I consiglieri di maggioranza e il loro ruolo nel board · SEDE LEGALE DIREZIONE E REDAZIONE: via...

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18 Commenti e inchieste Il Sole 24 Ore Domenica 27 Marzo 2016 - N. 85 IL DIBATTITO E LE IDEE L’importanza di stabilità e governance Sono caduti alcuni assiomi per le imprese: è iniziato un faticoso ripensamento del sistema di Donato Masciandaro u Continua da pagina 1 D opo l’ubriacatura dei mer- cati efficienti che si autore- golamentano, ed i dolorosi postumi post sbornia da Grande Crisi, il pendolo sta tornan- do sul ruolo della stabilità nel gover- no delle politiche, macroeconomi- che come aziendali. Un salutare rie- quilibrio, purché non si cada dalla padella alla brace, con la stabilità a fare da cavallo di Troia per la difesa di rendite, siano esse dei politici, del- le burocrazie di controllo e di vigi- lanza, dei manager. I Paesi avanzati sono entrati in una fase molto particolare, quella della “nuova normalità”, caratterizzata da almeno due caratteristiche: crescita economica anemica, unita a mercati finanziari volatili e complessi. Sono due facce di una stessa medaglia, che è stata coniata almeno due decenni fa. Da un lato, l’economia reale – negli Stati Uniti come in Europa – è carat- terizzata da una bassa produttività, che ha schiacciato la reddittività rea- le del capitale verso lo zero, se non in territorio negativo. La crescita ane- mica è un risultato che sorprende, so- prattutto se accoppiato ai due feno- meni – intrecciati – che hanno con- temporaneamente contraddistinto lo stesso periodo: lo sviluppo impe- tuoso delle tecnologie della informa- zione (ICT) e quello della finanza, cioè del debito. La crescita straordinaria e con- giunta di ICT e finanza non deve sor- prendere: se finanza è produzione e creazione di debito, tale attività di- pende dalla gestione di informazioni, per cui l’evoluzione della ICT è stata la leva tecnologia che ha fatto prolife- rare la leva finanziaria. Anche perché la leva regolamentare è andata nella stessa direzione: la deregolamenta- zione ha consentito l’intreccio pro- fondo e diffuso tra innovazione ICT e innovazione finanziaria. Quello che sorprende invece è che dello sviluppo di ITC e finanza non si trovi traccia robusta e duratura nella crescita reale. Alcuni ritengono che ci siano dei problemi di misurazione; un’altra ipotesi – tutta da esplorare – è che il combinato disposto di derego- lamentazione, crescita del debito e del ICT sia un disincentivo alla pro- duttività del lavoro. Di sicuro la deregolamentazione è stato il propellente principale della Grande Crisi, unito ad una politica monetaria irresponsabile che ha fi- nanziato la crescita del debito. L’as- sioma su cui si basava la deregola- mentazione – i mercati tendono ad essere efficienti, e la autoregola- mentazione è il miglior disegno per disciplinarli – è stato falsificato dalla realtà. Il maggior beneficio? È stata risco- perta l’importanza della stabilità fi- nanziaria, in più di un perimetro di gioco: la politica monetaria da un la- to, quella bancaria e della governan- ce dall’altro. Il maggior rischio? Che la rilevanza della stabilità diventi il cavallo di Troia per sviluppare o con- solidare posizioni di rendita, da parte di attori rilevanti. Nella politica monetaria è caduto l’assioma che la gestione dei tassi di interesse e delle grandezze moneta- rie deve essere indifferente a quello che accade nei mercati finanziari. L’assioma partiva dal presupposto che la volatilità dei mercati finanziari – che può sfociare in vere e proprie bolle – era un fenomeno irrilevante per le scelte della politica monetaria. L’irrilevanza era motivata dalla diffi- coltà di comprendere la natura più o meno strutturale della volatilità fi- nanziaria; di conseguenza, dal ri- schio di commettere errori di politi- ca monetaria, che pregiudicano la credibilità della banca centrale; la quale dunque, deve evitare di inter- venire ex ante, e limitarsi – se del caso – a gestire ex post le bolle finanziarie che scoppiano. La strategia della neu- tralità della politica monetaria ri- spetto ai rischi da instabilità finan- ziaria ha causato l’incapacità della banca centrale americana (Fed) di comprendere quello che stava acca- dendo, sfociata nella gestione falli- mentare del periodo che va dall’ago- sto 2007 al settembre 2008, culmina- ta con il fallimento di Lehman Brothers. Dal 2008 la stabilità finan- ziaria è tornata importante per la po- litica monetaria. Il rischio? Si è confu- sa la rilevanza della stabilità con la necessità che sia la stessa banca cen- trale ad occuparsi della supervisione – macro e micro – dei mercati bancari e finanziari. In altri termini: dire che il fuoco è importante non significa automaticamente che i piromani debbano essere nominati pompieri. È quello che è accaduto per la Fed, e la scelta ha contagiato anche l’Europa, dove si è deciso di mettere sotto lo stesso tetto le responsabilità di poli- tica monetaria e di vigilanza. Nella politica bancaria e della go- vernance è caduto definitivamente l’assioma che portava automatica- mente dalla cosiddetta contendibili- tà di mercati, banche ed aziende alla stabilità finanziaria. La regolamen- tazione bancaria e finanziaria – basa- ta esclusivamente sui due pilastri dei controlli prudenziali e dei cosiddetti indicatori di buona governance, ruo- lo degli investitori istituzionali e de- gli amministratori indipendenti in- cluso – ha fallito. È iniziato un fatico- so percorso di ripensamento delle regole del gioco, che deve prevede- re, oltre ad un revisione delle regole prudenziali e di governance, anche la reintroduzione dei cosiddetti con- trolli strutturali ed il ripensamento dello strumento della tassazione. L’eccesso di assunzione di rischio a livello aziendale – che è la miccia del rischio sistemico, se diviene genera- lizzato – non può essere evitato con- tando esclusivamente su pilastri che si sono mostrati di argilla. Il rischio? Passare dalla padella alla brace: la re- golamentazione ante Crisi ha creato spesso manager autorefenziali, so- vente anche infedeli; l’impressio- nante sequenza di manipolazioni del buon funzionamento di più un mer- cato, nazionale e globale, sono a te- stimoniarlo. Ora l’importanza della stabilità non deve però diventare un comodo usbergo per difendere vec- chie e nuove posizioni di rendita. Ef- ficienza e stabilità non sono mai l’una automatica conseguenza del- l’altra. È una illusione – o una finzio- ne – che non valeva quando si soste- neva che l’efficienza produce stabili- tà; non deve valere oggi nella dire- zione inversa. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il debito pubblico e la fiducia reciproca DIRETTORE RESPONSABILE Roberto Napoletano VICEDIRETTORI: Edoardo De Biasi (VICARIO), Alberto Orioli, Salvatore Padula, Alessandro Plateroti, Fabrizio Forquet (redazione romana) SUPERDESK CARTA-DIGITAL: Caporedattori responsabili: Marina Macelloni e Guido Palmieri Ufficio centrale: Daniele Bellasio, Giuseppe Chiellino, Franca Deponti, Federico Momoli, Giorgio Santilli, Alfredo Sessa, Alberto Trevissoi (vice) Segretario di redazione: Marco Mariani INFORMAZIONE NORMATIVA E LUNEDI: Mauro Meazza SUPERVISIONE E COORDINAMENTO AREA FINANZA: Christian Martino SUPERVISIONE E COORDINAMENTO AREA IMPRESA: Lello Naso UFFICIO GRAFICO CENTRALE: Adriano Attus (creative director) e Francesco Narracci (art director) RESPONSABILI DI SETTORE: Luca Benecchi, Luca De Biase, Jean Marie Del Bo, Attilio Geroni, Laura La Posta, Armando Massarenti, Francesca Padula, Christian Rocca, Fernanda Roggero, Stefano Salis, Giovanni Uggeri, Paolo Zucca SOCIAL MEDIA EDITOR: Michela Finizio, Marco lo Conte (coordinatore), Vito Lops e Francesca Milano PROPRIETARIO ED EDITORE: Il Sole 24 Ore S.p.A. 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DISTRIBUZIONE ITALIA: m-dis Distribuzione Media S.p.A., via Cazzaniga 1 - 20132 Milano, Tel. 022582.1 Certificato Ads n. 7879 del 19-02-2015 Registrazione Tribunale di Milano n. 322 del 28-11-1965 La tiratura del Sole 24 Ore di oggi 27 Marzo 2016 è stata di 200.320 copie COLOMBA PASQUALE Il servizio della Rai, il canone in bolletta e l’evasione eccessiva C aro Carrubba, leggo sul Sole 24 Ore di sabato 27 febbraio una lettera che rende onore al Governo Renzi per aver introdotto in bolletta elettrica il canone Tv. Probabilmente il lettore possiede un solo tv e una sola bolletta elettrica. Non può quindi immaginare quanti ricorsi ci saranno da parte di proprietari o conduttori con più abitazioni a disposizione. È esattamente da gennaio che ho provveduto a scrivere alle due società (Enel e Iride) e all’Agenzia delle Entrate, ma senza risolvere il problema. Eppure ho solo invitato Enel ad addebitare il canone tv e invitato Iride ad astenersi sulla seconda casa che ho in affitto. Se Renzi e il suo Governo avessero dato più importanza ai disoccupati, ai pensionati che non arrivano alla fine del mese, alle persone che si recano a fare la spesa nei cassonetti dell’immondizia, forse avrebbe avuto gli onori anche da parte mia, ma rendere onore al Governo per avere introdotto il canone Tv in bolletta mi sembra fuori luogo. Lettera firmata La lettera dà voce a un malcontento che credo sia diffuso, ma anche in parte fuori bersaglio. Innanzi tutto, non tiene conto della clamorosa propensione all’evasione che caratterizza il teleutente italiano: secondo l’Annuario R&S 2015 di Me- diobanca, infatti, l’evasione del canone (che è tra i più bassi in Europa) supera il 30% (con punte oltre il 40% al Sud e, chissà perché, a Milano); in Francia e Germania l’evasione non c’è; in Gran Bretagna non supera il 5%. Per la Rai si tratta di una perdita di 600 milioni: se fossimo disciplinati come gli inglesi, osserva Mediobanca, la società «di- venterebbe il primo Gruppo per ricavi in Italia, e si avvicinerebbe a France Télévisions, con circa 2,9 miliardi di fatturato». Insomma l’indisciplina fiscale di molti, come al solito, provoca danni agli onesti. Ma il punto, a mio parere, non è come si paghi il canone, ma per- ché. E qui le critiche dovrebbero esse- re più diffuse e mirate. Innanzi tutto, ri- cordano che il canone convive con la pubblicità (in calo), a differenza della stessa Gran Bretagna, che non ha pub- blicità, o di altri Paesi nei quali essa è molto meno invasiva di quella italiana. In secondo luogo, osservando che il canone si giustifica con la natura pub- blica del servizio garantito dalla Rai: sui contenuti di quest’ultimo molti dubbi sono legittimi. La televisione pubblica, ormai, non si differenzia per nulla, quanto ai contenuti da quelle commerciali; il prodotto di intratteni- mento e di informazione è analogo, tendente al basso, popolato dalle stes- se facce, rivolto a un pubblico tradizio- nale e anziano. Il recupero della fun- zione pubblica dovrebbe perciò passa- re dalla invenzione di prodotti innova- tivi che intercettino nuovi pubblici (impresa comunque difficile, perché trascinare i giovani dinnanzi allo schermo non è facile) e di appunta- menti che siano svincolati dalla ditta- tura dell’audience dalla quale dipen- dono i ricavi pubblicitari. Pensiamo al- la cultura: non possiamo vantarci che la Rai sia la più importante industria pubblica del Paese, lamentarci della scarsa diffusione della cultura in Italia, e non pretendere che anche la televi- sione pubblica investa sulla diffusione della lettura, sul teatro, sulla musica, sull’arte, sulla divulgazione scientifi- ca. Qualcosa in più adesso si fa, grazie alle nuove piattaforme, ma strada da fare ce n’è tanta. E i contribuenti, com- presi quelli che finora non pagavano, farebbero bene a pretendere che i loro soldi siano spesi bene. Gli accertamenti della GdF In relazione al contenuto dell’articolo pubblicato in data 24 marzo 2016 dal ti- tolo «Tra il buon senso della GdF e il la- to oscuro dell’accertamento», si ritie- ne doveroso precisare che: - il rilievo formulato al barista triesti- no non riguarda differenze di importo tra un tipo di caffè ed un altro, bensì la mancata emissione dello scontrino; - la circostanza è emersa a seguito di un rilevamento diretto, posto che uno dei due finanzieri era all’interno del lo- cale; - dopo aver visto il cliente pagare, e poi allontanarsi senza ricevere lo scon- trino, il finanziere ha avvertito l’altro collega che si trovava fuori dal bar. Dal successivo controllo, il cliente non ha esibito alcun scontrino fiscale; - neanche sul bancone sono stati rin- venuti scontrini di valore pari a quel- l’importo (di 1€ o di 1,10 €) emessi in quel lasso di tempo. Solo dopo aver completato tali ri- scontri è stata rilevata l’infrazione al solo commerciante. È altresì opportu- no evidenziare che il commerciante non rischia, allo stato, alcuna chiusura dell’esercizio. Ufficio Stampa Guardia di Finanza Domenico Rosa Lettere Le lettere vanno inviate a: Il Sole-24 Ore "Lettere al Sole-24 Ore" Via Monte Rosa, 91 20149 Milano email: [email protected] includere per favore nome, indirizzo e qualifica Le risposte ai lettori Il dibattito e le idee / 2. Governance e regole I consiglieri di maggioranza e il loro ruolo nel board di Luigi Zingales N ella Fattoria degli Animali di George Orwell, tutti gli ani- mali erano uguali, ma alcuni – nella fattispecie i maiali – erano più uguali degli altri. La visione della corporate governance sostenuta dal Presidente del Comitato della Cor- porate Governance di Borsa Italiana (nonché presidente di una delle più grandi imprese italiane), Gabriele Ga- lateri di Genola, sembra ricordare la favola di Orwell. In una lettera ad As- sogestioni, riportata sul Sole da Clau- dio Gatti, il manager piemontese so- stiene – giustamente – che tutti i consi- glieri di amministrazione sono uguali ed operano senza vincolo di mandato. Aggiunge però un’importante diffe- renza. I consiglieri nominati dagli in- vestitori istituzionali, spesso impro- priamente chiamati “di minoranza”, non possono consultare gli azionisti che li hanno nominati, mentre quelli di “maggioranza” sì. Ovvero tutti sono uguali, ma i consiglieri di “maggioran- za” sono più uguali degli altri. Non sono un giurista, ma non oc- corre un esperto di diritto per capire l’assurdità della tesi. Anche i parla- mentari operano senza