La scintilla Dicembre-Gennaio 2015

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LA SCINTILLA Periodico degli studenti del Liceo Scientifico Marconi Happiness is only real when shared. - Into the wild Dicembre-Gennaio 2015 Novità scuola. Intervista alla respon- sabile del nuovo centro dascolto del liceo. (A pagina 7) Viaggio nel tempo: conosciamo Ba- tena, pesarese doc, che ci racconta la sua vita. (A pagina 23) Je ne suis pas Charlie, je suis a ci- toyen du monde libre. (A pagina 3)

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Periodico degli studenti del Liceo Scientifico Marconi

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LA SCINTILLA Periodico degli studenti del Liceo Scientifico Marconi

Happiness is only real when shared.

- Into the wild

Dicembre-Gennaio 2015

Novità scuola. Intervista alla respon-

sabile del nuovo centro d’ascolto del

liceo. (A pagina 7) Viaggio nel tempo: conosciamo Ba-

tena, pesarese doc, che ci racconta

la sua vita. (A pagina 23)

Je ne suis pas Charlie, je suis a ci-

toyen du monde libre. (A pagina 3)

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EDITORIALE

L’EDITORIALE

Maria Belén Maceroni

Dopo il grande successo della scorsa edizione dovuto

all’impegno ed alla voglia di fare degli studenti del

Marconi, ecco qui un nuovo numero a cavallo fra un

anno ormai passato e il 2015 che già dai primi giorni

ci ha tenuti attaccati alla televisione, alla radio , ai

giornali, al web. Passano incessanti le notizie riguar-

danti Parigi visti gli attentati avvenuti in questa prima

settimana di Gennaio, causa della morte d’innocenti

per mano di estremisti. Le strade di Parigi si sono ge-

late ed il freddo della paura ha soffiato sotto l’uscio di

ogni porta. Un freddo che regna da tempo nei paesi

arabi e che ha soffiato di recente in Nigeria con il massacro di 2000 persone dai miliziani di Boko Haram.

Questi estremisti islamici, non hanno pietà per nessuno ed alzano la voce urlando “Allah è grande”. E’ ve-

ro però, che la religione è il pretesto per coprire fini economici e politici come ci insegna la storia. Non

esiste religione che spinga l’uomo ad uccidere un altro uomo! Il corteo, avvenuto a Parigi Domenica 11, a

cui hanno partecipato 2 milioni di persone sono la prova che un gruppo di persone privi di scrupoli non

otterranno ciò che vogliono, non otterranno l’odio, il caos, la guerra. No, non è possibile parlare di odio

perché sappiamo bene che la guerra non si combatte con la guerra. Sappiamo bene che noi siamo per la

pace e la giornata della memoria il 27 Gennaio lo testimonia! Pensate se ogni vittima dell’olocausto aves-

se impugnato un arma per uccidere i loro aguzzini, ora in che mondo vivremmo? Fatto di violenza e morte

e sangue ovunque. Bisogna riflettere. I telegiornali ci informano di ciò che fa più comodo a loro ed è per

questo che non dobbiamo farci ingannare ma bisogna avere gli occhi e le orecchie ben aperti per capire,

ascoltare ed agire in modo sensato. Noi siamo per la tolleranza, la fratellanza e l’uguaglianza che sono la

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L’EDITORIALE base per la Pace. Siamo uomini, non animali! La libertà per cui abbiamo combattuto, per cui hanno

dato la vita i vignettisti di Charlie Hebdo, bisogna conservarla ma non con le armi, con la parola per-

ché è questo che ci distingue dalle bestie. Odio porta odio e questa non è la soluzione. La mattina in

cui più di mille matite si sono alzate al cielo nel cortile del nostro Liceo in memoria delle vittime, sono

la testimonianza che la libertà di parola conquistata grazie al coraggio ed al sacrificio di tantissimi uo-

mini, non verrà portata via cosi facilmente solo perché un gruppo di poveri folli la minaccia. I fatti av-

venuti non sono chiari ma io spero nel profondo del cuore, che non altro sangue venga sparso per

creare la confusione che fa solo comodo a chi si riempie le tasche con la guerra. Informarci ed essere

critici è quello che tutti siamo chiamati a fare ed essere. Io credo nei giovani e questo giornalino è la

prova che nel nostro “piccolo” possiamo fare la differenza. La prova del successo che ha da genera-

zioni in generazione la nostra amata Scintilla, i successi che hanno avuto gli incontri all’interno della

nostra scuola con una partecipazione attenta, il silenzio che ha regnato in memoria delle vittime, tutti

i docenti che

amano il proprio

mestiere e non si

limitano a riem-

pirci di definizioni

ma credono in

noi e ci fanno

sentire parte di

una società che

ha bisogno di noi

giovani… Ecco,

tutto questo te-

stimonia che non tutto è perso. Ognuno di noi si sente chiamato ad essere una persona migliore, ad

essere una persona civile, una persona informata, una persona attiva. Dopo questa serie di

“sussurri” a voce alta, per citare le parole nello scorso editoriale del mio compagno di viaggio in que-

sta nuova redazione della Scintilla, voglio augurare ad ogni lettore ed ad ogni ragazzo e ragazza, che

persiste nell’accendere una scintilla poggiando la penna sul foglio, una buona lettura e un buon 2015!

EDITORIALE

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PRIMO piano

Enrico Giunta, Filippo Gennari

Je ne suis pas Charlie

Je suis un citoyen du monde libre

Commentare i fatti accaduti lo scorso 7 Gennaio a Parigi, non è di certo impresa facile, data la portata degli avvenimenti sotto il punto di vista umano ed ideologico. L’unica pretesa che abbiamo nel fare ciò è quella di non avere pretese: non vogliamo imporre la nostra opinione a nessuno, non vogliamo aizzare le folle contro la religione islamica o la religione in generale, né difendere ad ogni costo coloro che per qualsivoglia motivo si spostano dal loro paese d’origine e si insediano in Italia praticando liberamente la propria fede. Vogliamo solamente esprimere la nostra opinione di studenti che scrivono su un giornale scolastico libero e pacifista, sognando ottimisticamente un mondo che rispecchi le stesse caratteristiche.

Il mondo occidentale in cui viviamo oggigiorno è il frutto di uno svi-luppo ideologico millenario che ha seguito un preciso filo logico: partendo dai primi filosofi greci si è passati per l’antica Roma, l’e-ditto di Milano, il medioevo, libera chiesa in libero stato, il rinasci-mento, l’illuminismo, l’età moderna e contemporanea. Ogni intel-lettuale, scienziato, filosofo, uomo di stato e grande pensatore di ogni periodo storico ha contribuito a porre uno o più mattoni al fine di costruire l’immenso edificio che è il pensiero moderato, la cultu-ra, il modello economico e di vita occidentale. È proprio dentro que-sto edificio che noi abitiamo, studiamo, lavoriamo e viviamo, nono-stante il cantiere sia ancora aperto - e ci auguriamo che lo sia per molto tempo a venire, giacché vi è sempre spazio per il migliora-mento in ogni ambito. Quello che abbiamo trascurato, però, è l’e-norme potenza del terremoto, rappresentato da coloro i quali sono rimasti fuori dall’edificio, gli estremisti ideologici e religiosi. E se il nostro edificio pone le sue basi sulla liber-tà di pensiero, individuale e collettiva, è proprio alle fondamenta che agisce il terremoto. È lampante che l’attacco terroristico alla redazione del giornale satirico parigino Charlie Hebdo non sia stato solamente una spedizione punitiva rivolta esclusivamente ai redattori ai quali è stata tolta la vita, ma era mirato, forse in-consapevolmente, a minare la stessa libertà di pensiero sulla quale è costruito il mondo occidentale. I fratel-li Kouachi, uscendo dal palazzo nel quale avevano appena compiuto il disumano atto, sono stati sentiti gri-dare “Abbiamo ucciso Charlie Hebdo! Abbiamo vendicato il profeta!”. Sarebbe stato ben più accurato “Abbiamo ferito la cultura occidentale!”.

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Primo piano

Coloro che con parole timide e metafore affermano, ponendo dei limiti alla libertà di espressione, che il gesto sia in un certo senso giustificabile, Papa compreso –“se il dottor Gasbarri, mio amico caro, dice una parolaccia contro la mia mamma, si aspetti un pugno”-–, si trovano in pieno contrasto a nostro av-viso con la propria ragione e la tolleranza che è strettamente legata alla cultura occidentale. È risaputo quanto le reazioni istintive e non ponderate siano deleterie in ogni contesto. La libertà di espressione è stata, per noi occidentali, una conquista che non si può limitare o tantomeno eliminare, anche se forte-mente impauriti per il mantenimento di un quieto vivere comune. Come un vignettista può disegnare quello che vuole, un cittadino è libero di non comprare quel giornale. Censurare è come uccidere, non a colpi di kalashnikov ma con la stessa volontà di negare alla persone la possibilità di avere un’opinione.

