USO, NON USO E ABUSO DEL TERMINE PASTA

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La legge italiana stabilisce quali debbano essere le caratteristiche (materie prime, ingredienti, proprie- tà fisiche) di un prodotto alimentare affinché lo stes- so possa essere definito “pasta”. Le norme relative sono contenute nel decreto 187/2001 che, come è noto, ha sostituito la vecchia legge 580 del 1967. Le finali- tà della legge sono la tutela del prodotto secco tradizio- nale italiano e la disciplina della produzione e distribu- zione degli altri tipi di pasta, da quella fresca sfusa o confezionata alle paste speciali, non senza novità di rilievo rispetto al passato, come ad esempio per la “pasta stabilizzata”. Le caratteristiche della pasta alimentare specifica- te dalla legge italiana sono per così dire sintetizzate nella “denominazione di vendita”, da indicarsi obbligatoriamente per il prodotto confezionato. Per evitare abusi e confusioni, la legge ne indica esplicitamente alcu- ne, altre in modo implicito, ma non per questo meno tassative. Così ogni tipo di pasta prodotta e commer- cializzata in Italia deve recare sulla confezione la denominazione di vendita conforme al tipo ed alla sua formulazione. La pasta essiccata, ad esempio, deve riportare la denominazione “pasta di semola di grano duro”. Se alla semola viene aggiunto l’uovo (nella proporzione obbligatoria di quattro uova intere sgusciate o 200 grammi di uovo liquido per ogni chilogrammo di semola) il prodotto deve essere denominato “pasta all’uovo”, denominazione che ne indica la formula- zione obbligatoria, cioè semola di grano duro e uovo di gallina, la cui quantità percentuale rife- rita al prodotto essiccato deve essere anch’essa indi- cata nella voce corrispon- dente dell’elenco degli ingredienti, oppure nella stessa denominazione di vendita. La “denominazione di vendita” indica dunque al consumatore qual è il tipo di pasta che gli viene proposto e al tempo stesso lo garanti- sce, grazie alla specificità ed obbligatorietà della denomi- nazione stessa, sulla formu- lazione del prodotto che acquista. Ovviamente la “denominazione di vendi- ta” della pasta non deve essere confusa con altre denominazioni normal- mente riferite al formato della pasta stessa, oppure costituite da un nome di fantasia liberamente adotta- to dal produttore per contraddistinguere commercialmente il suo prodotto. La regolamentazione speci- fica della pasta e l’obbligo all’uso delle denominazioni di vendita, indicate nella regolamentazione stessa, non stabiliscono solo quali debbano essere le formula- zioni di base del prodotto, ma anche se e quando esso possa essere definito “pasta”. Chiarito questo, vediamo quali sono i casi più frequenti di uso improprio del termine “pasta”, sia per quanto riguarda le denominazioni di vendita che le altre indica- zioni riportate sulla etichetta- tura del prodotto o, più genericamente, sulla presen- tazione del prodotto stesso, compresi i messaggi che lo publicizzano. La pasta essiccata Per questa tipologia di pasta c’è ben poco da dire: può essere prodotta solo con semola (o semolato) di grano duro, l’unica mate- ria prima consentita, a parte la eventuale presen- za di grano tenero conse- guente a possibili impurità originarie dello sfarinato, tollerata fino ad un massi- mo del 3%. È chiaro che la possibile presenza di grano tenero per eventuali impurità della semola non autorizza nessuno a misce- lare la semola con farina di grano tenero fino al limite percentuale indicato, anche se in teoria questa pratica illegale potrebbe giovarsi di una certa copertura giuridica. Comunque sia, la formula- zione obbligatoriamente prevista dalla legge esclu- de che qualsiasi altro prodotto secco avente la forma, l’aspetto, le modali- tà di presentazione e di consumo tipiche della pasta alimentare possa essere definito “pasta” se non è ottenuto da semola di grano duro. L’uso di materie prime Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.40 USO, NON USO E ABUSO DEL TERMINE PASTA Le denominazioni di vendita delle paste alimentari e dei prodotti ad esse assimilati o assimilabili

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La legge italiana stabiliscequali debbano essere lecaratteristiche (materieprime, ingredienti, proprie-tà fisiche) di un prodottoalimentare affinché lo stes-so possa essere definito“pasta”. Le norme relativesono contenute nel decreto187/2001 che, come è noto,ha sostituito la vecchialegge 580 del 1967. Le finali-tà della legge sono la tuteladel prodotto secco tradizio-nale italiano e la disciplinadella produzione e distribu-zione degli altri tipi di pasta,da quella fresca sfusa oconfezionata alle pastespeciali, non senza novità dirilievo rispetto al passato,come ad esempio per la“pasta stabilizzata”.Le caratteristiche dellapasta alimentare specifica-te dalla legge italiana sonoper così dire sintetizzatenella “denominazione divendita”, da indicarsiobbligatoriamente per ilprodotto confezionato.Per evitare abusi econfusioni, la legge neindica esplicitamente alcu-ne, altre in modo implicito,ma non per questo menotassative. Così ogni tipo dipasta prodotta e commer-cializzata in Italia deverecare sulla confezione ladenominazione di venditaconforme al tipo ed allasua formulazione.La pasta essiccata, adesempio, deve riportare ladenominazione “pasta disemola di grano duro”. Sealla semola viene aggiuntol’uovo (nella proporzioneobbligatoria di quattrouova intere sgusciate o 200

grammi di uovo liquidoper ogni chilogrammo disemola) il prodotto deveessere denominato “pastaall’uovo”, denominazioneche ne indica la formula-zione obbligatoria, cioèsemola di grano duro euovo di gallina, la cuiquantità percentuale rife-rita al prodotto essiccatodeve essere anch’essa indi-cata nella voce corrispon-dente dell’elenco degliingredienti, oppure nellastessa denominazione divendita.La “denominazione divendita” indica dunque alconsumatore qual è il tipo dipasta che gli viene propostoe al tempo stesso lo garanti-sce, grazie alla specificità edobbligatorietà della denomi-nazione stessa, sulla formu-lazione del prodotto cheacquista. Ovviamente la“denominazione di vendi-ta” della pasta non deveessere confusa con altredenominazioni normal-

mente riferite al formatodella pasta stessa, oppurecostituite da un nome difantasia liberamente adotta-to dal produttore perc o n t r a d d i s t i n g u e r ecommercialmente il suoprodotto.La regolamentazione speci-fica della pasta e l’obbligoall’uso delle denominazionidi vendita, indicate nellaregolamentazione stessa,non stabiliscono solo qualidebbano essere le formula-zioni di base del prodotto,ma anche se e quando essopossa essere definito“pasta”.Chiarito questo, vediamoquali sono i casi più frequentidi uso improprio del termine“pasta”, sia per quantoriguarda le denominazionidi vendita che le altre indica-zioni riportatesullaetichetta-tura del prodotto o, piùgenericamente, sulla presen-tazione del prodotto stesso,compresi i messaggi che lopublicizzano.

La pasta essiccataPer questa tipologia dipasta c’è ben poco da dire:può essere prodotta solocon semola (o semolato) digrano duro, l’unica mate-

ria prima consentita, aparte la eventuale presen-za di grano tenero conse-guente a possibili impuritàoriginarie dello sfarinato,tollerata fino ad un massi-mo del 3%. È chiaro che lapossibi le presenza digrano tenero per eventualiimpurità della semola nonautorizza nessuno a misce-lare la semola con farina digrano tenero fino al limitepercentuale indicato,anche se in teoria questapratica illegale potrebbegiovarsi di una certacopertura giuridica.Comunque sia, la formula-zione obbligatoriamenteprevista dalla legge esclu-de che qualsiasi altroprodotto secco avente laforma, l’aspetto, le modali-tà di presentazione e diconsumo tipiche dellapasta alimentare possaessere definito “pasta” senon è ottenuto da semoladi grano duro.L’uso di materie prime

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Le denominazioni di vendita delle paste alimentari e dei prodotti ad esse assimilati oassimilabili

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diverse dalla semola(1) di grano duronon è pertanto consentito, in basealla legge italiana, per produrrepasta essiccata. È questo il caso, adesempio, dei formati ottenuti daglisfarinati di altri cereali, come il farro,il mais ed il riso. Le innumerevoliconfezioni di formati corti e lunghitipici delle paste alimentari, ma otte-nuti con le materie prime appenacitate e poste in vendita nei negozi enelle altre strutture della distribu-zione commerciale, sono conse-guentemente una evidente dimo-strazione di come anche la rigidaregolamentazione italiana sullapasta possa essere aggirata propriograzie al criterio normativo citatoprima. Poiché la legge stabilisce

infatti il principio che solo glispaghetti di semola possono esseredenominati “pasta”, lo stesso princi-pio resta giuridicamente valido se losi formula in modo opposto, nelsenso cioè che gli spaghetti “non disemola” non possono essere deno-minati “pasta”. Ciò assodato sareb-be dimostrato come sia pertantopossibile produrli e venderli sequesta loro “non prerogativa” fossepienamente rispettata nella etichet-tatura e presentazione commercia-le. In base a questa interpretazione,dunque, gli spaghetti “sono pasta”se fatti con la semola, “non sonopasta” se fatti con la farina di mais.Con ciò uscendo de iure e de facto

dall’ambito di applicazione del DPR187/2001. E nulla sembrerebbecontare il dettaglio che il processoproduttivo sia in pratica lo stesso,identica la forma, identico il mododi prepararli in cucina e di consu-marli.In anni passati di tanto in tanto si èassistito a qualche interventorepressivo degli organi pubblici dicontrollo (ASL e NAS) contro lamutazione di identità di ciò che è inpratica solo una pasta anomala, ma

pur sempre pasta; poi la dinamicadei controlli si è via via spenta, unpo’ perché qualche tribunale haassolto in giudizio l’anomalia, un po’perché il dilagare di questi prodottiha certamente disincentivato icontrolli stessi.

La pasta frescaRispetto a quella secca, la pastafresca gode di una più ampia libertàdi formulazione, per la quale èconsentito anche l’impiego dellafarina di grano tenero, da sola omiscelata alla semola. Per questatipologia di pasta, inoltre, il legislato-re si è soprattutto preoccupato difissare criteri finalizzati alla salva-

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Nelle immagini di questa pagina alcuni

esempi di etichettatura di pasta fresca.

La foto qui sopra si riferisce a pasta

fresca all’uovo con ripieno, confeziona-

ta in atmosfera protettiva e posta in

vendita con la denominazione “pasta

fresca speciale di farina di grano tenero

all’uovo con ripieno”, denominazione

errata. Da notare anche la mancata

indicazione del “quid” percentuale rife-

rito all’uovo.

La foto in alto mostra alcune confezioni

riferite a tre diverse tipologie di prodotto

con gli usi improprii della denominazio-

ne citati nell’articolo.

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guardia della igienicità delprodotto, tenendo nelladovuta considerazione lasua deperibilità e quindi ilrischio potenziale per lasalute del consumatore.Tuttavia anche per la pastafresca (e per le paste stabi-lizzate) le materie primeconsentite per la prepara-zione dell’impasto sonostabilite per legge, per cuianche per esse vale quantoosservato per le pastesecche, nonostante siaconsentito l’uso della fari-na di grano tenero, tradi-zionale soprattutto nelleregioni dell’Italia setten-trionale e centrale. In real-tà la stessa consuetudinecommerciale delle pastefresche, prevalentementeindirizzata alle loro formu-lazioni tradizionali, ha difatto limitato gli abusinel la denominazione“pasta”, comunque nonconsentita per materieprime diverse dagli sfari-nati di frumento nellapreparazione della sfogliae/o dell’impasto successi-vamente estruso.L’abuso della denominazio-ne però di tanto in tantocompare in modo anchemacroscopico, come nelcaso degli gnocchi di patatadenominati “pasta fresca”sulle confezioni Conad,abuso documentato dallafoto che pubblichiamo. Sitratta, in questo caso, di unerrore probabilmente dovu-to al fatto che, nella classifi-cazione merceologica deiprodotti freschi, la grandedistribuzione accomuna glignocchi alle paste fresche,farcite e non. Una “svista”che fornisce però una ulte-riore prova di quanto possaessere approssimativa l’ap-plicazione delle norme sullaetichettatura dei prodottialimentari, anche da parte digrandi strutture aziendaliche più che mai dovrebberoessere particolarmenteattrezzate in tal senso.

La pasta specialeQuesta tipologia di pastariguarda i prodotti cheabbiano nell’impasto (siaesso estruso o laminato,mantenuto fresco o essic-cato) uno o più ingredienticaratterizzanti espressa-mente indicati come talisulla confezione.L’uso del termine “pasta”nella denominazione divendita del prodotto èanche in questo casosubordinato all’impiegodelle materie primeconsentite per la prepara-zione dell’impasto, rispet-tando le formulazionistabilite a questo propositoper le paste secche e per lepaste fresche.L’abuso più frequenteriguarda però non tantol’uso improprio del termi-ne “pasta” quanto invecequel lo del l ’aggett ivo“speciale”, che non devein alcun modo comparirenella denominazione divendita, ma che invece èpresente nella stragrandemaggioranza delle deno-minazioni stesse stampatesulle confezioni dellepaste colorate o comun-que caratter izzate daingredienti particolari,nonché in molte confezio-ni di pasta fresca conripieno. La documenta-z ione fotograf ica diquesto articolo pubblicatanella pagina precedente èquanto mai esauriente inproposito.

La pasta senza glutineIl glutine è il componenteche maggiormente carat-terizza la pasta, dal mo-mento che ne determinaelasticità e tenacità, tenutain cottura, assenza di collo-sità superficiale: in sintesila qualità “al dente”, attri-buto principe della pastatradizionale italiana.A parte comunque questesue specifiche funzionitecnologiche, il glutine èla proteina caratteristica

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Esempi di prodotti aproteici per alimentazione particolare

commercializzati con l’uso della denominazione “pasta”.

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del frumento, in particolare delgrano duro, nel quale le frazioniproteiche che la compongono sonopresenti in proporzioni ottimali perla qualità della pasta. Il glutine èinvece assente in altri cereali, adesempio mais e riso, per cui le farineottenute dalla loro macinazionesono normalmente utilizzate (dasole o miscelate ad amidi ottenutida altre fonti, anche diverse daicereali) nella produzione dellecosiddette “paste senza glutine”.Questa definizione, tuttavia, è chia-ramente impropria dato che, poichénon può essere denominato “pasta”il prodotto secco ottenuto senzasemola, non può evidentementeessere denominato “pasta senzaglutine” il prodotto secco sprovvistodi quello che, come abbiamo appenavisto, è il componente proteicospecifico degli sfarinati obbligatoria-mente usati nella produzione dellepaste alimentari.Per questa tipologia di prodotto, che“non è pasta” per la legge italiana,sempre più sulla cresta dell’onda in

parte per moda in parte per ilcrescente numero di persone affetteda patologie che le rendono insoffe-renti al glutine di frumento, qualsia-si riferimento alla pasta è pertantovietato sia in etichettatura che inpresentazione, qualunque siano lemodalità, compresi i messaggipubblicitari.Eppure gli abusi in tal senso si spre-cano, anche per i prodotti debita-mente autorizzati dal Ministerodella salute in osservanza allanormativa che regola appunto “iprodotti destinati ad una alimenta-zione particolare”, venduti soprat-tutto in farmacia.L’aspetto davvero criticabile diquesti abusi di denominazione èancora una volta l’approssimazionecon la quale sono applicate lenorme di legge, nel caso specificonon solo quelle sulla etichettatura epubblicità dei prodotti alimentari,ma anche e soprattutto quelle appe-na citate che dettano le regole(molto severe) sulla fabbricazione edistribuzione dei prodotti destinati

ad una alimentazione particolare,quali appunto gli spaghetti o i riga-toni senza glutine.Sconcerta anche l ’assenza dicontrolli. I formati tradizionali dipasta prodotti con sfarinati di mais eriso, sempre più numerosi sugli scaf-fali della distribuzione commerciale,non solo aggirano senza tentenna-menti il rigore del DPR 187/2001sulle paste alimentari, ma presenta-no anche vistose ambiguità dietichettatura chiaramente fina-lizzate ad attrarre il consumatore,anche quello purtroppo sofferentedi intolleranza per il glutine e che illegislatore ital iano ha volutotutelare con la normativa specialesui prodotti destinati ad una alimen-tazione particolare. Normativaanch’essa in pratica aggirata, senzaparticolari illegalità, ma pur semprein modo odioso per il profilo specifi-co del consumatore, vittima di unatteggiamento non solo furbesco,ma anche potenzialmente pericolo-so per la sua salute.

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(1) si vedano gli articoli 6, 8 e 9 del DPR

9 febbraio 2001 n.187, relativi agli

sfarinati utilizzabili per la produzione

delle paste alimentari.