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Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Medicina Veterinaria Corso di laurea in Medicina Veterinaria Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie Centro Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria TESI DI LAUREA IN RADIOLOGIA VETERINARIA E MEDICINA NUCLEARE LA SCINTIGRAFIA OSSEA NEGLI EQUINI Relatore Ch.mo Prof. Arturo Brunetti Candidata Onorina Guerra Matr. 79/179 ANNO ACCADEMICO 2003/2004

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Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Medicina Veterinaria

Corso di laurea in Medicina Veterinaria Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie

Centro Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria

TESI DI LAUREA IN

RADIOLOGIA VETERINARIA E

MEDICINA NUCLEARE

LA SCINTIGRAFIA OSSEA NEGLI EQUINI

Relatore

Ch.mo Prof.

Arturo Brunetti

Candidata

Onorina Guerra

Matr. 79/179

ANNO ACCADEMICO 2003/2004

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INDICE

INTRODUZIONE 3

STORIA DELLA MEDICINA NUCLEARE 4

LA TECNICA SCINTIGRAFICA

Principi generali 12

Il radiofarmaco 12

Generatore di Tecnezio-99m 22

Sistemi di rilevamento 25

Acquisizione, elaborazione, visualizzazione e conservazione delle immagini 38

Riscontri diagnostici 44

LA SCINTIGRAFIA OSSEA

Principi 47

Indicazioni 47

Radiofarmaci 51

Fattori che determinano la fissazione ossea dei fosfonati 54

Installazioni ed attrezzature necessarie per l’applicazione della scintigrafia ossea negli equini 60

Preparazione del paziente 67

Procedimento 70

Interpretazione: cosa significano i risultati anormali 80

Artefatti 97

Confronto con altre tecniche 99

INDAGINI SCINTIGRAFICHE INTEGRATIVE: LOCALIZZAZIONE DI PROCESSI INFIAMMATORI CON INDICATORI POSITIVI 104

RADIOPROTEZIONE 107

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 114

BIBLIOGRAFIA 116

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INTRODUZIONE

Sebbene la Medicina Nucleare trovi applicazione anche nella clinica dei piccoli animali, la

principale giustificazione del suo impiego in Medicina Veterinaria è l’esame della zoppia

negli equini.

Sono disponibili diverse tecniche di diagnostica per immagini per studiare i problemi

dell’apparato locomotore del cavallo, e in particolare del cavallo sportivo. Parallelamente è

cresciuta negli ultimi anni la richiesta da parte dei veterinari e dei proprietari di animali di

prestazioni sempre migliori.

La scintigrafia ossea viene incontro a questa richiesta rappresentando una delle tecniche più

utili e ricche di nuove applicazioni nella diagnostica per immagini delle zoppie negli equini.

Questa tesi descrive i principi fondamentali della tecnica scintigrafica e analizza le possibilità

applicative della scintigrafia ossea, evidenziandone la validità come strumento diagnostico

nella valutazione clinica del cavallo sportivo, i vantaggi rispetto alle altre tecniche e le

limitazioni.

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STORIA DELLA MEDICINA NUCLEARE

A partire dagli anni ’50 l’utilizzazione della scintigrafia ha trovato largo impiego in medicina

umana.

Le diverse metodiche di utilizzazione si sono progressivamente sviluppate con la disponibilità

di nuovi isotopi radioattivi, di strumentazioni avanzate e con lo sviluppo dell’informatica.

A partire dalla metà degli anni ‘70, anche la medicina veterinaria ha rivolto la propria

attenzione alla scintigrafia, il che ha comportato sviluppo dello studio e della pratica nel

settore e ha fatto sì che il suo impiego sia andato diffondendosi tra i professionisti, in

particolare nell’ambito della clinica ortopedica del cavallo sportivo, sebbene la sua diffusione

in campo veterinario sia stata fortemente condizionata dal costo delle attrezzature e dalla

scarsa disponibilità di personale qualificato.

La scintigrafia si è sviluppata in ambito veterinario soprattutto negli USA, dove molte scuole

e cliniche veterinarie possiedono le necessarie attrezzature e la impiegano quale metodica di

routine nel percorso diagnostico delle zoppie del cavallo e di numerose e diverse malattie dei

piccoli animali. In Europa la tecnica medico-nucleare si è diffusa più lentamente e sono

ancora relativamente pochi i centri veterinari che applicano questa tecnica diagnostica. In

Italia è praticata ma non è ancora entrata nella routine.

Di seguito si riporta una sintesi degli eventi che principalmente hanno contribuito allo

sviluppo e alla diffusione delle tecniche di imaging medico nucleare.

1896 Nel febbraio 1896 , poche settimane dopo la scoperta dei raggi X da parte del fisico

tedesco Wilhelm Conrad Röentgen (novembre 1895), il francese Henry Becquerel

scopre la radioattività naturale dimostrando che cristalli di Uranio emettono

spontaneamente radiazioni capaci di attraversare i corpi opachi.

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1898 Maria Sklodowska e Pierre Curie scoprono che anche altre sostanze godono della

stessa proprietà dell'Uranio di emettere radiazioni e fra queste il Torio, suggerendo nel

contempo di chiamare tali sostanze radio (radium = raggio) attive. Scoprono inoltre

due nuovi elementi radioattivi che chiamano Polonio e Radio, la cui radioattività

risulta rispettivamente 400 e 1.000.000 di volte superiore a quella dei sali di Uranio

puri.

1899 Il fisico inglese Ernest Rutherford distingue due componenti nelle emissioni

radioattive dell’Uranio: le particelle alfa (con carica elettrica positiva) e le particelle

beta (con carica elettrica negativa).

1900 Il francese Paul Villard trova fra le emissioni dell’Uranio una terza componente ad alta

energia: i raggi gamma, che non sono particelle cariche, ma onde elettromagnetiche.

Nei venti anni successivi Max Planck, Albert Einstein, Ernest Rutherford e Niels Bohr

elaborano i fondamenti della fisica nucleare.

1913 In Germania il fisico Hans Geiger, assistente di Rutherford al Cavendish Laboratory,

inventa un apparecchio per rivelare le radiazioni elettromagnetiche (contatore Geiger),

basato sul principio della ionizzazione dell'aria.

1923 L’ungherese George de Hevesy è il primo ad utilizzare un indicatore radioattivo per

un esame biologico: egli studia l’assorbimento di Piombo di una pianta misurando

l’accumulo di Piombo radioattivo. Successivamente esegue sperimentazioni con

traccianti radioattivi iniettati negli animali.

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1927 H. L. Blumgart, fisico e professore di medicina alla Harvard University Medical

School, e S. Weiss eseguono i primi studi sulla circolazione del sangue utilizzando una

soluzione diluita di Radon. Misurando la velocità con cui il Radon diluito circola

all’interno del corpo riescono a valutare la funzionalità dell’apparato

cardiocircolatorio.

1931 Il fisico statunitense Ernest O. Lawrence, fondatore del Berkeley Laboratory,

costruisce il primo ciclotrone che permette l’accelerazione delle particelle in modo da

generare energia sufficiente per una reazione nucleare.

1932 Chadwick, interpretando precedenti risultati sperimentali ottenuti da Irène Curie e

Frédéric Joliot, stabilisce l’esistenza di una nuova particella elementare, il neutrone,

che si viene ad aggiungere alle due precedentemente identificate, l’elettrone e il

protone.

1932 Al California Institute of Technology (USA), il fisico Carl David Anderson scopre

nella radiazione cosmica il positrone, una particella elementare che ha la stessa massa

dell'elettrone e una carica elettrica uguale ma di segno opposto (carica

positiva). I positroni, che possono essere generati anche per effetto del decadimento

dei radioisotopi, troveranno applicazione, negli anni Settanta, nella tomografia a

emissione positronica (PET, Positron Emission Tomography).

1934 Irène Curie, figlia di Marie Curie, e suo marito Frédéric Joliot scoprono la

radioattività artificiale: essi bombardano un foglio di Alluminio con raggi di Polonio

(particelle alfa) e dimostrano che l’emissione di radiazioni continua anche dopo che il

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Polonio attivo viene allontanato. Le loro analisi chimiche conducono alla scoperta che

l’Alluminio irradiato decade in Fosforo 30, che è dunque il primo isotopo radioattivo

artificiale prodotto.

1935 de Hevesy comincia ad utilizzare radioisotopi artificiali come traccianti.

1936 Prime sperimentazioni dell’applicazione terapeutica di radioisotopi artificiali: John

Lawrence, fratello di Ernest, tratta un paziente affetto da leucemia con Fosforo 32.

1937 Hertz, Roberts e Evans utilizzano per la prima volta lo Iodio 128 per l’esame della

tiroide e successivamente per il trattamento dei disturbi della tiroide.

Poco dopo lo Iodio 128 è sostituito dallo Iodio 131, prodotto da John Livingood e

Glenn Seaborg.

1938 Emilio Segre e Glenn Seaborg producono il Tecnezio 99m che diventerà uno degli

isotopi radioattivi più usati in medicina nucleare come traccianti.

1938 Otto Hanh, Fritz Strassmann e Lize Meitner scoprono che bombardando l’Uranio con

neutroni lenti si può produrre la scissione del nucleo in due o più frammenti

radioattivi, con liberazione di neutroni e di energia: a questo particolare tipo di

reazione viene dato il nome di fissione nucleare.

La moderna era della medicina nucleare inizia dopo la II Guerra Mondiale, quando diventa

possibile l’utilizzo per scopi civili di radioisotopi artificiali, prodotti nei reattori tramite il

processo di fissione nucleare, in grande quantità e ad un costo relativamente basso.

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1940 L’utilizzo dei radionuclidi come strumento diagnostico in ematologia inizia con il

lavoro di Hahn e Hevesy, i quali misurano il volume ematico in un coniglio marcando

gli eritrociti dell’animale con Fosforo radioattivo.

1942 A Chicago un’equipe guidata da Enrico Fermi realizza la “pila” di uranio e grafite CP-

1, con la quale dimostra la possibilità di indurre e sostenere in modo controllato la

reazione di fissione a catena. Nasce in tal modo il primo prototipo di reattore nucleare.

1943 Inizia la produzione di radioisotopi nel reattore X-10 di Oak Ridge in Tennessee

(USA).

1946 L’Oak Ridge National Laboratory invia i primi radioisotopi prodotti in un reattore

tramite il processo di fissione nucleare destinati ad uso civile al Barnard Cancer

Hospital di St. Louis.

1947 Robert Wilson propone per primo l’impiego di protoni per la terapia del cancro.

1947 T.P. Kohman introduce il termine “nuclide”, per indicare una specie atomica

caratterizzata dal numero atomico, dal numero di massa e dallo stato energetico.

1947 Kallmann utilizza la capacità di alcuni cristalli di assorbire raggi gamma e di emettere

l’energia assorbita sotto forma di fasci di luce. Questi fasci di luce, scintillazioni,

vengono trasformati ed intensificati da un fotomoltiplicatore.

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I cristalli di ioduro di Sodio attivati al Tallio, sviluppati da Hofstadter, sembrano

essere il sistema di rilevamento più sensibile.

1951 Realizzazione della prima scintigrafia d’organo: il fisico americano Benedict Cassen

costruisce il primo scanner lineare per radioisotopi che per la prima volta permette di

ottenere l’immagine della distribuzione della radioattività. Egli esamina la tiroide dopo

la somministrazione di Iodio radioattivo.

L'immagine planare viene ottenuta facendo compiere al rivelatore una scansione

meccanica sull'area d'interesse. La natura sequenziale della scansione rende molto

lunghi i tempi di acquisizione dell'immagine.

1954 Trattamenti pionieristici per la terapia del cancro con l’impiego di protoni nel

Lawrence Berkeley Laboratory (USA).

1958 Introduzione della camera di scintillazione (gamma-camera) in grado di rivelare i

raggi gamma emessi per effetto del decadimento spontaneo di materiali radioattivi,

sviluppata presso l'università della California da Hal O. Anger.

1960 Viene descritto per la prima volta da Mauer, Athens et al. il procedimento di

radiomarcatura dei leucociti.

1961 Presso l'ospedale dell'università del Minnesota, William Oldendorf inizia ad usare

radioisotopi nello studio del cervello e getta le basi della Tomografia Computerizzata.

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Nei primi anni Settanta i sistemi di tomografia computerizzata (CT) cominciano a

svilupparsi lungo tre diverse linee basate rispettivamente: sull'assorbimento di raggi X,

sulla risonanza magnetica nucleare (NMR) e sull'emissione di fotoni (SPECT e PET).

1963 David E. Kuhl e R. Q. Edwards presentano le prime immagini tomografiche ottenute

mediante una gamma camera.

1971 La American Medical Association riconosce ufficialmente la Medicina Nucleare come

una branca medica specifica.

1972 Viene introdotta la TAC, Computed Axial Tomography, sviluppata tra la fine degli

anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 dall’ingegnere inglese Godfrey Hounsfield e dal

fisico americano Allan Cormack.

1973 Prime segnalazioni sulla scintigrafia tiroidea in Medicina Veterinaria (Atkins e coll.).

1973 Presso la Washington University in St. Louis (USA) hanno inizio le applicazioni della

tomografia a emissione positronica (PET, Positron Emission Tomography).

1976 Alla Michigan University John Keyes sviluppa la prima apparecchiatura SPECT

(Single Photon Emission Computed Tomography).

1977 Gottlieb Ueltschi introduce la scintigrafia ossea come strumento diagnostico

nell’ortopedia equina.

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1983 Inizia negli Stati Uniti la sperimentazione della tomografia computerizzata ad

emissione singola di fotoni (SPECT, Single Photon Emission Computed

Tomography).

1987 M.W. O’Callaghan presenta studi sulla ventilazione e sulla perfusione polmonare

eseguiti in cavalli in relazione con l’emorragia polmonare da sforzo (EIPH).

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LA TECNICA SCINTIGRAFICA

Principi generali

La scintigrafia è una metodica di diagnostica per immagini appartenente al campo della

Medicina Nucleare che si basa sul rilevamento e la registrazione delle radiazioni emesse

dall’organismo del paziente dopo introduzione in esso di un isotopo radioattivo. Quando il

radioisotopo è legato ad un farmaco, a costituire una molecola più o meno complessa

(radiofarmaco), la valutazione della sua distribuzione permette di ottenere informazioni

importanti sotto il profilo morfologico, funzionale o metabolico sul distretto corporeo

esaminato.

Gli elementi necessari per ottenere un’immagine scintigrafica sono tre:

1. la sorgente di radiazioni;

2. la captazione dei radioisotopi da parte dell’organismo animale;

3. il sistema di evidenziazione e di registrazione delle immagini.

Il radiofarmaco

Il radiofarmaco è costituito da una molecola (farmaco) con tropismo selettivo per un organo

o un tessuto e da un radionuclide che, grazie alla continua emissione di radiazioni, funge da

“tracciante” e permette di individuare la posizione della molecola all’interno dell’organismo.

Quindi il ruolo svolto dalla radioattività è puramente passivo, mentre la distribuzione e

l’interazione con l’organismo, da cui si ricava l’informazione diagnostica, dipendono dalle

proprietà chimiche, fisiche e biologiche specifiche della sostanza biochimica o farmaceutica

alla quale il nuclide radioattivo viene legato.

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La scelta del farmaco dipende dall’organo o dalla funzione biologica che si vuole esaminare

ed è essenziale, per una corretta esecuzione dell’esame e per una giusta interpretazione dei

risultati ottenuti, la conoscenza della dinamica e della cinetica della sostanza usata.

Oltre a non essere tossico alle dosi di impiego, le caratteristiche fondamentali che il farmaco

deve possedere sono due:

- deve andare a localizzarsi in maniera specifica a livello dell’organo o struttura che si

intende esaminare:

un farmaco ideale dovrebbe essere assorbito rapidamente e completamente nel sistema

biologico che interessa studiare poiché, se andasse a localizzarsi anche in altre parti

dell’organismo, la radioattività conseguentemente emessa da queste potrebbe mascherare

quella dell’organo oggetto di indagine e nel caso fossero interessati tessuti particolarmente

radiosensibili sarebbe necessario ridurre la dose di radiazioni che può essere somministrata;

- la tempistica di esecuzione dell’esame deve essere compatibile con la velocità di escrezione

dall’organismo:

la concentrazione nell’organo bersaglio deve mantenersi relativamente elevata per un periodo

di tempo sufficiente per l’esecuzione dell’intero esame, ma non protrarsi eccessivamente

oltre, quindi il farmaco dovrebbe essere allontanato dal corpo abbastanza facilmente e

rapidamente, per ridurre la dose di radiazioni al paziente.

Il radionuclide è responsabile delle proprietà radioattive del radiofarmaco.

Il termine nuclide indica una specie atomica caratterizzata da numero atomico, numero di

massa e stato energetico determinati.

In natura quasi tutti gli elementi chimici sono formati da una miscela di isotopi, cioè nuclidi

che hanno uguale numero atomico ma differiscono per il numero di massa atomica. In altri

termini, sono atomi che possiedono un uguale numero di elettroni e di protoni ma differiscono

per il numero di neutroni.

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Per esempio, l’Idrogeno naturale è formato da una miscela di Idrogeno, Deuterio e Trizio in

quantità ben definite. I loro atomi hanno numero atomico uguale e pari a uno, ma numero di

massa atomica diverso e pari a uno per l’Idrogeno (1H), che possiede un solo protone e nessun

neutrone, a due per il Deuterio (2H), che possiede un protone ed un neutrone, e a tre per il

Trizio (3H), che possiede un protone e due neutroni.

Figura 1. Isotopi dell’Idrogeno

Gli isotopi possono anche essere generati artificialmente in laboratorio. È infatti possibile,

mediante reazioni nucleari, trasformare un elemento in un altro, modificando il numero di

massa in modo da ottenere un diverso isotopo dello stesso elemento oppure modificando il

numero atomico in modo da ottenere un isotopo di un elemento diverso. È anche possibile

produrre artificialmente nuclidi non esistenti in natura, cioè isotopi artificiali di elementi

naturali oppure elementi radioattivi non esistenti in natura.

L’atomo, nella sua configurazione più stabile, detta fondamentale, possiede un equilibrato

numero di nucleoni (protoni e neutroni) e di elettroni ed è elettricamente neutro.

Soltanto il 20% circa di tutti i nuclidi conosciuti sono stabili. La condizione di instabilità di

alcuni isotopi di un elemento si basa su un rapporto non equilibrato dei componenti nucleari,

cui consegue uno squilibrio energetico dei nuclei. Questo eccesso di energia viene liberato

sotto forma di particelle e/o radiazioni elettromagnetiche con un processo di decadimento che

prende il nome di radioattività.

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In altre parole, la condizione di instabilità nucleare determina una modificazione radicale

dell’elemento originario, chiamato “genitore”, in un altro elemento, chimicamente diverso,

chiamato “figlio”, il quale a sua volta potrà essere stabile oppure trasformarsi in un altro

elemento e così via.

Questa trasformazione spontanea del nucleo atomico instabile in forme isotopiche più stabili

che si accompagna a emissione di energia sotto forma di radiazioni ionizzanti (corpuscolari o

elettromagnetiche) è chiamata decadimento radioattivo.

L'energia liberata viene emessa come energia cinetica della particella espulsa (radiazione

corpuscolare, alfa o beta) o sotto forma di radiazione elettromagnetica priva di massa (raggi

gamma).

Le radiazioni α sono radiazioni ionizzanti costituite da nuclei di Elio (composti da due protoni

e due neutroni, hanno quindi carica elettrica + 2 e massa atomica 4). Hanno scarso potere di

penetrazione.

Le radiazioni β sono radiazioni ionizzanti costituite da elettroni emessi dal nucleo. Questo

accade quando un neutrone del nucleo si scinde in un protone e un elettrone (β-), che viene

quindi espulso dal nucleo.

Alcuni isotopi possono decadere attraverso la trasformazione di un protone del nucleo in un

neutrone e un positrone, un elettrone di carica positiva (β+), che viene poi espulso dal nucleo.

Questi nuclidi sono utilizzati nella tomografia a emissione positronica (PET, positron

emission tomography).

Le particelle β hanno modesto potere di penetrazione.

Le radiazioni γ sono radiazioni ionizzanti di natura elettromagnetica, prive di carica e di

massa, simili ai raggi X, dai quali differiscono per la lunghezza d’onda minore e un

conseguente maggiore potere di penetrazione nella materia. Sono quindi fotoni ad alta energia

emessi da un nucleo eccitato. La quantità di energia emessa è specifica per ogni nuclide.

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L’unità di misura impiegata per indicare l’energia dei raggi γ è l’elettronvolt (eV), che

corrisponde all’energia cinetica acquistata da un elettrone accelerato da un campo elettrico

creato dalla differenza di potenziale di un volt.

L’ attività, cioè il grado di radioattività di un radioisotopo, viene espressa generalmente in

numero di disintegrazioni al secondo. La sua unità di misura in passato era il Curie (Ci), che

corrisponde all’attività radioattiva prodotta in un secondo da un grammo di 226Ra ed è pari a

3,7x1010 disintegrazioni per secondo. Dal 1986 il Curie è stato sostituito nel Sistema

Internazionale dal Becquerel (Bq), che corrisponde ad una trasformazione nucleare per

secondo. (vedi anche D.P.R. 12 agosto 1982 n° 802 “Attuazione della Direttiva CEE n°

80/181 relativa alle unità di misura”)

1 Ci = 3,7x 1010 Bq

1 Bq = 27 x 10-3 nCi

L’attività radioattiva è un fattore importante per stabilire la dose del radiofarmaco da

impiegare per l’esame scintigrafico.

È inoltre estremamente importante conoscere il tempo che impiega ogni nuclide a decadere.

In particolare si calcola il tempo di dimezzamento fisico (T1/2) o emivita (half-life), che

esprime il periodo di tempo necessario perché l’attività di una sostanza radioattiva si riduca

della metà, ossia il tempo in cui la metà degli atomi inizialmente presenti si è trasformata.

Il tempo di dimezzamento biologico è il periodo di tempo necessario perché la metà di una

sostanza radioattiva presente nel corpo di un animale venga allontanata dall’organismo

attraverso le normali vie emuntorie.

Il tempo di dimezzamento effettivo è il periodo di tempo necessario perché l’attività di una

sostanza radioattiva, entrata nel corpo di un animale, si riduca della metà per l’azione

combinata del tempo di dimezzamento fisico e di quello biologico.

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Come già accennato, il principio su cui si basa la diagnostica radioisotopica è quello di

introdurre una sostanza nell’organismo in esame e di seguirne le modalità di distribuzione, di

accumulo e di allontanamento, sfruttando le emissioni radioattive che ne permettono il

riconoscimento a distanza anche in presenza di quantità piccolissime. Il primo ad esporre

questo principio dell'elemento tracciante è stato il fisico ungherese George de Hevesy, che

per il suo lavoro sperimentale che ha aperto la strada all’utilizzo degli isotopi radioattivi come

elementi traccianti vinse il Premio Nobel per la chimica nel 1943.

I traccianti sono marcati con isotopi radioattivi, ma possono essere anche specie radioattive

elementari, come ad esempio Ioduro, somministrato come sale di Iodio (ioduro di sodio).

Rilevando la radioattività emessa da questi radionuclidi è possibile comprendere il

comportamento della forma stabile dell'elemento (e dell’intera miscela di isotopi), poiché gli

atomi del radionuclide sono sotto ogni aspetto rappresentativi degli atomi dell’elemento

fondamentale. Infatti, poiché è il numero atomico che caratterizza le proprietà chimiche di un

elemento, tutti gli isotopi di uno stesso elemento hanno lo stesso comportamento chimico (e

quindi metabolico).