I fatti accaduti sono indubbiamente un duro colpo per tutti noi, ma non dobbiamo lasciarci abbattere: la lotta ideologica e psicologica da parte di ogni individuo deve essere feroce. Non ha senso lasciarsi con-tagiare dalla paura poiché sarebbe solamente interpretabile come una resa nei confronti dei terroristi. I redattori sopravvissuti all’attacco, hanno colto pienamente questo concetto con la copertina del nuovo numero uscito pochi giorni fa, sulla quale è stato raffigurato un Maometto piangente con in mano un cartello: “Je suis Charlie”. Il titolo, è atto a sottolineare la superiorità intellettuale e spirituale: “Tout est pardonné” – tutto è perdonato.

Qual è allora la soluzione davanti ad un problema così palese? Nelle ore appena successive all’attenta-to, ognuno si è scatenato traendo conclusioni a mio giudizio folli, frammentarie e insensate. Abbiamo sentito e letto termini che incutono paura come “razza” e “sterminare”, che anche solo pronunciate eguagliano e forse superano l’orrore dello stesso terrorismo islamico. Per fermare la violenza, sul piano concreto, sono necessarie operazioni di polizia ed intelligence come quelle messe in atto in Italia, che sembra stiano funzionando nel loro intento di prevenzione – recente è la notizia della cattura di uno studente di nazionalità turca della Scuola Normale Superiore di Pisa che era pronto a compiere un attentato. Ma la prevenzione ancora più importante, è quella che avviene sul piano ideologico, poiché mira al lungo termine: gli estremismi si eradicano con la cultura, diffondendo l’istruzione e la tolleranza, non solo nella componente islamica del conflitto ma anche, e forse soprattutto tra noi occidentali. Dob-biamo educare noi stessi alla comprensione, alla speranza di un mondo migliore e pacifico e convincere “loro” con una guerra sul piano intellettuale che promuova le idee moderate e di pacifica convivenza, deponendo le armi ed imbracciando penne e matite, in modo anche da evitare pericolose fiammate reazionarie che minacciano la stabilità di un occidente per ora ancora compatto. La vera libertà arriverà solo se sarà per tutti, in un mondo dove a una vignetta si risponde con un’altra vignetta, non di certo con colpi d’arma da fuoco.

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mondo

Enrico Giunta

Metodi a confronto per

un’economia più etica

La crisi economica del 2008, ormai non più recente sotto il punto di vista cronologico ma sempre attuale

in quanto ad effetti e ripercussioni, ha aperto un am-

pio dibattito riguardante le interazioni fra Stato e fi-

nanza che si esprimono nell’economia, di fondamen-

tale importanza per entrambi. Nell’odierna situazione

mondiale, possiamo individuare due principali ap-

procci: quello Europeo, che si incentra sul controllo

della ripresa posto nelle mani della Troika (Unione Eu-

ropea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario

Internazionale) e che si oppone a quello Americano,

ormai un caposaldo della politica sfrenatamente capi-

talistica degli Stati Uniti, del laissez-faire, nel quale il

Governo Federale decide di affidarsi al provvidenziale

potere ciclico dell’economia e di non interferire con

gli investimenti e gli accordi commerciali delle indus-

trie nazionali ed internazionali lasciando l’economia

fare il suo corso. A primo impatto, quest’ultimo approccio al problema della crisi potrebbe sembrare il

più semplice ed efficace, ma come illustra Paul Krugman nel suo libro «Fuori da questa crisi, adesso!» del

2012, c’è bisogno di un intervento tempestivo per risollevare l’economia in attesa di interventi strutturali

che puntino a migliorarla sul lungo termine. Quelli che lui chiama «gli apologeti dell’inazione», che possi-

amo individuare nei membri del Congresso Americano[1] di ispirazione Repubblicana, i quali sin dal 2008

si oppongono sistematicamente al Governo del Presidente Barack Obama e alle sue timide proposte per

un’economia più etica, ignorano i problemi e le sofferenze subite appunto nel breve termine dai ceti me-

no abbienti e dalle fasce più basse della classe media. Non è però da ignorare un possibile risvolto posi-

tivo della crisi economica,

[1] Il Congresso corrisponde sommariamente al nostro Parlamento ed è formato dalla House of Representatives (formata da 435 deputati, eletti in ogni stato in proporzione alla popolazione dello stesso) e dalla House of Senate (dove ogni stato è rappresentato da 2 senatori, 100 in totale).

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mondo

ovvero in un’ottica di ottimismo, e con lo sguardo rivolto al New Deal di Roosevelt, che con importanti in-

terventi di sviluppo, crescita e riforma è riuscito a risollevare

l’America dalla Grande Depressione del ’29, possiamo ipotiz-

zare ed auspicare una ridistribuzione dei beni con conse-

guente diminuzione delle disuguaglianze, come sostiene l’eco-

nomista francese Thomas Piketty nella sua più recente opera

«Il capitale del XXI secolo».

Avendo vissuto negli Stati Uniti a cavallo tra il 2013 e il 2014, ho potuto notare come il popolo Americano si sia ripreso dalla crisi attraverso l’iniziativa individuale dei cittadini che spendono denaro, anche se quasi esclusivamente a debito, sacrificando i propri margini di risparmio a beneficio però dell’economia. La pratica della spesa a debito, tra l’altro inclinabile con la mentalità Europea (basti consid-erare che l’Italia è tra i primi paesi al mondo per percentuale di risparmio individuale [2], ed è molto prob-abilmente proprio questo ad averla salvata dal baratro), non contribuisce sicuramente ad una ridis-tribuzione dei beni e alla diminuzione delle disuguaglianze. Questo è possibile solamente attraverso ri-forme profonde come quelle che chiede l’Europa al nostro Paese (quindi sul lungo termine) controbilanci-ate però dagli investimenti e dalla spesa pubblica e privata (breve termine) per evitare dunque il danno collaterale causato dall’impassibilità dei governi che, per citare G. Rajan, «non possono semplicemente permettere che le persone soffrano […] per lasciare che la dura logica del mercato si esprima». Alle politi-che economiche Europee, negli ultimi anni si sono opposti anche governi come quello del Presidente Un-gherese Viktor Orbàn, sulla scia di teorie e metodi economici non-convenzionali come quello della sovrani-tà monetaria che afferma che, data l’abolizione del Gold Standard [3] negli anni ’70, un paese con moneta propria è in grado di stamparne a volontà cosicché i cittadini possano spendere e tornare a far girare l’eco-nomia, mentre il paese si indebiterebbe solamente con sé stesso. Questa pratica porta però ad una perico-losa inflazione a doppia cifra percentuale dettata dalla diminuzione del potere d’acquisto come conse-guenza della legge fondamentale del mercato. Orbàn ha anche imposto tasse altissime sul settore finanzia-rio ed assicurativo che contribuiscono a scoraggiare gli investitori esteri a portare i propri soldi in Unghe-ria, rischiando dunque di tagliare fuori l’economia Magiara dal moderno sistema capitalistico mondiale, riducendola ad un’isoletta autoritaria nel cuore di un’Europa in continuo divenire. È necessario quindi tro-vare un compromesso tra l’influenza del governo e i suoi interventi sull’economia e il mercato stesso fatto di banche ed investitori. Il fine ultimo di ciò è quello di costruire un sistema economico capitalistico più umano e moralmente giusto rispetto a quello attuale. Molto probabilmente, nel corso della nostra vita, non saremo in grado di osservare un cambiamento radicale di tutto ciò, ma solo di una piccola percentuale e sta ad ognuno di noi impegnarsi affinché questo cambiamento avvenga. Spetta a noi il compito di gettar-ne le basi per le generazioni future.

[2] Rapporto annuale Istat 2013 - La situazione del Paese [3] Il Gold Standard, o sistema aureo, basato principalmente sulla conversione del Dollaro Americano in Oro, per-metteva fino al 1971 ad ogni stato di stampare moneta in proporzione alla quantità d’oro presente nelle casse della propria banca centrale. Fu sostituito in quell’anno dalla nascita del cosiddetto sistema fluttuante.

