Youzoom N1 Febbraio 2012

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Un magazine mensile all’insegna della gratuità dell'Associazione Culturale Nuovi Scenari Roma, ideato e diretto dalla giornalista Cristina Coccia e realizzato con la forza e la passione dei fotografi che hanno seguito i corsi di fotografia organizzati da NSR e diretti dal fotoreporter dell'agenzia LaPresse Alex Mezzenga, e da Francesco Esposito, fotografo e creativo della Scuola Romana di Fotografia

Transcript of Youzoom N1 Febbraio 2012

S o m m a r i o

zoom out Un incubo chiamato Iraq.

zoom in Anche i cinesi piangono.

Numero UNO

EDITORE: Nuovi Scenari RomaVia Stabia 11 - ROMADirettore Responsabile:Cristina CocciaCaporedattore:Celestina CocciaArt Director:Francesco EspositoPhoto Editor:Alex MezzengaCover design:Francesco Espositoyouzoom ®

concept by Cristina Coccia

youzoom® è stampato in 10mila copie e distribuito gratuitamente nella zona di Roma Sud e Roma Centro.Puoi ritirare la tua copia gratuita in ogni momento presso:

CD Foto Ottica (Centro Commerciale LE TORRI - Primo Livello)

CROMOSOMAZETA - Studio Fotografia Via Ferruzzano, 46 - METRO LINEA A - FERMATA ANAGNINA

UNIVERSITALIA - Via di Tor Vergata, 143

Teatro PALAZZO SANTA CHIARA - Piazza di Santa Chiara, 14

youzoom®

Testata RegistrataAutorizzazione n. 21/2011del Tribunale di RomaAnno 1 n. 1 - febbraio 2012StampaPRIMEGRAFSrlViaUgoNiutta,200177Roma

Relazioni Esterne:Flora Cianciullo

Per la pubblicità rivolgersi a:[email protected] - 347 5553275

zoom around Canada - di Martina Fabiani.

social zoom Da vicino nessuno è normale.

athletic zoom Follow the Flow.

musiczoom Harmonizer.

street zoom Pubbliredazionale.

Nuovi Scenari Roma

zoom inside

Una realtà in cui vengono reclutate le nuove leve di youoom, dove la creatività e la libera espressione di ognuno hanno sempre l’ultima parola.L’Associazione Nuovi Scenari Roma, at-tiva in periferia, in particolar modo nel VIII municipio, questa volta si muove ambiziosamente puntando al centro: alcuni, ironicamente, come il Presi-dente dell’Associazione Flora Cianciul-lo e Alex Mezzenga amano chiamarla “esportazione di creatività”.Una grande opportunità per dimostrare che si può parlare di periferia superan-do i luoghi comuni del degrado, cattiva qualità della vita, violenza e depressio-ne che la caratterizzano.Dopo la presentazione del numero zero di youzoom presso il Teatro Palazzo Santa Chiara al Pantheon, l’Associazio-ne Nuovi Scenari Roma, propone un’al-tra iniziativa che nasce dalla periferia e si espande verso il centro di Roma.Il 19 dicembre la mostra collettiva “EMOZIONI FOTOGRAFICHE” presso l’A.R.V.U.C. SALA MONTESI in zona Circo Massimo ha visto partecipare quindici allievi dei corsi di fotografia NSR, che hanno esposto i propri lavo-ri insieme al fotoreporter dell’agenzia LaPresse Alex Mezzenga e al fotografo Marco Marcotulli.Unico problema peri soci? Il parcheg-gio. A Villaggio Breda si trova molto più facilmente.

Pubbliredazionale CD FOTO OTTICA: FOTO DI: Paola Carlini, Barbara Errera, Massimo Sgruletti, Mayla Sgrulletti, Luciano Losavio.MODELLO: Alessandro Pellutri.

ZOOM INSIDE: Massimo Sgrulletti.ZOOM IN: Valentina Colella, Barbara Errera, Celestina Coccia.ZOOM OUT: Alex Mezzenga.ZOOM AROUND: Martina Fabiani.SOCIAL ZOOM: Carmela Umbro, Cristiano Testa.ATHLETIC ZOOM:Valentina Abbatecola, Lorenzo Campanelli, Martina De Angelis.MUSIC ZOOM: Francesco Esposito.

