Vola ’’ - abbaziaeparrocchiedilucoliold.it L'Aquila...l’anniversario prima con una fiaccolata...

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6/7 4 aprile 2010 Numero 6-7 Euro 0,50 Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% L’Aquila, Aut.C/AQ/32/2010 Q ualche gior- no fa stavo in una delle mie classi del Liceo Scien- tifico, e, parlando del triste anniversario del sisma, un ragazzo mi ha detto che nel suo paese avrebbero vissuto l’anniversario prima con una fiaccolata in ricordo delle 308 vittime, e poi tagliando una torta sulla quale avreb- bero scritto “Auguri Trette- cò!” . Trettecare cioè tremare è quello che il terremoto ci ha fatto fare per più di un an- no e un po’ continua ancora oggi. In un primo momento son rimasto un po’ perples- so: “Come si fa a festeggiare mentre nella mente ti scor- rono i volti di Antonella, Alessandra, Mariagrazia, Stefano, Susanna, Domeni- co, Mariapaola, Luigina…?”. Successivamente però, ho capito che forse quel modo un po’ bizzarro di festeggia- re il terremoto, era vicino al mio stato d’animo. Infatti se è doveroso ricordare una tra- gedia così grande che, ahi- mè, andrà a finire sulle pagi- ne di storia, il rischio è che ci si possa fermare al momento del dolore e del pianto. Allo- ra l’augurio del mio alunno mi ha fatto capire la voglia di sdrammatizzare ma anche la speranza, l’amore per la vita, il desiderio di un futuro bello e sereno che i giovani continuano a insegnarci ogni volta che ci confrontiamo con loro. Allora mi associo anch’io a quell’augurio con la certezza, in quanto cristia- no e sacerdote, che tutti i no- stri cari che oggi ricordiamo continuano a consolarci e, il loro ricordo pieno di amo- re, non può che spingerci a costruire una città davvero più bella di prima. Anche il papa, che un anno fa venne a visitarci, ce lo ricordava nel suo discorso ad Onna: “…I vostri morti: essi sono vivi in Dio e attendono da voi una testimonianza di coraggio e di speranza. Attendono di veder rinascere questa loro terra, che deve tornare ad ornarsi di case e di chie- se, belle e solide. È proprio in nome di questi fratelli e sorelle che ci si deve impe- gnare nuovamente a vivere facendo ricorso a ciò che non muore e che il terremo- to non ha distrutto e non può distruggere: l’amore… Chi ama vince, in Dio, la morte e sa di non perdere coloro che ha amato”. Claudio Tracanna “La processione del Cristo morto dell’Aquila” In questo numero Pasqua: la prima testimone Pagina 2 Caritas, rimanere ancora Pagina 11 Quale bellezza prima e dopo i crolli? Pagine 12-15 Onna: ho scritto una “fiaba” Pagina 17 Il Direttore Ricordare guardando al futuro Il primo anniversario L’Aquila Quindicinale dell’Arcidiocesi di L’Aquila > ABBONATI AL QUINDICINALE VOLA PER IL 2010 UN ANNO A SOLI 15 € ! C\C POSTALE n. 1245281 oppure tramite BONIFICO BANCARIO IT23H0760103600000001245281 INTESTATO A EDITRICE VOLA - LOC. CAMPO DI PILE - L’AQUILA Numero speciale 6 aprile 09-6 aprile 10

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6/74 aprile 2010 Numero 6-7 Euro 0,50

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10Qualche gior-

no fa stavo in una delle mie classi del Liceo Scien-

tifico, e, parlando del triste anniversario del sisma, un ragazzo mi ha detto che nel suo paese avrebbero vissuto l’anniversario prima con una fiaccolata in ricordo delle 308 vittime, e poi tagliando una torta sulla quale avreb-bero scritto “Auguri Trette-cò!” . Trettecare cioè tremare è quello che il terremoto ci ha fatto fare per più di un an-no e un po’ continua ancora oggi. In un primo momento son rimasto un po’ perples-so: “Come si fa a festeggiare mentre nella mente ti scor-rono i volti di Antonella, Alessandra, Mariagrazia, Stefano, Susanna, Domeni-

co, Mariapaola, Luigina…?”. Successivamente però, ho capito che forse quel modo un po’ bizzarro di festeggia-re il terremoto, era vicino al mio stato d’animo. Infatti se è doveroso ricordare una tra-gedia così grande che, ahi-mè, andrà a finire sulle pagi-ne di storia, il rischio è che ci si possa fermare al momento del dolore e del pianto. Allo-ra l’augurio del mio alunno mi ha fatto capire la voglia di sdrammatizzare ma anche la speranza, l’amore per la vita, il desiderio di un futuro bello e sereno che i giovani continuano a insegnarci ogni volta che ci confrontiamo con loro. Allora mi associo anch’io a quell’augurio con la certezza, in quanto cristia-no e sacerdote, che tutti i no-stri cari che oggi ricordiamo continuano a consolarci e, il loro ricordo pieno di amo-

re, non può che spingerci a costruire una città davvero più bella di prima. Anche il papa, che un anno fa venne a visitarci, ce lo ricordava nel suo discorso ad Onna: “…I vostri morti: essi sono vivi in Dio e attendono da voi una testimonianza di coraggio e di speranza. Attendono di veder rinascere questa loro terra, che deve tornare ad ornarsi di case e di chie-se, belle e solide. È proprio in nome di questi fratelli e sorelle che ci si deve impe-gnare nuovamente a vivere facendo ricorso a ciò che non muore e che il terremo-to non ha distrutto e non può distruggere: l’amore… Chi ama vince, in Dio, la morte e sa di non perdere coloro che ha amato”.

Claudio Tracanna

“La processione del Cristo morto dell’Aquila”

In questo numeroPasqua: la prima testimone Pagina 2

Caritas, rimanere ancoraPagina 11

Quale bellezza prima e dopo i crolli? Pagine 12-15

Onna: ho scritto una “fiaba”Pagina 17

Il Direttore Ricordare guardando al futuro

Il primo anniversario

‘‘Vola’’L’Aquila

Quindicinale dell’Arcidiocesi di L’Aquila

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Numero speciale6 aprile 09-6 aprile 10

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DiocesiVola 4 aprile 2010

Qualche giorno fa sul mio diario on line, sul blog dio-cesano (blog.laquila.chie-sacattolica.it) le Clarisse

di Paganica esprimendo solidarietà e vicinanza per il mio gesto a favore del popolo delle carriole, hanno giusta-mente sottolineato come sia davvero urgente “spalare” le macerie spirituali dei cittadini aquilani colpiti dal sisma.Ringrazio loro per questa bella sotto-lineatura. Dopo un terremoto, infatti, quando non si ha più nulla, né un tet-to, a volte nemmeno uno stipendio o la propria attività, si è comprensibilmente presi dal dover a tutti i costi soddisfare i bisogni materiali. Questo lo hanno fatto giustamente le Istituzioni che hanno as-

Ricostruzione Da una riflessione delle Clarisse di Paganica

Spalare anche altre macerie

sicurato un tetto a tutti (anche se alcuni rimangono ancora molto lontani dalla loro città) e anche i cittadini richieden-do tutto ciò che era loro necessario per riprendere una vita dignitosa.Questo, però, non deve farci dimentica-re ciò che è altrettanto urgente e impor-tante: la ricostruzione spirituale, umana e sociale. Un uomo non può star bene solo se ha la casa ma una persona ha innanzitutto bisogno di qualcuno che lo aiuti a rifondare la propria speranza, a riallacciare le proprie relazioni, a ri-trovare quella dimensione tipicamente umana che è la spiritualità. Proprio per questo, anche se non abbiamo redatto nessun documento, il piano pastorale dell’arcivescovo, mio e di tutta la Chie-

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I n un recente viaggio in Terra Santa ho avu-to la fortuna e la gioia di essere ospitato in

una struttura alberghiera che sorge vicino al lago di Genezareth, in Galilea.Quando mi affacciavo sul lago vedevo davanti a me, prima di tutto, il villaggio di Magdala, il paese nativo di Maria Maddalena.Era bello guardare quel la-go, quelle rive e ripensare alle tante volte che Gesù si è ritrovato sulla barca o lungo le rive del lago, ed ha predicato, ha annunciato il Regno ed ha compiuto mira-coli. Guardando soprattutto Magdala, questo villaggio di pescatori, ripensavo a quella storia intensa di quel-la bellissima ragazza, Maria di Magdala, che dopo aver vissuto le esperienze più negative (vendendo il suo corpo e la sua bellezza) un giorno ha incontrato Gesù di Nazareth. E da allora tut-to è cambiato nella sua vita. Anzi solo allora ha scoper-to il senso vero della vita e dell’amore.In una recente catechesi ai giovani Papa Benedetto ha spiegato che per accostarsi al mistero di Dio non basta la ragione (come nello stu-dio della matematica). Oc-corre anche il cuore.Maria di Magdala si era to-talmente abbandonata ai desideri del cuore. Ha vis-suto l’ebbrezza dei sensi. Ma non ha trovato la gioia. Solo Gesù di Nazareth

Pasqua L’incontro del Risorto con Maria di Magdala

La prima testimonel’ha accolta rispettando la sua persona, la sua digni-tà di donna, rispettando in pieno la sua sete immensa di amore. E Maddalena era riuscita, finalmente, a mette-re insieme cuore e ragione, sete di felicità e adesione piena alle parole di Gesù. Ormai era la donna più feli-ce del mondo.Ma un giorno Gesù, già per-seguitato dai suoi nemici, è stato arrestato, processato e ucciso. Maddalena ha segui-to Gesù nella sua via doloro-sa. Mentre i discepoli erano fuggiti lei è rimasta ai piedi della croce, con Maria di Nazareth, Giovanni e qual-che altra donna fedele.Maddalena ha visto morire Gesù sulla croce. E, in quel momento, ha sperimentato come una morte del cuore. Di nuovo nella sua vita en-trava il buio e l’incertezza. Ma tre giorni dopo il sepol-cro era vuoto. Lo ha riferito agli Apostoli e insieme a loro ha constatato questo fatto inspiegabile. Poi….il momento indimenticabile dell’incontro con Gesù Ri-sorto: “Maria!”. E Maddale-na: “Maestro

mio!”. E Maddalena che cerca di abbracciare Gesù e trattenerlo. Ma Gesù le dice: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Pa-dre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv. 20,17).Il Vangelo conclude in modo estremamente conciso ma intenso: “Maria di Magdala andò ad annunciare ai di-scepoli: «Ho visto il Signo-re!» e ciò che le aveva detto” (Gv. 20,18).Un noto regista italiano contemporaneo in un suo film su Gesù riporta questa scena: Maddalena irrompe nella sala dove sono riuniti i discepoli, ancora impauriti, dubbiosi, smarriti. E grida la buona notizia che Gesù è ri-sorto. La guardano quasi con commiserazione. Come si guarda una pazza o, comun-que, un’esaltata. Maddalena se ne rende conto e quasi urlando si avvicina all’uscita della sala e grida ancora più forte: “Io sotto la croce c’ero. E ho visto Gesù morire. Ora l’ho visto Risorto… Io ve l’ho

detto!”. Maddalena

esce, qua-

si sbattendo la porta, consa-pevole di aver compiuto la sua missione di prima testi-mone della risurrezione.Grazie, Maria Maddalena, per il tuo amore immenso e appassionato a Gesù, vero Dio e vero uomo.Grazie per i tuoi peccati che ti fanno apparire così simile ad ognuno di noi.Grazie per la tua conversio-ne così sincera, totale, che ci ricorda che anche per noi è possibile cominciare una vi-ta nuova. Ma grazie, soprattutto, per questa tua testimonianza amorosa e quasi violenta su Gesù Risorto. Anche noi, spesso, siamo dubbiosi e smarriti, come gli apostoli. Scuoti anche noi e ricorda-ci che solo in Gesù Risorto trova senso la nostra vita e il nostro futuro.Anche, e soprattutto, in que-sto momento, il futuro della nostra città e del nostro po-polo.

+ Giuseppe MolinariArcivescovo Metropolita de

L’Aquila

Vola 4 aprile 2010Diocesisa aquilana vuole mettere al primo po-sto la ricostruzione spirituale.Questo non vuol dire che vogliamo di-menticarci di tutti quei beni che han-no reso bella e grande la nostra città; penso alle tante chiese e ai palazzi che la diocesi possiede. Non possiamo dimenticarli perché oltre a fare bella l’Aquila, le nostre chiese come tutti i monumenti sono i custodi di un’iden-tità e quindi anche di un futuro. Della ricostruzione materiale, però, se ne possono e se devono occupare tutti: Comune, Regione, Diocesi, Comitati ecc. La ricostruzione spirituale, invece, pen-so sia uno specifico compito della co-munità cristiana. Non si può chieder in-fatti ad un Amministratore di occuparsi dell’animo degli aquilani ma a noi Pa-stori e a noi Chiesa aquilana invece sì.Ecco perché, allora, penso che nel rior-ganizzare le comunità nel ridistribuire in modo più omogeneo i sacerdoti, il no-stro unico obiettivo è quello di aiutare gli aquilani a rinascere spiritualmente con la certezza nel cuore che una rinascita spirituale potrà dare un grosso contri-buto anche alla rinascita materiale. In-fatti, lo sappiamo bene come nel passato ogni chiesa, ogni monumento non è mai stato una semplice impresa materiale ma espressione di ciò in cui l’uomo di un determinato tempo credeva. Basti pensare alle chiese aquilane e alle gran-di cattedrali di tutto il nostro Paese.Allora, nell’approssimarsi del primo anniversario del sisma, chiedo a tut-ti i sacerdoti, primi collaboratori dei vescovi, e ai fedeli tutti, di rimboccar-si le maniche per poter essere per la città come il sale che da sapore a tutto il resto! L’Arcivescovo ed io contiamo sull’aiuto di tutti.

