vox anno x 2011 n 2
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Poste Italiane SpA – Spedizione in abbonamento postale – 70% - L'Aquila – ROC 9312
VOX MILITIAEVOX MILITIAE
Anno X – N° 2 Maggio 2011
CAVENDO TUTUS
UN MONDO DI IDEE E MOVIMENTI DIROMPENTI
2
VM Maggio 2011
L’ Altare della patria
Simbolo dell’unità
Nazionale e assolu-
ta dedizione al Do-
vere
Monumento
ai caduti
di tutte
le guerre
“Fratelli d’Italia”, pro-
clama il poeta, finalmente
l’Italia è pronta per la
lotta alla libertà contro
l’Austria, ha già indossa-
to l’elmo di Scipio, sim-
bolo di certezza di vitto-
ria dell’Italia sugli op-
pressori. Si richiama a
Scipione l’Africano, il
vincitore di Zama, che
rompendo con il tradizio-
nalismo aveva rafforzato
il primato di Roma, ri-
scattando il popolo roma-
no dalla sconfitta.
―Le porga la chioma”,
con riferimento all’antica
usanza di tagliare le
chiome alle schiave per
distinguerle dalle donne
libere che invece portava-
no i capelli lunghi; ―La
vittoria” deve porgere la
chioma all’Italia in segno
di totale asservimento.
Questo è il volere di Dio
che l’ha accumunata
all’impero di Roma.
Fratelli d’Italia “Il canto degli italiani”, divenuto successivamente “Fratelli d’Italia” ed inno nazionale il 12 ottobre 1946, composto dal “repubblicano”
Goffredo Mameli, fu cantato per la prima volta il 10/12/1847, l’ “anno delle costituzioni”, a Genova, 101° della insurrezione antiaustriaca
(quella del “ragazzo di Portoria” secondo la tradizione Giambattista Perasso detto Balilla, anche se nulla lo identifica esattamente). Un con-
densato di simboli e riferimenti, di una serie di citazioni degli antecedenti storici della rivoluzione nazionale. Il compositore genovese Michele
Novaro, appena avuto il testo lo musicò immediatamente.
Il “canto degli italiani” nacque negli anni in cui i poeti gareggiavano nell’esternare l’ardore dei sentimenti nell’azione politica.
Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa,
Dov’è la vittoria?
La porga la chioma
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Noi fummo da secoli
calpesti e derisi,
perché non siam popolo
Perché siam divisi:
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
L’Italia era divisa in sette
stati e nessuno rispettava
gli italiani. Il nome Italia
rappresen tava so lo
un’espressione geografi-
ca. Per acquistare la di-
gnità di nazione occorre
riconoscersi in una sola
bandiera ed unirsi in una
speranza comune.
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano
Ogni uomo di Ferruccio
Ha il cuore e la mano
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
In una sola strofa sette
secoli di storia contro il
dominio straniero:
primo riferimento è alla
battaglia di Legnano
(1176) dove Alberto da
Giussano sconfisse Fe-
derico Barbarossa;
Poi la guerra di Firenze
contro l’impero di Carlo
V, di cui fu simbolo
Francesco Ferruccio;
Segue il ricordo del
Balilla, 1746, che lanciò
un sasso contro il nemi-
co e diede inizio alla
cacciata degli austriaci
da Genova;
Infine, ―il suon di ogni
squilla‖ significa ―ogni
campana‖ con riferimen-
to alle campane palermi-
tane che, la sera del 30
marzo 1282, chiamarono
i l p o p o l o
all’insurrezione contro i
francesi di Carlo
D’Angiò.
“I Vespri siciliani”.
Uniamoci, uniamoci
L’unione e l’amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore,
Giuriam di far libero
Il suolo natio:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Ah! L’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute
Il sangue d’Italia,
Il sangue polacco
Bevè col cosacco
ma il cuor le bruciò.
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Uniamoci, nel nome
di Dio, ―per Dio‖, un
francesismo che sta a
significare attraverso
Dio saremo invincibi-
li.
In questa strofa, il poeta
fa riferimento alle lotte
del popolo polacco
contro il dominio della
Russia e dell’Austri -
Ungheria. Si rivolge con
sdegno e disprezzo alla
p o l i t i ca au s t r i aca
(l’Aquila d’Austria) che
per costruire il loro
impero si avvalse di
truppe mercenarie: i
cosacchi equiparati a
giunchi, che si flettono
facilmente, indice di
debolezza. Insieme ai
cosacchi l’Austria bev-
ve il sangue italiano e
quello polacco (con
riferimento allo smem-
bramento del Regno
polacco ) e si compiace
per il trasformarsi del
sangue in veleno che
d i l a n i a l ’ A q u i l a
d’Austria.
La Polonia nel Risorgi-
mento si associava ai
destini dell’Italia op-
pressa.
Goffredo MAMELI Michele NOVARO
La ―Coorte‖ (composta da fanti dotati di armamento
pesante), unità tattica della ―Legione‖, Grande Unità di
Fanteria con cui l’Esercito romano riuscì a prevalere in
battaglia.
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VM Maggio 2011
Anche io lontana migliaia di chilometri
dall’Afganistan, che ogni mattina vado a lavo-
rare nel mio ufficio e mi occupo della mia
famiglia, riesco ad immaginare dopo la morte
di Alessandro la dinamica dell’azione milita-
re: gli incursori del Col Moschin, muoversi
fianco a fianco mentre l'elicottero con il por-
tellone aperto ondeggia sopra la sabbia e le
pietraie e si avvicina a semicerchio sui taleba-
ni. Stringono il mitragliatore e si piegano in
avanti sul pianale pronti a lanciarsi fuori, con
il casco di kevlar, il giubbotto antiproiettile e
qualche migliaio di colpi addosso insieme alle
bombe deflagranti e alla radiotrasmittente. È
l'alba, l'aria ancora pungente, ma sotto quella
corazza si cola di sudore e tensione. Mancano
trecento metri, forse duecento al bersaglio.
Una raffica dal basso, una grandinata di colpi
dei talebani e l'elicottero italiano vira brusca-
mente. Non si sono sentite neppure le grida di
dolore dei feriti soffocate dai rotori che anda-
vano a mille.
Il tenente Alessandro Romani della Task
Force 45 è morto così, con gli occhi velati
dalla polvere e dall'argilla di Farah sollevata
dalle pale dell'elicottero.
Anche una donna come me ha capito che la
Task Force 45 è l'élite delle nostre forze spe-
ciali. Ufficialmente non esiste, soldati invisi-
bili che non sono neppure conteggiati nel
contingente dei 3.500 uomini schierati in Af-
ghanistan e nella provincia di Herat dove han-
no il comando gli italiani della brigata alpina
Taurinense del generale Claudio Berto. I fan-
tasmi della Task Force 45 sono incaricati di
bloccare le incursioni dei talebani dal confine
pakistano e dalla turbolenta provincia
dell'Helmand. Ma sono anche in prima linea a
nord, nella vallata di Bala Murghab e ancora
più su, quando ci si avvicina alle vette acumi-
nate al confine con il Tagikistan e l'Iran.
Quanti sono? Forse 200, selezionati tra le fila
del 9° Reggimento d'assalto paracadutisti Col
Moschin, eredi degli Arditi del Grappa della
prima guerra mondiale, e integrati da incursori
della Marina del Comsubin, carabinieri del
Gis e forze speciali dell'Aviazione. Sono mili-
tari addestrati alla sopravvivenza in ogni con-
dizione, anche in quelle più estreme e disuma-
ne, dove le facoltà mentali e nervose devono
essere pari almeno a quelle fisiche.
All'insaputa di gran parte degli italiani gli
uomini della Task Force hanno partecipato, in
stretto coordinanento con le altre forze alleate,
a scontri importanti e sanguinosi. A Farah
sono schierati da quattro anni: è una delle
zone più insidiose sotto il comando italiano.
