisostituzioneintertemporaletrabenidiversiè costante: anche per questole crisi spariscono daimodelli,perchésenenega lacapacità di alterare leproporzioni del sistema. Laforma di queste preferenzenon ha alcun riscontro nei
comportamenti effettivi, enon riflette i più fortielementi dinamici delleeconomie.4. Tra i problemi sollevati
dai critici vi è quello di cosasuccedeunavoltachesiescedall’equilibrio. Blaug (1992)afferma che la concorrenzaperfetta è possibile solo insituazione di equilibrio; al difuori di questa non èpossibile,perchéiprezzilifarannoleimprese,nonil
mercato, e ciò impedisce ilritornoall’equilibrio.5.Unodeiprimimodellidi
squilibrio era orientato acriticare la teoriakeynesiana,illustrando i risultati dellarigidità di prezzi e salarimonetari;vediR.J.BarroeH.Grossman (1971). Benchél’occasione fosse quella dianalizzare lo squilibrio,l’intento era quello diattribuirlo alla rigidità deisalari, eliminando la quale si
sarebbe tornati al piùrassicurante equilibriogenerale.6. Alcuni fra tali squilibri
del sistema economico eranostati studiati da economistifrancesi: vedi P. Benassy(1975) e E. Malinvaud(1977), anticipati da R.W.Clower(1965)e,perunaduracritica,R.F.Khan(1977).Perglieconomistifrancesi,prezziequantitànonsiformanocongli stessi processi, e perciò
possono determinarsisquilibri. Nello scambio, lequantitàdesideratediunbene(come il lavoro), comprate evendute,sonosempreguidatedaiprezzi,maèpossibileunasituazione nella quale siforma un prezzo diverso daquello di equilibrio. Siamonel «lato corto» del mercatodel lavoro, dove le ore dilavorovendutesarannougualia quelle desiderate dallavoratore, se l’offerta di
lavoro è minore delladomanda(conlaconseguenzadi salari crescenti einflazione), o viceversa, nel«lato lungo», dove le ore dilavorovendutesarannougualia quelle desiderate dalleimprese,sel’offertadilavoroè maggiore della domanda(con la conseguenza di salaridecrescenti edisoccupazione). Questa tesiè intelligente, ed è uno deimetodi utili per annullare la
leggediWalras, per la qualese n-1 mercati sono inequilibrio, allora anchel’ultimomercatodovràesserein equilibrio. La legge è unacondizione dell’equilibrioeconomico generale, ed èstata usata per contrastarel’idea di Keynes che fossepossibile un equilibrio disottoccupazione, con tutti imercati in equilibrio, salvoquello del lavoro. Comevedremo, l’introduzionedella
moneta per scopi speculativi,eperciòdellapreferenzadellaliquiditàdiKeynes,smentiscela validità della legge diWalras, e non c’è bisognodeglisquilibrideifrancesi.Latesi di questi ultimi, peraltro,non ha alcuna generalitàperchénonèspiegatocomesiformi il «lato corto» o«lungo» e se sia unacaratteristica permanente,occasionale o ciclica delmercato; tuttavia, la tesi è
utile per illustrare casi diequilibrio impossibile. Nellastoriadelpensieroeconomicovi sono state altre coppie diterminitraloroopposti,comeequilibrio/squilibrio, chemascheravano qualche nuovascoperta: è il caso dellacostruzione di W. Baumol(1986), quasi dimenticato,che utilizzava il concetto diinvidia (che è relazionale)insieme a quello di utilità(che è individualistico), per
uscire dalle strettoiedell’incomunicabilità degliindividui. Anche Baumol,tuttavia,èrimastoprigionierodellalogicadell’equilibrio.7. La scuola neoclassica
(C. Menger, W.S. Jevons),cosiddetta perché ricostruiscela realtà economica partendodalprincipiomarginalistacheè attribuito a Ricardo (cheaveva definito la renditadifferenziale), è nata nellasecondametàdelXIXsecolo
essenzialmente per fuggiredallanozionedivalore-lavorodiSmitheRicardo(maforsepercontrastareMarxe lasuarivoluzione sociale), ed èstatavivisezionata,tramortita,risuscitata tante volte. I suoiprincìpi sono analoghi econtemporanei a quelli dellateoria dell’equilibrioeconomicogenerale(Walras),ma le eccezioni, findall’origine, introducono nelconcetto di equilibrio
elementitrattidallarealtà,purmantenendo le basifondamentalidiquestateoria:sostituibilità dei fattori dellaproduzione; prezzi dei fattori(capitale e lavoro) cheriflettono il contributo diciascuno alla produzione;equilibri determinatidall’incontro di domanda(utilità marginale) e offerta(costo marginale); mercatidella forza lavoro chesarebberoinequilibriosenon
ci fosse una distorsione delmercatoprodottadaleggichefavoriscono (o noneliminano) il sindacato;moneta velo; commerciointernazionalebasatosuicosticomparati. Molti neoclassici(A. Marshall e A.C. Pigou)erano però attenti alla realtàalmenoquantoallaprecisionelogica dei loro modelli. Illavoro più famoso che hacercato di unire il pensierokeynesiano a quello
neoclassico (la cosiddettasintesi neoclassica), è di J.R.Hicks (1937). P. Davidson(2003-04), sostiene che ilmodellodiequilibriosifondasutreassiomi:neutralitàdellamoneta, incertezza comerischio,sostituibilitàdibeniamoneta a moneta e titoli (la«gross substitution»), e lodefinisce «ergodico», basatosu statistica istantanea,mentre la realtà è «non-ergodica»,basatasustatistica
dinamica. Davidson sostieneche la realtà è non ergodica,perché i comportamenticambiano al cambiare dellevariabili del sistema.Tutto ilragionamento in questo libroè«nonergodico».All’originedella critica al metodomarginalista – che indaga sudifferenze ma non sucambiamenti strutturali – c’èPiero Sraffa (1925). VediM.C.MarcuzzoeA.Rosselli(2011).
8. Lettera adHarrod del 4luglio 1938, citata da G.Garrone e R. Marchionatti(2004).9. Joan Robinson (1956),
PieroSraffa(1960).10. È il «Ruth Curiosum»
in appendice a Robinson(1956). Il cosiddetto ritornodelle tecniche è espressocompiutamente da Sraffa(1960).11. Joan Robinson (1979).
Ricordo, tra gli altri, R.M.
Goodwin (1986). Forse, ladivergenza tra questieconomisti, che si leganostrettamente agli economisticlassici, e quellidell’equilibrio economicogenerale sta nella naturaapertadeimodellideiprimi,echiusa nei modelli deisecondi.Nonètantoingiocouna questione di realismo, odi applicabilità dei modellialla realtà, quanto lapossibilità di cogliere la
dinamicadelcapitalismo,conlesuecrisi,piuttostocheconi suoi squilibri. La recentescuola «evoluzionista»,benché non accolga né ilconcetto di equilibrio néquellodisquilibrio,nonèquitrattata perché èessenzialmentemicroeconomica e nonconsidera le leggimacroeconomiche, di cui piùavanti(maforseancheperunsuo sapore positivista).
Keynes, anche se avevaavanzato l’ipotesidell’equilibrio disottoccupazione per spiegarelalungaduratadellacrisi,èilmaggior esponentedell’economiadellacrisi,nondello squilibrio oppostoall’equilibrio.12. Sono state descritte
circostanze nelle qualil’equilibrio si forma solo acondizioni particolari, e lateoria dei giochi le ha
elaborate a lungo. Nonutilizzolateoriadeigiochiinquesta analisi. La teoria ècertamenteapplicabileaicasidel mercantilismo, delconflitto tra capitalisti, e delrapportotraStatoecapitalisti,dicuipiùavanti,manonsonoin grado di impostareun’analisi sufficiente per«giocare»conl’economianelsuocomplesso.13. Se si scambiano fucili
contro canotti – e cioè beni
capitali, ricchezza – non c’èragione che ne derivi ugualedistribuzione della ricchezzadopo lo scambio: ilcompratore dei fucili puòsemprespararealvenditoredicanotti, mentre questi nonpuòricambiare.14. Lamoneta endogena è
quella creata dalla domandadi prestiti, che provoca gliimpieghidellebanche,iqualitornano alle banche nellaforma di depositi,
moltiplicandosi: neriparleremoalungo.15. Com’è noto, Pareto
(1896-97) immaginavache ladistribuzione personale deiredditi fosse sostanzialmentecostante.16. Nel modello di G.
Debreu (1959), le preferenzeindividuali sono indipendentidaquelledeglialtriindividui,perchéaltrimentiilmercatoeloscambiononrifletterebberol’utilità di ciascuno, e perciò
non sarebbero «razionali». Èun’ipotesi che ha qualchefondamento filosofico, manonè, invece, reale (eperciònon è razionale), perché gliumanisonoanimalisociali,esi influenzanosempregliunicon gli altri: non si potrebbealtrimentiparlaredisocietàedicultura.17. Nei libri di testo, lo
scambio è descritto nellasituazione di un singolomercato,nell’ideacheseviè
equilibrio su un mercato,saranno in equilibrio tutti imercati (!). È l’inversionedellaleggediWalras:setuttii mercati sono in equilibriosalvo uno, l’equilibrio ègenerale;maseunmercatoèin equilibrio, non ne seguechelosarannotuttiimercati.18. A. Smith, The Wealth
ofNations,BookIV,ChapterII, Par.XI: «Bypursuing hisown interest he frequentlypromotesthatofthesociety»,
«He, generally… neitherintendstopromotethepublicinterest,norknowshowmuchheispromotingit»(corsividichiscrive).19. Nemmeno l’altruista,
che quando deve procurarecibo all’affamato, lo acquistasecondo le regole delmercato.20. O. Blanchard e F.
Giavazzi (2003); O.Blanchard e T. Philippon(2004);O.BlanchardeJ.Gali
(2005).21.Forseèmegliodefinirli
pseudokeynesiani,perevitareconfusioni e non fare undispiacere a Maynard. VediN.G. Mankiw e D. Romer(1991).22.Perunacritica,vediP.
DavidsoneJ.Kregel(1999).23. Teoria Generale, pp.
239-260. Corsivo di chiscrive.24.Ineconomiachiusa,ma
anche in economia aperta,
quando tutte le economie sicomportano analogamente:perfino in un solo Paese ladomandaeffettivadiminuisceal diminuire dei salari e delconsumo, perché l’unicoeffetto che lo impedirebbesarebbe l’aumento delleesportazioni dovuto allamaggiore competitività disalaripiùbassi,maiconsumicostituiscono sempre unaquota sul reddito nazionalemoltosuperioreaquelladelle
esportazioni.25.A.C.Pigou(1943).26. Ancor prima della
formulazione di Pigou, J.M.Keynes (1931). Più tardi, eindipendentemente, M.Kalecki(1944).27. Il maggior costruttore
di modelli econometricibasatisuseriestoricheèL.R.Klein, vedi con A.S.Goldberger (1955) e con E.Burmeister (1976). Klein haorganizzato una rete di
modellidiprevisioneinmoltiPaesi (Link), checomprende,inItalia,Prometeia.Kleineraun seguace intelligente dellascuola neoclassica diSamuelsoneSolow.28. Questi modelli
derivano da una precedenteelaborazione (L. Johansen,1960)suimodellicomputabilidi equilibrio generale,applicati al commerciointernazionale (L. Taylor eS.L. Black, 1974) e, con
clamorosi insuccessi, neiPaesi in via di sviluppo (K.Dervis, J. de Melo, S.Robinson, 1982). I. Visco,Sul ruolo delle aspettativenell’economiadiKeynese inquelle d’oggi, in Glieconomisti postkeynesiani diCambridge e l’ltalia, Lincei,marzo 2009, ricorda cheesistono due modelli Dsge:uno più astratto derivante«dall’ottimizzazioneintertemporale di funzioni
obiettivo in condizioni diincertezza», fondato sulleaspettative razionali (perfectforesight – come nemmenogli dèi dell’Olimpo); e unoapplicato dove, pur con lestesse aspettative, sonopresenti «rigidità, frizionikeynesiane… sempre piùsimili aimodelli della sintesineoclassica».29.R.E.Lucas(1976).30. T. Cwik eY.Wieland
(2010).
31. R.E. Lucas (1985), dicuipiùavanti.32.J.Robinson(1956),op.
cit., e, definitivamente, PieroSraffa(1960),op.cit.33. Per non parlare
dell’alterazionedell’ambienteal crescere del reddito. Puòsembrare strano a un lettore«laico», ma, dopo glieconomisti classici, unostudio approfondito deglielementi veramente dinamicidi un’economia è ancora
mancante,equelliquiindicatisono rilevanti ma non unici.Lo vedremo quando siintrodurràlamoneta.34. A mia conoscenza,
l’unico economista che hacostruitounmodellorigorosodi «non equilibrio» concaratteristiche dinamichestrutturali è Luigi Pasinetti(1981).35.ÈSchumpeter(1949)lo
studioso del ciclo che, purcollazionando tutti i cicli
conosciuti (da Kondratiev aKuznets), non li consideraeventi caratterizzati dasquilibri«regolari»,mastorieognivoltadiverse.36.R.E.Lucas(1985).37.A.Vercelli(1987).38. F.E. Kydland e E.C.
Prescott (1982). L. Summers(1986) critica duramente ilmodello,siaperchéinessosiinsinua che se i datidisponibili non si accordanoconlateoriasonosbagliati(si
tratta di uno strumentoutilizzato forse per la primavolta dai nostri autori,chiamato calibrazione, checorregge i dati aggiungendoquelli inaspettati), siaperché,nello spiegare le fluttuazionidi domanda e offerta, nontiene conto dei prezzi deibeni. Per alcuni sostenitoridel ciclo determinato dallatecnologia, il cambiamentoderiverebbedaalterazionineigusti dei consumatori indotte
da alterazioni nel tasso diinteresse, che cambiano lapropensione al risparmio, unmodo per sbarazzarsi diKeynes.Autoridiquestotiposi dimenticano sempre che ilrisparmio non è funzione deltasso di interesse, perché«nessuno tipagaun interessesetieniisoldinelmaterasso».Sembra molto piùragionevole l’idea diSchumpeter chel’innovazione fa crescere i
profitti (rendite), finché nonentrano gli imitatori, che liriducono.39.F.Modigliani(1949).40.OriginariamentediJ.F.
Muth (1961) e rielaborata daR.E.Lucas(1972).Vedi,peritanti esegeti, G.K. Shaw(1984).Permoltianni,questaipotesi dellaconoscenza/consapevolezzadegli agenti economici hadominato il campo dellateoria – tanto da creare la
scuola di «macroeconomiaclassica» già citata (a partireda Lucas, op. cit.) – ma findall’originefumoltocriticata;vedi W.H. Buiter (1970), P.Davidson (1982-83), I.Visco(curatore) (1984), F. Caffé(1994). Gli storici delpensiero economicospiegheranno perché, neiprimi anni Settanta, è fioritaquesta forma apologetica delmercatoelasuaconseguenzasull’inutilità della politica
economica, poi adottata intanti esercizi e modelli. Èstato, infatti, il crollo del2007-08 a far giustizia diquesta teoria, non la criticacui era stata sottoposta findallasuaorigine.ÈilcasodiR.FrydmaneM.D.Goldberg(2011), che criticano conprecisione le aspettativerazionali applicate ai mercatifinanziari, e attribuiscono lecrisi a «conoscenzaimperfetta» – ma scrivono
all’indomani del crollo deimercati finanziari, quando lateoria delle aspettativerazionalieraormaiscreditata.Guardando bene, in unmodello di equilibriointertemporale, le aspettativenon si formano affatto.Tuttoènoto:iprezzifuturi,isalarifuturi, i profitti futuri. Lastrutturadellaproduzionenoncambia,perché lemercisonosempre le stesse e ladistribuzione del reddito è
giustaecostante.Poichénellarealtà questa conoscenzaperfetta è assente, vienesostituita da aspettative tuttecoerenti con la teoriaeconomica dominante, cioèquella stessa dell’equilibriogenerale. Un modo perricostruire l’onniscienza,dove non c’è posto peraspettativedivergenti.41. Gli errori si
compensano solo se tutti sidivaricano dallo stesso
modello;erroriprovenientidamodelli diversi non sonocontemplati. Ciò implica chesi guardi agli operatori(imprenditori, lavoratori,percettori di rendite) comeavessero tutti lo stessomodellodieconomiaintesta,una sorta di conformismosociale, introvabile nellarealtà.42. VediW.H. Buiter, op.
cit.43.ÈlatesidiT.J.Sargent
eN.Wallace(1974),criticataperfino da Milton Friedman,ma forse un miglioramentorispetto a Lucas (1972), ilquale sosteneva che erano lepolitiche monetariekeynesiane a indurrenell’errore gli operatorieconomici, mentre, se lamonetaèveloelaquantitàdimoneta stabile, allora glierrori non ci sarebbero e ilciclo economico sparirebbe(purtroppoinsiemealloStato,
alla politica economica e alDipartimento diEconomia diLucas).44.LosideveaR.J.Barro
(1989).45. È la cosiddetta
«neutralità ricardiana»: ineffetti, superficialmente, unmaggiore deficit pubblico (oprivato) oggi, implicamaggioriimposte(omaggioririsparmi)domaniperripagareil debito che si è formato –anche se il futuro valemeno
delpresente,eperciònonc’èequivalenza nel tempo. Ilpunto, però, è che il deficitpubblico può esserefinanziato dall’emissione dimoneta, e anche se questapuò essere considerata unatassa, tuttavia, se la spesapubblica originaria ha effettiespansivi sul prodottonazionale e perciò sul gettitotributario,nonc’èbisognodinuove imposte. Per il debitoprivato la questione si pone
diversamente, com’è ovvio;nella microeconomia laneutralità ricardiana vale,manon vale trasportarla allamacroeconomia.46.VediW.GodleyeL.R.
