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18 Commenti e inchieste Il Sole 24 OreDomenica 27 Marzo 2016 N. 85
IL DIBATTITO E LE IDEE
L’importanza di stabilità e governance Sono caduti alcuni assiomi per le imprese: è iniziato un faticoso ripensamento del sistema
di Donato Masciandaro
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Dopo l’ubriacatura dei mercati efficienti che si autoregolamentano, ed i dolorosipostumi post sbornia da
Grande Crisi, il pendolo sta tornando sul ruolo della stabilità nel governo delle politiche, macroeconomiche come aziendali. Un salutare riequilibrio, purché non si cada dallapadella alla brace, con la stabilità afare da cavallo di Troia per la difesadi rendite, siano esse dei politici, delle burocrazie di controllo e di vigilanza, dei manager.
I Paesi avanzati sono entrati in unafase molto particolare, quella della“nuova normalità”, caratterizzata daalmeno due caratteristiche: crescitaeconomica anemica, unita a mercatifinanziari volatili e complessi. Sonodue facce di una stessa medaglia, cheè stata coniata almeno due decennifa. Da un lato, l’economia reale – negliStati Uniti come in Europa – è caratterizzata da una bassa produttività,che ha schiacciato la reddittività reale del capitale verso lo zero, se non interritorio negativo. La crescita anemica è un risultato che sorprende, soprattutto se accoppiato ai due fenomeni – intrecciati – che hanno contemporaneamente contraddistintolo stesso periodo: lo sviluppo impetuoso delle tecnologie della informa
zione (ICT) e quello della finanza,cioè del debito.
La crescita straordinaria e congiunta di ICT e finanza non deve sorprendere: se finanza è produzione ecreazione di debito, tale attività dipende dalla gestione di informazioni,per cui l’evoluzione della ICT è statala leva tecnologia che ha fatto proliferare la leva finanziaria. Anche perché
la leva regolamentare è andata nellastessa direzione: la deregolamentazione ha consentito l’intreccio profondo e diffuso tra innovazione ICT einnovazione finanziaria.
Quello che sorprende invece è chedello sviluppo di ITC e finanza non sitrovi traccia robusta e duratura nellacrescita reale. Alcuni ritengono checi siano dei problemi di misurazione;un’altra ipotesi – tutta da esplorare – èche il combinato disposto di deregolamentazione, crescita del debito edel ICT sia un disincentivo alla produttività del lavoro.
Di sicuro la deregolamentazione è
stato il propellente principale dellaGrande Crisi, unito ad una politicamonetaria irresponsabile che ha finanziato la crescita del debito. L’assioma su cui si basava la deregolamentazione – i mercati tendono adessere efficienti, e la autoregolamentazione è il miglior disegno perdisciplinarli – è stato falsificato dallarealtà.
Il maggior beneficio? È stata riscoperta l’importanza della stabilità finanziaria, in più di un perimetro digioco: la politica monetaria da un lato, quella bancaria e della governance dall’altro. Il maggior rischio? Chela rilevanza della stabilità diventi ilcavallo di Troia per sviluppare o consolidare posizioni di rendita, da partedi attori rilevanti.
Nella politica monetaria è cadutol’assioma che la gestione dei tassi diinteresse e delle grandezze monetarie deve essere indifferente a quelloche accade nei mercati finanziari.L’assioma partiva dal presuppostoche la volatilità dei mercati finanziari– che può sfociare in vere e propriebolle – era un fenomeno irrilevanteper le scelte della politica monetaria.L’irrilevanza era motivata dalla difficoltà di comprendere la natura più omeno strutturale della volatilità finanziaria; di conseguenza, dal rischio di commettere errori di politica monetaria, che pregiudicano lacredibilità della banca centrale; la
quale dunque, deve evitare di intervenire ex ante, e limitarsi – se del caso– a gestire ex post le bolle finanziarieche scoppiano. La strategia della neutralità della politica monetaria rispetto ai rischi da instabilità finanziaria ha causato l’incapacità dellabanca centrale americana (Fed) dicomprendere quello che stava accadendo, sfociata nella gestione fallimentare del periodo che va dall’agosto 2007 al settembre 2008, culminata con il fallimento di LehmanBrothers. Dal 2008 la stabilità finanziaria è tornata importante per la politica monetaria. Il rischio? Si è confusa la rilevanza della stabilità con lanecessità che sia la stessa banca centrale ad occuparsi della supervisione– macro e micro – dei mercati bancarie finanziari. In altri termini: dire cheil fuoco è importante non significaautomaticamente che i piromanidebbano essere nominati pompieri.È quello che è accaduto per la Fed, e lascelta ha contagiato anche l’Europa,dove si è deciso di mettere sotto lostesso tetto le responsabilità di politica monetaria e di vigilanza.
