Verità e giustizia n.84

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9 febbraio 2012 La newsletter di liberainformazione n.84 verità e giustizia HOLDING CRIMINALE

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La newsletter di Libera Informazione

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9 febbraio 2012

La newsletter di liberainformazione

n.84

veritàegiustizia

HOLDING CRIMINALE

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Grido d’allarmedi Santo Della Volpe

>>editoriale

La “pervicace ostinazione della organizzazione crimi-nale impone che non vi sia alcun calo di tensione nella

lotta al fenomeno mafioso e che l’azione di contrasto sia massimamente tempe-stiva e serrata”: è una constatazione,ma è anche un appello, un grido d’allarme quello che, riferendosi a Cosa Nostra (ma non solo), la Direzione Nazionale Antimafia lancia a tutti. Alla magistra-tura e Forze di Polizia, ma soprattutto alla società civile nel suo complesso ed al mondo politico.

La relazione del 2011 propone infat-ti molti spunti di riflessione. Una Cosa Nostra che , dotata di una “costituzione formale” e di una “costituzione mate-riale”, ha dimostrato ampie capacità di rinnovamento; e che riprende in mano, dopo il silenzio del 2010, lo strumento dell’omicidio per la risoluzione di pro-blemi interni all’organizzazione (5 as-sassinii nella sola provincia di Palermo).

Una mafia nei cui confronti la Dna chiede “un flusso costante di nuovi, più raffinati e sempre più efficaci strumenti normativi e di risorse anche economi-che per tenere testa all’organizzazione criminale”. E capace, si nota nella rela-zione, di muoversi agevolmente anche fuori la Sicilia, soprattutto in Lazio, in Liguria ed in Lombardia dove si svilup-pa la sua “tendenza al processo di infil-trazione nel tessuto socio-economico della regione attraverso la gestione e lo sfruttamento di attività economiche apparentemente lecite ma utilizzate quale schermo per la commissione di reati finanziari e fiscali”.

E’ in queste parole l’argomento che sottoponiamo all’attenzione dei letto-ri questa settimana: quella capacità criminale che partendo dal control-lo, sul territorio, delle lucrose attività criminali(nuove e vecchie come il ra-cket, la droga e gli appalti), sposta poi ingenti risorse economiche nelle piaz-

ze finanziarie, nei luoghi degli affari e dell’economia in crisi,intervenendo per riciclare, comprare, inquinare le at-tività economiche.

Lo fa cosa nostra, ma lo fanno anche la camorra e la ‘ndrangheta,estendendosi così a macchia d’olio su tutto il terri-torio nazionale, con quella “linea del-la palma” della metafora di Sciascia, che sale verso Nord. Cammina su e giù per la penisola questa mafia della zona grigia, agevolmente, portata da personaggi apparentemente insospet-tabili, oppure più che sospettabili ,ma riciclati, anche politicamente. Nota la relazione della Dna che, nella camor-ra, ad esempio, si nota “la presenza di settori del mondo imprenditoriale,i quali,in un rapporto di reciproco van-taggio, sono portati a condividere gli obiettivi dei programmi criminosi dei clan camorristici, mettendo a dispo-sizione il proprio know-how, di cui è componente essenziale la rete relazio-nale con professionisti (commercialisti,notai,avvocati,funzionari di istituti di credito,intermediari finanziari ecc.) o esponenti politici, nazionali e locali.”

E’ lì che si annida la capacità del-le mafie di inquinare il mondo pulito

dei lavori, dei mestieri, della politica, dell’imprenditoria e del commercio: sono quei mondi dei professionisti che devono dire i “no” che contano nei mo-menti decisivi, sapendo con chi hanno a che fare, conoscendo non solo le con-seguenze dei propri comportamenti, ma l’importanza del ruolo “nazionale” del loro lavoro pulito. E’ la rinnovata coscienza nazionale , etica oltre che eco-nomica, che chiede l’Italia che rivolge il suo sguardo verso l’Europa. Per sottrarre alle mafie quei 250 miliardi di Euro an-nui dell’economia criminale in Italia; e per contrastare l’emergenza mafiosa di questi anni, la ‘ndrangheta calabrese.

La relazione della Dna è, su questa mafia, precisa e tagliente” la ‘ndranghe-ta, malgrado l’incisiva e straordinaria attività di contrasto dispiegata nel pe-riodo in esame, si manifesta e si espan-de sempre più sul piano nazionale ed internazionale, puntando a riaffermare la propria supremazia con immutata arroganza, soprattutto sul piano del-le disponibilità finanziarie, che sono ormai illimitate, e raffinando ulterior-mente il proprio agire criminale. Può affermarsi, senza tema di smentita, che la ‘ndrangheta ha caratteristiche

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di organizzazione mafiosa presente su tutto il territorio nazionale, globalizza-ta ed estremamente potente sul piano economico e militare tanto da potere essere definita presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, in-terlocutore indefettibile di ogni pote-re politico ed amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l’aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale.”

Come se non bastasse, la relazione Dna del 2011 entra nel problema con precisione e denuncia: “E’ bene, quin-di, rilevare ed evidenziare che gli allar-manti (rectius: inquietanti) rapporti intrattenuti con rappresentanti delle istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazio-nale (disvelati da numerose indagini dispiegate in varie regioni nel corso del periodo in esame) non sono soltanto frutto esclusivo del clima di intimida-zione e della forza intrinseca del con-sorzio associativo, bensì il risultato di una progettualità strategica di espan-sione e di occupazione economico-territoriale, che, oramai, si svolge su un

piano assolutamente paritario; rappor-ti con istituzioni ed imprese volto ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestual-mente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti (di nitida deri-vazione criminale e di inquinamento economico), ma tendenti verso una nuova fase di legittimazione impren-ditoriale e sociale idonea a conferire un adeguato grado di ‘mimetismo im-prenditoriale’ e ciò allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità econo-mica alle attività imprenditoriali.

Detto fenomeno è ancor più eviden-te nel Nord-Italia ove la ‘ndrangheta opera in sinergia con imprese autoc-tone o, in talune occasioni, dietro lo schermo di esse”.

Ma nella stessa relazione, proprio a partire da questa mafia così pericolo-sa, la Dna segnala come l’aggressione ai patrimoni mafiosi, la mobilitazione della società civile e l’intensa attività di Polizia Giudiziaria, abbiano aperte delle brecce significative, nella ‘ndran-gheta ma non solo. Qui, nella mafia ca-labrese, sono arrivati i collaboratori di

giustizia a rompere il monolite crimi-nale calabrese: 7 a Reggio Calabria, 12 a Catanzaro, 1 a Milano. E non è poco. Ma la penetrazione calabro-mafiosa è potente in Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna, mentre all’estero (in Europa e nel mondo,dal Canada all’Au-stralia), la relazione segnala inquietan-ti presenze, ma anche un contrasto più efficace. La relazione della Direzione Nazionale Antimafia segnala, infine, che c’è risveglio della società civile e una rinnovata attenzione del mondo dell’informazione verso il racconto di questo panorama economico crimina-le e della battaglia antimafia nel Paese. E’ necessario ascoltare quel grido e quell’allarme della DNA: non abbassare la guardia, aggredire la corruzione ed i patrimoni mafiosi, colpire le connes-sioni con il mondo dell’imprenditoria, della politica, delle professioni: la zona grigia. Senza disarmare la magistratu-ra con inusitate incursioni come quella sulla responsabilità civile dei magistra-ti, un’arma alla tempia di chi indaga, un pessimo segnale per chi vuole affer-mare la legalità, un intollerabile favore politico alla criminalità organizzata.

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La 'ndrangheta calabrese è la mafia più insidiosa e potente presente in Italia. Una verità assodata no-nostante le numerose operazioni

condotte da magistratura e forze dell'or-dine a Reggio Calabria, Catanzaro, Roma, Torino, Milano, Bologna, Brescia. E' un quadro allarmante e da non sottovalutare quello che emerge dalle relazioni della Dia e della Dna. Il motivo di tanta forza è da ricercare in risorse economiche illimitate, nella capacità di “dialogo” con il potere imprenditoriale e politico, e nel suo radi-camento capillare. In Calabria, nel nord Italia e all'estero.Sono 136 i gruppi 'ndranghetistici cen-siti dalla Dia, e contano 1527 affiliati. Al centro di questo universo criminale c'è la “Provincia”, Reggio Calabria. Non più, come si è ritenuto nel passato, un pulvi-scolo di gruppi autonomi, ma una struttu-ra sempre più verticistica e centralizzata. «La “provincia” di Reggio Calabria – scri-vono gli esperti dell'intelligence antimafia – costituisce il fulcro dell'organizzazione, dove ciclicamente anche gli affiliati dall'e-stero giungono per prendere ordini e di-rettive, allo scopo di pianificare strategie di lungo e medio periodo, e dove si decide l'istituzione di nuovi “locali” di 'ndranghe-ta e l'attribuzione di cariche e ruoli deci-sionali tra i membri dell'organizzazione». Secondo la Dna: «le indagini hanno fatto emergere elementi di indubbia novità: l’e-sistenza della ‘ndrangheta come organiz-zazione di tipo mafioso unitaria, insedia-ta sul territorio della provincia di Reggio Calabria».E' la “Provincia” o “Crimine” che decide le strategie, appiana i contrasti e mette pace tra le diverse locali in tutto il mon-do 'ndranghetista, da Fondi a Milano, da Genova a Toronto e a Stirling in Australia. Alla “Mamma” devono fare riferimento tutti, nessuno escluso, come ha imparato a proprie spese il “secessionista” Nunzio Novella che voleva rendere indipendente la “Lombardia” dalla “Calabria”, ma è stato ucciso in un agguato nel 2008.La “Provincia” è suddivisa in tre manda-menti: il Tirrenico, lo Jonico e il manda-mento Centro o Reggio Città.

