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numero 4 2013 ANNO XIII - NUOVA SERIE - N. 4 - LUGLIO/AGOSTO 2013 - Euro 3,00 - SPED. ABBONAMENTO POSTALE 70% - FILIALE DI ROMA Speciale Venezia Tutti i film Enrico Maria Artale, Emma Dante, Daniele Gaglianone, Matteo Oleotto, Gianfranco Rosi, Ettore Scola, Paolo Zucca L’intrepido di Gianni Amelio Bimestrale d’informazione cinematografica edito dalla FICE - Federazione Italiana Cinema d’Essai anteprima La prima neve di Andrea Segre interviste Isabelle Huppert Bruno Oliviero pag. 5 Scegli il film d’essai ed il film d’essai italiano che hai amato di più Speciale Festival dell’estate

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Speciale VeneziaTutti i film

Enrico Maria Artale, Emma Dante,Daniele Gaglianone, Matteo Oleotto,

Gianfranco Rosi, Ettore Scola, Paolo Zucca

L’intrepidodi Gianni Amelio

Bimestrale d’informazione cinematografica edito dalla FICE - Federazione Italiana Cinema d’Essai

anteprimaLa prima neve

di Andrea SegreintervisteIsabelle HuppertBruno Oliviero

pag. 5

Scegli il film d’essai ed il film d’essai italianoche hai amato di più

Speciale

Festival dell’estate

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rigorosi che hanno scatenato in passatoentusiasmi cinefili ma che difficilmenteintrecciano un rapporto con il pubblicodelle sale d’essai (Garrel, Gitai), registipoliedrici come Frears, Gilliam e Leconte,altri che devono dimostrare la propria“autorialità” (Curran, Glazer, Green),presenze festivaliere in ascesa (Dolan,Franco) e un parterre di documentaristiragguardevole, da Errol Morris ad AlexGibney al decano Frederick Wiseman, senzadimenticare che in concorso figura conSacro GRA (in uscita a fine settembre)anche Gianfranco Rosi, già presente aVenezia con i precedenti Below sea level edEl sicario (finanziati all’estero). Barberasottolinea che “ormai la distinzione tra filmdi finzione e documentario appartiene alpassato, è inadeguata e imprecisa: tutti edue sono opere di creazione”. Per quantoriguarda gli italiani, in concorso un soloautore affermato, il citato Amelio, che neL’intrepido (nelle sale del 5 settembre)

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••• È una Mostra senza frontiere,quella proposta dal direttore AlbertoBarbera per celebrare l’edizione numero 70.Due documentari in concorso, apertura echiusura all’insegna del 3D, grandeanimazione giapponese, tante opere primema anche opere di genere. In più, unnumero elevato di film fuori concorso e unasezione Orizzonti ormai paragonabile alCertain regard di Cannes, di fatto unconcorso parallelo senza le sperimentazionidella precedente gestione. Tra i temidominanti, Barbera cita “la presa d’attodelle crisi odierne: molti film non presentanoun’apertura verso il futuro e in gran parteriprendono temi perturbanti, violenti, con lapresenza ricorrente dell’esplosione dellafamiglia”. Se gli studios confermano latendenza a disertare i festival più prestigiosi(ma costosi), privilegiando la più glamourousToronto che si apre una settimana dopo (eche ospita le nuove regie di Steve Mc Queen,Denis Villeneuve, Atom Egoyan, Paul Haggis,

Bertrand Tavernier, Jason Reitman), fioccainvece la produzione indipendente a stelle estrisce. In concorso c’è sorprendentementeun solo autore d’Oltralpe a fronte di unasolida presenza britannica, di una singolarericchezza produttiva australiana (in tutte lesezioni) e di presenze interessanti dallecinematografie minori. Se BernardoBertolucci avrà l’onore e l’onere dipresiedere nuovamente, a distanza di 30anni, la giuria (che vede schierati i registiAndrea Arnold, Pablo Larrain, Jiang Wen,le attrici Carrie Fisher, Martina Gedeck eVirginie Ledoyen, il compositore RyuichiSakamoto e il direttore della fotografiaRenato Berta) e se la cifra tonda saràfesteggiata col film a episodi Venezia 70 –Future reloaded, con 70 registi di tutto ilmondo che hanno regalato un corto dimassimo 90 secondi, la selezione ufficialeesibisce pochi Maestri (Amelio, Miyazaki,Scola, Wajda, Tsai Ming-liang, uno Schraderconsiderato “minore”), alcuni autori

Specia le Venez

Il gusto del cinema

THE WIND RISES

Il gusto del cinemaUna Mostra con pochi Maestri, un’attenzione speciale al documentario e ai temi diattualità e un cinema italiano tutto da scoprire: la 70^ edizione, dal 28 agosto al 7settembre, vede Bertolucci presiedere la giuria e Friedkin Leone alla carriera

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70ª Mostra del C inemaia 2013

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rimescola il proprio stile con ledisavventure del precario svagato AntonioAlbanese, mantenendo elevata l’attesacome per ogni suo film, dopo la parentesifrancese del bello ma sfortunato Lepremier homme; e poi due film “amargine”: l’opera prima di Emma Dante,che aggiunge il cinema al suo carnetartistico anche da coprotagonista (ViaCastellana Bandiera, naturalmenteambientato nella sua Palermo e in uscita ametà settembre) e appunto Rosi. Con Medusa che solo di recente è tornata ainvestire, non necessariamente nel cinemad’autore, si è rotto il duopolio RaiSet cheha prodotto selezioni da “manualeCencelli” nell’era Müller, a tutto beneficiodelle produzioni indipendenti – da citareanche il ritorno di Ettore Scola, che rivisitaFellini con Che strano chiamarsiFederico e che a Venezia riceverà il PremioJaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker.Se Luchetti ha preferito non esporsi allereazioni spesso scomposte della plateaveneziana, scegliendo Toronto per la primamondiale di Anni felici, non c’erano moltialtri registi affermati pronti e speriamo checiò sia solo una contingenza e non l’indicedel calo produttivo in un paese che nonriesce a garantire stabilità a misureincentivanti (come il tax credit, recuperatoin extremis a fine luglio dal decreto leggeper la cultura grazie all’impegno delpremier Letta e del ministro Bray).

ConcorsoL’esposizione dei titoli non può che partiredal giapponese Hayao Miyazaki, già Leonealla carriera, di nuovo in concorso dopoPonyo sulla scogliera con The wind rises (iltitolo proviene da Paul Valéry, Le vent selève, il faut tenter de vivre), già uscito inpatria e ispirato a Jiro Horikoshi, progettistadi un aeromobile impiegato nella SecondaGuerra Mondiale, con molta fantasia e la“voce di dentro” del collega italianoCaproni. L’autore sottolinea che il film“descrive la gioventù giapponese degli anni‘30”, che “il sogno del protagonista contieneun elemento di pazzia” e che questi “eraimpegnato a progettare aeroplani mentrel’Impero giapponese si avviava verso la suadistruzione”. Di spettacolare bellezza anchel’anime in 3D che Shinji Arakami ha trattodal manga di Leiji Matsumoto, Space PirateCaptain Harlock, fuori concorso. Sel’apertura, in 3D e fuori concorso, è dedicataagli astronauti George Clooney e SandraBullock che a seguito di un incidente sitrovano a vagare nello spazio in Gravity (èil ritorno a Venezia del messicano AlfonsoCuaron, dopo l’ottimo Children of men), ilcinema Usa indipendente promette buonevisioni, a partire da Parkland di PeterLandesman, coprodotto da Tom Hanks, cheruota intorno all’assassinio di John Kennedy.Il titolo si riferisce al Parkland MemorialHospital di Dallas, dove sono morti sia JFKche il suo omicida Lee Harvey Oswald cheJack Ruby, che fece fuori quest’ultimo (per

saperne di più vi invitiamo a leggereAmerican tabloid di James Ellroy), e adotta ilpunto di vista multiplo dei numerosipersonaggi (nel cast James Badge Dale, ZacEfron, Marcia Gay Harden, Paul Giamatti eJackie Weaver). Sempre più lanciato neifestival, dopo alcuni corti sperimentali e larilettura di Faulkner As I lay dying, vista aCannes, ecco James Franco che adattacoraggiosamente Cormac Mc Carthy e il suoChild of God, storia di un uomo isolatodalla società, violento e disadattato (Francoè anche interprete e autore dei racconti dacui è tratto Palo Alto, esordio della nipoted’arte Gia Coppola, in Orizzonti, storia d’ungruppo di adolescenti propensi a mettersinei guai). Atmosfere southern in Joe diDavid Gordon Green, che dopo il demenzialePineapple express si è segnalato al Sundancecon Prince avalanche (e ha rinviato il remakedi Suspiria): il film con Nicolas Cage narral’amicizia tra un ex-galeotto e un 11ennesbandato, all’insegna della redenzione. KellyReichardt, dopo Wendy e Lucy e il deludentewestern al femminile Meek’s cutoff, conNight moves descrive tre ambientalisti che,tra ideali e scelte estreme, tramano diabbattere una diga (nel cast Jesse Eisenberg,Dakota Fanning, Peter Sarsgaard). ErrolMorris (The fog of war, The thin blue line) inThe unknown known: the life and timesof Donald Rumsfeld ripercorre la carrieradell’ex Segretario alla Difesa e la storiaamericana dal Watergate alla “guerra alterrore”. Promette emozioni forti il greco

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PARKLAND

JOE

KILL YOUR DARLINGS

MAY IN THE SUMMER

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Miss Violence di Alexandros Avranas, incentrato sul suicidiodell’11enne Angeliki e sull’indagine dei servizi sociali intorno a unafamiglia fin troppo ordinaria. Sembra una famiglia ideale anche quelladel fluviale La moglie del poliziotto di Philip Gröning, ma le violenzedomestiche spingono la donna sempre più in basso, nel tentativo dicrescere il figlio con serenità. L’algerino Merzak Allouache (Le repenti,alla Quinzaine 2012) tratteggia nel corale, intimista Les terrassescinque storie nell’arco di una giornata ad Algeri. Il prolifico canadeseXavier Dolan (J’ai tué ma mère, Lawrence anyways) con Tom à la fermepropone un thriller psicologico di cui è anche protagonista, che si dipanadal ritorno in campagna di un copywriter per un funerale. Dopo laminiretrospettiva a lui dedicata un anno fa, Amos Gitai propone AnaArabia, un unico piano sequenza che descrive l’incontro tra unagiornalista israeliana musulmana con una comunità che vive tra Jaffa eBat Yam. Dopo Il gusto dell’anguria, Tsai Ming-liang, già Leone d’orocon Vive l’amour, in Stray dogs descrive un padre e due figli che vivonoai margini di Taipei in un caseggiato abbandonato, e l’arrivo di unadonna che riporta alla superficie sentimenti sopiti. Al 24° film, PhilippeGarrel torna a dirigere il figlio Louis (ahinoi?), con Anna Mouglalis, neLa jalousie, storia dell’amour fou che allontana il protagonista dallacompagna e dal figlio. Sul versante anglofono, John Curran (I giochi deigrandi, Il velo dipinto) in Tracks narra il percorso estremo (2700 km) diuna giovane donna (Mia Wasikowska) attraverso i deserti dell’Outbackaustraliano, in compagnia di cammelli e un cane, dalle memorie diRobyn Davidson. Jonathan Grazer (Sexy beast, Io sono Sean) adattaUnder the skin di Michel Faber, fantascienza on the road che riflette sulnostro mondo visto con gli occhi dell’aliena Scarlett Johannsson, intentaad abbordare autostoppisti da trasformare in carne succulenta. Infine, iben noti Terry Gilliam e Stephen Frears. Il primo sembra risorgere con il

