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1 La vocazione internazionale del Made in Italy Confapi: strategie, mercati e competenze. Ricerca realizzata nell’ambito delle attività del Centro Confapi – Università degli Studi Internazionali di Roma (Unint) sul Made in Italy (Madeint) Coordinamento scientifico: dott. Massimo Maria Amorosini - Direttore Generale Confapi prof. Alessandro De Nisco - Direttore Scientifico Madeint A cura di Dott.ssa Giada MAINOLFI - Ricercatore UNINT e Referente Sezione Imprese e Settori di MADEINT Dott. Daniele BIANCHI - Ufficio Studi CONFAPI

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La vocazione internazionale del Made in Italy Confapi: strategie, mercati e competenze.

Ricerca realizzata nell’ambito delle attività del Centro Confapi – Università degli Studi Internazionali di Roma (Unint)

sul Made in Italy (Madeint)

Coordinamento scientifico:

dott. Massimo Maria Amorosini - Direttore Generale Confapi

prof. Alessandro De Nisco - Direttore Scientifico Madeint

A cura di

Dott.ssa Giada MAINOLFI - Ricercatore UNINT e Referente Sezione Imprese e Settori di MADEINT

Dott. Daniele BIANCHI - Ufficio Studi CONFAPI

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                       Rapporto di ricerca realizzato nell’ambito delle attività del  Centro Confapi‐Università degli Studi Internazionali di Roma (Unint) sul Made in Italy (Madeint) Dicembre 2016 Roma   Il lettore è libero: di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico quest’opera. Alle seguenti condizioni:  

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Indice

P.

1. Premessa …………………………………………………………………………………… 4

2. Gli obiettivi della ricerca …………………………………………………………………. 4

3. La metodologia dello studio ……………………………………………………………… 5

4. Caratteristiche anagrafiche e dimensionali delle imprese ...…………………………… 7

5. La vocazione internazionale delle imprese ……………………………………………… 9

6. Instabilità politico-economica e mercati esteri: la percezione delle imprese …………15

7. Vantaggio competitivo e sviluppo internazionale: il ruolo delle “competenze” Made in Italy ………………………………..……….. 20

8. I servizi a supporto dell’internazionalizzazione …………………………………… 24

9. Riflessioni conclusive ……………………………………………………………… 28

Riferimenti bibliografici ………………………………………………………………. 30

Appendici ……………………………………………………………………………... 31

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1. Premessa L’economia mondiale si mostra in una condizione quanto mai incerta, dovuta alle

difficoltà di ripresa economica di alcuni Paesi industrializzati, al rallentamento della crescita di alcuni Paesi emergenti e alle numerose aree connotate da turbolenza politica, guerra e instabilità. L’Unione Europea sembra far fatica a ritrovare la strada della competitività rispetto alle potenze globali degli USA e della Cina. Gli Stati membri sono, quindi, sempre più impegnati nella formulazione di una visione concreta per lo sviluppo economico, sociale e ambientale. Con particolare riferimento all’ambito economico è indubbio che il tema dell’internazionalizzazione diventa un leitmotiv dell’agenda dei policy maker. Difatti, gli investimenti esteri non sono giudicati soltanto una fonte aggiuntiva di risorse finanziarie, ma anche di vantaggi in termini di cultura imprenditoriale e di capacità di intercettare la domanda dei mercati internazionali1. A livello italiano il recente “Piano straordinario per il rilancio del Made in Italy” costituisce un esempio emblematico della riconosciuta valenza del presidio dei mercati esteri per la tenuta della competitività del sistema produttivo italiano.

Partendo da tale riflessione, si può rilevare che le piccole e medie imprese italiane hanno oramai compreso che l’internazionalizzazione non rappresenta più un’opzione tra le tante, ma che, invece, diventa una parte imprescindibile del percorso di sviluppo dell’organizzazione. Se, inizialmente, l’andare all’estero era una sorta di scelta disperata di reazione alla staticità del mercato domestico, oggi il percorso di sviluppo internazionale viene giudicato una soluzione strategica che richiede, però, un approccio strutturato e stabile nel tempo per poter conseguire gli obietti di crescita sperati. In tal senso, appare quanto mai rilevante la comprensione delle attuali criticità riscontrate dalle imprese nella gestione delle attività al fine di individuare delle linee di indirizzo strategico che possano supportare in modo fattivo il processo decisionale alla base dell’espansione internazionale.

In tale scenario, il Centro di Ricerca sul Made in Italy (Madeint), istituito nel 2015 da Confapi e dall’Università degli Studi Internazionali di Roma, ha avviato una serie di attività di ricerca finalizzate a fungere da supporto e stimolo all’internazionalizzazione delle Pmi italiane. Il Centro di Ricerca, infatti, nasce con l’obiettivo di svolgere un’attività di ricerca sistematica ed innovativa sull’evoluzione delle caratteristiche strutturali e manageriali dei settori del Made in Italy, con particolare attenzione alle strategie di espansione internazionale delle PMI. L’approccio scientifico è ispirato ad una visione integrata e multidisciplinare del sistema Made in Italy,

Seguendo questa impostazione, il presente studio intende fornire un’analisi critica delle attuali modalità di internazionalizzazione delle Pmi del sistema Confapi, finalizzata a proporre delle linee di indirizzo strategico per gli operatori economici e delle indicazioni di policy per gli enti che, con ruoli diversi, possono sostenerne il processo di internazionalizzazione. Nel presentare i risultati della ricerca corre l’obbligo di ringraziare Giovanni Bisogni, Presidente del CdA Unint, per il prezioso contributo dato per l’impostazione metodologica.

2. Gli obiettivi della ricerca

Gli obiettivi della ricerca sono orientati a fotografare l’orientamento internazionale delle

piccole e medie imprese dell’universo Confapi attraverso la comprensione dello stato attuale del processo di internazionalizzazione, in termini di presenza sui mercati e di modalità di

                                                       1 Cfr. Report IAI (2015), “Global outlook”, Istituto Affari Internazionali, in www.iai.it, p. 4. 

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contatto con la clientela internazionale, nonché delle sue evoluzioni future basate sulle percezioni attuali vantate dalle imprese. Tale ultimo aspetto rappresenta un criterio interpretativo particolarmente efficace ai fini di una corretta valutazione dei reali ostacoli alla competitività con cui le imprese si trovano a fare i conti quotidianamente. Le imprese sono pienamente consapevoli dei propri punti di forza, ma le dinamiche competitive attuali possono minacciare tale convinzione nel senso che gli imprenditori possono sentirsi smarriti e confusi dalle richieste peculiari di specifici contesti esteri.

In tal senso, lo studio, oltre a tracciare un profilo della vocazione internazionale delle imprese, intende illustrare e comprendere le leve giudicate più critiche ai fini di un vantaggio competitivo sostenibile anche a livello internazionale. Simili evidenze possono agevolare l’operato delle Istituzioni che, a diversi livelli, agiscono a supporto dei sistemi imprenditoriali locali, cercando di assistere le imprese che non riescono a travalicare i confini nazionali, offrendo servizi e attività modellate su esigenze specifiche. Se è vero, come evidenziato, che si assiste ad una marcata progressione sul versante delle esportazioni “Made in Italy”, occorre scongiurare il pericolo di distorsioni a livello territoriale in cui si potrebbe accentuare il divario tra economie locali e aree urbane più strutturate e con maggiori canali di accesso sui circuiti economici internazionali2.

Inoltre, considerando le attuali tensioni politico-economiche che stanno minacciando la solidità delle relazioni tra i Paesi, finora consolidate e stabili, appare quanto mai interessante valutare le percezioni delle imprese italiane in merito al possibile impatto che tali eventi possono produrre sul processo di crescita internazionale.

3. La metodologia dello studio

Allo scopo di indagare gli obiettivi conoscitivi dello studio, è stata condotta una survey su

un campione di imprese associate a Confapi. Il piano di rilevazione è stato realizzato attraverso la piattaforma web del portale Confapi. La qualità, l’accuratezza e la completezza delle informazioni raccolte durante lo svolgimento dell’indagine dipendono in gran parte dallo strumento utilizzato per effettuare le rilevazioni. Relativamente agli strumenti impiegati per l’indagine è stato utilizzato un questionario studiato e realizzato appositamente per poter essere veicolato on-line. Il questionario ha rappresentato la struttura da seguire per poter raccogliere le unità informative giudicate più significative ai fini dell’analisi. Per rilevare le informazioni, inoltre, sono state utilizzate domande chiuse, ossia con indicazione delle opzioni da scegliere, che consentono di guidare l’intervistato nell’interpretazione e formalizzazione verbale delle proprie opinioni e delle caratteristiche dell’operato della propria azienda in termini di internazionalizzazione.

La struttura del questionario è stata concepita in quattro sezioni, ciascuna delle quali orientata a far emergere i tratti salienti dello specifico quesito indagato. La prima sezione è stata concepita con l’intento di indagare la propensione all’internazionalizzazione delle imprese e i principali mercati esteri di riferimento. In particolare, le prime domande hanno inteso analizzare i trend, passati e futuri, del fatturato estero, collegandoli, inoltre, alle attuali aree geografiche più rilevanti. Successivamente, i quesiti della prima sezione sono stati orientati a verificare le attuali modalità adottate per presidiare i mercati esteri. Particolare enfasi è stata anche data alla valutazione delle percezioni dei soggetti intervistati in tema di rischio Paese derivante da condizioni di turbolenza politica e/o economica.

                                                       2 Cfr. Report Unioncamere (2015), “Alimentare il digitale. Il futuro del lavoro e della competitività dell’Italia”, Centro Studi Unioncamere, p. 118. 

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La seconda sezione, invece, ha consentito di verificare il grado di utilizzo dei servizi di supporto all’internazionalizzazione. In particolare, l’intento è stato quello di sondare la propensione, nonché l’effettiva utilizzazione, dei servizi erogati da Enti pubblici e privati a sostegno della crescita internazionale delle piccole e medie imprese. Gli ultimi due quesiti della sezione hanno, inoltre, indagato gli elementi alla base del vantaggio competitivo delle aziende sui mercati esteri. La terza sezione, invece, ha interessato la valutazione dell’organizzazione delle attività di internazionalizzazione. Specificamente, partendo da una verifica delle attuali figure aziendali deputate a curare le attività di export, si è proceduto ad un’analisi delle tipologie di competenze professionali di cui le aziende ritengono di avere maggior bisogno. Infine, nell’ultima sezione sono state raccolte le informazioni anagrafiche relative all’azienda (sede, fatturato, numero dipendenti, settore di attività). Lo step successivo dell’indagine ha interessato la definizione della struttura del campione di Pmi. Il punto di partenza nella costruzione del piano di campionamento è rappresentato dall’individuazione dell’universo di riferimento, costituito in questo caso dalle piccole e medie imprese italiane operanti nei settori dell’industria manifatturiera, delle costruzioni, e dei servizi. e rappresentative del tessuto economico produttivo del Paese. A tale proposito, è stata recepita la definizione europea di Piccola e Media Impresa (PMI) entrata in vigore il 1o gennaio 2005, basata sulla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea del 6 maggio 2003. Secondo tale documento, un’impresa è definita “media” se ha un organico inferiore a 250 persone ed un fatturato non superiore a 50 milioni di euro (oppure, in alternativa, un bilancio annuale non superiore a 43 milioni di euro). Una “piccola impresa”, invece, è tale se il suo organico non eccede le 50 persone e il suo fatturato (o il bilancio annuale) non supera i 10 milioni di euro. Infine, un’impresa è definita “micro-impresa” nel caso in cui il suo organico sia inferiore a 10 persone e il suo fatturato (o il bilancio annuale) non superiore a 2 milioni di euro.