Mandamento Tirrenico

La Piana di Gioia Tauro continua ad es-sere la roccaforte degli Alvaro-Piromalli, dei Pesce-Bellocco di Rosarno e San Fer-dinando, dei Crea di Rizziconi e degli Al-

varo di Sinopoli, Sant'Eufemia e Cosoleto. Gruppi potenti che, nonostante gli arresti e defezioni importanti mantengono la propria supremazia. E' il caso dei Pesce dove la collaborazione intrapresa da Giu-seppina Pesce, figlia del boss Salvatore, ha permesso alla Procura di intraprendere l'inchiesta All Inside 2. La collaborazione, interrotta dal passo indietro di Giusep-pina Pesce, ha consentito di ricostruire: «l'intero organigramma della potente fa-miglia mafiosa, descrivendo – sottolinea la Dia - il ruolo di ciascun componente (..) ed indicando dettagliatamente le attività economiche riconducibili alla cosca».

Mandamento Centro o Reggio Città

E' partita da qui la guerra di 'ndrangheta

che ha insanguinato la Calabria tra gli anni '80 e i primi anni '90, e qui si registra-no le più interessanti evoluzioni struttura-li. Scrive la Dia che: «il graduale processo di aggregazione di alcune famiglie mafio-se di grande “prestigio”, quali le cosche De Stefano, Condello e Libri, sta contribuen-do al consolidamento della loro legitti-mazione territoriale». Un processo che: «si estende oltre i pregressi “confini” dei comprensori e lascia alle altre articola-zioni criminali una residuale autonomia operativa». Un'evoluzione che vede prota-gonisti i rivali del passato. A Reggio città la 'ndrangheta si è dotata di una struttura di vertice composta da un “triumvirato” De Stefano-Condello-Libri.Secondo la Dia il vertice è composto da: «un esponente dei De Stefano, ritenuto

L'allarme lanciato da Dia e Dna: nonostante gli arresti la mafia calabrese consolida le sue posizioni in tutto il mondo, grazie all'illimitata disponibilità di denaro, al radicamento al nord e alla presenza capillare a livello internazionale

Il potere e gli affari della 'ndrangheta

di Gaetano Liardo

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vertice operativo nella gestione delle varie illiceità investito – con l'accordo di tutti i capi dei “locali” - del grado di “crimine”». «Pasquale Condello, forte del ruolo api-cale a lui comunemente riconosciuto (..) con il compito di condividere la direzione delle condotte criminose e coordinare l'a-zione di comando svolta dal De Stefano, con il quale divide i relativi profitti illeci-ti». Infine: «un esponente dei Libri, con il ruolo, altrettanto direttivo, di custode e garante delle regole».Anche a Reggio Calabria, nonostante gli arresti, la presenza dei primi importanti collaboratori di giustizia, la confisca di beni per centinaia di milioni di euro e le prime condanne, la 'ndrangheta continua a mantenere il potere. Forte della sua ca-pacità di adattarsi agli eventi.

Mandamento Jonico

E' quello al cui interno ricade San Luca, la cittadina del Santuario della Madonna di Polsi dove la 'ndrangheta si riunisce per ridisegnare il suo organigramma. E' il mandamento dei Nirta-Strangio e dei Pelle Vottari di San Luca, dei Barbaro di Platì, dei Morabito di Africo, dei Commis-

so di Siderno, degli Aquino-Coluccio e dei Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica, soltanto per citare le 'ndrine più blasonate dell'universo della 'ndrangheta. Attive nei paesini dello Jonio e ramificate in tutto il mondo. Potenti nonostante gli arresti e i pesanti sequestri. A Giuseppe Commisso, il “Mastro” boss di Siderno, ad esempio, hanno sequestrato in una sola operazione beni per 200 milioni di euro e disarticolato il gruppo operativo.

Analoghi sviluppi, con qualche eccezione, nel resto della Calabria. 'Ndrine potenti

che si insinuano nella vita polito-econo-mica della regione, che fanno eleggere i propri candidati nei Consigli comunali e provinciali e che, laddove trovano resi-stenze, non lesinano minacce e attentati.

Un caso a parte è quello del vibonese dove sono i Mancuso di Limbadi ad avere un ruolo dominante. Secondo la Dia: «Si deve osservare che gli assetti comples-sivi delle cosche della provincia di Vibo (..) sono fortemente condizionati dall'in-fluenza della cosca Mancuso di Limbadi». Un sodalizio definito: «una delle più qua-lificate espressioni della 'ndrangheta vibo-nese nel complessivo scenario criminale di matrice calabrese». Tutti gli altri gruppi criminali della provincia di Vibo Valentia: «possono considerarsi strutture subordi-nate o comunque influenzate dal cartello limbadese».

Fuori dalla Calabria è sempre Calabria

La 'ndrangheta è forte anche fuori dal suo territorio tradizionale. Basta vedere le sempre più numerose operazioni che coinvolgono il centro-nord Italia. Scrive la Dna che: «le indagini dispiegate negli ultimi anni denunciano una “presenza massiccia” nel territorio che non trova riscontro nelle altre organizzazioni ma-fiose». Molto più di Cosa nostra o della camorra, i boss calabresi hanno “seguito” i flussi migratori per ricreare le condizio-ni ottimali per fare i propri loschi affari. «L’organizzazione – aggiunge la Dna - si avvale di migliaia di affiliati che costitui-scono presenze militari diffuse e capillari ed, al contempo, strumento di acquisizio-ne di consenso, radicamento e controllo sociale». Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Lazio. Ovunque la 'ndrangheta è presente, radicata. La Lom-bardia è stata colonizzata. Milano è in tutto e per tutto «la capitale economica del crimine organizzato». In Emilia Ro-magna si fanno affari e si monopolizzano segmenti importanti del tessuto econo-mico-imprenditoriale. Lo stesso discor-so è valido per la Liguria, fondamentale nello scacchiere criminale per il porto di Genova, uno tra i più importanti punti di approdo della droga. In tutte queste realtà i boss dialogano con imprenditori e poli-tici, preparano strategie, limano possibili scontri. Autonomi ma mai indipendenti, le 'ndrine al fanno sempre riferimento alla “Provincia”.

Sono 136 i gruppi ‘ndranghetistici

censiti dalla Dia, e contano 1527

affiliati. Al centro di questo universo

criminale c’è la “Provincia”, Reggio

Calabria

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Sebbene sia stata messa in ginocchio da arresti di lati-tanti e confische, Cosa no-stra mostra una vivacità cri-

minale che segnala come sia stata superata la cosiddetta fase di “tran-sizione”, dovuta all’arresto dell’ul-timo capo corleonese, Bernardo Provenzano e ai suoi successori, come i Lo Piccolo. E’ la relazione della Direzione Nazionale Antima-fia a restituire i contorni di azione in cui opera in questo ultimo anno la mafia siciliana. Nei mesi scorsi il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, durante la maxi opera-zione che ha portato in arresto mol-ti boss dei quartieri palermitani, aveva lanciato l’allarme: “Cosa no-

stra tenta di ricostituire la Cupola” e anche la relazione della Dna confer-ma in parte questi tentativi di rior-ganizzazione, consegnando sempre alle famiglie della città di Palermo il ruolo decisionale e operativo di Cosa nostra. Dall’indagine “Grande Mandamento” al Processo “Addio- Pizzo” « Cosa nostra – si legge nella relazione - ha tentato di rinnovarsi attraverso una conferma delle sue strutture di governo a cominciare da quelle operanti sul territorio di Palermo ed in particolare con riferi-mento alla commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo. A confer-ma che anche nei momenti di crisi, Cosa nostra non rinuncia alla elabo-razione di modelli organizzativi uni-

tari ed a progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza possibile. Facen-do in particolare ricorso al suo pa-trimonio “costituzionale” e, dunque, alle regole circa la sua struttura tra-dizionale di governo che – anche a prescindere dalla presenza sul terri-torio di capi liberi muniti di partico-lare carisma – le consente di affron-tare e, purtroppo spesso, di superare momenti di crisi quale quello che indubbiamente sta ora attraversan-do». «Cosa Nostra – spiegano i ma-gistrati della Dna - appare dotata di una sorta di “costituzione formale” e di una sua “costituzione materiale”. In alcuni momenti storici ha contato di più la sua costituzione materiale,

Cinque gli omicidi nell'ultimo anno nel capoluogo siciliano. La “reggenza” di alcuni mandamenti è torna in mano a vecchi boss, usciti dal carcere per fine pena, e una “costituzione materiale” consente di tramandare norme e abitudini criminali ai giovani. Questa è Cosa nostra vista dalle procure dell’antimafia, nell’anno 2010/2011. In attesa di mettere fine alla latitanza del boss trapanese, Matteo Messina Denaro