SpecialeVene

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Matteo Oleottoi n t e r v i s t a

Il fascino dei perdentiLa provincia friulana, il vino, il desiderio dirivalsa e “Zoran, il mio nipote scemo” al centrodel film italiano in concorso alla Settimanadella Critica, con Giuseppe Battiston

••• “Noi friulani risentiamo dello spirito dell’est, pervaso dapassione e malinconia”, dice Matteo Oleotto spiegando lo spirito delsuo film d’esordio, Zoran, il mio nipote scemo, in concorso allaSettimana della Critica di Venezia. Zoran è una commedia dallemolte sfumature, che ha per protagonista Paolo (GiuseppeBattiston), cuoco quarantenne e divorziato, costretto controvoglia aoccuparsi del nipote quindicenne Zoran, rimasto improvvisamenteorfano. Si ricrede quando scopre lo straordinario talento del ragazzoper il lancio delle freccette, intravedendo la possibilità di sfruttarlo.Al centro del film c’è la provincia friulana, che è la tua.Perché hai scelto proprio quest’ambientazione?La mia grande fortuna è stata quella di distaccarmi dalla provinciaper una decina d’anni, durante i quali ho vissuto fuori, per poiriuscire a vederla dall’esterno. La provincia è un posto che ti puòfagocitare, dove la vita di ognuno è pubblica e si ricorre al cinismo eall’ironia per reagire alla sofferenza e al senso di fallimento. Hosempre provato un senso di fascinazione verso i perdenti, per chicontinua a combattere nonostante la vita non sia stata generosa.C’è un protagonista che non compare nel cast ma è moltopresente: il vino…Nelle mie zone c’è una grossa cultura del vino, che spesso sitrasforma in problema. Il vino può essere un viatico per stareassieme, oppure per scappare o fantasticare: un compagno diviaggio che va rispettato, perché se preso sotto gamba rischia diavere il sopravvento su decisioni e volontà. È quasi impossibile viverein quella terra senza avere a che fare col vino.Hai avuto qualche riferimento cinematografico nello scrivereil film?Il riferimento è alla commedia italiana degli anni Sessanta, chetrattava con leggerezza temi molto duri, ma anche a certo cinemaindipendente internazionale, come I lunedì al sole o Little MissSunshine. Sono film dall’identità molto precisa ma allo stessotempo trattano temi in cui si possono riconoscere spettatori di tuttoil mondo.Giuseppe Battiston, forse per la prima volta, è protagonistaassoluto.Battiston è stato coinvolto fin da subito e questo ci ha permesso dicucirgli addosso il personaggio. Giuseppe è un attore d’intelligenzae generosità rare, qualsiasi proposta facesse sul set era per il film,non per se stesso. Con Rok Prasnikar, interprete di Zoran, si è creatal’alchimia giusta, anche se non si capivano perché Rok non sal’italiano e Battiston non parla inglese. Abbiamo battuto un paio diciak sfruttando proprio questa incomprensione, che è funzionale alloro rapporto.

• BARBARA CORSI

MISS VIOLENCE

CHILD OF GOD

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70ª Mostra del Cinema

Una vita diversaIl rugby come sfogo e possibilità diriscatto nell’opera prima “Il terzo tempo”,con Lorenzo Richelmy, Stefania Rocca e Stefano Cassetti

••• Enrico Maria Artale, il cui Il terzo tempo sarà nelle saledopo la presentazione ad Orizzonti, è diplomato in regia al CentroSperimentale di Cinematografia. Ha scritto il film con FrancescoCenni e Luca Giordano, dopo essersi avvicinato al rugby attraverso ildocumentario I giganti dell’Aquila, dedicato alla squadra dellacittà colpita dal sisma. “Mi appassionava l’idea di sviluppare ledinamiche che avevo incontrato girando il documentario”, spiegaArtale. “Sono sempre stato appassionato sia di sport che del cinemache lo racconta”.Un tema molto sviluppato dal cinema Usa, meno da quelloitaliano.I film sullo sport sono usciti dagli schemi retorici e abusati degli anni‘80 e ’90, film come The fighter hanno stimolato un approccionuovo. Se in Italia ciò non avviene è perché lo sport per eccellenzada noi è il calcio: è tecnicamente complicato fotografare uno sportdove la palla è all’altezza dei piedi, laddove è il viso a raccontare leemozioni. Il cinema sportivo da noi è sempre stato marginale,utilizzato al massimo come cornice per le commedie. A meinteressava invece ispirarmi all’ultimo cinema americano proprio perla sua capacità di ribaltare gli schemi, per esplorare percorsiindividuali ed emotivi.Il terzo tempo racconta la storia della riabilitazione di unragazzo in un’azienda agricola, mentre il suo supervisore neintuisce la potenzialità come rugbista. Un racconto diredenzione?Il rugby acquista un significato che va oltre il semplice agonismo,diventa metafora della vita e della voglia di tornare a sperare. Ilterzo tempo è quello che si svolge al termine della partita tra lesquadre avversarie e le diverse tifoserie: si celebrano vincitori e vinti,riconoscendo il valore e le capacità di entrambe le formazioni. Il filmracconta una storia di riscatto, il protagonista intuisce la possibilità diuna vita diversa. Abbiamo voluto mettere da parte quanto c’è diretorico, paternalistico e patinato in alcune storie che riguardano igiovani, raccontati da chi non ha più la loro età. Alla base di tuttoc’era la voglia di raccontare durezza, divertimento e vitalità di un’etàe dell’epoca in cui viviamo.Come ha ottenuto questo risultato?Prima di scegliere gli attori ho fatto una lunga serie di provini e conLorenzo Richelmy ho anche vissuto durante le riprese, in modo dastabilire un forte legame. Stefania Rocca e Stefano Cassetti, cometutto il cast, mi hanno aiutato moltissimo. Cassetti ha grandeesperienza internazionale e lo spettatore può pensare che il film, purambientato nella provincia romana, poteva essere girato ovunqueper il suo afflato universale.

• MARCO SPAGNOLI

Enrico Maria Artalei n t e r v i s t a

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fantascientifico The zero theorem, che vede un genio informatico(Christoph Waltz) ossessionato dalla ricerca della formula del sensodella vita in una società orwelliana. Frears ritrova lo smalto delle operemigliori, assieme a una grande Judy Dench, in Philomena, storia diun’irlandese sulle tracce del figlio che diede in adozione, cresciutonegli Usa: sorprese ed emozioni garantite.

Fuori concorsoOltre ai citati Cuaron, Scola e Aramaki, da segnalare Kim Ki-duk, Leoned’oro 2012 con Pietà, che in Moebius promette atmosfere ancora piùtorbide tra incesto e violenza familiare (inclusa un’evirazione). EdgarReitz aggiunge nuovi capitoli alla saga Heimat (Home from home –Chronicle of a vision, 3h45’), Greg McLean dà un seguito all’horrorWolf creek, il coreano-giapponese Lee Sang-il assolda Ken Watanabe peril remake de Gli spietati (Unforgiven). Patrice Leconte in Une promesse,tratto da Stephen Zweig, descrive una tresca amorosa nella Germaniapre-Grande Guerra. Stephen Knight in Locke inserisce Tom Hardy e OliviaColman in un thriller in tempo reale, Paul Schrader in The canyons,scritto da Bret Easton Ellis, assembla Lindsay Lohan e la pornostar JamesDeen (il regista-sceneggiatore presiede la giuria di Orizzonti). AndrzejWajda, con Ewa Brodzka, fornisce con Walesa. Man of hope un ritrattodell’elettricista polacco che si fece leader carismatico, cruciale per le sortidell’Europa dell’Est. Molti, e interessanti, i documentari a partire daSummer 82. When Zappa came to Sicily di Salvo Cuccia, che confilmati inediti ripercorre il concerto di Frank Zappa allo stadio La Favoritadi Palermo, sospeso dopo 20’ per gli scontri tra pubblico e polizia, maanche l’offensiva dei corleonesi e il fenomeno dell’emigrazione (nonni epadre del mitico musicista lasciarono Partinico ai primi del ‘900). FrederickWiseman (83 anni, 39 film) At Berkeley descrive la gestione della celebre

zia 2013

MOEBIUS

UNFORGIVEN

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70ª Mostra del Cinema

Diario intimo e oniricoAbbiamo incontrato al Teatro 5 di Cinecittà l’autore chegrazie a “Che strano chiamarsi Federico”, omaggio a Fellinie ai rapporti tra i due maestri, è tornato dietro la cinepresa

