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LA SCINTILLA Periodico degli studenti del Liceo Scientifico Marconi

Ottobre-Novembre 2013

Speciale USA: intervista a 4 fra

chi è appena partito e chi è

appena tornato Musica: kurt cobain, wavves,

intervista rap e tanto altro

Crisi: affrontiamo il tema

col nostro preside e nello

sport

Editoriale scintilla

1

Anche quest’anno la nostra cara Scintilla vi terrà compagnia durante quello che si spera possa essere un piacevole anno scolastico per tutti. Vi terrà compagnia, seppur con qualche piccola novità. Come avrete notato, recentemente è stato distribuito nella nostra scuola, come in tutte le altre della città, un altro giornalino, “Puzzle”. A differenza della Scintilla però non appartiene ad un singolo istituto ma è il frutto del lavoro di tutte le redazioni delle varie scuole di Pesaro. Questo progetto aveva già pubblicato due numeri la scorsa primavera, ai quali però noi non avevamo preso parte, ma con l’inizio del nuovo anno scolastico abbiamo deciso di impegnarci anche noi in quello che crediamo possa essere un esempio di unione e collegamento fra tutti gli istituti, un modo ideale per farci sentire tutti studenti della stessa città, abbattendo quelle barriere ideali (neanche troppo considerando la

situazione recente delle scuole al campus) che innegabilmente si creano fra le diverse realtà scolastiche. Venire a contatto con ciò che accade anche al di fuori del Marconi a noi è sembrato solo un fatto positivo, poiché ci sembra limitante chiuderci solamente all’interno delle nostre mura senza renderci conto di ciò che succede anche nelle altre scuole, delle idee e delle opinioni di altri studenti come noi. Con ciò però non vogliamo che la nostra storica Scintilla venga a meno; infatti, seppur siamo favorevoli a collaborare con le altre scuole, siamo altrettanto interessati a non perdere ciò che negli anni è stato motivo di

distinzione, ma anche di vanto e orgoglio del Marconi. È anche per questo che è stato creato Puzzle, per stimolare la formazione di una redazione giornalistica all’interno degli istituti che ne erano privi o che non ne avevano un regolare utilizzo, mentre noi è da diversi anni che siamo felici e onorati di potervi mostrare ciò che il nostro giornalino è in grado di offrirvi. Ovviamente la Scintilla è il periodico degli studenti del Marconi e non è solo una cosa nella mani di noi pochi che facciamo parte della redazione, quindi colgo l’occasione per incitare tutti coloro che desidererebbero scrivere nel giornalino a unirsi a noi, senza essere timidi o spaventati, perché se qualcuno di voi ha interesse a prenderne parte non vedo per quale motivo non dovrebbe entrare nella nostra piccola realtà. Perciò esorto tutti i ragazzi e le ragazze interessati a diventare le nostre nuove scintille. Con questo termino l’editoriale e vi lascio gustare tutti gli articoli di questo primo numero dell’anno scolastico della Scintilla!

Buona lettura

Andrea Gasperini

PRIMO PIANO scintilla

2

La crisi e le sue conseguenze

2008: inizio della crisi nel nostro paese. 2013: ancora non siamo riusciti a estirpare questa zecca che ci succhia il sangue da ormai 6 anni. E non solo in Italia, ci sono paesi messi peggio di noi: prendendo per esempio la Grecia, di cui tutti abbiamo sentito parlare, ormai lì l’Euro non ha più valore; oppure il Portogallo, in cui le pensioni e gli stipendi sono diminuiti di 500 e più euro, e si potrebbe dire che si lotta ogni giorno per portare cibo alle famiglie.

In Italia il caso è meno grave, in tutte le parti del paese le persone continuano ad emigrare in Germania, Francia, Svizzera e persino in Angola, paese africano emergente, perché qui ora mai non c’è più lavoro.

Il maggior esempio di questo fatto è la cosiddetta “fuga di cervelli“, molti dei nostri migliori giovani lasciano l‘Italia per trovare opportunità di impiego all‘estero.

Ma non solo nelle regioni Sud ci sono le conseguenze della crisi, anche nel Nord, ad esempio, molte ditte fallimentari sono state comprate da cinesi o indiani, i quali vengono da paesi emergenti e si aggiudicano le nostre migliori fabbriche ad un prezzo veramente ridotto all’osso dalle varie aste a cui nessuno ha partecipato, ad ogni asta il prezzo è sceso sempre di più fino a diventare misero: un caso molto vicino a noi è quello della Berloni, il marchio è stato acquisito dalla holding di Taiwan Hcg, e solo il 6% delle azioni va alla

famiglia Berloni.

I politici, ovviamente, pensano ad altro, e una delle poche soluzioni che sono sorte è stata quella di uscire dall’Euro; cosa che potrebbe aumentare le esportazioni, ma ci costringerebbe a dichiarare bancarotta a tutti gli stati d’Europa e inoltre la Lira verrebbe svalutata tantissimo.

Le conseguenze della crisi sono molte, i primi ad essere colpiti sono le famiglie e i cittadini italiani, e quindi le ditte e le aziende, e la catene prosegue all’infinito.

Ormai per uscire dalla crisi servirebbe un vero e proprio miracolo, sperando sempre che non peggiori, anzi migliori.

Gabriele Spadoni Federico Sonet

Speciale america scintilla

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L’esperienza del quarto anno all’estero sta diventando sempre più comune nella nostra città, specie nella nostra scuola. Perciò abbiamo pensato a questa intervista multipla fra “due scintille” appena tornate dagli States, Matteo e Angelo, e due che invece sono da poco partite, Enrico e Martina. Proviamo a notare quali differenze notano fra l’Italia e gli States, e anche le diverse opinioni di chi ha vissuto e di chi ancora sta vivendo questa esperienza.

Domande intervista USA

1. Prima domanda, banale ma sempre efficace per rompere il ghiaccio: Quali erano le speranze e le motivazioni che vi hanno portato a intraprendere questa esperienza negli USA?

2. In relazione al contesto sociale e culturale, quali differenze avete notato fra i due paesi? Provate a elencarci ciò che preferite dell’America e ciò a cui invece non rinuncerete mai dell’Italia. C'è invece qualcosa degli Stati Uniti che non vi è mai piaciuta?

3. Ovviamente voi avete trovato ospitalità presso della famiglie statunitensi, come è intenso il valore della famiglia nella cultura americana?

4. Mi incuriosiva sapere se avete notato dei cambiamenti in voi, nella vostra personalità e nel vostro carattere, questa esperienza in che modo vi ha cambiato / vi sta cambiando?

5. (per Enrico e Martina) Vi state godendo questo soggiorno in America o già state pensando al ritorno in patria?

6. (per Angelo e Matteo) Al vostro ritorno in Italia, siete stati contenti di tornare nel vostro paese oppure vi è mancato fin da subito il contatto con la cultura americana tanto da volerci subito tornare?

7. Qual è l’opinione generale degli americani nei confronti dell’Italia e degli italiani?

8. (per Enrico e Martina) Per ora questa esperienza vi sta soddisfacendo o invece c’è qualcosa che vi ha deluso, che non si è dimostrata essere come nelle vostre aspettative?

9. Qualcuno di voi sta pensando seriamente di proseguire gli studi, in caso di università, o di andare a vivere negli States? Se sì, nello stesso luogo dove siete già stati o magari siete curiosi di vedere altre città e altre regioni degli USA?

10.L’ambiente scolastico è vissuto in maniera completamente diversa rispetto all’Italia. Se non mi sbaglio, ciò rende meno stressante e più stimolante andare a scuola tutte le mattine?

Risposte Martina Carburi all’intervista per l’America

1. Inizialmente diciamo che son stata spinta dai miei genitori ad andare alla prima riunione e ad interessarmi dell’anno all’estero, poi incontro dopo incontro, l’interesse è arrivato da sé. La voglia di scoprire un paese tutto nuovo, unita a quella di crescere e trovare la mia indipendenza poi, mi hanno fatto decidere definitivamente di intraprendere questo viaggio.

2. Anche il semplice fatto di vedere la bandiera a stelle e strisce in ogni angolo della città, mi fa pensare che sto

3.

4.

5.

7.

8. É assolutamente tutto più bello di come me lo aspettavo. Non credevo che l’ America vera fosse come quella dei

intervista a 4 usa-italia

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L’esperienza del quarto anno all’estero sta diventando sempre più comune nella nostra città, specie nella nostra scuola. Perciò abbiamo pensato a questa intervista multipla fra “due scintille” appena tornate dagli States, Matteo e Angelo, e due che invece sono da poco partite, Enrico e Martina. Proviamo a notare quali differenze notano fra

Prima domanda, banale ma sempre efficace per rompere il ghiaccio: Quali erano le speranze e le motivazioni che

In relazione al contesto sociale e culturale, quali differenze avete notato fra i due paesi? Provate a elencarci ciò che preferite dell’America e ciò a cui invece non rinuncerete mai dell’Italia. C'è invece qualcosa degli Stati Uniti

Ovviamente voi avete trovato ospitalità presso della famiglie statunitensi, come è intenso il valore della famiglia

Mi incuriosiva sapere se avete notato dei cambiamenti in voi, nella vostra personalità e nel vostro carattere,

(per Angelo e Matteo) Al vostro ritorno in Italia, siete stati contenti di tornare nel vostro paese oppure vi è

(per Enrico e Martina) Per ora questa esperienza vi sta soddisfacendo o invece c’è qualcosa che vi ha deluso, che

Qualcuno di voi sta pensando seriamente di proseguire gli studi, in caso di università, o di andare a vivere negli States? Se sì, nello stesso luogo dove siete già stati o magari siete curiosi di vedere altre città e altre regioni degli

L’ambiente scolastico è vissuto in maniera completamente diversa rispetto all’Italia. Se non mi sbaglio, ciò rende

Inizialmente diciamo che son stata spinta dai miei genitori ad andare alla prima riunione e ad interessarmi dell’anno all’estero, poi incontro dopo incontro, l’interesse è arrivato da sé. La voglia di scoprire un paese tutto nuovo, unita a quella di crescere e trovare la mia indipendenza poi, mi hanno fatto decidere definitivamente di

Anche il semplice fatto di vedere la bandiera a stelle e strisce in ogni angolo della città, mi fa pensare che sto

vivendo in un paese molto più unito. Tutte le persone che sono nate qui amano la loro terra, e glielo si legge negli occhi; cosa che non penso assolutamente degli italiani. C’è un clima, un’atmosfera, molto più tranquilla e felice: a partire dalla cassiera che ti chiede come stai, fino ai ragazzi che se amano qualcosa che indossi te lo dicono spontaneamente. Si vive circondati da complimenti e sorrisi sinceri, e questa è una cosa che ho provato solo qui e che adoro. La classica cosa americana che noi buongustai italiani non apprezziamo tanto è il cibo: è davvero come si legge nei giornali o si vede nei servizi al telegiornale sulle percentuali di obesità oltreoceano. Non c’è contegno, sia per gli orari che per il cibo, non ci sono regole.

3. Sono passata da essere figlia unica a quinta sorella maggiore e diciamo che la vita mi è cambiata parecchio. Ho avuto la fortuna di non avere problemi né con i miei fratellini né con i miei giovani host parents. Reputo la famiglia americana molto unita, credono molto nel valore della casa e dei rapporti familiari, ma venendo da un paese come il nostro penso anche che la classica “mamma chioccia” italiana e il solito padre geloso siano insostituibili.

4. Anche se sono solo due mesi che sono qui posso dire di aver notato vari cambiamenti in me: mi sento molto più responsabile e indipendente, organizzarsi una nuova vita dall’altra parte del mondo richiede un’autonomia non indifferente, anche perché la famiglia può aiutarti ma fino ad un certo punto.

5. Ad una domanda del genere penso non si possa rispondere perché nel primo periodo la malinconia va e viene. Ci sono settimane dove penso all’ Italia e non poco, e a come sarà il mio ritorno, a chi ci sarà ad aspettarmi in aeroporto, a come sarà la mia vita una volta tornata. Ci sono settimane invece, dove spero di non tornare mai e dove penso che fortunatamente mancano ancora otto mesi da vivere tutti.

7. Eh… prendiamola come una barzelletta. Classica conversazione “ Hi Martina where are you from?” “ I’m from Italy!” “ wow ! Italy: party, pasta, alcool, pizza, Berlusconi, Mussolini, mafia”. Quando dico che sono italiana i ragazzi sono tutti emozionati e mi riempiono di domande dicendomi inoltre di non capire perché da un paese come il nostro sia voluta venire in una città di trenta mila abitanti. Tutti gli americani, di tutte le età, sono molto attratti dall’ Italia, e non ce ne è stato uno che appena ha saputo la mia provenienza non mi abbia chiesto di portarlo con me a casa a giugno. Le ragazze vogliono conoscere il classico italiano scolpito, e i ragazzi vogliono una bella velina italiana da calendario. Sognano il nostro paese un po’ come noi sogniamo l’ America.

8. É assolutamente tutto più bello di come me lo aspettavo. Non credevo che l’ America vera fosse come quella dei film, e invece non cambia niente: dalla gente più socievole, alle scuole con l’armadietto e la mensa, dalle

chiese Gospel, al latte con l’hamburger.

9. Ho avuto l’incontro qualche giorno fa a scuola per i college. Sinceramente sono partita a giugno imponendomi che avrei fatto l’università a Bologna: solito sogno da ragazza pesarese dividere un appartamento con le sue migliori amiche. ma ora che sono qua, non nascondo che sto prendendo in considerazione la possibilità di tornare una volta finito il quinto anno, o a Washington o non so dove… ma l’idea mi attrae parecchio. Ancora la strada è lunga, è tutto da vivere, si vedrà.

10. É stato il primo anno che non vedevo l’ora a settembre di mettere la sveglia per andare a scuola. Il primo giorno è stato bello per quanto traumatico

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e ora è tutto meraviglioso. Strano da dire, ma mi sveglio alla mattina alle 6 felice di prendere l’autobus un’ora dopo e di avere sette ore di scuola. L’ambiente scolastico è vissuto in maniera completamente diversa, è tutto più pratico e moderno. Le scuole qua hanno una ricchezza non indifferente, cosa che dovrebbe esserci anche in Italia a parer mio. Libri scolastici gratis, laboratori per tutti, e tanta tecnologia. Culturalmente l’ Italia è non uno, ma mille passi avanti, perché per esempio sto studiando in alcune materie argomenti che ho trattato alla fine della seconda superiore, ma per tutto il resto reputo l’America assolutamente migliore. Sto amando materie che non avrei mai pensato potessero piacermi perché vengono studiate in modo coinvolgente ed interessante .

Risposte Enrico Giunta all’intervista

1. Arrivato a un certo momento della mia (ancora breve) vita mi son accorto che la città in cui vivevo non era abbastanza per me, un po' come quando indossi un paio di scarpe troppo piccole per te. Avevo già sentito di ragazzi e ragazze che avevano intrapreso questa esperienza e la cosa mi ha tentato a tal punto da informarmi riguardo i cosiddetti "Exchange Programs". Ho scelto gli Stati Uniti per la lingua in primis e in secondo luogo perché sono la meta più gettonata dagli exchange students di tutto il mondo: una sorta di garanzia. Insomma, ho voluto rischiare, ma non troppo.

2. Una cosa che mi sorprende tantissimo è come lo sport sia profondamente legato all'ambiente scolastico. La maggior parte dei ragazzi che praticano uno sport lo fa a scuola, e tutti gli studenti li supportano e fanno il tifo per loro: durante l'autunno, ad esempio, i ragazzi passano il venerdì sera allo stadio della scuola a vedere la partita di football e il senso di appartenenza è davvero straordinario… Noi del Marconi abbiamo tanto da imparare a riguardo! Dell'Italia non rinuncerei mai alla cultura, alla storia e all'arte che qua sono piuttosto limitate. Ciò che non mi piace qua è il pessimo livello dell'istruzione. Certo, hanno università prestigiose come UC, Stanford e la Ivy League ma sono solamente eccezioni. La cultura generale media è piuttosto bassa… non è raro che studenti americani chiedano ad alta voce come si "spella" una parola. Comunque, stando a quello che sento da altri exchange students, la zona in cui sono è piuttosto istruita.