Tale piano ha confrontato la numerosità delle aziende associate a Confapi con l’intero universo a livello nazionale. Il collettivo di riferimento è stato ottenuto dai dati dell’Archivio Statistico delle Imprese Attive (ASIA) dell’ISTAT relativo all’anno 2007. Per ottenere una migliore rappresentatività del campione, sono state utilizzate tre variabili di stratificazione:

- ripartizione geografica, suddivisa in: Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e isole; - settore economico, suddiviso per: industria manifatturiera, costruzioni e servizi; - numero di addetti, suddiviso in: fino a 5 addetti, da 6 a 15 addetti, da 16 a 100 addetti,

oltre 100. Successivamente è stata confrontata la composizione percentuale delle imprese Confapi

con l’universo delle imprese italiane fotografato dall’Istat3. Sulla base di tale associazione, è stato utilizzato un campionamento di tipo proporzionale per ognuna delle classi di addetti, con un tasso di campionamento crescente per le imprese appartenenti alle classi di addetti più elevate. Seguendo questa impostazione, è stato ottenuto un campione di numerosità pari a 2.727 imprese, in cui si ha un livello di dettaglio che permette di valutare le risposte del questionario per ogni classe relativa alla variabile di stratificazione. Le aziende sono state contattate via e-mail, e sono state illustrate loro le finalità dell’indagine e le modalità operative per poter compilare il questionario on-line. Tale attività è stata condotta da dicembre 2015 a

                                                       3 Dal confronto tra le imprese Confapi e l’universo Istat emerge una sovra‐rappresentazione delle imprese manifatturiere e una sotto‐rappresentazione delle imprese del settore dei servizi. Inoltre, sono sottorappresentate le imprese con meno di 5 addetti, mentre risultano percentualmente più consistenti le imprese da 6 addetti in su. Infine, sono presenti anche delle  disparità  a  livello  territoriale  con  una  maggiore  presenza  delle  imprese  localizzate  nel  Nord‐Ovest  e  quelle appartenenti al Sud Italia. 

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marzo 2016. Al termine della fase di somministrazione via web del questionario, sono stati ottenuti 583 questionari di cui 224 giudicati validi ai fini dell’analisi.

4. Caratteristiche anagrafiche e dimensionali delle imprese

Il campione risulta composto da imprese dislocate sull’intero territorio nazionale, operanti

nei vari settori produttivi che la Confapi rappresenta. La localizzazione delle imprese, che hanno contribuito alla realizzazione della presente indagine, è in prevalenza nell’area centrale del Paese, rappresentando il 39,73% del totale dei rispondenti. Le imprese localizzate nel Nord-Ovest rappresentano il 30,36% dell’intero campione, mentre quelle nel Nord-Est il 14,29%. La macro area relativa al Sud e alle Isole costituisce, invece, il restante 15,63% (v. tab. 1). La composizione del campione è caratterizzata dalla forte presenza del comparto metalmeccanico che riflette la compagine associativa della Confederazione. Specificamente, questo aggregato, in cui rientrano i comparti relativi alla metallurgia, alla produzione di macchine, di prodotti da lavorazioni meccaniche e impiantistica, costituisce circa il 26% delle imprese intervistate.

Tabella 1 – Dislocazione territoriale delle imprese

Macro aree  Freq. Ass.  Freq. % 

Nord‐Ovest  68  30,36 

Nord‐Est  32  14,29 

Centro  89  39,73 

Sud e Isole  35  15,63 

Totale  224  100,00 

Successivamente, i settori più rappresentati sono i servizi (13,39%) e il settore dell’edilizia e

del legno (12,05%). Seguono le imprese operanti nel settore tessile (11,60%), nel settore chimico (7,60%) e nell’industria alimentare (6,25%). Il settore del commercio (5,80%), dei trasporti (3,12%), della sanità (2,24%), del turismo (1,78%) e della grafica (1,34%) caratterizzano la restante parte del campione intervistato (v. tab. 2). Tabella 2 – Ripartizione settoriale delle imprese

Settori  Freq. %  Freq. Ass. 

Alimentare  6,25  14 

Chimica  7,60  17 

Commercio  5,80  13 

Edilizia e legno  12,05  27 

Grafici ed editori  1,34  3 

Meccanica   26,78  60 

Sanità  2,24  5 

Servizi  13,39  30 

(segue) 

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Tessile  11,60  26 

Trasporti  3,12  7 

Turismo  1,78  4 

Altro  8,05  18 

Totale  100  224 

Per ciò che concerne l’analisi dimensionale delle imprese intervistate, è interessante

esaminare i dati relativi al numero di dipendenti a tempo indeterminato e le classi di fatturato dichiarate. In termini di numero di dipendenti, il campione può essere ascritto, nella stragrande maggioranza dei casi, alla tipologia di piccola impresa. Se, infatti, si sommano i valori compresi tra 6 e 50 unità, la percentuale è pari a circa l’86% (v. tab. 3). Tabella 3 – Numero di dipendenti  

Classi di dipendenti Freq. 

 % 

Freq. 

Assoluta 

0  0,89  2 

1‐5  7,60  17 

6‐15  43,30  97 

16‐35  34,37  77 

36‐50  8,49  19 

51‐100  2,23  5 

>100  3,12  7 

Totale  100  224 

 In linea con il dato dimensionale, la classe di fatturato più rappresentativa del campione

è quella compresa tra 1 e 3 milioni di euro (35,72%) e, successivamente, tra 3 e 5 milioni di euro (20,53%). Più dell’80% del campione registra, quindi, un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro. Il restante 20%, invece, risulta distribuito tra le fasce 5-10 milioni di euro (11,60%), 10-20 milioni di euro (3,57%) e oltre 50 milioni di euro (0,90%) (v. tab. 4). Tabella 4 - Classi di fatturato

Classi di fatturato Freq. 

 % 

Freq. 

Assoluta 

<500 mila euro  8,92  20 

500 mila e 1 milione di euro  17,86  40 

1 ‐ 3 milioni di euro   35,72  80 

3 ‐ 5 milioni di euro   20,53  46 

5 ‐ 10 milioni di euro   11,60  26 

10 ‐ 20 milioni di euro   3,57  8 

20 e 30 milioni di euro   0,90  2 

30 ‐ 50 milioni di euro   ‐  0 

oltre 50 milioni di euro   0,90  2 

Totale 100  224 

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A questo punto è interessante incrociare i dati del fatturato con quelli dimensionali relativi al numero di dipendenti. In particolare, per questi ultimi si è proceduto aggregando ulteriormente i dati sulla base delle fasce normalmente utilizzate per differenziare le tipologie di impresa (micro, piccola, media, grande).

Come facilmente ipotizzabile, la gran parte delle micro-imprese registra un fatturato inferiore ai 500mila euro (85%). Man mano che aumenta il fatturato, le imprese sembrano concentrarsi maggiormente nella classe di addetti compresa tra 11 e 50 (piccola impresa) (v. tab. 5). Tabella 5 – Ripartizione del fatturato per fasce dimensionali

  Numero di dipendenti Totale 

Fatturato  <10  11‐50  51‐250  >250 

<500 mila euro  85%  10,00%  5,0%  0% 

100% 

500 mila e 1 milione di euro  47,5%  52,5%  0%  0% 

1 ‐ 3 milioni di euro  18,8%  81,2%  0%  0% 

3 ‐ 5 milioni di euro  6,5%  93,5%  0%  0% 

5 ‐ 10 milioni di euro  0%  88,5%  7,7%  3,8% 

10 ‐ 20 milioni di euro  0%  50%  50%  0% 

20 e 50 milioni di euro  0%  0%  100%  0% 

oltre 50 milioni di euro  0%  0%  0%  100% 

Totale  24,2%  70,5%  4%  1,3%  100% 

Il campione appare perfettamente in linea con lo scenario nazionale dipinto dal recente

rapporto Cerved in cui, in base agli ultimi bilanci disponibili (2013), 137.046 soddisfano i requisiti di PMI e tra queste 113.387 sono ascrivili alla tipologia di “piccola impresa” e 23.659, invece, a quella di “media impresa” (v. fig. 1). Come evidenziato in precedenza, la dimensione aziendale è positivamente correlata con l’entità del fatturato. Figura 1 – Dimensione delle PMI

Fonte: Report Cerved (2015), “Rapporto PMI”, in know.cerved.com, download del 18.09.16   

5. La vocazione internazionale delle imprese

La propensione all’internazionalizzazione delle imprese interpellate sembra polarizzarsi intorno ai valori estremi. Circa il 35% dichiara di registrare un fatturato estero inferiore all’1%, mentre il 34% si attesta tra il 5 e il 10% (v. tab. 6). La successiva percentuale più alta si riscontra all’estremo opposto, ossia in concomitanza di un fatturato superiore al 50%. Per poter ottenere indicazioni più puntuali e significative, è interessante incrociare i dati relativi alle soglie di fatturato estero con i settori di appartenenza delle imprese (v. tab. 7).

Medie 

Piccole 

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Leggendo i dati, a primo impatto si nota come i valori del fatturato estero si concentrano maggiormente nelle fasce percentuali più basse (<1% e 5-10%). In particolare, i settori che denotano una propensione export più contenuta fanno riferimento al commercio, al settore grafico e dell’editoria e ai trasporti. Tali evidenze sono in linea con le caratteristiche settoriali a livello nazionale che evidenziano un prevalente orientamento etnocentrico, pur in presenza di una consapevole urgenza di espandere le attività oltreconfine. Tabella 6 - Percentuale di fatturato estero conseguita (ultimi tre anni)

Percentuale di fatturato estero (ultimi 3 anni) Freq. 

 % 

Freq. 

Assoluta 

< 1%  34,82  78 

5‐10%  33,93  76 

10‐15% 4,91  11 

15‐20% 4,91  11 

20‐30% 3,57  8 

30‐50% 6,70  15 

> 50%  10,26  23 

m.r.  0,90  2 

Totale 100  224 

I settori, invece, che presentano percentuali di fatturato estero distribuite in modo più

trasversale attraverso le diverse fasce sono quelli riconducibili alle produzioni etichettate classicamente come Made in Italy: alimentare, meccanica, tessile. Tabella 7 – Ripartizione del fatturato estero su base settoriale

Settore  <1%  5‐10%  10‐15%  15‐20%  20‐30%  30‐50%  >50%  m.r.  Tot. % 

Alimentare  14,3%  21,4%  7,1%  7,1%  21,4%  14,3%  14,3%  0 

100% 

Chimica  29,4%  52,9%  0%  0%  0%  5,9%  5,9%  5,9% 

Commercio  30,8%  61,5%  7,7%  0%  0%  0%  0%  0% 

Edilizia e arredo  40,7%  40,7%  11,2%  0%  0%  3,7%  3,7%  0% 

Grafici ed editori  33,3%  66,7%  0%  0%  0%  0%  0%  0% 

Informatico  64,3%  21,4%  7,1%  0%  0%  7,1%  0%  0% 

Meccanica  25%  30%  6,7%  11,7%  1,7%  8,3%  16, 7%  0% 

Sanità  40%  20%  0%  0%  20%  0%  0%  20% 

Servizi  75%  18,7%  0%  0%  0%  0%  6,3%  0% 

Tessile  26,9%  34,6%  0%  7,7%  0%  7,7%  23,1%  0% 

Trasporti  42,9%  57,1%  0%  0%  0%  0%  0%  0% 

Turismo  75%  25%  0%  0%  0%  0%  0%  0% 

Dopo aver verificato l’incidenza del fatturato estero, le aziende sono state interpellate in

merito all’andamento di quest’ultimo e alle principali aree di destinazione dell’export. Specificamente, il focus dell’analisi è stato quello di fotografare la situazione attuale e, allo stesso tempo, di rilevare i giudizi previsionali delle imprese in termini di evoluzioni future del fatturato e dei Paesi di esportazione.

I risultati evidenziano una situazione alquanto positiva in cui l’andamento del fatturato estero sembra mantenere performance stabili negli ultimi tre anni (46,88% dei casi) se non addirittura leggermente in crescita (27,23%) (v. tab. 8). Inoltre, circa il 9% del campione rileva una netta crescita (5-10%) e un ulteriore 4% registra un incremento del fatturato estero

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superiore al 10%. Si intuisce come i mercati esteri diventino sempre di più uno sbocco obbligato per le produzioni nazionali.