Nella politica bancaria e della governance è caduto definitivamentel’assioma che portava automaticamente dalla cosiddetta contendibilità di mercati, banche ed aziende allastabilità finanziaria. La regolamentazione bancaria e finanziaria – basata esclusivamente sui due pilastri dei
controlli prudenziali e dei cosiddettiindicatori di buona governance, ruolo degli investitori istituzionali e degli amministratori indipendenti incluso – ha fallito. È iniziato un faticoso percorso di ripensamento delleregole del gioco, che deve prevedere, oltre ad un revisione delle regoleprudenziali e di governance, anchela reintroduzione dei cosiddetti controlli strutturali ed il ripensamentodello strumento della tassazione.L’eccesso di assunzione di rischio alivello aziendale – che è la miccia delrischio sistemico, se diviene generalizzato – non può essere evitato contando esclusivamente su pilastri chesi sono mostrati di argilla. Il rischio?Passare dalla padella alla brace: la regolamentazione ante Crisi ha creatospesso manager autorefenziali, sovente anche infedeli; l’impressionante sequenza di manipolazioni delbuon funzionamento di più un mercato, nazionale e globale, sono a testimoniarlo. Ora l’importanza dellastabilità non deve però diventare uncomodo usbergo per difendere vecchie e nuove posizioni di rendita. Efficienza e stabilità non sono mail’una automatica conseguenza dell’altra. È una illusione – o una finzione – che non valeva quando si sosteneva che l’efficienza produce stabilità; non deve valere oggi nella direzione inversa.
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Il debito pubblicoe la fiducia reciproca
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La tiratura del Sole 24 Ore di oggi 27 Marzo 2016 è stata di 200.320 copie
COLOMBA PASQUALEIl servizio della Rai,il canone in bollettae l’evasione eccessiva
Caro Carrubba, leggo sul Sole 24Ore di sabato 27 febbraio unalettera che rende onore al
Governo Renzi per aver introdotto in bolletta elettrica il canone Tv. Probabilmente il lettore possiede un solo tv e una sola bolletta elettrica. Nonpuò quindi immaginare quanti ricorsi ci saranno da parte di proprietari o conduttori con più abitazioni a disposizione. È esattamente da gennaio che ho provveduto a scrivere alle due società (Enel e Iride) e all’Agenzia delle Entrate, ma senza risolvere il problema. Eppure ho solo invitato Enel ad addebitare il canone tv e invitato Iride ad astenersi sulla seconda casa che ho in affitto. Se Renzi e il suo Governo avessero dato più importanza ai disoccupati, ai pensionati che non arrivano alla fine del mese, alle persone che si recano a fare la spesa nei cassonetti dell’immondizia, forse avrebbe avuto gli onori anche da parte mia, ma rendere onore al Governo per avere introdotto il canone Tv in bolletta mi sembra fuori luogo.
Lettera firmata
La lettera dà voce a un malcontento checredo sia diffuso, ma anche in parte fuori bersaglio.
Innanzi tutto, non tiene conto dellaclamorosa propensione all’evasione che caratterizza il teleutente italiano: secondo l’Annuario R&S 2015 di Mediobanca, infatti, l’evasione del canone(che è tra i più bassi in Europa) supera il30% (con punte oltre il 40% al Sud e, chissà perché, a Milano); in Francia e Germania l’evasione non c’è; in GranBretagna non supera il 5%. Per la Rai si tratta di una perdita di 600 milioni: se fossimo disciplinati come gli inglesi, osserva Mediobanca, la società «diventerebbe il primo Gruppo per ricavi in Italia, e si avvicinerebbe a France Télévisions, con circa 2,9 miliardi di fatturato».
Insomma l’indisciplina fiscale dimolti, come al solito, provoca danniagli onesti. Ma il punto, a mio parere, non è come si paghi il canone, ma perché. E qui le critiche dovrebbero essere più diffuse e mirate. Innanzi tutto, ricordano che il canone convive con la pubblicità (in calo), a differenza della stessa Gran Bretagna, che non ha pubblicità, o di altri Paesi nei quali essa è molto meno invasiva di quella italiana.In secondo luogo, osservando che il canone si giustifica con la natura pubblica del servizio garantito dalla Rai: sui contenuti di quest’ultimo moltidubbi sono legittimi. La televisione
pubblica, ormai, non si differenzia pernulla, quanto ai contenuti da quelle commerciali; il prodotto di intrattenimento e di informazione è analogo, tendente al basso, popolato dalle stesse facce, rivolto a un pubblico tradizionale e anziano. Il recupero della funzione pubblica dovrebbe perciò passare dalla invenzione di prodotti innovativi che intercettino nuovi pubblici(impresa comunque difficile, perché trascinare i giovani dinnanzi allo schermo non è facile) e di appunta
menti che siano svincolati dalla dittatura dell’audience dalla quale dipendono i ricavi pubblicitari. Pensiamo alla cultura: non possiamo vantarci che la Rai sia la più importante industria pubblica del Paese, lamentarci della scarsa diffusione della cultura in Italia,e non pretendere che anche la televisione pubblica investa sulla diffusionedella lettura, sul teatro, sulla musica, sull’arte, sulla divulgazione scientifica. Qualcosa in più adesso si fa, grazie alle nuove piattaforme, ma strada da
fare ce n’è tanta. E i contribuenti, compresi quelli che finora non pagavano, farebbero bene a pretendere che i lorosoldi siano spesi bene.