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scuola

In questo articolo ho intenzione di far conoscere ai nostri lettori un’ opportunità che il liceo offre e che la maggior parte degli studenti non conosce anche se, all’inizio dell’anno era stata fatta passare una circolare per le classi ma come può succedere, anche se non dovrebbe, non gli è stato dato il giusto peso. Prima di iniziare a raccontarvi la chiacchierata avuta con la responsabile, volevo utopisticamente provare a rendere con una frase ciò che sto per introdurre, perché molte volte, cadiamo in errore banalizzando dei temi senza rendercene conto e rischiando di essere poco sensibili dando per scontato molte cose.

<<La potenza della parola nei riguardi delle cose dell'anima sta nello stesso rapporto della potenza dei far-maci nei riguardi delle cose del corpo.>>

-Gorgia

Adesso, come negl’anni passati, il servizio del passaparola nel campus con delle psicologhe esterne a cui i ragazzi si possono rivolgere è attivo. Da poco però all’interno del nostro liceo è presente un “Centro d’a-scolto” e parlando con la professoressa Emanuela Rossi, mi sono informata ponendole alcune domande che sono contenta di riportare.

-Per quale motivo si è deciso di aprire un “centro d’ascolto” all’interno del nostro liceo?

I disagi che a volte si possono notare nei ragazzi non erano proporzionali alle richieste; pertanto, vista la sensibilità che i professori ed il preside hanno su queste tematiche, mi è stato chiesto di aprire questo cen-tro d’ascolto vista la mia competenza in psicologia.

-Cos’è un centro d’ascolto?

E’ una sportello a cui ci si può rivolgere per qualsiasi tipo di problema o questione o semplicemente per la voglia di parlare con qualcuno,

Infatti molte volte abbiamo semplicemente bisogno di parlare anche se conosciamo già il nostro problema perché sentiamo appunto questa necessità di “buttare fuori” e sfogarci con qualcuno che sia estraneo a noi.

-Quali sono le modalità di accesso?

Le modalità di accesso sono molto più private rispetto al passaparola perché si serve del sito della scuola.

Bisogna andare sul sito del liceo ed aprire la finestra del “Liceo Scientifico”. Lì, nella parte “Informazioni uti-li” e possibile cliccare su “SPORTELLO D’ASCOLTO”. In questo modo si aprirà una schermata dove è possibile richiedere un colloquio tramite e-mail. L’e-mail sarà recapitata DIRETTAMENTE a me.

Inoltre in allegato si può leggere il mio curriculum cliccando su “Emanuela Rossi” nella stessa pagina.

Maria Belén Maceroni

Ci vuole coraggio

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scuola

anno era stata fatta passare una circolare

con una frase ciò che sto per introdurre, perché molte volte, cadiamo in errore banalizzando dei temi senza

Gorgia

e parlando con la professoressa Emanuela Rossi, mi sono informata ponendole alcune domande che

e sfogarci con qualcuno che sia estraneo a noi.

Informazioni uti-In questo modo si aprirà una schermata dove è possibile

Ricevuta questa e-mail, io propongo un orario al ragazzo ma ovviamente ci mettiamo d’accordo per trova-re un’ora disponibile per entrambi. L’ e-mail infatti serve solamente per trovare un accordo.

-Crede che oggi ci sia più bisogno di un punto d’ascolto per i ragazzi?

Credo che l’adolescenza sia un periodo di passaggio che tutti dobbiamo passare e che è molto complicata; basta pensare che quando entriamo nel liceo siamo appena adolescenti e quando finiamo le superiori dobbiamo essere uomini e donne con le proprie responsabilità. L’adolescenza è un periodo che da sempre è caratterizzato da passi importanti.

-E’ ricorrente il tema dei “giovani d’oggi” continuamente criticati. Crede che sia una problematica che noi giovani creiamo nella nostra mente oppure sono gl’adulti che ci trasmettono quest’ idea?

Molte volte la difficoltà è più dell’adulto che è chiamato a mettersi a confronto con una persona che non è più quella di prima e che deve compiere decisioni e scelte. La società cambia ma la colpa non è dell’adole-scente ma è l’adolescenza stessa che porta delle conseguenze sia al ragazzo stesso che al genitore, inse-gnante od adulto in generale che sia.

Voglio ricordare che il passaparola esiste sempre, perché essendo io la responsabile ed essendo anche professoressa è possibile che dei ragazzi preferiscano rivolgersi appunto al passaparola. Forse i ragazzi possono essere indotti a pensare che, essendo professoressa, possa riferire questioni agl’altri docenti ma quest’idea è da sfatare alla radice perché esiste il segreto professionale.

Credo che questa opportunità non sia da sprecare in caso di bisogno e soprattutto, dobbiamo far tacere i miti e le leggende attorno allo “ psicologo”. Non deve essere preso di mira chi ha il coraggio di parlare e superare gl’ostacoli che TUTTI possiamo avere durante la nostra crescita.

Centro d’ascolto

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ambiente

Marco Maccagli

RITORNO ALLE ORIGINI

Perizoma, capelli lunghi, archi e frecce, vengono

direttamente fuori dagli antri più bui della foresta

amazzonica peruviana, sono vissuti isolati dal resto

del mondo per tutta la vita e solo ora iniziano i pri-

mi rapporti con altri esseri umani. Sono gli indigeni

che hanno visto la loro casa (la foresta) presa d'as-

salto da narcotrafficanti sud americani e dai bo-

scaioli. Queste antiche tribù (se ne contano quindi-

ci in totale stando a quanto riporta il Survival, l'en-

te di protezione per i popoli indigeni del pianeta)

stanno diventando vittima di violenze da parte dei

criminali che vedono la foresta solo come un mez-

zo per arricchirsi e non come una possibile casa di

altri esseri umani. I primi contatti ufficiali si sono

avuti lo scorso 26 Giugno e grazie all'aiuto di due

interpreti del dialetto Tano-Pakana, parlato in quei

luoghi, i responsabili delle varie organizzazioni

hanno potuto apprendere la situazione precaria in

cui si trovano questi uomini. Oltre che doversi ri-

guardare dagli stranieri che quotidianamente inva-

dono il loro territorio, che sparano a chi prova a

difendersi e che abbattono migliaia di alberi, ora

devono affrontare anche la minaccia di nuove ma-

lattie che gli "invasori" stanno importando: essen-

do infatti sempre vissuti isolati non hanno avuto

necessità di sviluppare degli anticorpi per difen-

dersi dalle malattie comuni in tutto il mondo e per-

sino un raffreddore può essere loro fatale. Uno dei

due interpreti, Josè Correia, ha avuto la possibilità

di parlare con alcuni dei rappresentanti indigeni

per capire appieno la situazione che si mostra più

drammatica di quanto ci si aspettasse: le tribù so-

no state cacciate dalle loro case che poi sono state

incendiate, gli anziani sono stati picchiati e poi uc-

cisi con colpi di arma da fuoco e solo i più giovani

sono riusciti ad evitare la morte aprendosi un var-

co fino ad arrivare nel nord del Brasile, dove sono

stati accolti dalle organizzazioni che ora si stanno

impegnando per la loro protezione. Le tribù indi-

gene nel mondo sono ancora centinaia e spesso

sono vittime di violenze da parte di esterni che tro-

vano interesse nelle zone da loro abitate. Per

quanto possa sembrare contraddittorio, persino la

WWF, l'organizzazione per la salvaguardia del ter-

ritorio e degli animali si batte per cacciarli via, tro-

vando nel loro stile di vita comportamenti che po-

trebbero danneggiare l'ecosistema. Intanto inizia-

no a circolare sul web numerosi video di ragazzi

picchiati dagli uomini pagati dalla WWF per tenere

sotto controllo i siti protetti dall'ente. Sembra in-

verosimile che una organizzazione di questo stam-

po si sforzi contro tribù con uno stile di vita così

semplice e integrato con l'ambiente quando nel

mondo l'ecosistema viene massacrato da rifiuti

sempre più tossici.

