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XXX SETTEMBRE MDCCCLXXXlll

P E R VA

IN l'ONTEDERA DEL TENENTE GENERALE

CAV. LUIGI STEFANELLI

PAROLE del Cav. Avv. Leonardo Bottini

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PONTEDERA COI TIPI DI MASSIMO RISTORI

1884

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XXX SETTEMBRE MDCGCLXXXlit

ALLA VENERATA MEMORIA

DEL CAVALZER LUIGI STEFANELLI

TENENTE GENERALE NELL' ESERCITO NAZIONALE

CITTADINO PATRIOTTA SOLDATO

PROBO LEALE VALOROSO

NATO IN QUESTE MURA

IL GIORNO 7 MAGGIO 1804

QUESTO RICÒRDO

IL MUNICIPIO DI PONTEDERA

REVERENTE DELIBERAVA

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Pontedevesi

Suum cuique docus postorìtas i-ependit, TACITO. Ann. 4.

N o i che il di 11 Giugno 1878 sacrammo un monumento ai nostri caduti sul campo di battaglia nelle guerre dell' Indipen-denza, riceviamo oggi con orgoglio, o Signori, dagli eredi, la spada del generale LUIGI STEFANELLI, quella spada da Lui brandita sugli stessi campi, ove la mercé di tante nobili vite fu a noi con-quistata la Patria. Chiamato dalla Giunta Comunale all'onore di parlare innanzi a voi in tale occasione, forza è che la mente ricorra gli eventi meravigliosi che, sebbene vicini, sembrano a noi che. pur gli ab-biamo traversati, memoria di tempo lontano, tanto grande fu lo sconvolgimento di uomini e di cose che produsse il rapido e for-tunoso loro avvicendamento. Che se a ricordare in brevi parole tanta e sì svariata mole di fatti solenni, nei quali ebbe parte non ultima, il compianto nostro concittadino; la forza dell' ingegno e l'eloquenza del dire mi facciano difetto, m'impetri venia da voi, o Signori, il buon volere con cui tenni l'onorevole invito. Sparito appena Napoleone dalla scena del mondo che riempito avea del suo nome per tante geste; stupiti ancora i potentati dellarlgro stessa vittoria, inebriati dimenticarono di aver chia-mati^popoli a libertà, contro l'Uom fatale che già avea passato il segno prescritto ai suoi-destini dalla Prov videnza; e turpemente violando le sacre promesse, mercanteggiati a libito i popoli stan-chi di tante guerre, volsero con ogni cura la mente a distrugr

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g'ere quelle migliorìe, quegli ordini politici, quella civile libertà che quel Grande avea loro arrecato. Troni ed altare stretti al medesimo patto, ritorsero le vecchie catene e tentarono ogni via per far ritorno ad un passato divenuto impossibile. Così in Fran-cia le orgie della Restaurazione; in Germania le società segrete state prima ai Principi che vi si erano ascritti mezzo potente di guerra, divenute allora causa di proscrizioni e di stragi; in Italia le carceri, gli esilii, il patibolo, furono il frutto che i popoli tras-sero da tanti sacrifizi. Non pensarono però quei potentati che l'idee sono come l'oro d'Orazio che penetra nelle torri di bronzo; che non si combattono nè si vincono con le catene, con le carceri, con le torture; non pensarono che la libertà, figlia di Dio, è tal frutto che, una volta gustato, più non si scorda, e che non vi ha barriera che possa arrestare il progresso fatale della umanità. Il perchè non era ancora asciutto l'inchiostro con cui si ste-sero i protocolli della Santa Alleanza; che i popoli tentarono scuotere il grave giogo, ed in Italia dove non erano merce nuova i famosi principi! dell' 89, di cui i Francesi si vantano i. primi banditori, i moti del 21 e del 31, mostrarono come gì' Italiani frementi dello straniero giogo loro imposto, mal tollerassero le catene di cui erano avvinti. Non parrerò quei fatti che sono le pietre miliari del cammino degli Italiani sulla via della libertà. Sarebbe opera vana rammen-tare i tanti nomi del glorioso nostro martirologio, ché ognuno li conserva scritti indelebilmente nel cuore. Basterà quindi notare come per le torturo e pel sangue di quei; generosi', la idea di In-dipendenza, di libertà, prima culto delle menti educate agli studi, trapassò nella universalità dei cittadini. Il perché quando nel 1846 Pio IX, Pontefice troppo lodato e troppo biasimato, bandi la famosa parola.del perdono; la sua voce divenne subito nel popolo, quasi per intuito, arra di libertà, di In-dipendenza. Esso, Pio IX, esultante del plauso universale, che fino tra-gli infedeli gridava Osanna al suo nome, si mise inconsa-pevole per quella via in .cui il popolo lo chiamava, nella quale, per la confusione in ; se dei due reggimenti, doveva poi con tanto sca-pito della Religione e suo iiia;leaiiguratamente bru ttarsi. 0 voi giovani che mi ascoltate, voi non vedeste, ma noi ricor-diamo ancora con meraviglia quei. tempi in cui alla voce, del suo Pontefice tutta Italia si versava nello vie delie sue cento città; e plebe, popolo e ottimati, uniti, concordi, pieni di fede, bollenti di vergine e disinteressato entusiasmo, plaudivano come se|g(fi a -vessero conquistata quella indipendenza dallo straniero, quella libertà che era nei voti di tutti..Chi 6 di.noi che non esulti ancora ricordando l'accorrere dei baldi giovani sui campi lombardi, ove

