XXIII Rapporto Congiunturale CONFAPI Sardegna

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Il Rapporto Congiunturale CONFAPI Sardegna sull’andamento delle PMI che operano nella nostra Isola, giunto alla ventitreesima edizione, si propone, come sempre, di rappresentare una concreta occasione di riflessione per la nostra Associazione e in generale per gli attori del territorio, in particolare le Istituzioni, le imprese, gli istituti bancari e i Confidi, per formulare ipotesi sull’evoluzione del quadro congiunturale dell’economia regionale, almeno per quanto riguarda la parte produttiva basata sul tessuto delle piccole e medie imprese.

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A cura del Centro Studi e Ricerche CONFAPI Sardegna:

Pierangela Pisu Simona Ledda Paolo Farci

Hanno contributo alla rilevazione:

Andrea Carta Nicoletta Rilla

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INDICE XXIII RAPPORTO CONGIUNTURALE CONFAPI SARDEGNA

L’andamento delle PMI in Sardegna nel 2010 e le previsioni per il 2011.

Presentazione Pag.

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Lo scenario generale e i principali risultati “

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Gli indicatori dell’andamento delle PMI “

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I mercati di sbocco “

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Gli investimenti “

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La gestione finanziaria e i rapporti tra imprese e sistema del credito “

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Dati di struttura delle imprese CONFAPI Sardegna contattate “

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Nota metodologica e Allegato statistico

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Presentazione Il Rapporto Congiunturale CONFAPI Sardegna sull’andamento delle PMI che operano nella nostra Isola è giunto alla ventitreesima edizione: un interesse crescente da parte del mondo produttivo ed economico in genere ha accompagnato la realizzazione del nostro “osservatorio delle PMI” avviato quindici anni fa. Il Rapporto Congiunturale si propone di rappresentare una concreta occasione di riflessione per la nostra Associazione e in generale per gli attori del territorio, in particolare le Istituzioni, le imprese, gli istituti bancari e i Confidi, per comprendere come poter affrontare e superare insieme l’attuale fase sfavorevole e densa di incertezze. Lo studio dei temi economici e delle problematiche che riguardano il processo di crescita del sistema produttivo regionale si conferma un punto centrale della nostra Associazione. L’obiettivo generale è quello di favorire la definizione di concrete proposte di politica economica da rivolgere alle Istituzioni di vario livello: da quelle comunitarie a quelle locali. Al fine di mantenere un filo conduttore con le passati edizioni, il Rapporto si articola lungo quattro filoni principali di approfondimento: la performance degli indicatori congiunturali più importanti (fatturato, ordini, utile di gestione caratteristica e livello di indebitamento, numero di occupati), l’apertura delle imprese a mercati extraregionali, la propensione delle imprese ad investire e il rapporto tra imprese e banche, di significativo interesse alla luce dell’attuale crisi economica che le piccole e medie imprese stanno affrontando. Il periodo preso in considerazione è il 2010 e, in chiave previsionale, appunto, il 2011. I dati congiunturali sono divenuti strutturali, in quanto inseriti in serie storiche lunghe sino al 1996 (la prima edizione del Rapporto Congiunturale riguardava le performance delle aziende nel corso di quell’anno). L’indagine, come è tradizione, si avvale di un campione regionale complessivo significativo: in questa edizione la sua ampiezza è pari a 304 imprese piccole e medie della tipologia rappresentata da CONFAPI Sardegna, distribuite in vari “sottocampioni” settoriali e territoriali. In ogni caso, per i più curiosi, si rimanda alla presentazione particolarmente dettagliata dei dati nell’Allegato Statistico, in cui vengono riportate le tabelle contenenti informazioni relative anche ai vari settori produttivi presi in considerazione nel Rapporto.

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Lo scenario generale e i principali risultati La crisi economica in atto dal 2008 si è riflessa nell’assottigliamento della base produttiva sarda, comportando il taglio delle spese per gli investimenti e la perdita di migliaia di posti di lavoro. Come il tendenziale dei principali indicatori rivelava negli anni scorsi, il 2010 è stato l’anno della “perdita del lavoro” per altre centinaia di migliaia di lavoratori impiegati nelle imprese che oggi fanno fatica a sviluppare piani di riconversione o di rilancio industriale e di nuova conquista delle posizioni commerciali perse nei tre anni precedenti. In controtendenza allo scenario internazionale e in misura minore a quello nazionale che sembrano rivelare segnali ottimistici di ripresa, nel 2010 e nell’anno in corso la crisi produttiva in Sardegna sembra essere esplosiva con cumulo preoccupante degli effetti specialmente sui livelli occupazionali. Vi è da sperare che tale situazione sia consequenziale al fatto che, come la crisi del sistema produttivo è giunta con circa 6-9 mesi di ritardo, anche la ripresa trovi slancio secondo un effetto simile a quello “della pietra nello stagno”, oramai osservato già in svariate circostanze. Guardando al quadro che emerge con riferimento al triennio 2008-2010 in chiave consuntiva quanto al 2011 in chiave previsionale, la situazione rilevata sembrerebbe indicare che solo una parte corrispondente a circa un terzo del mondo delle micro, piccole e medie imprese che operano in Sardegna è capace di evolvere sul piano manageriale e di conquistare nuovi spazi competitivi o di consolidare le attuali quote di mercato, mentre aumentano le imprese che sono in crisi buia o comunque fanno fatica a tenere le posizioni di mercato e tendono a occupare progressivamente un ruolo sempre più marginale. La crisi dei mercati in atto sta accelerando in modo rilevante il processo di selezione virtuosa della crisi strutturale di medio-lungo termine delle imprese che sarebbero in ogni caso giunte progressivamente a cessazione, a causa del cambiamento della domanda e/o della obsolescenza delle tecnologie impiegate nella produzione e sta generando una ulteriore contrazione della base produttiva regionale, coinvolgendo anche le imprese sarde meno strutturate che hanno subito un drastico ridimensionamento della capacità di mantenere o raggiungere un efficace riposizionamento competitivo nei mercati. Queste considerazioni trovano una conferma quando si prendono in esame le tendenze relative alle vendite registrate, alla marginalità lorda e ai livelli occupazionali. Il numero di PMI con fatturato in calo, pari al 46% del campione e quello delle imprese con marginalità lorda in diminuzione rispetto

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all’anno precedente, addirittura pari al 47%, rappresentano i dati negativi mai raggiunti in tutta la serie storica rilevata a partire dal 1996. In passato, il 30% circa delle PMI tendeva a incrementare il numero di addetti rispetto all’anno precedente, mentre il 10-12% tendeva a ridurlo: nel 2010 è accaduto esattamente il contrario. Il numero di aziende che hanno ridotto i propri organici nel 2010, seppur in leggero miglioramento rispetto al 2009, resta decisamente elevato rispetto ai quindici anni presi in considerazione: 26%; mentre quasi 7 imprese su 10 hanno tenuto (talvolta a fatica) gli stessi addetti. Le imprese, quindi, con sacrifici cercano di mantenere la propria capacità strutturale la quale rappresenta la stessa sopravvivenza, consapevoli che il taglio di maestranze e tecnici qualificati in anni di lavoro o anche di addetti e collaboratori preziosi per la realizzazione delle commesse comporta la conseguente incapacità di stare sul mercato. A tal proposito appare assai importante ogni possibile intervento pubblico mirato a ridurre il costo del lavoro, per la parte fiscale e previdenziale, in Italia decisamente più elevato che in tutti gli altri Paesi diretti competitor sui mercati dei beni intermedi e in generale sui mercati nazionali. Considerata la situazione di grave crisi, circa le aspettative degli intervistati la richiesta che viene dal mondo produttivo è che si adottino interventi che dovrebbero essere assicurati innanzitutto dalla maggiore capacità e responsabilità di spesa della stessa pubblica amministrazione di livello regionale, ma anche provinciale e comunale rispetto al passato. A tal fine, il cosiddetto patto di stabilità sulla spesa pubblica e la prossima attuazione del federalismo fiscale (pure da correggere), attualmente ancora in fase di discussione, dovranno essere necessariamente rivisti per evitare che, pur essendo disponibili le risorse finanziarie, queste non vengano spese in tempi utili o non vengano spese per niente. L’attuazione del federalismo, quindi, deve essere colta dalla Sardegna come un’occasione storica di sviluppo, in quanto può rappresentare l’esaltazione del possibile connubio tra responsabilità ed efficienza dell’azione amministrativa, programmazione e attuazione degli interventi, valutazione dell’efficacia delle politiche di sviluppo e responsabilità della decisione politica delle istituzioni Regione ed Enti locali. In relazione alle politiche di sostegno alle imprese, la gran parte degli imprenditori evidenzia la necessità di adottare precise strategie di policy su tre versanti in particolare: le infrastrutture, la riforma degli strumenti di incentivazione di nuovi investimenti da parte del sistema imprenditoriale e la scelta di specifici volani economico-produttivi. Sul fronte infrastrutturale, resta fondamentale che si sblocchino quanto prima tutte le procedure di finanziamento previste per la realizzazione ex novo, il completamento o la manutenzione nell’Isola delle opere di infrastrutturazione

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inerenti i trasporti fisici e le reti idriche, energetiche e telematiche, il cui stato attuale in termini di qualità e costi continua a rappresentare un freno per lo sviluppo delle imprese. Circa la riforma degli strumenti di incentivazione di nuovi investimenti, gli intervistati richiedono con decisione che la riforma sia accompagnata da un intervento massiccio sul piano finanziario, in particolare per quanto riguarda l’incentivazione di investimenti innovativi per lo sviluppo di progetti di ricerca e sviluppo tecnologico e mirati a inserirsi in filiere verticali o orizzontali. La funzione pubblica dovrebbe essere quella di creare le condizioni ambientali favorevoli a stimolare la cultura dell’innovazione ad esempio promuovendo la collaborazione tra imprese ed enti di ricerca, incentivando solo i progetti di ricerca industriale collegati a progetti di industrializzazione con cui le imprese possono presentarsi sul mercato. I successi di mercato saranno certamente gli elementi che più di tutti nel tempo corroboreranno la propensione anche di altre imprese verso l’innovazione dei prodotti, dei processi e dei modelli di business. Per favorire gli investimenti innovativi, sarebbe molto importante che sia previsto nella rete Innova.Re. un ruolo specifico per le Associazioni imprenditoriali maggiormente rappresentative del sistema produttivo regionale e impegnate in settori sensibili rispetto all’innovazione. Tale ruolo dovrebbe garantire una immediata fluidità delle informazioni verso le imprese e dall’altra parte una più produttiva definizione dei progetti presentati da parte delle imprese. Le scelte di policy dovrebbero, inoltre, puntare alla valorizzazione del patrimonio ambientale in chiave turistica; alla scelta delle fonti energetiche rinnovabili e l’opzione metalmeccanica della produzione o dell’assemblaggio in Sardegna di sistemi per il fotovoltaico e il microeolico; al rilancio del distretto IT; alla costruzione di un sistema biomedicale funzionale a fare dell’Isola un sito per il benessere personale, anche con l’integrazione delle tecnologie ICT; all’opzione culturale, con l’integrazione della filiera turistico-culturale-enogastronomica e dei servizi collegati; al recupero del patrimonio edile, con incentivi mirati per il recupero e il ripristino, con tecnologie moderne, dei tratti tradizionali architettonici delle comunità locali piccole e grandi presenti in Sardegna; infine, ma non per importanza, al potenziamento del sistema produttivo primario al fine di integrarlo nelle produzioni agroindustriali di qualità, anche con la valorizzazione del brand ambientale della nostra Isola. Altro intervento prioritario, almeno in termini di avvio della progettazione e realizzazione, riguarda la riconversione degli apparati industriali in fase di dismissione attualmente presenti in Sardegna. Essa va intesa nel senso della specializzazione

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delle grandi presenze industriali (leggi chimica verde e ingegneria dei materiali) e/o nel loro cambiamento verso nuovi settori in forte crescita come la nautica, l’agroindustria di qualità, l’elettronica e le nanotecnologie, le biotecnologie ecc. In questo caso vanno programmati il processo di risanamento ambientale, certamente a carico delle stesse grandi industrie, e la riorganizzazione degli spazi industriali, i quali dovrebbero essere impostati in modo da rendere via via disponibile la localizzazione di nuove aziende capaci di investimenti innovativi. In conclusione, la situazione di crisi attuale dovrebbe essere affrontata con un cambiamento radicale delle scelte di policy che abbiano come riferimento la Sardegna del 2020. Gli intervistati si auspicano che la Cabina di Regìa dell’impresa, avviata di recente dalla Regione, possa concretamente attivare un processo costruttivo con il mondo economico della Sardegna per attuare una proposta programmatica in grado di intervenire e rilanciare i comparti produttivi dell’Isola, attraverso i piani straordinari del lavoro e dell’impresa.

