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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, GIURIDICHE E STUDI INTERNAZIONALI Corso di laurea Specialistica in Politica Internazionale e Diplomazia ALLE ORIGINI DI UN MONDO BIPOLARE. DALLA CRISI DELLA COMMISSIONE DI CONTROLLO ALLEATA AL PONTE AEREO SU BERLINO (1948-49) Relatore: Prof. ANTONIO VARSORI Laureando: FRANCESCO ALESSI matricola N. 568385/PID A.A. 2014/2015

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, GIURIDICHE E STUDI INTERNAZIONALI

Corso di laurea Specialistica in Politica Internazionale e Diplomazia

ALLE ORIGINI DI UN MONDO BIPOLARE.

DALLA CRISI DELLA COMMISSIONE DI

CONTROLLO ALLEATA AL PONTE AEREO SU

BERLINO (1948-49)

Relatore: Prof. ANTONIO VARSORI

Laureando: FRANCESCO ALESSI matricola N. 568385/PID

A.A. 2014/2015

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S O M M A R I O

INTRODUZIONE 5

Parte prima

SEGNALI DI CRISI CAPITOLO 1 LA ROTTURA DEL QUADRIPARTITO 13 1.1. La difficile ricerca di una soluzione politica 13 1.1.1. Gli alleati a Berlino 13 1.1.2. Segnali di crisi. La Bizona e le resistenze degli alleati 13 1.1.3. I rapporti fra gli alleati sulla stampa e sugli altri media americani e sovietici 14 1.2. La progressiva perdita di autorevolezza del Consiglio di Controllo alleato 14 1.3. La riforma finanziaria 15 1.4. Le questioni di natura ideologica 17 1.4.1 Il «kulturbund » 17 1.5. Una pace duratura? 18 1.6. Primi tentativi di governo della Germania su base tripartita 19 1.6.1. Tentativi di dialogo con i sovietici per una riforma monetaria condivisa 19 1.6.2. Il cablogramma Draper. Gli Stati Uniti di fronte all’evidenza della spaccatura

con i sovietici 20 1.7. La questione ideologica 21 1.7.1. Le accuse dei sovietici agli occidentali 22 1.8. «Tripartito» e «Quadripartito». Prove di convivenza 23 1.9. Verso il blocco della città 23 CAPITOLO 2 LA GENESI DELLE TENSIONI EST-OVEST 25 2.1. Una narrazione «germanocentrica » 26 2.2. “Est/Ovest” – confine e tensioni 26 2.3. Una narrazione “di parte” 28 2.4. “Est/Ovest” – confine e schieramenti 28 2.5. Accondiscendenza degli occidentali verso l’alleato sovietico 29 2.6. “Est/Ovest” – definizione concettuale 31 2.7. L’Unione Sovietica 31 2.8. Gli Stati Uniti d’America 32 2.9. “Est/Ovest” – convergenza dei due poli 32 2.10. Gli Stati Uniti dalla “porta aperta” alla sicurezza globale 33 2.11. Il “fascino” della democrazia 35 2.12. Ricostruire. Cosa? 35 2.12.1. Dopoguerra e distruzione in Europa 35 2.12.2. Conseguenze della guerra nelle nazioni sconfitte 37 2.12.3. Conseguenze della guerra nelle nazioni vincitrici 37 2.12.4. Stati Uniti e Unione Sovietica, un duopolio inevitabile 38 2.13. Ricostruire. Diversità di approcci 38 2.13.1. La ricostruzione. Approcci psicologici differenti 38

CAPITOLO 3 USA E URSS ALLA PROVA DELLA DEMOCRAZIA 41 3.1 Democrazie “liberali” e democrazie “autoritarie” 41 3.2 Gli accordi di Potsdam 41 3.3 La questione delle “riparazioni” – diversità di vedute 42 3.3.1. La visione francese e quella anglo-americana circa le“riparazioni”tedesche 43

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3.3.2. L’idea di una «bizona » in Germania 43 3.4. Una particolare attitudine al fare 44 3.5. Il senso dei sovietici per la democrazia 44 3.5.1. Stalin, “dittatore insicuro” 45 3.6. Lo stallo nelle relazioni USA-URSS 46 3.6.1. La prova fra i due contendenti sul fronte “sud” 47 3.6.2. La logica degli schieramenti contrapposti 48 3.7. Maggiore efficacia della politica internazionale degli Stati Uniti rispetto

a quella dell’Unione Sovietica 49

CAPITOLO 4 L’EVOLUZIONE DELLE RELAZIONI INTERALLEATE 53 4.1. Difficoltà oggettive dei rapporti fra USA e URSS 53 4.2. Subordinazione degli alleati occidentali agli Stati Uniti 53 4.2.1. I timori dei francesi e le rassicurazioni statunitensi 54 4.2.2. Le differenze tra la Gran Bretagna e la Francia nel rapporto con gli Stati Uniti 55 4.2.3. L’unità di vedute anglo-americana 56 4.2.4. La «special relationship» fra Stati Uniti e Gran Bretagna 58 4.3. I rischi di una apertura nel fronte sud 58 4.4. La “Dottrina Truman” 59 4.4.1. Il «containment » 61 4.5. Le difficoltà di intavolare nuovamente i negoziati fra le potenze 61 4.6. La questione tedesca 61 4.7. Le relazioni interalleate dall’impasse decisionale al varo del “Piano Marshall” 63

Parte seconda IL PONTE

CAPITOLO 5 L’EVOLUZIONE DELLE RELAZIONI BILATERALI 67 5.1. Il ponte aereo, volano per la ripresa economica tedesca 67 5.2. L’annosa questione delle riparazioni e l’unificazione delle zone anglo-americane 67 5.3. La conferenza di Mosca e la rottura aperta fra i due principali protagonisti

della guerra fredda 68 5.4. L’avvento del “tripartito” 68 5.4.1. Il Consiglio di Controllo alleato, “a defunct organization” 69 5.5. Le relazioni interalleate nella primavera del 1948 70 5.5.1. La Gran Bretagna, “più realista del re” 70 5.6. Attualità della riforma monetaria 71 5.7. Differenze circa ruolo e “natura” degli alleati 72 5.8. La posizione sovietica di totale rifiuto di ogni collaborazione con gli occidentali 73 5.9. L’evoluzione delle relazioni bilaterali a ridosso del blocco di Berlino 75 5.10. Ultimi preparativi prima della riforma monetaria in Germania 76 5.11. La seduta del Consiglio di Controllo alleato del 16 giugno 1948, l’atto finale del

“quadripartito” 77 5.12. L’avvento del blocco, 18 giugno 1948 78 5.12.1. La reazione alleata 79 5.13. Il ruolo della kommandatura. nella riforma monetaria 80 5.14. Le reazioni al blocco e alla questione della moneta 81 5.14.1. Atteggiamento dei sovietici nei primi giorni del blocco 81 5.14.2. Atteggiamento ambiguo dei francesi 81 5.14.3. Proposte di un “accordo di libero scambio” con i sovietici 82 5.15. Un ponte aereo verso la città assediata 83

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5.15.1 Contromisure alleate: l’avvio del ponte aereo 85 5.15.2 Le relazioni fra gli angloamericani e i francesi a ridosso del blocco 89 5.15.3 Le relazioni interalleate “tripartite” 90 5.16. Effetti del blocco nelle relazioni bipolari fra Stati Uniti e alleati occidentali

e Unione Sovietica 92 5.16.1. Tentativi di dialogo fra Gran Bretagna e Unione Sovietica 93 5.16.2. Problematicità dell’accordo con i francesi 94 5.17. Il “diritto” degli alleati di permanere a Berlino e in Germania 95 5.18. Difficoltà sorte sulla questione del blocco di Berlino all’interno del Consiglio dei

Ministri degli Esteri 95 5.18.1. I francesi tornano sulla proposta di accordi quadripartiti con la partecipazione

dell’URSS 96 5.18.2. Ruolo maggiormente “attivo” da parte degli angloamericani rispetto ai francesi 97 5.19. Le discussioni intorno alla questione economica e monetaria fra gli alleati occ… 97 5.20. La dichiarazione ufficiale. Gli occidentali restano a Berlino 99

CAPITOLO 6 LE RAGIONI DEL PONTE 101 6.1. La rottura del quadripartito nella kommandatura 101 6.2. Disaccordo fra gli occidentali 102 6.3. La denuncia del blocco da parte occidentale e il riferimento all’articolo 33

della Carta ONU 103 6.4. Ripresa e immediata interruzione delle discussioni intorno alla questione della

riforma monetaria 104 6.4.1. Ineluttabilità del blocco 105 6.5. Le difficoltà della situazione di Berlino dalla prospettiva statunitense 106 6.5.1. Difficoltà di un ricorso alle organizzazioni internazionali 108 6.5.2. Si discute anche se lasciare Berlino 108 6.6. La “rappresentanza diplomatica” occidentale 109 6.7. L’aumento della flotta dei bombardieri 110 6.8. Le reali intenzioni dei sovietici, vere “ragioni” del ponte 111 6.8.1. L’approccio diretto con Stalin 112 6.9. La nota “Forrestal” del 28 luglio ’48 e l’implementazione del ponte aereo 112

CAPITOLO 7 LE REAZIONI DEGLI ALLEATI 113 7.1. La condivisione delle scelte fra angloamericani e francesi 113 7.2. La reale misura della contrapposizione fra sovietici e americani 113 7.3. Conseguenze degli accordi di Londra 114 7.4. L’incontro dei tre ambasciatori con Stalin, 2 agosto 1948 115 7.5. Andamento dei colloqui fra Stalin e gli occidentali 117 7.5.1. Vero ruolo dei delegati occidentali nei “negoziati” con Stalin 119 7.5.2. Impossibilità di un accordo. Infondatezza delle proposte 119 7.5.3. Le reali intenzioni di Stalin al tavolo con gli alleati 120 7.6. Il rischio di una sovietizzazione in Europa 125 7.7. La reazione dell’economia e della politica europee agli effetti benefici del piano

Marshall 125 7.8. L’inasprimento del confronto bipolare 126 7.9. Il “topos” della guerra fredda in Europa, la Germania 127 7.10. Alleanze politico-militari in Europa occidentale 128

CAPITOLO 8 LE REAZIONI DI STALIN 129 8.1. Le preoccupazioni del dittatore sovietico 129 8.1.1. Necessità di una azione che mirasse alla conquista della Germania 129

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8.1.2. La ribellione del Maresciallo Tito, “preoccupazione” di Stalin, coeva al blocco di Berlino 130

8.1.3. Interpretazione del blocco di Berlino da parte di Stalin 130 8.1.4. La questione monetaria, per Stalin occasione di scontro con gli occidentali 131 8.2. Calcoli strategici alla base del ponte aereo per Berlino 132 8.3. Effetti della chiusura di Stalin verso gli alleati occidentali 132 8.3.1. La proverbiale doppiezza di Stalin nelle relazioni bipolari 133 8.4. La preparazione di una costituzione tedesca 134 8.5. Natura “contingente” delle preoccupazioni di Stalin 135 8.5.1. Cessazione della ricerca di una rapida soluzione della crisi di Berlino da parte di Stalin..136 8.5.2. Berlino, luogo inadatto ad ogni accordo fra le parti in causa 136 8.5.3. Stalin, dittatore “insicuro” 137 8.6. Linea difensiva del dittatore 138 8.6.1. Assenza della percezione dell’elemento di novità (trasmissione della questione

all’ONU) nell’approccio sovietico alla crisi di Berlino 139 8.6.2. La preoccupazione di Stalin per il grande dispiegamento di forze da parte

occidentale su Berlino 139 8.6.3. Stalin e l’ ”investitura” dell’ambasciatore Smith quale “unico” interlocutore 140

Parte terza

LA GUERRA FREDDA IN GERMANIA E LA RICONGIUNZIONE IMPOSSIBILE FRA I DUE BLOCCHI. EST/OVEST

CAPITOLO 9 IL DIFFICILE RITORNO ALLA “NORMALITA’” 145 9.1. Le resistenze 145 9.2. Le difficoltà 145 9.3. Pregnanza della questione monetaria 146 9.4. Generale sfiducia fra gli alleati sulla ripresa di un dialogo con i sovietici 147 9.5. “Tenuta” dell’alleanza fra gli occidentali 147 CAPITOLO 10 LA RICONGIUNZIONE IMPOSSIBILE 151 10.1. “Modus operandi” nelle relazioni fra gli occidentali e Stalin 151 10.2. Berlino, agosto ’48 151 10.3. Francoforte: una nuova capitale? 153 10.4. Un “metodo” di dialogo con Stalin. Assenza di univocità 153 10.5. Un unico piano di azione 154

CAPITOLO 11 NORMALITA’ E CONFLITTO 155 11.1. La situazione di impasse e il suo superamento 155 11.2. La fine del blocco e la nascita della R.F.T. 159 11.3. Lo “sblocco” di Berlino 159 11.3.1. La questione di Berlino dopo la fine del blocco 159

CAPITOLO 12 EST E OVEST 161 12.1. Est e Ovest 161 12.1.1. Due differenti interpretazioni dei concetti di “Est” e “Ovest” 162 12.2. Riflessi europei e mondiali del blocco 162

CONCLUSIONI 163 APPENDICE 165 BIBLIOGRAFIA 177

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INTRODUZIONE

La situazione recente. La crisi ucraina

La difficile situazione creatasi recentemente (2014) in Ucraina, fra questo Paese e la

Russia di “zar” Putin, ci riporta mentalmente ad una situazione analoga che forse molti di noi

avevano rimosso.

Lo scenario politico mondiale

Per tanto tempo, esattamente per 45 anni, fra il 1945 e il 1989/90, lo scenario politico

mondiale era stato caratterizzato da una forma di accesa rivalità in campo geopolitico

internazionale, fra due attori: gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica. Questa rivalità,

venuta sempre più a scemare nel corso degli anni ’80 del secolo scorso e cessata con la “fine”

del comunismo fra il 1989 ed il 1990, sembra adesso essersi prepotentemente risvegliata nel

corso di questo ultimo anno a causa del riaccendersi delle rivalità fra i due antichi rivali, USA e

Federazione Russa, a proposito della questione ucraina.

Le difficoltà del rapporto fra Russia e Ucraina

L’Ucraina, una regione già popolata, nel periodo intorno al Congresso di Vienna (1815)

da ceppi di origine polacca, ma in cui erano già presenti popolazioni di lingua e cultura russa, da

sempre ha vissuto un rapporto problematico con il vicino, prima russo, poi sovietico, poi di

nuovo russo. Holodomor è un termine che alla maggior parte di noi non dice nulla, ma che agli

ucraini ricorda il loro, personale, olocausto: più di 7 milioni di persone, fra il 1932 ed il 1934

(quindi appena due anni) furono lasciate morire di stenti, malattie e fame dall’Unione Sovietica

di Stalin, ridotte in questo stato da una dipendenza che veniva dall’essere parte dell’ex impero

zarista, poi ereditato e convertito alla causa del “socialismo in un solo Paese”.

Il tributo di sangue

Dal canto suo, anche l’URSS aveva finito con il pagare, qualche anno dopo, un altissimo

tributo di sangue per lottare insieme agli alleati occidentali il comune nemico nazista: 26 milioni

di morti sono un numero incredibilmente alto, quasi un’ossessione, una condanna al ricordo o,

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chissà -forse - alla vendetta. Ecco che, allora, acquisisce importanza la storia delle relazioni

internazionali fra Paesi sconvolti da guerre: perché non si potrebbe capire una Ucraina che lotta

al fianco dei nazisti se non si sapesse di Holodomor, così come non si potrebbe capire la

determinazione staliniana nel considerare l’Europa ad ovest dei propri confini come il proprio

“cortile di casa” se non si partisse da quei 26 milioni di morti: 4 volte il numero dei morti

causati dall’olocausto degli Ebrei.

Oggetto dello studio attuale

Oggetto di questo studio sono, tuttavia, eventi che riguardano il periodo fra il 1948 ed il

1949 e le conseguenze che ebbero, dal momento che allora si entrò nella fase iniziale e al tempo

stesso in una delle fasi cruciali della guerra fredda, che avrebbe condizionato la genesi e lo

sviluppo di un conflitto bipolare negli anni a venire. In quegli anni, infatti, la geopolitica

mondiale non era ancora caratterizzata dalla divisione nei due blocchi contrapposti, USA e

URSS. Il problema era che USA e URSS, assieme a Gran Bretagna e Francia, avevano insieme

sconfitto il nazismo e sempre insieme avevano vissuto quegli ultimi giorni del Terzo Reich, a

Berlino, nei primi di maggio del 1945.

Truman e Stalin

Nel corso dei mesi successivi, tuttavia, si erano verificati alcuni episodi, che avrebbero

determinato un cambiamento nello scenario geopolitico mondiale: tra questi, la progressiva

perdita di fiducia del Presidente americano Harry Truman nei confronti di Stalin, prima da lui

stesso indicato come un alleato fedele e sicuro, poi, constatatane la proverbiale doppiezza,

diventato un pericoloso concorrente sul piano globale, al punto da rivendicare la supremazia

mondiale statunitense, tra le altre azioni, anche con le due bombe atomiche di Hiroshima e

Nagasaki dell’agosto 1945.

Il deterioramento dei rapporti fra USA e URSS

Segno del deterioramento dei rapporti fra i due alleati, la qual cosa ci riporta per così dire,

in medias res, in quanto relativa alla situazione in Europa Orientale, era stato il discorso

pronunciato da Churchill a Fulton il 5 marzo 1946, che faceva riferimento alla cortina di ferro

ormai calata fra USA e URSS sul confine Oder-Neisse e lungo una linea immaginaria che

andava da Trieste a Stettino. Sulla falsariga di quel discorso, si ebbero le decisioni prese dal

Congresso americano un anno dopo, nel giugno 1947, laddove si predisponeva un piano di aiuti,

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il c.d. piano Marshall, su cui si sarebbe fondata la ricostruzione dell’Europa dilaniata da un

quinquennio di guerra che aveva visto cadere milioni di vite umane e provocato immani

distruzioni.

La Germania, epicentro del duopolio

La questione della Germania si inserisce perfettamente nello scenario del duopolio USA-

URSS: ne costituisce l’ossatura, in quanto si trattava di una regione collocata perfettamente a

metà fra gli interessi dell’uno e dell’altro dei due principali contendenti rimasti sulla scena

mondiale. Ne costituisce il centro ispiratore: non fosse stato per la Germania, forse non ci

sarebbe stata la Guerra Fredda per come l’abbiamo conosciuta, cioè con forti polarizzazioni

partitico-ideologiche nei vari Paesi europei. Infine, proprio la sua peculiare storia aveva reso di

primaria importanza creare le premesse della condivisione delle ricchezze del sottosuolo tedesco

e del suo potenziale industriale, favorendo la nascita di una Comunità del Carbone e

dell’Acciaio, (CECA), nel 1952, e della CEE poi, con i Trattati di Roma del 1957.

I problemi connessi alla questione tedesca

In definitiva, risolvere la questione tedesca era di vitale importanza, proprio per fare in

modo che si delineasse meglio lo scenario internazionale post guerra; ma risolvere la questione

tedesca significava innanzitutto porre le premesse di una rinnovata questione economica che

riguardasse la Germania: non essendo più in vita il Reichsmark, abbattuto con la tragica fine del

Terzo Reich e di tutto ciò che comportava, si doveva coniare una nuova moneta che avesse

validità per l’intera Germania. Ebbene, questo non era facile, in quanto coniare una moneta che

avesse validità per tutta la Germania significava anche stabilire rapporti di cambio univoci in

tutto il territorio tedesco, che, però, era suddiviso in quattro zone di occupazione; Berlino era la

sintesi di una situazione che era relativa a tutto il territorio tedesco, suddiviso - prima ancora di

esserlo politicamente - in una zona occidentale e in una zona orientale, rispettivamente occupate

da alleati occidentali (USA, Francia e Gran Bretagna) e sovietici. A ciò va aggiunto che gli

alleati nel loro insieme (quindi - prima della rottura del “quadripartito” - compresi i Sovietici),

si trovavano d’accordo sul fatto di non fare ricadere sulla Germania la questione del debito di

guerra, errore che era stato fatto nel 1919 a Versailles, nei Trattati successivi alla fine della I^

Guerra Mondiale, da molti ritenuto una delle cause scatenanti l’irrigidimento della Germania nei

rapporti economico commerciali con la Francia e altre Nazioni “creditrici”, la fine della

Repubblica di Weimar e il contestuale avvento del nazismo. Tutto ciò sarebbe stato da evitare:

ecco perché una riforma monetaria avrebbe dovuto avere delle basi eque, non punitive: un conto

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era la distruzione totale dell’arsenale bellico tedesco, il rischio (cosa che in effetti avvenne) di

una divisione del territorio tedesco, che erano già di per sé condizioni umilianti; altro sarebbe

stato la mancanza di una prospettiva a medio termine, che consentisse ad una Germania

prostrata dalla guerra, di risollevarsi in tempi anche abbastanza rapidi. Se alla Germania si fosse

voluto far pagare il debito di guerra, anziché dichiararlo “nullo” si sarebbero poste le basi di un

nuovo reich, o comunque di una nuova “ribellione” tedesca a quanto stabilito dai Trattati di

pace. Questo non sarebbe dovuto avvenire: ma l’avere scongiurato il pericolo grazie ad una

ripartizione del territorio tedesco e alla distruzione del suo potenziale bellico, non significava,

nei mutati scenari geopolitici post-1945, avere eliminato il problema: se la Germania poteva

anche non essere più pericolosa di per sé stessa, il pericolo adesso, poteva arrivare da oriente:

questo “pericolo” era lo spettro del comunismo. Una volta sconfitto il nazi-fascismo, un’altra

ideologia si opponeva al sistema di vita di democrazia liberale, rappresentato dal “New Deal” di

stampo rooseveltiano, da quell’ “American way of life”, che era composto di meraviglie della

tecnica, di automobili veloci, di benessere diffuso e di una nuova vita, lontano da echi di guerra

e volontà di potenza, che non fosse la sola potenza del mondo occidentale accettabile, quella

statunitense.

Il blocco di Berlino

Il blocco di Berlino (24 giugno 1948 - 11 maggio 1949) fu una delle crisi più importanti

della guerra fredda quando l’Unione Sovietica bloccò tutti gli accessi stradali e ferroviari a

Berlino Ovest. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, le potenze alleate avevano raggiunto

l’accordo di Potsdam, dividendo la sconfitta Germania in quattro zone di occupazione. Anche

Berlino era stata divisa in quattro zone, ma essendo la città all'interno della porzione di

Germania occupata dai sovietici, i settori americano, inglese e francese, poi conosciuti come

Berlino Ovest di fatto costituivano la parte occidentale della città, sulla quale ci sarebbero state

dispute in merito al fatto di considerare tali settori parti di quella che poi sarebbe stata la

Repubblica federale Tedesca all'interno del territorio della Germania Est.