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Re Carlo Alberto era già sceso col suo prode esèrcito contro lo straniero ? QuaLcuore non batte ancora di orgoglio ai nomi glo-riosi di Curtatone, di Montanara, di Goito, di Pastrengo? Giorni di gioia ineffabile erano quelli, giorni di liete speranze, che troppo presto dovevano cangiarsi in giorni di sventura e di lutto, affin-chè gli Italiani imparassero a tener cara la libertà, dai sacrifizi che sarebbe loro costata. La mala fede dei minori Principi d'Ita-lia, l'odioso tradimento dello sterpone Borbonico, la debolezza di animo e li scrupoli del Pontefice iniziatore, aiutanti od aiutati dalla demagogia, fecero capo dopo lo prime sventure, all' orgie rivoluzionarie di Milano, per lo quali fu dato ad una plebaglia sguinzagliata e feroce, cuoprire di oltraggi quel Re, che solo pella Patria avea posto la corona e la vita. Turpe pagina della nostra Storia, vinta solo da quella di poco posteriore, in cui leg-geranno i nepoti come, vinto il forte animo dàlie crescenti intem-peranze della demagogia, Re Carlo Alberto, benché non anche pronto alla riscossa, facesse denunziare la tregua, , per lasciare la corona sui sanguinosi campi di Novara e condursi a morire ih Op orto di crepacuore martire della Patria. Si, o Signori, quel Re che nel 1821 ebbe nome di traditore, fu martire della Patria. Ed io mi penso fosse Divino volere che, questa nostra Terra per cui tanti, nati di popolo e di ottimati a-veano dato lietamente la vita, avesse tra i suoi martiri anche un . -, Re; perchè fosse nel sangue sparso a Novara, cementato in per-petuo il patto solenne che legar doveva gli Italiani alla più an-tica, alla più pura, alla più leale, alla più gloriosa delle: Monar-chie europee, a quella Monarchia che in un millenio di regno non ha dato un tiranno; affinchè essa, presi arditamente in mano i destini del popolo, lo guidasse ad unità, libertà e grandezza; e questo a sua volta, la insediasse in. Campidoglio, a sciogliere il lungo voto dei nostri vati, segnando una.nuova era al mondo. In questi primi atti del nostro risorgimento, ebbe parte Luigi Stefanelli, allora ufficiale nelle milizie Toscane. Molti si ricor-dano di averlo veduto qui, in tempo di congedo, darsi volenteroso ad organizzare la Guardia Civica, istruendola con quella energia che era la tempra della sua natura, nelle militari discipline, tanto da farla parere composta di uomini da lungo tempo adde-strati a trattare le armi. Scoppiata la guerra con l' Austria, fu in Lombardia, ove sì bene si comportò alla testa del suo batta-glione in quella tanto breve quanto memorabile campagna, che si ebb&due minzioni, onorevoli, una dal Re Carlo Alberto, l'altra dal Granduca Leopoldo, da cui poi fu fregiato della decorazione di anzianità e nominato cavaliere;di seconda classe dell'ordine del merito militare. Tòrnato dopo la campagna in Toscana, fu fe-, dolo al giuramento prestato, ed adattatosi cogli altri patriotti

