Verona è - Giugno 2011

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Quinta Parete V erona cultura e società mensile on-line www.quintaparete.it Anno II - n. 6 - Giugno 2011 Diretto da Federico Martinelli Musica I Pooh e tanti altri a Verona Arte Gli Impressionisti a Milano Viaggi In viaggio nel Canada’s West Inizia l’estate della città con le esibizioni di grandi star nazionali e internazionali Fino al 19 giugno Palazzo Reale ospita una splendida mostra di capolavori senza tempo Alla scoperta di una terra dove poter immergersi “into the wild” o ammirare una grande metropoli a pagina 4 a pagina 3 a pagina 14 Non è un paese per giovani (soprattutto se seri) quio. Il vostro curriculum avrà fatto impressione? Al contrario: è probabile che non lo abbiano nemmeno letto e che, nel caso decideste di rispondere, vi at- tenda una giornata d’Inferno come quella che è capitata al sottoscritto e a molti altri che hanno scelto Internet per espri- mere la propria frustrazione e mettere in guardia i loro col- leghi disoccupati da simili an- nunci ingannevoli. Cosa accadrebbe se decideste di tentare il colloquio? In molti casi, questo sarebbe brevissimo: un omino lampadato e incra- vattato, sempre sotto i trent’an- ni e con l’aria di uno che gua- dagna bene, troverà qualcosa di molto speciale in voi e nel vostro curriculum e vi propor- rà una “giornata di prova in azienda”. A volte questo “primo colloquio” non c’è nemmeno e si passa direttamente alla tragedia, con inizio alle otto di mattina di una giornata qualsiasi. A quell’ora arri- vate all’ufficio col vostro com- pleto migliore, ansiosi di fare bella figura, e siete accolti da una musica assordante. Au- mentando il vostro sgomento, lo stesso omino del primo collo- quio (se c’è stato) vi guida pro- prio in direzione del fracasso, fino a una stanzetta dove deci- ne di ragazze e ragazzi ballano e urlano frasi sconclusionate al ritmo dell’ house più scadente. La scena è surreale: una discoteca dalle pareti bianche tappezzate di frasi motivazionali e principi Segue a pag. 2 Un giorno, mentre spulciate gli annunci di lavoro, ne trovate uno di questo tipo: “Azienda in espansione seleziona, per ampiamento organico [a volte la ragione è “apertura nuova sede” o simile], n ambosessi per ruoli di... [segue un elen- co variegato di mansioni, che possono comprendere “gestione clienti”, “relazioni pubbliche”, “magazzino” e “segreteria”]. Anche prima esperienza, pos- sibilità di formazione e crescita professionale. Contratto a tem- po indeterminato.” Incuriositi, rispondete all’annuncio invian- do il vostro curriculum e in un tempo brevissimo (di solito infe- riore alle 48 ore) un rappresen- tante dell’azienda in questione vi telefona per fissare un collo- www.ewakesolutions.it Progettazione e realizzazione web Realizzazione software aziendali Web mail - Account di posta Via Leida, 8 37135 - Verona Tel. 045 82 13 434 Il re è nudo di Ernesto Pavan La difficoltà di trovare lavoro nel Limbo degli annunci bugiardi

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Il nuovo numero di Verona è di giugno

Transcript of Verona è - Giugno 2011

Q u i n t a P a r e t eVeronacultura e società

mensile on-linewww.quintaparete.it

Anno II - n. 6 - Giugno 2011 Diretto da Federico Martinelli

Musica

I Pooh e tanti altri a VeronaArte

Gli Impressionisti a MilanoViaggi

In viaggio nel Canada’s West Inizia l’estate della città con le esibizioni digrandi star nazionali e internazionali

Fino al 19 giugno Palazzo Reale ospita una splendida mostra di capolavorisenza tempo

Alla scoperta di una terra dove poter immergersi “into the wild” o ammirare una grande metropoli

a pagina 4a pagina 3 a pagina 14

Non è un paese per giovani(soprattutto se seri)

quio. Il vostro curriculum avrà fatto impressione? Al contrario: è probabile che non lo abbiano nemmeno letto e che, nel caso decideste di rispondere, vi at-tenda una giornata d’Inferno come quella che è capitata al sottoscritto e a molti altri che hanno scelto Internet per espri-mere la propria frustrazione e mettere in guardia i loro col-leghi disoccupati da simili an-nunci ingannevoli.Cosa accadrebbe se decideste di tentare il colloquio? In molti casi, questo sarebbe brevissimo: un omino lampadato e incra-vattato, sempre sotto i trent’an-ni e con l’aria di uno che gua-dagna bene, troverà qualcosa di molto speciale in voi e nel vostro curriculum e vi propor-

rà una “giornata di prova in azienda”. A volte questo “primo colloquio” non c’è nemmeno e si passa direttamente alla tragedia, con inizio alle otto di mattina di una giornata qualsiasi.A quell’ora arri-vate all’ufficio col vostro com-pleto migliore, ansiosi di fare bella figura, e siete accolti da una musica assordante. Au-mentando il vostro sgomento, lo stesso omino del primo collo-quio (se c’è stato) vi guida pro-prio in direzione del fracasso, fino a una stanzetta dove deci-

ne di ragazze e ragazzi ballano e urlano frasi sconclusionate al ritmo dell’house più scadente. La scena è surreale: una discoteca dalle pareti bianche tappezzate di frasi motivazionali e principi

Segue a pag. 2

Un giorno, mentre spulciate gli annunci di lavoro, ne trovate uno di questo tipo: “Azienda in espansione seleziona, per ampiamento organico [a volte la ragione è “apertura nuova sede” o simile], n ambosessi per ruoli di... [segue un elen-co variegato di mansioni, che possono comprendere “gestione clienti”, “relazioni pubbliche”, “magazzino” e “segreteria”]. Anche prima esperienza, pos-sibilità di formazione e crescita professionale. Contratto a tem-po indeterminato.” Incuriositi, rispondete all’annuncio invian-do il vostro curriculum e in un tempo brevissimo (di solito infe-riore alle 48 ore) un rappresen-tante dell’azienda in questione vi telefona per fissare un collo-

Società13Novembre 2010eronacultura e società

V èQ u i n t a P a r e t e

Omologati in TV. Peggio, omoge-neizzati. No, non mi riferisco aiprogrammi televisivi, che sem-brano tutti “fatti con lo stampino”da almeno dieci anni, peggio an-cora dei vari telegiornali che sonoproprio tutti uguali.Sto parlando dei concorrenti delGrande Fratello, tutti conformi a unmodello standard tristissimo, quellodella volgarità estrema. Sì, la volga-rità dei gesti, delle parole, degli at-teggiamenti è il denominatorecomune che unisce, tra loro, quasitutti i reclusi della “casa”. E li uni-sce anche alla presentatrice, Alessiaa gambe sempre aperte Marcuzzi. Mapossibile che nessuno abbia maifatto notare a questa povera ra-gazza – addirittura capace la scorsaedizione di sedersi sul pavimentodello studio, sempre rigorosamentea gambe aperte, spalancandoun’ampia panoramica sulle propriabiancheria intima – che, in video,assume delle posture che fanno a

pugni con un minimo di eleganzae di buon gusto? Oddio, non è chesiano tanto più signorili gli autoridella trasmissione, che ricordano aogni piè sospinto il premio finale dialcune centinaia di migliaia euro,come fosse l’unica molla a spingerequesta variopinta umanità aesporre le proprie miserie alla vistadi qualche milione di guardoni. Equi cominciano le rogne vere, per-ché sarebbe necessaria una com-missione di psicologi, sociologi eantropologi per cercare di capireche cosa possa indurre alcuni mi-lioni di persone normali ad abbrut-tire il proprio spirito davanti alleincredibili esibizioni dei “ragazzidella casa”. Forse la solita voglia disentirsi migliori?A farci respirare, fortunatamente,c’è la Gialappa, che non ne lasciapassare una sia alla conduttrice siaai concorrenti. Di più, per farci ca-pire il livello di squallore (o di cru-deltà?) dell’ufficio casting del

programma, non ha mancato diproporre una selezione – mamma-mia! Una selezione… Chissà glialtri! – dei provini, dove quasi nes-suno dei candidati, per esempio, hasaputo dare una risposta sensata, oalmeno non insensata, alla richiestadi dichiarare il proprio “tallone diAchille”.A ben pensarci, coloro che neescono meno peggio sono proprioi reclusi del Grande Fratello. Perchéfanno pena, fino alla tenerezza. Ab-bagliati dal miraggio di diventareVip, e di guadagnare un sacco diquattrini, si prostituiscono fino a unpunto di non ritorno, rimanendomarchiati a vita da quel suffisso –“del Grande Fratello” appunto –che li accompagnerà per tutta lavita. Pochi finora hanno avuto lacapacità di affrancarsene, e di fardimenticare questa squallida ori-gine mediatica. Per tutti, Luca Ar-gentero; e pochi altri che si possonocontare sulle dita di una sola mano.Non ritengo sia indenne da questobaratro di volgarità l’editore ditanto spettacolo. Vorrei chiedergli – se mai fosse per-sona abituata a rispondere alle do-mande – se sarebbe contento di farassistere i suoi figli adolescenti, o isuoi nipoti, a una porcheria simile.Ma forse conosco la risposta, diret-tamente ispirata dal dio denaro.Mi sono sempre ribellato a ogniforma di censura, come espressionedella più proterva volontà di an-nientare, nella gente, il senso e lacapacità di critica. Ma devo dire

che, di fronte a questo osanna allavolgarità, comincio a capire quellastriscia di carta bianca, incollata, aitempi della mia adolescenza, suimanifesti e le locandine dei film edegli spettacoli più “sconvenienti”,che prescriveva «V.M. di 16 anni».Forse, adesso, sul cartellone delGrande Fratello si dovrebbe scrivere«V.M. di 99 anni»…Per continuare con il giro di volga-rità e stupidità sui media di oggi, virimando all’ultima pubblicità diMarc Jacobs. Ma tenetevi forte, eh!