La propensione all’export delle PMI sarde

A confermare lo scenario generale sono le considerazioni che si possono fare quando si prende in esame la propensione delle imprese ad aprirsi ai mercati extraregionali. E’ tornato leggermente a diminuire il numero di imprese che vendono unicamente in Sardegna e contemporaneamente aumentano le PMI che si rivolgono oltre che al mercato sardo anche a quello nazionale e internazionale; tuttavia, è in calo il numero di PMI che vendono solo in Italia e/o all’estero, in particolare nei Paesi dell’Unione Europea. La dipendenza in termini di valore del fatturato proveniente dalle vendite effettuate nel mercato regionale è ancora decisamente elevata, 83%, ma è la seconda più bassa di tutta la serie storica. Sembrerebbe dividersi il sistema delle imprese sarde. Una parte di esse, consapevole dei limiti dimensionali del mercato sardo, tende a rivolgersi ai mercati extraregionali più che in passato e in alcuni casi esclusivamente, per acquisire quote di mercato tali da riuscire a ottenere in modo strutturale un miglior posizionamento commerciale e, con i risultati finanziari che ne deriverebbero, rafforzare la propria capacità di produttività e dunque di competitività attivando in tal modo una spirale positiva. Un’altra parte di esse, in particolare le microimprese meno strutturate, è costretta a rifluire sul mercato regionale per le difficoltà finanziarie incontrate nel cercare di mantenere le posizioni extraregionali, ciò in particolare a causa

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dell’entità degli investimenti in marketing strategico e soprattutto operativo che si dovrebbero realizzare. Come evidenziato nelle altre edizioni del Rapporto, le imprese trovano ancora difficoltà a superare il gap di capacità manageriale, in quanto scarsamente abituate ad organizzare soluzioni complesse quali quelle richieste da un processo di costante e significativa presenza dei propri prodotti sui mercati extraregionali. Se si superasse la scarsa cultura manageriale, le stesse imprese adotterebbero interventi finalizzati ad introdurre innovazioni del modello di business, con la realizzazione di attività di marketing mirato e di prodotto, al fine di tendere a soddisfare in modo personalizzato la domanda degli stessi beni e servizi. Le politiche pubbliche, quindi, dovrebbero da un lato valorizzare lo sforzo che stanno compiendo quelle imprese che superano i limiti quantitativi del mercato isolano radicando la loro presenza sui mercati d’oltremare e dall’altro supportare le imprese che ancora non riescono ad essere consapevoli della necessità di aprirsi a nuovi mercati per superare la forte contrazione della domanda interna. Un modo per affiancare le imprese più virtuose potrebbe essere quello di premiarle nell’ambito dei bandi d’incentivazione, quando finalizzino i progetti di ricerca industriale e innovazione, i piani di sviluppo aziendale basati su servizi reali (marketing, certificazione dei processi e dei prodotti, accompagnamento a brevettazione ecc.) in vista del potenziamento della loro presenza sui mercati extraregionali. Circa il rafforzamento delle competenze manageriali, la Regione dovrebbe puntare, per esempio, sulla diffusione del temporary management, strumento utilizzato in chiave anticiclica in altre regioni italiane, e su tutta una serie di strumenti consistenti in servizi reali con cui incrementare la propensione a fare rete e la formazione specialistica in genere.

Le PMI e gli investimenti

Direttamente collegata a quanto finora emerso è anche l’analisi dei dati inerenti gli investimenti produttivi in impianti, macchinari, attrezzature, logistica, quelli immateriali in formazione, marketing, certificazione e altri investimenti in innovazione di processo e/o prodotto. Il quadro che emergerebbe non è confortante e rivelerebbe l’incertezza degli imprenditori riguardo l’evoluzione congiunturale dei mercati. Rispetto al 2009, nel 2010 si conferma il numero delle imprese che hanno realizzato investimenti (circa un terzo del campione), ma il valore medio dell’entità degli investimenti risulta leggermente superiore. Le imprese che investono, prevalentemente quelle del comparto ICT, del turismo, dell’agroindustriale e del metalmeccanico, lo fanno in particolare per ampliare la capacità produttiva e, come negli anni passati, per promuovere i

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prodotti aziendali e per formare il proprio personale (spesso si tratta di formazione obbligatoria). Risultano in calo gli investimenti in certificazione e si confermano residuali quelli in organizzazione aziendale, segno della scarsa capacità finanziaria e, a conferma di quanto affermato in precedenza, anche manageriale. Solo un terzo delle imprese che hanno investito ha sviluppato programmi mirati a introdurre innovazione, soprattutto di processo e in secondo luogo di prodotto, nell’ambito di un processo di ristrutturazione aziendale. Come molti intervistati hanno accoratamente sottolineato, le imprese che non hanno avuto modo di riscontrare sul piano del fatturato e su quello finanziario risposte positive dal mercato non hanno in media “ossigeno finanziario” per investire laddove necessario e stanno, quando va bene, adottando una strategia conservativa. Sembrerebbe, dunque, che la maggiore parte degli imprenditori abbia scelto di tagliare su tutte le spese possibili per non aggravare una situazione aziendale e patrimoniale in particolare già resa fragile da una gestione caratteristica negativa, dal difficile e oramai snervante rapporto banche-imprese, dalla scarsa liquidità e dagli ostacoli derivanti dalla gestione straordinariamente burocratica delle leggi di incentivazione. Su questo punto, in sostanza, la questione centrale attiene al modo con cui le strategie di politica economica possono sostenere in maniera produttiva le imprese che fanno fatica a mantenere le posizioni di mercato e non hanno operato investimenti favorendo in maniera determinante un nuovo slancio nel processo di crescita del tessuto produttivo e innescare una nuova fase di investimenti da parte di imprese che avrebbero necessità di riorientare il loro business e/o migliorare gli standard di produttività. Il sistema delle imprese appare sempre più consapevole dell’importanza delle scelte di policy basate sulla costruzione di una serie di strumenti utili a far emergere dal basso nuove progettualità per lo sviluppo produttivo e che tali strumenti vengano gestiti in tempi rapidissimi e in modo quanto più automatico possibile. Nel corso dei colloqui di rilevazione dei dati, la gran parte degli imprenditori ha manifestato un quid di esasperazione collegato al rapporto inevitabile con la pubblica amministrazione; tanto più perché non si comprende come chi gestisce la cosa pubblica riesca ad essere addirittura un fattore aggravante, proprio in un momento di crisi come quello in cui il sistema economico sta vivendo. Il riferimento principale è alla produttività del lavoro e al modello organizzativo della pubblica amministrazione orientato esclusivamente a garantire la liceità degli atti senza valutarne l’efficacia e ai ritardi nei pagamenti. Riguardo alla prima problematica, molti intervistati hanno messo in evidenza come tali inefficienze riguardino anche il controllo nei confronti di quegli

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istituti di credito incaricati di gestire le pratiche di finanziamento agevolato, capaci di esasperare l’attenzione su aspetti meramente formali e di assoluta minore importanza, prolungando i tempi di concessione delle risorse e con ciò inficiando, talvolta, l’efficacia degli interventi di politica economica. Sul piano pratico, infatti, l’applicazione delle politiche che almeno sulla carta sembravano capaci di dare uno slancio agli investimenti non sembrano sortire gli effetti attesi dagli imprenditori. Per citare solo qualche esempio, basti pensare alla gestione dei bandi PIA che si è rivelata un percorso ad ostacoli per moltissime imprese, ai ritardi nell’avvio delle politiche per l’innovazione e del nuovo PO FESR, in particolare per quanto concerne la creazione della rete INNOVA.RE o della concreta operatività del Fondo di Garanzia gestito dalla SFIRS, di enorme interesse per le imprese in una fase in cui si assiste ad un forte razionamento del credito. Infine, si può citare il caso più recente della gestione del programma di intervento basato sulla concessione di microcrediti a favore di imprese esistenti o di nuova costituzione di cui si attende ancora di valutare concretamente gli effetti a favore delle imprese. Circa la razionalizzazione del funzionamento della macchina amministrativa regionale, uno degli ambiti di intervento prioritari, secondo gli imprenditori CONFAPI Sardegna, dovrebbe essere quindi l’introduzione di nuove competenze professionali nella macchina amministrativa regionale e degli enti locali, in particolare esperte di organizzazione aziendale, project management, programmazione economica di settore, sviluppo locale, innovation & integration management e tematiche simili. Per quanto riguarda, invece, il ritardo dei pagamenti, i crediti delle PMI nei confronti delle PP.AA. operanti nell’Isola ammontano oramai a molti miliardi di Euro e questa situazione non è più sostenibile, come anche evidenziato dalle Istituzioni Europee. A causa dei drammatici ritardi nei pagamenti, che in Sardegna superano nel 2010 i 180 giorni di media (in decisivo aumento rispetto al 2009), varie aziende nel settore delle costruzioni hanno chiuso i cantieri e licenziato i propri dipendenti e molte altre di diversi comparti, come quello sanitario o dei servizi alle pubbliche amministrazioni, stanno rischiando di dover sospendere ogni attività. L’auspicio degli imprenditori è che trovi una più rapida attuazione la norma introdotta nella Legge Finanziaria Regionale 2011 secondo cui la Pubblica Amministrazione certifichi i crediti delle PMI nei confronti delle imprese in modo da consentire alle stesse di cedere tali crediti alle banche. È una soluzione che anticipa e in qualche modo previene l’applicazione di una specifica Direttiva comunitaria, la Late Payments, che fissa in 60 giorni i termini per gli Enti pubblici per pagare le imprese d’appalto di tutti i comparti e nell’8% la sanzione a cui vanno incontro gli stessi Enti pubblici in caso di ritardato pagamento. Se si darà applicazione concreta a tale proposta, le PMI che operano in Sardegna (e non solo) potranno ottenere

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rapidamente la liquidità indispensabile per la propria attività aziendale a condizioni economiche vantaggiose anche per le Pubbliche Amministrazioni.

La gestione finanziaria e il rapporto banca-impresa In questo scenario decisamente critico, il rapporto delle imprese con il sistema del credito soffre terribilmente, con le banche protese a ottenere le massime garanzie possibili e al più a mantenere ferme le sole linee di credito esistenti. Non a caso, per molti versi giustamente, la gran parte delle PMI ha autofinanziato molto più che in passato sia per la copertura dei fabbisogni di capitale circolante che per operazioni di investimenti. Sembra profilarsi una spaccatura tra le imprese virtuose che non hanno bisogno di ricorrere ulteriormente al credito bancario e quelle che al più sono aggrappate alla speranza di mantenere la situazione attuale, benché provata profondamente dagli effetti della attuale crisi economica. In mezzo si trovano le imprese che stanno sempre più cercando di restringere al massimo i rapporti con le banche, considerati un costo e più in generale un freno allo sviluppo aziendale. Nel complesso, si registra un quadro di stabilità per quanto riguarda l’accesso al credito per 6 imprese su dieci: si tratta in molti casi di situazioni in cui sono stati confermati i livelli dei fidi, già saturati in termini di utilizzo. Le PMI che hanno ampliato lo stock del credito a breve sono il 14% del campione (erano il 36% nel 2007 e il 23% nel 2009), mentre quelle che hanno ridotto l’accesso al credito a breve sono passate dal 10% del 2007 e 2008 al 14% del 2010. Le previsioni per il 2011 sono per un incremento del numero di imprese che manterrà lo stesso livello di indebitamento a breve e per una ulteriore diminuzione sino al 10% delle PMI che avranno ottenuto ampliamenti del fido accordato o avranno fatto maggior ricorso ad altri strumenti come lo sconto fatture; stabile il numero di imprese che vi farà ricorso in diminuzione. Per quanto concerne l’accesso al credito a medio e lungo termine, la situazione è stabile per oltre la metà del campione e vede una crescita dello stock di credito per il 22% delle PMI contattate, contro il 20% che ha registrato diminuzioni. La situazione del credito a medio e lungo termine appena descritta, secondo quando indicato dagli intervistati, parrebbe essere collegata direttamente da un lato al consolidamento di situazioni creditizie a breve termine piuttosto critiche o prossime a generare incagli e sofferenze tali da suggerire soluzioni di ampio respiro e dall’altro a operazioni di incentivazione legate a programmi pluriennali di investimento.