Wray(2000).47.Ladomandadititolida
partedel settoreprivatodeveesseresoddisfattadalloStato.Se non lo fosse, la domandasi rivolgerebbe a titoli piùrischiosi e meno liquidi,creando pericoli di instabilità
perilmercatofinanziario.48.Con tutto il rispetto, la
penso diversamente da P.A.Samuelson (1947) che avevaproposto la metaforadell’uovo: le posizioniinstabili dell’economiasarebbero transitorie e menofrequenti delle situazionistabili – «un uovo non sireggesullasuapunta».Findaallora, Samuelson hacontribuito a creare glielementi formali della sintesi
neoclassica, che ammettesquilibri solo transitori edescritti allo scopo diillustrare l’inevitabile ritornodell’equilibrio: quanto sianoinvecedistruttiviqueglistessisquilibri, e perciòricostruiscano ogni volta unanuova struttura economica,non è considerato. Non sicapisce tanta sordità allevicende storiche tra glieconomisti americani, se nonguardando al loro curriculum
scolastico che fa iniziare laStoriacon laRivoluzionedel1776 e soprattutto laCostituzione del 1783: laprima legge che dà dignitànormativa all’utilitarismo(pursuit of happiness).Dobbiamo, invece, farriferimentoaHicks(1980-81)che sosteneva che se siguarda al futuro, anziché alpassato, l’uso di metodi diequilibrio è altamentesospetto.
CAPITOLOIII
1. Teoria Generale,capitoloXVI,pp.211-212.2. Un gran numero di
economisti dell’equilibrio sisono spinti all’estrema destradel pensiero economico,praticando quello che vieneimpropriamente chiamato«pensiero libertario»: tutticostoro ritengono chel’intervento pubblico sia lacausa di tutti i mali, anche
dopochelacrisidel2007-08hadistruttoleteorieliberiste-libertarie. Autori come A.Alesina e F.Giavazzi (2008)e P. Reichlin e P. Rustichini(2012) ignorano le crisi didomanda e si spingonotalvolta a sostenere chel’austerità è condizionenecessariaesufficienteperlacrescita. Una volta, in Italia,queste argomentazioni eranocriticateperchédividevano lapolitica economica in due
tempi: prima l’austerità, poilacrescita,elasecondanonsisapeva come derivasse dallaprima, ma questa critica èstata dimenticata. Quando siadottanopolitichediausteritàanchenellecrisididomanda,e si riducono i fondi per leattivitàpubbliche,ilrisultantecattivo funzionamento delsettore pubblico è attribuito,da questo tipo di pensieroeconomico, alla suaorganizzazione, non a chi la
stasmontando.3. So bene cheKeynes ha
definito domanda e offertaaggregata: ma anche nel suocaso, si è trattato di un expost.4. Il problema è ben noto
agli economisti, e il suonome,ininglese,è«fallacyofcomposition», sempredimenticata nei modelli,staticiedinamici.5. Se le curve aggregate
esistono, avranno una loro
elasticità; ma se varia ilprezzo, è possibile chel’elasticità della domanda equella dell’offerta siano talichenonsiriformal’equilibrio– è il teoremadella «tela delragno»; vedi M. Ezechiel(1938),chevieneesclusosoloperipotesi.6. La non aggregabilità
della legge della domanda èdevastante per i modelli diequilibrio generale. Vedi H.Sonnenschein (1974), G.
Debreu (1974), R. Mantel(1974). La ricerca dellecondizioni per l’esistenza el’unicità dell’equilibrioeconomico generale èproseguita con risultatisempre negativi; per unarassegna vedi S.A.T. Rizvi(2006), che afferma che «leipotesi che assicurano unbuon comportamento allivello microeconomico nonsi trasportano a livelloaggregato». Il problema
teorico, siamo nella «fallacyof composition», è peròdifficile da dipanare. Se ladomanda aggregata nonderiva dalla somma delledomandeindividuali,deriveràbendaqualchecosa,datochela raffiguriamo come unelemento della realtà, nonsolodellateoria.Keynescihadetto soltanto che, mentre iltutto non è la somma delleparti,ladomandaaggregataèsomma di domande a loro
voltaaggregate(investimenti,consumi, ecc.), e ci ha ancheinsegnato che ciascuna dellesingole domande aggregate èdiversa ex ante da ex post,che è un altro modo di direcheledomandeindividualidiinvestimento o di consumonon sono sommabili. Un viaper uscirne, ancora parziale,consiste nell’individuareleggi macroeconomiche cheprescindano dacomportamenti
microeconomici, vedi piùavanti.7.Si potrebbeopporre che
una conglomerata, cheriunisce sotto un unicocappello societario diverseattività produttive, potrebbe,in virtù della numerosità deisettori dei quali si occupa,rappresentarsi l’economianelsuo complesso. Non è così,perché occorrerebbe che ilmonopolistafossetalesututtii mercati, compreso quello
finanziario, e che tutta laproprietà dei capitali fossenelle sue mani; ma cosìfinirebbeperavereunanaturapiù totalitaria di unamonarchiaassoluta.8.AlmenodalXIIIsecolo:
vedi G. Carandini (2012).L’economiasovieticanoneracapitalistica, perché lo Statoaveva natura assoluta (ma lamonarchia assoluta del XVIIsecolo era già certamentecapitalistica).Tuttavia,poiché
commerciava con il resto delmondo non comunista, iprezzi e i valori-ombra nonpotevano divaricarsieccessivamente da quelliinternazionali, senzaprovocare crisi, distorsioni, erivolte.9. Uno studio illuminante
sul fallimento delle politichedi austerità èquellodiP.DeGrauwe (2013). L’autoremostracomeconl’austeritàilrapporto debito/Pil sia
cresciuto in tutti i Paesidell’Eurozona che l’hannoapplicata, e che laspeculazione si è ridotta solodopo l’annuncio della Bcesulla difesa dell’euro. Nonsono state le variazioni dei«fondamentali» (Pil, bilanciadei pagamenti, inflazione)che hanno causato l’iniziodella speculazione contro idebiti pubblici. Al contrario,la debolezza dei«fondamentali» dei Paesi
euro mediterranei si spiegabene con l’assenza dipolitiche di stimolo alladomanda praticate dai Paesidell’euro nord, ciò che haintrodotto tendenzedeflazionistiche nel restodell’Eurozona.Ilpanicodelleautorità nazionali ed europeedi fronte alla speculazione,accecate dai modellieconomici dominanti, spiegaildisastro.10.Lavicendaèincorsoe
non è chiaro il suosvolgimento: va detto chequesti nuovi interventigiungonoconestremoritardo,a conferma delle resistenzenei governi dell’euro ariconoscere gli effetti di unacrisi di domanda, e la libertàdiazionedellaBceè limitatadallecondizioniche la stessaBce pone ai Paesi indebitatiper poter giustificare ilproprio intervento, cosa cheriproduce il pericolo del
circolo vizioso. Se anche sipotesse abbattere laspeculazione, e non è affattocerto in assenza diregolazioneinternazionaledeiflussi dei capitali, non nesegue che la domandaeffettiva sarebbe sollecitata.Neriparleremopiùavanti.11. La Fed guarda
esplicitamente all’andamentodell’occupazione e modificala politica monetaria inrelazione a questo obiettivo;
ma non è chiaro come, inquale misura e attraversoqualeaccordocon ilgovernofederale questo obiettivo sileghi all’acquisto di titoli diStato per finanziare la spesapubblica: in ogni caso,l’acquisto di obbligazioni haildoppioeffettodifinanziarela spesa pubblica e diaumentare la quantità dimoneta(l’acquistofacrescereilvaloredei titoli e ridurre iltasso di interesse). Il
problema è che l’acquisto diobbligazioni pubblicheaumenta il debito federale,che non è rilevante sulmercato finanziario solo finoaquandolaFednondecidadiliberarsene, una voltaraggiunto l’obiettivooccupazionale. Se nedovrebbe dedurre che la Fednon decide in tema dioccupazione semplicementeaumentando la liquiditànell’economia, e che dunque
non aderisce all’idea che unaumento della quantità dimoneta determiniautomaticamente un aumentodella domanda effettiva. Ladistanza con la politica dellaBceèincommensurabile.
CAPITOLOIV
1. Vedi anche P. Leon(2007).2. Lo Stato può produrre
direttamente o perconcessione qualsiasi bene,organizzando impresepubbliche o concessionarieprivate, ma ciò avvienequandofallisce laproduzionecapitalistica.3. Questa affermazione è
certo troppo drastica, maserve per demistificare isostenitoridella«decrescita»:anch’essi, da individui, nonsanno le conseguenzemacroeconomiche e sociali
delleloroidee.4. Gli «spiriti animali» o
l’ottimismodeglioperatori, èciò che dovrebbe contribuirea determinare la domandaprivata di investimenti: è undeusexmachina,datocheperKeynes gli investimenti nondipendonodalreddito.5. Le reazioni dei mercati
rispondono a molti stimoli,oltre a quelli citati. Adesempio, un aumento dellaquota dei profitti può far
crescere il valore esternodella moneta, riducendo leesportazioni e aumentando leimportazioni: gli indicidiminuiranno. Oppure, unaumentodellaquotadeisalaripuò far diminuire il valoreesternodellamoneta;l’effettosaràpositivosullaproduzioneegliindicicresceranno.6.Nelleanalisiaziendalisi
usa talvolta citare, comecriteriodisceltadell’impresa,la massimizzazione delle
vendite: ma se non èponderata sui costi diproduzione, enonassomigliaalmeno a un margine diprofitto, questamassimizzazione non hasenso. Ricordo ilcambiavalute di Rotterdamche offriva un fiorino incambiodiottantacentesimi,eachigli chiedevadove fossela convenienza, rispondeva:«Maguardailfatturato».7.Ilprimoinsiemediconti
nazionali che forniva datisullerelazionitraindustriefusviluppatodall’amministrazionestatistica centrale sovieticanegli anni 1923-24. Da quiLeontief(q.v.)siispiraperlamatriceinput-output.Kuznets(1938) è il primo statisticoche imposta i conti nazionaliin occidente, ma è Keyneschene costruisce la «teoria»,vedi Teoria Generale, cap.IV, razionalizzando i termini
usati in precedenza daMarshall e Pigou.L’antesignanofuF.Quesnay,con la sua «Tavolaeconomica»del1766.8. Vedi il classico di V.
Leontief(1941).9. L’effetto diretto è la
modificazione nelle quantitàdelle celle della matricecoinvolte nella spesa; quelloindirettoèlamodificazioneditutte le celle derivanti dalleprecedenti modificazioni; gli
effetti indottisonoilrisultatodelle modificazioni nellecolonne finali della matrice:sugli investimenti necessaripercoprireglieffettidirettieindotti, sui redditi derivantidalle modificazioni, sulleimportazioni ed esportazioniconseguenti.Traquestieffettialcuni possono essereclassificati come di«retroazione», quando glialtri effetti inevitabilmentemodificano le celle
originariamente oggetto dellaspesa.10. Come ha fatto L.
Pasinetti, op. cit. Qualcunosostiene che la dinamica dilungoperiododellamatriceèdiversa (più stabile) dalladinamica di breve periodo: ècerto che la matrice cambiacontinuamente e, dopo unacrisi,non torneràal suostatoprecedente, perché nelfrattempo«pantarei».11.R.F.Kahn(1931).Non
è un caso che Kahnapplicasse,all’indomanidellaGrande Depressione, ilmoltiplicatoreall’occupazione,ancheperchéfin dagli anniVenti ci si erainterrogati, nel Regno Unito,sulla validità di politiche dispesa pubblica per ridurre itassi di disoccupazionederivanti dalla fine dellaPrima Guerra Mondiale: illiberale LloydGeorge ne erastato il sostenitore, senza
successo. Il moltiplicatore diKahnèstatogeneralizzatodaKeynes nella TeoriaGenerale,cap.X.12. Una rappresentazione
semplificata di un’economia(chiusa al commerciointernazionale) è la seguente:SeY(reddito)=C(consumo)+ I (investimento), eC= cY(dove c è la propensione alconsumo),sostituendoY(1-c)=I,dacuiY=I1/1-c,questafrazione è il moltiplicatore
che sarà tanto maggiorequanto maggiore è c. I, gliinvestimenti, appaiono comeun elemento autonomo dalredditoY, nel senso che nonne dipendono. In unaformulazione più allargata,glialtrielementiautonomi,alnumeratore delmoltiplicatore, sono la spesapubblicaalnettodelleentrate,le esportazioni al netto delleimportazioni, i consumiautonomi e, per alcuni
economisti, anche lavariazionedeldebitoprivato.13.T.CwikeY.Wieland,
op. cit., esaminano equantificano il moltiplicatoreutilizzando diversi modelliDsge nei quali gli agentieconomici si comportano nelmodo indicato da Barro;poiché un qualchemoltiplicatore emerge control’ipotesi di neutralitàricardiana, siamo di fronte aun miracolo
dell’econometria…14. Una delle ragioni per
cui il sistema di equilibriogenerale, anche seintertemporale, non èdinamico,staproprionelfattoche se la macroeconomia èsomma delle decisionimicroeconomiche, non puòpresentare nessunmoltiplicatore.15.Che valore del titolo e
tassodi interessesimuovanoinversamente e all’unisono,
deriva dal fatto chel’obbligazione a cedola fissaha un valore di mercato,durante la sua vita, chedipende dall’andamento deltasso di interesse – dato che,se la cedola è fissa, percommisurarsi al tasso dimercato dovrà variare ilvalore del titolo. Comeconseguenza, al variare delvalore dell’obbligazionevarieranno tutti gli altri titoliin concorrenza sul mercato
finanziario, anche quelli arendimento variabile. È benesottolineare che chi speculaguarda al tasso di interessecome a un indicatore, mal’oggettodellaspeculazioneèilvaloredeititoli,nonil lororendimento.16. Che è appunto il tasso
di interesse (composto)necessario per portare alpresenteunvaloredelfuturo,nell’ipotesicheilfuturovalgameno del presente: per un
assetato,unbicchiered’acquadomani vale poco o nienterispetto a un bicchiered’acqua oggi. Nonostante laplausibilità dell’esempio,vedremo che, se perl’individuo è così, non lo èperlacollettivitàeloStato.17. È facile spiegare la
ragione di ciò: un progettocon molto investimentoinizialeebassespesecorrentisarà penalizzato da un tassodi sconto elevato, rispetto a
un progetto con bassa spesainiziale e alte spese correnti;lacentralenucleare,cheèdelprimo tipo, è menoconveniente della centraletermica (ceteris paribus),quando i tassi di interessesonoelevati.18. Non lo pensano né
Wicksell né Keynes, cheritengono il tassodi interesseun fenomeno monetario e,perciò, non utilizzabile perscegliere tra progetti di
investimento,chesimisuranoinvececontassidiscontocheriflettono il tasso dipreferenza temporale deldecisore. La distinzione,tuttavia,èparzialeperchénoncoglie il modo di ragionaredelle singole imprese che, sedevono utilizzare un tasso disconto permisurare il valoreattuale di un costo o di unbeneficio futuro, nonpotranno evitare di rivolgersial tasso di interesse presente
sul mercato o previsto per ilfuturo, paragonato conl’eventuale tasso dipreferenza temporaledell’impresa(dell’imprenditore?, delproprietario?).19. Si veda P. Garegnani
(1979).Ma tutta la critica almodello neoclassico, da JoanRobinson a Piero Sraffa, èalla base della criticaall’efficienza marginale delcapitale, che è analoga a una
funzione di produzioneaggregata.Keynes conoscevaillavorodiSraffa,ancoranonpubblicato, ma non potevadedurne che una funzione diproduzione aggregata, in unsistema di equilibrio, fosselogicamente impossibile: nonsarebbe stato compreso, se ilsuo modello non si fossechiuso con una relazionecausaletrasaggiodiinteressee investimento. La funzionediproduzioneaggregata(Y=
f(K,L) si può esprimere intermini incrementali (DY =f(DK,DL); poiché DK = I,DY = f(I,DL), dove I = f(i),l’efficienza marginale delcapitale. Per il Keynesscettico su questa sua stessaelaborazione, I è funzione di«spiriti animali». Propriol’efficienza marginale delcapitale è la base della giàricordata sintesi neoclassicadi Hicks, che egli stesso hapoi smentito (IS-LM: An
Explanation,cit.).20.Èun’altra ipotesi della
sintesi neoclassica di Hicks,giàricordata.21. J.G. Gravelle e T.L.