3. Premesso che dipende da famiglia a famiglia, da stato a stato e da città a città, tutto lascia pensare che ognuno qua è molto più indipendente. Non capita molto spesso di sedersi insieme a tavola per cena e tanto meno a pranzo, probabilmente perché i ritmi della giornata sono molto più serrati ma comunque ognuno trova sempre un po' di tempo per fare due chiacchiere con la propria famiglia.

4. Non nascondo di aver avuto ed avere tuttora dei momenti piuttosto difficili ma cerco comunque di non lasciarmi mai andare e di trovare sempre il lato positivo in ogni cosa.

5. Mi sto godendo certamente questo soggiorno, anche se non credo sia la parola più adatta a descrivere il tutto. Sono ormai due mesi che sono lontano da casa e dalla mia famiglia, mi sembra già una vita che abito qua e ogni volta che parlo dell'Italia provo una strana sensazione a riferirmi ai miei genitori o alla mia casa perché ormai anche qua mi sento a casa e in famiglia. Ciò non vuol dire che non sia nemmeno un po' nostalgico.

7. Ci amano, niente di più, niente di meno!

8. Sinceramente pensavo che sarebbe stato tutto molto più facile. La scuola in cui sono stato iscritto è molto piccola, la gente non è troppo amichevole e il carattere del mio fratello ospitante non aiuta, ma comunque si trova sempre qualcuno con cui andare a vedere la partita il venerdì sera o con cui pranzare.

9. Sentire tutti quanti parlare di college prestigiosi, application, SAT and ACT (due test necessari per entrare in alcuni college, un po' come il test d'ingresso di medicina in Italia), "good programs for rowing" è certamente

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e ora è tutto meraviglioso. Strano da dire, ma mi sveglio alla mattina alle 6 felice di prendere l’autobus un’ora dopo e di avere sette ore di scuola. L’ambiente scolastico è vissuto in maniera completamente diversa, è tutto più pratico e moderno. Le scuole qua hanno una ricchezza non indifferente, cosa che dovrebbe esserci anche in Italia a parer mio. Libri scolastici gratis, laboratori per tutti, e tanta tecnologia. Culturalmente l’ Italia è non uno, ma mille passi avanti, perché per esempio sto studiando in alcune materie argomenti che ho trattato alla fine della seconda superiore, ma per tutto il resto reputo l’America assolutamente migliore. Sto amando materie che non avrei mai

Arrivato a un certo momento della mia (ancora breve) vita mi son accorto che la città in cui vivevo non era abbastanza per me, un po' come quando indossi un paio di scarpe troppo piccole per te. Avevo già sentito di ragazzi e ragazze che avevano intrapreso questa esperienza e la cosa mi ha tentato a tal punto da informarmi riguardo i cosiddetti "Exchange Programs". Ho scelto gli Stati Uniti per la lingua in primis e in secondo luogo perché sono la meta più gettonata dagli exchange students di tutto il mondo: una sorta di garanzia. Insomma,

Una cosa che mi sorprende tantissimo è come lo sport sia profondamente legato all'ambiente scolastico. La maggior parte dei ragazzi che praticano uno sport lo fa a scuola, e tutti gli studenti li supportano e fanno il tifo per loro: durante l'autunno, ad esempio, i ragazzi passano il venerdì sera allo stadio della scuola a vedere la partita di football e il senso di appartenenza è davvero straordinario… Noi del Marconi abbiamo tanto da imparare a riguardo! Dell'Italia non rinuncerei mai alla cultura, alla storia e all'arte che qua sono piuttosto limitate. Ciò che non mi piace qua è il pessimo livello dell'istruzione. Certo, hanno università prestigiose come UC, Stanford e la Ivy League ma sono solamente eccezioni. La cultura generale media è piuttosto bassa… non è raro che studenti americani chiedano ad alta voce come si "spella" una parola. Comunque, stando a quello che

Premesso che dipende da famiglia a famiglia, da stato a stato e da città a città, tutto lascia pensare che ognuno qua è molto più indipendente. Non capita molto spesso di sedersi insieme a tavola per cena e tanto meno a pranzo, probabilmente perché i ritmi della giornata sono molto più serrati ma comunque ognuno trova sempre

Non nascondo di aver avuto ed avere tuttora dei momenti piuttosto difficili ma cerco comunque di non

Mi sto godendo certamente questo soggiorno, anche se non credo sia la parola più adatta a descrivere il tutto. Sono ormai due mesi che sono lontano da casa e dalla mia famiglia, mi sembra già una vita che abito qua e ogni volta che parlo dell'Italia provo una strana sensazione a riferirmi ai miei genitori o alla mia casa perché ormai

Sinceramente pensavo che sarebbe stato tutto molto più facile. La scuola in cui sono stato iscritto è molto piccola, la gente non è troppo amichevole e il carattere del mio fratello ospitante non aiuta, ma comunque si

Sentire tutti quanti parlare di college prestigiosi, application, SAT and ACT (due test necessari per entrare in alcuni college, un po' come il test d'ingresso di medicina in Italia), "good programs for rowing" è certamente

allettante ma ribadisco che l'istruzione italiana è ad un livello superiore.

10. NO. Alzarsi alle 7 non è mai bello, neanche in California.

Risposte Matteo Mazzanti e Angelo Paolo Tempesta all’intervista

1. Ovviamente il motivo di base è stato quello di imparare a pieno l’inglese però per la scelta ha avuto il suo peso anche l’importante esperienza di vita che comportava. Infatti un anno lontano da casa attraverso le difficoltà che avremmo incontrato in un ambiente totalmente diverso, senza l’appoggio di amici e famiglia, ci avrebbe permesso di crescere molto a livello umano. (angelo) Per me inoltre ha influito anche la voglia di viaggiare, di conoscere nuove realtà che mi permettessero di venire a contatto con situazioni diverse da quelle che vivevo tutti i giorni qui in Italia, e ciò mi ha permesso di aprire gli occhi verso nuovi orizzonti. (matteo) La speranza che mi ha accompagnato in questa decisione è stata la convinzione, o forse meglio la possibilità, di trovare un ambiente molto accogliente e ospitale, come in effetti poi ho trovato.

2. (angelo) Ho riscontrato uno spirito di comunità fra le famiglie, una solidarietà sincera fra le varie famiglie del vicinato e del quartiere, fra esse ma anche con la scuola e la realtà economica della città, che negli USA sono collegate molto di più rispetto all’Italia. Vi è una maggiore apertura culturale, oltre che sociale, e poi una cosa che mi ha particolarmente colpito è stata la determinazione con cui gli americani ottengono ciò che vogliono, là ci sono più possibilità e quando loro si prefiggono degli obiettivi la maggior parte delle volte li raggiungono. Di negativo invece ho notato che nonostante siano molto accoglienti e ospitali, le amicizie sono abbastanza

superficiali, buone e sincere ma non così tanto da poter contare veramente su queste persone, cosa su cui invece si può sempre contare qui in Italia. Infatti a volte i rapporti sono troppo esteriori, quasi falsi, poiché si vuole mostrare una versione di sé che non sempre corrisponde alla realtà. Inoltre forse le persone là si concentrano troppo sul lavoro e ciò lo si può riscontrare anche nel rapporto a casa e in famiglia. Dell’Italia mi è mancato ovviamente il cibo fatto in casa, anche se ho apprezzato i vari fast-food, e anche il mangiare a tavola tutti insieme ma anche il fatto di poter fare una semplice passeggiata in centro, visto che ci sono pochi luoghi di svago accessibili a piedi, perciò bisognava sempre muoversi in macchina per poter andare da qualche parte come al centro commerciale. (matteo) Degli Stati Uniti mi è piaciuto molto il fatto che gli sport siano praticati all’interno delle stesse scuole, dove è possibile anche poter scegliere le materie da studiare. Dell’ambiente invece ho apprezzato la tranquillità della piccola città ma anche come vengono cresciuti i figli, qui c’è molta più apprensione e si lascia meno libertà ai figli, là non era affatto così. Come Angelo anche io ho notato che le relazioni sociali in Italia sono più autentiche e condivido il suo pensiero, in più aggiungo che, non in tutte, ma in alcune

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famiglie americane vi erano delle situazioni disastrate e piuttosto preoccupanti, come alcune situazioni di stupro e cose di questo tipo. Inoltre devo ammettere che non ho sentito troppo la mancanza della cucina italiana, infatti mi sono adeguato abbastanza bene al cibo americano.

3. (angelo) Come diceva Matteo, i genitori americani sono meno apprensivi verso i loro figli, gli concedono più libertà e sono molto meno protettivi di quelli italiani, e ciò ha ovviamente i suoi risvolti positivi ma anche negativi. Il rapporto genitore-figlio è un po’ più “freddo” e distaccato, si pretendono più responsabilità dai propri figli, anche all’interno della casa. Per esempio in Italia siamo abituati che ci pensa la mamma a fare la lavatrice o cose di questo genere, mentre loro già da ragazzini si abituano a fare queste piccole cose da soli. (matteo) Io penso di essere stato molto fortunato nell’aver trovato una famiglia quasi perfetta, molto ospitali e concessivi, e molto moderni nel loro modo di crescere i figli. Come ho detto precedentemente, non sempre lo scenario è questo, infatti si possono trovare casi di famiglie con situazioni meno facili e molto più problematiche. Inoltre, sia io che Angelo, avevamo come abitudine quella di andare a trovare ogni week-end i propri parenti nella città più vicina, e anche nelle occasioni importanti la famiglia si riuniva al completo.

4. (angelo) Si, e tutti i cambiamenti che ho notato sono in positivo. Attraverso questa esperienza sono diventato più responsabile e più sicuro di me, ho una visione più ampia riguardo a tutto. Adesso mi sento pronto a conoscere nuove cose e realtà con una rinnovata curiosità, mi ritengo una specie di “cittadino del mondo”, quest’anno all’estero mi ha aperto gli occhi, mi è piaciuto passare un periodo fuori dall’Italia, respirare l’internazionalità del mondo. (matteo) Anche io ho notato lo stesso tipo di cambiamento in me, la scoperta a stretto contatto di una nuova cultura mi ha fatto luce su altri aspetti della vita, su tutti i fronti. Particolarmente mi hanno colpito alcuni aspetti del modo di vivere degli americani, il loro “take it easy” e il grande senso di libertà che accomuna tutti.

6. (angelo) Dopo un anno passato lontano da casa ho sentito fortemente la necessità di rivedere e riabbracciare la mia famiglia e i miei amici, avevo bisogno di ritornare alle mie vecchie abitudini e comodità consolidate della mia vita qui in Italia. D’altra parte però mi è anche dispiaciuto lasciare l’America, considerando anche il mio desiderio di voler proseguire gli studi in un college americano. (matteo) Io sono stato contento di tornare, anche perché perché desideravo terminare gli studi nel migliore dei modi, e sicuramente la scuola italiana offre una preparazione decisamente migliore rispetto all’high school americana. Detto ciò, ovviamente la bellissima esperienza rimane, sarà qualcosa che porterò sempre con me, mi ha fatto crescere e mi ha fatto imparare molte nuove cose.

7. (angelo) I più ignoranti cadono nei soliti pregiudizi, ma sono solo poche persone, la maggior parte di loro invece è affascinata dall’Italia, amano il nostro stile di vita, il valore della famiglia italiana, la cultura e naturalmente il cibo. (matteo) Io invece non ho praticamente mai sentito nessuno cadere nei soliti pregiudizi né tantomeno negli

end i propri parenti nella città più vicina, e anche nelle occasioni

diventato più responsabile e più sicuro di me, ho una visione più ampia riguardo a tutto. Adesso mi sento pronto a conoscere nuove cose e realtà con una rinnovata curiosità, mi ritengo una specie di “cittadino del mondo”, quest’anno all’estero mi ha aperto gli occhi, mi è piaciuto passare un periodo fuori dall’Italia, respirare l’internazionalità del

Anche io ho notato lo stesso tipo di cambiamento in me, la scoperta a stretto contatto di una nuova cultura mi ha fatto luce su altri aspetti della vita, su tutti i fronti. Particolarmente mi hanno colpito alcuni aspetti

Dopo un anno passato lontano da casa ho sentito fortemente la necessità di rivedere e riabbracciare la mia famiglia e i miei amici, avevo bisogno di ritornare alle mie vecchie abitudini e comodità consolidate della mia vita qui in Italia. D’altra parte però mi è anche dispiaciuto lasciare l’America, considerando anche il mio

Io sono stato contento di tornare, anche perché perché desideravo terminare gli studi nel migliore dei modi, e sicuramente la scuola italiana offre una preparazione decisamente migliore rispetto all’high school americana. Detto ciò, ovviamente la bellissima esperienza rimane, sarà qualcosa che porterò sempre con me,

I più ignoranti cadono nei soliti pregiudizi, ma sono solo poche persone, la maggior parte di loro invece è affascinata dall’Italia, amano il nostro stile di vita, il valore della famiglia italiana, la cultura e

Io invece non ho praticamente mai sentito nessuno cadere nei soliti pregiudizi né tantomeno negli

insulti, anzi gli americani apprezzano sia il nostro cibo sia la nostra cultura, alcuni di loro hanno quasi un’adorazione, un culto del nostro paese.

9. (angelo) Io ci sto pensando molto seriamente alla possibilità di ritornare per proseguire i miei studi universitari. Negli USA dispongono di moltissime strutture funzionanti e funzionali che sono simbolo di grande avanguardia e modernità, e ciò costituisce un grosso divario con le nostre università. Inoltre già durante le fasi terminali della laurea e soprattutto dove averla conseguita, ci sono moltissime possibilità e opportunità di lavoro. Invece non sono troppo affascinato dall’idea di vivere in America, al limite solo per un breve periodo, mentre sono quasi sicuro che ci ritornerò da viaggiatore per visitare i tanti luoghi che non sono riuscito a visitare durante il mio soggiorno. (matteo) Non sto pensando di andare a frequentare l'università in America, in quanto reputo che in Europa ci siano università di buonissima qualità a prezzi molto inferiori (l'università americana costa moltissimo). Mentre l’ipotesi di una vita oltreoceano non l’ho ancora valutata, è ancora presto per saperlo, forse dopo l’università potrei tornarci per lavorare, ma sono cose a cui ancora non ho pensato realmente.

10.(angelo) Mi sono trovato a mio agio nel sistema scolastico americano, la loro organizzazione è molto più avanzata e progredita, la tecnologia e la strumentazione vengono sfruttate a dovere, e sono una risorsa molto importante. La scuola poi offre sempre varie possibilità e attività, ti stimola continuamente, inoltre lo sport scolastico è bellissimo, ti permette di sentirti ancor più parte della comunità scolastica. Un difetto? Troppo rigidi sugli orari. (matteo) Si, devo ammettere che negli Stati Uniti non ho vissuto la scuola come uno stress mai, però nemmeno come uno stimolo. È vero che disponi di mille attività e opportunità, e ciò rappresenterebbe sicuramente un motivo in più per apprezzare la scuola americana, ma ciò che invece non permette di impegnarti davvero nello studio è l’eccessiva facilità, niente a paragone della nostra scuola, e di certo questo non ti stimola.

Andrea Gasperini

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Diretta dagli states

Rileggevo proprio l’altro giorno le vecchie e mail di un anno fa: quelle di settembre, che mi invitavano ai vari incontri,

quelle ancora precedenti di agosto, che mi spiegavano in cosa consisteva questa esperienza, e poi quelle di maggio,

quando, dopo otto mesi di lunga attesa, sono finalmente riuscita ad avere la mia host family come tutti gli altri

Exchange students: e da figlia unica che ero mi sono ritrovata ad essere la quinta sorella maggiore con tre fratelli

piccoli di 9,7 e 5 anni e una sorellina di 3. Ho avuto anche la fortuna di avere due host parents giovani, di 34 e 36 anni.