+ Giovanni D’ErcoleVescovo Ausiliare di L’Aquila

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Sono tanti i pensieri che mi assalgono in questo momento, e vorrei condivider-

li con tutti voi cari lettori, consapevole che in un cer-to modo sono anche i vostri pensieri, sicuramente i più profondi desideri. Non sape-te quanto desidererei sorvo-lare e fare a meno di quanto è accaduto in questo anno nel nostro territorio, nelle nostre comunità parrocchia-li, nelle nostre famiglie, e soprattutto in noi stessi, ma questo è totalmente impos-sibile. Possiamo dire che stiamo costruendo una nuova sto-ria, siamo i protagonisti principali, in un momento tanto difficile quanto criti-co, un momento di grande trasformazione, non soltanto viviamo le grandi difficoltà nella nostra realtà Aquilana, ma è tutto il mondo che oggi viene messo alla prova. La tragica situazione eco-nomica, la trascuratezza del creato, le grandi difficoltà nei rapporti internazionali, coinvolgono ogni piccola realtà. Non possiamo di con-seguenza chiudere gli occhi

di fronte a tutto ciò, malgrado i nostri cuori premano verso la costruzione di un mondo migliore, di una società più giusta, dove ogni uomo sia riconosciuto come tale, dove ogni uomo possa diventare uno strumento di crescita e di miglioramento di quanto ci circonda. Volendo o no, è indispensabile fare conto con tutto quello che sino ad oggi ha segnato la nostra vita e la vita del mondo intero, per co-struire una società nuova non possiamo negare il passato, questo costituisce la base; è tenendo conto del passato e aggiungendo il presente, che attendiamo il futuro. Un futuro migliore lo si co-struisce evitando gli errori commessi precedentemen-te e guardando con molta attenzione gli eventi della attualità. Purtroppo ogni giorno sembra che siamo obbligati a confrontarci con un mondo meno bello di quello che il Signore Iddio ha voluto donarci, un mondo dove l’uomo, creatura me-ravigliosa uscita dalle ma-ni di Dio con il compito di conquistare l’universo, sem-bra aver perso l’orizzonte fondamentale della sua esi-stenza. Un uomo smarrito senza punti di riferimento, un uomo stanco, che non tro-va più gusto a dare risposte

alle domande fondamentali, un uomo quasi indifferente a tutto e a tutti, che vive al-la ricerca soltanto delle sue piccole realizzazioni. Tutto questo esprime in mo-do chiaro situazioni di Mor-te, Peccato, Buio, Distruzio-ne, Disperazione, Vecchiaia; l’uomo sperimenta la scon-fitta, l’uomo tocca con mano l’esperienza di Cristo che nella crocifissione ha vissuto l’abbandono, la solitudine, il dolore, l’ angoscia, queste situazioni si oppongono alla realizzazione, meglio all’at-tuazione del progetto di Dio al creare l’uomo e tutto l’uni-verso. Ma la cosa più bella di tutto questo è che al terzo gior-no Cristo è Risorto e con la sua risurrezione ci ha dato la possibilità di trasformare tutto quanto, la sua Risurre-zione ha riempito di luce e di speranza il nostro futuro, ci ha dato una nuova pos-sibilità. Se è vero che nel mondo ci sono dolore e sof-ferenza, ingiustizia e morte, è pure vero che c’è una con-tinua lotta per migliorare le condizioni dell’umanità: nel rispetto e nella tolle-ranza, nella solidarietà, nel volontariato, nello sviluppo e nella crescita della scien-za, nella premura constante per dare risposte concrete

all’uomo e alle sue necessi-tà rispettando la natura, nei gruppi ecologisti, nella lotta continua per dare alla don-na la stessa dignità dell’uo-mo, nei progetti che cercano di sfamare le popolazioni sottosviluppate. Questi, carissimi lettori, sono segni concreti non di morte ma ben sì di Risurrezione, di Conversione, di Luce, di Vi-ta, di trasformazione, di Rin-novamento, e soprattutto di Speranza.Mi piace pensare positivo, mi piace vedere che alla fi-

Pasqua 2010 Dalle tenebre del 6 aprile...

...alla stupenda luce del risorto

ne del tunnel il buio viene vinto dalla luce, mi piace pensare a tutti i fratelli che con noi hanno vissuto e vi-vono ancora da lontano la nostra tragedia, che pre-gano il Signore per noi e per la nostra serenità, che continuano a donarci il loro affetto la loro premura la lo-ro attenzione, fratelli che ci danno una maggiore carica una maggiore positività.Prendendoci la nostra vita, operando insieme, metten-do a disposizione la nostra creatività, ma soprattutto lavorando per un futuro migliore: così diventeremo veramente costruttori della nostra storia, e il nostro pro-tagonismo sarà riconosciu-to, rispettato, valorizzato nel tempo se non ci fermiamo a piangere sul latte versa-to, ma prendiamo la nostra croce e saliamo con Gesù al Calvario nella certezza che la domenica di Pasqua la nostra vita sarà totalmen-te diversa, la nostra città e i nostri paesi risorgeranno insieme a tutti noi.

Dionisio Humberto Rodriguez

Direttore Caritas diocesana

Diocesi 5

>vogliamo ripercor-rere i momenti e le emozioni di questa sua visita, quasi a ringraziarlo dell’ intima vicinanza e dell’affetto

‘Sono venuto di persona in questa vostra terra splen-dida e ferita, che

sta vivendo giorni di gran-de dolore e precarietà, per esprimervi nel modo più diretto la mia cordiale vici-nanza.”Sono queste le parole con le quali Benedetto XVI, il 28 aprile scorso, salutava tutti gli aquilani ad Onna, la prima tappa del suo viag-gio nelle zone terremotate. Oggi, a distanza di quasi un anno, vogliamo ripercorrere i momenti e insieme tutte le emozioni di questa sua visi-ta, quasi a ringraziarlo dell’ intima vicinanza e dell’af-fetto che garbatamente ha saputo manifestare ad una popolazione piegata dal do-lore. Sono le 10 e piove a dirotto quando il Papa giunge nel-la tendopoli di Onna. Ad accoglierlo ci sono mon-signor Giuseppe Molinari, monsignor Orlando Antoni-ni, il sottosegretario Gianni Letta ,don Cesare Cardoso, parroco di Onna, e la folla dei fedeli, familiari delle vittime e sopravvissuti. Tutti sono accorsi ad accogliere, ad abbracciare Benedetto che, dal canto suo, non si risparmia e saluta, stringe mani, parla a quei bambini, giovani e anziani che da lui cercano parole di speranza e conforto. Ad Onna pro-nuncia il suo primo discor-so e dice che il Signore “è con noi”, che “è realmente risorto e non ci dimentica”. Parla poi dei defunti, che so-no “vivi in Dio” ed aspettano da noi “una testimonianza di coraggio e speranza”. Invita così tutti a tornare a vivere, facendo ricorso a ciò che non può essere distrut-to: “l’Amore”. Dopo aver pregato per le vittime del terremoto, il Papa parte alla volta di L’Aquila. La seconda tappa è la Basilica di Colle-maggio che, squarciata dal

Benedetto XVI L’abbraccio del 28 aprile 2009

In questa terra splendida e ferita

terremoto, custodisce anco-ra le spoglie di un suo gran-de predecessore: papa Ce-lestino V. Accompagnato dai Vigili del Fuoco, Benedetto XVI passa sotto la Porta San-ta e si raccoglie in preghie-ra davanti al corpo Pietro da Morrone, sulla cui teca posa, visibilmente emozionato, il suo Pallio, la fascia che gli fu imposta quattro anni fa nella celebrazione di inizio

di pontificato. Gesto, questo, che ha voluto esprimere la sua profonda “partecipa-zione spirituale” e vicinan-za “alla storia e alla fede” della nostra terra. La visita continua poi davanti la Casa dello Studente, dove prega per le giovani vite stroncate ed incontra alcuni universi-tari che gli consegnano una lettera di ringraziamento e scambiano con lui qualche parola. Ultima tappa è la Scuola della Guardia di Fi-nanza. Qui Incontra i sindaci e i parroci dei comuni più colpiti dal terremoto e subi-to dopo, sul piazzale, saluta i Volontari, la Protezione Ci-vile, i Vigili del Fuoco (con i quali scherza divertito men-tre prova un loro caschet-to), i Militari e tutti i fedeli che sono venuti in 5mila ad accoglierlo. Ringrazian-

do tutti coloro che hanno portato aiuto e soccorso a L’Aquila, sottolinea “il va-lore e l’importanza della solidarietà, che … è come un fuoco nascosto sotto la cenere” . Si volta poi verso la statua della Madonna di Roio, che è a pochi passi da lui, e dona a Nostra Signora della Croce una Rosa d’oro come “segno” della pre-ghiera che fa per ogni zona colpita dal sisma: “Madre della nostra speranza, do-naci i tuoi occhi per vedere, oltre la sofferenza e la morte, la luce della risurrezione”!

Annalisa Mazza

>vola L’AquilaQuindicinale dell’Arcidiocesi di L’Aquilareg. n.8/09 del 1/12/09 presso il Tribunale di L’Aquila

EditoreEditrice Vola L’Aquila

DirettoreDon Claudio Tracanna

RedazioneCorso Sallustio, 111 - 67017 Pizzoli (AQ)Tel. 0862 977502 [email protected]

Impaginazionewww.ottaviososio.it

FotoservizioAlessandra CirciAlessandra Di StefanoAnnalisa Mazza

StampaC.M. Graf - L’Aquila

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Vola 4 aprile 2010Vola 4 aprile 2010

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bili lesene e finestre gotiche del 1300. La cattedrale, nella sua lunga storia, ha visto e sopportato molti terremoti, ma quelli del 1458, del 1646 e, soprattutto, del 1703 sono stati tanto distruttivi da cam-biarne profondamente la struttura interna. La bianca facciata ha retto bene l’urto del sisma ed apparentemen-te non mostra gravi lesioni, i due piccoli campanili supe-riori sono stati, invece, libe-rati delle storiche campane per precauzione. Le alte porte bronzee mo-strano i volti dei patroni cit-tadini ingrigiti dalla polvere di un anno, immobili per il disastro che dietro di loro celano. Le parti più distrutte sono proprio all’interno. Se la navata principale non ha riportato gravissimi danni, la cupola e lo spazio sotto-stante sono gli ambienti più

re a discorsi pieni di dispe-razione e sconforto. Questa è la dura realtà. Da buon cit-tadino ricorda i tempi in cui la città, pur non essendo un capoluogo tanto ricco, ga-rantiva ai suoi abitanti quella semplice felicità dei piccoli centri italiani, in cui sono an-cora presenti i valori, come la famiglia, la chiesa, la casa e il lavoro. Ora tutte queste certezze non ci sono più e si sente forte il peso della sofferenza. Parlando proprio della sofferenza dei suoi fi-gli, il vescovo ricorda Giob-be e le tante domande che il povero uomo rivolge a Dio. I tanti perché di Giobbe riem-piono i pensieri e ritornano sulle bocche degli aquilani, che cercano un significato da dare alla grande sofferen-za corrente. L’unica chiave interpretativa di tutto questo dolore è rintracciabile solo ed esclusivamente in Cristo e nella sua stessa sofferenza per noi. Il vescovo, da buon pastore che conosce bene il suo gregge, si sofferma su questo punto e spende molte parole sul dolore di Gesù e su quello degli aquilani: sono parole piene d’amore che, non nascondendo la triste realtà circostante, invitano

campanile e l’abside della Basilica di San Bernardino, parte della facciata e del campanile della chiesa di San Pietro di Coppito. Luo-ghi ad oggi puntellati o che si stanno mettendo in sicu-rezza, alcuni con una siste-mazione provvisoria, tutti in attesa di progetti e fondi per la ricostruzione. Da Natale, col progetto “Una chiesa per Natale” e la riapertura della Basilica di S. Maria di Collemaggio si è potuto re-stituire alla popolazione ben

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Ogni diocesi ha un suo centro ben definito: un luo-go dove si svolge

la storia diocesana, dove si avvicendano i vari vescovi, dove tutta la comunità si riu-nisce e si ritrova nelle buone e nelle peggiori occasioni. Ogni diocesi, quindi, ha un suo cuore vivo e pulsante da dove la fede viene conferma-ta, irradiata e garantita dalla presenza del vescovo. Il cen-tro spirituale dell’Aquila è la cattedrale di San Massimo e Giorgio, fortemente danneg-giata dal sisma di un anno fa. L’edificio viene fondato il 20 febbraio 1257 con una bolla di Papa Alessandro IV, che vi trasferisce la sede episco-pale dalla vicina Forcona. Della prima costruzione ri-mangono soltanto lo zocco-lo e la parete esterna su via Roio, in cui sono rintraccia-