Hungerford (2013) obiettanosia alla tesi sia alladimostrazione econometricadi A. Alesina e S. Ardagna(2010).Non è la prima voltache Alesina propone questaricetta, sempre fondata suconfronti tra politiche dibilancio di diversi Paesi, e
spesso criticata su basieconometriche. Il veroproblema teorico, tuttavia, èche per Alesina imoltiplicatorifiscalinonsonomai rilevanti, mentre leaspettative sono sempre(apparentemente) razionali eaffidate a un agenterappresentativo (lo stesso perciascun Paese passato inrassegna!). Purtroppo, questacuriosità, smentita di recenteanche dal Fondo Monetario,
ha il rango di una veritàsemiufficiale nelle politichedell’Unione Europea e dellaGermania.22. Teoria Generale, cap.
XV.NellateoriadiFriedmane in quelle che utilizzano leaspettative razionali, lapreferenzaperlaliquiditànonhaspazioperché lamonetaèvelo e non è mezzo perspeculare: una razionalitàevidentementemoltolimitata.23. Come quando si
stabilisce in Costituzionel’obbligo del pareggio dibilancio:unorroreeconomicoche proviene dalle politichedell’UnioneEuropea.24. C’è un legame
algebrico tra ilmoltiplicatoredi Kahn-Keynes e ilmoltiplicatoredeidepositi:Y=I/s(dovesèlapropensionearisparmiareedèugualea1-c), e I determina Y. Sedenominiamo la quota deidepositi sul reddito s, e I gli
impieghi,alloraogniaumentodi I accresce il reddito eanche s: gli impieghideterminanoidepositi.25. È una semplificazione,
come indicato nel testo, mametteindubbiounaltrodeglielementi costitutivi delmodelloneoclassicodiHicks(ilbennotoIS-LM),nelqualeogni aumento di Y deveessere accompagnato danuova emissione di moneta,quasi che la propensione a
depositare i risparmi siasempreugualeazero,mentreinveceogniaumentodiIcreatendenzialmente la monetanecessaria per finanziarlo;appare qui la monetaendogena,dicuipiùavanti.26. Le banche centrali
utilizzano il concetto di basemonetaria–ecioèleriserve–per misurare la quantità dimonetanelsistema.Se,però,si formamonetaendogena, ilcircuito si rovescia: non è la
base monetaria che causa lamoneta, ma la moneta checausa labasemonetaria. Piùavanti il processo è megliodescritto.27.Dipendedaciòchefarà
conilricavochihavendutoititoli; se compra altri titoli, idepositi non torneranno allabanca. La speculazione suititoli può generare ildeperimento dei depositibancari.28. Nei modelli di
equilibrio la moneta èsostituita da una mercerispetto alla quale sicalcolano i prezzi di tutte lealtremerci.Senonfossecosì,il modello avrebbe un gradodilibertànonspiegato.Sraffa(1960), infatti, avanzal’ipotesi che sia il tasso diinteresse monetario lavariabile esogena che chiudeil modello: la moneta non èvelo.29.Pubblica,naturalmente:
è necessario dirlo, perchéquando diventa autonomarispetto ai governi, la bancacentrale è in realtà moltovicinaaunenteprivato.30. Keynes definiva la
moneta fiduciaria come«rappresentativa», e quellaaureacome«merce».31. E con altre politiche,
tra le quali l’acquisto e lavendita di obbligazioni – leoperazioni di mercato apertoe le regole della vigilanza
sulleriservedellebanche.32. È la posizione arcigna
dimoltieconomistitedeschiedeilorogoverniconservatori;per non parlare della destrarepubblicana negli Usa edell’ideologia dell’UnioneEuropea.33. Nei primi anni
Novanta, un grande fondospeculativoaggredìlasterlinache, legata ad accordi dicambio con le moneteeuropee, era sopravvalutata.
Lostessoaccadràallalira.Inquesti casi, non era statal’emissione di moneta aprovocare la speculazionema, al contrario, il tentativodi battere l’inflazione con lasopravvalutazione dellamoneta(attraversoaltitassidiinteresse), che calmiera iprezzi interni con i minoriprezziinternazionali.34. Il governo tedesco
degli anni Duemila, e laCommissioneEuropeachene
dipende,pensano,invece,cheil tempo dello Stato e quellodelle famiglie siano sempreuguali: forse per un rigurgitodi paganesimo (dimenticanola parabola dei talenti),aderisconoall’ideachesenonsi risparmia non si investe,che se non si restituisce undebito non si è degni diricevere un prestito, e che ildebitore non contribuisce,con la sua spesa, anche alreddito del creditore. Che il
debitore sia la causadell’investimento e dellacrescita,l’avevagiàosservatoJ.A. Schumpeter (1934), pernoncitarelaBibbia.35. Non credo sia
logicamente possibilevalutare il tempo dello Statotenendo conto dei due tassi(privatoepubblicoosociale),assegnando un peso aciascunoesommandoli,comesi è fatto talvolta nell’analisicosti/benefici.
36.NelclassicoLesrèglesde la méthode sociologiquedel1895.37. Non so se gli esegeti
della«decrescita»sannocheiconsumi non possono restarecostanti, se non in societàprimitive,dove,anchesenoncambiano, possonodeterminare effettisull’economia; è il famosocaso della deforestazionenell’IsoladiPasqua.38. Gli esegeti neoclassici
dell’utilità marginaledecrescente l’ammettevanoper il reddito; anche perquesto una crescita indefinitao un cambiamento nonepisodico erano loro estranei(per questo i pensatori della«decrescita» non sanno diessereneoclassici).39. Teoria Generale, cap.
XVI.40. Ci provò N. Kaldor
(1957), con la sua funzionedel progresso tecnico, subito
criticata per la sua parentelacon la funzione neoclassica,da lui stesso giàefficacementecriticata.41. Per verità, P. Romer
(1988) aveva costruito unateoria generale del progressotecnico, poi ripresa anche daaltri.Inquestateoria,sigiocasu lavoro, capitale umano(che rivedremo), conoscenza.Maggiorcapitaleumanonegliingegneri, ad esempio,produce nuovi disegni
(maggiore produttività nelsettore della ricerca); ciascundisegno, anche se protetto dabrevetto, può provocare altridisegni. Di qui l’aumentodella conoscenza e dellostesso capitale umano. Sirealizza una forma di mutuainfluenza positiva che inducecrescita esponenziale. Ilproblema è che si tratta diuno schema che tralascia diconsiderare la domanda didisegni. Romer si basa sulla
Cobb-Douglas e ipotizza unsistema in equilibriodinamico,ma inuovidisegninon modificano la strutturadell’economia, pur dandoluogo a economie di scala.Siamo di fronte a unariedizione della funzione delprogressotecnicodiKaldor.42. Non ho alcuna
ambizione antropologica el’esempio può facilmenteessere criticato, ancheperchéle tecnologie cambiano fin
dalla preistoria, sia pure ineoni di tempo e legate allareazione dell’uomo rispetto aeventiesterni.43. Se per i classici i
sentimenti morali (l’empatia)connettono individualismo erelazioni sociali, non laconcorrenza,perineoclassicie i teorici dell’equilibrio laconcorrenza comeaggressività sostituisce isentimentimorali egenera lerelazionisociali.
44.PerLeibnitz,lemonadinon comunicano tra loro,male loro percezioni sonocomuniatutte.45.Siètentatidiaffermare
chelaconcorrenzaintemadiaccumulazioneèquellachesimanifesta nei mercati deicapitali,perchéèquiche,perle società quotate, si assisteall’acquisto e alla vendita diazioni, rappresentative dellaproprietà. Tuttavia, benchéregolati,imercatideicapitali,
a differenza di altri mercati,non sono assoggettati a unaregolazione antitrust, quasi arivelare che il grado dimonopoliononèinquestionenell’accumulazione.46. La letteratura è
sterminata,masièsviluppatadalla fine degli anni Ventifino alla fine degli anniCinquanta. Si vedano: P.Sraffa (1926); R.F. Khan(1929); J. Robinson (1933);E.H. Chamberlin (1933); P.
SylosLabini(1956).Piùtardil’interesse è diminuito,soprattutto perché il modellodi equilibrio economicogeneraleammettevasolopurae perfetta libera concorrenza;quando in quel modello si ètentato di introdurre formemonopolistiche,questehannodato luogo a equilibrimultipli,asquilibri,asistemiimpossibili, a continuasovrapposizione di nuoveipotesi.FaeccezioneKalecki,
che individua un grado dimonopolio nell’economia nelsuo complesso che ha effettimacroeconomici–masemprenell’inconsapevolezza deimonopolisti.47. P. Sylos Labini, op.
cit.,attribuiscealmenoalcuneforme di mercato allediscontinuità tecnologiche;P.Leon (1967), le attribuiscealla necessità della crescitadifferenziata dei settori: siattende qualcuno che metta
insiemeledueipotesi.48.Alcunieconomistidella
«nuova economia classica»,di fronte all’evidenza dellecrisi, l’attribuiscono allamancanza o all’insufficienzadella concorrenza, perchésnaturata dall’interventopubblico, clientelare ecorrotto (che, però, non è lacausa della crisi). Non c’èdubbio che questi elementisiano caratteristici delcapitalismo,comediqualsiasi
altra forma economica, maavrebbero dovuto esseremenopresentinelcapitalismodello Stato minimo, liberatodall’eccesso di regole, fruttodella nuova politicaeconomica di Thatcher eReagan, fortemente sostenutada questi stessi economisti.Vedi, ad esempio, L.Zingales,cit.,chepropone,informa compassionevole, unliberalismo ancor piùtotalmente individualista di
quello postreaganiano, mache, di fronte all’evidenzadelle forme monopolistiche,sembrasimisuriconimuliniavento.49. Vedi P. Leon (1967),
op. cit. Nemmenotendenzialmente: questomodo di intenderel’uniformità del tasso diprofitto dà per scontato cheallafinedeiprocessisitorniaun equilibrio stabile.Ma se iprocessi sono in continuo
cambiamento, quella stabilitànon è rintracciabile. Anchepericlassici,itassidiprofittotendonoall’uniformità,ma ladivisione del lavoro alteracontinuamente questatendenza. Sraffa (1960)assume l’uniformità dei tassidiprofitto,mailsuomodellorappresenta l’economia, nonil suo divenire. Pasinetti(2007),cherendedinamicoilmodello di Sraffa, mostratassi di profitto differenziati.
È di nuovo Keynes cheindividua tassi di interesse(«own rates of interest»)specificiper idiversibeni, lacui originaria diversità ècorretta dalla concorrenza. Iltema, originato da Sraffa(1932) ed elaborato daRobinson e Kaldor, tratta ladiversità come uno squilibriotemporaneo, implicando chenon c’è cambiamento nellacomposizione dellaproduzione al
crescere/diminuiredelredditoo che tale cambiamento èesso stessounosquilibrio.Cisipuòchiederecomefunzioniun’economia soggetta acontinui cambiamenti e larispostaèsemplice: imercaticambiano continuamente iprezzi e le quantità, come sivede quando si osserva nellastatistica la volatilità deifenomeni, mentre icomportamenti micro noncambiano – salvo, come
vedremo, quando cambia uninterosistemaistituzionale.50. Nei modelli di
equilibrio il rischio è forseassente perché è semprepossibile immaginare cheesistaunmercatoassicurativoche lo evita. Solo che ilrischio si sposta dai singolioperatoriall’assicuratore.51.Non faccio riferimento
allenumeroseediverseformeorganizzative concretamenteadottate dalle imprese, da
quellepiccoleepiccolissime,dove l’imprenditore riassumein sé le possibilicontraddizioni tra le funzioniche egli stesso esercita, allegrandi imprese che adottanoforme matriciali, centri diprofitto, organizzazione perobiettivi, ecc. La mia stessaripartizioneèun’astrazione,eserve a illustrare che ladivisione del lavoroorganizzativoèinevitabile.52.Moltieconomisti,come
R.M. Coase (1937), A.AlchianeH.Demsetz(1972),O.E. Williamson (1981),definiscono i costi ditransazione, come quellilegatiai rischinell’acquistaresul mercato i beni necessarialla produzione (rischio diinsolvenza del fornitore,mancatorispettodeicontratti,forme di oligopolio tra ivenditori, ecc.), rispetto aquelli dell’organizzare laproduzione all’interno, e che
sarebbero decisivi per lanascita/presenza dell’impresanell’economia moderna.Coase ritiene che l’impresanascalogicamenteproprioperevitare all’imprenditore didover siglare un numeroinfinito di contratti perciascun elemento dellaproduzione desiderata, ciòche renderebbe ogniintrapresa troppo costosa.L’ipotesi è utile eaffascinante, ma non ha una
basestorica,enondifferenzial’impresa del mondo antico(conlaschiavitù,laglebaoillavoro a comando) da quelladelcapitalismo.53. Non mi avventuro nel
descrivere i casi diimprenditori-proprietari: laletteratura in effetti èabbondante, ma non lautilizzo per ragioni disemplificazione.54. Non ho esteso questa
raffigurazione dell’impresa
non finanziaria alle impresefinanziarie: manca, o non hotrovato, uno studiosoddisfacente nell’ambitodell’economia o dellasociologiadell’organizzazione. Piùavanti vedremo casi (astratti)di conflitto tra i due tipi diimpresa.55. I concetti dimercatoo
prezzo ombra rivelano anchel’esistenza implicita di unoscambio.
56. Non so se questadefinizione di esperienzacostituisca una sufficienteteoriadelleaspettative.Certo,l’esperienza è semprespecifica dell’individuo e delsuoruoloenonèaggregabile(salvoquandodiventaunrito,uncostume,unacultura).Percapirlo,bastaosservarecomel’esperienzasiamoltodiversatra ricchi e poveri, tra chicompra e chi vende, tra chiinveste e chi risparmia.
Benché ciascuno siarazionale, ma non nel sensodi Muth, ne traggo laconseguenza che teoriegeneralisulleaspettativesonoimpossibili, salvo ipotizzare,sbagliando, l’agenterappresentativo (unico, però,non diviso in funzioni).Ciascuna funzione guarda alfuturo, e ne valuta rischi eopportunità; tuttavia, si trattadi visioni ristrette al proprioruolo,altrimentidefiniremmo
ciascuna funzione comeun’impresa.57.Ecco, forse,unabuona
definizione del termine«organizzazione»–chenonègeografia di organigrammi,ma studio e analisi delleopportunità e degli ostacolidellefunzioniaziendali.58. Questa affermazione
serve a sbarazzarsi di visionidell’impresa che laesauriscono, nel pur generalemotivo del massimo tasso di
profitto. Secondo R.F.Lanzillotti (1958), le grandiimprese si danno obiettivi intermini di (massimopossibile) tasso direndimento, ma egli dà perscontato che il denominatoredelrendimento,ilcapitale,sialoronoto.59. Il valore dell’impresa
può essere datodall’avviamento,ma,comelabellezza,«ènegliocchidichiguarda»,cioèdelcompratore;
oppure dal suo grado dimonopolio su un particolaremercato, ma, anche qui, ilvalore dipende dallavalutazione di quel mercatoche fa il compratore. Iproprietari dell’impresa, purpartecipando della stessaignoranza dell’imprenditore,poiché non s’interessano alprofitto, ma al valoredell’impresa, si riferisconoalmercato finanziario come sipresenta nel momento stesso
della loro decisione: sempreinconsapevoli del tasso diprofitto, ma certi del valoreistantaneo di mercatodell’impresa.60. E. Fama (1970)
sostiene che i prezzi sulmercato finanziario riflettonosempre correttamente (sonoefficienti) le informazioni suititoli e sull’andamento delleborse: ed è vero, se siriferisce alle scelte motivatedall’accumulazione, ma è
falsosesiriferisceallesceltemotivate dal profitto.Secondo Fama, sul mercatofinanziario non siformerebbero occasioni persfruttare ogni anomalia che iprezzi non rivelano, ma ciòsarebbe possibile solo se iprezzi dei titoli riflettesseroanche i prezzi delle merci:poiché non è vero, le crisifinanziarie sono inevitabili.Un sostenitore dell’ipotesi,B.G.Mankiel(2003),afferma
che ilmercato può sbagliare,ma che il «vero valore [deltitolo]allafinevincerà»:«allafine» vuol dire tendenziale,nonquandoilmercatocrolla.Gliautoriscrivevano,perlorosfortuna,primadel crollodel2007-08.61. Oltre a Keynes, M.