Il Comunismo nella variante del “socialismo reale”

A questo sistema si opponeva un’altra ideologia totalitaria, il comunismo, come si è detto,

ritenuto alleato indispensabile per la sconfitta del nemico numero uno, il Nazismo, con i suoi

campi di sterminio consegnati al mondo e alla storia, comunismo che ideologicamente

prometteva anch’esso una sorta di panacea sociale per coloro che lo avessero abbracciato:

lavoro garantito, casa a prezzo irrisorio, tasse poche e basse, sanità e istruzione gratuita,

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sicurezza sociale: questo era il miraggio che si sarebbe rivelato realtà per i tedeschi che

avrebbero abbracciato l’ideologia comunista. Il rischio, per l’occidente era che non l’avrebbero

abbracciato solo i tedeschi, ma anche altre nazioni vicine. Invece, quando il 6 ottobre 1989 Erik

Honecker avrebbe abbracciato e baciato Mikhail Gorbatcev in occasione del 40° anniversario

della nascita della DDR, non sapeva che il leader russo lo aveva già scaricato e un mese dopo il

muro di Berlino sarebbe crollato. Gorbatcev, infatti, aveva elaborato, in contrapposizione alla

dottrina Brezhnev, secondo cui ogni “Stato satellite” dell’URSS, sarebbe dovuto continuare a

stare affianco all’ “Impero” sovietico, la dottrina Sinatra, secondo cui ogni Stato satellite

sarebbe andato per la sua strada (il termine “dottrina Sinatra” si riferiva alla famosa canzone del

noto cantante americano My Way, volendo indicare con essa la strada della vita degli stati

“satellite” dell’URSS i quali, percorsala fino a quel momento insieme al gigante sovietico,

sarebbero adesso dovuti andare per la loro strada); ebbene, in quell’inizio di ottobre del 1989

nessuno pensava che il muro sarebbe crollato di lì a poco. Gorbatcev pensava di si, mentre

Honecker invece pensava di no. Di lì ad un mese, non sapendo cosa dire proprio a causa di

questa convinzione, che ormai era la storia stessa a negare, Günther Schabowski, nel corso della

famosa conferenza stampa dell’8 novembre 1989, ricevette un foglio scritto a mano dove stava

indicata la chiara volontà di aprire le frontiere fra Est e Ovest, che era anche ciò che avrebbe

riferito ai giornalisti lì riuniti. Alla domanda:- da quando? Lui rispose:- Ab afort (“da subito”) .

Di ciò che successe poco dopo, tutti siamo stati testimoni quasi increduli,grazie alla televisione

1.

1 Giovanni Carlo Curatola, giornalista. Una visione personale del socialismo reale e del ruolo dei satelliti

dell’URSS. Intervista fatta dall’autore, Palermo, 2015. Egli sostiene che il processo di unificazione, di per sé ineluttabile, fu in qualche modo accelerato grazie al ruolo giocato dall’economia. La Germania Ovest svolse infatti un ruolo in quanto l’accoglienza dei profughi dall’Est avrebbe sì causato problemi interni di ordine pubblico, oltre che sociale, pur tuttavia la morsa di Kohl di introdurre la parità monetaria fra il marco dell’Est e quello dell’Ovest (1=1) avrebbe facilitato l’acquisto delle aziende dell’Est da parte dell’Ovest ad un prezzo irrisorio. La parità sarebbe anche servita per i tedeschi dell’Est, dando loro l’illusione di poter acquistare a basso costo dei beni che, pur essendo prodotti a Est, di fatto erano adesso divenuti di proprietà dell’Ovest.

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PARTE PRIMA

____________________________________________________________

SEGNALI DI CRISI ____________________________________________________________

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CAPITOLO I

LA ROTTURA DEL QUADRIPARTITO

1.1. La difficile ricerca di una soluzione politica

1.1.1. Gli alleati a Berlino

Al fine di ricercare una soluzione politica alla questione tedesca, le potenze di

occupazione (Francia, Gran Bretagna, USA e URSS) si erano riunite in un “quadripartito”, il

Consiglio di Controllo alleato, stabilitosi come organo deliberante dal 1947, ma, in realtà già

attivo a partire dalla fine della guerra, nel 1945. Il quadripartito sarebbe stato l’organo incaricato

di svolgere le operazioni più significative per la riorganizzazione della Germania sconfitta. Esso

era stato creato, appunto, dalle quattro potenze vincitrici ed era composto da rappresentanti delle

quattro potenze occupanti. Questo organo decideva su tutte le questioni di natura politica,

sociale, amministrativa ed aveva il suo fulcro nella Berlino occupata e suddivisa in quattro

settori: francese, britannico, statunitense e sovietico; i settori occidentali corrispondevano alla

zona dei laghi di Spandau e si inoltravano fino al quartiere di Charlottenburg, mentre il settore

sovietico corrispondeva alla parte orientale della città, quindi quella che partiva dal Reichstag,

passava dalla Porta di Brandeburgo, percorreva la Unter den Linden, arrivando ad

Alexanderplatz e dintorni.

1.1.2. Segnali di crisi. La Bizona e le resistenze degli alleati

I segnali di crisi si manifestarono fin dal 1945, quindi erano in nuce quando lo stesso

organo quadripartito aveva iniziato a riunirsi le prime volte. Certamente uno degli obiettivi

primari era la riforma finanziaria, cosa che in effetti si tentò di portare a termine, ma senza

successo. Gli Stati Uniti, infatti, avevano tentato di porre in essere una Bi-zona,cioè una zona

che avesse una doppia sovranità economico-monetaria: questo, anche a dispetto delle resistenze

incontrate.2 Le resistenze, tuttavia, provenivano principalmente dal settore sovietico: l’atmosfera

2 Il Consiglio di Controllo alleato per la Germania, composto dai Governatori Militari delle quattro zone

di occupazione della Germania, era l’ufficio alleato più importante dell’Autorità di Controllo per la Germania. Nel periodo preso in considerazione, il rappresentante del governo degli Stati Uniti aveva fornito un quadro piuttosto esauriente del 77° Incontro tenutosi presso il Consiglio di Controllo alleato, che si era tenuto il 20 gennaio 1948, dove si era parlato sia di quanto deciso nel corso dell’incontro tenutosi in via preliminare, sia della natura di accordo preventivo da dare ai colloqui fra le potenze, oltre

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era quella di un accordo fra la varie potenze volto alla realizzazione della Germania su base bi-

zonale, a dispetto della volontà sovietica di lavorare per una Germania unita ma sotto egida

sovietica, cosa che naturalmente non era molto ben vista dagli alleati occidentali.3

1.1.3. I rapporti fra gli alleati sulla stampa e sugli altri media americani e sovietici

Questo clima di scontro si riverberava anche sulle fonti dell’epoca. Se da un lato le fonti

del governo americano tendevano a fare apparire il proprio governo come ben disposto nella

ricerca di valide soluzioni di compromesso, quelle sovietiche erano rivolte ad approfondire il

dibattito del delegato rappresentante di Stalin nel Consiglio di Controllo alleato, Sokolovsky, i

cui discorsi non di rado erano ripresi dalla stampa sovietica, non solo militare.4

1.2. La progressiva perdita di autorevolezza del Consiglio di Controllo alleato

Da lì in avanti non si sarebbe fatto altro che ribadire le mancanze del Consiglio, che si

sarebbe via via sempre più considerato un organo vuoto e privo di autorità, certamente non più

in grado di ricomporre i conflitti nascenti al suo interno. E così emergevano alcune questioni

irrisolte, come quella relativa ai rifugiati. Il Consiglio non era stato in grado di proporre una

soluzione in merito a tale problema: se ne sarebbe dovuto discutere predisponendo una apposita

commissione, che però non avesse l’unica sede a Berlino, ma in tutta la Germania (questa la

proposta del delegato britannico). Secondo il delegato francese si doveva ancora discutere in

modo più approfondito, in quanto mancavano alcune opzioni, come quella relativa alla

mancanza di approvvigionamento di cibo e carbone. A questo proposito, il delegato sovietico

che sulla tipologia (economica piuttosto che politica) dei cambiamenti proposti, che non avrebbe dovuto

in alcun modo influenzare l’assetto successivo che si sarebbe dato alla Germania. Venivano fatti ulteriori inviti ai riluttanti alleati francesi e sovietici, di unirsi in una bi-zona, mentre gli ultimi piani volti alla realizzazione della stessa permanevano ancora e , con l’eccezione del settore dell’import-export, già ultimato, gli altri erano ancora da ultimare. Frus, the Berlin crisis, 1948, pagg. 867, ss. 3 Sempre nel corso del 77° Incontro fra le potenze alleate, il delegato sovietico (Sokolovsky) leggeva

delle frasi pre-scritte in cui attaccava gli ultimi sviluppi della bi-zona. Questi, in tal modo, si poneva in netto contrasto con il rifiuto di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia, espresso nel corso del Consiglio dei Ministri degli Esteri di Londra, che in qualche modo aveva riconosciuto, avallandolo, il proposito dei sovietici dello stabilimento di un Governo Centrale tedesco con la nuova organizzazione di Francoforte, che i Sovietici hanno bollato come “governo separatista tedesco” per l’area bi-zonale. Sempre secondo i sovietici, queste operazioni costituivano delle “gravi violazioni” degli Accordi di Potsdam del 1945, oltre che dell’intera organizzazione del Consiglio di Controllo alleato. L’incaricato sovietico inoltre ridicolizzava l’affermazione, da parte di USA e Gran Bretagna, secondo cui le decisioni prese a Francoforte nel corso di consultazioni prese con i leaders tedeschi sarebbero sfociate in un incarico dato a Stati Uniti e Gran Bretagna di osteggiare le forze a favore dell’unità tedesca, cospirando, di fatto, con chi era a favore della divisione della Germania: Schumacher, Adenauer e Kaisen. I Sovietici, quindi, insistono affinchè abbiano fine le attività bi-zonali. Frus, op. cit., eadem. 4 Ad es, l’intero discorso del Maresciallo Sokolovsky (vedi nota n.2) era stato ripreso da “Vneshnaya

politika Sovetskogo Soyuza, 1948, Chast’1 (Parte 1^)”, Frus, op. cit., pagg. 868.

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rispondeva in modo piuttosto vago, parlando dell’importanza della concessione di terre per i

contadini, ribadendo anche che quella del sovraffollamento dei rifugiati nella zona britannica

sarebbe rimasta una questione priva di fondamento, in quanto si trattava in massima parte di

rifugiati polacchi o sovietici, che sarebbero stati in gran parte rimpatriati nei mesi successivi. I

Sovietici, invece, ricordavano come, nei confronti dei prigionieri rifugiati nelle loro mani non

avessero mai fatto alcuna opera di proselitismo, come invece avevano fatto in altri settori nei

confronti dei prigionieri sovietici e degli abitanti dei settori berlinesi in mano alle potenze

occidentali di occupazione.5 Quella dei rifugiati, però, non era la sola questione sul tappeto che

rendeva difficile un dialogo fra le varie potenze.

1.3. La riforma finanziaria

L’altra questione era quella della riforma monetaria, che era una parte della più

complessa riforma monetaria: per vari motivi, questa non la si riusciva ad affrontare

compiutamente e le discussioni erano relative a questioni di natura preliminare, come la legge

per l’assicurazione sociale obbligatoria, restrizioni e controlli nei confronti del personale già

appartenente all’esercito del Reich e adesso da incardinare nel futuro esercito tedesco, e via

dicendo.6 Quella della riforma monetaria, effettivamente, era una questione controversa, come si

era già avuto modo di rilevare fin da subito.7 Il Maresciallo Sokolovsky aveva già chiarito, nel

corso dell’incontro presso il Consiglio di Controllo alleato, che la proposta americana circa una

5 Anche qui la scarsa collaborazione del settore sovietico la faceva da padrone: il Comitato di

Coordinamento per i Rifugiati nei settori di occupazione, nel corso del suo 145° Incontro, aveva discusso un piano di rimpatrio dei prigionieri di guerra tedeschi. Ostacolo insormontabile era stato rappresentato dalla riluttanza da parte sovietica di indicare in quanto tempo avrebbero provveduto a rimpatriare i prigionieri ancora sotto la loro custodia. I Sovietici sostenevano che ben 150.000 prigionieri di guerra erano stati rimpatriati fra l’aprile e il dicembre del 1947. 6 Si era discusso di questi argomenti nel corso del 78° Incontro del Consiglio di Controllo delle potenze

alleate, svoltosi a Berlino l’1 febbraio 1948. 7 Singolare, al proposito, in una lettera a Jacob D. Beam, la descrizione nella quale il Generale Clay

aveva elaborato alcuni punti in cui si dipanava l’intera questione economica: “1) Il piano per la riforma finanziaria sarebbe dovuto essere elaborato in breve tempo; 2) La Staatsdruckerei, che adesso si trova in un settore di Berlino sotto influenza USA, sarà rimossa da quel settore e stabilita sotto il controllo delle quattro potenze militari di occupazione; 3) il debito del Reich dovrà essere dichiarato “null and avoid”, nullo; 4 ) La Commissione Monetaria dovrà essere messa sotto il controllo del Direttorato Finanziario; 5) La Commissione verrà incaricata della preparazione e dell’emissione di moneta, oltre che della conversione di acconti bancari, così come è stato stabilito dall’accordo; 6) La distribuzione di moneta nella quantità stabilita dall’apposita Commissione inter-alleata per la moneta avverrà mediante la Banca Centrale o la Banca del land nelle rispettive zone. A queste banche verrà chiesto di restituire nel giro di 60 giorni la vecchia moneta (con un ammontare pari a non più del 10% emesso). Gli ammonti saranno stabiliti dalle potenze occupanti in un tasso 10:1; 7) Ad eccezione del taglio già previsto e concordato nessun nuovo taglio di moneta potrà essere emanato, se non sotto la diretta volontà e sotto l’autorità del Consiglio di Controllo Alleato; 8) L’intera questione deve essere considerata di natura confidenziale, pertanto da porre sotto il controllo del Consiglio e non del Direttorato Finanziario”. Frus, cit., ibidem, pagg. 870,ss.

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moneta occidentale che sostituisse il marco in vigore fin dai tempi del reich non sarebbe stata

accettata, e ciò veniva ribadito in puro stile sovietico, in quanto la base del rigetto della proposta

veniva fatta spesso leggendo dei discorsi preconfezionati, in cui quasi sempre in modo gratuito e

mistificatorio venivano tacciate di scarsa democraticità le proposte occidentali, a dispetto della

democraticità (vera o presunta) di quelle sovietiche.8 Da parte sovietica vi era, in definitiva, un

rifiuto della concezione di sé stessa come di una potenza isolazionista, sostenendo sempre che le

proposte per la Germania non dovessero essere rivolte alla creazione di una bizona, ma che si

sarebbero dovute pensare cercando di realizzare la volontà del popolo tedesco; in questo senso

rifiutavano l’etichetta, loro conferita dagli alleati occidentali, appunto di isolazionismo,

ribadendo che anzi le proposte americane e occidentali erano da loro state recepite ed elaborate.

Di contro - sostenevano i sovietici - il fatto di non tenere in nessun conto le proposte sovietiche

da parte USA, metteva loro, gli occidentali, in posizioni di isolamento e creava nei sovietici il

convincimento che ormai il Consiglio di Controllo alleato si prestava ad essere una struttura

vuota, dove sarebbe stato impossibile concordare qualsiasi decisione. La questione della riforma

monetaria, da parte statunitense, sarebbe stata quella di una evoluzione unilaterale; qui,

naturalmente influivano dinamiche di carattere socio-politico, relativamente alle note questioni

dei dissapori all’interno del Consiglio di Controllo alleato.9 In ogni caso, gli USA non

desideravano restare ancora ad osservare come stavano evolvendo gli eventi: essi, per voce del

Generale Lucius Clay, avanzavano un’ulteriore proposta: suggerivano che il Direttorato

Finanziario si sarebbe potuto riunire in sessioni esecutive da quel momento fino al successivo

8 Anche Sokolovsky aveva ribadito alcuni punti essenziali per il suo governo relativamente alla questione

della moneta tedesca: 1) Il Consiglio di Controllo alleato deve adottare dei piani che condannino una riforma monetaria in senso separatista, su base bizonale, e deve impedire la pubblicazione di fandonie al riguardo; 2) Lo stesso Consiglio di Controllo alleato deve prendere la decisione di stabilire un’unica amministrazione finanziaria centrale per la Germania ed un’unica banca centrale di emissione per la moneta; 3) La proposta attuale degli USA è solo una parte dell’intero programma di riforma fiscale e monetaria e che attualmente dipende dal Direttorato Finanziario: questa è la ragione per cui tale progetto non può essere suddiviso in vari settori; in fin dei conti, così come il Direttorato Finanziario aveva fatto fino adesso, in fondo ora non gli si sarebbe richiesto altro che completare il tutto in tempi rapidi; 4) Per proteggere il valore della moneta e difendere le classi lavoratrici sarà necessario introdurre una tassa eccezionale sulla proprietà in Germania; nel corso della riunione dei ministri degli Esteri tenutasi a Mosca qualche tempo prima ci si era accordati proprio sul fatto che la riforma monetaria sarebbe stata accompagnata da una tassa straordinaria sulla proprietà; 5) Con il fermo proposito di addivenire ad un accordo, bisogna autorizzare la stampa di moneta a Berlino, sotto la supervisione delle quattro potenze di occupazione: ma in futuro si sarebbe dovuto allontanare la Staatsdruckerei dal settore USA (abbandonando però la pretesa, da parte sovietica, di stampare moneta a Lipsia anziché a Berlino). Frus, op. cit., ibidem, pag. 873. 9 La delegazione sovietica aveva sempre insistito sulla necessità di portare avanti la questione della

riforma monetaria su base unilaterale. Probabilmente, dinamiche di natura ideologica, oltre che i ben noti problemi del rapporto fra Stalin e l’Occidente e della visione che il primo aveva del secondo, impedivano di condurre una riforma monetaria condivisa da USA e URSS. Non era pensabile che il regime stalinista propugnasse le medesime teorie economiche del liberismo statunitense. E queste premesse, già in nuce nel periodo 1944-45, erano tutte venute fuori nel corso del periodo finale della guerra: ad avviso di chi scrive, infatti, la questione ideologica rappresentava un ostacolo insormontabile per la condivisione delle riforme di natura monetaria (che era solo una parte della più complessa riforma economica tedesca).

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incontro; ciò allo scopo di dettare le regole su quello che si sarebbe dovuto intendere, allora, per

riforma finanziaria, e su cosa non si sarebbe dovuto intendere con tale termine. Nel corso del

mese di febbraio 1948 le posizioni fra i vari alleati in materia di riforma finanziaria tedesca

restavano lontane: il Consiglio di Controllo si era riunito il 1° febbraio in sessione esecutiva per

valutare la questione della riforma monetaria. Il rapporto aveva mostrato che non vi era stata

totale unanimità e quindi che le varie delegazioni si erano mantenute nelle loro posizioni

espresse nel Direttorato. Secondo il delegato sovietico, Sokolovsky, infatti era ancora possibile

proporre la riforma monetaria su basi condivise fra le diverse potenze.

1.4. Le questioni di natura ideologica

Le vicissitudini all’interno del Consiglio di Controllo alleato non riguardavano, come si è

detto, soltanto la questione della moneta, ma anche affari di altra natura: in questo senso,

abbiamo visto come la questione monetaria fosse il centro delle preoccupazioni dei delegati

delle quattro potenze, oltre che essere parte della riforma finanziaria tedesca. Le altre questioni

sulle quali il Consiglio di Controllo alleato sembrava non poter trovare più alcun accordo, erano

relative a dinamiche di natura partitico-ideologica. Si sa per certo che la fase di incubazione di

quella che sarebbe stata la guerra fredda, era già avvenuta nel 1944-45; in quegli anni

Americani e Russi avevano in comune la lotta contro il nazismo. Sconfitto quest’ultimo, liberati

i territori occupati dalle armate di Hitler, morto il fuhrer, restavano le diversità di natura

ideologica fra sovietici e occidentali: nella Berlino del 1948, divisa in settori, i sovietici

contestavano agli occidentali di fare proselitismo liberista nei settori di loro pertinenza; la stessa

cosa facevano i sovietici, con l’aggiunta di un maggior radicamento ideologico, dai richiami

quasi messianici, relativa alla sconfitta del nemico, che era rappresentato dall’occidente.

1.4.1. Il «kulturbund»

Questa dottrina, di stampo sovietico comunista, aveva un nome: Kulturbund. 10 In questo

contesto si erano venute a creare posizioni differenti: se il delegato sovietico ne difendeva il

diritto ad esistere, quello britannico e quello statunitense sostenevano che esso non potesse

essere ammesso nei settori “occidentali”, in quanto non era rappresentativo degli interessi

10

Il Kulturbund era un’organizzazione culturale dominata da intellettuali comunisti, cui era stato proibito

di esercitare nei settori di Berlino di competenza statunitense, britannica e francese, ufficialmente perché si trattava di un’organizzazione ancora non registrata, come invece prevedeva dovessero essere le organizzazioni un decreto emanato dalla Kommandatura alleata del gennaio 1947. Le autorità sovietiche, invece, ritenevano non fosse necessaria la registrazione, poiché tale movimento esisteva sin dal 1945. Frus, cit., ibidem, pag. 876.

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occidentali, sia britannici, che statunitensi: addirittura, di questi ultimi non lo era affatto. Il

delegato sovietico, invece, elogiava questo movimento e desiderava estenderlo a tutto il

territorio tedesco.11

1.5. Una pace duratura?

Si notava anche una certa distanza in ciò che gli alleati intendevano per “pace duratura”:

vi era sintonia fra i delegati delle tre potenze occidentali, oltre che nelle questioni di cui si è

detto, anche nei motivi più reconditi per i quali si era proceduto a mettere in piedi il Consiglio di

Controllo alleato nel 1946: l’idea era potere controllare il riarmo tedesco, attraverso una serie di

ispezioni, da potersi eseguire liberamente nelle varie zone di occupazione, in modo da evitare i

rischi di una escalation che facesse presagire ulteriori venti di guerra: sempre nel corso di quel

“caldo” febbraio del 1948, poi, gli americani avevano avuto notizia di costruzioni di nuove navi

da guerra nel porto di Rostock, di scavi minerari per cercare uranio12 e di ordini, provenienti

dalla zona sovietica, di posizionare raffinati congegni da guerra a Berlino. Ebbene, quanto era

stato fatto due anni prima, nel 1946, adesso nel 1948 forse non aveva più senso: britannici e

francesi avevano volentieri accettato le condizioni poste all’atto della formazione del Consiglio

di Controllo Alleato che adesso, dopo due anni, i sovietici non avevano ancora accettato,

contribuendo a rendere vano quel patto.

I tempi erano dunque maturi per una riflessione sugli eventi occorsi: i primi due mesi del

1948 avevano visto tutta una serie di situazioni verificarsi all’interno della Kommandatura

alleata13. Successivamente alla rottura verificatasi nel corso della Conferenza di Londra

11

La questione ideologica si interpolava strettamente con le altre questioni, specialmente con quelle di

natura economico-politica: in un telegramma del 21 febbraio 1948, da parte del consigliere politico per il governo degli Stati Uniti (Murphy al Segretario di Stato (Tel. N. 420 del 21.02.1948) si descrive il senso sovietico della propaganda, di cui si era avuta una dimostrazione nel corso dell’80° Incontro fra le potenze alleate: si era parlato di una struttura, di chiara matrice comunista, il Volkskongress, un’organizzazione partitica di massa dominata dall’ideologia comunista, venuta alla luce alla fine del mese di novembre del ’47. Ora, benché tale forza venisse sistematicamente boicottata dalle altre forze politiche non comuniste tedesche, ben presto era diventata la principale forza politica nella zona di occupazione sovietica. Obiettivo dichiarato del movimento comunista era il raggiungimento dell’unità politica tedesca. Questo movimento aveva avuto il suo primo incontro a Berlino nel dicembre ‘47. Verso la fine di gennaio ’48, le forze dei settori occidentali, le autorità di occupazione britannica e statunitense, avevano proibito al movimento comunista di esercitare le proprie attività nei loro settori di competenza. Conseguentemente, il Comitato permanente del movimento comunista aveva indirizzato delle lettere di protesta alle autorità britannica, francese e statunitense e al Consiglio di Controllo alleato, protestando per la messa al bando del movimento nei settori occidentali. Frus, op. cit., ibidem pagg. 876-877. 12

L’uranio, arricchito, come si sa è uno dei componenti fondamentali per la costruzione della bomba

atomica. 13

La Kommandatura era l’organo direttivo del governo interalleato di Berlino. Questo era composto dai

quattro Comandanti alleati per la città di Berlino (Colonnello Frank Howley per gli USA; Maggiore Generale E.O. Herbert per la Gran Bretagna; Brigadiere Generale Jean Ganeval per la Francia; Maggiore Generale A.G. Kotikov per l’URSS) e loro consiglieri e assistenti.