Particolarmente interessante appare l’analisi delle principali aree di esportazione (v. tab. 9). L’Unione Europea si conferma la prima area di destinazione. Nel 75,38% dei casi il primo Paese estero di esportazione è uno Stato europeo4. Tale risultato è altresì confermato in corrispondenza della seconda e della terza scelta. Tabella 8 – Andamento del fatturato estero (ultimi tre anni)  

Percentuale di fatturato estero (ultimi 3 anni) Freq. 

 % 

Freq. 

Assoluta 

Stabile  46,88  105 

Leggermente in crescita (+1‐5%) 27,23  61 

In netta crescita (+5‐10%)  9,82  22 

In forte crescita (>10%)   4,03  9 

In lieve diminuzione (‐1‐5%)  3,12  7 

In netta diminuzione (‐5‐10%)  3,12  7 

In forte diminuzione (> ‐10%) 3,12  7 

m.r.  2,68  6 

Totale 100  224 

Le successive aree di sbocco fanno, invece, riferimento ai Paesi europei non rientranti

nell’Unione Europea (Albania, Bielorussia, Macedonia, Montenegro, Russia, Serbia, Svizzera, Turchia, Ucraina). All’interno di questo raggruppamento, la Federazione Russa è il Paese più rilevante (3,59%), seguito dalla Svizzera (3,08%), in termini di prima area di destinazione (v. appendice I). Tabella 9 – Principali aree di esportazione

Aree 1° Paese  2° Paese  3° Paese 

Freq. ass. Freq. %  Freq. ass. Freq. %  Freq. ass.  Freq. % 

Unione Europea (28)   147  75,38  114  73,08  60  60,00 

Paesi europei non UE*  20  10,26  19  12,10  16  16,00 

Africa settentrionale  2  1,03  5  3,18  3  3,00 

Altri Paesi africani   2  1,03  0  0,00  0  0,00 

America settentrionale  12  6,15  6  3,82  8  8,00 

America centro meridionale  5  2,56  2  1,27  2  2,00 

Medio Oriente  3  1,54  1  0,64  5  5,00 

Asia centro meridionale  1  0,51  2  1,27  0  0,00 

Sud‐est asiatico  0  0,00  1  0,64  2  2,00 

Asia orientale  3  1,54  5  3,18  1  1,00 

Oceania  0  0,00  1  0,64  3  3,00 

Totale rispondenti  203  100,00  157  100,00  100  100,00 

* Albania, Bielorussia, Macedonia, Montenegro, Norvegia, Russia, Serbia, Svizzera, Turchia, Ucraina. 

                                                       4 Per elenco dettagliato dei Paesi di destinazione dell’export si consulti l’appendice 1. 

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12 

 

Dopo aver verificato le principali aree di destinazione dell’export, è interessante comparare il dato relativo al primo Paese (area) di destinazione con il peso percentuale che le diverse aree geografiche rivestono nel valore globale delle esportazioni italiane. Come evidenziato in precedenza, le imprese intervistate denotano una concentrazione nei Paesi dell’Unione Europea (75%) che, anche a livello nazionale, rappresentano la prima area di destinazione dell’export con un’incidenza percentuale del valore delle esportazioni pari a circa il 55% (v. tab. 10).

Tabella 10 – Confronto tra le principali aree di esportazione delle imprese Confapi e la loro

incidenza sul livello globale di esportazioni italiane

Aree Principale area di esportazione per le imprese Confapi 

Peso % delle esportazioni italiane per area (2015)* 

Unione Europea (28)   75,38  54,90 

Paesi europei non UE*  10,26  10,80 

Africa settentrionale  1,03  3,20 

Altri Paesi africani   1,03  1,40 

America settentrionale  6,15  9,60 

America centro meridionale  2,56  3,30 

Medio Oriente  1,54  5,20 

Asia meridionale  0,51  1,40 

Asia orientale  1,54  8,40 

Oceania  0,00  1,00 

Totale   100,00%  100,00% 

* Rapporto ICE-ISTAT (2016), L’Italia nell’economia internazionale, p. 115.

La polarizzazione dell’export verso la zona euro determina una minore presenza delle

imprese sugli altri mercati. In particolare, i mercati asiatici sembrano non registrare la stessa rilevanza conseguita a livello nazionale dalle imprese italiane così come anche i Paesi mediorientali. Come evidenziato in precedenza, alle imprese intervistate è stata, inoltre, chiesta una previsione in merito all’andamento del fatturato estero per i prossimi tre anni e agli eventuali nuovi Paesi di esportazione verso cui l’azienda intende espandersi. Confermando i giudizi positivi espressi in relazione alle recenti performance export, le imprese appaiono particolarmente ottimiste sul futuro andamento del fatturato estero. Circa il 40% degli intervistati prevede risultati stabili per i prossimi tre anni e il 37% dimostra giudizi ancor più positivi, ipotizzando una crescita del 5-10%. Percentuali residuali si registrano in corrispondenza di giudizi più pessimistici (v. tab. 11).

Tabella 11 – Previsioni sull’evoluzione del fatturato (prossimi tre anni)

Previsioni Freq.  

 % 

Freq. 

Assoluta 

Stabile  41,07  92 

Leggermente in crescita (+1‐5%) 37,95  85 

In netta crescita (+5‐10%)  8,49  19 

In forte crescita (>10%)   3,12  7 

(segue) 

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13 

 

In lieve diminuzione (‐1‐5%)  2,23  5 

In netta diminuzione (‐5‐10%)  0,90  2 

In forte diminuzione (> ‐10%) 1,33  3 

m.r.  4,91  11 

Totale 100  224 

Per quanto riguarda le nuove aree di destinazione dell’export, l’Europa conferma una

posizione di assoluta rilevanza (v. tab. 12). Tale risultato appare la naturale conseguenza di quanto emerso in precedenza, in relazione alla consistenza del fatturato estero. Le imprese guardano all’Europa per i loro progetti di espansione all’estero, evidentemente perché non hanno ancora pienamente colto le opportunità che tale mercato può offrire loro. Una simile considerazione è ancor più plausibile se la si collega ai valori tendenzialmente contenuti del giro di affari raggiunto nei mercati esteri. Germania e Francia occupano rispettivamente la prima e la seconda posizione all’interno dell’Unione Europea. Immediatamente dopo l’Unione Europea, le imprese guardano ai Paesi europei non rientranti nella UE per i loro progetti internazionali futuri. Così come già emerso in relazione agli attuali Paesi di esportazione, all’interno del raggruppamento dei Paesi europei non facenti parte dell’Unione Europea, la Federazione Russa appare il principale Paese di interesse verso cui orientare l’espansione internazionale delle aziende (v. appendice II)5.

Tabella 12 – Previsione di nuovi Paesi di esportazione (prossimi 3/5 anni)

Aree 1° Paese  2° Paese  3° Paese 

Freq. ass. Freq. %  Freq. ass. Freq. %  Freq. ass.  Freq. % 

Unione Europea (28)   47  39,82  34  38,20  20  39,22 

Paesi europei non UE*  32  27,11  26  29,21  8  15,69 

Africa settentrionale  5  4,24  2  2,25  1  1,96 

Altri Paesi africani   0  0,00  1  1,12  1  1,96 

America settentrionale  10  8,48  6  6,74  4  7,84 

America centro meridionale  6  5,09  5  5,62  6  11,76 

Medio Oriente  6  5,09  6  6,74  7  13,73 

Asia centro meridionale  3  2,54  1  1,12  2  3,92 

Sud–est asiatico  2  1,70  2  2,25  1  1,96 

Asia orientale  6  5,08  5  5,62  1  1,96 

Oceania  1  0,85  1  1,12  0  0,00 

Totale rispondenti  119  100,00  89  100,00  51  100,00 

* Albania, Armenia, Macedonia, Montenegro, Norvegia, Russia, Serbia, Svizzera, Turchia. 

Con riferimento alle modalità di entrata utilizzate per l’ingresso nei mercati esteri, i

risultati sono coerenti con la tipologia di imprese intervistate, soprattutto in termini di dimensione. Difatti, il campione analizzato utilizza prevalentemente la negoziazione diretta con il cliente finale (25%). Tale modalità è spesso “subita” dalle piccole e medie imprese come conseguenza della loro partecipazione a fiere di settore (v. fig. 2)6.                                                        5 Per consultare la lista dettagliata dei nuovi Paesi di esportazione si rimanda all’appendice II. 6  Cfr.  Cedrola  E.,  Battaglia  L.  (2011),  “Piccole  e  medie  imprese  e  internazionalità:  strategie  di  business,  relazioni, innovazione”, in Sinergie, n. 85, pp. 71‐92. 

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14 

 

Quando non in presenza di un contatto diretto con il cliente, spesso intercettato durante un evento di settore, le imprese intervistate sembrano delegare il contatto con il mercato ad intermediari commerciali: società di import-export (17%); importatore locale (17%); agenti commerciali plurimandatari (16%); agenti commerciali monomandatari (6%).

Figura 2 – Modalità di entrata nei mercati esteri

Le modalità di ingresso più coinvolgenti che richiedono una presenza più strutturata sul

mercato di destinazione, spesso direttamente collegata alle dimensioni aziendali, fanno registrare valori più contenuti (es. filiale di vendita, 8%; stabilimento produttivo, 6%; joint venture societarie, 4%). Tale risultato, come evidenziato, è in linea con le caratteristiche dimensionali del campione analizzato.

Passando ad analizzare i canali distributivi utilizzati per la vendita all’estero, i risultati dell’indagine denotano un’incidenza rilevante della subfornitura o private label (18%). Tale dato è ascrivibile alla presenza cospicua di imprese della meccanica strumentale che nel 30% dei casi indicano tale modalità (v. fig. 3).

Figura 3 - Canali distributivi utilizzati per la vendita all’estero

L’utilizzo di retailer indipendenti (multibrand) e di grossisti viene segnalato rispettivamente dal 17% e dal 15% delle imprese. Interessante rilevare la presenza di un 10%

Negoziazione diretta con il cliente finale

Società di import ‐ export

Importatore locale

Agenti commerciali plurimandatari

Accordi di produzione

Negoziazione con la grande distribuzione

Ufficio di rappresentanza

Filiale di vendita

Consorzi export

Stabilimento produttivo estero

Agenti commerciali monomandatari

Partecipazione a gare internazionali

Joint venture societarie

25%17%17%16%

13%9%

8%8%

6%6%

6%4%4%

18%

17%

15%

10%

10%

9%

8%

3%

2%

Subfornitura o "private label" all'estero

Retailer indipendenti (multibrand)

Grossisti

Negozi a proprietà mista

E‐commerce

Grande distribuzione

Altro canale diretto

Negozi di proprietà

Canale HoReCa

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15 

 

del campione che indica l’e-commerce come canale distributivo. Tra gli altri canali segnalati compaiono la grande distribuzione (9%), i negozi di proprietà (3%), il canale Horeca (2%). Nella voce “altro” sono incluse quelle modalità che prevedono una vendita diretta al cliente finale.

6. Instabilità politico-economica e mercati esteri: la percezione delle imprese Lo scenario internazionale è sempre più contrassegnato da situazioni di instabilità politica

ed economica, dal riemergere del terrorismo ai focolai di guerra in Medio Oriente, dall’embargo russo ai tentativi di golpe in Turchia. Fenomeni molteplici che mutano la struttura delle relazioni internazionali con evidenti ripercussioni sulle economie nazionali legate, in modo più o meno intenso, ai Paesi coinvolti da situazioni di turbolenza politica. Il caso dell’embargo russo è, senza dubbio, l’esempio più lampante di ripercussioni - a dir poco drammatiche - sulle relazioni economiche-commerciali tra Paesi causate da tensioni di natura politica. Se si considera, ad esempio, l’interscambio commerciale dell’Unione Europea con la Federazione Russa dell’ultimo biennio, si possono osservare drastiche riduzioni dei tassi di crescita sia sul versante delle importazioni che delle importazioni che erano state registrate in passato soltanto nel 2009, anno della profonda recessione economica sperimentata dalla Russia a seguito della crisi dei mercati finanziari (v. tab. 13).