Ricordo gli ultimi giorni in Italia, gli ultimi abbracci, le ultime chiacchierate davanti a quei caffè rigorosamente

macchiati; la voglia di lasciare il mio paese, unita alla paura della novità e alla curiosità di scoprire cosa ci fosse al di là

dell’Oceano. La preparazione della valigia, quei miseri 23 kg e le cene con famiglia e amici per salutare tutti. Ognuno

mi ha salutato a modo proprio: chi mi ha perfino lasciato qualcosa di suo, che ho promesso di riportare intatto e

pieno di avventure al mio ritorno, e chi ha fatto finta di lasciarmi come se ci fossimo rivisti il giorno dopo, perché

aveva quasi paura di quel grande saluto, chi mi scrive ogni giorno, mi riempie whatsapp di foto e ricordi, e chi sta

male sentendomi e preferisce parlarmi una volta ogni due settimane. Le emozioni del primo aereo verso Francoforte,

quel 13 Agosto 2013 saranno dentro di me per sempre. Dopo Francoforte, New York, dove in quasi nove ore di

viaggio sono riuscita a dormire solo poco più di mezz’ora per i mattoni che avevo dentro. Tre giorni a New York, tre

giornate piene e intense, sei ore di fuso orario non sono bastate per fermarci e visitare la città, stanchi e stremati dal

viaggio, avevamo ancora tanta energia da regalare tutta alla Grande Mela. Poi l’ultima notte in dritto, preparare

ancora una volta la valigia per essere all’aeroporto alle tre del mattino con partenza verso Chicago alle 6 a.m. New

York-Chicago, Chicago-Seattle, e quell’ultimo atterraggio è stato meraviglioso: mille emozioni in dieci minuti, qualche

lacrima di troppo e la voglia di conoscere finalmente la mia numerosa famiglia. Scendo dall’aereo, prendo i bagagli e li

vedo tutti e sei lì, con un grande cartellone “ Welcome to America Martina!”, palloncini e fiori. Mamma Tanisha e

papà Darren da subito gentili e dolcissimi, mi hanno portato finalmente a mangiare dopo nove ore di digiuno. Due ore

in macchina Seattle- Oak Harbor, e finalmente a casa: quella tipica casa stile americano color sabbia che avevo

guardato per tre mesi su Google Earth era ora tridimensionale davanti a me. La prima notte a casa Lowery l’ho

passata dormendo divinamente per l’immensa stanchezza e per altre tre ore di fuso aggiunte alle precedenti sei. I

primi giorni, le prime sensazioni, svegliarsi convinta di essere in Italia e metterci qualche secondo per capire dove

fossi. Disfare la valigia, imparare le regole di casa, mangiare salsicce e uova a colazione, essere svegliata dalle risate

dei bambini. Bere il frappuccino di Starbucks, dormire cinque notti sotto le stelle in un campeggio bellissimo. Lago,

sole, gelato alla vaniglia e barbecue. Ricevere 36 kg di pacco dall’Italia spediti dalla tua famiglia con vestiti, caffè,

moca, biscotti parmigiano e tanti regali per i bambini; cantare Michael Jackson e aver visto fin’ora sei persone

contate con una sigaretta in mano. I cheeseburger più grassi ma più buoni del mondo, le ciabatte coi calzini, l’odore

mattutino della pioggia notturna. Le calamite nel frigo, le strade più grandi e il bosco che circonda la mia cittadina di

trentamila abitanti. L’erba sempre verde, gli scoiattoli, la moquette, i bicchieroni di bibite ghiacciate, i Mc Donalds.

Entrare per la prima volta all’ “ Oak Harbor High School”, un po’ impaurita ma rassicurata nel vedere di non essere

l’unica Exchange student della città. Tipica festa americana di inizio anno scolastico, i primi pomeriggi di shopping, le

prime conoscenze. I problemi iniziali con la lingua, l’armadietto B114, il diverso sistema scolastico. Incontrare la prima

ragazza italiana all’

pag.) che mi scrive emozionato dalla California e ti da consigli sulla dieta, segnarsi al corsi di nuoto e finalmente primo

giorno di scuola. 5 settembre 2013: prendo l’autobus delle 7 a.m., entro in quel labirinto di mille ragazzi, con lo zaino

in spalla e la piantina della scuola in mano. Sette lunghe ore di corse nei corridoi e mille risate. Gli americani

coinvolgono e ti cercano, chiacchierano e sorridono. La mensa delle 10:30, le partite di football, l’ID card, Tanisha che

ti aspetta a casa con la torta al cioccolato e i capecakes ai mirtilli. Aspettare l’

amicizia. Questo è un po’ il riassunto dei miei primi due mesi oltreoceano, uniti alla malinconia che va e viene

quando mi ritrovo da sola a casa e penso alla famiglia e ai miei amici italiani. Il primo periodo non è stato una

passeggiata, ma d’ora in poi sarà tutto in discesa. Chi pensa di voler intraprendere questo viaggio ha la mia profonda

stima, ma non deve partire con la consapevolezza di andare in vacanza, perché crearsi una nuova vita dall’altra parte

Speciale america scintilla

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Rileggevo proprio l’altro giorno le vecchie e mail di un anno fa: quelle di settembre, che mi invitavano ai vari incontri,

quelle ancora precedenti di agosto, che mi spiegavano in cosa consisteva questa esperienza, e poi quelle di maggio,

come tutti gli altri

: e da figlia unica che ero mi sono ritrovata ad essere la quinta sorella maggiore con tre fratelli

giovani, di 34 e 36 anni.

Ricordo gli ultimi giorni in Italia, gli ultimi abbracci, le ultime chiacchierate davanti a quei caffè rigorosamente

dell’Oceano. La preparazione della valigia, quei miseri 23 kg e le cene con famiglia e amici per salutare tutti. Ognuno

mi ha salutato a modo proprio: chi mi ha perfino lasciato qualcosa di suo, che ho promesso di riportare intatto e

pieno di avventure al mio ritorno, e chi ha fatto finta di lasciarmi come se ci fossimo rivisti il giorno dopo, perché

aveva quasi paura di quel grande saluto, chi mi scrive ogni giorno, mi riempie whatsapp di foto e ricordi, e chi sta

male sentendomi e preferisce parlarmi una volta ogni due settimane. Le emozioni del primo aereo verso Francoforte,

quel 13 Agosto 2013 saranno dentro di me per sempre. Dopo Francoforte, New York, dove in quasi nove ore di

viaggio sono riuscita a dormire solo poco più di mezz’ora per i mattoni che avevo dentro. Tre giorni a New York, tre

giornate piene e intense, sei ore di fuso orario non sono bastate per fermarci e visitare la città, stanchi e stremati dal

viaggio, avevamo ancora tanta energia da regalare tutta alla Grande Mela. Poi l’ultima notte in dritto, preparare

ancora una volta la valigia per essere all’aeroporto alle tre del mattino con partenza verso Chicago alle 6 a.m. New

Seattle, e quell’ultimo atterraggio è stato meraviglioso: mille emozioni in dieci minuti, qualche

lacrima di troppo e la voglia di conoscere finalmente la mia numerosa famiglia. Scendo dall’aereo, prendo i bagagli e li

vedo tutti e sei lì, con un grande cartellone “ Welcome to America Martina!”, palloncini e fiori. Mamma Tanisha e

papà Darren da subito gentili e dolcissimi, mi hanno portato finalmente a mangiare dopo nove ore di digiuno. Due ore

Oak Harbor, e finalmente a casa: quella tipica casa stile americano color sabbia che avevo

guardato per tre mesi su Google Earth era ora tridimensionale davanti a me. La prima notte a casa Lowery l’ho

passata dormendo divinamente per l’immensa stanchezza e per altre tre ore di fuso aggiunte alle precedenti sei. I

primi giorni, le prime sensazioni, svegliarsi convinta di essere in Italia e metterci qualche secondo per capire dove

fossi. Disfare la valigia, imparare le regole di casa, mangiare salsicce e uova a colazione, essere svegliata dalle risate

dei bambini. Bere il frappuccino di Starbucks, dormire cinque notti sotto le stelle in un campeggio bellissimo. Lago,

sole, gelato alla vaniglia e barbecue. Ricevere 36 kg di pacco dall’Italia spediti dalla tua famiglia con vestiti, caffè,

moca, biscotti parmigiano e tanti regali per i bambini; cantare Michael Jackson e aver visto fin’ora sei persone

contate con una sigaretta in mano. I cheeseburger più grassi ma più buoni del mondo, le ciabatte coi calzini, l’odore

mattutino della pioggia notturna. Le calamite nel frigo, le strade più grandi e il bosco che circonda la mia cittadina di

trentamila abitanti. L’erba sempre verde, gli scoiattoli, la moquette, i bicchieroni di bibite ghiacciate, i Mc Donalds.

Entrare per la prima volta all’ “ Oak Harbor High School”, un po’ impaurita ma rassicurata nel vedere di non essere

l’unica Exchange student della città. Tipica festa americana di inizio anno scolastico, i primi pomeriggi di shopping, le

prime conoscenze. I problemi iniziali con la lingua, l’armadietto B114, il diverso sistema scolastico. Incontrare la prima

ragazza italiana all’orientation dopo un mese, le webcam su skype, risentire gli amici di New York. Enri (vedi altra

pag.) che mi scrive emozionato dalla California e ti da consigli sulla dieta, segnarsi al corsi di nuoto e finalmente primo

giorno di scuola. 5 settembre 2013: prendo l’autobus delle 7 a.m., entro in quel labirinto di mille ragazzi, con lo zaino

in spalla e la piantina della scuola in mano. Sette lunghe ore di corse nei corridoi e mille risate. Gli americani

coinvolgono e ti cercano, chiacchierano e sorridono. La mensa delle 10:30, le partite di football, l’ID card, Tanisha che

ti aspetta a casa con la torta al cioccolato e i capecakes ai mirtilli. Aspettare l’homecoming con ansia e finalmente fare

amicizia. Questo è un po’ il riassunto dei miei primi due mesi oltreoceano, uniti alla malinconia che va e viene

quando mi ritrovo da sola a casa e penso alla famiglia e ai miei amici italiani. Il primo periodo non è stato una

passeggiata, ma d’ora in poi sarà tutto in discesa. Chi pensa di voler intraprendere questo viaggio ha la mia profonda

stima, ma non deve partire con la consapevolezza di andare in vacanza, perché crearsi una nuova vita dall’altra parte

del mondo è tutto tranne

che facile: è un po’ come

ricominciare da zero, ma

avere già 17 anni. Un

saluto e un abbraccio

immenso a tutti gli

studenti del Marconi, ai

professori e al preside. Il

Liceo Scientifico di Pesaro

manca anche se qua è

tutto fantastico, ci

rivediamo per il quinto

anno con tante avventure

da raccontare.

Martina Carburi

fotografia scintilla

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Malcolm Browne: Il monaco che brucia, 1963

Questa foto, che fa anche da copertina al famosissimo CD Rage Against the Machine dell'omonimo gruppo, rappresenta il monaco buddista Thich Quang Duc mentre si brucia vivo per protestare contro le persecuzioni verso i buddisti da parte del governo Sud Vietnamita. Questa fotografia ha portato il giornalista e fotografo americano a vincere il premio Pulitzer nello stesso anno.

Kevin Carter: Il bambino affamato e l'avvoltoio, 1993

Scattata in Sudan, questa foto rappresenta un avvoltoio che aspetta impazientemente il suo prossimo pasto: un bambino africano che sta morendo di fame. Carter vinse il premio Pulitzer nel 1994 grazie a questa fotografia, che rappresenta in maniera semplice ma molto efficace tutta la durezza della vita in Africa. Una durezza tale che portò lo stesso giornalista al suicidio all'età di 33 anni. La sua ultima nota recava frasi come: "Sono depresso... Sono perseguitato dalle vivide memorie di uccisioni, cadaveri, rabbia e dolore... Di bambini feriti o che muoiono di fame, di folli uomini che provano gioia ad usare il grilletto, spesso poliziotti..."

Nick Ut: Attacco con il napalm in Vietnam, 1972

Anche Nick Ut vinse il premio Pulitzer grazie a questa fotografia scattata nel 1972. Nella foto sono rappresentati dei bambini vietnamiti colpiti duramente da un attacco al napalm attuato dagli americani. Al centro è Phan Thi Kim Phùc, una bambina di 9 anni, che fu gravemente ustionata e rimase in coma per 6 mesi in seguito all'attacco americano. Le cure per la bambina durarono anni e vennero completate solamente anni dopo in Germania. Oggi Phan è farmacista e ambasciatrice di pace per l'UNESCO.

intenti a giocare con delle bombolette. Le foto sono molto commoventi: guardatevele tutte.

John Paul Filo: Protesta alla Kent State University, 1970

Ecco un'altra fotografia che vinse il premio Pulitzer. Viene qui rappresentata una donna esasperata che urla sopra il corpo esanime di uno studente ucciso dai proiettili della Guardia Nazionale dell'Ohio. I colpi furono sparati verso studenti che manifestavano (e non) contro l'annuncio della campagna in Cambogia da parte dell'allora presidente Nixon. La sparatoria provocò uno sciopero generale, che fece chiudere centinaia di università e scuole superiori, dal momento che il numero degli scioperanti raggiunse i 4 milioni.

fotografia ecologia

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anni, che fu gravemente ustionata e rimase in coma per 6 mesi in

Renee Byer, A mother's journey, 2007

Renee Byer vinse il Pulitzer nel 2007 grazie ad una serie di fotografie riguardanti Cyndie e Derek, rispettivamente madre e figlio. Derek era un malato terminale di cancro. Nonostante tutto Cyndie, la madre, ha combattuto duramente per far vivere al figlio una vita normale e felice, per quanto possibile. Nella fotografia che ho deciso di prendere in considerazione viene messo bene in evidenza l'amore che c'è tra i due, che va sicuramente al di là di un amore comune tra madre e figlio. Infatti altre fotografie mostrano Derek mentre guida un'automobile seduto sulle gambe della madre, oppure i due

intenti a giocare con delle bombolette. Le foto sono molto commoventi: guardatevele tutte.

John Paul Filo: Protesta alla Kent State University, 1970

Ecco un'altra fotografia che vinse il premio Pulitzer. Viene qui rappresentata una donna esasperata che urla sopra il corpo esanime di uno studente ucciso dai proiettili della Guardia Nazionale dell'Ohio. I colpi furono sparati verso studenti che manifestavano (e non) contro l'annuncio della campagna in Cambogia da parte dell'allora presidente Nixon. La sparatoria provocò uno sciopero generale, che fece chiudere centinaia di università e scuole superiori, dal momento che il numero degli scioperanti raggiunse i 4 milioni.

Eugene Richards: Il soldato ferito, 2008

L'album "War is Personal" di Eugene Richards mostra tutta la sofferenza che ha portato la guerra in Iraq. Nella foto mostrata qui a sinistra viene mostrato un soldato che riabbraccia la madre dopo essere tornato dalla guerra. L'uomo è stato colpito da una granata mentre si trovava all'interno di un veicolo. La granata ha ucciso un uomo e si è presa il 40% del cervello del soldato. Un altro uomo mostratoci da Richards è stato colpito nella colonna vertebrale da un proiettile, ed è ora condannato a vivere su una sedia a rotelle, senza contare tutti i danni psicologici a lui causati.

fotografia scintilla

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US Air Force: Funghi atomico di Hiroshima e Nagasaki, 1945

Tutti noi conosciamo i fatti riguardanti le esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, avvenute rispettivamente il 6 e il 9 Agosto 1945. Le esplosioni (a sinistra quella di Hiroshima; a destra quella di Nagasaki) hanno ucciso nei primi quattro mesi dalle 90.000 alle 160.000 persone a Hiroshima; dalle 60.000 alle 80.000 a Nagasaki. Circa metà di tali morti sono state registrate nel solo primo giorno.

