Verona In 28/2011

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N° 28 - APRILE 2011 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P .A.- SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV . IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR i n VERONA • TANGENTOPOLI 20 ANNI DOPO VERONA SOTTO SCORTA Ma ce n’è bisogno? (Inchiesta) SCHIAVI DEL TERZO MILLENNIO www.veronainblog.it

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N° 28 - APRILE 2011 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR

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inVERONA

A gennaio i gruppi consigliari delPartito Democratico, Per VeronaCivica e dell’Ulivo per Veronahanno presentato al Consiglio ealla Giunta comunale alcune pro-poste per ridurre i danni sanitari eambientali legati alla realizzazionedel Traforo delle Torricelle. Leproposte di “mitigazione”, comesono state chiamate, erano riferiteal devastante e costosissimo pro-getto che, se realizzato, non risol-verà i gravi problemi per il quale ènato, ma ne creerà di nuovi.Le proposte sono state formalizza-te l’indomani della presentazionein Consiglio di 912 emendamenti,la cui discussione avrebbe paraliz-zato per parecchi mesi la macchi-na amministrativa prima di giun-gere al voto. Gli accordi sono statipiù o meno questi: «Tu Ammini-strazione accetti di rendere il tra-foro meno invasivo e introducicondizioni favorevoli per gliespropriandi, io opposizione ritiroparte degli emendamenti, pur ri-badendo il mio no al progetto alquale voterò contro».Su questo modo di procedere si èaperta un’accesa discussione tra leparti interessate, che non ha ri-guardato solo maggioranza e op-posizione in Comune, ma che hacoinvolto anche il mondo ambien-talista, il Comitato contro il colle-gamento autostradale delle Torri-celle, i Cittadini per il referendum,ecc. Infatti Legambiente, Italia No-stra, WWF, Amici della bicicletta,Comitato contro il traforo e IlCarpino, con sfumature diverse,hanno stigmatizzato l’iniziativadel PD e relativa cordata. Hannocioè espresso contrarietà alle pro-poste di mitigazione per almenotre motivi: 1) le hanno ritenutegrossolane, prive di solide basiscientifiche; 2) perché prima diformularle sarebbe stata buonacosa consultare quella parte di so-cietà civile che da anni, con diversee qualificate competenze, si oppo-ne al progetto; 3) assomigliavano

un po’ troppo a un calare le bra-che. Sul fronte politico Sinistraecologia e libertà, ma anche i Co-munisti italiani e l’Ulivo, hannoaccusato il PD di inciucio e di raf-forzare, dialogando con il centro-destra, la posizione di Tosi a unanno dalle elezioni amministrati-ve. Alla fine la variante è stata ap-provata lo scorso 23 febbraio con31 voti favorevoli e 13 contrari.Un capitolo chiuso, questo dellamitigazione, ma che ci offre lospunto per alcune riflessioni a po-steriori.L’orientamento politico dellamaggior parte dei soggetti coin-volti si colloca, con sfumature di-verse, nell’area definita di centro-sinistra. È qui che a una tesi si con-trappone un’antitesi, da cui derivala rappresentazione di un’eterna elacerante coflittualità. Sarebbe in-vece auspicabile depurare ciascu-na posizione da incrostazioniideologiche, o interessi di parte,per giungere a una sintesi costrut-tiva. Le forze a sinistra del PD po-trebbero, ad esempio, indicare unpercorso praticabile per impedirela realizzazione del traforo, chenon sia solo quello di invitare lapopolazione a sdraiarsi davantialle ruspe il giorno dell’aperturadei cantieri. Parlare di inciucio,demonizzando un alleato, senzafornire elementi concreti che sug-geriscano alternative, è una tatti-ca distruttiva perché mira al con-senso spicciolo senza liberareenergie positive (lo ha capito be-ne Vendola).Anche la nostra città è immersa inun anacronistico concetto di svi-luppo e non ha mai opportuna-mente considerato le associazioniambientaliste che, opponendosialla cementificazione, sono ancoraviste come un freno al progresso eall’espansione. Bisogna inveceprendere atto che esse si sono sfor-zate di assumere nel tempo com-petenze specifiche e che continua-no a impegnarsi per scrollarsi di

Primo piano

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In copertina: Piazza Erbe (Verona)

Ogn

un

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sua

part

e dosso alcuni pregiudizi ideologiciguadagnando in autorevolezza. Ilmondo della politica le dovrebbequindi consultare, senza pretende-re compromessi e appoggi incon-dizionati che ne sfalserebbero ilruolo. Ma queste associazioni do-vrebbero a loro volta capire che lapolitica è il luogo della mediazio-ne, non dell’intransigenza. Quin-di, fatti i dovuti distinguo, è poisbagliato l’attacco frontale neiconfronti di ogni proposta (trafo-ro corto?) che esce dal pensatoiodelle sinistre, perché è anche que-sto modo di fare che crea i presup-posti per la realizzazione di pro-getti mostruosi.L’ultimo pensiero è per il PD.Questa politica dei due forni non ènata dal nulla: ha comunque presoatto dell’intenso e ammirevole la-voro svolto dal Comitato contro ilcollegamento autostradale delleTorricelle e dai Cittadini per il re-ferendum; ha registrato le difficol-tà nell’impedire la realizzazionedell’opera e ha cercato di ridurre ildanno in caso di sconfitta.Questa del PD è quindi un’azioneche politicamente parlando ha unsenso (se avviene in modo traspa-rente e senza secondi fini) perchéal momento non si vedono altrestrategie convincenti (e se ci sonosaltino subito fuori).La questione diventa piuttostoun’altra: siamo sicuri che gli ac-cordi tra PD e centrodestra saran-no rispettati dall’entourage di To-si? Si spera che politici di profes-sione si siano posti e soprattuttoabbiano risolto il problema dellegaranzie: in politica il motto “fi-darsi è bene, non fidarsi è meglio”non è più un consiglio, diventa unassioma. Davvero sarebbe poi dif-ficile per i rappresentanti del PDspiegare alla gente cosa è successosenza passare per fessi.

g.m.

Ambientalisti,associazioni, comitatie politici: quello delle

opere di “mitigazione”proposte dal PD sul

traforo è un casoemblematico per

riflettere sui ruoli checompetono a ciascuno.

E per imparare adialogare in modo

costruttivo

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È iniziato lo scorso 19 marzo ilprimo Corso pratico di giornali-smo per la nuova Verona organiz-zato da questo periodico in colla-borazione con Associazione mo-nastero del bene comune e Cisl.Al corso partecipano una decinadi giovani tra i 17 e i 24 anni: im-migrati di seconda generazionenati a Verona (G2), ma anche ve-ronesi autoctoni.Il programma del corso si svilup-pa in sei incontri. Dopo una parteteorica iniziale, con l’interventodi alcuni esperti (Raffaello Zor-dan di Nigrizia e Gabriele Colleo-ni de L’Arena) il lavoro è stato or-ganizzato come in un giornale: lariunione dei redattori (i ragazzi),la stesura del timone e del mena-bò, la scelta degli argomenti e ladistribuzione degli incarichi. Traun incontro e l’altro, i corsistisvolgono attività autonoma se-guiti da un tutor su Facebook, alfine di realizzare un giornale ta-bloid il cui nome sarà La nuovaVerona. Una volta preparato ilmateriale, si procederà insiemealla titolazione, all’impaginazioneelettronica, alla stampa e corre-zione delle bozze. Ciò che peròrende il corso unico saranno icontenuti del giornale: nel nuovotabloid non si parlerà di integra-zione, intercultura, razzismo (so-lo marginalmente). I temi non ri-guarderanno cioè gli immigrati,ma la città in cui essi vivono everso la quale si relazionerannocon la curiosità richiesta a un cro-nista: né più né meno di quanto

accade nelle altre redazioni vero-nesi.Perché questa iniziativa? C’è un si-gnificativo dato anagrafico: nel2009 i minori figli di cittadini im-migrati nel veronese erano 22.375,su una popolazione immigrata di96.309 unità. Nel 2004 questi mi-nori erano 11.116. Il loro numeroè quindi raddoppiato in appenacinque anni.Ma ci sono anche considerazionidi carattere culturale: troppo spes-so l’immigrato è percepito unica-mente come fonte di problemi. Aquesta valutazione superficiale –che deriva anche da stereotipicreati dai media e da politiche raz-ziste – si contrappone lo sforzo didiversi agenti sociali che operanoper l’integrazione attraverso valideiniziative che hanno come sogget-to l’immigrato, con tutti i suoiproblemi. È però lecito iniziare achiederci se non sia il momento dipensare a un ulteriore sforzo peruscire dal ghetto a cui inevitabil-mente conducono le problemati-cità. L’idea del Corso pratico digiornalismo è nata dalla convin-zione che partecipare attivamenteai processi della comunicazioneconsente di rafforzare il legamecon il territorio favorendo la co-struzione di identità ben integrate,consapevoli dei propri diritti e do-veri, di modelli culturali al passocon i tempi.Il Corso pratico di giornalismonasce nel 2008 nell’ambito degliimpegni lavorativi dell’editore diquesto giornale, che ha visto co-

involti gli studenti del trienniodel Liceo Medi di Villafranca. Sitratta di giovani con un’età com-presa tra i 16 e i 19 anni, più omeno l’età dei G2. Grazie all’im-pegno dei professori Elena Lo-nardi, Marino Rama e del presideMario Giuseppe Bonini, l’esperi-mento ha dato buoni frutti: il 13-14 novembre 2009 il giornale Me-diavox, che è l’elaborato finale delCorso, è stato presentato al con-vegno dell'Università di Veronasul tema "Le radici dei diritti. Ildiritto all'informazione" a cuihanno partecipato i giornalistiRiccardo Iacona e Gian AntonioStella. La pubblicazione ha rice-vuto il Premio Nazionale "Fare ilgiornale nelle scuole", edizione2010, indetto dall'Ordine Nazio-nale dei Giornalisti Italiani. Altroprimo premio nazionale è giuntoin questi primi mesi del 2011 daAlboscuole, Associazione nazio-nale di giornalismo scolastico,Targa d’argento del Presidentedella Repubblica. Infine il quoti-diano la Repubblica ha messo adisposizione dei ragazzi del Mediuna pagina web in cui possonopubblicare i loro articoli. Il Corsopratico di giornalismo per lanuova Verona si innesta quindisu questa ormai consolidata espe-rienza.

Primo piano

Aprile 20114

È iniziato il primoCorso pratico di

giornalismo per lanuova Verona.

Partecipare ai processidella comunicazione

consente di rafforzareil legame con il

territorio, oggettodell’interessegiornalistico,

contribuendo così allacostruzione di identità

ben integrate e dimodelli culturali al

passo con i tempi

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19 marzo, primo incontro del Corso pratico di giornalismo per la nuova Verona

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di Gianluca Sgreva

Negli ultimi dieci anni l’attenzione degli elettori si èsempre più spostata dalle narrazioni corali di partito aquelle del singolo personaggio politico. La capacità diraccontare la propria narrazione vivente in modo cre-dibile, convincente, coinvolgente è diventato elemento

fondamentale per chi vuole far conoscere e comprendere il propriopunto di vista. L’arte politica e l’arte di governare, hanno bisogno del-l’arte di comunicare e, in particolare, dell’antica arte di raccontare.Ed eccoci allo storytelling politico, moderna applicazione tecnica dellanarrazione, per rendere facilmente comprensibili – attraverso comuniframe di senso – le proprie idee, valori, visioni di futuro per creare nellaplatea elettorale partecipazione, identificazione, consenso.Negli Stati Uniti d’America gli uomini politici che hanno aspirato allaCasa Bianca – e questo fin dal primo presidente George Washington –hanno sempre dovuto raccontare una storia persuasiva sulla loro vita,sulla loro azione politica, sulla nazione. E da questa base narrativa, at-traverso la forza della loro leadership, hanno potuto far immaginare, inmodo credibile, ciò pensavano potesse diventare il futuro per l’Ameri-ca e gli americani.Queste narrazioni sono state via via nel tempo sempre più attenta-mente costruite e presentate, con il fine di persuadere i cittadini. Poi-ché il medium narrativo offre questa grande possibilità di comunica-re significati complessi in modo semplice emozionale e profondo, lapolitica ne fa sempre più uso. La narrazione è sempre più all’internodei discorsi politici (lettere, pubblicazioni, interviste, manifesti pub-blicitari, ecc.), ed è sempre più impiegata a livello strategico per co-struire il personaggio.Dwight David Eisenhower, alle elezioni presidenziali del ’52, sfruttò lapropria fortissima storia militare che lo raccontava come il grandestratega della vittoria della Seconda Guerra Mondiale in Europa e pri-

mo comandante della Nato. «Andrò in Corea», fu lo slogan che usòdurante quella campagna: sintesi efficace di una narrazione politicacapace di catturare il popolo americano in quel preciso momento sto-rico e di fargli immaginare un futuro desiderabile e credibile.Il celebre discorso di John Kennedy in cui lanciava gli Stati Uniti nellasfida politico-tecnologica di far atterrare un uomo sulla Luna e farlotornare sano e salvo sulla Terra, ha infiammato l’orgoglio degli ameri-cani in un particolare momento storico e li ha fatti sentire parte delracconto del loro Presidente.La narrazione di pacifica protesta fatta da Martin Luter King – rias-sunta nel celebre discorso I have a dream – era fatta di immagini ca-paci di connettersi al sentire della gente e di generare un grande so-gno collettivo del vivere in pace senza distinzioni di razza.Per venire ai giorni nostri, in Francia, Nicolas Sarkozy, durante lacampagna elettorale del 2007 condensò nella propria narrazionequanto più poté della storia del suo paese. Legò il proprio racconto aivalori storici dei luoghi che visitava in campagna assorbendone laforza, agganciando così la memoria della gente, guadagnando credi-bilità e fiducia.In Italia nel 1994 Silvio Berlusconi trasportò in politica la propria sto-ria di imprenditore, indicando al pubblico elettorale una traiettoriache, partendo dalla solidità dei suoi successi imprenditoriali, puntavaa far immaginare e sperare un futuro di cambiamento e di concretez-za, in un momento di forte sfiducia verso la classe politica.Nichi Vendola – che più di tutti oggi sfrutta tecniche di storytelling –insiste sulla necessità di “creare una nuova narrazione” della sinistra, esi propone come riferimento di un popolo, quello del PD, alla ricercadi un leader carismatico, capace di far uscire il partito dalla crisi in cuiversa. La narrazione semplifica, rende comprensibile, emoziona. Oggiil politico che non “scrive” e “pubblica” i propri “racconti politici”,commette l’errore di non consegnare al cittadino uno strumento at-traverso cui farsi leggere e, se convincente, anche eleggere.

www.storytellingpolitico.wordpress.com

Se la politica diventa narrazione

Oggi chi studia da leader si rivolge ai cittadini come a veri e propri

(e)lettori di una narrazioneche mira a creare partecipazione

e consenso

Opinioni

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6 Aprile 2011

Due euro per gli alluvionati?

di Guido Gonzato

Ci risiamo.Dopo le esondazioni dello scorso novembre, l'estveronese ha recentemente vissuto nuovamente l'incubodelle alluvioni. Ho sempre creduto che aiutare il prossimosia un fondamentale dovere civico. Purtroppo le occasioninon mancano e ho sempre cercato di fare la mia parte. Eb-

bene, con riferimento ai danni causati dalle alluvioni dello scorso no-vembre (veniva chiesto di donare due euro), l'invito alla solidarietà perdiversi motivi ha generato anche una grande amarezza e rabbia.Per cominciare, va detto che si è trattato di una catastrofe accurata-mente preparata con anni di cementificazione. Ho studiato geologiaall’università e, da sempre, ripeto che non possiamo continuare aconsumare il territorio in questo modo; prima o poi la pagheremocara, perché la natura ha i suoi equilibri. Ogni nuova casa, ogni nuo-va strada, capannone, centro commerciale, autodromo e così via, im-

permeabilizza il suolo: impedisce cioè al terreno di assorbire la piog-gia. L’acqua che non viene assorbita scorre e va a riempire i corsid’acqua naturali e artificiali. La loro portata ha un limite e, se questoviene superato, avremo un’inondazione.Perché è stato consentito di coprire di cemento la nostra terra fino aquesto punto? Sento dire: la crescita, l’economia, il PIL. Di queste ri-sposte ho la nausea. A chi ragiona in questi termini vorrei chiedere:bene, non sei contento? Come tutti i disastri naturali, anche questoha movimentato denaro per la ricostruzione: di fatto, l’alluvione hacontribuito a far crescere il PIL nazionale. Si, funziona proprio inquesto modo: la gente muore, perde la casa e il lavoro, ma il PIL cre-sce. Verrà mai gettata alle ortiche questa ragioneria aberrante?Perché da decenni qui in Veneto si continua a costruire, senza ascol-tare il parere di chi è in grado di valutare l’impatto sul territorio? Per-ché devono decidere i politici e non gli idrogeologi?E ancora: se proprio si è deciso di costruire, ci si è almeno preparati alpeggio? Era stato previsto il potenziamento della rete di canali di dre-naggio? Veniva effettuata regolarmente la manutenzione dei corsid’acqua per assicurarsi la massima portata? Erano state previste zonedi svaso in caso di alluvione?Per quale motivo le stesse piogge, dall’altra parte della Pianura Pada-na, non hanno provocato i disastri che sono successi da noi? L’Emiliae la Toscana hanno zone perfino più suscettibili delle nostre alle allu-vioni. Ma chi ha gestito quelle regioni, a quanto pare, è stato moltopiù lungimirante e attento alla gestione del territorio. In Emilia e inToscana non si costruisce a cuor leggero come in Veneto. Non a casola Toscana è rimasta una terra meravigliosa, mentre la splendidacampagna veneta di una volta non esiste più.Oltre al principio della solidarietà, credo fortemente in un anticoprincipio “di destra”: chi sbaglia paga. E allora pretendo che chi hasbagliato, chi ha contribuito a provocare l’alluvione, paghi.Chi ha gestito il territorio negli ultimi decenni, chi ha consentito dicementificare oltre ogni ragionevole limite, chi ha trasformato lacampagna veneta di una volta nell’attuale distesa di capannoni, chinon ha provveduto alla manutenzione dei corsi d’acqua, dovrebbeessere chiamato a rispondere economicamente e penalmente di que-sto scempio. Così come vengo chiamato a rispondere io se combinodei guai sul lavoro.Vogliamo chiamare a contribuire anche gli evasori fiscali veneti? Inun articolo sul Fatto quotidiano Natalino Balasso ha quantificato,provincia per provincia, l’ammontare dell’evasione accertata: più diun miliardo di euro.Prima o poi, capiremo che a gestire il territorio non possono essere ipolitici. Sono incompetenti nel migliore dei casi, corrotti nel peggio-re. Io vorrei vedere idrogeologi, naturalisti, ingegneri prendere il po-sto dei vari assessori che hanno portato il Veneto a questa situazione.A quel punto sarò molto più contento di contribuire anche io con imiei soldi.

Perché da decenni in Veneto si continua a costruire,

senza ascoltare il parere di chi è in grado di valutare

l’impatto sul territorio?

Opinioni

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di Corinna Albolino

L’idea di un gruppo di lettura, presso alcune librerie e as-sociazioni della città di Verona, intende rappresentareper le donne un atto di resistenza, un gesto di etica del ri-fiuto al degrado culturale che ci circonda. Nasce infattidalla consapevolezza che la lettura è cibo per la mente in

quanto educa l’intelligenza emotiva, arricchisce il linguaggio, inse-gna a esprimersi e soprattutto dà forma al pensiero e sviluppa il sen-so critico. Una buona pratica intellettuale insomma per comprende-re anche quello che sta succedendo alle donne, così da reagire, ribel-larsi indignate a un Paese che da tempo, come bene ci ricorda la filo-sofa Marzano, le offende, violenta, uccide.Più oltre, la proposta muove dalla considerazione che oggi si assistea un venir meno di questo interesse. Le inchieste sociali dicono chesi legge molto poco, nonostante le librerie abbondino di testi perchétutti scrivono e pubblicano, nonostante i rinomati festival, sebbenele biblioteche si siano trasformate in spazi accoglienti, moderni e at-trezzati.«Non ho tempo per leggere», questa frase è diventata un luogo co-mune nella nostra società. In una società del fare – che privilegial’efficienza, la visibilità, l’utile immediato – questo esercizio è consi-derato un’occupazione faticosa, che richiede attenzione, impegnoriflessione. Nell’accelerazione del quotidiano viene quindi vissutacome una perdita di tempo. Accade così che la lettura del testo, cheforse abbiamo coltivato in un’epoca diversa della nostra esistenza,non costituisca più un nostro rifugio, un nostro interesse.Ebbene, questa iniziativa mira proprio a risvegliare questo piacere.Perché? Semplicemente perché leggere fa bene all’anima, ci rendemigliori, più consapevoli come persone. Leggere per riappropriarcidi questo gusto, per riscoprire che un romanzo ci può avvincere, unsaggio farci meditare, la poesia toccare in profondità. Per riscontra-re che sappiamo ancora immergerci nelle storie, identificarci con ipersonaggi, calarci nelle loro emozioni. Perché, come dice EmilyDickinson: Non c’è naviglio come un libro/ per portarci in terre lonta-ne/ né destrieri come una pagina/ di poesia scalpitante. Tutti i libri so-no un viaggio verso l’ignoto. Consci che ogni narrazione ha il pote-re di far crescere, di trasformarci dentro. Ma non solo.La peculiarità che contraddistingue invero questi gruppi di lettura èquella della condivisione, del dialogo, del confronto. La propostaconsiste perciò nel leggere individualmente un libro suggerito e poiritrovarsi, una volta al mese, per discuterne insieme. In questi in-contri avviene allora che il racconto, nel cortocircuito dei diversi

linguaggi emotivi, delle differenze di pensiero, sorprendentementesi apra alle mille interpretazioni, offrendo contributi di scambio, diriflessione. Capita spesso, in queste occasioni, che il leggere sia unri-leggere, un soffermarsi su pagine, espressioni singolari del testo,passaggi che si rivelano, alla luce della discussione, più significativi.In particolare, per noi donne, questi appuntamenti sono diventatimomenti speciali per stare insieme, una piccola cura dell’anima,un’amorevole concessione strappata a un tempo convulso, a unaquotidianità sovraccaricata da mille opache incombenze. Scandi-scono finalmente quel tempo per sé importante per conoscersi, perimparare a saper scegliere. Sono l’opportunità di ripensarsi rispettoal proprio vissuto, alle battaglie in tema di emancipazione, ugua-glianza e diritti, conquiste rispetto alle quali ci troviamo oggi incre-dibilmente regredite. In un’Italia che festeggia i suoi 150 anni negliscandali e nelle nefandezze, in cui si è perso il senso delle istituzionie lo spirito della legge, forse solo la cultura può soccorrerci e offriregli strumenti per imporci come rinnovati soggetti nel teatro dellastoria.La lettura, la riflessione, lo stare in colloquio, diventano allora pernoi donne dispositivi necessari, indispensabili per capire, riacquisi-re responsabilità, per non cadere nella rassegnazione, nella suddi-tanza, nella strumentalizzazione di un potere ignobile. Una rispostaall’indignazione morale che, come ci ricorda, Etty Hillesum è la vir-tù del non volersi assuefare alle ingiustizie, del non diventare vittimedell’indifferenza e dell’impotenza che potrebbero giustificare così il no-stro disinteresse e la nostra passività. Per essere donne che fanno delladisobbedienza la propria virtù.