Cosa nostra torna a sparare a Palermodi Norma Ferrara

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nel senso che il governo dell’orga-nizzazione è stato retto secondo le scelte dei capi ed a prescindere dal rispetto delle regole. Nel momento in cui l’azione investigativa dello Sta-to ha portato alla cattura di tali capi, se la cosiddetta costituzione mate-riale dell’organizzazione è andata in crisi, la costituzione formale di Cosa Nostra, ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di sopravvivere anche in assenza di im-portanti capi riconosciuti in stato di libertà». I magistrati, inoltre, segna-lano fra tutti il dato più inquietante: il ritorno alle armi da parte di Cosa nostra per dirimere le questioni in-terne. Nell’ultimo anno a Palermo sono stati cinque i delitti commessi con questa finalità: gli omicidi sono quelli di agli omicidi di Davide Ro-mano, Claudio De Simone, Giuseppe Calascibetta, Giuseppe Cusumano e la c.d. lupara bianca in danno di Gaspare Di Maggio, uomo d’onore di S. Giuseppe Jato. Arresti importanti come quello di Domenico Raccuglia, reggente del mandamento di San Giuseppe Jato –Altofonte di Giovan-ni Nicchi, reggente del mandamento di Pagliarelli o di Giuseppe Falsone, capo mandamento di Agrigento, hanno cambiato anche la geografia criminale e la disposizione territo-riale dei boss. Questo vale soprat-tutto per le città occidentali della Sicilia, Palermo, Agrigento e Trapa-ni. Cosa nostra in quest’ultima pro-

vincia continua a godere di una rap-porto diretto con i vertici di Cosa nostra, assicurata anche dalla pre-senza dell’ultimo dei grandi latitanti della mafia, Matteo Messina Denaro. Molto frammentata, invece, risulta la situazione nel versante centrale e orientale dell’Isola. A Catania nume-rosi boss si conten-dono e spartiscono centimetri di città e di affari. Nel nisse-no, ancora compre-senti le famiglie col-legate a Cosa nostra e quelle della “Stid-da”. Sebbene fiac-cata dagli arresti e da provvedimenti di confisca e seque-stri, inoltre, Cosa nostra si espande anche al Nord. In Liguria, in partico-lare, “decine” di clan inquinano il tessuto socio economico da anni: si tratta di famiglie perlo-più legate al boss, Piddu Madonia. Da Gela a Busto Arsizio, inoltre, si muovono altri boss che in Lom-bardia hanno messo radici da anni. Così nel centro – Italia, dove fanno affari, e contaminano vari settori dell’economia legale. I magistrati, dunque, chiedono di non abbassare la guardia poiché l’organizzazione criminale ha più volte mostrato di

sapersi rinnovare, di sapere sosti-tuire i vertici, e facendo leva su un consenso ancora non del tutto per-so, nella società, e sul momento di crisi economica delle aziende, conti-nuare a fare il proprio gioco crimina-le. Di fronte a processi importanti, come quello di Addio Pizzo e arresti di grandi latitanti, Cosa nostra però ha anche mostrato le proprie fragili-tà. E’ proprio nell’azione antiracket, in particolare, che i magistrati della Dna individuano l’elemento centra-le che potrebbe ribaltare i rapporti di forza sul territorio fra la società civile e i mafiosi. «Dal 1993 la stra-tegia estorsiva dell’organizzazione mafiosa - scrivono - ha sostituito, alle consistenti richieste di pizzo per pochi grandi imprenditori, la riscos-sione c.d. a tappeto per singole zone della città, che vede coinvolte tutte le attività economiche, anche le mi-nori, sia pure per contributi minimi in termini economici. Questa scelta dell’organizzazione mafiosa è dipesa sostanzialmente da due fattori: in primo luogo, in tal modo, il control-lo del territorio e la presenza sullo

stesso dell’organiz-zazione criminale diviene manifesta a tutti, senza la necessità di dover ricorre a dimo-strazioni eclatanti quali gli omicidi, che inevitabilmen-te portano ad una maggiore attenzio-ne da parte dello Stato; in secondo luogo un meccani-smo pulviscolare di pressione estorsi-va riduce il rischio che si profila quan-do si effettuano

richieste per centinaia di milioni a pochi grossi imprenditori». Una tas-sa occulta imposta a tappeto e con il minimo danno. Una battaglia che sempre più, dunque, dev’essere por-tata avanti dalle vittime delle estor-sioni e sulla quale vigilano, da alcuni anni, leggi ad hoc, codici etici interni alle categorie e una forte campagna di sensibilizzazione da parte delle associazioni antimafia /antiracket.

Cosa Nostra – spiegano i magistrati

della Dna - appare dotata di una sorta

di “costituzione formale” e di una sua “costituzione

materiale”. In alcuni momenti storici

ha contato di più quest'ultima

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“È ormai manifesta una camorra che non solo mortifica le ini-ziative economiche

che lecitamente si cerca di intra-prendere in determinati territori a rischio di infiltrazione mafiosa, ma che con il suo agire determina effetti perniciosi per la salute della collettività.” Questa la sintesi della relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia che fotografa la situazione campana.Il consueto rapporto della Procura nazionale, quest’anno, traccia una descrizione assai composita di quello che la camorra rappresenta sul territorio campano, oltre le in-fluenze che questa ha sia interna-mente che esternamente.Ma un dato è finalmente lam-pante. Quello del business dei ri-fiuti. Un affare, quello dello smal-timento illecito, che la Procura Nazionale Antimafia non esita a definire come la principale fonte illecita di risorse economiche per la camorra che risulta essere l’uni-ca vera organizzazione criminale operante in tale settore. Non solo; secondo la Dna la camorra è l’u-nica organizzazione criminale che tende al controllo del territorio non solo per gestire il circuito di smaltimento ma per renderlo “ri-cettacolo dei rifiuti”La lucrosa attività della spazzatu-ra, si sottolinea nella relazione, è ancora in massima parte, sotto il predominio organizzativo - crimi-nale del clan dei Casalesi operanti principalmente sul territorio della provincia di Caserta.Uno scenario criminale che mo-stra non solo l’incapacità delle amministrazioni locali e centrali di affrontare la cosiddetta emer-genza rifiuti in Campania, ma an-che una rete affaristica che coin-volge pezzi delle istituzioni e della politica oltre che pezzi dell’im-prenditoria.Settori deviati che la Dna, chiari-sce, sono da sempre attratti dalla convenienza derivante dall’ab-bracciare i propositi criminali del-le organizzazioni camorristiche su questo specifico profilo economi-co-criminale.Ecco perché la Dna punta il dito

contro una legislazione che in tale settore stenta ancora a configu-rarsi come efficiente dal punto di vista di un reale contrasto alle ecomafie.La Procura Nazionale, infatti, evidenzia come la mancanza nel codice penale, di specifici reati ambientali di criminalità organiz-zata, determini inutili e defatigan-ti torsioni di norme esistenti pur di assicurare alla giustizia autori di enormi disastri ambientali.Il riferimento è alla norma previ-sta dall’art. 434 del codice penale che ha rappresentato, si legge nel-la relazione annuale, la maggiore causa di fallimento del procedi-mento denominato “Cassiopea” e condotto dall’autorità giudiziaria

di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano.Delle due l’una. O la criminalità organizzata di tipo ambientale è un invenzione della magistratura nonostante la radicale trasforma-zione del territorio e gli allarmanti dati dell’inquinamento campano, oppure bisogna puntare sulla le-gislazione antimafia, da questo punto di vista, ancora assai caren-te.A sostenere, però, la seconda ipotesi ci sarebbero alcuni dati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale, The Lancet Onco-logy. Le ecomafie rappresentano la maggiore causa di aumenti di malattie tumorali specialmente in territori relativi alla provincia

Camorra e politica

Dal business dei rifiuti alle amministrazioni locali. L'analisi della procura nazionale antimafia racconta gli affari criminali dei clan in Campania prima e dopo l'arresto di Michele Zagaria, l'ultimo dei latitanti Casalesi catturato nel 2011

di Aldo Cimmino

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nord di Napoli e nel basso caser-tano. Dati scientifici, infatti, han-no dimostrato come l’esposizione della popolazione ai rifiuti abbia determinato tale aumento.Uno studio epidemiologico, si legge ancora nella relazione della DNA, pubblicato nel 2010 dal Di-partimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria dell’Istitu-to Superiore di Sanità, ha di re-cente evidenziato che dal 2008 si registra un accumulo di diossina ed una presenza di determinati inquinanti nel sangue e nel latte materno in gruppi di popolazione a differente rischio d’esposizione in Regione Campania. Dunque la Procura Nazionale Antimafia lancia l’allarme ecomafie. Un mo-

nito lanciato, a dire la verità, già dal ’91, dai magistrati napoletani, con una serie di operazioni volte a sventare il lucroso, e meno ri-schioso, cosi lo definivano gli stes-si boss, traffico illecito di rifiuti tossici e speciali provenienti dalle imprese del nord Italia. Le ope-razioni “Adelphi”, “Eco”, “Cassio-pea”, “Terra Mia” infatti, avevano tracciato negli anni un immagine plastica di quello che era l’ecoma-fia in Campania.E quanto agli interrogativi circa gli intrecci politica – imprendito-ria e camorra, risponde una “vec-chia” ordinanza di custodia caute-lare richiesta dal Gip Piccirillo, nel “lontano” novembre 2009, ai danni di Nicola Cosentino, ex sottose-