Tabella 13 – I flussi commerciali europei verso la Federazione russa (2005-2015)

Anno 

Importazioni  Esportazioni   

Valori   (milioni €) 

Tasso di crescita UE 

(%) 

Tasso di  crescita         

extra‐UE (%)* 

Valori in  milioni di € 

Tasso di crescita UE 

(%) 

Tasso di  crescita extra‐

UE (%)* 

Interscambio   totale 

2005  113,981  ‐  ‐  56,690  ‐  ‐  170,671 

2006  143,602  26.0  10.5  72,399  27.7  6.3  216,000 

2007  147,734  2.9  10.2  89,196  23.2  7.2  236,931 

2008  180,446  22.1  11.4  104,970  17.7  8.0  285,416 

2009  119,569  ‐33.7  9.7  65,697  ‐37.4  6.0  185,266 

2010  162,075  35.6  10.6  86,308  31.4  6.4  248,383 

2011  201,327  24.2  11.7  108,587  25.8  7.0  309,915 

2012  215,124  6.9  12.0  123,441  13.7  7.3  338,566 

2013  206,957  ‐3.8  12.3  119,451  ‐3.2  6.9  326,407 

2014  182,430  ‐11.9  10.8  103,202  ‐13.6  6.1  285,632 

2015  135,569  ‐25.7  7.9  73,911  ‐28.4  4.1  209,481 * Valori percentuali delle importazioni/esportazioni degli Stati membri da/verso Paesi extra-UE Fonte: European Commission (2016), “European Union: trade goods in Russia”, in trade.ec.europa.eu/doclib/docs/, download del 23.09.16.

Con riferimento alle produzioni italiane, le reazioni di Mosca alle sanzioni economiche

introdotte nel 2014 dall’Unione europea a seguito della crisi ucraina sono costate al nostro Made in Italy circa 6 miliardi di euro. L’export italiano verso la Federazione Russa, infatti, è passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 3,1 miliardi di euro del 2016 (v. tabb. 14 e 15)7. Ai numeri ufficiali bisogna, poi, aggiungere il possibile danno, difficile da quantificare, subito da quanti esportavano in Russia attraverso triangolazioni con i partner europei, quali la Germania o i

                                                       7  Cfr.  Editoriale  (2016),  “L'embargo  alla  Russia?  È  costato  al  Made  in  Italy  3,6  miliardi”,  in  Affari  Italiani, www.affaritaliani.it, download del 6.11.16;  

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16 

 

Paesi Bassi8. Con molta probabilità il valore complessivo dei prodotti italiani che non hanno raggiunto il mercato finale russo, anche attraverso canali intermedi, è superiore a quello evidenziato dalle statistiche ufficiali. Le ripercussioni economiche che scaturiscono dalle tensioni politiche tra UE e Russia devono essere anche valutate da una prospettiva più macro legata anche alle attività oggetto delle sanzioni europee. Secondo i dati dell’Istituto delle previsioni economiche dell’Accademia delle Scienze della Russia, la ridotta cooperazione economica e il divieto sulle forniture di tecnologie di duplice uso probabilmente costeranno all’UE circa 10-15 miliardi di dollari. Tabella 14 – Valore dell’interscambio con la Russia per Paese (2015-2016)

Paese Valore percentuale 

dell’interscambio Russia‐Paese Variazione percentuale 

Import russo 

Mondo  ‐22,4%  ‐9,1% 

UE 28  ‐26,3%  ‐4,8% 

Cina  ‐7,6%  ‐4,6% 

Germania  ‐21,9%  ‐6,6% 

Paesi Bassi  ‐35,3%  7,0% 

Bielorussia  ‐7,7%  ‐3,5% 

Italia  ‐45,9%  ‐6,4% 

Stati Uniti  ‐19,6%  ‐25,1% 

Turchia  ‐41,1%  ‐56,7% 

Giappone  ‐36,0%  ‐18,6% 

Corea del Sud  ‐26,7%  ‐5,0% 

Francia  5,7%  32,8%  Fonte: Report ICE (2016), Interscambio Federazione Russa-Mondo 2015-2016 (giugno), Dogane Russe – Elaborazione ICE Mosca, in ice.gov.it, download del 15.09.15. Tabella 15 – Importazioni russe da Italia per settore (2015-2016 giugno)

Prodotto Valore (milioni di €) 

% Settore su import  da Italia 

% Quota import  da Italia 

2015  Giu. 2016  2015  Giu. 2016  2015  Giu. 2016 

Totale  7.514  3.096  100  100  ‐21,6  ‐6,4 

Meccanica  3.292  1.105  43,8  35,7  ‐19,4  ‐22,5 

Semilavorati  1.503  705  20,0  22,8  ‐20,2  3,5 

Moda e accessori  788  390  10,5  12,6  ‐17,4  13,3 

Agroalimentare  637  292  8,5  9,4  ‐35,2  12,9 

Mezzi di trasporto  209  133  2,8  4,3  ‐37,1  48,1 

Arredamento e edilizia  332  127  4,4  4,1  ‐31,0  ‐21,6 

Chimica e farmaceutica  205  109  2,7  3,5  ‐9,5  15,5 

Metalli comuni  85  41  1,1  1,3  ‐14,3  2,2 

Altro  465  193  6,2  6,2  ‐15,5  ‐7,8  Fonte: Ibidem.

A lungo termine, e se le sanzioni aumenteranno, la produzione di petrolio in Russia potrebbe ridursi del 10-15% entro il 2030, cosa che porterebbe ad un aumento dei costi energetici di 3 miliardi di dollari annualmente nell’UE9. Considerando, quindi, la rilevanza e l’urgenza di tali temi, lo studio ha inteso indagare le percezioni delle imprese in merito alle

                                                       8 Cfr. Report  ICE  (2016),  “Misure  restrittive  Federazione Russa e  sanzioni Unione Europea”,  luglio,  in www.ice.gov.it, download del 24.08.16. 9 Cfr. Editoriale (2016), “Ucraina, l’impatto economico sull’UE delle sanzioni”, in www.lindro.it, download del 6.11.16. 

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17 

 

eventuali ripercussioni che la presenza in contesti instabili da un punto di vista politico può produrre sulle attività di espansione estera. Per quanto riguarda le imprese intervistate, soltanto il 10% dichiara di essere presente con le proprie attività in un Paese caratterizzato da instabilità politica (v. fig. 4). Dalle risposte fornite, la Russia appare il principale Paese estero di esportazione connotato da turbolenza politica, seguito dalla Libia con 3 segnalazioni. Kosovo, Iran, Siria, Cuba e Tunisia sono altri Paesi indicati come prima scelta dagli intervistati. Figura 4 - Presenza in Paesi caratterizzati da un’elevata turbolenza politica o sottoposti ad

embargo

L’Iran è il Paese più segnalato tra quelli indicati come seconda area di destinazione. Tra

questi vengono, inoltre, citati altri Paesi dell’area medio-orientale come Arabia Saudita, Egitto, Libano e Paesi nordafricani (Algeria, Marocco).

Quasi la metà delle imprese che operano in contesti esteri instabili, dichiarano che l’inasprimento delle condizioni di instabilità ha comportato una diminuzione del fatturato superiore al 10% (v. tab. 16). Diminuzioni più contenute vengono registrate dal 30% delle imprese (lieve diminuzione 13,64%; netta diminuzione 18,18%). Tabella 16 – Effetto dell’instabilità politica e dell’embargo sul fatturato  

Risposte  Freq. % 

Nessuno   22,72 

Lieve diminuzione (‐1‐5%)  13,64 

Netta diminuzione (‐5‐10%)  18,18 

Forte diminuzione (> ‐10%) 45,46 

Totale  100 

Circa il 20%, invece, non ha riscontrato effetti peggiorativi. Incrociando, poi, tali dati con

il settore di appartenenza, è interessante evidenziare come i settori tipici del Made in Italy siano quelli che accusano maggiormente le ripercussioni negative dell’instabilità politica sul fatturato estero (v. tab. 17). Oltre ai danni evidenti in termini di valore dell’interscambio tra i Paesi, occorre considerare che gli effetti totali causati dall’impatto indiretto possono essere fortemente amplificati a causa delle politiche di sostituzione. Lo Stato che vara l’embargo si trova a dover formulare scelte decisive per far fronte alla sostituzione delle importazioni che possono concretizzarsi in un accrescimento della produzione interna o nella ricerca di nuovi Paesi fornitori.

Sì; 10%

No; 86%

M.r.; 4%

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18 

 

Tabella 17 – Effetto dell’instabilità politica a livello settoriale

Settore Nessuno 

Lieve diminuzione 

Netta diminuzione 

Forte diminuzione 

Totale 

F.%  F. %  F. %  F.%  F. % 

Alimentare  ‐  ‐  ‐  100  100 

Edilizia e arredo  ‐  20  20  60  100 

Informatico  100  ‐  ‐  ‐  100 

Meccanica  50  ‐  12,50  37,50  100 

Servizi  ‐  ‐  ‐  100  100 

Tessile  ‐  50  50  ‐  100 

Totale  22,72  13,64  18,18  45,46  100 

Con riferimento alla situazione russa, ed in particolare all’embargo relativo ai prodotti

agroalimentari, un Paese che sta beneficiando dell’interruzione delle forniture europee, è la Bielorussia. Le aziende bielorusse hanno cominciato a coltivare in serre riscaldate gli ortaggi e ad aumentare il numero di vacche per la produzione di latticini raddoppiando le forniture alla Russia10. La posizione vantaggiosa della Bielorussia sta attirando alcuni Paesi europei, allettati dall’attuazione di operazioni di triangolazione, al punto da spingere Mosca a fermare la ri-esportazione di frutta e verdura attraverso Paesi dell’Unione Europea. Secondo le autorità russe alcuni Paesi europei contribuiscono alla fornitura in Russia di prodotti sanzionati, registrandoli come mediorientali. Specificamente si tratta di prodotti che vantano certificati fitosanitari di Benin, Guinea, Yemen, Camerun, ma in realtà sarebbero, a detta delle dogane russe, forniture provenienti da Olanda e Belgio attraverso la Bielorussia. La posizione di rilievo assunta dalla Bielorussia è evidenziata anche dai recenti dati dell’import agroalimentare della Federazione Russa (v. tab. 18)11.

Tabella 18 – Dettaglio importazioni russe (agroalimentare e bevande)

Paese Valore 

% Paese su import totale settore 

% Variazione 

2015 Gen. 2016 

2015 Gen. 2016 

15/14  15/16 

Mondo  23.880  1.379  100  100  ‐26.6  ‐8.6 

UE 28  5.132  265  21.5  19.2  ‐55.1  ‐9.5 

Bielorussia  2.839  169  11.9  12.3  24.6  ‐2.6 

Cina  1.391  102  5.8  7.4  9.6  0.8 

Brasile  2.305  98  9.7  7.1  4.3  ‐27.7 

Ecuador  1.034  94  4.3  6.9  6.5  38.7 

Marocco  311  57  1.3  4.1  ‐4.8  86.1 

Germania  869  49  3.6  3.5  ‐42.2  ‐2.8 

Stati Uniti  565  48  2.4  3.5  ‐44.2  ‐39.5 

Indonesia  775  41  3.2  3.0  25.4  ‐28.8 

Paesi Bassi  698  38  2.9  2.7  ‐52.9  ‐21.7 

India   533  37  2.2  2.7  5.9  ‐4.2 

Italia  637  31  2.7  2.3  ‐35.2  ‐11.7 

Fonte: Report ICE (2016), “Interscambio Italia-Russia”, in www.ice.gov.it, download, 04.09.16

                                                       10  Cfr.  Conti  C.  (2016),  “Russia,  l’embargo  di  Putin  soffoca  l’export  alimentare.  Ma  c’è  modo  di  aggirarlo”,  in www.ilfattoquotidiano.it, download del 12.11.16. 11  Cfr.  Valentini  C.  (2016),  “Stop  triangolazioni  export,  la  Russia  studia  le  misure”,  in  www.eurasiatx.com/stop‐triangolazioni‐export‐la‐russia‐studia‐le‐misure/?lang=it, download del 12.11.16. 