«Donneinlettura» a Verona

«Leggere, perché i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi»

(Corrado Augias)

Opinioni

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8 Aprile 2011

di Rino Beoni*

Quando ero studente di Teologia mi era stato insegna-to a dare giusto peso, significato e valore vincolanteai pronunciamenti del magistero pontificio. Gli attiche il Santo Padre firma non hanno però tutti lo stes-so valore: in certi casi, pur non essendo richiesta

l’obbedienza nella fede, ad essi vengono attribuiti autorevolezza erispetto. Appartengono sempre alla responsabilità del servizio pa-pale: nella sua articolazione di magistero, governo pastorale e giuri-dico. Se non ricordo male il motu proprio è un documento di inizia-tiva personale del Santo Padre su di un problema o un aspetto dellavita della Chiesa affidata alla sua cura. Un documento che pur nonrivestendo i caratteri del magistero infallibile o solenne, come sa-rebbe un documento di proclamazione dogmatica o una enciclica,appartiene pur sempre all’esercizio dell’autorità e dell’autorevolez-za di chi lo firma.La stampa ha abbondantemente commentato un documento pon-tificio, un motu proprio appunto, del Santo Padre Benedetto XVI suun argomento e un problema almeno inconsueto per questo tipo dipronunciamenti: l’adeguamento delle norme contro il riciclaggio didenaro e il flusso di somme all’interno delle strutture economiche efinanziarie, anche della Città del Vaticano. Credo di intendermi piùdi cose teologiche e pastorali che di quelle pecuniarie, ma leggendoi giornali sono venuto anche a conoscenza di sospetti sollevati dallaMagistratura italiana su operazioni del famoso Istituto Opere Reli-giose. Un documento su questioni pontificie e fatti di questo tipo,sospetti giudiziari e altro, mi hanno ricordato il lamento dell’alloraCardinale Ratzinger durante la Via Crucis di un Venerdì Santo alColosseo: «Quanta sporcizia nella Chiesa!». Non credo si riferissesolo ai fatti di pedofilia del clero. Il coraggio di una presa di posizio-ne, come risulta essere un motu proprio, dice abbondantemente ildisagio che il Papa avverte, quasi come somma del disagio di tanticredenti e offre un’ulteriore chiave di lettura della determinazione

con cui egli opera, perché le ombre e le cose poco chiare di unastruttura umana come l’apparato amministrativo vaticano non siallunghino, offuscando altri aspetti di vitalità e serietà, di coerenzae testimonianza evangelica della Chiesa nel suo insieme. L’equità edeguaglianza legislativa, la gravità di operazioni di riciclaggio chepossono coinvolgere strutture e uomini di Chiesa, sollevano tantiinterrogativi. Non è il caso di indulgere a lamenti o pauperismiideologici, dal momento che anche la complessità della strutturaorganizzativa ecclesiale necessita di denaro. Realismo vuole si pren-da atto che il denaro è e deve rimanere uno strumento utile e neces-sario, ma che egualmente la sua provenienza va attentamente va-gliata. Il denaro rimane pur sempre l’unica realtà che Gesù, nel suoinsegnamento, oppone a Dio, avvertendo i suoi discepoli che non sipuò essere servi contemporaneamente di Dio e del denaro. Non èpossibile ignorare l’eco dell’iniziativa di centinaia di Padri Conci-liari che avevano promosso un documento sul tema della “povertànella Chiesa”. Era un invito per tutta la gerarchia della Chiesa ad ab-bandonare titoli onorifici, insegne e abbigliamenti non liturgici, di-more prestigiose, strumenti apostolici appariscenti e talvolta con-correnziali a quelli di una serietà opulente e consumistica. Il dibat-tuto non fu dibattuto in Aula conciliare, ma l’eco fu conservata neicuori e nelle decisioni di tanti vescovi. Dall’adeguamento di normelegislative vaticane, alla vigilanza su possibili abusi pecuniari, allerisonanze negative nell’animo di troppi credenti: è un allargarsi, amacchia d’olio, di ripercussioni, sospetti e amarezze. Il ministerofondamentale della Chiesa è la predicazione del Vangelo, dove alcu-ne pagine inchiodano a precise responsabilità di fronte alle ricchez-ze, al denaro e al categorico dire “sì quando è sì, e no quando è no”.Se la massima autorità ecclesiale interviene in prima persona inquesti ambiti, è perché la comunità cristiana – Vaticano compreso –necessita di un richiamo preciso per evitare scelte contrarie al se-condo comandamento sinaitico: “Non avrai altro Dio…”.

*Rettore di San Lorenzo

Le tentazioni del dio denaro

Il denaro rimane pur sempre l’unicarealtà che Gesù, nel suo

insegnamento, oppone a Dio.La gravità di operazioni di riciclaggio,

che possono coinvolgere strutture e uomini di Chiesa, solleva tanti

interrogativi

Opinioni

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DIARIO ACIDOdi Gianni Falcone

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Luglio 200810

L'Accademia di Pittura "G.B. Ci-gnaroli" fu fondata il 18 dicem-bre del 1764. Direttore perpetuofu nominato Gian Bettino Ci-gnaroli, pittore veronese. Dal1869, per volontà del Conte Pao-lo Brenzoni, fu istituita la LiberaScuola Brenzoni di Pittura eScultura che tuttora affiancal'Accademia Cignaroli.È una delle cinque accademiestoriche legalmente riconosciutefinanziate dagli enti locali, insie-me a quelle di Bergamo, Genova,Perugia e Ravenna. Come le altreistituzioni appartenenti al siste-ma dell'Alta formazione artisticae musicale del ministero dell'U-niversità e della Ricerca, l'Acca-demia Cignaroli rilascia diplomidi primo livello al termine di unpercorso di studi triennale e di-plomi di secondo livello al ter-mine del biennio specialistico.Accanto a Pittura, Scultura, De-corazione e Scenografia, in annirecenti sono nati nuovi indirizzi:Progettazione Artistica per l’im-

presa (Design) e Restauro, corsiin grado di offrire un diretto col-legamento con il mondo del la-voro.L’Accademia Cignaroli conta cir-ca 560 iscritti tra scuola legalizza-ta e scuola libera, il tutto diviso inun’offerta formativa che com-prende sei scuole e più di 100 di-scipline. L’istituto sta vivendo unmomento di particolare trasfor-mazione. Dalla funzione otto-centesca della “salvaguardia dellatradizione”, la formazione artisti-ca terziaria si è spostata verso ilruolo di “scuola-laboratorio”,operativa non solo sotto l’aspet-to pratico, ma anche sotto quelloteorico-scientifico.A partire da quest’anno, grazieall’approvazione della legge 87,che definisce i profili di compe-tenza dei restauratori e deglialtri operatori che svolgono at-tività di conservazione dei beniculturali e architettonici, l’Acca-demia è una delle dieci in Italia aproporre il corso quinquennaleper restauratori qualificati abili-tati ad intervenire su beni cultu-rali vincolati. In quest’ambito siinserisce la recente firma dellaconvenzione per il restauro diparte della cantoria in legno dellaScuola Grande di San Rocco diVenezia. Inoltre l’offerta didattica

Scanner

Aprile 2011

Il laboratorio di Pittura

In alto:il laboratorio di Decorazione

A destra:il laboratorio di Restauro

L’Accademia Cignarolidi Verona conta circa560 iscritti tra scuola

legalizzata e scuolalibera, il tutto diviso in

un’offerta formativa checomprende sei scuole e

più di 100 discipline

ACCADEMIA CIGNAROLI

dell’Accademia si è arricchita con80 nuovi corsi in materie innova-tive, come web design, ergonomiadelle esposizioni, light design edeco-design, tenuti da docenti acontratto tra cui figurano artisti ecritici emergenti che affiancano idocenti di ruolo.Nel 2011 l’Accademia sarà pre-sente alla Biennale di Venezia conuna selezione di diplomati negliultimi 10 anni.

Page 11: Verona In 28/2011

11inVERONA

Scanner

A Verona si registra la presenza di155 colonie di gatti di cui quattrogiudicate in condizioni di benes-sere ottime, 57 buone, 91 discretee tre insufficienti.Raffrontando i dati con quelli delprecedente censimento straordi-nario (risalente all’anno 2000), ilnumero di gatti è sensibilmentecalato passando da 1.500 a 1.385nel 2009, dei quali 1.126 steriliz-

zati (l’81,30 per cento del totale).I dati sono quelli dell’ultima rela-zione sanitaria stilata dal Dipar-timento di Prevenzione che con-tiene le informazioni sulla pre-senza di determinate specie ani-mali nel territorio dell’Ulss 20.Da quanto si legge aumentano icasi di esposti di persone che nonsopportano la presenza di gatti li-beri, “per ataviche superstizioni otalvolta per reali problemi di tipoigienico”.Gli interventi in ambito del ran-dagismo canino nell’ultimoquinquennio hanno avuto unforte incremento con 1.016 cat-ture nel 2009 e un aumento deicani non identificati. Rispetto al-l’anno precedente si nota un in-cremento delle catture (+ 152) econtestualmente un aumento delnumero di adozioni, da 452 a526. Parallelamente all’aumento

della presenza di randagi, sonoaumentati gli interventi terapeu-tici e di prevenzione: 228 steriliz-zazioni, 702 applicazioni di mi-crochip, 1.384 trattamenti anti-parassitari, 1.231 vaccinazioni,3.723 visite cliniche, 78 certificatiinternazionali, 626 passaporti e80 verbali di contravvenzione. AlServizio veterinario multizonale(Svm) è affidato il compito di tu-telare la salute degli animali, con-trollandoli demograficamente ericorrendo anche alle sterilizza-zioni.Il Servizio controlla anche il ran-dagismo canino in tutta la Pro-vincia di Verona attraverso l’at-tuazione di una convenzione tral’Ulss 20 e le Aziende Ulss 21, 22 egli operatori dell’Associazioneprotezionistica San Francesco.L’incremento del numero di ado-zioni è stato raggiunto con il per-

sonale volontario e con la ve-trina di cani adottabili visibilesul sito del Dipartimento diPrevenzione.Nel Comune di Verona, a se-guito del peggioramento sani-tario e dei danni provocati dal-l’eccessiva proliferazione dicolombi in alcune zone delcentro urbano, nel 2008 è statosomministrato ai volatili delmangime antifecondativo. Ilrisultato atteso è una diminu-zione che varia del 30-70 percento il numero delle effettivepresenze a medio termine. Danotare che la somministrazio-ne è avvenuta evitando assun-zioni da parte dell’avifauna di-versa dai colombi.

CANI E GATTI A VERONA

Diamo una mano a chi dà unamano... è il motto del Csv, CentroServizio per il Volontariato, cheopera nel Veronese dal 1997. L’en-te gestore è un’Organizzazione divolontariato (OdV) di secondolivello (ovvero un’associazione diassociazioni), iscritta al Registroregionale del volontariato dellaRegione Veneto.Il CSV offre gratuitamente servizidi consulenza, formazione, pro-gettazione sociale, informazionee promozione a tutti i cittadini e atutte le realtà del volontariatoche, in città e nella provincia,

(iscritte o non iscritte al Registroregionale del volontariato) ope-rano nelle quattro aree tematichepreviste dalla legge: valorizzazio-ne e assistenza alla persona, am-bito socio-sanitario, tutela del-l'ambiente e dei beni culturali,soccorso e protezione civile.Gli obiettivi del CSV sono quellidi promuovere la costituzione diassociazioni e sostenerle nella ge-stione, organizzazione e progetta-zione, valorizzandone le espe-rienze e le competenze, coinvol-gendo inoltre nelle proprie inizia-tive, oltre agli organismi di volon-tariato stesso, anche le istituzionipubbliche, gli enti locali e di ri-cerca.Nella promozione del mondo delvolontariato locale, l’impegnodel Centro passa inoltre attraver-so un’azione di ascolto in mododa calibrare gli interventi sulle

reali esigenze del territorio di ri-ferimento e attraverso un’atten-ta azione di formazione dei vo-lontari che operano nei vari set-tori.I dati del 2010 confermano ilgrande lavoro svolto, nonostanteil calo del 21 per cento dei fondidisponibili rispetto al 2009, con510 associazioni che hanno be-neficiato dei servizi offerti . Inparticolare nell’anno appenatrascorso sono state effettuate1.014 consulenze (amministrati-ve, fiscali, giuridiche, progettua-li) presso il Centro, a cui si ag-giungono le 28.704 offerte dalservizio on line delle Faq (acces-sibile dal sito web www.csv.vero-na.it. ) e le informazioni fornitedall’ente attraverso gli strumentidisponibili: 87.529 visite al sitointernet; 25 newsletter; 18.485download dal sito.

Per il settore formazione sonostati organizzati 37 corsi e for-mati 1.014 volontariNell’ambito della progettazio-ne sociale, nel corso del 2010, ilCsv ha finanziato 241 progetticon il coinvolgimento di ben17.868 cittadini bisognosi chehanno beneficiato così dei ser-vizi attivati.

Gli obiettivi del CSV sono quelli di promuoverela costituzione di associazioni e sostenerle

CENTRO SERVIZIOPER IL VOLONTARIATO

inVERONA

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Attualità

Aprile 201112

VERONASOTTO SCORTAMa ce n’è bisogno?

Abbiamo l’impressione di vivere in una situazione di pericolo permanente ma idati sulla criminalità che riportiamo mostrano una Verona tutto sommato

tranquilla. Allora perché tante forze dell’ordine soprattutto in centro? Le immagini che vedete sono state scattate in 45 minuti passeggiando tra Piazza

Erbe e Piazza Bra. Da tempo si parla di sicurezza reale e percepita; capire la differenza è fondamentale (anche per vincere le elezioni)

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guarda gli omicidi volontari: loscorso anno ne è stato commessouno solo, mentre nel 2009 la cro-naca nera ne aveva contati bencinque. Peraltro, si è trattato di undelitto avvenuto all’interno dellemura domestiche: in maggio,Piergiorgio Zorzi, un ragazzo diventi anni con gravi disturbi psi-chici, ha ucciso il padre Giorgionell’appartamento di famiglia aSan Massimo, tagliandone poi ilcorpo a pezzi per nasconderlo nelgarage. Una tragedia che è stata

l’apice di anni di incomprensioni,rabbia e dolore cresciute nel tem-po, fino al gesto estremo, proba-bilmente frutto di un momentodi follia omicida.Il numero più consistente di reatiè relativo ai furti (sulle auto, in ca-sa, nei negozi e gli scippi): nel2010 ne sono stati registrati15.932, in calo del 13 per cento ri-spetto al 2009 (18.310) e del 19per cento rispetto al 2008(19.664). Sono diminuite consi-derevolmente anche le rapine:

13inVERONA

Nel 2010, 75 militaridell’Esercito hanno

affiancato le pattugliedelle forze dell’ordine,

con compiti divigilanza e controllo,soprattutto nelle areeritenute sensibili. Dal

primo gennaio 2010all’8 dicembre scorso,

le pattuglie hannoidentificato 11.738

persone: di queste, 48sono state denunciate,

39 arrestate e dieciposte in stato di fermo

di Adele Turri

Due volti, diversi e contrapposti,per un’unica città: la Verona che iveronesi frequentano, vivono econoscono. Da un lato, le stradebattute ogni giorno dalle camio-nette militari; dall’altro, i quartie-ri che la sera si svuotano perché«passeggiare con il buio fa paura».Da un lato, le campagne elettoraliportate avanti a suon di slogansulla presunta “emergenza sicu-rezza”; dall’altro, i dati, che vedo-no il numero di crimini commessinella provincia scaligera in caloquasi costante negli ultimi anni. Igiornali e le televisioni locali, divolta in volta, fanno l’occhiolinoall’una o all’altra faccia di unamedaglia, che è lo specchio dellaVerona di oggi.

I DATI A fare il bilancio di un anno di at-tività delle forze dell’ordine (Poli-zia di Stato, Arma dei Carabinieri,Guardia di finanza e Polizia muni-cipale) è la Prefettura: tra il primogennaio e il 30 novembre 2010, ilnumero complessivo di reati hatoccato quota 29.915, a fronte dei36.096 delitti registrati nello stessoperiodo del 2009 e dei 37.232 del2008. Secondo i Palazzi scaligeri,dunque, i crimini sarebbero dimi-nuiti del 17,12 per cento rispetto al2009 e del 19,65 per cento rispettoal 2008. Il dato più significativo ri-

La città scaligera è diventata negli ultimi annisempre più tranquilla, ciò non ha portato però i suoi

cittadini ad avvertire questo senso di sicurezza.A testimoniarlo, una recente ricerca elaborata da docenti e ricercatori della facoltà di Scienze

della formazione dell’Università di Verona

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Aprile 201114

Focus

di Luciano Butti*

Ho in questo momento sotto mano dati nonrecentissimi (Guido Viale, Tutti in taxi, Fel-trinelli, 1996, pp. 208 e seguenti), ma affida-bili. Senza voler sottovalutare le preoccupa-zioni riferibili alla criminalità di vario gene-re, la vera e più grave “insicurezza”che ci col-pisce tutti è la probabilità di diventare vitti-me di un grave incidente stradale. Oppureche le vittime siano nostri familiari o amici.Le cifre mostrano un vero e proprio olocau-sto: migliaia di morti e centinaia di migliaiadi feriti ogni anno nella sola Italia. Dal puntodi vista percentuale, per giovani e giovanissi-mi, si tratta del pericolo più serio per la vita el’incolumità fisica.Come sempre, il rischio è particolarmentegrave per i soggetti più deboli, ciclisti e pe-doni.Inutile sottolineare che si tratta, prima ditutto e soprattutto, di un problema di cultu-ra (di ciascuno di noi, non “degli altri”). Pro-vate ad attraversare la strada sulle strisce aVerona – non è necessario andare a Napoliper provare l’ebbrezza del rischio – e provatea farlo in una qualsiasi città del Nord Euro-pa. Il confronto mostra drammaticamente lalunga strada davanti a noi. Qualsiasi gover-no o amministrazione locale che davverovolesse ispirarsi alle politiche e alla culturadel “Nord” metterebbe oggi al primo postola promozione della mobilità alternativa enon – come avviene a Verona – quella del-l’auto privata.In mancanza di adeguate politiche promo-zionali del traffico sostenibile, ci resta pur-troppo una sola strada per convincerci e perconvincere a un uso moderato, prudente erispettoso dell’auto: il timore delle sanzioni.Da questo punto di vista, la situazione è leg-germente migliorata rispetto al passato, adesempio per la recente introduzione dellasoglia zero di alcool per i neopatentati:quando questo Governo fa una cosa giusta,bisogna dirlo, non accade spesso... Moltissi-me cose restano tuttavia da fare e da cambia-re. Ne vorrei citare tre.La prima è quella di eliminare – subito, sen-za eccezioni né ripensamenti – l’obbligo e la

prassi di segnalare in anticipo (si tratta diuno degli articoli più letti ogni settimana sulquotidiano cittadino) le strade lungo le qualiverranno installati nella settimana successi-va i controlli della velocità. Si tratta di un’e-vidente stupidaggine, sarebbe come se av-vertissimo i rapinatori del percorso e degliorari delle volanti della Polizia! Il timore del-la sanzione e della perdita di punti collegatialla velocità eccessiva costituisce una dellepoche remore che tutti noi abbiamo adadottare stili di guida ancora più spericolati.E i controlli sulla strada costano un sacco disoldi a tutti noi. Non ha senso che veniamoaiutati a eluderli! Per ottenere l’eliminazionedi queste allucinanti segnalazioni sarei an-che disposto ad accettare, in casi limitati,una revisione in aumento di alcuni limiti divelocità, che in effetti in qualche contesto so-no forse troppo restrittivi. Ma allo stesso

modo occorrerebbe introdurre e far rispet-tare numerose “zone 30”, come avviene intutto il Nord Europa: l’assessore Corsi lo sa?La seconda è quella di spostare l’asse dellesanzioni dalle multe e dai giorni di reclusio-ne (per lo più teorici, come è ovvio che sia)alle revoche della patente e alla confisca deiveicoli, utilizzando i quali si sono violategravemente le regole di prudenza nella cir-colazione. Occorre colpire, pesantemente,nel portafogli e negli interessi.La terza è quella di comprendere che – neicasi di gravissima violazione delle più ele-mentari norme di prudenza (pensiamo a unincidente mortale provocato guidando a tut-ta velocità contromano o in stato di ubria-chezza) – il reato che può essere contestatonon è quello di omicidio colposo, bensìquello (assai più grave) di omicidio doloso:nella forma del dolo eventuale, che si verificaquando teniamo un determinato comporta-mento “accettando il rischio” di produrreuna conseguenza tragica che pure non desi-deriamo. La vita e l’incolumità fisica sono ivalori più importanti da salvaguardare: an-che con il timore di sanzioni pesantissime,quanto meno sino a quando la politica del-l’incompetenza e della chiacchiera, non saràsostituita da una nuova generazione di am-ministratori locali esperti che sappiano dav-vero guardare ai modelli virtuosi del “Nord”.

*Avvocato e docente di Diritto internazionaledell’Ambiente presso l’Università di Padova

Qualsiasi Governo o Amministrazione locale

che davvero volesse ispirarsi alle politiche e alla cultura del “Nord” metterebbe oggi

al primo posto la promozionedella mobilità alternativa e non

– come avviene a Verona –quella dell’auto privata

STRADE PERICOLOSE

Ciclisti e pedoni: dove l’insicurezzaoltre che percepita è anche reale

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Attualità

15inVERONA

190 nel 2010, rispetto alle 298 del2009 (-36 per cento) e alle 284 del2008. Diversi i bersagli presi di mi-ra dai malviventi: 73 colpi sonostati messi a segno per le vie dellacittà e della provincia, 49 nei nego-zi, undici in abitazione e quattronegli uffici postali. In particolare,possono tirare un sospiro di sollie-vo i dipendenti delle banche: le ra-pine sono passate da 21 nel 2009 asette nel 2010. Ma non basta. Per-ché anche il fenomeno delle estor-sioni è risultato in calo, con 34 epi-sodi commessi nel 2010, 17 in me-no rispetto al 2009, nonostante ilterritorio scaligero continui a ri-manere appetibile per le associa-zioni criminali, provenienti ancheda altre aree geografiche, proprioper l’alto dinamismo del suo tes-suto socio-economico. Sono sette,invece, i casi rilevati di usura, an-che se il dato non viene considera-to rappresentativo, poiché rara-mente le vittime sono disposte adenunciare i soprusi. Per quantoriguarda l’immigrazione clande-stina e la legge Bossi-Fini, nel 2010sono stati adottati 619 decreti pre-fettizi di espulsione (rispetto ai523 dell’anno precedente); inoltre,35 persone sono state accompa-gnate alla frontiera e 89 ai Centridi identificazione ed espulsione.

Relativamente al fenomeno dellaprostituzione, come spiegato dallaPrefettura, «le aree maggiormenteinteressate sono state, anche nel2010, le zone limitrofe al centrourbano del capoluogo e la stradaregionale 11 “Verona-Brescia”».