Tutti vediamo la volgarità del GrandeFratello, ma nessuno ne parla

Sono in video, ergo sumdi Silvano Tommasoli [email protected]

Vi diremo qualsiasi cazzata vorrete sentire

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Il re è nudodi Ernesto Pavan

La difficoltà di trovare lavoro nel Limbo degli annunci bugiardi

Giugno 20112 Società

Segue dalla prima

riassumibili in “spremi il cliente più che puoi”, piena fino all’or-lo di giovani in abito da lavoro con l’aria di chi non è com-pletamente presente in questo mondo. A questo punto, comin-ciate ad avere paura.Tuttavia, prima che l’istinto di fuggire si inneschi, qualcuno vi prende sottobraccio e, sem-pre urlando, vi presenta alcune altre persone: saranno i vostri “compagni di squadra” per oggi. Chi vi ha accolto è il vo-stro “caposquadra”. Non volete fare brutta figura di fronte a degli estranei, quindi sorride-te, vi presentate e andate a fare colazione assieme a costoro; poi vi fanno salire su una macchina e via, si parte. «Andiamo a x», vi dice il caposquadra, dove x è un posto qualsiasi a quaranta chilometri dall’ufficio. Ormai siete in trappola. Durante il viaggio fate cono-scenza coi vostri compagni di squadra: sono tutti giova-ni diplomati, nessun laureato, vestiti bene e abbronzati (ma non quanto il caposquadra). Si comportano come se foste amici, anche se non vi siete mai visti prima. Fra una battuta e l’altra si parla anche del lavoro: «Noi lavoriamo con le imprese» spiega il capo. «Devi convin-cere baristi, ortolani, avvocati, amministratori di condominio, [l’elenco delle categorie prose-gue], a sottoscrivere contratti per l’energia elettrica con il distributore n. Presentati come uno venuto a controllare se hanno ricevuto la bolletta “ag-giornata”: se dicono di sì vuol dire che è già passato uno dei nostri, altrimenti fagli firmare l’aggiornamento, che in realtà è un contratto nuovo. Quando

chiudi un con-tratto, se riesci, cerca di rifilar-gli anche il tele-fono...»«Un momento» potreste obiet-tare «io ero venuta per un posto da segre-t a r ia/addet t a alle relazio-ni pubbliche/magazziniera, non per fare la venditrice por-ta a porta! Che

storia è questa?» Se lo dite ad alta voce, i vostri nuovi amici vi abbandoneranno per strada; sì, avete capito bene, vi lasce-ranno a piedi a quaranta chilo-metri dalla vostra auto. Come tornate indietro sono affaracci vostri: loro non hanno tempo da perdere.Altrimenti, la vostra “giorna-ta di prova in azienda” consi-sterà nello scarpinare per otto ore entrando in ogni negoziet-

to della zona in cui vi trovate, ripetendo la manfrina che vi è stata insegnata e sopportando gli sguardi infastiditi (e spesso anche la maleducazione) dei titolari e degli eventuali clien-ti in quel momento presenti. Nessuno ama gli scocciatori e questo è esattamente ciò che ci si aspetta voi diventiate. As-sisterete anche a “proposte” ai limiti della legalità, come quando un vostro collega in-gannerà un povero ingenuo convincendolo a “firmare qui per non pagare più il canone Telecom” (è solo parzialmente vero: in realtà sta sottoscriven-do un nuovo contratto con una nuova compagnia) o quando un

altro fingerà di essere venuto a staccare la corrente a un nego-zio se il titolare non firmerà il nuovo contratto (ma un rap-presentante di commercio non ha l’autorità per fare questo). Durante il pomeriggio, poi, vi insegneranno i “trucchi” del mestiere (miranti a distogliere l’attenzione dei potenziali clien-ti da ciò che stanno facendo) e vi spiegheranno che loro non sono “venditori”, parola molto brutta da non ripetere mai, ma “promoter”. Quando toccherà a voi proporre un contratto, chi vi era accanto vi loderà non ap-pena finito e ripeterà le lodi di fronte agli altri, una volta pron-ti a tornare indietro.Si arriva in ufficio intorno alle sei e mezza. Il terrore si risve-glia in voi quando vi rendete conto che vi stanno portando di nuovo nella stanza della mu-sica. Segue un’ora di “debrie-fing”, ovvero di urla, allegria forzata, celebrazione rituale dei contratti portati a casa e saluti. Facendo i conti, sono quasi do-

dici ore di lavoro in un giorno. Se siete fortunati, comunque, questa parte vi sarà risparmia-ta e passerete direttamente alla compilazione di un test che ri-guarda quello che avete impa-rato nel corso dell’esperienza. Le domande sembrano tutte molto facili, come se in qual-che modo i vostri compagni di squadra vi avessero suggerito le risposte mentre vi spiegavano in cosa consiste il lavoro. L’ul-timo quesito vi chiede qual è la retribuzione che considerate adeguata.Dopo aver finito di scrivere, l’omino abbronzato del primo colloquio porterà il vostro test al Manager, nascosto dietro la

porta del suo ufficio. Passerà una decina di minuti, dopodi-ché sarete convocati alla Sua presenza. È una persona un po’ più anziana degli altri che avete visto finora, ma sempre giovane. Vi stringerà la mano e parlerà con voi di ciò che avete scritto, lodando l’esattezza delle risposte e raccontandovi fatti della sua vita privata, compre-se coincidenze bizzarre come la sua intenzione di dare al figlio che sta per nascergli proprio il vostro nome. Quindi, vi spie-gherà le condizioni contrattua-li. La filosofia aziendale è “caro lavoratore, a noi non devi co-stare nulla”, ma lui la spiegherà in modo più allettante, usando frasi quali “cerchiamo persone ambiziose” e “questo è un la-voro che tutti possono fare, ma pochi possono fare bene”. In sostanza la retribuzione è del tutto provvigionale, senza al-cun fisso né rimborso spese: se vi ammalate non guadagnerete nulla fino a quando non torne-rete a lavorare e se avete una brutta giornata, o una serie di brutte giornate, sono affari vo-stri. Nonostante questo, vi dirà lui, molti dei ragazzi che avete visto guadagnano una cifra pari o superiore a quella che avete indicato come “minimo accettabile” alla fine del test. Quello che non vi dice, natural-mente, è che siccome nel caso non riusciate a vendere l’azien-da non ci perde comunque nul-la (mica vi paga, no?), nessuno è interessato ad aiutarvi, anche perché tutti sono impegnati a portare a casa la loro pagnotta: le promesse di “crescita” e “for-mazione professionale” sono fasulle. L’unica possibilità di carriera è diventare Manager, il che significa semplicemente doversi arrangiare su scala più ampia (dal momento che nem-meno il Manager ha una retri-buzione fissa). A questo punto, la scelta è vo-stra: potete accettare un lavoro privo di qualunque garanzia, che richiede spregiudicatezza e voglia di guadagnare a spese del prossimo, o tornare a fare i disoccupati in una società che vi biasima perché, secondo lei, non avete voglia di lavorare. Non suona come una vera scel-ta, dite? Sono le vostre orecchie a essere sbagliate. (ern. pav.)

Informazioni

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisionedi Federico Martinelli

Ancora pochi giorni per am-mirare le opere della collezione Sterling&Francine Clark Art Institute, tra le poche istituzio-ni nata con intento museale ma anche con vocazione di ricerca e formazione superiore delle arti visive. A raccogliere tra il 1910 e il 1950 la maggior parte delle opere che comprendono la collezione fu Robert Sterling Clark, uno degli eredi del patri-monio delle macchine da cucire Singer, ingegnere con la passio-ne per i viaggi e i cavalli. Clark non si occupa dell’attività di fa-miglia ma si trasferisce a Parigi per sfuggire al controllo paterno e per organizzare spedizioni che la sua eredità gli consentono. Nella capitale francese conosce la moglie Francine, attrice di-plomata al conservatorio, con la

quale inizia ad arredare la sua casa con particolare attenzione allo spazio per i quadri secon-do il gusto che la sua famiglia gli aveva impartito. Nel 1955, dopo aver esposto solamente una collezione di argenti, ac-cetta di rendere pubblica l’espo-sizione delle opere tramite un museo che affianca agli antichi maestri come Piero della Fran-cesca, Perugino e Mantegna le opere dell’impressionismo francese da Manet a Bonnard. Lungo il percorso, accanto ai più noti impressionisti, si pos-sono ammirare alcune vedute di Camille Corot in cui spicca Bagnanti delle isole Borromee, tela realizzata all’età di settant’an-ni e ispirata, in visione onirica, ai paesaggi del Lago Maggio-re che il pittore aveva visitato

vent’anni prima durante un viaggio in Italia. Non solo Monet, Morisot, De-gas ma anche importanti opere di Millet e Rousseau che testimoniano sulla tela la vita nei campi e il lavoro di tutti i giorni. Il percorso espositivo -ben allestito- è articolato in dieci sezioni: Impressione, Luce, Natu-ra, Mare, Città e Campa-gna, Viaggi, Corpo, Volti, Società e Piaceri. Si passa dai soavi e delicati pae-saggi di Pissaro e Sisley, ai numerosi ritratti di Re-noir, dai balli di Degas e Lautrec agli assorti colori di Monet, fino all’opera dei post-impressionisti

Bonnard e Gauguin. La mo-stra è curata da Richard Rand con la consulenza scientifica di Stefano Zuffi. Il catalogo ben arricchito di contenuti storici e descrittivi è opera di Skira.

A Milano i capolavori dell’ImpressionismoSi conclude il 19 giugno la prestigiosa mostra d’arte del Clark Institute

Giugno 2011 3Arte

L’esposizione, dopo la tap-pa di Milano, proseguirà in Francia al Musée des Im-pressionnismes di Giverny, in Spagna alla CaixaForum di Barcelona per poi spostarsi in numerose città del mondo. Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, -organizzato dallo Sterling and Francine Clark Art Insti-tute con Palazzo Reale e Ar-themisia- l’evento è promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano ed è arricchito dal patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Conso-lato Generale degli Stati Uni-ti di Milano e della Camera di Commercio Americana in Italia.

Qui sopra Vaso di Rose di ManetIn alto: Incantatore di serpenti (Geròme)Corot, Bagnanti delle isole

Giugno 20114 Musica

Verso l’infinito e oltredi Francesco Fontana

Anche per i mesi di giugno e lu-glio interessanti appuntamenti con Eventi Verona. Giovedì 23 giugno arrivano al Teatro Ro-mano i Pooh, che saranno sul

palco per l’anteprima assoluta del loro tour estivo. La band, nella nuova formazione compo-sta ora da sei elementi, propor-rà i classici del repertorio oltre ai pezzi dell’ultimo disco intito-lato “Dove comincia il sole”.La settimana successiva, mer-coledì 29 giugno, sempre al Teatro Romano si potrà assiste-re allo spettacolo di Antonella Ruggiero. Lo show che andrà in scena si prospetta molto par-ticolare e suggestivo. La can-tante, che aveva pubblicato lo scorso anno un album live in-titolato “Contemporanea Tan-go”, interpretato con il gruppo Hyperion Ensemble, una for-mazione composta da Josè Luis Betancor - bandoneon, Valerio Giannarelli - violino, Bruno Fiorentini - flauto, Guido Bot-

taro – pianoforte, si presenterà sul palco proprio con i brani dell’ultimo disco. L’incontro tra la voce dell’ex cantante dei Matia Bazar e le sonorità tipi-

che del Tango rappresentano un grandissimo punto di forza per lo spettacolo. Per i balletti saranno presenti sulla scena i ballerini Patricia Carrazco e Pablo Linares.Tutt’altro genere di show ci aspetta al Castello Scaligero di Villafranca per la sera del 5 luglio. Torna in Italia infatti il gruppo progressive Metal dei Dream Theater. Sul palco si potranno apprezzare anche i pezzi dell’ultimo album uscito proprio nel mese di giugno, il primo senza Mike Portnoy. Di spalla alla band ci saranno sul-la scena anche Gamma Ray e Anathema.