Tutte le guerre hanno una loro vita segreta e
quella degli incursori della Task Force è una
delle meno conosciute. Nel tentativo di rac-
contare le strategie e le forze profonde che
animano un conflitto spesso sfuggono aspetti
essenziali della realtà quotidiana. «Bombe,
trappole esplosive, anche rudimentali – ci
spiegavano, sempre in toni generali, i colleghi
di Alessandro - sono insidie micidiali e a volte
la tecnologia non basta. Se i talebani impiega-
no ordigni elettronici
sofisticati per far sal-
tare una bomba, ab-
biamo i mezzi per
anticipare la minaccia.
Ma con una semplice
miccia o una mina a
pressione aggirano
anche i detector più
sofisticati». Questo è
il problema della
guerra asimmetrica,
termine che noi fami-
liari abbiamo dovuto
imparare! Il caricatore
di un kalashnikov a
breve distanza può
abbattere un elicotte-
ro da milioni di euro,
una bomba improvvi-
sata da pochi soldi
distruggere un veico-
lo blindato come il
Lince.
Qualche tempo fa gli
uomini della Task Force 45 con Alessandro si
acquartierarono nel fortino di Delaram, un
avamposto dalle mura sbreccate dove negli
anni Ottanta stava l'Armata Rossa: da qui
sono partiti e partono gli incursori per tenere a
bada gli insorti di Bakwa nel distretto di Bala
Baluk. Un crocevia strategico, un'area dal
nome poetico agli occhi di un parente di un
valoroso militare caduto: il Giardino dei Fiori,
che oggi per noi ha il ricordo terribile della
tragedia.
Alessandro vive nei cuori della sua famiglia
che è orgogliosa di lui e che lavora costante-
mente per legare la sua memoria alla vita,
come quella dei bimbi malati oncologici
dell’Associazione Peter Pan Onlus, attraverso
donazioni in sua memoria ed all’immagine
dell’uomo ―giusto‖ caduto per difendere il
supremo valore della libertà dei popoli, verso
il quale ognuno di noi anche nella più piccola
delle sfere private, deve tendere.
Emanuela Mariani zia del capitano Ales-
sandro Romani, morto il 17 settembre
2010 in Afghanistan, ricorda il nipote.
Un albero di ulivo delle colline di Gerusalemme è stato piantato nel
cuore di Villa Toronia in memoria del capitano Alessandro Romani,
donato dal Comune di Roma e dall'associazione Keren Kayemeth
Leisrael Italia". Una targa incastonata in una roccia, posta ai piedi
dell'albero, proveniente dalle montagne dell'Abruzzo.
Tenente Massimo RANZANI
Ultimo caduto in Afghanistan
- 28 febbraio 2011 -
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VM Maggio 2011
Il cammino dell’Abruzzo verso l’Unità
Il viaggio verso l’Unità in Abruzzo dura qua-
ranta anni, ed ha una data d’inizio precisa:
sette marzo 1821, come troviamo scritto poco
prima di Antrodoco, su un cartello turistico
posto lungo la strada statale che da L’Aquila
porta a Rieti.
Ci troviamo nel Regno delle Due Sicilie (il
più esteso stato italiano), quasi ai confini con
lo Stato della Chiesa, nell’Abruzzo Ulteriore
Secondo, con capoluogo Aquila (l’articolo
determinativo sarà aggiunto con il fascismo);
le altre divisioni erano l’Abruzzo Ulteriore
Primo (con capoluogo Teramo) e l’Abruzzo
Citeriore (capoluogo Chieti). In quel sette
marzo si affrontarono nelle gole di Antrodoco
le truppe al comando del generale calabrese
Guglielmo Pepe, definito dal De Sanctis
‖Padre della Rivoluzione italiana‖, che difen-
deva la rivoluzione napoletana del 1820, e le
milizie austriache del generale Johann Maria
Philipp Frimont, chiamate da Ferdinando I,
costretto un anno prima a concedere la costitu-
zione, ma pronto a rimangiarsi la parola e ad
instaurare un regime reazionario. Allo scontro
si era arrivati dopo proclami dalle due parti,
che invitavano da un lato il popolo alla difesa
della libertà, e dall’altro lo minacciavano di
dure repressioni. Lo stesso Pepe aveva scritto
un inno di guerra. Le truppe rivoluzionarie
vennero sconfitte, e la repressione fu durissi-
ma, ma questo non impedì la diffusione nella
regione degli ideali di libertà.
Come nel resto d’Italia, anche in Abruzzo
erano presenti carbonari e liberali, costretti ad
agire nella clandestinità, già protagonisti di
rivolte come quella di Pescara del 1814, o
quella di Napoli del 1820. I carbonari utilizza-
vano codici di riconoscimento e rituali segreti,
e diffondevano gli ideali di libertà con biglietti
che ai nostri occhi appaiono ingenui, ma che
rendono testimonianza di quale fosse il clima
repressivo dell’epoca.
Intorno al 1830-31, in coincidenza con la
fondazione della ―Giovine Italia‖ di Mazzini,
anche in Abruzzo, pur se in misura minore
rispetto ad altre aree, si tentarono sollevazioni.
In questa fase si distinsero tra gli altri perso-
naggi come i pennesi Nicola e Domenico De
Caesaris (già protagonista della sommossa di
Città S.Angelo del 1814, e comandante del
presidio di Penne nel 1820), gli aquilani Gia-
como Dragonetti e Pietro Marrelli , il sulmo-
nese Panfilo Serafini. Le pagine più eclatanti
delle rivolte abruzzesi si ebbero a partire dal
1837, quando, occasionali epidemie di colera,
scoppiate nel regno delle Due Sicilie, furono
sfruttate dai liberali come occasione di som-
mossa, accusando il governo di avere diffuso
ad arte la pestilenza, o quanto meno di non
averla saputa combattere. La plebe appoggiò
questi moti. A Penne il 23 luglio 1837 un
gruppo di patrioti (tra i quali Filippo Forcella
e Raffaele Castiglioni) si impadronì della
caserma e delle armi incitando la città alla
sollevazione, a cui aderirono anche Farindola,
Moscufo, Cappelle e Spoltore. Contro i rivol-
tosi mossero diverse compagnie comandate da
Gennaro Tanfano il quale riuscì a occupare la
città, arrestando decine di rivoltosi e costrin-
gendone diversi altri alla fuga. Il processo che
ne seguì si concluse con varie condanne al
carcere e nove a morte, eseguite nella piazza
della cittadella di Teramo il 21 settembre. La
vendetta contro Tanfano non si fece attendere
molto: quattro anni. Nel 1841, l’otto settem-
bre, fu la volta dell’Aquila a sollevarsi, in
coincidenza con la festa di Piedigrotta. Alle
ventidue vennero accoltellati a morte il colon-
nello Tanfano, comandante della piazza, e il
suo attendente Scannella. I rivoltosi, capeggia-
ti dallo stesso sindaco, il barone Ciampella, da
Marrelli, da nobili quali Luigi Falconi, Luigi
Dragonetti, Giuseppe Cappa, occuparono
dapprima porta Rivera poi iniziarono degli
scontri a fuoco nelle vie della città con le trup-
pe borboniche. La scarsa capacità organizzati-
va contribuì però alla sconfitta dei rivoltosi.
La repressione al solito fu immediata e portò
all’incriminazione di 192 persone, in preva-
lenza artigiani, che furono quelli più duramen-
te colpiti. Vi furono otto condanne a morte, di
cui tre eseguite sui bastioni del forte spagnolo
(gli assassini di Tanfano) e le altre cinque
commutate nell’ergastolo, oltre a 90 condanne
al carcere. Questo avvenimento ebbe grande
eco in Italia, tanto che si disse che ispirò
l’azione calabrese dei fratelli Bandiera del
1844, e quelle successive del ’48 e del ’59.
