Youzoom N1 Febbraio 2012
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Transcript of Youzoom N1 Febbraio 2012
S o m m a r i o
zoom out Un incubo chiamato Iraq.
zoom in Anche i cinesi piangono.
Numero UNO
EDITORE: Nuovi Scenari RomaVia Stabia 11 - ROMADirettore Responsabile:Cristina CocciaCaporedattore:Celestina CocciaArt Director:Francesco EspositoPhoto Editor:Alex MezzengaCover design:Francesco Espositoyouzoom ®
concept by Cristina Coccia
youzoom® è stampato in 10mila copie e distribuito gratuitamente nella zona di Roma Sud e Roma Centro.Puoi ritirare la tua copia gratuita in ogni momento presso:
CD Foto Ottica (Centro Commerciale LE TORRI - Primo Livello)
CROMOSOMAZETA - Studio Fotografia Via Ferruzzano, 46 - METRO LINEA A - FERMATA ANAGNINA
UNIVERSITALIA - Via di Tor Vergata, 143
Teatro PALAZZO SANTA CHIARA - Piazza di Santa Chiara, 14
youzoom®
Testata RegistrataAutorizzazione n. 21/2011del Tribunale di RomaAnno 1 n. 1 - febbraio 2012StampaPRIMEGRAFSrlViaUgoNiutta,200177Roma
Relazioni Esterne:Flora Cianciullo
Per la pubblicità rivolgersi a:[email protected] - 347 5553275
zoom around Canada - di Martina Fabiani.
social zoom Da vicino nessuno è normale.
athletic zoom Follow the Flow.
musiczoom Harmonizer.
street zoom Pubbliredazionale.
Nuovi Scenari Roma
zoom inside
Una realtà in cui vengono reclutate le nuove leve di youoom, dove la creatività e la libera espressione di ognuno hanno sempre l’ultima parola.L’Associazione Nuovi Scenari Roma, at-tiva in periferia, in particolar modo nel VIII municipio, questa volta si muove ambiziosamente puntando al centro: alcuni, ironicamente, come il Presi-dente dell’Associazione Flora Cianciul-lo e Alex Mezzenga amano chiamarla “esportazione di creatività”.Una grande opportunità per dimostrare che si può parlare di periferia superan-do i luoghi comuni del degrado, cattiva qualità della vita, violenza e depressio-ne che la caratterizzano.Dopo la presentazione del numero zero di youzoom presso il Teatro Palazzo Santa Chiara al Pantheon, l’Associazio-ne Nuovi Scenari Roma, propone un’al-tra iniziativa che nasce dalla periferia e si espande verso il centro di Roma.Il 19 dicembre la mostra collettiva “EMOZIONI FOTOGRAFICHE” presso l’A.R.V.U.C. SALA MONTESI in zona Circo Massimo ha visto partecipare quindici allievi dei corsi di fotografia NSR, che hanno esposto i propri lavo-ri insieme al fotoreporter dell’agenzia LaPresse Alex Mezzenga e al fotografo Marco Marcotulli.Unico problema peri soci? Il parcheg-gio. A Villaggio Breda si trova molto più facilmente.
Pubbliredazionale CD FOTO OTTICA: FOTO DI: Paola Carlini, Barbara Errera, Massimo Sgruletti, Mayla Sgrulletti, Luciano Losavio.MODELLO: Alessandro Pellutri.
ZOOM INSIDE: Massimo Sgrulletti.ZOOM IN: Valentina Colella, Barbara Errera, Celestina Coccia.ZOOM OUT: Alex Mezzenga.ZOOM AROUND: Martina Fabiani.SOCIAL ZOOM: Carmela Umbro, Cristiano Testa.ATHLETIC ZOOM:Valentina Abbatecola, Lorenzo Campanelli, Martina De Angelis.MUSIC ZOOM: Francesco Esposito.