Gli accertamenti della GdFIn relazione al contenuto dell’articolo pubblicato in data 24 marzo 2016 dal titolo «Tra il buon senso della GdF e il lato oscuro dell’accertamento», si ritiene doveroso precisare che:
il rilievo formulato al barista triestino non riguarda differenze di importo tra un tipo di caffè ed un altro, bensì la mancata emissione dello scontrino;
la circostanza è emersa a seguito diun rilevamento diretto, posto che uno dei due finanzieri era all’interno del locale;
dopo aver visto il cliente pagare, epoi allontanarsi senza ricevere lo scontrino, il finanziere ha avvertito l’altrocollega che si trovava fuori dal bar. Dalsuccessivo controllo, il cliente non ha esibito alcun scontrino fiscale;
neanche sul bancone sono stati rinvenuti scontrini di valore pari a quell’importo (di 1€ o di 1,10 €) emessi in quel lasso di tempo.
Solo dopo aver completato tali riscontri è stata rilevata l’infrazione alsolo commerciante. È altresì opportuno evidenziare che il commerciantenon rischia, allo stato, alcuna chiusura dell’esercizio.
Ufficio Stampa Guardia di Finanza
Domenico Rosa
Lettere Le lettere vanno inviate a:Il Sole24 Ore "Lettere al Sole24 Ore"
Via Monte Rosa, 9120149 Milano
email: letterealsole@ilsole24ore.comincludere per favore nome,
indirizzo e qualifica
Le risposteai lettori
Il dibattito e le idee / 2. Governance e regole
I consiglieri di maggioranza e il loro ruolo nel boarddi Luigi Zingales
Nella Fattoria degli Animali diGeorge Orwell, tutti gli animali erano uguali, ma alcuni– nella fattispecie i maiali –
erano più uguali degli altri. La visione della corporate governance sostenutadal Presidente del Comitato della Corporate Governance di Borsa Italiana (nonché presidente di una delle piùgrandi imprese italiane), Gabriele Galateri di Genola, sembra ricordare la favola di Orwell. In una lettera ad Assogestioni, riportata sul Sole da Claudio Gatti, il manager piemontese sostiene – giustamente – che tutti i consiglieri di amministrazione sono ugualied operano senza vincolo di mandato.Aggiunge però un’importante differenza. I consiglieri nominati dagli investitori istituzionali, spesso impropriamente chiamati “di minoranza”,non possono consultare gli azionisti che li hanno nominati, mentre quelli di
“maggioranza” sì. Ovvero tutti sonouguali, ma i consiglieri di “maggioranza” sono più uguali degli altri.
Non sono un giurista, ma non occorre un esperto di diritto per capirel’assurdità della tesi. Anche i parlamentari operano senza vincolo dimandato, ma non per questo è proibito loro di consultarsi con i propri elettori durante il mandato stesso. Tantomeno c’è una differenza tra parlamentari di maggioranza, che potrebbero consultarsi con i propri elettori,e parlamentari di minoranza, che nonlo potrebbero fare.
In verità, esiste una differenza traparlamentari e consiglieri di amministrazione. Questi ultimi detengonomolte più informazioni confidenziali, che possono essere impropriamente usate per speculazioni di breve periodo. Proprio per questo motivo, Assogestioni possiede da anni unregolamento sui modi in cui questeconsultazioni con gli investitori isti
tuzionali possono avvenire: devonoessere aperte a tutti gli investitoriistituzionali, in una sede istituzionale, e la conversazione deve essereunidirezionale, ovvero gli investitoripossono dare le loro opinioni ai consiglieri ma non viceversa. Avendopartecipato ad alcune di queste riunioni, posso dire che funzionanomolto bene.
Il vero problema è che non esisteuna simile procedura per i consiglierinominati dalla maggioranza. Costoro parlano continuamente con i loroazionisti di riferimento, senza alcuncontrollo, spesso dando vantaggi informativi ad alcuni azionisti rispettoad altri. Nella sua lettera Galateri siappiglia al fatto che le regole europeeprevedono che il consiglio nominidei consiglieri deputati a tenere i rapporti con gli investitori, in nome di tutti i consiglieri. Ben venga. Ma questo deve valere tanto per Norges (unfondo norvegese), che per Medio
banca. Altrimenti siamo alla corporate governance orwelliana.
Ma così non è. Quando ero consigliere di amministrazione di Telecom, molto spesso ho sentito consiglieri cosiddetti indipendenti affermare “devo sentire cosa mi dice Banca Intesa” o “devo parlare conGenerali.” Decisioni strategiche, conenormi effetti sul valore del titolo, venivano condivise con il managementdi altre società, anche se queste società non avevano alcuna giustificazione giuridica per ricevere queste informazioni.