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Storie dal mondo

Filippo Gennari

Eroe contemporaneo

Sorride. Sorride sotto i baffi alla luce del tablet che tiene tra le mani. Manda messaggi su whatsapp agli amici che non sono riusciti a partire. E’ vestito elegante e con un anello d’argento (che poi confesserà aver pagato 2€), “perché anche l’occhio vuole la sua parte”. Cristian non è poi un ragazzo tanto diverso da noi: scherza e invia mes-saggi in maniera compulsiva con cuffie rigorosamente attaccate alle orecchie. Incomincia a raccontarmi la sua storia, le sue peripezie. Aveva 23 anni, riusciva anche a stu-diare economia nella sua Nigeria, ma la situazione politica del suo paese era veramente troppo instabile; basti pensa-re che ad inizio 2015 si sono registrati 2000 vittime inno-centi di un commando di pazzi che pensava di agire per conto di un “dio”. In Nigeria la democrazia è solo un modo per nascondere la tirannia che si cela dietro. Una data: 1° Gennaio 2013. Nessuno lo costrinse, nessuno lo convinse, me lo ripete in un inglese convinto: “I made my choice, ho fatto la mia scelta di essere libero, di garantire ai miei figli qualcosa di diverso”. Lo conosco solo adesso Cristian ma provo a immaginarmi quando tornò a casa a dire ai genito-ri : “I’ve made my choice”, con che determinazione e co-raggio. A quel punto la voglia di evadere deve fare i conti con il deserto immenso che lo separa dalla Libia dalla quale può finalmente raggiungere l’Italia. Sei giorni nel deserto. No acqua. No cibo. Arriva in Libia dove lavora 2 mesi per guadagnare i soldi necessari al viaggio. 800€ (trasformati dalla moneta libica). Può finalmente pagare lo scafista e partire. Lo chiamano tutti il viaggio della speranza anche se in quella speranza c’è una cospicua parte di incoscienza. Cinque giorni di viaggio nel Mediterraneo: non vi ripeto neanche che il servizio bevande e snack era interrotto, 120 persone. Dovevano essere due i giorni di viaggio ma il tra-ghettatore, oltre che ricordare inquietantemente Caronte per le condizioni infernali di quella imbarcazione, si diverte a ingannare gli immigrati guadagnando tanti quattrini sulla loro pelle. La mia domanda a quel punto è con che mezzo ha attraversato il Mediterraneo; Cristian mi risponde con un termine tecnico in inglese. Chiedo di ripetere per igno-ranza linguistica e allora mima il gesto di gonfiare qualcosa

con la bocca. E’ un gommone, per mia incredulità e sua naturalezza. Un Dio li spinge fino a Lampedusa, non di cer-to il motore del gommone sotto il loro sedere. Fortunati, possono baciare la terra. Noi occidentali siamo soliti dire che “arrivare” non conta, l’importante è provarci; qui inve-ce fa la differenza tra vivere e morire. Curioso come spo-stando il dito sul mappamondo si scopre quanto siano vuo-te le nostre frasi fatte. Ormai a Lampedusa sanno come gestire la situazione dal momento che solo nell’ultimo an-no sono arrivati 165mila immigrati numero dodici volte più grande rispetto a quello del 2012. Vengono spediti dopo un breve periodo ai centri d’accoglienza sparsi in tutta Italia. Cristian viene mandato a Pesaro, più precisamente a Casa Freedom, dove non può più di tanto riposarsi. Spiega al giudice del tribunale i motivi che lo hanno spinto a partire, la sua storia, che somiglia tanto a quella di un eroe più che di un semplice richiedente asilo politico. La sua Odissea non è finita, forse è appena iniziata. Ulisse ormai anziano tornato da Penelope a Itaca, dopo essersi fatto riconosce-re, le comunicò che aveva intenzione di ripartire. Così Cri-stian sa che se vuole guadagnarsi un futuro in questo pae-se deve essere in grado di riprendere il cammino e di cor-rere lo stesso rischio del trapezista quando vola. Così noi, facciamo basta di piangere perché gli immigrati ci rubano il lavoro, perché né noi né loro abbiamo qualche garanzia sul domani. E’ tramontata l’Italia del diritto al lavoro, il lavoro va conquistato con i nostri meriti e la nostra ambizione. La nuova era della precarietà sarà la prova per noi giovani che ci irrobustirà la corazza, per scrollarci di dosso l’etichetta di pigri e nullafacenti. Cristian è in Italia da otto mesi e il giu-dice che delibera i permessi di soggiorno non ha ancora deciso sul suo futuro, anche se stento a credere che qual-cuno possa fermare Cristian e la sua determinazione. La realtà è questa. Noi giovani, bianchi o neri, siamo tutti sulla stessa barca, anzi su lo stesso gommone, arrivare conterà e Cristian ci insegna che su quel gommone quando avremo tempo di pensare, magari un po’ affamati e assetati, dovre-mo prendere la nostra decisione rischiare o affogare. Make a decision.

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Storie dal mondo

La Scintilla prosegue il suo percorso all’interno di Casa Freedom, centro d’accoglienza per immigrati. Dopo aver raccontato la storia di Cristian ecco l’intervista ad un opera-tore dei servizi tutelari della struttura, Stefano, che ci acco-

glie in ufficio dove possiamo continuare a discutere del tema caldo dell’emergenza immigrazione in Italia. COME ARRIVANO GLI IMMIGRATI DA LAMPEDUSA IN QUESTA STRUTTURA E COSA FATE PER LORO ? Gli im-migrati quando arrivano prima di tutto sono alloggiati nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), da qui poi sono accolti nei Centri di Emergenza per Richiedenti Asilo e infine giungono al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Le strutture SPRAR, come la nostra, offrono vitto, allog-gio, assistenza medica e legale. Dopo circa tre mesi il rifugiato che si trova presso gli SPRAR viene convoca-to dalla Commissione Prefettizia che, a seguito di una meticolosa raccolta di informazioni, stabilirà se il mi-grante ha i requisiti per avere diritto all’asilo. Il periodo di ospitalità dura da i 6 mesi ad un anno, in questo lasso di tempo viene insegnata loro la lingua italiana e si cerca di individuare un percorso lavorativo in base alle loro capacità. E’ L’ITALIA ATTREZZATA A GESTIRE QUESTA SITUAZIONE DI EMERGEZA?: L’Italia è il punto più facile per ar-rivare in Europa: circa 165mila immigrati sono arrivati nel nostro paese nel 2014, ma da alcune stime più di 100 mila di questi considerano il nostro paese solo come transito verso l’Europa. Coloro che arrivano han-no grandi aspettative lavorative ed economiche, ma come la maggioranza degli italiani, incontrano difficol-tà a trovare un posto di lavoro, complice anche la non conoscenza della nostra lingua che per loro è un ve-ro ostacolo. L’Unione Europea aiuta lo Stato italiano con finanziamenti a sostenere l’impatto economico che l’immigrazione comporta, ma il flusso migratorio è cosi consistente che diventa sempre più difficoltosa la gestione di queste persone. Diverse associazioni in Italia sono organizzate ad accogliere questi migranti, grazie anche all’aiuto di molti cittadini che offrono gratuitamente la loro collaborazione. UN COMMENTO SULLO SCANDALO DI ”MAFIA CAPITALE” CHE HA INTERESSATO ANCHE CENTRI D’ACCO-GLIENZA PER IMMIGRATI, DOVE SI SPECULA SUI FINANZIAMENTI STATALI RICEVUTI PER AIUTARE GLI IM-MIGRATI. TI PUO’ AIUTARE L’INTERCETTAZIONE : “ SI FANNO PIU’ SOLDI CON GLI IMMIGRATI CHE CON LA DROGA”. : Non posso che esprimere la mia disapprovazione per quello che è capitato a Roma, posso solo aggiungere che ci sono molte cooperative che operano sul territorio nazionale nel settore dell’immigrazio-