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Sul rapporto tra sistema imprenditoriale e sistema creditizio anche in questa occasione molti intervistati hanno richiamato la necessità che le Istituzioni intervengano con tutti gli strumenti di cui sono dotate. In tal senso, la Conferenza regionale sul credito viene vista come una occasione in cui la Regione possa spingere gli istituti di credito a migliorare la qualità dei servizi, al fine di innalzare anche il livello di concorrenza nel sistema locale e favorire la massima trasparenza possibile nel rapporto banca-impresa, riducendo l’asimmetria delle informazioni e la poca trasparenza degli istituti bancari in modo da consentire alle PMI un corretto e maggiormente efficiente utilizzo dei prodotti e servizi presenti nel mercato. Questa ricerca comune di soluzioni alle problematiche inerenti il credito è ancor più necessaria in un momento in cui le aspettative del mercato finanziario vanno nella direzione di un ulteriore aumento del costo del denaro (la BCE ha alzato i tassi di interesse portandoli all’1,25% dopo quasi tre anni), con un conseguente incremento dei debiti delle imprese, già alle prese con i rincari dei prezzi delle materie prime. L’occasione della Conferenza regionale sul credito è pertanto propizia perché Istituzioni-Banche-Consorzi fidi-Imprese, insieme, possano migliorare il credito a favore delle imprese, affiancando queste ultime, soprattutto le meno strutturate, nel cercare di migliorare la gestione manageriale del proprio assetto finanziario. Le imprese, infatti, devono impostare il dialogo con il sistema creditizio sulla valorizzazione delle proprie competenze e sulla gestione delle proprie attività con modelli manageriali corretti e innovativi. In questa prospettiva è opportuno che la stima del rating e dello scoring siano effettuate preliminarmente dalle stesse imprese, prima che dall’ente erogatore il prestito, poiché l’autovalutazione dell’impresa facilita il rapporto di collaborazione con la struttura creditizia. Inoltre, ulteriore auspicio è che la Conferenza annuale sul credito e il Forum che ne è scaturito possano essere lo stimolo per l’attivazione di nuove policy che promuovano la diversificazione delle fonti di finanziamento e la diffusione di strumenti di finanza alternativa (patrimonializzazione e investimenti in capitale di rischio), direzione verso cui sta andando la politica europea del credito, e l’inversione di tendenza del management che è proteso ancora oggi a favore di un sistema banco centrico. In generale, gli imprenditori sardi considerano il mercato della finanza privata come un ambiente ostile e non trasparente, per cui tendono a non accedervi, in quanto particolarmente contrari all’apertura del capitale e al management esterni. In generale, è auspicabile che la Regione garantisca in maniera costante il sostegno ai Confidi che sono chiamati sempre più ad un ruolo primario nel sostenere le imprese in un rapporto “impari” con il sistema bancario,

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assumendosi rischi sempre maggiori. La costituzione del Fondo di cogaranzia e controgaranzia sembra andare proprio nella direzione della facilitazione dell’accesso al credito da parte delle imprese, ma occorrerà supportare gli stessi Confidi nel loro percorso obbligato di ristrutturazione e di patrimonializzazione. I Consorzi Fidi sono sempre più investiti, anche in virtù della normativa vigente in materia di credito, di un ruolo maggiormente significativo. Tra i diversi ambiti di impegno, di particolare importanza è quello relativo al loro ruolo nella valutazione del merito creditizio delle imprese e, quindi, dell’opportunità di concedere le garanzie necessarie affinché un soggetto a rischio usura possa accedere a un finanziamento bancario o in altre istituzioni finanziarie. L’auspicio è che il recente provvedimento regionale che prevede il finanziamento per l’incremento del fondo che lo Stato ha istituito ad hoc possa rappresentare un concreto ed efficace strumento per arginare il fenomeno dell’usura. In conclusione, lo sviluppo di un’economia nasce dalla volontà degli operatori di volere crescere: sono più che mai urgenti politiche economiche anticicliche in una logica di medio-lungo periodo capaci di accompagnare il rilancio del processo di crescita del tessuto produttivo e quindi occupazionale da una parte; considerata la gravità della crisi congiunturale ancora in corso è necessaria un’evoluzione di tendenza della cultura manageriale che deve “apririsi” a modelli manageriali corretti e innovativi dall’altra parte. Abbiamo sempre una scelta; la scelta peggiore è credere di non averne alcuna.

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Gli indicatori dell’andamento delle PMI “Le nostre imprese sarde non si sentono affatto nella fase di crescita post-ripresa, anzi fanno sempre più fatica a tenere le posizioni di mercato. Il fatturato, il margine operativo lordo e i livelli occupativi rimangono ben distanti dall’avere recuperato rispetto alla caduta del 2008 e del 2009: sono caratterizzati da un’ulteriore ridimensionamento. L’accumulo delle giacenze di magazzino in entrata e in uscita, in intensificazione fino al 2006, si sta progressivamente arrestando, in seguito alla drastica riduzione della domanda e agli eccessivi costi inerenti l’acquisto e la gestione delle materie prime. Riguardo agli ordini e alle commesse, il dato è fortemente negativo; la domanda riparte parzialmente all’estero. L’occupazione non manda segnali incoraggianti in prospettiva.” Lo scenario complessivo dell’andamento del fatturato è decisamente il più negativo di tutti i quindici anni di osservazione. Le previsioni degli imprenditori per il 2010 erano per un quadro generale sfavorevole; tuttavia manifestavano una fiducia parziale nel recupero della situazione decisamente negativa registrata nel 2009. La realtà ha superato le più pessimistiche previsioni (vedi figura 1).

Figura 1. Fatturato

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita e in diminuzione dal 1996 al 2010 e previsione per il 2011.

40%

49%

58%

52%57%

61%

53% 54%58%

48%53%

42% 40%

29%23%

34%

25%20%

17%14% 16%

13%

19% 20% 20% 24%

20%

29%34%

45% 46%

26%

15%

29%

41%38%

41%

48%

34% 34%38%

24%

33%

13%

6%

-16%

-23%

8%

-30%

-20%

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

Aumento Diminuzione Saldo

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Nel corso del 2010 si stabilizza il numero decisamente elevato di PMI che hanno registrato un fatturato in diminuzione1: il 46% del campione, il dato più negativo di tutta la serie storica. Per contro il 23% delle imprese ha visto crescere le vendite, anche in questo caso il dato meno positivo di sempre. Va detto che era stato previsto, ma non nelle dimensioni che poi si sono realmente avverate: il saldo è precipitato dai +48 punti percentuali del 2001, ai +33 punti del 2006, ai +13 punti del 2007, ai +6 punti del 2008 sino ai -16 punti percentuali del 2009, per attestarsi ai -23 punti percentuali del 20102. Le previsioni per il 2011 sembrerebbero indicare un incoraggiante recupero di un quadro di maggiore equilibrio tra il numero di imprese con vendite in aumento e vendite in calo. Il saldo sarebbe in terreno positivo (+8 punti percentuali), le imprese con fatturato in crescita aumenterebbero al 34% e quelle con fatturato in calo scenderebbero al 26%. Complessivamente, quindi, il dato del 2009 e ancor più quello del 2010 costituiscono una prova di quanto sia fragile il tessuto produttivo rispetto alle spinte competitive, di dimensioni oramai globali, che vengono più subite che fronteggiate, soprattutto da quelle imprese che vivono un po’ ai margini del mercato e sono meno attrezzate. Come è facile attendersi con una tale curva delle vendite, la redditività lorda delle attività d’impresa subisce un ulteriore drastico peggioramento. Nel 2010 quasi la metà del campione ha registrato una diminuzione del MOL, mentre solo il 16% ha registrato un incremento. Si ha una situazione di stabilità nel 37% delle PMI. Il saldo risulta pertanto molto negativo, assai peggiorato rispetto ai –27 punti percentuali del 2009 e al -18% del 2008 e scivola a -31 punti percentuali, il dato peggiore di tutti i quindici anni di osservazione. Si noti che il saldo nel 1998 era pari a +34 punti percentuali, nel 2003 a +26 punti, nel 2006 a +19 punti (vedi figura 2).

1 Si tratta di valori indicati a prezzi correnti, come riportati nei documenti contabili. Per le opportune considerazioni

si rinvia ai dati sulle variazioni dei prezzi di vendita. 2 Si ricorda che il saldo rappresenta la differenza tra il numero percentuale delle imprese che segnalano l’indicatore in

aumento e quello delle imprese che lo segnalano in diminuzione. Pertanto, un saldo pari a zero indica perfetta stabilità dell’andamento congiunturale, un saldo positivo segnala un miglioramento e un saldo in territorio negativo evidenzia un peggioramento della situazione congiunturale.

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Figura 2. Margine Operativo Lordo

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita e in diminuzione dal 1996 al 2010 e previsione per il 2011.

A soffrire sarebbero soprattutto le PMI che avevano mantenuto un livello di redditività stabile sino al 2006 e che oggi, in molti casi, hanno dichiarato di non sapere dove tagliare ulteriori costi della gestione caratteristica, se non il costo del lavoro e le materie prime o semilavorati. In molti casi, tuttavia, ciò significherebbe quasi certamente dover sacrificare interi assett di produzione e, quindi, la tendenziale scomparsa dai mercati di taluni prodotti. Il rapporto tra i costi di produzione, aumentati per il 49% delle imprese, e i prezzi di listino, in aumento solo per il 29% e tendenzialmente stabili per il 56% del campione, ha certamente contribuito ad aggravare in modo particolare la situazione sul piano della profittabilità aziendale.

Gli incrementi dei costi di gestione caratteristica sono stati nel 38% dei casi tra il 2% e il 4%, per un ulteriore 39% tra il 5% e il 9% e per il 13% tra il 10% e il 20%. Per contro, sempre nel 2010, i prezzi di listino sono variati in aumento per il 28% fino al 2%; per il 38% tra il 2% e il 4% e per il 25% tra il 5% e il 9%: è evidente il tentativo di evitare di perdere eccessive quote di mercato da parte delle imprese. In conclusione, le spiegazioni inerenti il trend negativo registrato in riferimento al fatturato e al MOL vanno ricercate nel fatto che le PMI non riescono a realizzare come in passato le economie di scala, in quanto a fronte

20%

44%

54% 54%

42%

49%

37%

45% 44% 41,0%40,7%

37%

22%

20% 16%23%

31%

21%

20% 20%23%

16%

20%19%

20%

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32%

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47% 47%

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-11%

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5%

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-27%-31%

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0%

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1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

Aumento Diminuzione Saldo

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della permanenza dei costi fissi tendenzialmente elevati (lavoro e ammortamenti in primis) si ha una diminuzione del valore delle entrate. In ogni caso, anche il disallineamento tra costi di produzione e prezzi di vendita ha giocato un ruolo non secondario, che si cumula con gli altri trend non positivi tanto più in una fase congiunturale particolarmente depressa. Il trend relativo ai dati su fatturato e utile lordo nel 2010 appare coerente anche con l’andamento dei livelli produttivi medi. Il numero di imprese che li ha aumentati scende dal 51% del 2006 al 34% del 2008, sino ad arrivare al 23% del 2010. D’altra parte, sempre rispetto al 2006, nel 2010 è decisamente aumentato il numero di imprese che hanno realizzato meno produzione: dal 18% al 41,5%. Nello stesso periodo, il saldo passa da +33 punti a -18,5 punti, passando per i +8 punti percentuali del 2007 e i -2 punti del 2008. Anche in questo caso, nel 2010 si registra il dato peggiore della serie storica considerata. Le previsioni per l’anno in corso sono per un parziale recupero delle posizioni, con il saldo che dovrebbe attestarsi intorno ai +2 punti percentuali (vedi figura 3).