gretario all’Economia durante il governo Berlusconi e coordinato-re regionale del Pdl in Campania.In tale ordinanza si sottolinea pro-prio un ruolo fondamentale di Co-sentino nell’ambito delle indagini sulla questione rifiuti; responsabi-lità che si sarebbe concretizzata - si legge in tale ordinanza - “creando e co-gestendo monopoli d’impre-sa in attività controllate dalle fa-miglie mafiose, quali l’ECO4 s.p.a., e nella quale il Cosentino esercita-va – in posizione sovraordinata a Giuseppe Valente, Michele Orsi e Sergio Orsi – il reale potere diretti-vo e di gestione, così consentendo lo stabile reimpiego dei proventi illeciti, sfruttando dette attività di impresa per scopi elettorali, anche mediante l’assunzione di persona-le e per diverse utilità”.Ed è proprio il suo ruolo politico ed imprenditoriale a determina-re la nascita della società ECO4 s.p.a. e la possibilità di ottenere, per questo soggetto imprendito-riale, la certificazione antimafia, facendo pressione sull’autorità prefettizia per il rilascio di que-sta. Paradossale credere di poter ottenere una certificazione del ge-nere per un’impresa che, secondo le dichiarazioni del collaborato-re di giustizia, Gaetano Vassallo, rappresentava diretta espressione della criminalità organizzata e che si inseriva in una strategia cri-minale di continua aggravamento della cosiddetta emergenza rifiuti.Dapprima, si legge ancora nella ordinanza del Gip Piccirillo, con l’individuazione di terreni per la realizzazione di una nuova di-scarica e successivamente con il progetto impreditorial – criminale della costruzione di un termova-lorizzatore. Ed è grazie alla col-laborazione con la giustizia che sono potuti emergere vent’anni di consolidata egemonia criminale nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Apporto, quello dei colla-boratori di giustizia, che la rela-zione della Dna di quest’anno non esita a definire quanto sia stata fondamentale per la scoperta di grandi siti trasformati in immen-se discariche nelle quali giacciono anche rifiuti tossici e pericolosi.

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di Norma Ferrara

Eccoci nel tacco dell’Italia, dove da anni si è allen-tata l’attenzione rispetto al fenomeno criminale

mafioso da parte del mondo dei mass-media. Eppure i magistrati, in particolare quelli delle procure salentine, continuano a lanciare l’allarme: la Scu è in evoluzione. La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia lo conferma. Decapitati da indagini giudiziarie, i clan pugliesi, sempre più fram-menti con una struttura simile a quella camorristica, vedono al proprio interno lotte per la succes-sione e tensioni che spesso si risol-vono con l’uso delle armi. Ma è in particolare la reazione della Sacra Corona Unita all’aggressione da

parte dello Stato, sotto varie forme, a mettere in allerta gli inquirenti. Si legge nella relazione che per resi-stere a questa pressione degli inve-stigatori dentro l’organizzazione e al fenomeno del pentitismo è stata introdotta «la regola “dell’affiliazio-ne solo tra paesani”, adottata dopo le collaborazioni degli anni duemi-la: per creare dei compartimenti sufficientemente “stagni” l’affilia-zione riguardava appartenenti allo stesso gruppo territoriale e anche nella “capriata” dovevano essere in-dicati esponenti, pur di rilievo, ma “locali”, e comunque non dovevano essere indicati i nomi dei respon-sabili del gruppo. Analogamente, attesa l’importanza - per le finalità dei sodalizi mafiosi - delle attività di

reinvestimento dei capitali illeciti, affidate necessariamente a persone formalmente esterne all’associazio-ne, si è deciso di “evitare i rituali di affiliazione di persone che hanno disponibilità economiche per evita-re che questo “aspetto formale” pos-sa danneggiarli e per tenere riser-vata la loro partecipazione al clan». Il rituale di affiliazione, così come i “movimenti” correlati al passaggio di grado, sono divenuti spiegano i magistrati della Dna meno impor-tanti, ai fini dell’inserimento in un clan. Una sorta di frammentazio-ne nata per proteggere la struttu-ra criminale nel suo complesso. Ma oltre all’evoluzione della Scu, la mafia pugliese si estende per le province di Bari e Foggia e da sem-pre radicata non solo nel traffico di stupefacenti e nel contrabbando ma anche in altri settori dell’econo-mia pugliese. Nell’analisi relativa al distretto delle Corti di Appello di Bari, il magistrato Giovanni Russo, scrive: «La capacità - mostrata ai tempi in cui il contrabbando costi-tuiva un settore appetibile dell’e-conomia illegale - di organizzare efficienti squadre operative, abili nel muoversi sul territorio, in grado di assicurare attività di trasporto, occultamento, stoccaggio, e di di-ventare (anche grazie all’apporto di “specialisti” provenienti da am-bienti della camorra napoletana) interlocutori alla pari di potenti associazioni per delinquere inter-nazionali, è stata applicata ai più lucrosi settori dell’economia legale e illegale. Le forme di estorsione sono diventate più sottili, mirando a conseguire non già il mero pa-gamento di somme di danaro, ma anche ad ottenere cointeressenze societarie, assunzioni di personale, facilitazioni nelle forniture». «Le ricchezze provento di reato sono state reinvestite in immobili, azien-de, in ogni settore che apparisse fo-riero di ulteriori utilità (persino in scuderie di cavalli) e consentisse la mimetizzazione dell’origine “spor-ca” del danaro – prosegue Russo». Ed è proprio un tessuto vivace eco-nomicamente, scrivono i magistrati della Dna, a stimolare «da parte dei clan mafiosi, l’esercizio dell’attività di prestiti illegali a tassi usurari».

La Sacra Corona Unita in evoluzioneDa Bari a Foggia, infiltrazioni economiche, traffico di droga e contraffazione. I clan pugliesi sono sempre più simili a quelli della Camorra. Ma è la Sacra Corona Unita a cambiare la propria organizzazione. I magistrati della procura antimafia spiegano perché

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11verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Secondo la Direzione Anti-mafia nel Lazio le organiz-zazioni criminali mafiose si infiltrano progressiva-

mente nel tessuto imprendito-riale ed economico ma non mi-rano a realizzare un capillare controllo del territorio né sono interessate a scontrarsi militar-mente per l’occupazione di zone di influenza a scapito di organiz-zazioni rivali. Sono 38 gli omicidi nella regione, di cui 12 riconduci-bili a metodi di stampo mafioso. Lo conferma la relazione della Dna: «Naturalmente non può ta-cersi dei numerosi fatti di sangue che si sono verificati negli ultimi mesi a Roma e nell’hinterland

(quasi trenta omicidi dall’inizio del 2011, numero al quale devo-no aggiungersi i numerosi episodi di gambizzazione o i tentativi di omicidio che pure si sono verifi-cati)». Si tratta di omicidi che la cura-trice della relazione del distretto di Roma, il magistrato Diana De Martino, ritiene non tutti colle-gati fra loro e “non si può parlare di ritorno della Banda della Ma-gliana”. «Non c'è un ritorno della Banda della Magliana – dichiara Antonio Turri, referente di Libera – non siamo di fronte a quel grup-po criminale come lo abbiamo co-nosciuto. Siamo di fronte, invece, ad una

vera e propria holding economico – criminale. Diversi i clan che hanno contami-nato il territorio e oggi, a gestire gli affari sul litorale laziale come nella capitale, non sono più uo-mini che arrivano dal “Sud” ma imprenditori, commercialisti, po-litici che sono nati e cresciuti in questa regione. Sono nostri con-cittadini». I numeri, presenti nei rapporti della Direzione nazionale antima-fia, nell'annuale rapporto stilato da Confesercenti, quelli pubbli-cati dalle forze dell'ordine e dalle sezioni antidroga, raccontano di una avanzata criminale che non ha sosta. E che fa pensare che ci sia in atto uno scontro per il traffico di stu-pefacenti, fra quartieri ad alta densità abitativa. «A Torpignattara, per intenderci, si traffica più droga che a Scam-pia – sottolinea Turri». Inoltre le ultime operazioni antimafia di-mostrano quanto le mafie siano presenti nel circuito dell'econo-mia locale e - «questo crea anche un certo consenso nella società, perché crea posti di lavoro, ali-mentando se non un appoggio, almeno una silenziosa convivenza con imprese mafiose». Anche la Dna sottolinea l'inten-sificarsi di fenomeni criminali e di omicidi, nell'ultimo anno. «.. Molte aggressioni – per le moda-lità esecutive, o per le caratteri-stiche soggettive delle vittime, o per l’esito delle attività di indagi-ne – risultano maturate a seguito di contrasti insorti in un contesto criminale, ed in particolar modo nel traffico degli stupefacenti» ma nonostante il livello di allerta percepito dalla società civile scri-ve «al momento non sono emersi elementi per ritenere che tali de-litti, o alcuni di essi, rappresentino segnali di un tentativo di monopo-lizzare il mercato dello spaccio, o azioni di ritorsione ad analoghe azioni delittuose». Quella delle mafie nel Lazio, dun-que, è ancora una storia tutta da scrivere, sia sotto il profilo investi-gativo che quello giornalistico.

di Norma Ferrara

Lazio, escalation criminale I magistrati della Direzione Nazionale Antimafia: «non si può parlare di ritorno della Banda della Magliana». Antonio Turri, referente di Libera nel Lazio: «mafie nella regione sono ormai diventate una holding economico/criminale»