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dell’autunno precedente, si era avuto un periodo di relativa armonia fra le varie componenti,

periodo in cui l’accordo si sarebbe potuto raggiungere più facilmente su questioni di secondaria

importanza. A partire dalla metà di gennaio ’48, l’atmosfera amichevole creatasi in precedenza

si era già deteriorata, al punto che era diventato impossibile concordare con l’URSS anche le

questioni più semplici, che non richiedevano alcuna contrattazione particolare fra i

rappresentanti delle altre potenze. Ogni occasione di incontro fra i rappresentanti del

quadripartito era diventata un’occasione di scontro, laddove le accuse si susseguivano e non era

possibile un dialogo comune fra gli attori principali.

1.6. Primi tentativi di governo della Germania su base tripartita

La riflessione occorsa sugli eventi aveva favorito la decisione da parte degli Stati Uniti,

che, un paio di mesi dopo, avrebbero rivisto la loro posizione in materia di riforma monetaria su

base quadripartita. La necessità di una tale riforma, condivisa da tutte e quattro le potenze del

quadripartito, era avvalorata dal fatto che gli Stati Uniti stavano procedendo alla messa in opera

di tutte le sistemazioni che intendevano porre in essere in Germania e alle quali stavano

lavorando ormai su base tripartita; l’unico mezzo per poter fare ciò era concedere una riforma

monetaria su base bi-zonale o tri-zonale, non più, certamente, unitaria. Oltre a ciò, sarebbe stata

resa più difficile l’intera amministrazione delle zone in questione. Ricapitolando, la situazione si

era evoluta in questi termini: gli Stati Uniti avevano considerato necessaria e urgente la

questione della riforma monetaria e nel corso dei colloqui in seno al Consiglio di Controllo

alleato i rapporti fra le quattro potenze erano divenuti via via più difficili, sino a giungere ad un

punto di “crisi” intorno alla seconda metà di gennaio 1948.

1.6.1. Tentativi di dialogo con i sovietici per una riforma monetaria condivisa

Il 20 gennaio del ’48 il Generale Lucius Clay proponeva un piano riveduto e corretto

della riforma monetaria, piano da sottoporre all’approvazione del Consiglio di Controllo alleato;

questo intento era relativo più che altro alla stampa ed alla conversione di moneta, piuttosto che

altri aspetti connessi alla riforma finanziaria; il 30 gennaio successivo, il delegato sovietico,

Sokolovsky, sosteneva fosse meglio dare vita ad una riforma economica che prevedesse

l’esistenza di un unico istituto di emissione per tutta la Germania, oltre che di un solo

Dipartimento Centrale delle Finanze; il Generale Clay, forse non volendo forzare la mano,

parlava di una situazione al momento “prematura” per prendere qualsiasi decisione; l’11

Febbraio, il Consiglio di Controllo alleato decideva di fare uno sforzo, cioè attendere all’incirca

60 giorni di tempo per addivenire ad un accordo in seno al Consiglio di Controllo alleato in

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materia di conversione della moneta, compreso il trattamento del debito pubblico e privato;

tuttavia, al tempo stesso, riteneva si potesse procedere alla stampa di moneta a Berlino, sotto il

controllo delle potenze del quadripartito: in ogni caso, i documenti resi disponibili dal governo

degli Stati Uniti affermano che con un telegramma del 9 febbraio ’48 erano state date precise

istruzioni al Generale Lucius Clay perché addivenisse ad un accordo in seno al Consiglio di

Controllo alleato nel più breve tempo possibile; a questo punto si verificava una sorta di stallo;

forse un gioco di tattica fra i due contendenti principali, USA e URSS, che di fatto non portava

ad alcuna evoluzione della situazione in corso: gli USA non intendevano procedere a discutere

di una riforma monetaria su base quadripartita, per la nota ostilità da parte sovietica; tuttavia,

non potevano uscire per primi allo scoperto, in quanto, qualora lo avessero fatto, avrebbero

rischiato di scontrarsi con i sovietici i quali, sicuramente avrebbero frapposto delle tattiche

dilatorie in merito alla realizzazione di una riforma su base bi-zonale o tri-zonale, con la

conseguenza di fare perdere del tempo prezioso agli USA in merito alla realizzazione delle

“sistemazioni” di cui si era detto. Quali erano queste “sistemazioni” che dovevano essere fatte

in quel primo scorcio del 1948? Erano solo ed esclusivamente delle sistemazioni a carattere

finanziario-monetario? Erano prevalentemente motivazioni di natura amministrativa

relativamente ai settori di influenza occidentale? Oppure c’erano delle ragioni dal punto di vista

geopolitico, che rendevano gli Stati Uniti così sensibili, così desiderosi di giungere ad un

accordo a tutti i costi, anche a costo di spaccare un’alleanza quadripartita che ormai esisteva

solo sulla carta? Ebbene, a questi interrogativi le carte rese disponibili non danno risposte

esaurienti, almeno fino al marzo-aprile ’48, quando maturava la spaccatura in seno al Consiglio

di Controllo; cominciava ad emergere l’idea di non concedere più di 60 giorni di tempo, decorsi

i quali gli USA avrebbero cominciato a stampare moneta su base bi-zonale.

1.6.2. Il cablogramma Draper. Gli Stati Uniti di fronte all’evidenza della spaccatura

con i sovietici

In un cablogramma del 7 marzo 1948, il Generale Clay confermava a Draper, a

Washington, che i sovietici stavano continuando a proporre una riforma monetaria su base

unitaria per l’intera Germania e che, conseguenzialmente, ciò non corrispondeva ai piani degli

Stati Uniti; in questo documento il Generale Clay schematizzava, per linee generali, le

discussioni tenutesi a partire dall’11 febbraio precedente, all’interno del Consiglio di Controllo

alleato: interessi di capitale, trattamento del debito del Reich, fondi, banche contenenti depositi

“congelati” rimasti nella zona occupata dai sovietici, fondi provenienti dalle autorità di governo

e fondi provenienti dai settori di occupazione. Clay sosteneva di non avere alcun elemento per

dirsi convinto della sincerità delle offerte da parte dei sovietici e a quel punto ribadiva che

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l’unico intento dei sovietici era ormai quello di far apparire gli USA come apertamente contrari

all’unità economica tedesca.14

1.7. La questione ideologica

La questione tedesca era però complicata anche dal punto di vista politico-ideologico,

come si diceva: sussisteva infatti, un divieto di fare proselitismo politico a favore di movimenti

e partiti di ispirazione comunista nei settori di influenza occidentale, cosa che evidentemente era

sfuggita di mano agli alleati occidentali, in primis agli Stati Uniti.15 In altre parole, pur non

temendo un’infatuazione generale, da parte del popolo tedesco, nei confronti del regime

comunista,16 se ne temevano gli sviluppi che esso avrebbe potuto avere, e questo soprattutto sul

piano interno, in quanto le elezioni dell’ottobre 1948 si stavano avvicinando, sia sul piano

internazionale: infatti, senza andare molto lontano, il timore era rivolto alla vicina

Cecoslovacchia, dove si stavano verificando dei fatti molto significativi e dove il locale

movimento di ispirazione comunista stava conducendo una lotta che, da lì a poco avrebbe

portato al rovesciamento del regime esistente in quel Paese ed al colpo di stato, rovesciamento

che, nella visione occidentale era difficile da non attribuire anche alla situazione di Berlino.17

14

Frus, The Berlin Crisis, 1948, cit., pagg. 881-882. IL report concludeva con una chiosa da parte dello

scrivente (Frank G. Wisner), che, riportando quanto detto dal Generale Clay, terminava il proprio memorandum per Lovett, sostenendo che “qualsiasi azione i sovietici avessero posto in essere, la riforma monetaria su base bi-zonale o tri-zonale sarebbe partita nel giro di 60 giorni”. 15

Il partito comunista tedesco stava infatti continuando a promuovere i movimenti comunisti locali,

facendone uno dei principali obiettivi allo scopo di ottenere il consenso popolare. Nei dispacci Murphy-Lovett nn. 107 e 228 datati 23 gennaio e 17 febbraio 1948 era riportato che il Movimento Comunista aveva organizzato un incontro nazionale a Berlino il 17-18 marzo 1948, in concomitanza con il centesimo anniversario della Rivoluzione berlinese del 1848. Il Secondo Congresso nazionale del Movimento Comunista avrebbe riguardato non solo il referendum sull’unità della Germania, ma anche l’elezione del Consiglio Popolare tedesco, (Volksrat), consistente di 3-400 membri, dei quali circa 100 avrebbero rappresentato la parte occidentale e si serviva di un presidio di 29 uomini a guardia di quello che era l’unico corpo rappresentativo del popolo tedesco. Ora, il Secondo Congresso del movimento comunista si era, in effetti, tenuto il 17-18 marzo ed era principalmente consistito nell’elezione di un Consiglio Popolare (Volksrat), nella creazione di un Presidio Popolare e in una decisione, tenuta su come pianificare un referendum nazionale sull’unità della Germania. I rapporti, consegnati al Dipartimento di Stato, hanno mostrato come il Congresso, il Consiglio ed il Presidio fossero completamente nelle mani del Partito Socialista Unitario (un movimento comunista a tutti gli effetti). Frus, op. cit., ibidem, pag. 883. 16

Il regime comunista era visto “…con una certa apatia dai tedeschi..” Frus, freq. cit., eadem. 17

Il colpo di stato di Praga dell’aprile 1948, costituiva un chiaro sintomo di quelli che sarebbero stati gli

sviluppi futuri dell’intera Europa. Non che gli alleati occidentali non avessero ben chiari i rapporti di forza che ormai si stavano delineando nel Vecchio Continente, ma a partire dalla primavera del 1948, con il blocco di Berlino alle porte, e il colpo di stato di Praga, iniziavano via via a delinearsi chiaramente anche i confini, da un punto di vista fisico propriamente detto, della nascente Europa. Non è un caso che, forse in risposta a tali sviluppi oltre cortina, il 7 maggio 1948, pochi giorni dopo il colpo di stato a Praga quando mancava poco più di un mese al blocco di Berlino, durante la Conferenza dell’Aja, oltre alla nascita del Consiglio d’Europa, che avrebbe avuto sede a Strasburgo (scelta del luogo significativa, per tanti aspetti), si riprendeva a parlare degli “Stati Uniti d’Europa”, una visione nuova dei rapporti intereuropei, visione cara ad Altiero Spinelli e a Jean Monnet, che avevano preconizzato la nascita di una

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1.7.1. Le accuse dei sovietici agli occidentali

Le discussioni fra gli alleati all’interno del Consiglio di Controllo in quella primavera del

’48 assumevano via via sempre più i toni dello scontro. Sokolovsky accusava gli “accordi

tripartiti” di Londra, dove ormai si parlava a due sole voci, quelle dei due “giganti”, USA e

URSS, con Gran Bretagna e Francia ancorate al loro ruolo di fedeli alleati occidentali. I

britannici accusavano a loro volta i sovietici di avere preso delle decisioni unilaterali nel loro

settore, senza alcun coinvolgimento del Consiglio di Controllo, mentre gli Stati Uniti rilevavano

la natura strumentale e mistificatoria di molti interventi del delegato sovietico, chiaro sintomo di

una precisa volontà, cioè arrivare ad una rottura del Quadripartito. Tra l’altro, gli alleati

occidentali avevano reiteratamente rifiutato di discutere la dichiarazione di Praga del 18

febbraio ’48, da parte dei governi cecoslovacco, polacco e jugoslavo sulla questione della

Germania, ritenendola di natura strettamente propagandistica.18 Le accuse riguardavano anche la

natura della conferenza tripartita di Londra, dove erano state impartite delle raccomandazioni ai

rispettivi governi, dunque non delle direttive vere e proprie; per questa ragione, i sovietici non

avrebbero potuto contestare le decisioni prese a Londra come esplicative di nuove regole e

nuovi accordi di cui essi non sarebbero stati al corrente, ma solo di norme comportamentali che

evidentemente riguardavano gli atteggiamenti (ma anche alcuni aspetti decisionali,

innegabilmente) delle potenze occidentali, stante la stagnazione di ogni forma di decisione in

cui si trovava da alcuni mesi il Consiglio di Controllo, a causa del sistema di veti incrociati sulla

questione della riforma monetaria e sulla questione partitico-ideologica in Germania e a Berlino

in particolare. In questa situazione evidente di rottura del quadripartito, che nessuna delle

potenze sul campo sembrava comunque voler ammettere, né, tanto meno, accelerare,

rivendicando - in questo modo - la paternità della fine dell’accordo in Europa, i sovietici

accusavano gli occidentali di “manovre” volte a nascondere ad essi la vera natura degli accordi

tripartiti di Londra: per cui, rilevavano come de facto sarebbero stati tenuti a comunicare ogni

singolo spostamento nel settore di loro pertinenza, mentre gli occidentali si accordavano

separatamente a tre su questioni che non era dato sapere: si era giunti ormai al “muro contro

muro”.19

nuova Europa sul modello degli Stati Uniti d’America, dove gli Stati europei, cedendo pezzi di sovranità, avrebbero acconsentito alla nascita di un organismo superiore, in grado di regolare la circolazione di persone, merci e capitali in Europa. Ciò su cui non vi era ancora un accordo era “in quanto tempo si sarebbe realizzato tutto ciò”: secondo Spinelli, l’Europa federale era un organismo che sarebbe dovuto nascere subito, nell’immediatezza della ricostruzione, mentre secondo Jean Monnet, la perdita di sovranità dei singoli Stati, per dare vita ad un organismo federativo sopranazionale sarebbe dovuta essere un processo progressivo, da realizzare nel tempo. A ben vedere, rapportandoci all’oggi questa fu la soluzione che allora si decise di adottare. 18

Frus, op. cit., eadem. 19

Frus, ibidem, pagg. 883-884. Nel telex n. 651 dove si riporta uno dei tanti colloqui fra Murphy e il

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1.8. «Tripartito» e «Quadripartito». Prove di convivenza

Nel corso dei giorni successivi, la situazione tendeva a precipitare, anche se si

susseguivano i tentativi di rendere più chiare le prospettive che si sarebbero potute presentare,

sempre nel quadro di un nuovo rapporto “a tre” (USA, Gran Bretagna e Francia), almeno dal

punto di vista politico: infatti al quadripartito, dopo la conferenza di Londra sul futuro della

Germania, si sarebbe sostituito di fatto un “tripartito” composto dalle potenze occidentali,

mentre la collaborazione con i sovietici non sarebbe venuta meno all’interno della

Kommandatura, un organo deputato a raccogliere i quattro Comandanti alleati. Quindi si

andavano profilando, sul piano internazionale, delle relazioni a due velocità: un tripartito sul

piano politico ed un quadripartito che ancora resisteva sul piano militare e amministrativo,

anche se, come vedremo poi, anche quest’ultimo sarebbe stato ben presto destinato al

fallimento.

1.9. Verso il blocco della città

Secondo le fonti statunitensi, la situazione si era complicata perché vi erano

fondamentalmente, da parte sovietica, tre forti motivi di lamentela: 1) dai tempi della

Conferenza di Londra, in cui si era decisa l’unificazione dei tre settori occidentali di Berlino, i

sovietici erano diventati ancora più sospettosi e inclini al disaccordo all’interno del Consiglio di

Controllo alleato; 2) il convincimento reiterato da parte sovietica che gli ormai ex alleati

occidentali avessero delle responsabilità relativamente alla disgregazione del Consiglio di

Controllo alleato, costituiva uno dei motivi principali volti a cercare di espellere quello che essi

chiamavamo “l’ultimo focolaio reazionario” ancora esistente al di là della cortina di ferro,

mediante la denuncia della violazione da parte occidentale degli accordi che risalivano al 14

novembre 1944 e che adesso restavano disattesi. Questo probabilmente avrebbe causato delle

intromissioni da parte sovietica relativamente ai corridoi di accesso a Berlino, con conseguente

danneggiamento da parte di “bande criminali” di autostrade e ferrovie per Berlino. Anche la

questione del corridoio aereo restava inevasa, in quanto nel corso delle riunioni presso il

Consiglio di Controllo Alleato i Sovietici avevano sempre evitato il raggiungimento di un

accordo. A questo bisogna naturalmente aggiungere anche la questione del ruolo dei partiti di

Segretario di Stato USA, del 20 marzo 1948, sembra chiaro l’incedere degli eventi verso la rottura: se in altri documenti si fa riferimento anche a possibili soluzioni della crisi, magari espresse in forma critica verso il comportamento tenuto dai sovietici nel Consiglio di Controllo alleato, qui sembra nitida la volontà di descrivere i fatti per come sono, senza che venisse fatto alcun riferimento ad alcun intervento di Clay o di altri delegati a richiedere del tempo ulteriore per la discussione o per trovare un accordo. C’era già una consapevolezza, che ci si stava trascinando come separati in casa, all’interno di un organismo che ormai poteva definirsi “quadripartito” solo sulla carta.

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ispirazione comunista nella Germania occupata, e della consequenziale “propaganda”

antioccidentale che avevano scatenato; 3) una terza ragione relativamente alla volontà sovietica

di distruggere l’accordo quadripartito era la questione puramente propagandistica della

creazione di un governo unitario tedesco filo-sovietico, basato sulla “volontà sovrana del popolo

tedesco”.20 Lo stesso giorno, il 1° aprile 1948, Murphy informava Saltzman ed Hickerson che in

caso di limitazioni da parte sovietica alle autorizzazioni agli ingressi dei treni per i settori

occidentali di Berlino, si sarebbe proceduto a raddoppiare la vigilanza armata, con l’ordine di

sparare, ma solo in caso di necessità e come legittima difesa. Per quanto riguardava invece

l’accesso tramite autobahn (autostrada), il tripartito aveva accettato i controlli sovietici sulle

vetture e sui conducenti che percorrevano il tratto fra Berlino ed Helmstedt.21 Nel corso della

giornata successiva, il 2 aprile ’48, Murphy informava Saltzman ed Hickerson al Dipartimento

di Stato, del concretizzarsi di possibili manovre ritorsive da parte sovietica nei confronti dei

corridoi di accesso via terra per Berlino. Innanzitutto comunicava che entro il 1° maggio

successivo, si sarebbe dovuto togliere il centro-aiuto controllo degli Stati Uniti situato a metà

strada fra Berlino ed Helmstedt, con la prospettiva che, entro il 15 aprile, sarebbero stati

inaugurati nuovi posti di blocco sovietici: l’impressione era che si fosse soltanto all’inizio di un

processo di restrizioni nei confronti di chiunque transitasse nel settore occidentale della città.22

20

Frus, freq.cit., ibidem, pagg. 885-886. Così si presentava la situazione in Germania all’inizio di Aprile

(1° aprile 1948, ore 17,00 - telex n. 746 Murphy-Hickerson). 21

Frus, ibidem, pagg. 886-887. Telex n. 748 del 1° Aprile 1948, ore 18,00 (Murphy-

Saltzman/Hickerson). Come si vede dal tenore dei due telex, nn. 746 e 748, anche le informazioni rivolte al Segretario di Stato USA erano volte a rassicurare sulla tenuta del patto tripartito fra le potenze occidentali, volgendo l’attenzione alle possibili ritorsioni da parte dei sovietici, reazione già prevista e sottolineata come possibile conseguenza della riforma monetaria su base tripartita a Berlino e nella zona ovest della Germania, sotto influenza occidentale: tali ritorsioni riguardavano principalmente i corridoi di accesso a Berlino, due via terra (autostrada – Berlino/Helmstedt - e ferrovia - stazione Marienborn), e uno via aerea, su cui però non vi era un accordo con i sovietici. 22

Frus, telex n. 770, 2 aprile 1948 (Murphy/Saltzman-Hickerson), in Frus, op. cit., ibidem, pag. 888.

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CAPITOLO 2

LA GENESI DELLE TENSIONI EST-OVEST

2.1. Una narrazione «germanocentrica»

In merito alla questione della Germania si stavano, dunque, accumulando delle tensioni

che poi avrebbero portato alla guerra fredda, che avrebbe finito con il condizionare, a fasi

alterne, la geopolitica mondiale per quasi 50 anni. Non sembra, a chi scrive, peregrina l’ipotesi

di una narrazione germanocentrica relativamente alla fase iniziale di questa grande catastrofe

mondiale che fu la guerra fredda. Per molte ragioni, infatti, la Germania si trovava al centro,

esattamente nella linea di demarcazione fra i due “Imperi” che erano sorti dal dopoguerra; e

anche se vi erano altri fronti, come la Corea, la questione mediorientale, l’Africa che scalpitava

per uscire dal colonialismo, ebbene, in nessuno di questi luoghi si sarebbe rivelata possibile

un’escalation che avrebbe portato al risorgere di un conflitto mondiale come nelle pianure della

mitteleuropa. Ragioni di natura politica imponevano il castigo alla Germania nazista,

macchiatasi di orribili delitti; ragioni di natura storica imponevano una attenzione dovuta alle

vicende che interessavano il Vecchio Continente; ragioni di natura strategica imponevano, nel

nuovo contesto dell’interdipendenza bipolare, un veloce recupero della Germania: questo si

sarebbe dovuto portare a termine, nonostante i timori francesi, relativi al fatto che un riarmo

frettoloso della Germania avrebbe potuto nuocere alla stabilità dell’area europea compresa fra il

land tedesco della Saar e le province francesi dell’Alsazia e della Lorena, da secoli contese fra

la Francia e i vari principati tedeschi, Prussia renana in primis e, dal 1871 dalla Germania, la cui

unificazione si realizzò nel corso di quell’anno, proprio mentre le truppe prussiane occupavano

Parigi, dopo la sconfitta a Sedan di Napoleone III. In definitiva, era in Germania che si giocava

la partita Est/Ovest. Non in Corea, non nel Giappone militarista, già indomito aggressore nella

guerra sino-giapponese, poi fedele alleato di Hitler, con il quale aveva condiviso un piano di

conquista del continente euro-asiatico, proditorio assalitore delle truppe americane di stanza a

Pearl Harbour, barbaro e cinico torturatore dei prigionieri di guerra anglo-americani e adesso

appena piegato da altrettanta -se non maggiore- barbarie atomica ad Hiroshima e Nagasaki, non

nel Medio Oriente da riscrivere, non nell’Africa Coloniale, che da lì ad un decennio, avrebbe

prepotentemente fatto valere le proprie istanze di libertà dal giogo straniero. Forse l’America

Latina sarebbe potuta assurgere a fulcro delle tensioni Est/Ovest, ma non certo nell’immediato

dopoguerra e non per le stesse ragioni di containment che vi erano negli anni che vanno dal

1945 al 1949. Sicuramente Cuba e la questione dei missili sarebbe stata una buona ragione,

negli anni ’60, per una trasformazione della guerra fredda fra i due “imperi”. Ma anche lì, nel

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periodo considerato, non vi era traccia di tensioni. Il Medio Oriente non rappresentava un

problema vitale, nonostante vi fosse la necessità di risarcire il popolo ebraico martoriato dal

nazi-fascismo con la concessione di uno Stato sionista in Palestina; nulla che evidentemente non

si potesse risolvere “a tavolino” - grazie anche ad una consolidata abitudine franco/britannica

alla gestione di quelle aree, risalente alla fine della Prima Guerra Mondiale - con la politica dei

mandati, così come stabilito dalla Società delle Nazioni nel 1919.23 Gli anni successivi

avrebbero dimostrato che non era così semplice risolvere la “questione mediorientale”, ma,

anche con riferimento a quell’area, nulla faceva presagire che avrebbe allora (1945/49) fatto

sorgere tensioni fra Est e Ovest. Germania dunque da ricostruire, in seguito da riarmare, da

rimilitarizzare, almeno nelle aree più vicine all’Impero sovietico, che aveva manifestato da

sempre la volontà di ottenere uno sbocco a mare, nel Baltico, magari. Il fatto era che in

quell’area gli USA, insieme agli Alleati europei occidentali, avevano difeso strenuamente

l’Europa dal comune nemico nazista e adesso, a guerra finita, non si sarebbe potuto accettare

che questa stessa area venisse permeata dall’ideologia comunista, asservita alla causa sovietica,

come del resto lo sarebbero stati di lì a poco i “satelliti” di Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia,

Jugoslavia, Romania, Albania, e Bulgaria; per quanto riguardava, invece, Estonia, Lettonia e

Lituania erano state già annesse all’URSS nel 1940. Nulla di particolare: la guerra è guerra.

