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Vent’anni di corsi a Bressanone Dalla lotta ai fannulloni al rischio di MOBBING XX Corso Dr. Paolo De Rossi Dirigente INRAN Bressanone (Bz), 19-22 maggio 2009

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Vent’anni di corsi a Bressanone

Dalla lotta ai fannulloni al rischio di MOBBING

XX Corso

Dr. Paolo De Rossi

Dirigente INRAN

Bressanone (Bz), 19-22 maggio 2009

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SCUOLA DI FORMAZIONE DEL PERSONALE ADDETTO ALLA

GESTIONE DELLE ISTITUZIONI UNIVERSITARIE E DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA

DALLA LOTTA AI FANNULLONI AL RISCHIO DI MOBBING

Dr. PAOLO DE ROSSI Dirigente INRAN

BRESSANONE 19-22-MAGGIO-2009

XX CORSO

Dr. Paolo De Rossi – Dirigente INRAN – XX Corso Scuola di Formazione EPR - Bressanone 20/05/2009 1

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Dott. Paolo De Rossi, [email protected] Com’è noto la Legge 4-3-2009 n. 15 è finalizzata a definire una nuova disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e della relativa contrattazione collettiva, mediante il conferimento di 5 deleghe legislative. La legge citata è coerente con l’impostazione e la visione di uno Stato-datore di lavoro più attento e consapevole dell’enorme peso sociale che esso ha nel tessuto della società italiana e, proprio per questo, ne stabilisce criteri e priorità finalizzati ad una maggiore funzionalità di tutta l’amministrazione pubblica. La “lotta ai fannulloni” che è parte dell’incipit del titolo dell’argomento di questa sessione è al centro di tutta una serie di nuovi e rinnovellati poteri che il provvedimento legislativo ha ritenuto utile ribadire ed aggiornare per sottolinearne la forza e l’incisività. La “lotta ai fannulloni” passa, e non si vede come poteva essere diversamente, attraverso l’opera insostituibile ed il vaglio critico del dirigente. Del dirigente, infatti, l’art. 6, 2° c., lettera a), può: “affermare la piena autonomia e responsabilità del dirigente, in qualità di soggetto che esercita i poteri del datore di lavoro pubblico, nella gestione delle risorse umane, attraverso il riconoscimento in capo allo stesso della competenza con particolare riferimento ai seguenti ambiti: .....omissis....”. La novità tra la Legge 4-3-2009 n. 15 e la precedente fonte, il D.Lgs. 30-3-2001 n° 165, del quale l’attuale legge è la naturale prosecuzione, è di avere prestabilito, nell’ambito dei criteri attraverso i quali le cinque deleghe legislative si svilupperanno, la più sostanziale e moderna riforma per una nuova disciplina del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione. Il potere del dirigente è notevolmente accresciuto e fatto oggetto di particolare attenzione. Si avverte sin dalle prime battute della Legge 15/09 che il tenore è ben diverso dal precedente D. Lgs 3-2-1993 n° 29 e tutte le successive modificazioni ed integrazioni dove il potere del dirigente era impostato, teoricamente, su criteri di ispirazione aziendalistica ma, di fatto, scontava ancora tutto il peso di una burocrazia verticistica gravata da norme tese a creare la dicotomia tra potere di “indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall’altro.” (art. 4, 4° c, del D.Lgs. 30-3- 2001 n° 165) Con la Legge 4-3-2009 n. 15 il dirigente ha, sulla base dell’art. 6, 2° c., lettera a): “piena autonomia e responsabilità” nella gestione delle risorse umane con competenza nei seguenti ambiti:

1) “individuazione dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ufficio al quale è preposto;”

2) “valutazione del personale e conseguente riconoscimento degli incentivi alla produttività;” 3) “utilizzo dell’istituto della mobilità individuale di cui all’art. 30 del D.Lgs. 30-3- 2001 n° 165,

e successive modificazioni, secondo criteri oggettivi finalizzati ad assicurare la trasparenza delle scelte operate;”

E’ di tutta evidenza che è richiamata, direttamente, l’attività del dirigente ad assicurare il “buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” sancita dall’art. 97 della Costituzione attraverso un’attenta e critica opera del dirigente medesimo nel verificare la corrispondenza delle prestazioni sinallagmatiche del singolo lavoratore a lui assegnato alle finalità istituzionali dell’ufficio da lui diretto. La cosa, naturalmente, implica, per il dirigente, una disamina di compiti ed attribuzioni che non potrà comunque più essere elusa o differita essendo previste, queste sì per la prima volta, sanzioni di carattere immediato e differito. Sembra, quindi, oltremodo chiaro che il dirigente dovrà, al fine di ottemperare alla sua competenza esclusiva negli ambiti citati ai punti 1)-2)-3), compiere un esame critico delle risorse umane che a lui stesso sono state attribuite. A questo punto s’innesta quello che il mondo anglosassone definisce come “Elephant Test” (= E.T.).