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19 

 

Nelle strategie di sostituzione della Federazione Russa rientrano, senza dubbio, anche i Paesi asiatici e africani. Mele cinesi, grano egiziano, frutta sudafricana e del Mozambico, frutta secca indonesiana, carne brasiliana, sono soltanto alcuni esempi di come si stia modificando il network di partner strategici su cui Putin sta investendo in una prospettiva di medio-lungo termine al fine di ridurre gradualmente la dipendenza dalle forniture europee. Tale politica di sostituzione delle importazioni colpite dall’embargo può, quindi, nel lungo termine provocare una metamorfosi dell’industria manifatturiera nazionale, annullando definitivamente la possibilità di ripristinare le condizioni pre-embargo. Seguendo tale riflessione, è stato chiesto alle imprese se la contrazione della presenza aziendale nel Paese fosse stata sostituita da altre aziende. La gran parte degli intervistati non riesce a fornire una risposta precisa, reputando di non avere sufficienti informazioni a riguardo. Soltanto 5 imprese sostengono di essere state sostituite da altre imprese: in un caso da aziende dello stesso Paese e nei restanti quattro casi da aziende di altri Paesi (v. tab. 19). Tabella 19 – La presenza dell’azienda nel Paese oggetto di turbolenza politica è stata sostituita

da altre aziende?

Risposte  Freq. %  

No  27,26 

Non so  50,01 

Sì, dello stesso Paese 4,55 

Sì, di altri Paesi  18,18 

Totale  100 

Successivamente alle imprese intervistate è stato chiesto di indicare le eventuali strategie

di reazione all’instabilità politica dei Paesi esteri (v. fig. 5). Confermando quanto emerge a livello europeo, le Pmi italiane, nella gran parte dei casi, sembrano non riuscire ad attuare sofisticate strategie di escamotage per raggirare provvedimenti ostativi al normale flusso esportativo verso contesti particolarmente profittevoli.

Figura 5 – Strategie di reazione all’instabilità politica dei Paesi esteri

 Difatti, quasi la metà delle imprese intervistate, alle prese con mercati esteri instabili, non

adotta nessuna condotta specifica di contrasto. Il 18%, invece, sembra propendere per una strategia cautelativa orientata a contenere il rischio Paese, mediante una riduzione degli

Nessuna reazione in particolare

Ricerca di nuovi partner commerciali

Abbandono del Paese oggetto di turbolenza

Riduzione degli investimenti sul mercato

Riduzione del prezzo di vendita

“Triangolazione” attraverso altri Paesi 

Modifica dei canali distributivi

Modifica della gamma e delle caratteristiche del prodotto

45%

18%

18%

18%

13%

13%

9%

5%

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20 

 

investimenti in loco o un abbandono totale del Paese instabile. Sempre nel 18% dei casi, le imprese dichiarano di essere alla ricerca di nuovi partner commerciali. La riduzione del prezzo di vendita viene, invece, indicata dal 13% dei rispondenti. La triangolazione attraverso altri Paesi, non soggetti ad embargo o ad altri provvedimenti restrittivi, viene indicata dal 13% delle imprese operanti in contesti instabili e rischiosi. Infine, la modifica dei canali distributivi e della gamma e/o caratteristiche dell’offerta viene citata, rispettivamente dal 9% e dal 5%.

7. Vantaggio competitivo e sviluppo internazionale: il ruolo delle “competenze”

Made in Italy Nonostante le complesse e mutevoli sfide che caratterizzano lo scenario globale, è

indubbio che il processo di crescita internazionale può rappresentare, soprattutto per le piccole e medie imprese, un’occasione unica per alimentare e consolidare la prosperità dell’organizzazione. Affinché ci sia una pianificazione strategica in grado di supportare fattivamente il progetto di espansione internazionale è, però, indispensabile che l’impresa sappia coniugare l’analisi di attrattività dei mercati con una profonda e attenta valutazione del proprio potenziale competitivo. Seguendo tale riflessione, lo studio ha voluto, inoltre, indagare i giudizi e le opinioni delle imprese in relazione agli aspetti strategici caratterizzanti il profilo competitivo dell’organizzazione. Specificamente, alle imprese è stato chiesto di segnalare gli aspetti fondanti il proprio vantaggio competitivo, scegliendo fino ad un massimo di tre elementi tra diverse opzioni date (v. fig. 6). L’aspetto più segnalato è relativo all’immagine dell’Italia e del Made in Italy (52%).

Figura 6 – Gli elementi su cui si fonda il vantaggio competitivo delle imprese

Tale risultato è senza dubbio foriero di implicazioni molto significative. Gli imprenditori appaiono consapevoli dell’enorme valore espresso dall’immagine generale del Paese nonché delle sue produzioni distintive capaci di suscitare in modo a dir poco automatico reazioni ed emozioni positive da parte dell’audience globale. Il Made in Italy è un mix unico di creatività e funzionalità, di artigianalità, di sensibilità estetica che fa percepire i prodotti italiani come delle vere e proprie opere d’arte mediante cui raggiungere una dimensione estetica unica e inimitabile. Il marchio Made in Italy non rappresenta soltanto il risultato dell’etichettatura ai fini della riconoscibilità agli occhi del consumatore, ma diventa – da qualsiasi punto lo si

Immagine dell’Italia e del Made in Italy 

Innovatività e tecnologia del prodotto

Prezzo competitivo

Design/aspetto estetico

Notorietà del marchio

Capillarità della rete distributiva

Assistenza post‐vendita

Frequenza di promozioni e incentivi

52%27%

21%18%17%

12%12%11%10%10%10%9%7%4%

2%

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osservi – un sistema complesso capace di evocare i vantaggi dei sistemi di offerta, di comunicare valori e di conferire personalità alle creazioni nazionali, approntate per l’audience globale (Mainolfi, 2010; De Nisco et al., 2013). Altro elemento chiave indicato dalle imprese è la qualità delle materie prime (27%) che, seguendo quanto evidenziato finora, rappresenta un’ulteriore dimensione alla base del successo delle produzioni Made in Italy. Successivamente, tra le segnalazioni delle imprese ritroviamo aspetti più strettamente connessi all’offerta quali, ad esempio, l’innovatività e la tecnologia del prodotto (21%), l’ampiezza della gamma (18%), il prezzo competitivo (17%), l’unicità dell’offerta (12%) e, infine, il design (12%). Anche in questo caso vengono indicati aspetti che si rivelano cruciali nella predisposizione di un’offerta vincente per i mercati esteri che, se supportata anche dall’essere realizzata in Italia, può raggiungere una distintività difficilmente imitabile. Discorso leggermente differente deve essere, invece, formulato in relazione l’indicazione della competitività del prezzo che lascia trasparire una fragilità di approccio da parte delle imprese, difficilmente capace di sostenere relazioni di lungo periodo con i partner esteri.

La storia e la tradizione dell’azienda rappresentano elementi distintivi del vantaggio competitivo per il 10% dei casi analizzati. La longevità e la reputazione costituiscono una fonte preziosa di valore, capace di conferire unicità alla storia aziendale, aiutando, così, il raggiungimento di un posizionamento differenziato e profittevole. Notorietà del marchio e conoscenza della clientela sono altre dimensioni giudicate alla base della competitività aziendale (10% dei rispondenti). In aggiunta agli aspetti più strettamente inerenti la relazione con il cliente finale, le segnalazioni delle imprese investono anche i legami con il sistema distributivo: capillarità della rete distributiva (10%), qualità della scelta del partner commerciale (9%), assistenza post-vendita (7%), frequenza di promozioni e incentivi (2%). Infine, le condizioni di pagamento favorevoli vengono citate nel 4% dei casi.

Sempre al fine di analizzare il profilo competitivo, le imprese sono state interpellate in merito alle caratteristiche produttive dell’offerta destinata al mercato estero (v. tab. 20). Dalle risposte fornite emerge un dato molto rilevante riferibile al fatto che, in più del 60% dei casi, la produzione destinata al mercato estero è interamente progettata e realizzata in Italia.

Tabella 20 – Caratteristiche produttive dell’offerta destinata al mercato estero   

Caratteristiche del processo produttivo Freq. 

 % 

Freq. 

Assoluta 

La produzione destinata all’estero è interamente progettata e realizzata in Italia  67,86  152 

Una parte del processo produttivo viene realizzato all’estero ma la progettazione 

viene effettuata in Italia 19,64  44 

La progettazione viene effettuata in Italia ma la produzione viene interamente 

realizzata all’estero 2,68  6 

La produzione è interamente progettata e realizzata all’estero  2,68  6 

M.r.  7,14  16 

Totale  100  224 

Circa il 20% delle imprese, invece, dichiara che la sola fase di progettazione è

completamente “Made in Italy”, mentre parte del processo produttivo viene delocalizzato all’estero. Percentuali più residuali si rinvengono sia nei casi in cui la produzione è interamente realizzata all’estero (2,68%) sia quando progettazione e produzione sono delocalizzate. Le piccole e medie imprese sono le vere protagoniste della produzione Made in Italy, capaci di dar vita ad una manifattura diffusa grazie a specializzazioni produttive a

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livello distrettuale. È pur vero, però, che le scelte localizzative sono inevitabilmente correlate anche alle dimensioni aziendali che possono disincentivare l’adozione di strategie di espansione internazionale di tipo produttivo, pur in presenza di un interesse concreto.

Seguendo questa riflessione, appare particolarmente interessante la verifica a livello settoriale delle strategie produttive. La completa italianità dell’offerta, progettazione e produzione, è comprensibilmente preponderante nel settore agroalimentare, geneticamente dipendente dal territorio di origine. In aggiunta al settore food, meccanica e tessile fanno registrare le percentuali più alte (v. tab. 21). Tabella 21 – Caratteristiche produttive dell’offerta destinata al mercato estero (dettaglio

settoriale)

Settori 

La produzione destinata all’estero è 

interamente progettata e 

realizzata in Italia (%) 

Una parte del processo produttivo viene realizzato all’estero ma la 

progettazione viene effettuata in Italia 

(%) 

La progettazione viene effettuata in 

Italia ma la produzione viene interamente 

realizzata all’estero (%) 

La produzione è interamente progettata e 

realizzata all’estero (%) 

M.r. (%) 

Tot. (%) 

Alimentare  85,80  7,10  7,10  0,00  0,00  100 

Chimica  70,60  23,50  5,90  0,00  0,00  100 

Commercio  46,20  38,5  7,7%  0,00  7,70  100 

Edilizia e legno  59,26  25,91  0,00  3,72  11,11  100 

Grafici ed editori  66,76  33,34  0,00  0,00  0,00  100 

Meccanica  73,33  16,67  1,67  5,00  3,33  100 

Sanità  60,00  0,00  20,00  0,00  20,00  100 

Servizi  60,00  20,0  0,00  3,33  16,67  100 

Tessile  73,07  19,23  3,85  3,85  7,70  100 

Trasporti  42,85  42,85  0,00  0,00  14,30  100 

Turismo  100,00  0,00  0,00  0,00  0,00  100 

Altro  72,2  11,10  0,00  0,00  16,70  100 

Anche il settore chimico e farmaceutico nel 70% dei casi appare contraddistinto da una

produzione progettata e realizzata in Italia. Per ciò che concerne la delocalizzazione, parziale e totale, della produzione, i diversi settori - rappresentati dalle imprese intervistate - si collocano prevalentemente in una posizione intermedia in cui una parte del processo produttivo viene realizzato all’estero, ma la progettazione è effettuata in Italia. Successivamente all’analisi delle caratteristiche produttive dell’offerta destinata ai mercati esteri, lo studio ha voluto investigare in modo più approfondito l’attuale configurazione aziendale in termini di responsabilità e gestione dal canale estero. Come facilmente ipotizzabile, la maggioranza delle imprese (53%) evidenzia il ruolo predominante dell’imprenditore-proprietario, vero deus ex machina del processo di internazionalizzazione (v. fig. 7).