Soltanto che, così come si ammetteva che il mondo era diviso fra i due imperi, che - tra le altre

cose - stavano correndo entrambi verso l’atomica o, comunque, verso un utilizzo potenziale

delle armi di distruzione di massa, allora bisognava anche accettare il logico corollario che fra

questi due mondi il confine non era un qualcosa di evanescente, di irreale, ma era fisico,

realissimo e presente e si trovava esattamente a metà del territorio tedesco.

2.2. “Est/Ovest”- confine e tensioni

Collegare tuttavia il confine fisico Est/Ovest all’insorgere delle tensioni Est/Ovest non era

una questione che si sarebbe potuta spiegare semplicemente prendendo in mano una carta

geografica. Infatti, non era possibile ricollegare quel confine a quelle tensioni e al sorgere della

guerra fredda, se non fosse stato anche per il tipo di conflitti sorti fra i due “Imperi”

nell’immediatezza della fine della Guerra.24 Le difficoltà risiedevano nell’impossibilità di

23

La politica dei mandati (che potevano essere di due tipi, A e B) era stata adottata al proposito della

crisi di Alessandretta (oggi Iskenderun, vicino Antiochia, che è in Siria, mentre Iskenderun è in Turchia, al confine). La gestione dei mandati in Medio Oriente aveva riguardato tutto il periodo compreso fra il 1921/22 e il 1939, arrivando alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Ragioni di accordi internazionali preesistenti rendevano difficile se non impossibile una valutazione di quelle aree come preoccupanti dal punto di vista dei nuovi scenari geopolitici mondiali. (cfr. Maria Gabriella Pasqualini, Gli Equilibri nel Levante). 24

Federico Romero, nel suo libro Storia della guerra fredda, sostiene che inizialmente, stabilire un

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prevedere univocamente un futuro per quella parte di Europa rimasta al di là della cortina di

ferro; e queste difficoltà si riconnettevano strettamente al destino futuro della Germania. Nella

weltanschauung staliniana della riorganizzazione dell’Europa post-guerra vi era una

consapevolezza di fondo, ricollegata all’esistenza di un’Europa occidentale sotto stretta

sorveglianza americana; non avrebbe, il dittatore sovietico, avuto la benché minima intenzione

di espandere la propria influenza, in un continuum di sovietizzazione, in Europa Occidentale,

nemmeno durante la guerra.25 Vi era una reciproca consapevolezza, sia da parte degli Stati

Uniti, che dell’Unione Sovietica, che i rapporti di forza che si stavano delineando in quegli anni

sarebbero durati a lungo. Tuttavia, in una visione iniziale, sicuramente distorta e fuorviante,

delle vicende di quegli anni da parte di Stalin, vi era il sogno della frammentazione europea,

preludio a successive espansioni.26 Come giustamente ricorda Federico Romero, nei primi anni

della II^ Guerra Mondiale l’URSS aveva avuto il pericolo alle porte, con la paventata

occupazione di Mosca da parte dei nazisti e al termine della guerra aveva contato più di 26

milioni di morti, a fronte dell’intera Europa, che aveva contato 40 milioni di vittime.27

nuovo ordine mondiale, accordandosi come ci si era accordati durante la guerra contro il comune nemico nazi-fascista, sarebbe stato semplice; i fatti dimostrarono che, già durante la Conferenza di Potsdam, nel vertice tra i vincitori del luglio 1945, svoltosi appunto nella cittadina brandeburghese alle porte di Berlino, vi erano delle difficoltà rappresentate “..dal delineare i termini delle soluzioni da concordare….dall’incertezza circa i vantaggi che la cooperazione avrebbe potuto fornire a ciascuno…” “…l’URSS di Stalin non poteva concepire la coesistenza internazionale se non in chiave intrinsecamente conflittuale. Il governo degli Stati Uniti…si convinse che una ferma opposizione ai sovietici fosse la via più efficace, e meno pericolosa, per promuovere interessi, ideali e identità di una coalizione che prese a definirsi come «mondo libero». Fu allora che la guerra fredda prese forma”. Federico Romero, Storia della Guerra Fredda, Einaudi, Torino, 2009, pagg. 17-18. 25

“Dopo la guerra, Stalin confessò addirittura di avere pensato che, se gli alleati avessero tardato

ancora l’apertura del secondo fronte in Normandia, l’Armata Rossa avrebbe potuto arrivare fino in Francia: «accarezzavamo l’idea di giungere a Parigi». Non era questo il loro obiettivo, ed avevano insistito a lungo affinchè gli anglo-americani sbarcassero sul continente per impegnare una parte delle forze tedesche.” Federico Romero, op.cit., ibidem, pagg. 20-21. Ogni guerra ha i suoi costi: gli Stati Uniti si erano impegnati nella sconfitta del nazismo non solo militarmente, ma anche finanziariamente. E’ cosa nota che l’European Recovery Program (E.R.P.) si sostanziava in 50 miliardi di $ di aiuti, di cui 10 miliardi concessi all’URSS di Stalin. Quindi l’URSS venne messo già in condizione durante la guerra di avere accesso ai fondi americani per sconfiggere il nazismo. Anche l’URSS aveva usufruito del suo piccolo “piano Marshall”. 26

Stalin accarezzava l’idea dell’«Eurasia», obiettivo delle commissioni Majskij e Litvinov, due

commissioni sorte nel 1944 per la pianificazione del dopoguerra; in queste si era enfatizzata la potenza dell’URSS che andava dal Baltico al Bosforo, che avrebbe prevenuto il risorgere della Francia e infine si sarebbe accordata con l’«Impero conservatore», la Gran Bretagna, per la spartizione del mondo. Non vi era ancora la consapevolezza della reale forza rappresentata dalla potenza americana e dal peso, non solo geostrategico e geopolitico, da questa rappresentato. 27

Giustamente, si ricorda, la guerra contro il nazismo, aveva “spalancato le porte dell’Europa

all’URSS”. «Se mai una potenza ha avuto buone ragioni per dominare sull’Europa, questa era la Russia sovietica nel 1945. Nessun leader sovietico responsabile si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di diventare egemone in Europa all’indomani della Seconda Guerra Mondiale»”. Romero, cit., pag. 23. Il virgolettato è di John Mearsheimer, La logica di potenza (ed. or. New York, 2001), Università Bocconi, Milano, 2003, pag. 181, come riportato in Federico Romero, eadem.

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2.3. Una narrazione “di parte”

La guerra fredda era stata, fin dai primordi, studiata da alcuni studiosi americani, fin dagli

anni Quaranta-Cinquanta del secolo scorso; e questo era stato fatto nel tentativo di fornire

un’interpretazione della guerra fredda, che veniva vista in questo periodo come una legittima

difesa da parte dell’Occidente e delle democrazie dalle mire espansionistiche dell’URSS di

Stalin; questa corrente di pensiero veniva definita «ortodossa». Sempre negli Stati Uniti, tra gli

anni Sessanta e Settanta del ‘900, fra gli storici statunitensi, influenzati dalla “New Left”, dalla

sinistra contestataria, tipica di quel periodo, che aveva fatto anche parecchia presa nel mondo

delle università, prevalse una visione piuttosto critica, definita «revisionista», circa quello che

avrebbe dovuto essere il ruolo di Washington; in altri termini, vi era un collegamento molto

stretto fra la guerra fredda e le “ambizioni” statunitensi di imporre la propria egemonia su scala

mondiale: quindi, a fronte di una simile sfida, Mosca altro non avrebbe fatto che reagire,

difendendosi.28

2.4. Est/Ovest – confine e schieramenti

Nel corso dell’ultimo anno di guerra, “sia l’andamento delle operazioni militari sia la

diplomazia interalleata sembrarono corroborare le ipotesi di Stalin”.29

Tuttavia, fin dalla prima fase della guerra, i giochi di natura strategica fra gli alleati

avevano assunto già dei contorni chiari e ben definiti: infatti, la possibilità, da parte dell’Armata

Rossa, di poter avanzare verso l’Europa dominata dal comune nemico nazista, dava a Stalin la

certezza, quanto meno, di poter controllare da vicino i confini dell’Unione Sovietica stabiliti

fino al 1941,30 estendendo, in questo modo, “…il proprio controllo naturale sui Paesi

28

Antonio Varsori, Storia Internazionale dal 1919 ad oggi, Il Mulino, Bologna, 2015. 29

Romero, op. cit., pag. 25. Quali erano tali ipotesi? Erano quelle relative alla necessità della

collaborazione con gli occidentali capitalisti, una necessità imposta dagli eventi: «Si è creata un’alleanza tra noi e la corrente democratica dei capitalisti perché quest’ultima non era interessata a consentire il dominio di Hitler (…) ma nel futuro saremo anche contro questa frazione dei capitalisti». Il virgolettato riporta un discorso di Stalin tenuto il 28 gennaio 1945, citato in Georgi Dimitrov, Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945), ed. italiana a cura di Silvio Pons, Einaudi, Torino, 2002, pag. 802, come riportato in Federico Romero, freq. cit., pag. 25. 30

La questione dei confini “naturali” dell’URSS naturalmente non prende qui in considerazione la

politica militare di aggressione da parte della Germania e dell’Italia negli anni fra il 1942 e il 1943, - in cui quei confini si cercò di portarli addirittura fino a Mosca - anni in cui si registrarono milioni di morti da entrambe le parti. La campagna militare di Russia, la frettolosa organizzazione dell’Armir italiana, spedita al fronte con centinaia di camion OM, ma con soldati italiani fondamentalmente mal equipaggiati e in un periodo tardivo, in quanto il “generale inverno” russo, che tutti temevano, non si potè evitare a causa del precedente intervento militare, nell’estate del ’42 ad El Alamein -dove i tedeschi dovettero soccorrere, inutilmente, le armate italiane- si rivelerà fatale per migliaia di italiani che caddero combattendo sul Don. Questo, come altri episodi, rappresenta un portato di quella che era la reale natura dell’intesa con la Germania. Gli italiani, considerati traditori dopo l’8 settembre, precedentemente aiutati

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dell’Europa dell’Est”.31 Assumeva una certa importanza a tal proposito la questione della reale

natura dei confini orientali dell’Europa, quanto meno nella prima fase del conflitto. A questo

proposito, importante era la situazione della Polonia, che si trovava ad essere un vero e proprio

“Stato-cuscinetto” fra la Germania nazista e l’URSS. Tra i due Stati, il nemico invasore era la

Germania. Ma l’URSS comunista era un pericolo nient’affatto scongiurato; si trattava, per la

Polonia, solo di una questione rimandata, in quanto le dispute di confine con l’URSS sarebbero

sicuramente riemerse, cosa che di fatto avvenne, manifestandosi in tutta la sua gravità nel

dopoguerra. Questa situazione rendeva per la Polonia difficile fidarsi dell’alleato sovietico, visto

come un pericolo altrettanto grave rispetto al nazismo. Questo era stato il tenore degli incontri

fra le potenze occidentali, Londra e Parigi in primis e l’URSS.32

2.5. Accondiscendenza degli occidentali verso l’alleato sovietico

Effettivamente l’avanzata sovietica era un “rischio calcolato” nell’Europa stremata dal

Nazismo: l’Armata Rossa che sarebbe avanzata nel territorio europeo, sarebbe stata vista come

una conseguenza, date le circostanze, del tutto naturale e quindi vista dagli alleati nella lotta

contro il nazismo, come il “male minore” se è vero che nel corso delle conferenze di Teheran

(novembre 1943) e di Yalta (febbraio 1945), “l’idea di una zona di sicurezza sovietica in

Europa Orientale fu sostanzialmente accettata, e si discusse solo delle sue modalità.”33 Le

ragioni di una tale accondiscendenza nei confronti di un regime totalitario, quello sovietico, da

parte di Stati Uniti e Gran Bretagna, va cercata nella situazione particolare del quadro

geopolitico mondiale di allora: a ben guardare una carta geografica del periodo 1941-43, si

sarebbe potuto osservare che le tensioni Est/Ovest erano già esistenti nel corso della guerra: ad

essere diversi erano attori e condizioni; i due poli erano rappresentati da Germania e Giappone

che, a differenza di quanto si sarebbe verificato nel corso della guerra fredda, non erano fra loro

rivali e concorrenti, come USA e URSS fra il 1945 e il 1989, ma alleati in quello che gli

Americani avevano definito l’”Asse del Male”. Ebbene, in questa situazione particolare proprio

in Egitto, furono poi abbandonati a sé stessi, nonostante sul Don avessero combattuto eroicamente con meno mezzi dei tedeschi, venendo in molti casi lasciati morire da questi sulla sterminata pianura sovietica. Chi scrive non concorda sul fatto che “tradire” un alleato così efferato fosse indice di pusillanimità, ma piuttosto, di una tardiva presa di coscienza della realtà della situazione - e, piace pensarlo, della efferatezza dell’alleato nazista - oltre che della reale potenza del Regio Esercito italiano. 31

Federico Romero, Storia della guerra fredda, cit., pag. 25. 32

Il fatto che le delegazione diplomatica anglo-francese, istituita per avviare dei contatti con l’URSS,

viaggiasse via nave nel corso di una missione volta al coinvolgimento, da parte occidentale, dell’URSS nella campagna di liberazione dell’Europa dal nazismo, non sfuggì a Stalin e ai suoi collaboratori, i quali videro nella presenza di interlocutori di secondo ordine una malcelata volontà europea di spingere Hitler ad espandersi ad est, in particolare contro l’Unione Sovietica. Cfr. Antonio Varsori, Storia Internazionale dal 1919 a oggi, Il Mulino, Bologna, 2015, pag. 93. 33

Federico Romero, cit., eadem.

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la natura, il tipo di tensioni “sul tappeto” della geopolitica mondiale in quel momento storico era

rappresentato da un Est e un Ovest di tipo europeo (non statunitense, quindi), fra di loro alleati e

desiderosi di soggiogare il mondo intero e, al limite, venire a patti con britannici e americani,

qualora lo avessero voluto.34 Quindi il rischio era rappresentato proprio dalla “tenaglia” dei due

regimi militaristi, Germania e Giappone, con la creazione di una Eurasia tedesco-giapponese.

Durante la guerra, dunque, non vi erano un Est e un Ovest fra loro concorrenti, ma alleati: per

scongiurare un rischio simile, sarebbe andato bene anche Stalin. Quanto americani e britannici

si limitarono a fare fu evitare la possibilità che Mosca ponesse in vita una sorta di controllo

totalizzante nei confronti dei territori europei che cadevano sotto la sua giurisdizione militare

imponendo loro una sovietizzazione, che poi si sarebbe rivelata fatale per la riorganizzazione

della nuova Europa quando questa fosse stata finalmente pacificata e liberata dal giogo nazista.

Per capire meglio gli assetti di forze che in quegli anni stavano insieme combattendo in Europa

contro il nazismo, va detto che in Europa Orientale l’Armata Rossa era di gran lunga la forza

preponderante già durante l’inverno 1944-45, periodo in cui si diede la spallata finale al

nazismo. Nella visione realistica di Churchill e Roosevelt, andare a turbare i sonni di Stalin,

imponendogli una democratizzazione al posto di una sovietizzazione della parte orientale del

continente europeo, sarebbe stato un errore tattico, a prima vista, ma anche di strategia militare

vera e propria. Del resto, anche Stalin, mutatis mutandis, aveva una simile visione realistica

della situazione: il processo di sovietizzazione lo vedeva come possibile solo nell’est Europa,

mentre per quanto riguardava il resto del continente, in mani occidentali, ebbene lì si sarebbero

magari dovuti fare degli accordi, per le ragioni più varie35, ma nulla più, in modo tale che in

futuro questi Paesi non avrebbero guardato alla Russia come ad un nemico. Vi era il comune

sentire che la Germania, come del resto il Giappone, non sarebbero mai più dovuti essere una

34

C’è da dire che Hitler, un dialogo con i britannici, lo aveva tentato: più di una volta suoi emissari e lui

stesso aveva mandato chiari messaggi di amicizia agli inglesi, aspettando fino all’ultimo, fino ai panzer che si erano “spiaggiati”, arenandosi nella zona di Dunquerque e quasi riluttanti all’intervento in Inghilterra, che poi vi fu, per via aerea, il 28 dicembre 1940 (bombardamento di Londra). E’ nella natura degli inglesi il dialogo eclettico con il nemico: forse è una natura che hanno mutuato dai Normanni invasori, che avevano sempre dimostrato (800 anni prima di questi fatti) una forma di accondiscendente intransigenza verso i loro nemici e di soluzione diplomatica delle controversie fra Stati, anche dopo averli combattuti (e, spesso, battuti) sul piano militare. Tuttavia, nell’evoluzione della storia di questo popolo non vi sarebbe mai stata alcuna accondiscendenza verso regimi oppressori della propria libertà. Questo aspetto del loro carattere, Hitler lo sapeva bene, così ben presto si rassegnò all’idea e svanì anche il suo sogno di creare in Europa un’unica razza germanica che comprendesse anche gli inglesi. Da allora in avanti, dopo il “Patto d’Acciaio” fra Italia, Germania e Giappone, (detto anche “Ro.Ber.To” dagli acronimi di “Roma – Berlino – Tokio”) anche nella propaggine fascista del nazismo, cioè qui in Italia, la propaganda iniziò a colpire gli inglesi, dopo un lungo periodo di appeasement, definendo la Gran Bretagna come “perfida Albione”. 35

Come osserva giustamente Federico Romero, tra le motivazioni vi era la necessità di ottenere delle

riparazioni di guerra, ma anche la possibilità di mantenere aperti i giochi onde evitare soluzioni che fossero “dannose per gli interessi sovietici..” Nell’ottica “….delle sfere di influenza ciò voleva anche dire che i partiti comunisti dovevano seguire opzioni moderate di partecipazione a governi di coalizione, invece di spingere per rotture di tipo rivoluzionario”. Romero, op. cit., ibidem, pag. 26.

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minaccia per nessuno.

2.6. “Est/Ovest” – definizione concettuale

Vi è un preciso momento storico, in cui le tensioni Est/Ovest passano da “amico/amico”

con convergenza “a tenaglia” di tipo centripeto (Germania e Giappone) a “amico/nemico”, di

tipo centrifugo e orientate, in base a determinati rapporti di forza, ora verso il “polo est” ora

verso il “polo ovest” (USA e URSS): questo momento, come si è detto prima, è l’inverno 1944-

45. Le tensioni internazionali, messe da parte allo scopo di fronteggiare il pericolo nazista,

riaffioravano a vantaggio del “polo est” proprio con la Germania divisa in zone di influenza.

Infatti, “una volta inglobata la Prussia Orientale nei nuovi confini dell’URSS (e la Slesia in

quelli della Polonia), Mosca non intendeva smembrare ulteriormente la Germania, ma anzi

mantenerla come entità unitaria sotto il controllo alleato congiunto…”.36

2.7. L’Unione Sovietica

Si può provare ad interpretare meglio la tensione internazionale scaturita dalle dinamiche

bipolari Est/Ovest, facendo un espresso richiamo alla natura dei due contendenti: l’URSS era

una grande nazione totalitaria, che veniva da un passato molto duro, dove ancora fino al 1860

sopravviveva la “servitù della gleba” come sistema sociale in cui non vi era alcuna giustizia

perequativa e i contadini vivevano permanentemente in uno stato di vassallaggio nei confronti

dei grandi signori e dello zar. Questa situazione era durata, con alcune parziali modifiche,

36

A ben vedere, questo passo de la “Storia della guerra fredda” descrive efficacemente la situazione

contingente di quegli anni e aiuta a capire la complessità della vicenda tedesca, al proposito della questione della riforma monetaria (Vedi Cap. 1, supra). Infatti mantenere la Germania unita e considerandola un “alleato congiunto” avrebbe permesso all’URSS di avere voce in capitolo sul futuro della terra tedesca, “impedendo eventuali ricostruzioni a proprio danno; avrebbe potuto ricevere riparazioni anche dai grandi poli produttivi situati fuori dalla sua zona di occupazione, come la Ruhr; magari avrebbe potuto influenzarla tutta per via indiretta….” (Romero, op. cit.). “Il 4 giugno 1945 Stalin disse ai comunisti tedeschi che stavano per rientrare a Berlino, al seguito delle forze sovietiche che, per il momento vi sarebbero state «due Germanie». Nella propria zona di occupazione l’influenza era ovvia, mentre nel resto del Paese prevedeva un declino dell’influenza britannica se gli USA, come più volte ripetuto, si fossero ritirati dall’Europa”. A conti fatti, una Germania unificata e unita sarebbe stata “«amichevole» nei confronti dell’URSS. Un anno più tardi..” Stalin “avrebbe addirittura detto, parlando delle prospettive di lungo periodo: «La Germania deve essere tutta nostra, vale a dire sovietica, comunista»” Federico Romero, cit., eadem. Il lungo passo qui riportato serve a comprendere la determinazione con cui, qualche anno dopo, all’interno del Consiglio di Controllo alleato, i sovietici avrebbero cercato di far nascere una Germania unita e unificata sotto una sola moneta arrivando a bloccare gli accessi a Berlino nel momento in cui si erano resi conto dell’imprescindibilità della doppia moneta, fortemente voluta dagli alleati occidentali, USA in primis, prologo di una realtà c.d. delle “due Germanie” che sarebbe durata ben oltre i primi anni del dopoguerra, occupando un lasso di tempo che va dal 1945 sino al crollo del Muro di Berlino, avvenuto l’8 novembre 1989, primo atto della riunificazione tedesca, avvenuta nel maggio 1990.

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introdotte da alcuni personaggi illuminati anche nei secoli precedenti come la zarina Caterina

nel ‘700, fino al 1917, con la Rivoluzione d’Ottobre, che aveva annientato la monarchia e

inaugurato il soviet, prima con Lenin e poi con il caucasico Josip Djugashvili, più noto come

Stalin. Questi aveva introdotto un sistema sociale basato su piani quinquennali,

collettivizzazione in ambito agrario e tante misure, tra cui quelle più note riguardavano la

distribuzione delle risorse per i lavoratori, sia della terra che delle fabbriche; misure che più

tardi con la “lunga marcia” avrebbero riguardato anche la Cina di Mao (1949). L’URSS era

quindi una nazione proiettata verso un avvenire di tipo collettivistico, (in termini politici,

comunista) e questo, nella genesi delle tensioni Est/Ovest, avrebbe partorito un’Europa,

appunto, simile in tutto e per tutto alla Russia sovietica.

2.8. Gli Stati Uniti d’America

Gli Stati Uniti d’America erano invece una nazione relativamente giovane: era un Paese

nato circa 170 anni prima delle vicende della Seconda Guerra Mondiale e, già dalla

partecipazione al primo conflitto globale, aveva manifestato una potenza senza pari in Europa,

contribuendo alla sconfitta del militarismo prussiano e austro-ungarico; negli anni successivi

alla tragedia del primo conflitto mondiale, gli USA avevano conosciuto il periodo della crisi del

1929 e del tracollo finanziario che seguì al “venerdì nero”. Tuttavia, nel 1932 era diventato

Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt e lo sarebbe rimasto ininterrottamente

fino al 1945, anno della sua morte, avvenuta il 12 aprile di quell’anno, poco prima dell’inizio

dei lavori della conferenza ONU, il 25 aprile. Ebbene il particolare carisma di quest’uomo,

eletto presidente nel 1932, nel 1936, nel 1940 e nel 1944, era stato determinante per la vittoria

degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, non solo per ciò che rappresentò (gli USA

uscirono dalla Grande Depressione senza cedere a regimi totalitari, come successe in Europa,

conseguenzialmente gli americani accrebbero il proprio patrimonio del 60% negli anni che

vanno dal 1938 al 194537, gli anni drammatici della guerra in Europa), ma anche dal punto di

vista costituzionale: dopo la sua quarta elezione consecutiva, gli americani si posero il problema

del rapporto fra democrazia e carisma, introducendo un emendamento alla Costituzione ove si

stabiliva che il Presidente, da allora in aventi, si sarebbe potuto rieleggere per non più di una

volta.

2.9. “Est/Ovest” – convergenza dei due poli

Fra i due imperi, locus in cui si legittimava il rapporto dicotomico Est/Ovest, ad essere

37

Federico Romero, Storia della guerra fredda, cit., pag. 29.

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fisicamente più “in forma” erano proprio gli Stati Uniti, che rappresentavano un modello ideale

di sviluppo per l’Europa dilaniata dal conflitto mondiale. Oltre a ciò gli Stati Uniti erano la mèta

privilegiata di buona parte dell’emigrazione dall’Europa centrale e meridionale e, quando anche

non fossero essi, mèta di tale emigrazione erano Paesi come il Brasile, l’Uruguay, l’Argentina,

il Venezuela, insomma tutti Paesi che si trovavano nell’emisfero occidentale. Vi era già dunque,

una naturale tendenza europea continentale ad andare “verso ovest”, che era propria di quegli

anni e che sarebbe ancora durata a lungo, tant’è che nel periodo coevo alla caduta del Muro di

Berlino quella tendenza sarebbe addirittura divenuta quasi una pulsione irrefrenabile nella stessa

Unione Sovietica, rappresentata icasticamente dalla “perestrojka” di Michail Gorbatcev, in

politica, mentre nella cultura da un generale “Going West”, divenuto imperativo categorico di

una certa cultura pop di quegli anni (1985-1990).38

2.10. Gli Stati Uniti dalla “porta aperta” alla sicurezza globale

Vi era dunque la consapevolezza di un destino comune a guidare la volontà di porre in

essere accordi come quelli partoriti verso la fine della Seconda Guerra Mondiale: la c.d. dottrina

liberista della “porta aperta” veniva letta ora “come un imperativo politico, fondamento del

mondo postbellico che gli USA volevano edificare. Forti della propria indispensabilità come

unico grande creditore, essi negoziavano, in particolare con i britannici, una serie di accordi,

definiti nella conferenza internazionale di Bretton Woods (1944)”.39La questione della

sicurezza globale, cui avrebbe contribuito l’ovest, rappresentato dagli Stati Uniti, andava di pari

38

Cfr. Canzone come Go West dei Pet Shop Boys, così come altre composizioni canore di gruppi russi,

quali Tovarish Gorbatcev. Recentemente, Rai Storia ha prodotto un documentario in cui si è parlato del ruolo, svolto in URSS fin dai tempi di Brezhnev, di gruppi musicali di fama mondiale, come i Beatles, e dell’influenza di questo gruppo musicale nella volontà sovietica - soprattutto della gente comune - di guardare ad occidente, simbolo della fuga da ogni oppressione totalitaria. Una considerazione, ad avviso di chi scrive, si impone: mentre nell’URSS di quegli anni vi era la volontà di democratizzare la società, vedendo nel capitalismo e nella liberazione anticonformista rappresentata dalla musica rock un ideale da raggiungere, nelle società occidentali si inneggiava al comunismo e al “libretto rosso” di Mao. Ma quale era, al di là della moda, la reale presa di coscienza di ciò che era veramente il regime comunista? E’ vero, l’erba del vicino è sempre più verde, si potrebbe dire: in realtà, almeno fino a quando Alexander Solgenytsin, in esilio, non avrebbe pubblicato Arcipelago Gulag nel ’74, questa coscienza non ci sarebbe potuta nemmeno essere. Forse la generazione nata e cresciuta fra i ’50 e i ’60 in occidente, così come, più drammaticamente, in Unione Sovietica, aveva accesso diretto a forme propagandistiche di regimi sia democratici che totalitari, più che a strumenti di conoscenza diretta, cui non poteva avere accesso forse anche a causa della guerra fredda. Così si sono, negli anni, alimentati falsi miti e tendenze: come poteva un movimento profondamente democratico come quello del ’68, avere come obiettivo finale quello dell’affermazione del comunismo, inteso quale socialismo reale? Propaganda politica, mezzi di comunicazione di massa, musica pop, rock, ecc., contribuirono a creare questi miti, falsi e poi, purtroppo, tristemente degenerati in violenza diffusa. Il riflusso degli anni ’80 sarebbe servito a normalizzare il quadro sociale: era la dimostrazione che la lotta politica del decennio precedente aveva ormai perso il suo appeal e, in un quadro internazionale profondamente cambiato, si avviava a tornare ad essere una lotta puramente democratica, ormai rientrata nelle aule dei vari parlamenti nazionali. 39

Federico Romero, Storia della guerra fredda, op. cit., pag. 31.

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34

passo con la sicurezza interna di questo Paese: per sicurezza interna si intendeva sicurezza da

possibili attacchi che non si temeva potessero avvenire tanto entro i confini terrestri degli Stati

Uniti, ma piuttosto che sarebbero facilmente potuti accadere all’interno della loro area di

influenza, l’Europa occidentale, che gli USA consideravano strategicamente come il luogo in

cui non si sarebbe dovuta tollerare alcuna invasione da parte del dittatore sovietico, né tanto

meno una perdita di quei valori condivisi da oltre 160 anni fra gli Stati Uniti e l’Europa, che

erano ideali di libertà e democrazia.40 Tuttavia, proprio la sicurezza della condivisione di quei

valori, di quelle dottrine, in quanto minacciati dall’incedere di un grande “impero”, quello

sovietico, dava all’America in quegli anni un’idea di vulnerabilità: una sensazione di difficoltà

diffusa, un’incertezza, rappresentata dalla meritata quanto complessa vittoria del 1945.

Complessa, perché complessi erano gli attori di questa vittoria, con le loro differenze sul piano

geopolitico e soprattutto di impostazione politica, di cui si è più volte detto. La sensazione di

vulnerabilità, in altre parole, era che se il liberalismo non si fosse affermato in Europa, se ivi

fosse stato anche solo minacciato, allora ne sarebbe stata minata l’esistenza anche negli Stati

Uniti, ed è lì, oltreoceano, che sarebbe stata a rischio l’intera impostazione politico-

economica.41 Quindi, se il liberalismo politico ed economico non poteva prosperare in Europa e

questo fatto poteva causare una perdita di governance anche negli Stati Uniti, conseguenza

logica di tutto ciò era che gli Stati Uniti si sarebbero dovuti armare e combattere in difesa di

quegli interessi che erano soprattutto i loro interessi. Questa visione è interessante, ma c’è

qualcosa di più, qualcosa di più profondo nel sentire stesso degli americani: la difesa

dell’Europa, vista da una prospettiva puramente economica, non era che una logica conseguenza

di questo modo di agire, però rimaneva il sospetto fondato, se non la certezza, che vi fosse

qualcosa di più.42

40

Gli Stati Uniti rappresentavano, agli occhi degli occidentali, un’icona di democrazia; alcuni autori,

come Tocqueville, ne avevano analizzato i modi in cui questa si era affermata nei territori degli USA e come essa era amministrata e gestita negli Stati Uniti dell’’800. Alexìs Clerel, conte di Tocqueville, De la dèmocratie en Amèrique, 1835-40, varie edd. 41

La rivista economica “Fortune” scriveva nel 1941: «Se Hitler distrugge la libertà in ogni altro posto,

essa perirà anche qui. Circondati da un mondo ostile al nostro modo di vita, saremo costretti a diventare una grande potenza militare. Ci ritroveremo dominati e pressoché posseduti dal nostro stato: un popolo asservito a (…) un sistema statale che, per la propria autodifesa, dovrà assumere le caratteristiche di quello hitleriano». Federico Romero, Storia della guerra fredda, freq. cit., pag. 32. Il virgolettato è ripreso dall’articolo The fight for freedom, in «Fortune» del giugno 1941, pag. 59, come riportato in Romero, eadem. 42

“Ne scaturiva anche, nella cultura pubblica degli americani, una lettura dei propri scopi nazionali

come generosa, altruistica offerta al mondo intero di una ricetta di stabilità, di un modello di pacificazione sociale e internazionale, e delle risorse per metterli in pratica. Si formava quindi un’aspettativa collettiva di una pace giusta e cooperativa, fondata sulla presunta universalità dei principii liberali della nazione. Ed era proprio questo il problema al cuore della visione statunitense del mondo postbellico. I paradigmi del liberalismo politico ed economico sarebbero stati accolti dagli altri? L’universalismo della proposta americana avrebbe potuto associare le altre potenze in un sistema internazionale condiviso e cooperativo?” Romero, op. cit., pag. 33. Quindi, fondamentalmente, l’America era assestata in una difesa degli interessi del liberalismo internazionale, minacciato dalla “terza

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2.11. Il “fascino” della democrazia

Oltre a ciò, tuttavia, vi era anche il fascino, il profumo che la democrazia portava con sé:

era chiaro che gli Stati europei, martoriati da 6 anni di guerra e da un ventennio di totalitarismi,

fossero attratti molto di più dall’America liberatrice che non dai sovietici che liberavano

colonizzando e, in certi casi, compiendo stupri e massacri.43 E in ogni caso, come si è già avuto

modo di sottolineare, Roosevelt considerava l’alleanza con Stalin soltanto in chiave difensiva

dal pericolo nazista; poi sembrava ad entrambi i contendenti essere già chiaro il futuro, che

sarebbe consistito nella divisione del mondo in due blocchi contrapposti. Infatti, già durante la

guerra, si parlava della necessità di proporre un’integrazione dell’URSS nel sistema

internazionale, ma impedendo la sovietizzazione dei Paesi conquistati, sicuramente di quelli

oltre cortina. Così, i cambiamenti in atto nel mondo, avevano lasciato oltre che un rinnovato

modo di vedere le tensioni Est/Ovest (da “amico/amico” di tipo centripeto ad “amico/nemico”

di tipo centrifugo e polarizzato,come si diceva poc’anzi), una visione di un destino comune,

visione che riguardava sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica, entrambi consapevoli della

ineluttabilità di quei rapporti di forza, espressi nella divisione in blocchi contrapposti.

2.12. Ricostruire. Cosa?

2.12.1. Dopoguerra e distruzione in Europa

Nell’immediato dopoguerra - o meglio - nei vari immediati dopoguerra che si andavano

susseguendo man mano che gli eserciti delle potenze alleate andavano liberando l’Europa dal

via”, per usare toni eufemistici, rappresentata dal nazionalsocialismo e, poi, dal socialismo sovietico: le domande che però l’America si poneva erano a tratti angosciose per sé stessa: sarà compresa la nostra azione/missione? Si comprenderà lo spirito universalistico che questa comporta e, soprattutto, avremo collaborazione dai nostri alleati, o dovremo fare tutto da soli? Queste erano le domande di un gigante che si stava muovendo per compiere il proprio destino, non soltanto per venire a salvare l’Europa o fare semplicemente i propri interessi. Ciò che la gente, allora, l’opinione pubblica americana richiedeva, era che questo destino l’America lo condividesse con un’Europa disciplinata e indirizzata sulla loro stessa rotta. 43

E’ noto che quando l’Armata Rossa prese possesso di Berlino si abbandonò a stupri e massacri

compiuti a danno popolazione inerme, al punto che molte fanciulle preferirono il suicidio, piuttosto che finire in mano alla soldataglia sovietica in vena di ogni genere di bestialità. Non è questo il volto che aveva l’esercito USA, che veniva spesso identificato con il soldato Joe che dà le caramelle al piccolo sciuscià; l’immagine dell’arrivo degli americani in Italia con quel sorriso largo e così ricchi di doni per i bambini europei di allora è una delle immagini icasticamente più significative e meglio rappresentate dal neorealismo cinematografico italiano. In Italia, ma anche nei Paesi liberati dal nazismo, come la Francia, o riarmati una volta denazificati, come la Germania, o ancora come le Fiandre, ecc., credo si sia cementato in questa faccia buona rappresentata dagli USA liberatori quel comune destino (vedi supra): si sa bene, che la democrazia ha un prezzo, però. E gli USA, per certi Paesi, in alcune aree del mondo, avrebbero fatto pagare negli anni il prezzo della loro missione ad altri popoli, non sapendo comunicare anche ad essi la percezione di quella comunanza di interessi: non seppero, non vollero, non poterono, chissà.

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nazi-fascismo, emergevano con estrema evidenza tutte le difficoltà collegate alla questione della

ricostruzione. Ricostruire era l’imperativo categorico di quegli anni; ricostruzione come nuovo

risorgimento dopo le tempeste di una guerra che aveva fatto, solo in Europa, decine di milioni di

morti. E centinaia di milioni di uomini e donne, sopravvissuti, erano adesso interessati dalla

questione della ricostruzione. In altre parole, le conseguenze del conflitto erano conseguenze

prevalentemente umane. Questo aspetto aiuta a comprendere in quale chiave leggere il

cambiamento che gli eserciti alleati avevano in mente per l’Europa: vi erano stati milioni di

morti, vi era distruzione ovunque; oltre ai morti fatti dalla guerra, erano dappertutto evidenti i

segni della guerra, come la distruzione di campagne e città, di fabbriche: in molti filmati, nel

corso degli ultimi 20 anni, ci siamo abituati a vedere immagini di città distrutte e rase al suolo

nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Chi allora si fosse trovato ad attraversare città come

Berlino, Dresda, Tokyo, Leningrado, Hiroshima, Nagasaki, Mosca, Stalingrado, Londra,

Milano, Torino e migliaia di altri centri urbani minori, avrebbe assistito alla vista di una marea

umana di gente che fuggiva portandosi appresso quel poco o niente che la distruzione immane

prodotta dalla guerra aveva loro lasciato.44Stesso discorso valeva per l’olocausto degli ebrei;

tuttavia, l’intera Europa era stata preda di un suicidio collettivo, come se una generale volontà di

autodistruzione avesse invaso le menti e gli animi di uomini e donne che per sei anni avevano

cercato e desiderato la morte, in un turbine futuristico di velocità irrefrenabile, di note musicali,

di trionfali cavalcate wagneriane, che chiudeva nello stupore dell’autodistruzione, plasticamente

rappresentato dalle rovine di città come Berlino o Dresda, la lunga corsa della civiltà

occidentale figlia del risorgimento e della rivoluzione industriale.45 Ed il senso di queste parole

44

Da quando sono stati resi disponibili all’opinione pubblica mondiale, nel 1995, a 50 anni dalla fine

della Seconda Guerra Mondiale, i cc.dd. combat films della Seconda Guerra Mondiale, è cambiata anche la percezione di noi “posteri”, che della Guerra avevamo sempre sentito parlare quasi esclusivamente dai libri di storia e dai racconti di familiari coinvolti nel conflitto. Naturalmente, solo le immagini sono in grado di dare forma ai concetti. Immagini di esecuzioni sommarie, di responsabili di eccidi gettati in pasto alla folla e trucidati, visioni di corpi di bambini e adulti senza vita, hanno cambiato il modo di osservare la realtà dell’ultimo conflitto mondiale e ci hanno reso direttamente partecipi di una verità forse fino a qualche tempo prima, velata se non addirittura negata. L’atteggiamento di chi partecipa ad una guerra, è testimone diretto degli eventi, sopravvive agli stessi e li tramanda, difficilmente è un atteggiamento complice del racconto visivo di quell’esperienza. E’ spesso l’atteggiamento di chi, controvoglia, accenna a qualcosa qua e là, ma non racconta: non racconta, perché è inenarrabile lo scempio, la morte bambina, gli stupri e gli eccidi di massa; sono inenarrabili i corpi senza vita in sé, lo sono molto di più i corpi carbonizzati, decapitati, fatti a pezzi; lo sono senz’altro intere famiglie suicidatesi a Berlino per non cadere in mani sovietiche, lo sono il ricordo dei commilitoni caduti e lo è quello dello stupore con cui in genere chi sopravvive si chiede perché non è toccata anche a lui la morte in battaglia. A pensarci bene, non si può biasimare tale atteggiamento. Vi è tuttavia chi racconta, e in generale, questi racconti sono testimonianza diretta degli eventi; testimonianza oggi supportata dalle immagini e che costituisce un grosso patrimonio, in termini di ricostruzione della memoria, perché dà voce a quelle immagini di fuga e disperazione, di cui si parlava, e alle quali ormai siamo stati abituati. 45

D’altronde, come si poteva narrare l’orrore dei campi di sterminio nazisti, come si poteva concepire

che homo europaeus da sempre portatore di una civiltà colta e raffinata, fosse stato capace di scendere

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lo si comprende meglio partendo da un duplice ordine di considerazioni: il primo è che se una

ragione di questo immane disastro vi era stata, era quella della perdita, in qualche maniera, del

primato di civiltà ed economico che il continente europeo ancora aveva; il secondo, che da

allora, dal 1945, nessuno più, non solo in Europa, ma nel Mondo, avrebbe pensato più alla

guerra come ad un male necessario, avente una funzione rigeneratrice dei popoli, del loro spirito

e della loro identità, quasi un rito purificatorio, che ogni 20-30 anni sarebbe stato da ripetere per

adempiere, appunto, a tale finalità. Quindi, dal 1945 cambiò proprio il modo di intendere la

guerra e questa venne vista soltanto come un male, un male da evitare ad ogni costo. Questa

affermazione strideva tuttavia, con la realtà che si sarebbe presentata, dal 1945 in avanti,

materializzandosi in un gran numero di guerre in tutto il pianeta; ma al tempo stesso, proprio la

dinamica di queste guerre, la ricerca assoluta della stabilità globale, confermava questa teoria, in

quanto la ricerca della stabilità mondiale (leggasi: occidentale) era ormai diventata un qualcosa

da perseguire ad ogni costo, anche a costo del cosiddetto equilibrio del terrore.

2.12.2. Conseguenze della guerra nelle nazioni sconfitte

Le conseguenze della guerra, nelle nazioni sconfitte, erano state molteplici e

differenziate, a seconda dei Paesi nei quali esse si andavano manifestando: per il Giappone e la

Cina, la guerra fu causa di immani distruzioni. Per gli Stati Uniti fu all’origine della ripresa

economica, successiva alla fine della grande depressione e segnò l’avvio di un ciclo di crescita

incomparabile a quello di qualsiasi altra potenza mondiale. Per l’Unione Sovietica si trattò di un

ritorno all’indietro, con 1700 città distrutte dalla furia nazista, così come il 70% degli impianti

industriali e il 60% delle infrastrutture. Per quanto riguardava la Germania, nonostante

l’immane distruzione di città come Dresda e Berlino, gli impianti industriali non avevano subito

la stessa sorte di quelli sovietici; tuttavia, il limite derivava, casomai, dalla situazione di stallo

dal punto di vista politico, che ne impediva il funzionamento.46

2.12.3. Conseguenze della guerra nelle nazioni vincitrici

Per quanto invece riguardava le nazioni vincitrici, anche qui vi furono conseguenze

così tanto negli abissi e nelle profondità del male e della distruzione? Approfondimento in Appendice (Documento 1 pag. 165).

46 Nel 1946 il Prodotto Nazionale Lordo del territorio tedesco occupato dagli Alleati era pari a meno di

un terzo di quello del 1938; a Berlino vi era il 75% delle abitazioni completamente distrutto, mentre in Italia, il Reddito Nazionale Lordo del 1945 era pari a circa il 40% di quello del 1938; in Giappone, nel 1946 era il 57% rispetto alla metà degli anni Trenta. A questo proposito, cfr. E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, pag. 598.

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diverse a seconda dei Paesi: in Francia, nel 1945 il Reddito Nazionale Lordo era pari alla metà

di quello del ’38; in Gran Bretagna, benché ivi si contassero prevalentemente i danni prodotti

dai bombardamenti e non dall’occupazione, i problemi erano decisamente gravi, al punto che,

quando i laburisti andarono al governo, nel luglio del ’45, si trovarono di fronte a quella che

John Maynard Keynes aveva definito una “Dunquerque finanziaria”.47

2.12.4. Stati Uniti e Unione Sovietica, un duopolio inevitabile

A differenza quindi di tutte le altre nazioni, gli Stati Uniti erano diventati il paese più

ricco del mondo. Alla fine della guerra, le loro riserve auree erano aumentate a dismisura e la

produzione di merci di consumo era un terzo di quella mondiale; si andava affermando sempre

di più l’American Way of Life, il sogno americano, sinonimo di un ideale di vita e un mito alla

cui diffusione avrebbero contribuito i maggiori mezzi di comunicazione di massa.

L’Unione Sovietica, nonostante la sua povertà e l’arretramento socio-economico di oltre

un decennio, era passata dai confini del 1939, ad una situazione che la vedeva prorompere fin

nel centro dell’Europa: essa aveva annesso parte del territorio finlandese, la Carelia, gli stati

baltici, metà della Prussia Orientale, della Polonia Orientale, della Rutenia sub carpatica, della

Bucovina e della Bessarabia, e, dall’altra parte del continente asiatico, delle Isole Kurili, per non

parlare dell’occupazione militare di parte della Germania e dell’Austria oltre che della Corea

settentrionale.

2.13. Ricostruire. Diversità di approcci

2.13.1 La ricostruzione. Approcci psicologici differenti

Tale diversità di situazioni stava a dimostrare come il problema della ricostruzione,

fondamentalmente, riguardasse l’Europa e una parte dell’Asia, quanto meno direttamente, e solo

indirettamente il resto del mondo. La parola “ricostruzione”, tuttavia, indicava una varietà di

significati profondamente diversi fra loro. Infatti, mentre nei paesi vincitori essa riguardava

prevalentemente gli aspetti materiali del termine, in quelli sconfitti riguardava anche gli aspetti

istituzionali, in quanto presupponeva l’avvento di nuovi sistemi di governo, più avanzati e

ideologicamente affini a quelli dei paesi cc.dd. “liberatori” e sicuramente alternativi, nelle

47

L’accostamento non poteva essere più azzeccato. Il pantano di Dunquerque aveva fermato i carri

armati di Hitler dalla conquista dell’Inghilterra, accarezzando anche una incertezza del fuhrer, che fino all’ultimo aveva sperato di portare l’Inghilterra dalla sua parte. Quando si rese conto che non sarebbe stato così, Londra venne messa a ferro e fuoco dai bombardamenti aerei del 28 dicembre 1940. “Dunquerque finanziaria”, dunque, come sinonimo di stallo, di “drole de guerre”, di quiete prima della tempesta.

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dinamiche politico-ideologiche, a quelli che li avevano preceduti e che avevano avuto come

corollario della loro azione politica quello di scatenare la guerra. Anche se tale distinzione può

apparire semplicistica, va tuttavia rilevato come il termine “ricostruzione” non venne mai

accostato ad un semplice ritorno al passato, ma alla costruzione di qualcosa di nuovo, o di

diverso.48

48

L’idea che accompagnava la ricostruzione era quella di una sorta di palingenesi politica; una rinascita

su nuove basi di un pensiero e di una ideologia, se non del tutto nuovi, quanto meno, diversi. Questo fu senz’altro vero per la Gran Bretagna, in cui la ricostruzione si accompagnò ad un processo di trasformazione sociale senza precedenti, con l’avvento al potere dei laburisti; in Francia, ricostruzione fu sinonimo di “fine dell’esperienza della Terza Repubblica (1871-1940), oltre che della Repubblica di Vichy (1940-1944)” e, dopo una fase in cui sembrava dovesse prevalere il carisma e la figura del Generale De Gaulle, si ritornò ad un regime parlamentare non molto diverso da quello precedente, ma con una nuova carta costituzionale, che segnò la nascita della Quarta Repubblica (1946-1958), esperienza che sarebbe naufragata circa 12 anni dopo, con il ritorno del Generale De Gaulle al potere e l’avvento della Quinta Repubblica (1958-attuale), su basi presidenziali. Nel Belgio si accese la questione monarchica, che si risolse solo con l’abdicazione di re Leopoldo III. In Italia si scelse fra monarchia e repubblica, con l’avvento, conseguente al voto del 2 giugno del 1946, di quest’ultima e il varo della Carta Costituzionale, in vigore dal 1° gennaio 1948, istitutiva della Prima Repubblica italiana (1946-1993); tale problema della scelta monarchia/repubblica riguardò anche la Grecia, mentre tutta l’Europa Orientale, con la temporanea eccezione della Cecoslovacchia e dell’Ungheria, si vide trasformare dalle fondamenta, passando dai regimi oligarchici prebellici a quelli di impronta sovietica. Cfr. sul punto E. Di Nolfo, op.cit., ibidem, pag. 600. Per quanto riguardava l’Ungheria, essa, dopo il trattato del Trianon, del 4 giugno 1920, aveva subito una radicale trasformazione, con la riduzione del proprio territorio di circa i 2/3. Ancora oggi, in alcune zone della Romania e della Serbia, vi sono robuste minoranze magiare, discendenti dei cittadini ungheresi stanziati in quelle stesse terre. Anche l’Ungheria, così come la Germania dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, aveva seri motivi di recriminazione. Dopo la parentesi rivoluzionaria del regime di Béla Kun, affermatosi il regime di Miklòs Horthy de Nagybànya, di stampo conservatore, sorsero delle rivalità con stati come la Cecoslovacchia e la Romania. Antonio Varsori, Storia Internazionale dal 1919 ad oggi, cit., pag. 24. Questi stati, come anche la Serbia, si erano ingranditi grazie alle cessioni di territori magiari dopo il trattato del Trianon. Per un approfondimento della storia ungherese del XX Sec. si rimanda al documento 2 in appendice pag. 166.