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_ 8 — — 9 — per-il meno peggio alla tristizia dei tempi, fu fra quelli che vol-lero Ja spontanea restaurazione del Granduca, per risparmiare alla Toscana l'onta della occupazione straniera. Fremè 1' animo suo leale pella mal tenuta fede del Principe, ma vinto dall'amore.; delle armi, tutto si dette a disciplinare i suoi soldati e si ebbe < perciò fama di eccellente ordinatore e grado* di comandante di brigata. In quei tristissimi giorni,-nei quali tutto spirava rea-zione, egli, mantenendo la fede giurata, senza farsi però piaggia-tore eli alcuno, serbava nell'animo gelosamente custodita la spe-ranza di un migliore avvenire, pel quale seppe educare i soldati che comandava. /

Intanto le follie dei proconsoli d'Austria; il mal governo del. Borbone che il ministro inglese stigmatizzava come la negazione di Dio; la reazione pazzamente folleggiale nelle Romagne con ogni maniera di angherìe, di,vessazioni, di torture; l'incrudelire dell'Austria nella Lombardia e nella Venezia, preparavano !; tempi nuovi. Spenta era dovunque in quel doloroso decennio la libertà del pensiero e dellapàrola; cercati e trattati come sgherri,; tutti coloro che avean nome di amare la patria; la stessa Toscana,: malgrado la mite natura del Principe, e la spontanea restaura-zione di lui per il suo popolo, avea visto arrestare, processare & squarciare il petto dei suoi figli dalle palle Austriache è riporre in onore il patibolo, la cui abolizione l'avea resa famosa. Tutta Italia meno il Piemonte, era immersa nel lutto. Colà soltanto si respirava, si viveva, e gli Italiani tenevano fisso lo sguardo nel giovane e forte suo1 Re come a faro lucente in buia e tempestosa nòtte. Tutti rammentavano <̂ on gratitudine come egli, il fatidi-camente chiamato, raccolto il vessillo caduto, ma non senza ono-re,; a Novara; alto lo sollevasse, perchè intorno a lui si serrasse* il fiore dei filosofi, dei politici, dei guerrieri d'Italia. Come fino dai primordi del suo regno, schiacciata con una mano l'incon-sulta licenziosa ed infuriata plebaglia sotto le mura di Genova, con l'altra accogliesse amoroso gli esuli delle rimanenti province» Rammentavano come riordinato e ben munito l'esercito, lo; in-viasse a cuoprirsi di gloria nella lontana Tauri de, perchè il suo< ministro potesse1 poi assidersi nei consigli della attonita Europa: a parlarvi d'Italia. Come ftà&hnonté afforzatasi di potente al-leanza, mercè il doloroso sacrifizio della culla della sua casa, stesse impavido aspettando';gli eventi vaticinati dal più grande dei moderni filosofi e che la sagacia del suo ministro avea di: lunga mano pràparati. Giunse finalmente pel gran Re il sospirato giorno in cui potè dichiarare in Parlamento in mezzo ai deputati e ai Senatori a t -tenti e commossi, che esso non era insensibile alle grida di do-lore, che si inalzavano verso di lui da tante parti d'Italia*.