Filippo Gennari

Casa Freedom Viaggio dall’africa all’italia

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Storie dal mondo

ne in modo corretto senza speculare sulla pelle di nessuno. I soldi per l’accoglienza dei mi-granti in realtà creano nuovi posti di lavoro e incentivano le realtà commerciali locali. Mettiamo da parte i luoghi comuni e cerchiamo una seria informazione. E’ VERO CHE UN IMMIGRATO COSTA ALLO STATO 50€ AL GIORNO? No allo stato costano da 30 a 34 € al giorno e diciamolo una volta per tutte: non vanno ai migranti! Ogni migrante ha diritto a 2,5 € al giorno, il resto è necessario per vitto, alloggio, medicinali, vestiti, operatori dell’accoglienza, mediatori culturali, cor-si di lingua italiana, consulenza legale, trasporti e potrei continuare. L’accoglienza costa, ma non è favore-vole al migrante o alle cooperative, ma serve perché si realizzino le migliori condizioni di integrazione. Questi soldi sono un investimento per la convivenza civile e dura solo per il tempo necessario per espleta-re il percorso che porta all’accoglienza o alla domanda di asilo. Si tratta dell’applicazione di norme euro-pee fatte proprie dal nostro paese, non di una scelta “buonista”. HAI MAI ASSITITO A EPISODI DI CONTESTAZIONI RAZZISTE IN QUESTA STRUTTURA?: Si, erano venuti qual-che tempo fa un gruppo di ragazzi di estrema destra a protestare e hanno fatto anche qualche scritta sui muri, ma visto che non c’erano televisioni o giornali se ne sono andati via senza creare tanto disagio. Sono preoccupato per quelle ideologie che con la scusa di difendere qualcuno contro altri, cosa che spesso non è altro che razzismo mascherato, possono provocare atti di discriminazione e violenza. CHE RUOLO DEVONO AVERE I GIOVANI IN QUESTA SITUAZIONE COMPLICATA?: I giovani hanno un ruolo molto importante, prima di tutto devono essere informati e conoscere queste realtà per poter poi scegliere come agire in futuro. In secondo luogo, conoscere queste realtà non farebbe altro che aumentare la loro consapevolezza sul mondo. Avvicinarsi al volontariato sociale può essere un piccolo passo per poter aprire sempre di più la mente a nuovi orizzonti che il futuro ci prepara: vivere in una società multietnica e interculturale. Passare anche solo una giornata con queste persone ti fa aprire la mente e capire che c’è sempre qualche cosa da imparare.

Casa Freedom

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La nostra voce

Marco Sanchi

Generazione boh

So che il titolo può confondere ma questa non è una canzone di Fedez, è solamente il pensiero di un ragaz-

zo come voi che si è stancato di sentir sminuire la sua generazione da adulti ed insegnanti ed ha deciso di

farvelo sapere non con una canzone, ma con un articolo. Sempre più spesso mi capita di sentire dire che noi

siamo la generazione dei “disillusi con passioni fredde”, del “non fate altro che stare incollati a quel telefo-

no invece di studiare” e del “parlate faccia a faccia e non su dei social network”, ormai siamo spesso stereo-

tipati come telefono-dipendenti e niente più, ma si sbagliano di grosso . Dietro quelli che chiamano

“disillusi” ci sono ragazzi che passano ore ad allenarsi sotto la pioggia in un campo da calcio pur di inseguire

le loro passioni, ce ne sono altri che rinunciano ad ore di tempo libero pur di imparare a suonare il loro stru-

mento preferito e tanti altri ancora che danno anima e corpo per una passione non “fredda” come dicono

ma che li infiamma e gli dà la forza di inseguire i loro sogni . Dietro quelli che “non parlano ormai più di per-

sona ma solo sui social network” ci sono ragazzi che hanno costruito delle relazioni grazie al loro carattere

unico, faccia a faccia, dialogando e che stanno solo cercando di mantenerle vive perché si, è vero che per

vedersi basterebbe una telefonata, ma spesso il tempo manca a causa di impegni, fra scuola e hobby, soffo-

canti ed un messaggio su Wha-

tsApp rimane uno dei pochi

modi che abbiamo per mante-

nere vivi i rapporti che abbiamo

costruito . Quindi mi rivolgo a

tutti coloro che criticano la no-

stra generazione : non lasciate-

vi trascinare dagli stereotipi e

da quelli che fra noi li alimenta-

no, non sotterrateci di impegni

e lasciateci il tempo di espri-

merci ed appassionarci a ciò

che amiamo, non spegneteci

con delle frasi fatte che vengono ormai ripetute allo sfinimento, lasciateci essere noi stessi con tutti nostri

pregi e difetti, andate oltre le apparenze e scoprite il sognatore che c’è in ognuno di noi ! E a voi ragazzi che

state leggendo, non facciamoci omologare dal grigio della massa ma coloriamoci di unicità perché noi siamo

il futuro e saremo il presente e io, personalmente, sogno un presente variopinto.

Agnese Galeazzi

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giallo

Agnese Galeazzi

Il mistero del tempo

La porta scivolò lentamente sui cardini quando Max la spinse. La richiuse con decisione alle sue spalle. Si guardò

attorno, gli occhi azzurri che foravano la polvere che lo avvolgeva come fari nella nebbia. Tossì. Il tempo si era de-

positato in maniera visibile su tutti i mobili, anche se la casa era stata abbandonata appena dal 2000. Nel quartiere,

tutti rifuggivano quel luogo. I bambini la chiamavano “casa delle streghe”, gli adulti acceleravano il passo passando-

vi davanti. Max no. Era sempre stato affascinato dai misteri, i gialli e gli horror erano la sua passione. Gli amici lo

avevano sfidato a entrare da solo in quella casa e lui non aveva saputo dire di no. Credevano di spaventarlo, men-

tre per ora si stava quasi divertendo. La casa era moderna e dotata di ogni comfort. La luce pomeridiana filtrava

attraverso le persiane socchiuse. Doveva fare in fretta, prima che venisse buio. Estrasse il cellulare e iniziò a scatta-

re minuziosamente foto del piano terra da mostrare ai suoi amici. Salì le scale e arrivò al piano superiore. Sbirciò

all’esterno attraverso la finestra. Fuori, le lame di sole squarciavano le nubi, tingendole di sangue. Si voltò. Dietro di

lui, sul pavimento, brillava una sagoma tracciata con il gesso in corrispondenza della sua ombra. E un coltello insan-

guinato posto accanto. Deglutì. Gli pareva di vivere in un sogno, di annaspare nell’acqua con movimenti lenti. Gli si

stringeva la gola. Aveva bisogno d’aria. Tutto il suo corpo era teso in un grido che non si decideva a uscire, ma che

era diretto verso la porta, fuori, fuori da quel luogo maledetto e dannatamente reale. In lontananza, un pianoforte

suonava ossessivamente. Si lanciò oltre la sagoma sul pavimento, fiondandosi a caso nella prima stanza che incon-

trò. Chiuse la porta e ci appoggiò la testa sopra. No. No. No. È un sogno, è un mistero diventato realtà, cos’è? La

musica del pianoforte si fece più veloce, in maniera ossessivamente ipnotica. Il suo cuore batteva le note, antici-

pandole. Sono al sicuro, si disse. Al sicuro, ora. Credo. Si girò. Vediamo di finire qui, così me ne andrò e potrò dimen-

ticare questo posto. Per sempre. Sempre. Tirò fuori il cellulare e inquadrò la stanza. Era una camera da bambino,

con numerose macchinine e qualche gigantesco peluche fuso con la polvere. Scattò una foto, cuore in gara col re-

spiro per chi andasse più veloce, le gambe molli. Visualizzò la foto. Calmo. Stai calmo. Era molto scura, la luminosi-

tà scarsa. Tranquillo. La allargò. Ecco il letto, il comodino, gli scaffali coperti di polvere, le macchinine, i peluche e la

sagoma sfocata di un bambino che ne stringeva uno, lo sguardo truce. I suoi occhi azzurri bucavano l’oscurità come

fanali, la frangetta scomposta gli ricadeva sugli occhi. Per poco a Max non cadde il cellulare di mano. Perché quel

bambino era lui.

Ma quando alzò gli occhi, non vide nessuno.

Il grido represso in gola uscì. Si lanciò pazzamente fuori, le gambe lo portavano ovunque tranne che verso l’uscita,

il cuore gli esplodeva nel petto, non capiva nulla, la vista annebbiata, il suono ossessivo del pianoforte nelle orec-

chie. Aprì una porta. Era un bagno con piastrelle azzurre. Si tuffò all’interno. Gettò un’occhiata di sbieco allo spec-

chio. Si avvicinò, perfettamente di fronte alla sua superficie opaca. Lo sfiorò con una mano, togliendone la polvere.

Nessuno. Era tutto troppo strano, assurdo. Le mani gli tremavano, le braccia. Si accovacciò a terra, a riccio. Non

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giallo

capiva più nulla, nella mente gli rimbombava ossessivamente quel termine, “strano”, unito alla musica maniacal-

mente ripetitiva del pianoforte. Sentì la porta cigolare sui cardini e gli parve che il suo cuore facesse un salto,

bloccandosi. Era come se il tempo si fosse arrestato.

E poi …

<<Buon compleanno!>> <<Auguri!>> <<Cento di questi giorni!>>. I suoi amici, ne riconobbe i volti nella realtà an-

cora distorta dall’angoscia. <<Che … Cosa … >> riuscì a sibilare. <<Un mistero come regalo di compleanno. Vuoi

sempre un horror o un giallo da leggere: beh, noi te l’abbiamo fatto vivere!>> disse Will, il suo migliore amico.