vincolo di mandato, ma non per questo è proibi- to loro di consultarsi con i propri elet- tori durante il mandato stesso. Tan- tomeno c’è una differenza tra parla- mentari di maggioranza, che potreb- bero consultarsi con i propri elettori, e parlamentari di minoranza, che non lo potrebbero fare. In verità, esiste una differenza tra parlamentari e consiglieri di ammini- strazione. Questi ultimi detengono molte più informazioni confidenzia- li, che possono essere impropria- mente usate per speculazioni di bre- ve periodo. Proprio per questo moti- vo, Assogestioni possiede da anni un regolamento sui modi in cui queste consultazioni con gli investitori isti- tuzionali possono avvenire: devono essere aperte a tutti gli investitori istituzionali, in una sede istituziona- le, e la conversazione deve essere unidirezionale, ovvero gli investitori possono dare le loro opinioni ai con- siglieri ma non viceversa. Avendo partecipato ad alcune di queste riu- nioni, posso dire che funzionano molto bene. Il vero problema è che non esiste una simile procedura per i consiglieri nominati dalla maggioranza. Costo- ro parlano continuamente con i loro azionisti di riferimento, senza alcun controllo, spesso dando vantaggi in- formativi ad alcuni azionisti rispetto ad altri. Nella sua lettera Galateri si appiglia al fatto che le regole europee prevedono che il consiglio nomini dei consiglieri deputati a tenere i rap- porti con gli investitori, in nome di tutti i consiglieri. Ben venga. Ma que- sto deve valere tanto per Norges (un fondo norvegese), che per Medio- banca. Altrimenti siamo alla corpora- te governance orwelliana. Ma così non è. Quando ero consi- gliere di amministrazione di Tele- com, molto spesso ho sentito consi- glieri cosiddetti indipendenti affer- mare “devo sentire cosa mi dice Ban- ca Intesa” o “devo parlare con Generali.” Decisioni strategiche, con enormi effetti sul valore del titolo, ve- nivano condivise con il management di altre società, anche se queste socie- tà non avevano alcuna giustificazio- ne giuridica per ricevere queste in- formazioni. Paradossalmente, Galateri sedeva in quello stesso consiglio, di cui per tre anni è stato anche presidente. Ep- pure non l’ho mai sentito una volta protestare per queste conversazioni, molto più pericolose di quelle dei consiglieri di minoranza né tantome- no denunziarle, come violazione del- la corporate governance. Perché al- lora protesta oggi? Viene il sospetto che cerchi di tene- re fuori dal consiglio le critiche non gradite. Ma gli investitori istituzio- nali internazionali non sono addo- mesticabili come quelli nazionali. Se presidenti come Galateri impedisco- no alle loro critiche di giungere alle orecchie dei consiglieri, smettono di investire nelle società italiane. Basta vedere come il titolo di Generali è crollato quando la società non è stata in grado di trattenere un amministra- tore competente come Mario Greco. È inutile che il Presidente del Consiglio Renzi si dia da fare a pro- muovere l’immagine del nostro Pa- ese all’estero. Fino a quando in Italia prevale la corporate governance orwelliana di Galateri, gli investito- ri istituzionali stranieri non vengo- no. Con grande gioia dei manager nostrani, che non rischiano la pol- trona, ma con grave danno per il Pa- ese intero. © RIPRODUZIONE RISERVATA DOPO LA CRISI Oltre a una revisione delle regole prudenziali, vanno reintrodotti i cosiddetti controlli strutturali e rivisto lo strumento della tassazione L’EDITORIALE di Guido Tabellini u Continua da pagina 1 T ra le ipotesi 1 e 2 c’è tutto un continuum, naturalmente. Ma i tedeschi non si fidano più. Vedono che la reazio- ne comune alla crisi (la svolta della Bce, la nascita del- l’Esm) ha avuto successo, ma si è anche accompagnata a cam- biamenti politici interni in molti paesi, e ha portato a un ral- lentamento del risanamento fiscale e delle riforme. Non sappiamo cosa sia negoziabile in questa posizione e cosa non lo sia. Ma certamente è un’impostazione ampia- mente condivisa in Germania, anche dai politici e dagli eco- nomisti più filo-europei. Naturalmente, se questa posizione dovesse prevalere, non solo sarebbe impossibile completare l’Uem per scongiurare nuove crisi finanziarie, ma al contra- rio si farebbero gravi passi indietro. Il rischio di crisi finanzia- rie tornerebbe a essere tangibile, e salirebbero sia il costo del capitale per le imprese italiane che il costo del debito pubbli- co. Anziché avere più integrazione, andremmo verso la di- sintegrazione dell’area Euro. Cosa può fare il governo italiano per facilitare un compro- messo ragionevole e spingere l’Europa verso una maggiore integrazione economica e politica? La cosa più importante è ristabilire la fiducia reciproca. E questo significa innanzitut- to far scendere il debito pubblico. Non solo perché ciò fa par- te degli accordi europei, ma anche perché obiettivamente il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli che mettono a re- pentaglio la stabilità finanziaria, non solo dell’Italia. La riduzione del debito è una priorità anche in una pro- spettiva puramente nazionale. La distanza negoziale tra la Germania e il Sud Europa sul completamento dell’Uem è così grande, che non è detto che si trovi un compromesso, quantomeno non in tempi brevi. Se così fosse, l’Uem reste- rebbe ancora in un limbo, con la politica monetaria ormai quasi priva di strumenti, e senza una capacità fiscale co- mune per risollevare la domanda interna o per far fronte a nuovi shocks. In questa prospettiva, sarebbe comunque molto rischioso rinviare ulteriormente la discesa del debi- to pubblico italiano. Un anno fa, l’andamento tendenziale del rapporto debito/ Pil italiano era previsto in discesa al 130,3% nel 2016, e al 126,1% nel 2017 (da oltre il 132% a fine 2015). Nel corso del 2015 il gover- no ha rallentato il sentiero di discesa del debito due volte: ad aprile l’obiettivo per il 2017 è stato alzato di oltre un punto percentuale, e a settembre, è stato portato a quasi il 128%. Nel frattempo le previsioni economiche sono peggiorate, e ora l’obiettivo di debito per il 2017 sarà alzato ulteriormente (an- che se continueremo a promettere che negli anni successivi il debito scenderà rapidamente). Di quanto lo scopriremo tra due settimane, quando il governo presenterà il Def, e con es- so il nuovo quadro programmatico della finanza pubblica. È su questo che si misurerà la volontà del governo di spingere davvero verso una maggiore e migliore integra- zione europea. Perché ogni innalzamento del sentiero del debito, non solo rende più fragile il nostro paese, ma allon- tana ancora di più la prospettiva di un buon compromesso per completare l’Uem. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Independent», ultima copia di carta Addio alle edicole. Da oggi «The Independent», quotidiano liberal britannico, fondato 30 anni fa, sarà disponibile solo nella versione online. Nell’ultima copertina cartace unapagina bianca e un eloquente messaggio in rosso al centro: «Stop press, leggete tutto qui, nella nostra ultima edizione su carta. 1986-2016». Editoria EPA Salvatore Carrubba