Comincia l’estate di Eventi VeronaAl Teatro Romano attesi i Pooh e Antonella Ruggiero, a Villafranca i Dream Theather

In alto a sinistra i Pooh rimasti in trea destra la locandina dello show

di Antonella Ruggiero I Dream Theater con il nuovo batterista Mike Mangini (il primo da sinistra)

è on-line il nuovo sito di Verona èwww.quintaparete.it

Giugno 2011 5Musica

Verso l’infinito e oltre

Verona è Jazz: in dettaglioGli appuntamenti per gli amanti del genere e non solo

di Stefano Campostrini

della lotta al razzismo.A chiudere la serata sarà ap-punto la band di David Mur-ray, che comprende diversi vio-lini, viole e violoncelli, per un suono caratterizzato da origini latino americane sicuramente entusiasmanti. È uno dei nu-merosi gruppi musicali che ha fondato nella sua carriera, spa-ziando dal free jazz al bebop, dalla world music al gospel. Un artista dalle innumerevoli collaborazioni e dalla grande produzione. Anch’egli pluripre-miato e impegnato nel sociale, è una garanzia per chi lo andrà ad ascoltare, rivelando il suo grande passato e il suo sempre promettente futuro.Dall’affascinante cornice del Teatro Romano a quella, se possibile, ancora più mozzafia-to dell’Arena, il 4 luglio. Toc-cherà a Ricky Martin conclu-dere il festival, interpretando i brani del suo ultimo album “Musica, alma, sexo”, uscito lo scorso anno e quelli più celebri del suo repertorio, caratterizza-to dal pop latino che lo ha reso famoso nel mondo.

Anche quest’estate la città si apre agli amanti del jazz, nelle sue diverse varianti, con il festi-val ad esso dedicato. All’inter-no del programma dell’Estate Teatrale Veronese, torna infatti dal 29 giugno al 4 luglio l’ap-passionante ciclo di serate con grandi esponenti della scena musicale tra le più raffinate ed emozionanti. Il Teatro Roma-no farà da scena ai tre iniziali appuntamenti, a cominciare dall’attesissima Antonella Rug-giero e la sua splendida voce. Sarà accompagnata dall’Hype-rion Ensemble, un’orchestra fondata nel 1991 a La Spezia e specializzata in musica clas-sica contemporanea. Insieme proporranno “Contemporanea Tango”, le musiche della tradi-zione latina rivisitate in chiave moderna, secondo una scaletta già collaudata derivante dall’al-bum live omonimo della Rug-giero, registrato la scorsa estate in un parco di Roma.Il 30 giugno doppia esibizio-ne: nell’ordine saliranno sul palco Eddie Palmieri con il suo quartetto e la Gianluca Petrella Cosmic Band. Due generazio-ni di jazzisti per due spettacoli di grande intensità. Nato nel 1936 in quella New York for-temente connotata di cultura latina, Eddie Palmieri è stato

per cinquant’anni suonatore e direttore d’orchestra di salsa. Appassionato percussionista in giovane età, ha poi puntato sul pianoforte, strumento col qua-le si esibisce con grande inno-vazione e creatività, avendogli permesso, tra l’altro, di vincere 9 Grammy Awards nella sua carriera.Gianluca Petrella porterà a Ve-rona il suo talento e la fusione di generi. Con la sua Cosmic Band spazia da solismo e im-provvisazione alla Frank Zap-pa alla composizione di sezioni musicali ben definite, come

fece il grande Duke Ellington.Nella terza serata al Teatro Ro-mano, il 1° luglio sempre alle 21, sarà la volta di altri impor-tanti personaggi di livello in-ternazionale. Prima il duo Ar-chie Shepp/Richard Davis e a seguire David Murray Octet. I

primi due sono sicu-ramente parte della storia del jazz: il pri-mo, grande sassofo-nista ha suonato, tra gli altri, con Cecil Taylor e John Col-trane, diventando esponente di quel jazz d’avanguardia degli anni ‘60 e ‘70. Noto per le sue po-sizioni afrocentriche, per molti anni è stato anche insegnante di musica nelle università ame-ricane. Al suo fianco trovere-mo il bassista Davis, versatile

musicista sia nel jazz che nella musica classica. Ha creato una fondazione per giovani bassisti di talento, ed è stato insignito di numerosi premi e riconosci-menti per il suo impegno socia-le, sia come appassionato inse-gnante che come sostenitore

What is jazz?Man, if you gotta ask

you’ll never know

Louis Armstrong

Qui sopra, a sinistra, Eddie Palmieri, a destra la Gianluca Petrella Cosmic Band, con il trombonista in primo piano; a centro pagina David Murray e in alto Ricky Martin

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

In viaggio con Vinicio CaposselaCapossela torna sulla scena con il doppio album “Marinai, profeti e balene”

Quella raccontata da Vinicio Capossela nel suo ultimo disco “Marinai, profeti e balene” è una vera e propria storia di mare in musica. Si narra infatti di marinai e profezie, di onde e di sfide lanciate dall’uomo ver-so gli abissi, verso le sue insidie e le sue paurose creature, in pri-mis la maestosa Balena Bianca. A tre anni da “Da Solo” arri-va dunque questo doppio disco, dalle ambizioni senz’altro supe-riori ai precedenti. Un vero e proprio “concept album” con il quale l’artista di origine irpina celebra i vent’anni di carriera toccando, almeno per il mo-mento, la sua vetta artistica. Capossela aveva esordito sulla scena musicale italiana nel lon-tano 1990 con il primo disco in-titolato “All’una e trentacinque circa”, con il quale aveva vin-to la “Targa Tenco”. Da quel momento una serie di succes-

si come “Il ballo di San Vito” del 1996 (uno dei migliori) e lo strepitoso “Ovunque proteggi” (2006).Con “Marinai, profeti e bale-ne” il cantautore ha però su-perato sé stesso, realizzando un’opera mastodontica, ric-chissima sia nelle sonorità, mai

così varie, che nella ricerca, per quanto riguarda i testi, di colti riferimenti tratti dalla lettera-tura classica e mitologica. Le registrazioni stesse, per facili-tare quella sorta di immersione totale nella materia narrata, sono state effettuate tra i luoghi di mare di Ischia e Creta, per essere poi concluse negli studi di Milano e Berlino.Capossela ha suddiviso i 19

pezzi del progetto nei due di-schi seguendo una precisa linea narrativa. Il primo è definito dallo stesso artista di argomen-to “Oceanico e Biblico” e con-tiene richiami letterari come, tra gli altri, quello a Moby Dick di Herman Melville, a Lord Jim di Joseph Conrad e persino al

Giugno 20116 Musica

Libro di Giobbe dell’antico Testa-mento nel pezzo Job.Il secondo è in-vece “Omerico e Mediterraneo” e ha carattere mi-tologico, con la figura di Ulisse e del suo viaggio quale ispirazio-ne centrale. Da qui pezzi come Vinocolo, in riferi-mento al Ciclope, Calipso, Dimmi Tiresia e il bellis-simo e conclusivo Le sirene.

Anche per quanto riguarda le voci e gli strumenti musicali utilizzati il valore dell’album è smisurato. Per creare al meglio le atmosfere Capossela e la sua “ciurma” si sono serviti di stru-menti antichi e tipici come, per citarne solo alcuni, le Ondes Martenot, l’arpa e le percussio-ni indonesiane. Ad arricchire il tutto ci sono cori sia maschili che femminili, oltre alla par-

tecipazione di cantanti solisti come Psara-donis, icona della musica cretese, e l’ar-gentino Daniel Melingo.È un album da assaporare, come un vero lungo viaggio. Considerarlo un semplice disco è però davvero poco, sia dal punto di vista quan-titativo che qu a l i t a t i vo .

Vinicio Capossela definisce infatti “Marinai, profeti e ba-lene”, citando Dante, la sua “Marina Commedia”. In ef-fetti si tratta di una vera opera dai grandi contenuti e capace, inoltre, di spaziare tra i generi musicali più differenti, sfug-gendo a qualsiasi categoria o

etichettatura. È una colta me-tafora dell’esistenza dell’uomo: tra mari in tempesta e canti di sirene che ammaliano, sfide e pericoli, profezie e vittorie.

Il talento è la capacità diimparare. Il genio è

la capacità di evolversi

Arnold Schoenberg

Così parlò Eatwood

Tempo di cambiamenti l’esta-te e, come insegna Eatwood, qualcuno è più precoce del so-lito. Due mani sulla tastiera, rumore di sottofondo insop-portabile, un odore pregno che invade la stanza… non ci riesco, come posso conti-nuare a scrivere? Il ragazzino invecchiato, vestito di marca, con fastidiosa ironia rinnega il mio ruolo, non ragionando che anche lui, con il suo at-teggiamento perde di credi-bilità e prestigio; uno scempio dell’intelletto, ecco come mi appare in questo momento. E gira Eatwood che vuole cam-biare e...cambia. Ma non il vestito, da oltre una settimana sempre uguale. Con una ca-micia con il taschino che ar-riva all’inguine, insegue mal-capitate donzelle per offrire un caffè, scrollandosi di dosso una timidezza difensiva e stra-tegica che l’aveva caratteriz-zato per oltre tre anni. Sono sconvolto, mollo le dita (alme-no 6) dalla tastiera e mi godo la scena passandomi la mano sulla guancia e sulla barbetta incolta da liceale. Divertito giocherello con i riccioli dei capelli e rifletto. Mi strappo per sbaglio un capello, un leg-gero urlo di dolore e torno alla realtà. Ma il malaugurato av-vicinarsi della stagione estiva mi fa crollare un’altra certez-za: anche il pesante e rotondo fotografo appare diverso dal solito. Lo trovo spalmare sal-sine alla panna da una ciotola comune in un putrido bar del-la zona, alla faccia dell’igiene e dei 40 gradi. D’altra parte, scopro solo qualche ora più tardi, è presidente nazionale del club Botulino e Mononu-cleosi. Vergogna.

