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BOLOGNA 2 AGOSTO 1980 LA MEMORIA DELLA STRAGE ATTRAVERSO I DISCORSI DI COMMEMORAZIONE

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BOLOGNA 2 AGOSTO 1980 LA MEMORIA DELLA STRAGE

ATTRAVERSO I DISCORSI DI

COMMEMORAZIONE

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INDICE.

INTRODUZIONE……………………………………………………… 5

CAPITOLO 1- LA MEMORIA PUBBLICA………………………… 7

CAPITOLO 2- IL METODO………………………………………….. 15

CAPITOLO 3- I PRIMI DISCORSI………………………………….. 17

CAPITOLO 4- LE VITTIME, L’ASSOCIAZIONE RICORDA……. 25

CAPITOLO 5- ESECUTORI, DEPISTATORI E MANDANTI,

UNAVICENDA MAI TERMINATA………………… 35

CONCLUSIONI………………………………………………………… 49

APPENDICE…………………………………………………………….. 53

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………….... 55

ARCHIVIO FOTOGRAFICO………………………………………….. 56

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INTRODUZIONE

Ho intrapreso questo lavoro per vari motivi, ma la ragione principale è una ragione di tipo

affettivo, il ricordare mio zio, Davide Caprioli e tutte le persone morte in quel 2 Agosto alla

stazione di Bologna, persone alle quali è stato tolto il diritto inviolabile alla vita, all’amore ed ad

essere amati. Questo è il motivo che principalmente mi ha spinto a svolgere un’analisi sul tema

della memoria pubblica.

Questo mio lavoro parte da una ricerca che ha come fulcro i discorsi tenuti, negli anni, in

occasione della ricorrenza dell’orrenda strage, da Torquato Secci e Paolo Bolognesi “Presidenti

della Associazione dei Familiari delle Vittime della Strage alla stazione di Bologna 2 Agosto 1980”.

Un’analisi che cerca di sottolineare le modalità e le parole usate, con le quali si è cercato e

ancora si cerca, con risultati, a mio parere, non ottenibili prima dell’avvento dell’Associazione dei

familiari delle vittime, di mantenere vivo il ricordo di quel tragico evento.

Il fulcro di questo lavoro sarà costituito, come spiegavo, i discorsi tenuti dai due presidenti

dell’Associazione, nel giorno della commemorazione della strage, il 2 Agosto 1980, che, ormai da

ventisette anni, è diventato un appuntamento importantissimo con la memoria.

Questa giornata, infatti, è il momento nel quale i familiari delle vittime ricordano i propri cari

morti nella strage ed è lo spazio dato ai familiari dei caduti in quel tragico evento, per ribadire che

l’Associazione non riuscirà ad essere sottomessa al silenzio, quell’arma usata più volte, in questi

anni, da depistatori o da chi voleva far dimenticare, per una finta idea di pacificazione nazionale,

l’orrendo gesto compiuto da persone senza scrupoli, continuando a vigilare affinché la memoria

originale rimanga intatta senza alterazioni o revisionismi.

In queste poche frasi è riassunto uno dei motivi principali per i quali l’Associazione è stata

creata e, come si potrà notare in questa mia analisi, un presupposto che, insieme alla ricerca della

verità sulla strage e alla giustizia per le molte vittime innocenti, sarà ritenuto lo scopo principale che

mantiene viva l’unione tra questo gruppo di persone.

Per sottolineare questo agire, che ritengo identifichi in maniera chiara che cosa è

“l’ASSOCIAZIONE FAMILIARI DELLE VITTIME”, cercherò di analizzare, da un punto di vista

comunicativo, il susseguirsi di discorsi tenuti, facendo particolare attenzione agli elementi per

comprendere l’evoluzione di questi, analizzando le tematiche affrontate, i fatti verificatisi negli anni

successivi alla strage, e, elemento non meno importante, gli individui particolarmente rilevanti per

capire la storia di questo evento, citati a vario titolo, in queste esortazioni a non dimenticare.

Dividerò questo mio lavoro in più parti, partirò da una divisione dal punto di vista temporale,

analizzando i primi discorsi letti durante la giornata di commemorazione, cercando di comprendere

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quali siano stati i concetti affrontati e quali di questi ancora oggi sono elementi di dibattito,

sforzandomi di individuare e di capire, attraverso le parole, quali siano state, e quali sono ancora

oggi, le problematiche con le quali i familiari delle vittime dovettero e devono scontrarsi.

Allo stesso modo rivolgerò un occhio di riguardo per tutte quelle vicende passate, o avvenute

più recentemente, che hanno attraversato la vita politico-sociale italiana e mondiale, facendo

attenzione a quei tragici eventi terroristici costati la vita a così tante persone, come, per citarne uno,

la strage di Brescia, o ancora a quelle vicissitudini ritenute importanti per il contesto del quale

stiamo parlando. Questa mia attenzione, per questi episodi, è dovuta ad una ricerca e ad una

comprensione di quella che è stata la linea di comportamento tenuta dall’ “ASSOCIAZIONE

FAMILIARI DELLE VITTIME” già dai primi anni dopo il tragico evento.

Una seconda parte, invece, verterà su di un argomento molto importante, per la completezza di

questo mio lavoro e più precisamente riguarderà come, nei discorsi, veniva sottolineato il ricordo

dell’ evento strage, con particolare attenzione alle parole e alle frasi usate per parlare delle vittime.

Quest’occhio di riguardo è dovuto ad una elevata importanza dell’argomento nell’ ambito dello

studio sulla comunicazione pubblica, in quanto il ricordare le persone uccise in quel terribile eccidio

è un esempio di come la memoria possa passare da un aspetto prettamente individuale ad una

concezione collettiva attraverso la mediazione della società.

L’ultima parte di questo mio lavoro, infine, si baserà sulla tematica della responsabilità della

strage. Con il susseguirsi degli anni e l’avanzamento dei processi, inerenti a questo tragico evento,

infatti, gli elementi per parlare di mandanti ed esecutori si moltiplicheranno. Proprio per questo

cercherò di sottolineare come, nei discorsi di commemorazione, si aggiungeranno con il tempo

riferimenti sui colpevoli, con particolare attenzione alle coperture e ai depistaggi attuati per

occultare questi ultimi. Questo mio lavoro non pretende di essere una ricerca completa e dettagliata

per quanto riguarda un criminale attentato quale può essere stato la Strage di Bologna, ma un

contributo, anche se di modeste dimensioni, per non perdere il ricordo di quelle persone innocenti

morte in quel 2 agosto 1980. Un contributo che, sicuramente, rientra in quel concetto che apparirà

spesso in questa mia ricerca, l’idea di partecipare al “FARE MEMORIA”.

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CAPITOLO 1

LA MEMORIA PUBBLICA

Per iniziare questo lavoro è innanzitutto doveroso, anche per cercare di comprendere

l’argomento del quale si scriverà, parlare di che cosa è la MEMORIA PUBBLICA.

Per addentrarsi in questo concetto è necessario comprendere come la stragrande maggioranza

degli studi sulla sociologia della memoria ha sottolineato che la memoria individuale non è solo “un

atto intimo è privato” 1, ma è un momento di natura prettamente sociale.

Se si prende l’esempio della strage di Bologna e soprattutto gli anni dopo questo tragico evento

- argomento fulcro di questo lavoro - è opportuno notare come il passaggio da una memoria privata

e intima, intesa come ricordo dell’evento e del dolore provato, ad una memoria che tenda ad

esternare nell’arena pubblica, da parte della vittima o del familiare, il ricordo, quindi il passaggio ad

una memoria che possiamo chiamare “sociale”, sia una dimostrazione di come la memoria non solo

costituisca un processo intimo, ma prenda una conformazione di tipo pubblico.

Questo passaggio è ben visibile in alcune parole pronunciate dai familiari delle vittime e più

precisamente:

“Non voglio che nessuno mi ascolti per pietà, non siamo mai andati piangere da nessuno, ma

siamo sempre in prima linea a rivendicare. Ci siamo assunti la responsabilità di far sapere, di

ottenere giustizia, e non ci siamo chiusi nel nostro dolore. Il nostro obbiettivo è quello di ottenere

giustizia, nessuno di noi vuole fare a vita il familiare della vittima”2.

In queste parole è rimarcato questo concetto, in quanto, quando nella frase si dice che i

familiari delle vittime si sono presi la responsabilità di far sapere, è importante notare come questa

funzione sia strettamente collegata al fatto che la memoria non è mai solo privata e limitata alla

nostra sfera personale, ma supera questa concezione intima e pervade quella che è la vita pubblica

di una società, soprattutto se si tratta di un evento così drammatico.

Dopo aver introdotto un concetto così importante e basilare per quanto riguarda questo tema, è

necessario, ripercorrendo e studiando la comunicazione pubblica del passato, notare come diversi

gruppi sociali competano, all’interno dell’area pubblica, non solo per la definizione legittima del

1Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 21.2 Turnaturi G. , Associati per amore, Feltrinelli, Milano, 1991 ibidem.

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passato “ma anche della loro identita’ collettiva e quella di gruppi confliggenti”3. Questa

competizione è parte di quel processo di costruzione del quale si sta parlando.

Due sono quindi gli ambiti o, come si vogliono indicare, le strade che, parlando di MEMORIA,

si possono intraprendere: una strada che parta da “come la società costruisce la memoria”4 ad una di

“come la memoria costruisce la società”5.

Prendendo come aiuto, infatti, il libro “LA CITTA’ FERITA” [2001] della professoressa

Annalisa Tota, si può notare come la differenza dei due approcci sia una differenza che si concentra

soprattutto sull’utilizzo della memoria come mezzo per la costruzione di importanti elementi per la

società.

Vi è una differenza dal punto di vista dell’approccio, ma, come più volte è stato notato, questa

stessa differenza porta questi due metodi ad una elevata complementarietà.

Questo è dovuto al fatto che, mentre il primo modello analitico studia come la società sviluppi

la trama del tessuto e dei ricordi, il secondo parte dall’utilizzo della memoria che fanno gli attori

sociali per costruire le identità individuali e collettive.

Quindi, la forte interdipendenza tra memoria e società è un punto fermo, è una condizione

necessaria per poter comprendere e parlare di MEMORIA.

Se, infatti, si riprende il primo lavoro di HALBWACHS “la memoriè collective [1950]” 6 è

possibile notare come il ricercatore parli di una memoria alla quale non si accede in modo diretto

ma in modo mediato, attraverso il passaggio dai “quadri sociali”7.

Questo ricordare in maniera indiretta e questo pensare alla memoria, al ricordo dei fatti

avvenuti, come dipendente da fluttuazioni e revisioni di punti di vista può essere riassunto nella

frase:

“ ogni forma di memoria è una ricostruzione parziale e selettiva del passato, i cui punti di

riferimento sono forniti dagli interessi e dalla conformazione della società presente” [Iedlowski

1987].

Questa frase sottolinea come sia il presente a delineare il passato, il ricordo di quello che è

stato attraverso una rivisitazione ed una selezione di elementi nell’insieme confuso della memoria,

da parte degli interessi dominanti della società.

3 Tota A.L.- La Citta’ Ferita, Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 23.4 Tota A.L. – La Citta’ Ferita, Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 24.5 Tota A.L.– La Citta’ Ferita, Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 24.6 Tota A.L.– La Città Ferita , Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 24.7 Tota A.L.– La memoria contesa, Angeli, Milano, 2001.

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Partendo quindi da questo evidenziare il ruolo svolto dagli interessi della società, si può notare,

come è ben chiaro nel libro della professoressa Tota, il fatto che secondo Halbwachs si debba

distinguere tra “MEMORIE DOMINANTI” e “MEMORIE DEI GRUPPI SUBORDINATI”.

Lo stesso Halbwachs fa una altra importantissima classificazione che servirà molto in questo

lavoro, la divisione della memoria in tre diverse accezioni:

LA MEMORIA INDIVIDUALE – intesa come memoria del singolo costruita intorno ad un certo

grado di libertà socialmente determinante

LA MEMORIA COLLETTIVA - una memoria collettiva condivisa da un certo gruppo attori

sociali che vi ricercano la riproduzione sociale e ne perseguono

la comunicazione pubblica

LA MEMORIA SOCIALE - la memoria della società

Ed è proprio sul terzo concetto che è necessario soffermarsi per comprendere ciò di cui si sta

parlando e per completare un discorso che segua una logica ben definita.

La MEMORIA SOCIALE, infatti, è una accezione che può essere riconsiderata, secondo

NAMER, importante studioso della materia, come un qualcosa che sta “ al di là” o “ al di qua” della

memoria, come se fosse lo sfondo nel quale competano differenti memorie8, la struttura di

plausibilità della memoria collettiva ed individuale.

Il passato è sottoposto a continue revisioni ma nello stesso tempo il grado di libertà nella quale

si può muovere questa revisione non è infinito, ma possiede un limite entro il quale questa

rivisitazione del passato non è più possibile.

Nel caso di Bologna tutto ciò è ben visibile nel fatto che non si può negare che in quella

stazione abbia effettivamente avuto luogo una strage e non si può negare, allo stesso modo, che vi

sia stato un attentato terroristico e non invece, come molti volevano fare credere, l’esplosione di una

caldaia.

Questa sicurezza nel poter affermare questo tipo di memoria è dovuto sicuramente al fatto che,

nel caso di Bologna, le successive sentenze della magistratura hanno definito “la struttura di

plausibilità entro cui le memorie individuali e collettive dell’esatta sequenza e definizione

dell’evento dovevano articolarsi”9 e oltremodo, per il lavoro incessante dell’ Associazione dei

familiari delle vittime che, in quanto depositaria della memoria originale, nel corso degli anni ha

combattuto, nella sua posizione di “imprenditore morale della memoria”, per contrastare i molti

revisionismi attuati.