Kalecki (1957) avevadimostrato che gliimprenditorinonsannochelasomma dei loro atti diinvestimento (più il loro
consumo) determinerà anchelasommadeiloroprofitti.62. Senza dire che
dovrebbe esistere un’analogaregola nella distribuzione traquesti stessi redditi, ma èintrovabile. Come esempio,marchi e brevetti sono unostacolo alla liberaconcorrenza, perchécontribuiscono al grado dimonopolio di un’economia,estendendo l’ambito dellerendite rispetto a quello dei
profitti.Sisostienechesenonci fosse la protezione delbrevetto, nessuno sarebbeincentivato a fare ricerca einnovazione. Non è detto,perchéanchese il ritrovatoècopiabile, prima che ciòavvenga l’innovatore lo avrànaturalmente protetto. Così,se la protezione fattadall’innovatore è efficace, sirealizzeranno profitti erendite;selaprotezionenonèefficace, tanto peggio per
l’innovatore, che si troverànella situazione analoga aquelladell’impresachelanciaun nuovo progetto sulmercato: si espande ilmercato, si riduce la rendita,si forma il profitto. In altreparole, la durata dellaproprietà intellettuale èincorporata nell’innovazione,e non ci sarebbe bisogno diprotezionepubblica,salvonelcaso in cui il nuovoprodottofosse socialmente utile,
perchéallorasarebbeloStatoa finanziare ilricercatore/innovatore, senzarestringere laconcorrenzasulnuovo prodotto. Il dirittod’autore è forse diverso, manonhoapprofonditoiltema.63.Laregolaaureadiventa
«dipiombo»,quandosivuolemantenere una proporzionetra aumento dei salarinominali e aumento delprodottoperaddettoreale: inquesto caso la distribuzione
del reddito peggiora ai dannidei salariati. Era una regolacomune negli anni Ottanta,quando si voleva evitare disvalutarelamonetanazionaleesipensava–comesipensaoggi inEuropa–disvalutarela moneta-ombra, attraversouna riduzione dei salari realirispetto a quelli dei Paesiconcorrenti. Naturalmente,mentre il risultato in terminidi crescita delle esportazioninon è assicurato, perché
dipenderàdallareazionedeglialtri Paesi, la riduzione delladomandainternaècerta.VediP.Pini(2013).64. Nei modelli di
equilibrio, come in tuttal’economia neoclassica, laregolaaureaèunrisultatodelfattoche inconcorrenzapurae perfetta i fattori dellaproduzione ricevono semprelaretribuzionecorrispondenteallaquantitàutilizzata.Inaltritermini, la distribuzione del
reddito tra salari e profittideriva direttamente dallafunzionediproduzione.65. Non ho discusso
sufficientemente la naturadella concorrenza tra ilavoratori. Per moltieconomisti, il lavoro non èomogeneo e si distingue perle diverse capacità diciascuno (il cosiddettocapitale umano, di cui piùavanti). Il ragionamento deltestononèinficiatodaqueste
considerazioni, perché laconcorrenza si esercitacomunque tra le diversespecializzazioni. Se poi ilmercato della forza lavorotendeauniformare–inmodopolivalente – le capacità deilavoratori(com’èilcasodelleorganizzazionidel lavorochediscuteremo), allora il lavorotendeadiventareomogeneoela concorrenza tra lavoratoripiù forte. Un dubbio: se laconcorrenza è forte, in piena
occupazione il sindacatodovrebbe sparire; poiché ciònon avviene, se ne potrebbededurrechelaconcorrenzatralavoratori esista solo inrelazione alle condizioni delmercato della forza lavoro,cioè quando governi ecapitalisti desiderano che simanifesti–appunto, inpienaoccupazione, quando nondovrebbeesserci.66. Non considero
l’acceleratore una legge
macroeconomica, perchépresuppone uncomportamento omogeneodelle imprese (di nuovo,«fallacy of composition»).L’acceleratore èquell’aggiustamento dellostock di capitale(investimento) che derivadalla variazione attesa dellaproduzione: in situazionidinamiche, dove giocano letecnologie, non c’è ragioneche l’aumento della
produzione sia previsto nellostessomododatutteodaunaquotarilevantedelleimprese,néchelaproduzioneprevistaesigaunaumentodello stockdi capitale, che dipenderàappuntodal tipodiprogressotecnico.Né le imprese né gli
individui sanno che vi èun’equivalenza fra tasso diprofitto (e, semplificando, iltasso di interesse) e tasso dicrescita; vedi J. von
Neumann (1945-46 e 1952),che espone un modello diequilibrio che nonostante ilnomenonèlostessomodellodi Arrow-Debreu. Vorreianche ricordare il modelloHarrod-Domar (R.F. Harrod,1939 e E. Domar, 1946),perché nell’ipotesi diun’economia che si sviluppaa coefficienti fissi,l’equilibrio si mantiene soloper caso (l’equilibrio è sullalama di un coltello: «Knife
edge»). È vero che icoefficienti cambiano, manon nel significato che poi èstatodatoallaloroflessibilità,ecioècheèsemprepossibilesostituire capitale a lavoro,come nella famosa funzionediproduzioneCobb-Douglas,lineare, omogenea di primogradoeconvessa(C.W.Cobbe P.H. Douglas, 1928),anticipata nelle teorieneoclassiche e poi ripresanell’abbondante letteratura
econometrica di ispirazioneneoclassica.Selasostituzionenon è possibile perché ilcapitalenonèmalleabile,osenon è neutrale tra il fattorelavoro e il fattore capitale –comeènormalecheaccada–;se i capitalisti non neconoscono il risultatomacroeconomico; se, comegià discusso, non si puòmisurare il fattore capitale invalore senza conoscere iltasso di interesse e perciò se
il tasso di interesse deveessere dato prima dei prezzidei fattori (i cui costiincludono il tasso diinteresse); se la concorrenzanon è perfetta, allora ritornala possibilità di squilibrio diHarrod-Domar. Che lastatistica mostri un’elevatacorrelazione tra i dati e lafunzione, è dovuto al fattochelafunzione,allafine,nonècheunmodoperesprimereun’identità; vedi A. Shaikh
(1974, 1980). Si puòesprimere la funzione inmodo che sia esplicativa,masempre ex post. I numerosiesercizi econometrici inproposito hanno sempreverificato l’esistenza di unresiduo non spiegato,attribuito variamente alprogresso tecnico (Solow), alcapitale umano, alla spesapubblica. La varietà deitentativi illustra bene lapovertà della funzione; vedi
J.S.L.McCombie(2000).Nelnumeroveramentesterminatodi esercizi econometrici gliautori pensano di cavarselamisurando la produttivitàtotaledeifattori,perignorareil contributo specifico dilavoro, capitale e qualchealtro elemento esogeno. Lacritica più precisa a questoconcetto di produttività è diA. Reati (2001), che laestende anche ad altrefunzioni neoclassiche di
produzione (come quellaCes– elasticità di sostituzionecostante).67. In letteraturasonostati
sviluppati molti schemi diflussi economici, capaci ditenere conto di tutti imoltiplicatori, salvo perquelli finanziari (conl’eccezione di Godley eMinsky). Non si tratta dimodelli di equilibrio, ma distrumenti per dar conto dellerelazioni tra (alcuni)
moltiplicatori e fornirestrumenti di decisione perl’azionepolitica.68. Individualismo e
ricerca dell’accumulazionenon sono la stessa cosa delconcettodiconcorrenzacomeaggressività:lanudaviolenzanon è necessariamente ilsegno del capitalismo che,come ha insegnato Marx,trasforma la violenza inrapporto giuridico; adesempio nel caso del
contratto di lavoro, chesostituisce la servitù, o nelbilancio aziendale, chegarantisce (?) la trasparenzadelle decisioni.Ciò non vuoldire che il capitalismo nonproduca immense crisi,guerre, tragedie collettive eindividuali, insieme aesplosioni di benessere, maciò deve (dovrebbe?) sempreavveniresottoilsegnodiunaqualchelegittimitàformale.69. La coesione è una
particolare versionedell’empatia, dellabenevolenza di Hume eSmith, dell’armonia diLeibnitz: non si tratta diun’ipocrita correzionedell’egoismo, ma di unpostulato necessario aifilosofi empiristi perammettere il velo diignoranza di Smith insiemeall’esistenza della società. Seisingoli,mossidall’egoismo,non conoscono gli effetti
delle proprie azioni, si perdela possibilità dello scambio,che si afferma in ragionedell’empatia tra soggettiegoistici (altrove, l’hochiamata indulgenzareciproca). Baumol, comeabbiamo visto, sostituisce lasolitudine dell’utilità conl’invidia, che è rapportosociale, come l’empatia, mameno consolatoria. Lafilosofia tedesca (compresoMarx, che trasforma
l’egoismo in sfruttamento,non certo un analogo dellabenevolenza) ha fattogiustiziadiquestipostulati,eli ha sostituiti con la leggemoralediKanto con ilgeisthegeliano, ma il concetto dicoesione è rimasto come unsostituto del concetto disolidarietà.Nonèuncasochel’UnioneEuropea–insiemeatanti partiti conservatori elaburisti – l’abbia adottatoperché, pur
inconsapevolmente, i trattatiliberoscambisti avevanobisogno di qualche postulato(in questo caso, sì, ipocrita)per tenere insieme gliindividui utilitaristici;altrimenti avrebbe ragioneHobbesesarebbegiustificatoil potere assoluto. Per unarassegna vedi A.K. Sen e B.Williams (1984). LaCostituzioneitaliananoncadenel tranello individualista efonda sul lavoro (la
solidarietà) la sovranitànecessaria per tenere insiemeindividui e società: unamagnifica invenzione controla quale si muovonocostantemente i capitalistianarchici.70. Il concetto di
collettivitànonèbendiscussoin economia. Si può dire –vediP.Leon(2007),op.cit.–che essa non è somma diindividui o di loro gruppi, enonènemmenolasocietà.La
collettività è piuttosto lavisione della società ai suoiconfini, sia essa capitalisticaono.Lacollettività,laforestavergine di Marshall, è ungiudizio, non un’entità, e ilsoggetto del giudizio non èpersonificato se non nelloStatoesoloacondizionechequesto rispetti il giudiziocollettivo. Ma non ènecessario che lo Stato operieffettivamente come l’agentedella collettività. Non c’è né
Hegel né un Leviatano, e diStati pessimi ne è piena laStoria.Direchelacollettivitàè la visione della società aisuoi confini, significa che algiudiziocollettivointeressanol’agire individuale e quellosociale solo se loindebolisconoo lonegano; ilgiudizio collettivo nonriguarda la titolarità dellaproprietàdeisuoimembri,nél’ingiusta distribuzione direddito e ricchezza, né la
disuguaglianza, né ciò che isuoi membri scambiano traloro – a meno che ciò chefanno non determiniun’esclusione dei suoimembri dalla società:l’esclusione è l’unica portasul confine della società,perché ladisgrega. Insintesi,selacollettivitàèungiudizio,il tema del giudizio è la nonesclusione. È sorprendente,perciò, che non vi sia stataun’elaborazione economica
intorno al concetto dicollettività.71. Hobsbawm
obbietterebbe a questaperiodizzazione, ma quil’economiaconta.Ilegamitrale due storie, quella delsecolo breve e quella delcapitalismo, sono ovvi, madifficili da dipanare per chi,come chi scrive, non è unostorico.72.Fraitantilibridistoria
economica contemporanea, è
utileP.Armstrong,A.GlyneJ. Harrison (1984-91).L’impostazione di questolavoro è marxiana (unomaggio a Paul Sweezy), emolte interpretazioni,soprattutto del periodo dellaGrande Inflazione, divergonoda quelle qui esposte.Tuttavia, una vera storiaeconomica del secondodopoguerra, con dati edelementidi fattocomequellacitata,èraraecostituisceuna
fonteimportanteperlaletturadelperiodo.
CAPITOLOV
1.LabennotaleggeGlass-Steagalldel1933negliUsa,esu quella falsariga, la leggebancaria italiana del 1936.Nella Germania nazista,Schacht praticò un sistemapiù complesso, ma cheprevedeva sempre la banca
centrale come creditore diultimaistanza.2. Poiché il signoraggio
assomiglia a una tariffa,l’opinione «libertaria» loritiene una truffa,ignorandone il significatoeconomico. Mi sembra siastatopocostudiatoilrapportotra signoraggio edistribuzionedelreddito.Seilsignoraggio si puòconsiderareuna tariffa,allorala sua incidenza è
proporzionale, ma allaricchezza, non al reddito, eciò spiega l’opinionelibertaria, da sempre legataalla sacralità della proprietàprivata e, perciò,all’accumulazione. La naturafiduciaria della monetaimplica che non vi è uncapitale a garanzia, e chi lausa rinuncia a quellagaranzia: una perditainvisibile in conto capitale,che è tanto maggiore quanto
maggiore è l’uso dellamoneta; non vi è dubbio chequestousosiainproporzionemaggioreperiricchicheperipoveri,mapoichélaperditaèinvisibile, i ricchi non sannodipagarneloscotto.3. C’è una biblioteca sulle
cause della GrandeDepressione, perché se sisostienecheessaderivavadaerrori di politica monetaria(come pensava Friedman), sipone in secondo piano la
causa della cattivadistribuzione del reddito, ecioè una causa «reale», nonmonetaria o finanziaria.D’altraparte,sesiritienechela politica monetaria erasbagliata, e che unamigliorepoliticaerapossibile,alloraloStatointerventista,fieramenteavversato,eranecessario.4. Pur affidandosi
all’efficienza marginale delcapitale, per la quale unariduzione del tasso di
interesse (e perciò unaumento della quantità dimoneta) ha effetti espansivi,Keynes stesso scrive che ladomanda effettiva non variainproporzioneallaquantitàdimoneta, nella TeoriaGenerale al cap. XXI. Nelsuo blog, Paul DavidsonricordaquantoKeynesspiegòa Roosevelt: «Se vuoiingrassare, non servecomprare una cintura piùlarga».
5. Perché una stretta delcredito riduce ilfinanziamento dei costi diesercizio delle imprese che,perciò, devono ridurreproduzioneeoccupazione.6. È uno dei paradossi
dell’economiadelNewDeal:sibatte l’oligopoliobancario,e perciò si liberalizza ilmercato, ma lo si regola,limitandol’attivitàbancariaalbreveperiodo.7. Molto è stato scritto
sulla moneta come fruttodello stato patrimoniale, nelsenso della necessità per lebanche di accumulare riserve(passivo) per poter generareimpieghi. È proprio questanecessità che viene meno o,meglio, è trasformata in unodei poteri delle banchecentrali e dei governi.Ricordo che il New Dealintrodusse anche la garanziadeidepositiincontocorrente,attraverso la Federal Deposit
Insurance Corporation, inmanopubblica.8.Ilbenepubblicoè«non-
rivale», e tutti possonoaccedervi senza che ogniutente ne faccia aumentare ilcosto di produzione.L’attività bancaria, invece, èun servizio rivale, perché iprestiti sono concessi solo achifornisceunagaranzia.9. R.A. Musgrave (1959).