Si ringraziano tutti i fotografi e i redattori che hanno collaborato a questo numero:
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Tor Pignattara, uno dei quartieri di Roma con una grande rappresentanza stranie-ra, realtà multietnica che conosciamo e che viviamo quotidianamente. Pas-seggio tra file interminabili di negozi tutti uguali sia negli arredi, sia nel tipo di mercanzia, perfino nella faccia della negoziante. Tra kebabbari e agenzie di money transfer, vedo la città cambiare volto e dimensione. I suoi profumi e le facce che incrocio mi ricordano luoghi visitati durante viaggi lontani. Ma ora questa dimensione mi appartie-ne, esattamente come appartiene a tutte le grandi metropoli del mondo e noi non facciamo fortunatamente eccezione. I fatti di Tor Pignattara ci hanno costret-to ad aprire gli occhi su una realtà che spesso ignoriamo, o che sfruttiamo a no-stro piacimento. Il 4 gennaio è successo qualcosa che per la sua ferocia ha costretto molti a non distogliere lo sguardo. Al di là della nazionalità, nel quartiere ci sono molti commercianti italiani che abbassano la serranda dei propri negozi con il contenuto della cassa nascosto tra le tasche dei cappotti, sperando di tor-nare a casa anche per quella sera.
Sabato 14 gennaio 2012. File silenziose e composte di Cinesi sfi-lano per le vie del quartiere, marce paci-fiche invadono il centro, portando fiori e candele per protestare contro l’orrore di quel duplice omicidio: una rapina alla fine di una giornata di lavoro, padre e figlia di nemmeno un anno uccise dallo stesso proiettile, e una giovane moglie e madre sopravvissuta, ma a che scopo. Non serve avere gli occhi a mandorla per provare la stessa loro rabbia.
Da quel 4 gennaio è come se ci fossi-mo decisi a presentarci ufficialmente ai nuovi vicini di pianerottolo, sapere cosa fanno, come vivono, anche solo per sapere a chi chiedere il sale se manca. Ecco, ci siamo mai chiesti chi sono?
di Celestina Coccia - foto di Valentina Colella e Barbara Errera.
Anche i cinesi piangono.
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La prima volta che Tiziano Terzani entrò in contatto con la Cina, lo fece sulla scia dell’entusiasmo dei suoi giovani anni.La percorse in lungo e in largo evitando le visite guidate proposte dai funzionari del Partito Comunista Cinese.Ci portò la sua famiglia e volle che i suoi figli studiassero insieme ai loro coeta-nei, ma senza riuscirci. Se ne innamorò perdutamente, come soltanto un uomo rifiutato da una donna può fare. Infatti, fu gentilmente invitato ad andarsene dopo aver scritto verità scomode al regime. Si appassionò ai Cinesi in quanto popo-lo dalla profonda ricchezza culturale, dalle lunghe vicissitudini, dai mille dia-letti e le mille culture. È così, della Cina ci si innamora a guar-darla da vicino, conoscendo la lunga storia di sventure, le innumerevoli ca-tastrofi subite nel corso della storia, tra invasioni straniere, inondazioni perio-diche del Fiume Giallo, lotte interne e smembramenti territoriali compiuti dagli Stati occidentali, come ogni grande im-pero che si rispetti. E quel sorriso stampato in modo così te-nace sui loro volti ci svela molto di più di quanto in realtà vogliamo capire. Sabato 21 gennaio 2012.Piazza del Popolo è gremita. I festeggiamenti per il Capodanno Cine-se quest’anno iniziano con anticipo ri-spetto alla loro data ufficiale, e in modo più fastoso rispetto agli anni precedenti. Sul grande palco, due simpatici perso-naggi che inframmezzano le performan-ce degli artisti in scena, con un festoso annunciare i numeri della lotteria. Si raffigurano eventi antichi della lunga e affascinante storia di questo grande