L’ESERCITONel 2010, 75 militari dell’Esercitohanno affiancato le pattuglie delleforze dell’ordine, con compiti divigilanza e controllo, soprattuttonelle aree ritenute particolarmen-te “sensibili” sotto il profilo dellasicurezza, sia del centro storico, siadegli altri quartieri cittadini. Inparticolare, sono state presidiate lazona della stazione ferroviaria,piazza Pradaval, i Bastioni, Vero-netta, San Zeno, Borgo Venezia,Borgo Trieste, Ca’ di David, BorgoNuovo, Borgo Roma, Saval, CorsoMilano e, da ultimo (in fase speri-mentale) anche Santa Lucia, leGolosine e Borgo Trento. Dal pri-mo gennaio 2010 all’8 dicembrescorso, le pattuglie hanno identifi-cato 11.738 persone: di queste, 48sono state denunciate, 39 arrestatee dieci poste in stato di fermo.Inoltre, sono stati controllati 1.406veicoli e sequestrati 56 grammi didroga, quattro auto e nove armibianche.

L’ADDIO DEL QUESTORE«Il nemico principale da sconfig-gere è la percezione di insicurezza:fino a quando la gente non si sen-tirà rassicurata, non saremo maidel tutto soddisfatti». Non ha usa-to mezzi termini il questore di Ve-rona Vincenzo Stingone prima dipassare il testimone al suo succes-sore Michele Rosato, per trasferir-si a Bologna: «Se vogliamo rag-giungere questo obiettivo, dobbia-mo lavorare tutti insieme, non so-lo la Polizia, ma anche le istituzio-ni e i media». Si dice soddisfattoper i risultati raggiunti nei tre annidi permanenza a Verona: «I datisono confortanti, le statistiche e inumeri parlano di una criminalitàin costante diminuzione, ma nonbisogna mai abbassare la guardia».Professionalità ed entusiasmo del-le forze dell’ordine, gioco di squa-dra e sinergia tra le istituzioni: se-condo Stingone la ricetta per ga-rantire sicurezza ai cittadini non èpoi così complessa. «La nostra ar-ma invisibile è la prevenzione: in

Promuovere iniziative storiche, sociologiche egiuridiche che garantiscano una qualificatadiffusione della conoscenza sulle forze dell’or-dine e sulla sicurezza o, più propriamente, sullesicurezze: è questo l’obiettivo primario che si èprefissato Grisfo (Gruppo di ricerca interdisci-plinare sulle sicurezze e le forze dell’ordine),nato nel gennaio del 2008. A fondare il comita-to promotore, Antonio Mazzei, coordinatoreprovinciale della Cisl Fp-Ministero dell’Inter-no di Verona, Pasquale Marchetto, imprendi-tore polesano con alle spalle due anni nell’Ar-ma dei Carabinieri, e Paolo Valer, commissariodella Polizia di Stato in pensione.Grisfo, che ha sede a Cantalupa (in provinciadi Torino), al momento usufruisce solo di elar-gizioni di privati e dell’interesse istituzionaledella Provincia di Rovigo. Il lavoro del Comita-to è portato avanti principalmente attraversoconfronti e collegamenti con i corpi di polizia,le organizzazioni politiche, sindacali, econo-miche, accademiche, associazioni europee eorganismi comunitari e internazionali. In que-

sti venticinque mesi di attività, è stato redattoun Dizionario minimo di sicurezza massima(curato per la Provincia di Rovigo) ed è stataorganizzata una giornata di studio sull’Ammi-nistrazione civile dell’Interno nell’aula magnadella Scuola allievi agenti della Polizia di Statodi Peschiera del Garda.Prossimamente, il Comitato promotore ha inprogramma due pubblicazioni sulla cittadi-nanza e sulla difesa civile, oltre a una giornatadi studio sulla sindacalizzazione nel Ministerodell’Interno, con pubblicazione degli atti.«Con questo lavoro vogliamo dare un contri-buto teorico e pratico a quanti si confrontanocon i problemi più frequenti della sicurezza,non dimenticando la sua complessità», è ilcommento di Mazzei, «è evidente che appro-fondire il poliedrico concetto di sicurezza nonè possibile senza l’appoggio della dimensionepolitico-amministrativa, senza l’attivazione dirisorse e la disponibilità, da parte di tutti i cen-tri, a un vero e proprio dialogo con gli studio-si». (A.T.)

GRISFO, per una conoscenza delle sicurezze

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Attualità

questi anni, abbiamo lavoratomolto e spesso nell’ombra, ma i ri-sultati ora si vedono», spiega, «noinon abbiamo l’obbligo di scoprireil colpevole di un determinato rea-to, abbiamo l’obbligo di fare tuttoil possibile per riuscirci, con i mez-zi e gli strumenti che abbiamo adisposizione». In particolare, restaancora una battaglia – la “madredi tutte le battaglie”, come l’ha de-finita il Questore – da vincere:quella contro la droga. Gli anni diVerona Bangkok d’Italia sono or-mai un lontano ricordo, eppurequesta rimane una delle piaghesociali più pericolose e diffuse.Quale via percorrere? «È fonda-mentale far arrivare ai giovani ilmessaggio che la droga è schiavi-tù», conclude Stingone, «e questoè un compito delle agenzie educa-tive: la famiglia, la scuola, le par-rocchie devono diffondere la cul-tura della legalità. Quando la dro-ga diventa un problema della Poli-zia, spesso è troppo tardi».

LA RICERCASe, dunque, la città scaligera è di-ventata negli ultimi anni semprepiù tranquilla, ciò non ha portatoperò i suoi cittadini ad avvertirequesto senso di sicurezza. A testi-moniarlo, una recente ricerca ela-borata da alcuni docenti e ricerca-tori della facoltà di Scienze dellaformazione dell’Università di Ve-rona: Paola Di Nicola, Sandro

Stanzani e Luigi Tronca. Lo stu-dio, dal titolo Forme e contenutidelle reti di sostegno: il capitale so-ciale a Verona, mira ad analizzare iltema della coesione sociale che le-ga i veronesi tra loro e con la socie-tà nel suo complesso. Tra le variedomande poste agli intervistati, cen’era una che puntava a rilevare illivello di “sicurezza percepita”: «Inche misura vi sentite sicuri nellazona in cui vivete?». Il quadro cheemerge per il campione di verone-si non sembra particolarmentepositivo, soprattutto se posto inrelazione con quello nazionale econ quello del Nordest. Da un’in-dagine che gli autori hanno svoltosu un campione nazionale di indi-vidui, infatti, risulterebbe che il14,1 per cento degli italiani e soloil 9,5 per cento dei residenti nelNordest si sente poco o per nullasicuro, contro il 17,1 per cento deiveronesi. Il campione di italiani siconsidera molto o completamentesicuro nel 35,5 per cento dei casi equello di residenti nel Nordest ad-dirittura nel 40,1 per cento: i vero-nesi intervistati si sentono invecemolto o completamente sicuri so-lo nel 22 per cento dei casi. E sem-pre a livello di sicurezza percepita,Verona risulta essere una città di-visa in due: da un lato, un centro avocazione residenziale, commer-ciale e turistica, che consente di re-gistrare livelli di sicurezza simili aivalori nazionali e propri del Trive-neto; dall’altro, una periferia sen-tita come meno sicura, basti pen-sare alla zona di Veronetta, spessodefinita sarcasticamente il “Bronxdi Verona”o anche “Negronetta”.

PAROLA ALLA SOCIOLOGAMa quanto può influire questo ge-nere di sensazioni sulla vita di unapersona? La risposta a questa do-manda la dà Paola Di Nicola, do-cente di Sociologia dei processi

culturali e comunicativi, nonchéautrice della ricerca. «La percezio-ne di sicurezza è uno degli indica-tori determinanti della qualità del-la vita», spiega la docente, «vivereo avvertire di vivere in un palazzo,in una via, in un quartiere poco si-curi, spinge una persona a cam-biare il proprio rapporto con glialtri: si esce di meno e sempre conil terrore di venire aggrediti, si di-venta prigionieri delle propriepaure e della propria casa, si viveinevitabilmente peggio». A essernecolpite sono soprattutto le fascepiù deboli e, in particolare, gli an-ziani.Due i principali responsabili diquesto fenomeno, secondo la DiNicola: mass media e politica.«Pensiamo al caso Cogne: la stam-pa ha cavalcato l’onda di questatragedia, al punto da far crederealla gente che le madri stesseroperdendo il senso della realtà»,commenta la professoressa, «inrealtà, il numero di infanticidi eraesattamente in linea con i dati de-gli altri anni». E un mea culpa do-vrebbe arrivare, a suo avviso, an-che dalla politica, colpevole di averincentrato le ultime campagneelettorali proprio sul tema della si-curezza. «Cercano di fare leva sullepaure dei cittadini, che in realtànon hanno riscontri reali», prose-gue, «in questo modo, distolgonol’attenzione da quelle che sono levere priorità: la precarizzazionedel lavoro, l’aumento del costodella vita, etc.». E se stanziare piùfondi da destinare alle forze di Po-lizia, potrebbe aiutarle nelle attivi-tà di controllo del territorio, a nul-la serve invece reclamare l’inter-vento dell’esercito. O almeno diciò è convinta la Di Nicola.«Per aumentare la fiducia dei cit-tadini, non servono i soldati»,spiega la docente, «bisogna far vi-vere le città, organizzare eventi, te-nere accesa l’illuminazione: se lestrade sono piene di gente, non c’èbisogno di altri presidi».

Piazza Pradaval “bonificata”da drogati, spacciatori e clochard

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di Francesca Lorandi

«Un antico proverbio dice: sba-gliando si impara. Ma per impa-rare, bisogna sapere dov’è lo sba-glio. Se si continua a ripetere che“Mani pulite” fu una campagnadi moralizzazione, si continua asbagliare, e dunque non si impa-ra. E allora ci sorprendiamo che ilmarcio non sia solo nella politicama anche nella società civile.Bando allora alle generalizzazio-ni. Disonesto è, o può essere, unuomo politico, come un avvoca-to, un giornalista o un operaiometalmeccanico. In democraziac’è un modo solo per cautelarsicontro la corruzione politica e stanell’aumentare la trasparenza de-gli atti amministrativi e il coin-volgimento del cittadino. L’esattocontrario di quanto sta avvenen-do da 20 anni a questa parte». An-gelo Cresco era onorevole allaCamera dei deputati quando ven-ne indagato nel 1993 per ricetta-zione e violazioni delle norme inmateria di contributi allo Stato e

finanziamento ai partiti politici.Non andò in carcere, ma conti-nuò la sua carriera politica, muo-vendosi all’interno di quegli am-bienti, veronesi e romani, che asuo dire non sarebbero mai cam-biati. «Lo stupore di oggi assomi-glia a quello di ieri – sostiene -Qualcuno definirebbe chi si stu-pisce un marziano sceso improv-visamente sulla terra».Viene da chiedersi se qualcosa siacambiato, guardando alcuni deinomi di persone che siedono oggisulle poltrone di presidenze econsigli d’amministrazione di en-ti e municipalizzate, su quelle disindaci, o addirittura nomi cheper qualche ora hanno sfiorato lapoltrona di un ministero. Rive-dendoli, questi nomi, osservandola loro parabola, c’è da doman-darsi se la politica non sia rimastatale e quale. O se quegli uomini,durante la loro parabola, sianomagari cambiati.

IL CASO BRANCHER

Aldo Brancher è probabilmenteil più celebre. Quantomeno peressere quello arrivato più in alto,seduto (anche se solo per pochigiorni), sulla poltrona di un mi-nistero. Era successo lo scorsoanno: ci aveva provato Berlusco-ni a dargli la promozione. Ma persua sfortuna, benché fossero pas-sati vent’anni, in pochi avevanodimenticato il suo ruolo in Tan-gentopoli. Brancher venne arre-stato dal pool di Mani Pulite nel-la primavera del 1993 con l’accu-sa di aver versato tangenti per300 milioni di lire al Psi e per al-tri 300 a Giovanni Marone, se-gretario dell’ex ministro della Sa-nità Francesco De Lorenzo, incambio di una serie di spot anti-Aids sulle reti Fininvest. In cellaBrancher era rimasto tre mesi, te-

Attualità

inVERONA

POLITICA E AFFARI

Tangenti: 20 anni dopoil lupo ha perso il pelo...«In democrazia c’è un

modo solo percautelarsi contro la

corruzione politica esta nell’aumentare latrasparenza degli atti

amministrativi e ilcoinvolgimento delcittadino. L’esatto

contrario di quanto staavvenendo da 20 anni

a questa parte»

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Page 18: Verona In 28/2011

nendo sempre la bocca chiusa. Il3 giugno 1993, interrogato dalgiudice Italo Ghitti, Brancher di-chiarò di voler finalmente ri-spondere e ammise il versamen-to delle tangenti assicurando pe-rò che il tutto venne stato fatto agiovamento di una sua personalesocietà. È lo stesso Silvio Berlu-sconi a ricordare «quando il no-stro collaboratore Brancher era aSan Vittore io e Confalonieri gi-ravamo intorno al carcere. Vole-vamo metterci in comunicazionecon lui». Brancher fu condanna-to a due anni e otto mesi per fi-nanziamento illecito ai partiti efalso in bilancio. Il primo reatocadde in Cassazione per avvenu-ta prescrizione, il secondo fu de-penalizzato dal governo Berlu-sconi. Su di lui i riflettori si era-no riaccesi lo scorso anno, per-ché il deputato del Pdl – appenanominato ministro senza porta-foglio – aveva presentato legitti-mo impedimento il 24 giugnoproprio in prossimità di un pro-cesso che si doveva aprire che lovedeva imputato per appropria-zione indebita e ricettazione inuno stralcio dell’inchiesta sullatentata scalata ad Antonveneta daparte di Bpi.

Ne erano seguite numerose rea-zioni polemiche dal mondo dellapolitica e il 7 luglio, proprio nel-l’aula del processo, il ministroaveva annunciato le sue dimis-sioni. Brancher era accusato diappropriazione indebita e ricet-tazione per una somma com-plessiva di circa 827 mila euroche, secondo l’accusa, sarebberostati a lui girati da GiampieroFiorani, ex Ad di Bpi, o da perso-ne a lui vicine, tra il 2001 e il2005. Soldi sottratti dalle cassedella banca, che sarebbero servitiper appoggi nel mondo politicoe istituzionale. In primo gradoBrancher era stato condannatoper quattro episodi, due di ricet-tazione e due di appropriazioneindebita, mentre per altri due erastato assolto. Recentemente igiudici della Corte d’Appello diMilano hanno confermato lacondanna a due anni. In VenetoBrancher vanta oggi una sua cor-te: Davide Bendinelli, che ha fat-to eleggere in Consiglio regiona-le, Daniele Polato, assessore alComune di Verona, GiuseppeVenturini, presidente della funi-via del Monte Baldo e di Agec,l’ente che gestisce l’edilizia po-polare a Verona, finito con lui nei

guai ai tempi di Tangentopoli.Un passato nella Dc – correnterumoriana con Gastone Savio –Venturini era stato assessore co-munale dal 1980 al 1985 (con ilsindaco Gabriele Sboarina) e poipresidente dell’Istituto autono-mo case popolari, lo Iacp. Fu al-lora che lavorò alla legge sullacase popolari con il ministroGianni Prandini. Da consigliereregionale, dal 1990 al 1995, Ven-turini aveva anche gestito il pas-saggio dagli Iacp alle Ater, leAziende territoriali per l’ediliziaresidenziale. All’inizio degli anniNovanta fu toccato da Mani pu-lite per la vicenda delle tangentidi Ca’ del Bue. Finì al Camponeper ricettazione – dove conqui-stò fra i detenuti fama di grandecuoco –; ne uscì con un patteg-giamento.

CA’ DEL BUE

Ca’ del Bue, il megaimpianto da104 miliardi, fu una delle inchie-ste simbolo di Mani Pulite a Ve-rona. Una bomba che esplose nel1992, dopo un esposto presenta-to da Nadir Welponer, dal qualeemersero tangenti per 10 miliardidi lire, per un sistema che preve-deva la spartizione del 5 per cen-to sull’importo dei lavori dell’ap-palto dell’impianto. Tra i princi-pali registi c’era l’allora consi-gliere regionale, già segretarioprovinciale della Dc, il centurio-ne Roberto Bissoli detto “Ram-bo”, che rese ampia confessione,in cambio della libertà. Stessastrategia utilizzata da Carlo Oli-vieri, allora assessore all’Am-biente democristiano, accusatodi aver intascato 300 milioni daicostruttori per permettere loro dilavorare a Verona. La sua parabo-la lo portò a diventare da stradi-no a portaborse di Gianni Fonta-na (futuro ministro dell’Agricol-tura). Poi si consegnò ai giudici,iniziò a confessare e in carcere aVerona non ci mise piede, se nonper solo 24 ore in un’inchiestaparallela partita dalla procura diRoma. Ma da quel momento siritirò dalla vita politica. Sceltanon condivisa da Rambo Bissoli,classe di ferro 1947, che all’impe-gno civico non ha mai rinuncia-to. Dopo Mani pulite divenneesponente di punta dell’Udc (fu

Attualità

Aprile 201118

Ca’ del Bue fu unadelle inchieste simbolo

di Mani Pulite. Unabomba che esplose nel1992, dopo un esposto

presentato da NadirWelponer, dal quale

emersero tangenti per10 miliardi di lire, per

un sistema cheprevedeva la

spartizione del 5 percento sull’importo dei

lavori dell’appaltodell’impianto

Page 19: Verona In 28/2011

vicesegretario del partito), perconfluire poi tra le varie animedel Popolo delle Libertà, accasan-dosi infine in zona Brancher e ac-compagnando la lunga corsa delgolden boy gardesano DavideBendinelli alle ultime elezioni re-gionali. Ora è consigliere di Vene-to Sviluppo, la società finanziariadella Regione Veneto.

LE POLTRONE DI AGSM

Nell’inchiesta di Agsm ci finì an-che Francesco Sorio, accusato ditangenti e corruzione. Patteggiòin un processo nel quale sia il Co-mune che l’Agsm, l’azienda dienergia proprietaria dell’incene-ritore di cui il Comune è sociounico, si costituirono parte civile.Ebbene oggi, dopo vent’anni, So-rio è tornato ad Agsm, piazzatoper volontà del destino (e diqualche politico) nel Cda. Al mo-mento della sua nomina si leva-rono delle proteste dall’opposi-zione: «Ma come, ha pateggiatoper reati che hanno danneggiatoAGSM e ora diventa dirigentedella stessa?». Proteste finite nelcassetto. Sorio se ne sta ancora là,negli uffici di lungadige Galta-rossa. È andata peggio, quanto acariche, a Virgilio Asileppi, altro

Attualità

19inVERONA

Dall’oggi al domani la città aveva scopertocos’era la politica: unimpasto di porcherie e affari. Tutto era andatogiù, crollato, nel giro diun anno, con i toni dellatragedia e talvolta dellafarsa. Con episodi ancheboccacceschi

Non gli è mai piaciuta l’espressione “Mani puli-te”. Lui, Guido Papalia, simbolo di quella giusti-zia che a Verona voleva estirpare un sistema fat-to di politica, affari e mazzette, preferisce parla-re di inchieste. Le cui radici affondavano in an-ni precedenti al 1990, quando scoppiò lo scan-dalo “Siepi d’oro”.– Tangentopoli a Verona esplose all’improvvi-so: la classe dirigente della città crollò da ungiorno all’altro.«In realtà si trattava di un sistema illegale, cheda tempo veniva esercitato nella gestione delpotere. Ma a un certo punto venne meno lapossibilità di continuare con quel sistema. In-fatti la Magistratura aveva individuato situazio-ni allarmanti ed eravamo ormai pronti per in-tervenire. Erano già stati fatti numerosi con-trolli patrimoniali, analizzati rapporti econo-mici tra politici e imprenditori».– Lei era visto con terrore dal potere politico edeconomico veronese. Per anni al Campone, haincontrato e interrogato indagati: alcuni colpe-voli, altri poi assolti. Che atteggiamento aveva-no nei suoi confronti?«La maggior parte parlava, raccontava, confes-sava spontaneamente. Molti confermavano leaccuse, aggiungendo ulteriori dettagli che cihanno aiutato nelle indagini. E tanti patteggia-vano, risarcendo allo Stato i soldi delle tangen-ti».– Ma cosa c’era alla base di quel sistema di poli-tica e tangenti che si era creato?«Dalle indagini emerse il concetto di “apparte-nenza” che portava a privilegiare l’interesse pri-vato, del singolo o del partito, all’interesse col-lettivo. A Verona si era creato un comitato d’af-fari che gestiva la cosa pubblica sotto tutti ipunti di vista: da quello economico, a quellopolitico, alla distribuzione degli incarichi. E inquesto modo venivano anche distribuiti i pro-venti dell’attività illecita».– È quanto emerse con Ca’ del Bue, madre ditutte le inchieste di Tangentopoli.«I protagonisti raccontarono che si erano divisile tangenti imposte alle imprese, il 60 per centoandava al partito per poi essere suddiviso nellevarie correnti».– Guardando la situazione attuale della politi-ca, è cambiato qualcosa da allora?«Dai tempi di Tangentopoli la politica è cambia-ta: non c’è più una gestione generalizzata da

parte di un comitato d’affari cittadino. Tuttaviala corruzione non si elimina con campagne giu-diziarie, né con i pentimenti. La corruzione sielimina modificando il modo di gestire la cosapubblica. Messi da parte i politici, la corruzionesi è spostata ai livelli dei grandi burocrati. Cosìsono diventate più frequenti la creazione e l’usodi leggi apparentemente ispirate al bene colletti-vo, sfruttate invece per interessi privati. La storiarecente insegna: le tangenti nel post-terremotoin Irpinia, poi quelle che sarebbero state versateper i Mondiali di nuoto e, in generale, per tuttele grandi opere urgenti.Vengono create leggi perfronteggiare situazioni d’emergenza, ma spessodietro si nascondono interessi privati».– Da Tangentopoli, è cambiato il rapporto trapotere politico e Magistratura?«È sempre stato difficile il rapporto tra chi ge-stisce il potere esecutivo e la Magistratura,quando quest’ultima, in nome della legge, con-trasta le posizioni di chi amministra. Spessoviene meno il rispetto, che altro non è che lamancanza di rispetto nei confronti della legali-tà. La Magistratura deve avere i mezzi necessariper far rispettare le leggi e deve poter interveni-re nei casi di illegalità, Devo dire che sono dav-vero rari i casi nei quali il magistrato esageranell’esercitare i suoi poteri utilizzando stru-menti in modo improprio». F.L.