Consolare è l’unica azione opportu-na nei confronti di una città, che

sta cercando di risolvere i tanti problemi causati dal terremoto. La lettera dell’ar-civescovo Giuseppe per la Quaresima e la Pasqua ha proprio questa intenzione: consolare e sanare gli animi di un popolo ‘scoraggiato e stanco’, che ancora ha tante domande e dubbi a cui ri-spondere. Con le parole di un padre che conosce bene i suoi figli, mons. Molinari si rivolge ai cari concittadi-ni, cercando di risollevarne gli animi ancora provati dal sisma e dalle sue conse-guenze. Da buon aquilano il vescovo inizia la sua lettera con un chiaro riferimento al centro cittadino: da quasi un anno, quello che era il cuore vivo e pulsante di una città intera giace nelle tenebre. Avvolta nel suo buio la cit-tà somiglia ad un sepolcro chiuso, che freme per essere riaperto. Le stesse tenebre sembrano poi essere entrate negli animi del popolo aqui-lano, intristendone i giorni e appesantendone i ricordi: i cittadini non sono più felici e molte volte si lasciano anda-

L’Aquila è sempre stata ric-ca di monumenti religiosi di enorme valore storico-arti-stico, ma soprattutto umano e spirituale. All’alba del 6 apri-le 2009, quando la luce sfoltì le tenebre, le nostre chiese mostrarono al mondo la tri-ste e dolorosa faccia della di-struzione: il crollo di una par-te del transetto della Basilica di S. Maria di Collemaggio e del Duomo; la cupola della chiesa delle Anime Sante; il tetto e la cupola della chiesa di Santa Maria Paganica; il

L’Aquila La cattedrale dei santi Massimo e Giorgio

Il cuore è ancora ferito Sofferenza e speranza La lettera dell’arcivescovo alla diocesi

come un padre che consola

L’Aquila Riaperte alcune chiese del centro. Per altre pronti a partire i lavori di restauro.

L’inizio della riscossa

danneggiati. L’arco trionfale non ha retto il peso del tet-to ed è crollato sull’altare. La stessa sorte è toccata al-la cupola e al transetto, che in effetti non esistono più. La preziosa tela del Masci-telli, che raffigurava la finta cupola in prospettiva, si è totalmente disintegrata, ren-dendo vano il lungo restauro di cui era stata oggetto pochi anni fa. L’altare laterale ba-rocco, che conservava il san Carlo Borromeo del Patini, si è totalmente sbriciolato e le reliquie di san Vittorino ve-scovo di Amiternum, conser-vate nello stesso altare, sono ancora lì sotto le macerie in attesa di essere recuperate. Lesioni gravi sono state ri-scontrate anche nelle picco-le navate laterali e nella zone absidale. Inutile dire che la stima economica del restau-ro raggiunge cifre esorbitan-

i cittadini a guardare avanti e non lasciarsi scoraggiare. Sono le parole sincere di un aquilano alla sua comunità, di un uomo che conosce be-ne come è fatta la sua terra e come sono fatti i suoi fratelli. Il terremoto non è stato un avvenimento casuale, ma ha un senso chiaro se visto in una prospettiva cristiana: es-so, pur essendo una ‘parola di Dio tanto difficile da capi-re’ dalla piccolezza umana, ha un suo fine ben definito: l’incontro col Risorto. La co-munità aquilana viene così paragonata ai due discepoli in cammino verso Emmaus, che nella loro tristezza non riconoscevano Gesù. Il ve-scovo qui ha colto in pieno la realtà dell’Aquila: la città è ora una comunità in cam-

61 chiese, di cui 43 agibili in maniera definitiva mentre le restanti necessitano ancora di alcuni interventi per un recupero completo. Il 15 marzo è stato anche inau-gurato il cantiere per il restau-ro della chiesa di S. Biagio di Amiternum, finanziato dalla Fondazione Roma. Lo scorso 19 marzo poi è stata riaperta la chiesa delle Anime Sante, di cui solo una parte è stata resa agibile. Tempio simbolo delle tante vittime del sisma del 1703, ha riportato il suono

ti e i restauri richiederanno circa 5/6 anni. Il duomo è anche una parrocchia guida-ta da don Renzo D’Ascenzo e dal suo vice don Lucio Anto-nucci. La popolazione della parrocchia non arriva ai 300 abitanti, ma la chiesa era visi-tata da tutti gli aquilani, che si trovavano a passare lì davanti o che frequentavano il merca-to della piazza. Ogni giorno c’erano più messe, che per-mettevano ad ogni cittadino di poter partecipare alle fun-zioni e le principali celebra-zioni, presiedute dal vescovo, erano animate dai ministranti del Collegium Sancti Maximi e accompagnate dal coro del capitolo. Ricordando questi aspetti lieti della cattedrale, tutta la comunità aquilana si augura di poter presto torna-re a pregare nella sua chiesa principale, il vero cuore pul-sante della città. L.C.

mino in mezzo al deserto e tante sono le occasioni di non riconoscere Cristo nel vuoto e nella disperazione che circondano i suoi abi-tanti. Il rischio è quello che, nel bel mezzo di tutto questo dolore, non si trovi più tem-po per ascoltare, per parlare e per sfogarsi con Dio, infat-ti, ‘il silenzio, la preghiera e la meditazione della Parola’ sono tutti strumenti attraver-so cui Egli parla e sta vicino al suo popolo, anche quando sembra che tutto vada storto e che la solitudine sia l’uni-ca compagnia. Chiudendo la sua lettera, mons. Moli-nari proietta tutta la chiesa aquilana nella prospettiva pasquale dicendo che l’uni-ca vera consolazione è ‘an-corata alla fede nel Cristo Risorto’; questo è il compi-to e il dovere di un vescovo nei confronti del suo popolo, confermarlo nella fede nel Cristo Risorto. L’unica vera consolazione è e sarà solo in Lui. Rinfrancati dalla bellez-za di queste semplici paro-le, gli aquilani sicuramente troveranno conforto nella lettera del loro vescovo, che come un padre non esita mai a rassicurare i suoi figli.

Luca Capannolo

delle campane in una piazza deserta, segno, come ha detto l’arcivescovo Molinari, di spe-ranza ma soprattutto dell’inizio di una riscossa. Nel frattempo, finiti i lavori di messa in sicu-rezza, è già pronta per il restau-ro la chiesa di S. Marco, grazie ai finanziamenti della Regio-ne Veneto. I cittadini aquilani hanno adottato il restauro del dipinto della “Madonna del popolo aquilano”, ritrovato il 3 maggio scorso dai Vigili del Fuoco tra le macerie.

Angelo Colella

Diocesi6 Diocesi

GIUSEPPE MOLINARIArcivescovo Metropolita di L’Aquila

CONSOLATEIL MIO POPOLO

In questa piccola lettera pastorale ho cercato di ricordare do-v’è la sorgente di ogni consolazione: nel Cristo Morto e Ri-sorto per noi.Abbiamo ancora tanto bisogno di tanta consolazione. Abbiamoassoluta urgenza che la “consolazione” di tanti fratelli e so-relle diventi per noi, concretamente, la buona notizia della ri-costruzione e della rinascita.Ma abbiamo bisogno, soprattutto, che Colui che solo può con-solare e confortare non si allontani mai da noi e rimanga sem-pre in mezzo a noi.

MONS. GIUSEPPE MOLINARI, Arcivescovo Metropolita diL’Aquila, nasce a Scoppito, Arcidiocesi di L’Aquila, l’11gennaio 1938. È ordinato presbitero il 29 giugno 1962 edeletto vescovo di Rieti il 30 settembre 1989. Ordinato ve-scovo l’8 dicembre 1989 viene nominato Arcivescovo coa-diutore di L’Aquila il 16 marzo 1996. Succede percoadiutoria a L’Aquila il 6 giugno 1998. Tra le sue pubbli-cazioni ricordiamo “O tu abbi pietà”. La ricerca religiosa di Ce-sare Pavese (Ancora 2006) e, per la Tau Editrice, Il cammello ela cruna dell’ago. Riflessioni sul vangelo e il denaro (2008), “Pre-dicatelo sui tetti”. Lettere di un vescovo agli universitari (2008), Ilprigioniero del Signore. Le quattro stagioni dell’apostolo Paolo(2008), La Parrocchia, fontana del villaggio (2009), Emmaus(2009), Dialoghi con Gesù di Nazareth (2009), Beati i Miseri-cordiosi (2009).

Vola 4 aprile 2010Vola 4 aprile 2010

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Diocesi 94viaggio nelle parrocchie 4

Ci troviamo a Capi-tignano, comune di 689 abitanti, a circa 30 km dal-

la città dell’Aquila. Qui il sisma del 6 aprile non ha provocato molti danni alle abitazioni, ma, com’è avve-nuto in altri comuni limitrofi, a subire i suoi effetti, sono state sicuramente le anti-che chiese. Infatti, anche in questa parrocchia, le chiese sono inagibili, e da ormai un anno, nulla è stato fatto per riaprirle alla comunità, o per donare a essa un luogo alternativo dove celebrare la Santa Messa. A parlarmi della situazione in cui giace la parrocchia di Capitignano è don Ever Moya. Colombiano di ori-gine è in Italia dal 1993, e appena ordinato sacerdote, il 23 Luglio del 2000, è sta-to nominato amministratore parrocchiale di Capitignano e di altre sue frazioni. La chiesa parrocchiale è de-dicata a San Flaviano e risale a prima del 1100, anche se molte delle sue decorazioni attuali sono state aggiunte in seguito nel ‘400 e nel ‘500. Anche dopo il terremoto del 1703, la chiesa ha subito di-versi interventi strutturali. E con il terremoto dello scor-so anno, proprio la chiesa parrocchiale è quella che in questo comune ha avuto più danni. Ha subito lo stacco dei cornicioni, della facciata e della navata centrale, che si è staccata dalla cupola, e riportando fratture in più punti. Unica consolazione è che la cupola e la faccia-ta sono state puntellate. Lo stesso però non è purtrop-po avvenuto per il santuario della Madonna degli Angeli, costruita per volere della po-polazione, e alla quale essa è particolarmente affeziona-

ta, come ci afferma lo stesso don Ever. La chiesa, infatti, è stata costruita in seguito al miracolo dell’apparizione della Madonna il 21 giugno del 1657 a una pastorella sordo muta, che per riparar-si da un forte temporale, si coprì sotto un’edicola detta “degli angeli”, e si rivolse alla Madonna chiedendole di salvare il paese e le cam-pagne dal temporale. Le ap-parve così la Madonna che le disse di andare dal par-

roco perché in quel posto voleva una chiesa. Il parro-co di allora, don Marianto-nio, s’impressionò quando vide parlare la pastorella, gridando al miracolo, e con tutto il paese fece costruire la chiesa.

Capitignano Nulla di concreto per riaprire le chiese

Gli angeli sono rimastiOra questo Santuario è ina-gibile: la cupola è stata dan-neggiata in più parti e anche la facciata ha una profonda frattura. “Per le chiese non abbiamo nulla di concreto. - dice don Ever - Sappiamo solo che forse il santuario sarà mes-so in sicurezza per poterci entrare a celebrare la Santa Messa. Ma quando? Non lo sappiamo”. Fino all’arrivo del freddo anche qui, come in quasi tutte le parrocchie nel cir-condario dell’Aquila, si è celebrata la Santa Messa in tenda. Adesso si celebra in una sala adibita a piccola cappella, dove una suora si dedica alla adorazione. Du-rante le feste natalizie è sta-ta chiesta in prestito la scuo-la elementare, approfittando della chiusura, per celebra-re la Santa Messa. Purtroppo però, data la mancanza di spazi, al di fuo-ri delle celebrazioni eucari-stiche, nessun tipo di attività ha avuto inizio, neanche il catechismo. Prima del si-sma le attività con i giovani e i bambini, si svolgevano in una stanza che don Ever aveva allestito con tutto l’oc-corrente. Guardando indietro, mi rac-conta dell’esperienza vissu-ta nelle tendopoli, e di come, giacché all’inizio i responsa-bili della tendopoli erano lui ed il sindaco, si sono aiutati a vicenda per dare una ma-no a chi ne aveva bisogno. E guardando avanti? Tan-ti dubbi e poche certezze. L’unica certezza che c’è fi-nora è che ad un anno dal 6 aprile, festeggiamo un’altra resurrezione del Signore, senza però poter festeggia-re la resurrezione della no-stra terra.