Davide ADACHER
Coccarde dei Carbonari
Sonetto Carbonaro
Volantini Carbonari
Antrodoco
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VM Maggio 2011
E finalmente ―avvenne un quarantotto‖
In seguito ai fatti di Palermo, l’undici febbraio
1848 re Ferdinando II fu costretto a concedere
la Costituzione. Tornarono dall’esilio i vecchi
rivoluzionari del ’37: Domenico De Caesaris,
Salvatore Tommasi e Francesco De Blasis
furono eletti rappresentanti abruzzesi nel nuo-
vo parlamento.
Scoppiarono rivolte in tutta Italia, tra cui quel-
le di Milano e di Venezia: iniziò la prima
guerra d’indipendenza. La risposta reazionaria
borbonica non si fece attendere: Ferdinando
ripristinò l’assolutismo, represse i moti, so-
spese il parlamento, cancellò la costituzione.
Ad Aquila con l’intendente Mariano d’Ayala,
aperto alle idee liberali, si tentò inutilmente di
organizzare un’altra insurrezione, così come a
Teramo: protagonisti tra i quali Marrelli, Fa-
bio Cannella, Giuseppe Pica, Luigi Dragonet-
ti, Luigi Spaventa e lo stesso D’Ayala, furono
costretti all’esilio o arrestati e incarcerati a
Procida, Pozzuoli, Pescara, dove i prigionieri
tentarono invano una rivolta nel febbraio
1853, anno in cui salì al trono Francesco II.
Da quell’anno, in cui scoppiò anche la guerra
di Crimea, non vi furono episodi particolari in
Abruzzo.
La scintilla finalmente si riaccese nel 1860
con la notizia della spedizione di Garibaldi e
dei mille, fra cui vi era un abruzzese, Pietro
Baiocchi di Atri, morto in combattimento a
Palermo nel mese di giugno. Francesco II
inutilmente il 25 giugno ripristinò la costitu-
zione del ’48; in Abruzzo i patrioti, evasi dalle
galere o ritornati dall’esilio, si organizzarono
per l’azione. Clemente De Caesaris ebbe
l’incarico come prodittatore di Garibaldi per
le province d’Abruzzo; catturato e rinchiuso
nel carcere di Pescara, venne liberato su inter-
vento diretto di Garibaldi che telegrafò: ―Guai
a chi lo tocca. Spedisco un’armata sulle ali‖,
ed inviò due navi che si ancorarono al largo di
Pescara. Liberato, De Caesaris costrinse alla
resa il forte e proclamò il governo provviso-
rio. La mattina dell’otto settembre da Napoli
giunse un telegramma:‖Il Dittatore Garibaldi è
giunto in Napoli alla mezza tra lo entusiasmo
generale di tutta la popolazione. Tutto è festa
e tranquillità‖.
La notizia ebbe immediate ripercussioni: ad
Aquila venne dichiarato decaduto il governo
borbonico e fu costituito un governo provviso-
rio con un triumvirato composto
dall’intendente Federico Papa, dal sindaco
Fabio Cannella e da Angelo Pellegrini. Lo
stesso avvenne in altre località della regione,
dove la guardia nazionale si mise sotto le armi
e al posto dello stemma borbonico apparve
quello sabaudo.
Il 25 settembre una delegazione si recò nelle
Marche dai generali Fanti e Cialdini per sol-
lecitare l’intervento delle truppe sardo-
piemontesi, anticipando l’arrivo di Vittorio
Emanuele II che partì da Torino verso Ancona
il 29.
Il cinque ottobre una deputazione, guidata da
Salvatore Tommasi si incontrò col re, portan-
do anche i risultati del plebiscito per convin-
cerlo a varcare il confine, posto lungo il Tron-
to. La mattina del 15 ottobre il re sabaudo
attraversò il confine nei pressi di Martinsicu-
ro, per raggiungere Garibaldi il quale prose-
guiva la conquista della Campania, dopo avere
messo in fuga Francesco II, rifugiato a Gaeta.
Nello stesso giorno il maggiore Luigi Ascio-
ne, comandante della guarnigione di stanza
nella fortezza di Civitella del Tronto, dichiara-
va lo stato d’assedio.
La fortezza resistette fino al 20 marzo 1861,
dopo terrificanti bombardamenti. Molti difen-
sori dell’ultimo baluardo borbonico furono
deportati nelle carceri piemontesi di Savona e
Fenestrelle da dove non fecero più ritorno. Le
fortezze di Civitella e di Pescara vennero poi
distrutte.
Segue: Il cammino dell’Abruzzo verso l’Unità
GAMBA Enrico (Torino, 1831 - 1883): Il voto di annessione dell'Abruzzo, Plebiscito nella campagna
romana. Olio su tela, cm 105 x 209,5. Galleria d'Arte Moderna, Genova
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Il viaggio di Vittorio Emanuele II in Abruzzo
Il viaggio di Vittorio Emanuele II in Abruzzo
fu trionfale, con generali accoglienze festose:
il re passò per Giulianova, Roseto, Castellam-
mare Adriatico, Pescara, Chieti, Popoli, Sul-
mona, Pettorano, Rocca Valle Oscura
(ribattezzata Rocca Pia, in onore della figlia
del sovrano), Roccaraso e, finalmente, Castel
di Sangro, dove gli venne annunciato il plebi-
scito.
La strada verso il Volturno era quasi libera,
ma per ricongiungersi con le truppe prove-
nienti da sud fu necessario combattere il 20
ottobre una battaglia nei pressi del Macerone.
In quei mesi in Abruzzo diversi furono gli
episodi meno gloriosi del risorgimento, come
l’eccidio di Scurcola, avvenuto il 23 gennaio
1861 con 140 morti filoborbonici, o le azioni
del generale Pinelli che incendiò quattordici
paesi in pochi giorni.
Il cammino verso l’unità era comunque segna-
to; da lì a poco, il 26 ottobre vi sarebbe stato
l’incontro detto di Teano, che avrebbe posto
fine alla spedizione dei Mille.
In realtà la strada era ancora lunga: Roma
sarebbe stata ricongiunta al resto dell’Italia
solo nel 1870; dovevano ancora compiersi i
tentativi garibaldini del 1862, la terza guerra
di indipendenza del ’66, le battaglie di Mon-
terotondo e Mentana del ’67, sacrifici di pa-
trioti, tra i quali quelli dei fratelli Cairoli a
Villa Glori, a Roma della Tavani Arquati e di
Monti e Tognetti decapitati nel 1868.
Ma, come si disse, fatta l’Italia, bisognava
fare gli Italiani, e questo riguardò direttamen-
te, e talvolta tragicamente, anche gli abruzze-
si.
La regione, centrale, ma considerata meridio-
nale, versava in gravi condizioni di povertà,
acuite dalle guerre e dalle tasse imposte dal
governo unificato: gli abitanti di Pianella do-
vettero vendere in un’asta i loro utensìli do-
mestici per pagare il dazio sul vino.
Il pittore di Castel di Sangro Teofilo Patini,
che aveva militato nei garibaldini ―cacciatori
del Gran Sasso‖ e nella Guardia Nazionale,
dipinse la triste realtà abruzzese del tempo.
Egli fu anche impegnato nella repressione del
brigantaggio, che già era - si può dire - ende-
mico, ma che ricomparse e si diffuse anche
con caratteri di appoggio politico alla reazione
borbonica e di protesta sociale.