paese, come il primo imperatore della Cina Qin Shi Huangdi (260 a.C. – 210 a.C.) e del suo esercito che unificò tutti i regni allora presenti. Egli si fregiò per la prima volta del titolo di imperatore e lo stesso nome Cina deriva dal nome della sua casata. Le sue imprese fiabe-sche sono raccontate dai gesti eleganti e antichi di questi abili danzatori sul pal-co che il Comune di Roma ha concesso loro. Ma se Shi Huangdi fu colui che iniziò una delle opere più monumentali del paese come la Grande Muraglia, in realtà fu anche il primo ad ordinare che tutti i libri antichi venissero bruciati per cancellare la storia che lui si accingeva a riscrivere. Proprio come Mao, colui che pro-babilmente non per natali, ma per potere e prestigio può essere consi
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derato l’ultimo imperatore cinese, fece nel 1966 con la Rivoluzione Culturale, quando la Cina dei vecchi intellettuali venne spazzata via da tribunali improv-visati di giovani Guardie Rosse, legitti-mate da Mao.Queste e altre storie sono state raccon-tate quel giorno, tutte storie che con la stessa meraviglia i bambini cinesi e ita-liani seguivano seduti sulle spalle dei loro genitori. Mi guardo intorno e vedo scene che non fatico a ricondurre a mo-menti quotidiani che sono uguali per tutti, al di là della cultura a cui si ap-partiene. Coppie di ragazzi che parlano uno spiccato accento romano si abbrac-ciano con tenerezza o scattano foto. O come Marco Wong, presidente di As-socina (www.associna.it), un giovane cinquantenne in giubbotto di pelle, che mi presentano sotto il palco, e che mi parla in un simpatico accento bologne-se. Mi spiega che con la sua associazio-ne organizzano corsi di cinese per i ra-gazzi che altrimenti dimenticherebbero la loro lingua di origine. La sua disponi-bilità mi spinge a porgli domande “sco-mode”, come ad esempio perché secon-do lui spesso i Cinesi sono considerati un popolo chiuso e impenetrabile. “Noi Cinesi non siamo chiusi, anzi ci sentia-mo molto aperti e disponibili, in un pa-ese che ci ospita” - sostiene Marco - “il vero problema è spesso la lingua che, a differenza degli immigrati europei, può rappresentare un ostacolo all’integra-zione in quanto, oltre ad essere com-pletamente diversa da quella italiana, appartiene anche ad un altro ceppo lin-guistico”. Marco mi spiega che questo può dipendere anche dal fatto che i Ci-nesi generalmente avviano attività com-merciali in modo indipendente, e quindi sono a tutti gli effetti imprenditori. Non lavorano per gli Italiani e quindi questo può contribuire al senso di chiusura che percepiamo. Parliamo del Capodanno Cinese e dei festeggiamenti a cui stiamo assisten-do, parliamo del Dragone, simbolo del 2012 e della Cina stessa, caro ai con-tadini perché influenzava le piogge e garantiva buone messi. Marco è nato a Bologna e ha compiuto i suoi studi in Italia, ma ha deciso di passare sei anni in Cina per conoscere il paese dei suoi nonni, primi Wong a trasfersi in Italia. Alla domanda su come mai avesse sen-tito il bisogno di passare così tanti anni fuori lui mi risponde, sorridendo: “Per capire il mondo che cambia, è necessa-rio capire un po’ di più la Cina”.
di questa situazione debba essere attri-buita a Saddam Hussein, tanto è dipeso dagli sforzi degli Stati Uniti per governa-re direttamente il paese.Molti dei miei amici Iracheni mi dicono che oggi non vivono meglio di ieri e la cosa peggiore è che non hanno speran-za in un futuro migliore, con o senza la presenza delle truppe statunitensi.Anche se Obama, Bush e tutti quelli che appoggiarono l’invasione vorrebbero di-pingere un quadro a tinte rosa, il futuro dell’Iraq è nero.