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18 Commenti e inchieste Il Sole 24 OreDomenica 27 Marzo 2016 ­ N. 85

IL DIBATTITO E LE IDEE

L’importanza di stabilità e governance Sono caduti alcuni assiomi per le imprese: è iniziato un faticoso ripensamento del sistema

di Donato Masciandaro

u Continua da pagina 1

Dopo l’ubriacatura dei mer­cati efficienti che si autore­golamentano, ed i dolorosipostumi  post  sbornia  da

Grande Crisi, il pendolo sta tornan­do sul ruolo della stabilità nel gover­no delle politiche, macroeconomi­che come aziendali. Un salutare rie­quilibrio, purché non si cada dallapadella alla brace, con la stabilità afare da cavallo di Troia per la difesadi rendite, siano esse dei politici, del­le burocrazie di controllo e di vigi­lanza, dei manager. 

I Paesi avanzati sono entrati in unafase molto particolare, quella della“nuova normalità”, caratterizzata daalmeno due caratteristiche: crescitaeconomica anemica, unita a mercatifinanziari volatili e complessi. Sonodue facce di una stessa medaglia, cheè stata coniata almeno due decennifa. Da un lato, l’economia reale – negliStati Uniti come in Europa – è carat­terizzata da una bassa produttività,che ha schiacciato la reddittività rea­le del capitale verso lo zero, se non interritorio negativo. La crescita ane­mica è un risultato che sorprende, so­prattutto se accoppiato ai due feno­meni – intrecciati – che hanno con­temporaneamente  contraddistintolo stesso periodo: lo sviluppo impe­tuoso delle tecnologie della informa­

zione (ICT) e quello della finanza,cioè del debito. 

La  crescita  straordinaria  e  con­giunta di ICT e finanza non deve sor­prendere: se finanza è produzione ecreazione di debito, tale attività di­pende dalla gestione di informazioni,per cui l’evoluzione della ICT è statala leva tecnologia che ha fatto prolife­rare la leva finanziaria. Anche perché

la leva regolamentare è andata nellastessa direzione: la deregolamenta­zione ha consentito l’intreccio pro­fondo e diffuso tra innovazione ICT einnovazione finanziaria. 

Quello che sorprende invece è chedello sviluppo di ITC e finanza non sitrovi traccia robusta e duratura nellacrescita reale. Alcuni ritengono checi siano dei problemi di misurazione;un’altra ipotesi – tutta da esplorare – èche il combinato disposto di derego­lamentazione, crescita del debito edel ICT sia un disincentivo alla pro­duttività del lavoro. 

Di sicuro la deregolamentazione è

stato il propellente principale dellaGrande Crisi, unito ad una politicamonetaria irresponsabile che ha fi­nanziato la crescita del debito. L’as­sioma su cui si basava la deregola­mentazione – i mercati tendono adessere  efficienti,  e  la  autoregola­mentazione è il miglior disegno perdisciplinarli – è stato falsificato dallarealtà.

Il maggior beneficio? È stata risco­perta l’importanza della stabilità fi­nanziaria, in più di un perimetro digioco: la politica monetaria da un la­to, quella bancaria e della governan­ce dall’altro. Il maggior rischio? Chela rilevanza della stabilità diventi ilcavallo di Troia per sviluppare o con­solidare posizioni di rendita, da partedi attori rilevanti.

Nella politica monetaria è cadutol’assioma che la gestione dei tassi diinteresse e delle grandezze moneta­rie deve essere indifferente a quelloche  accade  nei  mercati  finanziari.L’assioma partiva  dal  presuppostoche la volatilità dei mercati finanziari– che può sfociare in vere e propriebolle – era un fenomeno irrilevanteper le scelte della politica monetaria.L’irrilevanza era motivata dalla diffi­coltà di comprendere la natura più omeno strutturale della volatilità fi­nanziaria;  di  conseguenza,  dal  ri­schio di commettere errori di politi­ca monetaria,  che pregiudicano  lacredibilità della banca centrale;  la

quale dunque, deve evitare di inter­venire ex ante, e limitarsi – se del caso– a gestire ex post le bolle finanziarieche scoppiano. La strategia della neu­tralità  della  politica  monetaria  ri­spetto ai rischi da instabilità finan­ziaria ha causato l’incapacità dellabanca centrale americana (Fed) dicomprendere quello che stava acca­dendo, sfociata nella gestione falli­mentare del periodo che va dall’ago­sto 2007 al settembre 2008, culmina­ta  con  il  fallimento  di  LehmanBrothers. Dal 2008 la stabilità finan­ziaria è tornata importante per la po­litica monetaria. Il rischio? Si è confu­sa la rilevanza della stabilità con lanecessità che sia la stessa banca cen­trale ad occuparsi della supervisione– macro e micro – dei mercati bancarie finanziari. In altri termini: dire cheil fuoco è importante non significaautomaticamente  che  i  piromanidebbano essere nominati pompieri.È quello che è accaduto per la Fed, e lascelta ha contagiato anche l’Europa,dove si è deciso di mettere sotto lostesso tetto le responsabilità di poli­tica monetaria e di vigilanza.

Nella politica bancaria e della go­vernance è caduto definitivamentel’assioma che portava automatica­mente dalla cosiddetta contendibili­tà di mercati, banche ed aziende allastabilità finanziaria. La regolamen­tazione bancaria e finanziaria – basa­ta esclusivamente sui due pilastri dei

controlli prudenziali e dei cosiddettiindicatori di buona governance, ruo­lo degli investitori istituzionali e de­gli amministratori indipendenti in­cluso – ha fallito. È iniziato un fatico­so percorso di ripensamento delleregole del gioco, che deve prevede­re, oltre ad un revisione delle regoleprudenziali e di governance, anchela reintroduzione dei cosiddetti con­trolli strutturali ed il ripensamentodello  strumento  della  tassazione.L’eccesso di assunzione di rischio alivello aziendale – che è la miccia delrischio sistemico, se diviene genera­lizzato – non può essere evitato con­tando esclusivamente su pilastri chesi sono mostrati di argilla. Il rischio?Passare dalla padella alla brace: la re­golamentazione ante Crisi ha creatospesso manager autorefenziali, so­vente  anche  infedeli;  l’impressio­nante sequenza di manipolazioni delbuon funzionamento di più un mer­cato, nazionale e globale, sono a te­stimoniarlo. Ora l’importanza dellastabilità non deve però diventare uncomodo usbergo per difendere vec­chie e nuove posizioni di rendita. Ef­ficienza  e  stabilità  non  sono  mail’una automatica conseguenza del­l’altra. È una illusione – o una finzio­ne – che non valeva quando si soste­neva che l’efficienza produce stabili­tà; non deve valere oggi nella dire­zione inversa.

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Il debito pubblicoe la fiducia reciproca

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COLOMBA PASQUALEIl servizio della Rai,il canone in bollettae l’evasione eccessiva

Caro Carrubba, leggo sul Sole 24Ore di sabato 27 febbraio unalettera che rende onore al 

Governo Renzi per aver introdotto in bolletta elettrica il canone Tv. Probabilmente il lettore possiede un solo tv e una sola bolletta elettrica. Nonpuò quindi immaginare quanti ricorsi ci saranno da parte di proprietari o conduttori con più abitazioni a disposizione. È esattamente da gennaio che ho provveduto a scrivere alle due società (Enel e Iride) e all’Agenzia delle Entrate, ma senza risolvere il problema. Eppure ho solo invitato Enel ad addebitare il canone tv e invitato Iride ad astenersi sulla seconda casa che ho in affitto. Se Renzi e il suo Governo avessero dato più importanza ai disoccupati, ai pensionati che non arrivano alla fine del mese, alle persone che si recano a fare la spesa nei cassonetti dell’immondizia, forse avrebbe avuto gli onori anche da parte mia, ma rendere onore al Governo per avere introdotto il canone Tv in bolletta mi sembra fuori luogo.

Lettera firmata

La lettera dà voce a un malcontento checredo sia diffuso, ma anche in parte fuori bersaglio.

Innanzi tutto, non tiene conto dellaclamorosa  propensione  all’evasione che caratterizza il teleutente italiano: secondo l’Annuario R&S 2015 di Me­diobanca, infatti, l’evasione del canone(che è tra i più bassi in Europa) supera il30% (con punte oltre il 40% al Sud e, chissà perché, a Milano); in Francia e Germania l’evasione non c’è; in GranBretagna non supera il 5%. Per la Rai si tratta di una perdita di 600 milioni: se fossimo disciplinati come gli inglesi, osserva Mediobanca, la società «di­venterebbe il primo Gruppo per ricavi in Italia, e si avvicinerebbe a France Télévisions, con circa 2,9 miliardi di fatturato».