Il governo piemontese apparve, specialmente
alle masse contadine, come un nuovo usurpa-
tore. Un senatore aquilano, Giuseppe Pica,
che era stato arrestato per aver partecipato ai
fatti del maggio 1848, dette il nome alla fami-
gerata legge pubblicata il 15 agosto 1863, che
stabiliva la competenza dei tribunali militari
per i reati di brigantaggio: in base ad essa la
repressione fu durissima, e la lotta al brigan-
taggio ebbe termine solo nel 1870, con un
bilancio tragico di centinaia di morti, oggetto
anche di giustizia sommaria, e migliaia di
arrestati e deportati. Gli altri problemi legati a
quella che fu definita ―questione meridionale‖
portarono col tempo migliaia di abruzzesi ad
emigrare.
Il cammino verso l’unità era destinato ad esse-
re ancora lungo ed impervio.
Segue: Il cammino dell’Abruzzo verso l’Unità
7
Aprile e Ottobre 2007: Missione
Min. D’Alema
VM Maggio 2011
L’UNITA’ D’ITALIA
La nascita del Regno d’Italia, 17 marzo 1861, passa necessaria-
mente per la fine dell’assedio di Gaeta. Io come tutti noi, ero e
sono ancora pronto a difendere la Patria a costo della vita, ma
questo non mi impedisce di ricordare con rispetto anche coloro
che sono caduti nella difesa di una fortezza che, fino al 13 febbra-
io 1861, fu una delle più terribili d’Europa. Non sono un tipo
originale e sono in buona compagnia: nel 1868 il generale Lanza-
vecchia di Buri pose questa lapide in quella che fu la Batteria
Philipstad a Gaeta.
Il Re che difendeva il suo regno era Francesco
II di Borbone, Franceschiello… si proprio
lui, ma forse non era tanto ridicolo se i suoi
uomini ricevettero l’onore delle armi
dell’Armata Sabauda comandata dal Generale
Enrico Cialdini (poi Duca di Gaeta) , che ,
per la verità , non era uno tanto morbido ! Con
il Re c’era la giovane Regina Maria Sofia ( la
sorella di Sissi, l’Imperatrice d’Austria) che
visse tanto da andare a trovare i prigionieri
italiani in Austria durante la I GM per cercare
i napoletani e parlare il loro dialetto. Qualcu-
no dice che anni prima aveva finanziato Gae-
tano Bresci, ma questa e’ un’altra storia. Co-
me dice la targa innumerevoli furono gli atti
di valore da entrambe le parti ma i cannoni
Piemontesi erano rigati, forse per la prima
volta nella Storia militare, e i proiettili esplo-
devano in aria schizzando schegge da tutte le
parti; la Storia aveva già deciso e il povero
Francesco riuscì a fermarla solo dal 7 settem-
bre 1860 al 13 febbraio dell’anno dopo. E dire
che il 7 settembre Garibaldi aveva avuto il
coraggio di entrare da solo a Napoli e si era
presentato in carrozza in quella che oggi è
Piazza Plebiscito: gli artiglieri di servizio ai
cannoni di Castel S. Elmo lo vedevano bene
ma Franceschiello aveva detto di non sparare
perchè non voleva morte e distruzioni a Napo-
li, lui! E così agli allievi della Nunziatella e al
Colonnello De Liguoro, che comandava la
guarnigione di Castel Nuovo (leggi Maschio
Angioino), non restò che andare anche loro a
Gaeta con i tamburi e le Bandiere in testa.
Fino al mese di novembre le operazioni si
svolsero intorno a Capua, sul Volturno e a
Mola di Gaeta ove la Bandiera del 1° Rgt,
Granatieri fu decorata con la Medaglia d’Oro
al V.M. Anche sul Volturno le sorti della Bat-
taglia furono a lungo incerte e solo il carisma
di Garibaldi consegnò la Vittoria alle Camicie
Rosse. I resti dell’Esercito borbonico si rac-
colsero in parte davanti alle mura di Gaeta ed
in parte varcarono il confine con lo Stato Pon-
tificio, per poi sciogliere i Reparti. A metà
novembre la forza dell’Esercito Borbonico
chiuso a Gaeta sommava a 934 Ufficiali e 12
mila uomini di truppa. Con essi, a dividere
fatiche e pericoli, oltre il Re e la Regina, erano
i membri della Corte, il Nunzio Apostolico ed
il Corpo Diplomatico ancora accreditato.
L’artiglieria contava 506 pezzi, ma di questi
solo 329 potevano esser messi in batteria e
moltissimi erano scarsamente utili per gittata e
precisione. Solo 4 erano rigati.
A novembre il Corpo d’Armata Sabaudo con-
tava 808 Ufficiali, 15.755 uomini di truppa,
1669 cavalli e 42 cannoni. Al 1 gennaio 1861
l’artiglieria contava 166 pezzi, con grossi
cannoni Cavalli, suddivisi in 23 batterie. Di
questi 153 fecero fuoco simultaneamente negli
ultimi giorni. Gli episodi significativi durante
l’assedio furono una sortita effettuata con
circa 2000 uomini dal Gen. Bosco ed una
successiva azione per sgombrare il campo di
tiro del fronte di terra. Per gli assediati la gior-
nata peggiore fu quella di Natale quando piov-
vero sulla città 500 cannonate. Oltre
l’artiglieria dovettero sopportare anche una
epidemia di tifo che provocò numerose vitti-
me, tra militari e civili, senza distinzione di
eta’, censo e grado. In queste condizioni si
ebbero episodi pittoreschi di marinai napole-
tani che, sugli spalti e sotto il fuoco, giocava-
no a tresette o ballavano la tarantella per
scherno agli assedianti.
La capitolazione avvenne quando, tra la fine
di gennaio e l’inizio di febbraio, si verificaro-
no spaventose esplosioni provocate da precisi
colpi che centrarono alcuni depositi di polveri
con stragi immani.
Al termine delle operazioni i colpi sparati
furono 56.727 da parte Sabauda e 35.244 da
parte Napoletana. Le perdite furono di 46
morti e 321 feriti tra i Piemontesi e 826 morti
e 569 feriti oltre 200 dispersi e 800 malati tra
gli assediati. Non e’ stato mai possibile risali-
re alle perdite dei civili e ancora agli inizi del
900 i Gaetani chiedevano gli indennizzi per i
danni di guerra subiti . Di questa questione ho
avuto modo di vedere un vecchio resoconto
dell’attività parlamentare svolta per risolvere
questa annosa problematica.
Durante l’assedio fu la giovane Regina che
animò i difensori accorrendo ove più intensa
era la battaglia e si meritò l’affetto dei soldati
e l’ammirazione nelle corti straniere: anche
l’Armata Sarda riconobbe il coraggio e
l’abnegazione di Maria Sofia.
Nell’armata Sabauda fu il Comandante, Gene-
rale Cialdini, l’animatore instancabile solleci-
tando e indirizzando i suoi Ufficiali a portare
avanti l’azione che doveva essere si efficace
ma senza inutile ferocia perché ―Noi combat-
temmo contro Italiani, e fu questo necessa-
rio, un doloroso ufficio. Epperò non potrei
invitarvi a dimostrazioni di gioia, non po-
trei invitarvi agli insultanti tripudii del
vincitore …….. Il soldato di Vittorio Ema-
nuele combatte e perdona .‖
Giovanni PAPI
8
VM Maggio 2011
Francesca Bocchi
I barbari, per i Romani, erano ―quelli che
balbettavano‖ e questa definizione la dice
lunga sulla grande considerazione nella quale
si tenevano e quanto poco considerassero
l'altro da sé.
Tutto il mondo conosciuto fu attratto nell'orbi-
ta dei Latini, colonizzato o se non altro forte-
mente influenzato da loro, con strascici di
morte e distruzione ma anche di civiltà e pro-
gresso.
Purtroppo, la morte e distruzione costituisco-
no inevitabili prodromi alla civiltà ed al pro-
gresso, soprattutto quando un popolo pretende
la preminenza sulla base di non meglio identi-
ficata presunzione di potere: siamo migliori,
possiamo insegnarvi la democrazia e la liber-
tà. Ma a che prezzo?