Figura 3. Livelli di produzione

Andamento del numero di PMI con indicatore in crescita, stabile e in diminuzione

dal 2003 al 2010 e previsione per il 2011.

Dal grafico si può apprezzare la progressiva inversione di tendenza a partire dal 2006, quando era stato realizzato un rimbalzo positivo dei dati consuntivi.

52% 53%

43,4%

50,7%

37,3%

34,1%

28,3%

23,0%

28,2%

13%

18%20,7%

17,6%

29,7%35,6%

44,8%

41,5%

26,3%

39%35%

22,7%

33,1%

7,6%

-1,5% -16,4%

-18,5%

1,9%

-30%

-20%

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

Aumento Diminuzione Saldo

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Tra le possibili spiegazioni, in linea con quanto affermato in precedenza, si trova innanzitutto il fatto che le imprese hanno registrato una contrazione delle quantità domandate e coerentemente hanno ridotto le produzioni: ciò è avvenuto in particolare a partire dalla seconda metà del 2007. Risulta coerente l’andamento delle giacenze in magazzino dei prodotti finiti. Nel 2010 i magazzini in uscita (prodotti finiti o semilavorati da vendere) sono stati in aumento per il 13% delle imprese (24% nel 2009) e in diminuzione per il 23% (contro il 30% del 2009). Il 64% degli imprenditori ha mantenuto stabile il livello delle scorte dei prodotti finiti. Il notevole e ulteriore incremento del numero di PMI che a partire dal 2008 hanno mantenuto stabili i livelli di scorte di materie destinate a trasformazione e di quelli dei prodotti finiti o semilavorati da vendere dimostra quanto fosse inattesa la dimensione della crisi della domanda da parte di molti imprenditori nel 2008 e quanto le stesse imprese nel 2009 e ancor più nel 2010 abbiano in media adeguato immediatamente i magazzini in entrata e in uscita ai nuovi target possibili di mercato. In altri termini, vi è stata una frenata drastica dei livelli produttivi e si è puntato a non generare costi di immagazzinamento delle merci in entrata, e altrettanto in uscita, ricorrendo in modo più diffuso alle tecniche del just in time ed esternalizzando in questo modo i costi di gestione delle giacenze per recuperare margini di produttività aziendale, anche se talvolta, considerati i notevoli rincari dei costi delle materie prime, questa scelta non si è rivelata la più efficiente. Per quanto riguarda l’andamento dei settori monitorati, va sottolineato che le imprese che hanno registrato in maggior numero incrementi di fatturato sono quelle delle ICT, dove si registra un fatturato in aumento nel 44% dei casi e il saldo risulta pari a +24 punti, segnale di una significativa ripresa dal 2009, anno in cui il saldo era pari a -17 punti. Anche le PMI del settore agroalimentare fanno segnare delle performance migliori rispetto agli altri comparti anche se il quadro è meno brillante del 2009: il 34% delle imprese ha registrato un incremento delle vendite con un saldo pari a + 5 punti percentuali, contro i +14 punti del 2009. Non favorevole la situazione evidenziata dalle imprese del turismo: è in calo il numero delle imprese con un fatturato in crescita (28%, contro il 39% del 2009) e il saldo passa dai +2 punti percentuali ai -10 punti nel 2010. I settori delle costruzioni e del metalmeccanico sembrerebbero registrare un ulteriore drastico ridimensionamento delle vendite. Nel primo comparto, le imprese edili vedono un calo del fatturato nel 63% dei casi (saldo: -53 punti) mentre nel secondo le imprese metalmeccaniche non stanno molto meglio, in quanto nel 59% dei casi registrano cali di vendite (saldo: -44 punti).

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È da notare che la dinamica sfavorevole per le imprese edili riguarda in particolare il comparto dell’edilizia pubblica allargata da un lato, con il perdurante blocco delle opere pubbliche e la forte contrazione degli investimenti privati in acquisti immobiliari e in manutenzione e ristrutturazione degli immobili dall’altro lato. Nel caso delle imprese metalmeccaniche e delle altre lavorazioni manifatturiere, considerata la tipologia di prodotti e servizi industriali (manutenzione), la situazione di crisi è da spiegare con la permanente crisi delle commesse dalla grande industria. Per quanto concerne il comparto della sanità, il cui mercato di riferimento è quello pubblico delle ASL, la situazione si conferma negativa: il 42% delle imprese ha registrato un calo del fatturato (saldo: -17 punti percentuali). Come diffusamente lamentato dagli stessi intervistati, le imprese subiscono incomprensibili ritardi nei pagamenti e discriminazioni da parte della Regione in merito alle decisioni sul valore delle stesse prestazioni, da tempo non aggiornato e anzi tagliato quanto a valore unitario. Per quanto concerne il margine operativo, le imprese dell’ICT sono le uniche ad avere un saldo positivo (+16,7 punti, in decisivo aumento rispetto ai -23,5 punti del 2009), mentre tutte le altre registrano performance negative che oscillano tra i -3,9 punti percentuali del comparto agroalimentare e i -53 punti di quello delle costruzioni edili. Da segnalare il caso delle imprese della sanità (saldo: -45,5 punti percentuali) la cui redditività lorda è negativamente sacrificata dal fatto che a fronte di tariffe imposte non aggiornate e non più sostenibili, sono richiesti comunque continui investimenti in attrezzature e macchinari tecnologicamente molto avanzati e pur di soddisfare la clientela abituale, offrono prestazioni sforando il budget imposto. Infine, circa i livelli produttivi le PMI dei settori agroalimentari e ICT fanno segnare i saldi più positivi (rispettivamente +25 e +21 punti ciascuno), mentre le imprese turistiche registrano un saldo pari a +5 punti percentuali. Nelle imprese dell’agroalimentare si scontano problemi specifici: il fatturato stabile e la redditività lorda sacrificata in modo significativo sono il risultato di un lavoro quantitativamente molto importante e incrementato, anche se decisamente messo sotto scacco da una domanda interna stagnante. La riflessione che deriva dall’analisi di questa prima serie di statistiche sui diversi settori rinvia al fatto che le PMI che hanno fatto registrare le migliori performance (per numero) in termini di fatturato, utile lordo e livelli produttivi sono quelle del comparto ICT. L’andamento incoraggiante è da collegare probabilmente allo sforzo fatto dalle imprese di consolidare la loro

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presenza nel mercato nazionale, in cui l’informatica segna, infatti, un relativo miglioramento in tutte le sue componenti rispetto al 2009. Tra le PMI agroalimentari sono in particolare le imprese più strutturate a segnare le performance più confortanti e che riescono per questo almeno ad affacciarsi sui mercati extraregionali oltre che regionale con un prodotto che ha un valore aggiunto intrinseco, legato alla tipicità ovvero al brand Sardegna. Inoltre, con riferimento ai mercati locali, le stesse imprese più dotate strutturalmente hanno tendenzialmente la capacità di realizzare economie di scala e quindi di occupare gli spazi di mercato lasciati liberi dai loro concorrenti meno capaci sul piano delle quantità offerte e quindi sul piano della produttività. Il caso delle imprese edili e di quelle metalmeccaniche, infine, rappresentano la situazione più critica. Per il settore delle costruzioni, essa è dovuta alla esplosione della bolla immobiliare creatasi negli ultimi 8-10 anni e partita dagli Stati Uniti, da un lato; all’applicazione della normativa in materia di tutela paesaggistica, la quale, a causa delle incertezze interpretative, ha finito col bloccare di fatto le procedure autorizzatorie, dall’altro. Il cosiddetto Piano casa, inoltre, per svariate ragioni non ha sortito quegli effetti che erano attesi per ridare fiato ad un comparto che occupa decine di migliaia di lavoratori in moltissimi casi altamente qualificati e che rischiano di essere espulsi dal mercato del lavoro. A segnare il passo sono le imprese metalmeccaniche che, come accade da ormai molti anni, stanno subendo le spinte competitive globali che investono la grande industria nell’Isola e quindi l’indotto che ne deriva. I dati sugli ordini e le commesse in generale nel 2010 sono in linea con quanto si è visto circa fatturato e utile lordo, con la conferma del drastico aumento delle PMI che li hanno registrati in diminuzione rispetto al 2008 e ancor più al 2007 e al 2006 (vedi figura 4). Nel 2010 il 46% delle imprese (contro il 36% nel 2008, il 29% del 2007 e il 18% del 2006) ha ricevuto ordini in misura inferiore per valore, contro il 21% (27% nel 2009, 35% nel 2008, 40% nel 2007 e 47% nel 2006) che li ha registrati in aumento. Il saldo pertanto dai +29 punti percentuali del 2006 e -0,3 punti del 2008 crolla sino ai -25 punti percentuali del 2010 passando per i -20 punti del 2009. Per il 2011 si prevede che si recuperi un certo grado di stabilità (+7 punti).

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Figura 4. Ordini e commesse in generale

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita, stabile e in diminuzione dal 2004 al 2010 e previsione per il 2011.

Il dato sugli ordini e le commesse dal mercato regionale, che rappresentano di gran lunga la componente più importante, fa emergere un andamento analogo: il saldo del 2010 si attesta a quota -27 punti percentuali rispetto ai -20 punti del 2009 e a -1 punto del 2008. Da notare che il dato del 2010 è inferiore di 58 punti percentuali rispetto a quello del 2006 ed è di gran lunga il peggiore di tutta la serie storica (vedi figura 5). Tale andamento è soprattutto dovuto all’incremento notevole del numero di imprese che ha conseguito ordini e commesse in diminuzione: dal 18% del 2006 si passa al 47% del 2010, ossia il dato più negativo mai raggiunto nell’intera serie storica. Il dato sugli ordini e le commesse dal mercato interno dell’Isola è molto importante perché da tale mercato deriva l’83% del valore del fatturato delle imprese del campione. Sul piano tendenziale, quello registrato nel 2010 appare in leggero calo e quindi sembrerebbe indicare un grado inferiore di dipendenza dal mercato locale: si passa dall’88% del 2007 all’85% del 2008 all’83% del 2009 e del 2010.

53%

44%47%

40,4%

35,4% 27%

21%

33%

17%22%

18%

29,3%

35,7%

47% 46%

26%

36%

22%

29%

11,1%

-0,3%-20%

-25%

7%

-40%

-30%

-20%

-10%

0%

10%

20%

30%

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60%

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

Aumento Diminuzione Saldo

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Figura 5. Ordini e commesse dal mercato sardo

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita e in diminuzione dal 1996 al 2010 e previsione per il 2011.