Insomma  l’indisciplina  fiscale  dimolti, come al solito, provoca danniagli onesti. Ma il punto, a mio parere, non è come si paghi il canone, ma per­ché. E qui le critiche dovrebbero esse­re più diffuse e mirate. Innanzi tutto, ri­cordano che il canone convive con la pubblicità (in calo), a differenza della stessa Gran Bretagna, che non ha pub­blicità, o di altri Paesi nei quali essa è molto meno invasiva di quella italiana.In secondo luogo, osservando che il canone si giustifica con la natura pub­blica del servizio garantito dalla Rai: sui  contenuti di  quest’ultimo  moltidubbi sono legittimi. La televisione 

pubblica, ormai, non si differenzia pernulla, quanto ai contenuti da quelle commerciali; il prodotto di intratteni­mento e di informazione è analogo, tendente al basso, popolato dalle stes­se facce, rivolto a un pubblico tradizio­nale e anziano. Il recupero della fun­zione pubblica dovrebbe perciò passa­re dalla invenzione di prodotti innova­tivi che  intercettino nuovi pubblici(impresa comunque difficile, perché trascinare  i  giovani  dinnanzi  allo schermo non è facile) e di appunta­

menti che siano svincolati dalla ditta­tura dell’audience dalla quale dipen­dono i ricavi pubblicitari. Pensiamo al­la cultura: non possiamo vantarci che la Rai sia la più importante industria pubblica del Paese, lamentarci della scarsa diffusione della cultura in Italia,e non pretendere che anche la televi­sione pubblica investa sulla diffusionedella lettura, sul teatro, sulla musica, sull’arte, sulla divulgazione scientifi­ca. Qualcosa in più adesso si fa, grazie alle nuove piattaforme, ma strada da

fare ce n’è tanta. E i contribuenti, com­presi quelli che finora non pagavano, farebbero bene a pretendere che i lorosoldi siano spesi bene. 

Gli accertamenti della GdFIn relazione al contenuto dell’articolo pubblicato in data 24 marzo 2016 dal ti­tolo «Tra il buon senso della GdF e il la­to oscuro dell’accertamento», si ritie­ne doveroso precisare che:

­ il rilievo formulato al barista triesti­no non riguarda differenze di importo tra un tipo di caffè ed un altro, bensì la mancata emissione dello scontrino;

­ la circostanza è emersa a seguito diun rilevamento diretto, posto che uno dei due finanzieri era all’interno del lo­cale;

­ dopo aver visto il cliente pagare, epoi allontanarsi senza ricevere lo scon­trino, il finanziere ha avvertito l’altrocollega che si trovava fuori dal bar. Dalsuccessivo controllo, il cliente non ha esibito alcun scontrino fiscale;

­ neanche sul bancone sono stati rin­venuti scontrini di valore pari a quel­l’importo (di 1€ o di 1,10 €) emessi in quel lasso di tempo. 

Solo dopo aver completato tali ri­scontri è stata rilevata l’infrazione alsolo commerciante. È altresì opportu­no evidenziare che il commerciantenon rischia, allo stato, alcuna chiusura dell’esercizio. 

Ufficio Stampa Guardia di Finanza

Domenico Rosa

Lettere Le lettere vanno inviate a:Il Sole­24 Ore "Lettere al Sole­24 Ore"

Via Monte Rosa, 9120149 Milano

email: [email protected] per favore nome,

indirizzo e qualifica

Le risposteai lettori

Il dibattito e le idee / 2. Governance e regole

I consiglieri di maggioranza e il loro ruolo nel boarddi Luigi Zingales

Nella Fattoria degli Animali diGeorge Orwell, tutti gli ani­mali erano uguali, ma alcuni– nella fattispecie i maiali –

erano più uguali degli altri. La visione della corporate governance sostenutadal Presidente del Comitato della Cor­porate Governance di Borsa Italiana (nonché presidente di una delle piùgrandi imprese italiane), Gabriele Ga­lateri di Genola, sembra ricordare la favola di Orwell. In una lettera ad As­sogestioni, riportata sul Sole da Clau­dio Gatti, il manager piemontese so­stiene – giustamente – che tutti i consi­glieri di amministrazione sono ugualied operano senza vincolo di mandato.Aggiunge però un’importante diffe­renza. I consiglieri nominati dagli in­vestitori istituzionali, spesso impro­priamente chiamati “di minoranza”,non possono consultare gli azionisti che li hanno nominati, mentre quelli di

“maggioranza” sì. Ovvero tutti sonouguali, ma i consiglieri di “maggioran­za” sono più uguali degli altri. 

Non sono un giurista, ma non oc­corre un esperto di diritto per capirel’assurdità della tesi. Anche i parla­mentari  operano  senza  vincolo  dimandato, ma non per questo è proibi­to loro di consultarsi con i propri elet­tori durante il mandato stesso. Tan­tomeno c’è una differenza tra parla­mentari di maggioranza, che potreb­bero consultarsi con i propri elettori,e parlamentari di minoranza, che nonlo potrebbero fare. 

In verità, esiste una differenza traparlamentari e consiglieri di ammini­strazione. Questi ultimi detengonomolte più informazioni confidenzia­li,  che  possono  essere  impropria­mente usate per speculazioni di bre­ve periodo. Proprio per questo moti­vo, Assogestioni possiede da anni unregolamento sui modi in cui questeconsultazioni con gli investitori isti­

tuzionali possono avvenire: devonoessere aperte a tutti gli  investitoriistituzionali, in una sede istituziona­le, e  la conversazione deve essereunidirezionale, ovvero gli investitoripossono dare le loro opinioni ai con­siglieri ma non viceversa. Avendopartecipato ad alcune di queste riu­nioni,  posso  dire  che  funzionanomolto bene. 

Il vero problema è che non esisteuna simile procedura per i consiglierinominati dalla maggioranza. Costo­ro parlano continuamente con i loroazionisti di riferimento, senza alcuncontrollo, spesso dando vantaggi in­formativi ad alcuni azionisti rispettoad altri. Nella sua lettera Galateri siappiglia al fatto che le regole europeeprevedono che  il consiglio nominidei consiglieri deputati a tenere i rap­porti con gli investitori, in nome di tutti i consiglieri. Ben venga. Ma que­sto deve valere tanto per Norges (unfondo norvegese), che per Medio­

banca. Altrimenti siamo alla corpora­te governance orwelliana.

Ma così non è. Quando ero consi­gliere di amministrazione di Tele­com, molto spesso ho sentito consi­glieri cosiddetti indipendenti affer­mare “devo sentire cosa mi dice Ban­ca  Intesa”  o  “devo  parlare  conGenerali.” Decisioni strategiche, conenormi effetti sul valore del titolo, ve­nivano condivise con il managementdi altre società, anche se queste socie­tà non avevano alcuna giustificazio­ne giuridica per ricevere queste in­formazioni. 

Paradossalmente, Galateri sedevain quello stesso consiglio, di cui pertre anni è stato anche presidente. Ep­pure non l’ho mai sentito una voltaprotestare per queste conversazioni,molto più pericolose di quelle deiconsiglieri di minoranza né tantome­no denunziarle, come violazione del­la corporate governance. Perché al­lora protesta oggi? 

Viene il sospetto che cerchi di tene­re fuori dal consiglio le critiche nongradite. Ma gli investitori istituzio­nali  internazionali non sono addo­mesticabili come quelli nazionali. Sepresidenti come Galateri impedisco­no alle loro critiche di giungere alleorecchie dei consiglieri, smettono diinvestire nelle società italiane. Bastavedere come il titolo di Generali ècrollato quando la società non è statain grado di trattenere un amministra­tore competente come Mario Greco.

È  inutile  che  il  Presidente  delConsiglio Renzi si dia da fare a pro­muovere l’immagine del nostro Pa­ese all’estero. Fino a quando in Italiaprevale  la  corporate  governanceorwelliana di Galateri, gli investito­ri istituzionali stranieri non vengo­no. Con grande gioia dei managernostrani, che non rischiano la pol­trona, ma con grave danno per il Pa­ese intero.