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Pietro Ichino, al riguardo dell’E.T., nel suo libro “I nullafacenti”1 a pag. 21 dice: “E’ il test che i giuristi anglosassoni contrappongono alle nostre disquisizioni bizantine, nei casi in cui non ce n’è alcun bisogno: se vedi un elefante, non occorrono tecniche di valutazione sofisticate per qualificarlo come elefante. Chiunque veda come si comporta Fogliazzi, anche senza essere un esperto di sociologia del lavoro o di gestione delle risorse umane, lo classifica immediatamente come un nullafacente doloso. In qualsiasi azienda privata sarebbe stato licenziato da un pezzo.” Riguardo l’enucleazione del nullafacente è bene operare una riflessione. La Legge 15/09 s’inserisce quale strategia all’interno di un programma di provvedimenti ed azioni che cercano di risollevare la pubblica amministrazione dalla “morta gora”2 nella quale è finita da parecchio tempo. E’ di tutta evidenza che con la Legge citata si ha la piena consapevolezza che vi sono strumenti e sanzioni tese ad indurre anche il più riottoso o “distratto” dirigente nell’operazione di corretto ed efficace riassetto di competenze e funzioni. Al riguardo basti citare le previsioni di cui all’art. 6, 2° c., lettera: b) concernente “una specifica ipotesi di responsabilità del dirigente, in relazione agli effettivi poteri datoriali, nel caso di omessa vigilanza sulla effettiva produttività delle risorse umane assegnate e sull’efficienza della relativa struttura”, pena la mancata corresponsione del trattamento economico accessorio, sulla base dell’accertamento della predetta responsabilità; c) concernente “la decadenza dal diritto al trattamento economico accessorio” qualora il dirigente non abbia avviato il relativo procedimento disciplinare ove esso sarebbe stato dovuto; d) concernente la limitazione della “responsabilità civile dei dirigenti alle ipotesi di dolo e di colpa grave in relazione alla decisione di avviare il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti della pubblica amministrazione di appartenenza”; e) concernente la previsione di “sanzioni adeguate per le condotte dei dirigenti i quali, pur consapevoli di atti posti in essere dai dipendenti rilevanti ai fini della responsabilità disciplinare, omettano di avviare il procedimento disciplinare entro i termini di decadenza previsti, ovvero in ordine a tali atti rendano valutazioni irragionevoli o manifestamente infondate”. Non si può negare che la Legge 4-3-2009 n. 15 abbia ipotizzato ogni casistica per contrastare comportamenti tesi ad eludere o svuotare di significato un provvedimento che tenta di mettere ordine nella materia ridando e sottolineando il potere di vigilanza del dirigente prevedendone le sanzioni per i vari tipi di culpa in vigilando che è naturale corollario della funzione dirigenziale, del resto, sempre ribadita dai provvedimenti legislativi precedenti. Non è una novità la grande attenzione messa dalla Legge 15/09 sulla funzione ed i poteri, attuali e futuri, del dirigente, quale inestricabile “snodo” attraverso il quale si esplica, necessariamente e concretamente, l’attività di ogni pubblica amministrazione, basti ricordare, al riguardo, che in tempi non poi così lontani i dirigenti furono definiti “risorsa strategica del Paese”. L’attenzione sul dirigente operata dalla legge 15/09, seppure, come detto, ricalca un solco già tracciato, ha nuove e peculiari caratteristiche che costituiscono un obiettivo mirato per facta concludentia. Come potrà il dirigente ricondurre Tizio alla fattispecie del nullafacente conclamato (tipo “Elephant Test”) se non si addentra, preliminarmente, negli incarichi attribuiti ai suoi dipendenti con spirito critico-costruttivo? E qualora questo tipo di attività prodromica non emergesse il medesimo dirigente sarebbe esposto, senz’altro, alle critiche provenienti da:

1 P. Ichino: “I NULLAFACENTI, perchè e come reagire alla più grave ingiustizia della nostra amministrazione pubblica” Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 2006, p. 21 2 Cfr i versi di D. Alighieri nell’ VIII canto dell’inferno della Divina Commedia http://www.fullbooks.com/Divina-Commedia-di-Dante-Infernox27711.html

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• 1) un eventuale Ispettore inviato sulla base dell’art. 60, 5° e 6° c, del D. Lgs. 165/01, così come esso sarà rivisitato sulla base dell’art. 4, 2° c., lettera i) della Legge 4-3-2009 n.15, che potrebbe contestare l’assenza del provvedimento sanzionatorio che, com’è noto, deve essere sempre motivato;

• 2) lo stesso sindacato, attento alla “tutela del lavoro” e certo non alla “tutela del non lavoro” che è l’antitesi dei propri fini istituzionali ed esistenziali. Il sindacato, infatti, avrebbe titolo a chiedere le ragioni sottostanti il provvedimento sanzionatorio;

• 3) anche il singolo dipendente, motivato e costante lavoratore, che potrebbe chiedere spiegazioni sugli incarichi di Tizio - supposto fannullone del tipo E.T. - che potrebbe inoltrare in via gerarchica e con una trasparenza che è il naturale complemento di una vita di serio e costante lavoro. Un simile lavoratore, infatti, potrebbe essere indotto, sulla scia della consapevolezza di un’impotenza ad incidere nel proprio lavoro e nei rapporti che ne discendono, ad inoltrare lettere anonime figlie di quel richiamo all’omertà, tipico di una cultura del clan, che si tratterà tra poco quando s’introdurrà il fenomeno del mobbing.

Il lavoratore avrebbe, al contrario, attraverso un’azione limpida e costruttiva, titolo efficace e legittimante dato dall’esercizio di due situazioni soggettive:

- la prima, concernente il diritto soggettivo alla carriera ed ad un normale carico di lavoro adeguato alla sua esperienza ed alla sua cultura che potrebbe anche essere rivisto alla luce dell’art. 5, 2° c., lettere a), b), c) della più volte citata Legge. Il lavoratore, infatti deve essere intimamente convinto che lui stesso non faccia neppure in minima parte il lavoro degli altri o, tanto meno, che lui debba lavorare di più per giustificare un numero eccessivo di risorse umane che lavorano poco o male ma che sono, comunque, attribuite all’ufficio e che, in un’ottica più mirata ed in sintonia con le disposizioni della Legge 15/09 forse, potrebbe essere rivisto; - la seconda, concernente l’interesse legittimo a quel “buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” sancita dall’art. 97 della Costituzione e che, proprio la Legge 4-3-2009 n. 15 in esame, ha ribadito in tal senso. Qualora ciò non bastasse il legislatore ha previsto anche, a corollario di tutta l’impalcatura che vede al centro l’attività del dirigente, un nuovo potere disciplinare che, di certo, è d’impostazione diametralmente opposta a quella che aveva dato precedentemente l’art 55 del D. Lgs 165/2001. La Legge 15/09, con la quinta delega, prevede che il potere disciplinare subisca nuove e radicali trasformazioni quali quelle indicate dall’art. 7, 2° c., che prevede alla lettera:

a) la semplificazione delle “fasi dei procedimenti disciplinari, con particolare riferimento a quelli per le infrazioni di minore gravità,” la razionalizzazione dei tempi del procedimento, ridefinendone la natura e l’entità dei relativi termini, gli strumenti per una sollecita ed efficace acquisizione delle prove e la notificazione obbligatoria, in via telematica, della sentenza penale alle amministrazioni interessate;

b) la fine della pregiudizialità del diritto penale a quello amministrativo, stabilendo che “il procedimento disciplinare possa proseguire e concludersi anche in pendenza del procedimento penale, stabilendo eventuali meccanismi di raccordo all’esito di quest’ultimo”;

c) la definizione della “tipologia delle infrazioni che per la loro gravità comportano l’irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento”, inclusi i casi di scarso rendimento e di attestazioni non veritiere di presenze e di presentazione di certificati medici non veritieri (art 640, 2° c., C.P.);

d) la previsione di “meccanismi rigorosi per l’esercizio dei controlli medici durante il periodo di assenza per malattia del dipendente,” e di responsabilità disciplinare e, se pubblico dipendente, il licenziamento per giusta causa del medico che abbia concorso alla falsificazione

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Dott. Paolo De Rossi, [email protected] della documentazione attestante lo stato di malattia o sia incorso in violazione dei canoni di diligenza professionale nell’accertamento della patologia; e) “a carico del dipendente responsabile, l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale,

pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonchè del danno all’immagine subito dall’amministrazione”;

f) “il divieto di attribuire aumenti retributivi di qualsiasi genere ai dipendenti di uffici o strutture che siano stati individuati per grave inefficienza e improduttività”;

g) l’”ipotesi di illecito disciplinare” per il dipendente che, con condotta colposa, abbia determinato la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni;

h) “procedure e modalità per il collocamento a disposizione ed il licenziamento, nel rispetto del principio del contradditorio del personale che abbia arrecato grave danno al normale

funzionamento degli uffici di appartenenza per inefficienza o incompetenza professionale”; i) l’”ipotesi di illecito disciplinare nei confronti dei soggetti responsabili, per negligenza, del

mancato esercizio o della decadenza dell’azione disciplinare” l) “la responsabilità erariale dei dirigenti degli uffici in caso di mancata individuazione delle

unità in esubero”; m) l’ampliamento dei “poteri disciplinari assegnati al dirigente prevedendo, altresì, l’erogazione

di sanzioni conservative quali, tra le altre, la multa o la sospensione del rapporto di lavoro, nel rispetto del principio del contraddittorio”;

n) l’”equipollenza tra l’affissione del codice disciplinare all’ingresso della sede di lavoro e la sua pubblicazione sul sito web dell’amministrazione”;

o) “abolire i collegi arbitrali di disciplina vietando espressamente di istituirli in sede di contrattazione collettiva.”

Da quanto sin quì esposto se ne deduce che la “lotta ai fannulloni sia il primo, inderogabile passo verso un’amministrazione più efficace ed attenta alla crescita fisiologica del lavoratore, ossia di chi realmente e soddisfacentemente, risponde alle prestazioni sinallagmatiche oggetto del proprio contratto individuale. Non si vede, peraltro, come si potrebbero coniugare insieme diverse finalità concernenti la pubblica amministrazione quali: contenimento di spesa, ammodernamento, e reperimento delle risorse necessarie all’ingresso di nuove leve che, con il passare del tempo, sono sempre meno giovani. Il fannullone non trova collocazione nel mondo del lavoro in quanto usa tale mondo per esserne costantemente, comodamente e rigorosamente al di fuori. Il fannullone, sostanzialmente, truffa il datore di lavoro ed i suoi colleghi che lo sopportano in ossequio al vecchio adagio del “vivi e lascia vivere” che deve essere soppiantato dal più appropriato, attuale e necessario “vivi lavorando e lascia vivere lavorando”. Occorre ora osservare come il fannullone si ponga nei confronti dell’eventuale fenomeno del mobbing. Sulla base dei principi indicati nelle previsioni normative citate, emerge quanto segue. Il Legislatore indica a chiare lettere che il principale “snodo” attraverso il quale passa tutta la riforma del pubblico impiego, è il dirigente. Il dirigente è “sul campo” e, quindi, non può non sapere ciò che fanno o meglio “non fanno” i suoi collaboratori e, qualora avesse qualche dubbio, può doverosamente toglierselo, specialmente se è, magari, di prima nomina e viene da altro ufficio, chiedendo cosa faccia Tizio e pregandolo di fornirgli dettagliata relazione. Se la dettagliata relazione non risponde ai requisiti di pertinenza o di congruità del lavoro descritto e, dopo averla incrociata con altre fonti attendibili d’informazione ufficiali, non risulta essere congrua con l’impegno e la frequenza standard di un impiegato di simile livello, si ritiene che il dirigente debba integrare, adeguatamente, il lavoro di Tizio.

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Dott. Paolo De Rossi, [email protected] Il dirigente è pienamente legittimato ad una simile incombenza attesa “la piena autonomia e responsabilità del dirigente, in qualità di soggetto che esercita i poteri del datore di lavoro pubblico, nella gestione delle risorse umane... omissis...” secondo quanto disposto dall’art. 6, 2° c., lettera a) della Legge 4-3-2009 n. 15. Il fannullone può eccepire qualsiasi cosa ma non potrà negare l’evidenza che, magari a fronte di un ufficio dalla definizione roboante, molto probabilmente non emerge un’attività di significativa importanza, consistenza o frequenza. A questo riguardo se verrà riscontrato dal dirigente un nuovo concetto di “ravvedimento operoso”3 che, attualmente, sta a segnalare solo un comportamento di soli ed esclusivi contenuti giuridico-economici, da parte del dipendente che voglia fattivamente abbandonare la “qualifica di fannullone” la cosa arriverà ad approdi più dolci, diversamente si deve ricordare che, in caso diametralmente opposto, la corretta collocazione della fattispecie è quella dell’inadempienza contrattuale con epilogo risolutivo. A questo punto, forse, è meglio chiarire cosa s’intenda per fannullone e chi, al contrario, non deve essere confuso per fannullone: A) Il primo tipo di fannullone, riguarda quelle persone che non fanno niente nonostante vi siano stati tentativi di riconversione della loro attività andando incontro alle loro caratteristiche peculiari: è, senz’altro, quello che risponde meglio di tutti all’ Elephant Test e, quindi, per questo soggetto si concretizza una vera e propria inadempienza contrattuale. B) Il secondo tipo di fannullone, riguarda, al contrario, quelle persone che non fanno niente in quanto, semplicemente, non sono tenute o chiamate a fare alcunché da nessuno. Questo tipo di persone appartengono a quella “zona grigia” che, attraverso un accertamento delle singole responsabilità, potrà far emergere situazioni, le più varie. Vi è, tuttavia, un altro genere di lavoratore che effettivamente lavora ed anche correttamente ma, sfortunatamente per lui, è inserito in un plesso amministrativo o in un ufficio che il tempo e la crescente tecnologia hanno reso superato, superfluo ed obsoleto. Di questo “sfortunato” lavoratore non parleremo in quanto essendo lavoratore non può essere assolutamente classificato “fannullone” ma da un esame della resa in ragione della funzionalità di tutto l’ufficio cui appartiene esce “perdente” in quanto software e sistemi sempre più complessi sono i suoi acerrimi nemici. Alludiamo alle migliaia di archivisti, operatori per i quali, attualmente, il loro lavoro potrebbe essere “bypassato” da una diversa concezione del lavoro burocratico-amministrativo, in generale, e delle varie fasi relative all’istruttoria che implica l’atto finale, in particolare. Non a caso lo Stato-datore di lavoro non bandisce più da anni concorsi per simili qualifiche che, con il tempo, andranno “ad esaurimento” e che pure possono trovare nuove collocazioni nell’ambito di una nuova concezione dell’Amministrazione pubblica italiana. Soluzioni al riguardo postulano impostazioni di particolare complessità che esulano dalla presente trattazione e che potranno essere affrontate in altra sede. I tentativi, quindi, del dirigente atti a ripristinare un corretto rapporto di prestazioni sinallagmatiche all’interno delle prime due fattispecie relative al tipo di fannullone A) e B), rientrano, senz’altro, nei doveri d’ufficio del dirigente quale “soggetto che esercita i poteri del datore di lavoro pubblico” (art. 6, 2° c., lettera a), b)) e, pertanto, sarà questo l’unico caso in cui proprio non si potrà parlare di mobbing , fenomeno che poggia la sua azione vessatorio-distruttiva proprio nell’ambiente di lavoro e, principalmente, a causa del lavoro e per il suo tramite che, di certo, è l’unico elemento fondamentale introvabile nella fattispecie reale del fannullone.

3 Il ravvedimento operoso è un concetto che è stato introdotto con alcune pronunce della Corte dei Conti e sta a significare che il dipendente o l’Amministrazione si è resa conto dell’errore e corre “per facta concludentia” ai ripari.

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Dott. Paolo De Rossi, [email protected] Inoltre, giovi ricordarlo, anche il dirigente, sulla base dell’art. 4, 1° c., della Legge 4-3-2009 n.15, è tenuto ad uniformarsi a “….omissis…l’obiettivo di allineamento entro un termine ragionevole ai parametri deliberati dal citato organismo centrale.…omissis…” e, pertanto, non si vede come dovrebbe avere trattamento difforme il fannullone del tipo A) o B), finalmente invitato a lavorare. A questo punto si comincia a chiarire l’unica cosa che lega il fannullone al mobber: il “fattore T”. Per “fattore T” intendiamo il “fattore truffa” che anima, per analoghi e sostanzialmente difformi aspetti, il comportamento dei due soggetti: il fannullone ed il mobber. Il fannullone compie la sua ”azione di non fare niente” “con artifizi e raggiri” al solo scopo di procurare a sè “un ingiusto profitto con altrui danno” “inducendo taluno in errore” (il datore di lavoro). (Cfr. art 640 C.P.) Dato che l’”azione di non fare niente” è un “non senso” all’interno di un luogo di lavoro, occorre fare anche qualche altra considerazione in merito e circa il fenomeno dei fannulloni. Il fannullone non può agire da solo: la frase, a questo punto, si connota di contenuti surreali. Agire è un verbo che significa, sostanzialmente, azione e, quindi, ne risulterebbe che: il fannullone non possa agire, per non agire, senza altri che lo sostenga nell’azione protesa all’inazione!4. Il fannullone, infatti, per fare il comodo proprio che è poi, non far nulla, non può passare inosservato attraverso le maglie strette che ha posto il legislatore e l’estensore del contratto. Il terreno di coltura del fannullone è perciò, una culpa in vigilando, che, di certo, è in capo al dirigente responsabile o di chi ha la responsabilità dei lavoratori, tra i quali il “non lavoratore”. Il mobber, invece, mette in atto gli “artifizi ed i raggiri” per mascherare, all’esterno, attraverso azioni ed omissioni singolarmente ed apparentemente legittime, un’azione distruttiva, sottostante, contra legem. Anche il mobber, quindi, è interessato dal “fattore T” in quanto usa il potere datogli legittimamente dal datore di lavoro per finalità, quali quelle di vessare il dipendente mobbizzato, che esulano totalmente dall’azione istituzionale che deve rispondere solo e sempre ai criteri che assicurino il “buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” sancita dall’art. 97 della Costituzione. Similmente a quanto citato per il fannullone abbiamo una situazione sostanzialmente analoga a quella del fannullone, per quanto concerne la strategia, ma motivata ed indirizzata a ben altre finalità. Il mobber pianifica il suo coacervo di azioni ed omissioni “con artifizi e raggiri” al solo scopo di procurare a sè “un ingiusto profitto con altrui danno” “inducendo taluno in errore” (il datore di lavoro ed il mobbizzato). (Cfr. art 640 C.P.) Spieghiamo meglio il concetto che vede la piena analogia tra il fannullone ed il mobber, limitatamente ai mezzi usati per lo scopo. Mentre nel fannullone è tutto pianificato al fine di avere, immeritatamente, l’erogazione di un corrispettivo, nel mobber la pianificazione è, esclusivamente, finalizzata alla distruzione dello stato psico-fisico del mobbizzato. L’”ingiusto profitto” del mobber non è monetizzabile secondo canoni economici ma in termini di “compensazione psicologica” che appaga il “narcisista perverso” che molto spesso si annida nella figura del mobber. Una scuola di pensiero individua: “ i mobber come narcisisti perversi, ovvero psicotici asintomatici, che scaricano sulla vittima i loro problemi interni non risolti, e non essendo stati valorizzati nell’infanzia, si autovalorizzano a spese degli altri, per mascherare il loro vuoto interiore nell’illusione di esistere e di essere i migliori; e non essendo capaci di relazione ed

4 Sembra proprio di evocare il celeberrimo colloquio di Totò e Peppino De Filippo quando chiedono informazioni sulla strada che stanno cercando, al vigile urbano a piazza Duomo a Milano. Cfr. il film “Totò, Peppino e la malafemmina” di Camillo Mastrocinque del 1956 su http://it.wikipedia.org/wiki/Tot%C3%B2,_Peppino_e_la_malafemmina

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autenticità hanno gusto solo ad asservire ed umiliare l’altro, distruggendolo e rendendolo incapace perfino di reagire.”5 Per completare l’esame analogico si potrà argomentare che: -l’“altrui danno” è quello, principalmente, operato sullo stato psico-fisico del mobbizzato, che “ne fa le spese” e sul datore di lavoro che dovrà sostenere, realmente, le spese dovute agli emolumenti del mobbizzato erogati per lunghi periodi di malattia cui, inesorabilmente, va incontro, oltre alle somme eventualmente erogate a titolo di compensi per prestazioni di lavoro straordinario o per le sostituzioni resesi necessarie per la prolungata assenza dal lavoro del mobbizzato; - “inducendo taluno in errore” si riferisce sia: 1) in particolare, al mobbizzato che, attraverso le strategie pianificate dal mobber si trova “avvitato” in situazioni sempre più pesanti che alla fine avranno su di lui il sopravvento; 2) in generale, al datore di lavoro il cui potere legittimo verrà usato ed “abusato” per fini privati e, comunque, non istituzionali. La messe copiosa di ordini di servizio, solleciti, inviti a fare, procedimenti disciplinari preordinati per colpire, inequivocabilmente, il mobbizzato, sono apparentemente legittimi ma sono, sostanzialmente, contra legem in quanto rappresentano la realizzazione di una meticolosa pianificazione dolosa del mobber e dei side mobber al solo scopo di vessare il mobbizzato. Dall’azione combinata del mobber e dei side mobber si ha l’estrinsecazione di tutti quei comportamenti consistenti in azioni ed omissioni, tipici della cultura del clan. - “con artifizi e raggiri” non è altro che la “strategia” impiegata, attraverso le azioni ed omissioni vessatorie ipotizzate e messe in atto sia dal mobber, sia dai side mobber, ai danni del lavoratore con conseguenze disastrose non solo sul suo stato di salute psico-fisica ma, anche, con ripercussioni sull’ambiente familiare, nei casi di doppio mobbing, e, ovviamente, sull’ambiente di lavoro che dovrà subire una serie di “riparazioni” alle prolungate assenze del mobbizzato quali, come s’è detto, l’erogazione ad altri lavoratori di compensi per lavoro straordinario, turni o, anche, per eventuali sostituzioni che potrebbero necessitare per assorbire il lavoro del mobbizzato rimasto inevaso. Le analogie, tra la figura del fannullone e quella del mobber, per quanto concerne la strategia, finiscono qui. Enorme diversità, invece, si riscontra per quanto concerne la documentazione che possa in qualche modo “smascherare” il fannullone ed il mobber. L’attività, rectius, la “non attività” del fannullone emerge, platealmente, dall’ordine di servizio, o comunque dalla documentazione trovata o fornita a suffragare ed a dimostrare la congruità delle “prestazioni” del fannullone. L’attività, al contrario, del mobber si esplica attraverso il principio della “disomogeneità”6, tipico della strategia adottata per la realizzazione delle azioni od omissioni mobbizzanti e della “circostanzialità”7, criterio idoneo a svelare il fenomeno.

La “disomogeneità” riguarda gli atti, i comportamenti, le azioni ed omissioni tese ad una graduale, ma costante, azione distruttrice del mobbizzato ed è tipica della fase prodromica e di quella attiva del

5 E. Costa, G. Scaramucci, “Prevenire il mobbing”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, p. 28. 6 Cfr. P. De Rossi, “Guida al fenomeno del mobbing nella pubblica Amministrazione” Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma Aprile 2009, § 1.4 7 “Circostanzialità” è un termine italiano che è utile introdurre nel linguaggio attinente ai fenomeni del mobbing in quanto, si ritiene, meglio di qualsiasi altro vocabolo sta a significare che ogni singolo atto o azione od omissione in sè e per sè non è irrituale o contra legem ma, se visto nell’ottica del “mosaico”, si capisce che esso assume una pregnanza ed una valenza insostituibile nel “castello” di carte, atteggiamenti ed azioni mobbizzanti. Nuova definizione del termine da parte dell’autore. Cfr. P. De Rossi, “Guida al fenomeno del mobbing nella pubblica Amministrazione” Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma Aprile 2009, § 2.2.1

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Dott. Paolo De Rossi, [email protected] fenomeno fino al raggiungimento dell’obiettivo di distruzione dello stato di salute psico-fisico del mobbizzato. La “circostanzialità”, invece, riguarda il criterio che dovrà praticare il soggetto che vorrà verificare se quello in esame sia un caso riconducibile al fenomeno di mobbing o meno. Mentre la “disomogeneità” è una strategia dolosa del mobber e dei side mobber tesa ad occultare all’esterno il comportamento fraudolento dei medesimi, la “circostanzialità” è la vera e propria chiave di lettura che dovrà praticare il soggetto che vorrà smascherare l’azione mobbizzante. E’ di tutta evidenza, quindi, che la “disomogeneità” è riscontrabile nella fase di tentativo o di consumazione del fenomeno del mobbing, mentre la “circostanzialità” non può che intervenire a posteriori. Non resta a questo punto che definire ciò che intendiamo per fenomeno di mobbing:

“Chi nell’ambiente di lavoro, autonomamente o con il concorso di altri, produce danno, attraverso

una serie di azioni ed omissioni perpetrate nel tempo, all’immagine ed alla salute di una o più persone”.8

E’ bene chiarire che per aversi fenomeno di mobbing deve ricorrere, almeno secondo la giurisprudenza più rigorosa che ha: “sostanzialmente accolto la definizione usata dalla psicologia del lavoro, evidenziando i caratteri fondamentali di questa fattispecie complessa secondo, il seguente schema: - L’ambiente lavorativo nel quale deve svolgersi; - La frequenza, sistematicità e durata nel tempo (per almeno sei mesi) - L’andamento progressivo (secondo lo schema proposto dal “Modello Ege a Sei Fasi”) - Le conseguenze lesive che ne derivano per la vittima.”9 Come si può vedere le due situazioni, quelle attinenti al fannullone e quelle relative al rischio di mobbing, sono omogenee esclusivamente per quanto concerne il modo di operare, comportando ambedue il “fattore T” che, sostanzialmente, in entrambi i casi danneggia enormemente il datore di lavoro che è poi quello che eroga le buste paga a tutti. Non c’è dubbio che, sia l’una situazione, sia l’altra, siano meritevoli di attenta azione tesa a debellarne i fenomeni relativi con atteggiamenti che implichino un esame critico alla luce della recente Legge 4-3-2009 n. 15 e, per quanto riguarda il fenomeno del mobbing, attraverso un nuovo clima che si dovrà instaurare nell’ambito di un ambiente di lavoro dove, senz’altro, è giunta l’ora che:

“Cultura nova propaganda est”.

Per ulteriori, eventuali, chiarimenti è possibile inviare richieste a:

Dott. Paolo De Rossi Direzione Centrale Supporto alla Gestione delle Risorse Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione Via Ardeatina 546 00178 Roma tel 06/51494551; e-mail: [email protected]

8 Cfr. P. De Rossi, “Guida al fenomeno del mobbing nella pubblica Amministrazione” Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma Aprile 2009, § 2.2.1 9 Cfr. D. Cantisani “mobbing analisi giuridica di un fenomeno sociale e aziendale” Trento Experta edizioni, 2005, p.38-39

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Legge 4/03/2009, n. 15 prevede 5 deleghe:

Art. 3

Princìpi e criteri in materia di contrattazione collettiva e integrativa e funzionalità delle amministrazioni pubbliche

Art. 4

Princìpi e criteri in materia di valutazione delle strutture e del personale delle AA. PP. e di azione collettiva. Disposizioni sul principio di trasparenza nelle AA. PP.

Art. 5

Princìpi e criteri finalizzati a favorire il merito e la premialità

Art. 6

Princìpi e criteri in materia di dirigenza pubblica

Art. 7

Princìpi e criteri in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici

La lotta ai fannulloni si desume dall’art. 6, 2° c.:

a) Affermare la piena autonomia e responsabilità del Dirigente, in qualità di soggetto che esercita i poteri del datore di lavoro pubblico, nella gestione delle risorse umane, attraverso il riconoscimento in capo allo stesso della competenza con particolare riferimento ai seguenti ambiti:

1) Individuazione dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ufficio al quale è preposto

2) Valutazione del personale e conseguente riconoscimento degli incentivi alla produttività

3) Utilizzo dell’istituto della mobilità individuale di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, secondo criteri oggettivi finalizzati ad assicurare la trasparenza delle scelte operate

BRIXEN 09/01

CRITERIO ISPIRATORE ART. 97 DELLA COSTITUZIONE: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

E’ di tutta evidenza che il dirigente è chiamato ad operare un attento esame critico del lavoro svolto dal singolo dipendente assegnatogli, per verificare la corrispondenza delle prestazioni sinallagmatiche di quest’ultimo, alle finalità dell’ufficio da lui diretto.

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BRIXEN 09/02

SE IL DIRIGENTE NON PROVVEDE ALLA VERIFICA DELLA CONGRUITA’ DELLE PRESTAZIONI SINALLAGMATICHE DEI PROPRI DIPENDENTI,

INTERVENGONO SANZIONI DI CARATTERE IMMEDIATO COME DISPONE,

la L. 15/2009, art. 6, 2° c., lettera:

b) prevedere una specifica ipotesi di responsabilità del dirigente, in relazione agli effettivi poteri datoriali, nel caso di omessa vigilanza sulla effettiva produttività delle risorse umane assegnate e sull’efficienza della relativa struttura nonché, all’esito dell’accertamento della predetta responsabilità, il divieto di corrispondergli il trattamento economico accessorio;

c) prevedere la decadenza dal diritto al trattamento economico accessorio nei confronti del dirigente il quale, senza giustificato motivo, non abbia avviato il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti, nei casi in cui sarebbe stato dovuto;

d) limitare la responsabilità civile dei dirigenti alle ipotesi di dolo e di colpa grave, in relazione alla decisione di avviare il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti della pubblica amministrazione di appartenenza;

e) prevedere sanzioni adeguate per le condotte dei dirigenti i quali, pur consapevoli di atti posti in essere dai dipendenti rilevanti ai fini della responsabilità disciplinare, omettano di avviare il procedimento disciplinare entro i termini di decadenza previsti, ovvero in ordine a tali atti rendano valutazioni irragionevoli o manifestamente infondate;

 

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BRIXEN 09/03

ATTORI LEGITTIMATI ALL’AZIONE DI EMERSIONE DEL FENOMENO DEL FANNULLONE

SULLA BASE DELL’ART. 97 DELLA COSTITUZIONE:

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1) DIRIGENTE

2) DIRETTORE GENERALE

3) VISITE ISPETTIVE

1

Art. 6, 2° c., lettera a) 2L. 15/2009

3

In caso di inadempienza del Dirigente responsabile attraverso il potere di sostituzione del dirigente e di avocazione

IN AFFIANCAMENTO:

Art. 60, 5° e 6° c. D. Lgs 30/03/2001, n. 165

IN SUBORDINE:

OO.SS. Legittimate dall’art. 97 della Costituzione

Art. 97 Costituzione

Il singolo dipendente

Art. 5, 2° c., lettere L. 15/2009

b)

a)

c)

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BRIXEN 09/04

ELEMENTI COMUNI AL COMPORTAMENTO DEL FANNULLONE E DEL MOBBER: IL “FATTORE T” (fattore TRUFFA)

Art. 640 C.P. “chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno: …omissis”

STRATEGIA DANNO EFFETTO (ARTIFIZI O

RAGGIRI)

Al: Comportamento doloso finalizzato all’inattività

Ingiusto profitto (stipendio indebitamente percepito)

FANNULLONE 1) datore di lavoro 2) agli altri lavoratori

con altrui danno

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MOBBER Comportamento doloso finalizzato alla distruzione psicofisica del mobbizzato

Ingiusto profitto di natura non economica: Compensazione psicologica nel “narcisista perverso”, che molto spesso si annida nella figura del mobber. Una scuola di pensiero individua:  “i mobber come narcisisti perversi,  ovvero psicotici asintomatici, che scaricano sulla vittima i loro problemi interni non risolti, e non essendo stati valorizzati nell’infanzia, si autovalorizzano a spese degli altri, per mascherare il loro vuoto interiore nell’illusione di esistere e di essere i migliori; e non essendo capaci di relazione ed autenticità hanno gusto solo ad asservire ed umiliare l’altro, distruggendolo e rendendolo incapace perfino di reagire.” 1

A: 1) il datore di lavoro che deve sostenere costi per: a) Emolumenti al mobbizzato durante il periodo di malattia b) Straordinari o emolumenti per le sostituzioni necessarie c) Risarcimento dei danni quantificati dal giudice nella sentenza

2) gli altri lavoratori che risentono del cambiamento di clima nell’ambiente di lavoro

3) la famiglia in caso di doppio mobbing

1 E. Costa, G. Scaramucci, “Prevenire il mobbing”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, p. 28

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BRIXEN 09/05

Legge 4/03/2009, n. 15 prevede una quinta delega sulle sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti:

Con la quinta delega si prevede che il potere disciplinare subisca nuovi e radicali trasformazioni quali quelle indicate dall’art. 7, 2° c., che prevede alla lettera:

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a) la semplificazione delle “fasi dei procedimenti disciplinari, con particolare riferimento a quelli per le infrazioni di minore gravità,” la razionalizzazione dei tempi del procedimento, ridefinendone la natura e l’entità dei relativi termini, gli strumenti per la sollecita ed efficace acquisizione delle prove e la notificazione obbligatoria in via telematica della sentenza penale alle amministrazioni interessate.

b) la fine della pregiudizialità del diritto penale a quello amministrativo, stabilendo che “il procedimento disciplinare possa proseguire e concludersi anche in pendenza del procedimento penale, stabilendo eventuali meccanismi di raccordo all’esito di quest’ultimo”;

c) la definizione della “tipologia delle infrazioni che, per la loro gravità, comportano l’irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento”, inclusi i casi di scarso rendimento e di attestazioni non veritiere di presenza e di presentazioni di certificati medici non veritieri (art 640, 2° c., C.P.);

d) “meccanismi rigorosi per l’esercizio dei controlli medici durante il periodo di assenza per malattia del dipendente,” e di responsabilità disciplinare e, se pubblico dipendente, il licenziamento per giusta causa del medico che abbia concorso alla falsificazione della documentazione attestante lo stato di malattia o sia incorso in violazione dei canoni di diligenza professionale nell’accertamento della patologia;

e) “l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonchè del danno all’immagine subìto dall’amministrazione”;

f) “il divieto di attribuire aumenti retributivi di qualsiasi genere ai dipendenti di uffici o strutture che siano stati individuati per grave inefficienza e improduttività”;

Continua

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BRIXEN 09/05bis

Legge 4/03/2009, n. 15 prevede una quinta delega nelle sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti:

segue art. 7, 2° c., che prevede alla lettera:

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g) l’”ipotesi di illecito disciplinare in relazione alla condotta colposa del pubblico dipendente che abbia determinato la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni”;

h) “procedure e modalità per il collocamento a disposizione ed il licenziamento, nel rispetto del principio del contradditorio, del personale che abbia arrecato grave danno al normale funzionamento degli uffici di appartenenza per inefficienza o incompetenza professionale”;

i) l’”ipotesi di illecito disciplinare nei confronti dei soggetti responsabili, per negligenza, del mancato esercizio o della decadenza dell’azione disciplinare”;

l) “la responsabilità erariale dei dirigenti degli uffici in caso di mancata individuazione delle unità in esubero”;

m) l’ampliamento dei “poteri disciplinari assegnati al dirigente prevedendo, altresì, l’erogazione di sanzioni conservative quali, tra le altre, la multa o la sospensione del rapporto di lavoro, nel rispetto del principio del contraddittorio”;

n) l’”equipollenza tra la affissione del codice disciplinare all’ingresso della sede di lavoro e la sua pubblicazione nel sito web dell’amministrazione”;

 

o) “abolire i collegi arbitrali di disciplina vietando espressamente di istituirli in sede di contrattazione collettiva.”;

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RISCHIO DI MOBBING

CLASSIFICAZIONE

A) Il primo tipo di fannullone, riguarda quelle persone che non fanno niente nonostante vi siano stati tentativi di riconversione della loro attività andando incontro alle loro caratteristiche peculiari: è, senz’altro, quello che risponde meglio di tutti all’ Elephant Test1 e, quindi, per questo soggetto si concretizza una vera e propria inadempienza contrattuale. B) Il secondo tipo di fannullone, riguarda, al contrario, quelle persone che non fanno niente in quanto, semplicemente, non sono tenute o chiamate a fare alcunché da nessuno. Questo tipo di persone appartengono a quella “zona grigia” che, attraverso un accertamento delle singole responsabilità, potrà far emergere situazioni, le più varie.

IN CASO POSITIVO: 1) “Ravvedimento operoso”2 da parte del

fannullone 2) Riassorbimento reale nell’organizzazione

dell’Amministrazione

IN CASO NEGATIVO: 3) Ricerca di un tipo di lavoro realmente

esperibile dal soggetto anche non in linea con il livello ricoperto se viene acclarata l’incompetenza del livello ricoperto.

4) Risoluzione del rapporto di lavoro per inadempienza contrattuale

SOLUZIONI

NON LAVORATORI: ART. 6, 2° C., LETTERA a), b): L. 15/2009

(1) Cfr. P. Ichino: “I NULLAFACENTI, perchè e come reagire alla più grave ingiustizia della nostra amministrazione pubblica” Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 2006, p. 21 (2) Il ravvedimento operoso è un concetto che è stato introdotto con alcune pronunce della Corte dei Conti e sta a significare che il dipendente o l’Amministrazione si è resa conto dell’errore e corre “per facta concludentia” ai ripari

BRIXEN 09/06

NESSUNO

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RISCHIO DI MOBBING CLASSIFICAZIONE SOLUZIONI

LAVORATORI IPOTETICAMENTE

“BYPASSABILI”:

Riguarda un altro genere di lavoratori che in effetti lavorano correttamente ma, sfortunatamente per loro, sono inseriti in un plesso amministrativo o in un ufficio che il tempo e la crescente tecnologia hanno reso superato, superfluo ed obsoleto. Lavoratori “sfortunati“ in quanto, per livello e prestazioni, possono trovare non facile collocazione nell’Amministrazione ospitante che voglia realmente ammodernarsi nell’ambito di un quadro generale di trasformazione di tutto il pubblico impiego operato attraverso il cambiamento di strumenti, itinera procedurali che, per la rilevanza dei numeri e delle interconnessioni, risulta molto complesso

Qualora si richiedano prestazioni lavorative che mirino esclusivamente a quantità numeriche, prescindendo totalmente da una revisione radicale dell’impostazione attinente gli itinera procedurali in essere negli uffici, oppure sia mal coniugata la informatizzazione o i supporti tecnologici in rapporto alle prestazioni dei singoli lavoratori