L’andamento degli ordini dal mercato nazionale e comunitario appare tendenzialmente in linea a quello regionale, ma risulta meno grave. Il saldo relativo agli ordini e commesse dalle altre regioni italiane è negativo (-6,5 punti), come pure quello relativo al mercato comunitario (-3 punti). Di contro è positivo il saldo relativo agli ordini e commesse derivanti dai mercati extracomunitari (+25 punti percentuali). Appare evidente che la ripresa della domanda sembrerebbe in atto nei mercati extraregionali più che in quello locale: una tendenza confermata dai dati sulle previsioni per l’anno in corso, quando il saldo per il mercato italiano passerebbe dai -6,5 punti ai +32 punti, e per il mercato estero, con il saldo che passerebbe dai +3 punti del 2010 ai +38 punti percentuali del 2011. Per quanto riguarda i settori, le imprese che hanno registrato ordini in aumento sono maggiormente concentrate nel comparto dell’ICT (saldo: +20 punti percentuali), mentre nelle costruzioni e nel metalmeccanico si sono registrate le performance meno positive (rispettivamente -50 e -43 punti). Negli anni precedenti si era assistito ad una progressiva contrazione del numero di imprese che avevano realizzato investimenti, mentre in media le stesse PMI tendevano a confermare il numero di occupati in azienda; ciò

42% 42%

51%

44%

49%54%

44%48%

52%

43%47%

37%

34,1%

26%20%

29,5%

21% 21%

18%14%

18%

16%

19%

16%

19%22%

18%

31%

34,8%

46% 47%

26,3%21% 21%

33%

30%

31%

38%

25%

32% 33%

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6%

-0,7%

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-27%

3,2%

-40%

-30%

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0%

10%

20%

30%

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1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

Aumento Diminuzione Saldo

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al fine di evitare di privarsi dell’elemento aziendale più importante: le competenze professionali da impiegare nella produzione, commercializzazione e gestione amministrativo-finanziaria dell’impresa. Con l’aggravarsi della crisi economica, nel 2008 e più ancora nel 2009 e nel 2010, le imprese che hanno ridotto gli organici sono state in numero maggiore a quelle che li hanno incrementati. Il rapporto tra i costi di gestione caratteristica e i ricavi ha obbligato molte imprese, nonostante i diversi propositi, a ridurre i costi del lavoro. Nel 2010 il 26% delle imprese ha ridotto gli organici, contro il solo 7% che li ha incrementati (quelle che godono con ogni probabilità di buona salute e sono in fase di crescita): il saldo si attesta a -19 punti percentuali (contro i -5 punti del 2008). Pertanto, il quadro che emerge è senza dubbio di una certa stabilità (il 66% delle imprese ha mantenuto invariati gli organici), ma a partire dal 2006 si è assistito ad una progressiva diminuzione del numero di imprese che hanno incrementato i propri addetti: dal 28% del 2003 si è passati al 7% del 2010 e le previsioni per il 2011 farebbero presagire solo un recupero parziale, con il saldo che salirebbe in terreno positivo a +1 punto percentuale. In altri termini, prima di ricominciare ad allargare i propri organici con nuovi addetti, le imprese vorranno verificare l’effettiva ripresa della domanda ed attivare gli investimenti funzionali a incrementare la capacità produttiva e competitiva (vedi figura 6).

Figura 6. Numero occupati in azienda

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita e in diminuzione dal 1996 al 2010 e previsione per il 2011.

23%

35%

31%

32%35% 35%

32%

28% 27% 26%23%

20,6%

17,8%

8,4% 7,4%

12%

24%

18% 18%

15% 14% 12%15% 14%

21%23%

19%18,3%

22,4%27,7% 26,2%

11%

-1%

17%

33%

17%

21%38%

17%

14%

6%

3%

4% 2,3%

-4,6%

-19,3% -18,8%

1%

-30%

-20%

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

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Aumento Diminuzione Saldo

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È da sottolineare che la tenuta degli organici è stata spesso motivata col fatto che privarsi di collaboratori ed addetti significherebbe perdere la possibilità di presentarsi sul mercato e quindi ne varrebbe della stessa esistenza dell’azienda. Ciò, ovviamente, ha comportato sacrifici molto importanti da parte dell’impresa e spesso anche dei lavoratori, con la posticipazione del pagamento dei salari, in attesa della registrazione di qualche incasso e in misura sempre più rilevante facendo ricorso agli ammortizzatori sociali laddove possibile ai lavoratori stagionali. A tal proposito, vari intervistati hanno rappresentato situazioni in cui le maestranze erano necessarie per completare i lavori avviati e rispettare i contratti siglati, senza che però ci fossero le condizioni di liquidità utili a far fronte alle retribuzioni degli stessi lavoratori. Il tutto, comunque, per non privarsi della possibilità di cogliere le eventuali opportunità di business che dovessero ripresentarsi. Il punto di maggior preoccupazione nell’analizzare i dati sull’occupazione nelle aziende discende dal fatto che, in un mercato dove è decisivo puntare sulla qualità e su conseguenti strategie di differenziazione della propria offerta e poter contare su risorse umane qualificate in grado di elevare la produttività del lavoro con adeguate competenze tecnico-produttive e manageriali, la citata necessità di ridurre i costi e dunque in molti casi di privarsi della collaborazione dei propri addetti qualificati rischia di mettere definitivamente fuori mercato una buona parte del tessuto imprenditoriale regionale. Entrando nello specifico dei vari settori, si nota subito che nessun comparto fa registrare saldi positivi: in altri termini, le PMI che hanno licenziato sono in numero maggiore rispetto a quelle che hanno assunto nuovo personale in ogni comparto produttivo. Si differenziano le imprese della sanità in cui si registra una sostanziale stabilità dei livelli occupazionali. Il range del saldo va dai -4 punti percentuali dell’ICT e -13,5 dell’agroindustria ai -23 punti delle imprese del turismo, -27 punti del settore delle costruzioni e -32 punti del metalmeccanico.

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I mercati di sbocco “Ci troviamo dinanzi ad una spaccatura netta del tessuto produttivo sardo: un gruppo di imprese riesce ad affacciarsi sui mercati extraregionali e pur con molte difficoltà tende a mantenere le posizioni di mercato ed in molti casi ad incrementarle; di contro la maggioranza delle imprese, tanto più le microimprese meno strutturate, tende a rifluire unicamente sul mercato interno, abbandonando i propositi di allargamento dei mercati di riferimento. Essere attive anche sui mercati extraregionali per le imprese significa poter cogliere le diverse opportunità offerte nelle aree in cui una timida ripresa è già iniziata e superare la domanda ancora depressa del mercato interno.” Il numero delle imprese che vendono esclusivamente sul mercato sardo è tornato leggermente a diminuire: si passa dal 66% del 2009 al 63% del 2010. D’altra parte, sale dal 28% al 36% il numero delle imprese che si presentano anche sui mercati nazionale e internazionale (vedi figura 7). Si contrae, invece, il numero delle imprese che hanno operato esclusivamente in mercati oltre isola (1%; 6% nel 2009). Probabilmente le imprese che hanno voluto allargare il proprio grado di apertura non sono riuscite a sopportare i maggiori costi derivanti dalla permanenza su mercati extraregionali non facilmente raggiungibili ed a essere sufficientemente competitive in mercati in cui la concorrenza è superiore e vi è richiesta maggiore efficienza, innovazione e produttività. Sembra confermarsi la tendenza avviata negli ultimi anni di una spaccatura del campione: da una parte le imprese che tendono a rifluire sul mercato regionale, non capaci di collocare i propri prodotti sui mercati non domestici; dall’altra la scelta e la capacità decisamente accresciuta di un gruppo di PMI sempre più numeroso che si presenta anche sui mercati extraregionali. La quota percentuale del fatturato derivante dalle vendite effettuate nell’Isola si attesta su valori ancora molto elevati confermando il dato del 2009 (83%; ben cinque punti percentuali in meno rispetto al valore altissimo del 2007). Appena il 17% del fatturato totale deriva dalle vendite sui mercati nazionale e internazionale. Sembrerebbe essere nuovamente aumentata, anche se di poco, la propensione all’export delle PMI sarde, ma il cambiamento del dato tendenziale è ancora un segnale troppo debole, perché a presentarsi di più sui mercati extraregionali sono le imprese agroindustriali e dell’ICT che hanno evidentemente continuato a costruire un certo vantaggio competitivo in questi ultimi anni.

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Figura 7. Mercati di sbocco delle PMI sarde

Andamento del numero di PMI per mercato di sbocco dal 1996 al 2010.

Emerge, quindi, su questo punto un elemento di preoccupazione circa la capacità competitiva delle PMI nel complesso, in particolare per quanto riguarda il loro posizionamento strategico sui vari mercati, con riferimento anche al 2011. Tale scarsa capacità competitiva, causata da gravi carenze strutturali delle imprese da un lato e dell’ambiente in cui esse operano dall’altro, tenderà evidentemente a compromettere almeno in parte le possibilità di crescita del tessuto produttivo regionale; soprattutto in presenza di una domanda interna stagnante in cui la finestra oltremare diventa cruciale per una ripresa più veloce e per stimolare diverse forme di innovazione al proprio interno. Circa le carenze strutturali delle imprese, ad impattare negativamente sulla capacità di export vi è la ridottissima dimensione media delle stesse imprese, ossia la loro scarsa strutturazione e quindi la ridotta capacità di realizzare economie di scala in fase di vendita a valle, ma anche di marketing strategico e operativo a monte. La scelta delle imprese a non confrontarsi con i mercati oltremare deriva in parte anche dalla loro ridotta propensione a innovare i propri prodotti, i processi produttivi e il modello di business, dalla scarsa cultura e pratica manageriali e dalla ridotta tendenza a consorziarsi per agire in una logica di filiera produttiva o anche solo commerciale in fase di approvvigionamento o

77%

71%73%

79%

69%

70%

67%

58%

68% 68%

65%

70%

63%

66%

63%

11%

26%23%

19%

28%

29%32% 40%

30% 30%

33%

29%

36%

28%

36%

12%

3% 4% 2%3% 1% 1% 2% 2% 2% 2% 1%1%

6%

1%

0%

20%

40%

60%

80%

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Solo Sardegna Sardegna/Italia/Estero Solo Italia/Estero

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- 26 -

di promozione e vendita. A questo riguardo, l’auspicio è che le imprese sarde recepiscano gli importanti vantaggi derivanti dal “fare rete” anche tramite la nuova formula del contratto di rete con cui più imprese possono accrescere la propria competitività e capacità d’innovazione attraverso la condivisione di una strategia comune per la creazione di un marchio di rete, la riduzione del prezzo di acquisto delle materie prime e l’apertura con più forza ai mercati extraregionali. Altro vantaggio competitivo che si acquisisce con il contratto di rete è un miglioramento dal punto di vista finanziario in quanto ogni impresa può diventare acquirente e fornitrice dell’altra, creando un sistema di bilancio economico finanziario tra le diverse imprese. Accanto a queste problematiche interne alle aziende, vi sono anche le difficoltà logistico-ambientali, ad iniziare dai trasporti delle merci, che condizionano in media già molto le imprese italiane e ancor più quelle sarde rispetto a quelle che hanno sede produttiva in altre regioni europee. Si tratta di un problema che ha due facce: la discontinuità territoriale verso l’esterno, con riferimento particolare alle condizioni, ai costi e ai tempi di trasporto, e la discontinuità territoriale interna, tra i vari territori dell’Isola, con le grandi difficoltà di trasporto delle merci, ancora esclusivamente su gomma. Il versante interno della problematica ha assunto una tale valenza strategica, soprattutto per alcune produzioni, come quelle agroindustriali, da condizionare in misura rilevante i prezzi di vendita e quindi la competitività aziendale sul mercato. Che le difficoltà in esame siano ardue da superare è dimostrato anche dal fatto che solo il 12% delle PMI che hanno operato nel 2010 esclusivamente sul mercato sardo ha programmi di investimento da attuare nell’anno in corso per aprirsi verso i mercati extraregionali. Interessante notare che tra i motivi indicati dagli imprenditori circa le ragioni per cui finora non hanno attrezzato le loro imprese per conquistare nuovi mercati extraregionali è stato largamente segnalato il fatto che reputano ottimali le dimensioni del mercato regionale per la loro azienda (59%; percentuale in decisivo aumento rispetto agli anni 2008-2009). In secondo luogo si evidenzia che, per la natura intrinseca del prodotto, questo può essere proposto solo sul mercato interno (15%; contro il 29% del 2009) e che tale strategia viene giustificata con le difficoltà strutturali inerenti la commercializzazione generate dalla insularità (15%). Solo una piccola parte degli intervistati ha messo l’accento sulle carenze di capacità competitive e manageriali che limitano il raggio d’azione in termini di marketing e vendite e di adeguate risorse finanziarie per sviluppare programmi di investimento per l’export.