Laonde' l'Austria ingrossava di continuo di armi e di armati nel Lombardo-Veneto e il 25 Aprile intimava al Piemonte di disar-mare, di rimandare i volontari ai loro paesi. Chiedeva risposta entro tré giorni e faceva mallevadrice la Sardegna delle conse-guenze. Il dado era gettato, tutto quanto era possibile alla umana prudenza, popolo e Re lo avevano compiuto; alla Provvidenza spettava ormai il resto. Non dirò gli eventi di quella breve e gloriosa campagna, per-chè si sono compiuti sotto gli occhi anche di voi o giovani che qui mi porgete benevola attenzione; dirò invece brevemente della parte presavi dal nostro Generale. Il giorno della incruenta rivoluzione Toscana, quel giorno in cui i Lorenesi, memori del vergognoso spergiuro, sparvero alla prima aura di libertà, come nebbia avanti la faccia del Sole, trovò il nostro Generale a Lucca, da, dove il Governo provvisorio della Toscana lo inviò fra Pietra-santa e le Fili gare al comando di un corpo che doveva tenere in rispetto gli austriaci occupanti allora Bologna. Incarico onore-volissimo fu questo in quel momento, poiché mostrava la fiducia che il Governo poneva in lui comandante allora i veliti, milizia la meglio affezionata fra le Toscane alla fuggente famiglia gran-ducale. E qui ben si parve quanto fosse l'ascendente che il Gene-rale avea saputo acquistare sui suoi soldati, perchè egli seppe cosi presto e bene rafforzare e mantenere in essi la disciplina un po' scossa da quel subitaneo rivolgimento, da meritarne pubblici elogi dal Principe Napoleone, nella rivista del V Corpo cui era stata unita la Divisione Toscana. Se la destinazione di quel corpo di esercito, non concesse allo Stefanelli di prender parte alle gloriose battaglie di quella me-morabile campagna, egli seppe però mostrare il suo amore pella Patria quando, fermati improvvisamente a Villafrahca dalla so-spettosa Europa i vittoriosi eserciti alleati, le arti della politica sottentrarono alle armi. Quell' improvviso evento, apprese a tutti come l'Italia, senza essere una, non avrebbe avuto mai li-bertà vera; il perchè dà quel momento gli Italiani e tutti gli uo-mini che dirigevano il movimento, volsero arditi a quello scopo ogni lor cura. Numerosi, delicatissimi e pieni di onore furono gli incarichi al Generalo affidati in questo solenne periodo del no-stro risorgimento, Molti furono allora i tentativi fatti sulle mili-zie Toscane vuoi pella restaurazione della famiglia lorenese, vuoi per la creazione di un regno dell' Italia centrale a vantaggio del Principe Napoleone. Il Generale con ferrea volontà, con opero-sitàsenza pari, seppe sventare ogni briga. " A lui stesso furono offerte cospicue somme perchè coi suoi tentasse l'impresa. Sdegnosamente respintele, accompagnava il messaggero fuori degli accampamenti, minacciandolo di morte

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— 10 — se fosse tornato. La severa disciplina che mantener sapea fra i soldati, non disgiunta da giustizia, glie ne avea guadagnato l 'a-more, tantoché malgrado i tentativi di corruzione da cui erano-circondati, votarono come xm solo uomo l'annessione. Del suo o-perare egli ebbe il premio meglio ambito dagli animi generosi, la pubblica lode del Dittatore Farmi, il quale, passando per Forlì nel 27 Febbraio 1860, ebbe a dire che la Divisione Toscana, con la sua presenza, col suo fermo conlegno nelle Legazioni e nei Ducali, aveva tanto bene meritato della .Patria, .quanto le. al--tre Divisioni dell' esercito che avevano combattuto e vinto a S. Martino. Giusto ed onorato compenso fu questo pel.Generale, il quale pur anelando nell'animo fiero i tumulti delle battaglie, aveva dovuto accettare con abnegazione uffici meno brillanti ma non meno utili alla Patria. E di pari elogio egli fu degno quando il leggendario Eroe del popolo Italiano, calcando coi suoi mille la via preparatagli dal'gran Cavour, si condusse a distruggere nella Sicilia e nel Regno l'esecrato dominio.Borbonico; e le armi di Re Vittorio ingrossavano alla Cattolica per entrare negli stal i tuttóra soggetti al Pontefice. In tanto rivolgimento di armi e di armati, il Generale costretto all' inazione, rodeva di mala voglia il freno. Tutto tentò presso ìl ministro per prendere parte attiva alle lotte che si preparavano; ma il ministro rispondeva che, pur apprezzando il suo desiderio, non poteva privarsi dei di lui ser-vigi in un posto di tanta fiducia come quello che occupava la sua Divisione, destinata a respingere uiv temuto assalto degli Au-striaci, quando gli Italiani avessero oltrepassata la Cattolica., I suoi servigi, la sua abnegazione furono però nobilmente ricom-pensati", essendo egli stato di lì a poco promosso Luogotenente Generale comandante la Divisione di Cremona. Quetatele armi, l'opera sua nel licenziamento dei volontari e nell'ordinare nell'esercito i soldati licenziati dall'Austria, fu tanto apprezzata che ne ebbe élogi dal Generale d' esercito Du-rando, il quale nel 1863 lo traslocò al comando della Divisione di Bari ove rese utilissimi servigi nel combattere i briganti, di-struggendo in tre importanti avvisaglie la banda del famigerato Pizzichicchio. Per questi, il-Re cT Italia lo nominò grande ufìiciale dell'ordine dei Ss. Maurizio e lazzaro e gli conferi poi la Com-menda della Corona d'Italia, concedendogli nel I8(54.pelle suo rei-terate istanze un onorato riposo. - ; ; Luigi Paolo Stefanelli nacque in questa casa il di 7 Maggio 1804 da Pietro e Luisa Gabbrielli di onesta ma umile condi-zione. Fino da bambino mostrò natura fiera ed energica, tan-toché con l' aiuto dei parenti, fu posto in Firenze nel collegio dei Cadetti da dove passò Sottotenente nelle milizie. Toscane, dedicandosi alle armi cui lo chiamava l'indole sua. Fu di sta-