Questi beni (o mali) sonoquelli che i singoli individui
non sono in grado diriconoscere, perchéinconsapevolideglieffettidelloro uso. Musgrave importanella finanza pubblicaanglosassoneconcettiderivatidalla praticasocialdemocratica europea,prima di lui sconosciuti ineconomia. In precedenza,l’intervento pubblico perovviare all’incapacitàtelescopica degli individuisugli effetti sociali delle
proprieazionieraconsideratasolo una manifestazione dipaternalismo, quasiun’usurpazione dei dirittiindividuali. La praticapolitica, anche prima diMusgrave, era ovviamentediversa, ma solo con questoautore si dà una spiegazioneall’intervento pubblicocorrettivo dei comportamentiindividuali.10. Il Securities Exchange
Act èdel1934, sempreparte
delNewDeal.11. Un modello di
equilibrio generale non ècapace di distinguere questedue classi di capitalisti: nonsembracosasempliceinquelcontesto, dato che i profittidei capitalisti finanziari sonoun costo per quelli «reali» elamassimizzazione dei primiimplica la massimizzazionedei secondi. Nei modelli diequilibrio, lamassimizzazione del profitto
delproduttorenon implica laminimizzazione dell’utilitàdelcompratore.12. Istituito dal Wagner
Act del 1935 che, tra l’altro,incoraggiavalacontrattazionecollettiva.13. Ricordare questa
caratteristicadiunmercatodipiena occupazione fa anchevenire in mente che, neimodelli di equilibrio non haimportanzase la forza lavorosi licenzia o si dimette: la
disoccupazione è semprevolontaria. Se, infatti, lamobilità della forza lavorofosse nelle mani dellavoratore, la regola aureanonpotrebbeessererispettata(stavolta dai lavoratori), maciò è impossibile inequilibrio.14.ÈlaleggeTaft-Hartley
del 1947 che proibì scioperidi solidarietà, il «closedshop», e l’iscrizione deisindacalisti al partito
comunista.Algovernofuronoattribuiti poteri antisindacaliincasidinecessitàeconomicao sociale. Su questo, vediArmstrong, Glyn e Harrison,op. cit. Non era solo laGuerra Fredda a spingere igoverniamericanialimitareilpotere sindacale, ritenutoveicolodelpartitocomunista;probabilmente, l’egemoniapubblica, tipica del periodobellico, non poteva reggeredavanti all’imponente
sviluppo dell’industria,provocato proprio dallaguerra.15.Manellasecondametà
dell’Ottocento, Bismarck eNapoleone III avevano giàconcesso i primi elementidellostatosociale,alloscopoditogliereconsensoequalcheargomento di protesta ainuovi partitisocialdemocratici.16. Il «Fair Deal» di
Truman,la«NewFrontier»di
Kennedyela«GreatSociety»di Johnson hanno fatto solopassi parziali in questadirezione (Medicare,Medicaid).17. Forse anche sulla
natura giuridica delleorganizzazioni di welfare: inEuropa soggetti di dirittopubblico, negli Usa societàassimilabilialleassicurazioni,con l’eccezione della SocialSecurity.18. Ritengo che nella
Costituzione italiana i dirittifondamentali di libertàindividuali riposino suidirittisociali – alla salute,all’istruzione,allaprevidenza,percitarnesoloalcuni–chealoro volta sono i diritti deilavoratori. Assicurando talidiritti, si tende a creare lapienaoccupazione,chenonèperciòunapoliticaeconomicadiretta. Se si eccettua ilcontributo di Federico Caffèalla Costituente, il pensiero
keynesiano era assente, mal’esigenza rappresentata daKeynes è presente in formaindiretta: «La Repubblica èfondata sul lavoro» e non sudiritti che, in altrecostituzioni, si dichiaranoinalienabili – ed è perciòdubbiocheabbianosemprelaforza sufficiente perautoaffermarsi.19. In Italia tutto avviene
piùrapidamente,inunquadrodi forte repressionepoliticae
sindacale giustificato dallapresenza del partitocomunista, e genererà ilfamoso«boom»economico.20. La Corte Suprema
aveva dichiaratoincostituzionale il NationalIndustrial Recovery Act del1933, che concedeva ampipoteri di intervento su prezzie salari per contrastare ladeflazione, e istituivaun’amministrazione appositaperdirigerelaspesapubblica
anti-crisi; la stessa leggeaveva già riconosciuto ildiritto alla contrattazionecollettiva dei sindacati, poiconsentita dopo il 1935(all’epoca, il tasso didisoccupazioneera intornoal25%). La Corte Supremafaceva prevalere il dirittoprivato suldirittopubblico, eil dirittodegliStati suquellofederale.21. È la cosiddetta
«Treasury View» che
sosteneva l’inutilità di unapolitica per l’occupazioneattraverso i lavori pubblici,perché considerava date lerisorse disponibili perfinanziarli – nuovi lavoripubblicileavrebberosottratteadaltriusiproduttivi.22. La Thatcher cercò più
tardidiintrodurreun’impostacapitaria(la«PollTax»)cheèugualepertutti.Nederivòunrigettodimassa,ancheperchéessa si aggiungeva
all’imposta progressiva. Ingenerale, un’imposta in cifrafissaèsempretroppogravosaper i redditi bassi e troppoleggera per i redditi elevati,ma poiché i primi sono piùnumerosi dei secondi,l’impostaèdepressiva.23. In Europa e nei Paesi
del Commonwealth furonodecise moltenazionalizzazioni persalvaguardare le grandiimpresedalfallimento.
24. Roosevelt, durante laguerra, portò l’aliquotamassima dell’impostapersonale sul reddito oltre il90%,ridottaal70%nel1964e, dopoReagan, al 28%.NeiPaesi scandinavi, l’aliquotamassimahaoscillatotrail50eil70%.25. Se ne sono occupati:
W. Salant (1942), T.M.Haavelmo (1945) e P.A.Samuelson (1945). L’idea diquesti autori era che
l’aumento delle impostenecessario per equilibrarel’aumento della spesadeterminasse una riduzionedel risparmio (deltesoreggiamento) deicontribuenti,facendolievitareil moltiplicatore. Il concettoesposto nel testo è forse piùsolido, perché l’aumentodelle imposte riduce ilrisparmiodellefamiglie,maèaltrettanto probabile che neriduca prima la spesa,
soprattutto se la famiglia èindebitata e deve risparmiarequanto necessario per ilserviziodeldebito.26.Un deficit strutturale è
indice di offerta internainsufficiente rispetto alladomanda internazionale(tasso di cambiosopravvalutato); un avanzostrutturale è indice didomanda insufficienterispetto all’offertainternazionale (tasso di
cambio sottovalutato): ogniriferimento alla situazionedell’Unione Europea non ècasuale.27. Il General Agreement
on Tariffs and Trade fudecisoalleNazioniUnitenel1947, ma avevacaratteristiche diverse dalleistituzioni di BrettonWoods,perché pur sulla via dellaliberalizzazione delcommercio mondiale, leresistenze, soprattutto degli
Usa,furonorilevanti,enonsiriuscì a caratterizzarel’accordo come una veraistituzione. Solo nel 1995,dopo lunghi negoziaticominciati a ridosso delleriforme Reagan-Thatcher, èstata creata l’OrganizzazioneMondialedelCommercio,mail disegno di Bretton Woodseragiàsaltato.28.Sispiegaanchecosì lo
scarso rilievo dello statopatrimoniale nelle decisioni
aziendali e la continuatadebolezza del motivodell’accumulazione.29. Bisogna aggiungere
che ilPianoMarshalloffrì alcapitalismo americano – e aquellodelmondooccidentale– un modo per usciredall’economia di guerrarafforzandol’autonomiadelleimprese e la loro capacità dioperare sul mercatointernazionale, dopo il lungoperiodo di protezionismo e
autarchia.30. In Italia, nel 1963,
governo e banca centraleeffettuarono una manovra diquesto tipo che, permantenere il cambio fisso,fermò il «boom» postbellico,creò rapidamente fortedisoccupazione, e pose forseuna delle premesse per lareazionesindacaledel1969.31. Roosevelt riuscì alla
fine a rovesciare lamaggioranza conservatrice,
ma il giudice principale,Frankfurter, benché «liberal»e a favore dell’interventofederale, restò un fervidosostenitoredelladivisionedeipoteri tra il governo federaleeisingoliStati.32. Vedi il classico A.A.
Berle e G.C. Means (1933).Gli studi economici si sonoconcentrati sulle economiediscala,anchepercontrastarelavisione neoclassicadell’impresa, che presenta
sempre costi marginalicrescenti. Vedi il più anticodegli studi in proposito:R.L.Hall e C.J.Hitch (1939),main realtà il primo fu Kahn(1929), cit., che propose unacurva piatta dei costimarginali, che si impennadopo il raggiungimento delpieno utilizzo della capacitàproduttiva da partedell’azienda. Lavori statisticipiù recenti hanno mostratouna prevalenza di costi
marginali costanti odecrescenti; vedi A. Blinder(1998).Naturalmente,sitrattasempre di indagini ex post,che nulla dicono sullacapacità delle imprese dicreare o profittare dieconomiediscala(odinuovetecnologie superiori, vedipiùavanti).33. La Tennessee Valley
Authority è rimastaun’eccezione.34.Eisenhowerdenunciòil
«complesso militare-industriale»che,attraverso lecommesse per la difesacausate dallo scontro conl’Unione Sovietica,determinava rendite e losviamento delle politicheeconomicheantitrust.35. Il termine è di A.
Gramsci (1934), chericonosce virtùmacroeconomicheall’egoismo della grandeimpresa(HenryFord).
36. Nemmeno nel regimesovietico Keynes avevaspazio. Si può inveceimmaginare che leelaborazioni del pianificatoresovietico S.G. Strumilin(1945) siano state un primotentativo di introdurre iprincìpi dell’economianeoclassica nellapianificazione sovietica, datoche si ammette un tasso disconto, e perciò di interesse.Lo scopo era di mostrare,
comefaràanchel’economistapolacco O. Lange più tardi(1953) utilizzando unafunzione di produzioneaggregata neoclassica, chelavoro e capitale sonosostituibili e la flessibilità diprezzi e quantità determinal’equilibrio: lo Stato è ingrado di tenerne conto nellapianificazione invece diragionare solo in termini diquantità. Il paradosso è che,se i fattori e i prezzi sono in
equilibrio, non c’è alcunbisognodelpianificatore.37. Mi sembra che molti
sociologi e gli economistiistituzionalisti pensino chel’oligopolio in un’economiadi mercato sia un’istituzionee, in quanto tale, sia unsoggettodipolitichegenerali,capaceditrasformareilmicroinmacro.Nonè così, perchél’oligopolista farà sempre ipropri interessi e non quellidella collettività, che
nemmeno conosce: èdiventato oligopolistasconfiggendo altriimprenditori. D’altra parte, èvero che l’oligopolio èun’istituzione, nel senso cheriempie un ruolonell’economiaenellasocietà,ad esempio provocandoprogresso tecnico e nuovibeni e servizi. Forsemanchiamo di unadeontologiadell’oligopolista.38. Henry Ford è sempre
citato come il capitalista chesachelavenditadelleproprieautomobili dipenderà daisalaricheeglistessopagherà:furaraavis,nonunesempioper altri. Si trattò di unaposizionepaternalisticacheloporteràasimpatienaziste.39. Ho trattato in P. Leon
(2007),op. cit., il pluralismoeladivisionedeipotericomeun parziale rimedioall’incertezza,perchéidiversiruoli indicati agiscono anche
sulla base della propriadeontologia,chenonèquelladelmercato–comesicuranoipoverigratuitamente,così lisi difende in tribunale –perché dà luogo acomportamenti necessitati,non soggetti a incertezza. Èforse il pluralismo, ancor piùdella solidarietà, chesostituisce la benevolenza diHume,SmitheLeibnitz.40.J.M.Keynes(1940).41. Il signoraggio diventa
internazionale, e l’oroconservatoaFortKnoxservesolo a evitare che crolli ilprezzodell’orosulmercato.42. Molti hanno attribuito
l’inflazione a due cifre – dicui riparleremo – alla guerranel Vietnam finanziata conl’emissione di dollari e nonconlatassazione.43.A.W.Phillips(1958).44. È il Nairu («Non
AcceleratingInflationRateofUnemployment») amato
anche dai laburisti. Moltikeynesiani sostenitori dellapolitica dei redditi nonriuscirono a combattereefficacemente questaelaborazione, e glipseudokeynesiani l’hannotalvolta fatta propria. Unarassegna bilanciata, chesottrae la curva al contestoneoclassico cui appartenevanegli anni Settanta, è di A.Palumbo(2010).45. All’epoca si citava
spesso l’apologo del cane,che è felice quando agita lacoda, ma non se tu glielaagiti.46.Sonomoltoinfluenzato
dall’esperienza italiana, doveil fenomeno è statoclamoroso; ma in scaladiversa, l’effetto del cambiofluttuante sulle relazioniindustriali si è visto in tutti iPaesi nei quali il sindacatoera forte. Due grandieccezioni: gli Usa, dove il
deficitesternoèfinanziatodalresto del mondo, e laGermania (pursindacalizzata), perché inquesto periodo si rafforzal’eccezione tedesca, con ilmarco che aspira apromuoversi come valuta diriserva in sostituzione deldollaro. Le ragionidell’efficacia della politicatedesca stannonellepoliticheinflative dei Paesi europeicon i quali la Germania
commercia: da quellesvalutazioni ricava input abassocostocheleconsentonodimantenere la competitivitàpur rivalutando il tasso dicambio.Daquestomomento,la politica tedesca noncambierà più, salvo per lasvalutazione implicita, giàricordata, del marconell’euro.47.Bendimostratodatassi
diinteresserealinegativi.48. Reagan dichiarerà che
lasuaconversionedaardentesostenitore delle politicherooseveltiane a neofita diquelle di estrema destra eraderivata dall’eccessodell’aliquota massimasull’imposta personale suiredditi.49. Vedi W.H. Beveridge
(1948). Le idee del liberaleBeveridge verrannomesse inpraticadallaburistaAttlee.50. Il sindacato italiano,
nel momento di maggior
forza contrattuale, effettuauno scambio tra lamoderazione salariale da unlatoe l’estensionedello statosociale e l’indicizzazione deisalaridall’altro,privandosidinotevoli spazi dicontrattazione, mentreindirizza le proprierivendicazionisull’organizzazione dellavoro.Glieffettideltassodicambio erano ignorati: ilsindacato attribuiva a se
stesso il particolare rapportoconicapitalistiscaturentedalcambio fluttuante. NellaStoria successiva, i risultatiottenuti nell’estensione dellostato sociale universale sonostati attribuiti allamoderazione salariale, equesto scambio è diventatounapoliticadilungoperiodo,anche quando l’estensionedello stato sociale si èarrestata, e la moderazioneera ormai solo un infelice
«premioasestessa».51. In Svezia, il partito
socialdemocratico propose il«PianoMaidner»,cheoffrivala moderazione salariale incambio del controlloazionario dei lavoratori sulleimprese più grandi, unmodopertutelarel’occupazione.Lastoria economica dei Paesinordici è differente da quelledel resto d’Europa e degliUsa: per tutto il periodo igoverni socialdemocratici
continuano le politichepostrooseveltiane,mantengono la pienaoccupazione, lo stato socialeuniversale, la forteprogressività dell’imposta suiredditidellefamiglie.52. Molti conservatori
americani, evidentementeinconsapevoli, brindaronoalla notizia della morte diRoosevelt.
CAPITOLOVI
1.VediM. Friedman eA.Schwartz(1963).2. «The government is the
problem» – di qui lederegolamentazioni, leprivatizzazioni, l’ostilità alsindacato e le regole perridurreildirittodisciopero.3. «Value for money»,
ovvero, il finanziamentopubblico si giustifica solo interminidimercato.
4. Le date rilevanti sonoquelledegliaccordidelPlazadel 1985 e del Louvre del1987 sulla regolamentazionedei tassidicambio; il1987èanche un anno di crisifinanziaria, forse legataproprio all’accordo delLouvre; il 1991 è anno dicrisidiborsa;il2000èl’annodella completaliberalizzazione dei mercatifinanziari; il 2001 è l’annodella crisi generata
dall’attacco alle TorriGemellediNewYork.5. Si vedano G.G.
Kaufmann(1988)eJ.Kregel(2010).6. Il tema
dell’indipendenza dellebanche centrali dal poterepolitico non è moltoapprofondito in letteratura.Già M. Friedman (1962)avevaindicatounapreferenzaper l’indipendenza dellebanchecentrali,maconmolte
riservesullaloroconseguenteirresponsabilità.Unarassegnautile è di J. Bibow (2010),che assegna lageneralizzazionedell’indipendenza alla finedegli anni Ottanta, maindividua nella politicatedesca degli anni Cinquantauna versione originaria dellenuove norme; in Italia,l’indipendenza è sancita perviaregolativagiànel1981.Èstato affermato che fino agli
anniSettantasolo laFede laBundesbank eranoeffettivamente indipendenti,ma mentre per la Germaniaciò è vero (salvo per il fattoche governo e Bundesbankcondividono la stessa teoriaeconomica), per gli Usacertamente no, visto che dalNew Deal in poi Fed egoverni hanno coordinato leproprie politiche. A. Alesinae L. Summers (1993) hannosostenuto che l’indipendenza
causa risultati economicipositivi, nel senso che unapolitica monetariaantinflazionistica (e cioèdepressiva) non ha costimacroeconomici. La crisirecente ha smentito questaconclusione (e Summers sene è reso conto). Occorreanchedirechel’indipendenzadelle banche centrali è uninvolontario strumento per lacreazione di monetaendogena, fuori dal controllo
delle stesse banche centrali(vedipiùavanti).7. Come osserva T.K.
Rymes (1995-96), ridurre lapolitica monetaria al soloobiettivo della stabilità deiprezzisignificaritenerechelamonetasiavelo.8. Tuttavia, i Paesi in
surplusdidollari li investonoin titoli Usa, compresi quellipubblici, e ciò fa crescere laquota di debitoUsa detenutoall’estero:ildebito,peraltro,è
protetto dal pericolod’insolvenza per la capacitàdella Fed di emettere dollariadlibitum.Nonsose il temaèstatodiscusso,malanaturainternazionale del dollarorende inevitabile un qualcherapporto di mutuacollaborazione tra Fed egovernoamericano.9. Con modeste eccezioni
per loyene ilmarco tedescoe, ancora per poco, nei Paesiex coloniali, la sterlina e il
francofrancese.10.VediM.FriedmaneA.