Vinicio Capossela, ben immedesimato nei personaggi delle sue storie

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

La musica “a nudo”“Complici” è il primo album di inediti del duo contrabbasso - voce Spinetti Magoni

Dopo alcuni anni dedicati, con grande successo, alla rivisita-zione dei grandi pezzi d’autore, il duo contrabbasso e voce com-posto da Ferruccio Spinetti e Petra Magoni pubblica “Com-plici”, il primo album costituito quasi completamente da pezzi inediti. Il fortunato incontro artistico tra i due musicisti era avvenuto nel 2003, dando il via a quel suggestivo progetto che ha preso il nome di “Musica nuda”, caratterizzato da una struttura musicale assoluta-mente essenziale: il contrabbas-so di Spinetti, ex componente degli Avion Travel, e la stu-penda voce di Petra Magoni. Il primo album intitolato proprio “Musica nuda” aveva ottenuto da subito ampio riscontro di pubblico e, soprattutto, di cri-tica. Così seguirono una serie di performance live, principal-

mente tra Italia e Francia, e altri due dischi: “Musica nuda 2”, un doppio album del 2006 con il quale vincono il “Premio Tenco” per la categoria Inter-preti, e “Musica nuda 55/21” del 2008, un mix di pezzi ine-diti, una minoranza, e cover di grandissimo livello. Con l’ultimo album “Compli-ci” si può senz’altro dire che sia avvenuto il vero salto di quali-tà per il duo. Il titolo stesso del disco rende l’idea della sintonia che negli anni di collaborazio-ne si sia sviluppata tra Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. Proprio a proposito del nuovo progetto discografico e del rap-porto con il collega musicista la cantante afferma in un intervi-sta rilasciata alla rivista Jam: “Abbiamo scelto come titolo “Complici” perché è una pa-rola che ci rappresenta. Il testo

del brano che dà il nome al cd parla d’amore; noi, in realtà, siamo una cop-pia artistica e basta, ma siamo legati da un for-te feeling e un percorso di vita in comune”.L’album è com-posto nell’insie-me da 14 pezzi, dei quali tre sono cover: Mir-za, di Nini Fer-rer, Mon Amour, di Henri Salva-dor e La felicità, di Lucio Dalla. Il resto del disco sono undici stu-pendi inediti, assolutamente

vari e piacevolmente semplici. Hanno anche collaborato molti altri musicisti alla stesura dei nuovi brani: Vado giù è compo-sta da Luigi Salerno, Una notte disperata è scritta da Pacifico, When I drink da Silvie Lewis e Rimando da Max Casacci dei Subsonica. L’impressione è che nessuno dei pezzi presenti sia stato inserito come riempitivo, ognuno possiede qualità auto-noma.Il segreto del successo di questa formula “voice ‘n’ bass” appa-re da subito evidente. La scelta di lasciare uno spazio piuttosto ampio a silenzi e pause, rotte dalla voce impeccabile di Petra Magoni, rende il tutto assolu-tamente suggestivo, originale e di grande atmosfera. L’impasto dei suoni, essenziale e crudo ma mai banale, valorizza al massimo le qualità dei due ar-tisti e la loro perfetta sintonia che, percorrendo la strada dei pezzi inediti, sembra ancor più evidente e consolidata.

Giugno 2011 7Musica

Stefano Campostrini

graphic designer art directorfotografo [email protected]

346 0206480

Edito daQuinta Parete

Via Vasco de Gama 1337024 Arbizzano di Negrar, Verona

Direttore responsabileFederico Martinelli

Direttore editorialeSilvano Tommasoli

Segreteria di redazioneDaniele Adami

Hanno collaboratoDaniele AdamiPaolo Antonelli

Anna Chiara BozzaStefano CampostriniFrancesco Fontana

Lorenzo MagnaboscoFederico Martinelli

Ernesto PavanAlice Perini

Silvano TommasoliGiordana Vullo

Realizzazione graficaStefano Campostrini

Autorizzazione del Tribunale di Veronadel 26 novembre 2008

Registro stampa n° 1821

Sopra la copertina del disco,in basso a sinistra ritratto di coppia

del duo musicale

Un premio alla carriera per Bernardo Bertolucci. Proprio l’apertura dell’edizione del Fe-stival del Cinema di Cannes 2011 è stata riservata, oltre che alla presentazione della com-media sentimentale di Woody Allen Midnight in Paris, alla pre-miazione del regista emiliano,

che ha ricevuto la prestigiosa Palma d’Oro alla carriera pro-prio dalle mani di Robert De Niro, presidente della giuria ma, soprattutto, “suo” attore in Novecento (1976).Bertolucci è uno dei registi più

poliedrici della storia del cine-ma italiano: capace di indagare nei suoi film, con grandissima intelligenza e concretezza, il mondo della politica, dei pro-blemi esistenziali, della sessua-lità e molto altro. Nato a Parma nel 1941, figlio del poeta Attilio Bertolucci, inizia giovanissimo

a frequentare personag-gi di spicco della cultura e del cinema italiano, avviandosi alla carriera cinematografica proprio come assistente di Pier Paolo Pasolini sul set di Accattone (1961). Il primo lungometraggio arriva l’anno successivo con La commare secca ma il succes-so mondiale è raggiunto esattamente dieci anni dopo con Ultimo Tango a Parigi (1972), film con protagonisti la compian-ta Maria Schneider e Marlon Brando, che cad-de nelle trame della cen-sura per le esplicite scene di sesso, venendo anche seque-strato per un lungo periodo. Nel 1976 arriva Novecento, con un cast d’eccezione che com-prende, tra gli altri, Robert De Niro e Gerard Depardieu. Il film è strepitoso nel calarci, in modo piuttosto crudo, nella re-altà delle lotte contadine nell’E-milia del periodo che intercorre tra i primi anni del Novecento e l’esplodere della Seconda Guer-ra Mondiale. Nel 1987 arriva quello che può essere conside-rato il momento più importante per il regista: Bertolucci vince ben nove premi Oscar con L’ul-timo imperatore. Successivamente riceve nel 2007 a Venezia il pre-stigioso Leone d’Oro alla Car-riera e con quest’ultimo premio a Cannes completa il quadro di una carriera, non di certo anco-ra conclusa, strepitosa.Bertolucci era già stato a Can-

Bertolucci premiato a CannesIl regista riceve al Festival del Cinema di Cannes la Palma d’Oro alla Carriera

Visto abbastanza?

nes in altre occasioni. Nel 1964 con Prima della rivoluzione, poi con Novecento (1976) e con La tragedia di un uomo ridicolo nel 1981, infine nel 1996 con Io ballo da sola. Il regista emiliano quest’anno non è tornato sulla Croisette però solo per ricevere il premio alla carriera. Nella categoria Classics è stata infatti proiettata la versione restaurata del suo film Il conformista (1970), presentato, tra gli altri, con prestigiose pellicole di registi italiani come L’assassino di Elio Petri e La macchina ammazzacatti-vi di Roberto Rossellini. Il film, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Al-berto Moravia, tratta il tema della guerra, del fascismo e dell’antifascismo, con impecca-bili interpreti Jean- Louis Trin-tignant e Stefania Sandrelli: una pellicola da riscoprire.

di Francesco Fontana

Giugno 20118 Cinema

L’arte del cinema consiste nell’approcciarsi alla verità

degli uomini, non di racconta-re delle storie sempre

più sorprendenti

Jean Renoir

Giugno 2011 9Verona è

Vuoi pubblicizzare la tua attivitàsul nostro sito Internet o sul giornale?

[email protected]. 349 6171250

Giugno 201110 Libri

Era nato nel 1906, figlio di un dottore itinerante e di una donna affetta da tuber-colosi. Vide la fine del mito della frontiera e le conse-guenze del boom petrolifero. Fece molti lavori per gua-dagnarsi da vivere, fino a quando il successo del suo personaggio più celebre non gli diede fama e denaro. La fine arrivò per sua mano, l’11 giugno del 1936, dopo che la madre da lui tanto amata era caduta in coma irreversibile. Si chiamava Robert Ervin Howard e il suo nome è rimasto legato a quello del barbaro protago-nista di soli diciassette degli oltre duecento racconti da lui scritti: Conan. Sì, pro-prio il Conan protagonista di due film, centinaia di fumet-ti, serie a cartoni animati e imi-tazioni letterarie: il guerriero venuto dalla nebbiosa Cimme-ria, destinato a diventare re e a purificare la civiltà decadente col fuoco della sua barbarie. Stranamente, Howard si stancò in fretta di lui e della fantasy in generale, ma i racconti sul Cim-mero sono le sue opere migliori, colme di una forza immaginifi-ca ineguagliata nella letteratura successiva. Il Conan di Howard è un uomo brutale, ma onesto, semplice, ma astuto, che non si cura di nessuno al di fuori della sua cerchia. Nelle sue avventu-re è di volta in volta ladro, pira-ta, soldato e razziatore, nonché sempre ubriacone: molto diver-so da certe sue rappresentazioni successive, rivolte a un pubblico che si pensava troppo impres-sionabile per i contenuti delle storie originali di Howard. L’he-roic fantasy, il genere letterario a cui appartengono i racconti su Conan, è definito dalle figure dei protagonisti, che nel caso si Howard assumono sfumature nietzchiane: uomini che agi-scono esclusivamente in base a una propria morale, senza riconoscerne altre, con grandi ambizioni che a volte riescono a coronare (tanto Conan quanto l’altro barbaro nato dalla pen-

na di Howard, Kull, diventano Re di una nazione). Howard non fu solamente au-tore di fantasy. Il suo talento di autore poliedrico, incapace di limitarsi a un solo genere, lo portò a scrivere racconti we-stern, storie di pugili, horror e gialli. Eppure, sebbene queste opere dimostrino senza om-bra di dubbio la sua abilità, è nei racconti fantastici che Ho-ward si esprime al meglio. La sua scrittura, pur se qualche volta ingenua, è pri-va di ogni orpello e va direttamente al punto senza impelagarsi in giri di parole o meta-fore inutili. Per quanto riguarda i contenuti, è evidente che non può esserci alcuna morale nelle opere dell’auto-re: solo un evidente e fortissimo disprezzo per certe convenzioni sociali, unito a un raz-zismo per nulla celato (ma bisogna ricordare che l’autore scriveva fra gli anni Venti e gli anni Trenta, l’epoca della segregazione razziale negli USA). Questo non può essere visto come un difetto, a meno che non si appartenga a

quel genere di lettori che giudi-cano ogni opera secondo i cri-teri della literary fiction e disprez-zano l’immaginazione pura e semplice.Conan è senza dubbio il più fa-moso fra i personaggi nati dalla penna di Howard, ma non l’u-nico degno di nota. Il già citato Kull è in un certo senso il suo antenato: anche lui barbaro, anche lui usurpatore di un tro-no, è addirittura più primitivo e sanguigno del Cimmero, al

punto che non incontrò il favore del pubblico a causa dei suoi eccessi (memorabile la distruzione a colpi d’ascia delle tavole della legge, in “Questa ascia è il mio scet-tro!”). Totalmente opposto a entrambi è Solomon Kane, il puritano vagabondo la cui missione (o maledizione) è affrontare il Male, spesso incarnato da stregoni dalla pelle scura, in ogni angolo della Terra. Kane è un giu-stiziere la cui morale e fede religiosa sono rigidissime, ma che in qualche modo ha in sé anche il seme della barbarie: nonostante cerchi di essere freddo e razionale nel pensiero e nell’azione, a guidarlo è spesso l’istin-to ed è capace di esplosioni

di ferocia che ricordano molto quelle degli altri protagonisti di Howard.Il barbaro del Texas scrisse anche racconti a sfondo sto-rico, dove pure sono presenti elementi fantastici: è il caso del “ciclo celta”, una serie di rac-conti ambientati nelle isole bri-tanniche prima e molto dopo la conquista romana, pervasi da un tono crepuscolare unico nella produzione dell’autore. Raccontano la morte di un

mondo antico e dei suoi Dei, un’epoca che Ho-ward rimpiangeva per la sua onestà e sempli-cità: le stesse virtù che attribuì ai suoi eroi. Ma sono anche storie in cui l’orrore del passato si mescola al rimpianto, come a dire che non sempre la nostalgia è fondata su basi concrete e che certe cose è me-glio lasciarle sepolte.Nell’epoca della fantasy zuccherosa e dei ro-manzi-fotocopia da un centesimo al chilo, ri-scoprire Howard signi-fica ritrovare le vere ra-dici di un genere troppo spesso sottovalutato. E chissà, magari dargli una nuova svolta.