BRIXEN 09/06 bis

POSSIBILE

1) corsi di formazione e qualificazione 2) Mix ottimale tra risorse tecnologiche (es. software) e risorse umane 3) Mobilità

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BRIXEN 09/07

IL FENOMENO DEL MOBBING:

DEFINIZIONE 1 “Chi nell’ambiente di lavoro, autonomamente o con il concorso di altri, produce danno, attraverso una serie di azioni ed omissioni perpetrate nel tempo, all’immagine ed alla salute di una o più persone”

- L’ambiente lavorativo nel quale deve svolgersi; - CARATTERI FONDAMENTALI 2 - La frequenza, sistematicità e durata nel tempo (per almeno sei

mesi) - L’andamento progressivo (secondo lo schema proposto dal

“Modello Ege a Sei Fasi) - Le conseguenze lesive che ne derivano per la vittima

DISOMOGENEITA’ 3Realizzare il fenomeno: DELLE

AZIONI ED OMISSIONI CARATTERISTICA

PRINCIPALE PER:

CIRCOSTANZIALITA’ 4 DELLE

Inquadrare il fenomeno:

AZIONI ED OMISSIONI

1) Cfr. P. De Rossi, “Guida al fenomeno del mobbing nella pubblica Amministrazione” Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma Aprile 2009, § 2.2.1; 2) D. Cantisani “mobbing analisi giuridica di un fenomeno sociale e aziendale” Trento Experta edizioni, 2005, p. 37-39 3) Cfr. P. De Rossi, “Guida al fenomeno del mobbing nella pubblica Amministrazione” Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma Aprile 2009, § 1.4 4) “Circostanzialità” è un termine italiano che è utile introdurre nel linguaggio attinente ai fenomeni del mobbing in quanto, si ritiene, meglio di qualsiasi altro vocabolo sta a significare che ogni singolo atto o azione od omissione in sè e per sè non è irrituale o contra legem ma, se visto nell’ottica del “mosaico”, si capisce che esso assume una pregnanza ed una valenza insostituibile nel “castello” di carte, atteggiamenti ed azioni mobbizzanti. Nuova definizione del termine da parte dell’autore. Cfr. P. De Rossi, “Guida al fenomeno del mobbing nella pubblica Amministrazione” Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma Aprile 2009, § 2.2.1.

 

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BRIXEN 09/08

VOCABOLARIO DEL MOBBING E DELLA TERMINOLOGIA

BOSSING Il termine ricorre quando i vertici di un Ente praticano una strategia vessatoria al fine di ottenere le dimissioni del lavoratore

MOBBER Colui che applica il mobbing

BULLYING Il termine è usato nei paesi anglosassoni ed è sinonimo di mobbing

MOBBIZZATO La persona che subisce il mobbing

BULLISMO La violenza all’interno della scuola, connotata anche di violenze fisiche ed estorsioni di denaro, per alcuni è il mobbing dei minori

NONNISMO Il termine indica il mobbing all’interno delle caserme ma connotato di violenze anche fisiche

DOPPIO MOBBING Si verifica quando la famiglia tende a respingere ed escludere il familiare oggetto di mobbing quale risposta, dettata dall’istinto di conservazione messo in atto dai familiari, ad uno stato di saturazione e sfinimento dato dal lungo protrarsi del fenomeno. 1

QUICK MOBBING Quando la violenza degli attacchi e la loro frequenza quotidiana siano di tali entità che sono sufficienti tre mesi in luogo dei sei previsti dal modello Italiano Ege a sei fasi, per il verificarsi del fenomeno

FALSO MOBBING Si ha quando si invertono i ruoli e quello indicato come mobber è in realtà la vittima ed il mobbizzato il vessatore

SIDE MOBBER Il collega di lavoro che, anche se non attivamente coinvolto nella pratica di mobbing, è un silenzioso spettatore della medesima, in una situazione di accerchiamento passivo che favorisce la costituzione di sacche di omertà che rendono difficoltoso provare il mobbing

1 Cfr. P. De Rossi, “Guida al fenomeno del mobbing nella pubblica Amministrazione” Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma Aprile 2009, § 1.7

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BRIXEN 09/09

GEOMETRIA DEL MOBBING

Il Mobbing può essere di tipo:

VERTICALE DISCENDENTE

quando l’attività vessatoria viene attuata da parte di un superiore gerarchico o comunque da una persona che, nell’ordinamento dell’ufficio, è sovraordinata al mobbizzato

ORIZZONTALE quando la violenza psicologica proviene dai colleghi di pari livello

VERTICALE ASCENDENTE

quando l’attività vessatoria viene attuata da parte di una persona che, nell’ordinamento dell’ufficio, è subordinata al mobbizzato Il mobbing verticale non si deve confondere con altra tipologia ben definita che si sostanzia anch’essa in un’azione verticale ma con determinate caratteristiche: il bossing

MISTO quando si verifica una situazione che è la commistione di almeno due tipi di mobbing.

PECULIARITA’ DEL MOBBING: D I S O M O G E N E I T A ’

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DISOMOGENEITA’ di azioni ed omissioni

UNITARIETA’ DI INTENTO (DISEGNO CRIMINOSO)

MEZZO AUTORE EFFETTO

- ordini di servizio - richieste di giustificazioni reiterate - procedimenti disciplinari etc.

Singolo= Mobber Altri= Side mobber

Distruzione psicofisica del mobbizzato

DOLO VESSAZIONI

ATTUALMENTE IN ITALIA MANCA UNA LEGGE CHE PREVEDA E SANZIONI IL FENOMENO DEL

MOBBING

CARATTERISTICHE

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BRIXEN 09/10 LEGGI E DISPOSIZIONI INTERESSATE DAL FENOMENO DEL MOBBING

COSTITUZIONE

Articoli

1 2 3 4 28 32 35

37 51 54 97 103 113100

117

CODICE CIVILE Articoli

1225 2103 2946 2087

CODICE PENALE

Articoli

5721 582 583 589 590

LEGGE 20-5-1970 N. 300 (Statuto dei lavoratori)

Articolo 9

DECRETO LEGISLATIVO 19-09-1994 N. 626 (Concernente il miglioramento della sicurezza e

della salute dei lavoratori durante il lavoro) Articoli

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3 5

CORTE DEI CONTI Articolo

103, 2° c., della Costituzione

1 cfr. Sentenza Corte di Cassazione V Sezione Penale n. 33624 del 9/07/2007