Schwartz(1963),op.cit.11. Se l’ispiratore fu
Friedman, la nuova politicamonetaria della regola fissaera stata teorizzata da F.E.Kydland e E.C. Prescott(1977).12. Questo era l’obiettivo
politico dei governiconservatori. La teoria disostegno, sempre diFriedman, immaginava
l’esistenza di un tassonaturale di disoccupazione,non dipendente dalladomanda effettiva – che perFriedmanèconcettoinutile–ma dalle rigidità delmercatodella forza lavoro, e dunquedel sindacato. La riduzioneimprovvisa della domandaeffettiva, contrariamente allateoria, fece aumentare ancheiltassodidisoccupazione,mamolti ritenevano, all’epoca,che proprio il maggior tasso
di disoccupazione fosse«naturale».13. O. Blanchard e F.
Giavazzi (2003) dimenticanodi attribuire alladeregolamentazione delmercato della forza lavoro ilpeggioramento nelladistribuzione del reddito. Laregolaaureaè spessoassentenei lavori dei liberisti, anchese è una necessità logica deiloromodelli.14. Ricordo qui la politica
economica di BeniaminoAndreatta che in quegli anni,con solo tre mosse –l’indipendenza della Bancad’Italia dal governo, ilcambio (tendenzialmente)fisso nel sistema europeo, lageneralizzazione della CassaIntegrazione Guadagni –pensò di battere l’inflazioneadattando all’Italia unavariante del modelloreaganiano, ormai divenutointernazionale. Il divorzio tra
Tesoro e Banca d’Italiaavvenne formalmentesoltanto con la nuova leggebancaria del 1993; maAndreatta, Ministro delTesoro, nel 1981 concessealla Banca d’Italia di venirmeno all’intesa chel’obbligava a garantire lacollocazionedeititolidiStatonelle aste.Nonostante questaazione, Andreatta non smisemai di guardareall’occupazione come a un
obiettivo macroeconomico;semmai reagiva al fortepoteresindacale.15. Solo molto più tardi,
maprimadellacrisi2007-08,si chiarì il vero ruolo dellebanche centrali, vedi L.R.Wray(1998).16.J.B.Taylor(1993).17. Proprio la natura del
dollaro rende indirettol’interventosuitassidellaFedche, per essere efficace(almeno nella fase di
restrizione) deve attendere laretroazione dal resto delmondo. Un’analisi moltochiara del ruolo del dollaronel sistema monetariointernazionale è in Biasco(2010), che illustra come glisviluppi successivi nellacreazione di monetaendogena siano parte di una«storiaamericana».18. La Glass-Steagall fu
formalmente abrogatasoltanto nel 1993, con il
Financial ServicesModernization Act; è lostessoannodellanuovaleggebancaria italiana, MinistroCiampi, che ha un’analogamotivazione. Negli Usa, lariduzione della separazione,iniziata con esitazioni fin dalsecondo dopoguerraattraverso eccezioniregolamentarie, consentivaalle banche di acquistare(speculando) titolimunicipaliefondicomuni,ediampliare
i servizi finanziari attraversoil riconoscimento di banchecome società holding diattività finanziarie.L’accelerazione avvienetuttavia negli anni Ottantacon le nuove politicheliberalizzatrici: importantifurono il DepositoryInstitutions Deregulation andMonetary Control Act del1980, il Garn-St. GermainDepositoryInstitutionActdel1982 e il Competitive
Equality Banking Act del1987.Del resto, quelle eranoattività bancarie, consentitedalungotempo,delleSavingsand Loan Associations, poicausadicrisi.19. Quest’ultima
affermazione non è semprevera, se le societàd’investimentoegliagentidicambio speculano contro lebanche, delle quali sonoanche clienti: mi sembrachiaro, pur con il senno di
poi, che, quando laregolazione del sistemabancario è cambiata, nonerano state affatto previstetutte le circostanze che nesarebberoderivate.20. L’aumento della
liquidità del sistemaeconomico nazionale nonavrebbe avuto effetti, masarebbeaumentatalaliquiditàinternazionale, la cuidomandacrescevaproprioperla globalizzazione. In questo
modoaumentavaildisavanzocorrente esterno degli Usa,ma aumentava l’investimentodall’estero, compresol’acquistodibuonidelTesoroUsa, checoprivanounapartedel deficit derivante dallaspesapubblica.21. LaBanca d’Inghilterra
ha però mantenuto legamicon le politiche economichedei governi.È strano che neidue maggiori mercati deicapitali, dove è ampia la
libertà d’azione, le banchecentrali mantengano unaresponsabilità di politicaeconomica:forseèunresiduodel passato, dovutoall’opportunismo dellapolitica, più che unaparticolarità del nuovocapitalismo, a meno che lanaturafiduciariadeldollaro,ela sua emissione per il restodelmondo,nonabbiacreato,nel nuovo capitalismo, unaparticolare responsabilità
degliUsa,einquestocaso,lasterlina sarebbe soltanto unsurrogato del dollaro, ancheperché per la Gran Bretagnal’obiettivo della pienaoccupazione non ha, invece,alcun corso. Non hoapprofonditolaquestionechenon mi sembra sia stataanalizzata.22. La natura di questa
divergenza rispetto alla Fednon è stata studiata: èprobabile che nel Trattato di
Maastricht sulla monetaunica, un obiettivomacroeconomicocomequellodell’occupazione avrebberidotto eccessivamente lasovranità degli Stati membri(Germania e Francia).Tuttavia, un riferimento apolitiche economichedell’Unione,comeobiettivoovincolo, è presente nelTrattato, e un’interpretazionebenevola potrebbe utilizzarlocontroletesidell’austerità.
23. Il leverage, giàricordato,èsemplicemente laquantità di debito che si puòottenere da una data quantitàdicapitale.24.NeiGrafici12ae12bè
illustrataladivergenzatraduediverse definizioni dimoneta(M1 e M3), che divergonoper la liquidità apparente deititoli:sitrattadiunasempliceapprossimazione per difettodello sviluppo impetuosodellamonetaendogena,come
ben illustrato nelGrafico 13,sulla crescita davveroimponentedeiderivati(dicuipiùavanti).25. Questo spiega la
riluttanza dei governi aregolare la speculazione alloscoperto: lo si fatemporaneamente, ma non sipuò sopprimerla finché ilsistema bancario è quelloprivato,appenadescritto.26.Minsky(1993)descrive
in poche lucide pagine
l’innovazione finanziaria,stimolata dalle banche. PerMinsky, l’innovazionefinanziariaèunacaratteristicastrutturale del capitalismomoderno,anchesenededucoche l’autore non avrebbedefinito capitalistico ilsistema bancario all’epoca diRoosevelt. Minsky attribuivaa Keynes l’analisi dellafinanza capitalistica –osservazione corretta, madimenticava che proprio la
concezione di Keynes è allabase dell’innovazione«antispeculativa»rooseveltiana.27. Traduzione impropria,
perché tutti i membri delmercato speculano; gli hedgefund sono solo speculativi apiùlargospettro.Questifondinascono alla fine degli anniQuaranta, ma hanno avuto ilprimo sviluppo proprio con icambi fluttuanti, sui quali laspeculazione esercitava
un’influenzamolto grande: èla storia della sterlina, delmarcoedella lira traglianniSettantaeglianniNovanta.28. Si chiamano «swap»
tutteleoperazionidiscambiodi titoli contro titoli: sonosempre prestiti, ma non inmoneta.29.Nel1986fuabrogatala
RegulationQ,chedelegavaalgovernoilpoteredifissareunlimitealtassodiinteressesuidepositi, ma, come abbiamo
visto, già nel 1980 gli StatiUniti avevano cominciato aderegolamentare il settorebancario.LaGlass-Stegall fupoi abrogata nel 1999, dalPresidenteClinton.La nuovaderegolamentazione rendevapossibile per le banchecommerciali utilizzare idepositi dei clienti peroperazioninell’interessedellestesse banche. Nemmeno ilTestoUnicoBancarioitalianodel 1999 proibisce queste
operazioni, ma è forse piùattento al conflitto diinteressi.30. Keynes ne era
perfettamente consapevole:«Quando la moneta è scarsavengono scoperti dei modiper aumentarne l’effettivaquantità», Teoria Generale,cit.,p.273.31.S.Keen(1995)anticipa
glieventidelcrollodel2007-08, basandosi sull’ipotesi diMinsky in merito
all’instabilità strutturale delcapitalismo. L’ipotesi diMinsky-Keenèche,qualesiala causa iniziale del «boom»borsistico, la crescita delvalore dei titoli è piùimportante del redditopromessodagli stessi titoli; èl’aspettativa del maggiorvaloredei titoli che riduce laseverità dei vincoli bancarisuiprestitiepreparalastradaper l’insostenibilità del pesodeldebito.Questaipotesi,che
è identica a quella propostanelle pagine del testo, non sispinge a identificare la causadel «boom» né la nuovamoneta endogena, e lasciaindeterminata la causaprofonda e il momento delcrollo, come si vedrà piùavanti.32. James Tobin (1956)
generalizza la nozionekeynesianadiliquidità.Tobinè stato spesso criticatoperché,togliendoallamoneta
l’esclusiva della liquidità,indeboliva la preferenzakeynesiana, ricostruendo unaforma dimoneta velo. Pensoche la liquidità di Tobin,invece, vista come monetaendogena, sia l’esattocontrario della moneta velo.Del resto, il RadcliffeCommittee Report on theMonetary System del 1957-59, che rendeva ufficiale lanozione di moneta comeliquidità, aveva Cairncross,
unkeynesiano,tragliautori.33. È il già ricordato
effetto dell’aumento(riduzione) del tasso diinteresse sulla riduzione(aumento)delvaloredeititolia reddito fisso, che sitrasmettepoialvaloredituttiititoli.34.SonoconfortatodaJ.R.
Hicks (1980-81), cit., chesostiene come sia errato ilconcetto di Keynessull’efficienza marginale del
capitale quale unico legametra la finanza e l’industria,perché in quell’ipotesi unmutuatario potrebbeprenderea prestito tutto ciò chedesidera, senza riguardo allagaranzia da offrire per ilprestito.35. Siamo forse vicini alla
mutazione del tasso diinteresse in un tasso direndimento, giustificando ladistinzione tra tasso naturalee tasso di mercato, ma in
Wicksell, al crescere delvalore dei titoli, il lororendimento diminuisce. Puravendo scoperto la monetaendogena, Wicksell nonl’aveva qualificata comecapitale.36. Nel trattamento della
preferenzaperlaliquidità,c’èforse in Keynes una criticaimplicita della teorianeoclassica del risparmio –aborrita dal nostro autore.Cisimantieneliquidiinattesadi
un’opportunità futura: è un«waiting» che ricorda ilsacrificio dell’individuo cherinvia il consumo perguadagnare un premio (iltasso di interesse), e anchechi è liquido oggi si attendeunpremioperlaliquiditànoninvestita. Keynes, però, fauscire dalla finestra ilrisparmio come funzione deltassodiinteresse,unconcettosolamente psicologico eintrospettivo,perfarrientrare
la preferenza per la liquidità,unconcetto«commerciale»eoggettivo, dalla porta. Puòanchedarsichelatrappolasiaun’estensione successiva allascoperta di Keynes (cuiinteressava il concettogenerale per distruggere lateoria quantitativa dellamoneta), perché ne farebbeun caso particolare dellapreferenza per la liquidità,che è invece una condizionegenerale (devo questa
precisazione a AntonellaPalumbo). Dobbiamoricordareche l’aumentodellaquantità di moneta non haeffetti sulla domanda, e sequesto aumento è ristrettodalla preferenza per laliquidità, si avranno soltantoeffettisultassodiinteresse,eperciòsuicostidelleimprese,non sulle loro vendite.Sarebbe diverso, se valessel’efficienza marginale delcapitale,chereagisceal tasso
di interesse: ma per noi, eanche per il Keynes piùriflessivo sulle crisi, non ècosì.Sonomoltiicasi,anchenella Storia recente, attribuitialla trappola della liquidità:comelalungastagnazionedelGiapponeneglianniNovanta,che si perpetua nonostantepolitiche monetarie moltopermissive; ma è arduoritenere che la trappolagiapponese fosse unfenomeno di speculazione
trattenuta nel lunghissimoperiodo. È più ragionevolepensare si trattasse di undifettodidomandaeffettiva.37.Quanto più lungo è un
titolo, tanto più è facilecartolarizzarlo, mettendo sulmercato le cartelle del suoammortamento; un titolo abreve non lo consente oconsente una speculazionecomegiocod’azzardo.38.Lebanchecentrali,ein
particolare la Fed di
Greenspan,hannoutilizzatoiltasso di interesse quandohanno temuto un aumentoeccessivo del debito dellefamiglie: ma l’aumento deltasso non ha avuto influenzané sugli indici finanziari nésulla creazione di monetaendogena.39. Sono sicuro di dover
molto agli approcci di W.Godley e di H. Minsky che,come abbiamo visto,aggiungono la variazione del
debito come elemento delladomanda aggregata. Perun’appassionata difesa, siveda il blog di S. Keen(2012),checercadi illustrarecome una riduzione deldebito del settore privatoabbia causato una riduzionedel Prodotto Interno Lordo;se ne dovrebbe dedurre cheun aumento del debitocauserebbe un aumento delPil. Naturalmente, anchel’inverso può essere vero: un
aumentodelPil,cheaccresceredditiepatrimonipersonalieaziendalichefannolievitareilleverage, può generare unaumento del debito; e unariduzionedelPil,cheriduceilleverage, può generare unariduzione del debito. Orasappiamo che la nuovamoneta endogena non è altroche debito, ma che il suoaumento determini unacrescitadelPilvadimostratologicamente, se, come qui
sostengo, non si accettal’efficienza marginale delcapitale. In effetti, la nuovamonetaendogenaèlegataallacrescita delPilmondiale,manon nel modo pensato daglieconomisti citati, e lovedremo più avanti. In ognicaso, ilPaeseove il leverageèmaggiormentecresciuto,gliUsa, non è quello che vedecrescereilrapportotradebitodel settore privato e Pil. Neriparleremo, ma intanto vale
lapenaosservareche,poichéil numeratore delmoltiplicatore di Kahn-Keynes comprende giàl’investimento, è possibileaggiungervi il debito chefinanzierebbequell’investimento soloapplicando al moltiplicatorel’acceleratore(cheèl’effetto,già commentato,dell’aumento previsto nelreddito sulla domanda diinvestimenti), trasportando il
modello in un altro mondo.Anche per questi autoril’aumento del leveragedetermina nuova monetaendogena, della qualeillustrano i rischi di crisi.Rivedremo, perciò,l’importanza del lorocontributo. Dobbiamoricordare che l’ipotesi diMinsky è stata criticata peruna«fallacyofcomposition»,ovvero per il passaggiodiretto dalla micro alla
macroeconomia, per esempioattraverso la previsionemicroeconomica del futuroaumento del Pil. Per unarassegna, vedi E. Caverzasi(2013).Nonpensocheancheil ragionamento condotto neltesto sia soggetto a una«fallacy of composition»:l’economia dello statopatrimoniale aggrega icomportamenti, ma nonaumenta affatto laconsapevolezza
macroeconomicadeisoggetti.40. L’informatica, che è
unatecnicasuperiore(q.v.),èun bene pubblico soggetto atariffa; con questa tecnologial’informazione viaggia avelocità sempre maggiori, eapparentemente farisparmiare tempo nellacomunicazione; tuttavia,quando tutte le transazionisono informatizzate, lavelocità di trasmissioneconsente agli speculatori di
giocare su differenzeminimedi tempo, ed è proprio iltempo delle operazioni che,diventando sempre piùpiccolo, da abbondantediventascarso.41.VediE.Fama,op.cit.42. L’idea era che, in
quanto fondi speculativi, ilcapitale per l’ammissionedelle singole società dovesseesseremolto elevato; le cosesi sono dispostediversamente, poiché la
massa di transazioni «overthe counter» superalargamenteicapitalirichiesti;come abbiamo visto, i fondihedge «puri» non hannobisognodiriserve.43.NegliUsa,trail1983e
il 2012, le dieci banche piùgrandi vedono crescere ipropri depositi dal 30% al54%del totale.Ifondihedgemovimentano quantitàmaggiori di quelle dellebanche. Una parte del loro
gigantesco movimento (cheha oscillato a cavallo dellacrisi tra 800 e 600 milamiliardi di dollari) è soloapparente,perchéèlasommadella speculazione al rialzo eal ribasso, e del premio suidue lati del rischio nelloscambio.44.Sono leaspettativeche
si autorealizzano – «self-fulfilling expectations» –, unfenomeno normalenell’economiadelleverage.