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11 tura inferiore alla media, ma ben proporzionata e robusta; di indole impetuosa ma buona; severo ma giusto ad un tempo e generoso. Amatissimo però dai soldati, tanto che il Generale Garibaldi che visitavalo nel suo ritiro di Castelfranco soleva dire* che il Generale teneva stretta in pugno la sua Divisione. Nato di popolo, fu uomo di azione più che di studio, e con l'onestà, la lealtà, l'operosità, la costanza; seppe sollevarsi, esempio a noi suoi concittadini, dall' infimo ai più elevati gradi della gerarchia militare. Nella sua lunga ed onorata carriera, in tempi così diffìcili, in mezzo a tanto variar di uomini e di cose non tentennò, nè pencolò inai, lasciando onorata memoria nell'esercito. A sessanta anni, ottenuto il riposo giustamente dovuto ai suoi lunghi servigi, volle ridursi in Patria, per vivere con noi suoi concittadini che mai aveva dimentichi nell'alto grado cui era salito, a godersi in pace le gioie della famìglia. Con suo dolore non potè compiere l'ambito progetto non trovando qui comoda stanza. Si ridusse allora nella vicina campagna di Castel-franco, ove visse amato e rispettato da tutti finché morte non lo tolse ali* affetto delle figlie, dei parenti, degli amici, al rispetto dei concittadini. Oggi non rimane di lui che la onorata memoria e questa spada che vi si offre, la quale, se contraria fortuna, non volle guidasse i soldati alla yittpria, non fu mai tratta però dalla guaina per causa meno cìie giusta e onesta. Pigliatela dunque o Signori con rispetto per conservarla fra le cose nostre più care e preziose. Rammenterà essa a noi come la oscurità della nascita, la povertà del censo, non sieno d'ostacolo a chi ̂ fortemente vuole ed opera, a sollevarsi ai più elevati gradi sociali. Rammenterà, al nostro popolo che essa, validamente contribuì a conquistarci la libertà, la indipendenza, la Patria che oggi godiamo; lunga aspirazione di secoli, voto di tanti eroi, frutto di tante torture, di tanto sangue, di tanti sacrifizi/Essa ci ricordi l'obbligo sacrosanto di conser-vare con cura ed amore il glorioso acquisto, difendendolo dagli esterni nemici, e più dagli interni, i quali predicando oggi teorie nuove di governo, distruggitrici di ogni ordine morale, civile e politico, cercano traviare il popolo, ^ facendo brillare ai suoi occhi speranze fallaci, tentano trarlo su di una via ove esso tro-verà il disordine, il vizio e la miseria; la Patria, la distruzione e la ruma. Predicano questi arruffapopolo una religione che ogni vincolo fra l'intelligibile e il sovraintelligibile distrugge. Parlano di governo e ad ogni legge, ad ogni regola sostituiscono il libito personale. Dicono voler liberare il popolo, e libertà non conoscono essendo i più feroci fra i tiranni. Insognano una morale che an-nienta perfino la famiglia. Promettono al popolo la ricchezza, e vogliono, nuovo progresso economico, distrutta la proprietà che

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ne è il fondamento. Mostrano di avere l'amor della Patria in cima ai loro pensieri, e tanto smisuratamente il concetto di quella al-largano, che ogni Patria distruggono. • Alle dottrine di questi non so se io dica tristi o sciagurati, che han rizzato cattedra anche fra noi, risponda il nostro popolo tenendosi incrollabilmente fermo alla fede degli avi; all' amore della famiglia, del lavoro, del risparmio, uniche sorgenti di pro-sperità, di ricchezza pubblica e privata. Rispondali nostro popolo osservando con amore il patto solenne cho lo lega alla secolare Monarchia di Savoia cui tanto deve l'Italia; e in ogni periglio, in ogni cimento che dal di fuori ne colga, in ogni caso di interno disordine, il grido nostro unanime, costante, sia quello che il Generale Stefanelli fé' gettare ai maltentati suoi prodi guidan-doli nell' esercito Italiano. Viva il Re, viva l'Italia.

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