Alessandra Di Stefano

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>anche in questa parrocchia, le chiese sono inagibili, e da ormai un anno, nulla è stato fatto per riaprirle alla comunità

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dine lunga 365 giorni, che inizia quella maledetta not-te, quando gli abitanti del quartiere si riunirono spon-taneamente in vari punti tra cui il piazzale Sandro Perti-ni: centinaia di persone con il bisogno di condividere il terrore, lo smarrimento, l’in-certezza. Non era previsto un campo ufficiale, e il parroco don Ra-mon Mangili dovette forzare la situazione per convincere la Protezione Civile che era impossibile spostare circa 700 persone al Campo di piazza d’armi. Nacque così la tendopoli dell’ex-italtel 2, alla quale se ne aggiun-sero 4 che accolsero tutti gli abitanti del quartiere. Fin da subito il tendone, dona-to anche questo dal Comu-ne di Roma perché vi fosse una chiesa, divenne il fulcro delle attività del campo: non solo dunque per le celebra-zioni eucaristiche, ma anche come mensa, ludoteca, ritro-

Da soli non si co-struisce nulla. E la comunità di Pile, parrocchia

di sant’Antonio, in questi 12 mesi ne ha data chiara di-mostrazione.Grazie al Comune di Roma abbiamo una grande tenda che è la nostra chiesa, gra-zie alla Misericordia di Fi-renze abbiamo 6 container dove fin da ottobre si svol-gono tutte le attività di ca-techismo, grazie ad un’asso-ciazione sportiva abbiamo una ludoteca dove in questi giorni si svolgono le prove per uno spettacolo che i ca-techisti stanno preparando con i ragazzi che si avvici-nano al sacramento della cresima, grazie alla Caritas umbra migliaia di ragazzi si avvicendano per aiutarci ol-tre che per dare assistenza a tutti gli aquilani .Sono tanti i grazie che dobbiamo dire, e lo facciamo con il cuore colmo di gioia! Una gratitu-

vo dei ragazzi e degli anzia-ni e all’occorrenza anche teatro. I bambini erano tanti, circa 70, e questo incorag-giò a riprendere subito, fin dal 10 aprile, le attività sco-lastiche: la Caritas montò un tendone 10x10 che divenne la scuola del campo.Quei ragazzi sono stati un vo-lano prezioso per trovare la forza di ricominciare: le loro grida, le loro partite a pallo-ne, i loro giochi hanno intrat-tenuto i tanti anziani, animato le calde sere d’estate quando in tenda si soffocava, loro so-no stati la cifra della speran-za. E lo sono ancora, in una parrocchia che ha ripreso tutte le sue attività in spazi così inusuali, ma dove c’è sempre lei, la Speranza che accompagna e precede nel-lo stesso tempo. In una città piegata, che ha perso la mag-gior parte delle sue chiese, compresa quella piccola ma preziosa di Sant’Antonio, la parrocchia di Pile è un segno

importante, un piccolo gran-de esempio di come insieme si può tutto. Soprattutto se alla guida c’è un prete che non si arrende, testardo, instancabi-le, che nonostante la solitudi-ne, inevitabile, e le difficoltà immani non getta la spugna, non cerca scappatoie, resta lì, al suo posto, in un container che ben poco ha di casa. Don Ramon Mangili è stato vera-mente colui che ha preceduto questa comunità in Galilea, e continua a farlo. Il miracolo non risiede in ciò che si riesce a fare, ma nel farlo nonostante le difficoltà, i momenti di sco-raggiamento, di sofferenza, di demotivazione. Perché ci so-no, è inevitabile: ma si offrono al Signore, e si sposta sempre la linea dell’orizzonte, per camminare insieme, uniti, i vecchi abitanti con i nuovi che sono arrivati con il pro-getto C.A.S.E. Insieme, per ricominciare, per rinascere. Insieme per risorgere.

Maria Cristina Teti

Messa del giovedì santo 2009 nel campo ex Italtel2

Pile Una parrocchia che cammina con i passi della speranza

Insieme si può risorgere

Vola 4 aprile 2010Vola 4 aprile 2010

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• supporto ordinario alle parrocchie: avviato il sup-porto ad iniziative dioce-sane già programmate (pel-legrinaggi, campi scuola, scuola della parola…)• costa: collaborazione con i parroci per mantenere vivo il rapporto tra gli aquilani sulla costa e la loro città.“Ascolto e presa in carico” dei bisogni (ascolto diffuso e centri d’ascolto) e creazio-ne di risposte immediate e durature sui bisogni, accom-pagnando le persone lungo percorsi di liberazione (ri-sposte individuali, centro di accoglienza…).“Rinascita”. Supporto nel recupero e sviluppo del tessuto socio-economico locale. Accesso al credito, sostegno diretto al reddito delle famiglie, riattivazio-ne di attività economiche, supporto alle cooperative sociali, borse lavoro, forma-zione professionale… “Ricaduta pastorale”. At-tività di comunicazione e ricaduta pastorale su tutto il territorio (diocesano, regio-nale, nazionale) in supporto diretto alle Delegazioni re-gionali Caritas, con partico-lare attenzione ad azioni di “Lobby e advocacy”; Chiunque volesse parteci-pare ai progetti in corso, e in via di programmazione, può rivolgersi alla Caritas diocesana a Coppito!

Ivana Damiani

>Il 5 aprile appuntamento a L’AquilaFiaccole di speranza

Tante luci nella notte… Il giorno del lunedì dell’An-gelo, 5 Aprile 2010 a L’Aquila la Caritas invita i volontari che nell’estate scorsa sono stati vicini al-la popolazione delle ten-dopoli e non solo a torna-re, perché ad un anno di distanza dal tragico sisma, si vuole ricordare l’aiuto che loro hanno prestato e fare un piccolo bilancio di quello che si è riusciti a fare. L’invito è per una se-rata di convivialità, con un momento di preghiera e poi la partenza della fiac-colata dai 4 punti cardina-li della città: Roio, Pettino, Torrione, Sant’Elia, pres-so le parrocchie di questi punti partiranno le luci nella notte che divente-ranno una sola presso la Fontana Luminosa, dove partirà la fiaccolata di tut-ta L’Aquila.

chiali per rispondere ai bi-sogni immediati e orientare verso le risorse del territorio così come continua a pro-muovere la partecipazione degli aquilani sulla costa al-le attività delle parrocchie e delle associazioni ecclesiali. La parte forse più significati-va è la creazione di momenti di incontro e condivisione

caritas

Sono arrivato all’Aquila come operatore della Caritas To-scana il 24 Giugno nella zona di san Demetrio - Valle Sube-quana, dopo un’esperienza con la lega Missionaria Stu-denti tra Collemaggio, Onna e Pile. Il tempo trascorso e i numerosi incontri mi hanno permesso di assistere da vi-cino al processo organizza-tivo delle tendopoli, al loro smantellamento, all’assegna-zione delle nuove case, in un confronto continuo con i di-versi bisogni delle persone ed ho potuto sperimentare concretamente la grande ac-coglienza degli abruzzesi, e il loro attaccamento a questa terra, potendo comprendere davvero che “è dando che si riceve”. Quello dell’operato-re Caritas è spesso un ruolo silenzioso, poco evidente ed appariscente, un lavoro che

A quasi un anno dal terremoto che ha colpito L’Aquila, secondo i dati del-

la Struttura per la Gestione dell’Emergenza della Presi-denza della Regione Abruz-zo, al 14 marzo 2010 nelle altre diocesi abruzzesi sono 2.191 gli aquilani negli al-berghi e 1.031 quelli negli appartamenti privati del cir-cuito di assistenza. La Delegazione Regiona-le Caritas Abruzzo-Molise ha rinnovato alla Diocesi dell’Aquila la sua disponi-bilità a collaborare per fare quanto è possibile per chi ancora non può rientrare nel-la propria località d’origine. L’équipe della Delegazione sta continuando a coordinare le attività di ascolto negli al-berghi, nei punti informativi e nei centri d’ascolto parroc-

Dopo un anno di presenza sul ter-ritorio, siamo en-trati in una nuova

fase di lavoro: gli operatori del Centro di Coordinamen-to e gli operatori delle Dele-gazioni regionali Caritas si sono divisi in équipe miste di programma, costituite da almeno un referente dioce-sano, operatori delle Dele-gazioni (su base volontaria) e di Caritas Italiana, che pro-getteranno e coordineranno l’implementazione delle varie attività, coinvolgendo risorse umane locali e pro-venienti dalle Delegazioni. Il tutto cercando di coinvol-gere i vari aspetti della pa-storale diocesana (familiare, giovanile, catechesi, ecc..), per lavorare coordinati co-me un’unica Chiesa (dioce-sana, regionale, nazionale) favorendo la creazione di reti all’interno della diocesi (ad esempio tra parrocchie, per foranie).“Spazi per la comunità”: Creazione e valorizzazione di spazi aggregativi per lo svolgimento delle varie at-tività comunitarie, non solo costruzioni di nuove strut-ture ma riscoperta e riadat-tamento di spazi esistenti (rilevazione dei bisogni di spazi, allestimenti logistici, supporto nella gestione or-dinaria dei locali…)“Ricostruiamo la comu-nità”: supportare le par-rocchie dall’interno per recuperare il senso di co-munità messo in crisi dal sisma e dalla riorganizzazio-ne del territorio. I progetti dell’équipe: • doposcuola nelle par-rocchie: avviate presso le parrocchie che hanno già mostrato la loro disponibi-lità (San Mario alla Torret-ta, Collebrincioni e Villa Sant’Angelo). Le attività sono destinate agli studen-ti delle scuole primarie e secondarie di I grado (ele-mentari e medie).

• progetto C.A.S.E e anima-zione: ottenuto il permesso a collocare tensostrutture nelle vicinanze dei nuovi villaggi C.A.S.E. (Roio, Cop-pito 3, Camarda, Bazzano). L’obiettivo dei prossimi in-contri sarà quello di proget-tare attività di animazione che andranno a valorizzare tali strutture coinvolgendo i parroci e la comunità. • attività di animazione ne-gli alberghi di L’Aquila che ospitano ancora gli sfollati del terremoto.• in “continuAzione”: labo-ratori destinati a bambini sull’educazione alla gestio-ne delle emozioni a lungo termine, delle paure e delle ansie. Già iniziata nella scuo-la materna di San Gregorio.• educare alla relazione: av-viato il progetto “C’era una volta e ci sarà” con il com-pito di educazione alla rela-zione di bambini, ragazzi e giovani con gli anziani.

Toscana e Sicilia I pensieri e gli impegni di due operatori

rimanere anche dopo

Abruzzo-Molise Per ricucire legami ancora strappati

con gli oltre 3000 sulla costa

In rete Un appello e un programma per stare accanto alla gente

Servono ancora i volontari

caritas

richiede del tempo perché basato sulla costruzione di relazioni personali, sul reci-proco riconoscimento, sulla fiducia. Costruire e ricostru-ire relazioni a livello parroc-chiale e sociale: questo è quello che stiamo tentando di fare da ormai 10 mesi e continueremo a fare sicura-mente fino ad Ottobre. Riten-go che questa sia la grande forza della Caritas: rimanere anche dopo le emergenze per lunghi periodi, consa-pevoli che appagati i biso-gni primari, è necessario far fronte ad un’istanza meno visibile ma altrettanto ne-cessaria: continuare ad es-sere presenti per favorire il riallacciamento del tessuto sociale, inevitabilmente di-sgregato dal terremoto.

Enrico Thomas ScottoCaritas Toscana

tenendo conto del bisogno maggiore manifestato da-gli aquilani in questo senso nell’ultimo periodo. In questi momenti si è cer-cato di favorire una condi-visione ed una rielaborazio-ne del vissuto alla luce della Parola e dell’Eucarestia e di far sentire la vicinanza dei pastori aquilani.Si vogliono poi diffondere le celebrazioni e le attività del-le parrocchie aquilane per il periodo pasquale ed even-tuali iniziative per il primo anno dal terremoto del 6 aprile 2009. Questo per cer-care di rinsaldare quei lega-mi naturalmente molto forti inevitabilmente incrinatisi con il trasferimento fuori dal proprio ambiente. Nel perio-do successivo alla Pasqua, si vogliono proporre iniziative che potrebbero essere del-

>L’equipe della De-legazione sta conti-nuando a coordi-nare le attività di ascolto negli alber-ghi, nei punti in-formativi e nei centri d’ascolto

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Prima di accettare la propo-sta di lavorare in Abruzzo con Caritas Sicilia, lavoravo per una O.N.G. di Catania. Questa è la mia prima espe-rienza in un contesto emer-genziale. Prima non sapevo che cosa volesse dire vivere per tanti mesi in una tenda, condividendo tutto: spazi, cibo, tempi, bagno, con tante altre persone perfettamente sconosciute. Questo mi ha permesso di comprendere da vicino le esigenze della gente aquila-na che ho incontrato: chi non ha vissuto questa esperienza non credo possa realmente rendersene conto. Durante l’estate abbiamo organizzato insieme alla Caritas Lombar-dia il lavoro di 500 volontari, impiegati principalmente nelle tendopoli con attività da ascolto e di animazione. Ri-

tengo però che lo sforzo più significativo sia stato quello di proporre spazi alternati-vi ai 4 campi in cui i ragazzi erano divisi: ad esempio con la Caritas parrocchiale di Pa-ganica, ogni giovedì pome-riggio ci incontravamo tutti alla villa comunale. Dopo la chiusura delle tendopoli, ab-biamo seguito la gente all’in-terno dei vari progetti case e alberghi della nostra zona partendo da una mappatura dei bisogni legati principal-mente alla mancanza di ser-vizi e al forte rischio della perdita di identità special-mente per gli anziani. Conti-nueremo ad essere presenti con lo spirito e lo stile che ci caratterizza e che ci permet-te di rimanere, appunto, al fianco della gente.