INTERVISTA CON GUIDO PAPALIA

È cambiato il sistema«Oggi vengono create leggi inutili per fronteggiare situazioni

di emergenza, ma spesso dietro si nascondono interessi privati»

Guido Papalia, già Procuratore capo di Verona. Oggi èProcuratore generale della Corte d'Appello di Brescia

«Sono diventate più frequenti la creazione e l’uso di leggi,

apparentemente ispirate al bene collettivo, sfruttate

per interessi privati»

Page 20: Verona In 28/2011

“centurione” della Dc, ex segre-tario provinciale ed ex vice presi-dente della Provincia, negli annidi Tangentopoli giovane presi-dente dell’aeroporto Valerio Ca-tullo. Era stato accusato di averfatto pressioni su un sindaco del-l’Alto Veronese: i magistrati gliavrebbero contestato d’aver avu-to un ruolo di mediazione inte-ressata, quando era segretarioprovinciale della Democraziacristiana, nell’assegnazione di al-cuni lavori pubblici. I giudiciavrebbero poi puntato l’atten-zione, dopo aver raccolto testi-monianze dettagliate, su due la-vori: la costruzione di un campodi calcio e la revisione di una gal-leria ferroviaria, a Ceraino. Asi-leppi patteggiò e, da due manda-ti, è sindaco del suo paese natale,Brentino Belluno.Nelle loro confessioni Bissoli eOlivieri fecero molti altri nomi.Aiutando la Magistratura a to-gliere il coperchio dalla pentoladove ribollivano appalti sospetti etangenti che coinvolgevano buo-na parte della politica scaligera.Pochi furono i volti noti che, inquei cinque anni, non vennerosfiorati da qualche inchiesta: i bigdei partiti entravano e uscivanodi prigione. Era scoppiata unamontagna di tritolo ai piedi del-l’Arena. Solo che, a saltare in aria,era il potere politico della città.Centottanta arresti, a Verona. Piùche in qualsiasi altra città d’Italia,se si esclude Milano, dove ManiPulite era iniziata nel 1992 conl’arresto di Mario Chiesa al PioAlbergo Trivulzio. Ma nella de-mocristiana Verona, Tangentopo-li era iniziata ben prima. Eranostate due le inchieste simbolo: ol-

tre a quella di Ca’ del Bue, ce n’erastata un’altra, precedente: 24 ot-tobre 1990,“Siepi d’oro”.

L’INCHIESTA SIEPI D’ORO

Il procuratore Capo Guido Papa-lia firmò un’ordinanza di custo-dia cautelare per il leader doroteoGianni Pandolfo, presidente de-mocristiano della Società auto-stradale Serenissima. Pesantel’imputazione: corruzione e asso-ciazione a delinquere. Qualcunoaveva parlato, alcune lettere ano-nime parlavano di appalti sospet-ti e, sui tavoli della Procura, sierano accumulate denunce relati-ve ai bandi, per le quali la Societàaveva stanziato cifre superiori ai100 miliardi di lire: nel dettaglio,undici volumi di prove e quaran-tacinque richieste di rinvio a giu-dizio. Tutto era filato liscio permesi, forse per anni. Era stata laGuardia di Finanza a scoprire al-cuni floppy disk con la registrazio-ne delle tangenti intascate dagliamministratori durante i lavori diampliamento e miglioramentodell’autostrada. Doveva essere unmaquillage all’altezza del suo no-me, Serenissima per l’appunto, ingrado di garantire all’automobili-sta il massimo del comfort: asfaltifonoassorbenti, barriere arboreeantirumore e cespugli antismog.Tanto di quel verde (“avrebberopotuto rimboschire la Sila”, ricor-da Danilo Castellarin in un arti-colo di la Repubblica del 25 otto-bre 1990) che veniva regolarmen-te fornito da un vivaista, il quale,una volta arrestato, accusò Pan-dolfo di aver intascato tangenti. Ilnuovo look della Serenissima, 150chilometri d’oro, era stato affida-to a un architetto che, guarda ca-so, aveva costituito insieme allafiglia di Gianni Pandolfo una so-cietà di moda per realizzare lenuove divise dei dipendenti dellaBrescia-Cremona-Piacenza. Sem-pre per corruzione e associazionea delinquere il presidente dellaA21, il socialista Enrico Vidali,venne arrestato, insieme a Pan-dolfo. Il quale, l’anno successivo,nel 1991, tornò in libertà e a sede-re sulla sua vecchia poltrona dipresidente della Serenissima. Pol-trona viziosa, dato che l’uomo,secondo l’accusa, continuò con levecchie abitudini. Papalia non lo

Attualità

Aprile 201120

Nelle loro confessioniBissoli e Olivieri fecero

molti nomi aiutandola Magistratura a far

luce su appalti sospettie tangenti. 180 arrestia Verona. Erano state

due le inchiestesimbolo: Ca’ del

Bue,ma prima ancoraquella denominata

“Siepi d’oro”

aveva però perso di vista: diedel’ordine di arresto nel 1993, maPandolfo scappò prima, latitò perun anno, e nel 1994 si costituì.Da anni la gente sapeva, non fuun fulmine a cielo sereno, ma orac’erano le prove di cos’era la poli-tica: un impasto di porcherie e diaffari. Tutto era andato giù, crol-lato, nel giro di un anno, con i to-ni della tragedia e talvolta dellafarsa. Con episodi anche boccac-ceschi. Indimenticabile quello ri-cordato da Giuseppe Turani sullepagine di la Repubblica, che videprotagonista un importante bossdemocristiano, sospettato anchelui di avere un giro di mazzette. Ilsuo telefono è sotto controllo.Anche il giorno in cui l’uomo de-cide di chiamare da un ufficio mi-nisteriale un altrettanto noto uo-mo d’affari veronese. Rispondeperò la moglie dell’imprenditore:una rossa di fuoco, bollente comela conversazione fra i due, regi-strata dai Carabinieri.Erano gli anni durante i quali imagistrati restavano fino a tardanotte al Campone per interrogareindagati “eccellenti”. Mentre fuo-ri, chiusi nelle loro auto, i cronistiaspettavano notizie, scoop. Rac-contano confidenzialmente alcu-ni colleghi che spesso, dopo esse-re stati interrogati, questi politiciavevano bisogno di un mezzo ditrasporto per raggiungere la sta-zione o l’aeroporto. E c’era sem-pre qualche giornalista all’uscitadel carcere pronto a dare unostrappo in cambio di confidenzeche arrivavano puntuali, spessocome sfogo di chi aveva dovutoreggere lo stress di un interroga-torio.Anche la curia osservava con dis-gusto il teatrino messo in piedidai “suoi” democristiani. Il buonGiuseppe Amari venne sostituitocon Attilio Nicora: a lui, che il cle-ro locale chiamava K2 (alto e geli-do), il compito di fare un po’ dipulizia tra parrocchiani diventatiormai poco presentabili.

Page 21: Verona In 28/2011

di Michele Marcolongo

Gestione delle biblioteche; con-trollo varchi Ztl; ufficio permessi;mense scolastiche; biglietterie ebookshop dei musei. Persino ilservizio di recapito delle bollettedell’acqua: da quando il governocentrale ha messo il lucchetto allaspesa degli enti locali sottopo-nendoli alle rigide regole del pat-to di stabilità interno, la soluzio-ne di esternalizzare o appaltare almassimo ribasso i servizi pubbliciè diventata sempre più gettonata,anche dal Comune di Verona.Dubbi, o per lo meno non evi-denti, i benefici sui bilanci deglienti locali, che malgrado i pre-sunti risparmi realizzati sullacarta, continuano imperterriti atendere verso il rosso. Quasi sem-pre positivi, invece, gli effetti dal

punto di vista politico. Passandola spesa da una posta di bilancioall’altra, l’assessore di turno ri-esce a dimostrare di aver ridotto icosti del personale e, se è bravo, aliberare un po’ di risorse da gesti-re secondo logiche più propria-mente “politiche”.A uscirne male sono quasi sem-pre i lavoratori (soprattutto don-ne, come vedremo) che ogni due,massimo quattro anni, vengonomessi a gara assieme all’appaltodel servizio che stanno svolgen-do. E con la logica del massimoribasso si vedono compressi aogni giro salario e diritti.Beninteso, tutto avviene a normadi legge. Quasi sempre. Quan-d’anche il capitolato di gara re-datto dagli uffici comunali preve-da il rispetto di un contratto na-zionale di settore e la cosiddetta

“clausola sociale” (cioè quellanorma che obbliga la ditta appal-tante ad assumere tutto il perso-nale che già sta lavorando al ser-vizio), la ditta vincente può com-primere il salario ricorrendo allariduzione dell’orario di lavoro. Inmodo tale che, se i lavoratori vor-ranno mantenere l’appalto edunque anche il loro lavoro, do-vranno lavorare più intensamen-te. È il caso, ad esempio, delle ad-dette ai varchi della Zona trafficolimitato (Ztl) che con l’ultimoappalto sono state passate a part-time.Con gare troppo tirate, e ribassiche possono raggiungere anche il40 per cento, non si va troppo peril sottile: è così possibile che asomministrare i pasti nelle men-se scolastiche (storicamente ingestione al Comune) si trovi una

21inVERONA

«SCHIAVI»del terzo millennio

Anche il Comune di Verona si affida acooperative che per

sopravvivere alle leggidi mercato utilizzanolavoratori pagati unamiseria e senza tutele.

Siamo andati ascavare e abbiamo

scoperto un mondo in caduta libera.

A cercare una parolache descriva la

situazione ne viene in mente una sola:

vergogna

INC

HIE

STA

Page 22: Verona In 28/2011

pubblico nel campo della cultura,della scuola e degli altri servizipubblici – in un vero e proprioinferno lavorativo.Su queste storie personali e digruppo stride il silenzio della po-litica, che se da una parte ha ri-nunciato a dare voce al mondodel lavoro, dall’altra potrebbe perlo meno soffermarsi sulla qualitàdei servizi che in questa girandoladi appalti al massimo ribasso escealquanto scadente. Dovrebbe da-re da pensare, inoltre, che nellastragrande maggioranza dei casidi dumping sono coinvolte delledonne, lavoratrici e madri. È pro-prio con loro che abbiamo prova-to a confrontarci, raccogliendoscarne informazioni, che ripro-poniamo in maniera assoluta-mente anonima, onde scongiura-re il pericolo di ritorsioni. Quelloin appalto non è, infatti, un bel la-vorare. La paura di “esporsi”, diraccontare e parlare è tanta espesso si preferisce il silenzio.Queste persone si sentono total-mente sole e abbandonate.

ADDETTE AL CONTROLLO ZTL

Il primo dei casi da “manuale” ri-guarda le lavoratrici addette alcontrollo dei varchi Ztl, una ven-tina in tutto. Assunte anni fa dalComune di Verona, in parte comeinterinali (oggi si chiama lavorosomministrato) e in parte a tem-po determinato hanno il compitodi controllare le targhe delle auto-mobili che entrano senza per-messo nella Zona a traffico limi-tato (Ztl). Verso la metà degli an-ni Duemila vengono tutte ester-nalizzate a una ditta privata diservizi con sede a Belgioiso (Pa-via) che si aggiudica l’appalto del

servizio. Sulla carta sono dunquestabilizzate. «E in effetti il tratta-mento economico all’inizio beneo male garantiva le stesse condi-zioni di prima – raccontano –, ilcontratto era quello dei metal-meccanici». Ma a un certo puntol’appalto termina e si va di nuovoa gara, sempre col criterio delmassimo ribasso. Nell’autunnodel 2010 vince una nuova ditta,questa volta di Milano, che permantenere bassi i costi applica ilcontratto del commercio, relati-vamente più svantaggioso rispet-to al precedente, ma soprattuttodecide di metterle tutte a tempoparziale.La riduzione di orario (e quindianche di salario) è considerevole,perché le operatrici passano da 36a 20 ore settimanali. Da considera-re che la mole di lavoro nel corsodegli anni è invece aumentata,perché al compito di controllare ivarchi della Ztl si è aggiunto anchequello di verificare le corsie prefe-renziali dei bus, sulle quali, nelfrattempo, il Comune ha posizio-nato le telecamere. Il lavoro consi-ste nel controllare che la letturadella targa effettuata dalla teleca-mera che rileva l’infrazione siacorretta, verificando ad esempioche il trasgressore individuato dal-l’occhio elettronico non apparten-ga a una delle categorie esenti, co-me i residenti o gli invalidi munitidi regolare permesso. In praticasono addette a controllare l’opera-to della telecamera. Si tratta di di-verse centinaia di verifiche al gior-no, tante quante sono le infrazionigiornaliere alla Ztl e sulle prefe-renziali.Inoltre, le lavoratrici si occupanoanche del lavoro di front-office,cioè rispondono al telefono alle

Inchiesta

Aprile 201122

Le lavoratrici addetteal controllo dei varchiZtl sono una ventina.

Nell’autunno del2010, per mantenere

bassi i costi, viene loroapplicato un nuovo

contratto ma la novitàè l’introduzione del

part time. Leoperatrici passano da

36 a 20 ore settimanalimentre la mole di

lavoro nel corso deglianni è aumentata. E

allora cosa fare?«Quando si arriva aguadagnare soltanto

6-700 euro al mese vaa finire che ci si trova

un secondo lavoro»

ditta di pulizie o, per meglio dire,di multi-servizi.Capita persino che l’Amministra-zione si “dimentichi” di inserirenel capitolato di gara sia la clau-sola sociale che il riferimento alcontratto nazionale; ne sannoqualcosa le lavoratrici delle bi-glietterie dei musei, metà dellequali sono state “epurate” dopol’ultimo appalto.Esistono di certo anche appaltibuoni, come quello che ha inte-ressato le cuoche delle mense sco-lastiche, “cedute” non a una dittaprivata qualunque, ma ad Agec,società controllata al 100 per cen-to dal Comune, il che ha consen-tito di mantenere inalterati dirittie salario. Almeno per ora. Ma cisono casi di esternalizzazioni adaziende partecipate che non sonofiniti benissimo, come quello del-le precarie dell’Ufficio Permessipassate ad Amt (azienda del tra-sporto pubblico locale) in nove eassunte soltanto in sette dopo an-ni di promesse di stabilizzazione.Sempre a proposito di aziendepartecipate, cioè pubbliche o amaggioranza pubblica, appareclamoroso il caso dei postini pri-vati che consegnano le bolletteper conto di Acque Veronesi perpochi euro al mese e in condizio-ni di lavoro spaventose.Se si ha la pazienza di passare inrassegna tutti i casi noti (ma an-dando a cercare se ne possonotrovare degli altri) si potrannoraccogliere spunti e materiale suf-ficiente per redigere un prontua-rio del dumping sociale, cioè unacollezione di pratiche che miranoa trasformare un’esperienza po-tenzialmente gratificante – comequella di fornire un servizio al

Page 23: Verona In 28/2011

Con gare troppo tiratee ribassi che possonoraggiungere anche il

40 per cento, non si vatroppo per il sottile: è così possibile che a

somministrare i pastinelle mense scolastiche

si trovi una ditta dipulizie o, per meglio

dire, di multi-servizi.Costa meno

domande del pubblico, e di backoffice, svolgendo tutto il lavoropreliminare necessario alla stesu-ra e spedizione dei verbali.Nessuna formazione, l’addestra-mento avviene tutto sul campo:«Siamo sotto il coordinamento diun vigile che interviene quandosbagliamo» confermano le lavo-ratrici. La sede di lavoro, infatti, èil Comando della polizia munici-pale. «Non siamo in numero suf-ficiente a stare dietro a tutto – di-cono –. All’inizio del nuovo ap-palto dalla ditta ci avevano pro-messo che con i picchi di lavoroavrebbero aperto agli straordina-ri, ma questo è accaduto soltantoper un brevissimo periodo vicinoa Natale. Del resto, quando si ar-riva a guadagnare soltanto 6-700euro al mese, va a finire che siprova a organizzarsi diversamen-te. Alcune di noi hanno trovatoun secondo lavoro. E quando poivengono a chiederci di fare ore inpiù non riusciamo a tener insie-me tutti gli impegni. Cambiarelavoro? Tutte ci pensiamo e unadi noi l’ha pure fatto, ma in que-sto periodo non è più così facile».A quanto risulta, le difficoltà del-l’ufficio a smaltire la gran mole dilavoro è alla base dell’ondata dicontravvenzioni che a gennaiosono state notificate appena po-chi giorni prima della scadenzadei termini di legge. Un fatto che

aveva fatto imbestialire centinaiadi cittadini molti dei quali si era-no visti recapitare a casa pacchi dimulte “seriali”, cioè riguardantisempre la stessa infrazione. Se iverbali fossero stati consegnaticon più largo anticipo, protesta-vano i trasgressori, i cittadiniavrebbero potuto correggere laloro condotta e risparmiarsimolte multe. Va anche detto chenel frattempo una legge nazionaleaveva ridotto da 150 a 90 i termi-ni della notifica.

LE SCODELLATRICI

Per restare al tema di qualità deiservizi, si può analizzare il casodelle scodellatrici delle mensescolastiche: 120 lavoratrici circa.La mansione è tutto sommato ab-bastanza semplice, ma bisognaprestare alcune fondamentali at-tenzioni, dal momento che moltibambini devono seguire dieteparticolari e bisogna sapere checosa si deve e non si deve metter-gli nel piatto.Nel settembre 2010 l’appalto,sempre assegnato col criterio delmassimo ribasso, è stato vinto dauna ditta di pulizie, anzi di multi-servizi. E, a quanto raccontano lelavoratrici, l’organizzazione dellavoro lascia piuttosto a desidera-re. Nessun prontuario o manualedelle procedure è stato loro con-

segnato, tutto il lavoro è affidatoalla professionalità che le lavora-trici hanno acquisito nel corsodegli anni precedenti, quandoerano assunte dal Comune trami-te di un’agenzia di lavoro sommi-nistrato.«Si vede che questi (la ditta che havinto l’appalto, ndr) non sono delmestiere – spiegano le lavoratrici– saranno bravi a fare le pulizienegli hotel, ma qui in mensa lagestione è totalmente improvvi-sata. Del resto sono entrati nel-l’appalto soltanto un mese primadall’inizio delle scuole. No, non ciè stato consegnato nessun ma-nuale e nessuna procedura, manoi sappiamo fare il nostro lavo-ro. A dire il vero, la disponibilitàal dialogo da parte loro non man-ca. Ti ascoltano pure, il problemaè che poi però non cambia mainiente.Ad esempio, noi chiediamo dis-ponibilità sulle sostituzioni; chie-diamo di tenerci in considerazio-ne se c’è da fare qualche ora inpiù, ma loro preferiscono sosti-tuirci con dell’altro personalepreso dalle agenzie». Le cose stan-no proprio così: invece di offrirealle proprie dipendenti la possibi-lità di integrare il magro salariocon qualche ora di lavoro aggiun-tiva, la ditta appaltante preferisceassumere altri lavoratori sommi-nistratati dalla stessa agenzia in

Inchiesta

23inVERONA

La storia delle esternalizzazioni dei servizi comunali a Verona è co-minciata nei primissimi mesi del 2008, quando l’allora assessore co-munale al Personale Sandro Sandri (Lega Nord) tirò fuori dal cas-setto una lista di 460 persone, tutti dipendenti comunali a termine,il cui contratto arrivava a scadenza a fine marzo o, al più tardi, a giu-gno. Come si è venuto a sapere in seguito, si trattava del personaledelle mense scolastiche, delle biblioteche, ma anche degli insegnantidelle scuole materne comunali e degli asili nido. Con la Finanziaria2007 e 2008 il governo Prodi aveva infatti decretato il principio dellastabilizzazione di tutti i precari che la pubblica amministrazione, nelcorso del decennio precedente, aveva accumulato tra le proprie filaallo scopo di aggirare il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego.Si parlava allora di 250 mila persone in tutta Italia. In pratica era unasanatoria perché, com’è noto, nella pubblica amministrazione si en-tra soltanto con concorso pubblico. Ma quella che poteva rappresen-tare un’occasione di riscatto per tanti precari, a Verona come altrove,si trasformò quasi subito in una sorta di psicodramma.Il termine ultimo fissato dalla Finanziaria per la stabilizzazione erainfatti il 31 marzo 2008. Oltre questo termine il Comune non avreb-

be più potuto, per legge, rinnovare i contratti in scadenza. Ai sinda-cati rimanevano soltanto poche settimane per trovare un accordo efare salvi i contratti in scadenza. Alla loro richiesta di predisporre,conformemente al testo della Finanziaria, un piano triennale di sta-bilizzazione (a fronte del quale si sarebbero potuti anche rinnovare icontratti in scadenza) il Comune sollevò numerose eccezioni di ca-rattere legale, mostrando di essere orientato a chiudere la faccenda intutt’altro modo, cioè con l’esternalizzazione dei servizi.Una successiva circolare ministeriale chiarì che dall’obbligo di stabi-lizzazione doveva ritenersi escluso il personale docente. La precisa-zione salvò dunque gli insegnanti comunali, ma ebbe anche l’effettodi indebolire il fronte della protesta dei precari comunali che riusci-rono a fare cambiare idea al Comune il quale, dal gennaio 2009, ri-uscì a esternalizzare l’Ufficio Permessi e nell’estate 2010 anche lemense scolastiche. Anche dopo la caduta del governo Prodi l’Ammi-nistrazione comunale tenne la barra dritta, giustificando la sua lineaa favore delle esternalizzazioni con le ristrettezze di bilancio e con ilpatto di stabilità che la spingeva a ridurre il costo del personale.Quello diretto almeno. (M.M)

La storia delle esternalizzazioni dei servizi comunali

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cui lavoravano prima le scodella-trici. Una bella beffa, consideratoche il contratto prevede, di me-dia, appena 2 o 3 ore giornalieredi lavoro e che molte scodellatricifaticano a raggiungere il monteore necessario a richiedere l’in-dennità di disoccupazione.Nel periodo estivo, infatti, lescuole chiudono e il serviziomensa viene sospeso. In virtù del-l’accordo sindacale siglato, le la-voratrici hanno il diritto d’opzio-ne, ovvero debbono poter ripren-dere a lavorare a settembre. E nelfrattempo, nei tre mesi estivi, po-trebbero beneficiare dell’assegnodi disoccupazione, se solo riuscis-sero a raggiungere il monte oreminimo per richiederlo. Come sispiega questo comportamento daparte della ditta appaltante? Secondo Giuseppe Rossini, fun-zionario Filcams Cgil, la spiega-zione è semplice: «Siamo nell’ot-tica del lavoro usa-e-getta. Gli in-terinali costeranno un po’ di piùma non chiedono sostituzioni,non possono rivendicare nulla equando si ammalano vengonosemplicemente sostituiti con de-gli altri interinali».La vocazione all’annientamentodel lavoro è forte nel settore deglihotel, da cui proviene per l’ap-punto la ditta appaltante e doveormai, racconta Rossini, «tuttoviene esternalizzato: dal portiera-to alla ristorazione, al servizio incamera comprensivo di pulizie elavanderia. Tanto che – prosegueil sindacalista – quasi tutti gli ho-tel della nostra città contano pra-ticamente un solo dipendente: ildirettore. Un po’ quello che è ac-caduto anche nell’edilizia, dove legrandi imprese appaltano per in-

tero l’esecuzione del lavoro ma-nuale alle piccole aziende e alleditte individuali».A proposito di costi, nel passag-gio dall’agenzia di lavoro sommi-nistrato alla ditta appaltante, lapaga oraria delle scodellatrici èpassata da 9 a 7 euro all’ora in vir-tù del diverso contratto applicato:prima era quello della ristorazio-ne, adesso quello dei servizi gene-rici. Le scodellatrici fanno partedella partita delle esternalizzazio-ni delle mense scolastiche. Lecuoche, che erano già dipendentidel Comune, sono finite ad Agecmantenendo tutti i benefici delcontratto del pubblico impiego,mentre le scodellatrici, già preca-rie al tempo dell’esternalizzazio-ne, sono state stabilizzate in que-st’altro modo. «Ma l’appalto durasolo due anni, e dopo che ne saràdi noi?» si chiedono.Molte di queste donne, scodella-trici o addette al controllo varchi,hanno responsabilità famigliari.In alcune casi sono separate e de-vono sbarcare il lunario con deifigli a carico. Tutta questa orga-nizzazione del lavoro non tiene inbenché minimo conto che il red-dito della donna è diventato unelemento portante del bilanciofamigliare. L’imprenditoria, e an-che la politica, sembrano ignorar-lo completamente.