Forse è ciò che sta prendendo forma in questi
giorni nel Mediterraneo, la storia in un certo
senso si sta ripetendo (ma dei corsi e ricorsi
storici non era assertore Vico?) con i Buoni
che combattono i Cattivi. Ma CHI può definir-
li tali e sulla base di cosa i Buoni dovremmo
essere noi?
Più domande che risposte, lo so!
Le notizie che rimbalzano da una parte all'al-
tra ci confondono e ci stordiscono, anche per-
ché non sono disgiunte da quanto ci perviene
dall'altro lato dell'Emisfero Nord – il Giappo-
ne.
Fra emergenza nucleare da un lato e venti di
guerra che spirano alle soglie di casa nostra
non c'è da stare allegri né tranquilli. D'altron-
de, la prossimità geografica è un'aggravante,
ci preoccupa più del nucleare perché fra noi
ed il Giappone c'è di mezzo almeno l'Oceano!
L'Occidente vive ormai nell'ozio e gode di una
comoda e pigra indolenza, non è più abituato
ai sacrifici ed è avvezzo ad una lunga situazio-
ne di stabilità e pace oltre che di prosperità,
nonostante la recente, forte crisi economica.
E' ovvio, quindi, che le immagini che vediamo
e le notizie che ci bombardano sono inquietan-
ti: cosa attendersi dal domani? Una ―bomba‖
di migranti promessa da Gheddafi? Forse
sarebbe da augurarselo...
Certo, è importante garantire ai popoli una
propria autodeterminazione, consentire a tutti
di potersi scegliere una forma di Governo
consona e rispettosa dei basilari diritti umani.
Peraltro, ciò comporterebbe, come conseguen-
za, che i popoli non sentirebbero più l'esigen
za di migrare, di abbandonare la propria terra
in cerca di fortuna altrove, ma avrebbero l'op-
portunità di vivere un'esistenza
altrettanto dignitosa nella terra
in cui sono nati. Questo po-
trebbe realizzarsi anche con
strumenti meno invasivi se
solo si pensa ad un Progetto
semplice ma rivoluzionario quale è quello sul
―microcredito‖, del quale è stato ispiratore
Muhammad Yunus, Nobel per la Pace 2006.
―Pace‖: mai parola fu più breve, facile da
pronunciare, ma difficilissima, faticosissima
in quanto a contenuti!
E' una missione, una sorta di vocazione quella
che ti conduce a perseguire la pace e, soprat-
tutto, a mantenerla e coltivarla, compito ben
più arduo che, come moderna ―levatrice‖,
dovrebbe vedere impegnato sempre e comun-
que il nostro pigro mondo occidentale.
Qualche volta si riesce; altre volte si fallisce,
ma l'importante sarebbe almeno provarci: si
premierebbe il tentativo se il risultato finale
fosse deludente!
―Occhio per occhio … e il mondo diventa
cieco‖ Gandhi
IL MEDITERRANEO
culla di civiltà e barbarie
Il 18 dicembre 2010, Mohamed Bouazizi, un ambulante tunisino, per
protestare contro la confisca da parte della polizia del suo banchetto di
frutta abusivo, si dà fuoco davanti al palazzo del governo a Sidi Bou-
zid, località nel centro della Tunisia. Il disperato gesto dell’uomo ha
innescato la protesta contro il carovita e la disoccupazione che si è
allargata al resto del Paese; il 27 dicembre 2010, la protesta arriva alle
strade di Tunisi.
Dalla Tunisia il germe della rivolta, in pochi giorni, ha contagiato tutto
il mondo arabo del Nord Africa e del Medio Oriente. Segno evidente
che il ―virus‖ covava dentro da tempo ed è esploso inaspettato ed inar-
restabile in nome dei principi di ―Libertà‖, ―Uguaglianza‖ e
‖Giustizia‖. I governi dei ―regimi arabi moderati‖, sostenuti
dall’occidente per contrastare il fenomeno del fondamentalismo isla-
mico, hanno mostrato la loro natura dispotica ed illiberale. Con essi in
nome di una realpolitik sono stati fatti accordi economici e politici
tendenti a stabilizzare il quadro internazionale. Tutti sapevano, ma a
nessuno interessava il carattere fondante di quei regimi. L’Occidente,
ora, sarà costretto a fare nuove scelte che tengono conto delle richieste
delle popolazioni in rivolta, ma sempre attento a non favorire l’islam
radicale o Al Qaeda.
Ancora una volta, dopo la caduta del muro di Berlino, l’equilibrio si è
rotto e, inevitabilmente, seguiranno lotte per il ristabilimento di un
nuovo equilibrio.
La gente si aspetta le riforme per cui si è battuta, ma nessun politologo
osa azzardare una previsione sullo sviluppo degli eventi. Ogni ipotesi
può essere giusta o sbagliata, ma molto dipenderà dalla capacità delle
popolazioni disposte a continuare la lotta in nome dei principi di
―Libertà‖, ―Uguaglianza‖ e ―Giustizia‖. Se guardiamo quanto avvenuto nella storia recente del continente afri-
cano e del mondo arabo, in particolare, non c’è da farsi molte illusioni.
L’esempio più eclatante è la rivoluzione iraniana alla fine degli anni
settanta: oggi l’Iran si ritrova governato da una teocrazia islamica
costretta a reprimere giornalmente le richieste di libertà e di democra-
zia.
In Algeria, le libere elezioni del 1990, vinte dal Fronte Islamico di
Salvezza (FIS) hanno portato ad una guerra civile che ha prodotto
migliaia di vittime; nel gennaio del 1992 l'esercito ha preso il potere
con un colpo di stato determinando un brusco arresto del processo di
democratizzazione.
Nella striscia di Gaza, Hamas, Organizzazione paramilitare per la
Resistenza Islamica, dopo una cruenta lotta armata contro l’altra fazio-
ne palestinese Al- Fatah, Organizzazione facente parte del Movimento
per la Liberazione della Palestina (OLP), ha preso il controllo effettivo
del Territorio.
In Libano gli Hezbollah (Partito di Dio), altro movimento estremista
che si propone l’eliminazione di Israele, siedono in parlamento.
TEMPESTA NEL MONDO ARABO
Tutto ha inizio con la disperazione
di un giovane tunisino
Raffaele SUFFOLETTA
9
VM Maggio 2011
La rivolta in Libia
Dopo le rivolte che hanno interessato i Paesi
del Nord Africa, iniziate nel dicembre 2010,
che erano riuscite a far cadere regimi consoli-
dati, sembrava che la Libia potesse restare
indenne dal vento della protesta. A supporto
di tale tesi si portavano argomentazioni di
carattere socio – economico dovute alle mag-
giori risorse petrolifere ed al tenore di vita
della popolazione, superiore ai Paesi confi-
nanti. Peraltro, nel quarantennale potere di
Gheddafi di rivolte e tentativi di rovesciarlo ce
ne sono stati diversi: tutti risolti con la repres-
sione più spietata.
Dal 17 febbraio le cose sono cambiate. Benga-
si, la città simbolo dell’opposizione tribale a
Gheddafi, seguita da altre province importanti
sono cadute in mano ai rivoltosi. Le manife-
stazioni hanno raggiunto anche Tripoli. Molti
esponenti di spicco del regime, militari e poli-
tici, hanno preso le distanze dal rais. Gheddafi
sembrava fosse sul punto di cedere le armi.
Ma la rivolta si è spenta e, come al solito,
Gheddafi ha represso la protesta nel sangue,
ed ha sferrato la sua controffensiva riconqui-
stando gran parte delle posizioni perdute im-
piegando la potenza di fuoco delle Forze Ar-
mate contro la popolazione inerme. Ma questa
volta ha trovato un’opinione pubblica mondia
le e condizioni politiche generali che hanno
iniziato a stigmatizzare la sua condotta contro
la popolazione civile.