••• Via Veneto, l’avanspettacolo, la redazione del Marc’Aurelio, persino l’albergodiurno Cobianchi… Il mondo di Fellini rivive in Che strano chiamarsi Federico, il filmdi Ettore Scola fuori concorso a Venezia. Il titolo riprende un verso di Garcia Lorca(entre los juncos y la baja tarde, qué raro me llame Federico) per descrivere lesensazioni di un diario intimo, a volte onirico, che finisce per essere un’autobiografiaper interposta persona. Tanti i punti in comune tra i due registi che, separatianagraficamente da 11 anni, si incontrarono, si conobbero, finirono per lavorareinsieme e diventare amici. Uomo riottoso e schivo, Scola per raccontarsi ha scelto lospecchio dell’amico, al quale è stato legato anche attraverso Marcello Mastroianni: “perFellini fu addirittura un alter ego, per me l’attore per cui ho scritto tante parti, da primadi essere regista. Soprattutto, il tramite affettuoso tra me e Federico”. Scritto con lefiglie Silvia e Paola, che molto hanno insistito per riportare al lavoro l’ottuagenariopadre, non è un film di repertorio anche se ci sono gli archivi Luce e Rai, “scene chetutti conoscete, perché anche chi non ha mai visto un film di Fellini è stato in qualchemodo fabbricato dalle sue immagini”. Nel mitico Teatro 5 di Cinecittà il regista diC’eravamo tanto amati e Una giornata particolare ha ricostruito il mondo dellasua giovinezza. Il Teatro 5 era “la casa di Fellini” e il luogo simbolo dove il 31 ottobredel ’93, esattamente vent’anni fa, un’interminabile folla venne a rendere l’ultimoomaggio a uno dei più geniali cineasti che l’Italia abbia avuto. Il Teatro 5 è un ambientefamiliare anche per Scola: qui ha realizzato La famiglia e Il viaggio di CapitanFracassa. Qui venne per la prima volta da bambino con mamma e papà, nel ’36, e fufolgorato, “in una fascinazione quasi omosessuale”, da Amedeo Nazzari che scendeva,bellissimo, da un’Alfa Romeo bianca coupé. Qui ha ricostruito l’abitazione di PiazzaVittorio dove il piccolo Ettore, nato nel ’31, leggeva al nonno cieco la rubrica delMarc’Aurelio, il giornale satirico dove di lì a poco i due si sarebbero incontrati, in unaredazione che ospitava penne aguzze come Metz e Marchesi, Zavattini e Campanile.“Arrivai nel ’47 in quella piccola università dell’umorismo, dove lo scopo del far ridereera intervenire sulla realtà. Una piccola zona di critica al fascismo, cosa in teoriaimpossibile ma si riusciva a rappresentarlo com’era realmente: anche i gerarchi ridevanoe non si rendevano conto di essere presi in giro, per esempio sulla retorica delle folleosannanti e sul linguaggio che usavano e abusavano”. E il comunista Scola rivendica lapoliticità intrinseca di Fellini: “non è vero che fosse apolitico, è evidente la sua satira alfascismo, ad esempio in Amarcord, come pure quella al maschilismo, anche se a voltevenne accusato proprio del contrario”. E tutti ricordano le sue battaglie contro leinterruzioni pubblicitarie dei film: “era preso da sdegni furibondi per i soprusi fatti aifilm da Mediaset. I suoi interventi erano i più accesi e violenti, perché era uomo digrandi principi”. È evidente che per Scola, nonostante la promessa di non fare più film,è stato impossibile non girare questo. “Avevo chiuso col cinema, per una serie di motivipsicologici e politici. Non riconoscevo più nulla della voglia di fare cinema che avevosempre avuto, ma questo non è un film. E non è un documentario. È un film con tantiangolini”, che la scenografia di Luciano Ricceri e la fotografia di Luciano Tovolirestituiscono. “Poi ci sono gli attori, Tommaso Lazotti che fa Federico da giovane eGiulio Forges Davanzati che fa me: sono allievi della Scuola Volontè, entusiasti diaiutarmi a ricostruire la memoria. Quando arrivò a Roma, Federico era alto e magro;quando si fidanzò con Giulietta iniziò a mangiare molto”. Racconta ancora: “ConFederico c’è stata vicinanza fino all’ultimo giorno, tra noi c’erano fitte telefonateall'alba per dieci giorni, poi non ci si sentiva per un mese. Veniva a cena da me ma siteneva il cappotto, il cappello e la sciarpa perché in cucina, dove mangiavamo, c'è unacappa aspirante che faceva vento: aveva paura di ammalarsi”.

• CRISTIANA PATERNÒ

Ettore Scolai n t e r v i s t a

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Venezia ’13

università, dopo 10 settimane di riprese e 250 ore digirato. L’australiana Kitty Green in Ukraina is notbrothel ripercorre la protesta del gruppo femministaFemen, mentre Costanza Quatriglio nel corto Con ilfiato sospeso, con Alba Rohrwacher, si ispira a unastoria vera di ricerca chimica in ambienti insalubri.Presenti inoltre la danese Abba Eborn con Pine Ridge(girato nell’omonima riserva del Sud Dakota), i cortiRedemption dell’emergente portoghese MiguelGomes (Tabù) e La voce di Berlinguer di Mario Sesti-Teho Teardo; il cinese Wang Bing (The ditch) conl’ospedale psichiatrico di ‘Til madness do us apart e i“pezzi forti” The Armstrong lie di Alex Gibney(Enron, Taxi to the dark side), che per 4 anni haseguito il celebre ciclista che ha vinto 7 Tour de France,dal ritiro per cancro allo scandalo doping; e il film dichiusura, Amazonia, spettacolare documentario diThierry Ragobert che ha richiesto 12 mesi di riprese in3D nella foresta brasiliana.

OrizzontiL’Italia schiera l’esordio di Enrico Maria Artale, Il terzotempo con Stefania Rocca e Stefano Cassetti, l’attesaopera seconda di Andrea Segre, La prima neve, el’esordio nella finzione del documentarista AlessandroRossetto, Piccola patria, su un gruppo di giovani, leloro famiglie e una società in trasformazione. È italiano anche il produttore Uberto Pasolini, malavora in Gran Bretagna dove ha diretto l’operaseconda (dopo Machan) Still life, su un meticolosoimpiegato comunale incaricato di trovare i parentiprossimi di chi muore in solitudine. Italiano in trasfertaanche Andrea Pallaoro, 28enne trentino che esordiscenegli Usa con la rivisitazione del mito: Medeas èinterpretato da Catalina Sandino Moreno. È ispirato aTra donne sole di Cesare Pavese l’argentino Algunaschicas di Santiago Palavecino; sono esordi Jem’appelle hmmm… della stilista Agnès B.(sull’incontro tra un’11enne abusata e un 60enne chesaprà ridarle leggerezza e fiducia), Wolfchildren deltedesco Rick Ostermann, vera storia dei ragazzi balticiin fuga dagli orrori dell’ultima guerra mondiale; Lavida despues del messicano David Pablos (due fratelli

STILL LIFE

THE ZERO THEOREM

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e la madre, affetta da disturbi mentali, che improvvisamente scompare). Ilkazako Serik Aprymov propone Little brother, il francese Robin Campillo (Lesrévenants) propone i suoi Eastern boys, all’apparenza prostituti alla Gare duNord; la coppia australiana Amiel Courtin-Wilson e Michael Cody ha girato inCambogia la storia d’amore Ruin, Shakhram Mokri in Fish & cat narra digiovani universitari in viaggio verso il nord dell’Iran. Se The sacrament di TiWest (House of the devil) è un horror su una misteriosa setta, è gradito ilritorno di Sion Sono (Himizu), il cui Why don’t you play in hell? è intriso diodio e vendetta durante la realizzazione di un film, e di Lukas Moodysson(Fucking Amal, Together), che in We are the best! adatta la graphic noveldella moglie su tre outsider nella Stoccolma degli anni ’80.

Venezia ClassiciUna miniera di film restaurati, da Il salario della paura di William Friedkin,Leone d’oro alla carriera 2013, a Le mani sulla città di Francesco Rosi,proiettato il 27 agosto a Campo San Polo; da Paisà di Rossellini a Pane ecioccolata di Brusati, da Vaghe stelle dell’orsa di Visconti a La proprietànon è più un furto di Petri. E poi Renoir, Ford, Resnais, Oshima, Kusturica;Satyajit Ray, Yasujiro Ozu, Weeresethakul tra i registi orientali. La sezionepropone inoltre 11 documentari sul cinema, daProfezia. L’Africa di Pasolini a cura di GianniBorgna a A Fuller life di Samantha Fuller, daTrespassing Bergman di Jane Magnusson eHynek Pallas ad Anna Magnani a Hollywooddi Marco Spagnoli, da Double play: JamesBenning and Richard Linklater di GabeKlinger a Istintobrass di Massimiliano Zanin, daBertolucci on Bertolucci di Luca Guadagnino aNon eravamo solo… ladri di biciclette. IlNeorealismo di Gianni Bozzacchi. Nel corsodella Mostra verranno presentati anche tre filmprodotti da Biennale College, il laboratorio dialta formazione aperto a giovani cineasti ditutto il mondo, ed è confermato il Venice FilmMarket.

SpecialeVene

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Daniele Gaglianonei n t e r v i s t a

Il mondo in un’aulaLa realtà del permesso di soggiorno negatoirrompe nella finzione de “La mia classe”, conValerio Mastandrea che insegna italiano agliextracomunitari, e si riflette nella stessastruttura narrativa dell’opera

••• Il nuovo film di Daniele Gaglianone, La mia classe,selezionato alle Giornate degli Autori veneziane, raccontal’incontro di un maestro d’italiano, interpretato da ValerioMastandrea, con una classe di stranieri.Com’è nata l’idea del film?Il progetto all’inizio prevedeva la storia di un maestro d’italianoche dà lezioni all’interno di una classe di veri studenti stranieri.Ragazzi che dovevano interpretare se stessi attraverso la loroquotidianità, così come è accaduto in altri film come La classe diCantet o Quando la scuola cambia di De Seta. Mentrepreparavo il film, questa realtà ci è esplosa in faccia. Ci siamotrovati a dover scegliere fra l’abbandonare il progetto o dirigerloin maniera completamente differente. Abbiamo così scelto di farentrare nel film tutti quegli elementi che ci stavano provocandoforte disagio. In teoria non avremmo potuto far lavorare lepersone che avevamo fin da subito coinvolto nel progetto ma perfortuna siamo riusciti a risolvere tutte le questioni burocraticheconnesse. È stata una sorta di genesi avventurosa, abbiamo dovutorivoltare il film come un guanto. Perché hai scelto di affrontare il tema della scuola?La scuola rappresenta un luogo privilegiato, perché in uno spaziocosì circoscritto coesistono molti dei conflitti e delle contraddizionidella nostra società. Ritrovi il mondo intero in pochi metriquadrati. La mia classe è un film nel quale è sì presente il temadell’immigrazione, ma ciò che emerge maggiormente è il raccontosu chi ospita, piuttosto che su chi è ospitato. Volevo mettere inevidenza il significato dell’agire coerentemente con le proprieconvinzioni e intenzioni. Spesso si può fare, altre volte no. Bisognaquindi scegliere tra ciò che è legale e ciò che è legittimo. Si trattadi un tema attuale, che nel futuro diventerà sempre più pressanteanche alla luce della direzione nella quale stiamo andando. Come hai impostato il lavoro con Mastandrea?Abbiamo cercato sin da subito di creare con gli studenti ungruppo. Li ho frequentati permettendo loro di conoscere me e imiei collaboratori, Valerio ha fatto lo stesso. Lui è stato il primoe unico attore al quale avevo pensato per la parte, perché dà alpersonaggio una buona fetta di se stesso. È straordinario erecita con naturalezza. Anche gli studenti hanno dimostratonel loro lavoro di attori non professionisti un’intensità che si ètrasformata in una grande capacità affabulatoria, per cui inalcuni momenti del film potrà venire il sospetto che siano attoriche interpretano i personaggi.