Mike Wells, Il missionario e il bambino, 1980

Questa fotografia ci mostra un missionario che sorregge la mano di un bambino ugandese. L'aspro contrasto tra le due persone serve a ricordarci la differenza tra il benessere di un paese sviluppato e uno in via di sviluppo. Mike Wells ha scattato questa foto per mostrare a che livello possa arrivare la fame in Africa.

Tutte queste fotografie hanno aperto gli occhi a molte generazioni precedenti alla nostra, e spero che riproponendole qui possa fare la stessa cosa con tutti noi, così come hanno già fatto con me. Su Internet potete trovare maggiori informazioni su ogni vicenda descritta qui sopra, e vi invito vivamente a farlo.

Matteo Mazzanti

musica scintilla

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Il nuovo album della band surf-punk Californiana Wavves è un lavoro più complesso rispetto agli album precedenti . Afraid of heights risulta più elaborato utilizzando un suono più maturo . Difficile non lasciarsi coinvolgere dall'irriverenza delle melodie pop di "Sail To The Sun", ma sorprende anche l'inedito gusto nichilista di "Demon To Lean On".

Lo stesso frontman della band californiana, Nathan Williams, ha confessato di essere entrato in una nuova fase, che ha influito sulle tematiche affrontate nell'album, per esempio la canzone "That's on me" tratta l'argomento vegano. La maggior parte delle canzoni dell'album sono composte da power-chord, motivi semplici ma che rimbombano nelle orecchie accompagnati da una distorsione leggera e arrabbiata al tempo stesso, alcune canzoni sono suonate in acustico accompagnate semplicemente da una batteria poco calzante, talvolta la voce crea dei suoni distorti e profondi. Il tutto crea un album che può apparire semplice all'ascolto ma impegnativo nella produzione delle canzoni che rischiano di diventare esuberanti dagli effetti dei vari strumenti che si mischiano insieme.

Il problema è che il tentativo di allontanarsi dalla leggerezza dei motivi surf-punk sembra portare il gruppo fuori dalle ragioni della propria esistenza. La canzone "Dog" rallenta così troppo la velocità mentre sbalzi di umore continuano anche nella seconda metà dell'album, in cui soltanto il nuovo inno "Paranoid" e la redenzione religiosa

di "Gimme A Knife" divertono davvero. Gli Wavves cercano di mantenere il loro lato pop svogliato, anche in parte “autorizzati” dal talento e dal carisma del loro fondatore. In conclusione il risultato è un album troppo lungo e impegnativo, contrariamente ai principi che Nathan e compari portano avanti dal 2008 ,ma che è piacevole da ascoltare e regala divertimento.

Gregorio Bufalari

musica scintilla

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È così difficile confermarsi nella musica?

“Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”, così Caparezza dava inizio appunto al suo secondo lavoro “Verità Supposte”. Se nel suo caso questo fu invece l’album che gli consentì di farsi un nome all’interno della realtà musicale italiana e funse da trampolino di lancio per i suoi futuri successi, non sempre avviene lo stesso in ambito musicale, specialmente all’interno di ciò che viene considerato “indie rock”, o “alternative rock”. Premetto che non mi sono mai piaciute più di tanto le etichette in musica e quell’ossessione critica di dover rinchiudere sempre una band o un’artista solamente all’interno del suo genere musicale definito. Però ho notato ultimamente una tendenza di progressivo smarrimento musicale e stilistico soprattutto in quelle band che vengono inserite in questo determinato genere, di cui ammetto essere un solito ascoltatore. Negli anni 00 sono un’infinità i gruppi che hanno colpito tutti con degli ottimi album d’esordio ma non sono mai riusciti a ripetersi su quei livelli. In alcuni casi sono completamente caduti nel dimenticatoio, per citarne uno The Fratellis, che nel 2006 fecero il loro debutto discografico con “Costello Music”, alcune canzoni avevano riempito i nostri i-Pod per molto tempo (scommetto che almeno tutti una volta abbiamo sentito “Chelsea Dagger”), e poi? I due successivi lavori non hanno nemmeno lasciato una traccia, forse li avevamo sopravvalutati prima. Non sempre si tratta di questo però, a volte i primi album sono veramente degli ottimi lavori, come nel caso dei Bloc Party che nel 2005 con “Silent Alarm avevano accolto consensi dalla critica e avevano trovato molti fan. Fan che però sono rimasti delusi dai successivi lavori: sono addirittura usciti ben altri 3 album dopo il loro debutto ma in nessuno di questi Kele Okereke e soci sono mai riusciti a ripresentare quel sound e quello stile che tanto aveva ben impressionato in

“Silent Alarm”. Questo discorso riguarda anche gruppi considerati quasi dei “titani”, dei colossi del genere, come Kings Of Leon, Franz Ferdinand e Placebo. Essendo fra i miei gruppi preferiti, ho ascoltato con attenzione i nuovi album usciti per coincidenza quasi in contemporanea. Il 26 agosto settembre infatti è uscito nel Regno Unito il quarto album in studio dei FF, a 4 anni di distanza dall’ultimo “Tonight”, l’attesa era tanta da parte di critica e fan, e non si può dire che essa sia stata giustificata a pieno. Ci sono brani di livello e il solito sound del gruppo scozzese, ma i fasti del primo album omonimo e anche di “You Could Have It So Much Better” sembrano un lontano ricordo. Il leader Alex Kapranos ha rivelato in varie interviste che in questo album erano “sempre alla ricerca del perfect-beat, senza il beat perfetto nulla ha senso, la nostra è musica per il corpo, ciò che cerchiamo è la risposta del corpo”. Alcuni pezzi infatti sono molto ballabili in chiave rock’n’roll ma i ritmi e le melodie dell’esordio sono inarrivabili, nessun brano in grado di avvicinarsi

musica scintilla

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È così difficile confermarsi

“Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”, così Caparezza dava inizio appunto al suo secondo lavoro “Verità Supposte”. Se nel suo caso questo fu invece l’album che gli consentì di farsi un nome all’interno della realtà musicale italiana e funse da trampolino di lancio per i suoi futuri successi, non sempre avviene lo stesso in ambito musicale, specialmente all’interno di ciò che viene considerato “indie rock”, o “alternative rock”. Premetto che non mi sono mai piaciute più di tanto le etichette in musica e quell’ossessione critica di dover rinchiudere sempre una band o un’artista solamente all’interno del suo genere musicale definito. Però ho notato ultimamente una tendenza di progressivo smarrimento musicale e stilistico soprattutto in quelle band che vengono inserite in questo determinato genere, di cui ammetto essere un solito ascoltatore. Negli anni 00 sono un’infinità i gruppi che hanno colpito tutti con degli ottimi album d’esordio ma non sono mai riusciti a ripetersi su quei livelli. In alcuni casi sono completamente caduti nel dimenticatoio, per citarne uno The Fratellis, che nel

Pod per molto tempo (scommetto che almeno tutti una volta abbiamo sentito “Chelsea Dagger”), e poi? I due successivi lavori non hanno nemmeno lasciato una traccia, forse li avevamo sopravvalutati prima. Non sempre si tratta di questo però, a volte i primi album sono veramente degli ottimi lavori, come nel caso dei Bloc Party che nel 2005 con “Silent Alarm avevano accolto consensi dalla critica e avevano trovato molti fan. Fan che però sono rimasti delusi dai successivi lavori: sono addirittura usciti ben altri 3 album dopo il loro debutto ma in nessuno di questi Kele Okereke e soci sono mai riusciti a ripresentare quel sound e quello stile che tanto aveva ben impressionato in

“Silent Alarm”. Questo discorso riguarda anche gruppi considerati quasi dei “titani”, dei colossi del genere, come Kings Of Leon, Franz Ferdinand e Placebo. Essendo fra i miei gruppi preferiti, ho ascoltato con attenzione i nuovi album usciti per coincidenza quasi in contemporanea. Il 26 agosto settembre infatti è uscito nel Regno Unito il quarto album in studio dei FF, a 4 anni di distanza dall’ultimo “Tonight”, l’attesa era tanta da parte di critica e fan, e non si può dire che essa sia stata giustificata a pieno. Ci sono brani di livello e il solito sound del gruppo scozzese, ma i fasti del primo album omonimo e anche di “You Could Have It So Much Better” sembrano un lontano ricordo. Il leader Alex Kapranos ha rivelato in varie interviste che in questo

beat, senza il beat perfetto nulla ha senso, la nostra è musica per il corpo, ciò che cerchiamo è la risposta del corpo”. Alcuni pezzi infatti sono molto ballabili in chiave rock’n’roll ma i ritmi e le melodie dell’esordio sono inarrivabili, nessun brano in grado di avvicinarsi

veramente a quel perfetto equilibrio di musica e testo raggiunto in brani memorabili come Take Me Out o Jacqueline. Non è assolutamente una bocciatura, ma ho il timore che d’ora in avanti si possa solo andare peggiorando. Il 16 settembre invece è stata la data di uscita di “Loud Like Love” dei Placebo. A differenza dei Franz Ferdinand, il gruppo di Brian Molko vanta una carriera molto più lunga e ricca di successi, che ha fatto del trio inglese una band di fama internazionale. Prima di questo lavoro, nel 2009 “Battle for the Sun” aveva un po’ diviso gli ascoltatori fra chi credeva fosse solo un album sbagliato completamente dalla band e chi invece riteneva essere un buon tentativo di cambiare un po’ stile e sound dei Placebo; invece con questo disco osano un po’ meno e si affidano ad un tranquillo ritorno ad un rock più classico dove non mancano però né buoni singoli, come “Loud Like Love” e “Too Many Friends” (quasi commovente l’analisi fatta sul mondo delle false amicizie digitali di Facebook & Co.), né anche qualche sperimento un po’ più alternativo. In entrambi i casi anche qui Brian Molko non convince più di tanto e sono passati ormai più di 7 anni dall’ultimo ottimo album dei Placebo, “Meds” del 2006. Ciò di cui si sente la mancanza sono i tratti tipici della loro musica e del loro stile: quel lamento quasi isterico e penetrante nella voce, atmosfere cupe di un rock meno convenzionale e più tetro, caratterizzato da testi malinconici di una giovinezza che ormai con l’arrivo dei 40 anni Molko ha inevitabilmente perso. Discorso molto simile anche per i KOL, dove i fratelli e cugini Followill si sono rimessi al lavoro a non troppo tempo di distanza da “Come Around Sundown”. Forse anche troppo presto, visto che in alcuni passi i due album si somigliano anche troppo, apparendo quindi uno la semplice e natura consecuzione dell’altro, risultato buono, il suono è quello caratteristico della band ma ci si poteva aspettare qualcosa in più, un’evoluzione in termini stilistici o magari anche un desiderato ritorno, almeno da parte mia, ad un suono più grezzo e meno commerciale degli esordi. La mia analisi di fondo è che ormai tutti questi gruppi sembrano aver già dato il meglio di sé, ritornando sempre a ciò che gli ha resi ciò che sono ma con l’assenza della freschezza e dell’originalità della prima volta. Compromessi discografici o vera e propria mancanza di nuove idee? Non è possibile saperlo dalla nostra umile posizione, ma ciò che spero che i fan come me si aspettino è un ritorno ai fasti di un tempo. La nostalgia è una brutta bestia da combattere, lo so, ma mai dare per finita una band, specie se ti sei ascoltato migliaia di volte le loro canzoni.

Andrea Gasperini

musica scintilla

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Underground a Pesaro Nome d’arte: RAGE: Rage Hoover Bi: Matthew Bi Anni: RAGE: 21 Bi: 17 da quanto tempo fai rap? RAGE: ho cominciato a 15 anni, inizialmente come beatmaker e poi successivamente a 17 ho cominciato a scrivere Bi: ho cominciato a 11 / 12 anni Perché hai iniziato? RAGE: Bella domanda.. iniziò come un gioco con mio cugino, già all'età di 10-11 anni suonavamo insieme (tutt'altro genere) ci piaceva la musica in generale, poi pian piano cominciammo ad ascoltare questa musica quasi sconosciuta 10 anni fa e ci siamo detti.. perché non provarci? Di sicuro non l'abbiamo fatto per accodarci alla massa, visto che in quegli anni eravamo davvero in pochi a farlo. Bi: Ho iniziato per solitudine mentre ero in vacanza insieme ai miei nonni Quando prendi un microfono in mano cosa provi? RAGE: E' un’emozione indescrivibile che solo chi, come me, ha la passione per la musica può capire, poi sei hai un seguito e durante i live la gente partecipa nel cantare o nel fare bordello, sono grandi soddisfazioni. Bi: Bhè, è una grande emozione. Freestyle o canzoni (e perché)? RAGE: Canzoni non sono un tipo da freestyle (ride). Bi: Sia canzoni che freestyle anche se a dir la verità nel freestyle non sono il massimo. Voi due collaborate, parlateci un po’ di com’è iniziato tutto e di cosa avete in programma. RAGE: E' iniziato tutto quando Matthew è venuto per la prima volta a registrare nel mio studio, se non ricordo male mi chiese un featuring e poi di conseguenza abbiamo cominciato a collaborare. Bi: 1 o 2 anni fa sono andato da Rage grazie a un mio amico che mi ha fatto sapere di lui, e poi ho iniziato a registrare le prime canzoni e fare conoscenza, adesso come adesso stiamo lavorando al nostro primo disco ufficiale con molte produzioni e featuring. Datti un voto. RAGE: Sub Zero! (ride) Dai almeno la sufficienza credo di meritarmela… Bi: Sinceramente non voglio dare un voto a me stesso, anzi voglio che siano gli altri a darmelo (anche se brutto). Com’è messa l’italia nel mondo a livello di rap? RAGE: Il rap in Italia fortunatamente, anche se in ritardo rispetto ad altri paesi, è diventato un genere molto seguito e considerato, ormai lo vediamo ovunque, tv, radio, talent show, ma sopratutto lo vediamo in alto in classifica, con rapper capaci finalmente di vendere dischi e non pochi, vedi CLUB DOGO, EMIS KILLA, MARRACASH, FABRI FIBRA ecc.. che hanno conquistato il disco di platino (oltre 60.000 copie vendute). Quindi dai sono contento così e posso dirlo ERA ORA! Bi: Allora…io penso che in Italia il rap si sia evoluto col passare del tempo e questa cosa mi piace molto perché

penso che più siamo meglio è. Come riesce a farsi conoscere un rapper che parte dal basso? RAGE: di girare parecchio, suonare in quanti più locali possibili, aprire concerti ad artisti noti, partecipare a contest online e non (VEDI SPOTTED NEL CASO NOSTRO), ma sopratutto pubblicare canzoni e rompere i coglioni alla gente! Bi: tempo e poi ovviamente tanto ma tanto allenamento.Rapper o gruppo preferito (assoluto e italiano)?RAGE: CLUB DOGO dai tempi delle sacre scuole e li apprezzo molto perché loro, al contrario di altri rapper noti in Italia, hanno fatto la vera gavetta e si sono fatti il culo per arrivare dove sono ora, cosa che non tutti capiscono, poi la scelta di fare rap commerciale bisogna rispettarla, ognuno è libero di fare ciò che vuole! (ps: non sono gli unici che han fatto gavetta sia chiaro…)Bi: abbiano fatto molto di più di altri gruppi o rapper che siano.La tua canzone preferita?RAGE: riguarda i CLUB DOGO sono cresciuto con "NOTE KILLER".Bi: piace davvero è Vile Denaro dei Club Dogo.Se dovessi consigliare a qualcuno una tua canzone quale consiglieresti? E perché?:RAGE: uscito il 24 maggio 2013, credo sia una delle mie canzoni che preferisco, il perché lo capirà chi andrà ad ascoltarla.Bi: Ci scrivi due storie così su due piedi?RAGE: L’ho fatto su un piede addirittura! (ride) Bi: Pure io sono uno scolaro, ma scrivo per distinguermi dal popolo italiano, Salutate i lettori e fate pure un po’ di pubblicità, se volete.RAGE: seguiteci su facebook (www.facebook.com/ragehooverofficialpage), un abbraccio!Bi: //

sconosciuta 10 anni fa e ci siamo detti.. perché non provarci? Di sicuro non l'abbiamo fatto per accodarci alla massa,