Nel 16% dei casi, invece, le imprese sono caratterizzate dalla presenza di un marketing manager, responsabile anche delle attività di internazionalizzazione. Similmente, un 16% dichiara di far ricorso ad un consulente esterno per la gestione delle attività inerenti i mercati esteri. Queste ultime due opzioni denotano una prassi molto diffusa all’interno delle aziende di piccole dimensioni che, non disponendo di risorse adeguate, decidono di inglobare le attività di internazionalizzazione all’interno dell’ufficio marketing o di ricorrere all’ausilio di un consulente esterno. Un ufficio export strutturato, presumibilmente costituito da almeno più di un dipendente, è presente nel 14% delle imprese mentre un 10% è caratterizzato dalla presenza di un responsabile deputato a curare le attività con i mercati esteri. Percentuali

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23 

 

residuali interessano i casi in cui la gestione delle attività estere è curata dall’ufficio commerciale o dal CdA.

Figura 7 - Figure aziendali che si occupano delle attività di internazionalizzazione

Le scelte organizzative delle attività di internazionalizzazione si riflettono inevitabilmente

anche sul numero di dipendenti stabilmente dedicati a tali attività (v. tab. 22).

Tabella 22 – Numero di dipendenti stabilmente dedicati alle attività di internazionalizzazione  

Numero di dipendenti Freq. 

 % 

Freq. 

Assoluta 

0  13,84  31 

1  48,21  108 

Da 2 a 5  25,90  58 

Da 6 a 10  0,89  2 

Da 11 a 25  1,78  4 

Da 26 a 35  0,45  1 

Da 36 a 50  0,45  1 

> 50  0,89  2 

M.r.  7,59  17 

Totale  100  224 

Circa il 48% delle imprese intervistate è caratterizzato dalla presenza di un unico

dipendente incaricato a svolgere le attività richieste dall’internazionalizzazione dell’organizzazione. Il 13% non presenta alcuna risorsa dedicata in modo stabile a tali attività. Un numero di dipendenti da 2 a 5 è, invece, presente in circa il 25% delle imprese. Percentuali residuali si riscontrano in corrispondenza di numero di dipendenti superiore a 6.

Con riguardo al fabbisogno di competenze a supporto del processo di internazionalizzazione, le risposte fornite dalle imprese sembrano confermare la presenza di alcune lacune ricorrenti nel tessuto produttivo italiano (v. tab. 23). Un primo dato da evidenziare è che nessuna tipologia di competenze sottoposta alla valutazione degli intervistati ha fatto registrare valori superiori al 50% in termini di fabbisogno effettivo. Tale risultato potrebbe essere motivato non soltanto dall’assenza di un reale fabbisogno, ma anche da una scarsa sensibilità verso la problematica dello sviluppo di competenze specialistiche per il personale impegnato nel processo di internazionalizzazione. Specificamente, al primo posto viene segnalata la necessità di disporre di competenze in grado di effettuare analisi di settore e mercato sui

Imprenditore

Responsabile marketing

Consulente esterno

Ufficio export

Responsabile export

Ufficio commerciale

CDA

53%

16%

16%

14%

10%

0,90%

0,50%

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24 

 

Paesi esteri (43,30%). Le conoscenze del mercato estero in termini di attrattività, potenziale di mercato, processi di fornitura, preferenze dei consumatori, numerosità e caratteristiche della concorrenza sono giudicati aspetti critici e indispensabili per un accesso profittevole al Paese target.

In seconda posizione viene indicata la conoscenza di almeno un’altra lingua straniera oltre all’inglese (41,96%). Lo sviluppo della conoscenza delle lingue è senza dubbio un ambito che sta diventando un’urgenza in quanto le imprese oggi si trovano ad operare in contesti sempre più variegati soprattutto da un punto di vista culturale e linguistico. Tale esigenza si scontra con uno scenario non particolarmente confortante in cui l’Italia appare non al passo rispetto ai partner europei in termini di conoscenza delle lingue straniere12.

Tabella 23 – Fabbisogno di competenze professionali a supporto dello sviluppo internazionale

Tipologie di competenze  Sì (%)  No (%)  Totale (%) 

Capacità di effettuare analisi di settore/mercato sui Paesi esteri   43,30  56,75  100 

Conoscenza di almeno un’altra lingua straniera oltre all’Inglese   41,96  58,04  100 

Conoscenza fluente della lingua inglese   30,80  69,20  100 

Conoscenza delle tecniche di negoziazione con clienti di un’altra cultura   27,23  72,77  100 

Conoscenza della contrattualistica e delle norme giuridiche  sui processi di internazionalizzazione  

24,10  75,90  100 

Esperienza lavorativa diretta su uno specifico mercato estero   16,51  83,49  100 

Conoscenza dei meccanismi finanziari e fiscali dei processi di internazionalizzazione  

10,27  89,73  100 

Conoscenza specifica delle dinamiche di funzionamento  della distribuzione sui mercati esteri  

8,48  91,52  100 

Capacità di utilizzare gli strumenti di e‐commerce   8,03  91,97  100 

Competenze specifiche nella comunicazione tramite i media digitali  e i social network  

7,59  92,41  100 

Capacità nella ricerca di distributori esteri  0,45  99,55  100 

Sempre nella stessa direzione, le imprese segnalano il fabbisogno della conoscenza

fluente della lingua inglese (30,80%) e delle tecniche di negoziazione con clienti di un’altra cultura (27,23%). La conoscenza della contrattualistica e delle norme giuridiche inerenti le diverse fasi del processo di internazionalizzazione è giudicata una competenza necessaria dal 24,10% del campione. Circa il 16% delle imprese, inoltre, indica come requisito utile la pregressa esperienza lavorativa nel mercato estero di interesse. Infine, le altre competenze a supporto dell’internazionalizzazione registrano percentuali inferiori al 10% e fanno riferimento alla conoscenza dei meccanismi finanziari e fiscali, delle dinamiche distributive, degli strumenti di e-commerce, dei media digitali e social network, della ricerca di distributori esteri.

8. I servizi a supporto dell’internazionalizzazione

Non è semplice riuscire ad identificare in maniera chiara ed univoca un quadro generale

che riassuma i servizi alle imprese quando si parla di internazionalizzazione. Nel corso degli ultimi anni, infatti, la domanda di tali servizi è mutata in parallelo con l’evoluzione dei mercati economici di riferimento e del modo di fare impresa, e con il conseguente emergere

                                                       12 Report UIM (2013), “La conoscenza delle lingue straniere: un confronto Italia – Europa”, in www.uim.it, download del 19.11.16. 

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dei nuovi bisogni provenienti dalle economie emergenti. In mercati sempre più globalizzati e competitivi resta di primaria importanza, soprattutto per gli attori istituzionali, intercettare quelli che sono i fabbisogni delle imprese che si muovono al di fuori del mercato domestico. A tal riguardo, come già evidenziato in precedenza, l’indagine ha voluto indagare tale ambito sia in termini di attuale utilizzo di servizi a supporto dell’internazionalizzazione che di bisogni non ancora pienamente soddisfatti. Con riferimento al primo aspetto, circa il 34% delle imprese intervistate dichiara di aver fruito di servizi e/o iniziative a supporto dell’internazionalizzazione erogati da enti pubblici e privati (v. tab. 24). Tabella 24 – Utilizzo di servizi e/o iniziative a supporto dell’internazionalizzazione erogati da

Enti pubblici e/o privati (ultimi tre anni)  

Risposte  Freq. %  Freq. Assoluta 

Si  33,93% 76 

No  56,70% 127 

Nessuna risposta  9,38% 21 

Totale  100,00% 224 

 

Il 44,74% ha dichiarato di aver usufruito di tali servizi grazie al supporto offerto dalle associazioni di categoria (v. tab. 25). Le attività svolte da tali associazioni si rendono a dir poco indispensabili poiché non sempre le aziende dispongono di un ufficio dedicato ai mercati esteri (spesso è lo stesso titolare dell’azienda che svolge un ruolo complementare di “export manager”). Anche le Camere di Commercio rappresentano un attore importante per circa il 30% del campione. Le imprese intervistate ricorrono anche ad altri Enti (es. Regione, Ice, Sace, Simest, etc.), ma in misura più contenuta.

Particolarmente variegati appaiono i servizi a supporto del processo di internazionalizzazione finora utilizzati. I risultati fanno emergere una predominanza delle attività più squisitamente commerciali e promozionali: partecipazione a missioni o fiere (28,08%); organizzazione di incontri di affari (21,88%); ricerca di partner commerciali (21,50%) (v. tab. 26). Inoltre, finora gli intervistati dichiarano di aver utilizzato anche servizi di interpretariato e traduzione (19,69%) e di comunicazione digitale (19%). Circa il 16% delle imprese ha usufruito anche di corsi di formazione per export manager.

Tabella 25 – Utilizzo di servizi e/o iniziative a supporto dell’internazionalizzazione erogati da

Enti pubblici e/o privati  

Enti o Associazioni  Freq. ass.  Freq. % 

Associazioni di categoria   34  44,74 

Camera di commercio   24  31,58 

Regione   6  7,89 

Ice   4  5,26 

Consorzi Export   3  3,95 

Sace   2  2,63 

Simest   2  2,63 

Altro  1  1,32 

Totale  76  100,00% 

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26 

 

Guardando, poi, le altre voci, appare evidente che le imprese si sono avvalse di interventi specifici, molto spesso collegati a mercati in cui esse sono già presenti. Si fa riferimento, ad esempio, all’assistenza legale, fiscale e di assistenza per la soluzione di controversie commerciali.

Tabella 26 - Servizi a supporto all'internazionalizzazione di cui le imprese hanno usufruito

negli ultimi 3 anni e/o vorrebbero usufruirne in futuro  

Tipologia servizi Ho già 

usufruito 

Non ho usufruito, ma vorrei in futuro 

Non ho usufruito e non sono interessato 

Partecipazione a missioni o fiere  28,08%  47,29%  24.63% 

Organizzazione di incontri d’affari  21,88%  45,83%  32,29% 

Ricerca partner commerciali  21,50%  47,00%  31,50% 

Servizi di interpretariato e traduzione  19,69%  48,19%  32,12% 

Servizi di comunicazione digitale (Internet & Social Media)  19,07%  46,39%  34,54% 

Corsi di formazione per export manager  16,92%  40,00%  43,08% 

Partecipazione a bandi pubblici o privati  16,41%  49,74%  33,85% 

Supporto nella selezione dei Paesi/mercati  16,08%  44,22%  39,70% 

Servizi bancari, finanziari e assicurativi specifici per i mercati esteri  15,18%  47,64%  37,17% 

Ricerche di mercato e studi sulla percezione dei consumatori esteri  14,66%  48,69%  36,65% 

Assistenza legale e fiscale  14,07%  48,74%  37,19% 

Consulenza sulle scelte inerenti la logistica  12,17%  46,56%  41,27% 

Consulenza per l’organizzazione del canale distributivo estero  11,62%  43,94%  44,44% 

Per ciò che concerne, invece, i servizi non ancora utilizzati, ma che sono giudicati

potenzialmente utili, circa la metà del campione segnala la partecipazione a bandi pubblici e privati (49,74%). Immediatamente dopo, le altre voci più segnalate fanno riferimento all’assistenza legale e fiscale (48,74%) e alle ricerche di mercato sui consumatori esteri (48,69%). Altre prestazioni di cui le imprese vorrebbero avvalersi in futuro fanno riferimento ai servizi di interpretariato e traduzione (48,19%), all’assistenza in tema di servizi bancari, finanziari e assicurativi specifici per i mercati esteri (47,64%) e alla partecipazione a missioni o fiere all’estero (47,29%). Leggendo questi risultati si riscontra piena coerenza con quanto dichiarato in precedenza dalle imprese in merito al fabbisogno di competenze. Fabbisogno che può fornire indicazioni preziose per i soggetti istituzionali, quali Confapi, deputati a supportare i percorsi di internazionalizzazione delle imprese. Le risposte fornite evidenziano che le imprese incontrano ancora difficoltà basilari nel contatto con i mercati esteri a partire dalla corretta individuazione dell’area più profittevole fino all’utilizzo di servizi bancari e finanziari tarati sulle specificità dei singoli Paesi. In tal senso, un’organizzazione datoriale come Confapi, contraddistinta da forti legami con i territori rappresentati dalle imprese associate e da sempre impegnata alla tutela e alla promozione di iniziative mirate a colmare specifici gap formativi, potrebbe farsi promotrice della costituzione di una task force in cui coinvolgere altri partner istituzionali. Le modalità di intervento potrebbero prevedere un ventaglio di opzioni modellate sulle caratteristiche strutturali e distintive delle singole organizzazioni.