Si ringraziano tutti i fotografi e i redattori che hanno collaborato a questo numero:

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Tor Pignattara, uno dei quartieri di Roma con una grande rappresentanza stranie-ra, realtà multietnica che conosciamo e che viviamo quotidianamente. Pas-seggio tra file interminabili di negozi tutti uguali sia negli arredi, sia nel tipo di mercanzia, perfino nella faccia della negoziante. Tra kebabbari e agenzie di money transfer, vedo la città cambiare volto e dimensione. I suoi profumi e le facce che incrocio mi ricordano luoghi visitati durante viaggi lontani. Ma ora questa dimensione mi appartie-ne, esattamente come appartiene a tutte le grandi metropoli del mondo e noi non facciamo fortunatamente eccezione. I fatti di Tor Pignattara ci hanno costret-to ad aprire gli occhi su una realtà che spesso ignoriamo, o che sfruttiamo a no-stro piacimento. Il 4 gennaio è successo qualcosa che per la sua ferocia ha costretto molti a non distogliere lo sguardo. Al di là della nazionalità, nel quartiere ci sono molti commercianti italiani che abbassano la serranda dei propri negozi con il contenuto della cassa nascosto tra le tasche dei cappotti, sperando di tor-nare a casa anche per quella sera.

Sabato 14 gennaio 2012. File silenziose e composte di Cinesi sfi-lano per le vie del quartiere, marce paci-fiche invadono il centro, portando fiori e candele per protestare contro l’orrore di quel duplice omicidio: una rapina alla fine di una giornata di lavoro, padre e figlia di nemmeno un anno uccise dallo stesso proiettile, e una giovane moglie e madre sopravvissuta, ma a che scopo. Non serve avere gli occhi a mandorla per provare la stessa loro rabbia.

Da quel 4 gennaio è come se ci fossi-mo decisi a presentarci ufficialmente ai nuovi vicini di pianerottolo, sapere cosa fanno, come vivono, anche solo per sapere a chi chiedere il sale se manca. Ecco, ci siamo mai chiesti chi sono?

di Celestina Coccia - foto di Valentina Colella e Barbara Errera.

Anche i cinesi piangono.

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La prima volta che Tiziano Terzani entrò in contatto con la Cina, lo fece sulla scia dell’entusiasmo dei suoi giovani anni.La percorse in lungo e in largo evitando le visite guidate proposte dai funzionari del Partito Comunista Cinese.Ci portò la sua famiglia e volle che i suoi figli studiassero insieme ai loro coeta-nei, ma senza riuscirci. Se ne innamorò perdutamente, come soltanto un uomo rifiutato da una donna può fare. Infatti, fu gentilmente invitato ad andarsene dopo aver scritto verità scomode al regime. Si appassionò ai Cinesi in quanto popo-lo dalla profonda ricchezza culturale, dalle lunghe vicissitudini, dai mille dia-letti e le mille culture. È così, della Cina ci si innamora a guar-darla da vicino, conoscendo la lunga storia di sventure, le innumerevoli ca-tastrofi subite nel corso della storia, tra invasioni straniere, inondazioni perio-diche del Fiume Giallo, lotte interne e smembramenti territoriali compiuti dagli Stati occidentali, come ogni grande im-pero che si rispetti. E quel sorriso stampato in modo così te-nace sui loro volti ci svela molto di più di quanto in realtà vogliamo capire. Sabato 21 gennaio 2012.Piazza del Popolo è gremita. I festeggiamenti per il Capodanno Cine-se quest’anno iniziano con anticipo ri-spetto alla loro data ufficiale, e in modo più fastoso rispetto agli anni precedenti. Sul grande palco, due simpatici perso-naggi che inframmezzano le performan-ce degli artisti in scena, con un festoso annunciare i numeri della lotteria. Si raffigurano eventi antichi della lunga e affascinante storia di questo grande paese, come il primo imperatore della Cina Qin Shi Huangdi (260 a.C. – 210 a.C.) e del suo esercito che unificò tutti i regni allora presenti. Egli si fregiò per la prima volta del titolo di imperatore e lo stesso nome Cina deriva dal nome della sua casata. Le sue imprese fiabe-sche sono raccontate dai gesti eleganti e antichi di questi abili danzatori sul pal-co che il Comune di Roma ha concesso loro. Ma se Shi Huangdi fu colui che iniziò una delle opere più monumentali del paese come la Grande Muraglia, in realtà fu anche il primo ad ordinare che tutti i libri antichi venissero bruciati per cancellare la storia che lui si accingeva a riscrivere. Proprio come Mao, colui che pro-babilmente non per natali, ma per potere e prestigio può essere consi