E' un’emozione indescrivibile che solo chi, come me, ha la passione per la musica può capire, poi sei hai un

registrare le prime canzoni e fare conoscenza, adesso come adesso stiamo lavorando al nostro primo disco ufficiale

penso che più siamo meglio è. Come riesce a farsi conoscere un rapper che parte dal basso? RAGE: Prima di tutto un po’ di fortuna serve sempre, poi, secondo me, una cosa importante è sicuramente il fatto di girare parecchio, suonare in quanti più locali possibili, aprire concerti ad artisti noti, partecipare a contest online e non (VEDI SPOTTED NEL CASO NOSTRO), ma sopratutto pubblicare canzoni e rompere i coglioni alla gente! Bi: Col tempo e la costanza di aspettare penso che tutti prima o poi ci riescono, ma ripeto serve la costanza e il tempo e poi ovviamente tanto ma tanto allenamento. Rapper o gruppo preferito (assoluto e italiano)? RAGE: Il mio artista preferito è sicuramente Jay-Z, in Italia ascolto un po’ tutti, non ho preferenze, però ascolto i CLUB DOGO dai tempi delle sacre scuole e li apprezzo molto perché loro, al contrario di altri rapper noti in Italia, hanno fatto la vera gavetta e si sono fatti il culo per arrivare dove sono ora, cosa che non tutti capiscono, poi la scelta di fare rap commerciale bisogna rispettarla, ognuno è libero di fare ciò che vuole! (ps: non sono gli unici che han fatto gavetta sia chiaro…) Bi: Il gruppo che stimo di più e che ho sempre ascoltato sono i Club Dogo perché penso che per farsi conoscere abbiano fatto molto di più di altri gruppi o rapper che siano. La tua canzone preferita? RAGE: te ne dico 2… per quanto riguarda JAY Z dico "EMPIRE STATE OF MIND" con Alicia Keys, per quanto riguarda i CLUB DOGO sono cresciuto con "NOTE KILLER". Bi: In realtà non ho una canzone preferita perché mi piace ascoltare di più gli album interi, e se ce ne uno che mi piace davvero è Vile Denaro dei Club Dogo. Se dovessi consigliare a qualcuno una tua canzone quale consiglieresti? E perché?: RAGE: Non ho un grosso repertorio di canzoni, però FUORI DA ME canzone contenuta in "Insomnia mixtape" uscito il 24 maggio 2013, credo sia una delle mie canzoni che preferisco, il perché lo capirà chi andrà ad ascoltarla. Bi: Non voglio consigliare nessuna canzone a nessuno e per un mio punto di vista ognuno ascolta ciò che gli piace. Ci scrivi due storie così su due piedi? RAGE: Scrivo una barra per il giornalino della scuola tu non ci provare nemmeno io ti rimando a casa, sulla tua strofa ci faccio tabula rasa sei vero come una pu…na che si è fatta suora! L’ho fatto su un piede addirittura! (ride) Bi: Pure io sono uno scolaro, ma scrivo per distinguermi dal popolo italiano, il nome è Raiders music il suono è rivoluzionario, e tu che pensavi che fosse il giornalino del football americano Salutate i lettori e fate pure un po’ di pubblicità, se volete. RAGE: Bella raga, io e Matthew Bi stiamo lavorando al primo disco insieme, uscirà per dicembre! Presto novità.. seguiteci su facebook (www.facebook.com/ragehooverofficialpage), un abbraccio! Bi: //

Teobaldo Bianchini

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Tutto ciò che riesco a pensare in questo momento è di “essere in debito per sempre nei confronti del tuo prezioso consiglio “. Per cercare di colmare questo piccolo buco allora, non mi rimane che scrivere e ringraziare un mito come te, Kurt Cobain, frontman dei Nirvana, che proprio mito alla fin fine non voleva diventare, anzi. Perché riuscire a enfatizzare ogni inquietudine e forma di ribalta, dovute un po’ per gli eccessi in droghe, un po’ per il rifiuto di quella società che lo vedeva come il profeta affermato di una nuova dottrina (il grunge), non è da tutti. Cobain è riuscito nell’impresa di esprimere le incertezze giovanili che colpiscono due adolescenti su due, dando voce al moto rivoluzionario che condiziona noi ragazzi e di adottare una visione diversa della vita non basata sullo stereotipo della felicità e della pace interiore (il cosiddetto Nirvana per l'appunto) ma sull’irrefrenabile voglia di distruggere la cultura mainstream americana degli anni ottanta e novanta, facendola adattare alle sue prerogative. Come? Sicuramente trasmettendo un messaggio di solidarietà verso le gravi problematiche sociali ed umane della nostra società, primo fra tutti lo stupro, evidenziandone gli aspetti più raccapriccianti nelle celeberrime canzoni Polly e Raped me . Ma se da un lato è stata la globalizzazione in sé e per sé a far arrivare sulla cresta dell’onda il trio di Aberdeen, dall’altro ha provocato in Kurt l’incapacità di intraprendere il cammino di rock star, di guida spirituale nei confronti di giovani che vedevano in lui la possibilità di fuggire dal supplizio della quotidianità e di riuscire, una volta per tutte, a pensare con la propria testa. In una delle sue ultime interviste, Cobain aveva infatti dichiarato: ” Ho incontrato molte menti in grado di memorizzare e tradurre un enorme numero di informazioni, ma che non hanno un briciolo di saggezza o di passione”. Ma le passioni troppo intense, come possono essere quelle amorose, unite a una forte sensibilità, ad una personalità tendente all’isolamento e a tante incertezze sul futuro, possono giocarti un brutto scherzo e farti cadere in un irrimediabile depressione, che sfocia poi quasi inevitabilmente nell’uso di sostanze. La dipendenza da eroina ha distrutto fisicamente il cantante dei Nirvana, che , giusto poche ore dopo aver partecipato al famoso Saturday Night Live e una settimana prima che Nevermind raggiungesse il numero uno nelle classifiche, andò in overdose. Solo quando la moglie lo trovò alle 7:00 del mattino sdraiato sul pavimento di casa sua e lo risvegliò con una secchiata d’acqua sulla faccia e pugni nello stomaco, capì che era giunto il momento di disintossicarsi. Ma il grosso ormai era stato fatto e In Utero, l’ultimo album capolavoro che riporta alle vecchie origini i Nirvana, è il presagio di una morte quasi annunciata dai testi di dumb (“Il mio cuore è spezzato, ma ho della colla, aiutami a sniffarla e ripararlo con te”), heart shaped box (“taglia la mia acconciatura da angelo e toglimi il respiro da neonato”) e serve the servants (“La rabbia dei giovani ha pagato bene. Ora sono annoiato e vecchio.Il sottoscritto giudica i giudici più di quanto hanno venduto”). Kurt si uccise il 5 Aprile del 1994, all’età di 27 anni, ponendo fine ad una vita che ha bruciato in fretta, ma per lo meno non si è spenta lentamente. Certo il suicidio non è un gesto per il quale provare rammarico e compassione, tantomeno da apprezzare poiché se una band decide che è arrivato il momento di farla finita vuoi e non vuoi per motivi personali o principalmente perchè non si possiede più l’energia e la grinta che ti spronano a suonare fino a notte fonda, basta semplicemente sciogliersi o rifugiarsi in una casa nella campagna toscana, come ha fatto il cantante dei Police, Sting (che suona in concerto!). Sta di fatto che la morte della rockstar, nel bene o nel male, ha chiuso uno dei capitoli più significativi della storia della musica ed è riuscita a far tramutare in leggenda un semplice ribelle dai capelli d’oro.

So Were you right Kurt? We don’t know mate, we don’t know.

Stefano Michele Morelli

vita e riflessioni sull'enigmatica figura dell'icona grunge.

cinema scintilla

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Rush è il film racconto di una delle più celebri rivalità sportive della storia, quella tra i piloti di Formula 1, James Hunt e Niki Lauda. James Hunt inizialmente era un corridore di Formula 3 e, non avendo avversari temibili, ogni anno ne usciva vincitore. Quando entrò a far parte del circuito l’austriaco Niki Lauda la competizione si fece sentire. James, pilota britannico, era un giovane superficiale, donnaiolo, che adorava mettersi in mostra, mentre Lauda era un genio strategico dai modi duri e riservati. Ci furono solo vittorie per Hunt in Formula 3. Lauda dopo tante sconfitte, sia sportive che familiari, quando il padre rifiutò di sovvenzionare la sua carriera sportiva ritenendola inappropriata, decise allora di chiedere un prestito che gli consentì di entrare a far parte della Formula 1 come pilota pagante. Lauda dopo poco lasciò la squadra BRM dove correva per diventare pilota della prestigiosa scuderia Ferrari. Il salto di qualità che fece Niki avvenne anche per Hunt, che realizzò una vettura in grado di partecipare al campionato di Formula 1, non vestendosi di sponsor la macchina influì sulla sua carriera. Nel 1975 Lauda diventò campione del mondo di Formula 1, mentre la macchina non dotata di sponsor portò la squadra di Hunt in banca rotta. Hunt andò in crisi non avendo una macchina da pilotare per l’anno dopo, quando gli si presentò la Mc Laren che gli consentì di ottenere il ruolo di pilota per il successivo campionato. Dopo varie vittorie consecutive di Lauda, si svolse il Gran Premio di Germania. Il clima impietoso del Nord Europa spaventò Niki che chiese di annullare la gara, ma Hunt convinse la maggior parte dei piloti a votare a favore della corsa. Iniziò così la gara. Dopo il secondo giro i due piloti si convinsero che l’asfalto si stava asciugando, così che cambiarono le gomme, èassando da quelle da bagnato a quelle d’asciutto. Purtroppo dopo il terzo giro la Ferrari di Lauda cedette in un terribile incidente che vide il pilota austriaco rimanere imprigionato per diverse centinaia di secondi all’interno della sua autovettura e lui rimase gravemente ustionato per numerose settimane. Nel frattempo, sfruttando l’assenza di Lauda, James continuò a correre recuperando i punti persi. 42 giorni il drammatico incidente Lauda prese parte al Gran Premio d’Italia il 12 Settembre in cui mantenne le prime posizioni. L’ultima gara ebbe luogo in Giappone sotto una pioggia battente. Questa volta Niki affrontò la gara, ma dopo qualche giro decise di fermarsi e rinunciare perché a suo modo di vedere il rischio era troppo. Hunt proseguì guadagnandosi il terzo posto che gli permise di diventare campione del mondo. Dopo qualche tempo si incontrarono all’aeroporto di Bologna, dove Hunt disse a Lauda che gli era bastato quel titolo e che per la sua carriera era sufficiente.

Dopo sette anni James divenne conduttore pubblicitario. Spese tutti i suoi soldi in escort e droga e a quarantacinque anni morì di infarto, mentre Lauda tutt’ora gareggia.

Rebecca Rossi

internet scintilla

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Questa la traduzione fornitaci da Google Translate quando si prova a tradurre il termine "Kickstarter" dall'inglese all'italiano. Molto probabilmente, molti di voi si staranno chiedendo di cosa io stia parlando, e questo è male! Molto male! Kickstarter è un sito Internet dove persone con progetti interessantissimi cercano soldi per il loro completamento da persone comuni come noi. Ci vengono quindi mostrati dei prodotti ancora in fase di ottimizzazione, che hanno solamente bisogno di fondi per riuscire a migliorare e a distribuire il loro progetto. Viene quindi fissato un obiettivo finale dai promotori del progetto, che se raggiunto farà sì che loro siano capaci di perfezionare e distribuire la loro idea. Vi invito vivamente a dare un'occhiata al sito in questione, perchè ha dei progetti veramente fantastici! E noi siamo qui per illustrarvi qualche idea che ci ha veramente colpito e che pensiamo potrebbe interessare pure voi.

Pay with Loop

Pay with Loop è un progetto che è stato introdotto da pochi giorni e ha già raggiunto $20.000 dei $100.000 richiesti. Si tratta di un'applicazione per Android e iOS che permette di pagare con le nostre carte di credito tramite l'utilizzo di segnali magnetici inviati dal nostro cellulare o tablet. Per pagare possiamo semplicemente selezionare la carta da utilizzare, avvicinare il nostro cellulare alla macchinetta dove di solito strisciamo la carta e il gioco è fatto! Pagato!

Kapture: the audio-recording wristband

Kapture è una specie di braccialetto che in realtà non è altro che un microfono attivo 24 ore su 24 ore. Cosa me ne faccio di un microfono da polso che è sempre acceso? Semplice, ci registro gli ultimi 60 secondi della mia vita! Kapture registra continuamente tutto ciò che noi sentiamo, e semplicemente premendo l'apposito pulsante potremo salvare gli ultimi 60 secondi di conversazione. Il file verrà automaticamente salvato sul nostro cellulare, e tramite l'applicazione messa a disposizione potremo immediatamente decidere di salvare solo la parte che ci interessa. Molto carino per ricordarsi tutte le c@zzate (passateci il termine) che si dicono quotidianamente!

Holho - Hologram generator for SMARTPHONE and TABLET

Passiamo quindi ad un prodotto italiano. Si tratta di strutture che proiettano degli ologrammi al loro interno, partendo da un'immagine nel nostro cellulare o tablet. Potremo quindi proiettare delle immagini o dei video in un vero 3D, come vediamo fare in molti film fantascientifici (anche se in dimensioni molto inferiori). Anche questa volta ci verrà messa a disposizione un'apposita app per adattare le nostre immagini alla proiezione olografica. Viene consigliato l'utilizzo di uno sfondo nero.

Sound Band - Finally, a headset without Speakers!

Odiate mettere le cuffie perché non sentite il mondo circostante a voi? La soluzione ai vostri problemi è Sound Band, un paio di cuffie che sono interamente esterne al nostro orecchio. Come funzionano? Conducono il suono tramite le ossa e la pelle della nostra testa. Utilizzando questo sistema innovativo, saremo ancora capaci di sentire tutto ciò che accade intorno a noi, senza disturbare la quiete altrui (in quanto solamente noi potremo sentire il suono prodotto dalle cuffie) mentre ascoltiamo la nostra musica ad un alto livello qualitativo.

Haptix: Multitouch Reinvented

Questo è un progetto che ho deciso di supportare in prima persona. Si tratta di un piccolo device dotato di una

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videocamera, che trasforma il movimento delle nostre dita in un input per il nostro computer. Per metterla in parole più semplici, possiamo sostituire sia il mouse che la tastiera (più una serie di controlli fatti ad hoc) con questo piccolo apparecchio che rileva i movimenti delle nostre dita. Esistono già cose simili ma Haptix sarà l'unico a funzionare in qualsiasi situazione (anche in presenza di una scarsa illuminazione, per esempio). L'unica cosa richiesta è una superficie piana in grado di fare da sfondo alle nostre mani. Un'altra cosa importante nel progetto è il fatto che sarà sempre presente un indicatore a rivelarci dove ci troviamo nello schermo.

BubblePod - Professional 360° images in less than a minute.

Non è altro che un piccolo piedistallo che ci permetterà di scattare delle foto a 360° in maniera perfetta col nostro cellulare. In poche parole fa girare il nostro cellulare alla velocità perfetta per tale tipologia di fotografia e ci impiega anche poco tempo. La cosa interessante è che, essendo tutto meccanico, non ci sarà alcun bisogno di batterie o simili. Ha anche un buco che ci permette di posizionarlo in cima ad una bottiglia di vino, per esempio, per garantire un buon punto d'appoggio per il tutto.

Rhino Shield: The Impact Resistant Screen Protector

Se possiedi un iPhone da più di un anno ti si è rotto almeno una volta lo schermo, è un dato di fatto. Rhino Shield è stato inventato proprio per questo motivo: protezione totale dello schermo del tuo cellulare. Con una resistenza molto più elevata di ogni altra pellicola presente sul mercato, Rhino Shield farà si che il tuo cellulare sopravviva ad ogni situazione.