La comunità internazionale è intervenuta con
la forza. Dopo il solito iniziale tentennamento
il Consiglio di Sicurezza dell’ ONU ha delibe-
rato all’unanimità due risoluzioni: la 1970 (26
febbraio 2011) e la 1973 (17 marzo 2011)
aventi come obiettivo da raggiungere:
l’immediato cessato il fuoco, la fine delle
violenze con lo scopo di andare incontro alle
legittime aspettative della popolazione e di
assicurare il rispetto dei diritti umani e del
diritto internazionale umanitario.
Le delibere, prese sulla base del capitolo VII
delle Statuto dell’ONU, hanno adottato diversi
provvedimenti in merito a: protezione di civi-
li, zona di non volo, imposizione
dell’embargo sulle armi, interdizione ai voli,
congelamento dei beni di Gheddafi, ma esclu-
dendo categoricamente il dispiegamento di
"una forza di occupazione straniera di qualsia-
si forma e in qualsiasi parte del territorio libi-
co‖.
L’iniziativa militare contro Gheddafi è stata
attuata tempestivamente da Francia, Gran
Bretagna e USA, ma senza una linea strategi-
ca definita. Solo successivamente il coordina
mento, comando e controllo delle Operazioni
è passato alla NATO.
Da quanto accaduto è apparso dubbio che
l’intervento militare occidentale avesse natura
umanitaria e forse nasconde l’importanza del
controllo delle risorse energetiche libiche, del
Nord Africa e dell’intero continente africano,
sempre più terra dei cinesi (neo-colonialismo).
La crisi ha evidenziato, qualora ce ne fosse
ancora bisogno, l’assoluta mancanza della
capacità di intervento dell’ Unione Europea
incapace di attuare una politica comunitaria di
solidarietà. Sono del tutto mancate scelte coe-
se e decisioni politiche comuni sia nel trattare
la rivolta in Libia, sia nel problema
dell’accoglienza dei migranti in afflusso in
massa sulle coste italiane di Lampedusa. I
singoli Stati in nome dei propri interessi na-
zionali il problema della politica comune non
se lo sono posto e non hanno neanche salvato
le apparenze. Peraltro, i Paesi Europei si sono
lasciati sorprendere dagli avvenimenti.
Quale scenario politico si può configurare per
il Nord Africa è difficile prevedere. La situa-
zione permane di grande incertezza e l’Italia
deve fare molta attenzione perché se da un
verso rischia di perdere il vantaggio di partner
economico di rilievo (la Libia è il nostro pri-
mo fornitore di petrolio, il quarto di gas ed
investitori libici sono attivi in molti settori
della nostra economia) dall’altro verso avere
ai confini nuove Democrazie potrebbe avere
riflessi positivi sull’intera Area.
Il giorno della carneficina a DARAA e HOMS, circa 30
morti.
Traduzione: a sinistra ―Proteste‖. A destra
―Commissione di Accoglienza‖.
Autore: Habib Haddad
Fonte: al-Hayat, Londra—Beirut, 8 aprile 201
Vignetta scelta e tradotta da Lorenzo Trombetta.
Tratta dal sito di ―Limesonline‖.
La rivolta in Siria
Il regime siriano di Bashar el Assad continua a reprimere nel sangue le
proteste della popolazione.
Francia, Gran Bretagna, Germania e Portogallo hanno chiesto al
Consiglio di Sicurezza dell’ONU di condannare la violenza del governo
Siriano e il Segretario Generale Ban Ki-moon ha avviato un’inchiesta,
mentre gli Stati Uniti stanno considerando di imporre delle nuove san-
zioni alla Siria.
I giornalisti stranieri sono stati allontanati dal Paese e quelli ancora
presenti non possono recarsi liberamente nei luoghi delle manifestazioni.
La Siria ha chiuso le frontiere con la Giordania .
In campo anche l’Esercito, con carri armati e mezzi blindati, per
soffocare le proteste contro il governo che continuano a scoppiare in
tutto il Paese e, secondo l’organizzazione per i diritti, Sawasiah, circa
500 attivisti sono stati arrestati, mentre le vittime dall’inizio delle
proteste sarebbero 400, scoppiate nella città di Daraa, nel sud del Pae-
se, il 18 marzo scorso. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i
diritti umani, Navi Pillay, ha chiesto l’ arresto immediato degli omicidi
in Siria giudicando inaccettabile la ―reazione irregolare e violenta del
governo siriano di fronte a manifestazioni pacifiche‖. ―Il governo ha
l’obbligo internazionale di proteggere i manifestanti pacifici e il diritto
di manifestare pacificamente‖ ha aggiunto.
Raffaele SUFFOLETTA
Informazioni tratte dal sito ―www.italnews.info
10
Febbraio 2003: Trattato Amici-
zia, Buon Vicinato e Cooperazio-
ne
VM Maggio 2011
GIAPPONE-ITALIA
destino inaspettato e comune di due mondi a parte
Francesca Bocchi
11 marzo 2011: un terribile terremoto –
20.000 volte quello dell'Aquila – colpisce il
Nord del Giappone seguito dallo tsunami ed è
tregenda.
Il mondo assiste sgomento ed attonito alla
potenza della Natura per poi essere soggio-
gato da una tragedia nella tragedia: il peri-
colo nucleare.
Ancora adesso la situazione resta indefinita,
con notizie contrastanti che si susseguono e
si rincorrono, ora rincuorandoci ora facen-
doci piombare in una specie di buco nero,
di incubo dal quale ci piacerebbe svegliarci
presto e bene.
Ciò che è successo e sta succedendo nel
lontano Oriente (non a caso lo si definisce
―Estremo‖) era inimmaginabile, la realtà,
come spesso accade, ha superato di molto
la fantasia e tutti i possibili scenari apoca-
littici che i più visionari registi di Hollywo-
od siano stati in grado di inventarsi.
La Natura, Dea-madre pericolosissima e
potentissima, ci ha mostrato tutta la sua
potenza distruttrice dandoci l'ennesima prova
della nostra futilità: siamo granelli di sabbia
che con un soffio si disperdono, ma che con
altrettanta facilità si coagulano altrove.
La nostra Terra è come un enorme formicaio
nel quale ognuno di noi si affatica, corre, si
prodiga come una minutissima formica, ma
basta un filo d'erba per disperdere la fila di
insetti e distruggere più vite con un'unica
folata di vento.
I nostri antenati erano molto più consapevoli
di noi di tale futilità: la Natura era adorata
come una divinità, spesso tremenda, della
quale avere rispetto e paura. Dalle sue intem-
peranze bisognava guardarsi, ma il senso di
rassegnazione e di impotenza verso l'imper-
scrutabile, l'imprevedibile aiutava a superare
ed andare avanti.
Oggi, l'uomo si sente (o – forse – si mostra)
invincibile, si fregia di una invulnerabilità che
denuncia solo ignoranza e presunzione, cre-
sciute con l'aumento di una ―supposta‖ cono-
scenza scientifica, che però continua a mostra-
re le sue falle: restano imprevedibili i terremo-
ti e gli tsunami; restano imprevedibili risvegli
di Vulcani pur rimasti silenti da secoli; so-
pravvivono leggende che servono solo a tenta-
re di dare una spiegazione soprannaturale a
fenomeni tanto più terribili in quanto natura-
lissimi.
Il problema è la mancanza di certezze, la sen-
sazione di essere
letteralmente in balìa delle onde, il che ci dà il
senso della nostra piccolezza e procura sensi
di vertigine.