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12 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Anche il Piemonte non è immu-ne dal fenomeno mafioso. Lo conferma la dettagliata rela-zione della Procura Naziona-

le Antimafia che per il 2011 parla di il radicamento della ‘ndrangheta calabre-se nella regione. L'operazione Maglio/Albachiara, relativa al basso Piemonte e alle connessioni con la Liguria, e Mino-tauro, che ha coinvolto principalmente la provincia di Torino, consentono una mappatura delle strutture, e dei relativi affiliati, della criminalità mafiosa. Tali operazioni vanno lette in continuità con il lavoro condotto dalla Dda di Reggio Calabria, Catanzaro e Milano (non a caso il 2010 fu l'anno decisivo per dimostrare il radicamento della mafia in Lombardia con l'operazione Crimine-Infinito), e fan-no emergere alcuni elementi. Prima di tutto, le “tre facce” della 'ndran-gheta, che resta “oggi la “mafia” piu presente nel territorio piemontese”: la 'ndrangheta militare, volta all’acquisi-zione di poteri di controllo sociale sul territorio, la 'ndrangheta politica, dedita a coltivare rapporti con uomini politici, a favorire ed agevolare in modo interes-sato determinate “cariche politiche”, e la 'ndrangheta imprenditrice,impegnata ad instaurare rapporti eco-nomici con le realtà imprenditoriali del territorio al fine di “fagocitarle” e/o “in-globarle”, in continuità con la tendenza delle cosche calabresi ad ottenere un certo grado di “legittimazione impren-ditoriale e sociale” per meglio mimetiz-zarsi nel mondo dell'imprenditoria “allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica alle attività impren-ditoriali”.Questa molteplice attenzione si deve alla capacità della “nuova generazione” di criminali calabresi di muoversi ad una “velocità diversa rispetto alla tradizione dei giuramenti, dei riti e delle formule di affiliazione”. In Piemonte, come in tutto il nord Italia, si è passati dall'infiltrazione alla“stabilizzazione” dei nuclei criminali, che sul piano organizzativo operano con le modalità della “casa-madre”, mentre sul piano logistico gestiscono, pur avva-lendosi di prestanome, i settori di punta dell'economia locale (settore immobilia-re, appalti e lavori pubblici, sanità, turi-smo) e le relative opportunità di lavoro ed azione. Il radicamento avviene prima di tutto e principalmente nei piccoli cen-

tri, come Leinì, Volpiano, Rivarolo, Mon-calieri, Chivasso, Cuorgnè, San Giusto Canavese, Santena (nella provincia di Torino) e Bosco Marengo (nella provin-cia di Alessandria).Appare inquietante la conferma dei le-gami intessuti con i rappresentanti del-le istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazionale, come “risultato di una progettualità stra-tegica di espansione e di occupazione economico-territoriale, che, oramai, si svolge su un piano assolutamente pa-ritario”. Tali rapporti sono volti “ad in-tercettare flussi di denaro pubblico, op-portunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti” di derivazione crimi-nale. Sul fronte politico, le intercettazio-ni hanno confermato che in genere è la

politica a compiere il primo passo, cre-ando un contatto con le cosche mafiose per ottenere consensi e vantaggi, e non viceversa.La Relazione della Dna ci conferma infi-ne la struttura verticistica della 'ndran-gheta, definendo Piemonte, Lombardia e Liguria alcuni dei “bacini esterni” alla sede centrale, che resta la provincia di Reggio Calabria, con cui si mantengono i contatti e si è subordinati a livello de-cisionale.Emblematico è l'episodio di un affiliato intenzionato ad aprire un nuovo “lo-cale” ad Alba, che si è dovuto recare in Calabria per ottenere l’autorizzazione direttamente da Domenico Oppedisano, che da un'altra indagine (condotta dalla magistratura reggina) risultava essere a capo dell’intera organizzazione.

di Federica di Lascio

Piemonte, le tre facce delle 'ndrineDall'infiltrazione alla stabilizzazione sul territorio. E poi l'arrivo di boss della "nuova generazione". Nella regione le 'ndrine provano a creare gruppi collegati ai boss calabresi che gestiscano affari e flussi di denaro pubblico

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13verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Addaura, Capaci, via D’Amelio. La relazione annuale della Direzio-ne Nazionale Antima-

fia racconta anche un anno di indagini su “stragi e trattativa” vista dalla coordinamento cen-trale dell’attività inquirente di Roma. L’analisi, a cura del ma-gistrato Gianfranco Donadio, muove dall’indagine ripartita proprio da Caltanissetta dopo le dichiarazioni di Massimo Cian-cimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino e del collaboratore di giustizia, Ga-spare Spatuzza e si sposta agli ultimi risultati delle indagini legate anche alle stragi prece-denti a via D’Amelio: Addaura e Capaci, la strage di Firenze e gli attentati a Milano e Roma. «La Direzione distrettuale antima-fia di Firenze – fanno sapere i magistrati - muovendo sempre dal significativo contributo del collaboratore Spatuzza, ha pro-ceduto, con una intensa e ap-profondita attività istruttoria, alla ricerca di ulteriori respon-sabili materiali e dei mandanti delle stragi del 93/94. All’esito delle nuove indagini fiorentine è stata esercitata l’azione pe-nale nei confronti di Francesco Tagliavia, con l’imputazione di concorso in strage (posizione recentemente definita in dibat-timento con la condanna alla pena dell’ergastolo dell’imputa-to). Questa Dna, anche nel pe-riodo in esame, ha proseguito la sua azione di coordinamento, esercitando nelle forme di leg-ge le proprie funzioni di impul-so su plurimi temi di indagine tuttora coperti dal segreto in-vestigativo». E in un passaggio, all’interno dell’analisi su Cosa nostra oggi, si accenna al ruolo del “dichiarante” Massimo Cian-cimino. «Le vicende relative alle dichiarazioni del Ciancimino – che mai ha assunto lo status di collaboratore di giustizia – han-no costituito attento esame da parte delle Direzioni distrettuali antimafia di Palermo e di Calta-nissetta – scrivono i magistrati. Innanzitutto è bene evidenziare

come le sue dichiarazioni inter-vengono in particolare, ma non solo, sul tema della c.d. “trat-tativa”, rispetto alla quale, già prima di tali dichiarazioni, esi-steva un articolato compendio di acquisizioni investigative e processuali (nell’ambito di in-dagini e processi svoltisi presso le Procure e le Corti di Assise di Caltanissetta, Firenze e Paler-mo)». «Indubbiamente l’inda-gine sulla “trattativa” ha tratto ulteriore impulso a seguito delle numerose dichiarazioni rese, a decorrere dal febbraio del 2008, dal Ciancimino - continuano; questi a decorrere da quella data si è sottoposto a numerosi interrogatori sia presso la Dda

di Caltanissetta che presso l’o-mologo Ufficio palermitano, ma il suo apporto collaborativo ap-pare essersi caratterizzato per una progressione dichiarativa in gran parte talvolta priva di logica e di coerenza su fatti e soggetti, su cui sono state svolte complesse ed articolate indagini a riscontro con enorme ed inuti-le dispendio di risorse umane e materiali». «Tali indagini - con-cludono - peraltro sono culmi-nate in provvedimenti cautelari a carico dello stesso Ciancimino e comunque hanno dimostrato che il Ciancimino ha reso di-chiarazioni molto spesso insu-scettibili di riscontro ovvero ri-scontrate negativamente».

“Stragi e trattative”Ancora in corso le indagini sul biennio stragista di Cosa nostra. Anche la Direzione Nazionale Antimafia fa il punto sullo stato delle inchieste a Caltanissetta, Palermo e Firenze. E sulla figura del "dichiarante", Massimo Ciancimino

di Norma Ferrara

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14 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

La relazione della Direzione Na-zionale Antimafia 2011 si occu-pa anche di loro: i clan non au-toctoni ma provenienti da altri

Paesi e che operano sul nostro territo-rio. Le mafie “straniere” hanno alcune caratteristiche, che sono state messe in evidenza dai magistrati che hanno cu-rato la relazione: spesso non operano in regime di interdipendenza con le mafie italiane e sono presenti quasi sempre, eccezion fatta per la Campania, in aree dove più bassa è la presenza criminale di matrice italiana. I settori cui sono dediti sono il narcotraffico e la tratta e lo sfrut-tamento degli esseri umani, in primis. Ma anche il riciclaggio di denaro spor-co e l’ingresso nella filiera delle attività connesse alla ristorazione. Quest’ulti-mo dato, vale in particolare, per le mafie di origine Cinese. A questa “setta” crimi-nale, quale quella orientale, poco nota e poco permeabile alle attività investiga-tive, la relazione dedica un’ampia parte dell’analisi sulle mafie straniere in Italia. Soprattutto le mafie cinesi e quelle ni-geriane, infatti, gestiscono in assoluto riserbo grosse fette di mercato crimi-nale e illegale. E di loro e del loro ruo-lo nella mappa mafiosa in Italia poco ancora si conosce.« I gruppi criminali di origine cinese – scrivono i magistra-ti - rappresentano un tipico esempio di criminalità transnazionale in quanto dalla madrepatria alimentano i circu-iti mondiali di merci contraffatte e/o di contrabbando e favoriscono l’immi-grazione clandestina per poi gestire nei Paesi di destinazione lo sfruttamento degli immigrati, principalmente come forza lavoro e la commercializzazione dei prodotti illecitamente importati e/o contraffatti». Per ciò che riguarda un altro grosso affare delle mafie straniere, la tratta e la prostituzione degli esseri umani, la lente d’ingrandimento della Dna si concentra soprattutto sulle ma-fie nigeriane. «La tratta di esseri umani – si legge nella relazione - le indagini di diverse DDA hanno consentito di docu-mentarne l’intera filiera, a partire dalla fase dell’ingaggio nei paesi di origine ove le vittime, come emerso, contrae-vano un debito di circa 60 mila euro e venivano successivamente trasferite in Ghana, Sierra Leone e Togo per essere poi introdotte in Europa passando sotto la gestione delle cosiddette madames. Proprio queste ultime avevano all’in-terno dell’organizzazione il compito di