NanoLight - The world's most energy efficient lightbulb!

Le lampadine che troviamo nelle nostre case sono in maggior parte ad incandescenza. Pensate che tale invenzione risale al 1878. Penso sia ora di reinventare la lampadina. Ebbene, i ragazzi dietro a NanoLight potrebbero essere riusciti nell'impresa: hanno creato una lampadina a LED dai bassi consumi e dall'alta resa. Pensate che consumando solamente 12W riesce a produrre 1600 lumen. Per ottenere una luminosità tale con una lampadina ad incandescenza ci sono richiesti 100W. E non finisce qui! NanoLight durerà anche come l'equivalente di 30 lampadine ad incandescenza, costando circa un nono in meno: 30 lampadine costano circa $400; NanoLight solamente $50.

Beastgrip. Universal lens adapter for most camera phones.

Ormai una buona maggioranza della gente tende a scattare foto tramite il proprio cellulare. Però un cellulare non offre le stesse caratteristiche di una macchina fotografica: è molto leggero e non è per niente ergonomico per scattare foto di alta qualità. I creatori di Beastgrip hanno quindi pensato di creare un supporto per il nostro cellulare che di fatto lo trasformi il più possibile in una macchina fotografica. Presenta anche degli obiettivi di qualità sicuramente maggiore a quelli di molti cellulari, ed è stato anche creato con l'intenzione di girare dei video di sport estremi, in maniera simile ad una GoPro. Si può infatti attaccare ad ogni sorta di superficie tramite appositi sostegni.

Matteo Mazzanti

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possono avere effetti indesiderati, anche gravi.

Mass media: mezzi di comunicazione mediatica con pubblico le masse, tutto ciò il cui messaggio arrivi ad un grande numero di persone.

Certo possiamo ammettere che, come tutte le scoperte, la scoperta e lo sviluppo dei mass media sono stati cruciali per un vero apparato democratico, favorendo l'accesso della popolazione ai più svariati tipi di informazione. Inizialmente in Italia venivano trasmetti programmi dove veniva addirittura insegnato a leggere e scrivere, quindi si possono immaginare le infinite applicazioni positive di questi canali di comunicazione. D'altro canto, come tutte le scoperte, dopo aver sfruttato tutti lati positivi della cosa, c'è chi ha capito che forse ci si sarebbe potuto fare qualcos'altro. Pensiamoci: uno strumento con il quale si può trasmettere qualunque tipo di messaggio, seguito da un pubblico vastissimo, quasi nazionale. Risulta facile immaginare le infinite applicazioni disastrose di questi canali di comunicazione.

Chi non guarda la televisione oggi? Si può dire che quasi tutti guardano la televisione. Se non vogliamo parlare del cinema, dei giornali, delle riviste, della radio… Ma cosa guardiamo, leggiamo e ascoltiamo? Fiction, telegiornali, film, talk show, reality show, documentari, programmi di musica, articoli su articoli. E il nostro cervello assimila tutto, ma senza dirci niente. Oggi siamo talmente immersi in un mondo che non è più solo reale, che la maggior parte delle idee che ci facciamo su di esso, su ciò che vi accade, sulle persone, non lo vediamo coi nostri occhi, ma ci viene raccontato. Certo, cosa di grandissima utilità. Ora, non c'è chi non abbia visto tramite uno schermo o letto in un articolo qualcosa che personalmente non avrebbe mai potuto vedere, i mezzi di comunicazione servono a questo in fondo. La cultura generale è notevolmente aumentata e la "percezione" del mondo è cambiata radicalmente. Ma cosa percepiamo noi di quello che ci viene raccontato da giornalisti e conduttori? Che idea ci facciamo di quello che ci circonda? Mi sono fermato a pensare su questo quando mi sono accorto che molti concetti sociali, che tutti riconosciamo e di cui discutiamo e per i quali ci battiamo, non esistono. O meglio esistono in alcune situazioni e poi sono stati ripresi e divulgati. Ed è proprio qui che ho trovato la falla nel piano, una falla che in realtà, molto probabilmente, viene più che sfruttata. Buona parte delle cose di cui non solo ci fidiamo, ma che addirittura diamo per scontate, appoggiandocisi per una tesi o mettendole come basi per un discorso, sono puramente artificiali. I mass media possono creare uno Stato in cui noi non interagiamo solo con ciò che realmente ci sta intorno, ma con milioni di altre cose, che a volte , purtroppo, sono menzogne e manipolazioni. Non sto parlando di situazioni complicate, come quella dei messaggi subliminali eccetera, sui quali si dovrebbe fare un discorso molto più approfondito, ma su come la nostra percezione del mondo sia stata costituita da cose di cui fondamentalmente ci possiamo soltanto fidare. E lo facciamo.

Ad esempio. Quando io penso ad un futuro ideale, lo penso su una spiaggia delle Maldive pieno di soldi e belle ragazze; quando penso ad un amore ideale lo penso in maniera poetica con tutta quella serie di valori e momenti con la quale "amorevolmente" mi hanno cresciuto la Disney e le stupide pellicole d'amore; quando penso alla famiglia ideale la immagino in cucina con una luce irreale che entra dalle finestre e che magari mangia Nutella a colazione senza ingrassare e sentirsi malsana; quando penso ad una vita sociale ideale immagino degli amici come in "Friends" o ad un gruppo di ragazzi "fighi" che si divertono facendo serata e si salutano con un numero infinito di gesti inverosimili; quando penso all'omologazione penso all'idea di omologazione che mi sono fatto

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guardando omologati programmi sull'omologazione e omologati slogan su come "tutti gli altri sono COSI' omologati"; e quando credo di essere alternativo, lo sono nella maniera prefabbricata dalle case di moda alternative e dai produttori di stili di vita alternativi. Per chi leggendo questo stia pensando nella sua testa " ma non è vero, io penso con la mia testa", mi dispiace per lui ma posso dimostrargli che anche questo è un concetto prefabbricato e mandato in onda. E qui c'è un gioco incredibilmente subdolo. Infatti, coloro che vogliono utilizzare questi mass media come mezzi di controllo sulla psicologia di massa hanno capito che ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe sottolineato tutti questi punti facilmente individuabili, e non essendo stupidi li hanno rigirati a loro favore. Hanno strumentalizzato tutto, a partire dalle soluzioni che ognuno avrebbe potuto adottare ai problemi che avevano creato, trasformandole in altri problemi. Ed è partita un'era in cui ovunque si ripetevano i cliché come: "pensare con la propria testa", "vestirsi col proprio stile", "essere originali", "non dare peso a ciò che pensa la gente". Così tutti ne erano convinti e tranquillizzati e intanto continuavano ad essere influenzati inconsapevolmente. Questi, seppur argomenti di grande peso, sono solo alcuni che contengano in essi lati negativi dei mass media. Un altro è ad esempio la quantità di televisione spazzatura che viene messa in onda. Essendo diventata la televisione un marketing ( si!, anche la "Rai", il servizio pubblico radiotelevisivo italiano), a chi fa televisione non interessa mandare in onda programmi di qualità, ma i programmi che ricevono più ascolti, e alla maggioranza non interessa ragionare sul divano dopo un'intensa giornata di lavoro. Come chi fa editoria non pubblica libri e articoli di spessore perché alla maggioranza piace sentirsi ripetere luoghi comuni e ragionamenti semplici e di nessun significato. Il risultato è un voluto o meno stordimento della popolazione che trova brillante un litigio su "Uomini e Donne" o al "Grande Fratello", che trova che la massima espressione artistica sia un discorso di Sgarbi o il canto di qualcuno ad "Amici", che vedi come miti da seguire attori e autori di basso livello. Tutto ciò ha portato anche ad un inevitabile abbassamento della qualità di romanzi e film, poiché ciò che piace ai molti non è sempre il meglio; portando alla gloria persone che non per meriti, ma per aver seguito le tendenze hanno susseguito una buona fama. Al punto da vedere ragazzi che per divertimento postavano video su Youtube diventare attori strapagati e scrittori che probabilmente hanno mancato qualche lezione di italiano diventare famosi autori di best seller. I mezzi di informazione di massa si sono quindi chiusi su se stessi, mancando il fine principale per cui erano stati creati, cioè per portare informazione e cultura ovunque. Il sistema capitalistico fa si che chi paga decide e quindi chi possiede le reti televisive decide cosa andrà in onda, così come per lo scritto. Un barlume di speranza si può vedere in Internet, sperando che non riescano a censurare anche quello. Forse l'unico consiglio che posso dare (considerando che pensare con la proprio a testa è ormai anche quello uno stereotipo) è ascoltare e informarsi dove ascolta e si informa il minor numero di gente.

Alberto Vichi

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L'uomo è ormai così tanto egoista, da non dare quasi più spazio agli esseri in un certo senso più deboli di lui: gli animali. Ci rendiamo conto sempre meno di quanto l'essere umano si senta fin troppo padrone del mondo, concedendosi il diritto di abbandonare gli animali come fossero oggetti senza alcuna sensibilità. Sempre più spesso sentiamo episodi di mal trattamenti, sfruttamenti o abbandoni, ma purtroppo nessuno, o comunque pochi, fanno qualcosa di veramente concreto per combattere tutto ciò. Uno degli esempi più comuni di mal trattamento degli animali è quello dei circhi: una finta realtà ci fa credere che leoni, elefanti, tigri e tante altre specie vengano trattati più che bene, ma dietro a questo sipario si nasconde una brutta verità: troppo poco spazio a disposizione per animali che invece necessitano di grandi luoghi, cibo adeguato, una temperatura a loro adatta, eccetera. Solo pochi mesi fa ci è stata appunto una manifestazione proprio a Pesaro, contro il Circo Orfei, ma purtroppo non ha avuto grande successo. Un altro tasto dolente per gli animali è quello della sperimentazione che viene fatta su di essi: molto spesso vengono sfruttati cani innocenti, per fare esperimenti quasi del tutto inutili di creme antirughe od altri prodotti cosmetici. C'è stata una rivolta infatti a proposito questo accaduto, che fortunatamente ha avuto buoni risultati: è stata emanata finalmente una legge che vieta qualsiasi tipo di sperimentazione su animali da compagnia. Un altro ambiente infimo è quasi sempre lo zoo, in cui gli animali vengono rinchiusi dall'uomo, che non si rende conto di quanto essi soffrano. Oggi purtroppo lo sfruttamento degli animali è in continuo aumento, l'uomo sta diventando sempre più incosciente e insensibile. Ciò che ogni individuo può limitarsi a fare è essere cosciente delle proprie scelte: comprare un cane, ad esempio, non è sinonimo di “ora mi piace, più in là si vedrà”, ma è una responsabilità che va presa intelligentemente. Tutta la società di oggi, dovrebbe pensare un po' di più ai sentimenti di ogni essere vivente, invece di basarsi quasi sempre e solo sul guadagno. Si potrebbe concludere tutto questo con un affermazione un po' comune forse, troppo spessa usata superficialmente, ma che in realtà è una grande verità: anche gli animali hanno un'anima

Victoria Prihodco

allo SFRUTTAMENTO DEGLI ANIMALI!

DICIAMO BASTA

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Calciomercato, dov’è la

crisi?

Vi siete mai chiesti quanto, realmente, sia bello il calcio? Io sono il primo fan ma metto le mani avanti quando si

parla di calcio. Perché c’è calcio e calcio. Lo sport che amo è quello che si gioca per strada, nelle giovanili, non

quello di serie A. Ovvio, tante emozioni, si vince uno scudetto e si va a festeggiare, si vince la Champions League

uguale, ecc.. Ma a noi, onestamente, se vince la Juve o vince il Trapani cosa cambia? Nulla.

Una cosa emotiva, è vero. Ma voi non vi sentite presi per il.. fondoschiena? Non parlo del menefreghismo, perché

le squadre sono menefreghiste, per quanto possano sembrare interessate ai tifosi. Ricordate, non sono interessati

a noi ma in quell’altra cosa che sta sempre sul nostro fondoschiena, il portafogli.

In un periodo dove il mondo muore di fame certa gente, mentre noi continuiamo a criticare i politici (non facciamo

nomi che tanto si conoscono) che mangiano una continuazione, loro, i presidenti, i ds, gli ad, sono su delle altre

poltrone, più comode, meno scosse dal popolo o dalle piazze. Quelle dei veri geni del denaro.

Quanti soldi, quanti milioni si sono mossi in 3 mesi? E pensate ai titoli sui giornali:

Juventus, colpaccio Tevez, affare per 12 milioni. Napoli strappa Higuain alle grandi d’Europa, 45 milioni.. ma ancora

peggio.. Più di Kakà più di Ronaldo, Bale è l’uomo dei 100 milioni.. e poi, siccome in Francia il PSG è solito avere la

mano corta (ironia) si è aggiunto qualcuno che sa cosa vuol dire costruire una squadra e per questo compra gente

come Falcao e altri 2 fenomeni per 140milioni. Facciamo un conto? Ho citato 4 squadre e 6 giocatori (Kakà e

Ronaldo non li conto sennò iniziamo a piangere) per un totale di quasi 300milioni.

Io vorrei sapere, dov’è la crisi? La gente muore di fame, si suicida perché non ha lavoro e questi osano spendere

300milioni in 6 persone. Ma ora vi faccio ridere: “Il Real con l’acquisto di Bale ha sputato in faccia alla povera

gente” indovinate chi l’ha detto… Non è una persona disoccupata (perché se lo fosse non farebbe ridere) bensì il

presidente del Barcellona, la squadra che compra UN giocatore all’anno e spende tra i 50 e i 60 milioni. Una volta

qualcuno di parlò di un certo Platini, di un certo fair play finanziario, delle squadre in rosso che a fine 2013

dovevano retrocedere nelle minime leghe.. facciamo così cari lettori, iniziamo ad amare la Juventus, il Barcellona e

compagnia quando faranno i tornei di Misano contro il Gabicce, quando gente si ridurrà lo stipendio a meno di un

operaio per la squadra che ama (vedi Chevanton) potremo chiamarle bandiere. Loro di noi se ne fregano, mentre

altri perdono la vita allo stadio ed hanno anche il coraggio di scioperare (calciatore, che lavoro di m..) perché sono

maltrattati dalle società (vedi Zarate, prendeva i milioni per stare a casa nel vero senso della parola). Vergogna.

Teobaldo Bianchini

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Ci sono attimi in cui soffriamo più di altri, ci sono momenti in cui le lacrime scendono così velocemente e così tanto che ci dissetiamo di un liquido salato che ci viene da dentro e che ci sembra conoscere molto bene. Ci sono partite che sembrano scritte nel destino delle persone da qualcuno lassù per la loro perfezione e, alla stesso tempo, imperfezione, che uniscono l’impossibile al possibile, il normale all’incredibile, la vittoria alla sconfitta e una testa bassa a un pugno alzato al cielo. Tutto in maniera così romantica che sembra scritto dal più bravo e strappalacrime sceneggiatore di Hollywood. Eppure sono successe e hanno segnato per sempre la storia e la vita di chi le ha vissute o sentite raccontare. C’era un uomo, o meglio, c’era un ragazzo che amava suo nonno e il rapporto tra nonno e nipote è qualcosa di difficile descrizione, o l’hai vissuto sulla tua pelle o lo devi immaginare come la cosa più bella che ti possa succedere. Come ogni film che si rispetti inizia tutto da una grande storia d’amore. 2002, Lewisville, North Carolina, c’era un ragazzo nero con degli occhi cioccolato che nutrivano tenerezza in chi lo guardava e che vedevano cose che normali giocatori di basket non vedono; occhi che allora ancora non sapevano che di li a poco, nell’arco di qualche giorno, avrebbero pianto come non mai nella loro vita. Christopher Emmanuel Paul dichiara di voler giocare nella stagione 2003/2004 con l’università di Wake Forest: questo è il contratto che Chris Paul sta leggendo e firmando, che vale molto più di un semplice foglio di carta, per lui rappresenta la speranza di diventare un giocatore della tanto sospirata e sudata NBA. E’ l’inizio della sua ultima stagione con la West Forsyth High School ed ha appena firmato una carta che gli garantisce di continuare a sognare; in quella sala la famiglia Paul al completo, qualche giornalista e diversi dirigenti dell’università di Wake Forest. Chris ha appena lasciato la penna sul tavolo, si alza e il primo sguardo che vuole incrociare è quello di suo nonno Nathaniel Jones o come lo chiamava Chris “Papa Chili”. Il nonno si fa spazio tra la folla e passa al nipote il cappellino dell’università per le foto di rito. I

due si abbracciano non tanto per dimostrasi quanto si volevano bene, lo sapevano benissimo entrambi, ma in onore di un traguardo raggiunto insieme e poi scoppiano in lacrime. Chris rispetta un comandamento non scritto ma fondamentale nell’America dei neri ed è quello di onorare i nonni se hai la fortuna di averli ancora vivi . Papa Chili è un semplice benzinaio alle porte della città e finisce sempre di lavorare alle sette di sera a meno che il nipote giochi quella sera, il distributore allora chiude alle sei. Esattamente la sera dopo quella splendida e meritata firma sul contratto, Papa Chili ha finito di lavorare e con il guadagno della giornata attraversa il parco che lo avrebbe portato a casa, ma dietro l’angolo cinque ragazzi lo derubano e lo fracassano di botte. Il cuore di Papa Chili è troppo debole e muore, accasciato, esanime, sulla via che aveva percorso un’intera vita fatta di sacrifici e soddisfazioni per la propria famiglia. Inevitabilmente anche il cuore di Chris si spezza ma neanche in quel caso nessuna sutura può reggere.