Piermauro Manmano Caritas Sicilia

le occasioni di incontro e ri-conciliazione tra gli aquilani sulla costa e quelli rimasti in città. Nel frattempo stiamo continuando a diffondere attraverso strumenti infor-mativi e rete associative e istituzionali tutte le attività che stanno ripartendo nella diocesi dell’Aquila.Un’attenzione particolare vorremmo porre nell’orga-nizzare con le associazioni del settore attività rivolte al-le fasce svantaggiate (anzia-ni, disabili,…) che in questo momento rappresentano la presenza maggiore di aqui-lani che chiedono sostegno ed aiuto, ma soprattutto la vicinanza umana e spiri-tuale della loro Chiesa per continuare a vivere con fede e speranza il loro cammino verso il ritorno a casa.

Domenico Spina

>gli operatori si sono divisi in équipe miste di programma, che progetteranno e coordineranno l’implementazione delle varie attività

>I seminaristi della Basilicata dal Vescovo 11 seminaristi del Seminario della Basilicata hanno svolto lo scorso mese di marzo una settimana di servizio nella zona Pizzoli-Monetereale. Prima di ripartire per Potenza hanno incontrato l’arcivescovo Molinari.

Vola 4 aprile 2010Vola 4 aprile 2010

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come nel ’700 con quest’ul-tima si cancellò quasi la fa-cies medioevale, il ‘com’era’ s’imporrà di gran lunga sull’innovazione. Questo vale di certo per l’ar-chitettura civile. Auspicabil-mente, si potrà profittare del-le distruzioni sopravvenute per non ricostruire, nel centro storico e nelle immediatezze del pomerio murario antico, i palazzoni moderni caduti o da demolire necessariamen-te. Questo nel caso non si dimostrassero praticabili le radicali demolizioni di quar-tieri, da noi arditamente pro-spettate nel 1993 e nel 2004 sulla scia di quanto il Benevo-lo aveva nel 1977 auspicato per Roma. In ogni caso par-rebbe quanto mai opportuno rinverdire l’originaria idea di urbanisti illuminati circa la realizzazione di un’aquilana Bergamo bassa, per fornire la necessaria edilizia sostitutiva di quella caduta o demolita, ai piedi di una Aquila alta – l’antica – restaurata e preser-vata nella sua caratteristica nobile facies medieval-ba-rocca attuale.

Nella ricostruzione dell’ar-chitettura religiosa ci si tro-verà di fron-te a nodi di tutt’altro ge-nere, non facili a sciogliere. Uno riguarda il reperimento dei fondi per la loro rico-struzione e re-stauro. L’altro tocca le spino-

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Una riflessione Il sisma del 2009 e la quinta ricostruzione

Quale bellezzaprima e dopo i crolli?

all’atomizzato as-setto insediativo ed amministrativo re-gionale da cui era caratterizzato pri-ma della fondazio-ne 1229/1254 della città.

Oggi la quasi totali-tà della popolazio-ne sfollata è stata

sistemata in comode abita-zioni e villaggi MAP – scelta realistica, questa, da parte del governo e della prote-zione civile, ed appropriata, sempreché detta sistema-zione s’intenda provvisoria, per quanto possa durare de-gli anni. Adesso pertanto si potrebbe procedere senza indugi alla rimozione del-le macerie – ciò che il sot-toscritto, assieme all’altro importante tema della zona franca, già aveva segnalato il 17 dicembre in un artico-lo su Il Centro – ed avviare, quindi, anche l’opera di ri-costruzione col risarcimen-to, intanto, delle abitazioni meno danneggiate.

Quanto alla ricostruzione del centro storico, la condi-

visibile formula impostasi all’indomani del terremoto – “ricostruire L’Aquila dov’era e com’era” – ha bisogno di precisazioni. Lo slogan intende respinge-re giustamente ogni velleità di far abbandonare la città dai propri abitanti – par-te della popolazione, nel veder costruire le 19 new towns nel territorio comu-nale dell’Aquila, ha inteso proprio così. Non è la prima volta, nella storia, che ta-le tentazione si presenta al verificarsi di catastrofi tel-luriche come questa del 6 aprile 2009. Scrivevamo nei nostri lavori del 1993 e 2004 che ad esempio nel terre-moto del 1349 furono i cit-tadini a voler abbandonare il sito, e l’Aquila si sarebbe

ricostruzione

Nello scorgere i primi segnali dell’avvio della ricostruzione, ripubblichiamo in merito un articolo di alcuni mesi fa, rivi-sto e aggiornato, del nostro concittadino il vescovo mons. Orlando Antonini, attualmente Nunzio Apostolico a Belgrado

Quanti studiosi si occupano di storia non mancavano di nota-re con qualche preoccupazio-ne che dall’ultimo terremoto aquilano distruttore, quello del 2 febbraio 1703, erano ormai passati ben 306 anni: un inter-vallo cronologico troppo am-pio rispetto a quello trascorso dopo il terremoto del 1461 (242 anni), e a maggior ragio-ne ancor più tra quest’ultimo e quello dei sismi del 1349 e del 1315. Il quinto sconvolgimento tellurico devastatore della cit-tà e del contado, insomma, era destino dovesse sopravvenire precisamente nella nostra ge-nerazione.

Attese la letteratura uscita e l’ampia copertura, sia scritta sia anche iconografica e au-dio-visiva, che i media han dato e continuano a dare sulla nuova sventura sismica accanitasi su di noi, non ci pare congruo provare a trat-tare lo stesso tema con paro-le diverse. Più che a quanto accaduto, pertanto, è urgen-te guardare avanti, all’avvio della ricostruzione, ché se si lascia correre il tempo e la nostra gente si crea nuovi interessi fuori dei centri sto-rici va a finire che l’attuale diaspora dei cittadini si ren-derà permanente, rischian-do di riportare il territorio

allora dissolta se non fosse intervenuto Lalle Campone-schi a convincere gli Aqui-lani a restare ed a ricostru-irla dov’era. Viceversa col terremoto del 1703 erano stati piuttosto gli ambien-ti governativi napoletani e romani, almeno all’inizio, a mettersi nella prospettiva dell’abbandono della cit-tà, ma agli Aquilani, allora come oggi, non era venuta affatto un’idea del genere; sicché misero senz’altro ma-no alla borsa e alle braccia e per la quarta volta ricostrui-rono l’Aquila ‘dov’era’.

Ma mai la ricostruirono ‘com’era’; e questo, in ognu-no dei quattro casi prece-denti: 1315, 1349, 1461 e 1703.

Se coi due sismi trecenteschi gli Aquilani ricostruirono la città grosso modo ‘com’era’ dal punto di vista stilistico, comunque accentuandone i caratteri gotici negli edifi-ci sia civili sia religiosi, già nel post-terremoto del 1461 aggiornarono la facies me-dioevale della città distrut-ta con rilevanti innovazioni rinascimentali e cambi pro-fondi ad esempio nel con-cetto di dimora privata – da quello ‘aperto’ medioevale, ossia con porticati sulle stra-de, a quello ‘chiuso’, ossia con cortili interni a portici

e logge ma impenetrabili esternamente, del periodo successivo. Nel 1703, come ancor oggi si vede, addirit-tura cambiarono pressoché l’intera configurazione me-dioevale del capoluogo con la veste stilistica corrente in quel frangente storico, la ‘barocca’, e sorprendendo non poco i criteri edilizi ed architettonici seguiti, come si vede all’insegna del gran-dioso, nell’edificare ex novo le chiese. La maggior parte degli edifici sacri furono ri-alzati, talora non di poco, ed alcuni caricati di alte volte in muratura, aggiungendo-si anzi ardite cupole e pro-gettandosene per altri, ad esempio per la Cattedrale di San Massimo, quantunque poi non realizzate.

Con un tipo di ricostruzio-ne del genere gli Aquilani del ‘700, oltre a rafforzare le vecchie e più volte ricu-cite strutture edilizie me-dioevali, sembra proprio abbiano inteso dare a sé stessi e al mondo il segno della loro caparbia volontà di ripresa, ad aperta sfida ai terremoti. Autentiche sfi-de, appunto, appaiono que-sti organismi aquilani set-tecenteschi per ampiezza, monumentalità e possanza muraria e di membrature, per articolazioni spaziali e plastiche fin’allora mai adottate. Difatti essi hanno sostanzialmente resisti-to, almeno nei contenitori murari, sia al terremoto del 1915 sia allo sconvolgi-mento tellurico del 2009.

Nella fattispecie odierna, pertanto e coerentemente, se l’Aquila dev’essere ri-costruita ‘dov’era’, sul che non si discute, non dovreb-be esserlo ‘com’era’ in ogni caso. È vero che, non essen-do ovviamente concepibile modificare in stile moderno il centro storico cancellando la presente facies barocca,

se problematiche delle can-gianti e non da tutti condivi-se teorie, carte e prassi del restauro architettonico.

Il reperimento dei fondi si va dimostrando un autentico problema. Nel ‘700, toccan-do agli stessi proprietari il carico finanziario, i commit-tenti – per lo più del ceto possidente nobile o delle allora ricche istituzioni ec-clesiastiche – profusero tutti i propri mezzi in una gara emulativa che mirava ad esprimere e simbolizzare il proprio prestigio e potere. Sicché la ricostruzione delle case e delle chiese proce-dette simultaneamente. Solo le chiese più importanti e i grandi palazzi patrizi regi-strarono un ritardo anche di decenni dal terremoto, per la pregevolezza che si in-tese caratterizzasse i nuovi manufatti.

In questa quinta ricostru-zione dell’Aquila il panora-ma culturale e spirituale è cambiato radicalmente. La società attuale opera una contrapposizione tra rico-struzione delle chiese e rico-struzione delle case, dando

la precedenza alle seconde e tendendo a considerare le prime solo come luoghi di culto e non anche come monument i . In tale ottica le chiese, in quanto tali,

non sono da privilegiarsi per principio. Dei 45 pro-getti presentati dal Gover-no italiano ai Paesi presenti al G8 riunito all’Aquila nel luglio 2009, riguardanti in massima parte architetture religiose, ben pochi fino ad ora furono adottati: forse perché i Governi ritengo-no difficile far stanziare dai propri Parlamenti – e giusti-ficare presso i propri eletto-ri – fondi destinati a edifici di culto, e quasi esclusiva-mente del culto cattolico.

Alla fine, e con le attualmen-te ben scarse risorse finan-ziarie della Chiesa, i cui be-ni come si sa furono in gran parte incamerati dallo Stato con le cosiddette leggi ever-sive nel secondo Ottocento, il peso maggiore della ri-costruzione riposerà sullo Stato stesso e sulla sensibi-lità culturale di società, enti e associazioni pubbliche e private. È però auspicabile che non ci si lasci condizio-nare dall’ottica ideologica sopra delineata. Le chiese aquilane sono, certamente, dei luoghi di culto. Ma esse, di fatto, sono anche la fetta essenziale dell’intero pa-trimonio artistico locale. Il quale a sua volta costituisce la provvidenziale ricchezza del territorio, una ricchezza che ancora attende d’esser valorizzata e sfruttata a do-vere. Svalutare ideologica-mente la ricostruzione delle chiese, in quanto luoghi di culto, per noi costituirebbe perciò una deplorevole atti-tudine auto-lesionista.

Passiamo alle problema-tiche connesse alle teorie del restauro architettonico, e prendiamo il caso di San-ta Maria di Collemaggio. L’ultimo sisma l’ha abbattuta nella medesima zona crolla-ta nei terremoti precedenti: la presbiteriale ed absidale, ovvero il transetto settecen-tesco e la prima campata

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>la condivisibile formula impostasi all’indomani del terremoto – “ricostruire L’Aquila dov’era e com’era” – ha bisogno di precisazioni

Vola 4 aprile 2010Vola 4 aprile 2010

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cappella a destra), così da riscoprire quello che nei secc. XIII-XIV doveva essere il braccio meridionale del transetto della chiesa, ma-gari ancora con, sottostanti, i suoi affreschi trecenteschi. E si potrebbe anche rimettere mano all’attuale goffa cella campanaria settecentesca, per rialzarla alquanto e re-stituirle il disegno terminale a torre, che s’indovina sulla cinquecentesca pianta pro-spettica del Fonticulano. Per ultimo e in particolare, anche qui, atteso il crollo totale della grande volta, si potrebbe offrire alla creati-vità degli architetti di oggi un’opportunità d’oro per genialmente reinventare una copertura dell’immensa aula in forme del tutto con-temporanee.

Per la terza chiesa capo-quarto, San Pietro di Coppi-to, parrebbe opportuno rico-struire in forme più snelle e aggraziate, ad esempio con la riapplicazione dell’antica cuspide, quella che era la posticcia modestissima cel-la campanaria di fine ‘800, ora completamente crollata, e praticare, sulle testate del transetto rifatto dal Moretti nel 1969-70, le consuete fi-nestre circolari che in quel ripristino si tralasciarono ‘per dimenticanza’ ed ora rendono impropriamente oscuro proprio il settore di spazio interno della chiesa, che nella logica architetto-nica di fattispecie, ossia la dilatazione spaziale e lumi-nistica di transetto sporgen-te e sopraelevato, richiede-rebbe luce abbondante.