Il barbaro del Texas: Robert E. HowardSettantacinque anni fa moriva il padre del leggendario Conan

di Ernesto Pavan

È la stampa, bellezza

Giugno 2011 11Libri

Per la maggior parte di noi il Medioevo non è che un susse-guirsi di sovrani, Papi, eresie, editti e battaglie di cui si co-noscono solo il nome e l’anno. Uno dei collanti fra tutti questi elementi, ossia l’aspetto militare della vita, non è minimamen-te approfondito nella scuola dell’obbligo, forse perché lo si ritiene superfluo o forse in os-sequio a una certa tradizione che vede il compimento del pa-cifismo nella totale ignoranza dell’oggetto del suo disprezzo. Contamine dimostra quanto siano errate queste posizioni: la società medievale non può esse-re compresa senza comprendere prima la guerra e le sue istitu-zioni, così come determinati eventi di questo periodo storico (ad esempio la fine del feudale-simo) sono difficili da spiegares se non si conoscono i retroscena e i risvolti militari. La guerra nel medioevo, un classico della storia

militare (uscì in Francia nel 1980), è un ottimo strumento per colmare questa lacuna: in modo ordinato e con stile, se non proprio divulgativo, perlomeno assolutamen-te chiaro, il saggio ana-lizza ogni aspetto della guerra medievale, dalle istituzioni sociali su cui si fondava all’equipag-giamento utilizzato dai combattenti nelle varie epoche. La prima parte, quella più propriamente sto-rica, traccia un quadro dell’evoluzione della guerra dalla caduta dell’Impero Romano al XV secolo; la secon-da analizza temi specifico come gli armamenti, la storiografia militare e gli aspetti religiosi e legali connessi allo scontro armato. Ciascun argomento è trattato in modo estremamente

preciso, con abbondanza di ci-tazioni da fonti d’epoca e non; inoltre, i singoli capitoli e para-grafi sono organizzati in modo da essere indipendenti fra loro, cosicché il lettore interessato a un solo argomento può saltare alla pagina desiderata senza

rischio di perdersi nei meandri dei rimandi in-terni.Se qualcosa si può rim-proverare a Contamine, è la mancanza di un’a-nalisi dettagliata degli aspetti più “tecnici” della guerra: si sente la mancanza di dettagli riguardo l’equipaggia-mento dei guerrieri, l’e-voluzione delle armi da fuoco (di cui pure l’auto-re discute) e in generale quella che si definisce “oplologia” (la scienza che studia le armi e i me-todi di combattimento).

Ma per chi è interessato all’a-spetto prettamente storico della guerra, questo volume è una mi-niera di informazioni preziose.

Philippe Contamine, La guerra nel Medioevo, il Mulino, pp. 435, € 14,00

Il Medioevo che non si studia a scuolaLa riscoperta: La guerra nel medioevo di Philippe Contamine

C’è un Paese in cui i giova-ni non raggiungono l’indi-pendenza economica pri-ma dei trent’anni. C’è un Paese in cui l’informazione è rigidamente controllata dal governo, ma la satira è consentita, in modo che i cittadini vadano a lavora-re divertiti e non pensino a lamentarsi. C’è un Paese di leggi assurde in cui vige la prassi di non rispettar-le. Questo paese si chiama Iran. Cosa avevate pensato?Troppo spesso si crede che il fanatismo religioso sia la radice di società totalmente aliene all’Occidente. Viag-gio di nozze a Teheran mostra una verità ben diversa. Alla luce di questo romanzo autobiografico, molte del-le differenze fra Iran e Italia, quelle che peraltro fanno più scandalo, appaiono meramen-te estetiche: donne velate, gi-gantografie di mullah appese

ai muri e alcolici banditi. Che sono, peraltro, i temi su cui la gioventù iraniana pare più sen-sibile: i diritti civili, politici e umani sono meno importanti

del diritto di bere alcolici e girare scoperte per strada. Stranamente, suona fami-liare.Viaggio di nozze a Teheran è un libro in cui di religione si parla relativamente poco. L’autrice, iraniana cresciu-ta in California, ha una vi-sione romantica dell’Islam, a cui fa da contraltare quel-la del marito Arash, che invece il fanatismo lo vive ogni giorno sulla propria pelle; ma nell’economia del romanzo questo è un tema secondario. Analizzata da vicino, la società iraniana rivela che i suoi problemi non sono dovuti all’Islam, ma dall’atteggiamento ras-segnato di fronte al regime e dall’individualismo diffu-

so che impedisce un vero cam-biamento: entrambi all’origine del consenso inizialmente tri-butato ad Ahmadinejad, il cui programma elettorale si basa-

Quell’Iran che, in fondo, somiglia all’ItaliaL’ultimo libro di Azadeh Moaveni racconta una verità insospettabile

va non a caso su promesse di benessere economico. Un altro punto che dovrebbe essere fa-miliare ai liberi cittadini della democratica Italia. Non riveliamo nulla dicendo che l’esperienza dell’autrice in Iran finisce in un modo che non lascia molto spazio all’otti-mismo: di fronte alla prospetti-va che il loro figlio cresca in un Paese del genere, la coppia de-cide di fuggire in Occidente. Le condizioni di vita in Iran non sono tollerabili per una donna cresciuta negli Stati Uniti e per un uomo laureato all’estero, ma condannato a una vita priva di gratificazioni nel suo Paese na-tio. Ancora una volta, niente di nuovo per noi. E il fatto che le condizioni di vita in Iran appa-iano familiari a un lettore ita-liano è veramente spaventoso.

Azadeh Moaveni, Viaggio di nozze a Teheran, Newton, pp. 344, € 6,90

di Ernesto Pavan

È la stampa, bellezza

Giugno 201112 L’opinione

Il re è nudodi Silvano Tommasoli

C’era una volta – diciamo un venticinque secoli fa – un tipo, che aveva nome Gorgia. Per vivere non aveva grandi affanni, perché aveva eredi-tato un sacco di bei dollaroni dal su’ bab-bo, Carmantida, ma soprattutto dal non-no Erodico, che ave-va capito tutto della vita e in gioventù si era dato da fare per ottenere una cattedra di medicina in Atene. Un barone della ma-donna, passato alla storia anche per aver avuto, per primo, la bella pensata che i medici dovessero es-sere pagati. Il suo allievo Ippocrate imparò la cosa alla velocità della luce, e, ancora oggi, riscuote la rico-noscenza dei camici bianchi, che gli giurano fedeltà quando cominciano a lavorare. Fedeltà all’idea della parcella, of course.Insomma, il nostro Gorgia non vuole seguitare la tradizione di famiglia facendo il medico, e già il nonno – vissuto fino a centosei anni – si dev’essere incazzato un tot. Ma si sa, i giovani sono così, sono ragaz-zi e passano le sere al bar, che allora chiamavano taverna, a parlare di donne e di vino. Che il calcio non l’avevano anco-ra inventato, così non c’erano né le veline né le partite truc-é le veline né le partite truc- le veline né le partite truc-cate. A que’ tempi, la star era una certa Elena di Troia – un nome, una leggenda – che pare fosse di così prorompente bel-lezza che i maschi suoi coevi ci si accapigliavano sempre, per portarla fuori la sera quando lei non era impegnata in una soap opera intitolata Iliade, che è du-rata una decina d’anni (più o meno quanto il nostro Beautiful) ed era prodotta e diretta da un tale Omero, un cieco che ebbe la fortuna di inventare queste fiction e farci un sacco di soldi.Non è che allora le notizie cor-ressero molto veloci, se è vero che la storia di Elena ci mise un sei/sette secoli ad arrivare

alle orecchie di Gorgia. Ma il nostro, anche se l’aveva solo sentita descrivere senza averla mai veduta, fu così colpito dalla straordinaria bellezza di Elena, che si prese una sbandata vir-tuale e cominciò a difenderla sem-pre e comunque. Sosteneva a spa-da tratta che non fosse stata lei a provocare le risse tra i giovanotti, e finì con l’ap-passionarsi tanto a l l ’a r g oment o da scriverci un pezzo, che i tito-listi del giornale al quale lo inviò intitolarono En-comio di Elena. Sì, in effetti il pove-ro Gorgia le spa-rò un po’ grosse, ipotizzando che la bella Elena si comportasse in modo così, diciamo, disinvolto perché mossa da un principio di necessità (Ananke) a lei supe-riore, ovvero costretta con la

forza (maddai, Go’. Che erba ti sei fumato?), oppure – udite

udite! – perché persuasa dai discorsi e dalle bel-

le parole (oi logoi) di qualche bell’imbu-sto.Un articolo di non so quante migliaia di battute per dimo-strare l’importanza delle parole, anche in un’attività così ordinaria come cer-

care di cuccare la più bella del reame. Ce n’e-

ra davvero bisogno?Se i famosi Fratelli fos-sero nati duemilacinque-cento anni prima, magari Gorgia una sera sarebbe andato al cine anziché alla taverna, si sarebbe potuto

sciroppare Palombella rossa di Nanni Moretti e lo avreb-

be capito subito che le parole sono importanti.