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DOPO LA CRISIOltre a una revisione delle regole prudenziali, vanno reintrodotti i cosiddetti controlli strutturali e rivistolo strumento della tassazione

L’EDITORIALE

di Guido Tabellini

u Continua da pagina 1

T ra le ipotesi 1 e 2 c’è tutto un continuum, naturalmente.Ma i tedeschi non si fidano più. Vedono che la reazio­ne comune alla crisi (la svolta della Bce, la nascita del­

l’Esm) ha avuto successo, ma si è anche accompagnata a cam­biamenti politici interni in molti paesi, e ha portato a un ral­lentamento del risanamento fiscale e delle riforme. 

Non sappiamo cosa sia negoziabile in questa posizione ecosa non lo sia. Ma certamente è un’impostazione ampia­mente condivisa in Germania, anche dai politici e dagli eco­nomisti più filo­europei. Naturalmente, se questa posizione dovesse prevalere, non solo sarebbe impossibile completarel’Uem per scongiurare nuove crisi finanziarie, ma al contra­rio si farebbero gravi passi indietro. Il rischio di crisi finanzia­rie tornerebbe a essere tangibile, e salirebbero sia il costo delcapitale per le imprese italiane che il costo del debito pubbli­co. Anziché avere più integrazione, andremmo verso la di­sintegrazione dell’area Euro. 

Cosa può fare il governo italiano per facilitare un compro­messo ragionevole e spingere l’Europa verso una maggiore integrazione economica e politica? La cosa più importante èristabilire la fiducia reciproca. E questo significa innanzitut­to far scendere il debito pubblico. Non solo perché ciò fa par­te degli accordi europei, ma anche perché obiettivamente il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli che mettono a re­pentaglio la stabilità finanziaria, non solo dell’Italia.

La riduzione del debito è una priorità anche in una pro­spettiva puramente nazionale. La distanza negoziale tra laGermania e il Sud Europa sul completamento dell’Uem ècosì grande, che non è detto che si trovi un compromesso,quantomeno non in tempi brevi. Se così fosse, l’Uem reste­rebbe ancora in un limbo, con la politica monetaria ormaiquasi priva di strumenti, e senza una capacità fiscale co­mune per risollevare la domanda interna o per far fronte anuovi shocks. In questa prospettiva, sarebbe comunquemolto rischioso rinviare ulteriormente la discesa del debi­to pubblico italiano. 

Un anno fa, l’andamento tendenziale del rapporto debito/Pil italiano era previsto in discesa al 130,3% nel 2016, e al 126,1%nel 2017 (da oltre il 132% a fine 2015). Nel corso del 2015 il gover­no ha rallentato il sentiero di discesa del debito due volte: adaprile l’obiettivo per il 2017 è stato alzato di oltre un puntopercentuale, e a settembre, è stato portato a quasi il 128%. Nelfrattempo le previsioni economiche sono peggiorate, e ora l’obiettivo di debito per il 2017 sarà alzato ulteriormente (an­che se continueremo a promettere che negli anni successivi il debito scenderà rapidamente). Di quanto lo scopriremo tradue settimane, quando il governo presenterà il Def, e con es­so il nuovo quadro programmatico della finanza pubblica.

È su questo che si misurerà la volontà del governo dispingere davvero verso una maggiore e migliore integra­zione europea. Perché ogni innalzamento del sentiero deldebito, non solo rende più fragile il nostro paese, ma allon­tana ancora di più la prospettiva di un buon compromessoper completare l’Uem.

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«Independent», ultima copia di cartaAddio alle edicole. Da oggi «The Independent», quotidiano liberal britannico, fondato 30 anni fa, sarà disponibile solo nella versione online. Nell’ultima copertina cartace unapagina bianca e un eloquente messaggio in rosso al centro: «Stop press, leggetetutto qui, nella nostra ultima edizione su carta. 1986­2016».

EditoriaEPA

SalvatoreCarrubba

FNardini
Rettangolo

03/06/2016Pag. 23

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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato

4ELLIOTT MANAGEMENT - Rassegna Stampa 03/06/2016 - 03/06/2016

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5ELLIOTT MANAGEMENT - Rassegna Stampa 03/06/2016 - 03/06/2016

PRIMOPIANO 13 GIUGNO 20164

Andrea Greco

segue dalla prima

Sembra un karma quello “po-litico” di Giuseppe Vegas,

presidente della Commissione na-zionale per le società e la Borsa: quando il 18 novembre 2010 fu de-signato dal Consiglio dei ministri continuò a partecipare ai lavori del-la Camera, compreso un voto di sfi-ducia al governo Berlusconi il 14 di-cembre, poiché le sue dimissioni da parlamentare del Popolo della Libertà e viceministro dell’Econo-mia erano calendarizzate qualche giorno dopo. Uno dei suoi primi at-ti da presidente, nel marzo 2011, fu proporre un piano di incentivi per aumentare le quotazioni di matri-cole a Piazza Affari; progetto con forte risonanza politica.

Poi sono cominciati i dossier “caldi”. Come la scalata Unipol a Fondiaria-Sai, per cui il presiden-te aveva suscitato critiche per cer-ti atteggiamenti poco istituzionali (anche dall’allora commissario Michele Pezzinga). O come la cri-si di Mps, su cui Consob s’è ostina-ta a coprire la patacca dei derivati Alexandria - congegnati nel 2009 per occultare perdite ma che ha fi-nito per moltiplicarle - lasciati contabilizzare fino al 2014 come ti-toli di Stato, salvo che frattanto gli azionisti della banca senese han-no visto bruciare ricapitalizzazio-ni per quasi 10 miliardi.

Nella parte centrale del setten-nato Vegas ha imposto un suo stile accentratore e personale alla vita interna e ai dossier su cui l’autori-tà doveva esprimersi. Una modali-tà resa possibile anche dalla negli-genza degli esecutivi di Mario Monti e di Enrico Letta, che nei lo-ro tre anni di governi non hanno rimpiazzato i commissari in sca-denza, con l’effetto di azzoppare la Commissione lasciando a Vegas un ruolo preponderante nel colle-gio: in caso di stallo il voto del pre-sidente conta doppio; inoltre lo sta-tuto interno assegna al presidente ampie discrezionalità, come con-vocare riunioni non precedute da attività preparatorie, o decidere «per le vie brevi», come attesta la lettera diffusa da Report in cui emerge l’archiviazione silenziosa degli “scenari probabilistici” di in-vestimento sui bond.

Quello che ha fatto più ru-more, dentro l’opinione pub-blica e l’esecutivo, è certo la scarsa trasparenza nel diffon-dere i principi del salvataggio interno delle banche, entrati in vigore nel gennaio 2016 ma ap-provati da Bruxelles quasi tre anni pri-ma. Il governatore della Banca d’Italia si è spesso lamenta-to - con argomenti - della mancata esen-zione dal bail in dei prestiti bancari su-bordinati già emes-si, che si sono visti gravare rischi ignoti al momento della sot-toscrizione. Ma per-ché la vigilanza bancaria e quella dei mercati (nel-le mani di Consob) non hanno imposto alle ban-che emittenti di spiegare per tempo i nuovi rischi, noti fin dal 2013? Né Ve-gas, né Visco hanno mai fatto ammenda a riguar-do. Resta il fatto che, pro-prio nella stessa fase, le banche domestiche acce-leravano nella vendita di subordi-nati agli sportelli: circa 70 miliardi

di euro, senza cui diverse banche patrie avrebbero esaurito la dota-zione patrimoniale. Ma come si è vi-sto poi sui listini poi, quei titoli si so-no deprezzati anche a doppia cifra percentuale, o addirittura - è il caso di Banca Marche, Etruria, Cariferra-ra e Carichieti - si sono azzerati. I lo-ro prospetti «erano stati redatti nel rispetto delle regole di trasparenza previste», ha dichiarato il presiden-te della Consob nell’ultima relazio-ne annuale. Salvo correggere il tiro poco dopo: «Erano troppo lunghi e complessi per potere essere letti e pienamente compresi. Un eccesso di informazioni equivale quasi sem-pre a una carenza di informazioni». Poche settimane dopo - siamo al presente - Consob ha autorizzato la pubblicazione del prospetto più lungo (e forse più rischioso) della storia della finanza italiana: le 1.114 pagine per convincere/dissuadere a sottoscrivere la ricapitalizzazione da un miliardo di Veneto Banca.