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Alcuni dicono che dalle macerie di una batosta nasca una persona più forte di prima altri pensano che dalle macerie non si può più costruire niente. Una cosa è certa, quella sera la storia e il destino di Chris Paul sono girati. Il cappellino è ancora sul letto, è successo tutto troppo veloce, il desiderio di lasciarsi vincere è forte, ma per un qualsiasi sportivo, in particolare per un giocatore di basket nero nel Sud degli Stati Uniti il verbo “lasciarsi vincere” non esiste; c’è la vittoria e la sconfitta, anche se la seconda è molto più difficile da accettare. Come un atleta pensa di essere invincibile, un nipote pensa che suo nonno sia invincibile. Era arrivato il momento che il nipote, perso il nonno, dubitava della sua invincibilità, le due cose si univano, si passavano il testimone; il desiderio di rivincita e il talento avrebbero fatto il resto. Le lacrime da qualche giorno sembrano una malattia cronica di cui Chris sembra soffrire finché un giorno, il giorno dell’ultimo saluto a Papa Chili, sua zia gli si avvicina non per compatirlo come tutti facevano, tra l’altro senza tanto successo, ma per lanciargli una sfida, dalla quale Chris non si sarebbe lasciato vincere. La zia gli indica una delle foto del nonno con sotto scritto “Nathaniel Jones 61 anni”, e gli chiede: “Quando giochi la prossima partita?”. Chris risponde : “Mercoledì, perché?”. E la zia, che è una di quelle donne che tendono a farsi rispettare, sentenzia: “Tu la prossima partita giocherai e segnerai 61 punti in onore di tuo nonno defunto”. E’ già mercoledì, l’onnipotenza di Chris in quella partita è letteralmente imbarazzante, non forza neanche, è in un contesto di squadra o forse è semplicemente trascinato da quello che il destino voleva e che aveva da tempo scritto nella sua vita. Penetrazioni, assist, tiri dall’arco, rubate e tutto il repertorio che ancora oggi ci offre. Ma quella sera il “Piccolo Grande Uomo da Lewisville” non deve solo vincere deve onorare suo nonno. A fine primo tempo il tabellino dice 39. Due minuti alla fine e Chris è a quota 59 punti, sotto le gambe, penetrazione, fallo, Chris è per terra e vede la palla entrare nonostante il contatto. 61. Chris è ancora disteso sul parquet guarda il segnapunti quasi incredulo, 61. Si deve rialzare per tirare il libero supplementare. La palestra dell’High School sa e tace. Chris sulla linea del tiro libero, prende la palla due palleggi e…. air ball, si sente il tonfo del pallone sul legno: è costretto a sbagliare per suo nonno e scoppia in lacrime in panchina. I compagni lo abbracciano, il padre (vice-allenatore) pure, il pubblico lo tributa di un applauso commosso e di chi sa di avere a che fare con qualcosa di straordinario. Chris, finiti gli applausi e gli abbracci sinceri, si siede in panchina, l’asciugamano sulla testa, fissa il parquet di legno sotto di lui poi si asciuga le lacrime e alza il pugno al cielo, là dove Papa Chili lo proteggerà per sempre. Quel giorno è nato il campione che cestisticamente tutti conosciamo o forse, più semplicemente, quella sera il ragazzo Chris è riuscito ad accarezzare suo nonno per ben 61 volte.

Filippo Gennari

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Dopo aver trascorso lo scorso anno in America, è giunto il momento di tornare a parlare di videogiochi sul nostro beneamato giornalino scolastico. Come la quasi totalità di voi saprà, in questo periodo è uscito uno tra i giochi più attesi di sempre. Esatto, sto parlando di Grand Theft Auto V, comunemente detto "GTA 5". Ho deciso di dedicare l'articolo interamente a questo titolo in quanto parlarne in poche righe sarebbe decisamente riduttivo. Entriamo quindi a parlare del fulcro del gioco: il gameplay.. Per la prima volta nella serie si potranno impersonare tre diversi personaggi, le cui vicende si intersecheranno continuamente all'interno della storia del gioco, e che potremo decidere di intercambiare quasi ogni volta ci piaccia. Limitazioni su questa nuova feature sono state introdotte quando si è inseguiti dalla polizia oppure in missioni dove solo un personaggio è implicato. Ognuno dei tre personaggi principali ha un background e delle motivazioni differenti, e sta ad ognuno di noi dire quale secondo noi è il migliore del trio. Si presentano quindi a noi Trevor, Franklin e Michael. Il primo è praticamente ciò che noi potremmo chiamare psicopatico. Tutte le missioni completamente fuori di testa avranno in qualche modo qualcosa a che fare con lui. Franklin è un afroamericano, proveniente dal ghetto, che vuole cercare l'ascesa in campo criminale. Michael è un ex rapinatore che è stato salvato dalla morte e dalla galera con un losco accordo con un agente dell'FIB (l'FBI del mondo Rockstar). Diciamo che questa è la principale differenza della nuova fatica di Rockstar rispetto alle precedenti. Per il resto il gameplay rimane quello classico della serie: si potranno decidere di portare a termine delle missioni, oppure girovagare per l'immensa mappa che il gioco ci mette a disposizione, cercando easter egg oppure dedicandoci a delle attività secondarie. Insomma, la qualità principale della serie GTA è quella di offrire una mole immensa di contenuti. Il gameplay è stato però modernizzato e migliorato, ispirandosi principalmente al precedente lavoro di Rockstar: Max Payne 3. Ora il gioco offre un puntatore a forma di punto, un sistema di copertura e il bullet time, tutti elementi che ci rimandano al suddetto gioco. Per il resto, il gioco rimane molto fedele alla tradizione. Quando commetteremo dei crimini, il nostro livello di sospetto si alzerà e la polizia ci comincerà ad inseguire. Dovremo quindi riuscire ad uscire dal raggio visivo della polizia per evitare di essere ulteriormente inseguiti dagli agenti dell'ordine. Torna anche il cellulare per chiamare i propri amici o per accedere ad una versione "Rockstar" di Internet. Tecnicamente il gioco si presenta molto bene, specialmente se consideriamo che ormai siamo giunti al termine dell'attuale generazione di console, che resistono nonostante i 7/8 anni di esistenza. L'orizzonte visivo del gioco è stato ampliato da 1,5 km a ben 6 km. Questo significa dover calcolare veramente tantissimi elementi e, sotto questo profilo, non si può che lodare Rockstar per il lavoro svolto. Non sempre il gioco riesce a mantenere i 30 FPS fissi, però si può perfettamente comprendere tale irrisoria "sporcizia" se consideriamo la mole immensa di contenuti su schermo. Naturalmente il gioco è in inglese, ma è sottotitolato in italiano, come da tradizione della serie. Questo fa sì che le persone con più conoscenze della lingua inglese si possano godere al massimo l'opera di Rockstar, in quanto la versione originale di ogni cosa è sempre la migliore. E fidatevi, quando qualcosa è stato realizzato in inglese, la cosa migliore è godersi la versione originale. Quantità e qualità sono quindi i fondamenti di questa produzione firmata Rockstar, che ha fatto veramente tanto successo. Approfondiamo quindi il successo del titolo, che è ben al di sopra delle vostre aspettative se non avete seguito la vicenda.

L'attesa per il titolo è iniziata per molti sin dal primo trailer pubblicato online, che di fatto confermava l'esistenza e lo sviluppo del titolo. Da quel momento in poi è scattato il putiferio più totale: milioni di rumor, avvistamenti, video e tanti altri elementi hanno invaso i social network. Con un gioco di questo calibro è normale stimare il numero di copie vendute già poco dopo il suo annuncio. Take-Two, publisher di Rockstar per questo gioco, ed altri

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Dopo aver trascorso lo scorso anno in America, è giunto il momento di tornare a parlare di videogiochi sul nostro beneamato giornalino scolastico. Come la quasi totalità di voi saprà, in questo periodo è uscito uno tra i giochi più

, comunemente detto "GTA 5". Ho deciso di dedicare l'articolo interamente a questo titolo in quanto parlarne in poche righe sarebbe decisamente riduttivo. Entriamo quindi a parlare del fulcro del gioco: il gameplay.. Per la prima volta nella serie si potranno impersonare tre diversi personaggi, le cui vicende si intersecheranno continuamente all'interno della storia del gioco, e che potremo decidere di intercambiare quasi ogni volta ci piaccia. Limitazioni su questa nuova feature sono state introdotte quando si è inseguiti dalla polizia oppure in missioni dove solo un personaggio è implicato. Ognuno dei tre personaggi principali ha un background e delle motivazioni differenti, e sta ad ognuno di noi dire quale secondo noi è il migliore del trio. Si presentano quindi a noi Trevor, Franklin e Michael. Il primo è praticamente ciò che noi potremmo chiamare psicopatico. Tutte le missioni completamente fuori di testa avranno in qualche modo qualcosa a che fare con lui. Franklin è un afroamericano, proveniente dal ghetto, che vuole cercare l'ascesa in campo criminale. Michael è un ex rapinatore che è stato salvato dalla morte e dalla galera con un losco accordo con un agente dell'FIB (l'FBI del mondo Rockstar). Diciamo che questa è la principale differenza della nuova fatica di Rockstar rispetto alle precedenti. Per il resto il gameplay rimane quello classico della serie: si potranno decidere di portare a termine delle missioni, oppure girovagare per l'immensa mappa che il gioco ci mette a disposizione, cercando easter egg oppure dedicandoci a delle attività secondarie. Insomma, la qualità principale della serie GTA è quella di offrire una mole immensa di contenuti. Il gameplay è stato però modernizzato e migliorato, ispirandosi principalmente al precedente lavoro di Rockstar: Max Payne 3. Ora il gioco offre un puntatore a forma di punto, un sistema di copertura e il bullet time, tutti elementi che ci rimandano al suddetto gioco. Per il resto, il gioco rimane molto fedele alla tradizione. Quando commetteremo dei crimini, il nostro livello di sospetto si alzerà e la polizia ci comincerà ad inseguire. Dovremo quindi riuscire ad uscire dal raggio visivo della polizia per evitare di essere ulteriormente inseguiti dagli agenti dell'ordine. Torna anche il cellulare per chiamare i propri amici o per accedere ad una versione "Rockstar" di Internet. Tecnicamente il gioco si presenta molto bene, specialmente se consideriamo che ormai siamo giunti al termine dell'attuale generazione di console, che resistono nonostante i 7/8 anni di esistenza. L'orizzonte visivo del gioco è stato ampliato da 1,5 km a ben 6 km. Questo significa dover calcolare veramente tantissimi elementi e, sotto questo profilo, non si può che lodare Rockstar per il lavoro svolto. Non sempre il gioco riesce a mantenere i 30 FPS fissi, però si può perfettamente comprendere tale irrisoria "sporcizia" se consideriamo la mole immensa di contenuti su schermo. Naturalmente il gioco è in inglese, ma è sottotitolato in italiano, come da tradizione della serie. Questo fa sì che le persone con più conoscenze della lingua inglese si possano godere al massimo l'opera di Rockstar, in quanto la versione originale di ogni cosa è sempre la migliore. E fidatevi, quando qualcosa è stato realizzato in inglese, la cosa migliore è godersi la versione originale. Quantità e qualità sono quindi i fondamenti di questa produzione firmata Rockstar, che ha fatto veramente tanto successo. Approfondiamo quindi il successo del titolo, che è ben al di sopra delle vostre aspettative se non avete

L'attesa per il titolo è iniziata per molti sin dal primo trailer pubblicato online, che di fatto confermava l'esistenza e lo sviluppo del titolo. Da quel momento in poi è scattato il putiferio più totale: milioni di rumor, avvistamenti, video e tanti altri elementi hanno invaso i social network. Con un gioco di questo calibro è normale stimare il

Two, publisher di Rockstar per questo gioco, ed altri

analisti ha inizialmente previsto una vendita di 18 milioni di copie nel solo primo anno di pubblicazione. Il

mercato inglese si aspettava una vendita record di 3 milioni di copie nel primo giorno nel solo Regno Unito. Avvicinandoci alla data di uscita effettiva del titolo, degli analisti hanno previsto una vendita dai 12 ai 13 milioni di copie entro la fine di settembre, di cui 6.5 milioni nel solo giorno di uscita. Volete sapere come è andata a finire realmente? 15 milioni di unità vendute nei soli primi tre giorni di commercio! Basandosi quindi su questo dato, si sono stimate le vendite entro la fine dell'anno: 25 milioni di copie nel 2013. Nel Regno Unito sono state invece vendute "solamente" 1.57 milioni di copie al day one, la metà di quelle previste. Se questi dati non vi fossero bastati, sappiate che il titolo ha prodotto ricavi per 800 milioni di dollari solamente nel primo giorno di commercializzazione! In tre giorni ha superato il miliardo di dollari di introito. Beh, ma quanto è effettivamente costato sviluppare il gioco? 265 milioni di dollari, cifra seconda solamente al film I Pirati dei Caraibi: Ai Confini del Mondo, con i suoi 300 milioni di dollari. Il ricavo effettivo di Rockstar sarebbe quindi di 735 milioni di dollari in soli tre giorni! Sono inoltre previsti introiti per un totale di ulteriori 437 milioni di dollari grazie a DLC e microtransazioni. Queste cifre sono assolutamente da capogiro, e dovrebbero farci riflettere su cosa significhi creare un gioco di queste dimensioni e così tanto atteso. Sapete qual è l'ironia di tutto ciò? Il gioco è uscito solamente su Xbox 360 e PlayStation 3. Esatto, niente versione PC! Rockstar non ha ancora annunciato una versione PC del titolo, nonostante sia stata creata una petizione a riguardo che ha già raggiunto le 600.000 firme. Ma avrà quindi questo attesissimo titolo tutte le carte in regola per ottenere tale successo? Stando a tutte le recensioni positive riguardanti il gioco, direi proprio di sì! Il gioco sta attualmente lottando contro il suo precedente episodio per il primato su Metacritic, con una media globale di 97/100. Ma questi dati giungono tutto fuorché inaspettati, dal momento che il gioco è in sviluppo da tantissimo ed è stato interamente costruito a mano, albero per albero.

A conferma di tutte queste informazioni sono appena arrivate notizie ufficiali dal Guinness World Record. Il gioco avrebbe ottenuto i seguenti 7 record mondiali. A voi la valutazione del successo ottenuto da quello che potremmo definire il masterpiece della software house.