• DAVIDE ZANZA

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zia 2013

Giornate degli AutoriLa sezione collaterale diretta da Giorgio Gosetti propone 12 film (di cui 7 opereprime) e 5 eventi speciali. Dall’Italia Daniele Gaglianone presenta La miaclasse, con Valerio Mastandrea maestro d’italiano per immigrati, e gli eventispeciali L’arbitro di Paolo Zucca (in uscita) con Stefano Accorsi e Veneziasalva della documentarista Serena Nono, sul sacco di Venezia del 1618, trattoda Simone Weil e frutto di un laboratorio con la Casa dell’ospitalità di Veneziae David Riondino. C’è anche Maya Sansa nell’esordio francese La belle vie diJean Denizot, storia vera di un padre che si nasconde dalla polizia con i duefigli sottratti alla madre, consenzienti ma ormai adolescenti. Tra gli esordi,parla di adozioni illegali e di una generazione smarrita il bulgaro Alienationdi Milko Lazarov; di oppressione politica e di doppiogiochisti il thrillerisraeliano Bethlehem di Yuval Adler; di ruoli imposti dalla società il turcoNobody’s home di Deniz Akcay Katiksiz; di cinema e di vampiri l’horrord’autore da Hong Kong Rigor mortis di Juno Mak; di una musicistamarocchina che si rivolge per un video alle persone sbagliate in Traitors diSean Gullette; di un trans lituano in Germania il doc Julia di J. Jackie Baier. Epoi, Kill your darlings di John Krokidas, con Daniel Radcliffe, descrive igiovani Ginsberg, Kerouac e Burroughs nel percorso di formazione degli anni

del college. Sono noti al pubblico festivaliero CherienDabis (Amreeka), che ritrova Hiam Abbass in May inthe summer, su una donna che torna in Giordaniada Manhattan per organizzare il proprio matrimonioin un folle contesto familiare (la Abbass è ancheregista di un corto girato alla Vucciria di Palermo peril progetto Women’s tales), e Bruce LaBruce che inGerontophilia descrive l’amore tra un 18enneassistente di anziani e un 82enne affidato alle suecure. Chiudono il programma l’argentino Lareconstruccion di Juan Taratuto, l’indocanadeseSiddharth di Richie Mehta, il doc sul cestista LennyCooke di Benny e Joshua Safdie, la commediaspagnola (unico rappresentante iberico a Venezia!)Tres bodas de mas di Javier Ruiz Caldera.

• MARIO MAZZETTI

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70ª Mostra del Cinema

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28ª Settimana della Critica

Esordi di pregioCon una buona rappresentanza italiana,slovena, cilena e africana ecco la selezionedei critici cinematografici

••• Due volte Italia, Cile, Slovenia e Africa. Passandoper la Svezia e la Cina. Ecco la composizione geografica deinove (7 concorrenti e 2 fuori concorso) titoli proposti dallaSettimana Internazionale della Critica, edizione numero28. A catturare l’attenzione sono immediatamente ledoppiette territoriali, così “particolari” da sembrare create atavolino. Superfluo dire che ciò non è accaduto: si è trattatodi felici casualità cinematografiche che confluisconogeograficamente in quattro aree, almeno due delle qualicaratterizzate da un positivo fermento della Settima Arte.Una di queste è lo stato sudamericano, dal quale arrivano dueesordi diversamente notevoli, entrambi firmati (ironia dellasorte) da registi che portano il medesimo cognome,Sepùlveda, ma che nessun legame consanguineointrattengono né tra loro né col grande scrittoreconnazionale. Si tratta del potente Las niñas Quispe (Leragazze Quispe) di Sebastián Sepúlveda, prodotto dai fratelliLarraìn e ispirato da un fatto vero della recente storia cilena;e de Las analfabetas (Le analfabeta) di Moises Sepúlveda,basato sull’omonima pièce di Pablo Paredes, interpretato dalformidabile duo Paulina Garcia (la Gloria vincitrice dell’Orsod’argento come miglior attrice a Berlino 2013) e ValentinaMuhr. Quest’ultimo è il film di chiusura fuori concorso. Dallavicina Slovenia giunge uno school movie ad alta intensità:Razredni Sovražnik (Nemico di classe) per la regia di RokBicek e – in intersezione con il Belpaese – la coproduzioneitalo-slovena Zoran, il mio nipote scemo del friulanoMatteo Oleotto, una divertente commedia ad alta gradazionealcolica con Giuseppe Battiston protagonista assoluto.Continuando il viaggio nel Tricolore ma spostandoci a Napoli,si scopre la pellicola fuori concorso scelta in apertura: L’artedella felicità di Alessandro Rak, originalissimo road movied’animazione dai tratti esistenzialistici. L’Africa si propone indue latitudini distanti in ogni senso. Dalla Tanzania (ma dicoproduzione italo-tedesca) un debutto importante e fuoridagli schemi come White shadow (Ombra bianca) per laregia dell’apolide Noaz Deshe, mentre dal Marocco (incoproduzione con la Francia) è la volta de L’armée du salut(L’esercito della salvezza), estratto autobiografico portatosullo schermo dallo scrittore Abdellah Taïa. È cinese il film-sorpresa annunciato all’ultimo momento, Shuiyin Jie (TrapStreet) di Vivian Qu, storia d’amore e burocrazia incentrata suun giovane apprendista e una donna misteriosa. S’intitolaÅterträff (La riunione) infine il rappresentante della Svezia,diretto dall’artista controversa Anna Odell. Un film meta-cinematografico che mette in campo un’idea di assolutaoriginalità.

• ANNA MARIA PASETTIComponente del comitato di selezione della Sic 2013

IL SALARIO DELLA PAURA

PHILOMENA

WHITE SHADOW

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••• Approda in sala dopo averinaugurato le Giornate degli Autori allaMostra di Venezia l’esordio cinematograficodi Paolo Zucca, che a quattro anni di distanzadal pluripremiato e omonimocortometraggio ci racconta la storia di unarbitro internazionale, di un allenatore cieco,di una bisbetica indomita, di un pastorevendicativo e di un improbabile goleador checondividono le sorti del campionato di calciopiù sgangherato del mondo.Perché, ieri come oggi, la scelta dimettere al centro del tuo film unarbitro?Questa figura calcistica ha un aspetto moltocoreografico. Durante la partita si esibisceattraverso mosse che nel film abbiamoenfatizzato in chiave ironica. Dentro l’arbitroabita un mondo metaforico: decide e nellostesso tempo diventa il capro espiatorio. Faparte di un mondo calcistico che uso comemetafora morale e umana. L’arbitro alludein qualche modo all’arbitro supremo che è laprovvidenza, o il caso che tutto domina,facendo incrociare le storie che compongonoil film. Ci sono anche numerosi e divertitiriferimenti alla religione.Un uomo solo contro tutti?La caratteristica principale dell’arbitro èappunto la solitudine. Non ha una fidanzatané una famiglia. Mentre scrivevo lasceneggiatura ho avuto qualche difficoltà,perché non volevo che incontrasse nessuno.Per tenerlo in perfetto isolamento ho dunqueinventato molte situazioni: balla da solo, siconfessa da solo. Il film racconta la storia diun arbitro, interpretato da Stefano Accorsi,contrapposto a un mondo pieno di persone.Parte dalla Champions League, quindi dallestelle, per arrivare alle stalle della terzacategoria. Geppi Cucciari interpreta Miranda,l’unico personaggio femminile in unmondo prettamente maschile come

quello del calcio.Geppi è in effetti l’unica donna, eccetto unasignora di ottant’anni. Attorno a lei ci sonocentinaia e centinaia di persone tra calciatorie tifosi. Interpreta la figlia dell’allenatore, unBenito Urgu che in questo film compie unaprova da grandissimo attore, togliendosi didosso per la prima volta la maschera dacabarettista. Geppi vive una sorta di lovestory un po’ strampalata con un emigrato cheritorna in Sardegna e diventa da subito ilgoleador e l’idolo del paese. Il personaggio èinterpretato da Jacopo Cullin e brama per leiche è stata il suo amore d’infanzia. Ma intutto questo c’è un piccolo problema: lei nonricorda niente di quest’amore infantile. Iltutto procede tra le avance di questoimprobabile goleador con l’accentoargentino e l’unica donna del film.Come hai lavorato dal punto di vistastilistico?Ho utilizzato registri e toni differenti. Il film èuna commedia leggera, rotta a tratti daelementi fortemente drammatici per poiritornare al lato comico. Non si tratta però diun semplice alternarsi: nel film convivonomomenti di stacco con il passaggio dalcomico al drammatico e altri dove questielementi coesistono nella stessainquadratura. Ad esempio la pecoracrocefissa, oltre a rappresentare unmonito nei confronti dell’arbitro,diventa la sintesi di questa doppiaanima del film: l’alto (vale a direla croce, il divino) e il basso (lapecora, ilgrottesco).Come hairaccontatola tuaSardegna?Uno deiprincipali motiviper cui ho fatto il film

in bianco e nero era che volevo evitare chefosse scambiato per una rappresentazioneoggettiva dell’isola. Il bianco e nero ti dà lapossibilità di astrazione, allontanando larealtà dalle cose. Nel contempo, L’arbitro sisviluppa su una trama molto esile. Ho volutogiocare sul modello classico della faida:azione, reazione, controreazione inun’escalation tipica del codice barbaricinoraccontato con astrazione, così da scatenarein alcuni momenti le risate.Come hai impostato il lavoro conStefano Accorsi e Geppi Cucciari?Con Stefano abbiamo lavorato sullesottigliezze, sulle sfumature, sui silenzi delsuo personaggio ma anche sull’aspettocoreografico e fisico. Nel film ha dovutomettere in scena dei balletti scatenati in unacamera d’albergo. In realtà il suopersonaggio non è così buffo e divertentecome a tratti può apparire. È ambiguo,

ambizioso, un po’ leccapiedi esfortunato, con una

complessità mentale noncosì lontana da come sono

in realtà gli arbitri. Quantoa Geppi, è diventata

coautrice del suopersonaggio. Compare

poco, l’abbiamocoinvolta unavolta concluso ilcast. Abbiamoriscritto il suopersonaggioinsieme allasceneggiatriceBarbara Bertiascoltandotutti i suoisuggerimenti,drammaturgici

e comici.• DAVIDE ZANZA

Paolo ZuccaS p e c i a l e Ve n e z i a 2 0 1 3

L’escalation

Benito Urgu e Geppi Cucciari

Stefano Accorsi

L’escalationFilm d’apertura delle “Giornate degli Autori”, esce nelle sale “L’arbitro”, che il registasardo ha girato in bianco e nero come l’omonimo corto che vinse il David di Donatello.Stefano Accorsi e Geppi Cucciari tra gli interpreti

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••• Via Castellana Bandiera è unavia di Palermo che ha dato il nome al primoromanzo di Emma Dante, uscito nel 2009.Autrice e regista di punta del teatrocontemporaneo, Emma Dante ha vintoimportantissimi premi e ottenuto successiinternazionali con i suoi spettacoli grotteschi efiammeggianti, grondanti dolore, amore erabbia verso la sua Sicilia, terra di famigliemorbose-mafiose, arcaico senso dell’onore edemarginazione: Carnezzeria, mPalermu e Lepulle fra i tanti. Alla Mostra di Venezia è inconcorso con il suo primo film, Via CastellanaBandiera tratto dall’omonimo romanzo, dovelei stessa recita la parte di una delle dueprotagoniste, Rosa, tornata a Palermo dopotanti anni con la sua compagna Clara (AlbaRohrwacher) per partecipare a una festa dimatrimonio. Imboccando il budello di una viastretta e in salita, l’auto di Rosa e Clara si trovadi fronte a quella in cui viaggia la famiglia diSamira (Elena Cotta). Partono i clacson,ognuna fa cenno all’altra di spostarsi manessuna delle due vuol cedere il passo. Iniziacosì una sfida che dura giorno e notte e chevede tutti gli abitanti della strada coinvolti inun vorticoso giro di voyeurismo e discommesse, nel caldo soffocante dell’estatepalermitana.Come mai ha sentito l’esigenza di portareal cinema questa storia e non altre delsuo repertorio teatrale? Lei ha dichiaratoche “voleva fare questo film, non volevafare cinema”.Lo dico sempre anche a proposito del teatro: ionon faccio teatro, faccio quel teatro, quellospettacolo su quel tema che in un datomomento mi sento di mettere a fuoco. Ognivolta mi misuro con un pezzo di me su unterritorio che ho voglia di esplorare. La stessacosa vale per il cinema: questo film non èassolutamente di passaggio, è un progetto che

spero figlierà altri progetti. Gli sconfinamentinon sono mai cose superficiali, sono passinecessari al percorso d’artista. Con questofilm mi metterò di fronte a nuoveresponsabilità, nuove domande ma sonofelice di averlo fatto e se domani ci sarà lapossibilità di ripetere l’esperienza, con unprogetto che ha un senso profondo e lanecessità di esistere, lo ripeterò.La forza dei suoi spettacoli è un mistodi grottesco, di eccesso e insieme diraffinatezza. In questa prima prova daregista ha mutuato lo stile dal suoteatro o ha cercato nuove strade?Questo film è molto lontano dal mio teatro,non sembra neanche che l’abbia fatto io!Pur essendo la storia paradossale, il film ègirato in uno stile documentaristico. Lastrada è un luogo reale, i personaggi sononudi e crudi. La macchina da presa, cheClarissa Cappellani ha portato in spalla tuttoil tempo, s’intrufola nella storia violandol’intimità dei personaggi. Inoltre non c’ècommento musicale, il suono è quellodell’ambiente e nel complesso l’effetto è diuna nudità alla Dardenne, un modo che hosentito subito congeniale al film.Il film è girato nella vera via del titolo.Cosa rappresenta per Palermo questastrada e perché l’ha scelta perambientare la storia?Ho scelto via Castellana Bandiera perché è inuna zona anomala di Palermo, ai piedi delMonte Pellegrino che incombe su Palermo ela chiude dandole un senso di soffocamento.Da lì il mare non si vede mai.La situazione di stallo autolesionisticodelle protagoniste rappresenta inqualche modo l’Italia di oggi?La loro sfida racconta molto della nostra crisiprofonda. Rosa è tornata a Palermo dopotanti anni ma il suo conflitto con la città

riaffiora immediatamente con una forzadevastante. Palermo la devasta, Rosa vieneinvestita dalla stessa rabbia che l’ha spintaad allontanarsi e anche questo è il motivoper cui si impunta e decide di fare la suaguerra. L’immobilismo della sfida la spinge astudiare il suo nemico e anche ad ascoltarese stessa. In un mondo in cui si fa fatica afermarsi a osservare l’altro, Rosa è costretta aoccuparsi di Samira, perché ce l’ha davantigiorno e notte. Le due donne si osservanoreciprocamente e riconoscono un comunedolore: Rosa ha lasciato la madre perché nonsi sentiva capita, Samira ha perso una figliagiovane, morta di cancro. Tutte e due siritrovano davanti un fantasma.Oltre alle donne protagoniste, c’è unimportante personaggio maschile, SaroCalfiore, patriarca dispotico e avido.Avevo scritto il personaggio di Saro perGiorgio Li Bassi, un attore siciliano con cuiavevo lavorato ma che purtroppo è mortonel 2010. In quello stesso periodo hoconosciuto questo “grande” uomo, RenatoMalfatti, che fa il guardiano di un posteggiodi barche nel porticciolo dell’Arenella. Conmio marito l’abbiamo invitato a casa, ateatro, c’è stata una frequentazione di unanno e mezzo e alla fine gli ho affidato laparte. A questo film ci lavoro da anni, iltempo è stato importante per farlomaturare, fino all’ultimo: prima di girareabbiamo provato per più di un mese contutti gli attori, professionisti e non, sia ateatro che in strada. Questa esperienza èstata talmente importante e anche difficileche non mi sentirei mai di dire che “orafaccio cinema”, perché mi sembrerebbetroppo presuntuoso. Quando giravo miripetevo continuamente “voglio fare questofilm”. Alla fine ce l’ho fatta!

• BARBARA CORSI

Emma DanteS p e c i a l e Ve n e z i a 2 0 1 3

TEATRO - mPalermu (2001), Carnezzeria (2002), Medea (2003), Vita mia (2004), La Scimia (2004), Mishelle di Sant'Oliva (2006), Cani di bancata (2006),Il festino (2007), Eva e la bambola (2007), Carmen di Bizet (2009), Le pulle (2010), Acquasanta (2011), Ballarini (2011), Il castello della Zisa (2011)

Dove non si vede il mareLa coppia Dante-Rohrwacher Elena Cotta

Dove non si vede il mareDa un’impuntatura che scivola nell’autolesionismo nasce “Via Castellana Bandiera”:due donne ferme in una strada strettissima, una Palermo infuocata per l’atteso esordiodell’ormai affermata autrice teatrale. Nel cast Alba Rohrwacher

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••• Ci sono due modi per non soffriredell’inferno che abitiamo tutti i giorni, cheformiamo stando insieme: Il primo riescefacile a molti: accettare l'inferno e diventarneparte fino al punto di non vederlo più. Ilsecondo è rischioso ed esige attenzione eapprendimento continui: cercare e saperriconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno,non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.Così scriveva Italo Calvino ne Le città invisibili,il livre de chevet che Gianfranco Rosi haportato con sé durante il suo viaggio intondo durato tre anni, sul Grande RaccordoAnulare di Roma. 68,223 km di smog etraffico impazzito lungo l’autostrada urbanapercorsa da 58 milioni di veicoli l’anno,incubo dei romani o di chiunque arrivi nellaCapitale, che nell’opera dell’autore italo-statunitense Sacro GRA è diventatocatalizzatore di felici scoperte di “mondiinvisibili e futuri possibili”. Il film uscirà in salail 26 settembre (per Rosi è una prima volta)ed è stato selezionato in concorso alla 70^Mostra di Venezia.Questa è un’edizione storica dellaMostra, con due documentari inconcorso, il suo e quello di Errol Morris.È importante soprattutto che questo sia unconcorso senza distinzioni tra documentarioe finzione. Io non la considero una differenzarilevante, per me un film, qualsiasi film, è

drammaturgia. Eppure la paroladocumentario fa ancora paura. A New Yorkho assistito a una scena in un videonoleggio,una madre che minacciava la figlia di 15 anni:Se non ti sbrighi a scegliere, ti affitto undocumentario.Cos’è invece per lei il documentario?Io mi ricollego alla tradizione di RobertFlaherty e John Grierson, a un film comeNanuk l’eschimese di Flaherty, del 1922,dove l’osservazione della realtà diventa quasimetafisica. Il documentario è stato cinemapolitico, antropologico, informazione,creazione, in una parola sperimentazione. Senon sperimenti, se ogni volta non trovi unlinguaggio diverso, non ha senso.Il tempo è un fattore fondamentale nellasua ricerca, poter passare molto temponell’esplorazione di un luogo e nelrapporto con una persona.Quando si dice che sono stato tre anni sulRaccordo Anulare naturalmente c’è un po’ diesagerazione, non è che per tre anni non hofatto altro! Tuttavia, la presenza sul territorioera importante per intrappolare personaggi esituazioni e poi capire, ma solo dopo, comegirare. Anche se si prepara tutto, c’è semprel’imprevisto, l’inatteso che ti spiazza. Adesempio sono stato a lungo con i barellieridel 118, sulle ambulanze. Dormivo in centralee poi partivo per le emergenze. All’inizio, perpudore, mi limitavo a guardare, senza filmarenulla.Cosa cerca nell’estremismo dellesituazioni che sceglie di raccontare, daldeserto americano di Below sea levelall’ex killer di El sicario - Room 164?Diciamo che cerco il momento della verità,cerco di raccontare nel profondo qualcosa, didocumentare senza documentare.Roma è una città inafferrabile, difficileda cogliere, a volte respingente. Ci sonoriusciti Fellini o Pasolini, di recenteSorrentino. Che Roma emerge da SacroGRA?Il GRA non è Roma, è un luogo di confine che

entra nella città come un serpente; RenatoNicolini lo definiva una muraglia. Per me, chenon sono romano, prima del film era solo lastrada per l’aeroporto. È stato il lavoro diNicolò Bassetti, l’urbanista che l’ha percorso apiedi per 300 km, a innescare l’idea del film:mi ha fatto capire che è un luogo di cui nonaver paura. Poi ho percorso i suoi 70 km conun camioncino, come se fosse uno spaziovuoto, alla ricerca di un limite invisibile. L’hovissuta come se fosse Benares o il desertodella California. Dalle espressioni del mioaiuto Roberto Rinalduzzi, romano de Roma,spesso capivo quello che potevo o nonpotevo raccontare.Un nobile torinese e sua figlia, unpalmologo che cerca di guarire le piante,un neo-principe che fa ginnastica sultetto del suo castello, un anziano attoredi fotoromanzi, un pescatore di anguille:sono alcune delle apparizioni del film.C’è qualcuna che le sta particolarmentea cuore?Sono tutti ugualmente necessari, sicompensano l’un l’altro. E poi spesso alcunecose le capisci solo dopo, ad esempio mirendo conto di certi risvolti dei miei filmleggendo quello che scrivono i critici.Si è fatto guidare dalla lettura de Lecittà invisibili di Calvino.A seconda degli stati d’animo e dellecircostanze, è un libro di viaggio e parla dicittà immaginarie. Ha una strutturacomplessa, sofisticata e ogni lettore la puòsmontare o rimontare. Così il film: non hauna trama né una storia che si possaraccontare ma è costruito di emozioni cheognuno leggerà in maniera diversa.Che immagine dell’Italia emerge dalfilm?Non so. Ma è un film fatto con amore checomunica amore. Non sono ben dispostoverso il nostro paese in questo momento, manel film prevale questo sentimento.

• CRISTIANA PATERNÒ

Gianfranco RosiS p e c i a l e Ve n e z i a 2 0 1 3

FILMOGRAFIA - Boatman (1993), Afterwords(2001), Below sea level (2008), El sicario –Room 164 (2010), Sacro GRA (2013)

Mondi invisibiliMondi invisibiliGli incontri dell’autore italo-statunitense durante i tre anni di riprese intorno al RaccordoAnulare della Capitale. È “Sacro GRA”, il documentario in concorso a Venezia

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••• Dal mare di Chioggia allemontagne del Trentino, Andrea Segreprosegue, dopo Io sono Li, la ricognizionedi territori poco conosciuti, mettendo aconfronto diversità per scoprire similitudini.Il territorio in questo caso è la valle deiMocheni, sopra Pergine, dove Dani, nativodel Togo, è arrivato fuggendo dalla guerradi Libia. Dani viene invitato a lavorare inmontagna nel maso di Pietro, un anzianofalegname che ha appena perso un figlio evive con la nuora e l’inquieto nipoteMichele, di dieci anni. Il tempo chetrascorrono insieme, prima de La primaneve d’autunno, servirà a tutti perriconoscersi. Il film, che partecipa allasezione Orizzonti di Venezia, vede nel castinternazionale Anita Caprioli e GiuseppeBattiston.Come mai ha scelto la valle deiMocheni, in Trentino, perl’ambientazione del film?Tre motivi mi hanno spinto a sceglierequella location. Sono stato indirizzato versola valle dei Mocheni perché lì i bambinicrescono in masi molto vicini ai boschi esono naturalmente portati a salire suglialberi, giocare nei torrenti, avere unrapporto con la natura molto più che inaltre valli, dove il turismo e le variemodernità hanno modificato il modo divivere. La valle si estende dagli 800 ai 1.700metri e presenta una grande varietà diboschi, con larici, faggi, pini. Poiché lavicenda si svolge in autunno, quando iboschi cambiano colore, girare lì mi dava lapossibilità di cogliere le diverse gradazionidi tono che fanno della natura un vero eproprio personaggio. L’ultimo motivo è cheio ho una certa passione per luoghi e

contesti sociali su cui agiscono pregiudizinegativi. Come in Veneto i chioggiotti sonoconosciuti come furbetti e pericolosi, così inTrentino i mocheni sono considerati strani,perché vivono in una valle un po’ chiusa eparlano una strana lingua, che viene dalbavarese del 1400. Anche qui, come in Io solo Li, unostraniero viene a contatto con unapiccola comunità, ma in primo piano cisono i sentimenti comuni…Il centro del film è il rapporto fra dei padri edei figli che vivono un vuoto, unamancanza. Michele è un bambino orfano dipadre, Dani un padre che non riesce a esserepadre e Pietro – il nonno del bambino – hada poco perso un figlio. Ognuno di loro hadentro un dolore che scoprirà avere moltipunti di contatto con quello degli altri. Hai nuovamente costruito il cast conattori professionisti e non.Protagonista assoluto è Matteo Marchel,insieme ai due ragazzi che interpretano isuoi amici: personaggi veri, un pezzo didocumentario dentro il film. Loro sonol’anima di quel luogo e una guida per lospettatore alla scoperta dei boschi, com’èstato per me nella realtà. Poi ci sono attoriprofessionisti come Jean Christophe Folly,giovane attore di origine togolese che vive aParigi, dove c’è una forte tradizione di attoridi origine africana. Anche PeterMitterrutzner è in un certo senso straniero,non tanto perché sudtirolese di Bressanone,quanto perché, pur avendo recitato indecine di film di lingua tedesca ed essendomolto famoso in Germania e Austria, questoè il suo esordio nel cinema italiano.In una scena del film i bambini siscatenano sulla musica di Vasco Rossi,

esprimendo un’irresistibile vitalità…Questo tipo di scelta musicale è nuova per ilmio cinema, però mi è piaciuta molto espero che funzioni. I bambini protagonistisono un po’ gli sciuscià di montagna, iguaglioni del Trentino. Possiedono unavitalità che nel cinema italiano siamoabituati a identificare con i bambini del sud.Il loro rapporto con la natura è una cosa chela nostra società rischia di perdere, ed è unpeccato, perché è un bellissimo modo dicrescere. La vitalità di Michele è uncomplemento al suo dolore, che si esprimeattraverso la rabbia e l’energia pura. Eraimportante coglierla per descrivere appienoil personaggio, ma anche per rendereomaggio a quell’infanzia.Questa è un’estate fortunata per te: Laprima neve a Venezia e, a Locarno, ildocumentario sulla musica rebetikaIndebito, scritto con Vinicio Capossela.Questa doppietta è frutto di un lavoro digruppo, affrontato con grande capacitàdalla stessa squadra di Io sono Li, con laquale stiamo facendo un percorso in crescita.Per me fare cinema significa vivereesperienze umane di conoscenza e questofilm mi ha portato a conoscere unatradizione artistica greca, che credo siamolto utile a capire la crisi di civiltà chestiamo attraversando. Il film non analizza lacrisi economica ma, attraverso le parole dichi la sta subendo in prima linea eall’intensità della musica, ci permette discoprire cosa c’è dietro ai cambiamenti checolpiscono l’Europa intera. Negli ultimitempi la Grecia è portata sempre ad esempionegativo: “finiremo come la Grecia!”. Invecela Grecia ci aiuta a conoscere noi stessi.

• BARBARA CORSI

Andrea SegreS p e c i a l e Ve n e z i a 2 0 1 3

FILMOGRAFIA - Lo sterminio dei popoli zingari (doc, 1998), Berlino '89-'99 - Il Muro nella testa (doc., 1999), Ka drita? (doc., 2001), A metà - Storie tra Italia e Albania (doc., 2001), Dio eraun musicista (doc., 2004), PIP49 (doc., 2006), La mal'ombra (doc., 2007), Il sangue verde (doc., 2010), Io sono Li (2011), Mare chiuso (doc., 2012), Indebito (doc., 2013), La prima neve (2013)

Il bosco della vitaMatteo Marchel e Jean Christophe Folly

Folly con Giuseppe Battiston

Il bosco della vitaIl contatto con la natura trentina, un incontro tra generazioni e civiltà diverse ne “La prima neve”, attesa opera seconda del regista di “Io sono Li”, a Venezia Orizzonti

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••• “Se Il primo uomo è stato unlungo tragitto, un po’ anomalo per la miavita professionale, L’intrepido è invece unfilm nato in velocità. L’anno scorso ero aVenezia per ritirare il Premio Bianchi eproprio in quell’occasione ho consegnato alproduttore Carlo Degli Esposti lasceneggiatura di quello che è diventato ilmio ultimo lavoro. Un anno dopo, eccomi dinuovo a Venezia per presentarlo in concorso.Per realizzare L’intrepido in un tempo cosìrapido ho fatto di necessità virtù, e quandoaccade qualcosa del genere scopri di averedelle virtù che tu stesso non conoscevi”.Questa la genesi dell’ultimo film del registacalabrese: una pellicola nata dallo sguardo diAmelio sull’Italia contemporanea e,soprattutto, un’opera che gli ha consentitodi lavorare per la prima volta con l’amico disempre Antonio Albanese. “Abbiamocercato più volte di lavorare insieme”,ricorda il regista, “ma per farlo volevotrovare un ruolo che solo lui avrebbe potutointerpretare e senza il quale il film sarebbediventato un’altra cosa. Ho rimandatoquest’occasione fino a quando ho scritto perlui L’intrepido e non a caso il protagonista sichiama Antonio, a confermare l’inscindibilitàdel legame tra il personaggio e l’attore chelo interpreta”. Com’è arrivato a immaginare questastoria su un uomo che fa il rimpiazzo?Il film non nasce da un libro, da un autorecome Camus (è il caso de Il primo uomo,NdR), bensì si riallaccia a tutte le esperienze

che ho fatto nella mia vita, nonchédall’osservazione del mondo che ci circondae dell’Italia di oggi.È soddisfatto del risultato?Molto, sono contento di avere raggiunto loscopo che mi prefiggevo. È una pellicola cheuna volta si sarebbe definita una“commedia drammatica”. Ci sono tantimomenti del film in cui si ride, nonostante ilcontesto amaro e difficile. Prima di oggi nonavevo mai raccontato un dramma con taleleggerezza e soavità, con la voglia di nonincupirmi mai e con il desiderio dicontinuare ad avere fiducia nel domani, nelmondo che verrà e negli altri. Assomiglia atante cose che ho fatto ma curiosamente è,al tempo stesso, molto diverso, rifacendosi aun’idea quasi chapliniana del cinema, dovela lettura non deve avvenire sotto la lentedel realismo o del neorealismo come siamoabituati a fare in Italia. Mi sono lasciatoandare a un racconto un po’ surreale egiocoso del nostro presente, così come loconosciamo. È un film che vorrebberespirare l’aria del tempo, ma certe voltetrattiene il fiato perché l’aria è irrespirabile.Il protagonista riesce ad andare avanti fino aquando trova un’aria più respirabile esalutare: solo Il ladro di bambini eLamerica sono stati altrettanto radicatinell’oggi e nel presente.Nessun riferimento alla cronaca?No, anzi. È un’opera che vuole portarti fuoridalla cronaca, dimostrando una sorta diansia di respirare un’aria nuova e diversa: un

film profondamente ottimista nella sostanza.Il titolo stesso è una sorta di spiegazione, dimanifesto: L’intrepido era un giornalino afumetti di cui ho mutuato la trasposizione insenso metaforico e con fantasia. Lo stessoprotagonista assomiglia un po’ ad unfumetto, ha la stessa leggerezza di tratto deipersonaggi di quel giornalino a me così caro.È anche un po’ eroico…In che senso?C’è bisogno di fare uno sforzo persopravvivere e per farlo, così come accadeva

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Gianni AmelioC o v e r s t o r y

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La fiducia, nonostante tuttoAntonio Albanese è un eroe tragicomico e chapliniano che si adatta a rimpiazzaregli altri ne “L’intrepido”, ultima regia dell’autore calabrese, in concorso al Lido

FILMOGRAFIA - La città del sole (tv, 1973), Il piccolo Archimede (tv, 1979), Colpire al cuore (1982), I ragazzi di via Panisperna (1989), Porte aperte (1989), Il ladro di bambini (1992),Lamerica (1994), Così ridevano (1998), Le chiavi di casa (2004), La stella che non c'è (2006), Il primo uomo (2011), L'intrepido (2013)

Antonio Albanese e Gianni Amelio

Livia Rossi

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ai protagonisti delle storie a fumetti, bisognatirare fuori il meglio di sé. Ogni storiaterminava con il personaggio principalesull’orlo di un disastro, in modo da tenerti inansia fino alla settimana successiva, quandosarebbe arrivato il nuovo numero. Il finale,però, avrebbe rimesso tutto a posto ed è conquesta consapevolezza che agisce l’eroe ditutti i giorni al centro del mio film: una figuraun po’ picaresca, dallo spirito a suo modoavventuroso e ottimista. In questi anni i personaggi dei fumetti

hanno invaso il cinema: soprattutto intempi di crisi, gli eroi e i supereroihanno grande successo grazie alla lorocapacità di suscitare ottimismo e, in findei conti, speranza. È solo un caso cheil suo film nasca in questo contestostorico?L’intrepido racconta la storia di un eroe ditutti i giorni ed è un erede ideale deipersonaggi interpretati da Sordi e Tognazzi,del protagonista del film di Mario MonicelliUn eroe dei nostri tempi, che in chiaveironica affrontava i problemi della suaepoca rifiutando la rassegnazione e ladepressione della realtà. Il mio desiderio eraquello di non appiattirmi sulla lacrima, sullalamentazione e sull’impossibilità dicambiare le cose. La chiave narrativa delfilm è molto semplice, sebbene un po’paradossale: in un momento in cui manca illavoro, c’è un uomo che i lavori li fa tuttiperché fa il rimpiazzo, facendo qualunquecosa. È un film che nasce dal mio desideriodi cambiare le cose, di arrabbiarmi perquello che non funziona. È il mio modo didimostrare come si possa combattere sutanti fronti: la famiglia, i figli, il lavoro, eche mantenere un senso di speranza non siasolo consigliabile, ma perfino necessario percontinuare a resistere e a sopravvivere ilmeglio possibile. Nonostante tutto e tutti.È stato complicato tornare a girare inItalia, quasi un decennio dopo Le chiavidi casa?No, assolutamente. Le problematiche sono

inerenti alla storia che racconti ecommisurate alla voglia che hai diraccontarla. I problemi si risolvono sempre,ovunque, parlando la lingua del cinema, chetutti capiscono; ciò dimostra che i tecnici ditutto il mondo, nonostante le differenze discuola, sono uniti da un linguaggio e da unsentire comune. Il tema, invece, è semmai unaltro: un’inevitabile sorta di “ruggine” cheogni tanto rischia di coprire, da un filmall’altro, il nostro lavoro, che per esserespazzata via richiede sempre qualche tempoin più. Sarebbe meglio potersi sottrarre aquesta patina noiosa, lavorando di più etenendosi in costante esercizio non soltantoattraverso lo scrivere ma anche partecipandoa progetti differenti, come documentari ecortometraggi. Io, per esempio, ho diretto ilFestival di Torino e posso dire di essere statoaiutato da questa esperienza, perché farecinema in tante forme diverse aiuta amigliorarsi costantemente. In fondo, è ancheun po’ il messaggio de L’intrepido: un filmsulla necessità morale di fare e lavorare, al dilà del guadagno e della sopravvivenzaeconomica. Il lavoro è ciò che garantisce lasopravvivenza, tua e della tua dignità comepersona. La precarietà assoluta è quella cheporta al senso d’inutilità, mentre invece ilsentimento ultimo di questo momento è chelavorare ovunque sia meglio che nonlavorare, perché consente l’apertura di unasperanza al cambiamento e al futuro.

• MARCO SPAGNOLI

V I V I L C I N E M A l u g l i o a g o s t o 1 3Le foto del servizio sono di Claudio Iannone

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s c h e d e c r i t i c h e

fronteggiare l’avversione delpopolo nei confronti degli stranierial potere e soprattutto quelladell’aristocrazia e dell’esercito, checercano di riconquistare i privilegiperduti. È la restaurazione, resa piùrapida dall’inettitudine del re.Mentre l’Europa progredisce, laDanimarca arretra vistosamente mala regina, anche attraverso unalettera-testamento al figlio checostituisce l’ossatura dellanarrazione, ha nel frattemposeminato idee progressiste chegarantiranno, anni dopo, un lungoregno illuminato.Se la vicenda storica èaccuratamente descritta è meritodell’ottima sceneggiatura, più chedella regia piuttosto statica chenon giova agli interpreti, tra iquali svetta il sempre convincenteMads Mikkelsen che conferiscefascino e carisma al ruolo delmedico. Un ruolo non secondarioè affidato alla colonna sonora delfrancese Gabriel Yared(indimenticabile il suo ormairemoto score di Betty Blue) eCyrille Aufort. Giunto all’operaquarta, il regista danese si è vistospalancare grazie a questo film leporte di Hollywood.

MARIO MAZZETTI

A ROYAL AFFAIRTitolo originale: En kongelig affære …Sceneggiatu-ra: Nikolaj Arcel, Rasmus Heisterberg dal romanzo diBodil Steensen-Leth …Fotografia: Rasmus Videbæk…Montaggio: Mikkel E.G. Nielsen, Kasper Leick…Musiche: Gabriel Yared, Cyrille Aufort …Interpreti:Mads Mikkelsen, Alicia Vikander, Mikkel Følsgaard,Trine Dyrholm, David Dencik, Cyron Melville …Pro-duzione: Zentropa Entertainments, Trollhattan Film,Film i Vast, Sirena Film …Distribuzione: AcademyTwo …Danimarca/Svezia/Repubblica Ceca 2012…colore 137’

di Nikolaj Arcel

••• APPRODA in Italia il drammonestorico che ha vinto due Orsid’argento alla Berlinale 2012 (per ilmiglior attore, a sorpresa MikkelFølsgaard e non Mads Mikkelsen, ela migliore sceneggiatura) prima digirare i festival di tutto il mondo,Toronto in testa, fino a conquistarele candidature del Golden Globe edell’Oscar per il miglior filmstraniero. Una vicenda realmenteaccaduta nella monarchia danese,oggetto di innumerevoli romanzi(finanche un’opera lirica e unballetto) più o meno aderenti alvero, uno dei quali – cheaccentuava l’aspetto erotico esoprattutto il punto di vista dellaregina – ha costituito la fonteprimaria del film.La vicenda: nel 1766, appenaquindicenne, Caroline Matilda delGalles diventa la moglie inglese di

Cristiano VII, sovrano diDanimarca, ragazzo mentalmenteinstabile. I coniugi generano unerede ma i rapporti tra i due sonotesissimi, né aiuta la presenzadella regina madre (o megliomatrigna, essendo la secondamoglie del defunto Federico V),che trama nell’ombra sperando difar posto un giorno al propriofiglio. L’illuminista tedesco JohanFriedrich Struensee si fa assumerecome medico del re e, dopoun’epidemia di varicella arginatagrazie alla vaccinazione, divienealleato della regina per instillare

nel sovrano quelle idee progressisteche possano attribuirgli un ruolonel Consiglio della Corona, dovenon è altri che un fantoccioabilmente manovrato. Mentrel’attrazione fisica tra il dottore e lagiovane regnante prende ilsopravvento, il re dapprimarimuove il Consiglio che vuoleespellere Struensee, poi avvia unprocesso di riforme, osteggiatodagli intrighi della regina madre.Quando la regina si scoprenuovamente incinta, per soffocarelo scandalo si vede costretta agiacere col re. Ma ciò non basta a

UNA FRAGILE ARMONIA

un quarto di secolo i quattromusicisti sono stati una cosa sola,fino quasi ad annullare lerispettive personalità in un’entitàunica. Ma quando Peter, affettoda un precoce morbo diParkinson, è costretto adabbandonare la professione,qualcosa esplode all’interno delsodalizio. Le personalità deisingoli, a lungo represse,improvvisamente reclamanorivincite: ego competitivi tendonoa imporsi, le passioni esplodonoincontrollabili e gli scontridiventano inevitabili. Presto ilconfronto travalica rapidamente i

confini professionali: ladisintegrazione del quartettofavorisce e accentua anche la crisiconiugale fra Robert e Juliette,sperimentata coppia di sposi egenitori di Alexandra, anche leitalentuosa violinista. Quando poisi scopre che Gideon ha avviatouna relazione sentimentale conAlexandra, la notizia è accolta daigenitori della ragazza come untradimento. Insomma, come recitauna battuta, Robert e gli altrisperimentano sulla propria pellecome “vivere insieme e insiemesuonare musica non sia facile”. Lavicenda si snoda fra confrontisempre più serrati, in cui i varipersonaggi si rinfacciano le colpedel fallimento, musicale e nonsolo. Particolarmente duro, espettacolarmente efficace, è loscontro fra Juliette e Alexandra,con la figlia che accusa la madre diaverla sacrificata alla musica e allacarriera, negandole in età infantilequell’affetto e quelle attenzioniche un genitore dovrebbe allaprole.Tutto ciò è risolto dalla puntuale eun po’ scolastica regia di YaronZilberman e accompagnato dalQuartetto per archi n. 14 diBeethoven, uno spartito in sette

movimenti che non prevede pausee che, impedendo ai musicisti diriaccordare gli strumenti, causafacilmente l’inevitabile fuori tono.Insomma la musica è stata sceltaper rispecchiare gli avvenimenti dicui sono protagonisti i personaggidel film.L’idea che il film sembraimplicitamente suggerire è che perlungo tempo Robert, Peter,Gideon e Juliette abbiano comevissuto in un mondo a parte fattodi prove, esibizioni, tournèe e cheimprovvisamente, del tuttoimpreparati, siano costretti invecea tuffarsi nella quotidianità,incapaci di affrontare cose moltosemplici ma concrete. Asottolineare quest’atmosferastruggente è la scelta diun’ambientazione fredda einvernale, in una New York pienadi neve. Un’annotazione di meritoè per i quattro protagonisti PhilipSeymour Hoffman, ChristopherWalken, Wallace Shawn eCatherine Keener che, almeno agliocchi di un non addetto ai lavori,risultano quanto mai credibili nelleperformance con gli strumentimusicali. Nel cinema non sempreaccade.