A quasi nove anni dall’inizio del conflit-to, gli Stati Uniti hanno deciso di abban-donare l’Iraq.Il Presidente Barack Obama ha affer-mato che l’Iraq di oggi è un paese mi- gliore, più libero e più democratico. Nessuna autocritica è giunta a proposito di un’invasione che è stata un gravissi-mo errore. Nessuna scusa per le men-zogne, per il dolore, per le morti inflitte.Un discorso, quello di Obama, che lo equipara ai suoi predecessori alla Pre-sidenza degli Stati Uniti e, in particolar modo, all’artefice dell’invasione George W. Bush.Appare chiaro che Obama non ha chie-sto l’opinione dei milioni di Iracheni che
hanno vissuto e tuttora vivono circonda-ti da rovine in un clima di violenza quo-tidiana, Iracheni la cui qualità della vita è drasticamente peggiorata in seguito all’intervento americano.Niente rimane di un paese prospero, ricco di petrolio e con un alto livello di reddito.Niente salvo quello stesso petrolio che, però, oggi arricchisce solo le multina-zionali occidentali.La nazione che le truppe statunitensi si apprestano a lasciare ha subito un grave danno politico, economico e psicolo-gico, ovvia conseguenza di 30 anni di guerre civili, sanzioni e occupazioni. Sebbene gran parte della responsabilità
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“Come è nella realtà la situazione irachena? I soldati USA sono andati via dall’Iraq di notte e alla chetichella (ma per trasferirsi tutti nella ex provin-cia irachena del Kuwait) come farebbe un qualsiasi ladro di ap-partamenti. Questo il risultato finale della folle politica ameri-cana per il possesso e il control-lo delle risorse e delle ricchezze di tutto il pianeta.” Tusio De Iuliis, Presidente Associazione di Volontariato “Aiutiamoli a Vivere”
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Cosa pensate possa apparire davanti ai vostri occhi, potendoli riaprire ritrovan-dovi in Canada?Alci e castori? Oppure smisurati laghi, immersi nella natura selvaggia? O anche campi, mazze e squadre di Hockey? O forse soltanto ogni cosa esagerata-mente piu grande di quanto abbiate mai potuto immaginare?
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Bene, il Canada è tutto questo, esatta-mente come lo avevate in testa.Arrivata in Canada, tutto quello che in nove ore di volo avevo immagina-to era lì, grande proprio così, con lo stesso odore e lo stesso colore ma de-cisamente più emozionante.Tutte le ore impiegate per arrivare in Canada bastano a stento per attraver-sarlo tutto.
Un esempio? Potremmo partire da Vancouver, a ovest, sul Pacifico, la metropoli defi-nita dall’Economist come “la più vi-vibile del Pianeta” e soprannominata “HongKouver” per via della molti-tudine di facoltosi cinesi fuggiti da Hong Kong prima che quest’ultima fosse restituita alla Cina.Percorreremmo 4.500 km circa, fino ad arrivare a Montreal, sulla costa orientale, nella zona del Québec, la terza città francofona al mondo, luogo in cui il patriottismo francese cerca da anni di ostacolare o in qual-che modo rinnegare la presenza della cultura inglese, quella prevalente.Parlo io, da italiana, che di Canada ne ho percorso a malapena la metà,
ma ho potuto conoscere ed apprez-zare queste piccole comunità cre-atesi molto lontano dai nostri stretti confini, infilandomi tra le tradizioni delle nostre Little Italy sparse qua e là, tra le pizzerie e i ristoranti in cui la specialità è la mozzarella di bufala, ma dove una pizza può costarti an-che venti dollari!Arrivata sotto le cascate del Niaga-ra non riesci a smettere di pensare quanto lontano sia il punto dal quale sei partita e soprattutto come tu sia finita lì sotto, tra gli spruzzi e l’acqua gelida, immersa nella foschia crea-ta da questa enorme cascata che si estende fino al confine americano (anche negli States hanno la loro par-te di Niagara Waterfalls!).
E tu sei lì, con il tuo giubbino blu, in attesa di salire su questo barcone, poco affidabile all’aspetto, che ti con-duce sotto le fauci di questo gigante naturale che potrebbe risucchiarti in un istante.
E che invece sta lì, fermo, lasciandosi fotografare dai turisti e dai curiosi re-stando immobile, immortale.
Da vicino nessuno è normale.
di Carmela Umbro - foto di Cristiano Testa.
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C’era una volta la città dei matti, un regno libero dal fardello della normalità. Ospitava gli imprevedibili, i visionari, i pericolosi, quelli scomodi: i diversi.
Per troppi anni il regno degli anormali
cessò di convivere con il resto del
mondo e venne relegato in quelle città
ai margini dell’umanità: i manicomi.
La realtà manicomiale romana vede
la luce nel 1913, quando l’Ospedale
Psichiatrico di Santa Maria della Pietà
apre le porte ai primi pazienti.
Una vera città alle porte di Roma, tra
distese e prati senza fine, un sufficiente
confine dal parallelo mondo dei
normali: la segregata vita dei matti
romani si svolgeva lì.