Continuò: <<Per gli effetti speciali basta essere bravi con la tecnologia, come me. Abbiamo progettato tutto nel

dettaglio, da giorni. Idea mia, modestamente!>>. A poco a poco Max comprese, nuovamente lucido. Rise: <<Me

n’ero completamente dimenticato. Che cretino! Grazie. Non potevate farmi regalo migliore, ma il prossimo anno

evitate!>> scesero al pianterreno. <<Ci facciamo una foto per ricordo?>> propose una ragazza. Stringeva una

macchina fotografica in mano. La poggiò su un tavolino e impostò l’autoscatto. Tutti i ragazzi si strinsero e fissa-

rono l’obiettivo. Flash. Max corse verso il mobile. Afferrò la macchina fotografica e visualizzò la foto. Nessuno.

Alessia Alessandrini

LA MAFIA: un “cancro sociale” da sconfiggere

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attualità

Alessia Alessandrini

LA MAFIA: un “cancro sociale” da sconfiggere

Questo mese abbiamo deciso di raccontare un feno-

meno sempre più “popolare” in Italia. Parliamo della

mafia, un cancro che sta distruggendo il nostro Pae-

se. Con la nostra classe abbiamo letto un libro ine-

rente a questo argomento intitolato: “La Mafia spie-

gata ai ragazzi” di Antonio Nicaso e così abbiamo

deciso di condividere i nostri pensieri riguardo que-

sta “piaga sociale” con voi.

<< La Mafia è un’organizzazione che agisce nel silenzio,

cioè quando meno te lo aspetti. Per cent’anni è manca-

ta la volontà di combattere le mafie. Infatti nonostante

di mafia si parli dal lontano 1861, solo nel 1982, dopo

l’omicidio di Pio la Torre, da sempre nemico della mafia

e dopo la strage di via Carini, dove perde la vita Carlo

Alberto Dalla Chiesa, si inizia a combatterla. Soprattutto

fu dopo la strage che vide vittime nel 1992 Giovanni Fal-

cone e successivamente Paolo Borsellino che molti

gettarono la maschera e cominciarono a protestare e a

ribellarsi, dichiarando che: “Non li avete uccisi, le loro

idee camminano sulle nostre gambe”. >>.

La Mafia. Di recente si è sentito parlare molto spes-

so di questa parola ma forse molti non sanno cosa

significa, come agisce e contro chi agisce. Di queste

testimonianze appena citate, mi ha impressionato il

fatto che la migliore amica della mafia sia il silenzio

ed è questo che mi ha indotto a riflettere. Ho scelto

di scrivere su questo fenomeno perché sono riuscita

a capire in quale momento o circostanza si sente la

sua presenza. Molti sono stati i fenomeni che mi

hanno impressionata, per esempio, l’entrata nelle

organizzazioni criminali dei giovani quattordicenni

ancora non coscienti delle possibili conseguenze.

Bisogna smettere di pensare che la mafia sia una

cosa che non ci riguarda. E’ tempo che dalla cultura

della legalità si passi a quella della responsabilità,

una responsabilità che ci spinge a interrogarci su ciò

che accade attorno a noi. Non c’è bisogno di eroi

per combattere la mafia. Bastano anche piccoli gesti

per creare una società libera dai prepotenti!

La mafia per tradizione è una società che esclude le

donne ma la maternità rappresenta un limite. In-

fatti, quando una donna perde un figlio difficilmente

si rassegna pertanto spinge gli uomini a uccidere

nelle sanguinose guerre tra famiglie finché la perdi-

ta subita non sarà vendicata. Ci sono donne che in

assenza dei mariti assumono posti di potere: co-

mandano, spacciano droga e arrivano perfino ad uc-

cidere. Altre, invece, reagiscono e sottraggono il de-

stino dei propri figli alla mafia insegnando loro la

legalità. Tra queste si ricorda Serafina Battaglia che

denunciò gli assassini del marito e del figlio, entram-

LE DONNE E I BAMBINI

NELLA MAFIA

Beatrice Foglietta

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scintilla

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attualità

-bi mafiosi. Purtroppo nella mafia anche i bambini

sono colpevoli e per questo uccisi. Nel 1987, venne

ucciso Claudio Domino, un bambino che probabil-

mente aveva visto qualcosa che non doveva vedere.

In Campania, il 27 marzo 2004, durante un conflitto

a fuoco tra due fazioni della Camorra, viene colpita

accidentalmente Annalisa Durante, una ragazza di

quattordici anni. Nel suo diario aveva scritto:

“Vorrei fuggire, a Napoli ho paura”. Non ha fatto in

tempo. Questi sono solo due agghiaccianti casi di

tanti altri che sentiamo nei telegiornali e leggiamo

nei quotidiani che dovrebbero smettere di esistere

perché i bambini non si toccano.

Tutti i ragazzi, anche nelle zone più disagiate del

Mezzogiorno, devono avere la possibilità di sceglie-

re tra la via del bene, lunga e tortuosa ma gratifi-

cante, e quella del male, dritta e breve ma con con-

seguenze devastanti. Infatti la mafia è la strada più

semplice e inizialmente più fruttuosa perciò il seme

della legalità deve essere piantato dentro di noi pri-

ma che qualcun’altro possa piantare un seme catti-

vo.

Il futuro della mafia

Queste due frasi di due grandi uomini, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino secondo me riassumono il concetto di

come si sconfigge la mafia. Falcone infatti ci spiega che se ognuno fa il suo dovere, insegna i valori cristiani ed i

giusti ideali ed è grazie a questo che la società non si ammalerà di tumori come la mafia ma al contrario, ne sarà

libera. Borsellino invece ci ricorda che della mafia bisogna parlarne, bisogna rompere questa specie di campana di

vetro che la copre perché il silenzio è il nemico della verità e bisogna spiegare a tutti cos’è perché con l’ignoranza

la mafia cresce mentre con l’istruzione la mafia sarà sconfitta. Quindi spetta a noi cittadini onesti, attraverso tutte

le forme e le espressioni di civiltà, arginare granello dopo granello questo cancro che inquina e distrugge ogni co-

sa. Ovviamente anche i politici devono darci una mano perché fino a quando penseranno alle loro tasche prima

che al bene della nazione e dei cittadini, la mafia regnerà incontrastata. Quanto tempo ci vorrà? Non lo so! Ma se

tutti facciamo la nostra parte, ce ne vorrà di meno. C’è poi chi pensa metaforicamente che serve una mano per

strangolarla. In una mano infatti ci sono cinque dita, che rappresentano i cinque elementi insostituibili per il con-

trasto alla mafia: la buona politica, una concreta cultura della legalità, l'attacco senza sosta ai patrimoni mafiosi,

una repressione mirata da parte della magistratura, lo stretto controllo sul territorio affidato alla polizia e ai cara-

binieri. La stretta sarà forte e la presa salda se ogni dito farà il suo dovere ogni giorno, in ogni paese. Tutti i cittadi-

ni devono portare il loro contributo e dare la loro mano in questa battaglia, praticando un'antimafia sociale che

potrà cancellare la mafia dalla nostra terra. Ma in che modo? Acquistando i prodotti provenienti dalle terre libera-

te dalla mafia, denunciando il pizzo, non votando candidati corrotti e associati alla malavita, rifiutando di sottosta-

re al sistema illegale, lottando contro ogni ingiustizia e prepotenza. L'antimafia alla fine vincerà, ne sono sicura.

“Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello

spirito e dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammi-

no verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere.” (Falcone)

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.” (Borsellino)

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cinema

Federico Sonet Into the Wild è un film uscito nel 2007 basato sul libro di Jon Krakauer che racconta la vera storia di Christopher

McCandless interpretato da Emile Hirsch, che pur avendo un futuro promettente ha deciso, nell'estate del

1990, di abbandonare tutto per intraprendere un viaggio: la “grande avventura in Alaska”. Christopher, ormai

stanco dell'odio e del mondo distorto in cui vive, parte dal Sud della California e comincia un lungo cammino

all'insegna dell'essenzialità avendo come obbiettivo l'Alaska; abbandona tutto ciò che possiede, per lasciare

spazio alle nuove esperienze che per lui sono la vera felicità. Nume-

rosi sono gli incontri che lo segnano e altrettante le difficoltà che

deve affrontare, ma tutto ciò poi lo porta, dopo due anni di cammi-

no, alle pendici del monte McKinley o Denali. Qui, nel nulla più

completo, trova rifugio presso un piccolo autobus abbandonato,

che viene denominato da lui il “Magic Bus”, cominciando la sua

avventura, già iniziata in realtà due anni prima. Per 90 giorni riesce

a sopravvivere fin quando, leggendo un libro di Tolstoj, si accorge

che la vera felicità sta nelle relazioni, decidendo quindi di ripartire per ritornare a casa, o per lo meno negli Stati

Uniti. Il suo ritorno a casa, nella società, non sarà così semplice e l’epilogo della vicenda segnerà per sempre il

destino del protagonista e dei suoi cari. Il film è diretto da Sean Penn, la colonna sonora è scritta e cantata da

Eddie Vedder, che nell'insieme ne fanno un capolavoro di straordinaria bellezza. Il tutto è reso migliore anche

dalla voce narrante di Carine, sorella di Christopher, che racconta di come difficilmente stia vivendo la situazio-

ne con i genitori che non ricevono notizie dall'estate della partenza del figlio, ma come anche riesce a capire le

sue scelte essendoci sempre stata una forte empatia tra i due. Altri due elementi che hanno contribuito a ren-

derlo magnifico e realistico sono la bravura degli attori, soprattutto il protagonista che oltre ad essere un attore

nel vero senso della parola è stato messo a dura prova essendo dovuto dimagrire di 20 chili nel corso delle ri-

prese, e la regia che ha saputo riprendere creando suggestione e ammirazione nello spettatore con immagini

paesaggistiche eccezionali, e anche coinvolgimento nelle scene di sfondamento della quarta parete. Guardan-

dolo sono sorte spontanee domande come: “Perché non scappare dalla società?” oppure “Come riesco a stare

completamente a contatto con la natura?”; alle quali non si può dare risposte concrete, se non opinioni perso-

nali. La storia, a mio avviso, però non è incentrata completamente su questi ideali di evasione, ma in realtà si

può vedere anche come ruota su altri cardini: la vita sospesa dei genitori che vivono nella speranza del ritorno

del figlio e nella disperazione per la sua scomparsa, la frivolezza delle cose materiali e soprattutto l'importanza

delle relazioni umane, che va in contrasto a quello che lui ha sempre ambito: l’isolamento nella natura. Insom-

ma il film si può definire un capolavoro, e se venisse proiettato nelle ore di cineforum, verrebbero fuori dibattiti

più che interessanti, a cui molte volte non siamo abituati.

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sport

Gaetano Mancini

Velocità Fango e Gloria

Le sette meraviglie le conosciamo tutti, più o meno, per sentito dire… ma, siccome su quale sia l’ottava

le disquisizioni si sprecano, decidiamo che per noi

l’ottava meraviglia è questa: l’ottavo titolo mondiale

conquistato da Tony Cairoli nello stato di Goias; Brasi-

le. Ormai è leggenda. Il Campione del mondo scrive

un’altra pagina leggendaria della storia del motocross

confermandosi il numero uno di questa disciplina e

cogliendo il sesto trionfo consecutivo nella classe regi-

na dello sterrato la MXGP (fino allo scorso anno ri-

battezzata MX1). Il 29enne pilota originario di Patti,

alfiere del team KTM Red-Bull, con questo successo

accorcia ulteriormente il gap sul belga Stefan Everts,

pilota più titolato della storia del motocross con 10

trionfi. Nonostante il 2014 sia stato un anno travagliato per Tony: per la morte del padre Benedetto

(morto il 14 maggio scorso), che lo seguiva nelle gare sin da quando era bambino, il siciliano è riuscito,

vincendo e mostrando la sua superiorità schiacciante sugli avversari. Un record assoluto per un pilota

italiano nel Mondiale di Motocross. Ripercorriamo la sua fantastica carriera che fa di lui uno dei piloti

più grandi di tutti i tempi: Tony eredita la passione per le moto dal papà Benedetto che aveva una Vespa

e una Lambretta; nessuno riusciva a batterlo e una volta gli proposero di gareggiare sul serio, in pista.

Ma nonno Antonio gli vietò categoricamente di correre e ci rimase malissimo". A quattro anni inizia la

sua avventura con un 50 da minicross nel pistino vicino a casa. A sette anni debutta nel regionale mini-

cross con un Lem 50. Alla seconda gara di minicross è già primo al traguardo. Al mondiale motocross

classe 125 arriva nel 2002 e disputa tre gare. A fine 2003 Antonio entra nel team di Claudio De Carli e va

a vivere a Roma, dove risiede tuttora. Durante l'inverno si allena sia nel Lazio che sulla sabbia belga che

forgerà la sua incredibile velocità sui terreni morbidi. Il resto è storia recente, raccontata dagli incredibili

numeri di Antonio. Due titoli mondiali in MX2 (con Yamaha), ben sei titoli nella MX1 (uno con Yamaha e

cinque con KTM, con cui corre dal 2010). Tony è uno dei piloti di maggior successo della MX1 ed è stato

il primo a portare alla vittoria una moto di 350 cc nella classe regina del Motocross. Tony Cairoli nel

maggio 2014 perde tragicamente il caro papà Benedetto, colpito da un infarto, Antonio è messo a dura

prova da questo lutto.

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sport

A suo padre dedicherà la conquista dell'ottavo titolo iridato. Queste le sue parole al termine del

GP del Brasile: “Sono felicissimo per questo titolo, è stato un campionato difficile psicologicamen-

te, per via di tutto quello che mi è successo. Desidero ringraziare tutti quelli che lavorano con me, i

miei tifosi per il grande supporto e voglio dedicare questo titolo alla memoria di mio padre Bene-

detto ". Otto titoli mondiali conquistati fino a oggi da Cairoli (2005 e 2007 in MX2; 2009, 2010,

2011, 2012, 2013 in MX1, 2014 in MXGP). Ed ora sta per ricominciare la stagione del 2015 che ini-

zierà a febbraio a Losail ( Qatar ). Quest’anno il nostro campione si scontrerà con il pluripremiato

Ryan Villopoto, la stella del motocross americano farà qualcosa che nessun rider di quest’epoca ha

mai tentato: allontanarsi dal campionata AMA (American Motorcyclist Association) da lui domina-

to negli ultimi anni per correre in Europa nel campionato del mondo di motocross organizzato dal-

la FIM (federazione Internazionale Motociclismo). I piloti americani partecipano molto di rado a

tappe del campionato FIM, per problemi di sovrapposizioni dei due calendari ma anche perché si

corre su piste molto diverse da quelle statunitensi. Invece Villopoto, che ha vinto tutti i campionati

AMA Supercorss cui è riuscito a

partecipare interamente dal

2009 in poi, ha voluto affronta-

re questa sfida, con l’obiettivo

di detronizzare finalmente l’e-

terno campione del mondo

MXGP Antonio Cairoli. Il di-

battitto su chi, tra i due, sia il

miglior motocrossista al mondo

va avanti da anni - gli europei

dicono Cairoli, gli americani Vil-

lopoto. Non ci resta che scoprir-

lo con l’inizio del più atteso

campionato degli ultimi anni,

sarà una battaglia regale, i due

si sono già preparati al meglio per lo scontro, e noi siamo già carichi come bestie all’idea di vederli

uno contro l’altro. La battaglia è decisa: Cairoli vs Villopoto. A voi le scommesse.

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scintilla

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pesaro

Ste gir a ve vleva arcunté la storia dla vita d’un veich del port, Gigi detto batena. Alora a so git giò al a fei

qualca dmanda. ME=M; BATENA=B

M: A te vleva d’mandè se quant’er ragazz la vita la giva piò fecil ch’an è adess. E’ vera?

B: Ah se, parchè a giughè an emmi el palon, avemmi la carta e sa quella a giughemmi finché an s’rumpiva tut

i pid e po gemmi a chesa; sa i cerchi d’le biciclet giò giò par la streda sa un baston dentra; le cors sa un e

c’latre; al temp dl’istet a fe i baign, le gar da caminè sot’acqua e de chi an scapeva più fora. Dop prò è fnit:

quant te c’mincev avè dic ann, ott ann, nov ann, te tucheva gi a lavré. Me a jo c’mincet prima, a sei, set ann

parchè c’è steta la guera, el sfollament, e alora a so git in mer!

M: Mi non, (cl’è anca lo un del port), m’ha det che t’ha giret el mond sa le barc, è vera?