Quando l’aggiunta di informa-zioni di rischio dava diritto di reces-so agli investitori, come nel caso del bond Banca Etruria del dicem-bre 2013, Consob strinse i tempi al minimo di legge: appena due gior-ni per riavere i soldi indietro, e si era sotto Natale. Sulle vendite di su-bordinati al dettaglio, in diversi ca-si violando la direttiva Mifid, le ban-

che italiane hanno fatto molti errori da quegli anni e Con-sob non ha aiutato a disvelar-li quando, ancora nel luglio

2015, ha stilato un elenco di strumenti finanziari comples-

si che, malgrado una raccomandazione ad hoc dell’Esma che rag-gruppa le autorità di mercato europee, non includeva la tipo-logia dei “subordina-ti”, quei bond chia-mati prima degli al-tri (i senior) a pagare le perdite di chi li emette. Anche su queste premesse Matteo Renzi ha ri-tenuto, lo scorso di-

cembre, di privare Consob di una sua fun-

zione e individuare l’ar-bitro dei rimborsi degli

obbligazionisti delle quat-tro banche tra «persone di comprovata imparziali-tà, indipendenza, profes-sionalità e onorabilità». Che in breve sono state in-

dividuate nell’Anac di Raf-faele Cantone.

L’ultimo dissidio in ordi-ne di tempo vede le associa-

zioni di consumatori e de-cine di economisti e acca-

demici tacciare la Commissione di aver indebitamente dissuaso dal pubblicare gli “scenari probabilisti-ci” dai prospetti degli investimenti più rischiosi. E’ un caso molto tecni-co e che si presta a strumentalizza-zioni, anche favorito da numerosi cambiamenti di regolazione a livel-lo comunitario. Di certo a Vegas le attualizzazioni che cercano di pre-vedere le chance di guadagnare e

di perdere non piacciono: ha depo-tenziato l’ufficio analisi quantitati-ve interno che se ne occupava e, senza mai abrogare gli “scenari”, ha messo loro la sordina, in ciò fa-vorito da sopraggiunte contrarie di-sposizioni europee. Non piaceva-no neanche a Giulio Tremonti, il “suo” ministro del Tesoro, fiero cri-tico degli scenari di probabilità per-ché li giudicava un tentativo di legit-

timare i derivati, che considerava invece «una follia finanziaria». Tut-tavia il modo in cui Vegas ha espun-to gli “scenari” dai prospetti dei bond italiani è piaciuto a pochi. Giorni fa alcuni suoi commissari hanno chiesto di chiarire, e ottenu-to, con votazione favorevole quat-tro contro uno, di convocare una Commissione ad hoc, che dovreb-be svolgersi questa settimana.

Indipendentemente dagli esiti, va notato che la questione è una delle prime che vede ricomporsi il Collegio, per anni monco e ricom-posto dal governo Renzi che l’anno scorso ha nominato Anna Genove-se, e quattro mesi fa il magistrato Giuseppe Maria Berruti e l’ex vice dg di Assonime Carmine Di Noia. Il plenum ritrovato tra i commissari sta creando nuove chimiche den-

Consob alla resa dei contitraballa il “regno” di Vegasalla vigilia dell’opa Rcs

Milano

Una Consob più incisiva nel far rispettare le regole che

ci sono, e più attiva nel diffondere le nuove consapevolezze richie-ste agli investitori nell’epoca dei “salvataggi privati” bancari. Un governo che, evitando di prende-re decisioni sull’onda dell’emoti-vità, sappia riordinare le authori-ty introducendone una nuova, per tutelare specificamente il ri-sparmio. Sono le ricette di Luigi Guiso, economista docente dell’I-stituto Einaudi di Roma e da apri-le fra i tre esperti italiani entrati nel gruppo degli stakeholder ban-cari dell’Eba di Londra.

La gestione della Consob sem-bra tornata nel gorgo delle criti-che, anche da parte del gover-no. Qual è il suo giudizio sull’o-perato della presidenza di Giu-seppe Vegas?

«Dare un giudizio sintetico sull’operato di un’istituzione in una fase di mercato così comples-sa mi sembra fuorviante. Faccio due osservazioni. La prima, sul fatto che a mio avviso le regole ci sono, ma la loro implementazio-ne dovrebbe essere più cogente e incisiva da parte delle autorità na-zionali. In questa materia princi-palmente la Consob, che talvolta non è stata sufficientemente for-te. La seconda, sul fatto che pen-so ci sia un problema nel disegno delle istituzioni: per come funzio-na oggi il mercato finanziario, per la crescente complessità de-gli investimenti e l’importanza che ciò ha assunto nella vita delle famiglie, credo serva più specia-lizzazione. Per questo ho propo-sto da tempo di accentrare le fun-zioni di tutela del risparmio - og-

gi in capo a Consob e in parte a Bankitalia - in un’autorità separa-ta e specializzata. Non per incom-petenza delle altre: perché la spe-cializzazione è necessaria per la scala e la complessità delle attua-li interazioni finanziarie. Un po’ sul modello Usa, dove i volumi dei mutui casa e del risparmio ge-stito sono ormai tanto grandi da avere stravolto la struttura del mercato e degli investitori. Tra l’altro il governo ha avviato un riordino delle authority: ma biso-gnerà farlo con quel tanto di ra-ziocinio e calma che serve per di-segnarle bene, non sull’onda de-gli scandali di turno».

In Europa da gennaio è in vi-gore la direttiva sul bail in, che chiama investitori e cor-rentisti bancari a intestarsi la prima fetta delle perdite. Cre-de che i regolatori abbiano

ben sorvegliato il passaggio?«Ho l’impressione, a livello na-

zionale ma anche europeo, che l’importanza di questo problema sia stata sottovalutata. L’Esma, re-sponsabile per la protezione fi-nanziaria in Europa, pochi mesi fa ha emanato una raccomanda-zione perché gli intermediari in-formino i risparmiatori dei nuovi rischi cui andranno incontro. Ma qui si trattava di “esigere”, non di raccomandare. Il pubblico pensa a una banca come a un istituto in cui mette i suoi soldi e un domani li riprende; lo stesso vale per un’obbligazione bancaria. La gen-te va accompagnata verso nuove consapevolezze: ma si doveva far-lo nel 2013 quando i principi del bail in furono adottati dalla Com-missione Ue, non due anni dopo e in modo sporadico».