Per l’ultima chiesa capo-quarto, San Marciano, è auspicabile il recupero, con-solidamento e sistemazione a rovina visitabile, dell’ex zona presbiteriale ed absi-dale dugentesca, i cui resti smozzicati e in abbandono, ma che mostrano ancora in parte la gotica tribuna di centro e, a fianco, la cappel-la rinascimentale, sorgono tuttora nel giardino retro-stante l’aula attuale.

In altri casi la ricostruzione settecentesca, per carenza di fondi e successive addi-zioni e sistemazioni di puro comodo, ci ha fatto ereditare edifici sacri in ben squallido stato. Si prendano Santa Ma-ria di Roio e San Quinziano.

In Santa Maria di Roio si dovrebbe profittare in pri-mo luogo per risarcire alla sua vera altezza e defini-zione la terminazione pia-na della facciata, anch’es-sa mortificata nel ‘700 con la sistemazione alla bell’e meglio che si nota. In se-condo luogo, si potrebbe ri-pristinare fino ad un’altezza visibile da lungi, l’attuale dimessa torre campanaria, nel ‘700 drasticamente de-curtata ed arrangiata come si vede, riapplicandovi il suo documentato fastigio a cipolla, unico del suo ge-nere nel nostro territorio, e liberandola anche dai vani ivi affastellati.

In San Quinziano, l’in-tervento ricostruttivo dei modesti fornici campanari settecenteschi caduti nel sisma del 6 aprile potrà occasionare l’eliminazio-ne dell’attuale parete nord della torre, che non è se non un semplice ringrosso mu-rario, così da far riapparire il gustoso disegno di base a medioevale cavalcavia di due possenti arconi ogiva-li in pietra concia (vedilo virtualmente ricostruito nel nostro volume CARSA a pg. 142). Al limite si potrebbe anche non ricostruire detti

fornici caduti, rialzando al loro posto la sottostante an-tica torre dugentesca, che in origine doveva essere una delle torri della cinta mura-ria del 1272-75. Poi vi sarebbero alcuni casi d’interesse archeologico-storico che profittando dei lavori di ricostruzione si po-trebbero utilmente indagare. Ad esempio Santa Chiara d’Acquili: qui si dovrebbe procedere a saggi sotto il pavimento della sacrestia, che potrebbe restituire strutture della cripta della Santa Maria di Acquili del 1195. Ed anche San Flavia-no: si dovrebbero condurre ricerche nei locali ipogei di sostruzione alla chiesa ed ai piedi delle absidi esterne, per riscoprire quelle che potrebbero essere state le fortificazioni della cinta mu-raria del 1272-75.

Per il resto, dovendo ri-mettere mano alle torri du-gentesche di San Pietro di Coppito, di San Silvestro, di quella quattrocentesca di San Bernardino e di qualche altra, ci si chiede se non sia il caso di decidere la riap-plicazione, su di esse, delle originarie cuspidi – di certo lo si farà, si suppone, alla cinquecentesca torre cam-panaria di Fossa, la cui irta cuspide, scampata al crollo nel terremoto del 1703, è invece caduta, purtroppo, in questo del 2009 – il che re-stituirebbe almeno in parte la viva dentatura volumetri-ca di crinale, a cupole e tor-ri, che prima di quel sisma

doveva bellamente caratte-rizzare lo skyline cittadino.

Come pure ci si chiede se non sarebbe opportuno procedere altresì ad appli-care i mai eseguiti intonaci e riquadrature in stucco alle superfici murarie esterne di svariati edifici sacri sei-settecenteschi che ne resta-rono privi. Ci si riferisce in particolare alla Cattedrale, a Santa Maria di Paganica, a San Paolo di Barete (per il quale, tra l’altro, era di cer-to prevista progettualmente una cupola estradossata co-me degna inaugurazione di Via Roma), a Santa Maria di Roio, San Marciano, San Bia-gio di Amiterno, a Sant’Ago-stino, al Gesù. * * *

Conchiudendo, si abbia cura che in questa ennesima rico-struzione del centro storico dell’Aquila e di quello dei ‘castelli’ del bacino territo-riale da cui essa trae origine, non ci si arresti alla ricostru-zione materiale delle struttu-re abitative e alla mera ripre-sa delle precedenti stentate attività economiche. Occor-re al contempo la riscossa culturale e spirituale della nostra gente. E, per la riatti-vazione e lo sviluppo econo-mico del nostro territorio, si vede imperativo superarne la stagnazione e regressione che finora lo caratterizzava rispetto all’Abruzzo marino, puntando privilegiatamente alla promozione e sfrutta-mento della sua indubbia vocazione turistica – con la natura e l’arte ivi profuse – come unica vera industria, la sola adeguata alle caratteri-stiche locali, ecologicamen-te sicura, che se promossa, potenziata e sviluppata co-me lo è sulla costa e come finora nell’Abruzzo Aqui-lano e montano non è stato fatto, costituirà la fonte di un indotto importante per l’oc-cupazione, e dunque il vero volano della ripresa econo-mica dell’intero Abruzzo in-terno.

Orlando Antonini

dell’abside trecentesca, che hanno però trascinato seco, stavolta, anche i tre archi trionfali e i due pilieri po-listili alla fine delle arcate delle navi con ciò che sor-reggevano, nonché le ultime due archeggiature ogivali ad essi appoggiate. Si pone dunque il problema se ricostruire ‘com’era’ tale sezione della basilica – mo-desta anzichenó in valori formali – e che tra l’altro non armonizzava più col resto ‘ri-pristinato’ e recava ornati in stucco ormai irrecuperabili, con in più una calotta cupola-re sotto padiglione ottagono rifatta nel 1960. O se, dopo aver ricostruito ‘com’erano’ i predetti pilieri a fascio, gli arconi ogivali ad essi appog-giati e i tre archi trionfali, non convenga piuttosto rialzare un transetto in ‘neutro’ sot-to tetto ligneo a vista come nelle navi, con l’originaria sagoma volumetrica a cor-po continuo e sopraelevato che si vede sulla pianta 1622 dell’Antonelli (noi l’abbiamo ricostruito virtualmente in Chiese dell’Aquila, volume CARSA pg. 173).

Poi abbiamo il caso della basilica di San Bernardi-no. Quantunque uscita assai sconquassata, qui è crollata solamente la cella campa-naria quattrocentesca sen-za, per ventura, coinvolgere l’immensa ottagonale cupo-la del Contini. Nel procedere al necessa-rio restauro delle malconce strutture quattro-settecente-sche si potrà profittare, oltre che a risarcire ‘com’era’ det-to campanile, magari ricollo-cando la cuspide, a liberare i corpi ottagonali sporgenti della fila di cappelle cin-quecentesche laterali sulla fiancata ovest, quella su Via Sinizzo, semplicemente eli-minando il sommario muro rettilineo, tirato tale per pu-ro comodo nella ricostruzio-ne settecentesca. Inoltre per la qualità dello spazio esterno, inquadrante sul davanti la basilica, si po-trebbe cogliere l’occasione per una creazione artistica

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nuova commettendo in gara, a prestigiosi artisti contem-poranei, l’applicazione di gruppi bronzei celebrativi sui quattro enormi piedi-stalli di apertura e chiusura dell’antistante scenografica Scalea sette-ottocentesca, e nelle sue sei grandi edicole laterali.

Nel caso della Cattedrale di San Massimo, dovendo procedere comunque alla ricostruzione del transetto ci si domanda se non sia giunta l’occasione anche per por-tare a compimento la chiesa diocesana con l’elevazione finalmente, all’intersezione di detto transetto ricostruito ‘com’era’, e quale sfida al terremoto e simbolo di re-surrezione per tutta la città, della progettata ma sempre rinviata cupola, il cui dise-gno si vede in una stampa del 1887.

E per quella che poteva dir-si la con-Cattedrale, la San Biagio di Amiterno (ora San Giuseppe), coi lavori si potrebbe profittare anzitutto per sondare sotto le pilastra-te attuali la presenza degli antichi pilieri ed arconi me-dioevali come asserito dal Moretti, per restituire all’ar-chitettura cittadina un’altro dei suggestivi ‘gotici’ interni chiesastici due-trecenteschi: ciò attesi lo scarso valore formale dell’attuale inter-no tardo-settecentesco e il relativo ingente dispendio per la difficoltà di ricucirne a dovere le ‘trinciate’ strut-ture. Magari rinvenendovi qualche ciclo, almeno, delle pregevoli pitture quattro-centesche attestate presenti in San Biagio dall’Alferi a fi-ne ‘500. Inoltre, si p o t re b b e ro isolare e ri-offrire alla vista, sull’an-golo nord-est dell’isolato, la parte inferiore dell’antica tor-re campanaria di spigolo e parte delle at-

tigue murature trecentesche in pietra concia a cornici di-visorie e lesene scanalate, nonché, sull’odierna fianca-ta occidentale, riportare a completa luce, rioffrendoli alla vista pubblica da via Sassa, i robusti fusti otta-gonali e parte degli arconi trionfali dugenteschi.

Infine a San Nicola d’Anza si dovrebbe procedere anzi-tutto al recupero dell’inter-no e, in particolare, delle tre absidi ogivali dugentesche che conservano tuttora le volte a crociera con i loro costoloni e, forse, i loro af-freschi sotto gli scialbi di calce. Inoltre, se i due brutti caseggiati moderni, che as-sediano la chiesa e l’occul-tano sia davanti sia di lato, fossero danneggiati grave-mente dal sisma, si dovreb-be demolirli, senza ricostru-irli, per liberare all’intorno il povero ma pregevole e anti-chissimo monumento.

Poi abbiamo i casi delle chiese capo-quarto.

Alla prima, Santa Giusta, forse la più maldestramente modificata nelle ricostruzio-ni a seguito dei terremoti anteriori, il sisma del 2009 ha dissestato le cappelle la-terali e la zona presbiteriale ed absidale, quasi abbattuto la testata sud del transetto ‘stappandone’ il finestrone rotondo che era stato tam-ponato dopo il 1703 e pre-cipitandone la misera vela

campanar ia ivi applicata ad inizio ‘900, e rimesso in luce interes-santi parti di strutture me-dioevali, co-me l’invaso trecentesco dell’absidiola settentrionale. Ci si chiede se

non sia da profittare dell’ob-bligato ripristino del monu-mento anzitutto per riaprire al completo, rialzando il corpo traverso del transetto, detto finestrone tondo sulla testata sud – in tal caso si chiude-rebbe il sottostante postic-cio finestrone rettangolare – e per riposizionare la vela campanaria al suo posto ori-ginario, ossia al frontespizio destro della facciata, dov’era prima del ‘900 (v. il disegno del Leosini e sulla scia della ricostruzione virtuale da noi proposta nel volume CARSA del 2004 a pg. 133). Col predetto intervento si profitterebbe anche per li-berare dagli attuali disador-ni ringrossi murari interni la segnalata abside nord, nonché quella centrale, on-de farne riapparire le forme poligonali trecentesche con forse tuttora quella “artifi-ciosa pittura di varia historia dipinta nel 1448”, di cui a fi-ne ‘500 scrisse l’Alferi. Inoltre si potrebbero riordi-nare le poligonali volume-trie absidali esterne trecen-tesche, sfigurate nel periodo barocco da orrende fine-strature, e le coperture delle navi laterali chiudendo le quattro sgraziate aperture sull’alto della nave centrale, per ristabilire le fonti origi-narie d’illuminazione e ria-prire il rosone davanti. Si potrebbe infine opportu-namente considerare anche la possibilità di una soluzio-ne di casa canonica diversa dall’attuale, permettendo di demolire i due piani sovra-stanti il vano della sacrestia in modo da rioffrire così, al godimento, l’originaria movimentata articolazione volumetrica di transetto pri-smatico con ortogonali absi-di poligonali: colpo d’occhio non poco suggestivo per chi risalga, su verso la chiesa, la via di Goriano Valli.

Per la seconda chiesa capo-quarto, Santa Maria di Pa-ganica, nella ricostruzione si potrebbe profittare per li-berare dai ringrossi murari il vano base della poderosa torre campanaria (quarta

>non ci si arresti alla ricostruzione materiale delle strutture (...) Occorre al contempo la riscossa culturale e spirituale della nostra gente.

Una riflessione Il sisma del 2009 e la quinta ricostruzione

Quale bellezzaprima e dopo i crolli?