Sulla base di questo principio un elemento tracciante può essere utilizzato per studiare la

dinamica dei processi biologici: introdotto in un sistema biologico, essendo chimicamente e

biologicamente equivalente all’elemento biologico in esame, al quale si sostituisce, ne subisce

lo stesso destino metabolico, senza provocare alcuna modificazione nel sistema con cui

interagisce.

Un tracciante radioattivo è in genere costituito da una molecola che risulta così “marcata” e

“tracciabile” e può essere utilizzata per eseguire prove in vitro, basate su tecniche

radioimmunologiche, o esami in vivo, che consentono lo studio del comportamento dei

farmaci nell’organismo, la visualizzazione rapida, non traumatica di numerosi organi e il loro

esame funzionale.

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I medici possono quindi utilizzare piccole quantità di sostanze radioattive per individuare

determinate condizioni patologiche. Al di là della diagnostica medica il principio

dell’elemento tracciante può trovare applicazione in numerosi altri campi. Per esempio i

biologi usano i traccianti per seguire il cammino delle sostanze nutritive nella catena

alimentare, i geologi li utilizzano per seguire il percorso dell’acqua piovana nel sottosuolo

fino a laghi, fiumi e bacini di riserva. In campo medico, oltre che per ottenere informazioni

diagnostiche, un radiofarmaco può essere utilizzato anche per ottenere risultati terapeutici.

Sono più di 1000 i radionuclidi che possono essere prodotti artificialmente in un reattore o in

un ciclotrone, ma solo alcuni sono adatti per essere utilizzati in Medicina Nucleare in virtù

delle loro proprietà fisiche e chimiche.

I criteri di scelta dei radionuclidi impiegati nella scintigrafia diagnostica sono:

- proprietà biochimiche che li rendano adatti ad essere incorporati in un farmaco, senza

alterarne le caratteristiche biologiche;

- emivita breve (compatibile con la durata prevista per l’esame), per ridurre la dose di

radiazioni al paziente;

- emissione di soli raggi gamma;

- minima interazione dei raggi gamma con i tessuti, così che sia ridotta la dose al paziente e

le radiazioni possano allontanarsi dall’organismo del paziente ed essere rilevate;

- emissione di raggi gamma di energia abbastanza elevata da evitare attenuazione eccessiva

da parte del corpo del paziente ma anche abbastanza bassa per facilitare la produzione

dell’immagine (energia intorno a 150 keV);

- agevole disponibilità;

La dose di radiazioni al paziente dipende dal tempo di dimezzamento effettivo dell’isotopo,

dal tipo e dall’energia di radiazione emessa della radiazione.

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Dal punto di vista protezionistico i radionuclidi preferibili sarebbero quelli con un tempo di

dimezzamento molto breve (<1h ). Ma poiché bisogna considerare la durata dell’esame e

talvolta anche il trasporto e il periodo di stoccaggio del radionuclide, nuclidi con una vita

media estremamente breve non sono indicati per un uso di routine.

(Ovviamente quando il radionuclide può essere prodotto sul posto utilizzando un acceleratore

di particelle o un generatore non ci sono problemi relativi al trasporto o allo stoccaggio)

Per la scintigrafia si utilizzano radioisotopi che hanno un’emivita relativamente breve e che

producono raggi γ di energia in genere compresa tra 80 e 250 KeV, poiché i raggi γ

dovrebbero essere in grado di attraversare efficacemente il corpo del paziente ma non devono

avere un’energia troppo elevata per essere efficacemente rilevati dalla gamma camera.

Nella tabella 1 sono riportati alcuni radionuclidi comunemente impiegati per l’esame

scintigrafico.

Tabella 1. Radionuclidi più utilizzati nelle indagini medico-nucleari

Nuclide Sigla T1/2 Decadimento

Azoto-13 13N 10 minuti positroni

Carbonio-11 11C 20.3 minuti positroni

Cobalto-57 57Co 270 giorni C.E.

Cromo-51 51Cr 27.8 giorni C.E.

Ferro-59 59Fe 45 giorni beta

Fluoro-18 18F 109 minuti positroni

Gallio-67 67Ga 78.1 ore C.E.

Gallio-68 68Ga 68.3 minuti positroni

Indio-111 111In 67 ore C.E.

Iodio-131 131I 8.06 giorni beta

Iodio-123 123I 13 ore C.E.

Ossigeno-15 15O 124 secondi positroni

Selenio-75 75Se 120 giorni C.E.

Rubidio-82 82Rb 1.3 minuti positroni

Tecnezio-99m 99mTc 6 ore gamma

Tallio-201 201Tl 73 ore C.E.

Xenon-133 133Xe 5.3 giorni beta

C.E. = cattura elettronica

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Gli elementi radioattivi usati in medicina nucleare sono tutti artificiali, prodotti tramite

bombardamento con neutroni (reattore nucleare) o con particelle cariche (ciclotroni). Questi

nuclidi hanno caratteristiche particolari che li rendono relativamente innocui e facilmente

smaltibili a differenza degli elementi radioattivi naturali.

Il Tecnezio 99 metastabile (99mTc) è il radionuclide che più si avvicina alle caratteristiche del

radionuclide ideale ed è il più utilizzato per le indagini scintigrafiche incluse quelle sul

cavallo.

In un isotopo che si trova in uno stato metastabile il nucleo è stabile, in riferimento al numero

di protoni e neutroni presenti, ma possiede ancora un eccesso di energia, che viene rilasciata

durante il decadimento radioattivo come raggi γ. A differenza degli stati eccitati, che sono

situazioni instabili di durata assai breve, poiché tendono a trasformarsi immediatamente in

stati con livello di energia minore (in un tempo inferiore a 10-13 secondi), gli stati metastabili

invece, prima di trasformarsi tendono a rimanere nella loro condizione più a lungo, anche

alcune ore.

Il 99mTc è un isotopo versatile e molto maneggevole. Presenta una struttura chimica adatta al

legame con diversi farmaci, senza modificarne le caratteristiche biologiche, e si presta bene

quindi alla costituzione di radiofarmaci con diverso tropismo; possiede un’emivita

relativamente breve di sei ore ed emette raggi γ di energia pari a circa 140 KeV.

Il breve tempo di dimezzamento determina una bassa dose di radiazioni al paziente, ma è

abbastanza lungo da consentire la produzione di radiofarmaci e l’eventuale trasporto da un

laboratorio mentre mantiene proprietà radioattive sufficienti per produrre immagini

diagnostiche.

Il decadimento radioattivo è un processo caratterizzato da andamento temporale esponenziale.

La legge esponenziale generale del decadimento radioattivo segue l’equazione:

At = A0e-λt,

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dove At è la radioattività al tempo t, A0 è la radioattività al tempo 0, λ è la costante di

decadimento.

La costante di decadimento è specifica di ogni radionuclide. Da un punto di vista pratico

piuttosto che alla costante di decadimento si preferisce fare riferimento all’emivita, che è

legata alla costante di decadimento dalla relazione 0,693/T1/2

La frazione di decadimento di un radioisotopo può anche essere calcolata riordinando

l’equazione:

At/A0 = e-λt

La tabella y mostra le frazioni di attività del 99mTc a intervalli di un’ora, calcolate utilizzando

la seconda equazione. In alternativa per calcolare l’attività residua si può utilizzare un fattore

di decadimento, dividendo la quantità originale per il fattore di decadimento corrispondente al

tempo trascorso.

Tabella 2. Decadimento del Tecnezio 99m

Tempo (ore) Attività residua

(A0)

Fattore di

decadimento

0 1,000

1 0,891 1,12

2 0,794 1,26

3 0,707 1,42

4 0.630 1,59

5 0,561 1,78

6 0,500 2,00

Da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003

Per esempio, se abbiamo 7000 MBq di 99mTc alle 8.00, l’attività alle 11.00 quando viene

somministrato dovrebbe essere: 7000 x 0,707= 4949 MBq.

O in alternativa, usando il fattore di decadimento: 7000 : 1,42 = 4930 MBq.

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Il 99mTc viene prodotto da un apposito generatore, il cui funzionamento si basa essenzialmente

sulla disponibilità di un radionuclide “genitore” a lunga emivita (il Molibdeno 99) che

decadendo produce il 99mTc, dotato di breve emivita.

Per il laboratorio di medicina nucleare è necessario che il Molibdeno venga fornito in una

forma dalla quale il radionuclide “figlio” (Tecnezio 99m) possa essere estratto quando serve;

il generatore di 99mTc viene acquisito dal laboratorio una o più volte durante la settimana a

seconda delle esigenze e può essere usato per un periodo di 1-2 settimane, sebbene il 99mTc

pertecnetato eluito dovrebbe essere usato fino a 12 ore dall’eluizione.

Il generatore di Tecnezio 99m I generatori di radionuclidi sono costituiti da una colonna cromatografica nella quale viene

fissato il nuclide genitore. Il nuclide figlio prodotto dal decadimento radioattivo viene quindi

ottenuto per eluizione utilizzando un solvente (eluente) che, aspirato da un flacone sotto

vuoto, scorre attraverso la colonna legandosi al nuclide e rimuovendolo dal supporto

cromatografico.

Il nuclide genitore del 99mTc è il 99Mo (Molibdeno 99). Questo viene prodotto nei reattori

nucleari ed è un sottoprodotto dell’industria nucleare. Possiede un’emivita relativamente

lunga di 67 ore e decade, mediante emissione di particelle β, trasformandosi in 99m Tc che a

sua volta decade a 99Tc (cessando di essere radioattivo) con un'emivita di 6 ore.

Figura 2. Decadimento 99Mo → 99Tc (www.unipd.it/nucmed).

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Il generatore di 99m Tc si presenta come una colonna di vetro schermata con piombo

contenente il 99Mo, sotto forma di molibdato di ammonio (NH4)+(MoO4)-, adsorbito ad una

sostanza chiamata allumina (ossido di alluminio Al2O3). Un circuito di tubi collega la colonna

ad un ago di ingresso ed uno di uscita posti sulla parte superiore del generatore. Sull’ago di

ingresso si inserisce un flacone di soluzione fisiologica (NaCl 0,9%) sterile, che funge da

eluente, e su quello di uscita un flacone sotto vuoto, anch’esso sterile e opportunamente

schermato.

Figura 3. Schema della sezione di un tipico generatore di 99mTc (www.unipd.it/nucmed).

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L’ago di uscita viene protetto, tra una eluizione e l’altra, coprendolo con un cappuccio sterile

monouso oppure inserendovi un flacone contenente una soluzione batteriostatica sterile. Per

garantire la sterilità, inoltre, il generatore contiene al suo interno dei filtri ed è importante che

sia situato in un ambiente pulito e adoperato rispettando le regole dell’asepsi.

Attraverso l’eluizione del generatore si ottiene una soluzione sterile, apirogena di 99mTc

pertecnetato di sodio (Na99mTcO4). Questa può poi essere usata direttamente come

radiofarmaco per applicazioni diagnostiche, o legata ad un’altra molecola per produrre

un’ampia varietà di radiofarmaci diversi.

La quantità di 99mTc ottenuta in una eluizione dipende dalla quantità di Molibdeno presente

del generatore e dal tempo trascorso dalla precedente eluizione.

In mancanza di interventi esterni, sulla colonna del generatore sono presenti, in equilibrio fra

loro, sia il 99Mo sia il 99mTc. Subito dopo l'eluizione, il generatore contiene solo 99Mo ma,

poiché il decadimento 99Mo → 99mTc continua, comincia subito a formarsi nuovo 99mTc. Il

processo di rigenerazione procede con andamento esponenziale e, in circa una emivita (6 ore),

si rigenera il 50% del 99mTc, dopo 12 ore il 75% circa e dopo 18 ore il 90% circa. Dopo 4

emivite (24 ore) 99Mo e 99mTc raggiungono nuovamente l'equilibrio e il generatore è pronto

per essere nuovamente eluito. Ovviamente, poiché nel frattempo il 99Mo è decaduto, non si

otterrà più la stessa quantità di 99mTc del giorno prima, bensì circa il 70%. Il grafico seguente

evidenzia l'andamento della concentrazione di 99Mo e 99mTc in un generatore, procedendo ad

una eluizione al giorno, per una settimana.

Figura 4. Decadimento del 99Mo e rigenerazione del 99mTc dopo eluizione (www.unipd.it/nucmed).

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Oggi la maggior parte dei radiofarmaci sono prodotti sul posto utilizzando dei kit.

Un kit è semplicemente un flacone sterile contenente tutti gli elementi chimici necessari,

liofilizzati e tenuti in atmosfera inerte (azoto). Gli elementi di cui è composto sono:

• il legante: il composto chimico non radioattivo che deve essere unito al 99mTc per produrre

uno specifico radiofarmaco (per esempio difosfonato di metilene);

• ioni stannosi (Sn-2): si presentano in diverse forme chimiche e agiscono come agenti

riducenti per il 99mTc;

• stabilizzanti, antiossidanti, tamponi e battericidi.

Aggiungendo l’eluato si ottiene il radiofarmaco pronto per l’uso.

La preparazione del radiofarmaco dal kit dovrebbe essere effettuata in ambiente e con tecnica

sterili.

Sistemi di rilevamento

Il rilevamento delle radiazioni viene eseguito indirettamente, sfruttando gli effetti che esse

producono in un determinato mezzo (rivelatore o detettore). Il rilevamento avviene in genere

con due modalità, la ionizzazione e la scintillazione.

Figura 5. Contatore a ionizzazione.

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Gli apparecchi o contatori di radioattività, che funzionano sul principio della ionizzazione di

un gas, sono schematicamente costituiti da un cilindro contenente gas facilmente ionizzabile

(argon, azoto, ecc.) al cui interno è posto un elettrodo che funge da anodo. Il catodo, invece, è

rappresentato dalla parete stessa del cilindro. Tra i due è applicata una differenza di potenziale

di intensità variabile. Al passaggio delle radiazioni, il gas si ionizza e gli ioni che si formano

sono attratti rispettivamente dagli elettrodi che hanno segno contrario. Questa migrazione di

ioni genera un passaggio di corrente tra i due elettrodi che può essere facilmente misurato.

In questo tipo di contatori la rilevazione della radiazioni varia al variare della ddp applicata.

Contatori che utilizzano bassi voltaggi sono poco efficienti, poiché registrano solo flussi di

radiazioni piuttosto intensi, tuttavia offrono un elevato grado di precisione. Questo tipo di

apparecchi sono utilizzati in medicina nucleare per misurare le dosi di radioattività da

somministrare. Sono i cosiddetti calibratori di dose, costituiti da una camera di ionizzazione

cava, al cui interno sono posti i flaconi di liquidi, le siringhe, ecc. Il tutto è collegato ad un

sistema elettronico opportunamente tarato, in modo da fornire una misurazione dell’attività

direttamente in Curie o Becquerel. Contatori che utilizzano elevati voltaggi sono in grado,

invece, di registrare radiazioni di bassissima intensità, anche se la loro misurazione non è

molto precisa. È di questo tipo il contatore Geiger-Müller, utilizzato soprattutto per rilevare

contaminazioni ambientali.

La scintillazione è la proprietà che hanno determinate sostanze di trasformare l’energia

radiante in fotoni luminosi (scintillazioni). Infatti le molecole eccitate dall’evento di

ionizzazione scaricano parte della loro energia sotto forma di lampi di luce.

Nel contatore a scintillazione l’elemento sensibile è costituito da un materiale, un liquido

organico o un cristallo, che emette per fluorescenza una radiazione luminosa ogni volta che

una radiazione ionizzante interagisce con esso. Gli impulsi luminosi emessi dal rivelatore

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vengono segnalati da uno o più fotomoltiplicatori che generano impulsi elettrici la cui

frequenza viene infine misurata da un contatore numerico.

A seconda che impieghi come rivelatore un liquido fluorescente, in cui viene disciolto il

campione da analizzare, o un cristallo fluorescente, il contatore di scintillazione è detto a

scintillatore liquido o cristallo scintillatore.

Nella scintigrafia vengono utilizzati cristalli di ioduro di sodio attivati al Tallio [(NaI)-Tl] i

quali, grazie all’elevata densità legata alla percentuale di Iodio (80%), si prestano molto bene

alla rilevazione dei raggi γ, trasformandoli quasi interamente in impulsi luminosi di intensità

proporzionale alla loro energia.

I contatori a scintillazione sono fondamentalmente composti da un sistema di rilevamento

vero e proprio, che trasforma l’energia assorbita prima in fotoni luminosi e poi in impulsi

elettrici; un sistema analizzatore, che seleziona gli impulsi elettrici in base alla loro ampiezza;

infine, da un sistema di registrazione, che gestisce i dati ottenuti e li elabora trasformandoli in

numeri, diagrammi o immagini a seconda del tipo di strumentazione impiegata (sonde,

scanner, gamma-camera).

Le sonde, sono strumenti abbastanza semplici che forniscono una misura numerica della

radiazione elettromagnetica. Sono infatti contatori numerici, non in grado di creare immagini,

che permettono soltanto di calcolare il numero di impulsi luminosi (“conti”) ottenuti per unità

di tempo (in genere 2 secondi). I valori ottenuti vengono stampati su carta o inviati ad un

calcolatore elettronico. Questo sistema è noto con il termine inglese di probe.

Si tratta di apparecchi molto maneggevoli, costituiti da un piccolo cristallo e un

fotomoltiplicatore, che permettono di analizzare piccole zone una alla volta. Utilizzando

questo sistema è necessario misurare ogni piccolo distretto anatomico e confrontarlo con

quello controlaterale (Attenburrow et al. 1984). A questo metodo alquanto indaginoso si

associa, però, il vantaggio di un costo contenuto, la possibilità di effettuare tutti gli esami con

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il paziente in stazione e l’inoculazione di una dose di radiofarmaco molto ridotta (Martinelli e

Chambers 1995). Inoltre le dimensioni contenute e la maneggevolezza di questi strumenti

permettono di eseguire l’esame anche quando sia impossibile o non consigliabile il trasporto

del paziente ad un centro attrezzato, per esempio nel caso di un cavallo in cui si sospetti la

frattura della pelvi (Pilsworth 1992, Pilsworth et al 1993).

Figura 6. Esame eseguito con sonda a scintillazione

(da Attenburrow D.P., Bowring C.S., Vennart W. (1984) Equine Vet J, 16(2), 121-124).

L’apparecchiatura oggi più diffusa è comunque la gamma-camera o camera di Anger, dal

nome del suo inventore Hal O. Anger.

La gamma-camera ha dimostrato di essere lo strumento più vantaggioso anche in medicina

veterinaria.

Rispetto allo scanner possiede rivelatori di radiazioni più efficienti e un campo visivo più

ampio.

Consente di esaminare ampie zone del corpo in tempi brevi e l’acquisizione dei dati è tanto

rapida da rendere possibili anche studi su processi funzionali dinamici.

Una gamma camera può essere fissa o mobile. Può essere progettata in modo da consentire di

esaminare l’intero corpo del paziente spostandola lungo il corpo, dalla testa ai piedi su un

sistema a binario di tipo pensile.

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Può anche essere progettata per ruotare a 360° intorno al corpo e, unita ad un computer

dedicato interfacciato, ricostruire immagini tomografiche in ogni piano utilizzando radiazioni

γ (single-photon emission computed tomography / SPECT) .

Figura 7. Componenti di una gamma camera

(da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

Nella gamma camera il sistema di rilevamento è costituito da un cristallo e da una serie di

fotomoltiplicatori. Il rivelatore, che ha la funzione di raccogliere le radiazioni gamma e

convertirle in una forma che eventualmente permetterà di produrre un’immagine visibile, è un

cristallo di ioduro di sodio attivato al tallio [NaI(Tl)], costituito da una singola lastra sottile di

diametro e spessore variabili.

I raggi γ che interagiscono con il cristallo cedono energia che viene riemessa sotto forma di

lampi di luce brevemente distanziati, scintillazioni, aventi lunghezza d’onda compresa

nell’intervallo della luce visibile e delle radiazioni ultraviolette e la cui luminosità è

proporzionale all’energia assorbita dal cristallo.

Un fotone γ può interagire con il cristallo di ioduro di sodio in due modi: effetto fotoelettrico

o effetto Compton. Fondamentalmente sono le interazioni di tipo fotoelettrico gli eventi che

forniscono le informazioni utili per produrre l’immagine finale. La diffusione prodotta

dall’effetto Compton altera queste informazioni.

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Quando un fotone γ urta contro un elettrone del cristallo, gli cede tutta l’energia di cui è

dotato e lo espelle dalla sua orbita (effetto fotoelettrico).

Figura 8. Effetto fotoelettrico (www.unipd.it/nucmed).

L’elettrone colpito, fotoelettrone, viene espulso dall’atomo con energia pari a quella fornitagli

dal fotone incidente meno quella necessaria per vincere l’energia di legame e può a sua volta

interagire con altri atomi anche con effetti Compton, aumentando i fenomeni di ionizzazione e

di eccitazione degli atomi e delle molecole del cristallo. Le molecole eccitate scaricano parte

della loro energia sotto forma di fotoni luminosi.

I fotoni luminosi prodotti dall’effetto fotoelettrico sono rivelati e convertiti in impulsi elettrici

da una serie di tubi fotomoltiplicatori. Questi sono disposti sul versante posteriore del

cristallo, secondo uno schema esagonale che occupa tutta la superficie disponibile, in modo da

garantire la minore perdita possibile di segnali elettronici.

In una gamma camera moderna ci sono fino a 91 tubi fotomoltiplicatori.

Queste strutture non solo convertono la luce in segnali elettronici ma, come indica il loro

nome, intensificano il segnale stesso dando origine ad un flusso di corrente sufficientemente

ampio che possa essere misurato ed elaborato da circuiti elettronici convenzionali.

Un tubo fotomoltiplicatore è un tubo sotto vuoto, contenente al suo interno, ad una estremità,

un fotocatodo rivestito da un materiale sensibile il quale, essendo rivolto verso il cristallo,

viene investito dai fotoni luminosi, li assorbe ed emette fotoelettroni. Il numero di elettroni

emessi dal fotocatodo è direttamente proporzionale all’intensità dei fotoni luminosi

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provenienti dal cristallo. Normalmente viene emesso un elettrone ogni 5-10 fotoni luminosi

assorbiti.

Questi elettroni sono accelerati attraverso il vuoto verso l’anodo all’estremità opposta. Mentre

sono accelerati attraverso il tubo gli elettroni vanno a urtare degli elettrodi metallici, dinodi,

tra i quali viene applicata una differenza di potenziale crescente, espellendo dalla loro

superficie altri elettroni con cui collidono. In un tipico tubo fotomoltiplicatore ci sono circa 10

dinodi. Per ognuno di essi esiste un fattore di moltiplicazione, con una resa di amplificazione

finale che varia da 106 a 109. In altre parole, per ogni elettrone emesso dal fotocatodo, ne

arrivano all’anodo da un milione ad un miliardo.

Figura 9. Rappresentazione schematica di un tubo fotomoltiplicatore

(da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

Il segnale in uscita dai fotomoltiplicatori è comunque ancora molto debole, per cui deve

passare attraverso un amplificatore, prima di essere avviato all’analizzatore di ampiezza del

segnale (pulse-height analizer), il cui compito è quello di selezionare gli impulsi che cadono

in un certo intervallo di energia, scartando tutti gli altri, e a sua volta inviarli al sistema di

registrazione.

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Ogni impulso luminoso generato dal cristallo produce voltaggi diversi in ciascuno dei tubi

fotomoltiplicatori colpiti dalla luce. Il segnale fornito dal fotomoltiplicatore direttamente

posizionato sulla zona dove è avvenuta la scintillazione, corrispondente al foro del collimatore

attraverso cui è passato il raggio γ, sarà più intenso rispetto a quelli emessi dai

fotomoltiplicatori più distanti. Perciò analizzando, per ogni scintillazione, l’energia in uscita

da ogni singolo fotomoltiplicatore, è possibile calcolarne l’intensità e l’esatta collocazione

nello spazio.

I segnali in uscita dai tubi moltiplicatori vengono convertiti dal circuito elettronico della

gamma-camera in tre tipi di impulsi. Due di essi corrispondono alle coordinate del punto del

cristallo dove è avvenuta la scintillazione (x e y) e individuano quindi la posizione spaziale

del segnale scintigrafico. Il terzo (z) corrisponde all’intensità dell’impulso e, poiché

l’ampiezza dell’impulso elettrico finale è direttamente proporzionale all’energia del fotone γ

incidente, rappresenta l’energia accumulata nel cristallo dai raggi gamma.

(Nella gamma camera analogica, in era predigitale i segnali x e y erano inviati alle placchette

di rilevamento di uno schermo con tubo a raggi catodici. Il segnale z passa attraverso gli

analizzatori di impulsi che verificano se l’energia delle radiazioni gamma è compresa

nell’intervallo di valori previsto per lo specifico radionuclide che deve essere captato in

immagini. Se il segnale z presentava valori accettabili, allo schermo a raggi catodici veniva

inviato un segnale inalterato che induceva un’intensificazione della sua brillanza producendo

un breve lampo luminoso nella stessa posizione sul fronte dello schermo corrispondente alla

posizione dell’interazione del raggio gamma con il cristallo.

L’intero processo, dal rilevamento del raggio gamma alla comparsa del lampo di luce sul tubo

catodico, richiedeva soltanto circa 10-5 secondi.

I singoli lampi del tubo catodico erano registrati come punti su una pellicola fotografica,

producendo un’immagine costituita dall’integrazione di un certo numero di lampi di luce in

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un tempo variabile da una frazione di un secondo a minuti. Oppure tutti i dati erano

accumulati nella memoria di un computer per poi essere trasformati in immagine su un video.)

Oggi nelle gamma camere digitali i segnali vengono semplicemente inviati al computer che li

inserisce nella matrice dei dati memorizzati.

Come nel caso di tutte le altre radiazioni elettromagnetiche i raggi γ emessi dal radiofarmaco

localizzato nell’organo sottoposto ad esame, si irradiano isotropicamente in tutte le direzioni.

Quelli che giungono alla gamma-camera provengono quindi da ogni area della sorgente in

maniera del tutto casuale. Per poter determinare una correlazione tra la posizione in cui i raggi

γ raggiungono il detector e quella dalla quale essi vengono emessi dal corpo del paziente,

rendendo possibile la formazione di un’immagine all’interno del detector, è necessario

impiegare anche un collimatore, che svolge una funzione analoga a quella delle griglie usate

in radiologia diagnostica. Esso è rappresentato da una piastra di piombo che scherma l’intero

cristallo e in cui sono ricavati molti piccoli fori, tutti orientati secondo un assetto parallelo,

divergente o convergente. Quindi secondo il tipo di esame o apparecchiatura utilizzata i

collimatori possono essere a fori paralleli e perpendicolari alla superficie del cristallo, che

conservano la morfologia e le dimensioni dell’oggetto, oppure a fori convergenti o divergenti,

che producono rispettivamente un’immagine ingrandita o ridotta rispetto al reale. Oltre a

questi, esistono altri collimatori specifici come il “pin-hole” costituito da un unico foro che

ingrandisce zone di piccole dimensioni e rovescia l’immagine.

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Figura 10. Diversi tipi di collimatori (www.unipd.it/nucmed).

Per la scintigrafia ossea nel cavallo in genere si utilizza un collimatore a fori paralleli. Con

questo sistema soltanto i raggi γ paralleli alla direzione dei fori potranno arrivare ai cristalli di

scintillazione, mentre gli altri, provenienti da regioni diverse da quelle in esame verranno

assorbiti e bloccati dai setti di piombo.

Lo spessore dei setti metallici dei collimatori è variabile secondo l'energia dei fotoni che

devono essere focalizzati, in quanto il potere assorbente dei setti si riduce all'aumentare

dell'energia dei fotoni incidenti. Quindi, per ottenere una immagine di buona qualità

utilizzando nuclidi emittenti radiazioni di energie elevate, sono necessari pesanti collimatori

con grossi setti che riducono però il potere risolutivo dell'immagine stessa e la sensibilità del

sistema.

Il grado di risoluzione spaziale e la sensibilità sono i due principali parametri che

caratterizzano la resa di un collimatore. La risoluzione è un indice che individua la definizione

dell’immagine ed è all’incirca uguale all’intervallo minimo che deve esserci tra due strutture

perché esse possano essere distinte l’una dall’altra. La risoluzione di un collimatore a fori

paralleli è pari a circa 7 mm (Nowak 1996).

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La sensibilità esprime la capacità di rivelare i raggi gamma: quanto maggiore è la sensibilità

tanto maggiore sarà la percentuale di conteggi ottenuta a parità di radioattività presente nel

campo di esame.

In base al diametro e alla profondità dei fori si avranno maggiori o minori gradi di risoluzione

e sensibilità. Un collimatore con fori di piccolo diametro e molto profondi avrà un’alta

risoluzione, ma una scarsa sensibilità. Questo si spiega perché al cristallo giungono solo pochi

raggi (scarsa sensibilità) ma perfettamente ortogonali (alta risoluzione). In questo caso

l’immagine si forma in un tempo maggiore ma è più precisa. Al contrario, con fori di

maggiore diametro e minore profondità, un numero maggiore di raggi colpisce il cristallo (alta

sensibilità), ma con direzione meno ortogonale.

Figura 11. Fattori che determinano la risoluzione del collimatore:

spessore dei setti (S), profondità (P) e diametro (D) dei fori.

Non è possibile ottimizzare contemporaneamente sia la risoluzione spaziale sia la sensibilità

di un collimatore e quindi bisogna operare una scelta tra le due opzioni in base al tipo di

esame che si vuole effettuare. Per esempio, poiché un collimatore a fori paralleli con un

maggiore indice di definizione ed una minore sensibilità comporta tempi di ripresa

dell’immagine relativamente più lunghi, per le analisi su pazienti irrequieti e in stazione

quadrupedale si preferisce utilizzare un collimatore con un livello di definizione più basso e

con maggiore sensibilità. In questo modo i tempi di ripresa per ogni immagine si riducono

notevolmente.

Nella pratica si utilizzano soprattutto collimatori con caratteristiche intermedie.

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La risoluzione dell’immagine è migliore per l’organo che si viene a trovare più vicino al

collimatore. Di conseguenza la ripresa delle immagini dovrà essere effettuata con il paziente

in posizione il più possibile ravvicinata rispetto al collimatore.

Non tutti i raggi γ che giungono al cristallo, però, interagiscono con esso, alcuni lo

attraversano: per energie inferiori ai 200 keV l'efficienza del cristallo è dell'80 % circa,

mentre per energie superiori l'efficienza si riduce drasticamente.

Le radiazioni γ ad alta energia interagiscono e perdono energia nel cristallo per la sua

composizione (ioduro di sodio attivato al tallio), densità e spessore.

Lo spessore del cristallo nella camera dipende dalla funzione della camera e dai radionuclidi

che si intende impiegare e determina la sensibilità di rilevamento delle radiazioni

elettromagnetiche: più spesso è il cristallo, più fotoni saranno rivelati nell’area in esame, a

spese però della risoluzione spaziale. Quando un raggio γ entra nel cristallo, più questo è

spesso più è probabile che ci saranno effetti Compton, con conseguente scadimento della

risoluzione spaziale. I cristalli più sottili sono efficienti quasi quanto quelli più spessi nel

fermare raggi γ di 140 KeV, ma la loro risoluzione è migliore poiché il lampo di scintillazione

è meno diffuso e assorbito, prima di raggiungere il tubo fotomoltiplicatore. Ma se il cristallo è

troppo sottile, ci sarà scarsa captazione dei raggi γ e lunghi tempi di acquisizione

dell’immagine.

Se si utilizzano prevalentemente radionuclidi gamma emittenti a bassa energia, come il 99mTc,

lo spessore del cristallo dovrebbe essere circa 9-12 mm.

La larghezza del cristallo determina il campo visivo della gamma camera.

I rivelatori delle prime gamma-camere avevano cristalli di diametro relativamente piccolo (25

cm per esempio) e un numero relativamente limitato (generalmente 19) di tubi

fotomoltiplicatori di ampio diametro (7,5 cm), che gli conferivano un ristretto campo visivo e

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una scarsa risoluzione spaziale. Altro fattore che contribuiva a limitare la risoluzione di queste

prime apparecchiature era lo spessore del cristallo (1,25 cm).

Successivamente i costruttori sono riusciti a migliorare la risoluzione spaziale utilizzando

cristalli più sottili (6-9 mm) e un maggior numero di tubi fotomoltiplicatori (da 37 a 91) di

diametro inferiore.

Le moderne gamma camere sono generalmente fornite di cristalli circolari, con diametro di

40-50 cm, oppure rettangolari con lati di 30-40 x 40-50 cm.

Camere con campo visivo grande con cristalli sottili costituiscono ora lo “stato dell’arte” per

la scintigrafia equina.

Il cristallo è un elemento estremamente fragile e igroscopico. Bisogna perciò avere grande

cura nell’impedire di esporre qualunque cristallo a rapide modificazioni di temperatura o

stress meccanici che possono causare la rottura di questo componente molto costoso; i cristalli

sottili sono maggiormente predisposti a questi eventi. Il cristallo è solitamente rivestito sul

davanti e sui lati da un sottile strato di alluminio rivestito internamente da materiale riflettente

(guida di luce), mentre il retro è coperto da un vetro che permette il passaggio dei fotoni

luminosi ai tubi fotomoltiplicatori ma lo protegge dall’ambiente. Lo ioduro di sodio è

igroscopico, assorbe acqua e ingiallisce, perdendo capacità di rilevamento e risoluzione, se

esposto all’umidità.

La maggior parte dei componenti della gamma camera sono alloggiati in un pesante involucro

rivestito di piombo (la “testa”) che protegge il rivelatore dalla radiazione ambientale di fondo.

Le camere usate per le applicazioni veterinarie sono montate su diversi tipi di sistemi, tra i

quali gru a braccio, paranchi a catena, carrelli elevatori con cuscinetti ad aria, che permettono

all’operatore di muoverle intorno al paziente.

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Acquisizione, elaborazione, visualizzazione e conservazione delle immagini

In sintesi, la gamma-camera produce un’immagine scintigrafica:

1) “collimando” i raggi γ e permettendo solo a quelli che viaggiano lungo una traiettoria

parallela ai fori del collimatore di interagire con il cristallo;

2) determinando la posizione (coordinate x e y) di ogni evento di scintillazione che si

verifica nel cristallo;

3) selezionando gli impulsi la cui energia (z) cade all’interno di un determinato intervallo di

valori;

4) registrando questi impulsi secondo le loro coordinate x e y.

I dati possono essere registrati in formato digitale o analogico a seconda dell’apparecchiatura

impiegata. Attualmente la registrazione è pressoché esclusivamente digitale.

Nella gamma-camera tradizionale, non digitale, il sistema di registrazione utilizzava un

oscilloscopio che, ricevendo gli impulsi dall’analizzatore, crea dei punti luminosi sullo

schermo; davanti allo schermo può essere posta una pellicola fotografica che viene

impressionata con il susseguirsi dei lampi di luce creando un’immagine.

Per l’acquisizione “digitale” è necessario un convertitore di segnale che trasforma gli impulsi

analogici in digitali. Questo tipo di informazione può essere analizzata da un calcolatore

elettronico che, tramite un’elaborazione matematica, la converte in un’immagine che può

essere rappresentata su di un monitor oppure stampata.

Le immagini digitali sono caratterizzate da una matrice ottenuta dividendo il campo visivo

della camera in un insieme regolare di pixel (picture element = elemento dell’immagine). Le

matrici comunemente utilizzate nelle immagini digitali scintigrafiche sono quadrate, e in

genere sono formate da 64 x 64, 128 x 128 o 256 x 256 elementi. Ogni pixel nella matrice

dell’immagine corrisponde ad una posizione sulla superficie della gamma-camera e le

informazioni immagazzinate in esso rappresentano il numero di eventi γ rilevati in quella

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posizione durante il tempo di acquisizione (da 28 a 216). A parità di area osservata (campo di

vista = field of view, FOV), maggiore è il numero dei pixel di un’immagine, maggiore è la sua

definizione.

Figura 12. Esempio di scintigrafia scheletrica acquisita con diverse matrici

(www.unipd.it/nucmed).

I dati digitali possono essere archiviati occupando spazi molto minori rispetto alle immagini

analogiche, possono essere sottoposti a procedure di elaborazione (post-processing) e possono

essere trasmessi con estrema facilità e rapidità.

L’elaborazione di una immagine comprende tutte le procedure che ne modificano l’aspetto. In

tal modo si cerca di accentuare le caratteristiche dell’immagine che sono importanti per la sua

interpretazione clinica. L’utilizzo di un sistema computerizzato permette non solo di

ottimizzare l’immagine modificandone la visualizzazione (per esempio aumentando il

contrasto o utilizzando filtri che rendono l’immagine più “omogenea” e migliorano la

visualizzazione dei margini delle strutture anatomiche, anche se a spese di una certa perdita di

dettaglio), ma anche di effettuare analisi quantitative del contenuto informativo dalle quali si

possono ricavare parametri e informazioni aggiuntive che rendono l’esame più oggettivo (per

esempio curve attività-tempo nell’ambito di studi dinamici).

La qualità dell’immagine è condizionata da diversi fattori.

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L’informazione acquisita utile a costruire l’immagine è definita segnale; quella che ne

compromette la qualità costituisce il rumore.

I fotoni γ possono essere deviati nel loro percorso dalla sorgente radioattiva all’interno del

paziente alla gamma-camera per effetto Compton. In un’interazione di questo tipo il fotone,

collidendo con un elettrone atomico di un’orbita esterna, viene deflesso e trasferisce parte

della sua energia all’elettrone. Il fotone Compton può essere deviato in qualsiasi direzione,

anche retrodiffuso; maggiore è l'energia ceduta all'elettrone, maggiore è l'angolo di

deflessione (formato dalla traiettoria del fotone primario con quella del fotone secondario).

Inoltre, maggiore è l'energia del fotone incidente, maggiore è l'energia ceduta all'elettrone.

Figura13. Effetto Compton (www.unipd.it/nucmed).

In questo modo viene persa l’informazione relativa alla localizzazione spaziale della sorgente

del fotone perciò se questo venisse usato per formare l’immagine ne diminuirebbe la

risoluzione. Tuttavia, poiché i fotoni diffusi possiedono un’energia minore, anche il valore z

dei corrispondenti impulsi in uscita dai tubi fotomoltiplicatori sarà più basso. Questo permette

di limitare il loro contributo alla formazione dell’immagine stabilendo una “finestra” di

energia, con un livello minimo e un livello massimo discriminanti che ne definiscono i

margini. I raggi γ che cadono al di fuori di questo range di valori vengono scartati

dall’analizzatore di ampiezza del segnale.

Per la maggior parte delle procedure di scintigrafia in cui viene impiegato il 99mTc, l’ampiezza

della finestra viene solitamente fissata al 20% (10% al di sopra e al di sotto) del valore di 140

KeV.

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Figura 14. Interazioni dei raggi γ nel cristallo. A. Nessuna interazione: energia assorbita dal cristallo = 0 B. Effetto fotoelettrico: energia assorbita dal cristallo = 140 KeV C. Effetto Compton: energia assorbita dal cristallo < 140 KeV D. Effetto Compton: energia assorbita dal cristallo < C (pe = photoelectric event; ce = Compton event) (da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

Figura 15. Solo le interazioni che depositano tutta (o quasi) l’energia di 140 KeV dei raggi γ nel cristallo vengono registrate nell’immagine scintigrafica (LLD = lower level discriminator; ULD = upper level discriminator) (da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

La capacità di riconoscere l'energia del fotone che provoca la scintillazione permette, inoltre,

di impiegare contemporaneamente più radiofarmaci che emettano fotoni di diversa energia.

Le immagini che noi vediamo sono ottenute dalla registrazione da alcune migliaia a milioni di

eventi, ciascuno dei quali è la riproduzione visibile di un raggio gamma: più punti sono

accumulati, più luminosa e dettagliata è l’immagine prodotta. Il numero di impulsi (“conti” o

“eventi”) da acquisire si aggira mediamente tra 100.000 e 300.000 per le parti distali degli arti

ma deve essere aumentato fino anche ad un milione nei distretti anatomici più grandi ed in

presenza di maggiori masse di tessuti molli (per esempio il bacino). Il tempo di acquisizione

varia in funzione della dose somministrata: la registrazione di un maggior numero di conti

richiede tempi più lunghi e/o una dose maggiore di radiofarmaco.

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Il tempo di acquisizione costituisce il limite principale quando si voglia aumentare la qualità

delle immagini nell’esame scintigrafico degli equini. Se le immagini fossero acquisite per

periodi di tempo più lunghi l’immagine risultante sarebbe di qualità superiore per il maggior

numero di eventi raccolto, ma sarebbe maggiore la probabilità che il paziente si muova

durante la registrazione dei dati, con conseguente offuscamento dell’immagine. Nella pratica

clinica è quindi necessario trovare un compromesso tra il tempo di acquisizione e il rischio di

movimento del cavallo; pertanto, su soggetto sveglio il tempo di acquisizione per ogni

distretto, sugli arti non dovrebbe superare i 2 minuti.

Sebbene i cavalli vengano sedati per cercare di limitare i grossi movimenti, è facile che si

verifichino movimenti piccoli, appena percettibili, che possono compromettere notevolmente

la risoluzione dell’immagine. Per ovviare a questo problema esistono appositi software per la

correzione del movimento nelle immagini dinamiche. Soprattutto per l’esame delle regioni

prossimali al nodello, è preferibile che le immagini siano acquisite come uno studio dinamico

e poi venga effettuata la correzione del movimento sulla sequenza dinamica, prima che tutte le

immagini siano sommate per produrre un’immagine statica finale di elevata risoluzione

spaziale.

Somministrando una dose maggiore di radiofarmaco si otterrebbe un maggior numero di conti

con lo stesso tempo di acquisizione, migliorando così la risoluzione spaziale dell’immagine

finale. Ma la maggiore dose di radiazioni al paziente e agli operatori costituisce in questo caso

un rischio non giustificato.

Altro importante fattore che condiziona la qualità dell’immagine è la distanza della gamma-

camera dal paziente. Per ottenere la massima risoluzione la superficie della camera deve

essere più vicina possibile al soggetto (Attenburrow1996). In questo caso i raggi γ emessi

dalla struttura in esame raggiungono il cristallo attraverso un numero limitato di fori del

collimatore, creando nel cristallo un’immagine limitata ad un’area ristretta di questo. Se la

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distanza tra rivelatore e paziente è maggiore, sono di più i fori del collimatore attraverso cui i

fotoni γ possono passare e l’immagine che si crea nel cristallo ha dimensioni maggiori, ma

minore risoluzione. In ogni caso non diminuisce il numero di conti registrati in un tempo

determinato.

Figura 16. Effetto dell’aumento della distanza tra gamma camera e paziente sulla risoluzione dell’immagine (da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

Figura 17. Arto anteriore destro, proiezione laterale della porzione distale, con distanza crescente tra il collimatore e la superficie laterale del nodello: i) 6cm; ii) 30cm; iii) 60cm. (da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

L’immagine fornita può essere di elevata qualità diagnostica anche in rapporto al tipo di

collimatore impiegato. Come già detto, la risoluzione del collimatore dipende dalla profondità

e dal diametro dei suoi fori. Comunque, anche utilizzando un collimatore ad alta risoluzione

(setti più sottili e più vicini) è necessario aumentare il tempo di acquisizione per registrare un

buon numero di eventi, con conseguente aumento del rischio di artefatti dovuti al movimento

nell’immagine finale

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La visualizzazione delle immagini digitali è ottenuta utilizzando una matrice di pixel in cui

conti di diverso valore appaiono nell’immagine come pixel di diversa intensità o colore.

L’immagine può essere rappresentata sia in scala di grigi (monocromatica), sia in scala di

colore. In entrambi i casi, le variazioni di livello di grigio o di colore esprimono valori di

concentrazione di radioattività nelle strutture esaminate. Le immagini scintigrafiche possono

inoltre essere presentate come immagini statiche, ossia come una singola immagine ripresa ad

un tempo predefinito dalla somministrazione del radiofarmaco, o immagini dinamiche, in cui

in un certo arco di tempo vengono effettuate più riprese per valutare la cinetica di

distribuzione del radiofarmaco.

Per l’archiviazione delle immagini esistono due tipi di supporti, interni ed esterni. Il principale

supporto interno di ogni computer è l’hard disk, sul quale i file contenenti i dati relativi alle

immagini sono scritti magneticamente. I supporti per l’archiviazione esterni comprendono

floppy disk, CD, DVD, nastri magnetici. CD e DVD sono oggi comunemente utilizzati per

conservare dati poiché sono resistenti, poco costosi, possono contenere, rispettivamente, fino

a 800 Mb e 8 Gb di dati e consentono un rapido accesso alle informazioni.

Riscontri diagnostici

La scintigrafia è uno strumento diagnostico altamente sensibile ma poco specifico. Essa infatti

individua molto precocemente zone sedi di processi patologici, ma non fornisce informazioni

sulla natura di questi. Può fornire limitate indicazioni morfologiche riguardanti la sede, la

forma e il volume di un organo oggetto di studio ed evidenziare lesioni organiche e alterazioni

di processi fisiologici.

Le modificazioni patologiche possono apparire in diversi modi. Nella maggior parte dei casi

si può constatare un aumento della radioattività che indica processi caratterizzati da aumento

del flusso ematico o dell’attività cellulare con conseguente concentrazione del radiofarmaco

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nel sito della malattia (per esempio processi neoplastici). Altre volte si può invece riscontrare

una minore concentrazione di radioattività o la sua completa assenza (per esempio lesioni

cistiche).

Nelle immagini monocromatiche le aree di normale distribuzione appaiono uniformi e grigie;

a seconda che si utilizzi un’immagine con sfondo (background) nero o bianco le aree sede di

lesione saranno evidenti come aree tendenti al bianco o al nero.

Figura 18. Immagini con sfondo nero e con sfondo bianco (www.diagplus.com).

Le zone in cui vi è un aumento di concentrazione focalizzato del tracciante, sono dette aree

calde (hot spot), quelle in cui l’accumulo è minore, cosiddette aree fredde (cold spot),

appaiono chiare o bianche. Nelle immagini in scala di colori in genere le tonalità dei colori

variano dal blu al verde al rosso fino al bianco con il crescere della concentrazione di

materiale radioattivo.

Figura 19. Immagine scintigrafica dell’articolazione del tarso destra e sinistra di un cavallo con osteocondrite dell’articolazione tibiotarsica sinistra. Sono state riprese sia le immagini in scala di grigio che quelle in scala di colori (il rosso rappresenta aree di elevata attività e il blu aree di bassa attività) (da Attenburrow DP, Portergill MJ, Vennart W. (1989) Equine Vet J, 21 (2): 86-90).

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Non tutte le aree calde sono indice di anormalità, in particolare nella scintigrafia ossea. È

normale, per esempio, rilevare aumento di attività in corrispondenza delle fisi ossee di animali

giovani (Attenburrow et al. 1984) o nei distretti sottoposti a maggiori carichi dinamici. Per

una corretta interpretazione dell’immagine diagnostica è quindi importante conoscere come

appare alla scintigrafia il tessuto sano.

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LA SCINTIGRAFIA OSSEA

Principi

Il presupposto che permette di effettuare l’esame scintigrafico è che ci sia una funzione

organica che il radiofarmaco possa sfruttare per distribuirsi nell’organismo del paziente (non

si può eseguire la scintigrafia su un soggetto morto!).

Le tecniche di imaging medico nucleare utilizzate per l’esame dell’apparato scheletrico

sfruttano la caratteristica che hanno alcuni radiofarmaci di concentrarsi nell'osso in modo

proporzionale alla vascolarizzazione e alla attività osteoblastica. Permettono, quindi, di

valutare il grado di attività metabolica dello scheletro e di riconoscere qualsiasi lesione che

provochi un'alterazione distrettuale del turnover metabolico dell'osso. L'indagine fornisce la

mappa della distribuzione del radiofarmaco nello scheletro evidenziando il grado di attività

osteoblastica dei vari distretti scheletrici.

Indicazioni

L’utilizzo della scintigrafia come strumento diagnostico nell’ortopedia equina è stato riportato

per la prima volta da Gottlieb Ueltschi quasi 30 anni fa (Ueltschi 1977). Da allora le tecniche

di medicina nucleare si sono diffuse in molti campi e sono state utilizzate per la diagnosi di

diverse affezioni, sia dei tessuti molli che ossee, affermandosi soprattutto come ottima

possibilità diagnostica per risolvere i problemi che coinvolgono l’apparato locomotore del

Cavallo sportivo. Attualmente la scintigrafia ossea viene diffusamente utilizzata nei cavalli da

competizione e risulta particolarmente utile per il riconoscimento iniziale delle lesioni da

stress (che, se trascurate, possono portare a cedimenti fatali dell’osso) (McIlwraith 2003) data

la sua elevata sensibilità nel rilevare alterazioni ad uno stadio molto precoce, che le consente

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di identificare lesioni ossee prima che siano visibili radiograficamente (Keegan et al. 1993,

Pleasant et al. 1992, Ross 1996).

La principale indicazione per la scintigrafia ossea nella diagnostica ortopedica equina è

l’incapacità di localizzare la causa di una zoppia con l’ausilio dell’esame clinico e degli

strumenti diagnostici convenzionali (Devous e Twardock 1984, Lamb e Koblik 1988,

Lumsden 2000, Martinelli e Chambers 1995, Weaver 1995).

Questa indagine ha ampiamente dimostrato la sua validità come supporto all’esame clinico e

il suo significato di aiuto indispensabile in casi clinici complessi, in cui la zoppia o lo scarso

rendimento atletico di un cavallo possono essere la risultante di più condizioni patologiche

(Auer 1995, Lamb e Koblik 1988, Steckel 1991).

La scintigrafia ossea viene solitamente usata nei casi in cui la visita clinica e le tradizionali

tecniche diagnostiche non siano riuscite ad individuare l’esatta localizzazione della causa

della zoppia, consentendo di formulare la diagnosi di patologie che resterebbero altrimenti

nascoste (Attenburrow et al. 1984, Martinelli e Chambers 1995, Nardi 2000, Steckel 1991). In

questi casi l’utilità dell’esame scintigrafico consiste nel poter localizzare esattamente una

lesione sulla quale approfondire l’esame clinico o procedere ad esame radiografico e/o

ecografico, specificamente orientati (Chambers et al 1995, Devous e Twardock 1984,

Pilsworth 1989).

La scintigrafia rappresenta, quindi, uno strumento ideale per lo studio di zoppie “occulte” o di

difficile interpretazione. Permette inoltre di quantificare facilmente l’attività di

rimaneggiamento osseo (Attenburrow et al. 1984, Hoskinson 2001). Tale caratteristica risulta

di valido ausilio nel determinare con precisione il ruolo che eventuali alterazioni anatomiche,

evidenziabili radiologicamente, rivestono nell’evento zoppia e, se indicato, consente di

monitorare la risposta della lesione alla terapia (Devous e Twardock 1984, Keegan et al. 1993,

Koblik et al. 1988, Martinelli e Chambers 1995, Pleasant et al. 1992). Quando una lesione non

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è più evidenziabile scintigraficamente si può supporre che il processo di guarigione sia

terminato (Devous e Twardock 1984).

La scintigrafia ossea nella clinica ortopedica equina si è rivelata essenziale per localizzare

condizioni patologiche del rachide, del bacino, della spalla e dell’articolazione femoro-tibiale,

non accertabili con la sola visita clinica o con esami radiografici diretti (Attenburrow et al.

1984, Hoskinson 2001, Lamb e Koblik 1988, Nowak 1996, Weaver 1995). Con l’esame

scintigrafico si possono infatti esplorare praticamente tutti i segmenti ossei dello scheletro,

con l’esclusione di determinate porzioni del bacino (ad esempio il pube). Si possono

visualizzare nella loro globalità tutti i segmenti della colonna vertebrale toracica e lombare,

l’articolazione ileosacrale e quella coxofemorale. In particolare, per quanto riguarda il rachide

si possono evidenziare singolarmente processi spinosi, articolazioni intervertebrali dorsali e

corpo delle singole vertebre. Questo non può essere realizzato con nessun altro sistema di

indagine, per cui la scintigrafia si pone come metodo di esame particolarmente indicato per

tutte le patologie della colonna vertebrale del Cavallo (Nowak 1996). L’esame scintigrafico è

anche indicato per tutte le forme di paresi e paralisi ad eziologia non certa che coinvolgono i

segmenti ossei della spalla e del bacino. Meno frequentemente si ricorre all’esame

scintigrafico per lo studio del cranio o del segmento cervicale del rachide (Nowak 1996).

La scintigrafia rileva le alterazioni endoarticolari precoci e quindi può concorrere alla

diagnosi di zoppia quando le cause non ne siano palesi, rivelando malattie articolari prima

ancora che esse sviluppino segni radiografici apprezzabili (Lamb e Koblik 1988, Mc Laughlin

e Roush 2002, Walmsley 1995).

Un’altra importante applicazione della scintigrafia ossea è la conferma e l’integrazione dei

risultati ottenuti con l’esame radiologico, nel corso di una visita di compravendita (Nowak

1996).

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La scintigrafia ossea può risultare infine di valido ausilio nella valutazione clinica di cavalli il

cui carattere estremamente indocile renda impossibile effettuare prove di blocco anestetico

(Dyson, et al 2003, Nelson 1996).

La patologia di cui più frequentemente si richiede l’accertamento con la scintigrafia ossea, è

la frattura da stress (McIlwraith 2003), nei confronti delle quali la radiografia è scarsamente

sensibile. Al contrario, la scintigrafia ossea, è estremamente sensibile nell’individuare le

alterazioni funzionali che precedono i cambiamenti morfologici (Devous e Twardock 1984,

Martinelli e Chambers 1995, Hendler e Hershkop 1998).

Condizione importante nel determinare l’utilità di un esame scintigrafico è la evidenza di

zoppia al momento dell’esame (lesioni acute) (Devous e Twardock 1984). Infatti la

scintigrafia fornisce una valutazione funzionale del rimodellamento osseo in un determinato

momento e in un cavallo con una zoppia cronica le possibilità di osservare un aumento del

turnover metabolico dell’osso sono decisamente ridotte (Pilsworth 1989, Ross 1996).

Naturalmente una condizione favorevole può essere la localizzazione della sede di zoppia:

quanto più esattamente è stata individuata la zona dolente con le indagini precedenti (esame

clinico, anestesia di un nervo o di un’articolazione, ecografia, esame radiologico, ecc.), tanto

più breve sarà la durata dell’esame scintigrafico, con la possibilità di ottenere immagini di

elevata qualità e di limitare l’esposizione del personale (Ross 1996).

Nei cavalli che non sano stati sottoposti ad indagini preliminari, può essere necessario

estendere l’esame a tutto lo scheletro. Ciò comporta non solo tempi di esecuzione molto più

lunghi, ma ha anche lo svantaggio che si ottengono indicazioni che si potevano ricavare anche

con altri tipi di esami, senza ricorrere alla scintigrafia. Sarebbe perciò opportuno che l’esame

scintigrafico venisse realizzato solo se in precedenza sono state tentate tutte le altre possibili

vie diagnostiche. Uno svantaggio di questa prassi è rappresentato dal fatto che dopo

un’anestesia perineurale o intraarticolare si devono lasciare trascorrere almeno 4 o 5 giorni

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prima di poter effettuare la scintigrafia, altrimenti si rischierebbe di ottenere risultati falsati

dall’accumulo del farmaco marcato radioattivamente nel sito di anestesia. Ciò però comporta

un ritardo nella formulazione della diagnosi. Per questo motivo si può scegliere di sottoporre i

pazienti, dopo l’esame clinico preliminare, prima alla scintigrafia e solo dopo all’esame

radiologico e alle prove di blocco anestetico, piuttosto che ricorrere ad essa come ultima

risorsa diagnostica (Nowak 1996, Pilsworth 1989).

La scintigrafia ossea non permette di formulare una diagnosi certa in qualunque caso di

patologia ortopedica ad eziologia non chiara. Ciò nonostante, essa si è dimostrata essere un

metodo diagnostico di notevole valore nel campo dell’ortopedia del cavallo. Può fornire di per

se importanti riscontri diagnostici, che devono però essere correlati con altre tecniche di

imaging, oltre che con l’anamnesi e le informazioni cliniche.

Radiofarmaci impiegati

Nel 1935 fu usato sperimentalmente per la prima volta un radiofarmaco con tropismo per il

tessuto osseo, contenente P 32, per studiare il metabolismo osseo nei ratti (Ueltschi 1977). Da

quando la scintigrafia scheletrica viene utilizzata è stata impiegata una grande varietà di

radiofarmaci, come gli analoghi cationici del calcio (85Sr, 87mSr, 131Ba, 135mBa), terre rare

(153Sm, 157Dy, 171Er) chelate con HEDTA, anione fluoro (18F) e fosfati e fosfonati legati a

99mTc (www.unipd.it/nucmed, www.cal.vet.upenn.edu). I polifosfonati sono poi diventati gli

unici agenti utilizzati per la scintigrafia ossea (Martinelli e Chambers 1995).

Attualmente i radiofarmaci più largamente utilizzati per lo studio scintigrafico dell'osso, in

ragione della loro efficacia, economia, dosimetria e facile disponibilità, sono i difosfonati

organici metilene-difosfonato (MDP) e idrossi-metilene-difosfonato (HMDP).

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Questi due composti si differenziano fra di loro in modo poco significativo ai fini dell'impiego

clinico, la sola differenza è una clearance ematica leggermente più veloce per il 99mTc HMDP

(Chambers et al 1995).

Sono invece importanti le caratteristiche che li rendono preferibili rispetto ai fosfati

inorganici, che sono stati i primi polifosfati marcati ad essere utilizzati ma sono oggi

raramente impiegati per lo studio dello scheletro:

- il legame con il Carbonio più stabile rispetto a quello con l’Ossigeno e non suscettibile ad

idrolisi enzimatica "in vivo" da parte della pirofosfatasi;

- l'elevata clearance renale grazie alla loro bassa affinità con le proteine plasmatiche;

- la mancanza di significativo legame con i globuli rossi.

Il pirofosfato, poiché presenta il maggior tropismo verso i tessuti necrotici, può venire

impiegato nella diagnosi di infarto miocardico acuto (www.unipd.it/nucmed).

Quando immesso nel kit di preparazione, il 99mTc pertecnetato viene ridotto dallo stagno dalla

valenza +7 a +4 potendo così legarsi al difosfonato.

Il radiofarmaco di elezione anche nella scintigrafia ossea degli equini è il Tecnezio 99m

Metilene Difosfonato (99mTc MDP) che produce eccellenti immagini ossee perché associa

un’elevata affinità per il tessuto osseo, in particolare per quelle parti dello scheletro dove c’è

aumentato flusso sanguigno e attività osteoblastica, alla rapida escrezione renale

(Attenburrow1984, Lamb e Koblik 1988).

L'osso è un sistema dinamico sensibile agli stimoli meccanici esterni e soggetto a un costante

rimodellamento interno, consistente in riassorbimento e formazione di nuovo tessuto.

Nella genesi e nel riassorbimento dell'osso sono implicati tre tipi di cellule:

- osteoblasti, che producono la matrice organica;

- osteociti, che sintetizzano la matrice inorganica e la liberano all'esterno per esocitosi;

- osteoclasti, che attivano il riassorbimento osseo.

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La sostanza intercellulare del tessuto osseo è composta per circa il 65%, da una fase minerale

formata da fosfati di Calcio sotto forma di cristalli di idrossiapatite Ca10(PO4)6(OH)2 e da

ioni sodio, magnesio, carbonato e citrato, tutto nella forma di un lattice cristallino. I sali di

Calcio e Fosforo sono impegnati nel ciclo continuo di riassorbimento, deposizione e

rimodellamento del tessuto. Per il restante 35% l’osso è composto da una fase organica

costituita per il 95% da fibre collagene e per il 5% da mucopolisaccaridi.

Il cristallo di idrossiapatite in formazione ha una enorme superficie per unità di massa, circa

200-300 m2/mg, ed è circondato da un ampio alone di idratazione. Quando i cristalli maturano

e aumentano di numero l'acqua viene spiazzata e si riduce l'idratazione della massa di osso

che li contiene. Gli ioni nello spazio intercellulare possono entrare nell'alone di idratazione e

scambiarsi con lo strato di calcio idrato, ioni fosfato e idrossido che si trova sulla superficie

del cristallo. La perdita dell'idratazione dei cristalli maturi li rende meno accessibili allo

scambio ionico. Circa il 99% del minerale nell'osso compatto si trova nello stato maturo

disidratato e quindi poco disponibile per gli scambi con il radiofarmaco iniettato, ad eccezione

delle superfici di osso reattivo, risultanti dal processo di riassorbimento osteoclastico.

Una volta introdotto nell’organismo la farmacocinetica del difosfonato di metilene segue

sostanzialmente tre fasi:

- nella prima, cosiddetta “vascolare”, che inizia subito dopo l’inoculazione e dura solo pochi

minuti, il farmaco diffonde nel torrente circolatorio e raggiunge tutti i distretti

dell’organismo;

- nella seconda, cosiddetta “dei tessuti molli”, che inizia pochi minuti dopo, il farmaco

diffonde nel liquido extracellulare di tutti i tessuti;

- nella terza fase, quella “ossea” propriamente detta, che si verifica dalle due alle tre ore

successive alla somministrazione, il farmaco si trova per il 60-70% legato allo scheletro

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mentre, per il resto, dopo aver lasciato il liquido extracellulare degli altri tessuti per effetto

della filtrazione renale, si ritrova nella vescica.

Questo comportamento è caratteristico dei difosfonati organici, perché il legame del Fosforo

al Carbonio invece che all’Ossigeno lo rende stabile in vivo, rapidamente eliminabile dai

tessuti molli e filtrabile dal rene, a differenza del tessuto osseo che lo trattiene più a lungo.

Il miglior rapporto tra l'attività ossea e l'attività nei tessuti molli si ottiene circa 3 ore dopo

l'iniezione. Tale tempo può risultare più lungo, in caso di ridotta funzionalità renale

(www.unipd.it/nucmed).

Il principale meccanismo di legame dei fosfati sull'osso è il chemioadsorbimento che avviene

per mezzo di legami chimici sulla superficie dei cristalli di idrossiapatite. Lo stagno e il 99mTc

vengono idrolizzati e si legano all'osso o separatamente o assieme sotto forma di idrossido di

stagno e diossido di tecnezio. Le grandi superfici di idrossiapatite idratata, presenti in aree di

riassorbimento o formazione ossea (per esempio nei dischi di accrescimento o nelle lesioni

ossee metabolicamente attive), permettono un maggiore chemioadsorbimento e quindi

mostrano maggiore capacità di concentrare il radiofarmaco (Chambers et al 1995, Lamb e

Koblik 1988).

L’assorbimento di qualunque tipo di fosfato marcato radioattivamente è condizionato da una

serie di fattori fisio-patologici che devono essere attentamente considerati nell’interpretazione

dell’esame scintigrafico per evitare errori diagnostici.

Fattori che determinano la fissazione ossea dei fosfonati

La captazione dei traccianti ossei nell’organismo dipende dal loro trasporto (flusso ematico) e

dalla loro deposizione (attività osteoblastica) (Hinchcliff et al 2004, Hoskinson 2001, Lamb

e Koblik 1988).

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L’importanza relativa di questi fattori in un particolare sito dipende dalle condizioni fisio-

patologiche prevalenti. Con livelli normali o subnormali di perfusione nell’osso sano, la

captazione del radiofarmaco è proporzionale al flusso ematico. Con livelli maggiori di

perfusione, però, la deposizione del tracciante osseo è determinata dalla superficie del

cristallo disponibile al legame. Quindi aumenti moderati della captazione del radionuclide da

parte dell’osso possono essere determinati da un aumento del flusso ematico, ma un’intensa

attività è sempre dovuta ad aumentata estrazione del tracciante osseo mentre questo viene

incorporato nell’area di riassorbimento o formazione ossea (Lamb e Koblik 1988).

Perciò l’attività metabolica può essere considerata il fattore più importante dal momento che

la fissazione dei fosfonati è proporzionale al grado di turnover osseo (Hornof e Koblik 1991,

Martinelli e Chambers 1995).

Il flusso ematico è indispensabile per la veicolazione del radiofarmaco ma non incide

sull’immagine scintigrafica a meno che non sia significativamente diminuito e quantità

inadeguate del radiofarmaco siano veicolate all’osso (Martinelli e Chambers 1995). Di

conseguenza la captazione è ridotta nelle regioni ipoperfuse. In caso di aumento patologico

del flusso sanguigno (per esempio quando responsabile della zoppicatura è un processo

infiammatorio) la captazione aumenta ma non in misura proporzionale. Per esempio, un flusso

aumentato di 3-4 volte rispetto al normale, provoca una captazione del 30-40% in più

(www.unipd.it/nucmed).

Anche il tono simpatico può influire sulla fissazione ossea del radiofarmaco in quanto agisce

sul flusso capillare distrettuale. Se aumentato provoca chiusura del flusso capillare e ridotta

captazione. Se ridotto, come in caso di simpaticectomia, trombosi o emiplegia, provoca

vasodilatazione, aumento locale del flusso sanguigno e conseguente aumento della captazione

(www.unipd.it/nucmed).

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Non bisogna assolutamente dimenticare che il rimodellamento osseo è condizionato non solo

dalla presenza di stati patologici ma anche da eventi del tutto fisiologici e che la distribuzione

del farmaco marcato con il radionuclide è variabile tra i differenti segmenti ossei anche nei

soggetti sani. Perciò, per una corretta interpretazione delle immagini scintigrafiche, è

essenziale conoscere bene la fisiologia di accumulo del farmaco nei tessuti (Devous e

Twardock 1984, Nowak 1996). Comunque molte lesioni causano alterazioni talmente evidenti

nella distribuzione del radiofarmaco che non sorge alcun problema per l’interpretazione

(Devous e Twardock 1984).

L’attività non è uniforme anche in un singolo osso normale. Normalmente nelle ossa lunghe

c’è minore attività nella diafisi rispetto alle epifisi e alle superfici articolari (Devous e

Twardock 1984, Lamb e Koblik 1988, Ueltschi 1977). Inoltre le ossa lunghe tendono ad

accumulare più attività rispetto alle ossa piatte (Devous e Twardock 1984). Nel cavallo

l’attività nella parte palmare della prima e seconda falange è maggiore che sul lato dorsale

(Ueltschi 1977).

Figura 20. Proiezione laterale dell’arto anteriore e dell’arto posteriore di un cavallo normale

(www.cal.vet.edu).

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Figura 21. Proiezione craniocaudale degli arti anteriori di un cavallo normale

(www.cal.vet.edu).

Figura 22. Proiezione caudocraniale degli arti posteriori di un cavallo normale

(www.cal.vet.edu).

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Il quadro fisiologico di accumulo del farmaco nei singoli segmenti ossei cambia notevolmente

tra il puledro e il cavallo adulto.

In genere l’attività maggiore si riscontra nei siti di accrescimento, che ricevono il maggior

apporto vascolare e presentano la maggiore attività metabolica. Un’aumentata captazione in

quest’area nell’adulto probabilmente riflette un alto apporto ematico e un’architettura

istologica che espone una maggiore superficie dei cristalli al legame con il difosfonato

(Devous e Twardock 1984, Lamb e Koblik 1988).

Figura 23. a) Dischi di accrescimento distale del femore e prossimale della tibia mostranti marcata ipercaptazione in un puledro di un anno. È evidente anche un’intensa area radioattiva (B) dovuta alla presenza della vescica piena. b) Epifisi distale del femore e prossimale della tibia in un cavallo adulto. Non sono più evidenti i dischi di accrescimento ma l’osso periarticolare mostra una captazione maggiore rispetto alla diafisi.

(da Lamb C.R. e Koblik P.D. (1988) Vet radiol, 29(1): 16-27).

Poiché il metabolismo osseo diminuisce con l’età, la captazione di MDP diviene meno intensa

con l’aumentare dell’età (Devous e Twardock 1984).

È normale anche rilevare un certo aumento di attività in corrispondenza dei distretti sottoposti

a maggiori carichi dinamici (Nardi 2000).

Aumenti della captazione del radiofarmaco in siti ossei specifici sono stati messi in relazione

con la razza e il lavoro svolto dai cavalli (Ehrlich et al 1998, Rantanen 1996, Twardock 2001).

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Le anestesie locali perineurali e intraarticolari negli equini alterano la normale dinamica del

flusso ematico nelle parti distali degli arti e possono aumentare l’accumulo del tracciante nei

tessuti molli fino a 17 giorni dopo l’iniezione dell’anestetico, rendendo difficile

l’interpretazione delle immagini ossee (Martinelli e Chambers 1995, Pilsworth 1989). Il

singolo blocco di un nervo o di una articolazione, se eseguito con tecnica appropriata, può

però non avere alcun effetto (Dyson et al 2003).

Piaghe da sfregamento provocate da fasciature eccessivamente strette, lesioni recenti dei

tessuti molli e contusioni subite durante il trasporto possono determinare un’alterata

captazione del radiofarmaco nei tessuti molli. In questi casi c’è spesso un accumulo

leggermente aumentato e diffuso che, se in un’area di sospetto clinico, può rendere difficile

l’interpretazione dell’esame (Dyson et al 2003).

Bendaggi stretti, che possono essere essenziali per la gestione del caso clinico, ostacolano la

perfusione dell’arto e possono causare un basso conteggio artificiale nel sito di interesse

(Pilsworth 1989).

Una captazione marcatamente ridotta del difosfonato nei segmenti ossei distali degli arti nel

cavallo (dal carpo/tarso in giù o distalmente al nodello o interessante solo i piedi) può essere

provocata dalla cosiddetta sindrome dell’arto freddo. Questa è il risultato di un’ischemia

transitoria di eziologia sconosciuta in siti di localizzazione variabile nelle parti distali degli

arti e può interessare uno o più arti. La scarsa qualità dell’immagine dovuta al basso numero

di eventi registrati e lo scarso contrasto tra osso e tessuti molli può fare sì che non si riesca ad

ottenere alcuna immagine scintigrafica significativa delle porzioni più distali degli arti e può

quindi impedire la visualizzazione delle lesioni presenti. Anche l’asimmetria nella captazione

ossea del tracciante, quando sia interessato un solo arto di un bipede, può confondere

l’interpretazione dell’esame. Il problema tende a peggiorare in condizioni ambientali fredde o

quando ci siano ampie fluttuazioni diurne della temperatura. Il bendaggio degli arti per

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almeno 15 ore prima dell’acquisizione delle immagini non ne previene l’insorgenza e

l’utilizzo di vasodilatatori periferici non lo risolve con sicurezza. L’esercizio fisico per 15

minuti prima dell’iniezione del difosfonato ha invece un marcato effetto positivo sia sulla

perfusione della parte distale dell’arto, sia sulla captazione del radiofarmaco nell’osso (Dyson

et al 2003).

In arti con zoppie moderate e severe si può riscontrare una generalizzata diminuzione della

captazione dei difosfonati. Presumibilmente questo riflette il livello del metabolismo osseo

che è condizionato dalle richieste poste su di esso ed è quindi ridotto a causa del mancato

carico dell’arto. Questo può ovviamente impedire di individuare il sito della patologia

(Pilsworth 1989).

Inoltre la presenza di un’area dolente in un arto induce stress maggiori sull’arto opposto.

Anche per questo motivo si può rilevare una maggiore attività radioisotopica nell’arto sano

rispetto a quello sede della zoppia (Hinchcliff et al 2004).

Installazioni ed attrezzature necessarie per l’applicazione della scintigrafia

ossea negli equini

Il più comune rilevatore di radiazioni nell’uso veterinario è la gamma camera (Hoskinson

2001).

Poiché permette l’esplorazione di aree corporee di grandi dimensioni (Hoskinson 2001)

questa è oggi l'apparecchiatura più diffusamente utilizzata per le indagini diagnostiche in

medicina nucleare, dove ha sostituito il vecchio scanner lineare che, eseguendo una scansione

punto per punto, richiede lunghi tempi di acquisizione e fornisce solo immagini planari

statiche, e le sonde (www.unipd.it/nucmed).

La sonda a scintillazione rileva il numero dei raggi γ emessi da un distretto anatomico. Questi

risultati sono valutati confrontandoli con quelli ottenuti dal distretto controlaterale e con

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valori di riferimento misurati in ben determinati siti (Pilsworth 1989 e 1992). Nonostante in

un confronto con la gamma camera per l’esame dello scheletro la sonda si sia dimostrata uno

strumento relativamente sensibile e specifico, lesioni bilaterali possono risultare difficili da

rilevare ed è comunque necessario che l’operatore abbia una buona conoscenza dei normali

parametri di distribuzione scintigrafica del radiofarmaco e che utilizzi punti di riferimento

facilmente identificabili e riproducibili per la misurazione dei conti (Chambers et al 1995).

Questo sistema è stato comunque ampiamente utilizzato per la scintigrafia ossea nel cavallo

(Attenburrow 1984, Pilsworth 1989 e 1992, Pilsworth et al 1993, Walmsley 1995) perché più

economico e più pratico da maneggiare, non richiede alcuna particolare preparazione o

installazione, tranne che per la manipolazione degli isotopi, e necessita di dosi minori di

radiofarmaco (Rantanen 1996, Walmsley 1995).

La gamma camera produce immagini che corrispondono alle strutture anatomiche poste

davanti la superficie del suo campo visivo e fornisce informazioni funzionali. È

un’apparecchiatura pesante ed ingombrante la cui gestione richiede grande cura ed è

relativamente costosa, anche perché solitamente sono necessarie modificazioni delle strutture

esistenti o la costruzione di nuove strutture appositamente progettate (Attenburrow 1984,

Attenburrow et al. 1989, Rantanen 1996).

Tuttavia la possibilità di valutare facilmente e rapidamente ampie regioni del corpo o anche

l’intero scheletro, con una risoluzione delle immagini relativamente elevata, ne fa uno

strumento ideale per l’esame di casi di zoppie di difficile interpretazione (Hoskinson 2001).

Sebbene la struttura della gamma camera sia rimasta sostanzialmente invariata da quando è

stata sviluppata, ci sono stati miglioramenti notevoli nella risoluzione e nelle capacità delle

componenti elettroniche. Sono ora disponibili gamma camere con cristalli sottili (fino a 6-7

mm), un numero maggiore di tubi fotomoltiplicatori (da 37 a 91) e componenti elettroniche di

alta qualità che permettono di ridurre il rumore che degrada la qualità delle immagini, tutte

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con campo visivo grande (30-50 cm di diametro e alcune con teste rettangolari alte fino a 55

cm) (Chambers et al 1995, Dyson et al 2003, Hoskinson 2001).

Figura 24. Cristallo rettangolare con campo visivo di 37 x 50 cm (www.diagplus.com).

Figura 25. Cristallo rettangolare con 55 tubi fotomoltiplicatori (www.diagplus.com).

Questi miglioramenti nelle apparecchiature permettono di ottenere immagini che includono

ampie regioni anatomiche in un’unica rilevazione (l’esame può quindi essere effettuato più

velocemente), con alta risoluzione (le immagini sono più dettagliate, forniscono migliori

informazioni diagnostiche) (Auer 1995, Chambers et al 1995).

Le camere a campo stretto, dotate di un campo visivo di 28 cm di diametro, sono ormai fuori

produzione (Nowak 1996).

L’attrezzatura ausiliaria deve includere diversi tipi di collimatori. Per la scintigrafia ossea nel

cavallo in genere si utilizza un collimatore a fori paralleli (Nowak1996), ma può essere utile

anche un collimatore divergente, che acquisisce attività da una regione anatomica più ampia,

poiché permette di visualizzare tutta la pelvi in una sola immagine (Devous e Twardock 1984,

Nelson 1996).

La maggior parte dei componenti della gamma camera sono alloggiati in un pesante involucro

rivestito di piombo, la “testa”, che protegge il rivelatore dalla radiazione ambientale di fondo.

A causa del loro elevato peso le gamma camere richiedono un meccanismo di supporto

estremamente solido e stabile. Non si possono trasportare a mano, per cui vengono fatte

spostare su rotaia manovrandole con un motore elettrico. Inoltre si possono trovare in

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commercio diversi sistemi di sospensione (stativi attaccati al soffitto dotati di leve idrauliche

o gru, dispositivi a terra su rotaia e stativo, ecc.), che permettano un ampio range di

movimenti orizzontali e verticali intorno al paziente (Attenburrow et al. 1989, Dyson et al

2003, Nelson 1996, Nowak 1996).

Ogni apparecchiatura è montata cercando di adeguarla alle strutture architettoniche di volta in

volta a disposizione e a seconda delle modalità con cui si effettua l’esame (su animale sedato

e in stazione oppure anestetizzato e in decubito).

In questo modo si può esaminare qualunque parte dello scheletro, la camera può essere

spostata con facilità e deve essere appena mossa per effettuare analisi sul cavallo in piedi

(Nowak 1996)

Le attrezzature necessarie per la scintigrafia equina sono diverse a seconda che si

acquisiscano le immagini con il cavallo in stazione, leggermente sedato o con il cavallo in

decubito, in anestesia generale.

Per l’esame del cavallo in decubito si può usare una semplice piattaforma per montare la

gamma camera. L’uso di una pedana rialzata può anche permettere di portare la camera

abbastanza in basso sull’arto per le proiezioni laterali dei piedi nell’animale in stazione.

Le immagini del cavallo in stazione si possono ottenere spostando la camera intorno al

cavallo.

Per limitare i movimenti durante l’esame il cavallo può essere contenuto in un apposito

travaglio con sponde laterali mobili e regolabili per permettere la presentazione della camera a

tutte le parti dell’animale (Attenburrow et al. 1989, Auer 1995).

Le gamma camere usate per le immagini in stazione sono sostenute da un braccio e collegate

ad un sistema di sospensione che permette di muovere l’apparecchiatura sui tre piani

ortogonali.

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a) b)

c) d)

e)

Figure 26 a, b, c, d, e, f. Diversi tipi di installazioni per l’esame scintigrafico degli equini (www.diagplus.com).

f)

Per ottenere immagini dei piedi equini è necessaria un’ampia buca aperta nel pavimento per

poter portare la gamma camera sotto il cavallo e riprendere immagini al livello del pavimento

o dal di sotto di questo. È necessaria un’apposita copertura per la buca che sia abbastanza

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resistente da sostenere il peso del cavallo, ma che non ostacoli la rilevazione delle radiazioni

gamma. (Auer 1995, Rantanen 1996, Steckel 1991).

Figura 27. Il rivelatore viene fatto scendere in una buca nel pavimento per acquisire immagini delle parti distali degli arti; uno schermo di piombo impedisce la visualizzazione dell’arto controlaterale (www.cal.vet.edu).

Figura 28. Acquisizione della proiezione soleare del piede in appoggio sopra una gamma camera con campo di vista piccolo montata nel pavimento, il piede del cavallo è avvolto in un “grembiule” piombato per isolarlo dal resto dell’arto (www.cal.vet.edu).

Sono disponibili schermi di piombo per escludere quando necessario l’arto controlaterale e la

vescica dal campo visivo, così da prevenire interferenze da parte delle radiazioni emesse da

questi (Attenburrow1996, Auer 1995, Dyson et al 2003, Neuwirth e Romine 2000).

La gamma camera deve essere collocata in un locale idoneo, in cui sia possibile garantire tutte

le condizioni necessarie per il corretto svolgimento dell’esame scintigrafico.

È possibile adattare un locale già esistente, come quello usato per la radiologia, o costruire

una nuova struttura appositamente progettata per facilitare la presentazione

dell’apparecchiatura a tutte le parti del cavallo e per contenere il soggetto durante le

procedure scintigrafiche (Attenburrow et al 1989, Nelson 1996, Rantanen 1996).

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Il requisito più importante della sala in cui è tenuta la gamma camera è la capacità di essere

ben isolata e ovviamente dovrà essere un ambiente controllato da un punto di vista

radioprotezionistico (Nelson 1996).

Il locale dovrebbe essere dotato di un impianto di climatizzazione che eviti rapidi sbalzi di

temperatura che possono essere dannosi per il cristallo (oltre 5° in 1 ora) (Attenburrow et al.

1989, Auer 1995, Nardi 2000). Per limitare il range delle modificazioni della temperatura

ambientale a meno di 5°/h le pareti, il soffitto e il pavimento possono essere termicamente

isolati (Attenburrow et al. 1989, Dyson et al 2003). Inoltre è più facile mantenere una

temperatura costante nell’ambiente se le porte di accesso non danno direttamente all’esterno

(Nelson 1996).

La stanza che ospita la gamma camera deve possedere pareti spesse, per una efficace

schermatura verso l’esterno, e rivestite di materiale facilmente lavabile per un’altezza di

almeno due metri, per assicurare una veloce decontaminazione (Nardi 2000).

Il pavimento della struttura in cui si effettua la scintigrafia deve avere una superficie non

scivolosa che si possa pulire facilmente in caso di contaminazione con urine radioattive

(Attenburrow et al. 1989, Auer 1995, Nardi 2000).

Sono consigliabili porte ampie per consentire un accesso facile.

Nel locale devono essere presenti le apparecchiature necessarie per gli esami condotti in

anestesia generale (apparecchio per l’anestesia gassosa, letto operatorio mobile, ecc.).

Collegati alla stanza in cui si procede all’esame ci sono altri due ambienti che hanno la

funzione di “camera calda” e “anticamera”. L’anticamera ha la funzione di spogliatoio e qui si

procede al controllo dell’eventuale contaminazione personale. In essa, infatti, si trovano gli

indumenti da lavoro (tute, copriscarpe, ecc.) e quelli per la protezione (camici e guanti

“piombiferi”) e un contatore Geiger-Muller per controllare il grado di contaminazione degli

indumenti. Da qui l’operatore accede alla camera calda le cui pareti sono rivestite di materiale

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facilmente lavabile e contengono al loro interno un’intercapedine di piombo che isola questo

ambiente dai locali adiacenti. Nella camera calda viene collocato il generatore di Tecnezio

99m, dunque qui avvengono tutte le manualità per la preparazione del radiofarmaco a partire

dal generatore e può accedervi solo il personale preposto all’operazione, protetto da indumenti

e schermi antiradiazioni.

Eventuali residui contaminanti (siringhe e flaconi con tracce di radiofarmaco, indumenti

contaminati, ecc.) vengono raccolti in un apposito contenitore piombato nella camera calda

dove restano fino al decadimento di ogni attività residua.

Anche il percorso compiuto dal cavallo prima e dopo l’esame dovrebbe essere interamente

rivestito di gomma lavabile su pavimento e pareti (Nardi 2000).

Preparazione del paziente

L’acquisizione di immagini scintigrafiche di elevata qualità dipende anche da un’attenta e

sistematica preparazione del cavallo (Dyson et al 2003).

Generalmente è necessario che i cavalli siano portati alla clinica il giorno prima dell’esame.

Poiché la normale distribuzione di un composto radioattivo nell’organismo dipende da un

adeguato flusso ematico (Devous e Twardock 1984), per potere ottenere risultati affidabili è

necessario che il cavallo sia ben idratato. Cavalli trasportati da lunghe distanze dovrebbero

quindi essere fatti riposare per una notte prima di essere sottoposti all’esame scintigrafico, per

consentirne la reidratazione ed evitare che la disidratazione indotta dal trasporto peggiori la

qualità delle immagini ossee (Auer 1995, Steckel 1991).

Inoltre è stato osservato che i cavalli sono molto più collaborativi ed è meno probabile che

assumano comportamenti pericolosi se sono stati ricoverati nella clinica la notte precedente

(Dyson et al 2003).

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All’arrivo alla clinica tutti i bendaggi agli arti vengono rimossi. Si raccoglie l’anamnesi e si

valutano i risultati dei precedenti esami clinici. Si procede quindi all’esame clinico del

paziente per formulare una diagnosi preliminare della causa e stabilire il grado della zoppia

(Attenburrow 1996, Steckel 1991).

In alcune circostanze è necessario rimuovere i ferri per ottenere adeguate immagini soleari dei

piedi. I ferri a uovo, a cuore e a traversa completa interferiscono con l’acquisizione dei dati

perciò ferri di questo tipo devono essere rimossi quando si debbano riprendere proiezioni

soleari. I normali ferri aperti possono essere lasciati purché le branche non schermino parte

dell’osso del piede (Dyson et al 2003).

Inoltre, se sono richieste immagini dei piedi o delle parti distali degli arti, queste dovrebbero

essere protette con materiale impermeabile per impedirne la contaminazione da parte

dell’urina radioattiva tra l’iniezione del radioisotopo e l’acquisizione delle immagini. Questo

dovrebbe essere fatto prima della somministrazione del radiofarmaco, in modo da evitare che

il personale venga inutilmente esposto alle radiazioni dopo l’iniezione (Dyson et al 2003,

Nardi 2000).

Allo scopo di migliorare la perfusione vasale e assicurare una circolazione uniforme in tutti e

quattro gli arti è altamente raccomandato far trottare il cavallo per 10-15 minuti

immediatamente prima dell’iniezione del tracciante (Attenburrow 1996, Dyson 2002, Dyson

et al 2003, Hinchcliff et al 2004). Nei cavalli da corsa, specialmente nei trottatori, è preferibile

l’esercizio in pista perché questo riproduce le condizioni biomeccaniche responsabili del

problema del paziente (Hinchcliff et al 2004).

Inoltre al momento dell’iniezione si possono registrare la temperatura ambientale e

l’emissione di raggi infrarossi dalla superficie degli arti anteriori, sia dalle parti prossimali che

da quelle distali (termografia). I valori misurati su un arto anteriore dovrebbero essere

approssimativamente uguali a quelli ottenuti allo stesso sito dell’arto anteriore controlaterale e

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vengono registrati per indicare che la circolazione periferica degli arti controlaterali è simile

(Attenburrow 1996).

È utile inserire nella vena giugulare del cavallo la mattina dell’esame un catetere endovenoso.

Questo dovrebbe assicurare una precisa inoculazione del radiofarmaco e fornire una comoda

via per successive somministrazioni di farmaci (per esempio diuretici o sedativi) senza dover

stimolare il cavallo con ripetute iniezioni, specialmente durante il periodo di acquisizione

delle immagini.

a b Figura 29. Somministrazione del radiofarmaco tramite iniezione diretta (a) e catetere endovenoso (b) (da Nardi S. (2000 ) “La scintigrafia ossea nel cavallo sportivo. Testo informativo e preliminare alle immagini sequenziali.”).

L’utilizzo di un catetere giugulare non è essenziale, per quanto sia raccomandato, e il

radiofarmaco può anche essere somministrato con un’iniezione diretta. Ma l’involontaria

inoculazione perivascolare di una quota significativa della dose del radiofarmaco comporta

una distribuzione di questo molto scarsa e quindi immagini di qualità non diagnostica, a causa

del basso numero di eventi registrato. Ci sarà inoltre captazione perivascolare focalizzata di

radioattività nei tessuti molli intorno al sito di iniezione e captazione nei linfonodi regionali

(Dyson et al 2003, Martinelli e Chambers 1995).

I difosfonati marcati con 99mTc e il 99mTc Pertecnetato sono escreti principalmente con l’urina

quindi inizialmente l’agente radiomarcato si raccoglie nella vescica. Questa concentrazione di

radioattività può interferire con la visualizzazione della regione pelvica, dell’articolazione

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coxofemorale e a volte di quella della grassella. Perciò è utile la somministrazione di un

diuretico (per esempio Furosemide circa un’ora prima dell’esame) per favorire la diuresi ad

un tempo adeguato tra l’inoculazione del radiofarmaco e l’acquisizione dell’immagine.

L’ideale sarebbe che il cavallo urinasse appena prima dell’esecuzione dell’esame, così che la

vescica sia vuota durante la registrazione dei dati e che l’animale non sia stimolato ad urinare

in questo stesso lasso di tempo, il che lo renderebbe irrequieto oltre a determinare la

contaminazione degli arti, delle apparecchiature e del personale. É anche possibile

cateterizzare la vescica prima di procedere all’esame.

Inoltre la somministrazione di un diuretico accelera la clearance degli isotopi circolanti nei

tessuti molli riducendo la dose di radiazioni al cavallo 24 ore dopo l’iniezione del

radiofarmaco di circa il 50% (Attenburrow 1984 e 1996, Dyson et al 2003, Lamb e Koblik

1988, www.cal.vet.upenn.edu).

Per limitare i movimenti dell’animale durante il tempo necessario per la raccolta dei dati e

facilitarne il posizionamento davanti alla gamma camera solitamente il cavallo viene sedato

(Attenburrow et al. 1989, Devous e Twardock 1984, Lamb e Koblik 1988, Steckel 1991).

L’esame può anche essere condotto con l’animale in anestesia generale. Questa procedura

assicura la massima “collaborazione” del paziente e può essere usata, per esempio, per

esaminare le anche con il cavallo in decubito dorsale (Attenburrow et al. 1989), ma impone

costi maggiori e tempi più lunghi.

Procedimento

Il cavallo viene controllato da un operatore esperto durante l’intero procedimento.

Dopo aver proceduto alla sedazione o, meno frequentemente, all’anestesia generale del

paziente, per limitarne il più possibile il movimento durante l’acquisizione delle immagini, si

procede all’iniezione endovenosa della quantità preventivamente calcolata di radionuclide.

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La dose di radiofarmaco somministrata al paziente viene calcolata in base al principio della

minima quantità necessaria e dipende dal peso del cavallo (Martinelli e Chambers 1995, Nardi

2000).

Generalmente viene usata una dose media di circa 8 MBq/Kg, per cui l’attività complessiva

somministrata al cavallo varia tra 1-7 GBq, a seconda dell’età e del peso dell’animale (Archer

et al 2003, Attenburrow 1996, Baixeras et al 2004, Devous e Twardock 1984, Dyson et al

2003, Lamb e Koblik 1988, Martinelli e Chambers 1995, Morris et al 1991, Nardi 2000,

Rantanen 1996, Steckel 1991, Ueltschi 1977, Whitelock 1997, www.cal.vet.upenn.edu).

Ad eccezione degli esami per i quali si prevede l’acquisizione della fase dinamica, l’iniezione

endovenosa del radiofarmaco avviene all’interno del box di somministrazione; altrimenti

l’iniezione deve essere realizzata in sala diagnostica con la parte da sottoporre ad esame

dinamico posta nel campo di vista della gamma camera.

Dopo la somministrazione del radiofarmaco vengono registrate ora dell’iniezione, dose e via

di somministrazione.

Le immagini diagnostiche possono infatti essere riprese in ciascuna delle tre fasi di

distribuzione del radiofarmaco nell’organismo (vascolare, dei tessuti molli e ossea),

ricavandone informazioni sia statiche sia dinamiche.

È possibile quindi eseguire una scintigrafia distrettuale, acquisendo una serie di immagini

planari, in più proiezioni, relative ad uno o più distretti scheletrici.

Per l’acquisizione delle immagini statiche nella fase ossea (in cui l’immagine scintigrafica

rappresenta la localizzazione del 99mTc MDP nelle aree di maggiore rimodellamento del

tessuto osseo) il cavallo viene sottoposto all’esame con gamma camera da 2 a 4 ore dopo

l’iniezione endovenosa del difosfonato marcato con il 99mTc. In questo modo si permette la

massima concentrazione del tracciante nell'osso e la contemporanea riduzione, a livelli

ottimali, della radioattività in circolo e nei tessuti molli (fondo o background). La maggior

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parte della captazione ossea del radiofarmaco (che rappresenta circa il 50% della dose

inoculata) si verifica entro i primi 20-30 minuti dalla somministrazione. Aspettare oltre 3-4

ore dopo l’iniezione per riprendere le immagini, sebbene consenta una maggiore clearance del

tracciante dai tessuti molli, non è consigliabile a causa della breve emivita del 99mTc

(Martinelli e Chambers 1995).

La scintigrafia trifasica viene impiegata nei casi in cui si sospetti un processo flogistico o

un’alterazione vascolare (Hendler e Hershkop 1998, Long et al 2000, Martinelli e Chambers

1995, Nowak 1996, Steckel 1991, www.unipd.it/nucmed, www.cal.vet.upenn.edu).

In questo caso il cavallo viene portato davanti alla gamma camera prima dell’iniezione del

radionuclide. Una volta individuata l’area di interesse il rivelatore viene posizionato in

corrispondenza di questa per eseguire un esame dinamico. Si somministra il radiofarmaco e

subito dopo viene acquisita una serie di immagini sequenziali.

A causa della natura dinamica dell’acquisizione dei dati durante la fase vascolare si può

esaminare una sola area di interesse (se possibile l’arto controlaterale dovrebbe essere incluso

nello stesso campo di vista per consentire un confronto) (Martinelli e Chambers 1995).

Il radiofarmaco impiega circa 15 secondi a raggiungere l’aorta terminale e 45 secondi ad

arrivare nella parte distale dell’arto posteriore del cavallo (www. cal.vet.upenn.edu) (19-123

secondi in 270 cavalli con una media di 43 secondi, Dyson 2003).

La prima fase dura solo pochi minuti, tra 2 e 20 minuti dopo l’iniezione del tracciante possono

essere acquisite le immagini della seconda fase, relative alla distribuzione del radiofarmaco

più o meno omogeneamente ripartito nella circolazione sanguigna e nel liquido extracellulare.