8 Tota A.L. - La Città Ferita, Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 26.9 Tota A.L. – La memoria contesa, Angeli, Milano, 2001 pp. 106.

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E’ quindi importantissimo parlare, per questo lavoro, di una memoria come processo sociale,

come momento di rivisitazione del passato attraverso il presente; ma è ancora più importante

mettere in campo un altro aspetto di quest’argomento e più precisamente le interconnessioni

esistenti tra il produrre memoria pubblica e fare comunicazione sul passato, attraverso cerimonie

commemorative, discorsi e la produzione di simboli.

Per questo motivo è importante tener conto della distinzione analitica fondamentale “tra

codifica e decodifica di un messaggio, tra produzione e ricezione di un artefatto culturale”10.

Sull’argomento degli artefatti culturali, è utile, in questo contesto, spendere alcune parole.

“Gli oggetti , i luoghi e le pratiche sociali della memoria rappresentano l’arena privilegiata in

cui si costruiscono le memorie legittime quelle che hanno diritto di cittadinanza nel discorso

pubblico e nella costruzione discorsiva della rappresentazione stessa della realtà.” A.L Tota

[2001]

Con queste parole la professoressa Tota spiega l’importanza degli artefatti culturali per quanto

riguarda la comunicazione. Nelle parole appena citate è utile sottolineare il rapporto esistente tra

memoria legittima e discorso pubblico.

Se si riprende, infatti, la concezione habermasiana di sfera pubblica è interessante vedere

“come le memorie collettive si concentrano ad un livello intermedio della sfera pubblica e cioè un

livello riguardante la fisicità di queste memorie, messe in atto attraverso azioni rappresentative”11.

E’ necessario, quindi, sottolineare come è proprio nello “spazio della sfera pubblica che si

oggettivizzano le memorie collettive”. Questo rapporto è duale: da una parte la memoria assume

fisicamente forma nello spazio pubblico, ma allo stesso tempo contribuisce essa stessa a creare la

sfera pubblica. Questo processo avviene perché questa memoria crea quelli che saranno gli attori

sociali che costituiranno la pubblica opinione.

Dopo aver introdotto questi importanti concetti, utili per la comprensione del processo di

costruzione della memoria pubblica, è necessario passare ad un’ analisi di quelli che sono i mezzi

per forgiare questa memoria: gli “artefatti culturali12”.

Prendendo come esempio la strage di Bologna, l’attenzione si sposta, come primo passo per

seguire una linea logica, sul luogo fisico dove questo tragico momento della storia italiana ha avuto

luogo: la stazione di Bologna.

10 Tota A.L. - La Città Ferita, Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 28.11 Tota A.L. - La Città Ferita, Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 26.12 Tota A.L. - La Città Ferita, Il Mulino, Bologna, 2003 pp. 46.

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Tale stazione deve essere vista non solo come luogo percettibile nella realtà, in quanto

possessore di una esistenza materiale, ma, allo stesso momento, come “non luogo” dove il soggetto

si distacca dalla sua individualità.

Tale distacco dal proprio io è dovuto sostanzialmente al fatto che, la stazione, essendo un luogo

affrancato dalla storia e definito secondo la sua funzionalità, porta i suoi utenti ad avere un’ identità

provvisoria quale è quella stabilita, per fare un esempio, dal biglietto del treno.

A questo punto è lecito chiedersi: come si commemora un evento all’interno di un “non

luogo”?

Per dare un risposta a questa domanda pare opportuno considerare anzitutto lo squarcio nel

muro provocato dalla bomba; tale squarcio può essere efficacemente paragonato “ad un urlo sordo

che il viaggiatore può ignorare ma che, una volta entrato nel proprio campo visivo, non permette

alcuna distrazione13”.

Questa percezione dell’evento drammatico produce una sorta di “corto circuito cognitivo”14

con la forma dell’identità, resa possibile dalle caratteristiche sopra menzionate che ha un “non

luogo”.

Questo conflitto di sensazioni, in altre parole, porta il richiamo della storicità del momento a

contapporsi con l’identità del viaggiatore.

Allo stesso modo, anche per quanto riguarda il concetto di commemorazione, al fine di arrivare

ad un analisi soddisfacente, è necessario addentrarsi in primo luogo nella definizione pubblica di

“commemorazione”.

In tal senso si può affermare che il concetto di “monumento vivente” si presta bene allo scopo.

L’unire iniziative culturali, quali un concerto rock o classico che sia, con un evento così

cruento e drammatico, quale è stata la strage di Bologna, può essere sicuramente riassunto nel

termine sopraccitato.

Per riuscire a comprendere come un’ operazione di questo tipo possa essere possibile, si

devono analizzare due questioni: la prima riguardante la percezione delle vittime come “morti di

tutta la nazione” e la seconda relativa alla percezione che i familiari hanno di questa

commemorazione pubblica.

Approfondendo il primo punto appena menzionato, risulta possibile mettere in campo il

carattere politico e nazionale di questi morti che da “cari defunti” sono passati ad essere “vittime

13 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 60.14 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 63.

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della Nazione”, in quanto l’evento del quale sono stati vittime è caratterizzato da una forte valenza

civile e storica per l’intera nazione italiana e la sua comunità.

Questo passaggio di status delle vittime, che trova il suo centro nel considerare il lutto non più

come esclusivamente privato ma anche come lutto di tutta la nazione, rappresenta un passaggio

importante per l’unione di un metodo commemorativo, quale potrebbe essere ad esempio un evento

musicale, con un fatto storico di così tragica portata e di così tanta violenza.

Questo passaggio, infatti, permette a tutti i familiari, più vicini e più lontani dai codici della

musica ad esempio, di conciliare la modalità del concerto con le memorie ed il lutto individuale.

Analizzando il secondo punto, ovvero la percezione che i familiari hanno di questa

commemorazione pubblica, è possibile notare come la definizione di comunicazione sia distante

dall’essere completamente condivisa.

Mentre i membri più anziani tendono a prediligere una forma di esternazione del lutto più

tradizionale, i membri più giovani cercano invece di avvalorare un sistema commemorativo

innovativo, che si rappresenta attraverso il valore della memoria non solo dal punto di vista

luttuoso, ma anche depositaria di valori e di guida civile.

Questo è quindi un punto molto importante: dal concetto puramente individuale e luttuoso di

memoria ad un più ampio concetto di “memoria civile” appartenente a tutta la nazione ed esternata

attraverso diverse modalità, che è sfociata in una fase importante di cambiamento che ha

caratterizzato la stessa Associazione dei familiari delle vittime.

Tale cambiamento parte da una funzione dell’Associazione come organo per un percorso

giudiziario che possa arrivare certamente ad una giusta condanna dei terroristi, ma anche da una

funzione dell’Associazione come “imprenditore etico e civile delle memoria”.15

Tale punto di vista, infatti, viene chiarito anche dalle stesse parole del Presidente

dell’Associazione Paolo Bolognesi, che ritiene questo progetto come “la vendita della memoria

della strage, che rappresenta un bene nazionale da trasmettere e preservare”16 , e viene quindi

visto quasi come un progetto di marketing più facilmente sostenibile dai membri dell’Associazione,

quando quei processi di reciproca intersezione tra memoria dei familiari a livello individuale e

collettivo sono confluite all’interno della memoria sociale di quest’evento.

Molte sono state le iniziative dell’Associazione per intraprendere questo progetto,

dall’esposizione dell’autobus numero 37, usato subito dopo la strage per trasportare le vittime agli

obitori cittadini, come oggetto di ricordo ed artefatto della commemorazione all’orologio della

15 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 157.16 Ibidem.

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stazione fermatosi alle 10,25, attimo in cui il vile attentato fu compiuto, con la successiva

esposizione di una targa, sottostante all’orologio, che rammenta ai viaggiatori ciò che successe in

quel caldo 2 agosto 1980.

Molte iniziative quindi sono state portate avanti per la giustizia e la memoria, ma dopo 25 anni,

in una situazione sociale che sembra essere cambiata, che sembra spesso voler dimenticare i fatti del

2 agosto e di tutte le altre stragi, l’Associazione dei familiari dovrebbe poter riuscire a preservare il

lavoro ottenuto con tanto impegno e tanta fatica.

L’aver introdotto la tematica degli “artefatti culturali” è stato necessario per riuscire

nell’intento di dare un “corpus” di elementi fondamentali per riuscire a parlare di memoria

pubblica.

Prima di procedere, però, con quelli che saranno gli elementi portanti di questo lavoro, è

necessario capire “come fare memoria attraverso i discorsi pubblici”.

Per affrontare questa tematica e per capire meglio come sia possibile fare memoria attraverso le

parole, è necessario elencare quelle che sono comunemente considerate le caratteristiche principali

di un discorso.

La prima qualità è, sicuramente, la possibilità, per il relatore di una dissertazione, di dare un

tono e quindi enfasi al discorso. Questa peculiarità è importante, in quanto l’essere umano, quando

assiste ad un discorso pubblico, è un ascoltatore caldo e partecipativo, cioè si immedesima

fortemente nella vicenda e si lascia coinvolgere totalmente.

Questa partecipazione è dovuta al contatto diretto, da parte del pubblico che ascolta, con il

relatore del discorso, portando un’immedesimazione molto forte tra le due parti.

L’immedesimazione è un forte incentivo, per l’essere umano, al ricordo di un evento, proprio

perché nel momento in cui ha udito le parole piene di enfasi che spiegavano quest’evento, egli

stesso si è immedesimato.

Il caso di Bologna è un esempio evidente.

L’essere presente nel luogo del terribile attentato e udire le parole che ricordavano quei

momenti di caos, che ricordavano le vittime e condannavano gli esecutori, è, sicuramente, un forte

stimolo per fare in modo che questo tipo di memoria venga impresso nei ricordi della persona, in

quanto l’immedesimazione è tale che anche una persona che non ha vissuto sulla propria pelle quel

terribile gesto viene portata a pensare e a chiedersi quali sentimenti e reazioni avrebbe avuto se

avesse perduto una persona cara.

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L’immedesimazione, quindi, può essere considerata un’arma vincente per fare memoria

attraverso i discorsi pubblici.

Una seconda caratteristica è la semplicità che contraddistingue il discorso, una semplicità che

deriva dalla possibilità, da parte della grande maggioranza delle persone, di usufruire e capire quella

che è ritenuta la “tradizione orale”, intesa come espressione di determinate idee e valori attraverso

le parole.

La differenza con la scrittura sta proprio qui, nella capacità di arrivare anche a chi non ha i

mezzi per comprendere la scrittura stessa, che per la sua elevata complessità risulta quindi più

difficile da memorizzare.

Queste sono le caratteristiche principali per le quali è possibile fare memoria attraverso un

discorso pubblico, che sia un discorso di commemorazione o di un qualsiasi altro genere.

Il fare memoria è, quindi, connesso fortemente con il fare comunicazione pubblica.

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CAPITOLO 2

IL METODO

Passando a spiegare il metodo vero e proprio, con il quale questo lavoro è stato svolto, si

cercherà di elencare quali sono stati i passaggi che hanno consentito di seguire un filo logico per

analizzare questa difficile tematica.

Come primo passo, per iniziare questo scritto, si è cercato di raccogliere il maggior numero di

discorsi tenuti dai due presidenti dell’ “ASSOCIAZIONE FAMILIARI DELLE VITTIME” per

riuscire ad avere un “corpus” di elementi sostanzioso per poter analizzare più approfonditamente

l’argomento. Per portare a termine questa raccolta è stato utilizzato, prevalentemente, uno

strumento, che di per sé, racchiude molti degli aspetti della tematica relativa alla comunicazione

pubblica: Internet.

Con questo potente motore d’informazione, è stato possibile accedere al sito

dell’“ASSOCIAZIONE FAMILIARI DELLE VITTIME” dove è possibile trovare numerosi dati e,

soprattutto, tutti i discorsi tenuti nel giorno della commemorazione dell’ evento, il 2 Agosto.

Dopo aver scaricato tutto il necessario per costruire questa tesina, si è proseguito, attraverso un

attento lavoro di lettura, a compilare delle schede di rilevazione. In queste si è sottolineato, per ogni

commemorazione, quelle che erano le parole chiave per una comprensione globale del discorso

tenuto, cercando di concentrare l’attenzione sulla linea adottata per comunicare la memoria di

questa tragica strage.

L’estrapolare queste parole chiave e, soprattutto, la concentrazione sui momenti nei quali i

discorsi parlavano delle vittime, è stato necessario per capire come “L’ASSOCIAZIONE

FAMILIARI DELLE VITTIME” comunica e, in passato, ha comunicato la memoria di questo triste

evento. Queste schede sono state inoltre necessarie per riuscire a dare un disegno coerente a questo

scritto, fornendomi anche dal punto di vista temporale, le informazioni più importanti citate nei

discorsi.

Un secondo passo è stato, sicuramente, l’aver partecipato alla manifestazione di

commemorazione della strage che si tiene ogni 2 Agosto a Bologna: l’importanza di questo evento è

cruciale.

Il comprendere, infatti, come si svolge tutto il cerimoniale di questa giornata è illuminante, in

quanto si riesce a capire l’importanza del ruolo svolto dall’associazione e di come sia cruciale la

comunicazione della memoria originale su questo evento.

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Il partecipare in prima persona a questa commemorazione, quindi, è stato un ottimo strumento

di ricerca per lo sviluppo di questo mio lavoro.

Nell’ambito di questa cerimonia è stato fondamentale il momento nel quale, dal palco

appositamente costruito nella piazza della stazione bolognese, si sono susseguiti i vari discorsi, dal

primo pronunciato dal presidente dell’ ASSOCIAZIONE FAMILIARI DELLE VITTIME, agli

altri, esposti dalle autorità politiche.

Inoltre, è stato costruttivo osservare la reazione della piazza, in quanto, in quel momento, erano

parte della moltitudine di persone alle quali era indirizzato il discorso e parte di quella società

italiana che non vuole dimenticare questo tragico evento.

Nel pranzo che si tiene dopo la commemorazione è stato oltremodo interessante parlare con

alcuni dei feriti e con alcuni parenti di vittime di quell’orrenda strage. Questo mi ha portato ad

affrontare alcune tematiche molto importanti per la mia ricerca, quali la solitudine nella quale sono

state lasciate queste persone, l’amarezza nel vedere che molti dei colpevoli siano ora a piede libero

e quel desiderio di giustizia che è ben lontano da quello che molti credono desiderio di vendetta.

Prima di iniziare questo mio scritto ho raccolto, infine, una bibliografia che mi consentisse di

analizzare questa tematica. I libri sui quali mi sono basato sono vari ma, principalmente, ho

effettuato le mie ricerche su alcuni libri della professoressa Anna Lisa Tota, professore associato in

Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre,

che con il suo libro,” LA CITTA FERITA memoria e comunicazione pubblica della strage di

Bologna, 2 Agosto 1980” ha analizzato la difficile tematica della memoria pubblica, studiando

come si costruisce la sfera pubblica e come si combatte la quotidiana guerra contro l’oblio e il

terrorismo.

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CAPITOLO 3

I PRIMI DISCORSI

2 Agosto 1981: è passato un anno dalla Strage di Bologna e in quella stessa città, nella stessa

data del tragico evento, migliaia di persone si ritrovarono per ricordare gli 85 morti innocenti.

La celebrazione fu solenne e vi parteciparono una moltitudine di persone, non solo cittadini di

Bologna, ma gente venuta da tutta l’Italia e anche dall’estero. Dal palco, costruito nella piazza

antistante alla stazione, nel centro della città, i familiari delle vittime si apprestavano a seguire il

discorso del presidente dell’associazione da loro appena creata.

Il primo discorso di quel grande personaggio che sarà il primo presidente della

ASSOCIAZIONE FAMILIARI DELLE VITTIME” , Torquato Secci, fu un discorso molto breve,

ma molti furono gli enunciati con i quali l’Associazione espresse, nel giorno della

commemorazione, la sua continua presenza nella ricerca di Verità e Giustizia.

Le tematiche affrontate furono espresse in questi discorsi di commemorazione che, come si

può notare, leggendone anche solo una parte, si sono arricchiti con il tempo di elementi sempre

nuovi, divenendo da semplici declamazioni di alcune frasi ad un insieme di elementi articolato e

consistente, nel quale si esprimeva la posizione dell’ Associazione nei confronti di tutti gli

avvenimenti inerenti alla strage, succedutisi negli anni, come, per fare un esempio, i depistaggi o

anche solo l’iter processuale.

Questi primi discorsi prendono sicuramente avvio con la prima dissertazione avvenuta il 2

agosto 1981, un anno dopo la strage, durante la prima giornata di commemorazione di quest’ultima,

con il discorso tenuto da Torquato Secci.

Come criterio in questa approfondimento, nel cercare di comprendere quali possano essere

considerati i primi discorsi dell’Associazione e quindi per dare un limite definito nella costruzione

di questo paragrafo del lavoro, si è preso come principio la brevità del discorso stesso e più

precisamente sono stati compresi i primi discorsi secondo un parametro inerente ad un’importante

informazione, la citazione di quelli che saranno gli ispiratori e i colpevoli della strage.

Questa divisione è dovuta ad un aspetto che si ritiene importante come elemento per l’analisi,

ovvero il passaggio da un discorso dove si affrontavano temi più generali, quali appunto la ricerca

di Verità e Giustizia, temi che comunque rimarranno in ogni discorso tenutosi fino ad oggi, ad una

citazione di tematiche più specifiche, come il riferimento ai colpevoli.

La divisione secondo il criterio di brevità e di tematiche affrontate è, sicuramente, un esempio

importante di come “negli anni il ruolo tenuto dall’ Associazione familiari delle vittime, si sia

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consolidato nell’organizzazione della giornata della memoria” 17 . Secondo il criterio appena citato,

si comprenderanno e si analizzeranno, in questo lavoro, i discorsi tenutisi fino al 1984.

Passando ad analizzare, infatti, le parole usate durante questi primi anni di commemorazione

della strage, si può notare come queste siano incentrate su alcuni argomenti principali.

Queste tematiche sono tre e più precisamente:

1. L’INNOCENZA DELLE VITTIME

2. IL SILENZIO NEL QUALE SONO STATE LASCIATE

3. LA GIUSTIZIA OSTACOLATA NEL RICERCARE E CONDANNARE I COLPEVOLI

E LA RICERCA DELLA VERITA’

Partendo nell’analizzare il primo punto chiave, ovverosia il concetto di INNOCENZA, è

importante sottolineare, come è scritto nel discorso, che l’innocenza delle vittime è un evidenziare

l’ingiustizia che queste hanno subito. L’essere stati privati del diritto inviolabile alla vita, infatti, è

una delle più gravi sopraffazioni possibili, che, se dovuta alle azioni di qualche persona senza

scrupoli, diventa ancora più grave e più terribile. Le parole usate da Torquato Secci per esprimere

questo concetto di innocenza sono poche ma sono esaurienti nel comunicare questo pensiero:

“L'infame strage massacrava e uccideva 85 persone - tra cui otto bambini - e ne

feriva 200 - tra cui 20 bambini. Erano tutti innocenti.”

T. Secci [2 Agosto 1981]

Questa innocenza, di fatto, è un concetto che più volte, negli anni seguenti, verrà ribadito, per un

motivo molto semplice: la matrice terroristica del triste evento.

In questo contesto, l’innocenza è una caratteristica da contrapporsi al concetto di colpevolezza.

Questa dicotomia o meglio la contrapposizione di questi due concetti, è fatta per rimarcare la

presenza di persone innocenti morte in quella strage, ma ancora di più per sottolineare che vi sono

dei colpevoli che, con la loro scellerata azione, hanno violato uno dei principi cardine di molte

democrazie: il diritto alla vita. L’innocenza di queste vittime, quindi, è un concetto che

l’Associazione ricorderà sempre nel suo importante lavoro di “imprenditore morale della

memoria”18 contro chi cercherà di creare confusione sulla colpevolezza o sull’innocenza, facendo

credere che gli stessi colpevoli siano da considerare, a loro stessa volta, vittime del loro tempo,

tempo di clima politico da guerra civile, vittime di quelli che saranno chiamati gli “anni di piombo”.

Passando ad approfondire il secondo concetto espresso in questi primi discorsi tenuti da

Torquato Secci durante le prime commemorazioni della strage e più precisamente la tematica del

17 Tota A. L., La città ferita, , Bologna, Il mulino, 2003, pp. 199.18 Tota A. L, La città ferita, , Bologna, Il mulino, 2003 pp. 156.

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SILENZIO che caratterizzava la situazione nella quale sono state lasciate le vittime di questa

orrenda strage, è necessario partire da un passo citato nel discorso di commemorazione tenutosi il

giorno 2 Agosto 1983 :

“Alle nostre proteste non si provvede e non si risponde, le nostre denunce hanno

l’eco di un giorno e poi tutto si perde nella violenza del silenzio, favorendo chi ha

interesse che anche questo processo duri decine di anni.”

T. Secci [2 Agosto 1983]

Nell’analisi di queste parole é utile soffermarsi sulla circostanza nella quale si parla della

perdita di “proteste e denunce dei familiari nella violenza del silenzio e nel poco spazio che viene

dato a favore di chi vuol far dimenticare”.

Questo concetto porta alla luce quella divisione di Paul Ricoeur [1997] del concetto di oblio.

Secondo questo autore, infatti, il concetto di oblio, inteso come processo della dimenticanza, si può

dividere in due parti: “l’oblio individuale e l’oblio istituzionale”19; è proprio nel secondo caso che si

può dire che la dimenticanza è il prodotto di un lavoro istituzionale sedimentato nelle pratiche

sociali della vita organizzata. Se, infatti, si prende in prestito un altro importante concetto, connesso

attraverso un forte legame con la tematica dell’oblio e più precisamente il concetto di “amnesia

culturale”20, inteso come la mancanza, in un contesto sociale, di spazio e forme culturali disponibili

per preservare la memoria di un evento, concetto sviluppato da Jack Goody e Ian Wat [1968], si può

notare come questa “amnesia culturale” costituisca “il modo della dimenticanza istituzionale più

efficace, in quanto l’assenza o la sistematica distruzione di ogni forma di cristallizzazione del

passato (tipica di molti regimi autoritari) mina la possibilità stessa del sedimentarsi di una “memoria

sociale” [Halbawachs 1968]” 21.

E’ proprio questo concetto di distruzione di ogni forma di cristallizzazione del passato che

spinge il presidente dell’ Associazione vittime delle stragi, a parlare di una violenza del silenzio, in

quanto, il poco spazio e il mutismo delle istituzioni, nei confronti delle denunce dell’Associazione,

sembrano quasi un modo per togliere e far dimenticare nel minor tempo possibile l’eco terribile di

un gesto così efferato come è stata la Strage di Bologna, comportamento che, in seguito, si scoprirà

essere non solo una teoria accusatoria, ma una realtà comprovata dai numerosi processi svoltisi,

processi che hanno sottolineato come apparati istituzionali deviati dello Stato abbiano depistato, in

tutti i modi, le indagini per assicurare alla giustizia i mandanti ed i colpevoli. 19 P. Ricoer, gedàchtnis-Vergessen-geshichte, in Muller e Rusen [1997, 433-453].20 Goody J. , Wat I. , The cosequences of Literacy, in J Goody, Literacy in Traditional Societies, Cambridge, Cambridege University Press; trad it. P.P Giglioli e G. Fele (a cura di), Linguaggio e contesto sociale, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 284-331.21 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003, pp 32-33.

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L’argomento dei depistaggi porta a parlare di quello che, in questo lavoro, è inteso come terzo

punto di analisi per quanto riguardava i primi discorsi e più precisamente la tematica della

GIUSTIZIA, intesa come mancata punizione dei colpevoli dovuta ad un continuo ostacolare il

lavoro della magistratura. Molti sono i punti nei quali, in questi primi discorsi di commemorazione,

si denuncia questa situazione insostenibile. Ne verranno citati alcuni:

“Agli uomini di Governo che hanno il potere e il dovere, manca la volontà di far

perseguire, come prevede la legge, gli autori, i fiancheggiatori ed i mandanti della

orribile strage”

T. Secci [2 Agosto 1982]

Con questa frase Secci vuole sottolineare la mancanza di volontà del potere politico di

assicurare una dovuta giustizia alla vittime di questa orrenda strage. Una situazione che,

all’indomani della strage si faceva già sentire, in quanto solo pochi familiari delle vittime avevano

accettato i funerali di Stato. Questo fatto è emblematico perché “quei familiari vollero subito così

affermare di non essere solo i parenti delle vittime, ma anche cittadini che di funerali ufficiali, di

commemorazioni a cui non era seguito poi nulla ne avevano già visti troppi.”22 Ne è esempio il

caso della strage di Brescia.

Altre frasi citate nei discorsi sono emblematiche per esaltare questo argomento:

“Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’ Emilia-Romagna ostacola il corso

della giustizia rinviando continuamente le decisioni che gli competono. Continua la

sospetta presenza dei Servizi segreti con deviazioni che intralciano il corso della

giustizia. Ai Giudici di Bologna, sulle cui spalle grava il peso dell’ inchiesta sulla

strage e nei quali i familiari delle vittime ripongono tutta la loro fiducia, non viene

assicurato quel sostegno di uomini e mezzi assolutamente necessario in circostanze

tanto impegnative”

T. Secci [2 Agosto 1983]

Con queste frasi di denuncia è espresso molto bene il concetto di GIUSTIZIA NEGATA, in

quanto si elencano alcuni degli innumerevoli ostacoli posti alla magistratura nel conseguimento

della verità e nella ricerca dei colpevoli. Se è vero che “le parole pesano come pietra”23 queste

rappresentano un evidente esempio di come il ruolo svolto dall’Associazione nei confronti delle

22 Turnaturi G. , Associati per amore, Feltrinelli, Milano, 1991 , pp 2-3.23 Tota A. L. , La città ferita, il mulino, Bologna, 2003, pp. 198.

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istituzioni sia un ruolo di critica morale, sociale, inerente alla tematica della strage, in quanto il

continuo depistare, da parte di organi dello Stato, le indagini della magistratura, attraverso metodi

anche molto semplici, come, prendendo le parole dal testo sopra citato, il non concedere ai giudici

di Bologna “il sostegno di uomini e mezzi” per proseguire le loro indagini, sia ritenuto un

tradimento da parte di quelle istituzioni che, in teoria, dovrebbero proteggere i propri cittadini.

Passando ad analizzare l’ultimo punto, e più precisamente la tematica della RICERCA DELLA

VERITA’sulla Strage di Bologna, è utile concentrare l’attenzione su come questo termine, insieme

a quello di GIUSTIZIA, sia quasi la chiave per riuscire a comprendere il perché l’ASSOCIAZIONE

FAMILIARI DELLE VITTIME si sia formata.

In effetti, se si prendono alcune frasi citate nei discorsi quali:

“Per i nostri 85 morti e 200 feriti, chiediamo GIUSTIZIA E VERITÀ.”

T. Secci [2 Agosto 1983]

oppure ancora:

“Chiediamo a tutti i cittadini italiani di sostenere le nostre iniziative e di unirsi a

noi nella richiesta del rispetto del diritto civile di ottenere GIUSTIZIA E VERITÀ.”

T. Secci [2 Agosto 1982]

È possibile notare come queste parole, VERITA’ e GIUSTIZIA, siano un rimando molto forte

per quanto riguarda l’esprimersi stesso dello scopo dell’Associazione, quasi come se queste parole

formassero uno slogan, se così si può chiamare, che sia di alto impatto per il pubblico, in questo

caso rappresentato dall’intera società italiana, nel ricordare come questi due ideali siano

importantissimi nel lavoro dell’Associazione. Così facendo “la ricerca della verità e della giustizia

diventano tutt’uno con la definizione della propria identità sociale”24, identità che porta ad una

ridefinizione del termine di cittadinanza, passando dall’essere “cittadini una tantum, che si

presentano alla scadenza e nelle ritualità ufficiali, a cittadini a tempo pieno che vogliono il rispetto

dei diritti ogni giorno”25.

Riprendendo la definizione data alla tematica della ricerca di verità e giustizia, espressa come

uno slogan, è molto interessante portare l’analisi, se è concessa una digressione su un altro metodo

di comunicazione, nel comprendere come questi due concetti siano stati riportati nei manifesti,

24 Tota A. L. , La città ferita, il mulino, Bologna, 2003, pp. 139.25 Turnaturi G. , Associati per amore, Feltrinelli, Milano, 1991 , pp. 98.

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redatti ogni anno dall’Associazione, per ricordare l’infame strage. Se, infatti, si va ad analizzare i

titoli di questi manifesti, come per esempio:

“GIUSTIZIA E VERITA’ SONO ANCORA LONTANE”

Manifesto di commemorazione (1982)

oppure ancora:

“ANCHE IL SILENZIO E’ VIOLENZA, CHIEDIAMO TUTTI INSIEME GIUSTIZIA E

VERITA’ ”

Manifesto di commemorazione (1983)

Si può notare come queste frasi possano rappresentare un esempio trasparente dell’utilizzo

della comunicazione ad alto impatto, quale può essere la concezione di slogan. Uno slogan, infatti,

può essere concepito come un mezzo molto efficace per imprimere, nella memoria di chi ascolta, un

concetto che altrimenti andrebbe perso. Secondo la definizione di Maurizio D’Adda, data nel suo

libro, “con la parola slogan si indica in gergo pubblicitario il motto creato per caratterizzare il

prodotto al quale viene costantemente accoppiato in ogni manifestazione pubblicitaria. Lo slogan ha

la funzione di ricordare il prodotto”26.

Se si analizzano le caratteristiche appena citate e queste vengono inserite in un contesto

diverso, quale può essere la commemorazione di una strage (dove non si deve parlare di pubblicità,

ma piuttosto di memoria e dove il prodotto non è un bene fisico ma, invece, un bene morale: la

ricerca di Verità e Giustizia per questa strage) si può notare come questa funzione di ricordare il

“prodotto” sia usata come mezzo per perseguire gli obbiettivi che l’Associazione Familiari delle

Vittime si è proposta; la concezione del “per non dimenticare” e la ricerca di quella Verità e

Giustizia, senza le quali le vittime non saranno degnamente ricordate e quegli anni tragici della

storia italiana non potranno essere considerati definitivamente chiusi.

La parola slogan è una parola inglese che deriva a sua volta dal gaelico, dialetto delle

popolazioni di Irlanda e Scozia, “slaugh-ghairm”, il cui significato è “grido di battaglia”. Come un

grido di battaglia, infatti, deve essere breve e incisivo, per imprimere nella mente di chi ascolta il

concetto che si vuole esprimere. Se ben centrato, infatti, uno slogan sa imporsi anche all’attenzione

dei più scettici. Con le parole usate nei manifesti si può notare come questo concetto sia ben usato

per imprimere la tematica della ricerca di Verità e Giustizia nella mente di chi ascolta o legge i

26 D’Adda M. , Mille di questi slogan, Bridge, Milano, 1993.

20

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manifesti, fissando questo messaggio in maniera forte e chiara nella coscienza delle persone. Lo

stesso effetto lo si può notare anche nei discorsi di commemorazione. Se, infatti, si riprendono le

parole usate nel primo discorso dell’Associazione, nel lontano 1981 e più precisamente:

“L'infame strage massacrava e uccideva 85 persone - tra cui otto bambini - e ne

feriva 200 - tra cui 20 bambini. Erano tutti innocenti.”

T. Secci [2 Agosto 1981]

Si può notare come questo concetto, di messaggio breve ed incisivo, sia ben

centrato: se si analizza la frase, si può notare come in poche parole si esprimono

concetti importantissimi per l’Associazione, dal ricordo delle vittime, al sottolineare

come queste fossero tutte innocenti, fissando questi importanti nozioni in maniera

indelebile.

21

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CAPITOLO 4

LE VITTIME, L’ASSOCIAZIONE RICORDA.

Nel capitolo precedente si è parlato di quali siano state le tematiche trattate e in che modo e

con quali parole queste tematiche siano state sviluppate nei primi discorsi, sostenuti

dall’Associazione familiari delle vittime, nelle giornate di commemorazione svoltesi nei primi anni

dopo la strage.

Tematiche quali la ricerca di verità e giustizia o la violenza del silenzio nelle quali sono state

lasciate le vittime, sono solo alcuni dei punti che si è cercato di approfondire.

L’aver preso in considerazione solo alcuni dei discorsi sostenuti e più precisamente quelli

tenutisi dal 1981 al 1984 è servito, nella ricerca, per dare un limite oltre il quale il rapportarsi

dell’associazione con la società è in qualche modo mutato. Questo mutamento prende avvio dal

concepire il lavoro dell’Associazione come un cammino che nel corso degli anni si è arricchito di

nuovi obbiettivi. Il passaggio da una concezione dell’Associazione come mezzo per chiedere la

Giustizia e la Verità negate, ad una concezione dove vengono continuamente perseguite queste

richieste, ma dove il concetto di MEMORIA PUBBLICA, del quale si è parlato nelle prime pagine

di questo lavoro, prende sempre più importanza nel concepire l’Associazione come “un

imprenditore morale della memoria”, cioè un insieme di persone che, essendo state vittime o

essendo legate da uno stretto rapporto di parentela, e quindi affettivo con chi è morto in quella

strage, si assumono una responsabilità ben precisa: “quella di essere una vittima pubblica destinata

cioè a svolgere una funzione esemplare nei confronti della collettività”27.

Se, infatti, si prende come scopo la conservazione della memoria di questo tragico evento, si

può notare come su questo tipo di vittime, le vittime pubbliche, grava l’onere di essere le uniche

depositarie della versione “vera e giusta” del passato, che deve essere tramandata alle generazioni

future per un semplice motivo: fare in modo che chi compie questi orribili gesti non si senta, in

futuro, legittimato ad essere fautore di altri tremendi eccidi, per effetto di una legittimazione

proveniente dal fatto che l’uomo dimentica troppo velocemente, e la morte di innocenti verrà presto

scordata.

In questo capitolo si parlerà, quindi, proprio delle vittime e di come la loro memoria venga

espressa nei discorsi di commemorazione di questa orrenda strage.

Molti sono i punti, nei discorsi tenuti ogni 2 Agosto, nei quali si parla delle vittime, ma per

iniziare questa analisi si può partire con il prendere come frase iniziale un passo del discorso

27 Tota A.L., La città ferita, , Bologna, il mulino, 2003, pp. 136

22

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tenuto, nella commemorazione del 2 Agosto 1999, da Paolo Bolognesi, succeduto come Presidente

dell’Associazione dopo la morte di Torquato Secci:

E le vittime, chi le ascolta?

Le vittime non sono i terroristi latitanti con case e lavoro in Italia e all'estero,

sani e vivi.

Le vittime, piuttosto, sono tutte quelle persone che i terroristi hanno colpito nel

corpo e negli affetti più cari, sono coloro che da anni devono sottoporsi a interventi

medico- chirurgici di ogni tipo, sono coloro che hanno visto distruggere le speranze,

la propria famiglia.

Sì. Queste sono le vittime ed è bene ricordarcelo ad ogni occasione.

Le vittime vivono la parte più crudele perché lunga, irrimediabile e desolata quando

il sangue è stato versato. Non vi è nemmeno una parità di trattamento, vi è una

assuefazione ad una meccanica di spettacolo che tende ad ammantare i terroristi di un

innocentismo romantico che li scusa di quanto hanno fatto. Le stragi sono crimini

contro l'umanità.

Con queste parole si vuole esprimere un concetto importante: si vuole rimarcare

che le persone da ricordare sono le vittime della strage, e non i carnefici, che le

persone da proteggere sono i cittadini e non i criminali colpevoli di così atroci gesti.

L’uso delle parole è emblematico. Già nelle prime frasi di questo pezzo di

discorso si può notare come vengano messe in relazione due situazioni: la prima,

quella dei terroristi, che rimarca, attraverso l’uso di parole finali come “ case e

lavoro” e “sani e vivi” una situazione quasi agiata che non si presta alla loro

condizione di delinquenza; la seconda situazione, quella delle vittime, che parla di

“speranze e famiglie distrutte” come per voler rimarcare questa differenza di

trattamento.

Questo mettere in risalto due situazioni contrapposte diventa un modo efficace

dell’Associazione per “denunciare i privilegi accordati agli esecutori materiali della

strage che scrivono addirittura sui giornali e godono di consensi e protezioni presso

una parte politica ancorché minoritaria, contrapponendoli al trattamento riservato alle

vittime”28, contrasto che suona come una provocazione dell’Associazione nei confronti

28 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 142.

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di chi è preposto, ed ha il dovere di farlo, ad agire, per rimediare a questo stato di

ingiustizia.

Con questo metodo di comunicazione si usano, quindi, argomenti fortemente

fondati sul buonsenso del cittadino comune, che, di fronte al paradosso di una vittima

trattata dalle istituzioni peggio del carnefice, viene portato ad una riflessione profonda

sull’ingiustizia e sulla mancata Verità che pervade questa vicenda.

Molti ancora sono i riferimenti alle vittime presenti nei discorsi di

commemorazione, sostenuti dall’Associazione, che si possono prendere come esempio

per spiegare come e con quali parole questo tema viene affrontato; emblematico è il

passo del discorso tenuto nella giornata di commemorazione del 2 Agosto 2003 da

Paolo Bolognesi:

“Prendiamo atto indignati che uomini di un partito di Governo si siano schierati

dalla parte dei terroristi e contro le vittime. Ma siamo ancor più indignati perché

nessuno di loro ha pensato ad Angela, a Sonia, a Rossella, a Davide, a Vito, a

Vincenzo, a Rita, a Franca... nessuno è andato con la memoria a ricordare i nomi

scritti sulla lapide, nessuno ha pensato che dietro ogni nome c'era una vita, un

futuro.... E nessuno ha richiamato alla mente che Mambro e Fioravanti hanno ucciso

la gioia di vivere di queste 85 vittime innocenti. Una dimenticanza grave, un

dimenticanza senza pari!

Qualcuno, forse, pretende di annullare l'esistenza delle vittime?

No, sappiate che c'è un dovere che noi familiari abbiamo: dare voce al silenzio dei

nostri cari; una voce che denunci le ingiustizie, le illegalità, una voce che richiami la

completa verità. Un impegno che abbiamo assunto da 24 anni , ma è anche l'impegno

che la città di Bologna si è preso il 2 agosto del 1980 mentre ancora si scavava tra le

macerie di questa stazione.”

Paolo Bolognesi [2Agosto 2004]

Molto interessante è analizzare la domanda posta alla fine del passo del discorso

sopraccitato. La domanda è sicuramente molto provocatoria: quando si dice

“Qualcuno, forse, vuole annullare l’esistenza delle vittime?” si lancia una

provocazione. Se, infatti, si prendono le frasi usate come risposta a questo doloroso

quesito, si può notare come queste siano piene di dignità e fermezza, caratteri

distintivi che l’Associazione terrà e ancora tiene dalla sua creazione, nel lontano 1981.

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Con queste parole si vuole anche sottolineare come lo scopo dell’Associazione sia,

come si dice nel testo, “dare la voce al silenzio dei nostri cari”.

Questi termini spiegano, attraverso poche e concise parole, come l’Associazione

non verrà ridotta essa stessa al silenzio, ma continuerà, nonostante tutte le difficoltà,

nel suo lavoro di “imprenditore morale della memoria” 29, ruolo che, come si

sottolinea nel discorso, non è solo un diritto ma anche un dovere, non solo nei riguardi

delle vittime ma, anche, verso tutte quelle persone che credono nella Verità e nella

Giustizia.

Così facendo non si lancia solo una provocazione, ma un messaggio ben preciso a

quei poteri occulti che più volte hanno cercato di depistare le indagini. Questo metodo

è efficace per due motivi: il primo perché si ricordano le vittime e il problema del loro

giusto ricordo; il secondo perché questo messaggio - espresso su una piazza gremita di

gente, luogo, per definizione, più indicato per il concetto di “arena pubblica” - non

lancia solo un avvertimento a chi cerca di gettare un velo d’oblio su questa strage, ma

mostra alla società italiana, intesa come le persone che la costituiscono, che i poteri

forti non possono agire indisturbati, perché ci sarà sempre qualcuno che vigilerà sui

diritti di questa nostra democrazia.

In queste frasi è racchiusa un’altra importante provocazione. Con il pronunciare i

nomi di alcune vittime della strage si vuole sottolineare, a mio parere, come queste

non siano solo numeri ma persone in carne ed ossa, alle quali è stato tolta, come si

dice nel discorso, la “gioia di vivere”.

Il sottolineare i nomi rende queste vittime più vicine alla persona che assiste al

discorso, quasi facendole venire a contatto con la realtà privata di chi percepisce

queste esortazioni, rendendo meno impersonale la parola “vittima”.

Il sapere i nomi di alcune è, sicuramente, un modo per attivare una riflessione

profonda nell’animo di chi ascolta, cercando di farlo immedesimare nel dolore provato

dai familiari; in poche parole, viene messo in moto un meccanismo importante per la

memoria di queste ultime: la mobilitazione del cittadino come detentore e guardiano di

quei diritti che fanno parte di un moderno stato democratico quali il diritto alla vita e

la liberta di espressione.

Questa mobilitazione viene cercata portando la persona che presta attenzione al

discorso ad una immedesimazione su base identitaria con i familiari delle vittime. Se,

infatti, si prendono le argomentazioni sostenute da Alessandro Pizzorno, in un suo

29 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 157.

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articolo nel quale si discuteva sul rapporto tra identità ed utilità in relazione alla

mobilitazione di un attore sociale, si può notare come “l’autore diceva sostanzialmente

che gli attori sociali non si mobilitano sulla base di un calcolo costi-benefici- come

aveva sostenuto Marcus Olson- ma su base identitaria” 30, identità che, come prima si è

accennato, si crea attorno ai valori di una giustizia vera e di una verità giusta. In

questo modo si costruisce un “noi”, un’identità collettiva attraverso l’affermazione di

un “essere insieme”, diverso da un legame sociale che pare privo di senso e

successivamente, attraverso un processo di “agglutinamento” intorno ad un obbiettivo

concreto e a valori comuni, nel caso di specie valori come la memoria delle vittime e

la richiesta di Verità e Giustizia.

Questo sottolineare i nomi delle vittime sarà, ed è stato, un modo molto

importante per far capire quale grave attentato, non solo alla vita, ma anche alla

libertà delle persone, è stata la Strage di Bologna.

Altre parole per evidenziare questo concetto possono essere prese dal discorso

tenuto dal Presidente dell’Associazione durante la commemorazione del 2 Agosto

2000:

“Oggi, 2 agosto 2000, per la piccola Angela che aveva tre anni, per Luca di sei,

per Sonia di sette, per Kai di otto, per Manuela, Cesare, Paolo e Viviana, per

Katerine e Jonn, per Roberto, Elisabetta, Davide, Rossella, Sergio, Angelo,

Nazzareno, Mario, Lina, Antonio e per tutte le altre vittime, per i feriti, permane un

grave parziale silenzio perché dopo vent’anni da quell’orrendo massacro abbiamo

solo la certezza che quella maledetta bomba, che ha privato il sacrosanto diritto alla

vita di quegli innocenti è stata collocata da un gruppo fascista capeggiato da Valerio

Fioravanti e Francesca Mambro”

Paolo Bolognesi[2 Agosto 2000]

Parole che ancora una volta alcuni nomi delle vittime vengano citati con un riguardo speciale

anche per gli anni di queste ultime, perché, se togliere la vita ad una persona di qualsiasi età è un

tragico delitto, lo è ancor di più l’aver tolto la vita a dei bambini: innocenti tra gli innocenti.

Le parole devono essere usate come una chiave per scardinare quell’atteggiamento che molto

spesso tiene la persona che non ha vissuto personalmente questo tragico evento, l’indifferenza,

30 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003., pp. 141.

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atteggiamento espresso chiaramente nelle parole di Lidia Secci, moglie del primo Presidente

dell’associazione delle vittime:

“Le vittime sono scomode. Spesso ci sentiamo a disagio. Al di là del dolore che ognuno di noi

ha passato, c’è la nostra dignità, il bisogno di essere rispettati. Non sopporto quando ci trattano

con compassione. Diffido di chi mi dice frasi del tipo <<le siamo vicini, capiamo il suo dolore>>.

Dicendo questo si scaricano la coscienza della colpa principale: l’indifferenza”31

Comportamento tanto lesivo, sia per la memoria e quindi per il passato, ma anche

tanto nocivo per il presente e soprattutto per il futuro, l’indifferenza, vista come

potenziale minaccia per lo scopo primo dell’Associazione, la memoria della strage.

La memoria contro la quale molti si scagliano, cercando di delegittimare l’azione

di queste associazioni basate su una concezione di appartenenza su base identitaria.

Proprio per questo è necessario parlare anche, in questo lavoro, di alcune strategie

messe in atto per perpetrare questa delegittimazione, per capire contro quali metodi di

oblio l’Associazione ha dovuto combattere per ricordare le proprie vittime.

Principalmente questi metodi sono tre e più precisamente una retorica fondata sul

<<prima o poi bisogna dimenticare32>> , una basata sulla concezione di “pacificazione

nazionale” e, come ultima ma non meno importante, la strategia di accusa, contro

L’Associazione, di <<fare politica33>>.

Analizzando il primo metodo è interessante notare come questo assuma la sua

capacità di delegittimazione con il passare degli anni. Con questa strategia, infatti, si

mette in discussione l’obbiettivo di queste associazioni e nel nostro caso

“l’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna” con il pretesto che,

gli anni passati, dovrebbero far dimenticare. Molto illuminanti sono, da questo punto

di vista, le parole espresse da un superstite della strage:

“anzi qualcuno ti dice: <<ma vai ancora a Bologna dopo diciannove anni, come

mai>>?[…]Ho avuto molti problemi anche in campo lavorativo perché spesso i

colleghi dicono: <<ah,ma è quello della strage, ci ha la psicosi ormai>> […] una

serie di fardelli insomma dovuti ai colleghi, che logicamente sono persone che hanno

31 Biachessi D. , Un attimo…vent’anni, Edizioni Pendragon, Bologna, 2001 pp. 47.32 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 142.33 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003 pp. 143.

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vissuto la strage in televisione tanti anni fa e per loro vent’anni sono vent’anni di vita

di un altro mondo, di un'altra epoca.”34

Interessante in questa frase è notare come questa strategia di oblio sia utilizzata molto nelle

interazioni quotidiane. Nel pezzo dell’intervista si può notare, infatti, come il superstite parli di

problemi in campo lavorativo. Quest’utilizzo della strategia in questione, in campo quotidiano, è

dovuto sicuramente, al fatto che, il valore della memoria, soprattutto per eventi tragici come una

strage, è troppo consolidato perché lo si possa mettere in discussione con successo. Questa strategia,

quindi, è poco usata nell’ambito del discorso pubblico.

Passando al secondo punto, o meglio alla seconda strategia presa in considerazione, strategia

riguardante il concetto di “pacificazione nazionale”, è importante sottolineare come lo scopo di

quest’ultima sia, non tanto di delegittimare il valore della conservazione della memoria e tutte

quelle azioni che perseguono questo scopo, ma piuttosto un metodo con il quale, proprio

nell’interesse di questa “pacificazione”, si antepone ai valori da conseguire, quali appunto la

giustizia e la verità, necessarie per la conservazione della memoria, la << ragion di stato>>. Questo

metodo è stato usato spesso nel caso di Bologna, ne sono di esempio le numerose volte nelle quali,

nei discorsi di commemorazione dell’Associazione, viene citata questa tematica, come è chiara

prova nel discorso sostenuto alla commemorazione del 2 Agosto 2004:

“A chi vorrebbe chiudere gli anni di piombo con revisionismi su ordinazione e

con comodi colpi di spugna, in nome di una necessità di pacificazione nazionale,

vogliamo ricordare che riappacificare vuole anche dire tagliare i ponti in modo

definitivo con gli stragisti e soprattutto arrivare alla completa verità su quel

periodo.”

Paolo Bolognesi [2 Agosto 2004]

E’ interessante notare come l’Associazione parli di questa “pacificazione nazionale”,

ricordando, anche per disinnescare il potere d’oblio di questo metodo, che questa pacificazione non

vuol dire dimenticare e andare avanti, ma perseguire Giustizia e Verità, “tagliando i ponti in modo

definitivo con gli stragisti”. Così facendo l’Associazione mette in campo una nuova definizione di

“pacificazione nazionale” che distrugge la capacità di cercare la “dimenticanza” che molti soggetti,

anche connessi con la strage, cercano di perseguire.

34 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003, pp. 144.

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Per parlare dell’ultima forma di delegittimazione della memoria, e più precisamente di

delegittimazione del lavoro dell’Associazione, l’accusa di “fare politica”, è interessante considerare,

nell’ambito dell’evento Strage di Bologna, la vicenda del caso Montorzi.

Nel 1989 uno degli avvocati di parte civile, Roberto Montorzi, dopo aver incontrato in segreto

Licio Gelli, personalità ambigua a capo della loggia massonica P2, condannato in cassazione per il

reato di depistaggio inerente alla Strage di Bologna, si dimise dal suo incarico accusando “i giudici

e il pubblico ministero di aver partecipato a riunioni con funzionari del partito comunista per

predeterminare la conduzione del processo”35.

Così facendo, Montorzi accusava in maniera indiretta l’ Associazione di avere contatti con una

parte politica, sottolineando come questa fosse più interessata ad ottenere più una condanna che

uno svolgimento di un processo corretto, anelando un sospetto di inquinamento politico ideologico

del processo , inquinamento, secondo Montorzi, dovuto ad un’ interpretazione politica, che cercava

a tutti i costi, i colpevoli nell’ambito dell’estrema destra e nei suoi rapporti con la loggia massonica

P2. Quest’accusa venne presto smontata, grazie anche al lavoro dell’Associazione, impegno che è

sottolineato nel discorso di commemorazione del 1990:

“Alla fine di luglio dello scorso anno, accompagnato da grande risonanza, si verificò

il tradimento dell’avvocato Roberto Montorzi; le sue numerose denunce traboccanti di

bugie e di falsità non sono state ritenute degne di considerazioni dal Tribunale di

Firenze che le ha archiviate; altrettanto ha fatto il Consiglio Superiore della

Magistratura.”

Torquato Secci [2 Agosto 1990]

Questa vicenda mostra come l’accusa di voler fare politica e l’insinuazione di un

carattere strumentale del lavoro svolto dall’Associazione, sia stata una delle principali

strategie di delegittimazione del ruolo svolto dai familiari delle vittime. Per

combattere questa falsa accusa esiste un unico metodo, usato anche dall’Associazione

a costo di numerosi sacrifici, e più precisamente, per disinnescare il potenziale di

delegittimazione contenuto nell’accusa di “fare politica”, si deve combattere per la

ricerca di verità e giustizia e ricordo delle proprie vittime, “continuando a rimanere al

di fuori delle istituzioni politiche, sottraendosi così a tutte le lusinghe del potere e a

quei pochi privilegi che, dopo tanta sofferenza e tanti anni di battaglie per la memoria,

sarebbero soltanto più che meritati”36. Con quest’ultimo tentativo, o meglio, con

35 Turnaturi G. , Associati per amore, Feltrinelli, Milano, 1991 pp. 8.36 Tota A.L. , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003, pp. 143

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questo ultimo metodo, si è voluto spiegare quali sono stati gli ostacoli, dal punto di

vista del ricordo delle vittime, con il quale l’Associazione ha dovuto combattere e

contro il quale ancora oggi si batte per il proprio ruolo di “imprenditore morale della

memoria”.

30

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CAPITOLO 5

ESECUTORI, DEPISTATORI E MANDANTI.

UNA VICENDA MAI TERMINATA.

In questo capitolo si cercherà di analizzare un’altra tematica importante che l’Associazione ha

affrontato nei vari discorsi tenuti durante la commemorazione del 2 Agosto. Quest’argomento

riguarda un aspetto per vari motivi molto difficile da esaminare, e più precisamente la tematica dei

mandanti e dei colpevoli per la Strage del 2 Agosto 1980. Per affrontare questa difficile tematica, e

per enunciare il collegamento con lo scopo finale di questo lavoro, si prenderà spunto dalle frasi

iniziali di uno dei primi discorsi, pronunciati da Torquato Secci, il 2 agosto 1983:

“I familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna da tre anni

attendono inutilmente giustizia; i terroristi neri, quelli delle stragi, quelli dell’

immenso massacro alla stazione sono ancora liberi; tutti impuniti; tutti da scoprire.”

T. Secci [1983]

Si inizia questa analisi con queste parole perché sono rappresentative per capire il contesto nel

quale, per comprendere questo argomento, è necessario muoversi.

A supporto e fondamento del discorso preso in considerazione, è utile notare, infatti, come, già

nei primi anni dopo la strage, si parlava di una matrice fascista e quindi si ricercavano i colpevoli

nell’ambiente dell’ eversione di destra. Questa ricerca non aveva carattere politico, come più volte

hanno voluto far credere coloro che avevano interesse a depistare le indagini, ma si basava su prove

evidenti del coinvolgimento di gruppi eversivi di destra in questa strategia basata sulla paura e sul

senso di insicurezza, prove raccolte anche prima della Strage di Bologna.

Non si deve dimenticare che l’attentato nel capoluogo emiliano non è stato un caso isolato.

Prima di questo tragico evento, infatti, sono stati molti gli atti terroristici in Italia: dalla Strage di

Piazza Fontana all’attentato sul treno Bologna-Firenze (treno Italicus).

Tutti questi attentati hanno causato vittime e dolore a una moltitudine di persone; se, infatti, si

prende la vicenda del giudice Mario Amato, giudice istruttore ucciso pochi mesi prima della strage,

e precisamente nel giugno dell’ottanta, si vede come le sue indagini, che giravano intorno

all’eversione di destra e ai contatti con la politica, erano arrivate ad una svolta. Le indagini di

31

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questo coraggioso giudice, infatti, avevano fatto luce, partendo dall’inchiesta di un altro leale

servitore dello stato, il giudice Occorsio, sui collegamenti tra l’eversione di destra e la “Banda della

Magliana”, arrivando a scoprire quel sottobosco politico, economico e finanziario, che muoveva

queste associazioni per delinquere quali potevano essere i Nuclei Armati Rivoluzionari di Mambro

e Fioravanti. Per questo la sua condanna a morte è stata segnata ed eseguita poco tempo prima della

Strage, proprio perché aveva scoperto che in quell’ambiente si stava progettando un attentato di

grosse dimensioni.

“ Oggi […] alle 8,05, abbiamo eseguito la sentenza di morte contro il sostituto procuratore

Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi, egli ha chiuso

la sua squallida esistenza imbottito dal piombo. Altri ancora pagheranno. La vendetta è sacra.

Troppo spesso ci si nasconde dietro frasi come <<non abbiamo le armi>> o <<non abbiamo i

soldi>>. Soldi e armi sono per le strade e basta anche un coltello per cominciare. Non c’è bisogno

né di covi né di grandi organizzazioni. Tre camerati fidati e buona volontà bastano. E se tre non

c’è ne sono, ne bastano due, e non ci dite che non ci sono due camerati fidati.”37

Queste sono state le parole scritte su un volantino con il quale i neofascisti rivendicarono

l’omicidio del giudice Amato. Come si può notare, queste frasi rappresentano in maniera molto

chiara quali sono le caratteristiche principali di questo terrorismo eversivo di matrice fascista. Con

termini quali “imbottito dal piombo” o allo stesso modo “altri ancora pagheranno”, ma soprattutto i

termini “la vendetta è sacra” descrivono dei personaggi pronti a tutto, anche all’omicidio, dove la

concezione di vendetta è esaltata, vendetta ritenuta sacra, che in un moderno stato di diritto, quale

dovrebbe essere l’Italia, contrasta con quelli che sono i valori sui quali si fonda questo nostro paese.

Queste caratteristiche sono sicuramente importanti per comprendere e descrivere quelli che saranno

i fautori di questa strage, descrizione che, in questo capitolo, è il tema principale.

Molte sono state le parole spese, all’interno dei discorsi di commemorazione, sulla vicenda di

questo giudice che ha pagato con la vita la propria lealtà alla democrazia italiana, come, per

prendere un esempio, le parole all’interno del discorso del 1989:

”L’associazione sovversiva era stata individuata dal giudice Mario Amato e per

questo motivo è stato condannato a morte; l’esecuzione è avvenuta senza che nessun

uomo di potere alzasse un dito per ostacolarla.”

37 Bocca R. , Tutta un'altra strage, Rcs libri S.p.A, edizione BUR, Milano, 2007 pp. 36

32

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Come si può notare in questa frase, il discorso del 1989, ma più o meno tutti i

discorsi sostenuti dall’Associazione negli anni, hanno questa caratteristica di essere un

atto d’accusa rivolto da una parte alla politica, dall’altra a quelli che, già dai primi

anni dopo la Strage, sono considerati gli esecutori, Francesca Mambro e Valerio

Fioravanti.

Questo metodo comunicativo, nei riguardi di mandanti e colpevoli, è quasi

imposto dalla situazione nella quale l’Associazione deve muoversi per avere la Verità

su quanto è accaduto, una situazione complessa, nella quale i depistaggi alle indagini

erano all’ordine del giorno.

Parlando di questo tema è importante notare come l’Associazione debba, per

combattere questi continui tentativi di falsificare la realtà dei fatti, usare il poco

spazio pubblico concesso ai familiari delle vittime nella maniera più efficace

possibile, quindi non solo parlando di vittime e dolore, ma, anche come dovere nei

confronti di chi è morto in quell’orrenda strage, parlando dei colpevoli, usando le

parole come arma nei confronti di questi ultimi, arma che si contrappone alla violenza,

ma che, non di meno, come si può notare dai risultati ottenuti negli anni

dall’Associazione, è efficace nel ribadire qual è la vera memoria della Strage.

Il parlare di esecutori e mandanti è necessario, quindi, per i familiari delle vittime,

per raggiungere lo scopo che si sono prefissati, il perseguimento di Memoria, Verità e

Giustizia, valori senza i quali l’Associazione smetterebbe di esistere.

Per iniziare a descrivere quelli che sono considerati gli esecutori della strage,

prenderò le parole usate, nella giornata di commemorazione del 2 Agosto 2006, da

Paolo Bolognesi:

“Gli esecutori materiali sono: i terroristi fascisti Francesca Mambro e Valerio

Fioravanti. I depistatori sono: il Gran Maestro della loggia massonica P2 Licio Gelli,

il faccendiere Francesco Pazienza, il generale Musumeci e il colonnello Belmonte

collocati ai vertici del SISMI Servizio Segreto Militare Italiano. Tre elementi

accomunano questi personaggi: la loro vicinanza a uomini di potere, il fatto che

nonostante le numerose condanne siano liberi da tempo e infine il silenzio che hanno

sempre mantenuto sui retroscena della strage e sui mandanti, che non sono ancora

stati individuati.”

33

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A questo punto, è necessario analizzare quali sono i profili di coloro che sono

considerati gli esecutori della strage, ovvero Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.

Questi due personaggi sono, per certi versi, personaggi strani da comprendere, che

nella loro storia hanno commesso una moltitudine di reati e che con la loro violenta

lotta contro il sistema hanno finito con il farne parte, aiutando quest’ultimo ad auto

conservarsi.

Tornando ai profili di questi due personaggi si può notare come la Mambro, prima

di Bologna, abbia commesso numerosi reati, “si parte dalla banale affissione abusiva

del 1979 alle rapine, ai sequestri di persona, al falso, alla violazione di domicilio, alla

ricettazione, alla violazione delle disposizioni sul controllo delle armi, alle lesioni

personali, all’associazione sovversiva, alla violenza privata, alla resistenza a pubblico

ufficiale, al danneggiamento, alla partecipazione a banda armata, alla contraffazione

di impronte. Il tutto per un totale di 84 anni e 8 mesi di reclusione”38.

Questo curriculum criminale è molto simile a quello dell’altro condannato come

esecutore della strage, Fioravanti. Si può notare, infatti, come le gesta criminali di

quest’ultimo partano da “una condanna per <<abbandono di posto>> durante il

servizio militare e proseguano con la detenzione illegale di armi, la violazione della

legge sugli stupefacenti, la violazione di domicilio, la ricettazione, le rapine,

l’associazione per delinquere, il furto, la tentata evasione, le lesioni personali,

l’associazione sovversiva, il danneggiamento e altro ancora. Sentenze per 134 anni e 8

mesi, al quale si va ad aggiungere l’ergastolo per la Strage di Bologna e altre sei

condanne per otto omicidi tra il Febbraio del 1978 e quello del 1981”39.

La cosa che, però, è più importante di questi due personaggi, oltre il loro ricco

“curriculum” criminale, è il comportamento tenuto in questi anni dopo la strage,

comportamento che non comprendeva, come da loro stessa ammissione, il rimorso o il

pentimento. Questo profilo è espresso bene dalle parole di Enzo Biagi, il quale nel

“Dizionario del Novecento” scrive:

“Forse nessuno è un mostro, neanche Himmler o Hitler, neanche Stalin; ma

Francesca Mambro, volto quadrato senza un segno di cosmetici, sguardo freddo e

sorriso ironico, jeans, scarpe Clarks, ha qualcosa di sé di incomprensibile, di

38 Bocca R. , Tutta un'altra strage, Rcs libri S.p.A, edizione BUR, Milano, 2007 pp. 44.39 Bocca R. , Tutta un'altra strage, Rcs libri S.p.A, edizione BUR, Milano, 2007 pp. 44.

34

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inafferrabile. L’aspetto e i modi spigolosi, il lucido disprezzo. E’ forse il personaggio

più sconvolgente che ho incontrato in cinquant’anni di mestiere; e c’è dentro di tutto:

artisti, ladri, soldati, banditi, politici, campioni, puttane, quasi sante, grandi signore,

mezze calzette, prelati, grandi truffatori, giocatori di ogni genere, roulette, carte,

affari, pelle o reputazione del prossimo. Nessuno mi ha mai detto:<< Non conosco la

parola rimorso>>; qualche tarlo, qualche pena tutti ce l’avevano dentro”40

Il pentimento, quindi, è un valore che questi due terroristi non hanno mai

concepito. Questa tematica è espressa in maniera forte e diretta dalle parole del

discorso di commemorazione tenuto dall’ Associazione Familiari delle Vittime il 2

Agosto 2000:

”E' avvilente per i familiari delle vittime, che non chiedono vendetta ma solo giustizia,

assistere al trattamento fatto di privilegi inusitati agli esecutori della strage: la

Mambro ha ucciso 96 persone e, oltre a 6 ergastoli, ha accumulato complessivamente

84 anni e 8 mesi di reclusione per gli ulteriori reati commessi; Fioravanti ha ucciso

93 persone e, oltre a 6 ergastoli, ha accumulato 134 anni e 8 mesi di reclusione per

gli ulteriori reati commessi. Non hanno mai mostrato pentimento, non hanno aiutato

in alcun modo le indagini, hanno offeso le Corti giudicanti, si sono più volte vantati

di non avere alcun rimorso. Con tutto ciò si sono meritati comunque trattamenti da

detenuti modello. È inconcepibile per i familiari delle loro vittime accettare che

questi due pluriomicidi abbiano scontato, per ogni persona ammazzata, solo 2 mesi”

In queste parole è espressa tutta la delusione dell’Associazione. Con queste frasi,

infatti, si mette in risalto una contraddizione molto forte. Quando si parla del

comportamento tenuto dai due terroristi, si parla di due persone che “Non hanno mai

mostrato pentimento, non hanno aiutato in alcun modo le indagini, hanno offeso le

Corti giudicanti, si sono più volte vantati di non avere alcun rimorso” e lo si

contrappone al fatto che questi due stragisti, nonostante questo comportamento che già

da solo è un atto di colpevolezza, abbiano ricevuto privilegi da detenuti modello.

Questo mettere in contrapposizione, all’interno dei discorsi, determinate situazioni, è

un sistema di comunicazione usato spesso dall’Associazione, soprattutto opponendo la

situazione delle vittime e dei loro familiari, ricordate solo nei giorni di

commemorazione, al cui al dolore si è aggiunta la “beffa” di dover continuamente

40 Enzo Biagi, Rai_Eri BUR, 2001.

35

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assistere a continui depistaggi da parte di istituzioni deviate, alla situazione dei

terroristi che nonostante le numerose condanne, godono di molti privilegi e di una

visibilità mediatica che non si presta alla loro condizione di pluriergastolani.

Su quest’ ultimo concetto è necessario soffermarsi. La visibilità mediatica è,

infatti, un aspetto che andrebbe analizzato più approfonditamente. Per riuscire in

quest’analisi è utile richiamare una vicenda avvenuta di recente, precisamente il 17

Febbraio 2006, che ha visto la terrorista Mambro ospite del programma, in onda su di

una rete nazionale, “l’incudine”, programma presentato da Claudio Martelli, ex

Ministro della Giustizia. In questa trasmissione televisiva Claudio Martelli spiegava

che Francesca Mambro <<non è imputata per nessuna esecuzione materiale dei

delitti>> aggiungendo che <<questo secondo lei non diminuisce le sue

responsabilità>>. Nel senso, interviene Mambro, << che nel gruppo è importante

assumersi le proprie responsabilità[..]. Quindi per quanto riguarda me, ho

responsabilità non minori di chi ha eseguito materialmente gli omicidi>>.

<<Ti ringrazio per questa dichiarazione>>, dice l’ex ministro di Grazia e

Giustizia. Senza sottolineare che Mambro è stata condannata all’ergastolo per ben 10

omicidi, oltre che per la Strage di Bologna.”41 Tutto viene fatto senza contraddittorio.

I giornalisti presenti, infatti, tacciono e lasciano campo libero alle falsità della

terrorista. Questa vicenda è stata ritenuta molto importante dall’Associazione tanto

che viene citata nel discorso, sostenuto da Paolo Bolognesi, nella giornata di

commemorazione del 2 Agosto 2006:

“Da tempo denunciamo che l'intollerabile trattamento di favore, riservato agli

esecutori materiali di quel massacro ,si spiega solo come contropartita dovuta al loro

silenzio sui mandanti. Pochi mesi fa la stragista Francesca Mambro è stata ospite

d'onore nella trasmissione "l'Incudine"in onda sulle reti Mediaset. Il conduttore, l'ex

ministro della giustizia Claudio Martelli, ha incredibilmente presentato Francesca

Mambro, la criminale italiana più sanguinaria di tutti i tempi, come una semplice

condannata per reati di terrorismo, che però non si è mai macchiata di crimini di

sangue. E Francesca Mambro ha confermato.

41 Bocca R. , Tutta un'altra strage, Rcs libri S.p.A, edizione BUR, Milano, 2007 pp. 44

36

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Tutto ciò si è svolto senza alcun contraddittorio, senza nessuno che domandasse

alla signora come mai fosse libera da anni nonostante vari ergastoli, senza nessuno

che osasse ricordare il suo curriculum criminale.

A questo vergognoso cumulo di menzogne ed omissioni, andato in onda su una

rete nazionale,noi rispondiamo ricordando chi sia veramente l'esecutrice materiale

della strage alla stazione di Bologna”.

Una mediaticità che, quindi, come si vede dalle parole appena citate, svolge un

ruolo importantissimo nello stravolgimento della realtà dei personaggi. Un tentativo,

da parte dei due terroristi, di cambiare quello che dopo cinque processi e due

pronunciamenti delle Sezioni Penali Unite della Cassazione è stato raggiunto, ovvero

la certezza della piena colpevolezza di Mambro e Fioravanti, e più di recente, di Luigi

Ciavardini, condannato solo nel 2006 come esecutore, in quanto all’epoca dei fatti era

minorenne, quali esecutori della Strage di Bologna.

Una mediaticità che consente a questi terroristi, condannati in via definitiva per

un gran numero di omicidi, di poter avere uno spazio pubblico enorme per poter

perorare la loro innocenza. Spazio che contrasta in maniera evidente con la poca

attenzione che si dà e si è data alle vere vittime di questa strage, i morti e i feriti di

quell’orrendo gesto e i loro familiari, che ancora devono portare questo fardello di

dolore e di amarezza.

Questa situazione è importante per rilevare le caratteristiche principali di questi

due terroristi. Tali caratteristiche possono essere evidenziate dai comportamenti tenuti

durante tutta questa vicenda, da una parte, come si è accennato, attraverso la mancata

concezione del pentimento, se non per la Strage almeno per tutti gli omicidi da loro

commessi e dei quali loro stessi si sono dichiarati colpevoli, ma anche attraverso

questa loro mancanza di scrupoli nell’utilizzare la loro mediaticità e la loro notorietà

costruita sul sangue, che sottolinea come questi siano dei personaggi incomprensibili

se guardati con gli occhi di questo nostro tempo che, in teoria, dovrebbe essere

un’epoca di diritto e democrazia, con tutti i valori che queste due concezioni

comportano.

Due personaggi, quindi, che si sono distinti in quanto a crudeltà, ma soprattutto

per la mancanza di scrupoli. Quest’ analisi potrà sembrare una concezione molto

personale di questi due terroristi, ma se guardata dal punto di vista dei fatti realmente

accaduti, questo approfondimento risulta meno personale di quanto sembra. Con il loro

37

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comportamento d’insulti e di reticenze, durante tutto il processo, infatti, non hanno

fatto altro che alimentare questa concezione di colpevolezza, rivelando molti aspetti

che sono concepiti come aspetti caratteristici della devianza, concetto che, se

analizzato con la concezione di questo nostro tempo, calza benissimo per questi

criminali.

Da questa definizione è importante sottolineare il concetto per il quale un atto è

considerato deviante in riferimento al contesto socio-culturale. Il comportamento e i

crimini che Mambro e Fioravanti hanno commesso, sono, quindi, da considerarsi

comportamenti inaccettabili per una società basata sul diritto e sulla concezione

dell’inviolabilità della vita, quale può essere la società italiana del dopoguerra, ma che

si prestano più ad una concezione arcaica della società, società dove la violenza era

vista come unico metodo per portare a compimento i propri scopi.

Se si vanno a ricercare, nelle parole dei discorsi di commemorazione, altri spazi

nei quali si parla di questi due terroristi e delle loro caratteristiche, è interessante

prendere una parte del discorso dell’Associazione, tenuto il 2 Agosto 2001:

“E mentre noi familiari delle loro vittime siamo ancora alle prese con le

conseguenze fisiche e psicologiche delle loro imprese criminali, Mambro e Fioravanti,

da tempo, di fatto liberi, pubblicano libri, sono trattati dai massimi quotidiani

nazionali come

star, sono addirittura diventati dirigenti di un partito politico e sono la prova vivente

che il crimine paga.

In un Paese ove due stragisti condannati per 98 omicidi diventano dirigenti di un

partito politico, può veramente succedere di tutto.”

Queste parole sono emblematiche per capire la situazione e, soprattutto, per

descrivere il comportamento dei due terroristi Mambro e Fioravanti. Nel discorso è

possibile notare come la concezione di due misure, per quanto riguarda le vittime

rispetto ai carnefici, sia ancora una volta usata per sottolineare la differenza di

trattamento riservato ai familiari delle vittime. Si può notare, inoltre, come

l’Associazione metta in risalto la condizione di beneficio nella quale si trovano i due

terroristi. Il fatto che Mambro e Fioravanti, com’è riportato nel discorso, “pubblicano

38

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libri e sono trattati dai massimi quotidiani nazionali come star” è una concezione

interessante da analizzare. E’ importante sottolineare, infatti, che questi due terroristi

non scrivono libri o articoli sui giornali perché sono importanti opinionisti o persone

degne di una legittimità pubblica, ma scrivono perché sono diventati “opinionisti per

meriti criminali”, una concezione che è difficile da immaginare, data la sua assurdità

ma che, se si osserva la realtà, si può notare come ancora una volta, in Italia, si dà

spazio mediatico a chi commette crimini e non a chi veramente dovrebbe essere più

tutelato, anche dal punto di vista mediatico, ovvero le vittime di questi crimini.

Le caratteristiche che sono state analizzate, per quanto riguarda i fautori materiali

della strage, sono dei tratti peculiari che descrivono questi due terroristi. Tratti quali

la mancanza di rimorso, la mancanza di scrupoli nel utilizzare lo spazio mediatico a

loro concesso e la loro concezione di una società basata solo sulla violenza sono

peculiarità che descrivono Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, profilo che può

essere racchiuso nel concetto di una moderna devianza.

Dopo aver analizzato il profilo di Mambro e Fioravanti, è necessario, per

completare questo capitolo, analizzare la questione dei mandanti e dei depistatori della

Strage.

Il problema dei depistatori dell’attentato è un problema con il quale ancora oggi,

l’Associazione, si trova a combattere.

Per analizzare questa tematica si può partire dalle parole pronunciate da Giuliano

Amato, all’epoca di questo discorso, Presidente del Consiglio, nella giornata di

commemorazione del 2 Agosto 2000:

“Ci dobbiamo accorgere di un’amara verità: la giustizia, la quale ha lavorato per

anni per queste stragi, riesce solo a darci una verità giudiziaria, ma non

necessariamente una verità compiuta.”

E ancora:

“Io qui rappresento lo Stato e per me è umiliante dover ammettere che tante volte,

in passato, è accaduto che dall’interno dello Stato ci siano state connivenze,

menzogne, appoggi, che non sappiamo dove andavano a parare. Questo mi sento di

dirlo sommessamente in quanto so bene qual è il carico di responsabilità di chi

rappresenta lo Stato. Voglio, però, che il principale dovere dello Stato sia quello di

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fare il possibile per capire ciò che sta al di là della verità giudiziaria, che non ci

basta. Quando muoiono 85 persone è umano per chi soffre la perdita delle stesse

voglia sapere non soltanto chi lo ha fatto, ma perché lo ha fatto. Perché dei bambini

sono stati uccisi, perché si è scatenata una violenza così cieca da poter arrivare a

questo gesto tremendo? La vita dei bambini è meno importante di un delitto che

poteva avere-di sicuro aveva- una matrice politica? Come può la politica arrivare al

punto di sacrificare la vita e soprattutto quella dei bambini?42

Queste parole furono, sicuramente, un atto di coraggio. Per la prima volta, per

bocca di una figura istituzionale, si parlò espressamente di una partecipazione, per

questi attentati, di organi istituzionali deviati. Una collusione tra terrorismo e

istituzioni che l’Associazione, fin dai primi anni dopo la strage, aveva sempre

denunciato. Se si prendono come esempio alcune frasi del discorso tenuto da Torquato

Secci, dal palco nella piazza davanti alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1987, è

possibile notare questa denuncia:

“per fatti connessi al depistaggio della strage di Bologna il generale Musumeci, il

colonnello Belmonte e Pazienza, tutti del SISMI e della P2, sono stati condannati

definitivamente dalla Corte di Assise di Appello di Roma, ciascuno, ad oltre tre anni

di carcere.”

In queste poche parole si elencano tre dei personaggi, facenti parte delle

istituzioni, che sono considerati i depistatori per quanto riguarda le indagini. E’

importante sottolineare come, sia il generale Musumeci che il colonnello Belmonte,

facevano parte di quell’organigramma decisionale del nostro servizio segreto militare,

il SISMI, occupando posti di rilievo in questi servizi segreti. La loro alta posizione

dirigenziale, e quindi il loro potere di usufruire d’informazioni e mezzi privilegiati, è

importante, in questa analisi, perché è la conferma che i depistaggi non sono stati

causati da errori di singoli individui facenti parte dei servizi, ma da una serie di

omissioni o addirittura di stravolgimenti delle informazioni, che si prestavano ad un

piano ben stabilito per allontanare gli inquirenti dalla verità sulla Strage di Bologna.

L’esempio più evidente è stato il cosiddetto piano “terrore sui treni” dove si inviarono

42 Biachessi D. , Un attimo…vent’anni, Edizioni Pendragon, Bologna, 2001 pp. 201-202

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false informazioni su di uno scambio di esplosivo sul treno in transito per Bologna,

Forlì e Ancona, scambio che vedeva implicati alcuni terroristi francesi [Bocca, 2007,

131].

Un altro importante aspetto da analizzare riguarda la concezione di lealtà di questi

due personaggi. Con lealtà si intende quell’attaccamento alle istituzioni, e quindi allo

Stato italiano, che dovrebbe essere la base per il lavoro di tutti i funzionari o le figure

facenti parte di questo nostro paese, un giuramento, quindi, non solo allo Stato

italiano, ma a tutti i cittadini della nazione. Questa lealtà, come è sottolineato nel

discorso di Torquato Secci, non era rispettata.

L’appartenenza di Musumeci e Belmonte ad una loggia massonica segreta,

completamente illegale, quale poteva essere la P2, portava i due funzionari del SISMI

ad una doppia lealtà: la prima, quella ufficiale, ma non rispettata, allo Stato italiano;

la seconda, la lealtà che più contava, alla loggia P2, capeggiata da un personaggio

ambiguo, condannato anch’egli per i depistaggi sulla Strage di Bologna, Licio Gelli.

Si parla quindi di un equivoco comportamento per questa loro doppia appartenenza,

come si spiega nel discorso di commemorazione, da un lato al SISMI, quindi ad un

organo dello Stato, e dall’altro alla loggia P2, il cui scopo era il controllo sulla vita

politica, economica e sociale dell’Italia repubblicana.

In questa analisi è stato introdotto, poche righe sopra, un altro personaggio

importante per quanto riguarda il tema dei depistaggi, e più precisamente si tratta di

Licio Gelli, il cosiddetto “gran maestro” della loggia massonica Propaganda 2, o

meglio della P2. Questa figura è molto enigmatica. Licio Gelli, infatti, è ritenuto colui

che, attraverso la propria associazione illegale, muoveva le fila di quelli che erano

considerati i depistatori; non bisogna dimenticare, infatti, che è stato accertato che

della P2 facevano parte personaggi di spicco dell’ambiente politico, economico e

sociale.

“ Conosciamo i nomi dei depistatori : il Gran Maestro della Loggia MASSONICA

P2 Licio Gelli, il faccendiere Pazienza, il generale Musumeci e il colonnello

Belmonte, questi ultimi ai vertici del SISMI, il nostro servizio segreto militare”

Paolo Bolognesi [2 Agosto 2003]

Con queste parole, l’Associazione parla di quelli che sono considerati i

depistatori.

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Il nome di Licio Gelli è il primo che viene fatto. Questo personaggio era ritenuto

da parte dell’Associazione ma anche da parte della magistratura, una pedina chiave per

quanto riguardava le indagini, e più precisamente lo sviluppo di queste ultime per il

tema dei mandanti.

La tematica dei mandanti è un parte particolare da trattare. Per parlare di questo

argomento è necessario prendere come esempio alcune parti dei discorsi

dell’Associazione, e più precisamente il discorso tenuto da Torquato Secci il 2 Agosto

1987:

“È necessario che il Parlamento approvi la proposta di legge di iniziativa

popolare per l’abolizione del segreto di Stato nei delitti di strage e terrorismo poiché

ormai è chiaro che in questi casi il segreto di Stato serve solo a proteggere il segreto

dell’antistato. Quanto prima una delegazione dell’Unione dei familiari delle vittime

per stragi andrà dai Senatori eletti di recente a ricordare che la legge n. 873 di

iniziativa popolare dorme nei cassetti del Senato dal 25 luglio 1984.

Si è trovato il tempo per approvare diverse leggi a favore dei terroristi, non si è

trovato il tempo per discutere e approvare la nostra proposta, composta di un solo

articolo di otto righe la cui applicazione non costerà allo Stato neanche una lira.”

Torquato Secci [2 Agosto 1987]

Come si può notare, in queste parole viene citata un’iniziativa molto importante

sostenuta dall’Associazione, ovverosia la presentazione di una legge di iniziativa

popolare che aveva come fulcro l’abolizione del segreto di stato nei delitti di strage e

terrorismo.

Questa legge era stata presentata al parlamento nel lontano 1984 e da allora giace

ancora nei cassetti del senato.

E’ importante parlare di questa vicenda, in quanto il non voler approvare questa

legge, che come si spiega nel discorso, non costerebbe niente allo Stato, si ritiene sia

un mezzo utilizzato da quei poteri occulti che tanto hanno depistato le indagini sulla

strage, per proteggere quello che può essere considerato l’antistato, i mandanti

dell’attentato. Il segreto di stato, quindi, posto come copertura per tutte quelle

informazioni che avrebbero concesso alla magistratura di arrivare a scoprire chi, dietro

tutti questi giochi di potere, muoveva le fila di una strategia politica volta ad usare la

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concezione di insicurezza, inculcata ai cittadini, come mezzo per un controllo nascosto

della vita politico-economica del nostro paese.

La parola OMISSIS, che si vede spesso all’interno degli incartamenti processuali,

sta ad indicare proprio questo, la copertura di determinate informazioni con il segreto

di stato. I mandanti, quindi, non sono mai stati assicurati alla giustizia perché non si è

voluto lasciare che la magistratura scavasse in quelli che sono considerati i giochi

politici di un tempo quale può essere stato quello degli “anni di piombo”.