L’iter loro riservato consisteva
nell’espropriazione immediata di tutti gli
oggetti personali, depositati nell’apposita
stanza chiamata “fagotteria”.
Nessuna storia personale doveva entrare
in quel carcere, nessuna distinzione tra
malato e malattia, ma un inscindibile
nucleo in cui anima e corpo si fondevano
in un’unica realtà: la follia.
Nessun contatto con il malato, cartelle
cliniche inaccessibili agli infermieri,
tutti schizofrenici e nessuna diagnosi
differenziale. Si parlava di “regressione”
del paziente ed era assolutamente
impensabile che dalla malattia mentale
si potesse guarire o quantomeno
migliorare.
E poi c’era l’elettroshock, una
macchina infernale volta all’induzione
di convulsioni nel paziente tramite il
passaggio di corrente elettrica attraverso
il cervello.La terapia veniva praticata
su pazienti coscienti, senza anestesia e
rilassanti muscolari.
I pazienti perdevano conoscenza
social zoom
“Si va in manicomio per imparare a morire”
Alda Merini
durante la seduta e subivano violente
contrazioni muscolari incontrollate
che potevano causare fratture ossee e
stiramenti muscolari.Il suo utilizzo nei
manicomi era spropositato e favorito
dall’incompetenza dei medici preposti
a gestire quei reparti, nonché dalla
mancanza di trattamenti alternativi.
Quanto sin qui raccontato è la fase
precedente alla legge che segnerà
il punto di partenza di un processo
rivoluzionario che realizzò un’utopia,la
chiusura dei manicomi, la fine della
prigionia del malato mentale, ma prima
ancora una vera e propria rivoluzione
culturale: la Legge n. 180 del 13 maggio
1978, meglio conosciuta con il nome
del suo promotore, Franco Basaglia.
Uomo di grande valore morale e tenace
psichiatra, Basaglia sin dagli anni ‘60
condusse un’acerrima lotta contro
l’abbandono terapeutico e giuridico dei
pazienti nei manicomi, che durerà molti
anni e lo porterà a scontrarsi contro tutto
e tutti per ottenere la riaffermazione dei
loro diritti di esseri umani.
Un iter legislativo lungo e travagliato,
ostacolato dall’arcaica concezione
della malattia mentale che si trascinava
nelle istituzioni e nella società, secondo
il quale era necessario abolire quel
carcere che i manicomi rappresentavano
ed “entrare in contatto con le persone
nascoste dietro la malattia”.
Il progetto basagliano è volto alla
restituzione della dignità del malato
mentale tramite l’abolizione di ogni
pratica che lo porti ad alienarsi. Ad
esempio, l’obbligo dell’abbandono
degli oggetti personali dei pazienti al
momento del ricovero: “ Se vi togliessero
tutto quello che avete - si domandò
Basaglia - cosa resterebbe di voi?”.
La legge 180 conduce all’abbattimento
delle recinzioni circondanti gli ospedali
psichiatrici, un indimenticabile
momento storico, la riaffermazione
delle libertà fondamentali del paziente
che torna ad essere uomo libero,
sebbene da seguire e curare.
Ciononostante la legge Basaglia non
rappresentò una soluzione definitiva.
Infatti i manicomi furono chiusi
senza predisporre adeguate strutture
alternative, per cui molti malati si
trovarono abbandonati a sé stessi.
Molti pazienti avevano necessità di essere
seguiti in modo più intenso e la loro
liberazione non ne segnò un beneficio.
La situazione è ben lungi, ancora oggi,
dall’essere quel sistema ideale che la
legge Basaglia avrebbe voluto attuare,
vi sono problemi applicativi e difficoltà
diverse in ciascuna regione d’Italia.
Rimane ancora aperta la questione
dei “manicomi criminali” nei quali i
detenuti subiscono trattamenti orribili
e spesso, se poveri, vi rimangono per
molti anni anche per reati di poco conto.
In questi giorni il Senato ha dato il via
libera al decreto cosiddetto “svuota
carceri”, ampio provvedimento in cui ci
si occupa anche delle condizioni degli
ospedali psichiatrici giudiziari (O.P.G.)
regolamentando l’individuazione di
nuove strutture per l’accoglimento dei
detenuti. A ben vedere, sebbene Basaglia
ideò un processo rivoluzionario, la
strada da percorrere è ancora lunga.
Sarebbe bello accostarsi all’idea che il
malato mentale non sia un diverso, ma
un uomo da amare e capire, non così
distante da noi, esseri “normali”.
Finisce così il nostro viaggio all’interno
della città dei matti, con qualche
riflessione e speranza in più, e magari
con l’indefinita consapevolezza che in
fondo, da vicino nessuno è normale.
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Ci vediamo?
Questa volta l’appuntamento è con
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Avete mai pensato all’idea di abbando-
nare tutto quel che sapete sulla vostra
città e il vostro quartiere per lasciarvi
condurre attraverso passaggi urbani che
sino ad ora non credevate percorribili?
Esattamente con questo presupposto,
agli inizi degli anni ‘80, nasce in Francia
l’Art du Déplacement, quella disciplina
metropolitana conosciuta con il nome
di Parkour che insegna a prendere piena
consapevolezza del proprio corpo e ad
alimentare il proprio desiderio di libertà
e di movimento.
Aggirandosi tra le strade di Tor Bella Mo-
naca, in particolare nell’area antistante
il Liceo Scientifico Amaldi, è abbastanza
facile incontrare gruppi di traceur - lette-
ralmente i tracciatori - impegnati a scala-
re pareti verticali, a muoversi agilmente
tra muri e ringhiere, a superare ostacoli
e a improvvisarsi in salti acrobatici sotto
la guida di Fabio Saraceni.
Fabio, conosciuto da tutti come Flow
(flusso) è stato tra i primi in Italia a inte-
ressarsi a questa disciplina e a praticarla
da autodidatta poco più che ventenne.
Solo pochi anni dopo stringerà amicizia
con un gruppo di traceur francesi da cui
apprende le giuste tecniche e i metodi di
allenamento.
Sono proprio le caratteristiche architet-
toniche di Tor Bella Monaca a rendere
questa zona tanto adatta a Flow, Giam-
paolo, David, Patrick e a tutti quelli che
imparano a muoversi elegantemente in
mezzo alle rigide geometrie del quartie-
re, così come un lemure tra gli alberi di
una giungla, arricchendo il quartiere di
una disciplina tanto innovativa quanto
poco conosciuta a Roma e in Italia.
Flow descrive il Parkour come un meto-
do per assecondare il proprio flusso vi-
tale e impedire che la sua energia vada
perduta o finisca col travolgerci. Impa-
rare a considerare percorribile persino
quell’agglomerato di ferro e cemento
che si credeva invalicabile, aiuta il cor-
po e la mente a liberarsi dagli schemi
imposti dalla società e a rivalutare gli
ambienti circostanti secondo nuove pro-
spettive.
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athletic zoom
Da diversi anni Flow è un maestro del Parkour e mette a disposizione le sue capa-
cità per chiunque voglia seguire i suoi corsi a Tor Bella Monaca.
Per informazioni visitare www.momu.it e www.bikorn.com, il sito personale di
Flow.
Per saperne di più su questa affascinante disciplina è possibile visitare il sito web
www.parkour.it.
Per essere aggiornati su tutto quel che riguarda il mondo dell’Art du Déplacement
in italia consigliamo il portale www.rhizai.it
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Suonare. A quattro voci.foto di Francesco Esposito.
Si chiamano Harmonizer, un gruppo vocale tutto al femminile formatosi da nemmeno due anni. Le presentiamo.
C’è Clara Trucchi, in arte Lilyka, vocal coach e responsabile delle armonizza-zioni. Il suo ruolo vocale all’interno del gruppo è versatile, ma predilige le parti da contralto.Poi c’è Deborah Calì, mezzo soprano, che si occupa anche lei di armonizza-zioni.A seguire Eleonora Toiati, soprano, nota per il suo black style e per gli sfarfallii vibrati. Infine, Antonella Palozzi, che tutti chia-mano Stella, il super soprano! Lei si occupa degli acuti e degli ultrasuoni, anche se l’essere umano non li può per-cepire.
Parliamo con Lilyka, classe ‘81, di origi-ne colombiana, orecchio assoluto.
Ciao Lilyka, raccontaci di te. Com’è nata la tua passione per il canto?Ho iniziato a studiare canto nel 2000. Amo profondamente la musica ed è una passione che coltivo fin da bambina. Ho collaborato e mi sono esibita in diversi gruppi nell’arco degli anni, spaziando senza timore dal metal al jazz. In molti mi conoscono come come cantante solista dei MRSWANT, tribute band romana di Elisa con i quali colla-boro dal 2007, accompagnata dalle voci di Eleonora Toiati e Deborah Calì.Nell’ottobre 2010 insieme a Stella An-ton iniziamo a gettare le basi per un nuovo progetto, nato con l’intento di
portare due voci armonizzate all’interno delle discoteche romane. Il progetto prende definitivamente forma nell’inverno del 2011: insie-me a insieme a Stella Anton, Eleono-ra Toiati e Deborah Calì formiamo le Harmonizer.Esattamente com’è nata l’idea del vostro gruppo?La passione rende possibili le idee, e la nostra passione era quella di cantare e di essere noi stesse all’interno di un con-testo musicale variegato ed allo stesso tempo armonico.Perché avete scelto di chiamarvi Harmo-nizer?Un Harmonizer è un dispositivo che consente di creare una o più voci di to-nalità differente rispetto a quella base,
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music zoom
creando “accordi” a partire da campio-namenti. E questo facciamo anche noi, normalmente, nella vita di tutti i giorni con la differenza che trasmettiamo le nostre emozioni e la nostra voglia di divertirci. Quindi diciamo che siamo un Harmonizer molto ma moooolto evoluto.V’ispirate a qualcuno in particolare?Ci ispiriamo all’amore individuale per la musica, ognuna per un diverso genere musicale, e all’amicizia, poi, come nel-le ricette, mescoliamo gli ingredienti e serviamo la torta pronta per chi la vorrà assaggiare. Sperando che piaccia, il che è sempre una grande soddisfazione!Ci raccontate un po’ del vostro percorso artistico?A livello individuale tanto, tra Sanremo
e X Factor... Come Harmonizer, possia-mo dire che dopo soli due mesi di for-mazione siamo state ingaggiate da tre produzioni artistiche per alcuni musical e che abbiamo passato un’estate ricca di date per le principali piazze del centro sud. Inoltre abbiamo vinto un concor-so organizzato da Sky e Sony! Diciamo quindi che non ci lamentiamo affatto, e che, beh ... “LAVORI IN CORSO”.Quali sono i vostri attuali progetti mu-sicali?Sono quelli di quattro bambine sognatri-ci, che amano fare buona musica.Ci piacerebbe partire da una rivisitazio-ne di brani, alla nostra maniera, esplo-rando vari generi musicali, dal pop al black, al retrò, per poi concentrarci su materiale inedito.
Avete qualche sogno in particolare che vi piacerebbe realizzare? Progetti per il futuro?Beh, i sogni son desideri! E possono es-sere integrati nei progetti musicali. Vor-remmo che la nostra passione si trasfor-masse in lavoro, vorremmo emozionare le persone che ci ascoltano, e far pensa-re loro, che con la musica e le parole si può sognare e si può uscire dagli sche-mi, anche quelli più rigidi! Vorremmo che quello che facciamo sia non solo qualcosa che produca denaro, ma pensieri, positività e riflessioni. A voi l’ultima parola…Merda!!!! (Ride). Forse non si può scrivere, ma pare sia di buon auspicio e porti fortuna!
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Periferia romana, fine anni ´90. Lenni e
Claudio sono fratelli e studenti univer-
sitari.
Nelle strade attorno alla “Sapienza” il
fumo tossico dei lacrimogeni sembra lo
stesso di quei favolosi anni di piombo
tanto amati e mai vissuti. Lenni e Clau-
dio mettono in piedi uno sgangherato
servizio d’ordine dei cortei studente-
schi. Ci sono tutti. Un ex sindacalista
cinquantenne, un nerd appassionato di
letteratura, Pippo (vecchio punk quaran-
tenne), ragazze carine, ragazze stupide
e Cipo, un cane libero realmente esisti-
to a Centocelle. Nella testa di Lenni c’è
l’incubo nucleare di Chernobyl che non
gli da tregua da quando, in quel lontano
CORSO FOTOGRAFIA BASE
Docente: Alex Mezzenga
Oggi fare una foto non è difficile, ma
la comprensione di come è nata l’arte
della fotografia e le basi tecniche su cui
è fondata sono, senza dubbio, elementi
necessari per quanti volessero ottenere
qualcosa di più professionale da questa
forma di espressione.