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Testimonianze Testimonianze Una giornalista di “Avvenire”

corrispondente da L’Aquila

una notte lunga un annoQuella notte non fui svegliata come tutti i colleghi da una telefonata, ma dal boato ovattato, dal letto che non smetteva di tremare, dal rumore dei bicchieri che cade-vano in cucina. Avevo deciso di restare una sera in più dai miei in Abruzzo, una nottata che poi è durata, quasi senza interruzioni, un anno intero. La telefonata però il 6 aprile arrivò lo stesso, solo pochi minuti dopo la scossa; «siamo usciti per miracolo, la casa è distrutta, la città non c’è più». La voce dei miei zii, tra le lacrime, preannuncia-va quello che alle prime luci dell’alba apparve chiaro a tutti. Rientrai in casa impaurita, mi vestii, ma uscendo per correre a L’Aquila con la mia famiglia presi anche il portatile. Non so perché lo feci; oggi, a mesi di distan-za, lo considero semplicemente il gesto involontario di chi sentiva già il bisogno di scrivere per allontanare il dolore.Arrivai in piazza Duomo che era ancora buio, i più for-tunati erano già in strada, ma molti ancora gridavano da dentro i palazzi. Ho girato nei giorni successivi per la città con lo sguardo incredulo, tremando ogni volta che davanti alle macerie un gruppetto di persone pregava di trovare qualcuno vivo lì sotto. Il cuore, tuttavia, piangeva più di quanto il volto cercava di nascondere; conoscevo quelle vie ad una ad una ed ogni angolo custodiva un ri-cordo della mia infanzia. Pensavo sarebbe stato naturale scrivere di una città che sentivo e sento mia, raccontare ciò che i miei occhi in quelle ore tentavano di digerire con compostezza. Solo a sera però quando mi ritrovavo davanti al computer per mettere nero su bianco certe scene indimenticabili, capivo la difficoltà di questo me-stiere. È iniziata così la mia avventura per Avvenire all’Aquila, un anno umanamente difficile, professionalmente im-pagabile. In questi mesi ho cercato di scrivere con gli occhi della gente, con il linguaggio del cuore che non ti insegna nessun manuale. Ho scoperto quanto di me-raviglioso il nostro Paese riesce a dare nella necessità, la solidarietà dei Grandi del mondo così come di tan-ti anonimi che sono arrivati nelle tendopoli portando aiuti e quell’abbraccio fraterno di cui gli aquilani ave-vano bisogno. Ho visto pregare in mezzo alle case di tela, aggrapparsi alla fede in un prato senza altare né paramenti; ho imparato da questa terra a non chinare la testa sconfitti da una Natura tanto matrigna, quanto prevedibile. Ora continuo a parlare dei piccoli segni di speranza, di una chiesa che riapre e anche dei problemi aperti. Il tempo trascorso imporrebbe un bilancio, che però vorrebbe dire voltare pagina. Ma il libro della ri-nascita ha tanti capitoli ancora in bianco che spero di contribuire a riempire.

Alessia Guerrieri

Un giornalista inviato dell’agenzia Sir a L’Aquila

come fiori neiprati abruzzesiNella mia ultima visita a L’Aquila, un mese fa, sono andato, come molti aquilani, a fare due passi lungo il corso in un giorno che sembrava, ormai di primavera. Sono rimasto per un attimo a guardare piazza Duomo oltre le transenne. Guardavo L’Aquila, i suoi palazzi e le sue chie-se. E pensavo che doveva essere proprio bella, con le bancarelle e i giovani a passeggio, con i bar pieni e i profumi di case abitate. Dodici mesi sono passati dal terremoto e do-dici mesi sono passati dal mio arrivo a L’Aqui-la. Da allora ho iniziato a girare tra tendopoli e borghi cercando di fare il mio mestiere: rac-contare, con la consapevolezza di non poter nemmeno immaginare cosa sia stata quella terribile notte e l’angoscia che ti assale ad ogni singola scossa. Raccontare cercando di cammi-nare lungo il filo sottile che divide il compito di chi è chiamato ad informare perché le luci non si spengano e la popolazione non resti so-la, dall’invadenza di chi ha fatto la domanda sbagliata, di chi è andato oltre, dentro la vita di persone segnate dal dolore. Sono tante le immagini che rimbalzano nella mia mente guardando a questi dodici mesi. Il mio ar-rivo, a dieci giorni dal sisma, con la confusione dei soccorsi e la vita delle tendopoli. Il silenzio delle fiaccole lungo il centro storico e i rintoc-chi della campana di Onna. La consegna delle lauree ad honorem alle giovani vittime di questa tragedia e tanti piccoli segni di rinascita nasco-sti in un container, un tendone o semplicemente nel ritorno a casa. E poi il caldo soffocante delle tende in cui si celebrava la messa e gli occhi tri-sti degli anziani seduti nelle hall degli alberghi. Storie di uomini e comunità, di volontari e sacer-doti, troppo spesso dimenticate dal circuito dei media. Le abbiamo volute raccontare nei servizi del Sir - l’agenzia di informazione che collega 186 settimanali cattolici del territorio e si rivol-ge anche ai medi laici - con la speranza di poter fare la nostra parte, perché sono queste storie di quotidianità a riempire di luce il buio che ancora oggi avvolge il cuore di questa città. Sono sicuro che un domani, spero prossimo, potrò tornare a passeggiarvi con gli amici in-contrati in questi mesi. Perché L’Aquila che ho conosciuto è viva, come vivi sono i cittadini che ogni domenica vanno nelle piazze a rac-cogliere le macerie trasformando il dolore in gioia, vivi sono gli aquilani, laici e religiosi, che fin dal primo giorno, pur non avendo più una casa, si sono messi al servizio dei fratelli, vivi sono i fiori che lentamente spuntano sui prati d’Abruzzo, con l’arrivo della primavera.

Michele Luppi

16 17 Appuntamento il 5 aprile

a Onna

Ho scritto una “fiaba”Un anno è passato da quella notte che ha spezzato tanti sogni e gettato nel dolore una intera città. Per me il tempo si è fermato al sei aprile 2009 alle 3.32. Tutto quello che è ac-caduto dopo fa parte di una esistenza nella quale stento a riconoscermi. Eppure ho deciso di andare avanti con la forza della fede ma anche con un senso della real-tà che paradossalmente è ancora più forte di prima, quando ero nell’altra storia. Quando si perde la parte migliore della famiglia, quan-do sparisce sotto i tuoi occhi un intero paese con i suoi luoghi e i suoi abitanti – costretti a fuggire dalle case diventate in pochi secondi macerie e polvere – non si ha molto ancora da chiedere al futuro. Eppure una cosa a Dio ho voluto chiederla sin dal primo momento: dammi un segno per an-dare avanti o per chiudere definitivamente la porta alla vita. Finora non ho avuto un segnale chiaro e inequivocabile ma tanti piccoli indi-zi che ogni giorno mi danno la forza per non cadere nel burrone senza fondo: c’è la solida-rietà, la vicinanza di tante persone, il ricordo, la memoria delle cose che c’erano, l’impegno per fare qualcosa che possa essere utile alla rinascita. E poi c’è ancora, sempre, la speranza. La speranza di rivedere un giorno i miei figli e condividere con loro l’eternità. Per l’anni-versario del sisma ho scritto una fiaba: nella parte finale ho immaginato Onna fra 10 anni e il ritorno per un giorno solo, sulla terra, nel paese nuovo e rinnovato, di tutti coloro che ci hanno lasciato. La leggeremo pubblicamente, il 5 aprile, con un sottofondo musicale grazie a un quintetto d’archi: una fiaba onnese per gli onnesi. E come ogni fiaba c’è sempre un finale gioioso: la vita trionfa sulla morte. Ce lo ha detto anche Gesù. Ecco perché voglio andare avanti: dal nostro dolore deve nascere la gioia per le genera-zioni future. Se non lo facessimo saremmo colpevoli due volte e questo nessuno ce lo potrebbe perdonare.

Giustino Parisse

Il terremoto, due sposi e l’arrivo del secondo figlio

Dalla croce una nuova vitaIl 6 aprile, un giorno che ci ricorderà sempre paura, ansia, distruzione, morte. Tanto lontano quanto vicino. Sembra sia successo tutto ieri, e in realtà è trascorso un anno. Un anno particolare reso ancor più tale dalla nostra seconda gravidanza, un dono del Signore in un momento così difficile. L’arrivo di un altro bambino, un maschio questa volta, quando “umanamente” Egli sem-bra essersi dimenticato di tutti e di tutto. Una nuova gra-vidanza difficile da accettare, inizialmente, a causa delle tante difficoltà presenti, ma presto accolta grazie ad una visione diversa dell’esistenza, quella cioè vissuta alla luce della fede. La fede che ha permesso di aprirci nuo-vamente alla vita, nonostante i disagi, lasciando l’ultima parola al Signore. E così ora ci sentiamo protetti e cocco-lati da Lui, proprio attraverso questa gravidanza. Abbiamo vissuto e viviamo questo tempo come un eso-do, alla scoperta delle nostre paure, dei nostri limiti, della nostra incapacità di pensare al futuro, ma anche toccando con mano la presenza concreta di Dio: nella provvidenza, poiché tutto arriva al momento giusto; nel-la gioia della preghiera costante, senza pretese e nono-stante il momento di fragilità umana; nella misericordia che ci rialza quando davanti alle sofferenze manchiamo di speranza; nella carità, perché tanti sono in difficoltà materiale e spirituale. Noi stiamo provando a vivere que-sto tempo aggrappati alla croce di Cristo, perché siamo certi che la sua morte e resurrezione sono il sigillo della nostra vita. Guardare alla croce non ci ha mai deluso, ci ha sempre riempito di benedizioni, allora perché non continuare per questa strada che anche se scomoda e stretta è la via della salvezza? Certi della resurrezione di Cristo, invitiamo tutti alla riscoperta della fede, unica, indispensabile arma per affrontare il futuro nella nostra vita e nella nostra città.

Carlo e Simona Cetrioli

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SportTestimoVola 15 marzo 201018 19 Palla ovale Un messaggio da “L’Aquila rugby 1936”

più difficile è rialzarsi

Dare voce alle realtà sportive aquilane signi-fica volgersi al

“Tommaso Fattori” (lo stadio comunale) e lasciare che la mente focalizzi il primo ricordo rosso-blu e nero-verde: tali sono i colori del-le squadre maggiormente rappresentative degli sport cittadini, il calcio e il rugby. Aggregazioni di atleti che, come le altre associazioni sportive, hanno profuso il lo-ro impegno al ripristino del-la propria attività sociale, in un anno, che più di ogni al-tro del passato, si è rivelato penoso sia moralmente che economicamente. Da que-sta aspettativa di difficoltà, lo sport aquilano, e il rugby in particolare, ha cercato di trarre frutto dalle proprie qualità. Così, il “fair play” della missione di gioco si è riversato nelle iniziative so-lidali a favore della colletti-vità aquilana. Chiediamo al direttore mar-keting della società nero-verde, Marco Molina, lo stato attuale degli sforzi spesi per assicurare ai propri atleti un campionato futuro in terra aquilana, restituendo ai tifo-si gli allenamenti degli Im-pianti sportivi Acquasanta.

Cosa ha significato per voi tornare a fare sport, per divertire e competere, mettendo a frutto i pro-pri “talenti”, in una città che ancora non riusciva a “leccarsi le ferite” nei primi mesi successivi al disastro, e con le perdite affettive che hanno colpi-to, purtroppo, anche la vo-stra società?Il nostro sport ci insegna che la cosa più difficile non è cadere, ma rialzarsi e, con il sostegno dei propri com-pagni, spostare sempre in avanti gli obiettivi da rag-giungere. Per questo motivo la nostra squadra è tornata

in campo; abbiamo ritenuto giusto dare un segno di for-te speranza ai tanti aquilani che in quel momento aveva-no smarrito ogni riferimen-to. Senza alcuna presunzio-ne abbiamo cercato di dire a tutti che dovevamo assolu-tamente rialzarci dopo il du-rissimo “placcaggio” (Nel Rugby, azione di bloccare un giocatore afferrandolo per le gambe o per la vita, ndr) subìto e porci come obiet-tivo la rinascita della nostra bellissima città. Chi non c’è più sarà sempre nel nostro cuore e giocherà con noi le partite che affrontiamo tutti i giorni nella vita.

La vostra società è stata investita dalla solidarietà sportiva nazionale?Molti ci sono stati vicini, ma molte di più sono state le promesse non mantenu-te. Tutto ciò che la società ha fatto lo ha fatto con le proprie forze presentando progetti concreti che ci han-no consentito di avvicinare investitori ed aziende. Rin-graziamo il Gruppo Ferla e la Carispaq, che ci hanno supportato e sostenuto so-prattutto nei momenti più difficili, e da ultimo lo spon-sor TIM, che in questo mese (marzo, ndr) ha legato il pro-prio brand alla Ferla L’Aqui-la Rugby 1936, non solo sul campo da gioco ma anche negli obiettivi sociali che la

squadra si è prefissata - ad un anno dal terremoto - in quanto elemento di identità collettiva della città e della regione. Avete promosso iniziative per collaborare alla ripre-sa di altre realtà sportive e non?La società si è fatta promo-trice di una serie di iniziati-ve per la ricostruzione guar-dando soprattutto alla realtà giovanile, che rappresenta il perno del tessuto sociale. Siamo diventati testimonial del Progetto Giovani per l’Abruzzo ( patrocinato dal Ministero della Gioventù), che si prefigge di realizzare a L’Aquila il “Villaggio della Gioventù”, uno spazio po-lifunzionale dove praticare sport, musica, arte e cultu-ra e dove i giovani aquilani possano ritrovarsi insieme ed esprimere liberamente le loro peculiarità.Ad un anno dal terremoto più importante per la sua devastazione, quanto è stato fatto, concretamen-te, rispetto agli intenti, da parte delle istituzioni locali, per ripristinare le condizioni necessarie per tornare a gareggiare?Non spetta a noi dirlo. I ri-

sultati sono sotto gli occhi di tutti! L’unico fatto reale e concreto è che la nostra squadra è stata costretta ad emigrare dapprima a Rocca di Mezzo e poi ad Avezza-no. Se non avessimo trova-to il grandissimo sostegno dell’Avezzano Rugby non saremmo riusciti nemmeno ad allenarci. A loro e alla Presidentessa Sonia Sorgi va il nostro più grande ap-plauso e ringraziamento per l’enorme sacrificio che stan-no facendo.Si è sempre parlato con ammirazione dei valo-ri che lo sport del Rugby in particolare ha sem-pre messo in luce nelle proprie competizioni: onestà di gioco, rispetto della persona, lealtà, at-tività sportiva volta al be-nessere fisico e mentale dell’uomo. E l’altruismo mostrato nei primi soc-corsi del post terremoto dai vostri ragazzi?È vero, il rugby è uno sport che ti insegna che devi da-re prima ancora di chiede-re, che avanzare sempre è determinante sia in attacco che in difesa, che il confron-to è leale perché l’avversa-rio ce l’hai sempre di fronte, ma soprattutto ti insegna che sostenere il proprio compagno è fondamentale per raggiungere qualsia-si obiettivo. I nostri ragazzi hanno fatto quello che fanno sempre in campo… hanno dato sostegno.