L’obiettivo principale dovrebbe essere quello di garantite un potenziamento della formazione aziendale nell’area dell’export management. A tutt’oggi, oltre agli esistenti

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limiti nelle risorse disponibili, sembrano esserci ancora delle barriere ideologiche, forse riconducibili ad una scarsa sensibilità nel promuovere interventi formativi alternativi al classico affiancamento. In questa ottica l’Università potrebbe fornire un contributo decisivo sia sul versante della sensibilizzazione verso tali problematiche che verso contenuti specifici. Difatti, considerando le esigenze espresse dalle imprese che riguardano molti aspetti legati alla comprensione delle differenze culturali e linguistiche nonché alla realizzazione di ricerche di mercato finalizzate all’analisi delle percezioni vantate dai consumatori esteri verso le offerte Made in Italy, l’attività didattica e di ricerca condotta da un istituto universitario può sopperire in modo produttivo a tali fabbisogni.

Considerando, poi, i servizi non utilizzati e verso cui le aziende non mostrano particolare interesse, la consulenza per l’organizzazione del canale distributivo estero è quella più segnalata (44,44%).

Successivamente, è stato chiesto alle imprese se partecipassero a contratti di rete per l’internazionalizzazione. La crescente pressione competitiva dovuta a mercati sempre più globalizzati e la diffusione delle tecnologie dell’informazione hanno imposto, nell’ultimo decennio, la diffusione di un numero crescente di forme di aggregazioni innovative e più flessibili in grado di creare valore di impresa. Il contratto di rete è uno strumento giuridico attraverso cui è possibile promuovere tali processi aggregativi, finalizzati ad ampliare il raggio d’azione delle PMI, attraverso la condivisione di know how e competenze nonché la generazione di nuova conoscenza indispensabile per competere con successo nei mercati globali. Come ben noto, infatti, gli obiettivi prioritari del contratto di rete sono l’innovazione, la competitività e l’internazionalizzazione in una prospettiva di crescita della rete e nella rete. Non sempre, però, le piccole e medie imprese scelgono questa strada per crescere e per competere. Ciò è dovuto probabilmente ai limiti dimensionali unitamente ai costi che tali percorsi precludono. A conferma di ciò, solo il 6,7% degli imprenditori intervistati dichiara di far parte di contratti di rete (v. tab. 27).

Tabella 27 - Aziende che partecipano a contratti di rete

 

 Risposte  Freq. %  Freq. Ass 

Si  6,70%  15 

No  90,63%  203 

Nessuna risposta  2,68%  6 

Totale  100,00%  224  

Anche su questo versante appare determinante il ruolo degli attori istituzionali che possono illustrare in modo più esaustivo i benefici che il contratto di rete può produrre per le aziende coinvolte, superando eventuali ritrosie dovute alla scarsa conoscenza di tale strumento. Recenti indagini (Vernizzi & Martini, 2013) dimostrano come esistano ancora molte criticità dovute sia alla scarsa propensione ad abbandonare una mentalità individualistica che alle difficoltà di coordinamento delle attività interessate dalla rete.

Sarebbe auspicabile, quindi, che gli attori istituzionali con una forte vocazione territoriale stimolino una migliore conoscenza delle effettive potenzialità connesse ad un sapiente utilizzo del contratto di rete13.

                                                       13 Ad oggi, in Italia, i settori di impresa nei quali il contratto di rete si è diffuso maggiormente sono quelli delle attività manifatturiere,  delle  costruzioni,  del  commercio  all’ingrosso,  dell’informazione,  delle  comunicazioni  e  delle  attività professionali. Nel giugno 2014 erano 7.900 le imprese coinvolte, dall’edilizia alla sanità, dal tessile alle nuove tecnologie, mentre  a  livello  regionale,  la  Lombardia  era  la  prima  regione  italiana  per  numero  di  reti  (1.863),  seguita  da  Emilia‐

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9. Riflessioni conclusive

L’attuale scenario internazionale è caratterizzato da nuovi elementi di complessità e instabilità che minacciano la competitività delle produzioni destinate a mercati diversi da quello di origine, generando una diffusa perdita di competitività che colpisce anche il Made in Italy. Non si sta parlando del vantaggio comparato di immagine delle produzioni italiane che restano espressione di un insieme di valori distintivi e attrattivi, ma della capacità delle imprese di riuscire a mantenere un vantaggio competitivo sostenibile in un mercato sempre più “aperto” (Gubitta, 2013). Tale apertura, se da un lato ha contribuito a creare nuove opportunità di crescita, dall’altro ha anche provocato una erosione del vantaggio competitivo laddove le imprese non sono riuscite a reagire alle sfide emergenti. Le scelte strategiche in tema di percorsi di sviluppo internazionale pongono, quindi, nuovi interrogativi soprattutto in merito alle competenze, complementari rispetto a quelle manifatturiere, che diventano imprescindibili e impongono un ripensamento dell’intero modello di business, unitamente a percorsi di innovazione del prodotto e della proposta di valore dell’offerta.

La ricerca ha inteso indagare le principali caratteristiche dei processi di internazionalizzazione delle PMI associate a Confapi. In particolare, il focus dello studio è stato quello di far emergere la vocazione internazionale, attuale e prospettica, delle imprese, verificando le principali fonti di vantaggio competitivo nonché le competenze e gli strumenti di supporto all’internazionalizzazione giudicati più rilevanti. I risultati hanno evidenziato uno scenario abbastanza positivo caratterizzato da un tessuto di PMI che mostra diversi punti di forza. Sul versante dell’espansione internazionale si osserva una buona dinamicità sia in termini di mercati serviti, attuali e prospettici, che di tasso di crescita. In particolare, il mercato europeo rappresenta una comfort zone che assorbe gran parte del fatturato estero sia per la presenza di un potenziale ancora non pienamente sfruttato, ma - molto probabilmente - anche per via di una ridotta distanza psichica. La prevalente vocazione eurocentrica ha, però, tenuto al riparo le imprese dall’instabilità politica che sta connotando molti Paesi esteri con conseguenze particolarmente drammatiche per le imprese esportatrici, si pensi al caso russo.

Altro elemento degno di nota è relativo al diffuso ottimismo espresso dalle imprese intervistate in merito alle previsioni sull’evoluzione del fatturato estero. Le opportunità internazionali percepite dal campione interpellato non sembrano essere, però, approcciate con un adeguato range di modalità di entrata. Limitarsi ad accedere ai mercati internazionali sfruttando esclusivamente forme di esportazione indiretta, senza considerare le opportunità offerte anche da altre attività della catena del valore, significa cogliere solo in parte i benefici dell’internazionalizzazione. A ciò si aggiunga che l’ancoraggio al territorio di origine sembra essere una condizione irrinunciabile solo per le alcune produzioni (specialmente in ambito alimentare), mentre per altre rischia di tradursi in un limite rispetto a una più efficace ed efficiente copertura dei mercati internazionali. Questa condizione evidenzia un elemento di debolezza molto comune nelle imprese di piccole dimensioni riferibile alla scarsa propensione a studiare in modo approfondito il mercato estero di interesse che si risolve spesso in una internazionalizzazione commerciale instabile.

                                                       Romagna (1.038), Toscana (796) e Veneto (601). Nel 2016, invece, i dati del Sole 24 Ore riconoscono alle Reti il valore di 86 miliardi, per circa 340mila occupati e 2.700 i contratti firmati (per circa 13.500 realtà imprenditoriali coinvolte). Cfr. Tosetti M.  (2016),  “Il  contratto di  rete:  la possibile  risposta alla  crisi”,  in www.nuovefrontierediritto.it,  download del 20.11.16. 

 

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Le opinioni espresse dalle imprese lanciano alcuni segnali ottimistici collegati alla crescente consapevolezza di non poter più posticipare l’acquisizione di idonee competenze di conoscenza dei mercati esteri, dall’analisi di attrattività alle normative fiscali e doganali. Tuttavia, occorre ribadire che per vincere la sfida internazionale, le imprese devono porsi una serie di priorità all’interno di un approccio strategico che abbia un respiro di medio e lungo termine. L’analisi approfondita del mercato estero, come appena evidenziato, è senza dubbio la base di partenza, ma occorre focalizzare tale analisi anche verso la scelta di un partner adeguato che, soprattutto nei Paesi emergenti, diventa un anello di congiunzione imprescindibile. Altra area da presidiare è, senza dubbio, quella manageriale. L’imprenditore non può fare tutto, occorre saper delegare creando strutture appropriate che rivestano nuove funzioni strategiche (marketing strategico, sviluppo del business export, sviluppo delle risorse umane, gestione di piattaforme digitali). La sopravvivenza dell’organizzazione passa necessariamente da una rivoluzione culturale che sappia riconoscere l’esigenza, non più trascurabile, di una formazione professionalizzante, eventualmente realizzata mediante partnership collaborative con attori istituzionali e università.

L’approccio “collaborativo” diventa un ulteriore imperativo improcrastinabile. Le capacità di networking e sharing knowledge non devono rappresentare concetti confinati al mondo delle start-up, ma diventano stimoli efficaci per l’individuazione di nuovi approcci strategici che, mai come in questo momento storico, stanno dando evidenza di risultati sempre più consistenti anche a livello internazionale. Tramutare in modelli di riferimento le eccellenze e le best practise espresse all’interno dei singoli cluster settoriali e distrettuali, può favorire l’emersione di centri polifunzionali in cui, oltre alla condivisione di risorse comuni, si favorisca la diffusione di pratiche manageriali specificamente tarate sulle caratteristiche del Made in Italy. Le imprese Confapi appaiono particolarmente consapevoli della valenza strategica dell’immagine dell’Italia e delle sue produzioni, tale consapevolezza deve, però, essere supportata da un investimento continuo e innovativo che sappia modularne la valorizzazione a seconda delle specificità culturali espresse dai diversi contesti esteri. L’impresa deve diventare un ambasciatore dell’Italian way of life, riuscendo a raccontare storie, produzioni e persone mediante l’ausilio di codici comunicativi moderni e non stereotipati.

Muovendo da tali riflessioni, gli enti istituzionali e le Università possono esercitare un ruolo determinante da più punti di vista. Senza dubbio, soprattutto per le imprese di piccole dimensioni che stanno muovendo i primi passi del percorso di crescita internazionale, la disponibilità di risorse specialistiche, magari nella forma di temporary export manager, può facilitare il superamento di quegli ostacoli iniziali comunemente riscontrati nel contatto iniziale con i partner esteri. Il confronto con risorse dotate di una visione globale può stimolare e valorizzare il potenziale aziendale, anche nella direzione del riconoscimento di eventuali gap di competenze. E, in tal senso, le Università rivestono un ruolo cruciale nel dover essere pronte ad offrire profili in uscita sempre più orientati all’internazionalizzazione e all’export management.