LE BIGLIETTAIE E LE LAVORATRICI

DEI BOOKSHOP

Hanno dunque ragione lavoratri-ci delle biglietterie e dei books-hop dei Musei civici quando di-cono che queste ingiustizie acca-dono perché «è più facile pren-dersela con i più deboli». E metàdi loro (in genere quelle menogiovani) sono state lasciate a casadopo l’ultimo cambio d’appalto,avvenuto a metà del 2010. Nel ca-pitolato d’appalto la “clausola so-ciale” semplicemente non erapresente. La motivazione? L’Am-ministrazione comunale se n’era«dimenticata», come confermaun sindacalista che ha partecipatoalle trattative.Del resto l’Amministrazione siera dimenticata anche di vincola-re la ditta appaltante al rispetto diun contratto nazionale. Il riferi-mento è stato inserito soltanto altermine di una vertenza sindacale

che ha portato alla mobilitazionedell’intero Consiglio comunale.Tutte queste dimenticanze hannopermesso alla nuova impresa vin-citrice dell’appalto di fare piazzapulita delle “indesiderabili”, cioèdelle lavoratrici non più giovanis-sime che puntualmente sono sta-te sostituite con nuove leve a cui èstato applicato il contratto di ap-prendistato. Molte delle ex addet-te alle biglietterie sono tuttoradisoccupate. Alle nuove entranti èstato invece applicato il contrattodell’editoria. Si tratta di una ven-tina di lavoratrici delle biglietteriee di una decina di addette aibookshop. Questi servizi sono inappalto in quasi tutti i monu-menti cittadini: Castelvecchio,Casa di Giulietta, Tomba di Giu-lietta, Scavi Scaligeri, Museo diStoria naturale, Palazzo Forti conl’eccezione di Arena, Teatro Ro-mano e Museo Maffeiano. «Ab-biamo provato a rivolgerci al-l’Amministrazione comunale pervedere se era possibile trovare de-gli altri sbocchi professionali, maloro hanno detto che nei nostriconfronti non avevano più alcunobbligo» concludono le lavoratri-ci.Più o meno la stessa risposta chericevono i sindacati quando pro-pongono al Comune di metterein piedi un sistema di tutela deilavoratori impiegati nei servizicomunali dati in appalto: «Dadue anni chiediamo un tavolo peril monitoraggio di tutti i serviziappaltati – dice Floriano Zanonidella Filcams Cgil – ma dagli as-sessori ci sentiamo sempre ri-spondere che non ne hanno lacompetenza. In questo modo ri-mangono tutti orticelli separati».Sui risvolti degli appalti al massi-mo ribasso ha pochi peli sulla lin-gua anche Gianni Curti, presi-dente della Cooperativa Verona83, organizzazione di primo pia-no a livello nazionale che avevapartecipato, perdendola, proprioalla gara dei Musei civici di Vero-na. Ma che di recente si è rifattaaggiudicandosi la gestione deiservizi dei musei di Firenze: «Ab-biamo deciso che a queste schi-fezze non partecipiamo più –sbotta Curti – perché non è possi-bile che si facciano offerte quan-do si sa benissimo già in partenzache ci si rimette. E dirò di più –

Inchiesta

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Nel passaggiodall’agenzia di lavoro

somministrato alladitta appaltante,

la paga oraria delle scodellatrici è

passata da 9 a 7 euroall’ora in virtù deldiverso contratto

applicato: prima eraquello della

ristorazione, adessoquello dei servizi

generici

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Da anni è in buonaparte appaltata anche

la gestione dellabiblioteca civica e dei

sei centri di lettura di quartiere. Si

spartiscono il lavorodue cooperative cheimpiegano in tuttouna quindicina di

lavoratrici. Il copione èsempre lo stesso:

retribuzione inferiorea quella media di un

qualunque dipendentecomunale e niente

formazione.«Il lavoro ci piace e citroviamo abbastanza

bene. Il timore è che laditta perda l’appalto

perché in quel casomolto probabilmenteperderemmo anche il

nostro posto di lavoro»

aggiunge – se non interveniva ilsindaco Flavio Tosi nell’appaltodei musei non veniva nemmenoapplicato il contratto nazionale dilavoro. Questo deve essere benchiaro». Secondo Curti c’è il ri-schio concreto che il gioco al ri-basso finisca per minare la stabili-tà finanziaria delle ditte appaltan-ti: «Da una parte ci sono le con-centrazioni di tante imprese chesi mettono insieme per sopporta-re il peso dei ribassi. Dall’altra cisono tante micro cooperative,spesso provenienti dal Sud, decisea prendere l’appalto a qualunquecosto».

IN BIBLIOTECA CIVICA

E NEI CENTRI DI LETTURA

Da anni è in buona parte appalta-ta anche la gestione della Biblio-teca civica e dei sei Centri di let-tura di quartiere. Si spartiscono illavoro due cooperative che im-piegano in tutto una quindicinadi lavoratrici. Il copione è semprelo stesso: retribuzione inferiore aquella media di un qualunque di-pendente comunale e niente for-mazione, soltanto un servizio di“tutoraggio” svolto dal personalecomunale. Raccontano queste la-voratrici: «Il lavoro ci piace e citroviamo abbastanza bene. Il ti-more è che la ditta perda l’appaltoperché in quel caso molto proba-bilmente perderemmo anche ilnostro posto di lavoro. Per quan-to riguarda l’orario bisogna pen-sarci e fare bene i propri contiprima di richiedere il part-time,perché se te lo concedono poinon è detto che si possa tornareindietro. Per alcune colleghe sa-rebbe più comodo fare soltantomezza giornata. Altre invece han-no il problema opposto, cioè co-minciano col part-time maavrebbero bisogno di fare piùore».Per ovviare all’assenza di forma-zione, che viene fatta sul campo,le cooperative assumono preferi-bilmente persone che abbiano giàalle spalle un’esperienza di lavoroin biblioteca, anche come stage oservizio civile volontario. Con ilricorso all’appalto si risolverà an-che il problema dell’apertura del-l’ala antica, pronta da mesi dopoessere stata rimessa a nuovo con isoldi della Fondazione Carivero-

Inchiesta

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di Massimo Castellani*

Dall’inizio della crisi di numeri ne sono stati dati molti. E daqualunque parte li si prenda il quadro complessivo che ne derivaè allarmante e gli elementi di speranza per il futuro pochi. Comenel caso dei 250 lavoratori della Over Meccanica, storica fabbricadi Verona con prodotti di eccellenza, che in questi giorni sono sta-ti collocati in Cig a zero ore. La provincia di Verona, che ha sapu-to dare una risposta alla crisi utilizzando un numero inferiore diore di cassa integrazione rispetto alla media del Veneto, ha peròalcuni indicatori assolutamente negativi, uno di questi è il tassodi disoccupazione giovanile (dai 15 ai 24 anni).La disoccupazione giovanile in Veneto è cresciuta negli ultimi annia un ritmo doppio rispetto a quella complessiva. A Verona nell’ul-timo anno è esplosa raddoppiando, passando cioè dall’8,8 per cen-to del 2008 al 17 per cento attuale (nel Veneto il tasso di disoccupa-zione giovanile è al 14,4 per cento). La percentuale d’incrementodei licenziamenti in provincia di Verona nei primi mesi di que-st’anno rispetto ai primi mesi del 2010 è stata del 6,7 per cento.Migliore è la media veneta, dove per lo stesso periodo i licenzia-menti sono diminuiti del 23,9 per cento. Le crisi d’impresa aperte aVerona sono state 128 nel 2009 e 140 nel 2010, con un incrementodel 9,4 per cento e solo a gennaio 2011 sono state 10.Nel Veneto le cose, da questo punto di vista, non sono andate me-glio, tant’è che l’incremento delle crisi d’azienda del 2010, rispettoil 2009, è stato del 19,8 per cento. Nel 2010 le aziende scaligere co-involte nelle aperture di crisi sono state 140 (43 nella meccanica e20 nel commercio) e di queste 72 avevano meno di 50 dipendenti.Tutte 140 hanno previsto la mobilità in gran parte per crisi di mer-cato, con oltre 2.200 lavoratori coinvolti. Per quanto riguarda lecrisi concluse hanno avuto un incremento del 32,3 per cento nel2010 rispetto al 2009, coinvolgendo 205 aziende (83 nella meccani-ca), di cui 122 sotto i 50 dipendenti, interessando il 35,1 per centodegli organici aziendali, con oltre 1.700 lavoratori in mobilità.Dal punto di vista finanziario l’indebitamento delle imprese ve-nete è aumentato dal 2008 del 3,5 per cento, mentre a Verona èaumentato del 5,9 per cento. Le sofferenze sui debiti del sistemaimprenditoriale sono passate in Veneto dal 2,9 per cento del no-vembre 2008 al 5,9 per cento del 2010, mentre a Verona dal 2,4per cento al 4,6 per cento (quasi raddoppiato). Inoltre analizzan-do il trend dei depositi bancari delle famiglie veronesi si rileva unpeggioramento: la variazione media dal mese di gennaio a no-vembre 2008 è stata dell’1,1 per cento, nel 2009 dello 0,1 per cen-to, nel 2010 del -1 per cento. Bisogna considerare che anche i ri-sparmi delle famiglie risentono pesantemente della crisi. L’erosio-ne dei tesoretti familiari continua. Non servono particolariesperti finanziari per capire che, se va avanti così, sarà una lentama progressiva deriva con un’inevitabile riduzione del livello dibenessere per la maggior parte delle persone. Le ricette per uscir-ne ci sono, sono state dette migliaia di volte e viene la nausea ri-peterle, speriamo solo che prima o poi qualcuno si decida ad ap-plicarle.

*Segretario Generale CISL Verona

Disoccupati in aumentoe tesoretti in erosione

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na, ma ancora chiusa per man-canza di personale.

I POSTINI DI ACQUE VERONESI

Casi di dumping sociale si rinven-gono anche nelle aziende parteci-pate del Comune, che per loronatura hanno più familiarità conlo strumento dell’appalto. Con-ferire a una ditta specializzata ilripristino del manto stradale do-po gli interventi di sistemazionedelle tubature del gas o dell’ac-qua, è normale routine per gran-di aziende pubbliche, come Agsmo Acque Veronesi, tanto più chenegli ultimi anni queste aziendesi sono date un contegno e unaveste di managerialità che le por-ta a disfarsi di tutte le funzioni

Inchiesta

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Casi di dumpingsociale si rinvengono

anche nelle aziendepartecipate del

Comune, che per loronatura hanno piùfamiliarità con lo

strumento dell’appaltoe che non devono

sottostare al patto distabilità a cui invece

sono vincolati i Comuni

che non riguardano strettamenteil core-business. Questo però nondovrebbe esimerle, dato il lorostatus di imprese pubbliche, dalcontrollare il modo in cui vienesvolto l’appalto e le condizioni incui vengono impiegati i lavorato-ri. Visto e considerato che le par-tecipate non devono rispettare ilpatto di stabilità.Ma non è stato così con il confe-rimento del servizio di recapitodella corrispondenza di AcqueVeronesi, al quale lavorano posti-ni “privati” pagati poche centi-naia di euro al mese per lo più li-quidati in voucher, ovvero i“buoni” di lavoro convertibili indenaro negli uffici postali checontengono paga oraria e contri-buti previdenziali. Il voucher al-

l’inizio era stato introdotto inagricoltura per arginare la piagadel lavoro nero.La storia comincia nel luglio2010 quando Acque Veronesi de-cide di approfittare della libera-lizzazione dei servizi postali,mettendo a bando il servizio direcapito di bollette e solleciti. Nelgennaio 2011 risultano in servi-zio una dozzina di postini checonsegnano la posta dell’aziendapubblica e di altre imprese priva-te. Le loro condizioni di lavorosono a dir poco anomale: pur do-vendo rispondere, come tutti ipostini, della responsabilità pe-nale in caso di smarrimento,danneggiamento od occultamen-to della posta, il rapporto di lavo-ro non è regolato da un contratto

Con riferimento alle notizie di stampa ap-parse su varie testate e siti web, nonché ai re-centi avvenimenti, ultimo dei quali la mani-festazione sindacale di protesta dei portalet-tere davanti alla Agenzia di Verona, nel con-testare in toto la rappresentazione negativadei nostri comportamenti e dell’attività delnostro Gruppo, desideriamo far presentequanto segue:• Mail Express Poste Private S.r.l. è uno, se

non il più accreditato e ramificato opera-tore privato italiano nel settore della rac-colta e distribuzione di corrispondenza;

• opera, da oltre un decennio, sulla base diregolare Licenza Generale e particolarerilasciata dal competente Ministero delleComunicazioni e, come tale, sottoposta acontinue verifiche e controlli da partedella Polizia Postale;

• ha realizzato negli anni un network co-stituito ad oggi da oltre 250 agenzie infranchising, che operano su tutto il ter-ritorio nazionale, riuscendo a coprirecirca il 50% della popolazione residente(60% circa nel Centro-Sud e 40% nell’I-talia Settentrionale);

• i lavoratori dell’Agenzia di Verona sonostati assunti sulla base di regolari contrat-ti con modalità assolutamente legali(voucher lavorativi);

• i carichi di lavoro adottati per i lavoratoridella agenzia di Verona sono i medesimiutilizzati in tutte le altre agenzie e del tuttocomparabili con quelli adottati dai nostriprincipali competitors e assolutamente

lontani da quelli utilizzati dai portaletteredi Poste Italiane (oltre mille consegnegiornaliere per singolo portalettere);

• a richiesta, siamo comunque disponibili afornire i dati di consegna effettiva dei la-voratori dell’agenzia di Verona, assoluta-mente insufficienti a giustificare stipendidi circa 900,00 euro mensili (con l’ag-giunta dei relativi oneri previdenziali edassicurativi), a fronte di consegne di n.100 pezzi di corrispondenza giornalieridel valore di 0,17 euro cadauno;

• stante la circostanza che i portaletteresvolgono le mansioni affidate al di fuoridella sede di lavoro, è assolutamente nor-male che la loro attività sia sottoposta acontrolli e verifiche e soggetta a medie diconsegna.

Per tutto quanto sopra esposto, riteniamodel tutto infondata l’accusa di “sfrutta-mento dei portalettere”; riteniamo, invece,assolutamente doveroso mettere in attoogni sforzo, nel rispetto delle leggi, per cer-care di far quadrare i conti aziendali.

Mail Express-Poste Private S.r.l.Mosciano Sant’Angelo, 22 marzo 2011

La replica di Mail Express-Poste Private S.r.l.«Sui postini accuse senza fondamento»

Il raccontodi chi c’è passato

Scrivo in relazione alla risposta di Mail ExpressPoste «Accuse senza fondamento». Ho lavoratoper loro e quello che dicono non è corretto, ma so-prattutto non tiene conto di vari fattori a mio av-viso molto gravi.

1) Quello che offrono non è un lavoro occasionalema continuativo, dal lunedì al venerdì, ma con larichiesta di un orario fisso da rispettare.2) Se lavoro come postino, per Poste italiane, ho di-ritto a malattia, tredicesima, vacanze, liquidazio-ne, disoccupazione ecc. Con lo stesso lavoro pressodi loro non avevo diritto a nulla di tutto ciò.3) Il mezzo di trasporto era completamente a ca-rico nostro, senza nessun contributo per l’assicu-razione, per la manutenzione (davano un rim-borso di un euro ogni 15 km circa) mentre cometutti sappiamo l’auto ha un costo molto elevato:per il rimborso in ambito lavorativo normalmen-te si dovrebbero applicare le tabelle Aci. Per cuirischiavi di danneggiare l’auto, di fare un inci-dente, di avere un guasto e la società non rimbor-sava assolutamente nulla.4)Nessuna garanzia lavorativa, potevano licen-ziarti in qualsiasi momento, anche senza motiva-zione. Grazie a una clausala sul contratto la so-cietà si riserva il diritto di licenziare anche solocon una dichiarazione verbale.5) Nessuna tutela in caso di incidente grave o leg-gero che fosse. Piccoli incidenti ci sono stati, ma lasocietà se n’è lavata le mani, come per gli inevita-bili guasti al mezzo. Figurarsi cosa sarebbe acca-duto nel caso di un brutto incidente.Postini sfruttati? Giudicate voi.

G.C.

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di settore ma viene applicato uncontratto di lavoro “occasionaleaccessorio”. Il che permette, ap-punto, il pagamento in voucher.Lo stipendio è fissato a 900 euronetti al mese rapportati a 100consegne al giorno con la clauso-la che, in caso di mancato rag-giungimento dell’obbiettivo, “ilcompenso verrà rideterminato inproporzione del numero dei pez-zi”, verso il basso, ma anche versol’alto. Le condizioni di lavoro so-no molto precarie: «Al mattinoarriviamo alle nove in sede, mausciamo molto tardi perché dob-biamo provvedere alla suddivi-sione della posta per zona di re-capito e lì si perde un sacco ditempo» raccontano. «A disposi-zione abbiamo una stanza pocoattrezzata: smistiamo la posta se-duti per terra, ragion per cui al-cuni di noi si sono portati sedie etavoli da casa che l’azienda ha su-bito usato per appoggiarci sopra isuoi terminali elettronici. Così,quando si finisce di ordinare laposta, arrivano le 11. Tardi, per-ché di lì a poco uffici e negozichiudono per la pausa pranzo.Quindi per terminare le conse-gne dobbiamo attendere l’orariodi riapertura perché la mattina ègià andata in fumo. Senza conta-

pitano cartoline intestate a un’a-zienda di Frattamaggiore (Napo-li), la Mail Express-Poste Private,che si definisce leader nel settorepostale privato, ma risultano as-sunti da un’altra azienda, la Lepi-do Edizioni, una società editricedi Teramo. A prima vista sembre-rebbe dunque un caso di subap-palto. Ma il fatto che le due dittecondividano lo stesso indirizzodi Teramo complica non poco lasituazione, in quanto appaionomolto vicine l’una all’altra. Stan-chi di tutto questo calvario i po-stini, appoggiati dal sindacato, sisono messi dunque in “sciopero”,promuovendo un presidio diprotesta davanti alla sede verone-se di Mail Express, a San MicheleExtra. Il giorno stesso l’aziendaha consegnato loro le lettere di li-cenziamento e immediatamenteha abbandonato gli uffici, chiu-dendoli. Ora il sindacato sta va-lutando la possibilità di promuo-vere una vertenza legale di lavorocontro l’azienda che da parte suarivendica la piena legittimità delsuo operato (vedi box a pagina27). Il dubbio legale verte sulla ti-pologia di contratto applicatoinizialmente, in quanto il lavorodi postino, dalle 9 alle 19, non ap-pare né “occasionale”, né “acces-

Inchiesta

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sorio”. Dopo che il caso è stato re-so pubblico, Acque Veronesi haassicurato di procedere con le ne-cessarie verifiche. L’ipotesi èquella di disdire l’appalto e rias-segnarlo ad altra impresa, con ilvincolo di assumere i postini.La nostra ricostruzione finiscequi, almeno per il momento. Per-ché la tendenza ad appaltare ser-vizi non è finita e la voce che cir-cola è che l’Amministrazione co-munale tornerà alla carica, forsecon quegli stessi insegnanti dellematerne e dei nidi comunali chein passato erano stati salvati dauna circolare del governo. Maquesto ormai avverrà probabil-mente solo dopo le elezioni am-ministrative del 2012. Pare infattiche il tempo che precede le sca-denze elettorali sia l’unico mo-mento in cui, per mera conve-nienza politica, i diritti di cittadi-nanza e quelli del lavoro tendonoa coincidere.

re che le zone di consegna moltospesso sono in provincia, su unterritorio che non conosciamo,con indirizzi a volte molto lonta-ni l’uno dall’altro. Ci andiamocon la nostra automobile e i rim-borsi della benzina sono ancoraal di là da arrivare. Alla sera si fi-nisce di lavorare alle 19». Sullabase di queste dichiarazioni ab-biamo consultato dei postiniesperti i quali ci hanno confer-mato che 100 consegne (“pezzi”in gergo) al giorno rappresenta-no una mole di lavoro significati-va nel caso in cui si tratti di rac-comandate, per le quali occorrela firma del cliente, che fa perderemolto tempo. A scanso di equi-voci, comunque, a fine gennaio ipostini sono stati “invitati” a sot-toscrivere una rettifica al contrat-to originario che prevede di in-nalzare a 400 pezzi la media gior-naliera di consegne richieste.Sulla base dei nuovi obiettivi so-no stati ricalcolati anche i com-pensi di gennaio, che così sonoscaduti a poche centinaia di euro,dai 200 ai 300. E per i mesi pros-simi li attenderebbe un aumentodi produttività del 400 per centosoltanto per riuscire a conseguireil compenso minimo dei 900 eu-ro. Ma c’è un “ma”: i postini reca-

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di Marta Bicego

«Il mio mestiere – dice con amararassegnazione Pino Erbogasto –ormai non lo vuole fare più nes-suno. Figuriamoci i giovani...».Per vent'anni, in un piccolo labo-ratorio di Grezzana, ha fatto l'im-pagliatore di sedie intrecciando,con un'invidiabile pazienza, can-ne sottilissime che acquistava ingrandi mazzi. Si tratta di una spe-cie di paglia che cresce ancora og-gi lungo i corsi d'acqua della Bas-sa veronese: fatta essiccare, diven-ta bianca ed è il materiale idealeper ricoprire seggiole con motivia intreccio che sembrano quasi ri-cami. «È un lavoro lungo e diffici-le per il quale passione e manuali-tà sono indispensabili» ammette,con la sicurezza che è tipica del-l'esperto. «Io l'ho imparato daicaregari che venivano da BadiaCalavena: guardando muoversi leloro mani e osservando con at-tenzione manufatti già realizzati.Poi c'è voluta tanta, tantissimapratica». Le mode cambiano, so-prattutto quando si tratta di arre-damento. Tuttavia, a distanza ditempo, in certe case della Valpan-tena ci sono ancora le sedie impa-gliate da Erbogasto. Negli anniOttanta, raggiunta l'età della pen-sione – dopo aver lavorato i cam-pi come contadino per oltre cin-que decenni – questo intrapren-dente signore ha deciso di dedi-carsi a un'attività nuova: una scel-ta quanto mai azzeccata, conside-rando anche la mancanza di con-correnza nella vallata. In moltiaspiranti apprendisti sono passatidal suo laboratorio: volevano im-parare la tecnica per impagliare,

ma nessuno – confessa – è riusci-to ad apprendere veramente ilmestiere. Questione di manualità,che si acquisisce soltanto con lapratica e la costanza, ma «i giova-ni – si lascia sfuggire – sono pocopazienti». E poi serve la passione:«Se ho imparato io, lo possonofare anche gli altri. No?».Pensare di “rispolverare” dal pas-sato certi mestieri è utile, innan-zitutto, per il dovere della memo-ria. È questo che ha spinto duestudiosi veronesi, Fernando Za-nini (che è tra l'altro presidentedella biblioteca comunale diGrezzana) e Bruno Avesani, araccoglierne i segreti e le tecniche– illustrate grazie a un ricco appa-rato fotografico – in vista di unapubblicazione. Sarà il secondovolume di una collana iniziatacon un libro, fresco di stampa, de-dicato alle abitazioni della Lessi-nia e a tutte le attività necessarieper costruirle. Probabilmente, l'i-spirazione a guardare alle anticheoccupazioni è venuta a Zaninigrazie anche alla complicità dellamoglie Adelina Pernigo. Proprionei mesi che precedevano la Pas-qua, negli anni Quaranta del se-colo scorso, la signora Adelinaaiutava la mamma e le zie a con-fezionare decine e decine di pal-me con corona. Si trattava di ramid'ulivo, scelti attentamente negliuliveti che crescono nelle collinedella Valpantena, impreziositi dauna corona di foglioline intrec-ciate. «Oltre a noi, molte altredonne della zona (soprattutto aSezano e Santa Maria in Stelle) sidedicavano alla realizzazione diquesti manufatti. A pacchi di ven-ti, venivano consegnate al merca-

to ortofrutticolo e spedite in Ger-mania, assieme alla frutta e allaverdura, dove sarebbero servitedurante la processione del giornodelle Palme o per addobbare glialtari delle chiese». Una tradizio-ne presente anche nel Veronese,che è però scomparsa. Se ne pro-ducevano a centinaia, prosegue,tanto che per alcune famiglie co-stituivano una vera e propria fon-te di reddito. Non era, nemmenoquesto, un lavoro facile: «Prima

Cultura

29inVERONA

C’ERA UNA VOLTA

Mestieri dimenticatiChi impagliava sedie, chi preparava corone di rami d’ulivo per la Pasqua.