Il Corso Base di fotografia è dunque de-
dicato a tutti coloro che desiderano sco-
prire il fantastico mondo della fotografia
a partire dall’analisi delle tecniche e dal-
lo sudio dei grandi nomi - Henri Cartier-
Bresson piuttosto che Robert Capa - fino
ad uscite di gruppo per sperimentare in
prima persona le nozioni acquisite.
1986, i soldati atomici rimuovevano i
detriti sul tetto di quel maledetto reat-
tore. E nella mente di Lenni la città, con
il suo cemento in crescita, è un enorme
mostro, un superorganismo dotato di
vita propria.
Luna di Lenni è un romanzo di militan-
za, una storia di cani, di manganellate,
botte e musica punk.
Luna di Lenni è un romanzo ecologista e
la Luna è la miglior amica di Lenni.
Round Robin Editrice.
Distribuzione: La Feltrinelli e internet
store.
Emanuele Berardi è nato a Roma nel 1977. Laureato in Biologia vive e lavora come ricercatore in Belgio. Luna di Lenni è il suo primo romanzo.
CORSO DI FOTOREPORTAGE
Docente: Alex Mezzenga
Il corso affronterà i vari aspetti che ca-
ratterizzano la fotografia di reportage,
sia dal punto di vista tecnico e lingui-
stico, sia dal punto di vista applicativo
nel campo della fotografia professionale
e d’autore.
Un’esperienza che permetterà di svilup-
pare la propria capacità di osservazione,
di racconto e di interpretazione dei fatti
sociali, economici e politici.
Un corso per mettere in gioco in modo
pratico, e non solo teorico, la propria
sensibilità e creatività con il quale i vo-
stri sguardi sul mondo diventeranno fi-
nalmente protagonisti.
CORSO DI POST-PRODUZIONE
Docente: Francesco Esposito
Come tutti sappiamo, oggi è possibile
intervenire digitalmente per migliorare
i nostri scatti fotografici.
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nei moduli base, intermedio e avanzato -
è dedicato a tutti coloro che vogliano
iniziare ad affacciarsi al mondo del fo-
toritocco e al restauro dell’immagine
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mix zoom
La terra trema spesso in Giappone.
Trovarsi aggrappati alla reception della
scuola di lingua qualche anno fa, tra le
risate sommesse delle segretarie non è
proprio il massimo, ma in Giappone un
terremoto così fa divertire anche i ficus
nei vasi degli uffici.
Quando quell’11 marzo la terrà ha tre-
mato, nessuno in realtà rideva degli stra-
nieri che scappavano terrorizzati fuori
dagli edifici.
Pio d’Emilia, inviato di Sky, giornalista
di lunga esperienza era lì, a Tokyo sul
suo motorino in pieno centro.
Si è fermato e gli è bastato guardarsi in-
torno e vedere così tante persone ferme
guardare all’insù, per capire che in real-
tà era successo qualcosa di molto grave.
Inizia così un diario di 30 giorni in cui
Pio, l’unico ad essere arrivato davanti ai
cancelli della centrale, parte in modo
rocambolesco alla volta di Fukushima,
tra le bizzarrie degli autoctoni in divi-
sa, le spesso gravi defaillance nelle in-
formazioni ufficiali e la compostezza
dei cittadini anche nei momenti in cui
la dignità umana sembra essere ridotta
all’osso.
Attraverso una narrazione dallo stile
ironico e tagliente, D’Emilia ci racconta
una delle tragedie nucleari che hanno
maggiormente influenzato la nostra po-
litica energetica e modificato gli equili-
bri internazionali.
Pio D’Emilia, storico collaboratore de Il Manifesto, giornalista italiano emigrato in Giappone da oltre 20 anni, e attual-mente corrispondente di Sky TG24.