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CAPITOLO 3

USA E URSS ALLA PROVA DELLA DEMOCRAZIA

3.1. Democrazie “liberali” e democrazie “autoritarie”

Nel periodo che va dalla fine della guerra all’approvazione del piano Marshall (1945-

1947) gli alleati avevano avuto diverse occasioni di incontro, sia per quanto riguardava la

Germania, sia per quanto riguardava anche altri teatri; come si è già osservato49 diverse erano

state le occasioni di colloqui all’interno di strutture come il Consiglio di Controllo alleato, dove

tanti incontri si erano trasformati in scontri per affermare ora questa visione politica, ora

quest’altra, sempre restando fermi i divari che continuavano a sussistere sul piano ideologico e

politico fra i due principali schieramenti. Nell’evoluzione dei fatti, per quanto riguardava la

Germania (ma lo stesso discorso si sarebbe potuto fare anche per altri settori dello scacchiere

internazionale), si è avuto modo di vedere come, di fatto, i due principali contendenti fossero

USA e URSS, nonostante il primo agisse all’interno di una coalizione che, oltre che

istituzionalizzata nei suoi aspetti principali in un rapporto leale con Gran Bretagna e Francia, era

anche volontaria, nel senso che l’America agiva in nome proprio/e del tripartito con Gran

Bretagna e Francia; a differenza di questo Paese, l’URSS agiva in nome e per conto

esclusivamente proprio. Tutte e due le superpotenze agivano all’interno di uno scacchiere

internazionale dove ognuna cercava di realizzare i propri interessi; questo perché si riteneva da

più parti che era meglio una rottura all’interno del Quadripartito, piuttosto che una falsa idea di

cooperazione, che avrebbe prodotto nient’altro che uno stallo all’interno del Consiglio di

Controllo.

3.2. Gli accordi di Potsdam

Nel corso della conferenza di Potsdam, del luglio 1945, le potenze si erano accordate in

merito alla questione della Germania, che sarebbe stata considerata come un’unica zona gestita

da un organismo unitario (il quadripartito e la Commissione di Controllo, di cui il Consiglio di

Controllo, che ne era espressione): tuttavia, siffatta spartizione, aveva presentato subito delle

problematicità, connesse, appunto, alla mancanza di un accordo ben preciso fra le potenze del

quadripartito, in primis USA e URSS. Erano i due principali contendenti ad essere messi “alla

prova” nella ricerca di soluzioni democratiche interne, “alla prova della democrazia”, cioè alla

49

Vedi supra, cap. 1.

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ricerca di soluzioni che fossero condivise da tutti e che, soprattutto, risultassero utili alla

Germania e al popolo tedesco.

3.3. La questione delle “riparazioni” – diversità di vedute

Abbiamo visto, in precedenza, come la questione della divisione della Germania fosse

strettamente connessa a quella delle riparazioni: se il debito tedesco per gli americani doveva

essere dichiarato “null and avoid”, ciò voleva dire che si sarebbe posta in essere una tendenza di

lungo periodo in cui si sarebbero ottenute eventuali riparazioni di guerra con un risarcimento,

per gli alleati, che proveniva dal surplus economico della stessa Germania, una volta che questa

nazione si fosse ripresa dalla tragedia - anche economica, dunque - della guerra; di contro, vi

erano i sovietici, i quali, dopo nemmeno due anni dalla fine della guerra avevano già

smantellato parte delle industrie tedesche per impiantarle in Unione Sovietica: per loro, la

ripresa della Germania non era una priorità assoluta, ma era subordinata ai desiderata di Stalin;

in concreto, significava che mediante il mantenimento dei confini unitari della Germania, questa

nazione, una volta rinata, sarebbe stata più facilmente asservibile e docile all’URSS, più di

quanto non sarebbe potuto esserlo una Germania frazionata e divisa in zone50. Questa situazione

aveva precisi risvolti di natura economico-monetaria: riformare la moneta significava

fondamentalmente proporre due valute distinte e separate, cosa che avrebbe ingenerato delle

divisioni all’interno del Consiglio di Controllo Alleato. Questo, se si considera Berlino come il

centro nevralgico, il core system dell’intera nazione tedesca, era quanto si andava affermando in

quel periodo. Tutto ciò aveva delle conseguenze; innanzitutto, la capitale si sarebbe dovuta

spostare da Berlino, che ormai si avviava ad essere una città quasi tutta in mano al settore

sovietico, pur rimanendo le 4 distinte zone di occupazione (il blocco di Berlino era ormai alle

porte): ciò significava che si sarebbe dovuto scegliere un altro posto, come Francoforte, per il

conio della nuova moneta. Questo sarebbe stato possibile e realizzabile qualora si fosse stabilito

un approccio meno problematico alla questione della riforma monetaria, che era una parte della

riforma finanziaria, una parte importante, perché era in questa che USA e URSS legittimavano

uno scontro sul piano politico e ideologico, soprattutto per quanto riguardava la questione degli

scambi commerciali e degli effetti inflattivi di cui si è detto.51 Sul piano ideologico l’esistenza di

“partiti”, come i movimenti comunisti presenti a Berlino e combattuti dagli americani, i quali

avevano sviluppato a loro volta un anticomunismo schietto e non vedevano sicuramente di buon

occhio l’affermazione di movimenti comunisti nelle zone soggette all’influenza occidentale, era

portatrice di ideologie nuove, distribuite verso una gran massa di persone, di circa 2.300.000

50

Vedi supra, Cap. 2. 51

Vedi supra, Cap. 1.

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residenti. Poi vi erano anche conseguenze di ordine pratico, che si sarebbero presentate nel

momento in cui i sovietici avrebbero chiuso le vie d’accesso a Berlino.

3.3.1. La visione francese e quella anglo-americana circa le “riparazioni” tedesche

Americani e Britannici avevano invece un’altra visione, come si è avuto modo di dire.52

Naturalmente, in presenza di due visioni contrastanti, non sarebbero mancate le difficoltà, che si

sarebbero ripresentate anche nel corso dei colloqui in seno al Consiglio di Controllo alleato, a

proposito della questione della moneta.53Tali difficoltà non erano soltanto di tipo economico,

ma anche di natura oggettiva. Si innescavano, infatti, delle forme reiterate di scontro tali, da

indurre a pensare che di fatto non si era più in presenza di un quadripartito, ma di un tripartito,

in cui ad essere veramente d’accordo erano solo tre attori su quattro. Lo si è detto e ribadito più

volte: tale situazione non era procrastinabile, eppure la determinazione della ricerca di un

compromesso ad ogni costo, aveva accompagnato le potenze alleate durante la guerra al

nazismo, a restare insieme per 4 anni (1945-1949), prima di procedere alla divisione vera e

propria in reciproche sfere di influenza.54

3.3.2. L’idea di una «bizona» in Germania

La questione della nascita della bizona, infatti, risaliva proprio al periodo 1945-46.

Esattamente nel settembre ’46 il Segretario di Stato Byrnes, mentre ne annunciava la nascita,

parlava dell’organizzazione dei settori britannico e americano, affermando che da quel momento

sarebbero stati accorpati logisticamente, pur mantenendo la distinzione nelle reciproche sfere di

52

Essi, in altre parole, volevano “diminuire il costo finanziario che derivava loro dalla necessità di

sfamare decine di milioni di tedeschi. Volevano che le risorse tedesche, a cominciare dal carbone, tornassero ad alimentare l’economia europea (…..) E volevano che le risorse tedesche, in primis il carbone, tornassero ad alimentare (…) quell’economia”. Federico Romero, Storia della guerra fredda, freq. cit., pag. 38. 53

La questione monetaria venne discussa nel Consiglio di Controllo alleato dal dicembre 1947 fino al

giugno 1948, quando, per ritorsione in seguito all’acquisizione della doppia divisa monetaria, i sovietici avviarono il blocco di Berlino, ingenerando la risposta occidentale a quel blocco, che fu il ponte aereo. In quegli anni, tuttavia (1945-47), si stava discutendo dei protocolli seguiti alla Conferenza di Potsdam, che non sempre erano chiari, al punto che le quattro zone di occupazione erano gestite abbastanza autonomamente dalle potenze alleate. Così “..gli alleati occidentali poterono … negare a Mosca riparazioni sulla Ruhr, e i sovietici bloccarono l’utilizzo congiunto di risorse per la ripresa”. Romero, cit., eadem. 54

Anche gli americani, tuttavia, a volte assumevano comportamenti di dichiarata ostilità nei confronti dei

loro alleati sovietici, come nel caso in cui avevano bloccato le riparazioni della Ruhr cosa che avrebbe, nella visione sovietica, fatto sminuire il loro ruolo di potenza vincitrice, esasperandone le difficoltà, “… e soprattutto un tentativo di accelerare la fine dell’occupazione. In quel caso non avrebbero più potuto mantenere le loro truppe in Germania e avrebbero subito delle pressioni per ritirarle anche dalla Polonia.” Romero, op. cit., ibidem, pag. 39.

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influenza occidentali. Per quanto riguardava i sovietici, i rapporti contrastanti sarebbero durati

fino all’aprile ’47, quando gli americani si resero conto che le loro tattiche avevano natura

deliberatamente ostruzionistica, volte com’erano a far lavorare il tempo in favore di coloro che

le ponevano in essere, cioè dei sovietici stessi.55

3.4. Una particolare attitudine al fare

Grazie alla loro visione del mondo ottimistica e orientata al “fare”, gli americani avevano

già vinto la prova del consolidamento interno democratico nella Germania occupata;

differentemente, i sovietici in questo processo di consolidamento della propria autorità non

erano riusciti a fare la stessa cosa.56 Tale visione delle cose e, al tempo stesso, dell’alleanza in

corso con i sovietici, restò delusa e un po’ inibita dal comportamento di Stalin. Questi, come è

noto, reggeva le fila dei movimenti comunisti presenti nella Germania Orientale, che era invasa

dai tank sovietici già durante la guerra: in questo senso quella parte di Germania e di Europa era

totalmente allineata con il pensiero del dittatore sovietico.57

3.5. Il senso dei sovietici per la democrazia

Proprio per questo motivo, le politiche seguite dai leader comunisti locali erano orientate

non tanto ad aiutare le popolazioni dei Paesi assoggettati all’Armata Rossa, ma soprattutto ad

55

Questa situazione era già stata evidenziata in riferimento al Consiglio di Controllo alleato nella

primavera del ’48, vale a dire nei mesi in cui si susseguivano tentativi di dialogo ad accuse spesso farneticanti nei confronti degli alleati occidentali: ebbene, la questione della bizona, aveva diverse valenze: aveva una valenza economica, in quanto la moneta sarebbe stata coniata in una parte della Germania, quella occidentale, ivi comprese le zone occidentali di Berlino; poi aveva una valenza di natura politica, in quanto l’opzione della bizona era la soluzione migliore proprio per la difficoltà dei rapporti che subito dopo la fine della guerra si erano venuti a creare con l’URSS; ciò è di tutta evidenza se si considera proprio che già nel settembre del ’45 la bizona era considerata una scelta irrevocabile: “«Non abbiamo altra scelta se non quella di guidare la nostra sezione della Germania (…) ad una forma di indipendenza così prospera, stabile e superiore che l’Est non la possa minacciare»”. Romero, cit., eadem. Il virgolettato riferisce una frase di George Kennan, da Memoirs 1925-1950 ed. Little Brown, Boston, 1967, pag. 258, così come riportato da Federico Romero, freq. cit., nota n. 43, pag. 39. 56

“A questi primi contrasti Est-Ovest, nei quali affioravano i prodromi fattuali ma anche mentali di una

rivalità bipolare, contribuivano altri fattori. Uno riguardava l’Europa Orientale. In quasi tutti i Paesi occupati dall’Armata Rossa le forze filosovietiche erano in minoranza. Benché Stalin mirasse a formare coalizioni che perpetuassero l’idea della collaborazione antifascista, l’incertezza dell’autorità sovietica spingeva gli apparati di Mosca e i comunisti locali a stringere la vite del loro controllo - in particolare in Polonia – con interventi repressivi, rimozioni di gruppi etnici, antisemitismo, espropri di categorie sociali e pressioni più o meno scoperte”. Romero, cit., ibidem, pag. 40. L’incertezza dell’autorità sovietica era speculare all’insicurezza che animava il proprio leader supremo, Josip Stalin. E’ innegabile che la caratura del leader sovietico, il suo carattere, le sue insicurezze, hanno finito con il condizionare in modo determinante i rapporti con le potenze occidentali in quegli anni. 57

“Le coalizioni apparivano viepiù come un mezzo piuttosto che un fine. Come disse ai comunisti

tedeschi il loro leader Walter Ulbricht, nel 1945: «E’ tutto molto semplice: deve sembrare democratico, ma dobbiamo avere tutto sotto il nostro controllo» Romero, cit., eadem. Il virgolettato riporta una frase di Ulbricht citata in T. Judd, Dopoguerra, pag. 166, come riportato in Romero, cit., pag. 40.

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aiutare la riuscita del disegno egemonico di Stalin, al punto che i sovietici persero la prova di

democrazia e di civiltà, nel momento in cui riuscirono a dominare quelle popolazioni con il

terrore, anziché con la persuasione dei metodi democratici, anche se di una “democrazia di

guerra”.58

3.5.1. Stalin, “dittatore insicuro”

Il rapporto con Stalin si era dunque dimostrato più difficile del previsto: insicuro, irritante

e perennemente sospettoso dei suoi stessi alleati, non aveva dimostrato di essere un docile

compagno e aveva fatto di tutto per darlo a vedere quando, nel settembre del 1945 aveva

ordinato a Molotov di non negoziare una rappresentatività con i Paesi dell’Est nel modo più

assoluto, per togliere una sponda di appoggio agli occidentali; inoltre, a fine anno decideva di

non rientrare negli accordi di Bretton Woods, per fare in modo che un eventuale ingresso

dell’Unione Sovietica in tali accordi non venisse scambiato per debolezza intrinseca, per una

sorta di arrendevolezza ai voleri degli Stati Uniti. Era così saltato l’accordo fra gli Stati Uniti e

l’Unione Sovietica. Nella diplomazia “a due facce” di Stalin, cioè non esternare

“arrendevolezza” nei confronti dell’occidente, ma saper concedere, oltre al bastone, anche la

carota, nel corso della conferenza di Potsdam, il dittatore sovietico aveva confermato l’appoggio

agli Stati Uniti contro il Giappone, approfittando di tale situazione per occupare territori

strategici in Estremo Oriente e cercando di evitare che gli USA risolvessero la “pratica”

Giappone da soli.59

58

Vedi supra, nota n. 50. 59

Il Giappone, infatti, non si era ancora arreso al tempo della Conferenza di Potsdam (giugno-luglio

1945). La fiera resistenza del Paese del Sol Levante verrà piegata dalle due bombe atomiche di Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945). Nel corso della Conferenza di Potsdam era arrivata la notizia dei primi esperimenti nucleari americani nel deserto del New Mexico, che Stalin aveva accolto con una certa indifferenza, invitando gli USA ad utilizzarla contro il Giappone. Tuttavia, se questa ostentata indifferenza poteva irritare l’amministrazione di un Truman innervosito dalle snervanti trattative con Stalin, era certo che il dittatore sovietico era preda di un forte complesso di inferiorità nei confronti della superpotenza rivale; effettivamente, le due bombe atomiche servirono proprio a far capire quale delle due superpotenze avrebbe avuto una forza preponderante negli anni a venire; questo Stalin lo aveva capito fin troppo bene, al punto che la questione della supremazia si spostò immediatamente in una corsa agli armamenti durata più di vent’anni, almeno fino al TNP (Trattato di Non Proliferazione Nucleare) del 1968. Tale periodo fu deleterio sul piano delle relazioni internazionali, in quanto gli equilibri nucleari imponevano meccanismi di assoggettamento all’interno dell’una e dell’altra area molto più rigidi - e, in certi casi, spietati - degli equilibri post-guerra. Ecco, volendo definire i termini della questione degli equilibri fra le due superpotenze nel periodo della guerra fredda, si potrebbe parlare di una prima fase, dominata da “Equilibrio bipolare” (1944-1945 prima della bomba atomica), una seconda fase, molto lunga, dell’“Equilibrio bipolare atomico” (1945-1968), ed una terza fase, che si potrebbe definire dell’“Equilibrio post-atomico” (1968-1989). Ebbene, in nessuna di queste fasi il rischio di una guerra e le conseguenti misure di assoggettamento dei popoli sono mai venute meno. Ad essere più o meno intense erano le guerre che scoppiavano qua e là, le misure di sicurezza prese, il personale impiegato nella repressione, con punte di paranoia eccessiva ora in questo ora in quell’altro schieramento. Così fu per l’Unione Sovietica con i fatti di Budapest (1956), ma anche con tutto il periodo precedente con Stalin -

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46

3.6. Lo stallo nelle relazioni USA-URSS

La situazione di stallo che ne seguì durò per diversi mesi, dopo la bomba atomica, almeno

fino all’inizio del 1946; infatti, proprio all’inizio di quell’anno scoppiarono pubblicamente le

rivalità fra i due “Imperi.”60 Lo stallo in cui versava il mondo bipolare in quegli anni, era anche

figlio della peculiare insicurezza del regime di Stalin, incline all’insicurezza e ad una certa

autarchia, che lo rendeva “impervio ai condizionamenti esterni”.61Non era da farsi illusioni,

allora: la collaborazione, richiesta e ottenuta a Potsdam nel luglio ’45, già nei primi mesi del ’46

aveva lasciato il posto ad un confronto sempre più aspro, che non lesinava reciproci scambi di

accuse e quant’altro si sarebbe poi verificato. In questo senso, aiutano a spiegare i fatti accaduti

testimonianze come quella di George Kennan: “Ci voleva invece «coesione, fermezza e vigore»

nel contrastare l’URSS, che, a differenza della Germania hitleriana «non corre rischi inutili

(…) è assai sensibile alla logica della forza» e in genere si ritira «quando incontra forte

resistenza». Siccome l’URSS è assai più debole dell’occidente, e il Comunismo internazionale è

«come un parassita maligno che si alimenta solo su tessuti malati», gli Stati Uniti possono

contrastarlo efficacemente se assumono la guida dei popoli europei, che, «stanchi e

spaventati», hanno bisogno di «sicurezza».62

L’analisi di Kennan, rivelatasi lucida e incontestabile, alla luce dei fatti che stavano accadendo,

era stata subito accettata da Washington e dall’amministrazione Truman, cui corrispondeva

proprio a livello strategico: in sostanza il messaggio era di non farsi troppe illusioni, in quanto

Stalin non avrebbe ceduto nulla, sul piano della ripartizione fra le sfere di influenza, nulla

almeno che riguardasse il proprio “cortile di casa”, cioè gli Stati satelliti e limitrofi.

che in quanto a paranoia e spietatezza non era meno di nessuno - e poi con i fatti di Praga del 1968; anche gli USA, si macchiarono delle efferatezze di tale paranoia bipolare militante, prima con la commissione McCarthy negli anni ’50, poi con i fatti della Baia dei Porci nel 1961, quindi con il Piano Condor negli anni ’70. 60

“Il primo a parlare fu Stalin, il 9 febbraio 1946. Sospinto dalla necessità di riforgiare il pieno

controllo sul paese (…) annunciò ai cittadini sovietici (…) l’avvio di una nuova stagione di sviluppo forzato: bisognava rafforzare la sicurezza e concentrare risorse nell’industria pesante, che occupava il 90% degli investimenti (…) Neppure un mese dopo, (…)” il 5 marzo 1946, “(…) in un discorso negli Stati Uniti, l’autorevole voce di Winston Churchill (…) accusava il regime sovietico di cercare «l’espansione senza limiti del loro potere e delle loro dottrine» e popolarizzava l’immagine più icastica di tutta la guerra fredda: «da Stettino, nel Baltico a Trieste, nell’Adriatico, una cortina di ferro è calata attraverso l’Europa»” Federico Romero, freq. cit., pag. 43. Il virgolettato si riferisce al noto discorso di Churchill pronunciato in Ohio il 5 marzo 1946. 61

Romero, cit., pagg. 43-44 62

Federico Romero, cit., pag. 44. Il virgolettato sono frasi riportate dal Telegramma di G. Kennan a

State, 22 febbraio e 10 marzo 1946, in FRUS, 1946, vol. VI, pagg. 696-709 e 721-722, come riportato in Romero, eadem.

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3.6.1. La prova fra i due contendenti sul fronte “sud”

La prova fra i due attori principali continuava soprattutto sul fronte sud.63 Qui si registrò

una delle prime prove di forza e di tenuta democratica dei due contendenti, USA e URSS.

Infatti, se sul piano terrestre la Germania aveva acquisito importanza fondamentale, perché

proprio nel mezzo del suo territorio passava la “cortina di ferro”, il confine marittimo era molto

più grande ed investiva tutta l’intera aerea del Mediterraneo orientale e meridionale. Qui si

combatteva una disputa fra i due contendenti, che non avevano la benché minima intenzione di

lasciare agli Stati che rientravano nelle due aree di influenza, la possibilità di decidere per sé

stessi, cosa che, come si è visto, non sarebbe neanche stata possibile.64 Ebbene, una tale prova

imponeva dei cambiamenti drastici sul piano strategico: non si potevano accettare compromessi

o anche solo il fatto di malcelare una volontà di maggiore democrazia sul piano interno e

internazionale, avrebbe potuto compromettere gli equilibri in ognuno dei due schieramenti

contrapposti: del resto, proprio i recenti avvenimenti in Turchia e Iran non avevano fatto altro

che dimostrare un bisogno di sicurezza non solo sul piano delle scelte condivise dai singoli

63

“Fu sul fronte Sud che si accesero le prime crisi del dopoguerra e venne testata la dottrina Kennan.