Paradossalmente, Galateri sedevain quello stesso consiglio, di cui pertre anni è stato anche presidente. Eppure non l’ho mai sentito una voltaprotestare per queste conversazioni,molto più pericolose di quelle deiconsiglieri di minoranza né tantomeno denunziarle, come violazione della corporate governance. Perché allora protesta oggi?
Viene il sospetto che cerchi di tenere fuori dal consiglio le critiche nongradite. Ma gli investitori istituzionali internazionali non sono addomesticabili come quelli nazionali. Sepresidenti come Galateri impediscono alle loro critiche di giungere alleorecchie dei consiglieri, smettono diinvestire nelle società italiane. Bastavedere come il titolo di Generali ècrollato quando la società non è statain grado di trattenere un amministratore competente come Mario Greco.
È inutile che il Presidente delConsiglio Renzi si dia da fare a promuovere l’immagine del nostro Paese all’estero. Fino a quando in Italiaprevale la corporate governanceorwelliana di Galateri, gli investitori istituzionali stranieri non vengono. Con grande gioia dei managernostrani, che non rischiano la poltrona, ma con grave danno per il Paese intero.
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DOPO LA CRISIOltre a una revisione delle regole prudenziali, vanno reintrodotti i cosiddetti controlli strutturali e rivistolo strumento della tassazione
L’EDITORIALE
di Guido Tabellini
u Continua da pagina 1
T ra le ipotesi 1 e 2 c’è tutto un continuum, naturalmente.Ma i tedeschi non si fidano più. Vedono che la reazione comune alla crisi (la svolta della Bce, la nascita del
l’Esm) ha avuto successo, ma si è anche accompagnata a cambiamenti politici interni in molti paesi, e ha portato a un rallentamento del risanamento fiscale e delle riforme.
Non sappiamo cosa sia negoziabile in questa posizione ecosa non lo sia. Ma certamente è un’impostazione ampiamente condivisa in Germania, anche dai politici e dagli economisti più filoeuropei. Naturalmente, se questa posizione dovesse prevalere, non solo sarebbe impossibile completarel’Uem per scongiurare nuove crisi finanziarie, ma al contrario si farebbero gravi passi indietro. Il rischio di crisi finanziarie tornerebbe a essere tangibile, e salirebbero sia il costo delcapitale per le imprese italiane che il costo del debito pubblico. Anziché avere più integrazione, andremmo verso la disintegrazione dell’area Euro.
Cosa può fare il governo italiano per facilitare un compromesso ragionevole e spingere l’Europa verso una maggiore integrazione economica e politica? La cosa più importante èristabilire la fiducia reciproca. E questo significa innanzitutto far scendere il debito pubblico. Non solo perché ciò fa parte degli accordi europei, ma anche perché obiettivamente il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli che mettono a repentaglio la stabilità finanziaria, non solo dell’Italia.
La riduzione del debito è una priorità anche in una prospettiva puramente nazionale. La distanza negoziale tra laGermania e il Sud Europa sul completamento dell’Uem ècosì grande, che non è detto che si trovi un compromesso,quantomeno non in tempi brevi. Se così fosse, l’Uem resterebbe ancora in un limbo, con la politica monetaria ormaiquasi priva di strumenti, e senza una capacità fiscale comune per risollevare la domanda interna o per far fronte anuovi shocks. In questa prospettiva, sarebbe comunquemolto rischioso rinviare ulteriormente la discesa del debito pubblico italiano.
Un anno fa, l’andamento tendenziale del rapporto debito/Pil italiano era previsto in discesa al 130,3% nel 2016, e al 126,1%nel 2017 (da oltre il 132% a fine 2015). Nel corso del 2015 il governo ha rallentato il sentiero di discesa del debito due volte: adaprile l’obiettivo per il 2017 è stato alzato di oltre un puntopercentuale, e a settembre, è stato portato a quasi il 128%. Nelfrattempo le previsioni economiche sono peggiorate, e ora l’obiettivo di debito per il 2017 sarà alzato ulteriormente (anche se continueremo a promettere che negli anni successivi il debito scenderà rapidamente). Di quanto lo scopriremo tradue settimane, quando il governo presenterà il Def, e con esso il nuovo quadro programmatico della finanza pubblica.
È su questo che si misurerà la volontà del governo dispingere davvero verso una maggiore e migliore integrazione europea. Perché ogni innalzamento del sentiero deldebito, non solo rende più fragile il nostro paese, ma allontana ancora di più la prospettiva di un buon compromessoper completare l’Uem.
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«Independent», ultima copia di cartaAddio alle edicole. Da oggi «The Independent», quotidiano liberal britannico, fondato 30 anni fa, sarà disponibile solo nella versione online. Nell’ultima copertina cartace unapagina bianca e un eloquente messaggio in rosso al centro: «Stop press, leggetetutto qui, nella nostra ultima edizione su carta. 19862016».