Lavori non ancora scomparsi, come il ricamo a filet. Ma «i giovani hanno pocapazienza, non basta imparare, ci vuole esperienza e per quella serve tempo»

Sono i lavori di unavolta, i cui segreti –

tramandati digenerazione ingenerazione –

sembrano incuriosirepoco i giovani. Epensare che uno

sguardo al passato, intempi di crisi, potrebbe

anche dare validispunti

Pino ErbogastoAdelina Pernigo

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bisognava trovare i rami più adat-ti. Poi era necessario imparare aintrecciare le foglie, una a una,per creare la corona». Un manu-fatto che – forse più per aspettiestetici che per il significato reli-gioso – desta la curiosità di moltepersone. Ma, quando si tratta diimparare a confezionarli? Moltisono i tentativi, ma «in pochi ciriescono», risponde Adelina sor-ridendo. Del resto, ci vuole trop-pa pazienza...Più che un lavoro, per LorettaTroiani, quella per il ricamo a fi-let ha sempre rappresentato unagrande passione. Lo testimonia laquantità di centrini, tovaglie, len-zuola e festoni che è riuscita a rea-lizzare nel corso degli anni (conago, filo di cotone e telaio di le-gno) stando seduta nella cucinadella propria casa di Lugo. Unavarietà che potrebbe fare invidiaaddirittura a un negozio specia-lizzato, senza contare tutti i rica-mi realizzati per le persone nelcorso degli anni che glieli hannocommissionati. «Tempo e pazien-za ce ne vogliono tanti», dice perscansare ogni dubbio, ma la ri-chiesta di questi prodotti d'arti-gianato continua: «Donne che sene intendono di ricamo, per for-tuna, ce ne sono ancora. E le ri-chieste non mancano mai». An-che il ricamo a filet, inutile dirlo,è un'attività che richiede manua-lità e pazienza: con ago e filo dicotone, si costruisce una rete lecui dimensioni variano a secondadel manufatto che si intende rea-

lizzare. Trasportato sul telaio,questo supporto diviene la “base”sulla quale la ricamatrice esegue idecori: frutta, girali vegetali, an-gioletti (il soggetto preferito dainipotini). Alcuni disegni vengonocopiati da modelli di carta chehanno quasi cento anni e proven-gono addirittura dalla Francia. Ainsegnare l'arte del ricamo alla si-gnora Loretta è stata la suocera,nel 1973: «Il segreto è capire il pro-cedimento. Ho tenuto anche deicorsi alle donne del paese che mel'hanno richiesto. Per il resto è ne-cessaria la fantasia, per inventaremotivi decorativi sempre nuovi».Per la famiglia di Teresa Zanoni latradizione più antica, tramandatadi generazione in generazione, èquella di preparare il pane in casa,facendolo cuocere in una ciotolaadagiata sotto la cenere e le braciroventi nel camino. Così, con ildoppio vantaggio del risparmio edella genuinità, si avevano ognigiorno pagnotte fresche da man-giare senza dover scendere dallecolline e andare fino giù in paese.«L'arrivo della stufa ha facilitatomolto la cottura» spiega l'espertafornaia, ma gli ingredienti riman-gono sempre gli stessi: «Farina,acqua, latte, sale e lievito di fari-na». Procedimento apparente-mente semplice, anche se perònon tutti riescono a ottenere glistessi risultati. E ovviamente civuole la passione, precisa l'ottan-tenne: «Quella di alzarsi presto lamattina e impastare...». Difficile,con i ritmi dei tempi moderni.

Anche se potrebbe essere un'al-ternativa (dal punto di vista eco-nomico e della genuinità) da ri-scoprire anche oggi. Come chicuoceva i panini in casa, in Val-pantena, fino a qualche decenniofa, c'era anche chi i vestiti preferi-va farseli confezionare dal sarto.Arnaldo Morbioli il mestiere hainiziato a impararlo quando ave-va quattordici anni e i genitori l'-hanno mandato a bottega in unasartoria del paese, dove è rimastoper dieci anni. «Allora si impara-va guardando e lavorando tanto»esordisce il settantasettenne. Ilprimo passo, ricorda, «era quellodi imparare a tenere in mano l'a-go e il ditale, quindi ti insegnava-no a cucire sottocolli e bottoni.Piano piano si arrivava alle ta-sche. A forza di guardare chi erapiù esperto, ho iniziato a tagliarele stoffe per confezionare abiti in-

Cultura

Aprile 201130

teramente a mano». Un'abilitàche gli ha dato la spinta per aprireuna casa-bottega in centro aGrezzana (negli anni dal 1957 al2000), dove proponeva alla pro-pria clientela (maschile e femmi-nile) giacche, cappotti, tailleurscon l'aiuto della moglie AdrianaSalvagno e di alcune aiutanti.«Nei periodi di festa, si lavoravafino alle 4 di mattina», perché perrealizzare un abito “come si deve”– dal disegno al momento cru-ciale della prova («è lì che si vedel'abilità di un vero sarto» precisa)– occorrevano fino a 40 ore dipaziente lavoro. Il giro di cliente-la, quello non mancava mai: «Al-cuni clienti mi chiamano ancoraoggi che sono in pensione» con-fessa con una particolare soddi-sfazione. Così come non sonomancate le aspiranti sarte che so-no passate dal laboratorio diMorbioli per apprendere i segretidel mestiere. In poche hannoproseguito: troppi sacrifici e dif-ficoltà da affrontare. E, rispetto alpassato, le abitudini sono cam-biate: «Il cliente, oggi, probabil-mente non avrebbe più il tempodi andare dal sarto a provare e ri-provare un abito fino alla perfet-ta realizzazione». Con i prezzi inmolti casi si è abbassata anche laqualità, che solamente l'occhioattento di un sarto alla “vecchiamaniera” riesce ormai a ricono-scere. Tornare al modo di lavora-re del passato, per certe attività,non è più possibile. Cercare di te-nerne in considerazione alcunidegli insegnamenti, meglio anco-ra se riadattandoli ai nuovi mer-cati del lavoro, quello sì che è in-dispensabile.

A sinistra: Teresa Zanoni prepara il pane. A destra: Loretta Troiani mentre ricama

Il sarto Arnaldo Morbioli con la moglie Adriana Salvagno

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Focus

di Bruno Avesani

Quando la disoccupazione giovanile au-menta di giorno in giorno fino a toccare agennaio di quest’anno, secondo le stimedell’Istat, il record del 29,4 per cento equando la disoccupazione in generale, an-ch’essa in crescita, coinvolge l’8,6 per centodella popolazione, si va a cercare anche nellamicroscopica nicchia dei “mestieri dimenti-cati” una piccola speranza per migliorare ildesolante quadro complessivo. Si tratta diattività che appartengono alla società conta-dina che ci siamo lasciati alle spalle.Facciamo l’esempio del sarto. Un temporicopriva il ruolo di artigiano intelligente,creativo, abile di mano e di testa, quasil’intellettuale del paese, dopo il parroco eil farmacista. Cancellato dall’organizza-zione industriale del lavoro, o è diventatoil creatore d’alta moda proprietario dellasua maison d’haute couture o è stato de-classato a esecutore di monotoni processimanuali, per i quali non si richiede nessu-na preparazione particolare.La tradizionale figura del sarto di paese odi quartiere, gratificato artigiano-artistaautonomo e indipendente, può ancoraesplicare la sua creatività e operatività nel-la moderna organizzazione del lavoro e delcommercio? Per le figure di lavoratori di-

pendenti richieste dalle industrie, il rap-porto 2010 di Unioncamere dice che, afronte di circa 550 mila possibili nuove as-sunzioni, le aziende non trovano oltre147mila lavoratori, tra installatori di infis-si, panettieri, pasticceri, sarti, falegnami ecuochi. In particolare, per quanto riguar-da i sarti, il rapporto sostiene che manca il21,9 per cento dei 1.960 sarti e tagliatoriartigianali richiesti dalle aziende. Ma que-sti lavori di sarto e intagliatore, che nessu-no vuole fare, che lavori sono? È il sarto diuna volta o è diventato semplice control-lore di una macchina che taglia e cuce? Questi mestieri, che assomigliano a quellivecchi, e che molti si rifiutano di fare, do-vrebbero essere chiamati con nomi nuoviperché con i loro antenati hanno poco daspartire. E prima di lanciarsi in crociatecontro i giovani fannulloni, bamboccioni,incapaci di sporcarsi le mani si dovrebbegarantire a tali nuove occupazioni accetta-

bili livelli di gratificazione con contratti esalari che permettano di formulare pro-getti di vita.Inoltre va riformulata l’organizzazionedella formazione scolastica e professionaleper eliminare quella separazione netta chec’è tra il mondo della scuola e il mondodel lavoro. I nuovi lavori vanno conosciu-ti, se non addirittura sperimentati, già nel-l’età scolare.Oggi gran parte della preparazione cultu-rale acquisita dai giovani non viene utiliz-zata. È una risorsa che viene sprecata,mentre potrebbe aiutarli a trovare un la-voro nuovo e gratificante e a migliorarel’efficienza del sistema.Si può fare il “nuovo sarto” utilizzando co-noscenze storiche, artistiche, meccaniche,chimiche e inserendosi in nuovi sistemiproduttivi che valorizzino il lavoro ma-nuale e lo integrino con quello progettualee finanziario.

Oggi ci sono mestieri cheassomigliano a quelli vecchi.

Dovrebbero però essere chiamaticon nomi nuovi perché con i loroantenati hanno poco da spartire.

Si può fare il “nuovo sarto”utilizzando conoscenze storiche,artistiche, meccaniche, chimiche

e inserendosi in nuovi sistemiproduttivi che valorizzino

il lavoro manuale e lo integrinocon quello progettuale

e finanziario

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RIMEDI CONTRO LA CRISI

Capire come i lavori si trasformanoserve a far nascere nuove opportunità

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di Fabiana Bussola

“Noi vogliamo una Chiesa delNord”. La frase che intitola un ca-pitolo di Padroni a chiesa nostra –Vent’anni di politica religiosa dellaLega Nord, scritto da Paolo Ber-tezzolo per la Emi e uscito a finefebbraio, riassume la questione difondo che ha motivato la stesuradel libro. La sparata è esplicita enon è un’esagerazione strumen-tale, bensì dice la verità: se all’ini-zio infatti il movimento di Bossiha ignorato il cattolicesimo e lagerarchia vaticana, con il crollodella prima Repubblica le cose

hanno cominciato a cambiare. Losostiene l’autore, già professore distoria e preside del liceo Galilei,impegnato nel sociale e presiden-te delle Acli veronesi dal 1976 al1981, che afferma di aver condot-

to la sua ricerca innanzi-tutto perché «in quan-

to credente cattolicosogno una Chiesa

capace di annun-ciare il Vangelo

con quella fi-ducia nel-

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Paolo Bertezzolo nel suo libro spiega come è cambiato nel tempo il rapporto della LegaNord nei confronti della Chiesa

l’uomo propria del Concilio vati-cano II». Il lettore a cui Bertezzo-lo ha pensato è quindi la chiesa,dai suoi pastori ai fedeli, che sem-brano non rendersi conto – o per-lomeno, non lo hanno fatto permolto tempo – della cesura che i«principi non negoziabili» fon-danti per la Lega stanno operan-do nel tessuto sociale cattolico.Siamo negli anni Ottanta: Um-berto Bossi fonda con RobertoMaroni e Giuseppe Leoni la Legaautonomista lombarda, che pocopiù tardi, nel 1984, diventa la Le-ga lombarda. Solo tre anni dopoBossi entra in Senato. Negli stessianni la Chiesa vive la stagione delconvegno ecclesiale di Palermo(1985), in cui le parole di Giovan-ni Paolo II (“la chiesa non intendecoinvolgersi con alcuna scelta dischieramento politico o di parti-to”) sottolineano, almeno in lineadi principio, il pluralismo politi-co dei cristiani. Sono gli anni del-la caduta della DC, del passaggiotra la prima e la seconda Repub-blica e dell’apertura di un nuovocorso, quello segnato dal cardina-le Camillo Ruini.Nel 1991, al primo congresso na-zionale della Lega, le parole diBossi non lasciano dubbi: mentregli sbarchi di clandestini da est eda sud interessano la cronaca, èdal pulpito leghista che la denun-cia verso i migranti si leva a siste-ma politico e in risposta alle vociforti di Caritas e Migrantes, chesostengono le ragioni di chi fugge

da miseria e persecuzioni, Bossiafferma che la Chiesa, in crisi divocazioni, appoggia l’ingresso in-discriminato dei migranti perrimpolpare i seminari ormai vuo-ti. «La sparata denuncia un datodi fatto – afferma Bertezzolo –: laLega è radicata nel concetto del-l’etnia. Un principio identitariomutuato da Bruno Salvadori,fondatore dell’Union Valdôtaine,secondo il quale l’etnia non è unaquestione di sangue, bensì un’a-desione totale a pari credenze,tradizioni, lingua, senza mesco-lanze culturali. Le etnie, che oggivivono senza uno Stato, dovran-no costituirne uno indipendentee sovrano, in cui essere autonomee tutelate». Padrone a casa loro,insomma.

GLI EQUILIBRI DI RUINI E IL PARTITO

“NON AFFIDABILE”

Che ricaduta ha questa visionenel rapporto con la Chiesa? «Laminaccia separatista è stata subitostigmatizzata proprio dal presi-dente della Cei Ruini – continual’autore –, che ha condotto neglianni una guerra di posizione percontrastare le spinte separatiste,siglate nel primo articolo dellostatuto della Lega. Inoltre, Ruininon ha mai smentito le paroledella Caritas e di Migrantes in fat-to di solidarietà e apertura ai mi-granti, toccando uno dei puntisostanziali della propaganda le-ghista. Non sono mancati gli

torno alla messa tridentina e del-l’annullamento del Concilio Vati-cano II.«Dai documenti ufficiali sembrache ci sia un ritardo nella com-prensione della reale portata delfenomeno leghista – incalza Ber-tezzolo –. La minaccia consistenella distruzione del fondamentodell’annuncio cristiano, basatosull’apertura all’altro, all’ultimo,allo straniero. Essere cattolici si-gnifica avere una visione mondia-le dell’umanità e ciò è esattamen-te l’opposto di quello che la Legasi prefigge. Nello stesso tempoperò la presenza sul territorio delpartito è capillare, ma lo è purenelle parrocchie. Ci si scontracon l’arcivescovo di Milano,prima il cardinale Martini,oggi con Tettamanzi e si ot-tiene lo svuotamento pro-gressivamente delle chiese,o perché tanti cristiani ri-conoscono l’incongruen-za dei valori della Legarispetto al messaggioevangelico o perché, alcontrario, l’elettorato

Cultura

33inVERONA

scontri, anche mol-to duri nei toni daparte dei leader delCarroccio, anche se cisono stati contatti po-sitivi specie con RobertoMaroni, nelle vesti di mi-nistro del lavoro e dellepolitiche sociali. È innega-bile che il presidente dellaCei abbia prediletto il dialogocon lo schieramento di centro-destra, ritenuto il più affidabilein quanto al rispetto dei princi-pi non negoziabili della dottri-na cattolica. Ma questo non hafatto della Lega un interlocuto-re credibile per la Cei».Il «baraccone burocratico», co-me Irene Pivetti definì la confe-renza episcopale, scusandosipoi in seguito, è frequentato in-vece da Giuseppe Leoni, tra ifondatori della prima ora e pre-sidente dell’Associazione cat-tolici padani, che sostiene diattenersi ai «dettami delladottrina sociale dellaChiesa cattolica», cui siaffianca Padania cri-stiana, presieduta daMario Borghezio,entusiastico so-stenitore del ri-

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leghista non si riconosce più nellachiesa che contesta il reato di im-migrazione clandestina. Quelloche resta del cattolicesimo, conl’insieme di tradizioni e riti po-polari, viene fagocitato nel parti-to: non mi pare una prospettivatanto diversa da un qualunquesoggetto totalitario».

IL PLURALISMO CHE MANCA

Quindi l’apertura ai lefebvrianicon il motu proprio sulla liturgiatradizionale, pronunciato da Be-nedetto XVI nel 2007, ha legitti-mato le posizioni di Padania cri-stiana sul territorio? «Fatti comequelli accaduti a Verona, primacon i legami tra i tradizionalisti ela figura di don Floriano Abra-hamowicz, che aveva espressodei dubbi circa l’esistenza dellecamere a gas e dello sterminiodegli ebrei, poi con la battagliaper la sottrazione della chiesa diSan Pietro Martire ai luterani,sono lo specchio di un processoin atto. Mi è spiaciuto che la co-munità luterana, impegnata aVerona in un percorso ecumeni-

co molto delicato, sia stata priva-ta della chiesa prospiciente alduomo. Il segnale non mi è parsopositivo, anche se non conoscobene le motivazioni. Mi ha colpi-to invece come questa minoran-za di tradizionalisti si sia espres-sa in termini duri, come se i lute-rani non fossero nemmeno cri-stiani. Credo però che le respon-sabilità di questi fatti non sianoda imputare solo a una minoran-za combattiva. L’influenza politi-

Cultura

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L’Associazione Guide Turistiche Autorizzate di Verona eProvincia ASSOGUIDE è composta da 23 guide turistichetutte in possesso del patentino rilasciato dalla Provinciadi Verona in base alla Legge Regionale del 4 novembre2002, n. 33.

L’Associazione unisce passione ed entusiasmo ad un co-stante lavoro di aggiornamento e approfondimento. Le lin-gue straniere nelle quali i soci ASSOGUIDE possono forni-re il loro servizio sono: inglese, francese, tedesco, spa-

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ca ha avuto il suo peso: tradizio-nalismo cattolico, estremismo didestra e Padania cristiana, quin-di Borghezio, sono molto vicini aVerona. Inoltre a monte c’è unproblema ingombrante: la Chie-sa deve accettare di annunciare ilVangelo in una società secolariz-zata e in reale pluralismo religio-so. Se ci fosse questa consapevo-lezza da parte della Chiesa, anchedi quella locale, non penso che sisarebbe tolta la chiesa di San Pie-tro martire ai luterani. Non bastaprendere atto del cambiamentoin corso nella società: occorronostrumenti culturali e pastoraliper rispondere alla realtà di oggi.Se accetto l’esistenza di una so-cietà secolarizzata, non posso ce-dere al desiderio di trasformareil mio doveroso richiamo al ri-spetto di valori per me non ne-goziabili in una pretesa, più omeno esplicita, di trasformareciò in leggi dello Stato. Lo hascritto anche don Bruno Fasani:il rischio è che si istituisca undoppio magistero, uno dellaChiesa e uno della Lega».

«Tradizionalismocattolico, estremismo

di destra e Padaniacristiana, quindi

Borghezio, sono moltovicini a Verona»

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Focus

di Gian Maria Varanini*

Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scor-so la cultura accademica sentì il bisogno direinterpretare la vicenda plurimillenaria delleterre poste tra l’Adige, la Livenza e il Po, e lo fececon la Storia della cultura veneta dell’editore vi-centino Neri Pozza. Fu un’operazione scientifi-ca e culturale importante, e nel suo genere per-fettamente riuscita, compiuta nel momento de-finitivo del superamento della povertà e delboom economico del “modello veneto”. Ma ap-punto, fu un’operazione della cultura accade-mica, che affrontava con prudenza e sottili di-stinguo, il tema della riconoscibilità di un’iden-tità regionale.Contemporaneamente, però, si veniva inizian-do anche una riflessione di alcuni intellettuali estorici veneti di varia estrazione e orientamen-to, che in modo molto più incisivo lanciaronodei segnali molto importanti a proposito delmalessere che le società del Nordest italiano vi-vevano allora. La loro estrazione culturale e po-litica non permette certo di incasellarli come“intellettuali organici” di un movimento auto-nomista (che non esisteva). Costoro cercaronoperò di mettere a fuoco alcuni tratti della «ap-partenenza ad una lingua, una storia, una cul-tura, un territorio», corredata da alcune «carat-teristiche morali» e «declinabile alla prima per-sona plurale», come un “noi”: quella «identità»che in un contesto politico e culturale diversis-simo, nel 2001, portò persino alla redazione diun manuale per le scuole, finanziato dall’asses-sorato regionale alla cultura e identità veneta(recentemente istituito), intitolato Noi Veneti.Viaggi nella storia e nella cultura veneta. I tre vo-lumi, dedicati a storia, lingua, letteratura, furo-no curati da uno studioso di razza come il lin-guista Manlio Cortelazzo.Di chi si trattava (facciamo, ovviamente, soloalcuni esempi)? Erano intellettuali provenientida ambienti di “sinistra”, e legati al mondo poli-tico e sindacale cattolico. Nell’osservare e giudi-care la realtà veneta, essi misero innanzi a tuttol’adesione profonda dei “veneti” a una dimen-sione popolare (la comunità, l’appartenenza re-ligiosa), che prescindeva dallo Stato quandonon lo considerava ostilmente. Possiamo collo-care in questa prospettiva l’opera di un sociolo-

go e antropologo culturale come Ulderico Ber-nardi, che nel 1986 pubblicò il suo più grandesuccesso, il suggestivo affresco Paese veneto.Dalla cultura contadina al capitalismo popolare.Nel contesto veronese è soprattutto FedericoBozzini che, criticando lo stereotipo di «bovinarassegnazione» che etichettava i veneti («sotto-messi, laboriosi, rimbambiti di grappa alle 8 dimattina; chiamati per cognome e nome, inva-riabilmente rispondono “comandi!”»), arriva –lui legato alla sinistra Cisl e al dissenso cattolico– a parlare di «popolo veneto», di «nazione ve-neta», e a constatare il distacco profondo tra la«nostra terra» e lo stato unitario (L’arciprete e ilcavaliere. Un paese veneto nel Risorgimento ita-liano, Roma 1985). In quei decenni, inoltre, intutto il Veneto fiorivano le “storie di paese”: ri-cerche spesso pregevoli, che avevano invariabil-mente al centro il tema del passato rurale, delle«nostre radici», la nostalgia della società rurale.Questo atteggiamento fu ulteriormente incar-nato, a Verona, da Dino Coltro, non a caso an-ch’egli proveniente dal mondo sindacale catto-lico, e per un versante della sua complessa ri-flessione (nei libri, segnati dal rimpianto, dedi-cati alla Lessinia, alla Valpantena, che fanno dasfondo alla “megalopoli padana”) anche da Eu-genio Turri. Non si deve pensare che queste ri-flessioni, se non forse il generico riferimentosentimentale al ruralismo (col corollario della“naturalità”ecologica), siano penetrate davveronella coscienza collettiva. Si tratta pur sempredi riflessioni di intellettuali, del pensiero di unaélite. Ma il fatto stesso che personaggi comeBernardi, Cortelazzo, Bozzini siano arrivati ariconoscere e condividere il mito della laborio-

sità rurale, a considerare una dimensione vitalee positiva l’appartenenza religiosa e il solidari-smo cristiano, arrivando a constatare e implici-tamente legittimare un certo qual rifiuto delloStato, un disagio profondo che serpeggiava,spiega almeno in parte perché la Lega in Venetoha potuto occupare negli ultimi quindici annitanto spazio sociale. I profondi elementi di ve-rità presenti in quelle analisi non furono colti esviluppati dal mondo politico e culturale deipartiti del centrosinistra, che li ignorò e li ri-mosse, perdendo l’occasione per entrare in“sintonia” con ampi settori della società veneta;e continuò a leggere il passato recente del Vene-to se non attraverso categorie vetuste.Non ci fu bisogno infatti di un grande sforzo dirilettura o di reinterpretazione del passato ve-neto, e per intercettare quel disagio e creareconsenso bastarono degli stereotipi abbastanzaelementari. Furono sufficienti le riflessioni diquegli studiosi “venetisti” che si avventuranonella nebbiosa lontananza delle origini di queiVeneti pre-romani, che avrebbero conservatonel tempo le loro stigmate culturali, saltano apié pari il momento della romanizzazione el’intero medioevo, e arrivano poi a una letturaschematica e deludente della storia della repub-blica veneta e della sua Terraferma, dal Quat-trocento in poi. Non solo essa è vista in modoacriticamente positivo e segnata dalla graniticafedeltà delle popolazioni rurali a San Marco,con i momenti di difficoltà (la guerra della legadi Cambrai e la sconfitta di Agnadello, peresempio) spiegati in termini di mero tradimen-to e di mera invidia delle altre potenze. Mamanca soprattutto la presa di coscienza del po-licentrismo urbano (di derivazione comunale),che caratterizza la Terraferma dal Quattrocentoal Settecento; Venezia e l’attuale Veneto appaio-no, in modo totalmente astorico e quasi carica-turale, come un blocco monolitico.Occorre dunque incalzare anche su questo ter-reno i nostri amministratori: aiutarli a smitiz-zare l’identità veneta, a comprenderne la com-plessità e la ricchezza. E chissà, forse un giornopotremo sentire i nostri amministratori citarePiovene o Meneghello.