Videogioco action-adventure con il maggiore numero di vendite in sole 24 ore (stimate a 11.21 milioni)

Videogioco con il maggior numero di vendite in sole 24 ore (in generale)

Prodotto di intrattenimento che ha incassato un miliardo di dollari più velocemente

Videogioco che ha incassato un miliardo di dollari più velocemente

Record di incassi in 24 ore

Record di incassi in 24 ore per un prodotto di intrattenimento

Trailer con il maggior numero di visualizzazioni per un gioco action-adventure

Matteo Mazzanti

scuola scintilla

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OUROBOROS “OUROBOROS” è il gruppo di teatro del nostro Liceo. Questa attività esiste dal 1995 e ha visto sempre la

collaborazione del regista Roberto Caminiti, diplomato alla Bottega dell'Arte di Firenze diretta da Vittorio

Gassman, con il supporto di alcune insegnanti della scuola. La partecipazione prevede la frequenza ad un

incontro settimanale pomeridiano della durata di un'ora e mezza per l'intero anno scolastico: si comincia con

attività laboratoriale (studio del movimento, esercizi di dizione, gestualità e mimica), si continua con l'approccio e

l'analisi del testo teatrale, per arrivare all'allestimento e alla messa in scena dello spettacolo. Ogni anno sono stati

proposti degli spettacoli, come ad esempio: Il Rinoceronte di Ionesco, Oceano Mare di Baricco, Questa sera si

recita a soggetto di Pirandello, Sogno di una Notte di Mezza Estate di Shakespeare, Per l'Amor di un Dio di Marie

Phillips, etc. L’anno scorso è stato presentato, al cinema di Loreto, “La realtà e il Mistero”, che trattava di un

viaggio all’interno delle interessanti tematiche di Dino Buzzati. Lo spettacolo è riuscito a meraviglia e ha visto una

preparazione piena di risate e scoperte, sia dal punto di vista culturale che personale di ogni attore; infatti il teatro

è il miglior modo per abbattere le barriere emotive e dar voce all’attore che è dentro di noi. Chiunque abbia mai

assistito ad un’opera teatrale potrà di certo immaginare il lavoro che c’è dietro le quinte: prove, copioni, vestiti,

allestimento del palco e quant’altro, ma non potrà mai capire l’emozione degl’attori quando sentono il caloroso

applauso degli spettatori. L’emozione inspiegabile non è dovuta soltanto all’ansia ma anche a tutto quello che si è

lavorato per arrivare a quel momento. Quando il sipario si apre e riesci a vedere, fra le luci abbaglianti, la distesa

di gente pronta ad assistere: questo è il momento magico. Prima di salire sul palco però, c’è sempre chi ti incita a

dare il tuo meglio, chi ti dà una pacca sulla spalla, o chi addirittura canta con te e con te urla ed impreca! E chi

cammina attorno ad un tavolino ripetendo la sua parte e chi ti aiuta con il trucco e i vestiti. Quando tutto finisce e

il sipario si chiude, è quasi un momento di liberazione che vede gli attori urlare di gioia, in mezzo alle

congratulazioni, per l’emozione di avercela fatta anche questa volta. Questo è confermato da alcune

testimonianze, qui riportate, di ragazzi che hanno partecipato come me, negli anni scorsi:

Lorenzo Zuliani

Trovo che l'esperienza fatta in 5 anni assieme al gruppo teatrale Ouroboros sia stata molto interessante, nonché

formativa. Il clima che si respira è buono e sin da subito si riesce a legare bene con tutti. L'unica cosa richiesta è la

voglia di impegnarsi, ma penso che questa sia una richiesta alquanto ovvia visto lo scopo (spettacolo di fine anno).

A questo punto non posso che consigliare a chiunque sia incuriosito di fare una prova e sono sicuro che non se ne

pentirà. Ora che sono fuori dal liceo, posso confermare che una delle cose che mi mancano di più dell'istituto è di

certo l'attività teatrale.

Trovo che l'esperienza fatta in 5 anni assieme al gruppo teatrale Ouroboros sia stata molto interessante, nonché

formativa. Il clima che si respira è buono e sin da subito si riesce a legare bene con tutti. L'unica cosa richiesta è la

voglia di impegnarsi, ma penso che questa sia una richiesta alquanto ovvia visto lo scopo (spettacolo di fine anno).

A questo punto non posso che consigliare a chiunque sia incuriosito di fare una prova e sono sicuro che non se ne

pentirà. Ora che sono fuori dal liceo, posso confermare che una delle cose che mi mancano di più dell'istituto è di

Luigi Marchionni

La mia avventura con il gruppo teatrale del

liceo è iniziata l'anno scorso. Sono sempre

stato un ragazzo molto timido e per questo

motivo avevo sempre rinunciato ad

iscrivermi prima della quinta superiore.

L'ultimo anno è ovviamente quello più

frustrante per ogni 19enne, e, in un primo

momento, le prove teatrali sono state il

modo migliore che avevo per rilassare i nervi.

L'esperienza più emozionante e gratificante è

stata senza dubbio lo spettacolo finale:

benchè l'esame di stato incombesse sui maturandi e i preparativi fossero in un ritardo abominevole, siamo riusciti

tutti in qualcosa che in quel momento sembrava impossibile. Per concludere, consiglio a tutti quest'esperienza:

un'occasione per conoscere nuovi amici e soprattutto conoscere meglio se stessi.

Anche per me è stata un esperienza fantastica da tutti i punti di vista. All’inizio credevo che non mi sarei trovata

bene, essendo solo del secondo anno, invece i ragazzi che fanno parte di questo gruppo sono molto accoglienti e ti

mettono subito a tuo agio; anche il regista e le professoresse che coordinano il tutto, sono i primi a lavorare con

gioia trasmettendola a noi ragazzi. All’inizio il laboratorio mi ha divertita perché mi ha fatto perdere la vergogna che

reprimeva la mia espressività ma il pezzo forte, che mi è piaciuto di più, è stato quando abbiamo incominciato, tutti

insieme, a trovare delle idee per lo spettacolo: il copione, le parti e la montatura sul palco. Di certo, qui a teatro

non era come me lo immaginavo perché non ti danno la parte da studiare e basta, ma ci si lavora insieme fin

dall’inizio, esprimendo pareri su cosa rappresentare e sulla parte che preferisci fare. Penso siano dei momenti in cui

non solo fai nuove amicizie ma allarghi il tuo bagaglio culturale divertendoti.

Perciò invito, tutti gli studenti interessati, a provare quest’ esperienza con il gruppo Ouroboros del Liceo Scientifico

G. Marconi!

Maria Belén Maceroni

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La crisi allo Scientifico, intervista al

Preside!

Due ragazzi della classe II G, per un lavoro di gruppo di geografia, si sono recati in presidenza per fare un’intervista al nostro Preside, sulla crisi alla nostra scuola.

I: la crisi ha avuto effetti negativi sulle istituzioni a causa del taglio degli investimenti, qual è in questo momento la situazione economica del liceo?

P: La crisi economica ha sicuramente colpito gli apparati scolastici, basti pensare ai tagli degli organici: professori, bidelli, assistenti tecnici.

In tre anni l’organico nazionale è diminuito di molte decine di migliaia di unità: quando ero studente in questa scuola c’erano sette assistenti nei laboratori di chimica e fisica con circa 1000 studenti; oggi ce ne sono tre e siamo 1370!. Io andavo tre o quattro volte a settimana in laboratorio, oggi si va una o due volte al mese e questo perché sono insufficienti gli assistenti e non riescono a preparare gli strumenti per le esperienze occupandosi prevalentemente di manutenzione e gestione di sistema.

La nostra scuola però, pur non brillando di salute, si distingue anche grazie al contributo volontario delle famiglie; noi offriamo un ampliamento della offerta formativa, a partire dai corsi complementari alle attività teatrali e musicali e tutto questo grazie a questo contributo. Al pagamento di 130 euro all’anno per studente la scuola corrisponde tutta una organizzazione aggiuntiva di attività formative ed è in grado di fare manutenzione, comprare computer, strumenti di laboratorio, e anche i monitor che stiamo mettendo nelle aule da due anni a questa parte per permettere ai docenti di tenere lezioni multimediali. Tutte queste spese sono trasparenti e pubblicate nel sito della scuola.

I: In che modo sta cercando di arginare il problema dei tagli?

P: Si arginano questi problemi prima di tutto lavorando in sinergia con le istituzioni che per statuto devono garantire il diritto allo studio, come le Amministrazioni Provinciali e Comunali o la Regione.

I buoni rapporti implicano in generale una rete di relazioni che permettono di conoscere fonti di finanziamento alternative, opportunità non convenzionali , potenzialità di sistema.

I: Secondo gli ultimi dati statistici il livello di disoccupazione giovanile ha superato il 40 %, lei ritiene che la scuola sia in parte responsabile di questa situazione?

P: In realtà, secondo me, la crisi del lavoro trova origine lontane che vanno dalla globalizzazione dei mercati

alle scelte sbagliate e alle “non scelte "della politica che non ha saputo cogliere il cambiamento che stava interessando il nostro paese. Andavano esplorati altri mercati e bisognava investire quando i soldi c’erano: investire in ricerca, nelle università, in progetti di alta qualità ,in stimoli di miglioramento per le aziende.

L’economia nel nostro paese, diciamo, dovrebbe essere rappresentata dal paradosso di Zenone di Achille e la tartaruga: se noi con la ricerca e l’innovazione riuscissimo a rimanere sempre un pezzettino avanti ai cinesi o indiani, questi non ci raggiungerebbero mai perché non appena copiano qualcosa noi ne facciamo subito di nuove! Ma questo non è mai stato applicato al sistema Italia e a parte qualche bella eccezione siamo arrivati dove siamo ora.

Ma la scuola può iniziare a cambiare le cose. Si prenda ad esempio quello che stiamo facendo in questa Scuola: Perché i nostri alunni del tecnologico escano più preparati e più informati sulle dinamiche del lavoro abbiamo ideato un progetto didattico ( scuola in azienda) che prevede lezioni direttamente nelle aziende del territorio tenute da esperti, tecnici, ingegneri, che riprendono argomenti di fisica, chimica, informatica trattati dai docenti e rivisitati con un’ottica pragmatica e con l’utilizzo di strumentazione sofisticata.. E inoltre quando lo studente visita l’azienda, metabolizza interiormente dinamiche lavorative e organizzative altrimenti sconosciute!

I: in questi anni si sta rafforzando sempre di più il fenomeno della “fuga dei cervelli”, lei pensa che l’Italia sarà destinata a vedere la nuova generazione all’estero o riuscirà a superare questo fenomeno?

P: se vogliamo sopravvivere come identità nazionale, non possiamo certamente permetterci che le nostre competenze migliori se ne vadano all’estero; ma se questi se ne vanno è perché qui non si trova lavoro. Certamente la persona preparata, che ha studiato, fa gola a diverse realtà produttive degli altri paesi; se non investiamo nella ricerca e nei nostri giovani migliori, questi le loro professionalità, le vanno legittimamente a spendere in altri posti! Così noi li formiamo e altri ne godono!!!

Poi, al contrario di altri paesi, il nostro mercato del lavoro ha scarsa flessibilità; c’è la tendenza ad intraprendere una professione e mantenerla fino alla pensione. Certo che tutto sommato la stabilità sarebbe sempre auspicabile ma purtroppo ho l’impressione che dovremo scordarcela. Dovremo invece essere dotati di competenze flessibili che ci permettano di scegliere lavori anche diversi fra loro nell’arco della nostra vita lavorativa. Più siamo flessibili più opportunità di lavoro abbiamo.

Due ragazzi della classe II G, per un lavoro di gruppo di geografia, si sono recati in presidenza per fare

I: la crisi ha avuto effetti negativi sulle istituzioni a causa del taglio degli investimenti, qual è in questo

P: La crisi economica ha sicuramente colpito gli apparati scolastici, basti pensare ai tagli degli organici:

In tre anni l’organico nazionale è diminuito di molte decine di migliaia di unità: quando ero studente in questa scuola c’erano sette assistenti nei laboratori di chimica e fisica con circa 1000 studenti; oggi ce ne sono tre e siamo 1370!. Io andavo tre o quattro volte a settimana in laboratorio, oggi si va una o due volte al mese e questo perché sono insufficienti gli assistenti e non riescono a preparare gli strumenti per le

La nostra scuola però, pur non brillando di salute, si distingue anche grazie al contributo volontario delle famiglie; noi offriamo un ampliamento della offerta formativa, a partire dai corsi complementari alle attività teatrali e musicali e tutto questo grazie a questo contributo. Al pagamento di 130 euro all’anno per studente la scuola corrisponde tutta una organizzazione aggiuntiva di attività formative ed è in grado di fare manutenzione, comprare computer, strumenti di laboratorio, e anche i monitor che stiamo mettendo nelle aule da due anni a questa parte per permettere ai docenti di tenere lezioni multimediali. Tutte queste spese

P: Si arginano questi problemi prima di tutto lavorando in sinergia con le istituzioni che per statuto devono

I buoni rapporti implicano in generale una rete di relazioni che permettono di conoscere fonti di

I: Secondo gli ultimi dati statistici il livello di disoccupazione giovanile ha superato il 40 %, lei ritiene che la

P: In realtà, secondo me, la crisi del lavoro trova origine lontane che vanno dalla globalizzazione dei mercati

alle scelte sbagliate e alle “non scelte "della politica che non ha saputo cogliere il cambiamento che stava interessando il nostro paese. Andavano esplorati altri mercati e bisognava investire quando i soldi c’erano: investire in ricerca, nelle università, in progetti di alta qualità ,in stimoli di miglioramento per le aziende.

L’economia nel nostro paese, diciamo, dovrebbe essere rappresentata dal paradosso di Zenone di Achille e la tartaruga: se noi con la ricerca e l’innovazione riuscissimo a rimanere sempre un pezzettino avanti ai cinesi o indiani, questi non ci raggiungerebbero mai perché non appena copiano qualcosa noi ne facciamo subito di nuove! Ma questo non è mai stato applicato al sistema Italia e a parte qualche bella eccezione siamo arrivati dove siamo ora.

Ma la scuola può iniziare a cambiare le cose. Si prenda ad esempio quello che stiamo facendo in questa Scuola: Perché i nostri alunni del tecnologico escano più preparati e più informati sulle dinamiche del lavoro abbiamo ideato un progetto didattico ( scuola in azienda) che prevede lezioni direttamente nelle aziende del territorio tenute da esperti, tecnici, ingegneri, che riprendono argomenti di fisica, chimica, informatica trattati dai docenti e rivisitati con un’ottica pragmatica e con l’utilizzo di strumentazione sofisticata.. E inoltre quando lo studente visita l’azienda, metabolizza interiormente dinamiche lavorative e organizzative altrimenti sconosciute!

I: in questi anni si sta rafforzando sempre di più il fenomeno della “fuga dei cervelli”, lei pensa che l’Italia sarà destinata a vedere la nuova generazione all’estero o riuscirà a superare questo fenomeno?

P: se vogliamo sopravvivere come identità nazionale, non possiamo certamente permetterci che le nostre competenze migliori se ne vadano all’estero; ma se questi se ne vanno è perché qui non si trova lavoro. Certamente la persona preparata, che ha studiato, fa gola a diverse realtà produttive degli altri paesi; se non investiamo nella ricerca e nei nostri giovani migliori, questi le loro professionalità, le vanno legittimamente a spendere in altri posti! Così noi li formiamo e altri ne godono!!!

Poi, al contrario di altri paesi, il nostro mercato del lavoro ha scarsa flessibilità; c’è la tendenza ad intraprendere una professione e mantenerla fino alla pensione. Certo che tutto sommato la stabilità sarebbe sempre auspicabile ma purtroppo ho l’impressione che dovremo scordarcela. Dovremo invece essere dotati di competenze flessibili che ci permettano di scegliere lavori anche diversi fra loro nell’arco della nostra vita lavorativa. Più siamo flessibili più opportunità di lavoro abbiamo.

Federico Sonet

Gabriele Spadoni

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