Proprio così, Gorgia deve aver pensato che con le parole puoi ottenere di tutto. Anche che Elena sia molto generosa con te; oppure, che la gente ti com-pri una crema scioglipancia – come quella che vendeva quel-la gran signora di Vanna Mar-

chi – che ti fa dimagrire di una mezza dozzina di chilogrammi in un paio di giorni, così ti pre-senti in grande spolvero alla prova bikini al lido del Pireo,

nell’Attica.Oppure, che gli ateniesi ti ascol-tino quando comunichi che stai per scendere in campo per esse-re eletto arconte, e ti votino, ti votino sempre. Anche quando non sai quello che dici.Proprio così. Gorgia dette alla forza della parola il significa-to di “grande dominatrice”. Perché la parola è in grado di dominare le emozioni, come nella poesia, che le emoioni le scatena. Di più, c’è l’arte di “battagliare con le parole”, che si chiama eristica.Oh, ragazzi! Qui le cose si com-plicano, e – quando il gioco si fa duro – i duri cominciano a gio-care, cioè a usare ad arte le pa-role. A chi pratica l’eristica, che è un po’ la sublimazione della retorica, non gli può interessare proprio se quel che dice è vero o falso, né cosa signifi cano le pa- né cosa signifi cano le pa-cosa significano le pa-role che usa; vuole solo contra-stare l’avversario e convincerlo di avere ragione grazie a questa retorica con il turbo. Alla fac-cia del dialogo costruttivo tanto caro al vecchio Socrate!Credo proprio che alcuni gran-di blablabla televisivi siano stati allievi di qualche scuola di eri-sti. Di quelle più scalcinate, an-

che. Non sei d’accordo con me? Allora, taci capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, ca-pra, capra, capra, capra, capra, capra, capra, capra…

Gorgia, Elena e la capraAlcuni grandi blablabla televisivi sono stati allievi di qualche scuola di eristi

Giugno 2011 13Giochi di ruolo

Il box della segnalazione intelligente

Un viaggio da incubo nella Città FolleScelte difficili e paesaggi surreali in Non cedere al sonno

Certe storie sono come i sogni: i protagonisti si trovano di fronte a lati di se stessi che assumono vita propria e non possono più essere ignorati. Sono le storie che nascono giocando a Non cedere al sonno (di Fred Hicks, Ja-nus Design, € 25,00), nelle quali individui insonni sono catapul-tati in una città folle (Mad City) in cui tutto è simbolicamente surreale. Ciascuno di questi Risvegliati ha una storia per-sonale, riassunta nelle risposte a cinque domande: Cosa ti tiene sveglio? Cosa ti è appena successo? Cosa c’è in superficie? Cosa giace in profondità? Qual è la tua strada? Il suo viaggio in Mad City sarà modellato da queste risposte e, raggiunta la meta, si potrà guardare indietro e vedere in che modo egli è cambiato.Come in altri giochi, ci sono due ruoli in Non cedere al son-no: giocatore e Game Master. Compito dei giocatori è inter-pretare i loro personaggi in base alle risposte che hanno dato, prendere decisioni per loro e accettarne le conseguen-ze; il Game Master deve fornire occasioni di scelta ai personag-gi – e dunque ai giocatori – e interpretare gli abitanti di Mad City, gli Incubi, secondo la loro natura. Ciascuna di queste cre-ature è radicata in qualche tipo di simbolismo, come l’Agente delle Tasse (che inchioda i fug-gitivi ai muri con le sue dita di metallo) o Madre Quando (un’orrenda parodia di madre/educatrice il cui nome, in In-glese, si basa sul gioco di parole “when/hen”, ossia “quando/chioccia”); in effetti, l’autore non chiarisce se Mad City sia un luogo reale o un viaggio dei personaggi nella propria follia e, secondo noi, questa ambigui-tà è il maggior punto di forza dell’ambientazione.Il sistema di gioco è semplice, ma le sue implicazioni sono nu-merose. Per risolvere i conflitti di interesse fra i fra personaggi e gli Incubi (come nel caso in cui il Maitre du Demon voglia servirvi come portata principa-le a cena e voi non siate molto

d’accordo) si usano dadi di co-lori diversi, organizzati in pool: dadi bianchi per la Disciplina, neri per lo Sfinimento, rossi per la Follia e di un qualsiasi altro colore per il Dolore. Il Game Master attribuisce all’opposi-zione un valore in dadi Dolore (fino a dodici), mentre il giocatore parte con tre dadi di Disciplina e può aggiungere fino a sei dadi di Follia, oltre a dover aggiungere un numero di dadi neri pari al proprio Sfinimento attuale (la misura di quanto il per-sonaggio ha cominciato a perdere la lucidità) che può arrivare a un massi-mo di sei. Basta fare due conti per capire che, an-che di fronte al più forte degli Incubi, i personaggi possono partire avvantag-giati... purché siano dispo-sti a correre gravi rischi. Dopo che i dadi sono stati tirati, i risultati da 1 a 3 sono considerati “succes-si” e la loro somma determina il vincitore del conflitto; il colore del dado con il valore più alto, tuttavia, determina il modo in cui il risultato è ottenuto. Se domina la Disciplina, va tutto bene; la dominanza dello Sfini-mento, invece, comporta l’au-mento dello Sfinimento attuale di uno, mentre quella della Fol-lia provoca una momentanea crisi del protagonista. Quando il Dolore domina, indipenden-temente dal risultato, qualcuno si fa male. Siccome il giocatore è a scegliere quali e quanti dadi usare, il rischio corso dai perso-naggi dipende dal suo coinvol-

gimento e dunque dalla posta in gioco; è importantissimo, qui, il ruolo del Game Master, che deve tarare la forza delle opposizioni e guidare il gioca-tore in una danza di Dolore, Sfinimento e Follia.

Su questo sistema se ne “in-nesta” un secondo: quello dei Talenti. Ciascun personaggio ne possiede due, uno legato allo Sfinimento e uno legato alla Follia. Il Talento di Sfinimen-to è una dote umana amplifi-cata a livelli cinematografici: saper sparare come Violet in Ultraviolet, un’agilità degna dei protagonisti dei film di arti marziali cinesi o una lingua d’argento che potrebbe incan-tare il Diavolo. Il Talento di Follia è più sinistro, ma in un certo senso anche più potente, perché consente al personag-gio di trascendere la realtà re-

alizzando cose impossibili... e terrificanti. Troncare il legame (metaforico) fra madre e figlio usando una lama (reale), man-giare plutonio e defecare bom-be nucleari, chiamare gli alieni in soccorso, sono tutte cose che

un Risvegliato coi giusti Talenti di Follia potrebbe fare. Naturalmente, per sfruttare il Talento di Sfi-nimento al meglio occorre essere sull’orlo del collas-so e le manifestazioni del Talento di Follia sono un riflesso dell’Incubo che il personaggio potrebbe di-ventare dopo averlo invo-cato una volta di troppo: non esistono pranzi gratis a Mad City. L’altro compito del GM è quello di introdurre e chiudere le scene: egli agisce come una sorta di regista, nel senso che non è (l’unico) autore della sto-ria, ma sua è la responsa-bilità primaria nell’orga-nizzazione degli eventi.

L’ultima edizione di Non cede-re al sonno è quella presentata a Lucca Comics and Games 2010, battezzata “Dolore dominante” dall’editore. Oltre a un impian-to grafico del tutto revisionato, il gioco è ora forte di due nuovi metodi di creazione dei perso-naggi e di una buona quantità di materiale extra. Per appro-fondire l’argomento della Fol-lia è disponibile il supplemento Non perdere il senno (di Benjamin Baugh e Fred Hicks, Janus De-sign, € 15,00), che oltre a nu-merosi consigli e chiarimenti include anche una raccolta di Talenti di Follia nuovi e distur-banti: fantasmi di dinosauri che perseguitano i personaggi, Taxi per l’Inferno, folletti e or-sacchiotti vudù sono alcuni dei meno bizzarri.Non cedere al sonno è un gioco che richiede un forte coinvol-gimento per dare il meglio, ma dà in cambio esperienze di rara intensità. Se l’idea di far parte di una storia dalle atmosfere oniriche e surreali vi intriga, questo è il gioco che fa per voi.

di Ernesto Pavan

Nessun uomo è un fallito se ha degli amici

È con grande piacere che segnaliamo l’uscita in formato PDF del gioco di ruolo Esoterroristi, prossimamente oggetto di una nostra recensione. Janus Design offre al pubblico un prodotto di qualità, privo di ogni sorta di protezioni che ne limitino l’uso, all’onestis-simo prezzo di dieci euro (il 40% del costo del cartaceo). Questo e altri giochi di ruolo, molti dei quali da noi recensiti, possono esse-re acquistati direttamente dal sito dell’editore (http://shop.janus-design.it/catalogo).

Houston, abbiamo un problemadi Alice Perini

BBC, Beautiful British ColumbiaEsploratori dell’immensità: quella fetta di Canada che guarda al Pacifico

Altroché difficile: nella British Columbia fermarsi è semplice-mente impossibile. Una volta riprogrammato il vostro oro-logio biologico, dopo circa un-dici ore di volo e nove di fuso orario, sono sicura che non vor-rete perdere nemmeno un solo istante di questa vostra nuova e immensa avventura. Immensa e sterminata come sanno esse-re solo i giganti di questo mon-do, quelle province sconfinate, quegli spazi senza fine, superfi-ci nelle quali ciascuno vorrebbe perdersi con il solo scopo di ri-trovarsi. Con oltre 947.000 km2 di su-perficie, la British Columbia (BC) è la regione più occidenta-le del Canada, adagiata lungo il Pacifico, racchiusa a nord dallo Yukon e dall’Alaska e a sud da-gli Stati Uniti, in particolare da Washington, Idaho e Montana. Prima di inoltrarsi nel Canada’s

West, un caleidoscopio di sce-nari straordinari ritenuti (e non poteva essere diversamente) tra i più spettacolari del mondo, un breve accenno al passato, una storia diversa rispetto a quel Canada con lo sguardo rivol-to all’Europa, dove gli Inglesi e i Francesi si sono scontrati, “qualche tempo fa”, per il con-trollo del territorio. Fu la ban-

diera spagnola, infatti, la prima ad arrivare nella British Co-lumbia, nel 1774: qui, Spagna e Russia si contesero la proprietà di questo tutt’altro che mode-sto fazzoletto di terra, la porta verso il Pacifico e l’Asia. I primi desideravano controllare tutta la costa occidentale dell’Ame-rica centro-settentrionale, dal Messico all’Isola di Vancouver; i secondi, spinti dalla stessa aspirazione di dominio, erano al lavoro in direzione opposta, scendendo dall’Alaska per arri-vare a San Francisco. Dei due avversari, nessuno ri-uscì nell’impresa, lasciando così il via libera all’avanzata degli Inglesi, i quali stabilirono nell’attuale area di Victoria la loro prima colonia permanen-te, nel 1843. Qualche anno più tardi, nel 1857, la febbrile scoperta: l’oro nel Canyon di Fraser (Fraser Valley). La corsa partì, con migliaia di persone che, in cerca di fortuna, afflu-irono nella neonata regione dorata. Nonostante la frenesia aurea duri solo alcuni anni, le tracce di questo periodo storico si ritrovano nel Gold Rush Trail,

un itinerario che segue i sentie-ri dei cercatori d’oro, passando per Lillooet, Barkerville e 100 Mile House. Una volta finita la corsa, il traguardo raggiunto non era certo dei migliori, anzi: dietro l’angolo, il serio rischio di bancarotta per la colonia, determinato soprattutto da-gli ingenti costi di costruzione delle “autostrade dell’oro”. Ma

a quanto pare, “l’unione fa la forza” funzionava anche cento-cinquanta anni fa: ed ecco che per affrontare l’imminente tra-collo, le due colonie dell’Isola di Vancouver e della Columbia decisero di fondersi. Così nac-que, alla fine di un mito (quello

dell’oro) e senza mitologie, la British Columbia.Il problema maggiore, vi ren-derete conto, è come organiz-zare al meglio il viaggio in una terra così smisurata avendo a disposizione quel tempo che smisurato non è. Potreste iniziare con una pas-seggiata per le vie di Van-couver, la città più popolosa, facendo attenzione a un detta-glio! Il capoluogo della British Columbia è Victoria, sull’Isola di Vancouver; la città di Van-couver, invece, si trova nella

parte sud-occidentale della terraferma. Responsabilmente multietnica, ovvero equilibrata nella sua sorprendente diversi-tà (pensate che la popolazione di origine asiatica è talmente numerosa che la città è spesso soprannominata “Kong Kou-

ver”), Vancouver è un piccolo assaggio di ciò che vi attende: infatti, va assaporata all’aria aperta. Stanley Park, una fore-sta di cedri di oltre 400 ettari, il vero polmone verde di questa regione metropolitana la cui densità di popolazione è tra le più alte del Nord America e che, in base alle previsioni, do-vrebbe raggiungere nel 2021 i 3 milioni di abitanti. Non dimenticate Gastown Steam Clock, l’orologio a vapore che si trova nel quartiere vecchio del-la città, Gastown per l’appunto,

Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci,

è difficile fermarsi.È come essere alcolizzati

Gore Vidal

Giugno 201114 Viaggi

Qui sopra, il Peyto Lake, in alto una veduta di Vancouver

Uno scorcio degli splendidi Butchard Gardens

e il Capilano Suspension Bridge, il ponte in legno, trattenuto solo da corde, sospeso a 70 metri di altezza sul torrente Capila-no. Se volete salire ancora più in alto, vi consiglio l’Harbour Centre Tower, l’edificio che con i suoi 174 metri è il più alto della regione: in soli 40 secondi, lo skilift, l’ascensore panoramico in vetro, vi accompagnerà alla terrazza panoramica a quota 130 metri. E sarete pronti per ammirare anche il profilo di questa città!Da Vancouver a Victoria, si-tuata nell’estremo sud di Van-couver Island e così chiamata in onore del capitano George Vancouver, ufficiale britanni-co della “Royal Navy”, famoso soprattutto per le sue esplora-zioni lungo le coste del Nord America affacciate sul Pacifico. Come il vostro predecessore George, sentitevi semplicemen-te esploratori: Butchart Gardens, una delle più grandi esposizioni floreali del mondo, vi facilite-rà sicuramente il compito. È il 1904 quando Jennie Butchart, riutilizzando una cava di cal-care ormai abbandonata, inizia a dar forma a quello che oggi è diventato un giardino di oltre 22 ettari, un paradiso che, com-plice il clima mite e soleggiato, non vorreste più lasciare. Di meraviglie, in questo viag-gio, ne troverete così tante che potreste davvero rischiare di ubriacarvi. Tofino e la sua baia, nella costa ovest di Vancouver Island, l’isola di Meares e la sua millenaria foresta pluviale (oltre 3 metri di pioggia all’anno), i cui alberi sono tra i più maestosi e antichi di tutta la regione. Non è un caso, quindi, che proprio

sull’Isola di Vancouver vivesse il più alto esemplare vegetale al mondo, un abete di Dou-glas alto 126 metri. È, e sarà, proprio la natura il sottofondo di questa vostra avventura vis-

suta agli estremi del mondo. Il Pacific Rim, il più vasto Parco Nazionale Marino del Canada, è la meta ideale per chi è appas-sionato viaggiatore e fotografo: per i naturalisti (ma non solo), si tratta di uno scenario davvero affascinante, spesso interessato dalle violente burrasche del Pa-cifico, abitato, nella sua parte marina, da grandi cetacei, ba-lene, leoni marini, foche, orche assassine e, sulla terraferma, da procioni, visoni e orsi. Visto che si è parlato di ocea-no, non potete rinunciare a una giornata in traghetto: detta così sembra quasi la solita escursio-ne noiosa, imprigionati su una barca. In realtà, impiegherete le 16 ore di navigazione alla volta di Prince Rupert, nel nord della British Columbia, impegnati ad ammirare pae-saggi senza pari, tra cui fiordi giganteschi e pareti a strapiom-

bo su un oceano brulicante di vita. E mentre sarete diretti verso nord, sempre più vicini al freddo, vi consiglio di fare tappa al Santuario dei Grizzly, la riserva faunistica di questi

maestosi mammiferi: un modo intelligente per comprendere il mondo di questi esseri che, “in competizione” con l’orso pola-re, si contendono il primato in termini di grandezza e perico-losità. Un’occasione per sapersi comportare responsabilmente e per evitare quegli inciden-ti spiacevoli scatenati, spesso, più dall’ignoranza umana che dall’aggressività animalesca. Per avere un’idea di cosa pos-sa significare trovarsi di fronte un paesaggio “impetuoso” e “prepotente”, non rimane che dirigersi verso le Montagne Rocciose (Rockies), una delle catene montuose più vaste al mondo, estesa per oltre 4.800 Km, dal lontano New Mexi-co alla British Columbia. Una superficie immensa coperta da imponenti ghiacciai, rocce gra-nitiche, cascate, laghi dall’ac-

Houston, abbiamo un problema

qua color turchese, canyon e foreste, la dimora di numero-sissime specie animali protette (grizzly, puma, alci, caribù e lupi). I quattro parchi delle Ro-ckies, Banff, Jasper, Kootenay e Yoho, sono parte del Patrimo-nio dell’Umanità fin dal 1984: ognuno di loro potrà offrirvi degli scorci stupendi, dalle ca-scate Athabasca e i laghi Peyto, Moraine e Louise alla Icefields Parkway, considerata la più bel-la e suggestiva autostrada del mondo, una lingua d’asfalto che si snoda per 230 Km cir-condata da montagne maestose e che collega il lago Louise a Jasper, dove potrete ammirare l’enorme Columbia Icefield, uno dei più grandi ghiacciai situato a sud del Circolo Polare Artico. Con una superficie di quasi 325

Km2, questo gigantesco accu-mulo di neve e ghiaccio può raggiungere in alcuni periodi una profondità di 300 – 360 metri; durante il disgelo, le sue acque danno origine a quattro grandi sistemi fluviali e alimen-tano fiumi che sfociano negli oceani Artico, Atlantico e Pa-cifico. E avrete ancora molto altro da esplorare, ma, ahimè, bisogna pur fare una scelta. L’impor-tante è che scegliate, prima o poi, di trascorrere alcuni giorni anche solo in qualcuno di que-sti luoghi fuori rotta. Farete il possibile per conoscerli tutti. (Anche se ubriachi).

Giugno 2011 15Viaggi

In questa pagina, dall’alto in senso orario:il Pacific Rim National Park,

il Columbia Icefielduna capra delle Montagne Rocciose

In Kenya, vagando per i vil-laggi e le località più o meno turistiche non è così difficile incontrare esponenti delle tribù Masai. Che essi siano veri ap-partenenti a tale etnia o gente del luogo improvvisatasi come tale è tutto da vedere. Gli stereotipi sono ben noti: il pastore delle pianure africane, con il mantello rosso e la lancia in mano, i monili al collo e gli orecchini allarga lobi. Ben lontano dall’essere un’at-trazione turistica, il popolo delle savane vaga per secoli tra Kenya e Tanzania, tra pascoli, riserve naturali, parchi, pro-prietà private.Il Masai moderno è un incro-cio tra un pastore, un abile venditore, e per sua indole, un guardiano. Sono da sempre pa-stori seminomadi, parlano una lingua a sé e restano il simbo-lo dell’Africa dei grandi spazi. Conoscendo un po’ la storia di queste tribù e il loro modo di vivere sorge spontanea una do-

di Anna Chiara Bozza

Giro giro tondo, io giro intorno al mondo

Kenya: finti Masaio cambiamento di uno stile di vita?

Da fiero uomo delle savane ad imprenditore

manda: il turismo ha contagia-to queste persone in ogni aspet-to della loro vita, oppure ci si trova davanti ad una presa in giro bella e buona, quando ad esempio in spiaggia si vedono

individui vestiti e agghindati come i Masai?Per dare una risposta a que-sto quesito, mi sono rivolta a Donatella, una signora italia-na che conosce molto bene il

mondo dei Masai. È stato pro-prio per amore di un ragazzo keniota, che dieci anni fa ha deciso di lasciare l’Italia, il la-voro e di trasferirsi a Malindi. Oggi si occupa di turismo, cer-cando di far comprendere la vera essenza dell’Africa e del Kenya, permettendo di vivere realmente il posto in cui ci si trova, immergendosi nella re-altà locale conoscendone usi e costumi. Leggendo il suo blog non è difficile capire quanto ami questa terra e questa gen-te. Secondo lei, i Masai che si spostano sulla costa si sono in un certo senso trasformati, per adattarsi al sistema consumisti-co di questo luogo. A Malindi, non è insolito vedere i Masai con cellulare e birra in mano. Nonostante le loro origini siano quelle di veri uomini della sa-vana, guerrieri dignitosi e fieri. Ma questo erano, e continuano ad essere. Tutto cambia duran-te il periodo di bassa stagione, quando tornano nei loro villag-gi. «Basta pensare a mio ma-rito: qui supermoderno, ormai anche troppo. Ma quando c’è una cerimonia al suo villaggio dimentica dove vive, e si cata-pulta ad osservare le sue regole,

Giugno 201116 Viaggi

Una splendida immagine del paesaggio e dei colori del Kenya

Giro giro tondo, io giro intorno al mondo

Giugno 2011 17Viaggi

diverso da ciò che è realmente l’interno del paese. Nelle località turistiche i bambini ti corrono dietro chie-dendoti una caramel-la o addirittura soldi. Nell’entroterra, nessu-no di loro si avvicinerà, per domande qualcosa, o semplicemente per far capire che ha bisogno: la dignità è una quali-tà fondamentale della gente del Kenya. Nelle località marittime inve-ce i kenioti “colonizza-ti” incassano, vendono, barattano, fanno affari, si arricchiscono e forse disprezzano un tantino queste orde di europei

che si credono padroni a casa loro. Ma se da una parte l’at-teggiamento di superiorità mo-strato dai turisti impedisce un reale sviluppo della popolazio-ne, dall’altra c’è anche la poca volontà degli abitanti locali di volersi migliorare, soprattutto di quelli che vivono sulla costa che ne avrebbero l’opportunità.