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Passando all’analisi settoriale della propensione all’export, emerge che la situazione descritta in generale presenta notevoli differenziazioni tra comparti. Come anticipato, da un lato, le imprese agroindustriali fanno registrare una propensione all’export nettamente superiore rispetto alla media: il 37% ha venduto soltanto in Sardegna (contro il 44% del 2009, il 50% del 2008, il 55% del 2007 e il 44% del 2005). Appare positivo che sia ripreso a crescere anche il peso del fatturato di settore derivante dai mercati extraregionali: il 25%, contro il 22% dell’anno precedente, il 17% del 2008, il 15% nel 2007 e il 23% nel 2006; da ricordare che in quest’ultimo anno si registrò una crescita della domanda. Le PMI del settore ICT hanno pure fatto registrare un’importante propensione all’export extraregionale rispetto agli altri settori, anche se sono state perse delle posizioni rispetto agli anni precedenti: infatti, nel 2010 il 54% delle PMI dell’ICT ha venduto soltanto in Sardegna; erano il 58% nel 2009, il 42% nel 2008 e il 37% nel 2007. Anche in questo caso, comunque, la quota di valore delle vendite effettuate fuori dall’Isola è abbastanza ridotta: il 19%, contro il 16% del 2009, il 25% del 2008 e il 19% del 2007. Dall’altro, le imprese di costruzioni, della sanità e metalmeccaniche presentano una propensione assai maggiore a vendere solo in Sardegna (nell’ordine, 97%, 85% e 81%). Le quote di fatturato derivanti dal mercato isolano per le imprese di questi comparti sono rispettivamente 99%, 99% e 91%. Si tratta di dati che confermano il peggioramento delle performance delle imprese di questi settori degli ultimi anni. In conclusione, sebbene con una certa altalena di valori, le imprese, soprattutto quelle agroalimentari e dell’ICT, cominciano a poter vantare una presenza abbastanza costante nei mercati extraregionali da ormai svariati anni. Per questi settori e per le filiere ad essi collegate si tratta con ogni probabilità di avviare un processo di rilancio e consolidamento di una presenza commerciale ancor più significativa e diversificata, innanzitutto con politiche di marketing mirate e aggreganti per filiera territoriale e di prodotto. Si pensi in tal senso alla possibilità di agevolare la attuazione di iniziative di marketing operativo dedicate al settore dell’agroalimentare, per esempio, con la realizzazione di piattaforme di proprietà pubblico-privata funzionali alla gestione della distribuzione presso le aree metropolitane del Paese.

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Gli investimenti

“ L’incertezza riguardo l’evoluzione congiunturale è confermata dalla cautela degli imprenditori sulle decisioni degli investimenti: il permanere di condizioni di debole domanda, soprattutto quella interna, il difficile rapporto banche-imprese, la scarsa liquidità e gli ostacoli derivanti dalla gestione straordinariamente burocratica delle leggi di incentivazioni hanno inciso negativamente sulla scelta delle imprese di investire per migliorare la propria competitività. Di contro, una parte corrispondente a circa un terzo del mondo delle imprese sarde, nonostante la grave situazione congiunturale, continua a compiere passi in avanti verso la conquista di spazi competitivi con un rilancio degli investimenti materiali e in misura inferiore quelli immateriali, superando la crisi strategicamente più forti. Solo una minima parte delle imprese ha realizzato investimenti con una certa attenzione all’introduzione di innovazione intesa come modalità effettiva per ripensare o riadattare l’attività aziendale in seguito a periodi di maggiore crisi.” Nel corso del 2010 continua a diminuire il numero delle imprese che hanno realizzato investimenti: dal 42% del 2008 si ritorna, come nel 2007, al 35%, confermando le previsioni fatte dagli imprenditori l’anno precedente (vedi figura 8).

Figura 8. Imprese che hanno realizzato investimenti

Serie storica dal 1996 al 2010 e previsioni per il 2011.

26%

32%

33%

55%57%

63%

56%

62%

47%

50%

55%

35%

42%

36%

35%

38%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

Investimenti

Espo. (Serie storica)

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Si tratta di un trend negativo generato dalla necessità per le PMI di non aggravare il conto economico e soprattutto lo stato patrimoniale, dato il momento di stress davvero importante delle imprese sul fronte della liquidità e dell’accesso al credito, che appare anche confermato dalle previsioni per il 2011: infatti, gli intervistati hanno sostanzialmente confermato lo stesso dato del 2010 (38%). Dalla correlazione del dato sul numero di imprese che hanno operato investimenti con quello inerente l’entità degli investimenti realizzati si nota uno sforzo più rilevante da parte delle PMI probabilmente maggiormente strutturate in termini di rafforzamento della propria competitività aziendale. Infatti, nel 2010 il valore medio degli investimenti effettuati è stato pari a 369mila Euro circa, in aumento del 21,7% rispetto al 2009 quando il valore medio registrato è stato pari a circa 303mila Euro (vedi figura 9).

Figura 9. Investimenti medi per azienda realizzati dal 2007 al 2010, per settori. Valori in migliaia di Euro.

Nel dettaglio, il 2010 fa registrare un aumento delle imprese che hanno investito fino a 25mila Euro: 28%, in aumento rispetto al 26% del 2009 e al 19% del 2007. Diminuiscono le PMI che hanno investito tra 25mila e 100mila Euro, 28%: contro il 37% nel 2009 e il 27% nel 2007; invece aumentano le

€ - € 100 € 200 € 300 € 400 € 500 € 600 € 700 € 800 € 900

AG

MM

TU

CO

ICT

Altri

Sardegna

€ 237

€ 655

€ 230

€ 409

€ 315

€ 222

€ 309

€ 860

€ 512

€ 219

€ 291

€ 804

€ 430

€ 500

€ 634

€ 494

€ 168

€ 167

€ 69

€ 254

€ 303

€ 292

€ 850

€ 244

€ 419

€ 89

€ 170

€ 369

2007

2008

2009

2010

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imprese che hanno investito tra 100mila e 500mila Euro: si ritorna al valore del 2007 pari al 36% (20% nel 2009). In sostanza, sulla base del quadro che emerge si può ragionevolmente confermare la spaccatura del tessuto produttivo tra le imprese: da un lato vi sono le imprese che, nonostante la difficile situazione congiunturale, continuano a investire e a gettare le basi per proseguire a crescere nei prossimi anni, probabilmente al fine di incrementare la propria presenza sui mercati extraregionali a maggiore valore aggiunto e dall’altro lato le imprese, soprattutto le micro, sempre più numerose che stanno vivendo ai margini del mercato e fanno più fatica a sopravvivere. Circa le finalità degli investimenti, va sottolineato che le imprese che hanno investito lo hanno fatto soprattutto per ampliare la capacità produttiva (47%, contro il 63% del 2009) e per il 45% al fine di sostituire i macchinari, gli impianti e le attrezzature presenti in azienda con nuovi strumenti tecnologicamente più avanzati. Nel 29% dei casi (11% nel 2009) sono state realizzate sostituzioni senza innovazioni tecnologiche (vedi figura 10). Figura 10. Finalità prevalente degli investimenti materiali realizzati dalle PMI.

Serie storica dal 2003 al 2010.

57%

67% 67%

58%

38%

54%

63%

47%

21%

14%

18% 18%30%

14%11%

29%

64%

42%

30%

49%

47%

47%46%

45%

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Ampliamenti

Sostituzioni SENZA innovazioni tecnologiche

Sostituzioni CON innovazioni tecnologiche

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In merito al tipo di investimenti realizzati, dato dal quale si possono trarre anche varie considerazioni per tracciare le prospettive a medio termine (vedi figura 11), le PMI sarde hanno investito soprattutto in attrezzature (58%, contro il 47% del 2009, il 62% del 2008, il 52% del 2006 e il 47% del 2005) e poi in macchinari (43%, rispetto al 51% del 2008, al 42% del 2007 e al 49% del 2005). Si registra in calo il numero delle imprese che hanno investito in logistica, ossia terreni e fabbricati (27%, erano il 32% nel 2009 e in crescita rispetto al 23% del 2006) e di quelle che hanno investito in informatizzazione (26%, contro il 32% dell’anno precedente, il 24% del 2007 e il 38% del 2006). Infine, continuano ad aumentare le imprese che hanno acquisito mezzi di trasporto (19%, contro il 14% del 2009, il 10% del 2008 e il 28% del 2006).

Figura 11. Tipologia degli investimenti materiali realizzati dalle PMI.

Serie storica dal 2003 al 2010.

Se gli investimenti materiali sembrano essere costanti, quelli immateriali hanno segnato un brusco ridimensionamento: continua, infatti, a diminuire il numero di imprese che hanno effettuato investimenti in formazione, organizzazione aziendale e certificazione di qualità, marketing strategico e operativo, internazionalizzazione, innovazione ecc. Si passa dal 73% del 2006 al 60% del 2008, al 52% del 2010.

Rispetto ai periodi precedenti, nel 2010 sembra diminuire la propensione a investire in marketing e pubblicità (19%), in formazione (13%), anche se molto spesso obbligatoria in forza di specifiche disposizioni di legge, e

58%

43%

27%

26%

19%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

AttrezzatureImpianti e macchinariTerreni, fabbricati, immobiliInformatizzazioneMezzi di trasporto

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certificazioni (11%). Il numero delle imprese che hanno realizzato queste tipologie di investimento nel 2009 era rispettivamente 28%, 26% e 17%. Si conferma il numero di imprese che hanno operato investimenti in ricerca industriale e sperimentazione finalizzati all’innovazione di prodotti, processi e/o modelli di business: la percentuale si attesta all’8%, contro il 17% del 2008, il 10% del 2007 e il 12% del 2006 (vedi figura 12).

Figura 12. Tipologia degli investimenti immateriali realizzati dalle PMI. Serie storica dal 2003 al 2010.

Approfondendo la propensione delle PMI sarde ad innovare, sembra essere ancora poco diffusa la consapevolezza da parte delle imprese che “puntare sull’innovazione” risulta essere una strada obbligata per superare la grave crisi congiunturale (vedi figura 13). Solo circa un terzo delle imprese che hanno investito nel 2010 ha introdotto innovazioni al loro interno. In particolare, le imprese mostrano una maggiore attenzione all’innovazione dei processi (23%) e in secondo luogo alla vendita di nuovi prodotti/servizi (18%). Sono residuali le imprese innovative dal punto di vista organizzativo-gestionale in riferimento a innovazioni di prodotto/servizio (6%) e di processo (4%). Non confortano le previsioni per l’anno in corso: solo il 27% delle imprese svilupperà programmi definiti di investimento in innovazione al fine di

19%

13%

11%

8%

58%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Pubblicità

Formazione delle RU

Certificazione

Processi di R&S

Nessuno

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promuovere la produzione di nuovi prodotti e/o servizi e l’adozione di processi produttivi maggiormente competitivi. Il dato sulla scarsa propensione delle imprese ad innovare può essere parzialmente spiegato, come emerso dalle dichiarazioni degli imprenditori al margine delle interviste, dai costi dell’investimento in innovazione, giudicati troppo elevati per la singola impresa, dallo scarto temporale troppo ampio tra il momento in cui viene effettuato l’investimento e il momento in cui si realizzano i benefici dello stesso e dalla inadeguatezza dei finanziamenti pubblici disponibili.

Figura 13. Le PMI che hanno introdotto innovazioni nel 2010 e quelle che intendono sviluppare programmi di investimenti innovativi nel 2011

In relazione alla situazione dei vari settori produttivi, ad aver investito in maggior numero sono le imprese ICT (38%), quelle turistiche (37%) e del comparto agroindustriale (36%). Leggermente sotto la media il numero delle imprese metalmeccaniche che hanno operato investimenti: 34%. Circa il volume degli investimenti, in media hanno speso in maggior misura in tal senso le imprese metalmeccaniche (850mila Euro in media; dato probabilmente giustificato dalla presenza di alcune imprese che hanno realizzato ingenti investimenti) e quelle edili (419mila Euro). Nel 2009 questi due settori avevano investito rispettivamente 494mila e 166mila Euro: pertanto, si registra un considerevole aumento nei volumi di investimento. Anche le imprese turistiche hanno realizzato investimenti in assai maggior misura: dai 168mila del 2009 ai 244mila Euro del 2010.