Dalla redazione di “Vola” l’augurio di un’agile e saga-ce ripresa a L’Aquila Rugby 1936 S.S.D. A.r.L., la cui sede è c/o gli Impianti sportivi Acquasanta, via Montorio al Vomano, L’Aquila; sito in-ternet www.laquilarugby.com. Albo d’Oro: Campio-ne d’Italia 1967, 1969, 1981, 1982, 1994 - Coppa Italia 1973, 1981.

Samantha Benedetti

Vola 4 aprile 2010

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Testimocultura Vola 15 marzo 201020 21

Musica Una nuova sede e un concerto il 6 aprile

Anche la musica per rinascere

Sta finalmente per arrivare in dirittu-ra d’arrivo la sede provvisoria dei So-

listi Aquilani, (www.isoli-stiaquilani.it) una delle più prestigiose formazioni di musica da camera nel pa-norama musicale italiano e internazionale. È stata in-fatti individuata l’area su cui avrà vita il “Progetto Piazza” al quale aderiscono 16 asso-ciazioni cittadine.. Ognuna di esse avrà una struttura modulare tipo container e saranno tutte localizzate nel polo scolastico di Via Ficara. Le difficoltà operative che l’istituzione musicale soffre avranno così una parziale soluzione. “In assenza di uno spazio in cui provare”

ci dice Maria Pelliccione, re-sponsabile della segreteria artistica “diventa tutto mol-to complicato. In occasione delle trasferte, partiamo un giorno prima per poter provare. Tutti ci mettono a disposizione gratuitamente le loro strutture, e in questo abbiamo riscontrato una grande generosità ovunque siamo andati. Non ci siamo mai fermati, ricordo ancora come, nel parco giochi vici-no casa, ho iniziato a chiama-re i musicisti per il concerto che abbiamo poi tenuto a Ri-eti il 16 aprile 2009. È stato un anno molto intenso in cui abbiamo lavorato più di pri-ma, con impegni in ambito nazionale e internazionale imprevisti. Abbiamo riaper-

to la stagione concertistica in città condividendo con le altre istituzioni musicali lo spazio del Ridotto del Teatro Comunale. Purtroppo, nei concerti aquilani, abbiamo notato una sensibile dimi-nuzione degli spettatori. Di persone ne vengono po-che”. È un segnale di crisi non solo del post terremoto, esso riguarda anche ambiti più generali della vita socia-le. Il 6 aprile 2010, giorno di lutto cittadino, I Solisti Aqui-lani si esibiranno all’Univer-sità di Coppito in occasione di un convegno sul rischio sismico. Per non dimentica-re. A maggio poi saranno in Giapppone e continueranno a portare in Italia e nel mon-do il prestigio della cultura

musicale abruzzese. L’augu-rio che facciamo ai Solisti Aquilani, e a tutti noi, è che la loro sede artistica, l’ora-torio barocco di San Giu-seppe dei Minimi, torni ad essere agibile prima possi-bile. Non sarà un’attesa bre-ve, nel frattempo gli aquilani sapranno certo maturare an-cor di più la consapevolezza che la ricostruzione della città passa soprattutto attra-verso l’apprezzamento del proprio patrimonio cultura-le perché è attraverso esso che le giovani generazioni potranno fare memoria del passato da cui provengono e mettere le radici per il lo-ro futuro.

Angela Alfonsi

Scuola Continuità didattica e affettiva

Il filo non si è spezzato“Dopo le difficoltà incontra-te a causa del sisma, oggi tutte le scuole hanno una propria sede dove svolgere le attività didattiche” questo è quello che orgogliosa-mente ci ha detto la respon-sabile dell’ufficio scolastico Rita Vitucci. Tante sono state le forze impiegate in quest’ anno per garantire il diritto all’istruzione, organizzando lezioni nelle tendopoli pri-

ma e l’avvio del nuovo anno poi. Al momento della ria-pertura delle scuole, secon-do i tempi ministeriali, tutti gli insegnanti e il persona-le ATA erano stati nominati e pronti per cominciare il nuovo anno scolastico. Il 21 settembre sono iniziate le lezioni per le scuole che non avevano subito gravi danni a causa del sisma e messe in sicurezza durante l’esta-

te, mentre, il 5 ottobre, per tutte le altre presso i MUSP (Moduli ad Uso Scolastico Provvisori) o appoggiate in altre scuole in attesa di una propria sede. Nei giorni suc-cessivi alla riapertura erano presenti, in molti istituti, del-le squadre di Vigili del Fuo-co per spiegare a bambini e ragazzi ciò che era successo il 6 aprile e come compor-tarsi in caso di emergenza.

Facendo un bilancio a metà anno scolastico, per quan-to riguarda le elementari e le medie, le famiglie hanno preferito riscrivere i figli nelle scuole frequentate prima del terremoto per mantenere una continuità sia didattica che affettiva, piuttosto che trasferirli in strutture antisismiche o più vicine alla nuova abitazione. La scuola per molti studenti ha rappresentato un “ritor-no alla normalità” da dove ripartire per costruire un nuovo futuro.

Rita Colagrande

Vola 4 aprile 2010

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Lavoro22 23

Raimondo, ti invio il nostro logo aziendale ,dovresti farci aggiungere la seguente dicitura

Territorio Un’idea di città con uno slancio

un nuovo capitolomorale e culturale

di storia

I l terremoto non ha colpito solo case e chiese, costrin-gendoci ad abbandonare la città e a cambiare completa-

mente la nostra quotidianità. Il ter-remoto ha bruscamente interrotto il lavoro di chi possedeva un’attivi-tà commerciale nel centro storico, rendendo precario ed incerto il fu-turo di intere famiglie. In questi mesi pochi, troppo pochi sono i negozi che hanno riaperto, grazie allo sforzo degli aquilani più “temerari”, come Michele e Rino, i fioristi di via Castello, che dopo quasi un anno sono tornati di nuovo a lavoro. Un padre e un figlio, uniti dalla passione di fare, dall’amore per una città che non poteva e non deve essere abban-donata, e “dal desiderio forte di voler aprire ancora la serranda del mio negozio, mio da 15 anni, e riprendermi un pezzo della mia vita”, dice Michele. E mentre rac-conta come e cosa ha dovuto fare per ottenere l’agibilità parziale del locale, saluta calorosamente una cliente, giunta lì per prendere solo un ciclamino e fare tanti au-guri al suo fiorista di fiducia. “La solidarietà degli aquilani e dei tu-risti che si fermano anche solo per acquistare una primula, ci spinge ad andare avanti – continua Rino, giovane pieno di entusiasmo che da poco ha ereditato l’attività; – abbiamo affrontato tante spese e sappiamo che ci aspetta un perio-do duro, ma quando domenica 21 marzo bambini e genitori sono ve-nuti a comprare le piantine per le aiuole del parco del Castello, ho sentito che possiamo farcela”. Stessa convinzione nelle parole di Roberta, titolare del Salvadanaio, negozio di articoli per la casa un tempo sito in pieno centro, in via delle Grazie. Per poter riaprire Roberta e i suoi fratelli hanno in-vestito tutti i risparmi nell’acquisto di un prefabbricato collocato ora in zona Torrione. La loro speranza di poter essere rimborsati alme-no in parte si è presto dissolta ma nonostante le tante difficoltà si va avanti, coi nuovi clienti, per lo più gente di passaggio: “si, è cambiato tutto – sottolinea Roberta – nessun aiuto, nessuna garanzia da parte delle istituzioni. Ma io ho voluto

Occupazione In zona rossa ha ripreso solo qualche attività commerciale

Il lavoro è ancora fuori città!riprendere a lavorare per dare un senso alle mie giornate”. C’è chi invece non riuscirà a ria-prire. La storica trattoria S. Biagio, una delle più antiche attività della città, gestita dal 1962 dai fratelli Di Carlofelice, per ora resterà chiusa. “Il terremoto mi ha danneggiato la mente – dice Andrea, uno dei tito-lari – e mi ha tolto la voglia di ri-cominciare. Certo, mi manca il con-tatto con la gente, ma a 72 anni non ce la faccio a ripartire da zero. Per questo ora mi dedico ai nipoti”.

Alessandra Circi

È passato ormai un anno dalla terribi-le e funesta notte del 6 aprile che

ha schiantato la nostra Cit-tà, mobile come l’acqua da cui trae il suo nome eppure “immota” nell’ostinazione di rinascere ogni volta che la terra la scuote dal pro-fondo. Un anno segnato dal-la grande diaspora estiva, dall’odissea delle tendopoli, dallo storico evento del G8, dalla comparsa dei nuovi insediamenti “durevoli”, dal lento ripartire delle attività commerciali e produttive, dalla nascita spontanea del colorato “popolo delle car-riole”. A poco a poco, nel corso di questo anno memorabile, è scomparso dai nostri vol-ti lo sguardo di sgomento dei primi mesi e abbiamo re-imparato a vivere una vi-ta “normale”, ma la nostra memoria è ormai irrever-sibilmente spaccata in due (in un prima e in un dopo-

terremoto) e i nostri discor-si continuano a ruotare sulle incertezze del domani. Co-me direbbe Flaubert, “l’av-venire ci tormenta e il pas-sato ci trattiene”.A un anno dal sisma, spenti i riflettori del circo media-tico e scalate le montagne di carta della rediviva buro-crazia, si avvia lentamente la cosiddetta “ricostruzione leggera”, ma il nostro centro storico (il terzo d’Italia per estensione e uno dei più ric-chi di edifici monumentali vincolati) resta ancora pre-cluso e soffocato da milioni di tonnellate di macerie. Lo stesso vale per i centri stori-ci minori e per le abitazioni inagibili dan-neggiate nelle parti strutturali. Se è vero che “il sistema Italia” ha funzionato così efficace-mente al tem-po dell’emer-genza, è chiaro

che tante lentezze sono oggi legate all’insufficien-za dei fondi necessari alla ricostruzione e alla mancata applicazione di una tassa di scopo. Nel frattempo il territorio cambia forma, non solo a causa dei 19 insediamenti del progetto C.A.S.E. e dei villaggi dei Moduli Abitati-vi Provvisori, ma per i tanti interventi estemporanei e scollegati, di tipo abitativo e commerciale, nati nel clima di “deregulation” seguito al terremoto. In queste con-dizioni, ogni discorso sulla ricostruzione che voglia tra-sformare la nostra sventura in una opportunità positiva,

dovrebbe es-sere prelimi-narmente in-quadrato in una visione complessiva e condivisa della città che voglia-mo. Invece, pa-radossalmente,

di questo ancora troppo po-co si discute, soprattutto da parte della classe politica, capace di tutto tranne che di progettare il futuro. Personalmente, continuo a sostenere che il model-lo auspicabile sia quello di una città-territorio di ti-po policentrico, nella qua-le funzioni e servizi siano diffusi in modo razionale e democratico, pur lascian-do il principale ruolo ad un centro storico abitato, ben ristrutturato, pedonalizzato e decongestionato. Il flusso centrifugo innescato dal ter-remoto e la creazione di fat-to di un’area metropolitana offrono infatti l’occasione di risanare antichi squilibri e di pensare una “città verde” immersa nella natura, che non si rinserri dentro le mu-ra, ma sfrutti a pieno le sue risorse in termini economici

Esecuzione di prove su edifici esistenti,

per adeguamenti statici.Per info e preventivi

347/1653436

Vola 4 aprile 2010

e di qualità della vita. Credo tuttavia che un gros-so sforzo vada compiuto anche nella direzione della ricostruzione morale, psi-cologica e sociale della no-stra comunità, superando atteggiamenti di indolenza, parassitismo economico, individualismo, già presen-ti prima del sisma. Anche in questo caso si offre oggi l’opportunità di creare nuo-vi luoghi e nuove forme di aggregazione, di chiamare i cittadini ad una parteci-pazione attiva, di formare generazioni capaci di espri-mere nuove abitudini di vita e una sensibilità culturale adeguata alle tradizioni del nostro popolo. È il caso di sottolineare in conclusione che oggi qui si scrive un nuovo capitolo della storia aquilana, il cui esito è legato al nostro amo-re per la Città ma soprattutto all’intelligenza che sapremo mettere in campo.

Walter Cavalieri, storico

ricostruireVola 4 aprile 2010

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