Il cavallo viene riportato nel box e, a distanza di un’ora, un’ora e mezza dalla

somministrazione del composto radiomarcato, riceve una dose adeguata di un diuretico

(generalmente furosemide e.v.) per favorire una più rapida escrezione renale del radionuclide

e dunque una migliore ripartizione della radioattività tra organo bersaglio e fondo.

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Approssimativamente tre ore dopo l’iniezione del radiofarmaco il paziente ritorna davanti alla

gamma camera per l’acquisizione delle immagini della fase tardiva (ossea). Si registrano a

questo punto le immagini statiche dell’area di interesse.

Con la scintigrafia lo scheletro può essere esaminato quasi interamente nell’animale in

stazione, leggermente sedato (Nowak 1996, Ueltschi 1977). Gli svantaggi di questa tecnica

sono il minor dettaglio anatomico dovuto ai tempi di rilevamento limitati che si usano per

evitare artefatti da movimento e il rischio che il cavallo possa danneggiare l’attrezzatura

(Auer 1995).

Esaminando il cavallo in anestesia generale si possono ottenere immagini dettagliate (con

elevato numero di conti registrati) con dosi inferiori per la possibilità di utilizzare tempi più

lunghi per acquisire le immagini (5-6 minuti) con minimi artefatti dovuti al movimento. Gli

svantaggi dello studio in decubito sono i rischi potenziali e i costi aggiuntivi associati

all’anestesia generale. Un rischio ulteriore è quello di peggiorare le possibili lesioni

scheletriche, come le fratture da stress, durante il risveglio dall’anestesia. Inoltre, con il

paziente in decubito aumenta il tempo totale dell’esame a causa del tempo necessario per

spostare il cavallo per l’acquisizione delle diverse immagini (Auer 1995).

Il tempo di ripresa programmabile per ogni immagine dipende dalla quantità di radiofarmaco

incorporato dal segmento scheletrico che si vuole esaminare, dal tempo trascorso dalla

somministrazione del farmaco radiomarcato e può variare da 30 secondi a 3 minuti quando si

esegue l’esame sul cavallo in stazione (Auer 1995, Nowak1996).

Per ridurre il rischio di movimento del cavallo, il tempo necessario ad acquisire una immagine

deve essere il più breve possibile. Per ottenere immagini di qualità diagnostica l’esame delle

parti distali degli arti richiede l’acquisizione di 100.000-150.000 conti, quello delle parti

prossimali e del rachide solitamente 150.000-200.000. Conteggi più bassi possono risultare

non diagnostici (Attenburrow1996, Martinelli e Chambers 1995, www.cal.vet.upenn.edu).

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Il sistema può essere programmato per accumulare una determinata quantità di conteggi

ovvero per acquisire conteggi in un tempo predeterminato.

Le gamma camere ad ampio campo consentono lo studio di un singolo arto in 4-5 proiezioni e

uno studio completo dei quattro arti può impiegare da 30 a 45 minuti, rispetto a 1 ora circa

necessaria per le camere più vecchie e più piccole (Attenburrow et al. 1989, Auer 1995,

Chambers et al 1995, Devous e Twardock 1984).

Il tempo necessario per ottenere una singola immagine è determinato anche dal contenimento.

Per diminuire il tempo totale di imaging sono necessari personale idoneo e adeguato

contenimento, sia fisico che farmacologico (Martinelli e Chambers 1995).

Poiché ogni animale può presentare caratteristiche leggermente differenti della distribuzione

dell’isotopo, è sempre opportuno registrare per confronto l’immagine dell’arto controlaterale

(Attenburrow et al. 1989, Steckel 1991). La distribuzione e l’intensità della captazione ossea

del tracciante dipendono infatti dal soggetto, dall’età, dalla conformazione (Dyson 2002) e dal

tipo di impiego del cavallo (Ehrlich et al 1998, Ehrlich et al 1999, Twardock 2001). Quindi un

punto critico dell’esame scintigrafico è rappresentato dall’attento confronto dell’accumulo del

radioisotopo in arti omologhi e in aree simmetriche del corpo dello stesso paziente, per

valutare correttamente il significato di ogni alterata captazione. Per fare questo è importante

ottenere immagini assolutamente simmetriche. Il posizionamento del cavallo, degli arti e la

disposizione della camera devono perciò essere standardizzati (Hinchcliff et al 2004).

Se si esamina il lato opposto del corpo usando gli stessi tempi di acquisizione dell’arto

controlaterale si può avere una stima quantitativa della differenza di captazione tra omologhi

segmenti controlaterali (Auer 1995, Lamb e Koblik 1988).

Il confronto di ogni aumentata o sospetta captazione del radionuclide nell’arto sede della

zoppia con la captazione nell’altro arto è particolarmente importante nei cavalli sotto i 4 anni

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di età. Le fisi attive di questi animali possono essere erroneamente diagnosticate come aree

anormali. Lesioni bilaterali possono essere ingannevoli in cavalli di qualsiasi età (Auer 1995).

Per ottenere immagini delle articolazione degli arti la gamma camera viene posta lateralmente

e parallela a ciascuna di queste. L’arto controlaterale viene posizionato fuori del campo visivo

o coperto da uno schermo di piombo (Attenburrow 1996, Neuwirth e Romine 2000).

L’esame degli arti comporta sempre proiezioni laterali ma se necessario si possono includere

anche proiezioni anteroposteriori degli arti anteriori o posteroanteriori degli arti posteriori

(Steckel 1991).

Spesso una proiezione dorsale può essere necessaria per confermare la presenza e per meglio

individuare la localizzazione mediolaterale di una lesione vista prima sulla proiezione laterale

(Attenburrow1996, Devous e Twardock 1984, Ross 1996).

Figura 30. Proiezione laterale del carpo sinistro (www.cal.vet.edu).

Figura 31. Arti posteriori: proiezione caudocraniale dei piedi e delle articolazioni metatarsofalangee; è necessario porre uno schermo di piombo tra gli arti posteriori e gli arti anteriori (www.cal.vet.edu).

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Figura 32. Arti anteriori: proiezione craniocaudale; uno schermo di piombo è posto tra gli arti anteriori e gli arti posteriori (www.diagplus.com).

Proiezioni multiple possono quindi migliorare l’accuratezza dell’esame ma solitamente due

proiezioni ortogonali dell’area di interesse consentono la corretta localizzazione delle lesioni

(Devous e Twardock 1984).

Infatti la sovrapposizione di altre strutture ossee ha scarso effetto sull’identificazione delle

lesioni. Questo elimina la necessità di molteplici proiezioni per diagnosticare fratture da stress

della tibia, dell’omero, del radio e dei metacarpei/metatarsei o fratture della terza falange non

evidenziabili radiograficamente (Hoskinson 2001, Keegan et al 1993, Koblik et al 1988,

Mackey et al 1987, Ruggles et al 1996).

Anche l’esame dei piedi può essere eseguito in proiezione laterale e palmare/plantare. La

proiezione soleare del piede si ottiene ponendo la superficie palmare dello zoccolo sulla

superficie del collimatore, così che la camera “guardi” attraverso il piede (Devous e

Twardock 1984), oppure posizionando la testa della camera in una buca e poi facendo stare il

cavallo sopra questa (Auer 1995, Rantanen 1996, Steckel 1991). In questo caso si può

utilizzare un supporto di legno tagliato a forma di V per stabilizzare il piede e ridurre la

possibilità di movimento incastrando lo zoccolo nell’apice di questo triangolo (Neuwirth e

Romine 2000).

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Figura 33. Proiezione palmare del piede anteriore sinistro ( da Nardi S. (2000 ) “La scintigrafia

ossea nel cavallo sportivo. Testo informativo e preliminare alle immagini sequenziali.”).

Figura 34. Proiezione palmare del piede contenuto da un supporto di legno (da Neuwirth L., Romine C. (2000) Vet Radiol Ultrasound, 41 (5): 470-5).

L’esame della pelvi, del rachide e della testa vengono generalmente eseguiti sia in proiezione

laterale che dorsale (Steckel 1991).

Per l’esame della testa è utile l’utilizzo di un supporto che può essere adattato alla gamma

camera. Questo, assicurando l’immobilità della testa che vi resta poggiata sopra durante

l’esame, consente l’acquisizione di immagini di qualità diagnostica, e inoltre, evitando il

contenimento manuale, permette di ridurre la dose di radiazioni all’operatore (Neuwirth e

Romine 2000).

Figura 35. Proiezione laterale della testa utilizzando un supporto attaccato alla gamma camera (da Neuwirth L., Romine C. (2000) Vet Radiol Ultrasound, 41 (5): 470-5).

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Immagini dell’intera colonna vertebrale si possono ottenere posizionando la testa della

gamma camera dorsalmente e latero-obliquamente rispetto alle vertebre (Attenburrow1996).

Per ottenere immagini della pelvi la gamma camera viene posizionata dorsalmente, sopra di

questa, con il centro della superficie del rivelatore in corrispondenza della linea sagittale

mediana (Attenburrow1996). L’immagine della pelvi può anche essere registrata

posteroanteriormente (Steckel 1991).

Figura 36. Esame scintigrafico della pelvi (www.diagplus.com).

Figura 37. Proiezione laterale dell’articolazione dell’anca destra (www.diagplus.com).

Per ottenere immagini diagnostiche della pelvi, delle vertebre lombari, del sacro, delle anche e

della grassella la vescica dovrebbe contenere una quantità minima di radiofarmaco. Se la

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vescica è parzialmente svuotata si può porre uno schermo di piombo in corrispondenza

dell’organo per bloccarne la radioattività. Se anche questo artificio non è sufficiente il cavallo

deve essere riportato nel box e l’acquisizione delle immagini rimandata finché la vescica si sia

svuotata (Attenburrow1996, www.cal.vet.upenn.edu).

È necessario tenere presente che, nonostante gli accorgimenti presi per evitare che accada, la

superficie dell’arto può essere contaminata dall’urina radioattiva tra il momento dell’iniezione

del radiofarmaco e l’esecuzione dell’esame. Questa contaminazione superficiale può

determinare errori nell’interpretazione dell’immagine. Perciò se si sospetta la contaminazione

dell’arto con urina radioattiva si dovrebbe sfregare, utilizzando guanti di gomma, un tampone

umido sulla superficie dell’arto e presentarlo alla gamma camera par valutare il livello di

contaminazione (Attenburrow1996).

Una volta registrate le immagini necessarie, il cavallo viene riportato nel box dove resta per

48 ore prima di essere dimesso. La degenza è necessaria perché il cavallo elimina il 99mTc con

l’urina. Questa può essere poi smaltita come rifiuto normale trascorso il tempo necessario per

il decadimento del materiale radioattivo (Nardi 2000).

La procedura viene quindi completata quando un tecnico esamina il cavallo e il box per

valutare il livello di radiazione emessa. Poiché l’emivita del 99mTc è circa 6 ore tutti i conteggi

saranno tornati ad un livello sicuro, tale da permettere di completare l’esame o dimettere il

paziente (Nardi 2000, Steckel 1991).

Il protocollo tipico per la scintigrafia equina può quindi essere completato in 3 giorni (Auer

1995).

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Interpretazione: cosa significano i risultati anormali

Nell’interpretazione delle immagini scintigrafiche bisogna tenere conto di tutti i fattori fisio-

patologici che possono condizionare la captazione ossea del radiofarmaco (età, tipo di attività,

prove di blocco anestetico, ecc.) e dei risultati dell’esame clinico del paziente.

Le tre fasi in cui può essere diviso l’esame scintigrafico corrispondono alla distribuzione del

radiofarmaco attraverso diversi compartimenti dell’organismo prima della sua eliminazione

attraverso l’apparato urinario (Devous e Twardock 1984, Dyson et al 2003, Lamb e Koblik

1988, Martinelli e Chambers 1995, Nardi 2000, Steckel 1991).

La prima fase (vascolare o perfusoria) è sostanzialmente un angiogramma nucleare che

mostra la distribuzione del composto radioattivo nel sistema vascolare. Non è specifica poiché

si tratta di un processo che si verifica in tutti i tessuti e distretti corporei adeguatamente

perfusi. L’acquisizione di immagini in questa fase può fornire informazioni sulla perfusione

vasale individuando aree ischemiche o iperemiche.

Diminuzioni nel flusso ematico locale o regionale riducono la quantità di 99mTc MDP

circolante in questi distretti causando diminuzioni localizzate del conteggio degli eventi

registrati. Aumenti fisio-patologici nella perfusione ossea locale o regionale si riscontrano in

siti di infiammazione, osteomielite, somministrazione di anestetico locale o neoplasia

(Martinelli e Chambers 1995).

La seconda fase (dei tessuti molli) inizia quando il radiofarmaco si sposta dal compartimento

vascolare ai tessuti molli e dura finché non si realizza un significativo accumulo dell’isotopo

nel tessuto osseo e un’adeguata clearance dei tessuti molli. Anche questa fase è aspecifica

perché i processi fisiologici coinvolti non sono specifici per un tessuto ma si verificano in

tutto lo spazio extracellulare e il radionuclide si concentra in ogni tessuto dove il liquido

extracellulare risulta aumentato (Hornof e Koblik 1991). La maggior parte delle modificazioni

rilevabili in questa fase sono connesse a processi infiammatori, nei quali può accumularsi

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elevata attività per l’aumento della vascolarizzazione, della permeabilità capillare e del

volume del liquido extracellulare (edema) nel tessuto lesionato (Hornof e Koblik 1991,

Rosenstein e Stick 1996). Condizioni come malattie infettive acute o croniche, artropatie

degenerative e strappi muscolari o legamentosi possono causare modificazioni che risultano in

aumentato accumulo del radiofarmaco nell’area interessata (Steckel 1991, Martinelli e

Chambers 1995).

La maggior parte degli esami condotti sul cavallo comunque implica solo la terza fase (ossea

o tardiva) (Steckel 1991), la quale fornisce il contributo informativo maggiore nella

scintigrafia ossea (Nardi 2000). Il processo fisiologico visualizzato durante questa fase è

infatti la specifica captazione del tracciante nel tessuto osseo che è mediata dal grado di

rimodellamento osseo locale. Ma si è già detto come anche aumenti o diminuzioni fisio-

patologici della perfusione vasale locale possano condizionare il trasporto del radiofarmaco al

tessuto osseo, aumentando o riducendo la captazione fino a 2-3 volte i valori normali

(Martinelli e Chambers 1995, Nardi 2000). In presenza di una patologia ossea si può

osservare un aumento di 5 volte o più rispetto ai valori normali (Martinelli e Chambers 1995).

In presenza di una lesione ossea attiva c’è frequentemente una captazione molto precoce del

farmaco radiomarcato nell’area sottoposta a rapido rimodellamento (Auer 1995, Dyson et al

2003, Martinelli e Chambers 1995). Un accumulo osseo prematuro nella prima o seconda fase

solitamente indica attiva proliferazione periostale, come si può riscontrare in fratture da stress,

traumi corticali o osteomieliti (Ross 1996).

La precoce localizzazione del composto radioattivo nel tessuto osseo può rendere difficile

l’interpretazione di immagini di accumulo nei tessuti molli durante la seconda fase se la zona

anatomica in esame è localizzata vicino ad una lesione ossea perché non si può determinare

quale parte dell’attività registrata proviene dall’accumulo nel liquido extracellulare piuttosto

che dalla precoce localizzazione ossea. Quando nei cavalli si osserva la comparsa di una

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significativa attività ossea molto rapidamente, appena 2 o 3 minuti dopo l’iniezione, si può

ottenere un esame dei tessuti molli più specifico usando come radiofarmaco il 99mTc

pertecnetato (99mTcO4-). Questo si distribuisce dentro e fuori lo spazio extracellulare in modo

simile al difosfonato marcato con 99m Tc. Contrariamente a questo però il 99mTcO4- non si lega

ad aree di osso in rapido rimodellamento, perciò non si osserva la complicanza di una precoce

captazione ossea (Auer 1995, Martinelli e Chambers 1995).

E' inoltre possibile che i difosfonati si concentrino in maniera significativa nei tessuti molli

(Hornof e Koblik 1991, Seeherman et al 1990, www.cal.vet.upenn.edu) per sequestro passivo

in caso di aumentato volume del liquido extracellulare (edema) o per legame da parte di

tessuti diversi dall’osso (Hornof e Koblik 1991). A volte, per esempio, nella seconda e terza

fase si può assistere alla concentrazione di radioattività nel tessuto muscolare danneggiato

(Hinchcliff et al 2004, Hornof e Koblik 1991, Nardi 2000). Questo rilievo deve essere

considerato sia per il suo interesse diagnostico che, soprattutto, per evitare errori

interpretativi. Anche in questi casi il ricorso al 99mTc pertecnetato, che non ha affinità per il

tessuto osseo e non viene captato dai muscoli, consente di chiarire eventuali dubbi (Hornof e

Koblik 1991, Nardi 2000). La sua mancata aumentata captazione a livello muscolare indica

che l’accumulo del 99mTc MDP è riconducibile ad un alterato legame da parte del muscolo

danneggiato (Hornof e Koblik 1991).

Figura 38. a) cavallo normale, si osserva ipercaptazione a livello di grande trocantere e terzo trocantere del femore e tuberosità ischiatica ;

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b) cavallo con accentuata captazione muscolare di 99mTc MDP 24 ore dopo un esercizio intenso, si osserva ipercatazione nei muscoli glutei (da Morris E, Seeherman HJ, O'Callaghan MW, Schelling SH, Paradis MR, Steckel RS. (1991) Equine Vet J, 23(5):347-52).

Nei casi in cui sono necessarie anche immagini ossee, dopo l’esame iniziale dei tessuti molli

si può eseguire una seconda iniezione con 99mTc MDP o HDP. Le immagini della terza fase si

possono ottenere 3 o 4 ore dopo. Tuttavia la ritenzione del 99mTc pertecnetato, legato

specificamente ai tessuti molli, riduce il contrasto fra l’osso e i tessuti molli circostanti in

queste immagini. Il contrasto inferiore rende più difficile la diagnosi delle lesioni ossee poco

appariscenti. Questo problema si elimina effettuando i due tipi di esame in giorni separati

(Auer 1995).

L’impiego clinico della fase vascolare è limitato nel cavallo perché la perfusione della parte

distale degli arti è relativamente ridotta (Lamb e Koblik 1988). In alcuni casi comunque,

poiché questa fase può dimostrare l’anormale perfusione vascolare di un tessuto (Rosenstein e

Stick 1996), può essere importante per valutare il flusso ematico nell’estremità distale degli

arti. È stata usata in casi di laminite e lacerazioni in cui l’integrità dell’apporto vascolare può

essere compromessa (Martinelli e Chambers 1995).

La fase dei tessuti molli viene usata per agevolare la diagnosi di patologie dei tessuti molli

(Hornof e Koblik 1991). Questa fase può mostrare aumentata captazione compatibile con

alterazioni di tendini e legamenti e alcuni problemi muscolari. Può essere preziosa per il

rilevamento precoce di desmiti del sospensore, desmiti del legamento plantare lungo e dello

stadio iniziale della sindrome navicolare (Lamb e Koblik 1988, Morris et al1991, Martinelli e

Chambers 1995).

La terza fase è impiegata soprattutto per la diagnosi dei disturbi muscoloscheletrici del

cavallo. È utile nella diagnosi di fratture e altre specifiche patologie ossee. La scintigrafia è di

aiuto nell’identificazione di sottili fratture non scomposte che possono non essere evidenti

radiograficamente. In questi casi il trattamento può essere istituito prima che si verifichi una

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frattura grave. È anche quasi esclusiva nella sua capacità di rivelare aree di significativo

stress e rimodellamento osseo che possono essere causa di zoppia, ma senza modificazione

ossea tale da essere visibile radiograficamente. Inoltre la scintigrafia ossea può aiutare a

diagnosticare definitivamente la malattia navicolare, la desmite del sospensore, avulsioni

tendinee e legamentose, tarsiti distali, alterazioni spinali e pelviche, fratture a scheggia e

problemi articolari (Martinelli e Chambers 1995).

Figura 39. Proiezioni laterale e dorsale della parte distale degli arti anteriori durante la prima e seconda fase dell’esame scintigrafico A: radiofarmaco nelle vene metacarpale e digitale B: captazione ossea precoce nei sesamoidi prossimali C: precoce ipercaptazione ossea associata con esostosi del II metacarpeo (da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

Figura 40. Arti anteriori: proiezione dorsale della seconda fase. La persistenza del radiofarmaco a livello della superficie mediale della corona e della III falange in questa fase è un riscontro normale nei trottatori (da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

Figura 41. Arti posteriori: proiezione plantare della 2a fase. A: perfusione normale della porzione plantare dell’estremità distale del metatarso B: perfusione normale della terza falange (la distribuzione dell’isotopo tra parte mediale e laterale è diversa anche negli arti posteriori) (da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

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Figura 42. Proiezioni laterale (a) e dorsale (b) della parte distale degli arti anteriori durante la terza

fase dell’esame scintigrafico. A: lieve captazione diffusa nella regione del nodello (normale) B: lieve captazione diffusa nell’estremità distale dell’arto anteriore sinistro (non clinicamente significativa)

(da Dyson, Martinelli, Pilsworth e Twardock, “Equine Scintigraphy” 2003).

Per poter giudicare normale un quadro scintigrafico è importante l’uniformità della

distribuzione del radiofarmaco (Devous e Twardock 1984). Altra indispensabile condizione di

normalità è la simmetria. Aree fisiologicamente sedi di maggiore rimaneggiamento

presentano normalmente una maggiore attività. I siti di accrescimento nei soggetti giovani e le

aree di inserzione muscolare e le articolazioni sottoposte a maggior carico (variabili a seconda

del tipo di impiego del cavallo) possono apparire ipercaptanti. La visualizzazione della

vescica e dei reni è normale (Lamb e Koblik 1988, www.unipd.it/nucmed,

www.cal.vet.upenn.edu).

La maggior parte dei processi patologici dello scheletro sono ipercaptanti i difosfonati perché

determinano una reazione osteoblastica (Nardi 2000, www.unipd.it/nucmed). Un accumulo

focalizzato è più importante di una ipercaptazione diffusa, indipendentemente dalla sua

intensità (Ross 1996). Le lesioni ipocaptanti sono molto più rare.

Condizioni che tipicamente inducono la formazione di nuovo osso sono un aumentato stress

meccanico e il risultante rimodellamento dell’osso corticale o periostale oppure il

rimodellamento conseguente a traumi (Steckel 1991).

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Fratture individuate dalla scintigrafia ma non dalla radiografia sono le fratture da stress o

fratture incomplete che interessano solo parte della diafisi o l’epifisi di un osso lungo (Steckel

1991).

La frattura incompleta di qualunque osso può essere rilevata dalla scintigrafia ossea ma

solitamente non dalla radiografia (Johnson et al 1988, Steckel 1991, Stover et al 1986).

a) b) c) Figura 43: a) proiezione laterale della tibia sinistra di un cavallo (Quarter Horse, 2 anni) con una frattura lineare incompleta della tibia: si ossera intensa ipercaptazione del radiofarmaco nella parte caudale dell’estremità distale della tibia e normale ipercaptazione nella fisi distale dell’osso; b) proiezione radiografica obliqua dorsolaterale-plantomediale a 35° della tibia sinistra: si osserva una linea radiotrasparente; c) proiezione laterale della tibia sinistra dopo 5 mesi di confinamento in stalla: aspetto scintigrafico normale della tibia con normale evidenza della fisi distale (da Johnson PJ, Allhands RV, Baker GJ, Boero MJ, Foreman JH, Hyyppa T, Huhn JC. (1988) J Am Vet Med Assoc, 192(4):522-4).