* Professore ordinario di Storia medioevaleUniversità di Verona

UN POPOLO, UNA TERRA

Identità venetae ricerca storica recente

Nel contesto veronese è soprattutto Federico Bozzini

a criticare lo stereotipo di«bovina rassegnazione» che

etichettava i veneti. Egli parla di «popolo veneto», di «nazione

veneta», evidenziando il distacco profondo tra la

«nostra terra» e lo stato unitario

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Attività

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di Marta Bicego

Nelle sue mani pastelli e gessettivariopinti danno vita a curiosianimali e ad affascinanti perso-naggi immersi nella natura cheinsieme diventano i protagonisti,soltanto nello spazio di una tavo-la, di avventure straordinarie.Narrare una storia attraverso po-chissimi tratti di matita e colore: èquesta la magia del disegno perValentina Montemezzi, grafica diprofessione – che si è formata suibanchi della Scuola San Zeno – eillustratrice (come ci tiene a pre-cisare) quasi «per caso». Compli-ce un talento innato, la sua pas-sione per il disegno si è risveglia-ta, infatti, sfogliando le pagine diun libro illustrato da un artistafrancese: «Mi ha colpito perché,con pochi tocchi e due colori, rac-conta una storia incredibile»spiega la ventiseienne. A conqui-starla fin dal primo sguardo è sta-to il grande fascino di «un mondoche può sembrare dedicato esclu-sivamente ai bambini, ma in real-tà è destinato a far sognare anchegli adulti, soprattutto quelli chehanno conservato un legame spe-ciale con la propria infanzia». Poi,prosegue, «il mio percorso for-mativo ha preso una direzione di-versa e soltanto negli ultimi anni,attraverso altre strade, mi sono ri-trovata ad avvicinarmi all’illu-strazione. Forse era destino cheandasse così...».

DISEGNO

Magie che nasconoin punta di pennello

Valentina Montemezzi è grafica e illustratrice: «Quello delle illustrazioni è un mondo che può sembrare dedicato esclusivamente ai bambini, ma in realtà

è destinato a far sognare anche gli adulti, soprattutto quelli che hannoconservato un legame speciale con la propria infanzia»

Mettersi davanti a una tavola «ècome scrivere una storia: imma-gini un luogo, un tempo, un co-lore, una sensazione e ci fai vive-re dentro i protagonisti. Mentredisegni, fai prendere vita ai per-sonaggi e mano a mano ti affe-zioni, li pensi, li immagini, vuoifarli più belli, brutti oppure sim-patici, desideri fargli compieretante avventure all’interno deldisegno. E ne hai nostalgia quan-do la storia finisce», spiega. Pote-re della creatività, rivela la giova-ne illustratrice, che insegna «aguardare la vita da una nuovaprospettiva. A non fermarsi maialla semplice apparenza, ma a os-servare più a fondo le cose, persvelare sempre qualche piccolasorpresa». Lasciarsi catturare daidettagli oppure dalle sfumaturedi un disegno è, tanto per chi locrea quanto per chi lo osserva(siano grandi o piccini), quasicome affrontare un viaggio trasensazioni, impressioni e ricordi.La maggior parte delle illustra-zioni di Valentina Montemezzinascono proprio dal vivere quo-tidiano: «Nell’osservare e coglie-re il mondo circostante pieno dimovimento, colori e confusionemi viene voglia di “isolare” unparticolare, il più delle volte na-scosto. Da lì, di solito, comincia asvilupparsi attorno la vicenda.Altre volte si tratta “semplice-mente” di interpretare le parolescritte da altri e usare l’immagi-

Valentina Montemezzi

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Attività

37inVERONA

nazione per renderle vive». Per fa-re ciò, prosegue, servono la tecnicae ovviamente una buona dose dicreatività: «Di solito utilizzo i co-lori acrilici, ma poi la fantasia e illato giocoso del disegnare prendo-no il sopravvento e portano qual-che novità nella realizzazione diogni tavola: un collage, dei pastellio dei gessetti che si mescolano tradi loro».Lo scorso dicembre ValentinaMontemezzi ha esposto una dellesue creazioni nella sezione allievidella mostra d’illustrazione perl’infanzia di Sarmede, Le immagini

della fantasia: un appuntamentointernazionale che si tiene ognianno nella Marca trevigiana. Unbuon banco di prova, ma soprat-tutto un’esperienza splendida, co-me si intuisce dall’entusiasmo conil quale la descrive: «Ho seguito uncorso con il maestro Svjetlan Juna-kovic, artista e famoso illustratorecroato – racconta –. Trascorrereintere giornate immersi completa-mente nelle illustrazioni, condivi-dendo l’impegno, la gioia, le espe-rienze (e anche la casa) con altrepersone che hanno la tua stessapassione non capita tutti giorni e

fa venire voglia di proseguire suquesta strada…» confessa. Tra iprogetti futuri della promettentecreativa ci sono «la fiera del libroper ragazzi di Bologna e un nuovocorso a Sarmede. E poi tanti altricorsi di formazione per migliora-re. Sarebbe bello riuscire a pubbli-care presto un picture book tuttomio...». La storia, già c’è: è quelladi una bambina che cammina nel-la neve e incontra un pettirosso...Come va a finire? Lo scopriremopresto.

[email protected]

«Fai prendere vita ai personaggi eti affezioni. Li pensi, li immagini,

vuoi farli più belli, più brutti,oppure simpatici. Desideri fargli

compiere tante avventureall’interno del disegno.

E ne hai nostalgia quando la storia finisce»

Lo scorso dicembreValentina Montemezziha esposto una delle suecreazioni nella sezione

allievi della mostrad’illustrazione per

l’infanzia di Sarmede,Le immagini della

fantasia: unappuntamento

internazionale nellaMarca trevigiana

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di Cinzia Inguanta

Direttamente dalla forza vitale edall’energia di Eva Cacciatori eSonia Peroni nasce l’associazioneculturale JOY il cui slogan è dacosa nasce cosa. Il desiderio eraquello di riuscire a creare unospazio di relazione in cui potervalorizzare la creatività e perse-guire la realizzazione personale.Un luogo dove incontrarsi, scam-biare idee, realizzare progetti, unluogo aperto, multifunzionale,“in movimento”, con un occhiosempre attento al recupero deimateriali e all’ambiente.Un punto d’incontro per chi cre-de nell’artigianato realizzato conpassione, nel riutilizzo creativo dimateriali e oggetti, nel re-design,nel baratto.Varcando la soglia del civico 32di via Carducci si entra in unmondo magico di scatole cinesi.Il primo spazio che si incontra èquello dove si trovano abiti, ac-cessori, oggetti e complementi diarredo originali, ispirati all’artedel recupero: prodotti artigianal-

mente e realizzati con materialidimenticati o scartati che in que-sto modo si arricchiscono dinuovo significato e possono dareancora gioia.Proseguendo si trova lo spaziodel “baratto” perché le cose nonsi buttano, si cambiano! In que-sto modo, abiti e accessori cheabbiamo amato avranno unanuova opportunità di vita. Perrinnovare il guardaroba diver-tendosi, Eva e Sonia organizzanoperiodicamente eventi a tema de-dicati allo scambio: veri e propriswap parties dove scambiare abitie accessori con gli amici all’oradel tè o fare nuove conoscenzesorseggiando un aperitivo.L’associazione, avvalendosi dellacollaborazione di Marina Bassi eMauro Marchesi, propone unaserie di workshop indirizzata achi desidera approfondire la co-noscenza dei più aggiornati soft-ware e le tecniche tradizionaliutilizzate per la creazione di ope-re grafiche, letterarie e musicali.

Un’altra interessante offerta del-l’associazione è quella della “di-dattica creativa” rivolta a opera-tori, insegnati e a tutte le personeche hanno a che fare con il mon-

do dell’infanzia e dei bambini.Alla base dei singoli percorsi diformazione c’è l’idea, comune econdivisa, di un fare creativo chepossa essere strumento per arri-vare a educare in maniera armo-niosa e globale attraverso mate-riali di riciclo, dove la scoperta ela ricerca sono parte integrantedel fare educazione. Le esperien-ze, vengono proposte in piccoligruppi per dare una maggior va-lenza esperienziale al percorso.Sono moltissimi i servizi offertida JOY che vanno dall’interior re-looking (che altro non è se non ilrinnovo del look della casa, del-l’ufficio o anche di una singolastanza) alla realizzazione di pan-nelli decorativi, punti luce, com-plementi d’arredo e allestimenticreativi e personalizzati.In sintonia con la nuova filosofiadel co-working, JOY offre, a chiavesse bisogno di uno spazio in cuisvolgere la propria attività e il desi-derio di ridurre i costi di gestionedi un ufficio proprio, luoghi estrutture adeguate e soprattutto lapossibilità di creare relazioni.

Attività

Aprile 201138

ASSOCIAZIONE JOY

Da cosanasce cosa

Uno spazio-contenitore della creativitànel quale incontrarsi, realizzare nuovi

progetti, scambiarsi idee, barattare abiti oppure accessori usati. L’hannocreato Eva Cacciatori e Sonia Peroni

al civico 32 di via Carducci

Per rinnovare il guardaroba

divertendosi, Eva e Sonia organizzano

periodicamente eventi a tema dedicati

allo scambio

Page 39: Verona In 28/2011

Una piccola lanterna accesa al ci-vico 48/A di via Carducci, segnalala presenza dell’Osteria PerBacco.Lasciatevi incuriosire ed entrate:sarete contenti di averlo fatto.Varcato l’ingresso vi sentirete su-bito accolti e avvolti in una situa-zione “soft” assai piacevole. Nonc’è niente di urlato. La luce è dis-creta. L’arredamento semplice,ma curato, riflette il calore del le-gno che è l’elemento dominante.I rumori sono ovattati, il giustosottofondo per mangiare riuscen-do a gustare quanto si ha nel piat-to e conversare, senza dover alzarela voce con il vostro commensale.L’accoglienza riservata agli ospitiè cordiale, premurosa senza esse-re invadente. In primavera e inestate si può mangiare in un deli-zioso cortile interno con palme epergolato di glicine.Come racconta Massimo Rossi,titolare dell’impresa, il PerBacconasce nel 1988 come circolo pri-

vato, con zero soldi, zero espe-rienza e grande sprezzo del ridi-colo da parte dei suoi fondatori.Per Massimo è naturale l’adesio-ne alla filosofia dell’allora neona-to movimento slow food. Cosa si-gnifica? Significa dare la giustaimportanza al piacere legato al ci-bo, imparando a godere della di-versità delle ricette e dei sapori, ariconoscere la varietà dei luoghidi produzione a rispettare i ritmidelle stagioni e del convivio.Col passare del tempo l’indispen-sabile gavetta comincia a dare isuoi frutti fino ad arrivare all’at-tuale e definitiva dimensione ditrattoria, che cerca di coniugarepiatti buoni e originali a prezzipiù che accettabili. Massimo spie-ga che «seguire la stagionalità evalorizzare ricette classiche, rivi-sitandole in chiave contempora-nea, è l’indirizzo che abbiamosempre voluto seguire». Una cartavincente, visto che la trattoria è

menzionata in alcune prestigioseguide internazionali.Il menù proposto è vario: spaziadalla carne al pesce, segue ovvia-mente la stagionalità dei prodottiortofrutticoli, ma la cosa più bellaè che ci sono sempre delle propo-ste fuori dalla lista dai sapori im-perdibili per cui si finisce semprecol chiedere cosa c’è oltre il me-nù. È come quando si va a fare laspesa e si cambia il programmadel pranzo o della cena perché sitrova qualcosa di speciale: dellemelanzane lucide e panciute, cheimplorano di essere cucinate, delpesce freschissimo, annegato inun delizioso sughetto che condi-sce la nostra pasta. Irrinunciabilile orecchiette con la zucca e lacrema di zucchine, profumatacon il basilico, o quella al radic-chio rosso. Altra gradevole sor-presa è il caffè fatto con la moka.A tutto questo dovete aggiungereil fatto che, per un pasto comple-to, è difficile superare i 20 euro.Quasi incredibile, ma è tutto nelrispetto di un’autentica filosofiaslow food in cui il piacere alimen-tare, non è più riservato soltantoa pochi, ma diventa godimentoalla portata di tutti.

Cinzia Inguanta

Attività

39inVERONA

SLOW FOOD

Perbacco, la cucinadai sapori intelligentiCibi sapientemente cucinati, selezionti per qualità e luogo di produzione

Massimo Rossi

«Seguire lastagionalità e

valorizzare ricetteclassiche, rivisitandole

in chiavecontemporanea, è

l’indirizzo cheabbiamo semprevoluto seguire».

Una carta vincente,visto che la trattoria

è menzionata inalcune prestigiose

guide internazionali

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Territorio

Aprile 201140

La Palude del Busatello è una del-le poche zone umide d’acqua dol-ce rimaste dopo la bonifica delleValli Grandi Veronesi. È soprav-vissuta, pur tra mille difficoltà, al-le grandi trasformazioni che han-no interessato le aree umide ita-liane a partire dal 1800, propriograzie allo “sfruttamento” opera-to dall’uomo. Da sempre, infatti,le popolazioni locali “coltivano”la palude per tagliare il carice e lacanna, impedendo in questo mo-do il progressivo degrado ambien-tale della palude stessa. Il Busatellonon corre più il rischio di scompa-rire: nel 1996 il comune di GazzoVeronese ha acquistato la parte ve-neta della palude e l’ha concessa ingestione al WWF Italia.L’oasi, si estende su un territorio dicirca 90 ettari tra le province di Ve-rona e Mantova. Fino dal 1981, laparte lombarda della palude era

stata dichiarata “Oasi naturale del-la flora e della fauna” e poi inseritanell’elenco delle “Zone umide diimportanza internazionale” se-condo la convenzione di Ramsar,adottata da 130 Paesi, che prevedela salvaguardia delle zone umideconsiderate più importanti almondo e delle specie animali chevi trovano habitat ideali (per l’areaveneta l’inserimento in tale elencoè in fase di attuazione).A convincere gli esperti interna-zionali e i funzionari statali sullanecessità di proteggere il Busatel-lo è stato il ruolo che la palude ri-copre per numerosissimi volatilimigratori. Nell’area, infatti, gliuccelli trovano le condizioniideali per svernare, alimentarsi,riprodursi e mutare il piumaggio.Un’altra caratteristica importantedell’oasi è quella di conservareancora numerose specie di piante

e fiori quasi scomparse dalla pia-nura veneta.La funzione delle oasi naturali èlegata all’esigenza di tutelare labiodiversità, l’ambiente, il pae-saggio, le attività agricole, silvico-le e pastorali promuovendo alcontempo il recupero delle coltu-re tradizionali strettamente colle-gate al territorio rurale. Mantene-re viva realtà così complesse ri-chiede non solo una vasta gammadi conoscenze tecnico-ambienta-li, ma anche un grande dispendiodi risorse umane e un continuomonitoraggio. Per le “zone umi-de” come il Busatello, l’acqua –cioè l’elemento che le caratterizzae che conferisce loro suggestionipaesaggistiche e fascino singolari– diventa anche il fattore limitan-te. Il suo livello può subire, nelcorso dell’anno, oscillazioni an-che di notevole rilievo. Questi

ecosistemi sono quindi partico-larmente delicati e infatti le zoneumide e le comunità vegetali dipiante acquatiche hanno subitonel corso di questo secolo unasensibile riduzione nel numero,nell’estensione in qualità e com-plessità. Le cause di questo decli-no sono gli interrimenti naturali,le bonifiche (da ricordare che lastessa Costituzione Italiana al-l’art. 44 considera l’intervento dibonifica di queste aree quale azio-ne preliminare per il “razionalesfruttamento del suolo”), i dre-naggi, ma anche l’inquinamentoin crescita esponenziale.Anche in questo caso il fattoreumano risulta essere determinan-te, tanto nella possibilità di pre-servare, quanto in quella di dan-neggiare.

Cinzia Inguanta

VIAGGIO NELLE OASI VERONESI DEL WWF

La palude del Busatello

È una delle poche zone umide d’acquadolce rimaste dopo la bonifica delle

Valli Grandi Veronesi

Page 41: Verona In 28/2011

Territorio

41inVERONA

di Aldo Ridolfi

Nelle ultime estati, una manifesta-zione di successo come Voci e luciin Lessinia ha individuato nel Pon-te di Veja un palcoscenico naturalee suggestivo atto a contenere spet-tacoli ove musica, gesti, virtuosi-smi vocali e strumentali bene sisono innestati con la misteriosacompostezza dell’imponente pon-te naturale: meraviglia antica dicui vi diamo alcune parziali, mapreziose, orme.

siero, gli impatti minimi delle co-se. Cercava, con il suo gregge, il te-pore felice dei versanti solatii e conla testa per aria, come le pecore,annusava profumi lontani e nuo-vi, smarrendo l’afrore dell’ovilecui si era abituato nella lunga con-divisione invernale.Sapeva di Veja, Cerèo, dall’autun-no di prima, quando le foglie ca-devano leggere posandosi a terra,accarezzandola e preparandolegratuita coltre protettiva per illungo inverno. L’aveva vista colgregge a cogliere, ultimi giorni uti-li, nei luoghi nascosti, nei siti dis-persi, negli angoli lontani del bo-sco, lacerti di prato sfuggiti all’ar-sura estiva o ad altre greggi fameli-che.E l’aveva sentita cantare la malin-conica canzone dell’inverno im-minente, sull’alto di una rupe,quando già scendeva sul suo voltola prima pioggia autunnale, legge-ra come il pensiero, struggente co-me l’amore. E l’aveva a lungoascoltata senza palesare la sua pre-senza, né quella del gregge, cre-dendo così di conservare segreti,di non esporre castissimi profili edolcissime note, sacralmente cu-stodite in Veja, a volgari commen-ti. Pretendendo di racchiudere, lì,in ristrettissimo spazio, tutte levalli, tutte le montagne, tutti i vaj,perfino l’infinito cielo. Parendogliinutile il mondo e il bosco e l’erbae la greggia stessa.Prima di loro si avvicinarono ledue greggi, come per moto spon-taneo. Si confondevano, si mesco-lavano in un indifferenziato unicoarmento, tornando poi a distin-guersi per una sorta di segni illeg-gibili che solo loro, greggi e pasto-relli, conoscevano, grazie a chiare esemplici regole.E poi vennero gli sguardi lontani ele finte, e l’impulsi frenati, e le ra-pide fughe e il pensiero ritornantenella notte. E l’attesa, venne, delnuovo mattino, apparendo infini-te le notti.Fu quando l’agnellino finì sul ci-glio della rupe, incapace di ritor-nare sui suoi passi, attraendo su disé l’attenzione, con cristallino maspaurito belare. Fu allora che Ce-rèo corse, si aggrappò, cadde, ansi-mò, ma alla fine strinse nelle gio-vani mani robuste le incerte, scal-pitanti zampette. E lo portò a Vejache lo strinse ma non ardì guarda-

Storia di due giovaniinnamorati che nelleacque della Marciora

trovarono il drammaticosigillo al loro amore

L’amore tragicodi Veja e Cerèo

Incominciamo dal Poemetto IlPonte di Veja, scritto dall’abateGiuseppe Luigi, conte Pellegrini edato alle stampe a Bassano nel1785, la cui lettura contiene nu-merosi elementi di particolare in-teresse. Quasi cinquant’anni dopo,è Girolamo Asquini a prendere lastrada per il “marmoreo ponte”, inbuona compagnia e con la preoc-cupazione costante di ricercare gliagganci tra quel sito e la genesidella Divina Commedia.Nei box a pagina 42 presentiamoalcuni passaggi in grado di illu-strare lo stile, i contenuti e lo spiri-to sia dell’abate Pellegrini, sia delconte Girolamo Asquini. Ma forseil fascino del luogo deve qualcosaanche alla leggenda di Veja e Ce-rèo, i due giovani innamorati chenelle acque della Marciora trova-rono il drammatico sigillo al loroamore. Storia oggi poco racconta-ta che noi, liberamente traendoladalla tradizione, vi proponiamo.