Il supporto istituzionale deve, inoltre, essere dispiegato anche a livello di filiera, cercando di preservare il patrimonio artigianale e manifatturiero del Made in Italy e, allo stesso tempo, rilanciarlo a livello internazionale. Indovinare il vestito più adatto per comunicare il Made in Italy è determinante, ma non bisogna sottovalutare l’importanza di proteggere e rivitalizzare l’heritage manifatturiera che rappresenta la linfa vitale del sistema produttivo italiano. Infine, il sistema Paese deve affermare il suo ruolo di facilitatore nei processi aggregativi e collaborativi tra piccole e medie imprese, supportandole mediante incentivi e

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benefici economici, ma sapendo anche affiancare strumenti di sensibilizzazione in grado di favorire l’adozione di scelte più selettive e consapevoli. Riferimenti bibliografici CEDROLA E., BATTAGLIA L. (2011), “Piccole e medie imprese e internazionalità: strategie di

business, relazioni, innovazione”, in Sinergie, n. 85, pp. 71-92. CONTI C. (2016), “Russia, l’embargo di Putin soffoca l’export alimentare. Ma c’è modo di aggirarlo”,

in www.ilfattoquotidiano.it, download del 12.11.16. DE NISCO A., MAINOLFI G., MARINO V., NAPOLITANO M.R. (2013), “Il turista-consumatore:

l’immagine Paese, conoscenza e attitudini post-visita verso il made inItaly”, in Rapporto sul turismo italiano 2012-2013 (a cura di Becheri E., Maggiore G.), Franco Angeli, Milano, pp. 265-284.

EDITORIALE (2016), “L'embargo alla Russia? È costato al Made in Italy 3,6 miliardi”, in Affari Italiani, www.affaritaliani.it, download del 6.11.16;

EDITORIALE (2016), “Ucraina, l’impatto economico sull’UE delle sanzioni”, in www.lindro.it, download del 6.11.16.

EUROPEAN COMMISSION (2016), “European Union: trade goods in Russia”, in trade.ec.europa.eu/doclib/docs/, download del 23.09.16.

GUBITTA P. (2013), Lepri che vincono la crisi. Storie di aziende (quasi medie) vincenti nei mercati globali, Marsilio Editore, Venezia.

MAINOLFI G. (2010), Il modello della country reputation. Evidenze empiriche e implicazioni strategiche per le imprese del Made in Italy nel mercato cinese, Giappichelli Editore, Torino, pp. 1-220.

REPORT CERVED (2015), “PMI”, in know.cerved.com, download del 20.09.16 REPORT IAI (2015), “Global outlook”, Istituto Affari Internazionali, p. 4. REPORT ICE (2016), “Interscambio Italia-Russia”, in www.ice.gov.it, download, 04.09.16 REPORT ICE (2016), “Misure restrittive Federazione Russa e sanzioni Unione Europea”, luglio, in

www.ice.gov.it, download del 24.08.16. REPORT ICE-ISTAT (2016), L’Italia nell’economia internazionale, p. 115. REPORT UIM (2013), “La conoscenza delle lingue straniere: un confronto Italia – Europa”, in

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dell’Italia”, Centro Studi Unioncamere, p. 118. TOSETTI M. (2016), “Il contratto di rete: la possibile risposta alla crisi”, in www.nuovefrontiere-

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VERNIZZI S., MARTINI M. (2013), “Opportunità e criticità del contratto di rete: lo “stato dell’arte” a quattro anni dalla sua introduzione normativa”, in Impresa Progetto, n. 1, pp. 1-19.

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Appendice I – Paesi di esportazione

Aree 1° Paese  2° Paese  3° Paese 

Freq. ass.  Freq. %  Freq. ass.  Freq. %  Freq. ass.  Freq. % 

Unione Europea (28)   147  75,38  114  73,08  60  60,00 

Germania  33  16,92  13  8,33%  12  12,00 

Francia  32  16,41  17  10,90%  9  9,00 

Spagna  26  13,33  19  12,18%  6  6,00 

Olanda  10  5,13  16  10,26%  7  7,00 

Belgio  9  4,62  8  5,13%  8  8,00 

Regno Unito  7  3,59  5  3,21%  3  3,00 

Austria  7  3,59  3  1,92%  2  2,00 

Polonia  5  2,56  1  0,64%  3  3,00 

Ungheria  4  2,05  4  2,56%  1  1,00 

Portogallo  4  2,05  9  5,77%  1  1,00 

Romania  2  1,03  6  3,85%  1  1,00 

Croazia  2  1,03  1  0,64%  0  0,00 

Svezia  1  0,51  4  2,56%  3  3,00 

Grecia   1  0,51  1  0,64%  0  0,00 

Slovenia  1  0,51  3  1,92%  1  1,00 

Slovacchia  1  0,51  1  0,64%  0  0,00 

Estonia  1  0,51  0  0,00%  0  0,00 

Lussemburgo  1  0,51  0  0,00%  1  1,00 

Finlandia  0  0,00  1  0,64%  0  0,00 

Cipro  0  0,00  0  0,00%  1  1,00 

Malta  0  0,00  0  0,00%  1  1,00 

Danimarca  0  0,00  2  1,28%  0  0,00 

Paesi europei non UE  20  10,26  19  12,10%  16  16,00 

Russia  7  3,59  6  3,85%  1  1,00 

Svizzera  6  3,08  4  2,56%  6  6,00 

Albania  4  2,05  2  1,28%  0  0,00 

Turchia  2  1,03  2  1,28%  4  4,00 

Macedonia  1  0,51  1  0,64%  4  4,00 

Montenegro   0  0,00  1  0,64%  1  1,00 

Serbia  0  0,00  1  0,64%  0  0,00 

Norvegia  0  0,00  1  0,64%  0  0,00 

Ucraina  0  0,00  1  0,64%  0  0,00 

Africa settentrionale  2  1,03  5  3,18%  3  3,00 

Marocco  2  1,03   0  0,00%  1  1,00 

Algeria  0  0,00  4  2,56%  0  0,00 

Tunisia  0  0,00  1  0,64%  2  2,00 

Altri Paesi africani   2  1,03  0  0,00%  0  0,00 

Angola  2  1,03  0  0,00%  0  0,00 

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America settentrionale  12  6,15  6  3,82%  8  8,00 

Stati Uniti  11  5,64  5  3,21%  7  7,00 

Canada  1  0,51  1  0,64%  1  1,00 

America centro meridionale  5  2,56  2  1,27%  2  2,00 

Cuba  2  1,03  0  0,00%  0  0,00 

Brasile  1  0,51  1  0,64%  2  2,00 

Rep. Dominicana  1  0,51  0  0,00%  0  0,00 

Messico  1  0,51  0  0,00%  0  0,00 

Guatemala  0  0,00  1  0,64%  0  0,00 

Medio Oriente  3  1,54  1  0,64%  5  5,00 

Israele   1  0,51  0  0,00%  1  1,00 

Qatar  1  0,51  0  0,00%  3  3,00 

Emirati Arabi  1  0,51  0  0,00%  1  1,00 

Libano  0  0,00  1  0,64%  0  0,00 

Asia centro meridionale  1  0,51  2  1,27%  0  0,00 

Pakistan  1  0,51  0  0,00%  0  0,00 

India  0  0,00  2  1,28%  0  0,00 

Sud–est asiatico  0  0,00  1  0,64%  2  2,00 

Singapore  0  0,00  0  0,00%  1  1,00 

Tailandia  0  0,00  1  0,64%  1  1,00 

Asia orientale  3  1,54  5  3,18%  1  1,00 

Cina  2  1,03  3  1,92%  1  1,00 

Corea del Sud  1  0,51  1  0,64%  0  0,00 

Giappone  0  0,00  1  0,64%  0  0,00 

Oceania  0  0,00  1  0,64%  3  3,00 

Australia  0  0,00  1  0,64%  3  3,00 

Totale  195  100,00  156  100,00  100  100,00 

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Appendice II – Previsione di nuovi Paesi di esportazione (3/5 anni)  Aree 

1° Paese 2° Paese 3° Paese 

Freq. ass. Freq. % Freq. ass. Freq. % Freq. ass.  Freq. %

Unione Europea (28)  47 39,82 34 38,20 20  39,22

Germania  17 14,41 6 6,74 2  3,92

Francia  8 6,78 6 6,74 2  3,92

Spagna  5 4,24 2 2,25 0  0,00

Regno Unito  3 2,54 6 6,74 3  5,88

Polonia  2 1,69 0 0,00 1  1,96

Austria  2 1,69 1 1,12 0  0,00

Slovenia  2 1,69 1 1,12 0  0,00

Olanda  2 1,69 3 3,37 2  3,92

Belgio  1 0,85 2 2,25 4  7,84

Svezia  1 0,85 1 1,12 1  1,96

Portogallo  1 0,85 1 1,12 0  0,00

Croazia  1 0,85 1 1,12 2  3,92

Rep. Ceca  1 0,85 0 0,00 0  0,00

Danimarca  1 0,85 2 2,25 2  3,92

Romania  0 0,00 1 1,12 0  0,00

Ungheria  0 0,00 1 1,12 0  0,00

Slovacchia  0 0,00 0 0,00 1  1,96

Paesi europei non UE* 32 27,11 26 29,21 8  15,69

Russia  24 20,34 13 14,61 3  5,88

Turchia  3 2,54 4 4,49 1  1,96

Albania  2 1,69 0 0,00 0  0,00

Svizzera  2 1,69 3 3,37 3  5,88

Norvegia  1 0,85 1 1,12 0  0,00

Armenia  0 0,00 1 1,12 0  0,00

Macedonia  0 0,00 3 3,37 0  0,00

Montenegro   0 0,00 0 0,00 1  1,96

Serbia  0 0,00 1 1,12 0  0,00

Africa settentrionale 5 4,24 2 2,25 1  1,96

Egitto  3 2,54 0 0,00 0  0,00

Tunisia  1 0,85 1 1,12 0  0,00

Marocco  1 0,85 0 0,00 1  1,96

Libia  0 0,00 1 1,12 0  0,00

Altri Paesi africani   0 0,00 1 1,12 1  1,96

Sud Africa  0 0,00 1 1,12 1  1,96

America settentrionale  10 8,48 6 6,74 4  7,84

Stati Uniti  9 7,63 6 6,74 3  5,88%

Canada  1 0,85 0 0,00 1  1,96%

America centro meridionale  6 5,09 5 5,62 6  11,76

Brasile  2 1,69 4 4,49 3  5,88

Venezuela  1 0,85 1 1,12 1  1,96

Nicaragua  1 0,85 0 0,00 0  0,00

Messico  1 0,85 0 0,00 1  1,96

Peru   1 0,85 0 0,00 0  0,00

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34 

 

Cuba  0 0,00 0 0,00 1  1,96

Medio Oriente  6 5,09 6 6,74 7  13,73

Arabia saudita  2 1,69 3 3,37 1  1,96

Qatar  1 0,85 0 0,00 0  0,00

Kuwait  1 0,85 1 1,12 0  0,00

Iran  1 0,85 1 1,12 0  0,00

Emirati Arabi  1 0,85 1 1,12 3  5,88

Israele   0 0,00 0 0,00 1  1,96

Iraq  0 0,00 0 0,00 2  3,92

Asia centro meridionale  3 2,54 1 1,12 2  3,92

India  3 2,54 1 1,12 1  1,96

Kazakistan   0 0,00 0 0,00 1  1,96

Sud – est asiatico  2 1,70 2 2,25 1  1,96

Singapore  1 0,85 0 0,00 0  0,00

Vietnam  1 0,85 2 2,25 0  0,00

Indonesia   0 0,00 0 0,00 1  1,96

Asia orientale  6 5,08 5 5,62 1  1,96

Giappone  3 2,54 1 1,12 0  0,00

Cina  2 1,69 2 2,25 0  0,00

Hong Kong  1 0,85 2 2,25 0  0,00

Corea del Sud  0 0,00 0 0,00 1  1,96

Oceania  1 0,85 1 1,12 0  0,00

Australia  1 0,85 1 1,12 0  0,00

Totale  118 100,00 89 100,00 51  100,00