AG

CO

MM

IT

TU

SA

Altri

Sardegna

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

57%

18%

41%

30%

45%

0%

19%

34%

36%

10%

30%

58%

20%

15%

25%

27%

2010

Prev. 2011

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Di contro, la diminuzione più rilevante in assoluto è quella del comparto agroindustriale che passa da 634mila a 292mila Euro nello stesso periodo. In conclusione, considerato l’andamento degli investimenti realizzati e le previsioni degli imprenditori su quelli da realizzare nell’anno in corso, la questione centrale su cui soffermarsi è il modo con cui sostenere in maniera produttiva le imprese che non hanno operato investimenti e quelle che sono incerte sulla loro realizzazione nel prossimo futuro. Stando alle risposte degli intervistati e anticipando parte dei temi trattati successivamente, la risposta sembra essere tutta concentrata sulla costruzione di un nuovo rapporto tra imprese e banche, senza il cui credito all’economia reale sarà per molte imprese assai difficile svilupparsi e in molti casi addirittura sopravvivere. Secondo quanto indicato dalla grandissima parte degli intervistati, il problema è dunque quello di portare le banche a stare maggiormente al fianco delle imprese, evidentemente sulla base di validi progetti di riorganizzazione industriale e rilancio produttivo. In altri termini, molti imprenditori hanno lamentato le pesanti inefficienze causate dal comportamento straordinariamente burocratico e lento delle banche che hanno gestito le leggi di incentivazione per conto della Regione. Lo stillicidio delle richieste di documentazione integrativa; l’improprio accavallamento delle procedure inerenti la concessione e l’erogazione degli anticipi, previsti sulla base di apposite fideiussioni, e l’approvazione e concessione dei mutui; i tempi dilatati di risposta ai quesiti inerenti il procedimento sono tra gli elementi più segnalati che hanno caratterizzato il rapporto tra banca incaricata della gestione degli incentivi e impresa. Di fatto, dunque, si è posto e si pone in generale un problema di stock del credito messo a disposizione delle imprese da parte delle banche e della Regione, ma anche un grande problema di gestione delle stesse risorse, quando si attuano programmi di stimolo a nuovi investimenti. Strettamente collegato a questo punto vi è un ulteriore elemento di riflessione: l’importanza del problema della efficienza della pubblica amministrazione, che viene messa sotto accusa per le inefficienze nella gestione di tutte le procedure autorizzatorie, non tanto a livello di programmi e di proclami, quanto di concreta e quotidiana attuazione delle nuove misure. Soprattutto qui si riafferma con drammatica urgenza il problema dei ritardati o, se si vuole, mancati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione regionale o locale in Sardegna a favore delle imprese, fornitrici di beni e servizi o aggiudicatrici di appalti per la realizzazione di opere pubbliche: il ritardo dei pagamenti alle piccole imprese arriva a oltre 180 giorni nel 2010 con un grave peggioramento rispetto al 2009. La

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situazione è ancor più allarmante di quanto accade a livello nazionale, in quanto la media dei pagamenti della pubblica amministrazione è di 93 giorni con un peggioramento di 13 giorni rispetto al 2009, il doppio dei tempi rispetto ai pagamenti da privato a privato che si “contengono” a 47 giorni.

In una situazione in cui il ciclo finanziario aziendale è forzatamente negativo, i ritardi consistenti dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione sono spesso causa di sofferenza creditizia da parte delle imprese e, secondo gli stessi intervistati, le sta costringendo a fortissimi tagli sulle spese di investimenti innanzitutto e progressivamente sulle risorse umane oppure, in molti casi, hanno condotto al fallimento delle stesse imprese.

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La gestione finanziaria delle PMI ed i rapporti tra imprese e sistema del credito “Il rapporto sistema creditizio e sistema produttivo è progressivamente più critico. Le imprese stanno sempre più cercando di restringere al massimo i rapporti con le banche, considerati un costo e più in generale un freno allo sviluppo aziendale. Aumenta il numero delle imprese che vogliono superare la grave crisi economica accelerando il processo di autocapitalizzazione. La domanda di finanziamento da parte delle imprese è principalmente connessa alla necessità di finanziamento del capitale circolante e in misura decisamente inferiore alla realizzazione di investimenti.” Nel 2010 il rapporto tra il livello di indebitamento e di fatturato registra un miglioramento ma continua a destare forti preoccupazioni (vedi figura 14). Il numero di imprese con indebitamento in crescita è decisamente diminuito: si passa dal 35% del 2009 al 25% nel 2010; era il 27,5% nel triennio precedente. Il numero di PMI con indebitamento in diminuzione è in calo di un punto percentuale rispetto al 2009 (13,5%, contro il 18,5% del 2008, il 23,4 del 2006 e il 29% del 2005). Ciò ha determinato un saldo3 che seppur ancora in terreno non favorevole, +11,6 punti percentuali, è migliorato rispetto ai +20 punti percentuali del 2009, riportandosi ai valori del 2007 precedente alla grave crisi economica i cui effetti sono ancora presenti in Sardegna. Il dato tendenziale per il 2011 sembrerebbe rivelare un recupero della situazione, anche se il maggior equilibrio indebitamento-fatturato, secondo gli intervistati, dipenderà unicamente dall’andamento del fatturato, tanto più in una fase in cui le imprese hanno sempre più difficoltà nell’accesso al credito. Come facilmente intuibile da quanto finora emerso, tra le motivazioni che possono aver generato una tale situazione nell’ultimo biennio ve ne sono almeno tre che spingono in diverse direzioni: da un lato, quella in cui si trovano le imprese che stanno operando investimenti e che almeno in parte hanno fatto ricorso all’indebitamento a medio-lungo termine; dall’altro, quella in cui si trovano le PMI, soprattutto meno strutturate, che avendo registrato un deficit crescente del margine operativo lordo devono far ricorso al credito a breve termine per far fronte ai pagamenti, in particolare saturando al

3 L’indicatore “saldo indebitamento rispetto al fatturato” di valore inferiore a zero indica che il livello di

indebitamento rispetto alle vendite complessive nel periodo considerato è diminuito per un numero di imprese superiore a quello per cui è aumentato, in quanto come ricordato il saldo indica la differenza tra il numero percentuale di PMI con indicatore in crescita e il numero percentuale di PMI con indicatore in diminuzione.

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massimo l’esposizione con il fido concesso e, quando è stato possibile, consolidando nel tempo le posizioni debitorie a breve, vista l’incapacità di far fronte alla restituzione del credito ottenuto. Va sottolineato, infine, che sul rapporto debiti-fatturato incide soprattutto il drastico aumento delle imprese che hanno registrato un calo delle vendite, per cui anche mantenendosi stabili o scendendo leggermente i livelli assoluti di indebitamento, diminuendo il valore economico del fatturato, il rapporto tra le due grandezze economiche tende ad aumentare.

Figura 14. Indebitamento rispetto al fatturato

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita e in diminuzione dal 1996 al 2010 e previsione per il 2011.

Considerando unicamente la posizione debitoria delle imprese, come nelle altre edizioni, il Rapporto approfondisce le tre componenti: debiti a breve termine, a medio-lungo termine e autofinanziamento (da considerare ovviamente come un apporto esterno rispetto al bilancio aziendale). Se si guarda all’andamento delle variazioni del numero di imprese che hanno fatto ricorso al credito in generale, nel 2010 è in calo il numero delle imprese che hanno aumentato il ricorso al credito e aumentano le imprese che mantengono stabili le proprie posizioni debitorie con gli istituti di credito. Appare evidente che le banche sono sempre meno disponibili a concedere ulteriore credito alle imprese, nonostante il forte fabbisogno, e che invece, al massimo, si tende a saturare la disponibilità di credito concessa dalla banca con fidi, scoperti e forme simili di finanziamento del circolante.

28% 28%

23%

14%

23%

27%

22%21%

31%

22%

27,5% 27,5%

27,2%

34,7%

25,1%

14%

22%23%

29% 28%31%

23%

25%

28%

18%

29%

23,4%15,9%

18,5%

14,5%

13,5%

17%

6%

5%

-6%

-14%

-8%

4%

-3%-7%

13%

-7%

4,1%11,6%

8,7%

20,2%

11,6%

-3%

-20%

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

Aumento Diminuzione Saldo

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Nel dettaglio, nel 2010 il numero di PMI che hanno fatto ricorso al credito bancario a breve termine in misura stabile è pari al 72%, decisamente in aumento rispetto all’anno precedente quando il dato si era attestato a quota 60%, il dato più elevato a partire dal 2003. Il numero delle imprese che hanno incrementato i debiti a breve registra un trend ancora in calo: dal 36% del 2007 si passa al 14% (dato più basso dell’intera serie storica), contro il 23% del 2009 e il 28% del 2008. Le previsioni per l’anno in corso sono di un calo ulteriore del dato, sino a quota 10% (vedi figura 15). Si profila quindi una situazione in cui le imprese non si attendono un grande supporto dalle banche, nonostante abbiano un bisogno assai più diffuso che in passato di far fronte alle esigenze fiscali, previdenziali, di ricostruzione delle scorte di materie destinate a trasformazione e alle crescenti difficoltà di incassare i crediti da parte dei clienti ecc.

Figura 15. Il ricorso al credito a breve termine

Andamento del numero di PMI con indicatore

in crescita, stabile e in diminuzione dal 2003 al 2010 e previsione per il 2011.

D’altra parte, il 14% delle imprese del campione (contro il 17% del 2009 e il 10% del 2008 e del 2007) ha ridotto il ricorso al credito a breve termine. In generale si può affermare che da un lato, come segnalato da molti imprenditori, le imprese stanno cercando di restringere al massimo i rapporti con le banche, considerati un costo e più in generale un freno allo sviluppo

19%

28% 26%28%

36%

28%

23%

14%10%

69%

63%60%

58%

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11%

9%14% 14%

10% 10%

17%14% 14%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

In aumento

Stabile

In diminuzione

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aziendale; dall’altro, la riduzione del credito registrato è stata per molte imprese una condizione di necessità per il consolidamento delle posizioni debitorie che altrimenti, in quanto non onorabili, avrebbero finito con il complicare ulteriormente il quadro del rapporto banca-impresa o, in qualche caso, per la richiesta di rientro da parte degli stessi istituti di credito. Come nelle precedente edizioni, il Rapporto Congiunturale ha previsto l’approfondimento della descrizione del quadro del ricorso al credito a breve termine, con particolare riferimento all’attivazione e all’utilizzo di un fido bancario. Ebbene, a conferma di quanto appena affermato, emerge che il 25% del campione ha dichiarato di non aver acceso alcun fido tanto nel 2010 quanto nell’anno precedente e di voler continuare a lavorare senza far ricorso al credito bancario a breve. Il 64% delle 229 imprese che avevano un fido attivo ha dichiarato che l’entità del fido accordato è stata costante rispetto al 2009 e con le stesse condizioni; nel 7% dei casi è rimasta stabile ma sono state ristrutturate le condizioni. D’altro canto, per il 9% delle imprese l’entità del fido è stata in aumento e con le stesse condizioni mentre il 5% ha ristrutturato le condizioni bancarie incrementandone l’entità. Delle restanti imprese che hanno visto ridurne l’entità, nel 7% dei casi il fido ha mantenuto le stesse linee e per il 6% si è provveduto alla ristrutturazione (vedi figura 16).

Figura 16. L’entità del fido accordato dalle banche nel 2010

Si confermano rispetto al 2009 le tipologie di garanzia richieste dagli istituti bancari alle imprese a supporto della richiesta del fido: il 52% degli intervistati ha indicato l’esistenza della garanzia del consorzio fidi e il 51% ha segnalato l’esistenza di garanzie patrimoniali, di tipo prevalentemente fideiussorio. Inoltre, l’11% ha evidenziato l’esistenza di garanzie reali richieste dalla banca ai fini della concessione del credito tramite fido. Solo nel 4% dei casi è stata segnalata l’assenza di qualsivoglia forma di garanzia.