45.L’incertezza,cosiddettafondamentale, perdistinguerla dalle diverseforme di rischio, è quellasituazione nella quale non sipuòcalcolarelaprobabilitàdiuneventoodell’effettodiunevento.Ladefinizione,chesideveaKnighteKeynes,nonèfruttodellastessateoriaperi due autori: il primo ritieneche l’incertezza sia anchefunzione dell’informazione,cheseèpiùriccalariduce;il
secondo, invece, guarda aun’incertezza irriducibile, perl’impossibilitàdianticipare ilfuturoremoto(unaspettodelvelodiSmith).Perentrambi,tuttavia, l’incertezza è negliocchi dell’individuo, èmicroeconomica, e orasappiamo quanto sia difficileaggregare le aspettativeindividuali: tra i due, ladefinizione di Keynes,tuttavia, poiché guarda a unfuturo che nessuno può
anticipare, è applicabile allageneralitàdegliindividui.46.L.J.Savage(1954).47. Sarebbe altrimenti
necessario che la probabilitàsoggettiva diventasseoggettiva e le introspezionideisingoliindividui,chesonocertamente diverse daindividuo a individuo, sicompensassero, e ognideviazione fosse casuale.Manonc’èalcunacertezzachelediverseprobabilità soggettive
si compensino, salvonell’ipotesi dell’agenterappresentativo o in quelladelleaspettativerazionali.48. Più recentemente, si
sono sviluppati i fondi di«private equity», con lostesso obiettivo del «venturecapital», ma con lacaratteristica di cartolarizzareil capitale dell’impresa incarico, per diluire i rischi emoltiplicare gli attivi, inquesto modo contribuendo a
emettere nuova monetaendogena.49. Anche le norme si
possono vedere come un ritoper parare l’incertezza: neicontratti si dice che «adimpossibilianemotenetur»,ele «impossibilia» sono unmodo di esseredell’incertezza.
CAPITOLOVII
1. Nemmeno l’UnioneEuropeasidistaccadaquestapolitica. Il problema, inEuropa, è che se siliberalizzano tutte letransazioni, allora l’originalemotivazione del MercatoComune – appunto, laliberalizzazione tra i Paesimembri – viene meno e sioscura il ruolo delle sueistituzioni, chehannocercatodi omologare il mercatointernoall’Unionealmercato
esterno. Ne deriva chel’Unione Europea si divideràpiù tardi tra i membri chefannopartedell’euroequelliche mantengono la propriamonetanazionale;questisonoliberi di utilizzare il tasso dicambio a fini competitivi, iprimi non hanno questapossibilità e se non hannoaltre fonti di competitività,sono costretti a svalutare laloromoneta-ombrae, cioè, ilcosto della forza lavoro,
accentuando la debolezzadella domanda effettiva e leloro economie di scala.Ancheiflussidicapitalesonoinfluenzati dalle diversesituazioninellamonetaunica.Se esistesse una verafederazione europea, unaqualche forma diridistribuzione tra Statimembri diventerebbenecessaria: ma è dubbio chein questo tipo di capitalismouna federazione sarebbe
realizzabile, perché icapitalisti guardano almercatoglobale,nonaquelloeuropeo.2. È il già ricordato
accordo del Plaza (settembre1985). Francia, Germania,GiapponeeRegnoUnito,congli Usa, decidono lasvalutazione del dollaro che,dopo la stretta monetaria diVolcker, si era rivalutato del50% rispetto alle altremonete. Fu anche la spinta
dei capitalisti americani performe esplicite diprotezionismo a convincereReagan a svalutare, anchecontro gli interessi dellafinanza americana che,dall’apprezzamento deldollaro, aveva goduto di unforte afflusso di capitalidall’estero. Nel 1987 seguiràl’accordo del Louvre che, alcontrario del precedente,doveva frenare lasvalutazione del dollaro. I
partecipanti, e in particolareGermania e Giappone,decisero misure di riduzionedel loro surplus nei conticorrenti con l’estero. Laconseguenza più chiara degliaccordi fu l’abbattimentorapidodeitassidiinteressesututtiimercati.Feceeccezionel’Italia che, per mantenereelevati i tassi di interessecome misuraantinflazionistica, feceimpennare il debito pubblico
fino a livelli mai primaraggiunti. In precedenza, e apartire dalla fine del goldexchange standard, moltiPaesieuropeiavevanocercatoaccordi che dovevano ridurrela fluttuazione nei rispettivitassi di cambio (il serpentemonetario del 1972, chemuore già nel 1974; ilSistema Monetario Europeodel 1978 che, con alternevicende, darà poi luogo allamonetaunica).
3. È un modello diequilibrio economicogenerale del commerciointernazionale di dueeconomisti svedesi. Laletteratura è vasta e moltocritica; la descrizioneoriginale del 1933 è in B.Ohlin(1967).4.Letecnicheapplicatenei
Paesiemergentiproduconodipiùancheperchémancano lestrozzature causate dallelegislazioni ambientale e
sociale, comuni nei Paesi divecchia industrializzazione:in questo caso, le tecnichenon sono superiori, ma sifondano sul dumping. Ingenerale,siamoinpresenzadiun vantaggio comparativoalla Ricardo. Tutti possonoprodurre tutto, ma ai Paesiricchi conviene specializzarsinella ricerca più che nellaproduzione. I Paesi checercano di realizzare tutt’edue le cose, non
massimizzano i benefici delcommercio.5.Dal punto di vista delle
imprese e dei capitalisti, nonda quello dell’economia nelsuocomplesso.6. Si contrappongono a
quelle tecniche cherisparmianolavoropiùcheinproporzione alla riduzionedella quantità di prodotto, aparità di capitale, o cherisparmiano capitale più chein proporzione alla riduzione
della quantità di prodotto, aparità di lavoro. Tutte questetecniche potrebbero essereconvenienti per la singolaimpresa, ma depressive perl’economia. Le tecniche cheriducono prodotto e fattorinella stessa misura sonoinferiori, e non verrannoadottate dalla singolaimpresa; tuttavia, sono tantele circostanze nelle qualiavviene proprio unridimensionamento delle
imprese, con riduzione dicapacità e di forza lavoro,fino alla loro chiusura: infondo, si tratta delcomportamento pro-crisi giàdescritto e che possiamoappunto definire come unatecnica inferiore. Ladefinizione di tecnichesuperiorie inferiorièdiJoanRobinson(1956).7. Il pericolo di una
«fallacy of composition» èsempre presente, quando si
generalizza uncomportamento individuale.In questo caso, ilcomportamento non è certogenerale. Non tutte lefamiglie sono intestatarie diricchezza, e la ricchezza èmal distribuita nel nuovocapitalismo, con il risultatoche la sua trasformazione inreddito riguardaessenzialmente le famiglielavoratrici, che nonpartecipanoall’aumentodella
produttività. Come vedremo,questasaràanchelacausadelcrollo.8. Nel mettere in conflitto
profittoeaccumulazione,nonho discusso della rendita:poichéperleimpresenonc’èdifferenza tra profitti erendite, la massimizzazionedel primo implica anche lamassimizzazione delsecondo;potremmocavarcelasostenendocheognivoltachesi parla di profitto, si parla
anchedi rendita.Forse,però,c’èqualcosadipiù:lerenditesono il profitto di posizionimonopolistiche, e i titolirappresentativi di questeimprese (edelle loro rendite)sonocertamentescambiatisuimercati finanziari, ma lascarsità che ha originato larendita, in analogia con leeconomie di scala, non verràdistrutta, perché ciò potrebbealteraresiailmonopoliosialarendita. Come vedremo, le
società finanziariepotrebberocartolarizzare i titolirappresentatividelmonopolioe della rendita, allo scopo diaccumulare.Senzadirechelasocietà conglomerata puòassorbire il monopolio e larendita, ed emettere titoli inconseguenza.9. Per tutti i sostenitori di
questa tesi, si veda O.J.Blanchard(1998).10. E non solo.Alcuni tra
questi guadagni sono
classificati come «capitalgains» e oggetto diimposizionefiscaleseparataeagevolata; in molti Paesi, iricavi dalla speculazione noncostituiscono reddito perl’imposta progressiva. Sitratta di politiche disvalutazione fiscale, cherivelanocomeiguadagninonderivino solo dal meritodell’operatore.11. Nelle università e nei
centri di ricerca è l’indice
delle citazioni, una classicamisura a posteriori, che nonpremial’originalità.12. Non sono i meritevoli
della Costituzione Italiana,all’art.34, lacuipromozioneè ostacolata dalle condizionieconomiche.13. Se ne sono interessati
in tanti. Il più intransigentenel sostenere una tesi cosìdeboleèG.S.Becker (1969),all’epoca inascoltato, eriscoperto dopo la
restaurazionediReagan.14. È un’altra «fallacy of
composition».15. Si è fatto un gran
parlare sulla fine deltaylorismo nei Paesi ricchicon il nuovo capitalismo,perchésarebbestatosostituitodall’automazione,dall’informatica, ecc. Isociologi sanno, però, che seè cambiata la misura deitempi nella produzione alargascala,nonècambiatoil
peso del tempo neldeterminare l’organizzazionedel lavoro: il «toyotismo» hainnovato sul taylorismo,intensificando i ritmi,responsabilizzando ilavoratori alla qualità deimanufatti, facendo ruotare ilpersonale per ridurne laspecializzazione e i suoiinevitabili tempi morti.D’altra parte, i Paesiemergenti adottano le stessetecniche dei Paesi ricchi, e
perciò forme della filosofiatayloristica sono presentidappertutto, pur con grandediversità nei diritti deilavoratori (pause,straordinari, ferie: i suicidinellefabbrichecinesinesonounterribilerisultato),peraltroin graduale allineamento alivelli sempre più bassi; ciòvuol dire che non èl’automazione ad avercambiatol’organizzazionedellavoro o, come abbiamo
favoleggiato in passato, adaver liberato il lavoratoredallatiranniadellamacchina.16. La «rivoluzione
informatica» si sviluppa nelnuovo capitalismo, ma sifonda sulla ricerca scientificae tecnologica del periodoprecedente: può darsi che ilnuovocapitalismo,proprioinvirtù della suafinanziarizzazione, sia statopiù capace di trasformare laricerca in innovazione;ma la
grande impresa potrebbeessere meno capace di farericerca,perchéquesta attivitàsi svolge in tempi più lunghie con rischi maggiori diquella innovativa, che è piùadattaalgiocospeculativo.17. Nel comunismo
sovieticoesistevaloStato,manonladomandaeffettiva.Nelcomunismo cinese lasituazione è diversa, perché icapitalisti sono moltopresenti, ma anche lì sembra
manchi la visionedell’economia nel suocomplesso: lo Stato ècertamente nazionalista, manon è necessariamenteconsapevole del principiodelladomandaeffettiva.18.Èil«valueformoney»
della Thatcher, già ricordato,e fatto proprio dall’UnioneEuropeaancheneiprogrammisociali.19. La scuola di «law and
economics» – l’autore meno
estremista è R.A. Posner(1998)–odieconomiadelleleggi, sostiene che glioperatori pubblici, comequelli privati, siano motivatida interessi egoistici(prestigio, visibilità, salari,premi,ecc.).Èverochenonèsopprimibile l’individualitàdell’operatorepubblico,maèl’organizzazionechenedirigel’espressione, perché se lemotivazioni utilitaristicheprevalessero, non saremmo
nell’amministrazionepubblica, e forse in nessunaamministrazione o impresa.Forse basta Max Weber pernon cadere in similiingenuità. In effetti, leprivatizzazioni, salvo pocheeccezioni,sonouncedimentoalle pulsioni egoistiche degliindividui, ma poi le impreseprivatizzate si comportanosecondo le leggi della cecitàcapitalistica.Manonèquestauniversale tendenza
utilitaristica un esitonecessario e inevitabiledell’azionepubblica.20. Un paradosso
dell’Unione Europea: questaesige che i servizi pubblicivengano affidati al settoreprivato attraverso gare, ma atali gare possono partecipareancheleimpresepubbliche.21.Èun’altraregolaaurea:
sipensachelaspesaincontocapitale si ripaghi con i suoirendimenti.
22. Come già indicato, ilbene pubblico è quello per ilquale non c’è rivalità trautilizzatori.23.Unadelle conseguenze
della riforma Thatcher-Reagan è il declinodell’analisi costi/benefici,calcolata al livellodell’economia nel suocomplesso: poiché è proprioquesto punto di osservazioneche è messo da parte, silegittima soltanto un’analisi
costi/ricavi simile a quellache si svolge routinariamentenelle imprese, a prezzi dimercato. Poiché i costi/ricavinon si applicano alla spesapubblica non sostituibile dalsettore privato, tutta la spesapubblica è considerata unospreco.24. Il rapporto debito/Pil
santificato nel Trattato diMaastricht era del 60%,uguale a quello dellaGermania all’epoca. Questo
rapporto non cambia nelventennio successivo, anchese tutti i Paesi hanno vistocrescereilrapportodebito/Pilmolto al di sopra di quellimite,compresalaGermania.25.A.Mastropaolo(2010).26.L’originediquestatesi
èinA.Downs(1988).L’ideaè ingegnosa, ma è orientatadall’intenzione di chi lapropone, quella appunto diliberarsi dell’interventopubblico per salvare la
democrazia dagli eccessidelloStato.27. La divisione in due
aveva lo scopo di eliminareancheilparadossodelvotodiArrow-Condorcet, per ilquale le preferenze di treindividui fra tre alternativenon dà luogo a unamaggioranza; se gli individuie le alternative sono invecedue, il voto a maggioranzafunziona. I sistemi elettoralimaggioritari «forzano» sia le
preferenze individuali sia lescelte alternative, efavoriscono perciò forme didemocraziaprotetta.28.Nonsitrattadellivello
che consente la sempliceriproduzione della forzalavoro; si tratta invece dellostandard di vita acquisito nelpassatoecheèconsideratounminimo non diminuibile. Intutte le economie esistonocasidipersonechevivonoaldi sotto di questo livello di
sussistenza (povertà assoluta,impossibilità diautosostentamento,abbandono, emarginazione) eper le quali si applical’assistenza sociale – quandol’austeritànoncolpisceanchequestesituazioniestreme.29. L’atteggiamento delle
autorità tedesche nella crisidei debiti pubblici dei Paesimediterranei è proprio deltipo ora descritto: si ritienegeneralmente, in Germania,
che battere la speculazioneavversa a quei debitifinanziando i Paesi debitorisia una forma di beneficenzae, come per i singolicapitalisti, la beneficenzadisincentiva il risparmio e,perciò, l’investimento, eriduce il reddito nazionale.Molti hanno ricordato alleautorità tedesche il PianoMarshall del secondodopoguerra, frutto delkeynesismo dei governi
americaniche, finanziando laricostruzione dei Paesi vinti,fornivano uno stimolo allacrescita della propriaeconomia.Quandoleautoritàtedesche richiedonocomportamenti virtuosi aiPaesi debitori, dimenticanoche i Paesi vinti eranocertamente meno virtuosi diquellioggidebitori.30. J. Rawls (1971). La
teoria è uno degli ingredientidella «terza via» del
laburismodiBlairnelRegnoUnito.31. Potremmo aggiungere
anche altre caratteristiche,come l’assenzadellamoneta,l’assenza del paradosso delvoto, l’assenza del moralhazard, l’assenza di beni dimerito e di beni pubblici, lapresenza di preferenzeomotetiche,ecc.32. Senza contare che il
capitale/ricchezza accumulatinei paradisi fiscali, ben
legittimati nellaglobalizzazione, non paganoalcunaimpostapatrimoniale.33. Esistono però
esternalità positive anche nelsemplice esercizio dellagiurisdizione: chi inquina uncorso d’acqua riduce la suapotabilità; e chi ottiene ingiudiziolaricostruzionedellapotabilità per se stesso, lamigliora anche per gli altriutilizzatori.34. Il prezzo edonico può
però essere utile per fornireun valore, un prezzo-ombra,al beneficio deldisinquinamento.35. È la nota «Tragedy of
the Commons» di G. Hardin(1968). Una risorsa comunetenderebbe a esseredepauperata se il suosfruttamento fosse libero: chiportalesuepecorealpascolocertamente ne ricavaun’utilità, ma l’utilità mediadei precedenti utilizzatori
diminuisce, e se non c’è unostacoloall’entrata,ilpascolosarà progressivamentedistrutto. Di qui l’apparentenecessità di attribuire larisorsa a un proprietario cheha interesse a mantenerla. Ilragionamento è corretto, malimitato. Si tratta, infatti, diun equilibrio parziale dioriginemarshalliana,chenonponequella risorsa insiemeatutte le altre e trasforma unascarsità relativa in una
scarsitàassoluta.36. L’agente
rappresentativo è «eterno»perché si pensa che il dirittoereditariosialostrumentopertrasportare le generazionifuture al presente: l’egoismosarebbe perciò familiare, nonindividuale; è vero che nellastatistica l’individuo cedeall’unità familiare, ma è unasemplificazione di comodoper evitare di dare un valoreal lavoro domestico (delle
donne),oforsesiamoviciniauna visione antropologica da«cacciatori-raccoglitori». Sefossecosì,nonavrebbesensol’imposta di successione che,sebbene ridotta, nemmeno icapitalisti vorrebberoeliminata (altrimenti ilcriterio della selezione permerito si estinguerebbe). Direcente, il dirittointernazionale è stato alteratoper prolungare il dirittod’autore fino a 75 anni dalla
pubblicazione dell’opera –implicitamenteun lascitoallafamiglia dell’autore, maanche un aumento dellarendita e unmaleficio per lefuture generazioni: i dirittisulla Teoria Generalesarebberoscadutinel2011!37. I «riformisti»
sostengono che è necessarioaccompagnare leprivatizzazioni con leliberalizzazioni: e, in effetti,ciò avviene nel piccolo
commercio, nei piccoliservizi, nelle piccoleprofessionie,ingenere,dovela consuetudine ha creatobarriere all’entrata. Laliberalizzazione delle grandiimpresehainvecedatoluogoa oligopoli e perfino amonopoli: in generale,privatizzare economie discalacrea sempreoligopoli erendite.38. È stato W.J. Baumol
(1982) che ha fornito l’arma
sufficiente per ilcambiamento. È vero che imercati sono contendibili senon ci sono costi pregressi ealtriostacoli,manellavisioneora ricordata, anche una solaimpresa in un’industria noncostituisce monopolio. Daallora,lafunzioneantitrusthaabbandonato l’idea dellalibera concorrenza comeobiettivo, ma non l’hasostituita con qualcosa cheimpedisse la violenza del
monopolioprivato.39. Come già visto, P.