La salvezza sta nel farsi prendere dai mille
problemi del quotidiano, piccoli ed irrisori ma
salvifici e vivificanti: li risolviamo e ci sentia-
mo vivi, capaci di affrontare tutto senza essere
sopraffatti, certi del nostro essere umani e
terreni. Insomma, la nostra salvezza sta nel
quotidiano, proprio quello che è venuto a
mancare a noi Aquilani la mattina del 6 aprile
di due anni fa!
La notte fra il 5 ed il 6 aprile 2009 ha segnato
un punto di svolta epocale che ha colpito tra-
sversalmente più generazioni, dilaniando quel
tessuto sociale tanto vituperato perchè provin-
ciale eppure oggi tanto rimpianto.
A distanza di due anni assistere a qualcosa di
ancora più grande di quello che ha colpito noi
è dirompente: le ferite, che si stavano lentissi-
mamente rimarginando, tornano a sanguinare;
il dolore riprende il sopravvento; i ricordi ci
travolgono come un fiume in piena. Credeva-
mo di aver superato, di essere in cima al crina-
le che riporta a valle e invece no, non è ancora
così! Siamo scossi, ancora addolorati e tristi,
forse troppo tristi per intraprendere un cammi-
no di rinascita e ricostruzione.
Poi, un amico ci comunica di essere divenuto
padre, con una fotografia inviata via mail ed è
la vita a prendere il sopravvento sul dolore, a
mostrarci come, nonostante tutto, la vita stessa
va avanti e la Natura con una mano toglie e
con l'altra ci dona bellezza, amore, serenità.
Chiudo con un aforisma di Albert Einstein
―Non penso mai al futuro. Arriva così presto!‖
11
VM Maggio 2011
L'AQUILA 332
Francesca Bocchi
Un filo rosso unisce gli uomini ed i Continen-
ti, rosso come il sangue versato da vittime
innocenti della barbarie degli uomini contro
gli uomini ma anche della violenza della Na-
tura scatenata contro i propri figli.
Un ritornello crudele ed agghiacciante acco-
muna realtà tanto diverse, Fukushima, la Li-
bia, L'Aquila: il 6 aprile di due anni fa rim-
bomba nei cuori degli Aquilani, evocando
ricordi di morte e distruzione, che le notizie
provenienti dal mondo accentuano anziché
placare.
A due anni esatti da quella notte le domande
restano sempre uguali ed ugualmente inevase,
domande cariche di speranza e timore, sospese
a mezz'aria.
Il coraggio sta nel rimanere; il coraggio sta nel
coricarsi ogni notte con un velo di tristezza e
paura, in una città bombardata e ferita; il co-
raggio sta nell'alzarsi ogni mattina e vivere il
quotidiano, nonostante e a dispetto dei mille
ostacoli, piccoli e grandi, che ci si parano
dinanzi.
Il vero terremoto è ―dopo‖, quando subentra la
piena consapevolezza di ciò che è accaduto,
quando è piena la comprensione di ciò che era
e non è più, né lo sarà!
Camminando per le strade della città, vuote e
silenziose, i fantasmi della vita passata pren-
dono forma, odori e rumori tornano alla me-
moria, vividi e forti come se nulla fosse acca-
duto e nulla mai cambiato.
Sotto i Portici passeggiano i ―soliti noti‖, in
Piazza sostano i soliti gruppi di uomini ed è
un sollievo trovarli di nuovo lì.
La parola d’ordine è ricostruire: le case, le
chiese, gli opifici e le persone, riannodare le
fila di rapporti sociali ormai sfilacciati, di un
tessuto connettivo sparpagliato lungo una
direttrice centrifuga che fa fatica a tornare
centripeta.
Ricostruire, già, ma da dove? E come? Inizia
un balletto di frasi e sentenze, tutti si sentono
in diritto di dire la propria, perché la Città è
dei Cittadini, di quelli che da sempre hanno
fruito del suo essere a misura d’uomo e, pur
criticandola, l’hanno sempre amata ed apprez-
zata, magari non riconoscendolo.
Sentenziando, però, si rischiano spaccature e
contrasti, laddove la forza è nell’unione. Il
segreto sta nella coesione di quel corpo socia-
le che non è più unito ma vuole tornare ad
esserlo.
Ed è di nuovo primavera, periodo di rinnova-
mento per la Natura e per gli uomini, forse
anche per la Città. Il circuito del Castello è di
nuovo tutto percorribile; qualche negozio in
Centro ha riaperto, aperto contro tutto e tutti,
luci solitarie e sporadiche in un deserto silen-
zioso. Gli alberi germogliano ed i fiori sboc-
ciano, si è anche riassorbito il puzzo di muffa
lungo il Corso...
Nel cuore le sensazioni si rincorrono come le
domande nella mente e, su tutto, un senso di
sospeso, di attesa, come dentro una bolla di
sapone in cui i rumori arrivano soffusi e ci si
sente della stessa densità dell'aria.
Eppure è di nuovo e ancora primavera: nel
cielo del colore dei lapislazzuli nuotano come
orche le montagne, ancora chiazzate di neve; i
mandorli inebriano di odori la Città ed il con-
tado; la luce... la luce è sempre la stessa, dora-
ta e rassicurante, che, incuneandosi fra i vicoli
ed il Corso, colora ed inonda le mura ed i
Palazzi del Centro.
Sì, ancora primavera! La vita prosegue, si
rinnova, ci sospinge avanti e due anni sono già
trascorsi...
―Domani è un altro giorno!‖
L’Italia e L’Aquila, il terremoto di una divisione di Stefano Torelli
LIMES –Rivista Italiana di Geopolitica—Gruppo Editoriale l’Espresso, in occasione del primo anniversario del sisma, il 6 aprile
2010, ha pubblicato un articolo di Stefano Torelli sull’Italia e sul sisma che ha sconvolto l’Abruzzo; una riflessione sul futuro del capoluogo e
sul vertice del G8 ivi tenutosi nel 2009. Per il secondo anniversario, il 6 aprile 2011, l’articolo è stato ripubblicato perché ritenuto sempre di
attualità. Di seguito uno stralcio integrale della prima parte dell’articolo .
A L’Aquila si parla sempre meno del sisma e della ricostruzione e sempre più di politica. Se la tragedia di Messina del 1908 unì il paese, quel-
la abruzzese rimarca la divisione dell'Italia: da una parte o dall’altra della barricata politico-mediatica. La geopolitica della costruzione: si
torna ai castelli fuori città senza un centro, come prima della fondazione della città.
Esiste l’Italia? A L’Aquila una parte di Italia
sicuramente c’è e si può vedere. L’Italia spac-
cata, divisa in due, contraddittoria, confusa.
Quell’Italia per cui qualsiasi argomento, ogni
evento, ogni parola detta, viene ricondotta
alla competizione politica che spacca il Paese
da un quindicennio a questa parte. A L’Aquila
l’Italia sembra esserci. Il clima che si respira
è quello di una città che ha perso la propria
identità, distrutta sotto i colpi di una tragedia
naturale (e poi, sociale, economica, ambienta-
le…) troppo grande per poter essere affronta-
ta da sola, ma in cui sono riconoscibili benis-
simo i segni di un’Italia che, laddove meno te
l’aspetti, si manifesta in tutte le sue caratteri-
stiche. Il terremoto è servito a far schierare i
cittadini aquilani da una parte o dall’altra
della barricata politico-mediatica, non certo a
unire le proprie forze e mostrare segni di
compattezza e aggregazione o di consenso.
Al contrario: da subito dopo il sisma, i citta-
dini hanno cominciato ad approvare senza
giudizio o, al contrario, a condannare senza
appello, qualsiasi decisione presa per il terri-
torio dall’alto. Con o contro. Lo spaesamento
e il dolore per una città in macerie non hanno
contribuito a fare quel passo in avanti verso
nuove linee di pensiero, ma hanno anzi ripor-
tato l’Italia a L’Aquila. Ecco in che misura
esiste l’Italia nel capoluogo abruzzese: esiste
perché vi è stato trasferito lo spirito che ne
muove il (non-)dibattito socio-politico. Esiste
al prezzo di una città che, invece, non esiste
più. L’Italia sta sopravvivendo a L’Aquila.