Le fratture incomplete si presentano sull’immagine scintigrafica come un’area scura

focalizzata nell’ambito dei confini della normale anatomia scheletrica (Johnson et al 1988,

Steckel 1991). La concentrazione del radiofarmaco tende ad essere molto elevata nei primi

15-20 giorni, poi cala lentamente e in modo progressivo (www.unipd.it/nucmed). L’età della

frattura è quindi una variabile che influisce sulle dimensioni e sull’intensità dell’area calda.

Fratture occulte sono state rilevate in pazienti umani entro un giorno dal trauma e quasi tutte

le fratture occulte sono rilevabili dal terzo giorno dopo la lesione (Steckel 1991). Infatti la

scintigrafia diventa precocemente positiva dopo il trauma: nell'80 % dei casi è positiva entro

24 ore, nel 95 % dei casi è positiva entro 72 ore e nel 100 % circa dei casi è positiva dopo una

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settimana (Hendler e Hershkop 1998, Hoskinson 2001, Stover et al 1986,

www.unipd.it/nucmed).

Le fratture da stress sono lesioni dovute a ripetute sollecitazioni dell'osso che provocano

abnorme stimolazione del rimaneggiamento a favore del riassorbimento. Inizialmente non

sono quindi vere e proprie fratture ma lo possono diventare se persiste lo stress osseo (e

quindi il rimodellamento osseo) (McIlwraith 2003, www.cvm.uiuc.edu,

www.unipd.it/nucmed). Il quadro scintigrafico classico è caratterizzato da iperconcentrazione

del radiofarmaco in tutte le fasi della scintigrafia scheletrica, visualizzabile come un’area

focale di iperemia nella fase vascolare seguita da un’intensa area di captazione corticale che

può presentarsi fusiforme, ad estensione longitudinale, o circolare (Hendler e Hershkop 1998,

Seeherman et al 1990, www.unipd.it/nucmed). Localizzazioni tipiche di queste lesioni da

sovraccarico sono tibia, femore, pelvi e omero (Mackey et al 1987, McIlwraith 2003, Ruggles

et al 1996).

Figura 44. Proiezione scintigrafica laterale (A) e proiezione radiografica dorsolaterale-palmomediale a 45° (B) del metacarpo sinistro di un purosangue inglese di 3 anni con zoppia acuta dell’arto anteriore e segni di dolore locale alla palpazione. L’immagine scintigrafica evidenzia captazione focalizzata che interessa la corticale dorsale, tipico riscontro di una frattura da stress. La fissurazione lineare della corticale non era visibile nelle proiezioni radiografiche convenzionali (da Koblik PD, Hornof WJ, Seeherman HJ. (1988)J Am Vet Med Assoc, 192 (3): 390-5).

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Figura 45. (A) Confronto tra l’aspetto scintigrafico dell’omero normale (a sinistra) e con frattura da stress (a destra), in cui si osserva un’ipercaptazione di 99mTc (freccia) sulla faccia mediale dell’estremità distale del femore sinistro. (B) Un’area di nuovo osso reattivo, compatibile con una frattura da stress (freccia) è stata successivamente individuata sul margine craniomediale dell’estremità distale del femore

(da Mackey, Trout, Magher, Hornof (1987) Vet radiol, 28, 26-3).

Figura 46. (A) Una zona circoscritta di radiotrasparenza (frecce) identificata sulla faccia caudomediale del terzo medio del radio destro. (B) Confronto tra l’aspetto scintigrafico del radio normale (a sinistra) e con frattura da stress (a destra), in cui si osserva aumentata captazione di 99mTc (freccia) (da Mackey, Trout, Magher, Hornof (1987) Vet radiol, 28, 26-3).

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Figura 47. (A) Immagine scintigrafica normale (a sinistra) di una tibia e scintigrafia (a destra) di tibia mostrante ipercaptazione a livello diafisario e della faccia caudolaterale dell’estremità prossimale. (B) Fratture da stress identificate radiograficamente due giorni dopo l’esame scintigrafico. (da Mackey, Trout, Magher, Hornof (1987) Vet radiol, 28, 26-3).

La diagnosi e localizzazione delle fratture da stress costituisce un’applicazione estremamente

utile della scintigrafia ossea poiché, se non diagnosticate tempestivamente, queste possono

portare a cedimenti fatali dell’osso. Invece il sollecito trattamento di queste fratture, che

spesso prevede soltanto il riposo, consente di prevenire lesioni potenzialmente invalidanti per

il cavallo, che richiedono l’eutanasia (Pleasant et al 1992, Ruggles et al 1996, McIlwraith

2003, www.cvm.uiuc.edu). Grazie alla possibilità di individuare precocemente l’alterazione

ossea l’incidenza di tali gravi fratture si è notevolmente ridotta (McIlwraith 2003, Martinelli

e Chambers 1995, Pilsworth e Riggs 1996).

L’aumentata attività periostale appare come un diffuso accumulo lineare del tracciante

radioattivo lungo la diafisi dell’osso (Koblik et al 1988, Seeherman 1990). Questo quadro

differenzia la periostite da una frattura corticale dorsale, caratterizzata invece da

ipercaptazione focalizzata (Koblik et al 1988, www.cal.vet.upenn.edu).

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a) b)

Figura 48. Periostite (a) e frattura della corticale dorsale (b) (www.cal.vet.edu).

La diagnosi di osteomielite non è possibile con l’acquisizione della sola scintigrafia ossea

poiché diverse condizioni possono presentare lo stesso quadro di accumulo nella fase tardiva

dell’esame. Per migliorare la specificità della procedura in caso di sospetto si può ricorrere

all’uso del 67Gallio-citrato in combinazione con il 99mTc MDP. Il 67Ga infatti si localizza in

lesioni osteomielitiche acute e croniche con specificità maggiore rispetto al 99mTc (Hendler e

Hershkop 1998, Lamb e Koblik 1988, Peters 1995). La specificità è comunque bassa perché il

67Ga, analogo del Ca, si accumula in aree di aumentato turnover osseo come fratture,

osteoartriti o artropatie degenerative. In queste circostanze è utile l’impiego di globuli bianchi

marcati che si accumulano in aree di infiammazione ma non in aree di aumentato turnover

osseo (Hendler e Hershkop 1998, Peters 1995).

a)

b)

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c) Figura 49 a, b, c. Scintigrafia trifasica in un caso di osteomielite (www.cal.vet.edu).

La scintigrafia dimostra un’elevata sensibilità anche nel rilevare le alterazioni endoarticolari

precoci. In presenza di uno stato infiammatorio articolare si riscontra un aumento della

perfusione locale nella prima e seconda fase dell’esame e un aumento aspecifico della

concentrazione del tracciante nell'osso adiacente le articolazioni coinvolte nel corso della fase

ossea. Questa ipercaptazione può essere dovuta sia all'aumentata perfusione causata dalla

sinovite, sia al l’incremento del turnover osseo dovuto all’osteoartrite. I segni scintigrafici,

valutati tenendo conto del contesto clinico, possono confermare la diagnosi clinica o fornire

informazioni utili per una corretta diagnosi differenziale tra le varie cause di artrite e possono

documentare l'estensione della malattia (Lamb e Koblik 1988, Mc Laughlin e Roush 2002,

Walmsley 1995, www.unipd.it/nucmed). Nelle fasi di danno osseo e cartilagineo più avanzato

l’accumulo del radiofarmaco nella sinovia probabilmente indica la presenza a questo livello di

detriti ossei e cartilaginei (www.cal.vet.upenn.edu).

Figura 50. Osteoartrite (www.cal.vet.edu).

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Patologie articolari non infiammatorie (osteoartrosi) generalmente non presentano alterazioni

della prima e seconda fase ma aumento della captazione periarticolare nella fase ossea.

Questo perché la distruzione della cartilagine periarticolare provoca un aumento patologico

dell'attrito, con erosione dei capi ossei adiacenti e conseguente osteogenesi (Lamb e Koblik

1988, www.unipd.it/nucmed).

Le infiammazioni delle inserzioni ossee di tendini o legamenti sono state rilevate

nell’uomo come intense aree focalizzate di ipercaptazione in aree corrispondenti a inserzioni

tendinee o legamentose (Steckel 1991).

Figura 51. Sovrapposizione delle immagini radiografiche e scintigrafiche del tarso sinistro di un cavallo con zoppia cronica all’arto posteriore sinistro. (A) Proiezione radiografica lateromediale e proiezione scintigrafica laterale. (B) Proiezione radiografica dorsoplantare e proiezione scintigrafica plantare. (C) Proiezioni radiografiche lateromediale e dorsoplantare dimostranti leggero ispessimento della corticale dorsale del terzo prossimale del metatarso. Sulla base di questi riscontri, del risultato dell’esame ecografico e dell’anestesia locale è stata posta diagnosi di patologia dell’inserzione prossimale del legamento sospensore sinistro (da Hinchcliff K. W., Geor R. J., Kaneps A. J. (2004) “Equine Sports Medicine and Surgery”, Saunders Ltd).

Anche l’infiammazione di singoli ventri muscolari è stata rilevata negli equini come diffuse

aree irregolari di accumulo del radionuclide sovrapposte all’immagine dell’osso normale

(Lamb e Koblik 1988, Seeherman 1990). Esiste una stretta finestra di tempo per rilevare le

miositi perché immagini ripetute a distanza di 48 ore non sono riuscite a identificare il

muscolo infiammato in alcuni pazienti umani. L’esatto meccanismo del legame dell’agente

radiomarcato al tessuto muscolare leso non è completamente conosciuto ma è stato suggerito

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che possa essere correlato all’aumentata deposizione di calcio nelle cellule muscolari

danneggiate (Morris et al 1991, Steckel 1991).

Le cisti ossee solitamente non sono rilevate dalla scintigrafia a meno che non siano situate

vicino ad un margine articolare e stimolino artriti degenerative (Lamb e Koblik 1988,

Seeherman 1990), o a meno che l’osso sottocondrale circostante la cisti non sia infiammato

(Steckel 1991).

Lesioni osteocondrotiche non accumulano il radiofarmaco, e dunque non sono evidenziabili

sulla scintigrafia, a meno che non siano associate ad una neoformazione ossea reattiva (Auer

1995, Rosenstein e Stick 1996, Seeherman et al 1990).

Altra condizione che la scintigrafia ossea permette di individuare è l’enostosi, affezione

caratterizzata da iperplasia ossea all’interno della cavità midollare delle ossa lunghe (Bassage

e Ross 1998). Queste lesioni sono caratterizzate radiograficamente da una o più aree

radiopache di forma circolare o irregolare localizzate nella cavità midollare della diafisi di

ossa lunghe, spesso vicino al foro nutritizio. Tali aree scintigraficamente appaiono come

moderata o intensa ipercaptazione focale o multifocale del tracciante all’interno della cavità

midollare delle ossa interessate. La mancanza di coinvolgimento corticale o periostale

consente la differenziazione rispetto ad altre lesioni (Bassage e Ross 1998).

Figura 52. Radiografia laterale del radio sinistro in cui si evidenzia una radiopacità focalizzata (freccia) all’interno della cavità midollare (da Bassage, L.H. and Ross, M.W. (1998) Equine vet. J. 30 (1): 35-42).

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Figura 53. Proiezione scintigrafica laterale del radio sinistro in cui si evidenzia un’area focalizzata di intensa captazione del radioisotopo all’interno della cavità midollare (da Bassage, L.H. and Ross, M.W. (1998) Equine vet. J. 30 (1): 35-42). Fratture della terza falange tendono a mostrare captazione focalizzata da moderata a intensa

soprattutto nelle proiezioni soleari (Keegan et al 1993, www.cal.vet.upenn.edu), soprattutto

fino a tre mesi dall’insorgenza. Con il passare del tempo infatti l’accumulo del radiofarmaco

diminuisce e tende a diventare più diffuso anche se, nonostante la limitazione dell’esercizio e

l’applicazione di opportuni trattamenti, la captazione può risultare aumentata anche dopo 25

mesi (Keegan et al 1993). Le proiezioni laterali mostrano ipercaptazione diffusa (Keegan et al

1993).

Figura 54. Proiezione palmare che evidenzia ipercaptazione caudomediale della III falange dell’arto anteriore sinistro (da Wan P.Y., Tucker R.L., Latimer F.G. (1992) Vet Radiol Ultrasound, 33(4):247-248).

Figura 55. Proiezione lateromediale che mostra una frattura interessante il processo palmare ventrale della falange distale (da Wan P.Y., Tucker R.L., Latimer F.G. (1992) Vet Radiol Ultrasound, 33(4):247-248).

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Figura 56. Proiezione laterale della terza falange destra: si osserva intensa captazione diffusa in tutto l’osso (da Keegan KG, Twardock AR, Losonsky JM, Baker GJ. (1993) J Am Vet Med Assoc, 202 (12): 1993-7).

Il sospetto di una frattura della pelvi è una delle indicazioni principali per la scintigrafia

ossea. In questo caso per ottenere una radiografia sarebbe necessario porre l’animale in

anestesia generale ma questo comporterebbe il rischio di aggravare la lesione (Pilsworth 1992,

Pilsworth et al 1993, www.cal.vet.upenn.edu).

L’osso navicolare solitamente non è evidenziabile in una scintigrafia normale, sia nella

proiezione laterale che palmare, ma in caso di malattia navicolare presenta una captazione

che può essere abbastanza intensa (Devous e Twardock 1984). Si possono osservare due

quadri tipici di ipercaptazione nell’osso navicolare. In cavalli anziani con modificazioni

radiologiche classiche o dubbie è possibile riscontrare una captazione focalizzata al centro

dell’osso. La natura focale della captazione è più importante della sua effettiva intensità. Una

captazione da lieve a moderata che interessa tutto l’osso navicolare si osserva soprattutto nei

giovani cavalli da corsa. Le radiografie sono solitamente negative (www.cal.vet.upenn.edu).

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Figura 57. (A) Aumentata captazione del radiofarmaco nell’area dell’osso navicolare dell’arto destro (freccia), ma tutte le regioni più prossimali sono più attive rispetto alle corrispondenti dell’arto sinistro (B) La quantificazione permette di determinare che il rapporto delle attività relative tra le regioni dell’arto destro e quelle dell’arto sinistro è più alto nel piede che nei distretti più prossimali (da Hinchcliff K. W., Geor R. J., Kaneps A. J. (2004) “Equine Sports Medicine and Surgery”, Saunders Ltd).

La scintigrafia si è anche dimostrata un utile strumento per la valutazione di diverse patologie

dello splancnocranio quali sinusiti, patologie dentarie, ascessi mandibolari, adenocarcinomi

(Archer et al 2003).

In caso di sinusite l’aspetto dell’area di ipercaptazione può variare, nella proiezione laterale,

da un’area circolare incompleta ad un diffuso aumentato accumulo del radioisotopo in tutti i

seni paranasali. Anche la proiezione dorsale mostra quadri variabili di ipercaptazione, da

diffusa a irregolare, ma in più consente di distinguere se la lesione è mono o bilaterale (Archer

et al 2003).

Cavalli con patologie dentarie presentano un significativo aumento dell’attività scintigrafica

localizzato in corrispondenza del dente interessato (Weller et al 2001) determinato

dall’infezione periapicale (Archer et al 2003). Le proiezioni laterali sono le più utili per

l’identificazione del dente affetto (Archer et al 2003). A causa dello scarso dettaglio

anatomico dell’immagine scintigrafica è consigliabile integrare l’esame con indagini

radiografiche (Weller et al 2001).

Malattie periodontali localizzate possono presentarsi come un sottile diffuso aumento nella

captazione del radiofarmaco nell’osso interdentale dell’area interessata (Archer et al 2003).

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L’esame scintigrafico può essere utile anche per differenziare una sinusite primaria da una

secondaria a patologia dentaria nella quale generalmente l’area di ipercaptazione è più

focalizzata intorno alla regione del dente affetto (Archer et al 2003).

Artefatti

Le condizioni che possono causare la comparsa di artefatti nell’immagine scintigrafica sono:

Contaminazione

L’urina radioattiva, contenente il 99mTc, può causare diversi artefatti, in particolare nelle

immagini delle parti distali degli arti poiché il cavallo nel box cammina sulla lettiera (trucioli

di legno o paglia) contaminata. Anche schizzi e gocciolamento di urina possono contribuire

alla contaminazione superficiale. Misure preventive come la protezione degli arti con

materiale impermeabile aiutano ad evitare questo problema. In caso di contaminazione

intorno all’area di interesse schermare e/o pulire strofinando e sciacquare l’area migliora

notevolmente l’immagine.

Attività vescicale

La principale via di escrezione del 99mTc MDP è rappresentata dall’apparato urinario.

L’accumulo del radiofarmaco nella vescica può causare artefatti nell’immagine scintigrafica,

fino a renderla non diagnostica. Per evitare questo inconveniente una misura comune è il

ricorso alla somministrazione di un diuretico circa un’ora prima dell’acquisizione delle

immagini, per fare in modo che il cavallo si presenti all’esame con la vescica quanto più vuota

possibile. Se al momento dell’esame la vescica è ancora piena il cavallo dovrebbe essere

riportato nel box e l’acquisizione delle immagini dovrebbe essere rimandata finché non abbia

urinato.

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La ripresa di proiezioni multiple e l’utilizzo di uno schermo per la vescica aiutano a

migliorare la qualità dell’immagine e a risolvere eventuali dubbi.

Molti degli artefatti causati dalla vescica si rilevano a sinistra poiché la vescica tende a

situarsi leggermente a sinistra rispetto alla linea mediana (www.cal.vet.upenn.edu).

Atrofia muscolare

Una diminuzione nella massa della muscolatura locale nella regione glutea per il mancato uso

dovuto al dolore può causare minore attenuazione e maggiore assorbimento dei fotoni a

questo livello.

Movimento

Per acquisire un’immagine che sia diagnostica senza correzione del movimento solitamente

sono necessari da 30 secondi a 2 minuti per accumulare conteggi sufficienti. Se il cavallo

dovesse spostare il suo peso o ondeggiare durante l’acquisizione le immagini risulterebbero

distorte. È necessario un attento controllo della posizione del cavallo e dell’immagine durante

l’acquisizione per assicurare un’immagine chiara e impedire immagini offuscate o artefatti.

Tiroide

La captazione di attività da parte della tiroide durante una scintigrafia ossea è dovuta

principalmente alla presenza di 99mTc pertecnetato libero, non legato, circolante nel sangue.

Stravaso del radiofarmaco

Il 99mTc MDP può accidentalmente essere iniettato o infiltrarsi nello spazio perivascolare

circostante la vena giugulare. Il radiofarmaco presente nello spazio perivascolare può

gocciolare e cadere al livello della parte prossimale del femore provocando un artefatto e una

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potenziale interpretazione falsa positiva se non viene acquisita una proiezione

anteroposteriore.

La captazione dell’isotopo da parte dei linfonodi regionali può creare intensi artefatti

focalizzati.

La presenza di una quantità significativa di 99mTc nello spazio perivascolare può determinare

immagini non diagnostiche nell’esame di collo e spalla.

Tessuti molli

Ci possono essere incidentali riscontri di captazione del radioisotopo nei tessuti molli.

Confronto con altre tecniche

In passato, l’esame clinico era integrato unicamente dalla radiologia. Ancora oggi un accurato

e completo esame clinico, integrato da anestesie diagnostiche ed esami radiografici ed

ecografici forniscono informazioni sufficienti a raggiungere una diagnosi corretta nella

maggior parte delle patologie ortopediche nei cavalli sportivi (Hinchcliff et al 2004, Nowak

1996, O’Callaghan 1991, Seeherman et al 1990). Nei casi dubbi l’indicazione decisiva per

emettere una giusta diagnosi può venire dal ricorso alle tecniche di diagnostica per immagini

più complesse quali scintigrafia, TC e risonanza magnetica (Chambers et al 1995, Hinchcliff

et al 2004, O’Callaghan 1991, Seeherman et al 1990). Queste tecniche migliorano la capacità

di emettere diagnosi accurate fornendo, ciascuna di esse, informazioni specifiche e in genere

complementari.

La radiologia è la tecnica di diagnostica per immagini più utilizzata per la valutazione del

cavallo in riferimento a patologie ortopediche che causano zoppia (Turner 2001) e rimane la

tecnica di riferimento per la visualizzazione dell’osso.

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L’insufficiente capacità della radiografia di delineare le alterazioni della cartilagine articolare

è stata compensata dalla diffusione dell’artroscopia diagnostica ma le indagini radiografiche

restano di importanza critica per l’identificazione di fratture e altre alterazioni ossee.

Uno dei limiti dell’immagine radiografica è che essa fornisce solo informazioni strutturali, ed

alcune modificazioni strutturali sono visibili solo alcune settimane dopo l’inizio del processo

di malattia. Altro limite è rappresentato dalla difficoltà di determinare se un’alterazione

strutturale identificata su una radiografia sia espressione di un processo attivo o di

modificazioni non recenti e perciò prive di importanza clinica attuale (O’Callaghan 1991).

Anche l’uso dell’ecografia ha contribuito a migliorare le capacità diagnostiche nell’ambito

dell’ortopedia equina (Seeherman et al 1990). Questa metodica infatti si è dimostrata utile per

l’esame di numerosi problemi dell’arto equino, migliorando significativamente la diagnosi e

la gestione di molti tipi di lesioni muscolotendinee nei cavalli sportivi (Redding 2001). La

diagnostica ultrasonografica è estremamente preziosa per la valutazione di lesioni dei tessuti

molli, specialmente a livello di tendini, legamenti e muscoli (O’Callaghan 1991, Seeherman et

al 1990, Turner 2001). In particolare l’ecografia viene impiegata come esame di routine per

identificare e monitorare lesioni dei tendini flessori e dell’apparato sospensore (Redding

2001). Inoltre può essere usata anche per valutare diverse condizioni articolari (Redding 2001,

Turner 2001). Per le sue caratteristiche risulta quindi complementare all’indagine radiografica

(Turner 2001).

Gli specifici vantaggi che la scintigrafia ossea presenta rispetto alle altre tecniche di

diagnostica per immagini sono diversi. Questa metodica ha il pregio di permettere l'esame

completo di tutti i distretti scheletrici del cavallo senza anestesia generale, in tempo

relativamente breve, con bassa irradiazione e con elevata sensibilità diagnostica, rilevando

lesioni che non potrebbero altrimenti essere identificate (Hinchcliff et al 2004, Hoskinson

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2001, Turner 2001). Le tecniche di imaging radionuclidico permettono di studiare tutto il

corpo, fatta eccezione per le strutture profonde come la sinfisi pelvica.

Il vantaggio principale della scintigrafia ossea è rappresentato dalla sua elevata sensibilità.

Infatti, essendo in grado di riconoscere le alterazioni funzionali dell’osso che, nella maggior

parte dei casi, precedono quelle strutturali, permette spesso l’esatta localizzazione e il

rilevamento precoce delle lesioni ossee. È possibile quindi in molti casi una anticipazione

della diagnosi rispetto al rilievo radiografico. Questo perché alterazioni dipendenti da

modificazioni del contenuto minerale dell’osso diventano radiograficamente evidenti quando

tale variazione raggiunge valori di almeno il 30-40% (Chambers et al 1995, Hinchcliff et al

2004, Walmsley 1995), mentre la scintigrafia può rilevare alterazioni nella captazione e

distribuzione del radiofarmaco, dipendenti da alterazione del turnover osseo, anche quando la

loro entità sia modesta (circa il 2%).