B: Me a giva sa le barc gross. A cargheva el suspatic (sarebbe il sosfato, il gesso). Po a gemmi en Jugoslavia

a carghè el ciment, la malta. Po c’è stet un period ch’a partemmi da Genova fino a Beirut, a Cipro. Malè a

carghemmi e a portemmi giò le bombol del gas e el sel! El zocre a l’ho carighet tra i vapor dl’alt’Italia. A l’ho

carighet a Cuba par gi par el Mesic, a Bronxville, cl’è l’ultim port Americhen, del Texas. C’era el fiom che

divideva, un fiumicciolo tra el Mesic e el Texas. E po dop ce femmi tutta la Florida fino a Miami (detto come

scritto). S’no quant a gemmi otra scarig a purtemmi le meghin, la Fiat, po c’era anca quel che feva le Lam-

brett, le Vesp. La prema tappa era Miami (come sopra), po a Tampa, a New Orleans, a Huston (letto Uston).

Po emmi carghet la frutta, gli aranc, a Tripoli. La frutta era par le turp Americhen. Da Tripoli em scarichet

prima a Rodi, cle c’era le nev Americhen, e po a Triest. C’era i bagaron su le barc. A m’arcord che quand sa

giva a fe i lavor su le nev qualdun el feva el gas. Saria stet l’acqua de gren: i meteva t’un tighem el gren, po i

meteva l’acqua. Quel el feva un gas: alora t’vedeva, la nev la jera bianca mo da una part tutta nera de baga-

ron, tut sti animei ch’i fugiva. Un’atra volta uguel: sem giti in Cina a purtè el suspatic, po quant a sem arnuti,

a j’aveva 21 ann, pasand par Hong Kong a vestì tut le paraticc sa le stoi, parchè emmi da carighè la cobra, el

dentra d’le noc de cocc. Alora sta cobra, quant ha piovut, ha fat tutt i bagaron come le mariol (le coccinelle),

un po piò pcin e gli era blu scur, i lucigheva. Alora a vag par magnè el ris, a guard:”Orca eva, en n’è el pep!”

e chi’atre:”Era bon da magnè og? El c’era molt pep mo an se sentiva!” e me:”Se mo se sentiva scrichiulè sot-

ta i dent! ahahahah”. Quei je stet gl’ann piò bei. Po sem giti alle Filippine, a Manila, a Gibuti, po in Indone-

sia. Dop, quant a so nut so machè ho fat basta e me so det alla pesca, ho cumpret na barchetta (una batena

appunto) e an me so più moss; a j’era stanc de gi da par tot! La fatiga an l’ho mai conosciuta: par carità se

fatigheva mo quant’una roba te piec an c’è fatiga che tenga! Prò i viagg j’era long: dicc giorne, quindic

giorne. Eh beh! Bon at t’salut che ho da chiuda el magazen. A’c vedem st’estet!

M: Ciao Batena! A’c vedem

E questo è il riassunto di quasi 70 anni di vita, in giro per il mondo via mare, una vera vita di mare! Spero vi sia

piaciuto. Alla prossima!

BATENA IL GRANDE

Luca Ugolini

Page 25: La scintilla Dicembre-Gennaio 2015

scintilla

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fumetto

un veich del port, Gigi detto batena. Alora a so git giò al a fei

rumpiva tut

le biciclet giò giò par la streda sa un baston dentra; le cors sa un e

acqua e de chi an scapeva più fora. Dop prò è fnit:

mincet prima, a sei, set ann

Me a giva sa le barc gross. A cargheva el suspatic (sarebbe il sosfato, il gesso). Po a gemmi en Jugoslavia

a partemmi da Genova fino a Beirut, a Cipro. Malè a

ho

era el fiom che

divideva, un fiumicciolo tra el Mesic e el Texas. E po dop ce femmi tutta la Florida fino a Miami (detto come

era anca quel che feva le Lam-

brett, le Vesp. La prema tappa era Miami (come sopra), po a Tampa, a New Orleans, a Huston (letto Uston).

Po emmi carghet la frutta, gli aranc, a Tripoli. La frutta era par le turp Americhen. Da Tripoli em scarichet

arcord che quand sa

un tighem el gren, po i

vedeva, la nev la jera bianca mo da una part tutta nera de baga-

atra volta uguel: sem giti in Cina a purtè el suspatic, po quant a sem arnuti,

aveva 21 ann, pasand par Hong Kong a vestì tut le paraticc sa le stoi, parchè emmi da carighè la cobra, el

le noc de cocc. Alora sta cobra, quant ha piovut, ha fat tutt i bagaron come le mariol (le coccinelle),

Se mo se sentiva scrichiulè sot-

ann piò bei. Po sem giti alle Filippine, a Manila, a Gibuti, po in Indone-

sia. Dop, quant a so nut so machè ho fat basta e me so det alla pesca, ho cumpret na barchetta (una batena

ho mai conosciuta: par carità se

era long: dicc giorne, quindic

E questo è il riassunto di quasi 70 anni di vita, in giro per il mondo via mare, una vera vita di mare! Spero vi sia

Margarita Tabellini

Page 26: La scintilla Dicembre-Gennaio 2015

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Society It's a mistery to me we have a greed with which we have agreed You think you have to want more than you need until you have it all you won't be free society, you're a crazy breed I hope you're not lonely without me When you want more than you have you think you need and when you think more than you want your thoughts begin to bleed I think I need to find a bigger place 'cos when you have more than you think you need more space RIT: society, you're a crazy breed I hope you're not lonely without me society, crazy and deep I hope you're not lonely without me there's those thinking more or less less is more but if less is more how you're keeping score? Means for every point you make your level drops kinda like its starting from the top you can't do that... RIT. society, have mercy on me I hope you're not angry if I disagree society, crazy and deep I hope you're not lonely without me

Per me è un mistero abbiamo un'avidità con la quale abbiamo accettato di convivere pensi di dover volere più di quello di cui hai bisogno finchè non hai tutto non sarai libero società, sei una razza folle spero che tu non sia sola senza di me quando vuoi più di quello che hai, pensi di averne bisogno quando pensi più di quello che vuoi, i tuoi pensieri cominciano a sanguinare penso di dover trovare un posto più grande perchè quando hai più di quello che pensi, hai bisogno di più spazio RIT: società, sei una razza folle spero che tu non sia sola, senza di me società, pazza e profonda spero che tu non sia sola, senza di me ci sono quelli che pensano più o meno, ma il meno è di più ma se il meno è di più come fai a mantenere il pun-teggio? significa che per ogni punto che fai scendi di livello è un pò come cominciare dalla cima non puoi farlo... RIT. società, abbi pietà di me spero che tu non ti arrabbierai se non sono d'ac-cordo società, pazza e profonda spero che tu non sia sola, senza di me

EDDIE VEDDER

mUSICA

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Tema libero

INTO THE WILD

La felicità è reale solo se condivisa.

- Christopher McCandless

Se ammettiamo che l’essere umano possa essere governato dalla ragione, ci preclu-diamo la possibilità di vivere.

-Tolstoj

Vi è un incanto nei boschi senza sentiero. Vi è un estasi sulla spiaggia solitaria. Vi è un asilo dove nessun importuno penetra in riva alle acque del mare profondo, e vi è un armonia nel fran-gersi delle onde. Non amo meno gli uomini, ma più la natura e in questi miei colloqui con lei io mi libero da tutto quello che sono e da quello che ero prima, per confondermi con l’ uni-verso e sento ciò che non so esprimere e che pure non so del tutto nascondere.

-Lord Byron

Per non essere più avvelenato dalla civil-tà, lui fugge! Cammina solo sulla terra per perdersi, nella natura selvaggia!

Così ora, dopo 2 anni di cammino, arriva l'ultima e la più grande avventura.

L'apogeo della battaglia per uccidere. Il falso essere interiore, suggella vittoriosa-mente la rivoluzione spirituale.

-Christopher McCandless

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METTI UNA CROCETTA NEL TAGLIANDINO DA RICONSEGNARE NELL’APPOSITA CASSETTA.

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REDAZIONE CENTRALE:

Filippo Gennari

Maria Belén Maceroni

REDATTORI:

Enrico Giunta

Marco Maccagli

Marco Sanchi

Agnese Galeazzi

Alessia Alessandrini

Beatrice Foglietta

Gaetano Mancini

Luca Ugolini

Margarita Tabellini

IMPAGINATORI

Gabriele Spadoni

Federico Sonet

Risultato sondaggio scorsa edizione:

COMPLETAMENTE LIBERA

LIMITATA

A:82%

B:18%

A: Adulto che segue i propi sogni.

B: Adulto che accet-ta la realtà e si ade-gua

Niccolò Bartolini

Foto vincitrice del concorso scolastico.

DIRITTO ALLA SATIRA: