Verona In 14/2007

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N° 14 - MARZO 2007 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S. P. A.- SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA i n VERONA

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N° 14 - MARZO 2007 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA

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Piazza Isolo con il tempo peggio-ra. Il sarcofago, come l’hannochiamato, ancora non convince.Veramente non si poteva fare me-glio? Qualcuno per giustificare la pie-traia spiega che la zona storica-mente non era una piazza, chequindi va vista con occhi diversi.Sarà, ma anche dopo aver consul-tato un valido libro di storia enonostante un buon paio di oc-chiali, con il massimo dell’impe-gno continuiamo a vedere soloun mare di aridi lastroni.Come qualcun’altro ha spiegatoc’erano i vincoli per la presenzadel parcheggio sottostante, macon una battuta vien quasi dapensare che prima siano statecomperate le pietre, contribuen-do alla devastazione del paesag-gio prealpino, e poi sia stato fattoil progetto. Oppure che gli inte-ressi privati legati alla costruzio-ne del parcheggio alla fine abbia-no prevalso sui necessari palettiche il Comune avrebbe dovutoporre in fase progettuale per tu-telare uno degli spazi più belli diVerona.Torniamo a parlarne perché allabruttezza, dovuta anche al fattoche non si trova sorta di continui-tà con l’ambiente circostante, siaggiungono altri elementi che iltempo inclemente evidenzia.Iniziamo dalle pozzanghere che siformano quando piove. In alcunezone il livello della pavimentazio-ne non è perfetto e qui l’acquapiovana si raccoglie rendendodifficile l’attraversamento. Deiproblemi legati alla temperaturadelle pietre durante il solleone deimesi estivi si è già parlato. Un’al-

tra novità sono invece le erbacceche crescono negli interstizi dellapavimentazione contribuendonon poco al danno estetico. Infi-ne, trattandosi di lastre grezze,anche le caviglie sono a rischioperché la superficie non è unifor-me, ci sono delle buche.La parte a nord della piazza è a dirpoco ridicola. Meglio sarebbe sta-to non averli messi quegli uliviche danno più che altro l’idea del-la precarietà, così soffocati incontenitori ristretti per dellepiante che per vocazione sarebbe-ro centenarie e lì condannate auna vita di stenti. Anche il labi-rinto che ospita gli arbusti è diuna tristezza infinita. E infatti lìnon c’è mai nessuno.Infine un cenno lo merita il mo-numento a Daniele Comboni.Tolta la patina del tempo, a cuihanno contribuito le polveri in-quinanti, è diventato anacronisti-co con quel padre bianchissimo,imponente, e quei negretti cosìpiccoli e neri. Sarebbe interessan-te sentire cosa pensano a riguardogli abitanti della vicina Veronetta.L’idea del Comboni di salvare l’A-frica con l’Africa fu certo una feli-ce intuizione, ma oggi questa sta-tua rende giustizia al suo illumi-nante pensiero? O non c’è piutto-sto il rischio che sia oggetto di in-terpretazioni che vanno esatta-mente nella direzione opposta?Forse è giunto il tempo di collo-care il glorioso manufatto nelgiardino della vicina casa genera-lizia dei Comboniani, a San Gio-vanni in Valle, dove avrebbe unsenso come testimonianza stori-ca. Si potrebbe però indire unconcorso per una nuova scultura

Primo piano

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«Salvare l’Africa conl’Africa». Il monumentoa Daniele Comboni, con

quel grande padrebianco che stringe i duepiccoli negretti, rischia

di comunicareesattamente l’opposto di

quella che ful’intuizione del grande

Comboniano.Per questo forse è tempo

di indire un concorsoper una nuova scultura,

che traghetti nellamodernità il pensiero

del missionario veronese

In copertina: Castelvecchio,il Circolo Ufficiali

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ora in Piazza Isolo, che sostituisca la

vecchia, più attuale, che traghettinella modernità l’idea di questogrande missionario. Una sola rac-comandazione viene spontanea(e non è poi così scontata): chel’opera non sia realizzata in pietradi Prun.

g.m.

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di Elisabetta Zampini

Se è vero che la ricerca storica siè sempre dedicata allo studio si-stematico delle fonti, alla letturae interpretazione dei documen-ti, è vero anche che si registranegli ultimi tempi un incremen-to di progetti significativi tesi alrecupero e riordino di materialirisalenti al secolo da poco con-cluso. Documenti solo in appa-renza «minori», fondamentaliper dare una maggior comple-tezza di angolature e di punti divista nella restituzione di un’e-poca, di un momento di storiavissuta.In tal senso emblematico è il ca-so dell’Archivio storico del ma-nicomio di San Giacomo. Que-sto materiale cartaceo, primadisperso in varie sedi e mala-

mente conservato, ora è ospitatoin una delle poche tracce edilizierimaste a testimoniare la presen-za del manicomio nell’area dovepoi è sorto il Policlinico di Vero-na. Si tratta di un basso edificiogiallo, sede del Centro di Psi-chiatria e Psicologia Clinica. Quilavorano il dottor Renato Fiancoe la dottoressa Fedele Ferrari, in-caricati della gestione della bi-blioteca del centro e del recupe-ro e riordino di tutto il materialerecuperato.«Si tratta dell’archivio delle de-genze», spiega Fianco, «che si af-fianca a quello amministrativoche si trova ad Occhiobello, fonteutile per ricostruire la storia, ilcostituirsi e l’evoluzione dellarealtà del manicomio». Fianco hadedicato uno studio accurato al-l’archivio amministrativo pubbli-

cato per la Cierre edizioni con iltitolo «L’asilo della maggior sven-tura» dove si segnano le tappedella nascita e dello sviluppo del-l’istituzione manicomiale di Ve-rona, i rapporti non sempre sere-ni con le istituzioni, le questionidi gestione quotidiana di questacittà nella città.«Abbiamo recuperato un numerodavvero consistente di cartelle cli-niche, di registri di entrata dei ri-coverati dall’anno di apertura fi-no alla chiusura, quindi dal 1880al 1981», spiega lo studioso. «Lecartelle cliniche contengono poi imateriali più svariati: diagnosi,lettere, fotografie, disegni...».Sta in questa ricchezza e varietàdi materiali l’interesse storicodell’archivio. Perciò il progettodi recupero è stato subito accoltoe sostenuto da un gruppo im-portante di partners, l’Università(nello specifico il dipartimentodi Medicina e Sanità Pubblica e ildipartimento di Discipline stori-co, artistiche, archeologiche egeografiche), la Provincia, il Co-mune, l’Ulss. «Infatti – continuaFianco – è stato costituito un co-mitato culturale che ha il pregiodi unire competenze e realtà di-verse che agiscono sul territorio,sia dal punto di vista culturale esociale. Questo a testimoniarel’impegno verso la costruzionedi una memoria storica per lacittà. Del resto nelle altre cittàitaliane che avevano ospitatomanicomi già da tempo sonoiniziati lavori di valorizzazione edi riappropriazione storica deiluoghi; penso ad esempio allastruttura delle isole di San Ser-volo e San Clemente a Venezia».

Attualità

Marzo 20074

IL MANICOMIO DI SAN GIACOMO

Le voci dei «sepolti vivi»Raccolti in un archivio i documenti dell’ex casa di cura per i malati mentali.

Maria Vittoria Adami ha riportato alla luce le drammatiche lettere dei soldatidella Prima guerra mondiale internati nella struttura. Lettere mai spedite

Il materiale cartaceo ècustodito in una delle

poche tracce edilizierimaste a testimoniare

la presenza delmanicomio nell’area

dove poi è sorto ilPoliclinico di Verona.Si tratta di un basso

edificio giallo, sede delCentro di Psichiatria e

Psicologia Clinica.Qui lavorano il dottor

Renato Fianco e la dottoressa Fedele Ferrari

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La disponibilità di un ordinatomateriale diventa poi un terrenofertile per studi, ricerche, appro-fondimenti, riflessioni. L’archi-vio permette cioè di ricostruirela vita, le giornate, il sentire deiricoverati e anche di ripercorrerela storia della psichiatria nellasua sempre più legittima evolu-zione, dall’utilizzo estremo comestrumento di contenimento so-ciale nei confronti di individuiscomodi, alla promozione delbenessere del singolo all’internodel proprio contesto sociale ed

umano. Le fonti manicomialiportano inoltre nuovi contributie arricchiscono quella che siamosoliti considerare «Storia», quel-la cioè dei grandi eventi.Maria Vittoria Adami ha apertouna finestra in questa direzionecon la sua tesi di laurea in Storia,ora pubblicata dalla casa editriceIl Poligrafo di Padova con il tito-lo «L’esercito di San Giacomo.Soldati e ufficiali ricoverati nelmanicomio veronese (1915-1920)». Maria Teresa ha spulcia-to con passione, una ad una, le

cartelle cliniche quando si tro-vavano ancora semi dimenticatein un buio scantinato dell’ospe-dale di Marzana. E ha trovato untesoro di testimonianze umane.Molti furono i ricoverati a segui-to della guerra.La Grande Guerra fu un dramma,non solo dal punto di vista delnumero delle vittime ma ancheperché condotta in modo diversoe devastante: «C’era la convivenzaforzata in trincea con i vivi e con imorti», spiega la Adami, «inter-rotta da assalti frontali alla baio-netta, l’uso degli aerei... I soldatiricoverati si trovavano per lo piùin stati confusionali o depressivi,altri invece erano aggressivi o inpreda a continue allucinazionisempre di stampo bellico. La cosainteressante è che i medici, non-ostante questa stretta relazione,non individuavano nella guerra lacausa dello stato di questi pazien-ti, ma facevano risalire il tutto auna predisposizione, a un difettooriginario. La causa cioè era nelsingolo e non in ciò che gli acca-deva intorno. Quasi a volere sca-gionare la guerra dalle sue re-sponsabilità».Giovanni scrive: «Mia adoratasorella, uscito dall’ospedale ilgiorno 26 luglio mi mandaronoal Manicomio. Figurati, questoera il colpo di grazia, dopo tuttoquello che ho passato finora.

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«L’asilo della maggior sventura» è il libro pubblicato dal dott. Fianco per la Cierre Edizioni dove si spiegano le tappe

della nascita e dello sviluppo del San Giacomo e i rapporti non sempre sereni con le istituzioni

I soldati ricoveratierano aggressivi o in

preda a continueallucinazioni. Ma lacosa strana è che imedici, nonostante

una stretta relazione,non individuavano

nella guerra la causadello stato di questi

pazienti

A fianco: nella cartella clinica diun giovame soldato è stato trovato

il progetto del terraereo o currusaereo, un aereo capace di volare e

di viaggiare anche a terra cheavrebbe deciso in breve tempo le

sorti della guerra

In basso, nelle due pagine: fronte e retro di una cartolina

dell’esercito in cui lo scriventespiega di non ssere mattononostante il ricovero in

manicomio

Attualità

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di Alessandro Norsa

Nel mio lavoro di psicologo, parte della pra-tica professionale la svolgo nel I Servizio diPsichiatria della città diretto dal Prof. NicolaGarzotto. Uno degli argomenti della riunio-ne di équipe di questa mattina riguardava ildisordine causato dall’ingresso in repartoper il ricovero di un alcolista in stato di «agi-tazione psicomotoria» e la difficoltà ad argi-nare il disagio causato da questo agli altripazienti.Per iniziare a comprendere il complessomondo attuale della psichiatria è necessariofare un passo in dietro, al momento in cui lamalattia mentale è stata istituzionalizzata.Nel 1600 il problema psichiatrico si inserivain un importante fenomeno storico-politicodestinato a modificare radicalmente il pano-rama sociale dell’intera Europa: la segrega-zione della non ragione. Per «non ragione» siintendeva un insieme di soggetti, normal-mente appartenenti alle fasce sociali menoabbienti, che pur non essendo veri e propricriminali, in un modo o nell’altro turbavanol’ordine costituito e la tranquillità sociale.Dorner nel libro «Il borghese e il folle, storiasociale della psichiatria» scrive: «Mendican-ti e vagabondi, nullatenenti, disoccupati,sfaccendati, delinquenti, individui politica-mente sospetti ed eretici, donne di facili co-stumi, libertini, venivano in tal modo resiinoffensivi, e, per così dire, invisibili insiemecon sifilitici e alcolisti, pazzi, idioti e strava-ganti, nonché mogli odiate, figlie disonoratee figli che sperperavano il loro patrimonio».In questo periodo quindi a lato dei Lazzaret-ti per i malati fisici, che con le loro malattiepotevano contagiare i sani, nacquero i Laz-zaretti per contenere, o meglio isolare le per-sone socialmente inaccettabili. La vastità diqueste strutture, sempre maggiori per l’in-gresso crescente di persone, le faceva assomi-gliare a delle vere e proprie città nella città;talmente grandi che il medico (chiamato ge-neralmente per i problemi di natura fisica) sispostava al loro interno con un calesse.Questo stile permase nel XVIII e XIX secoloe, nonostante tali strutture incominciasseroa chiamarsi ospedali generali o, in seguito,

manicomi, rimasero istituti che in parte as-somigliavano al carcere, in parte all’ospizio.A distanza di un secolo, il dottor Fiorio, at-tualmente Responsabile del Centro Diurnodi Salute Mentale «Lessinia» dove lavoro,che è all’interno dell’ospedale di Marzana,ricorda che la popolazione dei pazienti rico-verati negli ospedali psichiatrici italiani al-l’orlo dell’approvazione della legge 180 (cheprevedeva la chiusura dei manicomi) eracomposta da persone per il 50 per cento af-fetti da disturbi alcol correlati, e in essa era-no grandemente rappresentati i pazienti conpatologie come ritardi mentali, cerebropatie,sociopatie e persone che nel tempo erano sta-te inserite per diversi motivi sociali, e che,come i primi, non avevano nulla a che farecon la sofferenza mentale.In questi ultimi decenni, fortunatamente, iprogressi in ambito farmacologico, uniti adei programmi riabilitativi volti al reinseri-mento dei pazienti sul territorio (come quelliche portiamo avanti nel nostro Centro di sa-lute mentale), hanno dato una svolta decisi-va alla cura della sofferenza mentale. Dalpunto di vista dell’immagine che le personehanno delle patologie psichiatriche, però si èrimasti a una concezione aderente a canoniottocenteschi. Ciò che produce o che comun-que aggrava questo è una non sufficiente cul-tura delle malattie mentali in generale e del-la possibilità di distinguere ciò che è psichia-trico da quello che non lo è.Forse una concausa può essere individuatanei media, che effettivamente potrebbero es-sere uno strumento potentissimo per unabuona informazione, ma in realtà negli ulti-mi anni hanno fatto grande propaganda diun certo tipo di «psicologia da salotto», e chepoi in pratica crea confusione, utilizzandoad esempio la parola psicotico (malato gra-ve) invece di fobico (pauroso).Così la tendenza attuale è quella di far pas-sare tutto come comportamento deviante, eanche quelli che potrebbero essere considera-ti aspetti delinquenziali o malvagi vengonointerpretati come conseguenze di aspetti psi-copatologici.Facciamo degli esempi: se una persona è ar-rabbiata col vicino di casa e gli urla dalla fi-

nestra parolacce è un maleducato o è in unostato di agitazione psicomotoria? Se un alco-lista alle tre di notte con una spranga spaccafinestrini delle auto e vetrine ha bisogno del-la psichiatria o di un servizio di alcologia? Seun migrante riferisce che sente gli spiriti vi-cino a sé, è malato o quello che dice deve es-sere compreso negli aspetti riferibili alla suacultura di appartenenza? Attualmente in un reparto di psichiatria cheper legge ha un numero limitato di posti let-to (14 ad esempio per il I° Servizio Psichia-trico) e che serve un’area geografica con unapopolazione di circa 100mila persone, ven-gono ricoverati oltre i pazienti effettivamen-te psichiatrici anche tossicodipendenti, alco-listi, dementi senili e insufficienti mentali.Chiaramente a livello sanitario ciò non deri-va solo da confusione e poca chiarezza dei li-miti di ciò che è più o meno psichiatrico, maanche dalla mancanza di strutture predispo-ste all’accoglienza delle differenti patologie.Ad esempio mancano assolutamente (e que-sto a livello nazionale) servizi per la ricezio-ne di acuzie alcoliche. Questa confusione edisorganizzazione poi si riflette sulla cura eassistenza di quanti avrebbero diritto allecure psichiatriche: disturbi alimentari, psi-cotici e gravi disturbi del tono dell’umore. Laconseguenza per un paziente ricoverato perdepressione che viene svegliato nel cuore del-la notte da un alcolista in crisi di agitazionepsicomotoria è che non si fa più ricoverare, eforse il medico perderà il contatto con lui,una volta dimesso dall’ospedale, perché si ri-volgerà a strutture private.Siamo distanti quindi dall’intravedere unapossibile soluzione a questi problemi, perògià un passo avanti potrebbe essere quello dinon considerare in modo univoco i differenticomportamenti devianti, nella speranza chesi possa avere nel futuro, a livello nazionale,risorse che garantiscano servizi operativi dif-ferenziati per le diverse situazioni.Naturalmente quanto detto, pur facendo ri-ferimento a fatti e situazioni realistiche, ap-partiene ad una visione soggettiva delle cosee pertanto non chiede di essere necessaria-mente condivisa da tutti coloro che operanonel settore.

I confini mai definiti della psichiatria

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Chissà che tengono in testa, datele informazione avute dal Reggi-mento e dall’Ospedale. Dove ipochi mesi di soldato li ho passa-ti in continue ribellioni come sai.E qui dato tutto questo mi riten-gono, forse, un pazzo furioso».E dunque nelle lettere il temadella guerra ritorna come rifles-sione su ciò che si è visto, prova-to: «C’era la paura di tornare alfronte», prosegue la Adami, «lapaura di essere accusati di diser-zione, ma nello stesso tempo an-che una sorta di vergogna pernon essere riusciti a resistere allaguerra, per non essere stati bravisoldati, così come la propagandachiedeva. Dall’altra parte c’eranoanche quelli che davvero si finge-vano matti per evitarla, la guer-ra; erano i simulatori. I mediciavevano il compito di stanarli.Qualcuno si tradì proprio condelle lettere ai familiari in cui sirivelava l’inganno».Comunque sia, simulazione, dis-erzione o fuga nella follia, emer-ge un sentimento «dal basso» dirifiuto della guerra, senza i tonieroici o «interventisti» di un cer-to patriottismo. L’altra facciadella guerra, nella sua crudaquotidianità, nel suo esserci den-tro e patirla. E anche il volto deisoldati diventa meno stereotipa-to e si carica di sentimenti, emo-zioni, vita. A quei soldati «senzamedaglia» viene restituita unadignità umana: «L’orribile guer-ra – scrive Angelo nel 1917 –continua più che mai la distru-zione di cose innocenti... e dovemai si vuol arrivare con questocontinuo spargimento di san-gue? Auguriamoci che la fratel-

lanza trionfi sull’egoismo spieta-to, che è quanto dire: Che l’uma-nità trionfi sulla barbaria e cheritorni presto la, purtroppo giàtardiva, tanto desiderata pace».Nel manicomio di San Giacomoin tanti attendevano la fine delconflitto, molti fornivano perso-nali soluzioni. Come il soldato di29 anni che progettò una macchi-na da guerra a suo dire risolutiva.Nella cartella clinica, ripiegato, èstato trovato il progetto del ter-raereo o currus aereo, un aereo ca-pace di volare e di viaggiare anchea terra che avrebbe deciso in bre-ve tempo le sorti della guerra, ov-viamente a favore dell’Italia. Se laguerra terminava, tutti se ne po-tevano tornare finalmente a casa,questo era il desiderio più grande.Non era sufficiente la terapia cheprevedeva il lavoro manuale, spe-cialmente nei campi che circon-davano gli edifici di San Giaco-mo, a far passare la noia dellagiornate. E le lettere sono indiriz-zate ai familiari, agli amici e,quando non c’erano altri appigli,al Re, o a altre personalità conruoli importanti: «Io mi trovoancora nel manicomio di Vero-na», scrive di nuovo Angelo constraordinaria lucidità al Prima-rio del Manicomio di Lucca, «enon so né come né quando neuscirò. Temo di essere vittimad’una misteriosa fatalità... Adogni modo conosco bene di esse-re un misero in pugno ai potenti

e sono rassegnato alla volontà eai capricci dei medesimi... Avve-nisse presto il giorno da me tan-to desiderato nel cui potessi al-lontanarmi da questo continenteche mi ha fatto tanto soffrire e ri-tornare nel mio paese il Brasilefra i miei cari lontani...».Tutte le lettere sono cariche diuna umanità commovente inquesto desiderio di non perdere ilegami con l’esterno, nel rassicu-rare anche che non si era pazzidavvero, «non mattirò» dichiaraGiovannino alla moglie Carmeli-na, nel sottolineare che presto cisi potrà rivedere, nell’invito a farequalcosa per farlo uscire, nellapreoccupazione per le mogli o ifigli, nel timore di essere abban-donati. Sentimenti e stati d’ani-mo amplificati d’intensità, didramma, o di pietà, dal fatto chequelle lettere, proprio perché so-no state ritrovate nelle cartelle cli-niche, non arrivarono mai a de-stinazione. Testimonianze prezio-se per il nostro sguardo presente,comunque voci senza i loro spe-rati interlocutori. Dall’altra par-te i familiari non sempre aveva-no piacere che si sapesse in girodove fosse finito il proprio caro;il manicomio era una vergogna ela cosa veniva il più possibile na-scosta: «Una famiglia pregò dinon usare “le buste stampate”con l’intestazione di San Giaco-mo», racconta la Adami, «unaragazza spiegava che aveva spe-

Attualità

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Sentimenti e statid’animo amplificatid’intensità, dramma e pietà dal fatto che

quelle lettere, proprioperché sono state

ritrovate nelle cartellecliniche, non furono

mai recapitate

dito al suo fidanzato una letteranon dal suo paese ma da Padovain modo che nessuno potessescoprire la situazione».Ora invece si registra una ten-denza opposta. Un bisogno di ri-conciliarsi con un parente che erastato ricoverato a San Giacomo,un bisogno di riabilitarlo, di ri-prendere in mano queste linee diaffetti interrotte, volutamente:«Da quando si è sparsa la notiziadella sistemazione dell’archivio,spiega la Ferrari, «molte personesono venute a chiederci la possi-bilità di accedere alle cartelle cli-niche dei familiari, dei nonni odelle nonne. Sentono il desideriodi riappacificarsi con queste figu-re su cui era calato per lunghissi-mo tempo il silenzio». Sono an-cora in vita alcuni ex pazienti diSan Giacomo, alcuni infermieri,delle suore che prestavano servi-zio nel manicomio, le famigliedei ricoverati. La prossima tappadi questo recupero di memoria èdedicata proprio a loro, alle fontiorali, alle testimonianze dirette.L’invito è rivolto soprattutto almondo dell’Università, a futuretesi di laurea o di dottorato. Nelladirezione di una storia fatta delrigore di un metodo insieme allavita vissuta e scritta magari in unitaliano semianalfabeta o nellalingua di casa, del paese. Una sto-ria, forse, meno lineare e scontatama più completa, più complessa,più partecipata.

A lato: l’inferno così come lovedeva uno dei ricoverati

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di Giorgia Cozzolino

• ANGELA

«Non è più come una volta, l’e-roina è tagliata con anfetamineper cui hai sempre un effetto ecci-tante di fondo, non riesci a entra-re nella classica pence, quell’orga-smo chimico che è anche megliodi uno reale».Parla così, senza tanti fronzoli,una giovane ex tossicodipendenteche ha quasi terminato il suo per-corso terapeutico e sta, faticosa-mente, riprendendo in mano le

redini della sua vita. Per tutelarela sua riservatezza la chiameremoAngela, dal nome della protago-nista del suo libro preferito, ovve-ro Le ceneri di Angela, di FrankMc Court. Ha trent’anni ed è sta-ta classificata dai Sert e dalle co-munità come una «tossica saltua-ria», un caso quasi da studio per ivari psicologi e psichiatri che l’-hanno seguita, ma comunquesempre un caso serio di tossicodi-pendenza.Ha cominciato giovanissimaquando di moda andava soprat-

Attualità

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DROGA

A Verona “la roba”girae i giovani ci cascano

«Oggi se vuoi sballare ti devi rifornire da tunisini e marocchini, ma se seidonna, i pericoli sono davvero tanti».Un’ex tossicodipendente racconta.

Intervista con il Questore Merolla e il capo della Squadra Mobile Odorisio

Alcol e droga è il micidiale mix che sta rovinando le giovani gene-razioni. Anche Verona, come il resto d’Italia, non sfugge a questaemergenza sociale che trasforma ragazzi e ragazze, apparente-mente senza problemi, in soggetti autodistruttivi che spesso fini-scono per annientare tutto ciò che li circonda. Gli studi degli os-servatori e delle Ulss sono allarmanti: il prezzo della droga al det-taglio è parecchio diminuito negli ultimi anni e al contempo ilconsumo di sostanze stupefacenti è cresciuto. Con dieci euro sipuò provare una baby dose di cocaina, l’ultima novità in fatto dimarketing dello stupefacente; e pasticche di ecstasy variano da 5 a15 euro, mentre una dose giornaliera di eroina si aggira intorno ai50 euro. Il mercato maggiore è quello della marijuana, in Europasi calcola che 65 milioni di persone, vale a dire uno su cinque, l’ab-biano provata almeno una volta. In forte espansione è l’uso dellacocaina e delle anfetamine, droghe che hanno un forte richiamoanche tra gli adulti. Non è quindi più il tempo dei «Ragazzi dellozoo di Berlino», la moda è cambiata, gli eccitanti hanno preso ilposto dell’eroina e agli angoli delle strade non si vedono più gio-vani con la siringa persi in una trance estatica. Le droghe più get-tonate dai ragazzi non sono più quelle che li rinchiudono in unarealtà tutta loro, ma al contrario quelle che fanno sentire, una vol-ta tanto, forti, indistruttibili, bellissimi, all’altezza di ogni situa-zione. Un’illusione così forte, e a tratti così intensa che per torna-re con i piedi per terra si ricorre all’eroina. Solo una piccola doseche mitighi e mascheri gli effetti, anche estetici, degli eccitanti.E così si entra in un vortice ingestibile dal quale uscirne diventasempre più complesso. Un tempo chi entrava in una comunitàaveva la sua area di competenza: chi la disintossicazione da eroi-na e oppiacei e chi invece da cocaina e allucinogeni. Si trattava didue personalità di tossicodipendenti diverse che gli operatoritrattavano con i giusti distinguo. Oggi il mix tra sostanze com-plica anche il recupero e spesso il percorso diventa un continuobalzare da una dipendenza all’altra finendo, quando va bene,nell’alcolismo. Sempre più coinvolte sono le donne, che nell’usodi sostante stupefacenti hanno raggiunto e, in alcuni casi anchesuperato, gli uomini.

Costa poco, ce n’è tanta

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tutto l’eroina, di ecstasy non se neparlava ancora e il massimo erapartire per un viaggio “sintetico”accompagnati dalle note deiDoors. Altri tempi, altra genera-zione, altre sostanze. «Non esistepiù roba buona, la “thailandese”»,spiega, «e sono praticamente spa-riti anche gli spacciatori italiani.Oggi se vuoi della roba ti devi ri-fornire da tunisini o marocchini,gli italiani che spacciano in casasono rimasti a Verona in quattrogatti e sono molto diffidenti, han-no clientela molto selezionata e senon si fidano di te non ti dannoniente. L’unica alternativa che tiresta è andare alle ex cartiere o, fi-no a qualche tempo fa, agli ex ma-gazzini generali, ma da lì non saimai come ne esci, soprattutto sesei donna». Meglio allora riusciread entrare nel giro degli italiani,assicurare di non essere una «in-fame», una di quelle che se becca-te dalla polizia fanno la spia. Machi sono questi personaggi? Ge-neralmente cinquantenni, a lorovolta eroinomani con famigliesfasciate, che sopravvivono spac-ciando quel che basta per mante-nere la propria dose.L’altra tipologia di pusher è lo stra-niero, spiega Angela, molte volteun disperato clandestino che cam-pa spacciando. «Sono marocchinio tunisini, hanno il fascino della

vittima sociale e molte giovani ra-gazze ne rimangono vittima»,spiega. «Raccontano la loro vita ditragedie, partiti da un mondo lon-tano, sopravvissuti a chissà quantiorribili soprusi, e le convinconoche insieme potranno superaretutto; molte di queste sono ragazzegiovanissime che non si accettanoesteticamente, magari con proble-mi di alimentazione o rapportidifficili con la famiglia; diventano iloro principi azzurri, i loro salva-tori e magari danno loro anche laroba gratis, facendosi pregare per-ché – dicono – vorrebbero farlesmettere. E poi quando queste ra-gazze sono completamente succu-bi, si trasformano, diventano vio-lenti e le convincono a prostituirsio ad aiutarli nello spaccio».«È un mondo vario quello dellatossicodipendenza», racconta An-gela, «io sono stata fortunata per-ché alle spalle ho sempre avutouna famiglia che mi ha aiutato, main comunità ne ho viste davverotante; ci sono straniere arrivatedall’Est o dall’Africa e costrette aprostituirsi che si drogano per su-perare le botte e lo squallore, altreragazze italiane che si vendono perpagarsi la dose e i vestiti di marca;ci sono poi i giovani sbandati sen-za nessuno che li aiuti e altri pienidi soldi e incapaci di considerarsi“tossici”. Insomma ce n’è per tutti i

gusti e ognuno è un caso a sé, nonesiste una formuletta magica perguarire tutti in un colpo solo. Èper tutti un percorso lungo e forseinterminabile, è ogni giorno unaguerra contro te stesso».

• IL QUESTORE LUIGI MEROLLA

«Verona non è più la Bangkok diItalia». Lo sostiene il questore,Luigi Merolla rievocando, insie-me al capo della squadra mobileMarco Odorisio, il soprannomeche la città si era tristemente gua-dagnata già a partire dagli anniSettanta.E spiega: «La città non ha più ilruolo che aveva negli anni Ottan-ta di crocevia e mercato degli stu-pefacenti perché, purtroppo pernoi, la diffusione dello spaccio edell’assunzione di queste sostanzesi sono ampiamente estesi a tuttoil territorio nazionale». Tuttaviale aree metropolitane, spiega ilquestore, si prestano maggior-mente ad offrire nelle loro pieghezone di scambio di questo merca-to illecito. «Attualmente due sonoi fattori di attrazione nella nostracittà», aggiunge Merolla, «quellearee in cui si è certi di trovare lospacciatore, come per esempio leex cartiere, dove periodicamentefacciamo dei blitz, e la presenza di

Attualità

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Discoteche, pub, localie le relative piazze che

li ospitano sono iluoghi preferiti del

commercio aldettaglio di sostanze

stupefacenti: laddovecioè c’è la domanda,arriva subito ancheuna risposta. Basta

un’occhiata, dueparole per

l’appuntamento e, dalì a qualche minuto, si

ottiene quantorichiesto

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spaccio che si polarizza su luoghidi appuntamento e di svago». Di-scoteche, pub, locali e le relativepiazze che li ospitano sono i luo-ghi preferiti del commercio aldettaglio di sostanze stupefacenti:laddove cioè c’è la domanda, arri-va subito anche una risposta. Ba-sta un’occhiata, due parole perl’appuntamento e, da lì a qualcheminuto, si ottiene quanto richie-sto.Accanto a questa dimensione cit-tadina vi è poi un polo di attra-zione per lo smercio più ampiolegato al fattore geografico che ri-chiama persone e traffici da Tren-to e Bolzano ma anche dal man-tovano, rendendo l’area scaligeraseconda come importanza a cen-tri come Torino e Milano. Corrie-ri che percorrono in lungo e inlargo la Penisola, magari prove-nienti dalla Spagna o dall’Olandacon grossi carichi, spesso incap-pano nelle maglie dei controllidelle forze dell’ordine scaligere;non è un caso che lo scorso annola questura abbia sequestrato 40chilogrammi di cocaina. Anche sele indagini di polizia si muovonoa 360 gradi, all’ordine del giornosono i piccoli sequestri, quelli diqualche grammo, magari già se-parati in confezioni monodose epronti per le narici dei veronesi,dal ragazzino festaiolo al mana-ger in carriera.Nonostante la fotografia del traf-

fico di narcotici scaligero sia bennota e chiara alle forze di polizia,non è così facile trovare una for-mula definitiva che possa sman-tellare questo mercato. «Vent’an-ni fa si delinearono gruppi mala-vitosi locali che capirono il gran-de affare e realizzarono delle ban-de di un certo spessore poi sman-tellate con le varie operazioni“Arena” dirette dal procuratorecapo Papalia», ricorda Odorisio.«Scompaginate queste organizza-zioni, ma permanendo la richie-sta di droga, i vuoti lasciati sonostati riempiti da una miriade dipiccoli gruppi formati in preva-lenza da extracomunitari», spiegail questore. Tra i piccoli spacciato-ri ci sono in prevalenza magrebi-ni, mentre i grandi traffici sonogestiti da albanesi e nigeriani che,nella maggior parte dei casi, cura-no anche il mercato della prosti-tuzione. «Il legame è infatti stret-tissimo, sugli stessi canali delladroga arrivano anche le ragazze espesso i proventi della prostitu-zione vengono reinvestiti nell’ac-quisto di sostanze illecite», ag-giunge Merolla. La questura simuove quindi su più fronti, siacon operazioni di spicciolo con-trollo, sia con indagini di più am-pio respiro che servono a sman-tellare sul nascere l’avvio di nuoveorganizzazioni criminali. «L’im-portanza del contenimento diquesti gruppi è strategica perché è

stato dimostrato che poi spessoqueste organizzazioni finisconoper farsi la lotta tra loro, coinvol-gendo in sparatorie anche ignaricittadini, come avviene in altreparti d’Italia. Purtroppo si trattadi un mostro a più teste», ammet-te Merolla, «e tagliata una, ne na-sce subito un’altra».Il fenomeno è quindi vasto, i pic-coli spacciatori si spostano in con-tinuazione e spesso hanno addos-so solo quantitativi minimi di dro-ga, inoltre la tendenza non è nem-meno più solo giovanile e non èsufficiente monitorare i luoghid’incontro per debellare il proble-ma. «Nei limiti delle nostre forzefacciamo tutti i controlli che èpossibile fare, ma ci vorrebbe unesercito. Forse bisognerebbe rea-lizzare situazioni tali da far sì che siassottigli la domanda», sostieneMerolla che, come i suoi uomininon si lascia scoraggiare, anche sespesso ha la sensazione di svuotareil mare con un cucchiaino. «Non cipermettiamo di criticare l’efficaciadelle leggi, non è compito nostro»,conclude, «dalla nostra parte di-ciamo che ci servirebbero quantipiù strumenti tecnici possibili perindividuare queste sostanze, stoparlando di reagenti sempre piùraffinati e adatti ad analizzare an-che le nuove droghe e, magari, chele pene siano più certe e non deb-bano, come spesso accade, essereinficiate da vizi e cavilli».

Attualità

Marzo 200710

«Sugli stessi canalidella droga arrivano

anche le ragazze espesso i proventi dellaprostituzione vengono

reinvestitinell’acquisto di

sostanze illecite»

Alcol e droga: una miscela esplosiva

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di Cinzia Inguanta

Il 16 gennaio 1900 verso le 7 nelleacque gelide dell’Adige vengonoritrovate diverse parti del corpodi Isolina Canuti, 19 anni. Man-cano la testa, le gambe e le brac-cia. Varie tracce sembrano porta-re al tenente degli alpini CarloTrivulzio, 25 anni, amante della

vittima e alla levatrice Friedman.Arrestati, vengono poi prosciolti.L’unica condanna che verràemessa sarà quella a 23 mesi di re-clusione per il direttore del gior-nale Verona del Popolo, Mario To-deschini, colpevole di aver chiestogiustizia per il fatto.Verona 16 gennaio 1900. Due la-vandaie, Maria Menapace e Lui-

gia Marconcini, mentre sono chi-ne ad insaponare le lenzuola nelleacque dell’Adige sotto il ponteGaribaldi, scorgono un sacco im-pigliato tra sterpi e siepi. «Saràcarne inferior, per frodar el da-zio», questo è il primo pensierodelle donne, come risulta dalla lo-ro testimonianza. Quel sacco na-sconde invece, come scoprono

Stuoria

inVERONA 11

Al momento dellamorte la ragazza era

incinta di quattromesi. Chi e perché ha

compiuto un similedelitto? Comincia la

caccia all’assassino

DELITTI E MISTERI

Isolina innamorata finì a pezzi in Adige

Mai trovato l’assassino ma pesanti furono i sospetti su un ufficiale degli Alpini

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qualche istante più tardi, i restistraziati di una giovane donnauccisa, fatta a pezzi ed infinebuttata a fiume come uno scartoqualsiasi.La vittima, una popolana di di-ciannove anni, è Isolina Canuti,figlia di felice Canuti, impiegatoda 25 anni nell’amministrazionedi una grossa azienda, la Tressa.Al momento della morte la ragaz-za era incinta di quattro mesi. Chie perché ha compiuto un similedelitto? La città è in allarme, lapopolazione si sente coinvolta daquesto delitto. Comincia la cacciaall’assassino. In molti scandaglia-no il fiume per ritrovare la testadella donna che sarà recuperatasolamente il 24 dicembre neipressi di Ronco all’Adige. Le pri-me indagini su questo delitto, chetiene con il fiato sospeso tutta l’I-talia sono condotte dal questore,cavalier Cacciatori. Carlo Trivul-zio, il sospetato, è un tenente delSesto Alpini, che aveva preso inaffitto una stanza in casa Canuti,al 25 di via Cavour, e intrattenutouna relazione amorosa con Isoli-na. Trivulzio apparteneva a unafamiglia nobile di Udine, era ric-co e stimato sia dai commilitoniche dai superiori. Il giovane uffi-ciale ammette di essere stato l’a-mante della ragazza e di essere alcorrente del suo stato di gravi-danza, ma respinge ogni accusa enega anche di averla esortata adabortire.Dopo ulteriori indagini, che por-tano alla scarcerazione di Trivul-zio, il questore di Verona si di-mette, c’è chi vorrebbe metteretutto a tacere. Perché? Nel 1900 Verona era una città di

guarnigione in cui i militari, cheerano quasi più numerosi dei ci-vili, si sentivano i veri figli dellacittà. Erano anni politicamentedifficili. L’Italia era divisa tra ric-chi e poveri, nobili e plebei, mili-taristi e pacifisti, socialisti e con-servatori. Era terminata da poco,con una costosa sconfitta, laGuerra d’Etiopia. Scioperi e agi-tazioni erano repressi violente-mente, soprattutto a Milano do-v’era avvenuta una vera carnefici-na durante le quattro giornate dal6 al 9 maggio 1898 quando il ge-nerale Bava Beccaris, per ordinedel re Umberto I, aveva soffocatonel sangue i tumulti. Le Universi-tà erano state chiuse, come le ca-mere del Lavoro, e in un clima ditensione e repressione il generalePelloux, chiamato al governo daun re impaurito e tentennante,pensava di dirigere il paese con ipoteri speciali e decreti regi.In questa atmosfera di tensione epaura, tutti sembrano voler di-menticare, tutto viene bruciatovelocemente. La gente vuole di-vertirsi e a Verona la situazionenon è da meno. La città offre mol-te possibilità di svago, ci sono bensei teatri: il Filarmonico, il Risto-ri, il Manzoni, il Drammatico,l’Arena ed il Gambrinus.Isolina, sarebbe stata presto di-menticata, la sua vicenda sarebbediventata uno dei tanti casi inso-luti, se non fosse per Mario Tode-schini, deputato socialista e diret-tore del giornale Verona del Popo-lo. Prima con una interrogazioneal Parlamento e poi con una serie

Misteri

Marzo 200712

«Chi controlla il passato,controlla il futuro; chicontrolla il presente,

controlla il passato [...]dove esiste il passato,

seppure esiste?».«Nei documenti.Vi è registrato».«Nei documenti.E... nella mente.

Nella memoria degliuomini».

George Orwell

Nella pagina precedente: il corpo diIsolina è stato gettato nelle acquedell’Adige dal giardino di VillaCanossa.

Qui a fianco, dall’alto: nelle prime dueimmagini il luogo dove è statoritrovato il cadavere, a PonteGaribaldi. Nelle foto successive VicoloChiodo, dove al civico 9 si è consumatoil delitto.

Nella pagina accanto: daVicolo PomoD’oro il corpo di Isolina fu portatonella vicina Villa Canossa, visibilesullo sfondo della seconda immagine.Nelle foto successive il Circolo Ufficialidi Castelvecchio e l’effigie di un voltofemminile, visibile all’inizio di VicoloChiodo che la tradizione attribuisce aIsolina Canuti

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inVERONA

di articoli provocatori, Todeschi-ni mette alle strette Carlo Trivul-zio costringendolo a uscire dal si-lenzio nel quale si era rifugiato.Le provocazioni del giornalistainsieme alle nuove scoperte sulcaso costringono l’ufficiale a que-relare Todeschini: non farlo sa-rebbe stato come ammettere lapropria colpevolezza. In questomodo si arriva finalmente a unprocesso, ma non contro il pre-sunto assassino, bensì per diffa-mazione contro il deputato socia-lista.L’opinione pubblica si divide, igiornali si schierano: Il Gazzettinoe Verona del Popolo dalla parte diIsolina e del Todeschini, L’Arena,Verona Fedele, L’Adige, Il Resto delCarlino e La Stampa dalla parte diTrivulzio e dell’esercito. Il Corrie-re della Sera si tiene in una posi-zione di mezzo, a volte interessatoalla scoperta della verità, a voltetrascinato dall’onda portante delperbenismo.É una piccola storia quella di Iso-lina, quasi scontata, quella di unaragazza che rimasta incinta del-l’amante, spera di riuscire a spo-sarsi. Durante una cena alla Trat-toria del Chiodo, al 9 di vicoloChiodo, la giovane donna in statodi evidente ubriachezza, vienefatta abortire con violenza, manel corso dell’operazione muore equalcuno la fa a pezzi. Tutti gli in-dizi portano a un gruppo di uffi-ciali, amici di Trivulzio. Lo stessoquestore della città è convintodella colpevolezza dei militari.Per far assolvere il Trivulzio, inmancanza di meglio, gli avvocatidell’accusa mirano a far apparireIsolina «leggera», una che la mor-

Misteri

13

te se l’è peggio che cercata, «se l’èvoluta». A questo bastano una vi-cina di casa animata da qualcherisentimento, i pettegoli, i bigot-ti, la retorica, i finti moralismi.L’intera vicenda viene così politi-cizzata, lo stesso Capo di StatoPelloux lascia intendere di teneremolto all’esercito, e di preferire,lui pure, che tutto venga sepolto.Il processo termina con la con-danna per diffamazione nei con-fronti di Todeschini. Lo stabiliscela sentenza del 31 dicembre 1901:«In seguito a tutte queste osserva-zioni il Collegio dichiara colpevo-le l’onorevole Mario Filippo To-deschini del delitto di diffamazio-ne continuata per mezzo dellastampa in danno di TrivulzioCarlo, coll’aggravante della reci-diva generica e col beneficio delleattenuanti generiche, lo condan-na alla reclusione per la durata di23 mesi e 10 giorni e alla multa diL. 1458. Lo condanna inoltre alpagamento delle spese processua-li, della pubblicazione della sen-tenza, al risarcimento danni».Delitto senza castigo, per il colpe-vole mai condannato; castigo in-vece per chi ha mosso le acque.Del resto Isolina è figlia di un im-piegato, un poveruomo che s’ar-rangia dando in affitto qualchecamera agli ufficiali di passaggio;Trivulzio proviene invece da unafamiglia nobile e ricca, e poi cosaconta la vita di una ragazzinasemplice e povera di fronte all’o-nore dell’esercito? Ed è quelloche alla fine viene salvato, controtutte le evidenze. Isolina vittimain una storia in cui i veri protago-nisti sono la ferocia e il confor-mismo.

L’opinione pubblica si divide, i giornali sischierano: Il Gazzettino e Verona del Popolo dallaparte di Isolina e del Todeschini, L’Arena, VeronaFedele, L’Adige, Il Resto del Carlino e La Stampadalla parte di Trivulzio e dell’esercito. Il Corriere

della Sera si tiene in una posizione di mezzo

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Marzo 200714

di Massimo Rimpici

Gli ultimi provvedimenti presentinella Finanziaria 2007 hanno fat-to «saltare i nervi» anche alle per-sone più caute, le categorie pro-fessionali più equilibrate e re-sponsabili. Si pensava che la classepolitica avesse finalmente meta-bolizzato la necessità di semplifi-care e invece – si lamentano gli ad-detti ai lavori – «siamo ripiombatinel tunnel degli adempimentionerosi, complicati e contraddito-ri». Non è il mugugno di uno spa-

ruto mucchietto di specialisti, o illamento di una casta alla quale si ètolto qualche privilegio, qui si trat-ta di un’intera categoria che è stataimbrigliata in un guazzabuglio diincombenze difficilmente com-prensibili e spesso inutili, sicura-mente sproporzionate rispetto aipossibili (e teorici) benefici. Unfardello di oltre 1.300 commi perla cui comprensione si è resa ne-cessaria la predisposizione di uncentinaio di regolamenti collegati.«Cosa serve», esordisce il dottorGiovanni Mazzi, «aver trasferito

l’onere della trasmissione degliF24 (le deleghe per pagare l’Iva ele tasse, ndr) dalle banche ai pro-fessionisti? Una volta il cliente o lostudio di consulenza compilavanoil modulo, che poi veniva presen-tato in banca. Successivamente l’I-stituto trasferiva telematicamenteil risultato nelle casse dell’Erario.Adesso questo compito è stato as-segnato di fatto ai professionisti:le piccole e medie aziende spessonon sono in grado autonoma-mente di compiere questa funzio-ne. Cosa è cambiato dal punto di

«Comunque la sianalizzi, la nuovalegge finanziaria

presentaincongruenze,

appesantimentiburocratici di dubbia

efficacia»

VERONA - FINANZIARIA 2007

Commercialisti in tiltUn fardello di oltre 1.300 commi per la cui comprensione si sono resi necessari

un centinaio di regolamenti collegati. Lo sfogo di Giovanni Mazzi

Page 15: Verona In 14/2007

Attualità

inVERONA 15

vista sostanziale? Nulla, il cittadi-no paga le tasse come le pagavaprima. Cosa è cambiato dal puntodi vista formale? Tutto, hannofatto emigrare l’onere da loro anoi! Mi viene da pensare che lebanche abbiamo chiesto un au-mento delle commissioni persvolgere questo servizio e che leistituzioni abbiano pensato benedi decentrare l’incombenza sullespalle di altri soggetti».Comunque la si analizzi, la nuovalegge finanziaria presenta incon-gruenze, appesantimenti burocra-tici di dubbia efficacia, ma soprat-tutto apre altri fronti, come la de-lazione. «I professionisti, insiemeagli intermediari finanziari»,commenta Luigi Zaccarella, «sonostati arruolati nel sistema antirici-claggio. Siamo diventati i nuovicontrollori, ovvero i delatori delsegreto d’ufficio». Perché caricarequesta categoria di compiti chesarebbe meglio affidare alle istitu-zioni preposte a questo tipo di in-dagini? Con tutte le novità intro-dotte, gli studi di consulenza o leassociazioni di categoria non han-no certo bisogno di ulteriori man-dati. «Potrei essere d’accordo», ag-giunge Mazzi, «sulla nuova misu-ra che reintroduce la presentazio-ne degli elenchi dei clienti e deifornitori. Uno dei problemi piùseri del nostro sistema è proprio ilgiro delle false fatturazioni, macosa serve aver fissato la data diproduzione degli elaborati al 30 diaprile? Se c’è un problema di get-tito, che si anticipi il pagamentonon la data di presentazione deglielenchi».Insomma una serie di nuovi ob-

I professionisti arrivano alla spicciolata, trafelati. Il tempo di bereun caffè, poi di corsa in viale delle Nazioni, al Centro Servizi, perguadagnarsi un posto a sedere. A dieci alle nove, l’auditorium do-ve si svolge il convegno è già affollatissimo. Sguardi sgomenti, cel-lulari che suonano, mentre si cerca di trovare l’ultima poltrona li-bera. La sala è confortevole ma non sufficiente a contenere gli oltrecinquecento operatori fra commercialisti, ragionieri, consulentidel lavoro. Qualcuno si fa prestare una sedia dal personale che as-siste i convenuti, altri – sconfortati – non trovano di meglio che se-dersi per terra, sulla moquette. Più che ad un convegno finanzia-rio, sembra di assistere a un grande evento: tutti molto concentra-ti, attenti a esaminare le parole del relatore in cerca di sicurezze, dicertezze, di risposte ai mille dubbi alimentati da questa Finanzia-ria. Ma il meeting – organizzato dalla società Aldebra, che duran-te l’anno ne pianifica almeno altri due per la categoria – non è an-cora iniziato e mentre si aspettano gli ultimi ritardatari c’è il tem-po per scambiare quattro parole con l’amico-collega. Una battutasull’ultimo provvedimento approvato dal Governo o su quanto si èletto il giorno prima sul quotidiano economico. Due parole cheservono a rinfrescare vecchie amicizie, a rinvigorire quelle più re-centi o ad organizzare un fine settimana con l’ex compagno di stu-di. Iniziano le presentazioni del padrone di casa, quindi l’imman-cabile pubblicità dell’operatore di telefonia mobile che sponsorizzail congresso. Finalmente il conferenziere prende la parola ed iniziaa sciorinare commi e articoli; gabelle che si frappongono ad altribalzelli; tasse che sostituiranno altre imposte; sistemi di calcolo cherimpiazzeranno i vecchi conteggi; norme che subentreranno ad al-tre regole. «Un ginepraio» le definisce durante il simposio il relato-re, Antonio Gigliotti. Uno dei timori maggiori è quello di non po-ter rispettare le scadenze: tutto è molto ravvicinato, è nuovo, noncollaudato. La telematica aiuta moltissimo, ma ormai anche conquella si fa molta fatica a rispettare i tempi. «Se badassi a tuttoquel che c’è da fare – si confessa sconsolato un ragioniere – non po-trei più fare la pausa di mezzogiorno». La materia è diventata tal-mente farraginosa che non se ne viene più a capo, se non con moltafatica. Oltre ai numerosi commi sempre più incerti, il fattore tem-po sta diventando quello più angosciante: riuscirò a fare tutto intempo utile? É la domanda sempre più ricorrente. «Ho rinunciatoa gestire alcuni nuovi clienti», confessa amareggiato un altro ope-ratore, «dovrei assumere altri collaboratori, ma come faccio a fardigerire ai miei clienti costi sempre maggiori?». Finalmente unapausa: il tempo per andare fuori a fumare una sigaretta, a bere uncaffè, o per chiamare al telefono l’ufficio per farsi dare gli ultimiappuntamenti del giorno. Poi la maratona continua, altre novità,altri dubbi, altre gabelle, altri appunti da prendere. Alle dodici etrenta il relatore prende in mano la «montagna» di quesiti che du-rante la mattina i professionisti hanno presentato al tavolo dellapresidenza e inizia a rispondere: legge una ad una le domande e atutte dedica una risposta, anche se breve. Terminato il convegno cisi appresta a ritornare in ufficio o a consumare una frugale cola-zione al bar più vicino. Volti tirati, sguardi spaesati, qualche bot-tone della camicia che non ha retto all’ultima novità in fatto dimancata emissione dello scontrino fiscale e nodi delle cravattesciolti dopo la constatazione dell’ennesima variazione in materiadi indetraibilità delle spese alberghiere.

M.R.

blighi che hanno aumentato a dis-misura i compiti da svolgere senzaun sicuro riscontro sul fronte del-le entrate. «Si potrebbe andareavanti così non dico all’infinitoma quasi», aggiunge sconfortatoGiovanni Mazzi. E le categorieprofessionali non sono le sole a ri-marcare le critiche al testo di leg-ge: il Presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano l’ha definita«abnorme», due ex Presidenti(Cossiga e Ciampi) «anomala»,mentre un senatore dell’opposi-zione, Mario Baldassarri, «unamaionese impazzita di commi».Agli infiniti compiti nuovi si è ag-giunto l’uso obbligatorio della te-lematica: il semplice fruttivendolodi quartiere avrà gli stessi obblighidella multinazionale petrolifera.«Noi – conclude Zaccarella – sia-mo obbligati a tenere per cinqueanni tutto il materiale cartaceo cheriguarda la contabilità dei nostriclienti, mentre lo Stato pretendesolo ed esclusivamente modulisti-ca elettronica». É sparito il model-lo di carta, il 740, la dichiarazionedei redditi compilata a mano econsegnata di persona all’ufficiotributi del Comune di residenza.Può il Governo obbligare tutti adavere il computer? Ad imporre diusare internet a tutti i costi? Chi ècontrario a questi provvedimentisostiene che ci sono modi diversiper affrontare la modernizzazionedel sistema. «Non si può predicarela semplificazione, l’uso della re-te», concludono i professionisti, «eintrodurre contemporaneamentequattro modi differenti per de-trarre l’Iva e i costi relativi agli au-toveicoli aziendali!».

Riuniti in un Convegno per trovare vie di uscita

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re di molti altri monumenti cit-tadini come l’Aleardi nella Chie-sa dei SS. Apostoli, il CardinaleCanossa in Duomo, i sontuosimonumenti a Erbisti e Zorzi incimitero, i busti e le statue inchiese di città e provincia.La statua fu eretta nel 1865 e rap-presenta il poeta avvolto nel luc-co, magro e austero, reggente lasua opera con una mano, a soste-gno dell’altro braccio con un di-to al mento, mentre volge la testaassorto in un pensiero profondo:una statua che si caratterizza percompostezza della figura e pen-sosa severità dell’aspetto, propriosecondo quella linea “drammati-ca” celebrata da Raffaello nellaStanza della Segnatura in Vatica-no. Fu nel 1863, per celebrare il6° centenario della nascita del-l’Alighieri, che l’Accademia diAgricoltura Commercio ed Articon la Società di Belle Arti decisedi erigere una statua in onore «diquel sommo che delle glorie d’I-talia è la più fulgida, onore e van-to dell’umanità intera». Fu indet-to un concorso – per una spesapreventivata in seimila fiorini – evincitore risultò l’allora ventino-venne Zannoni, scelto perché ilsuo modellino «rendeva il veroconcetto della grandezza e temi-bilità di quel sommo e lo ritraevaquale Egli dovea essere in Vero-na, meditabondo sul passato, no-bilmente mesto dei suoi destini evieppiù di quelli della sua Pa-tria». Zannoni frequentò l’Acca-demia a Venezia e a Brera, offren-do Milano – più aperta alleespressioni dell’arte della nativaVerona ancora sotto l’occupazio-ne austriaca – più possibilità ar-tistiche. Alla sua morte nel 1919,fu aggiunto al grande Angelo, dalui scolpito nel 1885 per la tombadi famiglia, il suo medaglionecon la breve e significativa epi-grafe «Ugo Zannoni, anima retta,cittadino munifico, cristianoconvinto. Col Dante di nostrapiazza iniziò affermando il suogenio, l’ascesa della sua famad’artista». Gli storici lo definiro-no «artefice della forma al som-mo grado, un vero campione ve-ronese dell’arte tradizionale», eforse quest’uomo, dalle cui maniuscì la rappresentazione delSommo poeta, merita anche oggiil nostro ricordo.

Cultura

Marzo 200716

di Alice Castellani

Recentemente ingegneri e antro-pologi dell’università di Bolo-gna, Pisa e Forlì, supportati dallaboratorio di realtà virtuale edalla tecnica di facial reconstruc-tion, hanno ricostruito al com-puter quello che si presume il ve-ro volto di Dante. Questo studio,prosecuzione di quello iniziatonegli anni ’20 con la ricostruzio-ne del cranio dantesco, definiscei tratti somatici cui eravamo abi-tuati, come «più psicologici chereali», volti a tramandare lo spi-rito del poeta. L’iconografia eradunque fedele alla celebre descri-zione del Boccaccio, che tratteg-giava «il volto lungo, e il nasoaquilino, e gli occhi anzi grossiche piccoli, le mascelle grandi, edal labbro di sotto era quel di so-pra avanzato (...) e sempre nellafaccia malinconico e pensoso».La ricostruzione tridimensionaleha dunque voluto restituire aDante la sua umanità, suscitandonotevole interesse non solo inItalia, essendo l’Alighieri uno deipadri della patria, il primo gran-de poeta della lingua italiana, nu-me tutelare della nostra lettera-tura spesso definito «il vate», ilprofeta.Verona, città ricca di monumen-ti, storia e cultura, vanta i natali,il passaggio e la permanenza trale sue mura di molte illustri per-sonalità del mondo del sapere,capaci di lasciare il segno con leloro opere e la loro fama, facen-done una delle città italiane piùconosciute nel mondo. Tra que-ste spicca quella del sommoDante, che vi visse sei anni, dal1312 al 1318, scrivendovi buonaparte della cantica del Paradiso,di cui Cangrande della Scala èdedicatario.Sul piedistallo del monumentoche celebra l’autore della DivinaCommedia, in quella piazza deiSignori a molti nota come piazzaDante, possiamo leggere “A Dan-te lo primo suo rifugio”. Ai suoipiedi sostano ogni giorno turistie veronesi, affascinati da una del-le più belle piazze cittadine. Perònessuno sa, o quasi, chi ne ful’autore, non ricordato da alcunatarga sebbene si tratti di un vero-nese, il pittore e scultore UgoZannoni, nato nel 1836 e creato-

La statua di Dante?Opera del veronese

Ugo Zannoni

Sul piedistallo del monumento checelebra l’autore della Divina Commedia,in piazza dei Signori, possiamo leggere

«A Dante lo primo suo rifugio».Ma non c’è il nome dell’autore

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di Nicola Guerini

Alberto Tantini nacque a Veronanel 1894 da una famiglia borgheseamante dell’arte. La madre, AnnaGallizioli, buona pianista dilettan-te, gli trasmise la conoscenza dellamusica e soprattutto la passioneper il melodramma. Alberto Tanti-ni ebbe un grande impatto emoti-vo prendendo parte, a Milano, ai

funerali di Giuseppe Verdi, cui lamadre lo condusse. Dopo il liceoclassico, s’iscrisse alla facoltà di In-gegneria al Politecnico di Torino,ma gli studi furono interrotti dallaGrande Guerra, alla quale parteci-pò come ufficiale di artiglieria sulCarso, rimanendo in trincea a No-va-Vas dal 1915 al 1918.Tornò a Verona nel 1919 dopo unanno trascorso a Napoli per diret-

tive imposte, ottenendo poi l’ono-rificenza di «Cavaliere di VittorioVeneto». Si laureò a guerra termi-nata ed esercitò la professione an-che in collaborazione con lo Stu-dio dell’architetto Ettore Fagioli,con il quale collaborò per le sceno-grafie areniane. Nel 1931 si sposòcon Ada Cesari ed ebbe due figlie.Il sentimento forte che lo legava al-la passione del teatro lo portò a oc-

inVERONA 17

DOPO IL BOMBARDAMENTO DEL ’45

La ricostruzionedel Filarmonico

Con la distruzione del teatro, a Verona veniva a mancare uno dei simboli piùimportanti della cultura cittadina. Alberto Tantini nel febbraio 1947 fece

accelerare la decisione di bandire un concorso nazionale per la ricostruzione

Sopra, Alberto Tantini con Maria Callas (al centro) e nella pagina successiva con il tenore Mario Del Monaco

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cuparsi dell’attività del Filarmoni-co, a fianco del presidente, al tem-po Luigi Amistà, nella carica di di-rettore e, successivamente, in quel-la di presidente dell’Accademia Fi-larmonica tra il 1940 e il 1973, an-no della morte. Durante la secondaguerra mondiale Tantini fu richia-mato alle armi ma provvide a met-tere in salvo l’archivio e il preziosopatrimonio musicale dell’istituto ea dargli più tardi la giusta sistema-zione nella sede ricostruita.É interessante sapere che sono statipubblicati i Diari di MonsignorTurrini, bibliotecario della Capito-lare e dell’Accademia, nei quali vie-ne descritto l’impegno, l’angoscia ela preoccupazione, divisa con Tan-tini, per salvare dai bombarda-menti le centinaia di libri della Bi-blioteca. Ne riportiamo qualcheepisodio tratto proprio da quelletestimonianze preziose. AlbertoTantini, su richiesta di Turrini, fececostruire, infatti, un ripostiglio nelsotterraneo del palcoscenico delTeatro per poi trasportarvi, nel-l’autunno 1943, gran parte del ma-teriale della biblioteca dell’Accade-mia. Ma dopo l’inverno del 1944l’apprensione per il pericolo del-l’umidità fu superata da quella perle incursioni aeree. La stazione nonlontana di Porta Nuova era ripetu-tamente bersaglio di aerei nemici,poi la vicinanza della sede del Co-mando delle SS (di fronte alla chie-sa di San Luca) e la presenza deldeposito di benzina, con vasca sot-terranea, dietro la canonica di SanLuca costituivano un pericolograndissimo per il materiale custo-dito sotto il palcoscenico del Filar-monico. Monsignor Turrini pensòche non fosse prudente lasciare ilpatrimonio della Biblioteca ancorain quel luogo e, in accordo con Al-berto Tantini, si volle trasportaretutto alla Capitolare. Per mancanzadi spazio nella sede della bibliote-ca, fu lasciata nel ripostiglio del Fi-larmonico tutta la musica del XIXsecolo insieme a una raccolta diquadri che ritraevano Accademiciillustri del passato. Purtroppo l’in-cendio del 23 febbraio, del 1945,provocato da una bomba, distrussecompletamente l’intero Teatro e ilmateriale conservato, mentre ilbombardamento che ridusse inmacerie la Capitolare, per un mira-colo, non danneggiò i volumi e tut-to il materiale messo al riparo.

L’impegno di Alberto Tantini fudavvero lodevole insieme alla dedi-zione che lo legò a tutti gli episodidella ricostruzione della città. Ap-pena terminata la guerra fu attivonel partito repubblicano e divennesindaco di Roncà, oltre a ricoprirela carica di Censore della Bancad’Italia. Gli incarichi politici però,non impedirono mai di coltivare lagrande passione per la cultura e lamusica. Conobbe e fu amico dimolti artisti e musicisti tra i qualiBerto Barbarani, Lionello Fiumi,Renato Simoni, Arnaldo Fraccaro-li, Guido Trentini, Giuseppe Zan-colli, Italo Montemezzi e SergioFailoni (vedi pagina a fianco), notodirettore d’orchestra veronese, so-stituto di Toscanini, al quale fumolto legato. Nel 1948 venne amancare il tenore Giovanni Zena-tello, che la storia ricorda come ilprimo Radames nell’Aida del 1913e per due anni come Sovrinten-dente del costituito Ente Liricodell’Arena. Alberto Tantini fu desi-gnato, su fiducia del sindaco AldoFedeli ad assumerne l’eredità.Quattro furono le stagioni che egliguidò, dal 1949 al 1952, nel corsodelle quali il livello artistico deglispettatori e la gestione ammini-strativa dell’Ente segnarono note-voli progressi anche attraverso al-lestimenti insoliti e coraggiosi: Lo-hengrin di R. Wagner (1949), Mefi-stofele di A.Boito (1950), La Walki-ria di R.Wagner (1950), I Pescatoridi perle di G.Bizet (1950), Manon

di J.Massenet (1951), Boris Godu-nov di M.P.Musorgskij (1952) e LaGioconda di A. Ponchielli (1952) incui cantava, sotto la direzione diAntonino Votto, una delle voci de-stinate poi a diventare tra le più fa-mose della lirica: Maria Callas.Con il bombardamento del 1945non rimaneva solo la grande ama-rezza per aver perso il teatro, masoprattutto veniva a mancare unodei simboli più importanti dellacultura cittadina. Tantini nel feb-braio 1947 fece accelerare la deci-sione di bandire un concorso na-zionale per la ricostruzione delTeatro, che fu aperto a tutti i pro-fessionisti italiani. «Non è pensabi-le una ricostruzione dell’antico masi darà vita a un bel teatro moder-no... Il Filarmonico risorgerà», silegge su L’Arena del primo maggio1947, mentre nel testo si precisache «per la soluzione sarà lasciataai progettisti massima libertà». Illavoro della commissione per lostudio del bando, guidata dall’in-gegnere Tantini, si concluse il 21maggio. Datato 20 maggio 1947, iltesto recitava: «Bando di concorsoper il progetto architettonico delNuovo Teatro Filarmonico dellacittà di Verona». La scelta fu decisa-mente lunga ed ardue furono ledifficoltà per raggiungere il proget-to definitivo. Nell’assemblea gene-rale del 14 febbraio 1955 venne in-fatti annunciato da Tantini che «sista concretizzando lo studio delprogetto esecutivo», il cui autore

ebbe un nome solo nella riunionedel 12 ottobre.Infatti, il 15 ottobre 1955 L’Arenapresentò con un lungo articolo, ilprogetto di Vittorio Filippini con lefoto del plastico e i disegni. I lavoriper la ricostruzione furono lenti etravagliati e solo con la seduta dipresidenza del 2 ottobre 1968 ven-ne stabilita finalmente la data diinaugurazione, anche se non eraancora possibile rappresentareun’opera o ascoltare un concertodal momento che non era ancoraagibile il palcoscenico. Ma ecco l’i-dea: da un verbale del 24 giugno1968 Tantini riporta di «...aver ri-cevuto una telefonata di una per-sona amica del regista Zeffirelli,che avrebbe l’intenzione di dare aVerona il film in anteprima assolu-ta “Giulietta e Romeo”. Per tale filmnessun altro ambiente si prestereb-be meglio che il nostro Teatro Fi-larmonico. Sono convinto – conti-nua il presidente – che ciò costitui-rebbe per tutta la città di Verona unavvenimento di eccezionale porta-ta». L’idea fu accolta con entusia-smo dall’assemblea degli accade-mici e il 19 ottobre dello stesso an-no fu organizzata la grande seratadi Gala per l’inaugurazione delTeatro con l’anteprima mondialedel film di Zeffirelli, che ottenneun calorosissimo successo.Alberto Tantini si spense il 17 no-vembre del 1973 senza avere la le-gittima e meritata soddisfazione divedere inaugurato ufficialmentecon un’opera quel Teatro Filarmo-nico, alla cui ricostruzione egli siera interamente e amorosamentededicato. La lapide marmorea chesi trova ora nel foyer del Filarmo-nico lo ricorda come una figurafondamentale per la rinascita delnostro teatro, ma soprattutto peraver preservato la fedeltà allo statu-to dell’Accademia tuttora impe-gnata solo sul piano culturale, cosìcome l’avevano concepita nel 1543i soci fondatori. È significativo ri-cordare le parole con cui il presi-dente Tantini chiuse l’assembleagenerale dei Filarmonici, il 31maggio 1957, alla vigilia dell’iniziodei lavori del teatro: «...gli uominipassano e non contano: quello checonta è che Verona riabbia il suomagnifico Teatro e che, nel tempiorisorto, l’Accademia possa ripren-dere e continuare la sua splendidatradizione d’arte».

Storia

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di Nicola Guerini

Alberto Tantini fu mol-to amico del MaestroFailoni, un direttored’orchestra che attra-verso una vita artisticamolto intensa, ottenne

riconoscimenti importanti nei teatri piùprestigiosi del mondo.Sergio Failoni nacque a Verona il 18 dicem-bre 1890 in vicolo Fontanelle Duomo. Ladeterminazione a intraprendere la carrieramusicale si manifestò nell’autunno 1901,quando decise di inscriversi alla Scuola d’I-strumenti ad Arco di Verona (oggi Conser-vatorio di musica Dall’Abaco) dove iniziòlo studio del violoncello. Quando nel 1908si diplomò, egli cominciò a subire il fascinodella direzione d’orchestra e il polo d’attra-zione divenne Milano e quel Teatro allaScala sul quale regnava Arturo Toscanini,l’idolo dell’Italia musicale di quegli anni.Ad affascinarlo era soprattutto il repertoriowagneriano e in particolare una recita del1907 del Tristano und Isolde di Wagner, di-retto appunto dal maestro parmense. Conil trasferimento della famiglia a Milano ilgiovane Sergio si iscrisse al ConservatorioGiuseppe Verdi dove frequentò i corsi dicomposizione e di direzione d’orchestra edove conobbe, proprio in Conservatorio,Victor De Sabata, di cui divenne un grandeamico. Dopo le prime esperienze, in Ame-rica Latina, come direttore, nel 1921 entròal Teatro alla Scala come maestro sostitutodel temutissimo Toscanini e ricevette poil’ingaggio al teatro Carlo Felice di Genovadal 1924 al 1928. Questo episodio fu decisi-vo per la formazione professionale di Failo-ni che si dimostrò preziosa quando, nel1928, accettò dall’Opera Reale di Budapestl’incarico di primo direttore di quel teatro.Il rapporto invece con la stagione estivadell’Arena di Verona fu di grande collabo-razione e durò per diversi anni. Nel 1925proprio all’Arena diresse il Mosè di Rossinie la Gioconda di Ponchielli. «...questo figlionostro di cui dobbiamo andar orgogliosi»,scrive il cronista del giornale locale L’Arena,

«la cui memoria ha del prodigioso in quan-to non ha bisogno di spartito per regolare imovimenti della sua magica bacchetta, eche concerta e dirige come ben pochi – an-che tra i migliori – sanno». La tensione po-litica italiana e il suo sentimento antifasci-sta, nonostante l’appoggio di un influentesostenitore come Gabriele D’Annunzio, glicrearono non poche incomprensioni e dif-ficoltà. Appena dopo gli esordi e fino all’a-pice della carriera rimase infatti confinatoall’Opera di Budapest tornando in Italia so-lo per fulminee esibizioni concertistiche aRoma e alla Scala di Milano. In Ungheriadivenne amico di Kodaly e molto di Bartok,che accompagnò il 13 dicembre del 1934nel Concerto n°1 in do maggiore per pia-noforte e orchestra di Beethoven. La sua at-tività musicale ungherese fu molto rilevan-te e riguardò soprattutto Verdi e Wagner,senza mai trascurare la musica contempo-ranea e il vastissimo repertorio sinfonico incui primeggiava Beethoven. Quando i tede-schi entrarono a Budapest il 19 marzo del1944, Failoni non salì più sul podio in Un-gheria poiché gli fu revocato ogni incaricoall’Opera. Solo dopo la parentesi della se-conda guerra mondiale egli tornò a dedi-carsi alla ricostruzione della vita musicalebudapestina senza però trascurare i nume-rosi inviti di altri teatri italiani, tra cui il Fi-larmonico e l’Arena di Verona.Con il bombardamento del 1945 il teatroveronese fu ridotto in macerie e Failoni levisitò nel 1946, quando tornò a dirigere inArena e poi inaugurò la prima stagione liri-ca, nel 1975, del nuovo teatro Filarmonicocon la direzione del Falstaff di Salieri.Arrivò ben presto un incarico triennale(1947-49) dal Metropolitan di New Yorkdove incontrò Toscanini e dove rimase perqualche tempo.Quando si trasferì nella Grande Mela con laseconda moglie Nelly, gli organizzatori for-nirono tutto il necessario per il soggiorno,compresa una baby-sitter per la figlia Do-natella. È curioso soffermarsi su quest’ulti-mo particolare in quanto di quella dome-stica greco americana, restata in casa loroper alcune settimane, Failoni non si occupò

fino a che, una sera, a sorpresa, rivelatasiuna cantante, questa non gli domandòun’audizione in quel contesto famigliare. Sitrattava di Maria Kalogeropoulos e Failoni,sorpreso dalla voce della cantante, provvidea raccomandarla al tenore Zenatello chestava organizzando la stagione 1947 dell’A-rena di Verona. La quasi esordiente fu ac-cettata e, con il nome di Maria Callas, fuprotagonista di Gioconda di Ponchielli di-retta da Tullio Serafin. Prima di iniziare lastagione a New York Failoni tornò in Euro-pa per i numerosi appuntamenti artistici eil 7 giugno 1947, durante la prova dellaNona Sinfonia di Beethoven, fu colpito daun ictus che lo rese inabile a qualsiasi attivi-tà. Dopo un breve miglioramento e nume-rose speranze, si spense il 28 luglio 1948 aSopron. I funerali a Budapest furono solen-ni e la salma fu sepolta nel cimitero centraledella città. In Ungheria divenne subito unaleggenda, mentre nell’Italia tumultuosa deldopo guerra il suo nome fu presto dimenti-cato. Sul Corriere dell’Informazione (6 ago-sto 1948), in un articolo, Franco Abbiati ac-cusò i farisei nostrani di aver perseguitatolo scomparso: «...a New York avrebberoperdonato, come giù a Budapest. Ma a Ro-ma, a Milano, a Peretola i farisei della musi-ca sono inflessibili». A Verona gli verrà inti-tolata una via e nel 1990 a distanza di oltrequarant’anni dalla sua morte, un’orchestraformata dai giovani strumentisti dell’Ope-ra di Stato di Budapest ha chiesto di assu-merne il nome.

ANNIVERSARIO

A 60 anni dalla morte, un profilo del grande direttore Sergio Failoni

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di Oreste Mario dall’Argine

Quest’anno, definito “anno goldo-niano”, l’Italia sarà percorsa dachissà quante perfomance orato-riali e professionistiche, conside-rando che anche la televisione del-le veline non si dimenticherà di ri-cordarlo. Venezia ha affidato ad unteatrante esperto e abile qualeMaurizio Scaparro, la direzionedel programma delle manifesta-zioni dedicate al grande venezia-no; quindi ci auguriamo che qual-cosa di dignitoso e serio la capitaleveneta sia in grado di offrirci.Corre voce che Scaparro stia pre-parando uno dei capolavori goldo-niani “Sior Todaro Brontolon”, af-fidando la parte del protagonista aquel preparato, schivo e serio atto-re che è Giulio Bosetti; uno dei po-chi rimasti della vecchia scuola eche avrebbe potuto, alcuni anni orsono, se la solita superba insipien-za di alcuni politici non glieloavesse impedito, dare al Teatro Sta-bile del Veneto quella dignità eprofessionalità che le tradizioniteatrali della nostra regione meri-tano. Goldoni “avvocato stimatis-simo” e autore teatrale che superòi confini del suo paese per assume-re soprattutto in Francia, con l’a-micizia di Voltaire, una fama de-gna del suo intelletto, nasce a Ve-nezia il 27 Febbraio 1707. Il padremedico lo avvia agli studi giuridicied egli si laurea a Padova nel 1731.Nel 1716, a nove anni scrive unasua prima commedia aspramentecensurata, come opera copiata, daun suo precettore. Nel 1729, 1730scrive gli intermezzi “Il buon pa-dre” e “La Cantatrice”. La sua vita èun continuo girovagare; passa perVicenza, Verona, Brescia, Berga-mo, Parma, Casalpusterlengo (an-che Sanguinetto, nel 1739, dovescriverà “Il Feudatario”), segue laCompagnia del Capo ComicoGiuseppe Imer, si sposa nel 1736con Nicoletta Conio figlia di unnotaio. Nel 1744 è a Pisa dove in-tende accasarsi ed esercitare l’av-vocatura. Ma il suo destino è lega-to alle tavole del palcoscenico; per-ché qui nella città toscana conosceun impresario allora molto im-portante, Giacomo Madebach, chelo strattona dalla scrivania piena dicodici e pandette e lo convince asottoscrivere un contratto come«poeta» della sua Compagnia. Nel

1756 è poeta di corte del Duca diParma. L’anno cruciale è il 1750quando, al Teatro Sant’Angelo diVenezia, va in scena con grandesuccesso “La Famiglia dell’anti-quario”. Un insuccesso, “L’Eredesfortunata”, lo destina sul cammi-no della sua riforma teatrale, im-pegnandosi con Madebach a scri-vere per la stagione seguente bensedici nuove commedie.Il successo e la fama incattivisconoi suoi detrattori Chiari, Baretti, icosì detti “controriformisti”. Dopoaver scritto e rappresentato in tuttaItalia le sue più belle commedie,oltre più di cento certamente, con-temporaneamente ad alcuni li-bretti per opera, tra cui “La fintasemplice” musicata da Mozart,mentre Antonio Salieri mette inmusica “ la Locandiera”, nel 1762 èa Parigi per impegnarsi con la “Co-mediè Italiene”. La sua vita nella ca-pitale francese alterna fortune esfortune; gli attori italiani CamilloBertinazzi e Camilla Veronese reci-tano con successo le commedie asoggetto “Les Amours d’Arlequin etde Camille”, “La Jalouisie d’Arle-quin”,“ Les Inquietudes de Camille”.Gli eventi politici ostacolano la suaesistenza fino a che, povero e mala-to,“come ogni favola bella”, muorenel 1793 in terra francese, povero edimenticato.Ma chi è stato veramente questogenio teatrale che ebbe l’intuito el’intelligenza di puntare, ai suoitempi, in Italia, la patria di Gozzi eMetastasio, la culla della comme-dia dell’arte, ad una riforma delteatro che si impose come quella diWagner nel modo del melodram-ma? Silvio D’Amico, Raul Radice, altrigrandi studiosi e critici teatrali fra iquali il nostro Simoni, hanno svi-scerato la riforma goldoniana cheaveva intuito l’evolversi dei tempisociali e culturali e da qui l’esigen-za di dare al teatro una consistenzae una verità scenica che fosse vici-na al vero dello spettatore.Dice Renato Simoni, recensendonel 1921 “Il Ventaglio”, protagoni-sta un mostro sacro del teatro ita-liano Dario Nicodemi: «...Ora checosa fa il riformatore che l’espe-rienza e la lontananza dalla patriae la mite adattabilità ha reso doci-le! Prende la commedia dell’artecosì come è e si limita a popolarladi uomini; la immette nel suo tem-

po; fa correre per i meandri del suocanovaccio labirintico, non più imascherotti che sono convenzionifuori dal tempo, ma i suoi stessicontemporanei, riprodotti consquisito senso della verità... Dovec’era la follia stemperata, il lazzopazzo, il gergo imputridito, fa en-trare l’umile e la semplice vitaquotidiana. E scrive un capolavo-ro... Riformatori di tutti i tempi, ilsegreto è questo; ed è facile! Nelteatro, di dove la vita è uscita, ucci-sa dalla maniera, riconducete la vi-ta!... tutti i riformatori hanno fattoquesto. Nessuno di essi pensò diportare nel teatro che muore, alposto degli uomini che non ci so-no più, le maschere goffe comequelle di una volta o lugubri comequelle che usano adesso».Così Gigi Lunari, in uno dei suoiapprofonditi studi sulla riformagoldoniana, scrive: «Ecco il Goldo-ni vero che esce dai fondali carne-valeschi della commedia dell’arte,per fare delle maschere, senza tra-dirne l’origine e le virtù, “caratterie persone”». Da qui il vero teatrogoldoniano che quest’anno ci ap-prestiamo a celebrare e con il qualetutti i più grandi attori italiani sisono incontrati.Credo infine che si debbano ricor-dare alcune persone che all’operadell’Avvocato veneziano hannodedicato la loro e vita teatrale. Pri-mi fra tutti i fratelli della famigliaMicheluzzi, dalla cui scuola sonousciti gli interpreti più famosi del-la commedia goldoniana. Poi Ce-sco Baseggio, insuperabile Sior To-daro, che riuscì ad avvincere intereplatee televisive.E da ultimo, ma non ultimo, il ve-neziano Giovanni Poli, studioso ericercatore della commedia del-l’arte che, spinto da Giovanni Ca-lendoli, si addentrò nei meandridelle trame goldoniane per rap-presentare a Parma nel 1953 al Fe-stival Internazionale del TeatroUniversitario, un’edizione memo-rabile della commedia in versi “LeMassere”. Il suo nome oggi è legatoal teatro veneziano “A La Vogaria”.Ed è giunto il momento di termi-nare la nostra chiaccherata con trebattute de “La Bottega del Caffè”:Ridolfo, il caffettiere: “Oh via, an-date a tostare il caffè, per farne unacaffettiera di fresco. Trappola, gar-zone: “vi metto gli avanzi di ieri se-ra?”. Ridolfo: “no, Fatelo buono!” .

Cultura

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di Guido Gonzato

Lo scorso dicembre, durante le fe-ste natalizie, sotto la stella tre si-gnori, in un pittoresco anche seun po’ ingenuo travestimento dapastori, suonavano zampogne ecornamuse. Non si trattava dizampognari provenienti dal sudItalia, bensì di appassionati vero-nesi. Abbiamo così fatto cono-scenza con Paolo Vignola, Marcel-lo Degani e Paolo Nicolis: un triodi musicisti dilettanti che inten-dono fare rivivere la tradizione diuno strumento antico e affasci-nante.Per i non esperti le cornamuse so-no tutte uguali e vengono spessoindicate col termine generico di«zampogna». In realtà ne esistonoletteralmente decine di tipi diver-si, spesso legati alla regione o allaprovincia di origine. Paolo co-struisce pive (cornamuse con unasola canna di canto, o chanter),ispirate ai modelli emiliani, ezampogne di tipo molisano. Inqueste ultime il suonatore suonadue diverse canne con ciascunamano e può produrre armonie diaccompagnamento.Di solito le cornamuse non si tro-vano in negozio, ma devono esse-re ordinate a un artigiano costrut-tore. Alla mia domanda su chiavesse costruito i loro strumenti, isuonatori hanno puntato il dito:«L’è sta’ lù!» indicando Paolo Vi-gnola. E qui la mia sorpresa è statagrande: i costruttori italiani dicornamuse sono pochissimi e nonpensavo proprio che ce ne fosseuno anche a Verona. Paolo Vigno-la è un tornitore in pensione esfrutta la sua esperienza per farerivivere la tradizione di uno stru-mento popolare che si è pratica-mente estinta con la secondaguerra mondiale. Mi racconta cheha iniziato a costruire i suoi stru-menti alcuni anni fa, a partire dauna zampogna molisana che ave-va provato a riprodurre. Il suoprimo strumento aveva incontra-to un tale successo che gli amicigli avevano chiesto di costruirnealtre. Era nata così la banda dicornamuse di Pedemonte.Paolo ci accoglie nel suo laborato-rio, ricavato nel garage di casa. Ciaspettavamo un’officina piena dipolvere e disordinata, e invece...un piccolo tornio, un trapano a

colonna, un banco da lavoro pergli attrezzi e alcuni scaffali pieni diparti di cornamusa. Basta osser-vare la precisione dei dettagli, lacura nella realizzazione di questichanter e bordoni, per capire co-me Paolo lavori bene. A parte lasacca di pelle usata per immagaz-zinare l’aria, una cornamusa nonè altro che un oboe primitivo eutilizza un’ancia doppia. Comemolti costruttori moderni, Paolole realizza in plastica. Presa da unascatolina una vecchia scheda tele-fonica curvata a caldo, ne ritagliadue lamine, le giustappone su untubicino di plastica, le lega con fi-lo da calzolaio trattato con la pe-ce, aggiusta il tutto... in pochi mi-nuti, e con visibile familiarità, ec-co pronta un’ancia. Per testarla lamonta su un chanter già pronto:funziona al primo colpo. “Un ca-so, dice lui: occorre molta preci-sione e non tutte vengono bene”.Mi mostra poi un alesatore che siè costruito a partire da una limain acciaio: questo strumento gliserve per il foro interno delle can-ne di canto, che è conico. La partepiù affascinante è la lavorazione altornio. Paolo inizia col trapanareun ciocco di legno stagionato, chepoi sgrossa con l’accetta e posizio-na sul tornio. In un turbinio ditrucioli, come per magia inizia aprendere forma la canna conica.Mostrandomi numerosi chantersugli scaffali, Paolo mi parla delladifferenza del suono prodotto aseconda dei legni che utilizza: pe-ro, melo, mandorlo, olivo, pru-no... tutte piante della nostracampagna. Resto colpito dallaprecisione della lavorazione e dal-la potenza del suono. Abbiamoavuto il piacere di assistere a dueserate di prove del trio di corna-muse. Non sapppiamo ancoraquando si esibiranno, ma di sicu-ro non ci perderemo il loro con-certo. Non sappiamo come rin-graziare Paolo Vignola per il suolavoro. È per merito di personecome lui se antiche tradizioni ri-escono a non scomparire del tut-to. Speriamo che anche in Italiapossa succedere il miracolo cheabbiamo visto tante volte all’este-ro: giovani e anziani che, in piazzao nelle osterie, cantano e suonanomusiche tradizionali accompa-gnandosi con gli stessi strumentidei nostri bisnonni.

Personaggi

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A Verona un trio di musicisti dilettantiintende fare rivivere una tradizioneantica. Paolo Vignola, tornitore in

pensione, nel suo garage costruisce questiaffascinanti strumenti

Cornamusee zampogne

Paolo Vignola

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di Francesca Paradiso

«Quando inizia lo spettacolo, costumisti escenografi se ne vanno...». E così fa anche Sil-via Cammalleri, giovane talento che lavoraalla Fondazione Arena di Verona come assi-stente della responsabile di sartoria e della di-rezione costumi.

LA LAUREA IN INGHILTERRA

Ventisette anni, molti dei quali trascorsi in gi-ro per il mondo, Silvia dopo il Liceo Artisticoa Verona si è trasferita per sette anni in In-ghilterra, dove ha conseguito nel 2005 la lau-rea con il massimo dei voti in Scenografia ecostumi, suoni e luci per tv, teatro e cinema.«A diciassette anni è nata la mia passione perl’arte, all’improvviso ho capito che i disegnifatti da adolescente sul diario potevano dar-mi nella vita qualcosa in più, così abbandonaiil Liceo scientifico e mi iscrissi all’Artistico.Poi c’è stata Londra. Sono partita da sola sen-za conoscere la lingua, avevo deciso di fre-quentare un corso specialistico e su 4milaiscritti fui scelta tra i 45 che avrebbero costi-tuito la classe».

UNA SPLENDIDA OPPORTUNITÀ

Sorride mentre racconta le difficoltà di unacittà così diversa da Verona: «In Inghilterraognuno è abbandonato a se stesso, ci sonomeno relazioni interpersonali perché ognunoè lì solo per realizzare il proprio progetto e siconcentra quasi unicamente su esso. Londrapoi è la città degli estremi, con una grande vi-ta notturna che qui a Verona manca, ma è an-che la città per eccellenza dove chiunque puòcercare di realizzare i propri sogni».Non racconta con malinconia perché «ogniesperienza porta in sé qualcosa di positivo,mentre gli aspetti negativi li cancelli imme-diatamente».«A Londra ho incontrato molte difficoltà manon potevo desiderare formazione migliore,

con corsi teorici ma soprattutto pratici, cheper la mia professione sono stati determi-nanti».Il lavoro di Silvia inizia con il copione in ma-no e le direttive dei registi, poi a lei spetta un

primo e lungo lavoro di ricerca sul testo; capi-re l’epoca, l’ambientazione, il numero deicambi di scena, gli attrezzi e ogni materiale dausare per ogni singolo momento o abito. Sil-via cura ogni dettaglio, lavora sostanze, giu-stifica con la ricerca le sue scelte: il vetro sati-nato piuttosto del legno, o ancora il vellutoinvece della seta.Questa giovane scenografa ha realizzato alle-stimenti teatrali all’estero e in Italia: Cavalle-ria Rusticana, Madama Butterfly, Carmen so-no solo alcune delle sue collaborazioni. Silviaha lavorato come interprete e accompagna-trice della principessa Hussein di Giordania edella Duchessa di Borbone, è stata personalshopper buyer per una società di moda italo-araba e recentemente vestilista per le sfilate diValentino a Milano.

IL RITORNO A VERONA

Il suo curriculum è scritto fitto fitto in quat-tro pagine, fatte di musical, teatri, città, in-contri, fino al ritorno qui nella città di Romeoe Giulietta. «È come se fossi tornata a Veronadopo un lungo faticoso viaggio. Ora qui hotrovato un po’ di stabilità e di pace, anche senon sono sicura sia veramente quello che de-sidero, perché la passione per il viaggio faparte di me e la valigia è davvero semprepronta. Sono in continua ricerca di esperien-ze lavorative e di vita, ogni giorno imparoqualcosa di nuovo e questo è fondamentalenel mio settore».«Ho la fortuna di conoscere l’inglese moltobene e questo mi apre delle belle possibilitàanche qui a Verona, dove giungono tedeschi eamericani per ambientare i propri film o vi-deoclip. La cosa più difficile è trovare le auto-rizzazioni per girare scene in città. Anche perquesto è nata la Verona Films Commission dicui sono socia. Si vuole rilanciare Verona gra-zie ai professionisti originari della città senzanecessariamente riferirsi a Roma o Milano,facendo crescere e valorizzando ciò che quigià abbiamo».

Personaggi

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GIOVANI TALENTI

Silvia CammalleriHa realizzato allestimenti teatrali all’estero e in Italia: Cavalleria Rusticana,

Madama Butterfly, Carmen sono alcune delle sue collaborazioni. Ha lavoratocome interprete e accompagnatrice della principessa Hussein di Giordania

Silvia Cammalleri èspecializzata in scenografia e

costumi, il suo lavoro inizia conil copione in mano e le direttive

dei registi, poi a lei spetta la ricerca sul testo per capirel’ambientazione, il numero

dei cambi di scena, gli attrezzi e il materiale da usare

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di Giuseppe Brugnoli

Una recente telefonata con Marzio Breda,bravo oltre che illustre giornalista de Il Cor-riere della Sera, l’unico “quirinalista”, cioèaddetto a seguire le opere e i giorni del pre-sidente della Repubblica, che preconizzòpuntualmente, contro l’opinione di moltialtri addetti ai lavori, che Ciampi nonavrebbe accettato un secondo mandato,apre una finestra, o forse solleva soltantoun velo polveroso, su una ormai antica, ri-salente a più di mezzo secolo fa, vicendapersonale. «Ti ricordi di Diego Valeri? Hoancora una lettera di quarant’anni fa che midice che un suo allievo, di cui aveva perdutele tracce, un certo Giuseppe Brugnoli, face-va il giornalista a Verona». Ed ecco rispun-tare dalle nebbie dei ricordi la cara immagi-ne paterna del mio professore dell’Univer-sità di Padova, quello con cui feci la tesi dilaurea, che avrebbe voluto pubblicare, e midiede il massimo dei voti anche se la medianon era sbalorditiva, e avrebbe voluto an-che che facessi il suo assistente.Non se ne fece niente, come succede nor-malmente in molti casi della vita: io ero giàimpegnato a fare una mezza dozzina di col-laborazioni giornalistiche, perché anche al-lora si cominciava con pezzi sparsi, da ungiorno all’altro, per questa o quella testata,e mi fa un po’ sorridere vedere che oggi nonè cambiato niente, se non il fatto che le la-mentele e talvolta le proteste sono più acce-se. Così, dopo aver frequentato per qualchetempo il Liviano, ritagliando spazi preziositra un articolo e l’altro, decisi che la carrierauniversitaria non era nel mio programmaesistenziale e abbandonai il campo ad unamezza dozzina di ragazzone occhialute e fa-meliche di sapere che già sapevano tutto.«Fai male, mi disse il professor Valeri bat-tendomi una mano sulla spalla: il giornali-smo è un mestiere assorbente; non scriveraipiù niente di buono». E fu così.Non lo rividi più e neppure lo cercai, fin-ché, dopo molti anni, lessi sul giornale cheera morto. Ma non potrò mai dimenticarele sue lezioni di letteratura moderna e con-temporanea e di letteratura francese nei po-meriggi di mercoledì e di venerdì in un’aula

di scarsa illuminazione e di pessima acusti-ca della facoltà di lettere. Altri professori,come Stefanini che insegnava storia della fi-losofia e recitava come un attore, con uneloquio immaginoso e accattivante, o comeFiocco che condiva le sue lezioni di storiadell’arte medievale e moderna con battute eironie in pretto stile montebaldino, aveva-no un vasto pubblico fedele e appassionato,e tra gli studenti non era raro cogliere lapresenza di qualche signora della Padovabene che si era intrufolata di straforo e cheera immediatamente riconoscibile perchéteneva il cappello in testa. Ma con Valerinon c’era bisogno di andare in anticipo aconquistarsi il posto. Forse per l’ora infelicedelle lezioni nel primo pomeriggio, piùconsona ad una pennichella, forse per l’e-sporre metodico e senza inflessioni del do-cente, forse più ancora perché le sue mate-rie erano complementari, e non davanoneppure il beneficio di un voto facilmentegeneroso all’esame, tanto da tirar su la me-dia, la sua aula era frequentata quasi soltan-to da una piccola, anche se compatta, pattu-glia di studentesse secchione, intente a sten-dere freneticamente appunti su voluminosiscartafacci dal primo all’ultimo minuto. Sec’era qualche giovanotto, sembrava fossecapitato lì per caso, e forse era soltanto peraccompagnare una donzella.Ma, in quell’atmosfera un po’ distaccata equasi pericolosamente sognante, in unasorta di estatica complicità tra il docente egli studenti, Diego Valeri, che allora tenevaun corso di italiano sui poeti ermetici e unodi francese sui simbolisti, riusciva ad estrar-re con l’abilità quasi rabdomantica di unvero poeta, quale egli era, le perle più pre-ziose nascoste nelle liriche che leggeva ecommentava. Erano lezioni di alto spessorecritico, di una nativa felicità espressiva, echissà che qualcuna delle fanciulle che ap-puntava diligentemente le sue affermazioninon se ne sia servita soltanto per l’esame, emagari le abbia raccolte. Ma su di lui, anchenel mondo accademico di un’universitàprestigiosa come quella di Padova, pesaval’accusa, mai detta ma spesso evidenziata daun sorriso, che egli fosse un poeta minore.Uno dei danni che fanno le scuole elemen-

tari e medie e le loro antologie, dove le fi-nissime, vibratili liriche di Valeri eranospesso appaiate alle composizioni ritmatedi un Angiolo Silvio Novaro.Ricordo quella volta che, andato a mangiareun modesto panino in una fumosa latteriadurante la sosta meridiana, sentì casual-mente da una radio gracchiante, durante ilnotiziario, che in Francia era morto AndréeGide. Appena arrivato al Liviano, trasmisila notizia al professore, che non ne sapevaniente, e che mi mandò a prendere un librodi Gide nel suo studio al secondo piano. Netrovai uno solo, un libriccino spiegazzatocon “Les nurritures terrestres”. Su quel li-bretto, tralasciando per una volta simbolistied ermetici, Valeri tenne la sua lezione, chedurò due ore buone senza intervallo acca-demico. Fu davvero una grande lezione, suuno dei poeti più difficili, complessi e con-troversi della letteratura mondiale, senzauna sosta, lumeggiando il personaggio conle sue segrete virtù e i suoi vizi pubblici dapoco conclamati, approfondendo le suederive parnassiane e la sua ricerca estenua-ta e talora febbrile. Un racconto fatto an-che di ricordi personali, di episodi e di ci-tazioni, e il francese, preziosamente classi-co di Gide, risuonava in quell’aula tristecon sonorità inaspettate, con il fulgore diuna rivelazione.Rividi Valeri per qualche attimo pochi annidopo. Da buon socialista umanitario, eracandidato nelle liste che avrebbero dovutoridare smalto alle sinistre unite dopo la ba-tosta del 1948. Parlò a Verona al Corallo, difronte ad un pubblico che avrebbe volutostentoree affermazioni di riscossa. Maquando, dopo aver esaltato Nenni e tenutoun po’ in ombra Togliatti, cominciò a direche anche Saragat e De Gasperi non eranopoi male, la gente con le bandiere rosse co-minciò a rumoreggiare, e Baldani Guerrafece mettere in fretta il disco con l’Interna-zionale. Al suono di “Su fratelli, su compa-gni” l’intera comitiva si avviò verso la vicinatrattoria all’Amelia. Lo vidi andarsene così,un po’ ingobbito ma sorridente, in mezzoad un piccolo popolo speranzoso, e quellami resta come la miglior immagine del mioprofessore Diego Valeri.

I RICORDI DI UN GIOVANE CRONISTA

Diego Valeri, il mio professore

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di Alice Castellani

Dopo la riapertura con la grandefesta di Capodanno e l’avvio dellaprogrammazione musicale connomi di rilievo nazionali ed inter-nazionali nel mese di febbraio, lastorica associazione veronese «In-terzona», capace di portare a Vero-na la musica contemporanea e in-dipendente, affronta il dispiegarsidi una nuova stagione nella nuovasede nel Capannone 22, a pochimetri da quella Stazione frigoriferan° 10, così particolare dal punto divista architettonico. Da oltre unanno e mezzo l’associazione cerca-va di riprendere le attività, iniziatenel ’94 quando ancora nessuno sa-peva nulla «di schede tecniche,contratti da firmare, rapporti conil comune, finanziamenti, licenzebar, rapporti con le istituzioni enumeri legali», ma la voglia di di-venire «un motore propositivo, checolmasse un vuoto, per provare ariempire questa città di tutto quel-lo che non c’era e realizzare un so-gno da condividere» era tanto forteda spingere a lottare a tutti i costipur di avere una sede, con l’obietti-vo chiaro di lasciare il segno. Dopoun lungo percorso in salita per ri-dare slancio e concretezza al pro-getto, l’idea dei soci è sempre quel-

la di «recuperare spazi da riconver-tire, da immaginare per una cittàdiversa», con il Capannone 22 vis-suto «quasi come un ritorno a ca-sa», che non segna un arrivo bensìuna nuova partenza. Se «l’ex Cellafrigorifera era uno spazio eccezio-nale, pervaso da un’atmosfera par-ticolare quasi sufficiente da sola afar funzionare ogni tipo di even-to», il nuovo capannone impone airesponsabili di «proporre spetta-coli di qualità che possano reggersiin piedi da soli» perché, per quantosia luminoso e funzionale, esso ri-sulta certamente meno evocativodel precedente. Comunque lo spa-zio interno della nuova sede, divisoin sale, ben si presta ad «essere uti-lizzato per eventi culturali diversi:concerti, proiezioni cinematogra-fiche, spettacoli teatrali e mostred’arte», e l’intenzione è infattiquella di aumentare decisamente

le attività artistico-creative rispettoalla programmazione passata: piùmostre d’arte, più workshop e piùteatro, utilizzando i concerti, dasempre fiore all’occhiello per In-terzona, come principale fonte difinanziamento per altri momenti.L’idea è sia di creare uno spazio do-ve possano transitare spettacolinuovi e artisti poco conosciuti, cheper motivi diversi non sarebberovisibili in città, ma anche, vista laluminosità del Capannone 22, diutilizzarlo durante il giorno,aprendolo al pubblico per propor-re attività formative e laboratoricreativi, così che l’azione di Inter-zona si possa ripercuotere sulla cit-tà e lasciare traccia nel suo svilup-po culturale. Oltre a una sala con-certi con un palco mobile e il nuo-vo bar, sono stati ricavati uno spa-zio per gli uffici e altre 2 sale, unapiù grande per mostre ed eventi

che richiedano maggiore capienzae una seconda più intima. Tra gliappuntamenti musicali del 2007con artisti di caratura internazio-nale spesso di richiamo per tutto ilNord Italia, cui Interzona ci ha abi-tuato in passato e che nel periododi inattività forzata sono pesante-mente mancati a Verona e non so-lo, il 17 marzo sono arrivati dallaSvezia i Deltahead con i loro riffgiocati sulle corde basse, e il 31marzo il polistrumentista di LosAngeles Nick Castro. L’11 maggiotoccherà ai Boredoms dal Giappo-ne con il loro gusto marcato personorità “estatiche” e “cosmiche”, il25 maggio il country malinconicoe alternativo degli Sparklehorse(USA) e i loop digitali di ChristianFennez dalla Danimarca.Il polimorfismo di Interzona, conproposte di teatro sperimentale edeventi in cui diversi media e molte-plici espressioni artistiche si com-penetrano – come il Festival Inter-sezioni e lo scambio tra artisti ita-liani ed internazionali all’insegnadi forme d’arte e di cultura “nuo-va”, testimonianze dell’evoluzionedella società contemporanea – ciporterà in futuro, grazie alla colla-borazione con la Cineteca di Bolo-gna, i vincitori del Festival di Cortidelle Scuole Europee Officinema.

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Capannone 22Partenza alla grande per Interzona che nella nuova sede riorganizza

il proprio spazio espressivo

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• Molte stagioni teatrali di Vero-na sono concluse, ma c’è ancorail tempo per gli ultimi spettacolial “coperto”prima dell’avvio del-le rassegne estive sotto le stelle.La rassegna «Atto Terzo», ai Fi-lippini, si conclude il 14 aprilecon Il ponte sugli oceani. Amoridel Teatro Impiria, la saga di unafamiglia della Lessinia attraversole vicissitudini di quattro gene-razioni di emigrati, dai migrantidell’Italia del secolo scorso ai lo-ro figli.

• Al Teatro Camploy, per la rasse-gna Voci e Silenzi, il 17 aprile vain scena La nave fantasma delTeatro della Cooperativa, un te-sto di G. M. Bellu, Renato Sarti eBebo Storti, che ha ricevuto ilPremio Gassman Città di Lan-ciano 2005, come Miglior TestoItaliano. Lo spettacolo raccontala tragedia navale – la più graveavvenuta nel Mediterraneo dallafine della II Guerra Mondialecon 283 vittime – che il 25 di-cembre del 1996, al largo dellecoste siciliane, vide affondare unpiccolo battello carico di mi-granti da India, Pakistan e SriLanka. Partendo da quel naufra-

lebra la «Dichiarazione Schu-man» con cui nel 1950 si proposedi creare un’Europa unita, Fon-dazione Aida con Università, Re-gione, Comune, Siae e Ministeroper i Beni e le Attività Culturaliorganizza, dalle 11 per una du-rata di circa 11 ore, una nuovaMaratona letteraria che que-st’anno, forte delle passate lettu-re de La Divina Commedia, l’Or-lando Furioso, l’Iliade e il Canzo-niere di Petrarca, diventa Euro-pea, grazie al contributo del pro-gramma comunitario Cultura2000 e il coinvolgimento di novePaesi, impegnati contempora-neamente nella lettura pubblicadi uno dei più importanti testiletterari del ‘900 di ogni Paese,probabilmente Calvino per l’Ita-lia. Lo scopo è festeggiare, con lalettura integrale e no stop del-l’autore scelto, la Giornata del-l’Europa, per rendere la culturapiù accessibile e dare a tutti lapossibilità di conoscere un ca-polavoro della tradizione, senzafiltri o commenti di professori,tramite l’interpretazione di co-muni lettori volontari.

Alice Castellani

Spettacoli

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Ultimi spettacoliprima dell’estate

gio, la pièce affronta la dispera-zione dei migranti, il silenziodelle autorità e dei mass media,la ferocia dei trafficanti di esseriumani, la terribile indifferenza epaura della nostra società, facen-do però ricorso a elementi tipicidel teatro comico e del cabaret,all’improvvisazione e al rappor-to diretto con il pubblico.

• Al Filarmonico si potrà assiste-re, il 22, 24, 27 e 29 aprile e il 2maggio, al balletto ispirato allastoria che ha reso celebre Veronae travalicato confini geografici,culturali e di classe perché i sen-timenti che la pervadono, insi-nuandosi fino a colpire a fondole nostre sensibilità occidentali,sono Passione, Scontro, Destino,Amore e Morte. Stiamo parlandodi Romeo e Giulietta, su musicadi H. Berlioz ovvero sulla Sim-phonie dramatique op.17 com-

posta in aderenza al testo shake-speariano, che sarà presentatonell’allestimento di Aterballettoe interpretato da Roberto Bolle,Letizia Giuliani e Ma Cong. Co-reografia e regia sono di AmedeoAmodio, cui interessa soprattut-to compiere un viaggio nell’inti-mo dei singoli personaggi peresprimere i loro stati d’animo,cioè «la voce delle passioni, quel-le più profonde, dalle più crudelialle più dolci».

• Nella sala Maffeiana, per i con-certi della domenica (alle 11), il6 maggio la Bairav Ensamblepropone un concerto che rivisitala musica popolare dei paesi bal-canici, giunta in Europa grazie alnomade girovagare di zingari ru-meni ed ungheresi, struggente etravolgente.

• Per il 9 maggio, giornata che ce-

DE CHIRICO (PADOVA)Resterà aperta al pubblico fino al27 maggio a Padova, a Palazzo Za-barella la mostra dedicata a Gior-gio De Chirico. Nato a Volo, inGrecia, nel 1888, l’artista chiamòMetafisica l’arte che rivela i misteridella realtà che ci circonda. Daiprimi quadri simbolisti ai grandicapolavori del periodo metafisico,dalla fase classica al nuovo roman-ticismo delle “ville romane”, daimiti moderni degli “anni ruggenti”ai “bagni misteriosi” e alla metafi-sica dell’America, per chiudere conla celebrazione di sé come pittore“in costume”. Un percorso visivocon cento capolavori.

JEAN PROUVÉ (MANTOVA)Fino al 22 aprile Palazzo Te a Man-tova, ospita la mostra Jean Prouvè –The Poetics of the Technical Object,dedicata all’architetto francese.Un’occasione per ammirare alcuniprototipi dei più noti oggetti da luiideati, unitamente ai maggioriprogetti realizzati nel corso deglianni.

SARGENT AND VENICE (VENEZIA)Fino al 22 luglio, a Venezia al Mu-seo Correr, si potranno ammiraresessanta opere tra dipinti ed ac-querelli realizzate tra il 1880 e il1913 da John Singer Sargent. Espo-nente dell’impressionismo ameri-cano, Sargent nacque a Firenze evisse a lungo in Europa. Il primoviaggio a Venezia risale al 1879, mavi tornerà per più di dieci volte nel-l’arco di quarant’anni e la rappre-senterà con un gran numero di di-pinti. Sargent and Venice è organiz-zata in collaborazione con i MuseiCivici Veneziani e le Adelson Galle-ries di New York.

SÉQUENCE (VENEZIA)Sempre a Venezia dal 5 maggio al18 novembre, Palazzo Grassi pre-senta Séquence (1), una grande se-lezione di opere inedite provenien-ti dalla Collezione François Pi-nault. Per questa prima edizionequindici artisti internazionali

espongono i loro maggiori lavorigià presenti nella collezione o rea-lizzati ad hoc per la mostra vene-ziana.

DISCONTINUITÀ NARRATIVE

(BRESCIA)Arte contemporanea a Brescia finoal 5 maggio, nella Citric Contem-porary Art con Discontinuità nar-rative. Manuele Cerutti, ClementPage e Sara Rossi, pur impiegandomedia differenti e seguendo per-corsi assolutamente personali,mettono in scena tutti e tre storiepossibili, legate alla vita di ognigiorno. Realtà ed immaginazionesi fondono e la ricerca di se stessicome fine diviene una chimera.

IL SETTIMO SPLENDORE (VERONA)Centottanta capolavori, suddivisiin sei sezioni, sono esposti a Vero-na a partire dal 25 marzo e fino alal 29 luglio, in una mostra intitola-ta Il settimo splendore. La moderni-

tà della malinconia. Le opere sonodi Botticelli e del Pontormo, diGiorgione e del Lotto, di Tiziano edel Tintoretto, di Parmigianino edel Carracci, di Caravaggio e delGuercino, di El Greco e del Fetti, diCanova e di Piranesi, di Modiglianie Carrà e di molti altri ancora. Il te-ma della riflessione malinconicaconduce ai principi stessi della sen-sibilità moderna; e per certi versipolemicamente ne rivendica le ori-gini italiane e mediterranee.

MAURICE DENIS (ROVERETO)Infine, al Mart di Rovereto dal 23giugno al 25 settembre, per la pri-ma volta in Italia, oltre cento capo-lavori di uno dei maestri del sim-bolismo internazionale: MauriceDenis. Personaggio chiave nellastoria delle prime avanguardie in-ternazionali, artista raffinato e teo-rico di rilievo nel dibattito fin desiècle, Denis viene presentato alpubblico con una rassegna che puòvantare le opere più importantidella sua produzione di pittore,grafico, decoratore, scrittore.