………………………………………………………
………………………………………………………
12
L’Associazione Culturale VOX MILITIAE
si propone di:
Catalizzare le persone che condividono i Valo-
ri della Società Militare;
Diffondere la cultura e il ruolo dei militari
nella Nazione che cambia;
Condividere momenti di vita (Solidaristico-
Ricreativo) con persone che hanno identicche
motivazioni;
Fornire ai soci assistenza e consulenza giuridi-
ca e amministrativa.
La partecipazione è aperta a tutti coloro che vo-
gliono far sentire la loro voce. Gli articoli investo-
no la diretta responsabilità degli autori e ne ri-specchiano le idee personali, inoltre devono essere
esenti da vincoli editoriali. Di quanto scritto da
altri o di quanto riportato da organi di informazio-ne occorre citare la fonte. La redazione si riserva
di sintetizzare gli scritti in relazione agli spazi
disponibili; i testi non pubblicati non verranno restituiti.
Contattateci tramite telefono: 320.1108036;
E-Mail: [email protected].
ASSOCIAZIONE CULTURALE
VOX MILITIAE
QUOTA ASSOCIATIVA
ANNO 2011 € 25,00
CI SI ASSOCIA INVIANDO DOMANDA, CORREDATA DEI DATI ANAGRAFICI A:
ASSOCIAZIONE CULTURALE
VOX MILITIAE
Via Puglia, 18 – 67100 L’AQUILA
Il versamento della quota associativa per i
nuovi soci ed il rinnovo della tessera per gli associati può essere effettuato sul C/C Bancario
n. 104934 intestato a :
―Associazione Culturale VOX MILITIAE‖ CARISPAQ di L’Aquila, sede Centrale
CODICE IBAN
IT71I0604003601000000104934
VOX MILITIAE
DIRETTORE GENERALE
Raffaele Suffoletta
DIRETTORE RESPONSABILE
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COORDINATORE
Gianluca Romanelli
Hanno collaborato
Adacher Davide, Bocchi Francesca, Mariani
Emanuela, Papi Giovanni,
Impaginazione e grafica
TIPOGRAFIA
LA ROSA – Via Costa di Bagno Piccolo 67042 L’Aquila
Autorizzazione Tribunale di L’Aquila N. 480 del 21.11.2001
VOX MILITIAE
Tel. 320.11.08.036
Stampato il 2 maggio 2011
Spedito il 5 maggio 2011
VM Maggio 2011
La pirateria, fenomeno antichissimo, è consi-
derata un crimine nel diritto internazionale.
Nella Convenzione delle Nazioni Unite del
1982 (cosiddetta di Montego Bay) viene defi-
nita: ogni atto di abbordaggio di qualsiasi
nave privata con l’intento di commettere un
furto o altro delitto, con uso della forza nel
corso dell’azione, per ricavarne profitto.
Dietro la moderna pirateria c’è la problemati-
ca legata alla situazione fallimentare dei co-
siddetti stati falliti dove regna forte instabilità
e condizioni economiche ed ambientali dispe-
rate nei cui territori trovano rifugio i pirati.
Tuttavia, i nuovi predoni utilizzano tecnologia
satellitare e armi dell’ultima generazione. Le
tecniche di abbordaggio sono simili a quelle
del passato: attaccano navi mercantili disar-
mate, ma non possono essere escluse barche
da crociera, e quindi inoffensive con barche
veloci. Rubano, depredano saccheggiano e
possono anche uccidere i componenti
dell’equipaggio.
Il fenomeno della pirateria moderna assume
importanza fondamentale per le nostre econo-
mie poiché per le rotte marittime transitano
l’80% del traffico commerciale e il 50% del
petrolio mondiale. Nicolò Carnimeo (docente
universitario e viaggiatore), autore del libro
Nei mari dei pirati, nell’introduzione scrive
“La pirateria è una guerra silenziosa: si sti-
ma che negli ultimi venticinque anni nelle sole
acque del Sudest asiatico siano state attaccate
più di diciassettemila navi, con una media di
settecento all’anno. Tutto ciò ha costi econo-
mici e sociali altissimi.
La pirateria è un fenomeno mondiale, i pirati
si concentrano nei punti di obbligato passag-
gio per le navi, stretti (Bab El Mandeb, Hor-
muz, …) o canali, facili da essere bloccati e
sfruttano la situazione critica degli stati falliti
o economicamente deboli.
Le rotte marittime che passano vicino al Cor-
no d’Africa, golfo di Aden, dirette verso il
Mediterraneo attraverso il canale di Suez,
risultano strategicamente rilevanti per i Paesi
Europei e per l’Italia in particolare. Gli attac-
chi armati a cargo, petroliere e navi da diporto
da parte dei nuovi Jin (diavoli, predoni) so-
mali sono classificati ―atti di pirateria‖ poiché
da essi non si rilevano altre motivazioni al di
fuori del profitto. Ma il confine tra la pirateria
e gli atti di terrorismo marittimo non è poi
così netto come appare con rilevanti questioni
giuridiche sull’applicazione delle misure atte a
debellare il fenomeno.
La convenzione ONU richiamata, attribui-
sce ampi poteri alle navi da guerra o ad-
detti a tale scopo con simboli ben ricono-
scibili nell’abbordare, catturare e dirottare
in porto nazionale la nave dirottata, sem-
preché ciò avvenga al di fuori delle acque
territoriali. Per quanto riguarda, in partico-
lare il dibattito sulla pirateria nel Golfo di
Aden, l’ONU, nelle varie risoluzioni adottate,
riconoscendo il fenomeno una “minaccia alla
pace ed alla sicurezza internazionale‖, ha di
fatto legato la pirateria al terrorismo autoriz-
zando così gli Stati ad intervenire con la forza,
impiegando navi da guerra, anche nelle acque
territoriali e sul suolo somalo, ma, soprattutto,
ad intervenire in aiuto e scorta di qualsiasi
Unità navale lo richieda, indipendentemente
dalla bandiera.
A seguito delle risoluzioni ONU sono state
avviate le operazioni navali OCEAN SHIELD
della NATO e ATALANTA dell’Unione Eu-
ropea per prevenire e reprimere gli atti di
pirateria marittima lungo le coste della Soma-
lia in sostegno alle Risoluzioni
1814,1816,1838 e 1846 adottate nel 2008 dal
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il
mandato consiste nel proteggere le navi mer-
cantili che transitano da e per il Mar Rosso e
svolgere attività di scorta alle navi mercantili
del Programma Alimentare Mondiale delle
Nazioni Unite, incaricate di consegnare aiuti
alimentari in Somalia. Le navi dell’Unione
Europea operano in una zona che comprende
il Golfo di Aden, il Corno d'Africa e l’Oceano
Indiano fino alle Isole Seychelles. Tutto que-
sto sembra non bastare, gli attacchi dei pirati
continuano ininterrotti.
Per combattere il fenomeno occorrerebbe
sradicare a monte le cause che lo determinano,
nel caso del golfo di Aden risiedono nella
totale assenza di uno stato in Somalia
dall’inizio degli anni novanta, e, nel contem-
po, applicare senza alcuna remora l’articolo
100 della convenzione dell’ONU, ovvero
colare a picco le imbarcazione dei pirati, cosa
che le navi da guerra cinesi e indiane fanno
senza remore, ma le altre missioni internazio-
nali hanno qualche remora ad applicare.
I PIRATI DEL CORNO D’AFRICA: UNA SFIDA DA VINCERE
Raffaele SUFFOLETTA