EditoriaEPA
SalvatoreCarrubba
03/06/2016Pag. 23
diffusione:155874tiratura:211650
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4ELLIOTT MANAGEMENT - Rassegna Stampa 03/06/2016 - 03/06/2016
03/06/2016Pag. 23
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5ELLIOTT MANAGEMENT - Rassegna Stampa 03/06/2016 - 03/06/2016
PRIMOPIANO 13 GIUGNO 20164
Andrea Greco
segue dalla prima
Sembra un karma quello “po-litico” di Giuseppe Vegas,
presidente della Commissione na-zionale per le società e la Borsa: quando il 18 novembre 2010 fu de-signato dal Consiglio dei ministri continuò a partecipare ai lavori del-la Camera, compreso un voto di sfi-ducia al governo Berlusconi il 14 di-cembre, poiché le sue dimissioni da parlamentare del Popolo della Libertà e viceministro dell’Econo-mia erano calendarizzate qualche giorno dopo. Uno dei suoi primi at-ti da presidente, nel marzo 2011, fu proporre un piano di incentivi per aumentare le quotazioni di matri-cole a Piazza Affari; progetto con forte risonanza politica.
Poi sono cominciati i dossier “caldi”. Come la scalata Unipol a Fondiaria-Sai, per cui il presiden-te aveva suscitato critiche per cer-ti atteggiamenti poco istituzionali (anche dall’allora commissario Michele Pezzinga). O come la cri-si di Mps, su cui Consob s’è ostina-ta a coprire la patacca dei derivati Alexandria - congegnati nel 2009 per occultare perdite ma che ha fi-nito per moltiplicarle - lasciati contabilizzare fino al 2014 come ti-toli di Stato, salvo che frattanto gli azionisti della banca senese han-no visto bruciare ricapitalizzazio-ni per quasi 10 miliardi.
Nella parte centrale del setten-nato Vegas ha imposto un suo stile accentratore e personale alla vita interna e ai dossier su cui l’autori-tà doveva esprimersi. Una modali-tà resa possibile anche dalla negli-genza degli esecutivi di Mario Monti e di Enrico Letta, che nei lo-ro tre anni di governi non hanno rimpiazzato i commissari in sca-denza, con l’effetto di azzoppare la Commissione lasciando a Vegas un ruolo preponderante nel colle-gio: in caso di stallo il voto del pre-sidente conta doppio; inoltre lo sta-tuto interno assegna al presidente ampie discrezionalità, come con-vocare riunioni non precedute da attività preparatorie, o decidere «per le vie brevi», come attesta la lettera diffusa da Report in cui emerge l’archiviazione silenziosa degli “scenari probabilistici” di in-vestimento sui bond.
Quello che ha fatto più ru-more, dentro l’opinione pub-blica e l’esecutivo, è certo la scarsa trasparenza nel diffon-dere i principi del salvataggio interno delle banche, entrati in vigore nel gennaio 2016 ma ap-provati da Bruxelles quasi tre anni pri-ma. Il governatore della Banca d’Italia si è spesso lamenta-to - con argomenti - della mancata esen-zione dal bail in dei prestiti bancari su-bordinati già emes-si, che si sono visti gravare rischi ignoti al momento della sot-toscrizione. Ma per-ché la vigilanza bancaria e quella dei mercati (nel-le mani di Consob) non hanno imposto alle ban-che emittenti di spiegare per tempo i nuovi rischi, noti fin dal 2013? Né Ve-gas, né Visco hanno mai fatto ammenda a riguar-do. Resta il fatto che, pro-prio nella stessa fase, le banche domestiche acce-leravano nella vendita di subordi-nati agli sportelli: circa 70 miliardi
di euro, senza cui diverse banche patrie avrebbero esaurito la dota-zione patrimoniale. Ma come si è vi-sto poi sui listini poi, quei titoli si so-no deprezzati anche a doppia cifra percentuale, o addirittura - è il caso di Banca Marche, Etruria, Cariferra-ra e Carichieti - si sono azzerati. I lo-ro prospetti «erano stati redatti nel rispetto delle regole di trasparenza previste», ha dichiarato il presiden-te della Consob nell’ultima relazio-ne annuale. Salvo correggere il tiro poco dopo: «Erano troppo lunghi e complessi per potere essere letti e pienamente compresi. Un eccesso di informazioni equivale quasi sem-pre a una carenza di informazioni». Poche settimane dopo - siamo al presente - Consob ha autorizzato la pubblicazione del prospetto più lungo (e forse più rischioso) della storia della finanza italiana: le 1.114 pagine per convincere/dissuadere a sottoscrivere la ricapitalizzazione da un miliardo di Veneto Banca.