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derato l’ultimo imperatore cinese, fece nel 1966 con la Rivoluzione Culturale, quando la Cina dei vecchi intellettuali venne spazzata via da tribunali improv-visati di giovani Guardie Rosse, legitti-mate da Mao.Queste e altre storie sono state raccon-tate quel giorno, tutte storie che con la stessa meraviglia i bambini cinesi e ita-liani seguivano seduti sulle spalle dei loro genitori. Mi guardo intorno e vedo scene che non fatico a ricondurre a mo-menti quotidiani che sono uguali per tutti, al di là della cultura a cui si ap-partiene. Coppie di ragazzi che parlano uno spiccato accento romano si abbrac-ciano con tenerezza o scattano foto. O come Marco Wong, presidente di As-socina (www.associna.it), un giovane cinquantenne in giubbotto di pelle, che mi presentano sotto il palco, e che mi parla in un simpatico accento bologne-se. Mi spiega che con la sua associazio-ne organizzano corsi di cinese per i ra-gazzi che altrimenti dimenticherebbero la loro lingua di origine. La sua disponi-bilità mi spinge a porgli domande “sco-mode”, come ad esempio perché secon-do lui spesso i Cinesi sono considerati un popolo chiuso e impenetrabile. “Noi Cinesi non siamo chiusi, anzi ci sentia-mo molto aperti e disponibili, in un pa-ese che ci ospita” - sostiene Marco - “il vero problema è spesso la lingua che, a differenza degli immigrati europei, può rappresentare un ostacolo all’integra-zione in quanto, oltre ad essere com-pletamente diversa da quella italiana, appartiene anche ad un altro ceppo lin-guistico”. Marco mi spiega che questo può dipendere anche dal fatto che i Ci-nesi generalmente avviano attività com-merciali in modo indipendente, e quindi sono a tutti gli effetti imprenditori. Non lavorano per gli Italiani e quindi questo può contribuire al senso di chiusura che percepiamo. Parliamo del Capodanno Cinese e dei festeggiamenti a cui stiamo assisten-do, parliamo del Dragone, simbolo del 2012 e della Cina stessa, caro ai con-tadini perché influenzava le piogge e garantiva buone messi. Marco è nato a Bologna e ha compiuto i suoi studi in Italia, ma ha deciso di passare sei anni in Cina per conoscere il paese dei suoi nonni, primi Wong a trasfersi in Italia. Alla domanda su come mai avesse sen-tito il bisogno di passare così tanti anni fuori lui mi risponde, sorridendo: “Per capire il mondo che cambia, è necessa-rio capire un po’ di più la Cina”.

Un incubo chiamato Iraq.foto e testi di Alex Mezzenga.

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di questa situazione debba essere attri-buita a Saddam Hussein, tanto è dipeso dagli sforzi degli Stati Uniti per governa-re direttamente il paese.Molti dei miei amici Iracheni mi dicono che oggi non vivono meglio di ieri e la cosa peggiore è che non hanno speran-za in un futuro migliore, con o senza la presenza delle truppe statunitensi.Anche se Obama, Bush e tutti quelli che appoggiarono l’invasione vorrebbero di-pingere un quadro a tinte rosa, il futuro dell’Iraq è nero.

A quasi nove anni dall’inizio del conflit-to, gli Stati Uniti hanno deciso di abban-donare l’Iraq.Il Presidente Barack Obama ha affer-mato che l’Iraq di oggi è un paese mi- gliore, più libero e più democratico. Nessuna autocritica è giunta a proposito di un’invasione che è stata un gravissi-mo errore. Nessuna scusa per le men-zogne, per il dolore, per le morti inflitte.Un discorso, quello di Obama, che lo equipara ai suoi predecessori alla Pre-sidenza degli Stati Uniti e, in particolar modo, all’artefice dell’invasione George W. Bush.Appare chiaro che Obama non ha chie-sto l’opinione dei milioni di Iracheni che

hanno vissuto e tuttora vivono circonda-ti da rovine in un clima di violenza quo-tidiana, Iracheni la cui qualità della vita è drasticamente peggiorata in seguito all’intervento americano.Niente rimane di un paese prospero, ricco di petrolio e con un alto livello di reddito.Niente salvo quello stesso petrolio che, però, oggi arricchisce solo le multina-zionali occidentali.La nazione che le truppe statunitensi si apprestano a lasciare ha subito un grave danno politico, economico e psicolo-gico, ovvia conseguenza di 30 anni di guerre civili, sanzioni e occupazioni. Sebbene gran parte della responsabilità