i suoi usi, le sue tradi-zioni. La sua cultura è una sola, e va sempre e comunque rispettata». Ma se il turismo è riu-scito a cambiare persi-no le abitudini di que-ste popolazioni, qual è il posto che esse oc-cupano nella moderna società?Si dice che al giorno d’oggi i Masai giochi-no un ruolo importan-te per la conservazione ambientale, almeno così ci viene spiegato. Sembra infatti, che al-cuni di loro gestiscano intere zone della sa-vana, dove sorgono i lodge che ospitano i tu-risti durante i safari. Una cosa difficile da credere, in quanto, nonostante il tempo della co-lonizzazione sia finito, sembra sia iniziata una forma di oc-cupazione più subdola, quella turistica.Gli stranieri che vengono in viaggio in queste terre offrono un cattivo esempio alle popo-

lazioni locali. Secondo Dona-tella il mondo occidentale non contamina questa gente, ma la abitua male, perché non offre buoni esempi. I turisti credo-no di fare del bene solo rega-lando, ma non è così. Tutto ciò non aiuta le popolazioni locali a crescere, li abitua soltanto a volere, volere e volere. I visita-

tori si convincono di fare delle buone azioni, ma è solo una giustificazione, un gesto fatto quasi per farsi perdonare quel-lo che si ha. Certo, non è sufficiente visitare Watamu, Malindi e le località sulla costa per riuscire a valu-tare il Kenya e la sua popola-zione. In queste zone è tutto

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La vita dello sport, lo sport della vitaMa fatto anche di morte. Wouter Weylandt, un ragazzo di 26 anni

di Daniele Adami

Quando il gioco si fa duro

Un passo all’indietro che non avremmo voluto fare. Uno sguardo alle parole che, nel pri-mo numero di questa rubrica, hanno accompagnato le righe sulla morte di Shoya Tomiza-wa: “La morte, non si può ne-gare, ha fatto e fa ancora par-te dello sport. Probabilmente ci sarà anche domani e oltre”. Frasi scritte in qualità di com-mento all’evento del 5 settem-

bre dello scorso anno, quando il giovane e promettente pilota giapponese perse la vita a Misa-no, in seguito alle conseguenze di un terribile incidente nel corso del Gran Premio di Moto2.E quel domani, riferito al pezzo riportato fra le vir-golette, si è (ri)materializ-zato il 9 maggio. Durante la terza tappa del Giro d’Italia, fra Reggio Emi-lia e Rapallo, il corridore belga Wouter Weylandt sta affrontando la discesa del Passo del Bocco. Una curva a sinistra. Si volta all’indietro per osservare chi lo sta seguendo. Con il pedale urta il muro di protezione in pietra. Cade a terra. Il volto sbatte vio-

lentemente sull’asfal-to, dopo un volo di alcuni metri. Sono le 16.20. I soccorsi giun-gono immediati, ma la gravità dell’acca-duto non lascia spazio alla speranza. La co-municazione ufficiale della morte arriva alle 17.24. Nel frat-tempo, la tappa è pro-seguita. La vittoria è andata allo spagnolo Vicioso. I classici fe-steggiamenti vengono annullati. La frazione del giorno seguente sarà neutralizzata.Sul traguardo di

Livorno, il 10 maggio, i com-pagni di squadra di Wouter sfilano abbracciati. Hanno deciso di rimanere al Giro per

onorare il loro ami-co, chilometro dopo chilometro. Volevano ritirarsi, ma il padre di Weylandt ha chie-sto loro di proseguire, per quel ragazzo di 26 anni che viveva di bicicletta e per la bici-cletta. Il ciclismo si è stretto attorno a una famiglia distrutta dal dolore. Una perdita che non potrà mai es-sere cancellata.Avvenimenti del ge-nere fanno scattare immediatamente i ri-

flettori della sicurezza. Lo ave-vamo detto anche per Shoya. Una distrazione, una buca, tratti viscidi e insidiosi possono

essere fatali. Un casco diverso e più resistente lo avrebbe salva-to? Non ce la sentiamo di dare una risposta. L’amore per la velocità, la voglia di sentire l’a-ria che sbatte sul corpo, soffi di vento intrisi di rischio. Anche questo è lo sport, fatto, inoltre, di botte, di cadute e di tragici eventi. Sui giornali e sulle televisioni (ri)appaiono le immagini e le fotografie di altri uomini del ci-clismo che hanno perso la vita mentre si impegnavano a peda-lare con la passione, il sudore e la fatica dipinti sul volto. Strade ricche di memoria e, talvolta, di sangue. La pericolosità delle discese non può essere nascosta, non va ignorata. E ogni corri-dore porta con sé un bagaglio

di possibili imprevisti. Consapevolmente, perché si tratta di ciò per cui han-no fatto molti sacrifici. Uno sport, quello della biciclet-ta, dolce quanto rude, dif-ficile quanto affascinante.Dopo alcuni giorni di shock la corsa rosa ha ri-preso un velo di normalità. Anche se, e di questo ne siamo sicuri, una norma-lità non completa. Il Giro incoronerà il suo vincitore, come ogni anno, perché bisogna andare avanti. As-sieme a Wouter Weylandt, nella storia.

Weylandt vince una tappa al Giro d’Italia dello scorso anno

Giugno 201118 Sport

Qui sopra i compagni di squadra in ricordo del collega scomparso

Il ciclismo è come la vita, non ci sono formule matematiche

quando sei davanti ad un avversario. Si tratta di saper

soffrire più di lui

Lance Armstrong

Quando il gioco si fa duro

Giugno 2011 19Sport

Il tennis dei re, dei punti, o dei re punti?Tornei, sconfitte e vittorie: tutto quantificato. Giusto così? Forse

Il tennis maschile vede ora al comando lo spagnolo Ra-fael Nadal, seguito da Novak Djokovic e Roger Federer. Fra i primi due la distanza, in ter-mini di punteggio, è labile. Il terzo è piuttosto lontano. Gli eventi di questi ultimi mesi, tut-tavia, indicano una netta pro-gressione del giocatore serbo

(Djokovic), dal punto di vista dei risultati. E della freschez-za di gioco. Nelle recenti finali disputate a Madrid e a Roma, per lo spagnolo numero uno c’è stato poco da fare.Il campione dell’est europeo è riuscito a imporsi sulla superfi-cie che l’avversario ritiene il suo elemento naturale: la terra bat-tuta. Un elemento che impone al giocatore una costante atten-zione al rimbalzo della pallina, che può rallentare un colpo inferto con potenza, che può

mutare la direzione della battu-ta, se vi sono dei leggeri solchi sul terreno. La stanchezza ac-cumulata nella semifinale del giorno precedente contro Mur-ray (agli Internazionali d’Italia) si è fatta sicuramente sentire sulle spalle di Novak. Tuttavia, quella tensione si è tramutata in forza, facendo in modo che il suo rovescio diventasse una sot-tile e pungente lama sul campo del rivale. Nadal, lo dobbiamo dire, non è stato a guardare. Una sconfitta a testa alta.Una gara che consente a en-trambi di presentarsi con grande fiducia al maestoso impegno del Roland Garros. Ancora terra battuta. Al momento della lettura di queste righe saprete già chi sarà il vincitore della manifestazione parigina. Forse vi sarà un nuovo numero uno. O forse no. E non possiamo dimen-ticarci di Roger Federer, il re svizzero, che per ben 237 settimane consecutive (terminate il 18 agosto del 2008) ha messo tutti dietro le sue spalle. Un record im-battuto, e meritato, poiché i rivali dovevano, e pote-vano, solo inchinarsi alla sua gentilezza e abilità nel tocco. Meravigliosi i punti realizzati colpendo la palla tra le gambe, quando que-

sta è in procinto di toccare ter-ra. E con la schiena rivolta alla rete. Nadal gli ha strappato il primato, il quale è ora piuttosto in bilico.Non ci sentiamo di dire che le classifiche rappresentano del-le verità assolute. Non vanno nemmeno ignorate completa-mente. Personalmente ritengo che la quantificazione sportiva, necessaria in molte branche dell’agonismo, sia arrivata a invadere delle zone che do-vrebbero mantenersi estranee al suo potere. Un atleta deve (o dovrebbe?) essere il migliore solo per una questione di punti? Spero fortemente di no.

Saper giocare bene a tennis è diverso da saper vincere

Adriano Panatta

Roger Federer

Questione di punti. È questo il metro di giudizio per delineare il ranking mondiale tra i giocatori di tennis. Ogni torneo porta con sé un punteggio, che varia a seconda del prestigio dello stesso. Più passi un atleta riuscirà a muovere all’interno del tabellone, più possibilità avrà di scalare posizioni nella classifica. Un passo falso, inve-ce, comporta una perdita. Ho tentato di cogliere i vari ingra-naggi che governano l’attribu-zione dei punti, e non posso ne-gare di aver avuto difficoltà nel comprenderli. Magari non li ho proprio capiti.Ma tutto ciò, per ora, non è im-portante, poiché il nostro scopo, infatti, è un altro: stimolare una riflessione. E la riflessione corri-sponde a una precisa domanda: chi occupa il gradino più alto del podio mondiale è obiettiva-

mente il giocatore più forte in quel periodo?Azzardiamo un paio di risposte: forse sì, forse no. Il motivo? Nel-lo sport, di qualunque tipologia esso sia, raramente risiede la pu-rezza di un giudizio. Le parole sono spesso indirizzate da occhi volutamente bendati. Sguardi che vedono ma non osservano. Allora, data l’impossibilità di trovare una sorta di accordo, meglio rivolgersi alle classifiche. Tabelle il cui desiderio fondante è fornire chiarezza.

di Daniele Adami

Da sinistra: Rafael Nadal, Novak Djokovic e Roger Federer

Sportiva stretta di mano tra il serbo e lo spagnolo

Via Spighetta 1537020 Torbe di Negrar, Verona

Tel/fax: +39 045 750 21 88www.casalespighetta.it

Casale Spighetta, un nuovo spazio, un sorprendente gioco architettonico di salette che si intersecano pur rimanendo raccolte

nella loro intimità. L'atrio Nafura, il Lounge panoramico Gioia & Gaia, la cantina del Trabucco, il Coffee Lounge tutti con arredi eleganti, diversi, con un tocco d'oriente legati da toni materiali ed

effetti di luce e colore che rispecchiano alla logica di mirabili equilibri.

Il Casale la Spighetta è un ristorante collocato nelle colline della Valpolicella a Verona, i suoi ambienti eleganti sono indicati per cene

romantiche, banchetti e cene aziendali. Dal giardino estivo si può godere di un meraviglioso panorama.

Le sale esprimono un’atmosfera ariosa ed elegante perfettamente in linea con la cucina dello Chef Patron. Un’esigenza per chi, come lo Chef Angelo Zantedeschi va al di la dell’arte culinaria, un grande amore per la tradizione e l’arte moderma.

... dove la cucina tradizionale italianaviene rivisitata con un sapore d'Oriente ...

R I STORANTE

Casale Spighetta