Mostre a Verona e fuori porta

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di Michele Domaschio

Il cielo sopra Varsavia è una lastradi piombo, impigliata sul pinna-colo del Palazzo della Cultura edella Scienza. L’edificio è stato su-bito ribattezzato ironicamente “ilregalo” dagli abitanti di Varsaviaperché donato dall’Unione Sovie-tica all’inizio degli anni ’50 aicompagni cittadini della capitalepolacca e ora contende alla “M”di McDonald la palma di edificiopiù kitsch del centro.La multinazionale statunitense,ben lungi dal fare offerte, ha inse-diato qui il primo punto venditadell’est europeo, dopo la cadutadel Muro di Berlino, con intentichiaramente speculativi: insom-ma, pare che, da Est o da Ovest,tutti si prefiggano l’obiettivo distravolgere il panorama urbani-stico della capitale polacca.Nei decenni passati, a dire il vero,ben altri erano stati gli scempisubiti da questa terra a causa de-gli appetiti espansionistici deipropri confinanti. Per averne unaprova basta visitare il Museo dellaRivolta di Varsavia (MuzeumPowstania Warszawskiego, in ul.Grzybowska, 79), inaugurato po-chi mesi fa: nelle sale, che rico-struiscono fedelmente le stradedella città durante la SecondaGuerra Mondiale, si attraversa unpercorso che parte dall’occupa-zione nazista (nel settembre del1939) per arrivare allo scoppiodella rivolta contro gli oppressori(1 agosto 1944) che durò alcunimesi e finì con un atroce bagno disangue (oltre 200mila civili uccisi

e la città pressoché rasa al suolodalle bombe dell’aviazione tede-sca, per espresso volere dello stes-so Hitler, come rappresaglia perl’ardire degli irriducibili polac-chi). Le atrocità contro la popola-zione civile non si fermarono qui:lo sterminio degli ebrei del ghettodi Varsavia è una delle pagine piùsconvolgenti dell’aberrazioneumana e numerosi monumentinel cuore della città sono un ri-cordo e un monito per le genera-zioni future.Per riprendersi da sensazioni cosìtristi, è buona cosa entrare in unlocale tipico e farsi servire unabella zuppa di barbabietole bol-lente (borsch), magari accompa-gnata da un piatto di pierogi (unasorta di ravioli ripieni di carne efunghi, spesso serviti con pannaacida). Lo spuntino può essere untoccasana specialmente d’inver-no, quando le temperature rag-giungono tranquillamente i -12gradi durante il giorno (comel’anno scorso, quando una coltredi neve e ghiaccio ha coperto Var-savia per lunghissime settimane,senza accennare a sciogliersi sinoa marzo inoltrato). In queste con-dizioni climatiche un’altra validaalternativa è quella di recarsi a vi-sitare le stanze del Castello Reale,a pochi passi dalla piazza dovetroneggia la colonna di Zygmunt(per gli ignari turisti, quest’ulti-mo monumento alto 22 metripuò essere tranquillamente scam-biato per l’effigie votiva di qual-che santo: in realtà, esso raffigurail re Zygmunt, vissuto alla fine del‘500, nell’atto di reggere una

Viaggiare

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VARSAVIA

Terra di conquistaNelle sale del Museo della Rivolta sono ricostruite fedelmente le strade della città durante la Seconda Guerra Mondiale. Un percorso che parte

dall’occupazione nazista (nel settembre del 1939) per arrivare allo scoppio della rivolta contro gli oppressori (1 agosto 1944)

Il Palazzo della Cultura e della Scienza a Varsavia

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grande croce con la mano sini-stra).Nel Castello, fulgido esempio diarchitettura barocca, si possonoammirare alcuni dipinti del pitto-re Bernardo Bellotto, autore disuggestive vedute di Varsavia, op-pure ci si può soffermare ad am-mirare l’imponente sala dei mar-mi, fastosamente decorata e risa-lente al periodo di reggenza diWladislaw IV Waza.Lo splendore del Castello Realecostituisce l’esempio forse piùeclatante della magnificenza diquesta città, ma per cogliere l’a-spetto più intimo e velatamentemalinconico di Varsavia ci si deverecare nella chiesa della SantaCroce: qui, in uno dei pilastri del-la navata centrale, è custodito ilcuore di Frederic Chopin, e so-vente si possono scorgere animisensibili che vengono a rendereomaggio al grande compositore.Oppure, si può ammirare la sago-ma affilata del cardinale StefanWyszynski, immortalato nel mo-numento sul sagrato della chiesadi San Giuseppe Guardiano: ilprelato ebbe un ruolo decisivonegli anni bui del dominio comu-nista, esercitando un’opera dimediazione che per larga parte ri-uscì a far decollare moti di rina-scita democratica, come quelliche ebbero luogo nei cantieri na-vali di Danzica, nei primi anni’80, e che diedero il via all’espe-rienza di Solidarnosc.Una raccomandazione, che puòessere molto utile per chi vogliarecarsi nella capitale polacca, èquella di osservare monumenti,

chiese, palazzi e quant’altro fa-cendo bene attenzione a trovarsisul marciapiede o, comunque, suzona interdetta al traffico, perchéi poliziotti di Varsavia sono in-flessibili e implacabili: attraversa-re fuori dalle strisce pedonali puòcostare salate multe, o intermina-bili colloqui con gli agenti che,nella stragrande maggioranza deicasi, ignorano totalmente l’ingle-se e insisteranno nel ripetervi le

norme infrante dal vostro com-portamento fino a quando nonverserete il dovuto (stremati dallaconversazione in polacco e dall’il-logicità della sanzione).Al di là di questi piccoli inconve-nienti, Varsavia conserva un fasci-no unico, specialmente d’inver-no, quando ci sono pochi turististranieri che si avventurano per lestrade gelate (in primavera e, an-cor più, d’estate sta diventandouna moda per i giovani inglesi, adesempio, recarsi qui acquistandouno dei numerosi pacchetti low-cost per scatenarsi poi nei più de-liranti riti d’addio al celibato).Quando la nebbia di gennaio, in-vece, avvolge le strade del centropuò capitare di vedere, nelle pri-me ore del mattino, quel cielo dipiombo che proprio non riesce asollevarsi dalla sagoma grigia delPalazzo della Cultura.

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Nel panorama della letteratura mondiale, gli autoripolacchi hanno da sempre rivestito un ruolo signifi-cativo e importante. Molto spesso, visti i rovesci stori-co-politici del loro paese, gli scrittori di questa terrahanno dovuto emigrare, e a volte firmare sotto pseu-donimo le loro opere. È il caso, ad esempio, di JosephConrad, al secolo Teodor Josef Korzeniowski, che nac-que a Varsavia e vi passò l’infanzia prima di trasfe-rirsi in Inghilterra nel 1884.Un emigrante “per vocazione” è stato – più di re-cente – Ryszard Kapuscinski: nato a Pinsk (oggiBielorussia) nel 1932. Kapuscinski ha lavorato co-me inviato dell’agenzia polacca Pap in giro per ilmondo, raccontando storie ambientate nelle piùsperdute località della Terra, dall’Africa al SudAmerica. I suoi reportage sono diventati, negli an-ni, un punto di riferimento imprescindibile perquanti hanno voluto cimentarsi con il giornalismoo, più semplicemente, hanno scoperto nelle paginedi questo autore il fascino immortale del saper rac-contare. Tra i suoi libri più famosi, si ricordano “Laprima guerra del football e altre guerre di poveri”,“Il Negus, splendori e miserie di un autocrate”,“Ebano”, “Shah-in shah” ed infine “In viaggio con

Erodoto”, quasi un testamento spirituale, pubblica-to nel 2005, poco prima di morire: nella sua valigiadi reporter, raccontava infatti Kapuscinski, nonmancava mai una copia delle “Storie” del grandeautore classico, quasi a voler tenere sempre con sé ilmetro di paragone con cui confrontarsi per narraredi uomini e città.La figura più importante della poesia polacca con-temporanea è, invece, Wislawa Szymborska: nascenel 1923 e inizia a comporre nel 1945, con una liri-ca il cui titolo bene esprime il suo desiderio di essen-zialità: “Cerco la parola”. Nei versi di Szymborska èracchiuso un umorismo venato di melanconia, tipi-co dello spirito polacco, che viene trasfigurato dauna continua ricerca stilistica, sempre aperta a spe-rimentazioni ed evoluzioni. Dopo aver raccoltograndi consensi nei paesi di lingua tedesca, l’autricepolacca viene insignita del Premio Nobel per la let-teratura nel 1996, ma già prima di questo ricono-scimento le sue opere erano state tradotte in oltre 30lingue in tutto il mondo. In Italia, si trovano le sueraccolte “La fiera dei miracoli”, “Gente sul ponte”,“La fine e l’inizio”, “Vista con granello di sabbia”.(m.d.)

I grandi autori polacchi

STORICAMENTE

Il monumento al cardinale StefanWyszynski, sul sagrato della chiesa diSan Giuseppe Guardiano

Nella chiesa della SantaCroce, in uno dei pilastri

della navata centrale,è custodito il cuore di

Frederic Chopin.Da vedere anche lo

splendido Castello Reale

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Ho iniziato ad usare i trasporti pubblici, come molti miei coetanei, inprima superiore, nove anni fa, saltuariamente. Da due anni lo usoogni giorno per recarmi al lavoro in città, dove purtroppo non ci sonoalternative al parcheggio a pagamento per chi vi svolge un’occupazio-ne. I miei sedili prediletti sono quello esattamente dietro l’autista, op-pure quello in fondo all’autobus, nell’angolo accanto alla finestra. Lafinestra, in particolare, l’ho spesso usata come ancora di salvezza, pertutelarmi dalle variegate tipologie di odori che si mescolano una voltasaliti, vuoi per la fatica di una giornata di lavoro, vuoi perché, (non soil perché, a dire il vero), l’autobus che prendo io, sempre alla stessa ora,sempre nella stessa zona, è spesso utilizzato da ubriachi, persone incu-ranti che salgono con la sigaretta accesa, stra-fatti di sostanze stupefa-centi, per non parlare di quei matti, anche violenti, che saltuariamentesalgono urlando, quasi alzando le mani su chi osa far loro qualsiasi ti-po di osservazione.Ora il mio bagaglio di avvenimenti spiacevoli sugli AMT (o come sichiama adesso ATV) si è colmato, irrimediabilmente. Lunedì 5 marzo2007. Salgo sul solito vecchio cassone arancio su quattro ruote. Guardofuori dal finestrino, penso ai fatti miei, come sempre. Ore 17.45, a Ca-stelvecchio salgono tre ragazzi. Si siedono in fondo all’autobus, dove cisono anch’io. Parlano tra di loro con un accento slavo. Ne noto uno inparticolare, seduto vicino a me, che puzza di alcool da far venire il vo-mito. Dopo due minuti, l’impossibile. Il “signore” alza il braccio, e lomette sul mio sedile, sulle mie spalle. Infastidita gli dico di togliere ilbraccio immediatamente. Iniziano cosi cinque minuti di parole in-comprensibili in un italiano inventato, con frasi del tipo: “ti ho chiestoscusa” (tenendo sempre il braccio lì), “perché ti arrabbi?”, “sei italia-na?”, “con me non parli cosi!” e vari farfugliamenti dovuti un po’ allagradazione alcolica e un po’ al suo italiano scarso. Toglie il braccio, macontinua, imperterrito, ad assillarmi. Gli dico di smetterla, che ho fini-to di rivolgergli la parola, gli chiedo di chiudere lì il discorso ma luicontinua. Continua a chiedermi perché mi sono infastidita, a dirmiche non l’ha fatto apposta, a ribadirmi che mi ha chiesto scusa (masempre tenendo il braccio lì). All’altezza di San Bernardino il tipo inquestione e i suoi due amichetti, che fin’ora sono rimasti ad ascoltaresenza batter ciglio, cercano di suonare per scendere, ma si accorgono inritardo della fermata. Il “signore” allora “civilmente” urla all’autistadi aprire la porta, che però rimane chiusa. Allora il simpaticone pensabene di tornare da me, si avvicina alla mia faccia e mi minaccia. Midice che io così con lui non ci parlo, che lui sa dove abito, sa chi sono, sache faccia ho e che mi ritrova. Io alzo la voce di nuovo, gli dico di an-darsene, di scendere, di sparire, aggrappandomi alla speranza che allaprossima fermata smonti. Succede così, infatti. Lui scende e mi sbeffeg-gia sul marciapiede, ride coi suoi amichetti. Mi applaude, e mi fissa,sghignazzando.Il tutto di fronte ad un autobus con delle persone che hanno finto dinon sentire. Nessuno si è girato a guardare come mai una ragazza al-zava la voce mentre veniva minacciata.Questa è la nostra città. Una ragazza non è sicura se sale su un mezzopubblico. Le persone si commuovono solo quando risulta facile mo-strarsi sensibili o c’è un interesse a farlo. Altrimenti ti lasciano lì. Senon hai niente da guadagnarci fregatene, chiudi gli occhi, tappa leorecchie e pensa alla tua pancia gonfia di superficialità. Grazie Italia.Grazie Verona.

Silvia Andreetto

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Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio [email protected]

RedazioneGiorgia Cozzolino

Cinzia InguantaElisabetta Zampini

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StampaCroma - Verona

Registrazione al Tribunale di Veronan° 1557 del 29 settembre 2003

N° 14/marzo 2007

Progetto editorialeProporre temi di attualità e cultura,

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Lettera

Disavventurain autobus

Ciclisti in LessiniaPedalando e sognando la libertàdi Aldo RidolfiEd. La graficapp. 134

Aldo Ridolfi,insegnante conla passione delciclismo, nelsuo libro cipropone quat-tro brevi per-corsi in Lessi-nia che diven-

tano dei veri e propri viaggi perchèle strade che lo scrittore invita adesplorare conducono il lettore dailuoghi fisici ai luoghi dell’anima,dei sentimenti, delle proprie radici.Nel primo itinerario il ciclista par-tendo da Soave sale verso Campo-fontana per la strada di Castelce-rino, Montecchia, Bolca per scen-dere verso Verona passando daSelva, Tregnago, Mezzane, Casta-gnè e Montorio; la seconda propo-sta porta l’appassionato a PassoMalera partendo da Verona attra-verso Montorio, Càmpari, SanFrancesco, Bosco Chiesanuova, pertornare verso la città transitandoda Velo, Giazza, Tregnago e SanVittore; il terzo seducente incontrocon l’altipiano prende il via, ancorauna volta, dalla città per salire finoal Passo delle Fittanze passando daGrezzana, Stallavena, Bellori, Bo-sco Chiesanuova, Erbezzo per tor-nare ad incontrare Verona scen-dendo da Grezzana; il quarto edultimo percorso inizia a Fosse e sisnoda per Breonio, Monte, Mazzu-rega, Fumane, Prun, Corrubio,Ponte di Veja, Sant’Anna d’Alfaedoe poi di nuovo Fosse con il circuitodel Corno Mozzo.Viaggiare e sognare in biciclettalungo i quattro sentieri descritti,ripercorrendo la storia, gli usi, icostumi, le tradizioni, la culturadei luoghi attraversati. Il vento,pedalando, rievoca il sussurrodelle “fade”, il clamore degli “or-chi”, la cantilena delle “anguane”,così "la città sembra un’ossessio-ne lontana, inesistente, un mon-do con il quale altri dovrannoconfrontarsi”.Pedalare e sognare, sudare e rab-

brividire lungo i percorsi che uni-scono luoghi e ricordi di anticheleggende come quella dell’amoretra Veja e Cereo, per il bisogno esi-stenziale di riappropriarsi dellapropria vita, della propria essenza.La forza della pietra della Lessinia,ora mirabile architettura naturaletono e colore dell’altipiano, orastele sacra a protezione della viapercorsa o ancora da percorrerefluisce dentro il viaggiatore che ri-conosce nella strada il "palcosceni-co della vita quotidiana".Quello, esplorato da queste escur-sioni, è un territorio del quale nonè possibile dare una lettura che siasemplicemente economica, clima-tica o meramente paesaggistica in-fatti è un territorio ricco di storia eamato dall’uomo fin dagli alboridel suo apparire. E’ questo che ve-de il “ciclista sognatore”, lui che è"alla ricerca di sensazioni più chedi numeri, di suggestioni più chedi dati", con la sua che "è unagrammatica anarchica del territo-rio, una sintassi diversa e scono-sciuta del muoversi".

«Ciclisti in Lessinia»

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