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“Come è nella realtà la situazione irachena? I soldati USA sono andati via dall’Iraq di notte e alla chetichella (ma per trasferirsi tutti nella ex provin-cia irachena del Kuwait) come farebbe un qualsiasi ladro di ap-partamenti. Questo il risultato finale della folle politica ameri-cana per il possesso e il control-lo delle risorse e delle ricchezze di tutto il pianeta.” Tusio De Iuliis, Presidente Associazione di Volontariato “Aiutiamoli a Vivere”

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Little Italy, Big Waterfalls.Canada, un racconto di viaggio. Foto e testi di Martina Fabiani.

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Cosa pensate possa apparire davanti ai vostri occhi, potendoli riaprire ritrovan-dovi in Canada?Alci e castori? Oppure smisurati laghi, immersi nella natura selvaggia? O anche campi, mazze e squadre di Hockey? O forse soltanto ogni cosa esagerata-mente piu grande di quanto abbiate mai potuto immaginare?

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Bene, il Canada è tutto questo, esatta-mente come lo avevate in testa.Arrivata in Canada, tutto quello che in nove ore di volo avevo immagina-to era lì, grande proprio così, con lo stesso odore e lo stesso colore ma de-cisamente più emozionante.Tutte le ore impiegate per arrivare in Canada bastano a stento per attraver-sarlo tutto.

Un esempio? Potremmo partire da Vancouver, a ovest, sul Pacifico, la metropoli defi-nita dall’Economist come “la più vi-vibile del Pianeta” e soprannominata “HongKouver” per via della molti-tudine di facoltosi cinesi fuggiti da Hong Kong prima che quest’ultima fosse restituita alla Cina.Percorreremmo 4.500 km circa, fino ad arrivare a Montreal, sulla costa orientale, nella zona del Québec, la terza città francofona al mondo, luogo in cui il patriottismo francese cerca da anni di ostacolare o in qual-che modo rinnegare la presenza della cultura inglese, quella prevalente.Parlo io, da italiana, che di Canada ne ho percorso a malapena la metà,

ma ho potuto conoscere ed apprez-zare queste piccole comunità cre-atesi molto lontano dai nostri stretti confini, infilandomi tra le tradizioni delle nostre Little Italy sparse qua e là, tra le pizzerie e i ristoranti in cui la specialità è la mozzarella di bufala, ma dove una pizza può costarti an-che venti dollari!Arrivata sotto le cascate del Niaga-ra non riesci a smettere di pensare quanto lontano sia il punto dal quale sei partita e soprattutto come tu sia finita lì sotto, tra gli spruzzi e l’acqua gelida, immersa nella foschia crea-ta da questa enorme cascata che si estende fino al confine americano (anche negli States hanno la loro par-te di Niagara Waterfalls!).

E tu sei lì, con il tuo giubbino blu, in attesa di salire su questo barcone, poco affidabile all’aspetto, che ti con-duce sotto le fauci di questo gigante naturale che potrebbe risucchiarti in un istante.

E che invece sta lì, fermo, lasciandosi fotografare dai turisti e dai curiosi re-stando immobile, immortale.

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Da vicino nessuno è normale.

di Carmela Umbro - foto di Cristiano Testa.

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C’era una volta la città dei matti, un regno libero dal fardello della normalità. Ospitava gli imprevedibili, i visionari, i pericolosi, quelli scomodi: i diversi.

Per troppi anni il regno degli anormali

cessò di convivere con il resto del

mondo e venne relegato in quelle città

ai margini dell’umanità: i manicomi.

La realtà manicomiale romana vede

la luce nel 1913, quando l’Ospedale

Psichiatrico di Santa Maria della Pietà

apre le porte ai primi pazienti.

Una vera città alle porte di Roma, tra

distese e prati senza fine, un sufficiente

confine dal parallelo mondo dei

normali: la segregata vita dei matti

romani si svolgeva lì.

L’iter loro riservato consisteva

nell’espropriazione immediata di tutti gli

oggetti personali, depositati nell’apposita

stanza chiamata “fagotteria”.

Nessuna storia personale doveva entrare

in quel carcere, nessuna distinzione tra

malato e malattia, ma un inscindibile

nucleo in cui anima e corpo si fondevano

in un’unica realtà: la follia.

Nessun contatto con il malato, cartelle

cliniche inaccessibili agli infermieri,

tutti schizofrenici e nessuna diagnosi

differenziale. Si parlava di “regressione”

del paziente ed era assolutamente

impensabile che dalla malattia mentale

si potesse guarire o quantomeno

migliorare.

E poi c’era l’elettroshock, una

macchina infernale volta all’induzione

di convulsioni nel paziente tramite il

passaggio di corrente elettrica attraverso

il cervello.La terapia veniva praticata

su pazienti coscienti, senza anestesia e

rilassanti muscolari.

I pazienti perdevano conoscenza

social zoom

“Si va in manicomio per imparare a morire”

Alda Merini

durante la seduta e subivano violente

contrazioni muscolari incontrollate

che potevano causare fratture ossee e

stiramenti muscolari.Il suo utilizzo nei

manicomi era spropositato e favorito

dall’incompetenza dei medici preposti

a gestire quei reparti, nonché dalla

mancanza di trattamenti alternativi.

Quanto sin qui raccontato è la fase

precedente alla legge che segnerà

il punto di partenza di un processo

rivoluzionario che realizzò un’utopia,la

chiusura dei manicomi, la fine della

prigionia del malato mentale, ma prima

ancora una vera e propria rivoluzione

culturale: la Legge n. 180 del 13 maggio

1978, meglio conosciuta con il nome

del suo promotore, Franco Basaglia.

Uomo di grande valore morale e tenace

psichiatra, Basaglia sin dagli anni ‘60

condusse un’acerrima lotta contro

l’abbandono terapeutico e giuridico dei

pazienti nei manicomi, che durerà molti

anni e lo porterà a scontrarsi contro tutto

e tutti per ottenere la riaffermazione dei

loro diritti di esseri umani.

Un iter legislativo lungo e travagliato,

ostacolato dall’arcaica concezione

della malattia mentale che si trascinava

nelle istituzioni e nella società, secondo

il quale era necessario abolire quel

carcere che i manicomi rappresentavano

ed “entrare in contatto con le persone

nascoste dietro la malattia”.

Il progetto basagliano è volto alla

restituzione della dignità del malato

mentale tramite l’abolizione di ogni

pratica che lo porti ad alienarsi. Ad

esempio, l’obbligo dell’abbandono

degli oggetti personali dei pazienti al

momento del ricovero: “ Se vi togliessero

tutto quello che avete - si domandò

Basaglia - cosa resterebbe di voi?”.

La legge 180 conduce all’abbattimento

delle recinzioni circondanti gli ospedali

psichiatrici, un indimenticabile

momento storico, la riaffermazione

delle libertà fondamentali del paziente

che torna ad essere uomo libero,

sebbene da seguire e curare.

Ciononostante la legge Basaglia non

rappresentò una soluzione definitiva.

Infatti i manicomi furono chiusi

senza predisporre adeguate strutture

alternative, per cui molti malati si

trovarono abbandonati a sé stessi.

Molti pazienti avevano necessità di essere

seguiti in modo più intenso e la loro

liberazione non ne segnò un beneficio.

La situazione è ben lungi, ancora oggi,

dall’essere quel sistema ideale che la

legge Basaglia avrebbe voluto attuare,

vi sono problemi applicativi e difficoltà

diverse in ciascuna regione d’Italia.

Rimane ancora aperta la questione

dei “manicomi criminali” nei quali i

detenuti subiscono trattamenti orribili

e spesso, se poveri, vi rimangono per

molti anni anche per reati di poco conto.

In questi giorni il Senato ha dato il via

libera al decreto cosiddetto “svuota

carceri”, ampio provvedimento in cui ci

si occupa anche delle condizioni degli

ospedali psichiatrici giudiziari (O.P.G.)

regolamentando l’individuazione di

nuove strutture per l’accoglimento dei

detenuti. A ben vedere, sebbene Basaglia

ideò un processo rivoluzionario, la

strada da percorrere è ancora lunga.

Sarebbe bello accostarsi all’idea che il

malato mentale non sia un diverso, ma

un uomo da amare e capire, non così

distante da noi, esseri “normali”.

Finisce così il nostro viaggio all’interno

della città dei matti, con qualche

riflessione e speranza in più, e magari

con l’indefinita consapevolezza che in

fondo, da vicino nessuno è normale.

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Ci vediamo?

street zoomMessaggio Pubblicitario

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Ci vediamo?

Questa volta l’appuntamento è con

CD FOTO OTTICA di Donato

Cianciullo.

Attivo sin dal 1989 ed ubicato al pri-

mo livello del Centro Commerciale

le Torri, CD FOTO OTTICA offre ai

propri clienti la migliore qualità a

prezzi imbattibili.

Rivenditore delle migliori marche di

occhiali da vista e da sole, (RayBan,

Gucci, Dolce e Gabbana, Roberto

Cavalli, Oacley, Giorgio Armani,

Emporio Armani, lenti Zeiss e molto

altro) il centro è dotato di personale

specializzato per visite oculistiche

ed audiometriche.

Inoltre per tutti i lettori di youzoom

che si presenteranno con una copia

del Magazine, CD FOTO OTTICA

proporrà uno sconto del 20% - sal-

vo promozioni in corso.

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Via Amico Aspertini, 390 Roma

Centro commerciale Le Torri

Tel.: 06 2016382

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street zoom

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Follow the flow.foto di Valentina Abbatecola, Lorenzo Campanelli, Martina De Angelis.

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Avete mai pensato all’idea di abbando-

nare tutto quel che sapete sulla vostra

città e il vostro quartiere per lasciarvi

condurre attraverso passaggi urbani che

sino ad ora non credevate percorribili?

Esattamente con questo presupposto,

agli inizi degli anni ‘80, nasce in Francia

l’Art du Déplacement, quella disciplina

metropolitana conosciuta con il nome

di Parkour che insegna a prendere piena

consapevolezza del proprio corpo e ad

alimentare il proprio desiderio di libertà

e di movimento.

Aggirandosi tra le strade di Tor Bella Mo-

naca, in particolare nell’area antistante

il Liceo Scientifico Amaldi, è abbastanza

facile incontrare gruppi di traceur - lette-

ralmente i tracciatori - impegnati a scala-

re pareti verticali, a muoversi agilmente

tra muri e ringhiere, a superare ostacoli

e a improvvisarsi in salti acrobatici sotto

la guida di Fabio Saraceni.

Fabio, conosciuto da tutti come Flow

(flusso) è stato tra i primi in Italia a inte-

ressarsi a questa disciplina e a praticarla

da autodidatta poco più che ventenne.

Solo pochi anni dopo stringerà amicizia

con un gruppo di traceur francesi da cui

apprende le giuste tecniche e i metodi di

allenamento.

Sono proprio le caratteristiche architet-

toniche di Tor Bella Monaca a rendere

questa zona tanto adatta a Flow, Giam-

paolo, David, Patrick e a tutti quelli che

imparano a muoversi elegantemente in

mezzo alle rigide geometrie del quartie-

re, così come un lemure tra gli alberi di

una giungla, arricchendo il quartiere di

una disciplina tanto innovativa quanto

poco conosciuta a Roma e in Italia.

Flow descrive il Parkour come un meto-

do per assecondare il proprio flusso vi-

tale e impedire che la sua energia vada

perduta o finisca col travolgerci. Impa-

rare a considerare percorribile persino

quell’agglomerato di ferro e cemento

che si credeva invalicabile, aiuta il cor-

po e la mente a liberarsi dagli schemi

imposti dalla società e a rivalutare gli

ambienti circostanti secondo nuove pro-

spettive.

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athletic zoom

Da diversi anni Flow è un maestro del Parkour e mette a disposizione le sue capa-

cità per chiunque voglia seguire i suoi corsi a Tor Bella Monaca.

Per informazioni visitare www.momu.it e www.bikorn.com, il sito personale di

Flow.

Per saperne di più su questa affascinante disciplina è possibile visitare il sito web

www.parkour.it.

Per essere aggiornati su tutto quel che riguarda il mondo dell’Art du Déplacement

in italia consigliamo il portale www.rhizai.it

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Suonare. A quattro voci.foto di Francesco Esposito.

Si chiamano Harmonizer, un gruppo vocale tutto al femminile formatosi da nemmeno due anni. Le presentiamo.

C’è Clara Trucchi, in arte Lilyka, vocal coach e responsabile delle armonizza-zioni. Il suo ruolo vocale all’interno del gruppo è versatile, ma predilige le parti da contralto.Poi c’è Deborah Calì, mezzo soprano, che si occupa anche lei di armonizza-zioni.A seguire Eleonora Toiati, soprano, nota per il suo black style e per gli sfarfallii vibrati. Infine, Antonella Palozzi, che tutti chia-mano Stella, il super soprano! Lei si occupa degli acuti e degli ultrasuoni, anche se l’essere umano non li può per-cepire.

Parliamo con Lilyka, classe ‘81, di origi-ne colombiana, orecchio assoluto.

Ciao Lilyka, raccontaci di te. Com’è nata la tua passione per il canto?Ho iniziato a studiare canto nel 2000. Amo profondamente la musica ed è una passione che coltivo fin da bambina. Ho collaborato e mi sono esibita in diversi gruppi nell’arco degli anni, spaziando senza timore dal metal al jazz. In molti mi conoscono come come cantante solista dei MRSWANT, tribute band romana di Elisa con i quali colla-boro dal 2007, accompagnata dalle voci di Eleonora Toiati e Deborah Calì.Nell’ottobre 2010 insieme a Stella An-ton iniziamo a gettare le basi per un nuovo progetto, nato con l’intento di

portare due voci armonizzate all’interno delle discoteche romane. Il progetto prende definitivamente forma nell’inverno del 2011: insie-me a insieme a Stella Anton, Eleono-ra Toiati e Deborah Calì formiamo le Harmonizer.Esattamente com’è nata l’idea del vostro gruppo?La passione rende possibili le idee, e la nostra passione era quella di cantare e di essere noi stesse all’interno di un con-testo musicale variegato ed allo stesso tempo armonico.Perché avete scelto di chiamarvi Harmo-nizer?Un Harmonizer è un dispositivo che consente di creare una o più voci di to-nalità differente rispetto a quella base,

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music zoom

creando “accordi” a partire da campio-namenti. E questo facciamo anche noi, normalmente, nella vita di tutti i giorni con la differenza che trasmettiamo le nostre emozioni e la nostra voglia di divertirci. Quindi diciamo che siamo un Harmonizer molto ma moooolto evoluto.V’ispirate a qualcuno in particolare?Ci ispiriamo all’amore individuale per la musica, ognuna per un diverso genere musicale, e all’amicizia, poi, come nel-le ricette, mescoliamo gli ingredienti e serviamo la torta pronta per chi la vorrà assaggiare. Sperando che piaccia, il che è sempre una grande soddisfazione!Ci raccontate un po’ del vostro percorso artistico?A livello individuale tanto, tra Sanremo

e X Factor... Come Harmonizer, possia-mo dire che dopo soli due mesi di for-mazione siamo state ingaggiate da tre produzioni artistiche per alcuni musical e che abbiamo passato un’estate ricca di date per le principali piazze del centro sud. Inoltre abbiamo vinto un concor-so organizzato da Sky e Sony! Diciamo quindi che non ci lamentiamo affatto, e che, beh ... “LAVORI IN CORSO”.Quali sono i vostri attuali progetti mu-sicali?Sono quelli di quattro bambine sognatri-ci, che amano fare buona musica.Ci piacerebbe partire da una rivisitazio-ne di brani, alla nostra maniera, esplo-rando vari generi musicali, dal pop al black, al retrò, per poi concentrarci su materiale inedito.

Avete qualche sogno in particolare che vi piacerebbe realizzare? Progetti per il futuro?Beh, i sogni son desideri! E possono es-sere integrati nei progetti musicali. Vor-remmo che la nostra passione si trasfor-masse in lavoro, vorremmo emozionare le persone che ci ascoltano, e far pensa-re loro, che con la musica e le parole si può sognare e si può uscire dagli sche-mi, anche quelli più rigidi! Vorremmo che quello che facciamo sia non solo qualcosa che produca denaro, ma pensieri, positività e riflessioni. A voi l’ultima parola…Merda!!!! (Ride). Forse non si può scrivere, ma pare sia di buon auspicio e porti fortuna!

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music zoom

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Periferia romana, fine anni ´90. Lenni e

Claudio sono fratelli e studenti univer-

sitari.

Nelle strade attorno alla “Sapienza” il

fumo tossico dei lacrimogeni sembra lo

stesso di quei favolosi anni di piombo

tanto amati e mai vissuti. Lenni e Clau-

dio mettono in piedi uno sgangherato

servizio d’ordine dei cortei studente-

schi. Ci sono tutti. Un ex sindacalista

cinquantenne, un nerd appassionato di

letteratura, Pippo (vecchio punk quaran-

tenne), ragazze carine, ragazze stupide

e Cipo, un cane libero realmente esisti-

to a Centocelle. Nella testa di Lenni c’è

l’incubo nucleare di Chernobyl che non

gli da tregua da quando, in quel lontano

CORSO FOTOGRAFIA BASE

Docente: Alex Mezzenga

Oggi fare una foto non è difficile, ma

la comprensione di come è nata l’arte

della fotografia e le basi tecniche su cui

è fondata sono, senza dubbio, elementi

necessari per quanti volessero ottenere

qualcosa di più professionale da questa

forma di espressione.

Il Corso Base di fotografia è dunque de-

dicato a tutti coloro che desiderano sco-

prire il fantastico mondo della fotografia

a partire dall’analisi delle tecniche e dal-

lo sudio dei grandi nomi - Henri Cartier-

Bresson piuttosto che Robert Capa - fino

ad uscite di gruppo per sperimentare in

prima persona le nozioni acquisite.

1986, i soldati atomici rimuovevano i

detriti sul tetto di quel maledetto reat-

tore. E nella mente di Lenni la città, con

il suo cemento in crescita, è un enorme

mostro, un superorganismo dotato di

vita propria.

Luna di Lenni è un romanzo di militan-

za, una storia di cani, di manganellate,

botte e musica punk.

Luna di Lenni è un romanzo ecologista e

la Luna è la miglior amica di Lenni.

Round Robin Editrice.

Distribuzione: La Feltrinelli e internet

store.

Emanuele Berardi è nato a Roma nel 1977. Laureato in Biologia vive e lavora come ricercatore in Belgio. Luna di Lenni è il suo primo romanzo.

CORSO DI FOTOREPORTAGE

Docente: Alex Mezzenga

Il corso affronterà i vari aspetti che ca-

ratterizzano la fotografia di reportage,

sia dal punto di vista tecnico e lingui-

stico, sia dal punto di vista applicativo

nel campo della fotografia professionale

e d’autore.

Un’esperienza che permetterà di svilup-

pare la propria capacità di osservazione,

di racconto e di interpretazione dei fatti

sociali, economici e politici.

Un corso per mettere in gioco in modo

pratico, e non solo teorico, la propria

sensibilità e creatività con il quale i vo-

stri sguardi sul mondo diventeranno fi-

nalmente protagonisti.

CORSO DI POST-PRODUZIONE

Docente: Francesco Esposito

Come tutti sappiamo, oggi è possibile

intervenire digitalmente per migliorare

i nostri scatti fotografici.

Il corso di post-produzione - suddiviso

nei moduli base, intermedio e avanzato -

è dedicato a tutti coloro che vogliano

iniziare ad affacciarsi al mondo del fo-

toritocco e al restauro dell’immagine

digitale, sino ad arrivare alla realiz-

zazione di un’immagine complessa

mediante interventi di post-produzione

fotografica.

Attraverso una serie di lezioni pratiche,

s’impareranno le tecniche per ottenere

il massimo dai propri scatti.

Scatta la formazione, con NSR.

Per ulteriori informazioni sui corsi contattaci al numero 340 6440864 oppure scrivi a [email protected].

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mix zoom

La terra trema spesso in Giappone.

Trovarsi aggrappati alla reception della

scuola di lingua qualche anno fa, tra le

risate sommesse delle segretarie non è

proprio il massimo, ma in Giappone un

terremoto così fa divertire anche i ficus

nei vasi degli uffici.

Quando quell’11 marzo la terrà ha tre-

mato, nessuno in realtà rideva degli stra-

nieri che scappavano terrorizzati fuori

dagli edifici.

Pio d’Emilia, inviato di Sky, giornalista

di lunga esperienza era lì, a Tokyo sul

suo motorino in pieno centro.

Si è fermato e gli è bastato guardarsi in-

torno e vedere così tante persone ferme

guardare all’insù, per capire che in real-

tà era successo qualcosa di molto grave.

Inizia così un diario di 30 giorni in cui

Pio, l’unico ad essere arrivato davanti ai

cancelli della centrale, parte in modo

rocambolesco alla volta di Fukushima,

tra le bizzarrie degli autoctoni in divi-

sa, le spesso gravi defaillance nelle in-

formazioni ufficiali e la compostezza

dei cittadini anche nei momenti in cui

la dignità umana sembra essere ridotta

all’osso.

Attraverso una narrazione dallo stile

ironico e tagliente, D’Emilia ci racconta

una delle tragedie nucleari che hanno

maggiormente influenzato la nostra po-

litica energetica e modificato gli equili-

bri internazionali.

Pio D’Emilia, storico collaboratore de Il Manifesto, giornalista italiano emigrato in Giappone da oltre 20 anni, e attual-mente corrispondente di Sky TG24.

www.gtbcostruzioni.com

ZONA BORGHESIANA