Quando l’aggiunta di informa-zioni di rischio dava diritto di reces-so agli investitori, come nel caso del bond Banca Etruria del dicem-bre 2013, Consob strinse i tempi al minimo di legge: appena due gior-ni per riavere i soldi indietro, e si era sotto Natale. Sulle vendite di su-bordinati al dettaglio, in diversi ca-si violando la direttiva Mifid, le ban-
che italiane hanno fatto molti errori da quegli anni e Con-sob non ha aiutato a disvelar-li quando, ancora nel luglio
2015, ha stilato un elenco di strumenti finanziari comples-
si che, malgrado una raccomandazione ad hoc dell’Esma che rag-gruppa le autorità di mercato europee, non includeva la tipo-logia dei “subordina-ti”, quei bond chia-mati prima degli al-tri (i senior) a pagare le perdite di chi li emette. Anche su queste premesse Matteo Renzi ha ri-tenuto, lo scorso di-
cembre, di privare Consob di una sua fun-
zione e individuare l’ar-bitro dei rimborsi degli
obbligazionisti delle quat-tro banche tra «persone di comprovata imparziali-tà, indipendenza, profes-sionalità e onorabilità». Che in breve sono state in-
dividuate nell’Anac di Raf-faele Cantone.
L’ultimo dissidio in ordi-ne di tempo vede le associa-
zioni di consumatori e de-cine di economisti e acca-
demici tacciare la Commissione di aver indebitamente dissuaso dal pubblicare gli “scenari probabilisti-ci” dai prospetti degli investimenti più rischiosi. E’ un caso molto tecni-co e che si presta a strumentalizza-zioni, anche favorito da numerosi cambiamenti di regolazione a livel-lo comunitario. Di certo a Vegas le attualizzazioni che cercano di pre-vedere le chance di guadagnare e
di perdere non piacciono: ha depo-tenziato l’ufficio analisi quantitati-ve interno che se ne occupava e, senza mai abrogare gli “scenari”, ha messo loro la sordina, in ciò fa-vorito da sopraggiunte contrarie di-sposizioni europee. Non piaceva-no neanche a Giulio Tremonti, il “suo” ministro del Tesoro, fiero cri-tico degli scenari di probabilità per-ché li giudicava un tentativo di legit-
timare i derivati, che considerava invece «una follia finanziaria». Tut-tavia il modo in cui Vegas ha espun-to gli “scenari” dai prospetti dei bond italiani è piaciuto a pochi. Giorni fa alcuni suoi commissari hanno chiesto di chiarire, e ottenu-to, con votazione favorevole quat-tro contro uno, di convocare una Commissione ad hoc, che dovreb-be svolgersi questa settimana.
Indipendentemente dagli esiti, va notato che la questione è una delle prime che vede ricomporsi il Collegio, per anni monco e ricom-posto dal governo Renzi che l’anno scorso ha nominato Anna Genove-se, e quattro mesi fa il magistrato Giuseppe Maria Berruti e l’ex vice dg di Assonime Carmine Di Noia. Il plenum ritrovato tra i commissari sta creando nuove chimiche den-
Consob alla resa dei contitraballa il “regno” di Vegasalla vigilia dell’opa Rcs
Milano
Una Consob più incisiva nel far rispettare le regole che
ci sono, e più attiva nel diffondere le nuove consapevolezze richie-ste agli investitori nell’epoca dei “salvataggi privati” bancari. Un governo che, evitando di prende-re decisioni sull’onda dell’emoti-vità, sappia riordinare le authori-ty introducendone una nuova, per tutelare specificamente il ri-sparmio. Sono le ricette di Luigi Guiso, economista docente dell’I-stituto Einaudi di Roma e da apri-le fra i tre esperti italiani entrati nel gruppo degli stakeholder ban-cari dell’Eba di Londra.
La gestione della Consob sem-bra tornata nel gorgo delle criti-che, anche da parte del gover-no. Qual è il suo giudizio sull’o-perato della presidenza di Giu-seppe Vegas?
«Dare un giudizio sintetico sull’operato di un’istituzione in una fase di mercato così comples-sa mi sembra fuorviante. Faccio due osservazioni. La prima, sul fatto che a mio avviso le regole ci sono, ma la loro implementazio-ne dovrebbe essere più cogente e incisiva da parte delle autorità na-zionali. In questa materia princi-palmente la Consob, che talvolta non è stata sufficientemente for-te. La seconda, sul fatto che pen-so ci sia un problema nel disegno delle istituzioni: per come funzio-na oggi il mercato finanziario, per la crescente complessità de-gli investimenti e l’importanza che ciò ha assunto nella vita delle famiglie, credo serva più specia-lizzazione. Per questo ho propo-sto da tempo di accentrare le fun-zioni di tutela del risparmio - og-
gi in capo a Consob e in parte a Bankitalia - in un’autorità separa-ta e specializzata. Non per incom-petenza delle altre: perché la spe-cializzazione è necessaria per la scala e la complessità delle attua-li interazioni finanziarie. Un po’ sul modello Usa, dove i volumi dei mutui casa e del risparmio ge-stito sono ormai tanto grandi da avere stravolto la struttura del mercato e degli investitori. Tra l’altro il governo ha avviato un riordino delle authority: ma biso-gnerà farlo con quel tanto di ra-ziocinio e calma che serve per di-segnarle bene, non sull’onda de-gli scandali di turno».