Organizzazioni criminali nate all'estero e cresciute in Italia. Boss che parlano cinese, russo, magrebino, nigeriano e albanese, dediti al narcotraffico, alla tratta degli esseri umani e al riciclaggio di denaro. Le normative internazionali non sono sufficienti a contrastarli

Mafie export/importdi Norma Ferrara

sorvegliare le ragazze e di avviarle all’e-sercizio della prostituzione, ricorrendo a metodi di coercizione psicologica e morale quali la sottrazione dei docu-menti d’identificazione personale in precedenza utilizzati, la segregazione in alloggi gestiti dai sodalizi nonché il ricorso a riti magico-esoterici di natura vodoo. Questo clima di completa e to-tale soggiogazione prevedeva anche il pagamento, da parte delle vittime, del joint, ovvero dell’area ove esercitare la prostituzione. Nonostante sia suddiviso in cellule operanti in diverse aree geo-grafiche, ciascun gruppo monitorato è risultato caratterizzato dalla comune provenienza etnico-tribale con un’ele-vata compattezza interna che ne con-sente un’efficace operatività connotata da un altissimo livello organizzativo e di pericolosità». In maniera silenziosa, invece, si presenta la mafia di naziona-lità russa. Un basso profilo scelto per non destare allarme e ottenere, soprat-tutto nei business tradizionali, un alto profitto. La relazione, infine, si sposta all’analisi delle mafie di origine Magre-bina, i cui reati sono spesso difficili da contestare fuori dal nostro territorio. In generale, infatti, il contrasto alle mafie

di origine straniera passa attraverso i poteri internazionali degli inquirenti, i trattati firmati dai singoli Stati. « In que-sto contesto la Convenzione ONU di Pa-lermo – si legge nella relazione- ha sta-bilito punti fondamentali per affrontare questa sfida globale, prevedendo norme specifiche nel campo del diritto penale, del diritto processuale, della necessità della collaborazione internazionale, della formazione, delle buone prassi da seguire. Eppure – continuano i magi-strati - ancora di recente il Segretario Generale dell’ONU ha ammesso che questa Convenzione non è abbastanza applicata: in ultima analisi è mancata e manca, in molti Stati, la volontà politica di applicarla. Si può notare l’assenza di una strategia unitaria e la mancanza di coordinamento delle legislazioni penali, permane il divario tra l’internazionaliz-zazione delle indagini di polizia e il ca-rattere tuttora strettamente nazionale delle attività giurisdizionali. Sembra - dichiarano infine - che ancora oggi mol-ti Stati facciano fatica a considerare i principi di Palermo come validi per ogni sistema, ritenendoli invece come im-posti loro da un pensiero e concezione giuridica dominanti».

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15verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Fra gli strumenti che colpiscono la libertà di stampa, insieme con le intimidazioni ai cronisti, c’è l’uso strumentale della legge sulla diffamazione, con esose richieste di risarcimento danni in sede civile, senza alcun rischio per il querelante.Un’arma in grado di annientare iniziative editoriali, scoraggiare e intimidire singoli giornalisti, impedire di far luce su oscure vicende di illegalità e di potere.

Per non lasciare soli i cronisti minacciati che siano in grado di dimostrare la loro buona fede e la loro correttezza, Federazione Nazionale della Stampa, Associazione Stampa Romana, Ordine Nazionale e regionale dei giornalisti, Unione Cronisti Italiani, Libera, Fondazione Libera Informazione, Articolo 21, Osservatorio Ossigeno, Open Society Foundations hanno deciso di costituire uno sportello che si avvale della consulenza di studi legali da tempo impegnati in questa battaglia per la libertà di informazione.Per usufruire di consulenza e

di assistenza legale giornalisti e giornaliste possono:

Inviare una e-mail all’indirizzo:

sportelloantiquerele. [email protected] inserendo in oggetto la specificazione “sportello antiquerele"

Telefonare al numero :06/67664896-97

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16 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Cosa c’entra l’Iran con il narcotraffico? Oppure i paesi dell’America latina con la minaccia iraniana

agli Usa? Che rapporto potrebbe mai esserci tra il cartello dei Los Zetas messicani, Hezbollah, il partito di Dio al governo in Liba-no, e le Guardie della rivoluzione di Teheran? Poste così possono sembrare domande insensate da scenari fantascientifici degni del-le peggiori spy story di un tempo. Tuttavia, Oltreoceano, sembrano prendere molto seriamente il pro-blema. Quale? L’Iran, in vista di una sempre più possibile attacco Usa, ha consolidato forti posizio-ne nell’emisfero occidentale. L’o-biettivo? Dotarsi della possibilità di condurre azioni in territorio americano, sia terroristiche che militari. I partenr? Molti governi della regione, ad iniziare dal Ve-nezuela di Hugo Chavez, ma non solo. Anche gruppi paramilita-ri, come la Farc colombiane, o i narcos messicani. Di questo si è lungamente discusso nella seduta del Foreign Affaris Committee del Congresso Usa, lo scorso 2 febbra-io. Ordine del giorno: l’analisi sul “tour dei tiranni” di Ahmadinejad in Amerci Latina. Il complotto per uccidere l’ambasciatore sau-dita a Washington L’Iran ha con-solidato le proprie posizioni in numerosi paesi sud-americani, concretizzando pericolose allean-ze per finalizzare attentati negli Usa. Lo scorso ottobre, ad esem-pio, fece scalpore la notizia dello sventato complotto per uccidere l’ambasciatore saudita negli Usa. Un’operazione di intelligence mal progettata. Emissari di Al Quds, il reparto scelto delle guardie rivo-luzionarie iraniane, contattarono sicari dei Los Zetas messicani per realizzare l’attentato. I sicari, tut-tavia, erano agenti sotto copertu-ra della Dea, l’antinarcotici statu-nitense, che sventarono il piano. Una notizia surreale, confermata alcuni giorni fa dal capo del Natio-nal Intelligence, James Clapper.Il Presidente della Foreign Affairs Committee, Ileana Ross-Lethinen ha rincarato la dose: «In ottobre – si legge nella nota conclusiva

della seduta – abbiamo saputo del tentato complotto per assassinare l’ambasciatore saudita nel territo-rio Usa da parte di Al Quds, trami-te individui che pensavano fosse-ro affiliati del cartello della dorga dei Los Zetas». «Due mesi dopo – aggiunge – il network in lingua spagnola Univision ha trasmes-so un documentario relativo allo schema di un cyber-attacco del 2007 da parte dell’ambasciatore iraniano in Messico, da diploma-tici nella ambasciate di Venezuela e Cuba, e studenti messicani sot-to copertura rappresentati come estremisti». L’obiettivo dell’attac-co era di: «infiltrare il sistema dei computer del governo Usa nella Casa Bianca, Fbi, Cia e in due siti

nucleari».

I proventi del narcotraffico per finanziare Hezbollah

Non solo operazioni di intelligen-ce, ma anche la partecipazione al ricco affare del traffico inter-nazionale di narcotici. Gli irania-ni hanno consolidato rapporti di affari con i narcos, gestiscono grosse spedizioni di cocaina ver-so l’Europa e il Medio Oriente via Africa Occidentale. I ricchi introi-ti servono per finanziare Hezbol-lah, partito libanese, strettamente legato a Teheran, e considerato dagli Usa un gruppo terroristico a tutti gli effetti. In mezzo, con un ruolo di primo piano, la Lebanese

L'allarme del Committee on Foreign Affaris del Congresso statunitense. Al Quds ed Hezbollah sono presenti in numerosi paesi latino-americani, progettano attentati contro Washington e si finanziano trafficando droga

L'Iran insidia gli Usa in Sud America e fa affari con i narcosdi Gaetano Liardo

>>Internazionale

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17verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Canabian Bank. Michael A. Braun, ex capo delle operazioni della Dea in Sud America e oggi partner di un centro studi di intelligence in-ternazionali dal nome “Spectre”, nell’audizione al Foreign Affairs Committee ha parlato a lungo dei rapporti “perversi” tra iraniani, terroristi e narcos.Relazioni che offrono la possibili-tà ad Al Quds e Hezbollah di «ap-prendere dai più sofisticati gruppi del crimine organizzato nel mon-do: i cartelli di narcotrafficanti messicani e colombiani». Impa-rare cosa? «Trasporto, riciclag-gio di denaro sporco, traffico di armi, corruzione, tratta di esseri umani», i “trucchi del mestiere” in parole povere. Un apprendistato utile a trovare fondi per finanzia-re Hezbollah, strumento utile per gli equilibri mediorientali di Tehe-ran.