Sylos Labini (1956) e chiscrive(1967),perviediverse,legano le forme di mercatonon concorrenziali alcambiamento della strutturaeconomica. Da allora,l’ideologia liberista hatalmentedominato lementiei cuori che le questioniattinenti le forme di mercatosono sparite, accontentandosiimodellipseudokeynesianidi
introdurrequesteformecomeunamannavelenosadalcielo.40. I sistemi universitari
sono molto diversi,soprattutto quando siparagonanogliStatiUniticonl’Europa continentale: neiprimi l’universitàprivataè laregola, nei secondi èl’eccezione; tuttavia, nelnuovo capitalismo, mentresono diminuite le borse distudio negli Usa, sonoaumentate le tasse
universitarie in Europa,indicando che la direzione èsimile.41. Un’interessante analisi
econometrica di P. Summers(2005) attribuisce unaresponsabilità per la ridottavolatilità alla riduzione deltasso di inflazione nelperiodo. Altri interpretano lamoderazione come risultatodi shock esogeni. Unarassegna, elaborata a crisiiniziata,diD.GiannoneeM.
Lenza (2008), si incarica dismentire questi risultati,soprattutto per la debolezzadei modelli di equilibrioutilizzati.42. Ma non servono
vent’anni per realizzare ilcambiamentonell’organizzazione degliordini, dei magazzini,dell’informazione: quelprogresso, indubbio, siespandetantorapidamentedaaver dato luogo a una breve
bolla speculativa, e a unriordinostrutturaledell’interosettoredell’informatica.
CAPITOLOVIII
1.Illavoropiùcompleto,enon pseudokeynesiano, chelega la distribuzione delreddito e il debito dellefamiglie, è quello diBarba ePivetti,op.cit.2. I Grafici 20 e 21
illustrano sia ilpeggioramento delladistribuzionedeiredditisialariduzione della quota deisalarineiredditinazionali.Lastoria comincia proprio dallafine degli anni Settanta: daallora la regola aurea nonfunzionaadeguatamente.3. Alcune ricerche (M.
KumhofeR.Rancière,2010,e M. Iacoviello, 2008)utilizzano un insieme diipotesi pseudokeynesiane e
neoclassicheperottenereunarelazionemicroeconomica trala distribuzione del reddito ela crisi, che si trasforma inmacroeconomica, dividendola famiglia rappresentativa indue, tra quella «paziente» equella «impaziente», eattribuendo la crisi al debitoeccessivo delle «impazienti».L’ipotesi è gratuita: potrebbeavere, come vedremo, unsenso se, invece dellefamiglieimpazienti,gliautori
avessero considerato lefamiglie «povere»; ma inquestocasoavrebberodovutomisurarsi con le ragioni diuna cattiva distribuzione delreddito.4. Questa è la causa della
forte resistenza sindacale allaflessibilitàinuscita:lalibertàdi licenziare, in omaggioall’ideologia del liberomercato, è ovviamente unafacoltàcherende il sindacatoinutile agli occhi dei
licenziabili.5. C’è una differenza
rispetto al modello diMinsky: non è, infatti,decisivalaquantitàdeldebitodelle famiglie (e delleimprese) rispetto al lororeddito, ma è decisivo ilrapporto tra il consumo e laquantità di ricchezzatrasformata in reddito.Peraltro, Minsky e Godleyavevano già illustrato comel’aumento del debito delle
famiglie può determinare unaumento della domanda perconsumi e, perciò, delladomandaeffettiva,mailcasonon è generale, perché se èvera la tesi di chi scrive, ciòavviene finché crescono ivalorifinanziari.6. Nei modelli Dsge
pseudokeynesiani ladistinzione tra individuipazienti e impazienti (o traformiche e cicale) potrebbegenerare lo squilibrio qui
descritto: ma non è così,perché è la distribuzione delredditocheèdisugualeesaràdisuguale anche ladistribuzione della ricchezzae la trasformazione di questain reddito. Le formiche e lecicalenonc’entrano.7. Gli attivi finanziari
globalisonocresciutidell’8%annuo fino al 2007, perscendere al 2% annuosuccessivamente. I flussiinternazionali di capitali
erano pari a 11.800 miliardidi$nel2007,perscenderea2.200 miliardi nel 2008, erisalire a 4.600 miliardi nel2012.IflussidicapitaleversoiPaesiinviadisviluppo,cheeranoparia1.600miliardidi$ nel 2007, scendono a 800miliardinel2009,per risalirea 1.500 nel 2012. VediMcKinsey Global Institute(2013).8. È il fallimento di una
dellepiùvecchie(1850)epiù
grandi banche d’affari,avvenutonelsettembre2008,a seguito delle perdite subitesui mutui ipotecari(subprime), concessi conbasseonullegaranzie.9.È ilWallStreetReform
and Consumer ProtectionAct, del luglio 2010, dettoanche, dai proponenti,Dodd-FrankAct,che incorporaunaversionedeboledellaVolckerRule(vedipiùavanti).10. Vi abbiamo già
accennato. L’Unione, per iPaesi dell’euro, nel marzo2011 ha incluso nel TrattatodiLisbona(dicembre2007)ilMeccanismo Europeo diStabilità, un fondo dotato di650miliardi di euro che puòemettere obbligazioni (cheforse la Bce può comprare,ma a sua discrezione): loscopo è di rifinanziare partedel debito pubblico dei Paesimembri in difficoltà, a pattodi opportune misure di
austerità. Il Fondo dovrebbeutilizzare i contributi deisingoli Stati (compresi quelliindebitati, naturalmente)comegaranziadiobbligazioniacquistate sul mercato. Ilproblema è che i tassi pagatidal Fondo sui mercatifinanziari saranno, sì,inferiori a quelli pagati daldebito pubblico dei Paesi indifficoltà, ma sempre piùelevati dei tassi che il nuovoFondo dovrà far pagare a
questi stessi Paesi, e il suoconto economico saràpassivo. La soluzione delproblema, ancora lontana, èl’acquisto delle obbligazionidelFondodapartedellaBce,a tassi convenzionali e senzaimpegno di restituzione. Inquesto modo, la Bceacquisterebbe caratteristichenon troppo lontane da quelledellaFed,ovverodiunaverae moderna banca centrale.Accanto a questo fondo
«salva Stati», è in corsoanche l’adozione della TobinTax.11. Bisogna riconoscere
che la Presidenza Obama èriuscita a estendere il dirittoalla salute attraverso unintervento pubblico indiretto:un risultato che ci siattendeva da molti anni,anche se non si tratta ancoradi un vero sistema sanitariouniversale.12. Questa è l’unica vera
riforma inclusa nel Dodd-Frank Act: tra molteregolamentazioni deboli,proibisce alle banche dispeculare sui depositi deiclientiperilpropriointeresse(«proprietary trade»), e diinvestire negli hedge fund enei private equity fund. Laproibizione non è estesa abanche d’affari e società diinvestimento. Le grandisocietà finanziarie, però,conglomerano società che
gestiscono ogni tipo diderivati, compresi i fondihedge e di private equity. Ènotevole la capacità deigoverni Usa di utilizzare perlenecessarieriformeiservizidelle stesse personeresponsabili delle norme dariformare, come appuntoVolcker; è anche il caso diGeithner, che il PresidenteObamautilizzaperrovesciarele politiche che liberalizzanoil mercato finanziario che
Geithner stesso (conSummers) aveva promossoconClinton,ecertamenteunadellecausedelcrollo.
CAPITOLOIX
1. J.F. Nash (1950). Ingenerale,quandoungiocatoreè dominante, i giochidiventano impossibili.Nell’economiaglobale,esisteineffettiun«dominus»,nella
forma del dollaro comemoneta di riservainternazionale.2. Uso questo termine in
modo generico; non miriferisco al concettogramsciano di egemonia, cheètraleclassi,nontraiPaesi.Nonsotrovareunterminepiùpreciso per la gerarchia delpotereinternazionale.3. Cf. J. Benes e M.
Kumhof(2012).4. Fisher (1933) aveva
avanzato la tesi che la crisidel’29eradovutaall’eccessodi debito privato accumulatoin precedenza, e aveva bendescritto le conseguenze diunacrisideldebito.Tuttavia,lasuaanalisi,sostanzialmenteneoclassica, si scontrò con ilpensierodiKeynesel’autoredivenne più tardi unabandiera del monetarismo.Fisher, però, non era unequilibrista spinto, altrimentinonavrebbepotutonemmeno
immaginarelacrisi:così,nonriteneva che il debito nonconta perché la ricchezzaaggregata è sempre uguale azero, annullando debiti ecrediti. Fisher, come tantieconomisti dell’epoca,abbandonava la «sacralità»della proprietà privata e,perciò, del credito: unadimostrazione di quantosconvolgente sia stata laGrande Depressione per ilpensiero economico e
politico.5.Aiduelatidell’Atlantico
le posizioni sono statediverse, soprattutto perché laPresidenza Obama sapeva didoverintervenireattraversolaspesa pubblica, ma ladimensionedell’intervento fufrenata dall’idea,maggioritaria nel Congresso,che la spesa avrebbeaccresciutoildeficitpubblico(implicando che non èefficace per la ripresa e,
perciò, per il gettitotributario), ignorando che ildeficit era anche finanziatodallaFedpiùchedalmercato,e che il debito federaleconseguente non spiazzava ildebito privato. Nel suosecondo mandato, con unamaggioranza fortementeconservatriceallaCameradeiRappresentanti, Obama hadovuto accettare un frenomolto più severo alla spesapubblica e ciò riduce
l’efficacia dell’interventodella Fed. In Europa, omeglio, nell’Eurozona, comegià anticipato, nulla succededal lato della domandapubblica, e la liquiditàintrodotta dalla Bce non haprodotto risultati (la crisi deiPaesimediterraneinonèstatacompensata dalla crescitadellaGermania,seaddiritturaè stata la crescitamercantilistica tedesca ascatenarelacrisineiPaesidel
Sudeuropeo).6. Le banche meno
propense al rischio, comequelle dell’Europacontinentale, hanno preferitoreinvestire la liquiditàottenutadallaBce indepositidella stessaBce, a tassi realinegativi, piuttosto cheestendere prestiti allaclientela.7. Vedi R. Frisch (1933).
Gli eventi esterni hannosempre il difetto di essere
utilizzatiadhoc:èsuggestivoche le nuove tecnologiedeterminino ciclo e sviluppoeconomico (ma èmatematicamente difficileapplicare l’equazione delciclo a quella del trend dicrescita). Per quanto nesappiamo, il progressotecnico, visto esogenamente,dà luogo a eventi casuali; ètuttavia ugualmentenecessario discutere delprogresso tecnico esogeno,
perché, come ci ha dettoMachiavelli,«lafortunaèpermetà arbitra delle nostreazioni»;perl’altrametàdevesopperireall’analisi.8. Schumpeter è
l’economista che hateorizzato la «distruzionecreatrice», che non è unevento logicamentenecessario, salvo quando siassume che il capitalismo siriproduca ogni volta,ma chelasci aperta la porta al
cambiamento imprenditorialee all’introduzione di nuovetecnologie.9. Con l’eccezione della
teoria di P. Romer, giàcriticata.10. Le grandi imprese che
chiudono nei Paesi ricchi eaprono in quelli emergenti sicomportanoesattamentecosì.11. Che nel singolo Paese
vi sia già unaspecializzazione produttivacapace di utilizzare le nuove
tecniche superiori; cheesistano imprese delledimensioni adatte allecaratteristiche delle nuovetecnologie; che esistaconcorrenza sufficiente percostringere lageneralitàdelleimprese ad adottare le nuovetecniche e ostacolare larendita del primo investitore(devolaprecisazioneaSergioFerrari).12. Sono noti i casi di
minore meccanizzazione in
agricoltura, sostituita dasalariatiabassoreddito.13. Molti Paesi hanno
istituti specifici per ilfinanziamentodell’innovazione, ma essidipendono dallo Stato che,nell’ipotesi, non dovrebbeintervenire; perciò questiistituti devono emettereobbligazioni,maperpagareildebito risultante,l’innovazione finanziata deveavere un mercato certo: e la
situazioneèdiincertezza,nondirischio.14. La teoria dei giochi è
stata applicata al commerciointernazionale, perchéciascuna economia nazionalepuò essere vista come ungiocatore individuale.Nell’economia internazionalereale, tuttavia, il gioco non ètra pari e, dunque, non è ungioco: come abbiamo giànotato, fino a che il dollaroresta moneta di riserva
internazionale, il giocatoreUsa avrà sempre unaposizione dominante. A lorovolta, laGermaniaconl’euroelaCinaconloyuan(forseilGiappone con lo yen), puressendo dominate dagli Usa,godono di una posizionedominante all’interno dellerispettive aree monetarie esfruttano le altre economiedella stessa area. Anche inquesto caso, come ineconomia chiusa, poiché non
si rispetta una regola aureainternazionale, la crescitamondiale tende verso unasomma zero o negativa. IlTrattato di Maastricht e lanuova moneta unica europeanon nascono nel segno delBancor, la monetainternazionalediKeynes,chenon eliminava un gioco madirettamentelasopraffazione;imitano, invece, rozzamente,il disegno americano diBretton Woods, dove il
dollaro esercitava ilsignoraggio mondiale,nell’idea che analogosignoraggio poteva essereesercitato dal marcoombra,nellaformadell’euro.15. È infatti sempre
possibile trovare una nuovalocalizzazione meno costosadellealtre,inunmondochesiglobalizza, e se i costi diristabilimento sonocompensati dai minori costidel lavoro, la «transumanza»
delcapitalesaràcontinua.16. Non è sempre vero. Il
generale consenso alledittature che si sono formatetra le due guerre era unaforma estrema di «servitù»culturale, ma eraperfettamente compatibilecon il capitalismo protettodalloStato.17. Sono ormai passati
molti anni da quandol’Unione Europea haindividuato nelle nuove
tecnologie la «via dellosviluppo» (Lisbona, 2000).Ma grandi sono lecontraddizioni delle politicheeuropee:l’austeritànellacrisifrena sia l’investimentopubblico sia quello privato,né è stata adottata qualcheforma di Volcker Rule. Diqui, l’enfasi sul progressotecnico si è rapidamentesvuotata di contenutioperativi. I singoli governieuropeinonhannoconsentito
un forte interventocomunitario sul progressotecnico, come sarebbe statopossibilenelnondimenticatoPiano Delors, forse perchéciascun governo considera ilprogresso tecnicoun’occasione per accrescerela propria competitività –quella europea li lasciaindifferenti. Il capitalismomercantilista potrebbe inveceprodurre quell’incertezza, oquel rischio, sul quale far
precipitare l’interventopubblico.18. Nelle politiche per
l’austerità, è sempredimenticata la regola aurea:anzi, quanto più si riesce aridurre il costodel lavoroe iredditi dei lavoratori(maggiori imposte, minorisalari,minorecoperturadellostato sociale), tanto più siritiene, contro ogni evidenza,che l’austerità favorisca lacrescita e la riduzione del
debitopubblico.19.Senzadirecheprofittie
renditesono,ingenere,menotassatideiredditidalavoro.
CAPITOLOX
1. Proponendosi il tema dinuove politiche economichedopo la crisi, P.A.Arestis eM.C. Sawyers (2011) neindividuano cinque: deficitpubblico per sostenere la
domanda effettiva;distribuzione del redditocome obiettivo, sempre persostenere la domandaeffettiva; tasso di interessereale in linea con il tasso dicrescita; finedell’indipendenza dellebanche centrali; stabilitàfinanziaria come obiettivodelle banche centrali. Tuttobene, salvo per laglobalizzazione, che non èregolata anche se queste
politiche venissero adottatedaiprincipaliPaesi.2.Ladomandainproposito
è nelle pagine finali dellaTeoria Generale: «È larealizzazione di queste ideeuna speranza visionaria? …Esistono interessi che leostacolanopiùfortiepiùovvidi quelli che [quelle idee]dovrebberoservire?».
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