In Europa da gennaio è in vi-gore la direttiva sul bail in, che chiama investitori e cor-rentisti bancari a intestarsi la prima fetta delle perdite. Cre-de che i regolatori abbiano
ben sorvegliato il passaggio?«Ho l’impressione, a livello na-
zionale ma anche europeo, che l’importanza di questo problema sia stata sottovalutata. L’Esma, re-sponsabile per la protezione fi-nanziaria in Europa, pochi mesi fa ha emanato una raccomanda-zione perché gli intermediari in-formino i risparmiatori dei nuovi rischi cui andranno incontro. Ma qui si trattava di “esigere”, non di raccomandare. Il pubblico pensa a una banca come a un istituto in cui mette i suoi soldi e un domani li riprende; lo stesso vale per un’obbligazione bancaria. La gen-te va accompagnata verso nuove consapevolezze: ma si doveva far-lo nel 2013 quando i principi del bail in furono adottati dalla Com-missione Ue, non due anni dopo e in modo sporadico».
In Italia bail in (per ora) vuol
“Una nuova Autoritàsuperspecializzatagarante del risparmio”
DALL’ARRIVO DEI DUE NUOVI COMMISSARI A DICEMBRE C’È STATA UN’ACCELERAZIONE. DAI CASI CARIFERRARA, ETRURIA E VENETO BANCA AL PASSAGGIO DI COMPETENZE ALL’ANAC DI CANTONE, ORA È SOTTO ACCUSA PER LA PROMOZIONE A DIRIGENTE DELLA SUA SEGRETARIA
LE RICETTE DI LUIGI GUISO UNO DEI TRE ITALIANI STAKEHOLDER DELL’EBA: “INFORMARE CHI INVESTE NON DEVE ESSERE OGGETTO DI UN INVITO MA DI UN OBBLIGO DA RISPETTARE. COME RIFORMARE I PROSPETTI”
[L’INTERVISTA]
Nella foto in basso, il presidente della Consob Giuseppe Vegas
L’economista Luigi Guiso
13 GIUGNO 2016 PRIMOPIANO5
Autostrade spa ha cambiato nome in Atlantia, con l’ambizione di diventare un gruppo sempre più internazionale e spingersi oltre le colonne d’Ercole. E ora la società
guidata da Giovanni Castellucci vorrebbe rafforzare la sua presenza sulla costa del Pacifico, dove da anni è già presente in Cile. Altantia starebbe infatti gareggiando per rilevare la concessione di 3 tronconi di autostrade in Perù. Si tratta di un’operazione da circa mezzo miliardo di dollari, che rafforzerebbe la presenza in Sudamerica. Peraltro lo scorso ottobre lo stesso premier Matteo Renzi si era
recato in Cile e Perù in un viaggio al seguito delle aziende italiane di infrastrutture, tra cui anche Enel e Astaldi. E Renzi aveva avuto modo di lodare il sistema dei pedaggi locali di Atlantia che permette il pagamento telematico e ha implementato tariffe che cambiano a seconda dell’orario, per evitare gli ingorghi nell’ora di punta.Pensate se fosse importato sulle nostre tangenziali.
tro la Consob, e ha riequilibrato la “monocrazia” degli anni scorsi.
Ma l’autonomia del cane da guardia è un valore, e non è detto che la “spallata” andrà fino in fon-do. Tre banchi di prova si avvicina-no: la doppia opa su Rcs; il recepi-mento entro il 2016 della direttiva sulle informazioni chiave da inseri-re nei prospetti, che potrebbe por-tare al superamento degli “scenari
probabilistici” in favore del meto-do “what if”, per cui il venditore co-struisce a sua discrezione tre oppo-sti scenari di rendimento, e li se-gnala al compratore; l’integrazio-ne di Francesca Amaturo, segreta-ria di Vegas da lui a suo tempo pro-mossa dirigente senza fare un con-corso, suscitando un’inchiesta pe-nale su cui la procura romana ha chiesto l’archiviazione. Ma il Con-
siglio di Stato ha dichiarato illegitti-ma la stabilizzazione della dirigen-te, e giorni fa in Commissione è passata la linea di chiedere un pa-rere all’Avvocatura dello Stato, non ai legali della Consob come il presidente chiedeva.
Il rischio è che l’ultima fase della gestione Vegas trascorra tra veti, sgambetti e tentativi di accreditarsi interpretando la volontà politica
prevalente. lasciando un cumulo di macerie su cui si dovrà rifondare un organismo sfibrato dall’avere un corpus di regole basato su quel-le originarie del 1974, un personale quasi scevro da esperienze ester-ne, un finanziamento delegato alle società vigilate, un’alta dirigenza statica che da anni o decenni occu-pa gli snodi chiave.