PMI con Fido75%

PMI senza Fido25%

Con le stesse linee79%

Ristrutturato 18%

Non sa/NR

3%

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Con riferimento ai costi sostenuti dalle imprese per la gestione del fido, quali commissioni e altri costi accessori, nel 2010 il 43% degli intervistati li hanno indicati in aumento, il 35% stabili e solo il 4% in diminuzione. Ben il 18% non ha saputo o voluto fornire alcuna risposta in merito. Nel 2009 i dati erano rispettivamente: 37,5%, 24,6%, 6,3%, 31,6%. Si tratta di dati ancora piuttosto “preoccupanti”, come sono stati descritti da molti intervistati, in quanto, sono il chiaro segnale di come le banche non siano vicine alle imprese, in particolare in un momento in cui le imprese sono caratterizzate da scarsa liquidità. Rispetto alla precedente edizione, in questo Rapporto Congiunturale si è verificato un numero inferiore di intervistati, seppure sempre elevato, che non hanno saputo o voluto dare una risposta su diverse tematiche in merito al credito. Si potrebbe affermare che vi sia una minore disattenzione o incapacità di analisi e pianificazione finanziaria per quanto riguarda i costi che si riversano sul bilancio aziendale. Per quanto riguarda il credito a medio-lungo termine, la situazione è praticamente analoga: nel 2010 il 58% delle PMI (contro il 56% del 2009) ha mantenuto invariato lo stock del debito, il 22% lo ha incrementato e il 20% (rispetto al 16,5% dell’anno precedente) lo ha diminuito (vedi figura 17). In questo caso emerge assai probabilmente la scelta o la necessità di ricorrere a forme di indebitamento legate a investimenti (almeno per un terzo delle imprese contattate) e l’ipotesi del consolidamento dei debiti a breve termine a cui si faceva prima riferimento. Il dato per il 2011 tenderebbe a confermare quanto rilevato negli ultimi anni. Anche in questo caso, sono state approfondite le garanzie richieste dagli istituti bancari alle imprese a supporto dell’attivazione di un finanziamento a medio e lungo termine. Diventa sempre più rilevante il ruolo dei Consorzi Fidi nell’accesso al credito da parte delle imprese (57% dei casi, era il 34% del 2009); la metà delle imprese ha dichiarato di aver acceso garanzie patrimoniali, di tipo prevalentemente fideiussorio (41% nel 2009) e nel 42% dei casi è stata segnalata l’esistenza di garanzie reali richieste dalla banca ai fini della concessione del credito (32% nel 2009).

A rafforzare l’interpretazione data in precedenza, vi sono i dati inerenti il ricorso all’autofinanziamento, inteso come capitalizzazione dell’impresa da parte degli azionisti (vedi figura 18).

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Figura 17. Il ricorso al credito a medio e lungo termine

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita, stabile e in diminuzione dal 2004 al 2010 e previsione per il 2011.

Figura 18. Il ricorso all’autofinanziamento

Andamento del numero di PMI

con indicatore in crescita, stabile e in diminuzione dal 2004 al 2010 e previsione per il 2011.

19%

29,5% 28%

36%

28% 27,6%

22%

19,9%

71%

56,8%

55%52% 53%

55,9% 58%

64,6%

10%

13,6%17%

12%

19%16,5%

20%

15,5%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

In aumento Stabile In diminuzione

31% 31,4%

36%45,3%

42%

52%

38%

31%

64%60,2%

57%

46,5%

54%

41%

58%

63%

5%

8,4% 7%8,2%

4%

7%

4%

6%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Prev. 2011

In aumento Stabile In diminuzione

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Infatti, nel 2010 il 58% degli imprenditori ha mantenuto stabile il livello di autofinanziamento, decisamente incrementato nel 2009; il 38% degli intervistati ne ha fatto un maggior ricorso (contro il 52% del 2009), mentre solo il 4% lo ha diminuito. Dal quadro generale, si può affermare che in questi ultimi anni un numero sempre più elevato di imprese è stato costretto a capitalizzarsi maggiormente per rendere gli assetti finanziari e patrimoniali meno sbilanciati verso forme di “rischio – insolvenza” o anche prodromiche a situazioni di fallimento personali, soprattutto nel caso delle microimprese. Questa situazione trova giustificazione dal fatto che le regole di accesso al credito sono state profondamente modificate dagli accordi di Basilea 2, entrati in vigore nel 2008, e verranno ulteriormente trasformate dalla prossima adozione di Basilea 3. Di conseguenza è cambiato il complesso e delicato rapporto banca – impresa che si è fatto progressivamente più rigido ed è stato impostato su regole impersonali che prescindono dall’identità, dalla storia e dai progetti degli imprenditori. Questo fatto, lamentato in modo molto marcato dagli imprenditori intervistati, ha condotto ad un livello meno efficace del credito bancario ai fini dello sviluppo locale. Si spera che i nuovi Accordi di Basilea 3 superino le difficoltà di accesso al credito, in quanto più orientati a considerare le caratteristiche di un dato territorio, lasciando non tanto maggiore flessibilità, quanto capacità del sistema bancario locale di relativizzare la posizione di un’impresa rispetto al rating con cui è stata classificata. In merito al dialogo banca-impresa, si è indagata la valutazione data dagli imprenditori circa il grado di disponibilità attuale e nei prossimi mesi delle banche di concedere un fido o ampliarne l’entità e quale percezione hanno gli stessi imprenditori del proprio rating sul merito creditizio. Circa il primo aspetto, gli intervistati confermano quanto evidenziato in precedenza sulla loro volontà di operare senza far ricorso agli istituti bancari pur avendo segnali di disponibilità da parte delle banche da un lato e dal rallentamento del credito bancario dall’altro specialmente a causa delle difficoltà in cui versa l’azienda. Alla luce della situazione aziendale attuale e a quella attesa per l’anno in corso, per quanto concerne l’accesso al credito a breve termine, il 7% non avrebbe alcuna difficoltà (15% nel 2010) mentre un ulteriore 8% (19% nel 2010), pur non avendo bisogno di un fido o pur volendo ridurre il fido accordato, valuta che non avrebbe alcuna difficoltà perché la banca vorrebbe addirittura concedere il fido o ampliare quello già concesso. Inoltre, il 55% reputa di non avere bisogno di un fido o di ampliare quello esistente (28% nel 2010).

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Invece, l’8% ritiene che, date le difficoltà temporanee in cui versa l’azienda, la banca non sarebbe disposta a concedere alcun fido o ad ampliare quello esistente (vedi figura 19).

Figura 19. Le difficoltà nell’accesso al credito a breve termine da parte delle imprese nel 2011. Confronto con il 2010.

Il quadro che emergerebbe, pertanto, sembra rinviare ad una certa spaccatura del campione tra le imprese (progressivamente sempre meno) che dialogano fruttuosamente con il sistema delle banche o sono nelle condizioni di ottenere linee di credito e le imprese (progressivamente sempre in numero maggiore) che occupano una posizione neutrale, in quanto non hanno bisogno di un fido o di ampliare quello esistente e anzi intendono prodigarsi per ridurlo e per non avere più a che fare con le banche. In mezzo, si trovano le imprese che si trovano in assoluta impossibilità di accedere a forme di finanziamento tanto a breve quanto a medio-lungo termine. Guardando a questi dati dal lato degli istituti di credito, si potrebbe concludere che lo stock del credito erogato dovrebbe o potrebbe aumentare solo con quel 30% circa di imprese che potrebbero essere definite “virtuose”; mentre rimarrebbe tendenzialmente stabile con quel 50% circa di imprese (definibili indifferenti) che non manifestano un bisogno di credito e che anzi vorrebbero ridurre al minimo i rapporti con il sistema bancario; infine, il credito erogato andrebbe recuperato quanto più velocemente dal 20% di

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

La banca è disponibile a concedere fido in % al fabbisogno

L'azienda non ha bisogno di un fido anche se la banca è disponibile a concederlo

L'azienda intende ridurre il fido accordato, anche se la banca è disponibile ad ampliarlo

L'azienda non ha bisogno di un fido

L'azienda non ha bisogno di ampliare il fido esistente

Dato momento di difficoltà, la banca non è disponibile ad ampliare il fido

Dato momento di difficoltà, la banca non è disponibile a concedermi il fido

Dato momento di difficoltà, la banca mi ha chiesto di rientrare dal fido

15%

15%

4%

8%

20%

10%

4%

5%

7%

5%

3%

16%

51%

4%

4%

4%

2010

2011

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imprese residuali sulle quali le banche non sono più disponibili a puntare, né a rivolgere attenzioni utili a favorire il superamento di situazioni di una crisi devastante come quella in corso. A conferma di quanto appena indicato, gli intervistati hanno dato una indicazione del proprio rating sul merito creditizio, in base alle regole di Basilea 2, che è positiva nel 31% dei casi, neutra nel 33% e non favorevole nell’11%. Significativo che il 22% degli intervistati non abbia saputo rispondere, mentre solo il 3% non ha voluto fornire alcuna indicazione (vedi figura 20).

Figura 20. Posizionamento delle PMI rispetto alle regole di Basilea 2 nel 2011. Confronto con il 2010.

L’ultima parte del capitolo dedicato alla gestione finanziaria riguarda la percezione degli imprenditori sul rapporto banca-impresa nella situazione attuale e su come cambierebbe nel prossimo periodo. Circa la percezione del livello di criticità del rapporto banca-impresa, in particolare per quanto concerne la variabile accesso al credito, gli intervistati hanno raffigurato un quadro a tinte piuttosto fosche: il 43% ritiene che sia “molto critico”, il 30% “critico” e il 21% “non critico”. Analogo il dato relativo al costo del denaro e in generale alla disponibilità delle banche nei confronti delle imprese (vedi figura 21).

0%

10%

20%

30%

40%

50%

In posizione favorevole

In posizione neutra

In posizione non favorevole

Non sa Non vuole rispondere

35%

19%18%

26%

2%

31%33%

11%

22%

3%

2010 2011

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Figura 21. Problematiche del credito: livello di criticità delle variabili Accesso al credito, Costo del denaro, Disponibilità istituti di credito

secondo la percezione degli imprenditori nel 2010

Base: 304 (non risponde rispettivamente il 6%, il 6% e il 6% del campione)

Vi è da aggiungere che le variazioni di tali indicazioni inerenti la percezione del mondo imprenditoriale circa il comportamento del sistema bancario in generale sono tutte nel segno di un deterioramento o aggravamento del quadro, com’è facilmente immaginabile, date le maggiori difficoltà finanziarie delle imprese e quindi anche la maggiore difficoltà ad accedere al credito, di cui si è trattato in precedenza.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

Accesso al credito Costo del denaro Disponibilità banche

43% 43%41%

30%

35%

29%

21%

16%

24%

Molto critico Critico Non critico

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Dati di struttura delle imprese CONFAPI Sardegna contattate I dati di struttura rilevati si riferiscono al numero di addetti che lavorano in azienda ed alla classe di fatturato. In totale, gli addetti effettivamente impegnati nelle 303 imprese che ne hanno indicato il numero (delle 304 contattate nell’indagine) sono 3.645. Resta pressoché stabile il numero delle donne presenti in azienda: sono complessivamente il 19% del totale degli addetti (erano il 20% nel 2009, il 26% nel 2008 e il 21% nel 2007). Aumenta in generale la dimensione delle imprese per quanto riguarda il numero medio di addetti, pari a 12,0 contro il 10,5 nel 2009, l’11,4 nel 2008 e il 12,5 del 2007. A livello settoriale, si registrano varie differenze. Infatti, i comparti nei quali si concentrano più numerose le imprese di dimensioni maggiori sono il metalmeccanico (19,6), l’agroindustria (10,0 addetti) e le costruzioni (11,7). Di contro si confermano rispetto al 2009 le imprese con dimensioni ridotte quelle appartenenti ai settori del turismo (7,4 addetti) e dell’ICT (7,2). Sempre in tema di risorse umane, va segnalato che gli addetti impegnati in azienda delle imprese contattate sono per il 15,0% titolari o soci, per il 18,5% impiegati e per il 65,3% operai. Solo lo 0,7% (27 unità fisiche) sono dirigenti e un ulteriore 0,5% sono quadri (20 persone). Infine, va evidenziato il dato inerente il ricorso alle collaborazioni coordinate a progetto. In calo il numero delle imprese che hanno fatto ricorso a tali collaborazioni: 12% (contro il 16% del 2009 e il 14% degli anni 2008, 2007, 2006). Il numero medio di collaboratori per impresa è pari a 2,5 (3,0 nel 2009). Il 45,1% delle imprese (era il 48% nel 2009) ha registrato nel 2010 classi di fatturato comprese entro i 500.000 Euro. Il 35,9% delle PMI si colloca nella classe di fatturato da 500.001 Euro a 2.500.000 Euro e, infine, il 16,8% delle imprese fattura oltre 2,5 milioni di Euro (13,6 nel 2009). In sostanza, è in leggero aumento il fatturato medio registrato dalle piccole e medie imprese contattate: si passa da 1,60 milioni di Euro del 2007 e da 1,53 milioni di Euro nel 2008 a 1,37 milioni di Euro nel 2009 e a 1,52 milioni di Euro nel 2010.

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NOTE