In Italia bail in (per ora) vuol

“Una nuova Autoritàsuperspecializzatagarante del risparmio”

DALL’ARRIVO DEI DUE NUOVI COMMISSARI A DICEMBRE C’È STATA UN’ACCELERAZIONE. DAI CASI CARIFERRARA, ETRURIA E VENETO BANCA AL PASSAGGIO DI COMPETENZE ALL’ANAC DI CANTONE, ORA È SOTTO ACCUSA PER LA PROMOZIONE A DIRIGENTE DELLA SUA SEGRETARIA

LE RICETTE DI LUIGI GUISO UNO DEI TRE ITALIANI STAKEHOLDER DELL’EBA: “INFORMARE CHI INVESTE NON DEVE ESSERE OGGETTO DI UN INVITO MA DI UN OBBLIGO DA RISPETTARE. COME RIFORMARE I PROSPETTI”

[L’INTERVISTA]

Nella foto in basso, il presidente della Consob Giuseppe Vegas

L’economista Luigi Guiso

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13 GIUGNO 2016 PRIMOPIANO5

Autostrade spa ha cambiato nome in Atlantia, con l’ambizione di diventare un gruppo sempre più internazionale e spingersi oltre le colonne d’Ercole. E ora la società

guidata da Giovanni Castellucci vorrebbe rafforzare la sua presenza sulla costa del Pacifico, dove da anni è già presente in Cile. Altantia starebbe infatti gareggiando per rilevare la concessione di 3 tronconi di autostrade in Perù. Si tratta di un’operazione da circa mezzo miliardo di dollari, che rafforzerebbe la presenza in Sudamerica. Peraltro lo scorso ottobre lo stesso premier Matteo Renzi si era

recato in Cile e Perù in un viaggio al seguito delle aziende italiane di infrastrutture, tra cui anche Enel e Astaldi. E Renzi aveva avuto modo di lodare il sistema dei pedaggi locali di Atlantia che permette il pagamento telematico e ha implementato tariffe che cambiano a seconda dell’orario, per evitare gli ingorghi nell’ora di punta.Pensate se fosse importato sulle nostre tangenziali.

tro la Consob, e ha riequilibrato la “monocrazia” degli anni scorsi.

Ma l’autonomia del cane da guardia è un valore, e non è detto che la “spallata” andrà fino in fon-do. Tre banchi di prova si avvicina-no: la doppia opa su Rcs; il recepi-mento entro il 2016 della direttiva sulle informazioni chiave da inseri-re nei prospetti, che potrebbe por-tare al superamento degli “scenari

probabilistici” in favore del meto-do “what if”, per cui il venditore co-struisce a sua discrezione tre oppo-sti scenari di rendimento, e li se-gnala al compratore; l’integrazio-ne di Francesca Amaturo, segreta-ria di Vegas da lui a suo tempo pro-mossa dirigente senza fare un con-corso, suscitando un’inchiesta pe-nale su cui la procura romana ha chiesto l’archiviazione. Ma il Con-

siglio di Stato ha dichiarato illegitti-ma la stabilizzazione della dirigen-te, e giorni fa in Commissione è passata la linea di chiedere un pa-rere all’Avvocatura dello Stato, non ai legali della Consob come il presidente chiedeva.

Il rischio è che l’ultima fase della gestione Vegas trascorra tra veti, sgambetti e tentativi di accreditarsi interpretando la volontà politica

prevalente. lasciando un cumulo di macerie su cui si dovrà rifondare un organismo sfibrato dall’avere un corpus di regole basato su quel-le originarie del 1974, un personale quasi scevro da esperienze ester-ne, un finanziamento delegato alle società vigilate, un’alta dirigenza statica che da anni o decenni occu-pa gli snodi chiave.

A quanto raccontano in azienda, nemmeno i suoi più stretti collaboratori ne conoscono i contenuti. Ma il mistero durerà ancora poco: tutta la prima linea di

Edison è stata convocata per martedì 14, giorno in cui il nuovo amministratore di Edison Marc Benayoun presenterà il nuovo organigramma della società e spiegherà come intende rilanciare il business della vendita di gas ed elettricità. Che stesse lavorando a un nuovo piano e che voglia procedere a un ringiovanimento dei quadri dirigenti della seconda utility italiana (saldamente controllata

dall’ex monopolista francese Edf) era in parte noto. Ma ora cadrà anche il velo su come intende raggiungere i nuovi obiettivi. E non sarà cosa facile, visto che gli ultimi due bilanci non si sono chiusi in rosso solo grazie alle rinegoziazioni dei contratti di lungo periodo nel gas con Gazprom e con Eni. Ma Benajoun ha convinto Parigi a dare un’altra chance alla controllata italiana.

Atlantiavuol puntare500 milionisul Perù

AFFARI IN PIAZZA

Il ciclone Netflix spazzerà via la vecchia tv: sì, forse un domani. O forse dopodomani. Ma per ora pare che Rai, Mediaset, Sky, Cairo e tutti quelli che stanno investendo in nuovi canali, pay o in

chiaro, da Discovery a Viacom (e nuovi arrivi sono attesi a breve) possano dormire sonni, magari non proprio tranquilli ma non certo tormentati dall’incubo di milioni e milioni di spettatori in fuga verso la streaming tv di Reed Hastings. Il tranquillante si trova nei numeri del rapporto di Pricewaterhouse Cooper “Global Entertainment e Media Outlook 2016-20” pubblicato la scorsa settimana. Nel capitolo sull’Italia snocciola le

previsioni sulla crescita del mercato Svod, ossia la streaming tv con abbonamento fisso mensile. Dove operano Netflix e anche Infinity di Mediaset, Tim Vision e Sky Online. Secondo PwC il comparto quest’anno crescerà del 100%. Ma rallenterà subito. La crescita sarà del 24% nel 2018, del 18% nel 2019 e sotto il 10% nel 2020, quando il valore di mercato si attesterà sui 126 milioni di dollari.

dire capitale e bond subordinati azzerati per Banca Marche, Etruria, Cariferrara e Carichie-ti. Oggi i risparmiatori e molti ac-cademici ritengono che qual-che prestito bancario si poteva vendere più accuratamente se i prospetti avessero contenuto gli “scenari probabilistici” di ri-schio. Lei è a favore o contro?

«Io sono a favore degli scenari probabilistici, per due ragioni. In primo luogo perché rappresenta-re probabilisticamente i rischi (ov-vero dire a una persona che c’è una data percentuale di possibili-tà di perdere i suoi soldi) gli offre una chiara percezione del rischio a cui uno va in-contro. Tecnicamente fun-ziona, perché anche quan-do non ce ne rendiamo con-to nella nostra mente sap-piamo figurarci i numeri delle probabilità. In secon-do luogo, queste informa-zioni sono a disposizione di intermediari ed emittenti, perché se ne servono per formare i prezzi degli stru-menti finanziari che vendo-no. Quindi, oltre che utili, sono informazioni gratuite, che non ricadono sulle spal-le del risparmiatore».

Perché allora la Consob e gli emittenti sembrano avere osta-colato questi “scenari” in più modi?

«Consob fino a un certo punto li raccomandava, poi tra i regola-tori, anche europei, c’è stato un ri-piegamento sul principio del what if, che comunica al cliente il rendimento atteso del suo investi-mento in base a tre scenari, uno positivo, uno neutro, l’altro nega-tivo. Tuttavia è verosimile che il cliente consideri quelle tre ipotesi equiprobabili, mentre con gli sce-nari probabilistici ciò non avvie-ne. Quanto agli emittenti, non sor-prende che li abbiano ostacolati: è un po’ come fanno le case far-maceutiche sul bugiardino quan-do enfatizzano i benefici del far-maco e scrivono in piccolo gli ef-fetti collaterali». (a. gr.)

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EdisonBenayoun giocal’ultima carta

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Giovanni Castellucci(Atlantia)

Marc Benayoun (Edison)

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Il “Raduno nazionale dei truffati

delle banche” in piazza Santi

Apostoli a Roma lo scorso

31 gennaio

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Luca Pagni

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Reed Hastings(Netflix)

Stefano Carli

Netflixadessofa un po’meno paura

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[I COMMISSARI]

Qui, sopra la copertina del libro “Attenti a quei soldi” da poco pubblicato da Luigi Guiso

I commissari Consob Paolo Troiano (1), Anna Genovese (2)e i due che sono stati nominati lo scorso dicembre:Carmine Di Noia (3) e Giuseppe Maria Berruti (4)

Sara Bennewitz

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