VEJA E CERÈO

La primavera aveva a lungo indu-giato nella valle scacciando le neb-bie, gonfiando le gemme e liberan-do antichi entusiasmi. Ma ora, ec-cola, salire svelta il pendio, rag-giungere i pianori, incunearsi nel-le gole, scacciare brevi, e stanchi,testimoni dell’inverno e correreverso le cime ancora innevate.Cerèo, giovanissimo, conosceva imovimenti antichi delle stagioni,ne prevedeva lo svolgersi, ne assa-porava i privilegi, accettandonepure le dimensioni faticose e im-prevedibili. E sentiva, sulla sua pel-le, nei gangli vitali del suo agilecorpo, nelle fantasie del suo pen-

Page 42: Verona In 28/2011

re Cerèo, lì, a un passo. Accarez-zò piuttosto l’agnello e poiscappò stringendolo al petto,ma non prima di aver accarez-zato il giovane con uno sguar-do eloquente di mille parole.Improvvisa, e indubitabile, fula coscienza che da quel mo-mento nulla sarebbe stato piùcome prima.Intanto, nel bosco, le turgidegemme si erano schiuse e lefoglie avevano vestito innu-merevoli piante, e la terra da-va erba con generosa abbon-danza e dalle sorgenti sgorga-va acqua zampillante di in-cantate nevi, lassù in alto ora-mai scomparse. Così lo sguar-do dei due giovani amanti,ovunque si posasse, trasferivala nuda terra in cielo e la vitaesplodeva ai loro occhi e inva-deva sensi incantati.Ma il fato sovrano, a loro sco-nosciuto, non dispose secon-do desideri legittimi, non ac-colse preghiere formulate sen-za parole e preparò un suda-rio tragico simile a barbarogioco, a tradimento perverso,a vergognosa e colpevole ege-monia. Acque maligne di unapiena improvvisa travolserolei e dispersero carni e vestiti ecapelli e futuri sognati e ca-rezze di occhi e di mani. Im-pietrito dal dolore, fisso losguardo, svuotato il cuore, an-nullati i pensieri, egli, Cerèo,cosciente ma sfinito, seguì Ve-ja e disperse, di se stesso, tut-to, tranne il ricordo.Parvero indifferenti le limpidefoglie, i freschi fili d’erba, ledisperse greggi, i silenzi mon-tani, gli uomini che vennerodopo: ma noi sappiamo cheapparenti e silenziose indiffe-renze testimoniano spessopartecipazioni così intime daessere più vere del vero.

Il ponte di Veja”, raccolto nei Poemetti, racconta diun’escursione compiuta dal Pellegrini al Ponte diVeja con alcuni amici, tra questi la contessa Stella,moglie del conte Gaspar de’ Medici, nata da Persi-co, che insiste presso l’abate affinché abbia a rac-contare in versi il fascino agreste di quella loroescursione. Ecco alcuni stralci.

Era dolce il veder a lei soggettitre adulti figli, e de gli adulti figlile caste mogli, e i picciolin nipotitutti intenti a giovar, spiranti tuttigiovenile allegrezza, e tutti pienidi candor puro, omai sol de le selveromito abitator. Quivi l’amorede i dolci parti; la concordia quivide i ben guardati talami, e la fede,e il pudore, e il timor santo de i Numi.

A mirar attoniti l’incanto,che offriva al passo la cedente scenadi vitiferi colli aprichi gli uni,e di biade dorati; e gli altri opachi

e folti d’olmi, e di fronzuti cerri.Qui nido a’ lepri ermi burroni, e cespid’umil ginepro: la schiette pendici,e verdeggianti ulivi ai tordi asilopoi da le rocce giù cadenti rivi,che si perdon tra i sassi…

Egli al mattin, quando da l’erto giogo,ove avea la capanna, il flutto miratorbido rivoltar sparse fra gioghile vesti, e l’altre a i dì più gai serbatespoglie de l’idol suo!

Meno viene lo spirito; si dilegua spentoil color de le guancie; su le labbratace il respiro; il corpo torpe; e restapenzolone le braccia; e con la boccain atto aperta a mandar fuor la voceche l’aspra doglia soffoca in petto.Pur un lungo sospir larga dappoiapre al pianto la via; né de la greggia,né di se stesso più curante, torceil viso urlando…

Altri obiettivi e altro linguaggioper il conte Girolamo Asquini chenel 1829 a Verona dà alle stampepresso Bisesti editrice la Lettera IIal chiar. sig. abate D. Lodovico del-la Torre nella quale si descrive unponte mirabile formato dalla natu-ra, e due grotte curiosissime, il tut-to nel territorio della provincia diVerona con alcune osservazioni re-lative intorno alla Divina Comme-dia di Dante Alighieri: un titoloche è già un programma.Anche l’Asquini, come il Pellegri-ni compie un viaggio al Ponte diVeja; ci va in settembre, con amicie in particolare accompagna il si-gnor Valere, direttore e conserva-tore delle reali biblioteche diFrancia, nonché studioso di Dan-te: Ciascheduno nella propria vet-tura siamo arrivati di buon ora si-no a Lugo; che più oltre non si puòandare se non a piedi o a cavallo.Ma il conte Gerolamo ha portatoanche la coraggiosa consorte: Agodere di una tal meraviglia ha de-siderato venire anche mia Moglie.Lasciato Lugo, proseguono a pie-di e giunti al ponte si accorgonoche è luogo ben frequentato: Iviabbian trovato un drappello di no-

bili, e colti giovani venuti ancor es-si per veder questa meraviglia dellanatura, tutti con vari istromentimusicali per passare più lieta lagiornata e far eccheggiare que’monti d’armonie colle loro melodie.Poco dopo sono arrivati altri fore-stieri del vicin Tirolo, accompagnatida leggiadre Donzellette venuti an-ch’essi per ammirare un sì grandio-so, e magnifico spettacolo. Insom-ma, anche senza agenzie turisti-

che, quel 16 settembre, al Pontedi Veja si sono trovate, in un’alle-gra compagnia, una trentina dipersone, perfetta occasione perrimettersi in forze con un bic-chiere di vino del migliore Val Po-licella, che ci diede l’anima infon-dendoci spirito e coraggio: paroledel conte Girolamo Asquini, udi-nese trapiantato in seconde noz-ze a Verona, proprietario terrieroe, forse, falsario.

Racconti di viaggio del conte Asquini

Dai Poemetti dell’abate Pellegrini«Acque maligne diuna piena improvvisa

travolsero lei edispersero carni e

vestiti e capelli e futurisognati e carezze di

occhi e di mani»

Territorio

42 Aprile 2011

Page 43: Verona In 28/2011

di Stefano Vicentini

«Camicie rosse alla ventura in unanuvola di bandiere. Camicie rossecosì nessuna delle ferite si può ve-dere». Con queste parole il can-tautore veronese Massimo Bubolacomponeva nel 1994 il brano Ca-micie rosse, in omaggio all’impre-sa garibaldina, e concludeva poe-ticamente: «Signora Fortuna chebrilli di notte. Che ci prendi permano e ci mostri le rotte. Proteggiquesta flotta di studenti e di so-gnatori. Aggiungi al firmamento inostri mille cuori».La scommessa dell’unificazioned’Italia dovette dunque riscuote-re un irresistibile fascino in moltigiovani, grazie al carisma del ge-nerale Giuseppe Garibaldi, pas-sato alla storia come “Eroe deidue mondi”. Addirittura, com’èscritto nelle cronache, molti ven-tenni e trentenni fuggirono lette-ralmente di casa per arruolarsivolontari prima nell’esercito deicacciatori delle Alpi, poi nei Mil-le, quando si decise che la peniso-la dovesse essere unita sotto l’u-nico stemma sabaudo.Il fascino del mito si rincorre, delresto, in documenti, proclami, at-testazioni di merito e discorsi uf-ficiali, tutti altamente retorici ecelebrativi. Le alte delegazioniche Garibaldi incontra al suopassaggio, principalmente nelNord Italia, esaltano la sua figuradi liberatore dal giogo straniero eartefice di una libertà nazionalemai sperimentata in tanti secolidi storia. A bordo di vari mezzi –treno, carrozza e piroscafo – ar-riva in Veneto nel febbraio 1867:a Rovigo il 25, il 26-27 a Chioggia

e Venezia, il 28 a Lendinara,quindi a Padova, Treviso e Vi-cenza; il 7 marzo è a Lonigo, il 9 aVillafranca e Mantova, il 10 lun-go la Padana inferiore nel BassoVeronese, l’11 ancora a Veronaper salire su un convoglio ferro-viario alla stazione di Porta Nuo-va e recarsi in Lombardia.L’accoglienza, a un anno dall’ag-gregazione del Veneto (1866) alresto d’Italia, è comunque dellepiù festose con ricchezza di ap-parato. Ecco l’estratto ufficiale diun saluto nel Basso Veronese,domenica 10 marzo 1867, unagiornata piovosa che invita a sta-re in casa, ma l’arrivo di Gari-baldi assiepa la gente ai balconicon un tripudio di tricolori e ur-la: «Voi Generale entrate in unanobile terra che tanti diede prodialle vostre battaglie. Anche quiravvisate i volti dei vostri com-

pagni d’arme. A Roma, a Varese,a Marsala, a Monte Suello, a Bez-zecca volarono i Vostri Prodi.Noi abbiamo diritto al vostroamore e siamo orgogliosi diavervi un istante fra noi [...]. VoiGenerale siete il sacerdote dellalibertà, custodite il fuoco sacroeternamente, e noi eternamentesaremo con voi».Dalle altisonanti parole pronun-ciate in un borgo di un migliaiodi abitanti, ma che rimbalzanoin realtà in ogni paese o cittadinaraggiunti dall’Eroe, risulta indi-scutibile il suo carisma che giàaveva legato a sé, tra i Mille, com-battenti venuti da ogni parte d’I-talia, in particolare lombardo-veneti.Per la causa nazionale si erano

Storia

43inVERONA

VENETI E UNITÀ D’ITALIA

Rilucenti camicie rosseL’epopea garibaldina rappresentò l’eroico sacrificio dei Mille per la nostra

libertà. Anche una trentina di giovani veronesi, dal latifondista al ciabattino,seguirono Giuseppe Garibaldi arruolandosi come volontari

Garibaldi arriva inVeneto nel febbraio

1867: a Rovigo il 25, il26-27 a Chioggia e

Venezia, il 28 aLendinara, quindi a

Padova, Treviso eVicenza; il 7 marzo è a

Lonigo, il 9 aVillafranca e

Mantova, il 10 lungola Padana inferiore nel

basso veronese, l’11ancora a Verona per

salire su un convoglioferroviario alla

stazione di PortaNuova e recarsi in

Lombardia

Per la causa nazionale sierano mossi giovani diogni ceto sociale. LuigiAdolfo Biffi di Caprinomorì a Calatafimi nel1860 impallinato dalle

milizie borboniche;l’adolescente scappò di

casa e si nascose sul trenoa Milano per

raggiungere i garibaldiniin partenza a Quarto,

con un bagaglio digrandi ideali, ma morì

in terra di Sicilia

Foto con dedica e autografo di Gari-baldi alla famiglia Caravà

Page 44: Verona In 28/2011

mossi giovani di ogni ceto socia-le, dall’ufficiale in aspettativa alsoldato tuttofare, dal latifondistaal bracciante agricolo, dall’avvo-cato e dottore al droghiere e cia-battino.L’elenco in ordine alfabetico ditutti i componenti della spedizio-ne uscì sulla Gazzetta Ufficialedel Regno d’Italia il 12 novembre1878. Da questi dati, oggi ricava-bili anche nella fonte informati-ca, si trovano più di trenta solda-ti veronesi provenienti sia dallacittà che dalla montagna e dallapianura, quasi tutti d’età com-presa tra i 20 e i 30 anni.Viene, però, menzionato un casoesemplare che merita un ricordo.Si tratta di Luigi Adolfo Biffi diCaprino (nato nel 1846) che mo-rì a Calatafimi nel 1860 impalli-nato all’addome dalle milizieborboniche; l’adolescente scap-pò di casa e si nascose sul treno aMilano per raggiungere i gari-baldini in partenza a Quarto, conun bagaglio di grandi ideali, main terra di Sicilia trovò presto lamorte.Il record della minore età rimaneperò di Giuseppe Marchetti, vo-lontario veneziano undicenneche raggiunse l’isola spinto dalpadre Luigi, probabilmente pernecessità o gloria familiare. Lospirito d’avventura si scontròben presto con la cruda realtàdegli scontri militari, come testi-moniano le cronache in Meri-dione. Anche i civili dovetteroabbracciare le armi, con variemotivazioni: per difendere il re-gime borbonico, per salvare la

terra, per vendicare un conterra-neo o un familiare ucciso. Ricor-da il garibaldino Giuseppe Cesa-re Abba nel memoriale Da Quar-to al Volturno. Noterelle d’uno deiMille del 1860: «Mentre scende-vo a portare un ordine al capita-no, cantando un’arietta da cac-ciatori, incontrai un picciotto ar-mato, che mi fermò gridando:Qui si canta e lassù si muore! Emi narrò che nel combattimentodi poche ore prima era mortoRosolino Pilo lassù; e mi addita-va i colli sopra Monreale. Mortod’una palla nel capo, mentrescriveva due righe per Garibaldi.Quel povero picciotto piangeva,narrandomi il fatto; e come capìdalla parlata che io non sono si-ciliano, mi chiese mille perdoniper avermi fermato. Mi pregò dialcune cartucce, ma io, delle 11che mi rimangono, non ne vollidonare, e lo lasciai là incerto emortificato». Tutt’altro che unaffresco epico si deve insommaimmaginare la risalita militaregaribaldina della penisola. Ma,pur nel forte spargimento di san-gue, vinse l’idea dell’Unità d’Ita-lia perorata dagli autorevoli Vit-torio Emanuele II , Cavour e

Mazzini; per secoli divisa in statie staterelli, a differenza dellegrandi monarchie nazionali eu-ropee, nella seconda metà del-l’Ottocento si completò un dise-gno di libertà e indipendenza,ottenuti concretamente sul cam-po da patrioti, soldati e martiri.L’insofferenza per il dispotismostraniero poté ben più che il sa-crificio di vite umane in batta-glia, così da definire eroi tutti imorti per la causa italiana. Per-tanto molte biografie sono estre-mamente misere, rimaste nel-l’ombra, ignote persino nei paesid’origine di questi giovani presto“emigrati”. Qualcuno di loro ri-uscì in seguito a intraprendereuna carriera che ne rivelò il no-me. Ad esempio, per citare dueveronesi, i sanguinettani GiorgioCaravà e Giovanni Meritani ri-uscirono rispettivamente a di-ventare generale di prim’ordinenell’esercito regolare di VittorioEmanuele II (un’incredibile sca-lata, partita da soldato semplice)e onorevole al Parlamento Italia-no nonché filantropo in opere dibeneficenza sociale. Addiritturail pluridecorato Caravà, nonfiaccato dalla partecipazione al-l’impresa dei Mille, si distinsenella lotta contro il brigantaggioe nell’aiuto concreto durante l’i-nondazione del fiume Adige nel1882.Quanti nomi sarebbero da citare,ricordare, celebrare e onorare.Mentre scriviamo, intanto, giun-ge la notizia che in un campo-santo del sud le lapidi di moltisoldati di quell’epoca giacciononell’incuria e nel degrado, deltutto dimenticate. Questo famolto male ed è inaccettabileperché aliena dalla storia, da unasensibilità che mai dovrebbemancare.Ancora vive rimangono, invece,le parole illuminanti nell’ultimoSanremo di Roberto Benigniche, ricordando l’anniversariodell’Unità e l’inno di Mameli,morto ventenne, ha rimarcato ilconcetto che, dall’età risorgi-mentale fino a 150 anni fa, moltipatrioti sono morti perché noivivessimo, cioè ci donarono colloro sacrificio la libertà e l’ideadi un progresso che ancora oggiviviamo e continuiamo a perfe-zionare.

Storia

Aprile 201144

COSA LEGGERE

SULLA LETTERATURA

DELL’OTTOCENTO

Edmondo De Amicis,Cuore; Ippolito Nievo, Leconfessioni di un italiano;Federico De Roberto, I vi-ceré; Giuseppe Tomasi diLampedusa, Il gattopardo;Antonio Fogazzaro, Pic-colo mondo antico; LuigiCapuana, Il marchese diRoccaverdina; GiuseppeRovani, Cento anni; SilvioPellico, Le mie prigioni;Massimo D’Azeglio, Imiei ricordi; Luigi Set-tembrini, Le ricordanzedella mia vita; Carlo Bini,Manoscritto di un prigio-niero; Giuseppe CesareAbba, Da Quarto al Vol-turno. Noterelle d’uno deiMille; Alexandre Dumas,Le memorie di Garibaldi;Jessie White Mario, Vitadi Giuseppe Garibaldi;Giuseppe Bandi, I Milleda Genova a Capua; lenovelle di Giovanni Ver-ga; le poesie e i canti diAlessandro Poerio, LuigiMercantini e GoffredoMameli.

L’insofferenza per ildispotismo straniero

poté ben più che ilsacrificio di vite umane

in battaglia, così dadefinire eroi tutti i morti

per la causa italiana

L’elenco di tutti icomponenti della

spedizione uscì sullaGazzetta Ufficiale del

Regno d’Italia il 12novembre 1878. Qui sitrovano i nomi di circatrenta soldati veronesi

provenienti sia dallacittà che dalla

montagna e dallapianura, quasi tutti

d’età compresa tra i 20 e i 30 anni

Sanguinetto, fine ’800. Evento commemorativo di Garibaldi a Palazzo Betti

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loro iniziativa riesca a far avvici-nare al mondo della poesia moltigiovani (e anche meno giovani),che altrimenti non avrebbero lapossibilità di presentare le loroopere a un pubblico attento ecompetente, ricevendo in questomodo nuovi stimoli per conti-nuare il loro cammino. Alla do-

Cultura

Aprile 201146

Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio Montolli

Lungadige Re Teodorico, 1037129 - Verona. Tel. 045.592695

Stampa NE&A Print - Verona

Registrazione al Tribunale di Veronan°1557 del 29 settembre 2003

Iscrizione ROC 18748N° 28/aprile 2010

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Chiuso in redazione il 30/03/2011

inVERONA

DIRITTO DI RETTIFICAL’art. 8 della legge sulla stampa47/1948 stabilisce che “Il direttoreo, comunque, il responsabile è te-nuto a fare inserire gratuitamentenel quotidiano o nel periodico onell'agenzia di stampa le dichiara-zioni o le rettifiche dei soggetti dicui siano state pubblicate imma-gini od ai quali siano stati attribuitiatti o pensieri o affermazioni daessi ritenuti lesivi della loro digni-tà o contrari a verità, purché le di-chiarazioni o le rettifiche non ab-biano contenuto suscettibile di in-criminazione penale”.

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

Ogni secondo venerdì del mese,Al Calmiere in vicolo Broglio 2 inPiazza San Zeno si riunisce ilSimposio Permanente dei Poeti Ve-ronesi. Il Simposio nasce da unafelice intuizione di AlverioMerlo, poeta scaligero, considera-to l’erede naturale di Berto Bar-barani, che insieme ai compagnidi avventura – i poeti GiorgioMaria Bellini e Roberto Nizzetto– e grazie all’appoggio e al soste-gno di Renzo Rossi, presidentedella Società Al Calmiere, nel2006 danno vita a questa rivolu-zionaria iniziativa. Rivoluziona-ria perché alle serate del Simposiotutti possono partecipare attiva-mente, declamando i loro versi.Non un circolo chiuso e ripiegatosu se stesso, ma un luogo aperto,in cui si fa divulgazione e che di-venta una vera e propria palestraper poeti e aspiranti tali che pos-sono “allenarsi” davanti a unpubblico di amanti della poesia.Nel silenzio, tutti diventano pro-tagonisti: alcuni con un filo di vo-ce, altri con voce stentorea o per-fino roboante, altri ancora chequasi non respirano da tanto cor-rono, per terminare in fretta etornare a confondersi tra le per-sone del pubblico.Portare la poesia tra la gente, èl’obiettivo che da sempre vedeimpegnati i poeti Bellini, Merlo eNizzetto. Alcuni di voi probabil-mente ricorderanno una via Sot-toriva dai cui portici, sospese a unfilo, volteggiavano pagine di poe-sia o le serate in cui entrando inun’osteria della medesima via sipotevano ascoltare versi poeticitra un bicchiere di vino e l’altro.Sì perché la poesia, l’arte e la cul-tura più in generale, non sono ilpatrimonio di un’élite, ma appar-tengono a tutti. È da questa fermaconvinzione che prende vita ilSimposio.In questi anni di attività, gli orga-nizzatori hanno registrato unamedia di 85 persone a serata,complessivamente fino a oggi so-no stati presentati ben 186 poeti:non solo veronesi, ma anche ve-neziani, trevigiani, bassanesi, ber-gamaschi, ecuadoregni, ghanesi,cinesi, moldavi e guineani. Ben 83sono i poeti che hanno avuto illoro esordio nelle serate del ve-nerdì. I promotori del Simposiovivono con orgoglio il fatto che la

manda su quale siano i progettidel Simposio per il futuro Bellini,e gli altri con lui, hanno rispostoche «il futuro del Simposio coin-cide con il suo presente e cioècontinuare a divulgare la poesia».A questo si aggiunge un’esorta-zione che spesso Alverio Merlo ri-pete nelle serate del venerdì: «Un

pensiero, un’emozione, uno statod’animo si dimenticano, si dissol-vono, ma se li scrivi... ti resteran-no per sempre».Quindi ricordatevi che se sietedegli amanti della poesia e avetevoglia di passare una serata conpersone che condividono lo stes-so amore, l’appuntamento è perogni secondo venerdì del mese AlCalmiere insieme ai Poeti delSimposio. Se poi avete una poesianel cassetto e vi va di mettervi ingioco, potrete leggerla semplice-mente comunicandolo agli orga-nizzatori prima dell’inizio dellaserata.

Cinzia Inguanta

Simposio Permanente dei poeti veronesi

L’inverno dello stranierodi Gionatan Squillace. Pendragon Edizioni (2010), euro 12,00

Persone, sentimenti e sofferenza. Vita epoi gelo. Questi sono i protagonisti deL’inverno dello straniero, primo roman-zo breve del giovane scrittore GionatanSquillace. Un noir insolito, psicologico,dal ritmo incalzante; un ritmo che ac-compagna il lettore senza mai esasperar-lo, che lo trascina lentamente nel vorticesenza che se ne accorga. Una storia nerafatta di descrizioni volutamente “esage-

rate” grazie all’utilizzo di un linguaggio spregiudicato, estremo, denso.Un romanzo coinvolgente perché sviluppato attorno a un tema condi-viso: quei fantasmi del passato che a volte tornano, più potenti chemai, a sconvolgere il presente. Questo è ciò che accade al Risorto, pro-tagonista del racconto: killer professionista che trascorre la sua esisten-za solitaria tra le montagne della Valle d’Aosta, il contorno ideale perun uomo freddo e silenzioso ma con un cuore che ancora batte. Quelcuore che lo ha portato a ribellarsi al padre-bestia e a due fratelli senzapersonalità. L’inverno dello straniero è un romanzo fatto di pensieri eriflessioni profonde, costellato da omicidi e sangue che però non diven-gono mai protagonisti assoluti della scena.

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per difendere il lavoro e liberare i diritti

a fianco dei lavoratori e dei pensionati

contro il precariato giovanilee per salari più equi

INSIEME FUORIDALLA CRISI

CGIL - CISL - UIL VERONA

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