Stalin - insoddisfatto della situazione ai suoi confini meridionali - chiedeva di rivedere la linea di frontiera con la Turchia, domandava un ruolo preminente nella gestione degli stretti tra il Mediterraneo e il Mar Nero, e non nascondeva il desiderio di ottenere basi nel Mediterraneo, in qualcuna delle ex colonie italiane. A Potsdam aveva rifiutato una proposta americana di controllo internazionale sugli stretti, insospettendo Truman, e aveva esercitato pressioni sulla Turchia. Nel marzo 1946 la tensione si accese. L’URSS ritardava il ritiro delle truppe stazionate in Iran - in accordo con la Gran Bretagna - durante la Seconda Guerra Mondiale. Londra e Washington portarono la questione al neonato Consiglio di Sicurezza dell’ONU, denunciando una volontà espansionistica che andava fermata. Soprattutto, Truman inviò una flotta nel Mediterraneo orientale, per segnalare a Mosca l’intenzione di non accettare le sue pressioni su Turchia e Iran. Stalin, che non aveva alcun desiderio di rischiare uno scontro aperto, si ritirò dall’Iran. Sembrò la prima conferma delle analisi di Kennan, e nell’estate se ne ebbe un’altra, quando i sovietici cominciarono ad accumulare truppe sui confini della Turchia per premere su Ankara. Di nuovo la forte reazione americana fece recedere Mosca, le cui spie avevano segnalato che Washington avrebbe sostenuto Ankara fino in fondo.” Federico Romero, Storia della Guerra Fredda, freq. cit., pagg. 44-45. Sulle due crisi si vedano i saggi di Fernande Scheid Raine, The Iranian Crisis of 1946 and the Origins of the Cold War, e di Eduard Mark, The Turkish War Scare of 1946, entrambi in Melvyn P., Leffler e David S. Painter (a cura di), Origins of the Cold War, Routledge, New York, 2005; e V. Zubok e C. Pleshakov, Inside the Kremlin’s Cold War, pagg. 92-94; suggerimenti di lettura riportati fedelmente da Federico Romero, eadem, nota n. 57. 64

Vedi supra, nota n. 57. La narrazione delle vicende tedesche non può prescindere da una narrazione

compiuta anche delle altre vicende che riguardarono quegli anni che vanno dal 1945 al 1949, che sono gli anni presi in considerazione in questo lavoro. Le vicende che interessarono i due attori principali, furono anche le vicende dei loro satelliti; per essi non vi sarebbe stato altro che la mera appartenenza al proprio deus ex machina che, nel caso della Guerra Fredda, corrispondeva esattamente con la logica dei due emisferi. Non si poneva, per questi due Imperi, dunque la prova dell’applicazione di sistemi democratici nei Paesi satelliti: questa era resa vana da ciò che era appena successo, una Guerra Mondiale che aveva lasciato sul terreno milioni e milioni di morti, soldati, donne, bambini, vecchi, tutti innocenti vittime della follia dell’uomo. Quindi, più che di un bisogno di democrazia, vi era un bisogno di sicurezza; e, se sul piano della vita interna dei singoli Stati il binomio coincideva, sul piano degli assetti geopolitici mondiali i due termini potevano non coincidere. Fu così che, per quasi 50 anni, gli Stati satelliti appaltarono la loro difesa ai due contendenti, che non poterono sempre e comunque osservare e fare osservare i principi dell’etica democratica nelle relazioni politiche e militari con i propri satelliti. A patto che di democrazia fossero intrisi i loro ideali e questo era vero soltanto per uno dei due Imperi.

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Stati, ma soprattutto da Stalin, che pur minacciando una guerra, di fatto la temeva.

3.6.2. La logica degli schieramenti contrapposti

Ecco dunque perché entrambe le due superpotenze rischiavano adesso di non trovarsi

molto preparate alla prova della democrazia e del governo degli stati satelliti: erano ormai

compromesse in una logica da schieramenti contrapposti, in una volontà di potenza mondiale

che non poteva cedere ai fabbisogni pluralistici e pacifisti di cui è intriso il concetto stesso di

democrazia. Ma se la prova della democrazia era fallita, o stava per fallire inesorabilmente, non

era fallita la prova del governo mondiale, anche se era ancora di là da venire una logica di

equilibrio che avrebbe contribuito a riscrivere i rapporti fra le due potenze, anche all’interno di

uno schieramento bipolare e centrifugo come quello.65 La questione degli schieramenti opposti

non deve tuttavia trarre in inganno sul fatto che si trattasse di una guerra atomica. Cioè, tali

schieramenti si mantenevano “bipolari” proprio perché fondavano tale equilibrio “a due” sul

possesso della bomba atomica e sul terrore generato nel mondo dall’ipotesi, non del tutto

irreale, di un suo utilizzo. Il vero rischio, infatti, era proprio quello di un conflitto atomico; e

tale rischio durerà per molti anni. Gli Stati Uniti, arrivati per primi all’atomica, speravano

adesso di costringerne l’uso solo all’interno dell’ONU, quando si fossero accertati che nessun

altro ne avrebbe costruite: niente di più errato. Infatti i sovietici avrebbero avviato una

campagna senza precedenti di impegno interno pur di arrivare anche essi all’atomica. La lotta

sullo schieramento bipolare continuerà con la corsa alla conquista dello spazio, anche questa

una eredità degli anni immediatamente successivi alla fine della seconda Guerra mondiale,

raccolta dalle Superpotenze ad armi ancora calde.66 Era per questi motivi che, da parte degli

65

Vedi supra, Cap. 1. Per quanto riguarda il rapporto fra i due contendenti, la politica di Stalin, come le

istituzioni stesse dell’URSS, nell’era Chruscev, sarebbero state sottoposte ad un serio processo di destalinizzazione, procedendosi ad una condanna senza mezzi termini di molte azioni del dittatore sovietico. Ad esempio, per quanto riguarda il periodo preso in esame, Chruscev, che sostituì Stalin alla sua morte, nel 1953, “…avrebbe criticato aspramente quelle scelte..” (delle due crisi iraniana e turca del 1946, n.d.s.) “..che diminuirono la sicurezza dell’URSS: «Fu letteralmente una stupidaggine (…) con le nostre politiche miopi spingemmo la Turchia e l’Iran in braccio agli USA»”. Federico Romero, op. cit., ibidem, pag. 45. Il virgolettato è ripreso dai verbali del Plenum del Comitato centrale del PCUS, 28 giugno 1957, in «Cold war International History Project Bulletin», n. 10, marzo 1998, pag. 59, reperibile al sito: http://wilsoncenter.org/index.cfm?topic__id=1409&fuseactions=topics.publications, come riportato fedelmente da Federico Romero, eadem. 66

La corsa agli armamenti va di pari passo con la corsa all’atomo: intorno al 1944, grazie alla

collaborazione di scienziati come Werner Von Braun, i nazisti avevano sviluppato i V-1 e i V-2, propulsori a reazione, la cui tecnologia sarebbe stata utilizzata per la prima volta dagli americani nel corso della guerra di Corea. Infatti, tutti noi abbiamo in mente l’immagine degli aerei a reazione impegnati sui cieli coreani nel 1950. Erano passati appena pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e già allora, nelle logiche del conflitto bipolare, era cambiato il modo di fare la guerra: il muro del suono che veniva abbattuto da quegli aerei, sostituendo il ronzio sinistro degli aerei da guerra ad elica impiegati nella guerra mondiale - che pure avevano portato le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, rischiando di rimanere avviluppati nel fungo mortale, a causa della loro scarsa velocità - era la

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Stati Uniti, si era formato il radicato convincimento che l’Unione Sovietica non fosse più un

alleato affidabile, ma che, addirittura, volesse scalzare le postazioni occidentali in favore di una

massiccia presenza sovietica nel Mediterraneo ed in Europa. In questo senso, gli americani

incentivarono misure unilaterali, come la nascita di una bi-zona, come si è già avuto modo di

dire,67 e denunciando solennemente i tentativi da parte sovietica di procedere a scalzare gli

(ormai) ex-alleati da postazioni di rilievo, come la città di Berlino.68

3.7. Maggiore efficacia della politica internazionale degli Stati Uniti rispetto a

quella dell’Unione Sovietica

L’emergere di una politica internazionale statunitense che rivelava aspetti egemonici,

aveva avuto una ricaduta anche sulle decisioni di Stalin, che andava elaborando un piano di

difesa a prescindere dallo schieramento geopolitico esistente in quel momento. Le elezioni

rappresentazione icastica, se mai ve ne fosse stato bisogno, ma che ad abundantiam qui si vuole sottolineare, di cosa avrebbe significato, da allora in avanti, combattere una guerra: quanta velocità in più messa “sul tappeto”, quante ore in meno per raggiungere un bersaglio, le testate atomiche portate avanti e indietro nel giro di pochissimo tempo: inutile dire cosa sarebbe stato dell’umanità se Hitler fosse riuscito ad impossessarsi dell’arma atomica prima degli americani. Von Braun avrebbe poi dichiarato, magari in una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli occidentali vincitori, forse anche per salvarsi dalla forca che lo attendeva a Norimberga, che «era contento di mettersi al servizio degli americani», dato che il suo Paese d’origine, la Germania, per la quale aveva sempre collaborato, «aveva perso due guerre mondiali», facendo così valere la sua immagine di scienziato distaccato dai reali motivi della guerra ed intento solo alle sue ricerche e alle sue scoperte, che questa volta elargiva in favore dei “buoni”. La corsa agli armamenti avrebbe avuto un’impennata a cavallo fra gli anni ’50 e i ’60, con i lanci nello spazio, che portarono al perfezionamento degli armamenti interni agli schieramenti bipolari, ma che, nella logica della guerra fredda, avrebbero spostato in là la lancetta del containment, con l’avvio di guerre lunghe e disastrose, come per gli USA il Viet Nam (1964-1975) e per l’URSS l’Afghanistan (1979-1989). Non è che la tecnologia impiegata avesse esclusivamente effetti nefasti: anche oggi possiamo ammirarne gli effetti benefici con l’applicazione pratica delle scoperte scientifiche del dopoguerra, come gli aerei a reazione, propulsori a geometria variabile e altro. Sono tutte innovazioni che, nell’ottica del dual use, militare e civile, ritornano utili, dalla costruzione di moderni propulsori per autoveicoli agli elettrodomestici per casa; tuttavia, la corsa agli armamenti, corollario della volontà di potenza bipolare, aveva innescato dei meccanismi psicologici tali che contribuirono - non determinarono - a che venissero poste in essere le scelte militaristiche che poi vennero fatte a partire dalla metà degli anni ’60 fino alla distensione. 67

Vedi supra, Cap. 1. 68

Nel corso del Cap. 1, Parte prima, si è dibattuto ampiamente sulla questione della bizona a Berlino e in

tutta la Germania. Effettivamente questo approfondimento, va collegato, ad avviso di chi scrive, con i fatti occorsi in quegli anni nello schieramento geopolitico internazionale: è chiaro che dal punto di vista territoriale, la cortina di ferro era il confine che demarcava gli assetti in Europa; ma era altrettanto chiaro che le scelte dei due schieramenti erano condizionate soprattutto da ciò che accadeva a livello mondiale. Se infatti si sradicassero dal contesto internazionale i telegrammi e i cablogrammi riportati da Foreign Relations of the United States of America, (acronimo: Frus), si vedrebbe come i repentini cambi di strategia dell’uno e dell’altro schieramento, ivi descritti, sembrerebbero indicare una volontà schizofrenica dei componenti il Consiglio di Controllo Alleato, impegnati ora in dialoghi cordiali, ora in roventi accuse e scambi di “apprezzamenti”. Chiaro che deve esservi una lettura figlia di un quadro di insieme: ad es., la questione della riforma monetaria spiega i perché delle azioni, che avvennero in un certo modo, ma non spiega i modi in cui esse furono prese. Questo lo si evince solo dal contesto internazionale, che era irrimediabilmente mutato a favore di un “equilibrio bipolare atomico” (Vedi supra, nota n. 53).

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locali che si erano tenute nel settore sovietico gestito dai sovietici nell’autunno del 1946

avevano evidenziato l’esistenza di un voto di protesta, mentre in tutto il settore sovietico,

almeno in quello composto dai più indipendenti tra gli stati satelliti, come in Austria (che non

era un satellite, ma che era incastonato in un’area sovietizzata) e in Ungheria vi era una forte

crisi dei partiti di ispirazione comunista, i quali erano stati sanzionati dall’elettorato locale con

un sostanziale arretramento.69 Il 1946 si chiudeva quindi in un’atmosfera di sostanziale

antagonismo fra le due Superpotenze, un antagonismo che non lasciava presagire certo che si

potesse tornare al dialogo di qualche anno prima; tale antagonismo era anche esasperato da una

retorica che si era fatta reciprocamente ostile, al punto che il Ministro degli Esteri sovietico

Litvinov aveva fatto riferimento a quello che sarebbe stato il dopoguerra, cioè «una lunga tregua

armata».70 La prova dei due contendenti sul piano della democrazia e della governance dei

satelliti era acuita dal fatto che l’economia di guerra aveva innestato una robusta ripresa degli

investimenti e della produzione un po’ in tutti i Paesi, anche se in condizioni di difficoltà: vi era

una miseria diffusa un po’ in tutta Europa e la ripresa economica era motivata dal fatto che c’era

bisogno di tutto in un continente da ricostruire da capo: tuttavia, proprio le necessità della

ricostruzione, cui faceva da corollario anche la fortuna dei paesi fornitori di cibo e materie

prime, aveva il proprio contraltare nel surplus ivi prodotto, con ampie sacche di disoccupazione

e inflazione alle stelle. In alcuni Paesi europei, sussistevano delle difficoltà sul piano politico

dettate da una situazione di grande polarizzazione ideologica, che non poteva non essere

mutuata dall’andamento delle relazioni internazionali fra i due principali attori sulla scena

mondiale.71 Alcuni aspetti dell’”ora della prova” dei due contendenti aiutano a chiarire meglio

la portata degli avvenimenti: la questione delle riparazioni e dei danni di guerra - valga questo

esempio per tutto - era stata affrontata in chiave di duopolio, non in chiave oligopolistica, come

era avvenuto con la Società delle Nazioni nel Primo Dopoguerra. La ricercata perfezione

dell’applicazione di una governance democratica (in fondo si era combattuto il nazismo e ci si

69

Romero, cit., ibidem, pag. 46. “Il Cremlino a questo punto vedeva il pur limitato pluralismo come una

minaccia di sovversione. E muoveva decisamente verso politiche d’occupazione più consone alla sua cultura: distruzione delle opposizioni, terrore diffuso, sottomissione dei comunisti locali al controllo stringente di Mosca, epurazioni.” Romero, eadem, nota 61. In questa nota si riporta V. Mastny, Il dittatore insicuro, pagg. 27-29; ma anche N. Naimark e L. Gibianskii (a cura di), The Establishment of Communist Regimes in Eastern Europe, come riportato in Romero, eadem. 70

L’espressione è contenuta in una dichiarazione a Richard Hottelet, giugno 1946, in FRUS, 1946, Vol.

VI, pagg. 763-765, come riportato in Romero, cit., ibidem, pag. 47. 71

“Soprattutto, la ripresa rischiava di incappare in una strozzatura che poteva mettere tutto a

repentaglio: la drammatica carenza di valuta con cui acquistare le necessarie importazioni. Nessun Paese esportava abbastanza da finanziare i suoi acquisti indispensabili di beni alimentari, materie prime e beni di investimento (…)Dieci anni di stagnazione seguita dalla mobilitazione bellica e dal ridimensionamento degli scambi con le colonie avevano depauperato l’Europa della sua capacità di esportare beni e servizi negli altri continenti, reso inefficienti (…) taluni settori produttivi, e incanalato gli scambi in un reticolo di misure protettive e controlli statali da cui era difficile, e comunque costoso, uscire”. Romero, eadem.

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voleva differenziare profondamente da esso), imponeva anche in questo l’avvento di un

organismo come l’ONU, ma al tempo stesso le tensioni internazionali, che erano ben visibili sul

piano della Realpolitik, imponevano, come detto più volte, l’esistenza dei “due guardiani”, USA

e URSS, sulla cui necessità di coabitare era stato sacrificato l’altare di una corretta

rappresentazione democratica degli appartenenti ai due schieramenti, che non erano sudditi

(come forse sarebbero stati sotto Hitler), ma satelliti, quindi soggetti a girare nell’orbita dei

rispettivi pianeti, USA e URSS. Con buona pace delle critiche di oligopolismo e di tecniche

della diplomazia segreta, di cui erano condite le accuse di inettitudine rivolte alla S.d.N.,

l’Europa del secondo dopoguerra era dominata da un duopolio di fatto, con veste fintamente

democratica. I riti della politica interna non facevano di certo eccezione.72 La prova della

democrazia interna, della gestione del duopolio USA/URSS, della governance dei satelliti, si era

dimostrata efficace, ma alla luce dei fatti i due Imperi non avevano saputo garantire alcun futuro

alla vita politica degli Stati assoggettati, mossi com’erano da istanze di primo piano, relative

alla tenuta sul piano geopolitico internazionale, in una competizione che aveva ormai

privilegiato l’equilibrio del terrore su quello della convivenza. Era iniziata, così, la lunga fase

dell’”equilibrio bipolare atomico”.

72

“Il De Gasperi che andava a Washington nel gennaio 1947, per chiedere prestiti e credito politico, era

solo uno dei tanti governanti europei che invocavano insistentemente dagli USA non soltanto degli aiuti, ma, in ultima analisi, la «leadership» necessaria per affrontare (…) l’amalgama (…) di difficoltà economiche, tensioni sociopolitiche e incertezze internazionali (…). Visti da Washington, questi fattori di potenziale disgregazione internazionale apparivano preoccupanti di per sé e drammatici(…).La visione di un multilateralismo liberale su cui incardinare la sicurezza degli Stati Uniti e la loro egemonia internazionale rischiava infatti di abortire se l’Europa non intraprendeva un solido percorso di crescita (…). Da questa diagnosi allarmata scaturivano poi scenari (…) che vedevano nella precarietà europea uno spazio aperto per l’estendersi dell’influenza sovietica. La sfiducia degli europei nell’efficacia del capitalismo era diffusa, la richiesta di soluzioni stataliste all’insicurezza economica era pressante. Insieme ai vincoli finanziari e (…) all’incerta situazione tedesca, ciò poteva far gradualmente inclinare il continente verso una vicinanza commerciale, psicologica e magari politica con Mosca (…)” consegnando a Stalin “..un ruolo egemone”. Romero, op. cit., pagg. 48-49.

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CAPITOLO 4

L’EVOLUZIONE DELLE RELAZIONI INTERALLEATE

4.1. Difficoltà oggettive dei rapporti fra USA e URSS

La difficile situazione venutasi a creare nei rapporti fra USA e URSS, nel mutato quadro

geopolitico internazionale, aveva fatto sì che le decisioni più importanti fossero prese dai

delegati delle due superpotenze ormai ex-alleate e sempre più intente ad elaborare piani di

azione che si concretizzavano in strategie di mutuo attacco e difesa; questa, assieme anche

all’abnorme differenza sul piano della potenza globale, era la ragione per la quale Gran

Bretagna e Francia, avevano finito con il recitare quasi un ruolo da comprimari nel contesto

delle sessioni del Consiglio di Controllo alleato, poco o nulla potendo fare all’interno del

conclave quadripartito per evitare che si andasse verso la rottura fra i due giganti USA e URSS.

Naturalmente, tale ruolo venne recitato differentemente da Francia e Gran Bretagna: se la prima

cercò a tratti di fare da paciere in un quadro che volgeva ormai verso uno squilibrio di forze,

all’interno del Consiglio di Controllo, a favore degli USA, coalizione che la Francia alla fine

scelse senza esitazione alcuna, la gran Bretagna nella costruzione del “ponte aereo” avrà un

ruolo, ruolo che occupava anche da prima, durante la guerra e che occuperà anche in seguito

accompagnando l’alleato americano, cui era affine per lingua e cultura, nell’avvicendamento

dei velivoli in grado di fornire vettovagliamenti sulla Berlino bloccata dai sovietici, oltre che in

tante altre azioni militari durante la guerra fredda.

4.2. Subordinazione degli alleati occidentali agli Stati Uniti

Così, a tratti, nel corso delle trattative che avrebbero portato, una volta fallite, alla fine del

Consiglio di Controllo alleato, si potevano osservare i delegati britannico, generale Robertson, e

francese, generale Koenig, alle prese con il difficile compito delle votazioni e delle alzate di

mano: Robertson parlava della questione dei rifugiati, mentre Koenig si diceva d’accordo con

alcune proposte - qualcosa di aggiuntivo, non determinante in questa prima fase del confronto:

ma dov’era la differenza di vedute rispetto a Clay? Ecco, non che tale differenza vi sarebbe per

forza dovuta essere, ma il fatto che non ve ne fosse pressoché alcuna, in quella fase di contrasto

e “break down” del quadripartito, testimoniava dell’assoluta posizione di accordo fra le tre

potenze occidentali, con un ruolo, tutt’al più di spettatori interessati da parte delle anzidette

potenze europee a discapito dell’URSS. Non erano, naturalmente, mancate occasioni in cui il

delegato britannico aveva alzato la voce, ma sempre in difesa della posizione USA, come

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quando aveva ribadito che nel consiglio dei ministri degli Esteri di Mosca si era stabilito che

l’assestamento della Germania su basi centralizzate era soggetta all’ineliminabile condizione di

una riforma monetaria in questo senso; tant’è che, alla domanda se l’URSS considerasse

condicio sine qua non la riforma monetaria su basi centralizzate al fine di trovare un accordo fra

le potenze, Sokolovsky rifiutava di dare ulteriori spiegazioni. In definitiva, si trattava di un

ruolo che i due protagonisti avrebbero recitato alla perfezione, dissimulando una parità di

condizioni che era solo sulla carta e che forse la natura stessa degli accordi presi all’interno del

Consiglio di Controllo vedeva come fortemente inficiata a favore dell’occidente, quindi

dell’unica potenza allora (ma forse anche oggi), in grado di difenderne gli interessi vitali.

In un contesto ormai avviatosi al duopolio, anche le aspettative degli alleati si erano

adeguate. Così, gli inglesi avevano appoggiato gli Americani nel perseguire la via della

ricostruzione in una Europa intenta a porre in essere una sorta di tessuto connettivo tra le

rispettive zone di influenza, cosa che sarebbe stata tenuta in considerazione anche a Berlino, in

modo da rispettare le decisioni che erano state prese nel corso della Conferenza di Potsdam.

4.2.1. I timori dei francesi e le rassicurazioni statunitensi

Differentemente, i francesi operavano con un sistema unilaterale, “boicottando ogni

deliberazione che non riguardasse il loro progetto di staccare dalla Germania una parte dei

suoi territori renani come la Saar e la Ruhr”.73 Ad essere particolarmente temuta era la ripresa

produttiva nella regione della Ruhr, nella quale essi intravedevano il rischio reale di una ripresa

armata da parte della Germania, anche se quel pericolo, almeno per il momento, sembrava

scongiurato. I francesi, in questa prima fase della guerra fredda, mantenevano dunque

un’intransigenza di fondo nei confronti della Germania, al punto che, all’inizio del 1946 il

Segretario di Stato USA Byrnes, “cercò inutilmente di persuadere Bidault, il ministro degli

Esteri francese, a mitigare la sua intransigenza”.74 In questo contesto, i francesi avevano

73

Ennio Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, 1918-1999, Laterza, Roma-Bari, 3^ ed., 2002,

pag. 661. 74

Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, 1918-1999, cit., ibidem, pag. 662. Si è visto all’inizio

del Cap. 1 quali erano le grosse difficoltà collegate ad un accordo fra gli Alleati ed i Sovietici in merito alla questione della Germania, difficoltà connesse prioritariamente al problematico rapporto fra Stalin e gli Alleati occidentali. Ebbene, se questa era la situazione nel 1948, nei due anni precedenti bisogna operare con la tecnica del flashback, immaginando una Francia non ancora addomesticata ai voleri statunitensi e tranquillamente rassegnata alla coesistenza bipolare, ma appunto una Francia indomita, impegnata a dare battaglia sulla questione del riarmo tedesco nelle zone della Ruhr. Si ricordi qui per inciso che il riarmo tedesco era una necessità particolarmente sentita dagli USA nell’ottica degli equilibri contrapposti USA/URSS, in quanto la Germania era strategicamente vicina all’Unione Sovietica. Come giustamente osserva Di Nolfo, l’intransigenza della Francia sarebbe comunque venuta meno, ma a caro prezzo: “Fu solo alla fine del marzo 1946, quasi un anno dopo la fine della guerra, mentre la popolazione tedesca viveva nella più cruda indigenza e le zone di occupazione occidentali dovevano assorbire la più gran parte delle popolazioni tedesche costrette a lasciare le aree della Prussia, della

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mostrato durezza, una condizione che veniva loro dall’essere assoggettati dalla paura del vicino

tedesco, che poteva vantare un territorio ricco di materie prime, la qual cosa, in territori come la

Saar e la Ruhr, così prossimi alla Francia, costituiva un pericolo reale e costante.