43

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CONCLUSIONI

Da quel 2 agosto 1980 la città di Bologna non è stata più la stessa. Un attentato di così vaste

dimensioni e con così tanti morti ha segnato nell’animo la vita dei cittadini Bolognesi, ma non

solo, ha segnato indelebilmente la società italiana. Una società che ancora una volta si è sentita

attaccata e che, tuttavia, non si è lasciata impaurire ma anzi, ha reagito in maniera forte,

contrastando tutte quelle forze che, negli anni, hanno cercato di diffondere quel senso di

insicurezza necessario per il controllo totale della vita dei cittadini.

Una città, Bologna, che nei momenti dopo la strage non si è persa d’animo ma, al contrario, si

è ritrovata unita nel prestare i primi soccorsi. Dai pompieri ai dottori, fino ai semplici cittadini che

scavarono a mani nude tra le macerie della stazione, tutti uniti in un unico scopo: salvare più vite

umane possibili.

Lo stesso Pertini, allora Presidente della Repubblica, il 13 Luglio 1981 conferì alla città di

Bologna la medaglia al valore civile per i soccorsi prestati il 2 Agosto usando, per giustificare

questa attribuzione, parole di elogio per la città intera:

“A seguito del criminale attentato terroristico che sconvolse duramente la città, l’intera

popolazione, pur emotivamente coinvolta, dava eccezionale prova di democratica fermezza e di

civile coraggio.

In una gara spontanea di solidarietà collaborava attivamente con gli organi dello Stato,

prodigandosi con esemplare slancio nelle operazioni di soccorso. Contribuiva così per la

tempestività e l’efficienza a salvare dalla morte numerose vite umane, suscitando il plauso e

l’incondizionata ammirazione della nazione tutta.”

Sandro Pertini [13 Luglio 1981]

Parole che spiegano, in maniera chiara, qual è stata la reazione di Bologna a questo attacco

all’intera società civile, quale può essere stata questa strage. Una reazione che non si è avuta solo

con i soccorsi dopo questo criminale evento ma che, invece, è continuata in tutti questi ventisette

anni passati da quella triste giornata.

Il fatto che, ogni 2 Agosto, nella giornata della commemorazione, la piazza, nonostante tutti

questi anni passati, sia sempre piena, è un segno di come la città, ma anche l’intera nazione italiana,

mantengono la memoria di questa strage. Memoria che se non fosse stata ricercata e poi mantenuta

dall’ ASSOCIAZIONE FAMILIARI VITTIME DELLE STRAGI probabilmente sarebbe andata

perduta o forse anche peggio, sarebbe stata riscritta a favore di questo o quell’interesse politico.

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L’Associazione, quindi, come “imprenditore morale della memoria” ha trasformato e ha

saputo riconoscere la dimensione pubblica del proprio dolore, passando negli anni da una

dimensione del “fare memoria” ad una concezione del “fare etica pubblica”43.

Tutto questo è stato possibile grazie all’adozione di una elaborazione di una “politica della

memoria” che negli anni si è consolidata e che ha portato l’Associazione al ruolo che ancora oggi

svolge. Un ruolo che comprende molti doveri e che comporta pochi benefici. Una funzione

necessaria per la ricerca di Giustizia e Verità, non solo per la Strage di Bologna, ma per tutti gli altri

attentati succedutisi negli anni in questo nostro paese, in un esempio di “cittadinanza attiva” che

non si lascia sopraffare dagli eventi ma, che, al contrario, combatte la proprie battaglie con la

concezione di una lotta senza quell’uso della violenza che ha causato così tante vittime e tanto

dolore.

Con tutte le attività che l’Associazione ha portato avanti in questi ventisette anni si è riuscito a

mantenere viva la vera memoria di questa strage, memoria che negli anni, poteri occulti hanno

cercato di cambiare. Una funzione, quindi, quella dell’Associazione, che si è scontrata con un

ambiente fatto di poteri nascosti e connivenze dei criminali con la politica e con organi deviati dello

stato.

Il continuo lavoro, fatto non solo durante le giornate di commemorazione, ma anche durante

tutti i giorni di questi lunghi anni passati dopo la strage, sono un esempio di come l’Associazione ha

lavorato, non per un puro interesse economico, ma su di una concezione basata su valori quali la

Giustizia e la Verità, intese non come una ricerca di vendetta nei confronti di chi ha ucciso quelle

85 vittime innocenti e ferito, in maniera indelebile, più di 200 persone, ma come valori che in un

moderno regime democratico non possono essere calpestati dagli interessi di qualsiasi parte.

Giustizia e Verità sono state, quindi, le leve sulle quali l’Associazione si è creata, ma ai cui valori si

è aggiunto quello di “Fare memoria”. Una memoria che, insieme alla Verità sulla strage e alla

Giustizia, intesa come perseguimento dei colpevoli, è necessaria per chiudere quelli che sono stati

anni bui per la storia di questo nostro paese, “gli anni di piombo”.

Il ricordare le proprie vittime, i loro nomi, le loro storie, è stato necessario, da parte dei

familiari riuniti nell’associazione, per riuscire a portare avanti quei valori che sono stati citati poche

righe sopra in queste conclusioni. Un ricordo che è stato difficile da affrontare. Quando chiedi ad un

familiare di queste vittime innocenti di ricordare il figlio o la figlia, la moglie o comunque un

parente perso in quel tragico 2 Agosto, la risposta sarà sorprendente. Sarà una risposta piena di

dolore, ma allo stesso tempo piena di dignità. Quando i familiari delle vittime parlano dei loro cari,

infatti, tengono sempre a dire che loro non chiedono compassione ma chiedono solo Verità e

43 Tota A.L , La città ferita, Il mulino, Bologna, 2003, pp. 215.

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Giustizia, ma non solo per loro, per tutte le persone, di qualsiasi nazionalità o cultura, perché non

provino, anche loro, l’immenso dolore di perdere un proprio affetto a causa della violenza e della

mancanza di scrupoli di persone che, per un piccolo ideale, passano sopra a quello che dovrebbe

essere l’ideale per eccellenza, la sacralità della vita.

In tutti questi lunghi ventisette anni, l’Associazione ha continuato a mantenere viva la sua

forza nel ricercare questi valori, combattendo con un ambiente fatto di indifferenza e ostilità, ma

anche con un’Italia che non voleva dimenticare, ma che, attraverso un concetto di “cittadinanza

attiva”, cercava di far comprendere a chi minacciava la vita democratica del paese, che non era

possibile tornare indietro, che l’attenzione sul lavoro delle istituzioni, e non solo, veniva

attentamente controllato. Con i discorsi di commemorazione, l’Associazione ha cercato di portare

avanti il suo lavoro di “imprenditore morale della memoria”, in questo ambiente fatto di collusione

del terrorismo con parti deviate delle istituzioni, cercando di utilizzare il poco spazio concesso ai

familiari delle vittime, in maniera più utile possibile.

I discorsi di commemorazione non sono, infatti, solo un ricordo di quelle 85 vittime innocenti

che persero la vita quel 2 Agosto nella stazione di Bologna, ma rappresentano anche un messaggio

forte per tutta la società italiana e, soprattutto, un atto di accusa nei confronti di chi ha perpetrato un

piano così efferato e per chi, tralasciando la lealtà allo Stato italiano e ad i suoi cittadini, ha coperto

gli esecutori, cercando di allontanare la magistratura dalla verità.

Le parole, quindi, sono usate come mezzo per mantenere viva la memoria, ma anche per

rimarcare quelli che sono considerati mandanti ed esecutori della strage.

In questo lavoro si è cercato di analizzare questa concezione per la quale i discorsi di

commemorazione tenutisi in tutti questi ventisette anni sono stati uno strumento necessario per la

costruzione di una memoria della strage, uno strumento che, come si è potuto notare nella ricerca,

l’Associazione ha utilizzato per il suo importante lavoro di costruzione di questa memoria. In questi

discorsi, infatti, si può rilevare come le tematiche affrontate siano molte, ma si concentrino

soprattutto su una concezione di ricordo delle proprie vittime, non solo per esternare il dolore

provato per la perdita di persone care, ma in un’idea di condivisione di questo dolore, per portare la

società italiana ad una elaborazione che comprenda sia la partecipazione al lutto ma, soprattutto, ad

un’indignazione per l’accaduto, che imprima nel cittadino quella voglia di ribadire che, questo

nostro paese, ha ancora quella importante idea democratica, quale può essere la sovranità popolare.

Il ricordo delle vittime, quindi, come passaggio necessario per la concezione di quelli che,

come si è scritto all’inizio di queste conclusioni, sono i valori intorno ai quali l’Associazione si è

creata: la ricerca di Verità e Giustizia e l’elaborazione di una progettazione del concetto di “fare

memoria”.

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La tematica del ricordo delle vittime non è stata la sola affrontata in questi discorsi di

commemorazione. L’analisi ha portato, infatti, a evidenziare come un altro importante argomento,

citato nei discorsi, sia l’idea che l’Associazione debba, per una situazione che la vede, per usare un

termine che più si avvicina al concetto che si vuole esprimere, come la portavoce delle vittime di

questa strage, ricordare chi ha commesso questo gesto criminale.

Il sottolineare quali siano stati gli esecutori e i depistatori delle indagini è servito

all’Associazione per combattere quelle manovre, attuate da più parti, per cambiare quella che da più

processi è stata considerata la verità giudiziaria sulla Strage di Bologna.

Questo ricordare chi sono gli esecutori della strage è stato necessario per combattere

quell’enorme spazio pubblico dato a questi terroristi. La possibilità, come più volte si è potuto

notare in questa mia ricerca, di un così elevato uso dei media, per stravolgere, da parte di questi

criminali, la verità giudiziaria, è stato uno dei motivi per i quali le parole espresse dall’Associazione

in questi discorsi di commemorazione sono ritenute così importanti per concepire l’Associazione

stessa come barriera per proteggere quella verità che è stata legittimata da un iter processuale che ha

ritenuto i terroristi fascisti Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e più recentemente Luigi

Ciavardini, come esecutori della Strage di Bologna.

Allo stesso modo questo ragionamento vale anche per la tematica dei depistatori delle indagini

su questo criminale gesto. Come si è potuto evidenziare, infatti, in questo lavoro, l’Associazione,

nel momento in cui si trovava a costruire quelli che sono stati i discorsi di commemorazione

sostenuti fino ad oggi, non tralasciava di citare i nomi di quelli che sono considerati personaggi

istituzionali che hanno deviato e ostacolato le indagini della magistratura. La sottolineatura di

queste figure istituzionali è importante perché indica come l’Associazione non solo ha ricordato chi

sono i criminali implicati nella strage, ma, nello stesso tempo, ha lanciato un messaggio all’intera

società italiana, un messaggio che aveva, come idea principale, il ricordare che le azioni svolte da

quelli che possono essere considerati i detentori del potere politico legittimo e quelli che sono

considerati poteri occulti, che minano le basi di questa nostra democrazia, debbano sottostare a quel

giudizio e a quel controllo popolare che sta alla base di un regime democratico.

Questo lavoro, quindi, ha portato ad evidenziare quale importante ruolo abbia la

comunicazione pubblica, che è rappresentata da quelli che sono i discorsi di commemorazione,

tenuti dall’Associazione ogni 2 Agosto, nella giornata di commemorazione; discorsi che, come si è

sottolineato, racchiudono quei valori che sono le basi per la vita stessa dell’ASSOCIAZIONE

VITTIME DELLE STRAGI.

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APPENDICE:

1. Per “imprenditori morali della memoria” s’ intende una concezione nella quale, in un

evento di alta rilevanza pubblica, come in negativo può essere una strage, la memoria

stessa dell’evento non ha solo una natura privata, ma anche una dimensione pubblica,

che incide sull’elaborazione del lutto, conferendogli caratteristiche uniche, delle quali,

chi ha subito questi determinate situazioni, si fa portatore, in una concezione di “fare

memoria”. Questa accezione, se accettata da chi ha vissuto queste situazioni, porta,

queste stesse persone, a prendersi carico di una responsabilità che comprende, non solo

il fatto di essere garanti e guardiani di una certa memoria, ma anche, di essere fautori

di una certa definizione data alla società civile. In un contesto di questo tipo è

importante sottolineare come chi è considerato un “imprenditore morale della

memoria” si trova in una posizione periferica rispetto all’interno di un dato sistema

sociale e di relazioni .

2. La “banda della Magliana” prese piede negli anni settanta a Roma, dove un gruppo di

malavitosi ebbe l’idea di riunire le forze dei vari gruppi criminali che agivano in

quartieri limitrofi della capitale. I componenti erano Franco Giuseppucci, Nicolino

Selis, Maurizio Abbatino, Enrico De Pedis, che cercarono di eliminare le infiltrazioni

criminali provenienti dall’esterno di Roma prendendo il controllo della città. In pochi

anni, “la banda della Magliana”, che prende il nome dal quartiere dove si è creata,

diventa una vera holding politico-criminale in stretti rapporti con la mafia, la camorra,

la n’drangheta, ma soprattutto con esponenti politici, nonché dell’estrema destra

eversiva. Molte sono le vicende che vedono coinvolta questa “banda”, i depistaggi

inerenti alla Strage di Bologna, l’attentato a Roberto Rosone, vice presidente del Banco

Ambrosiano, episodio legato al “caso Calvi”, i rapporti con il gran maestro della

Loggia P2, Licio Gelli, l’arsenale custodito nei sotterranei del Ministero della Sanità, i

legami di una delle figure di spicco, Enrico De Pedis, con la scomparsa di Manuela

Orlandi.

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SITI WEB VISITATI

G WWW.STRAGI.IT

G WWW.EN.WIKIPEDIA.ORG

G WWW.MISTERIDITALIA.COM

ARCHIVIO FOTOGRAFICO

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La stazione negli istanti successivi allo scoppio

La piazza gremita per la giornata di commemorazione

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