La Lebanese Canadian Bank, la-vatrice dei narcos

Con la droga si fanno tanti soldi, ma bisogna poi saperli ripulire. Quale miglior modo per farlo se non affidarsi ai banchieri? Facen-do le cose in grande si può pensa-re, addirittura, ad avere un’intera banca a disposizione. Le indagini del Dipartimento del Tesoro Usa, partendo dall’Operazione Titano della Dea che nel 2008 ha scoper-to un giro globale di traffico di cocaina dal Sud America al Me-dio Oriente passando per l’Africa Occidentale, hanno messo nei guai la Lebanese Canadian Bank (Lcb). Il 2 ottobre del 2011 il Te-soro Usa ha inserito la banca le-vantina nella lista dei “facilitatori” del riciclaggio di denaro sporco, vietando a cittadini e istituzioni finanziarie del paese di intratte-nere rapporti. Dalle indagini svol-te, la Lbc grazie alla complicità di parte dei suoi dirigenti, ripuliva i proventi del narcotraffico che servivano in parte per finanziare Hezbollah, in parte per infiltrare il tessuto economico statunitense. Figura chiave nelle operazioni di traffico e riciclaggio il trafficante libanese Ayman Joumaa. Nel rap-porto del Financial Crimes Enfor-

cement Network al Dipartimento del Tesoro si legge che: «Ayman Joumaa ha coordinato il traspor-to, la distribuzione e la vendita di centinaia di tonnellate di carichi di cocaina dal Sud America, rici-clato i profitti – all’incirca 200 mi-lioni di dollari al mese – della ven-dita di cocaina in Europa e Medio Oriente». Operazioni svolte pre-valentemente tramite la banca libanese. Secondo il governo Usa: «Hezbollah ha ricevuto supporto finanziario dalle attività criminali del gruppo di Joumaa. I manager della Lcb – si legge nella nota del Dipartimento di Stato del 2 otto-bre scorso – sono anche legati ad funzionari di Hezbollah fuori dal Libano». In Iran in modo partico-

lare, e in Gambia, tramite la Prime Bank, controllata al 51% dalla Lcb e per il restante, per il Tesoro Usa, da uomini vicini a Hezbollah.Uno scacchiere in fibrillazione che evidenzia, tuttavia, l’importanza del traffico di narcotici come im-portante mezzo di finanziamento per Hezbollah da un lato, e l’Iran dall’altro. Un percorso reso pos-sibile grazie all’accordo con i car-telli di narcotrafficanti, indispen-sabili per il funzionamento della macchina. I narcos non guardano in faccia nessuno. Hanno inte-resse soltanto a fare affari. L’im-portante è dimostrarsi affidabili e puntuali nei pagamenti, come i servizi iraniani o la ‘ndrangheta calabrese.

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18 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Il Narcocorrido è uno stile mu-sicale messicano nato dall’evo-luzione del corrido e del nor-teño. La traduzione letteraria

di questo genere musicale è Drug Ballad (ovvero Ballata della droga). Benchè le prime ballate corrido si facciano risalire al 1910 e abbiano come tema le rivoluzioni messica-ne dal 1930 le basi ritmiche basate sulla fisarmonica stile polka ini-ziarono ad accompagnare i rac-conti sui trafficanti e i cartelli di droga.I testi narrano fatti realmente ac-caduti (con date e luoghi) e de-scrivono diverse attività criminali: omicidio, tortura, racket, estorsio-ni, traffico di droga, immigrazione clandestina.Così come per alcuni cantanti ne-omelodici e per alcuni gruppi rap

americani (come ho scritto in un precedente post) i testi delle can-zoni non vengono utilizzati per denunciare la situazione d’illega-lità ma per esaltarne i valori, la cultura e trasformare i boss in eroi. Come per le canzoni rap il conte-sto è quello metropolitano: la vita dei poveri, dei bisognosi e di colo-ro che cercano di affermarsi con qualsiasi mezzo. A differenza delle canzoni hip hop che ci raccontano delle bande criminali è importan-te notare che il narcocorrido viene ascoltato da persone di tutte le età, non necessariamente collegate a cartelli della droga o bande crimi-nali.

Dai fatti alle parole, o viceversa

Tra il 2006 e il 2008, durante un

guerra tra bande messicane per la droga, più di una decina di cantan-ti collegati al narcocorrido furo-no uccisi. In molti casi l’omicidio seguì torture e mutilazioni. Tra i musicisti più popolari ricordiamo Valentin Elizalde, Sergio Gómez, il cantante del gruppo K-Paz de la Sierra, Sergio Vega, conosciuto come El Shaka ucciso poche ore dopo aver dato la smentita sul-la notizia del suo omicidio. Un cantante dei Los Implacables del Norte, quattro membri della Tec-no Banda fugaz, quattro membri di Los Padrinos de la Sierra, Zayda Peña, il cantante dei Zayda Y Los Culpables, quattro membri dei Los Herederos de Sinaloa. Tre membri della band Norteña sono rimasti feriti con un attentato dinamitar-do a Tijuana. Come spesso accade anche nel nostro paese quando avvengono omicidi di mafia, sono state fatte diverse ipotesi sugli omicidi comprentendo motivi di gelosia e di adulterio. La vicinanza ai cartelli e la tipologia degli omici-di però lascia pochi dubbi.

Le canzoni come prodotto mul-timediale

Il rapporto tra mass-media e diffusione della cultura mafiosa, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie, è in costante evoluzione. Dal Messico la musica dei narcotrafficanti diffusa dalle radio e condivisa nella rete continua a mietere vittime

NARCOCORRIDO, le gesta dei narcotrafficanti diventano musica popolaredi Cosimo Marasciulo

>>Antimafia online

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19verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Se la diffusione musicale agli inizi poteva contare unicamente sul-la distribuzione radiofonica, sulle musicassette e i cd, oggi può con-tare sulla vastità e la ramificazio-ne della rete. Il genere narcorrido in principio poteva essere ascol-tato da entrambi i lati del confine USA-Messico, oggi la sua diffusio-ne non ha limiti, potendo contare su Youtube, sui social network, sui siti che permettono i download e anche su Amazon. Questa rete ca-pillare e la lingua spagnola hanno consentito, in tempi recenti, la dif-fusione anche in paesi come Gua-temala, Honduras, Colombia, Perù e Bolivia.

La mafia messicanaOmicidio mafioso in Messico

La mafia messicana, conosciu-ta anche in spagnolo come “La Emme“, nacque nei tardi anni Cin-quanta del XX secolo e fu fondata dai membri di una banda di Chica-no detenuti presso l’istituto Deuel Vocational, nello stato di Tracy in California. Dalla fondazione si è rafforzata e diffusa fino a diventare una delle più potenti organizzazio-ni criminali che agiscono negli Sta-

ti Uniti rappresentando una seria minaccia agli stati sudoccidentali degli Usa. L’organizzazione non ha un unico capo e alcune stime par-lano di 150 boss, oltre mille affiliati e la disponibilità di più di trentami-la persone come manovalanza in tutti gli Stati Uniti, la violenza del-le loro azioni: molti dei suoi mem-bri hanno infatti esperienza nella guerriglia, e sono molto più prepa-rati alla guerra urbana delle bande rivali. La Drug Enforcement Ad-ministration (DEA) statunitense ritiene i Los Zetas come il gruppo criminale paramilitare più violento operante in Messico. Recentemen-te l’organizzazione ha iniziato l’at-tività dei sequestri di persona, spe-cialmente turisti americani, per la richiesta di ingenti riscatti; espan-dendo, inoltre, le proprie operazio-ni in Europa attraverso il supporto della ‘ndrangheta.

Los Zetas

La potenza della mafia messicana è evidenziata anche dalla crescen-te violenza contro i giornalisti e gli operatori della comunicazione che operano in Messico. Sono ses-santacinque gli inviati uccisi negli

ultimi 10 anni, undici quelli fatti sparire (desaparecidos) e sono sta-ti sedici gli attentati contro sedi di giornali. Sono a rischio anche gli utenti del web che come media at-tivisti denunciano i narcotraffican-ti. L’organizzazione criminale non vuole che si parli dei propri affari sui vari social network e nei blog. Per questo motivo, recentemente è stato ucciso Nuevo Laredo, al suo collo è stato appeso un cartello con la scritta: “Ciao, sono Rasca-tripas e questo mi è accaduto per-ché non avevo capito che non avrei dovuto pubblicare cose sui social network“. Per non piegarsi e cerca-re di portare avanti il proprio lavo-ro, non credendo più alle promesse delle istituzioni, alcuni giornalisti hanno creato la rete “Periodistas a piè”.

E’ importante notare come la rete venga quindi utilizzata per esalta-re e diffondere il potere e la fama dei gruppi narcos messicani e che gli stessi cerchino di mettere a ta-cere la diffusione di qualsiasi criti-ca o denuncia.