FRANCO MONTINI

Titolo originale: A late quartet …Sceneggiatura: SethGrossman, Yaron Zilberman …Fotografia: FrederickElmes …Montaggio: Yuval Shar …Musiche: AngeloBadalamenti …Interpreti: Catherine Keener, Christo-pher Walken, Philip Seymour Hoffman, Mark Ivanir,Imogen Poots, Wallace Shawn …Produzione: Ope-ning Nights Productions, Rko Pictures …Distribuzio-ne: Good Films …Usa 2012 …colore 105’

di Yaron Zilberman

••• UN SODALIZIO che sembravaindistruttibile, cementato, oltre chedalla comune passione per lamusica, dall’amore, dall’affetto edall’amicizia. Per 25 anni Peter,Robert, Gideon e Juliette hannosuonato insieme dando vita ad unceleberrimo quartetto d’archi. Per

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FEAR ANDDESIRE (Paura edesiderio) di StanleyKubrickUsa 1953, b/n 68’

Audio: Italiano, Inglese ...Sottotitoli: Italiano ...Video:1080p - 16/9 ...Extra: Cortometraggi ...Etichetta: RaroVideo

••• Dopo essere uscito (per la primavolta) a fine luglio nelle sale italiane,sbarca sul mercato home video, inun’eccellente edizione blu ray, Fearand desire, primo lungometraggiodi Stanley Kubrick girato nel 1953 escomparso dalla circolazione per anni– secondo alcuni per volere dellostesso regista, che lo definirà annidopo “un tentativo serio realizzato inmodo maldestro”. Dopo aver direttotre lungometraggi in due anni(Flying Padre e Day of the fightnel 1951, The seafarers nel 1953),Kubrick diventa “regista a tempopieno” abbandonando la redazionedel mensile Look e la carriera difotografo; grazie al distributore edesercente Joseph Burstyn e a unadote di 40.000 dollari, mette in piediun film a sfondo bellico. Protagonistidella vicenda un manipolo di soldati(fra gli interpreti Frank Silvera e PaulMazursky) che, per errore, siritrovano dietro le lineenemiche e quindi costretti arientrare pericolosamentenel proprio schieramento.Durante la ritirataincontrano una ragazza dicampagna, la quale, dopoessere stata catturata elegata ad un albero, vieneseviziata da uno di loro.Poco prima di fuggire, iprotagonisti riescono alocalizzare una basenemica ed escogitano un piano perassassinare il comandante nemico.Seppure lontano dalla maturitàartistica degli anni a venire, Fear anddesire contiene già alcuni temi edossessioni che saranno presenti nellafilmografia di Kubrick, tanto che ilfilm, presentato in anteprima allostorico Guild Theater di New York,attirò subito l’attenzione della criticaconsentendo a Kubrick di giraresubito dopo il suo secondolungometraggio, Il baciodell’assassino. L’edizione blu ray diFear and desire, grazie al lungolavoro di restauro, mantiene la tipicagrana della pellicola d’epoca senzaper questo presentare artefattigrafici. Ottima anche la pista sonora,pulita ed intensa. Ad arricchirel’edizione, la presenza negli extra didue cortometraggi. Il primo, Theseafarers (28’), fu girato a colori e

riscoperto nel 1973 ed è ilracconto-denuncia, attraversostorie d’amore e d’amicizia, delmonopolio dei sindacati portualistatunitensi ai danni dei marinai.Seppur disconosciuto daKubrick, contiene alcunimomenti di autentico cinema-cinema, come la splendidacarrellata (lunga quasi unminuto) girata all’interno di unacaffetteria mentre i protagonistisono intenti a pranzare. Day ofthe fight (16’), invece,ripercorre l’intera giornata delpugile irlandese Walter Cartier.Ispirato ad un serviziofotografico realizzato daKubrick, il cortometraggio fuinteramente finanziato dalregista, che lo rivendette pocodopo alla RKO.

QUATTRO VOLTEVENT’ANNI di Marco SpagnoliItalia 2012 , colore 90’Audio: Italiano ...Sottotitoli: Italiano, Inglese...Video: 1.85:1 – 16/9 ...Extra: commento audio,scene tagliate, interviste ...Etichetta: 01Distribution

••• Dopo i documentari suGiovanna Cau e Tonino Guerra,il giornalista e criticocinematografico Marco Spagnoli

conferma,con Quattrovoltevent’anni, lacapacità diraccontare coneleganza eleggerezzafigurefondamentalidel cinemaitaliano.Presentato alFestival di Roma

2012, Quattro volte vent’annisintetizza fin dal titolo lafreschezza e la poliedricità delsuo protagonista, GiulianoMontaldo. Straordinariocineasta (per varietà dei temi edei generi affrontati) e al tempostesso importante figuraistituzionale (è stato a lungopresidente di Rai Cinema),Montaldo resta uno deiprincipali testimoni della nostracinematografia, avendo vissuto,da protagonista di primo piano,mezzo secolo della sua storia.Lungi dal voler essere unpanegirico, il biopic di Spagnolisceglie di focalizzare momentisignificativi della vita privata elavorativa del regista. Partendodai primi ricordi di giovanissimoteatrante di strada, unMontaldo come sempre

amabilmente ironico ci raccontagli esordi da attore e il primo deitanti incontri decisivi della suavita: quello con Carlo Lizzani che,vedendolo all’opera sul palco delCarlo Felice di Genova, lo volle trai protagonisti del suo Achtung!Banditi! E poi, naturalmente, ilricordo (agrodolce, per via delleingenerose critiche ricevute)dell’esordio dietro la macchina dapresa, Tiro al piccione, e dei filmimmediatamente successivi, tracui la trasferta hollywoodiana chelo portò a girare il fortunato Gliintoccabili. Ricordi e aneddotiche fondono mirabilmente sferapubblica e privata, comel’approccio con la Roma dellaDolce Vita e l’incontro con VeraPascarolo, instancabilecollaboratrice e compagna di unavita. Proprio uno dei luoghisimbolo di Roma, Campo de’ Fiori,darà a Montaldo la spinta decisivaper uno dei suoi film piùimportanti, Giordano Bruno.Tanti gli aneddoti degni di nota,dal ruolo di protagonista deL’Agnese va a morire cheMontaldo voleva affidare aSimone Signoret già gravementeammalata al mancato progettosul presidente cileno SalvadorAllende fino all’epica produzionetelevisiva del Marco Polo, che loportò a girare in tre continenti.Irresistibile il siparietto con EnnioMorricone (autore di quasi tuttele musiche dei suoi film), in cui idue vecchi amici si confrontanosul rapporto tra regista ecompositore. Nella sezione extra ilcommento audio di Montaldo eVera Pescarolo, alcune scenetagliate e una doppia intervista, alregista e al produttore CarloMacchitella.

ROMA, ORE 11 di Giuseppe De Santis Italia 1952, b/n 103’Audio: Italiano mono ...Video: 1.33:1 - 16/9 ...Extra:Documentario ...Etichetta: 01 Distribution

••• “Cercasi dattilografa primoimpiego, miti pretese, presentarsialle ore 11, Largo Circense n. 37”.Così recita un annuncioeconomico, col quale vieneofferto un posto di stenografa.Centinaia di ragazze siprecipitano da tutta Roma persostenere il colloquio. Dopo ore disnervante attesa, una di loro,ormai allo stremo, tenta con unostratagemma di passare avantialle altre, scatenandone però lareazione. Scoppia un finimondo,nella ressa cedono alcune rampedella scala dove sono raggruppatele giovani. Una di loro resta ferita

mortalmente e il drammaticoevento avrà ripercussionidifferenti sulla vita delle ragazze:dalla prostituta che ogni mattinasi alza pensando che quello sarà ilgiorno buono per cambiar vitaalla servetta vessata dai propridatori di lavoro; dalla ragazzaborghese che rifiuta la famigliaper seguire i sentimenti fino aquella rimasta incinta che non cela fa più a nascondere il segreto.Frutto maturo dell’ultimoneorealismo, Roma, ore 11, il cuisoggetto era stato ispirato aCesare Zavattini da un fatto dicronaca realmente accaduto aRoma nel 1951, fu un film didenuncia sociale che ebbe ilcoraggio di affrontare concoraggio il tema delladisoccupazione femminile. DeSantis, basandosi su un’inchiestadell’allora ventitreennegiornalista de L’Unità Elio Petri,grazie all’interpretazione dialcune tra le più famose attriciitaliane dell’epoca (Lucia Bosè,Carla Del Poggio, Lea Padovani,Delia Scala), firma un ritrattoefficace e suggestivo della donnaitaliana dei primi anni Cinquanta,confermando la sua sensibilitàverso tematiche socialicontraddittorie. Roma, ore 11 èproposto in dvd nella versionerestaurata dalla Cineteca diBologna. Il quadro video,considerata l’età della pellicola, èpiù che soddisfacente e restapulito senza particolari difetti.Buono anche il comparto audio,codificato nella versione originalemonofonica. Negli extra èpresente lo speciale Roma, ore 11:La riscoperta di un capolavoro(24’), curato da Marco Grossi, unbel documentario in cui vengonoraccontate curiosità e aneddotisul film dai registi GiulianoMontaldo e Carlo Lizzani, e dalcritico e storico cinematograficoAdriano Aprà. Il dvd èaccompagnato da un bookletcontenente un’intervista a LuciaBosè, foto e alcuni estratti direcensioni.

a cura di GABRIELE SPILACult dvd r u b r i c h e

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