La diagnostica radionuclidica consente anche di valutare l’attività di lesioni rilevate

radiograficamente, integrando e completando dunque i risultati dell’esame radiologico.

Modificazioni radiografiche che appaiono scintigraficamente attive sono probabilmente

clinicamente significative mentre riscontri radiografici non associati ad aumentato

metabolismo osseo rappresentano una lesione non attiva (cronica o guarita) (Weaver et al

1999).

Rispetto alle altre metodiche di diagnostica per immagini le immagini medico-nucleari sono

quindi molto più ricche di informazioni funzionali ma sono caratterizzate da un dettaglio

morfologico inferiore.

La metodica è, quindi, poco specifica, poiché qualunque patologia in grado di indurre un

aumento dell'attività osteoblastica provoca un'iperconcentrazione del radiofarmaco; non tutte

le aree di ipercaptazione sono necessariamente associate a dolore (falso positivo) (Hinchcliff

et al 2004, Weaver 1995).

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Altri limiti delle indagini medico-nucleari sono la bassa sensibilità alle lesioni dei tessuti

molli, sebbene si possa osservare talvolta l’accidentale captazione del radioisotopo nei tendini

o nei muscoli scheletrici danneggiati, e la sensibilità abbastanza scarsa nei confronti di

problemi osteoarticolari cronici. Per cui è probabile che aree sede di dolore cronico non

presentino captazione significativa del radiofarmaco, pur avendo significato clinico (falso

negativo) (Hinchcliff et al 2004).

Tra i vantaggi non trascurabili sono la relativa semplicità di esecuzione e la non invasività.

L'esecuzione dell'esame non provoca dolore e non esiste rilevante pericolo derivante dal

transito dell’isotopo nell’organismo, perché le dosi e l’attività delle radiazioni impiegate, sono

minime. Infatti la dose di irradiazione ricevuta dall'osso e dal midollo osseo è bassa, così

come quella ricevuta dai reni, dalle gonadi e dal corpo. La dose alla vescica è sensibilmente

più alta, essendo il radiofarmaco escreto con l’urina, ma si mantiene entro limiti ampiamente

accettabili, soprattutto se si somministra un diuretico per accelerarne l’eliminazione (Nowak

1996, Rantanen 1996).

L'indagine è priva di significativi effetti collaterali e, negli ormai molti anni di impiego

clinico, si sono osservati solo rarissimi casi di reazioni allergiche provocate dai radiofarmaci

comunemente impiegati per la scintigrafia ossea.

La tomografia computerizzata (TC) non è comunemente disponibile presso tutte le cliniche

equine. Tuttavia quando viene utilizzata accresce notevolmente il dettaglio delle informazioni

morfostrutturali delle lesioni ossee presenti a livello osteoarticolare (Turner 2001).

A causa del limitato accesso del corpo del cavallo alle apparecchiature disponibili (progettate

per l’uomo) la TC può essere utilizzata solo per lo studio del cranio e degli arti.

La capacità di questa tecnica di rilevare sottili differenze nell’assorbimento dei raggi X nei

tessuti e la manipolazione della scala dei grigi forniscono una migliore differenziazione dei

tessuti molli rispetto alla radiografia convenzionale. Le immagini possono essere visualizzate

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in maniera selettiva mettendo in evidenza le strutture ossee o i tessuti molli. Ma il vantaggio

principale di questa tecnica è probabilmente la possibilità di isolare la lesione senza

sovrapposizione di altri tessuti, che permette il rilevamento anche di piccole lesioni che

possono non essere raggiunte con la scintigrafia o la radiologia (Hinchcliff et al 2004,

O’Callaghan 1991).

La TC fornisce una buona visualizzazione di ossa e articolazioni e un’eccellente

rappresentazione spaziale delle fratture. Forma e contorno dell’osso sono visualizzati con

estrema precisione.

Questa metodica diagnostica può anche fornire notizie utili sui tessuti molli, specialmente nel

piede, dove possono essere identificate lesioni coinvolgenti il tendine flessore profondo del

dito (Hinchcliff et al 2004).

La risonanza magnetica rappresenta la tecnica di riferimento in ortopedia e medicina

sportiva umana per lo studio dei tessuti molli dell’apparato locomotore. Questa tecnica si basa

sull’analisi delle proprietà magnetiche dei tessuti. Fornisce eccellenti informazioni

anatomiche sulle sezioni dei diversi piani del corpo e permette l’identificazione di piccole

lesioni, evitando la sovrapposizione dei tessuti superficiali sugli strati profondi (Hinchcliff et

al 2004).

Tuttavia al momento attuale la tecnica è limitata sia dalla scarsa diffusione delle

apparecchiature in ambito veterinario, sia dalle caratteristiche costruttive delle

apparecchiature che limitano notevolmente l’accesso al cavallo (Hinchcliff et al 2004, Turner

2001). La procedura richiede l’anestesia generale del cavallo e tempi relativamente lungo. Il

costo e la gestione dell’attrezzatura sono impegnativi e, soprattutto, l’esame attualmente è

limitato alle parti distali ed intermedie degli arti (dal piede al carpo/tarso) alla testa e alla parte

craniale del collo nel cavallo adulto (Hinchcliff et al 2004).

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La risonanza magnetica è sensibile anche per l’identificazione delle lesioni ossee e permette la

diagnosi di sclerosi e osteolisi, ma anche di fratture lineari e fratture da stress, oltre che

dell’edema midollare conseguente a lesioni traumatiche (Hinchcliff et al 2004).

È inoltre una metodica che presenta significative potenzialità diagnostiche nei casi di

patologie articolari degenerative nel cavallo (Martinelli et al 1996). Nella diagnosi delle

patologie articolari è stato dimostrato in arti di cadaveri equini che questa tecnica fornisce

informazioni circa l’integrità e lo stato patologico della cartilagine articolare. È la sola tecnica

di diagnostica per immagini che permette il rilevamento della degenerazione precoce e

limitata della cartilagine (Hinchcliff et al 2004).

La risonanza magnetica è utilizzabile anche per la diagnosi di lesioni acute e croniche di

tendini e legamenti (Hinchcliff et al 2004), dove peraltro l’ecografia resta la tecnica di

riferimento.

La sua capacità di acquisire immagini in ogni piano aumenta considerevolmente la sua

sensibilità. La capacità di documentare la lesione secondo piani multipli rappresenta un

ulteriore vantaggio rispetto alle altre tecniche diagnostiche (Hinchcliff et al 2004).

In conclusione, la chiave per arrivare alla giusta diagnosi in casi di difficile valutazione è

sapere come combinare i vantaggi delle diverse tecniche di diagnostica per immagini con le

radiografie convenzionali (O’Callaghan 1991).

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Indagini scintigrafiche integrative: localizzazione di processi infiammatori

con indicatori positivi

Altre indicazioni per la scintigrafia includono la localizzazione di siti di infezione e

infiammazione (Hoskinson 2001).

La precoce diagnosi e localizzazione dei processi infiammatori e infettivi negli equini, come

in tutte le specie, può essere difficile (Dyson et al 2003, Long et al 2000). Le tecniche di

imaging applicabili alla diagnosi di siti di infezione o infiammazione comprendono

radiografia ed ecografia, che però richiedono grossi cambiamenti morfologici che possono

non essere valutabili al momento dell’esame. L’esame scintigrafico invece può rivelarsi

estremamente sensibile al rilevamento di processi infiammatori e infettivi poiché la metodica

si basa sulla radiomarcatura di componenti ematiche che partecipano al processo

infiammatorio (Dyson et al 2003, Long et al 2000). Infatti i rilievi della scintigrafia trifasica

con 99mTc MDP non sono specifici ma, poiché una delle principali risposte fisiologiche alla

infiammazione è la migrazione di leucociti nel sito interessato, leucociti autologhi marcati con

radioisotopi possono essere utilizzati non solo per individuare o confermare una lesione di

natura infiammatoria ma anche per valutarne l’attività e la progressione (Long et al 2000).

Attualmente sono due i radiofarmaci che possono essere utilizzati per la marcatura dei globuli

bianchi, 111Indio 8 idrossichinolina e 99mTc HMPAO (Dyson et al 2003, Long et al 2000,

Peters 1995).

Il 99mTc HMPAO ha migliori caratteristiche di imaging ma non è stabile nelle cellule quanto il

111In. Questo è quasi ideale per studi sulla cinetica cellulare e specialmente quando sia

necessaria una valutazione tardiva (fino a 48 ore), ma d’altra parte, a causa della lunga

emivita di 67 ore, la dose che può essere somministrata al paziente è minore e il tempo di

isolamento necessario dopo l’iniezione è maggiore (Long et al 2000, Peters 1995).

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La scintigrafia con leucociti radiomarcati può essere utilizzata per indagare diverse condizioni

infiammatorie quali osteomieliti acute e croniche, ascessi intraaddominali, patologie

infiammatorie dell’intestino, discospondiliti, febbre di origine sconosciuta, pielonefriti e

processi settici (Long et al 2000, Weaver 1995).

A causa dei problemi connessi alla manipolazione e radiomarcatura del sangue autologo si è

sviluppata un’intensa ricerca di agenti alternativi per la valutazione dei processi infiammatori.

Alcuni di questi sono anticorpi monoclonali antigranulociti, immunoglobulina umana

policlonale (99mTc HIG), peptidi chemiotattici, 99mTc destrano, 99mTc citrato, 99mTc

interleuchina 8 e 99mTc ciprofloxacina (Dyson et al 2003, Peters 1995).

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RADIOPROTEZIONE

La scintigrafia deve essere considerata una tecnica diagnostica non invasiva, con rischi

minimi per il paziente e il personale. Tuttavia esistono rischi potenziali dovuti alle radiazioni

di cui chiunque sia coinvolto nell’esecuzione di un esame scintigrafico dovrebbe essere

consapevole (Voute et al 1995).

La radioattività somministrata ai cavalli (1-7 GBq) è maggiore rispetto a quella utilizzata

nell’uomo (600 MBq) e l’attività escreta è molto più elevata negli equini che nei pazienti

umani (Whitelock 1997, Baixeras et al 2004). Inoltre l’applicazione di questa metodica

nell’ambito della clinica equina comporta un maggiore rischio di contaminazione durante la

somministrazione dei radionuclidi, così come dall’urina e dalle feci (Whitelock 1997).

Tutte le attività che comportano l'impiego di radiazioni ionizzanti possono essere rischiose per

la salute dei pazienti e degli operatori, perciò devono essere disciplinate da specifiche norme

di radioprotezione. Tali norme sono discusse a livello internazionale da gruppi di esperti che

costituiscono la Commissione Internazionale di Radioprotezione (ICRP, International

Commission for Radiological Protection). Questa fissa delle linee guida tecniche a cui i vari

stati si uniformano, emanando leggi che stabiliscono gli adempimenti necessari per realizzare

di fatto la radioprotezione (ENEA 1999).

In Italia le norme di radioprotezione sono dettate dal D.Lgs. 230/95 “Attuazione delle

direttive Euratom 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni

ionizzanti.”, modificato dal D.Lgs. 241/2000 e dal D.Lgs. 257/2001 e da una serie di

disposizioni applicative ministeriali.

I principi di giustificazione, di ottimizzazione e di limitazione delle dosi costituiscono il

fondamento della radioprotezione.

In base al principio di giustificazione le attività che comportano esposizione alle radiazioni

ionizzanti devono essere preventivamente giustificate e periodicamente riconsiderate alla luce

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dei benefici che derivano da esse. Il principio di giustificazione è generalmente soddisfatto

quando si parla di uso delle radiazioni a scopo diagnostico e terapeutico.

Il principio di ottimizzazione stabilisce che le esposizioni a radiazioni ionizzanti devono

essere mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile (principio ALARA= As Low

As Reasonably Achievable).

Secondo il principio di limitazione del rischio individuale la somma delle dosi ricevute non

deve superare i limiti prescritti (ENEA 1999).

In ogni ambiente in cui vengono impiegate radiazioni ionizzanti dovrebbe esistere un

regolamento interno che stabilisce le modalità di esecuzione delle attività lavorative di quel

settore al fine di ottimizzare la radioprotezione. Quindi in strutture dove si applicano tecniche

di imaging radionuclidico questo regolamento dovrebbe specificare le procedure da seguire

durante la somministrazione del radiofarmaco e per la gestione del cavallo dopo l’iniezione

del radionuclide e della sua lettiera durante l’esame scintigrafico (Voute et al 1995).

L’applicazione di queste norme consente di limitare l’esposizione alle radiazioni del

personale.

Gli ambienti di lavoro dove si trovano sorgenti di radiazioni ionizzanti e in cui il lavoratore è

tenuto a rispettare un regolamento interno di radioprotezione sono definite zone classificate.

Le zone classificate si dividono in zone controllate e in zone sorvegliate. La differenza fra le

due zone è determinata dalla diversa entità dell'esposizione al rischio di radiazioni ionizzanti

(ENEA 1999).

Nella Medicina Nucleare Veterinaria la radioprotezione del personale dovrebbe essere la

preoccupazione principale e tutto il personale dovrebbe indossare dosimetri così da

individuare qualunque superamento delle dosi ammissibili (Voute et al 1995).

Le sorgenti di radiazioni ionizzanti negli esami di Medicina Nucleare negli equini sono

costituite dal radiofarmaco, dal cavallo dopo l’iniezione del radiofarmaco e dai rifiuti

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radioattivi (Voute et al 1995, Baixeras et al 2004). Questi ultimi provengono dagli escreti del

cavallo, dal radiofarmaco non utilizzato, da aghi e siringhe usati per la somministrazione,

dalla contaminazione di indumenti protettivi. Poiché il 99mTc viene rapidamente escreto con

l’urina, solo l’urina prodotta dopo la somministrazione del radionuclide e la lettiera

contaminata dal questa sono sorgenti di radiazioni. Solo una piccola quantità di 99mTc viene

escreta con le feci (Voute et al 1995).

Tutte le sorgenti di radiazioni dovrebbero essere chiaramente identificate come tali.

I pericoli per il personale derivano dall’esposizione esterna, dalla contaminazione superficiale

e dall’ingestione conseguente alla contaminazione delle mani (Voute et al 1995, Whitelock

1997).

L'ottimizzazione e la limitazione delle dosi alle persone che lavorano con radiazioni ionizzanti

avviene mediante tre mezzi che sono: il tempo, la distanza e la schermatura (barriere).

L’esposizione alle radiazioni viene ridotta limitando il tempo di permanenza in vicinanza di

sorgenti radioattive. Aumentando la distanza da queste è minore la quantità di radiazione che

arriva su una certa superficie. Le schermature sono dispositivi che vengono difficilmente

attraversati dalle radiazioni, possono essere fisse o mobili e dovrebbero essere usate ogni

volta che sia possibile.

I muri che circondano le sale contenenti sorgenti radiogene costituiscono spesso una

schermatura sufficiente per la protezione degli ambienti circostanti ma se necessario è

possibile aggiungere alle pareti una ulteriore schermatura mediante pannelli di piombo. Esiste

inoltre una grande varietà di schermature di varie forme e dimensioni utili al personale che

lavora con le radiazioni. Esempi di queste sono i grembiuli e i guanti in materiale piombifero

e le paratie mobili.

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Figura 58. Guanti e camice piombati (da Nardi S. (2000 ) “La scintigrafia ossea nel cavallo sportivo. Testo informativo e preliminare alle immagini sequenziali.”).

L’esame clinico dovrebbe essere condotto prima dell’iniezione del radiofarmaco o almeno 16

ore dopo questa, quando la radioattività del cavallo sia decaduta ad un livello accettabile

(Voute et al 1995, Whitelock 1997). Idealmente la radioattività del cavallo dovrebbe essere

controllata usando un contatore portatile come un contatore Geiger-Müller.

Il cavallo dovrebbe essere confinato nel suo box, che diventa così un’area controllata, tranne

che durante la procedura di registrazione delle immagini (Baixeras et al 2004, Voute et al

1995). Dal momento dell’inoculazione del farmaco il box dovrebbe essere provvisto di un

cartello di pericolo di radiazione, il tempo che il personale passa nel box deve essere

assolutamente limitato e la lettiera non viene rinnovata fino al pieno decadimento del Tc 99m

in essa contenuto (Nardi 2000, Voute et al 1995). Quando viene rimosso il cartello di pericolo

la lettiera è trattata come un normale rifiuto di scuderia (Nardi 2000).

Si dovrebbero usare schermi per le siringhe e anche le fiale contenenti il radiofarmaco

dovrebbero essere tenute in un contenitore schermato (Baixeras et al 2004, Voute et al 1995).

Figura 59. Schermi per siringhe e fiale (da Nardi S. (2000 ) “La scintigrafia ossea nel cavallo sportivo. Testo informativo e preliminare alle immagini sequenziali.”).

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Nel caso di attività lavorative che impiegano radioisotopi, oltre ai pericoli legati alle azioni a

distanza delle radiazioni ionizzanti sussistono pericoli legati alla possibilità di

contaminazione. E' possibile che del materiale radioattivo, anche in piccole quantità, sfugga al

controllo e cada sul pavimento, sui guanti dell'operatore, sul camice o su altri oggetti. Una

contaminazione può essere dannosa, sia per l'azione ravvicinata della sorgente, sia perché

parte del materiale contaminante può essere introdotto all'interno dell'organismo e irradiare

particolari organi interni in cui il materiale può andare ad accumularsi.

Il rischio maggiore per il personale deriva dell’urina radioattiva piuttosto che dal cavallo.

Questo è dovuto al fatto che il cavallo può urinare durante l’esecuzione dell’esame e schizzi

di urina possono arrivare anche ad una certa distanza (Whitelock 1997).

Per questo motivo è consigliabile proteggere i vestiti indossando un grembiule o un camice e

indossare stivali di gomma o stivali di plastica monouso quando si entra nel box del cavallo e

durante le procedure di acquisizione delle immagini per impedire la contaminazione da urina

(Voute et al 1995, Whitelock 1997).

Altri accorgimenti che aiutano ad impedire la contaminazione del personale sono l’utilizzo di

guanti quando si maneggiano il radiofarmaco e i rifiuti radioattivi, proibire di mangiare e bere

quando si maneggiano radiofarmaci o rifiuti radioattivi, non maneggiare la lettiera del cavallo

per almeno 45 (Voute et al 1995, Whitelock 1997)- 72 ore (Attenburrow 1989, Baixeras et al

2004) e comunque fino al momento in cui la radioattività raggiunge livelli consentiti per

l’eliminazione come rifiuti ordinari (Baixeras et al 2004, Voute et al 1995).

Ci sono tre possibili modi di affrontare il problema della minzione fuori dal box. Uno è

lasciare l’urina dove si trova e dichiarare la zona area controllata finché questa sia decaduta ad

un livello accettabile. Un altro è raccogliere l’urina con un secchio (Baixeras et al 2004) o con

materiale assorbente che poi viene trattato come rifiuto contaminato. Il terzo consiste nel

raccogliere l’urina in apposite vasche poste al di sotto del locale dove avviene l’esame fino al

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suo decadimento e successivamente smaltirla come rifiuto normale (Baixeras et al 2004,

Whitelock 1997). La legislazione vigente per l'allontanamento dei rifiuti radioattivi non

richiede autorizzazione allo smaltimento di rifiuti o materiali che contengono radionuclidi con

tempi di dimezzamento fisico minore o uguale a settantacinque giorni o in concentrazione

minore di 1 Bq/g.

Figura 60. Vasca per la raccolta dei rifiuti radioattivi situata sotto il locale per l’esecuzione

dell’esame scintigrafico (da Baixeras C., Pérez F., Argüelles D. 2004).

In caso di avvenuta contaminazione bisogna innanzitutto cercare di evitarne la diffusione.

I rifiuti devono essere posti in un contenitore piombato e chiaramente indicato come

radioattivo. Il 99mTc ha una breve emivita e la radioattività dopo 24 ore è solitamente decaduta

a livelli sufficienti perché i rifiuti possano essere eliminati con altri rifiuti clinici. Se c’è

qualche dubbio circa il livello di radioattività dei rifiuti è possibile misurarne l’attività prima

di eliminarli (Voute et al 1995).

Il box e il locale usato per il rilevamento delle immagini scintigrafiche devono essere indicati

come aree controllate e chiaramente segnalati quando in uso. Le fiale di radiofarmaco

dovrebbero essere tenute in un contenitore schermato e il radiofarmaco dovrebbe essere

prelevato in una siringa schermata, sopra un vassoio, nel box del cavallo. Si dovrebbero

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indossare guanti di lattice monouso, stivali di plastica monouso. Aghi e siringhe usati e

radiofarmaco non usato dovrebbero essere posti in un contenitore di rifiuti schermato. La

stanza, o un apposito armadio, contenete i rifiuti schermati dovrebbe essere tenuta chiusa a

chiave.

L’accesso al box dovrebbe essere limitato esclusivamente ai compiti essenziali, cioè rifornire

il cavallo di acqua e cibo, per le 48 ore successive alla somministrazione del 99mTc MDP.

Quando si entra nel box si dovrebbero indossare stivali di plastica ed essere provvisti di

dosimetri.

Durante la procedura di acquisizione delle immagini si dovrebbero indossare grembiuli e

stivali monouso.

I cavalli non dovrebbero essere dimessi né ulteriori esami dovrebbero essere condotti su di

essi finché non siano trascorse almeno 16 ore dalla somministrazione del radiofarmaco (Voute

et al 1995).

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La diagnostica per immagini delle patologie muscoloscheletriche degli equini è in continua

evoluzione.

Le modalità di esame disponibili per i pazienti equini sono diverse perciò è essenziale un loro

impiego razionale. La combinazione di diverse tecniche consente una migliore

documentazione delle patologie muscoloscheletriche aumentando la conoscenza dei processi

patologici e consentendo di stabilire interventi terapeutici più efficaci. Un aspetto importante

della diagnostica per immagini negli equini è quindi quello di stabilire i protocolli diagnostici

più adeguati agli specifici problemi clinici, per raggiungere una diagnosi corretta con le

tecniche più appropriate.

In quest’ambito la scintigrafia ossea, nonostante lo sviluppo di nuove tecniche, ha

ampiamente dimostrato la sua validità come ausilio diagnostico importante nell’indagine della

zoppia del cavallo, anche se non è ancora tra i metodi d’indagine più diffusi nel campo

dell’ortopedia equina per motivi di disponibilità.

A limitarne la diffusione contribuiscono il costo di acquisto e gestione delle apparecchiature

(gammacamera e rilevatori di radiazioni), quelli per assicurare il rigoroso rispetto delle

norme di radioprotezione, la necessità di destinare locali esclusivamente a questa procedura di

diagnostica per immagini e di ricoverare gli animali dopo l’esame.

Non bisogna dimenticare inoltre che, per quanto costituisca una parte importante dell’esame

ortopedico, l’indagine scintigrafica non può sostituire un accurato esame clinico ed è spesso

di limitato valore se non impiegata in combinazione con altre tecniche diagnostiche.

Tuttavia, considerata la sensibilità del metodo scintigrafico e la tempestività della diagnosi

che esso consente, questa tecnica merita sicuramente ampia diffusione nell’ambito della

Medicina Veterinaria, soprattutto nella clinica ortopedica del cavallo sportivo, ed è opportuno

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che tutti gli operatori del settore veterinario equino siano bene informati sulla sua esistenza e

sulle sue possibili applicazioni nella diagnosi delle affezioni muscoloscheletriche del cavallo.

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