L'articolo è stato pubblicato da “La Comunicazione in tempo di crisi”

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20 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

Modena, Reggio Emilia, Bologna, Milano, Torino, Geno-va. Il ricco nord fa i conti con i boss, anche se fatica ad accorgersene. Soldi sporchi, affari illeciti, collusioni peri-colose, silenzi preoccupanti. E’ questo il quadro descritto da Giovanni Tizian nel suo “Gotica”. Un libro che colpisce come un pugno nello stomaco. Il giovane cronista origi-nario di Bovalino, Reggio Calabria, elenca con minuzia di particolari la presenza delle mafie nel nord del Paese. Oltre la linea Gotica, quella un tempo difesa dai nazisti per impedire l’avanzata degli alleati verso il cuore indu-striale d’Italia. Quella linea, oggi immaginaria, che le orga-nizzazioni criminali hanno superato. Da decenni. Tizian conosce bene quello che descrive, è stato testimone della violenza delle ‘ndrine. L’incendio del negozio del nonno, una punizione per non essersi piegato alla richiesta di pa-gare il pizzo, e l’omicidio del padre, Peppe Tizian, bancario che non ha ceduto ai compromessi con i boss, fino alla fuga. Dalla violenta e povera Calabria, alla ricca Emilia Ro-magna. Destinazione Modena. Qui, tuttavia, si infrange il sogno di poter vivere lontano dalla ‘ndrangheta, liberi di costruire da soli il proprio avvenire. Tizian decide di fare il cronista. Indaga e scava a fondo sugli interessi oscuri di boss, colletti sporchi, politici collusi. Il suo lavoro non piace alle mafie. Troppe luci accese danno fastidio. Gio-vanni diventa scomodo. Da dicembre è costretto a vivere sotto scorta. Nel suo libro descrive bene come le mafie, la ‘ndrangheta principalmente, hanno conquistato il nord. Tanti, troppi soldi, pronti da essere ripuliti nell’economia legale dell’Emilia, della Lombardia, della Liguria, del Pie-monte. Tutte realtà dove le ‘ndrine calabresi sono presenti dadecenni. ‘Ndrangheta, ma non solo. Ci sono i Casalesi, particolarmente attivi e violenti, e Cosa nostra, con fami-glie storicamente radicate. Fanno affari tra loro, nel silen-zio più assoluto.Non sparano, ma se lo fanno agiscono con precisione chi-rurgica. L’obiettivo è di impadronirsi del sistema economi-co e di quello politico. Con ogni mezzo. Dal controllo del trasporto su gomma, al movimento terra, dai subappalti al sistema sanitario, dall’ortofrutta ai consigli comunali e provinciali. Un meccanismo rodato. Per evitare contrasti, che per altro non mancano, la ‘ndrangheta ha costitui-to delle Camere di controllo. In Lombardia e Liguria, ad esempio, le numerosi locali di ‘ndrangheta siedono attor-no ad un tavolo per dipanare possibili scontri o contra-sti. Per fare affari in pace, e mantenere i contatti con la “Mamma”, il Crimine di Polsi, la struttura di vertice della ‘ndrangheta calabrese Quella lombarda è stata la situazio-ne più problematica. Il boss Nunzio Novella ha cercato di staccare la “Lombardia”, ovvero il crimine lombardo, dalla

Calabria per renderlo autonomo. Una minaccia che i boss hanno spento col sangue nel 2008. Per anni a fare in modo che tutto filasse liscio in Lombardia è stato incaricato il boss Pasquale Barbaro di Platì. Era lui a spartire commes-se e subappalti. Dopo di lui è toccato a Salvatore Strangio che ah gestito l’infiltrazione della Perego, colosso delle co-struzioni, fondamentale tassello per poter partecipare, da protagonisti, ai lavori dell’Expo 2015.Ci sono altri nomi altisonanti che risuonano nel libro di Tizian. I Barbaro-Papalia che da Buccinasco gestiscono, di fatto, tutti i lavori di movimento terra in Lombardia. I Grande-Aracri e i Nicoscia, che a Reggio Emilia im-pongono il monopolio del trasporto gomma. Rivali degli Arena-Dragone, e protagonisti di una lunga faida che ha insanguinato Cutro e Isola Capo Rizzuto negli anni ‘90, ma attentissimi ad evitare spargimenti di sangue nel reggia-no. In Calabria si spara, al nord si fanno affari. Si stringono alleanze forti. Un esempio classico è quello del direttore sanitario dell’Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, coinvolto nell’o-perazione Il Crimine del luglio del 2010. Uomo “cerniera” tra le ‘ndrine e l’imprenditoria e la politica lombarda. Una politica attenta a stringere contatti e alleanze con i boss, pronta a farsi infiltrare. Come a Ventimiglia, il comune del ponente ligure sciolto per infiltrazioni mafiose il 3 febbra-io 2012. Oppure a Bordighera, sempre il Liguria, sciolto a marzo e Barodnecchia, in Piemonte sciolto nel 1995. Ma di comuni ce ne sarebbero molti altri. Basti pensare a De-sio, il comune lombardo dove si attendeva la nomina di una Commissione d’accesso da parte del Ministero dell’In-terno. Una nomina mai avvenuta perchè la maggioranza dei consiglieri si è dimessa evitando, così, lo scioglimento.Numerosi i contatti anche in Piemonte, dove la Procura sta setacciando i rapporti tra le ‘ndrine e numerosi politici, anche di livello regionale e nazionale. I voti dei boss fanno comodo anche al nord. Con le ‘ndrine si stringono patti, però, che devono essere rispettati. Accordi che aprono le porte ad una presenza sempre più sfacciata, asfissiante e mortale. I cui responsabili sono molti: i politici, natural-mente, ma anche gli imprenditori felici, è il caso di Reggio Emilia, di avere la “protezione” delle ‘ndrine che consenti-rebbe loro di fare nuovi affari.Da vittime a collusi il passo è breve. Sono numerosissimi i professionisti al servizio dei boss. Grazie ai loro servigi rendono possibile ripulire denaro sporco, fare acquisizioni societarie anche sofisticate, presentarsi con la faccia puli-ta di chi rispetta le regole.Il libro di Tizian è denso di fatti, nomi e circostanze. E’ una denuncia documentata al silenzio, all’indifferenza e alla collusione.

Le mafie al nord della Linea Gotica di Gaetano Liardo

>> libri

Giovanni Tizian

GOTICA. ‘NDRAN-

GHETA, MAFIA E

CAMORRA OLTRE-

PASSANO LA LINEA

Round Robin Edito-

re, Roma 2011

pag.302, 15 euro

LIBRI

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21verità e giustizia - 9 febbraio 2012

«[...] Al di là del cancello, dentro, il cerchio del muro,

nel tabuto fresco di vernice, era Carmelo Battaglia, il

sindacalista di Tusa ammazzato su una trazzera, una

mattina di marzo, con due colpi a lupara,

e messo in ginocchioni, con la faccia per terra. La

valle declinava dolce fino alla balza d’Alesa (le sue

mura massicce, l’agorà, i cocci d’anfora e le colonne

spezzate affioranti tra gli ulivi, la bianca Demetra

dal velo incollato sul ventre abbondante). In fondo,

Tusa Marina, col suo castello sull’acqua smagliante e

triangoli di vele sui merli. Nel ventitré ammazzarono il

padre Battaglia, con colpi a lupara, su una trazzera, e

gli riempirono la bocca di pietre e di fango.

Il vecchio s’era tirato fin sulla nuca e gli orecchi lo

scialle scozzese, aveva chiuso gli occhi e reclinato il

mento sul petto [...]»

Vincenzo Consolo, Scrittore

( 18 febbraio 1933 – 21 gennaio 2012)

Pubblicato su L’Ora il 16 aprile 1966. E’ un ricordo di

Carmelo Battaglia, dirigente contadino ucciso dalla

mafia a Tusa all’alba del 24 marzo 1966.

IPSE DIXITIl tabuto fresco di vernice

a cura di Norma Ferrara

di Vincenzo Consolo

rubriche <<

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22 verità e giustizia - 9 febbraio 2012

dai territori <<

a cura di Norma Ferrara

Ergastolo e sei mesi di isolamento diurno. Questa la condanna stabilita ieri dal Giudice della II Corte di Assise di Appello del Tribunale di Napoli nella sentenza nei confronti di Vincenzo Russo, l’assassino di Gianluca Cimminiello, il giovane tatuatore ucciso per una foto pubblicata su Facebook. In aula, durante la lettura della sentenza da parte del giudice, c’è la famiglia di Gianluca, la Fondazione Pol.is, i referenti regionali di Libera, l’associazione Giugliano contro le mafie e una rappresentanza del coordinamento campano dei familiari delle vittime inno-centi di criminalità.

Una commissione prefettizia ha inviato al Viminale la richiesta di scioglimento del comune di Sa-lemi per pericolo di infiltrazioni mafiose. L’amministrazione comu-nale guidata da Vittorio Sgarbi è stata oggetto di una indagine per appurare il rischio di inquinamen-to dell’attività pubblica. Al centro dell’inchiesta la figura del politi-co Giammarinaro, già oggetto di provvedimenti giudiziari in questo anno. Sgarbi respinge le accuse, prima sceglie di dimettersi. Poi cambia idea e rimane in carica.

Campania

Sicilia

Arrestati oggi i genitori della giovane testimone di giustizia suicidatasi il 20 agosto scorso, Maria Concetta Cacciola. Secondo la procura di Palmi, Maria Concetta Cacciola si sarebbe suicidata a seguito delle pressioni esercitate dalla famiglia affinchè uscisse dal programma di protezione e ritrattasse quanto già dichiarato agli inquirenti.

Calabria

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Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera InformazioneOsservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie

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Hanno collaborato a questo numero:Ufficio Stampa di Libera, Cosimo Marasciulo, Federica di Lascio, Aldo Cimmino,

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