A quanto raccontano in azienda, nemmeno i suoi più stretti collaboratori ne conoscono i contenuti. Ma il mistero durerà ancora poco: tutta la prima linea di
Edison è stata convocata per martedì 14, giorno in cui il nuovo amministratore di Edison Marc Benayoun presenterà il nuovo organigramma della società e spiegherà come intende rilanciare il business della vendita di gas ed elettricità. Che stesse lavorando a un nuovo piano e che voglia procedere a un ringiovanimento dei quadri dirigenti della seconda utility italiana (saldamente controllata
dall’ex monopolista francese Edf) era in parte noto. Ma ora cadrà anche il velo su come intende raggiungere i nuovi obiettivi. E non sarà cosa facile, visto che gli ultimi due bilanci non si sono chiusi in rosso solo grazie alle rinegoziazioni dei contratti di lungo periodo nel gas con Gazprom e con Eni. Ma Benajoun ha convinto Parigi a dare un’altra chance alla controllata italiana.
Atlantiavuol puntare500 milionisul Perù
AFFARI IN PIAZZA
Il ciclone Netflix spazzerà via la vecchia tv: sì, forse un domani. O forse dopodomani. Ma per ora pare che Rai, Mediaset, Sky, Cairo e tutti quelli che stanno investendo in nuovi canali, pay o in
chiaro, da Discovery a Viacom (e nuovi arrivi sono attesi a breve) possano dormire sonni, magari non proprio tranquilli ma non certo tormentati dall’incubo di milioni e milioni di spettatori in fuga verso la streaming tv di Reed Hastings. Il tranquillante si trova nei numeri del rapporto di Pricewaterhouse Cooper “Global Entertainment e Media Outlook 2016-20” pubblicato la scorsa settimana. Nel capitolo sull’Italia snocciola le
previsioni sulla crescita del mercato Svod, ossia la streaming tv con abbonamento fisso mensile. Dove operano Netflix e anche Infinity di Mediaset, Tim Vision e Sky Online. Secondo PwC il comparto quest’anno crescerà del 100%. Ma rallenterà subito. La crescita sarà del 24% nel 2018, del 18% nel 2019 e sotto il 10% nel 2020, quando il valore di mercato si attesterà sui 126 milioni di dollari.
dire capitale e bond subordinati azzerati per Banca Marche, Etruria, Cariferrara e Carichie-ti. Oggi i risparmiatori e molti ac-cademici ritengono che qual-che prestito bancario si poteva vendere più accuratamente se i prospetti avessero contenuto gli “scenari probabilistici” di ri-schio. Lei è a favore o contro?
«Io sono a favore degli scenari probabilistici, per due ragioni. In primo luogo perché rappresenta-re probabilisticamente i rischi (ov-vero dire a una persona che c’è una data percentuale di possibili-tà di perdere i suoi soldi) gli offre una chiara percezione del rischio a cui uno va in-contro. Tecnicamente fun-ziona, perché anche quan-do non ce ne rendiamo con-to nella nostra mente sap-piamo figurarci i numeri delle probabilità. In secon-do luogo, queste informa-zioni sono a disposizione di intermediari ed emittenti, perché se ne servono per formare i prezzi degli stru-menti finanziari che vendo-no. Quindi, oltre che utili, sono informazioni gratuite, che non ricadono sulle spal-le del risparmiatore».
Perché allora la Consob e gli emittenti sembrano avere osta-colato questi “scenari” in più modi?
«Consob fino a un certo punto li raccomandava, poi tra i regola-tori, anche europei, c’è stato un ri-piegamento sul principio del what if, che comunica al cliente il rendimento atteso del suo investi-mento in base a tre scenari, uno positivo, uno neutro, l’altro nega-tivo. Tuttavia è verosimile che il cliente consideri quelle tre ipotesi equiprobabili, mentre con gli sce-nari probabilistici ciò non avvie-ne. Quanto agli emittenti, non sor-prende che li abbiano ostacolati: è un po’ come fanno le case far-maceutiche sul bugiardino quan-do enfatizzano i benefici del far-maco e scrivono in piccolo gli ef-fetti collaterali». (a. gr.)
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EdisonBenayoun giocal’ultima carta
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Giovanni Castellucci(Atlantia)
Marc Benayoun (Edison)
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Il “Raduno nazionale dei truffati
delle banche” in piazza Santi
Apostoli a Roma lo scorso
31 gennaio
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Luca Pagni
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Reed Hastings(Netflix)
Stefano Carli
Netflixadessofa un po’meno paura
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[I COMMISSARI]
Qui, sopra la copertina del libro “Attenti a quei soldi” da poco pubblicato da Luigi Guiso
I commissari Consob Paolo Troiano (1), Anna Genovese (2)e i due che sono stati nominati lo scorso dicembre:Carmine Di Noia (3) e Giuseppe Maria Berruti (4)
Sara Bennewitz