L’irrigidimento dei francesi, tuttavia, si sarebbe - nella fattispecie - scontrato con la situazione

reale: 5,8 milioni di tonnellate dedicate al fabbisogno tedesco su una produzione di 7,5 milioni,

non era una quota sufficiente a garantire ai tedeschi quell’autonomia necessaria alla loro ripresa

economica, anche se controllata dalle potenze straniere. Era quindi, un irrigidirsi su una

posizione (un controllo vessatorio e umiliante nei confronti della Germania) che, alla luce dei

fatti, era insostenibile. Da qui i futuri assetti maggiormente attendisti da parte francese e la loro

difficoltà di far valere le loro posizioni nei confronti degli USA, a differenza degli inglesi, più

pragmatici, anche se fermamente e, forse un po’ acriticamente, appoggiati sulle posizioni dei

primi. Il rapporto tra i francesi e gli alleati statunitensi era dunque, almeno in una prima fase del

dopoguerra, paritario, in quanto - per i motivi addotti, cioè fondamentalmente il timore di un

riarmo tedesco - gli Stati Uniti avrebbero sempre cercato di accontentare gli alleati francesi,

rassicurandoli sulla tenuta dell’alleanza. Addirittura, “l’ipotesi di costruire una forza militare di

garanzia permanente contro la rinascita di un pericolo tedesco era costruita sul rovesciamento

della premessa tradizionale della volontà americana di sganciarsi dall’Europa (…). Concepito

nell’autunno del 1945, (…) questo rovesciamento di tendenza (…) era il frutto della volontà

americana di lenire le preoccupazioni francesi, poiché in sostanza il trattato non faceva che

riprodurre la garanzia data alla Francia nel 1919, poi resa vana dalla mancata ratifica del

trattato di Versailles da parte del Senato USA. Tuttavia, questo carattere storico di “garanzia”

offerta soprattutto ai francesi si sarebbe affievolito dinanzi all’emergere del contrasto

sovietico-americano divenendo assai più netto dopo i discorsi di Stalin, Byrnes e Churchill del

febbraio-marzo 1946. Sicché si può ben dire che la natura della garanzia offerta dal Segretario

di Stato mutasse direzione e significato politico con il mutare del quadro internazionale in cui

essa si collocava (…).75

4.2.2. Le differenze tra la Gran Bretagna e la Francia nel rapporto con gli Stati Uniti

Emergeva, a ben vedere già nella primavera del 1946 la differenza di fondo fra i due

alleati occidentali: da un lato, vi era una Gran Bretagna invitata a sedersi al tavolo con i grandi,

Pomerania e della Slesia cedute alla Polonia e all’URSS (non meno di 8 milioni di rifugiati), che la Commissione di Controllo raggiunse un accordo sui livelli di produzione dell’industria germanica. Il 28 marzo fu reso pubblico un accordo che prendeva come elemento di misura per la ripresa produttiva tedesca quello riguardante l’acciaio. Alle industrie tedesche veniva concesso di raggiungere un livello di 7,5 milioni di tonnellate, delle quali 5,8 per uso interno e il resto ai fini di rimesse in conto riparazioni…” Di Nolfo, eadem. 75

Di Nolfo, ibidem, pag. 665.

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con i quali, pur nel rispetto delle condizioni di forza che le si erano ormai definitivamente

imposte, trattava a viso aperto; mentre, dall’altro la posizione della Francia era quella di un

alleato strategico che doveva essere “rassicurato”, “tenuto buono”, ma che alla fine dei conti

doveva rivolgersi al suo sodale statunitense e rimettere ad esso ogni decisione anche sul proprio

futuro. Questa condizione di maggior subordinazione la si vedeva sia nel rapporto con gli Stati

Uniti che con la stessa Gran Bretagna, che si apprestava a costituire un Land, cioè uno Stato

Regionale, comprendente tutta la Renania Settentrionale e la Westphalia, ciocchè di fatto aveva

cancellato le aspirazioni francesi rispetto alla Ruhr. Tutto questo rientrava in un progetto di più

ampio respiro, non era dunque finalizzato a semplici mire espansionistiche inglesi che erano di

intralcio alla politica estera francese per la realizzazione dei suoi obiettivi: la finalità ultima era

la ripresa economica della Germania, esigenza che Byrnes rappresentò plasticamente in un

discorso pronunciato a Stoccarda il 6 settembre 1946. Gli USA, pur restando coerenti con la

politica di ricostruzione di una Germania unita, si rendevano conto - erano le parole del

Segretario di Stato USA - che in quel momento non erano attuabili, da qui la decisione relativa

alla bizona che però presupponeva anche il riarmo tedesco.

4.2.3. L’unità di vedute anglo-americana

Così, gli eventi avanzarono verso una completa unificazione di intenti e di vedute fra

inglesi e americani. Il 2 dicembre 1946 si suggellò, con la firma di un accordo fra gli alleati,

l’unificazione dei settori inglese e americano, creando una sola zona anglo-americana: sotto

questi auspici, cioè di una politica estera anglo statunitense ormai divenuta realtà (una realtà

che, a fasi alterne, i francesi avrebbero sempre sostenuto fino all’avvento della Quinta

Repubblica, con il ritorno di De Gaulle) avveniva, nel gennaio 1947, il “passaggio di consegne”

fra i due Segretari di Stato, Byrnes e George Marshall.76 In precedenza si era visto come George

Kennan, diplomatico USA a Mosca, avesse descritto come “inaffidabile” lo stesso Stalin, sulla

cui politica estera di falsa amicizia gli americani non potevano fare affidamento: era così

iniziato un processo di consolidamento della sfera occidentale, che avrebbe richiesto parecchi

anni. In questo senso, sono da inquadrare i trattati stipulati dai governi di Parigi e Londra, i

quali avevano discusso la possibilità di stipulare un trattato di garanzia bilaterale che avesse

carattere antigermanico, oltre all’impegno di una reciproca collaborazione. Come si può vedere,

apparentemente le posizioni di Francia e Gran Bretagna erano simili, anche se si potrebbe

osservare come fra gli alleati occidentali (ivi compresi gli USA) vi fossero dei rapporti

76

“Oltre tutto, Marshall era reduce dalla sua vana missione in Cina, intesa ad evitare o contenere la

completa affermazione delle forze comuniste. Egli dunque assumeva la carica con una preparazione che lo rendeva adatto a tener conto sia degli elementi di crisi affiorati in Europa, sia di quelli divenuti evidenti in Asia”. Di Nolfo, cit., pag. 669.

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differenti: subordinato/paritario fra Gran Bretagna e Stati Uniti,

subordinato/paritario/subordinato fra la Francia e gli Angloamericani, che, a più riprese,

avrebbero dimostrato di essere un tutt’uno.77 Il rapporto fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, si

è detto, era diverso dal rapporto esistente fra Stati Uniti e Francia: innanzitutto, il primo era un

rapporto fra due nazioni che parlavano la stessa lingua e che adesso, cessato il periodo del

colonialismo, si approntavano a “passarsi il testimone” del controllo del mondo: infatti,

l’Impero Britannico, proprio nel 1947, vedeva l’aggravarsi della propria crisi finanziaria, con il

progressivo abbandono dell’India al suo destino e alla guerra sanguinosa con il Pakistan: questo,

sul piano coloniale. Sul piano della questione della ricostruzione europea, la crisi si era

manifestata nella questione degli aiuti alla Grecia, quindi sul fronte sud, del mediterraneo

orientale. Così, erano stati sospesi gli aiuti alla Grecia a partire dal 21 febbraio 1947, a causa

dell’incedere inesorabile di tale crisi finanziaria. L’abbandono degli aiuti alla Grecia aveva

generato la c.d. “Dottrina Truman”, enunciata dal Presidente americano il 12 marzo 1947:

formulazione solenne di una svolta, nelle relazioni fra i due paesi, oltre che nelle relazioni

europee, relativa a due aree di crisi, quali la Turchia e la Grecia: legata anche alla situazione

finanziaria della Gran Bretagna di quei mesi. La situazione finanziaria britannica si era

aggravata a partire dalla fine della guerra, nel momento in cui aveva avuto inizio, con l’avvento

dei laburisti al potere, la costruzione dello “stato sociale” , il welfare state, che avrebbe dovuto

accompagnare la vita degli inglesi «from womb to tomb», cioè “dalla culla alla tomba”; in

concreto, si sarebbe trattato di dirottare le finanze britanniche verso una politica interna fatta di

sussidi per i disoccupati e, in genere, per le classi meno abbienti, cosa che avrebbe generato

delle perdite sostanziali verso i programmi militari. Ma c’era di più: lo stesso programma di

stato sociale, richiedeva, nell’Europa della ricostruzione, una quantità di dollari che l’Inghilterra

non aveva; e tali soldi servivano proprio per acquistare le materie prime nell’unico mercato in

cui allora era possibile reperirle, cioè gli USA. Quindi, crisi finanziaria, abbandono della

colonia indiana, acquisto di materie prime dagli USA, abbandono - sul piano della ricostruzione

post-guerra - della Grecia, furono tutte questioni sul tappeto della riforma finanziaria in

Inghilterra quando questa, fra il settembre 1945 e il maggio 1946 negoziò un prestito (sotto

l’influenza dell’economista John Maynard Keynes) di 3.750.000.000 di $ dagli USA.

77

“Va dunque notato che quando il 4 marzo 1947 Francia e Gran Bretagna sottoscrissero il Trattato di

Dunkerque, cioè un trattato di mutua garanzia contro la rinascita di un pericolo tedesco, la sostanza dell’impegno aveva acquistato, al di là della forma, altri contenuti. Da parte francese esso era un modo per inserirsi negli imminenti cambiamenti della politica americana, dopo che l’accordo del dicembre 1946 sulla creazione della bizona aveva accentuato l’isolamento francese all’interno del mondo occidentale in relazione al problema tedesco; (…) Il trattato bilaterale rappresentava la tappa di un processo più vasto, ma esso già indicava come i due maggiori Paesi dell’Europa occidentale fossero già orientati verso forme di collaborazione che dessero maggior sostanza alla loro sicurezza”. Di Nolfo, cit., pag. 674.

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4.2.4. La «special relationship» fra Stati Uniti e Gran Bretagna

Tuttavia, sul piano delle relazioni internazionali, fu proprio il contenuto di questa intesa

che traghettò gli Stati Uniti da una visione “multilateralista” alla visione delle “relazioni

speciali”, (“special relationships”), fra Stati Uniti e Gran Bretagna. Questo significava che gli

Stati Uniti avrebbero dovuto incentivare nei Paesi appartenenti alla propria area di influenza, la

libertà commerciale, mentre la Gran Bretagna, impegnatasi durante la guerra a mantenere la

solidità del blocco della sterlina, valida per tutti i Paesi del Commonwealth, rappresentava una

contraddizione in termini rispetto a quanto gli Stati Uniti propugnavano in materia di libertà

commerciale.78 Condicio sine qua non per ottenere il prestito dagli USA era che la Gran

Bretagna sostituisse le sterline in dollari nei Paesi del Commonwealth, cosa che la Gran

Bretagna si era impegnata a fare entro un anno. Di fatto, questo passo aveva il significato ultimo

di sbarrare la strada ad ogni velleità britannica di un pieno controllo sulla propria economia

interna e di quella del Commonwealth. Non si sarebbe potuto contenere il deficit commerciale

con gli Stati Uniti se non si fosse mantenuto il controllo sulla convertibilità. Questa aveva anche

protetto dai rischi di deflazione del mercato del lavoro. 79 Naturalmente, questo tipo di controllo

faceva saltare questi piani, in quanto apriva il mercato britannico e quello del Commonwealth

alle merci americane, costringendo la Gran Bretagna a limitare la spesa: ciò aveva degli effetti

deleteri sulla capacità britannica di trattenere in casa propria i grossi capitali. I mercati

finanziari, disponendo adesso di ingenti risorse, preferivano riversarle sul mercato degli Stati

Uniti piuttosto che sulla Gran Bretagna. Il prestito che adesso le sarebbe stato concesso avrebbe

avuto l’effetto di proteggere quest’ultima dai contraccolpi legati all’apertura dei mercati. Fra il

1946 e il 1947 questo Paese aveva attraversato una grave crisi, che era stata affrontata

impiegando le risorse nei sussidi alimentari e nei servizi sociali, che, a ben vedere, erano bisogni

primari, più che scelte collegate al welfare state, inteso nella concezione odierna di “stato

sociale”. Per pareggiare questa difficile situazione, la prima mossa che venne fatta fu quella di

ridurre gli impegni internazionali, considerati non più necessari a partire dal mantenimento delle

forze britanniche in Grecia.

4.3. I rischi di una apertura nel fronte sud

Queste erano le motivazioni alla base del cambiamento di programma, inaspettato per

78

Si trattava dei vincoli imposti dall’Art. 7 della legge Affitti e Prestiti. Sul punto, cfr. Di Nolfo, cit., pag.

676. 79

“Cioè, dinanzi alla scelta fra una riduzione delle importazioni dagli Stati Uniti ed una riduzione delle

spese interne, il governo laburista aveva scelto la prima strada, contingentando le sterline convertibili, così da limitare l’invasione di merci americane dai costi inferiori.” Di Nolfo, cit., ibidem, pag. 677.

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certi versi, del 21 febbraio ’47. Il ritiro delle forze armate britanniche dalla Grecia avrebbe

sicuramente aperto un fronte sud, lasciando ai sovietici libero campo all’invasione e al

dispiegamento sul territorio ellenico delle loro forze. A questo punto, rileva sottolineare come la

Gran Bretagna vedesse sé stessa in una posizione di inferiorità nei confronti degli Stati Uniti,

che verranno informati, ai primi di marzo, dell’impossibilità di impegnare ancora ulteriori

risorse dopo la difficile congiuntura economica. La Gran Bretagna, come avrebbe fatto anche il

resto dell’Europa occidentale, si era messa sotto la protezione degli Stati Uniti.80

4.4. La “Dottrina Truman”

E questo era il clima nel quale era stato pronunciato il discorso noto come ”Dottrina

Truman”, dal Presidente americano il 12 marzo 1947: tale documento, secondo alcuni altro non

era che una presa d’atto della situazione esistente, e costituiva un monito nei confronti

dell’Unione Sovietica, monito che era stato generato dalla situazione che in quel momento

storico stava vivendo il fronte sud dell’emisfero occidentale, cioè la Grecia. Il Presidente aveva

chiesto espressamente l’autorizzazione ad una spesa pari a 400 milioni di dollari per dare aiuto a

Grecia e Turchia; tale prestito sarebbe dovuto durare almeno fino al giugno 1948.81

80

La questione della “protezione” statunitense si intrecciava strettamente con le vicende greche, ed è una

delle ragioni che stanno alla base dello scoppio della guerra fredda. La Grecia era stata completamente liberata dall’occupazione tedesca alla fine del 1944. Tuttavia, le vicissitudini seguite alla sua liberazione avevano provocato un fortissimo contrasto interno fra partiti di opposte fazioni, fino a quando, il 1° settembre del ’44 un plebiscito ebbe come effetto quello di fare ritornare sul trono re Giorgio II°, il quale, ritornato dall’esilio in Inghilterra, era diventato punto di riferimento di una politica repressiva molto dura. Così quella che era una situazione interna alla Gran Bretagna, cioè la crisi finanziaria, era diventato un episodio alla base della nascita della guerra fredda. La Grecia, infatti, rientrava nello schieramento dei paesi allineati con l’occidente, ed era gestito economicamente, in questa fase del dopoguerra, dalla Gran Bretagna, che tuttavia, versava in ristrettezze economiche. Si trattava di capire se l’aiuto richiesto agli Stati Uniti adesso si sarebbe dovuto ancora considerare necessario o meno e, se sì, fino a che punto. Problema nel problema, la presenza sovietica in Grecia di molte unità militari. L’intervento americano, già nel 1944, era dunque visto come un’invasione nella sfera dei sovietici, anche se di fatto era un territorio già sotto influenza britannica. I sovietici, già in quella data, sarebbero stati visti come gli avversari da esorcizzare e da tenere lontani, mediante un progressivo isolamento dei Sovietici ed un recupero alla piena collaborazione con gli Stati Uniti in tutto il resto d’Europa, integrando tutta quella parte del sistema economico internazionale intorno ad un progetto comune. Sul punto vedi E. Di Nolfo, op. cit., pagg. 678, ss. 81

«Un modo di vivere era basato sulla volontà della maggioranza e caratterizzato da libere istituzioni,

governo rappresentativo, elezioni libere, garanzie per la libertà individuale, libertà di parola e di religione, e libertà dall’oppressione politica. Il secondo modo di vivere era basato sulla volontà di una minoranza imposta con la forza alla maggioranza. Esso poggiava sul terrore e sull’oppressione, su una stampa controllata e repressa, su elezioni predeterminate e sulla soppressione delle libertà individuali. I semi del totalitarismo trovano alimento nella miseria e nel bisogno. Essi si diffondono nella terra cattiva della povertà e della conflittualità. Essi raggiungono la massima crescita quando le speranze di un popolo in una vita migliore cessano di esistere. Dobbiamo tener viva questa speranza. I popoli liberi del mondo guardano a noi per cercare appoggio nella difesa delle loro libertà. Se esitiamo nella nostra funzione di guida, possiamo mettere in pericolo la pace del mondo e certamente metteremo in pericolo la prosperità della nostra nazione. Grandi responsabilità sono state poste sopra di noi dalla rapida corsa degli eventi. Ho fiducia che il Congresso affronti queste responsabilità compattamente». Harry Truman,

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Un’estensione fino a Grecia e Turchia dell’area vitale degli Stati Uniti, aveva l’effetto di una

nuova “Dottrina Monroe”, enunciata dall’omonimo presidente americano nel 1823, a tutela

delle Nazioni del continente latinoamericano, visto come “cortile di casa” degli Stati Uniti. Il

concetto veniva reinterpretato, adesso, in un rinnovato contesto bipolare, dove non ci sarebbe

più stato spazio per l’Europa delle Nazioni82 (Francia, Spagna, Inghilterra), come era stato fino

al XIX° Secolo. Quindi, era stata proprio l’occasione rappresentata dalla perdita di potere

(politico, economico, finanziario) della Gran Bretagna ad innescare il meccanismo della

volontà di potenza da parte degli Stati Uniti, i quali si sarebbero dovuti sobbarcare il peso della

ricostruzione, cosa che tuttavia li avrebbe proiettati verso la conquista del mondo occidentale.

La questione dei confini meridionali (Grecia e Turchia) dell’Europa occidentale attanagliava gli

americani, anche senza che vi fosse un rischio reale circa l’ influenza sovietica in quelle zone. Il

rischio era un’eventualità, ma da non temere più di tanto, in quanto lo stesso Stalin aveva più

volte suggerito cautela ai comunisti greci, facendo attenzione a non disturbare troppo i piani

degli USA in un’area che questi ultimi consideravano sottoposta alla loro influenza. La

differenza fra il rischio reale e il rischio temuto venne capitalizzata dagli Stati Uniti, i quali

erano ormai convinti di dover assumere un ruolo preponderante nelle vicende europee.83 Per

queste ragioni, il discorso di Truman del 12 marzo ’47 era di fatto un appello alla Nazione

americana, che non avrebbe dovuto lasciare l’Europa nelle mani della miseria, cosa che le

avrebbe definitivamente aperto la strada dell’interdipendenza con l’URSS e il comunismo, un

sistema politico-economico che l’America, comprensibilmente, aborriva, in quanto sarebbe stato

in quegli anni, in quelle circostanze foriero di lutti e ulteriori carestie per l’Europa.

Presidente USA, al Congresso americano a camere riunite, 12 marzo 1947. Tale discorso, noto come “Dottrina Truman”, viene riportato per intero in E. Di Nolfo, cit., pagg. 681-682. 82

“…come scrive Herbert Feis, «le affermazioni di Truman segnavano il dissolversi della visione di

unita di nazioni pacifiche, basate su organizzazioni, sistemi sociali e ideologie diverse, e tuttavia desiderosa di lasciare che gli altri esistessero». Fino a quel momento la divisione in campi contrapposti era stato il patrimonio dello stalinismo; ora Truman faceva propria la medesima concezione e dichiarava che «il comunismo doveva essere combattuto e tenuto sotto controllo» Il che sanzionava l’aprirsi di un conflitto aspro e profondo sulla base di ragioni non perfettamente chiarite. Non era chiaro infatti il collegamento fra i principi enunciati nel discorso del Presidente e la situazione che effettivamente esisteva in Grecia e in Turchia. Lo stesso Stalin, come ora risulta, non diede un grande peso al discorso del Presidente poiché comprese (…) che «esso non si applicava alla parte di Europa già sotto il controllo dell’URSS». Infatti, se il significato della “Dottrina Truman” viene ricercato nelle enunciazioni formali esposte dal Presidente, i suoi limiti divengono evidenti. Ma la dottrina oltre ad avere valore in sé e per sé, esprimeva anche la volontà americana di non lasciar cadere in mani ostili il Mediterraneo orientale e ciò che gli era prossimo, cioè tutto il Medio Oriente. Anche gli Stati Uniti, nonostante i principi sui quali avevano ispirato il loro impegno bellico, scendevano apertamente sul terreno del realismo internazionale, cioè della politica di potenza (…)” Ennio Di Nolfo, op. cit., ibidem, pag. 683. 83

“«La pressione sovietica sugli Stretti, l’Iran e la Grecia settentrionale (…) poteva aprire ben tre

continenti alla loro penetrazione (…). La caduta della Grecia poteva intaccare l’Iran e tutto l’Oriente (…). Ciò avrebbe diffuso il contagio anche in Africa (…) e in Europa, attraverso l’Italia e la Francia (…). L’Unione Sovietica stava tentando uno dei più grandi giochi d’azzardo della storia (…) noi e solo noi, eravamo in grado di interrompere quel gioco»”. Federico Romero, Storia della Guerra Fredda, cit., pag. 49. Il virgolettato si riferisce alle parole usate da Dean Acheson, in Present at the Creation, Norton, New York, 1969, come riportato in Federico Romero, eadem.

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4.4.1. Il «containment»

La ragione di una simile preoccupazione risiedeva nelle motivazioni stesse del

containment, motivazioni che traevano origine dalla situazione particolare in cui versava

l’Europa del dopoguerra. Vi erano delle ragioni ben precise che spingevano gli USA a prendere

il comando della situazione in Europa: 1) la questione della Germania; 2) l’evoluzione politico-

economica europea e il problema dell’inflazione in un momento particolarmente delicato; 3) il

problema del commercio internazionale e della forte interdipendenza fra Europa e Stati Uniti; 4)

la scelta politica degli USA, con la quale i britannici si erano dimostrati d’accordo, di chiarire

una volta e per sempre la situazione dei rapporti fra gli alleati e fra gli alleati e l’Unione

Sovietica, che era andata via via assumendo sempre di più il ruolo di una potenza a sé stante,

ormai lontana anche per strategie d’azione dagli ex alleati occidentali. Queste erano le

motivazioni alla base del c.d. “Piano Marshall”.84

4.5. Le difficoltà di intavolare nuovamente i negoziati fra le potenze

Vi è da dire che sui quattro punti di cui si è detto si sarebbe continuato a discutere

all’interno del Consiglio di Controllo alleato, dove le posizioni contrastanti su alcuni argomenti,

come la questione della riforma finanziaria e la questione dell’assetto della Germania avrebbero

portato alla rottura, con il conseguente blocco di Berlino. Tuttavia, allora, nel 1947, la

situazione, per l’Europa era davvero difficile. L’inverno 1946-47 era stato particolarmente duro

e le difficoltà di portare aiuti in molte delle zone dell’Europa occidentale già piegata dalla

guerra e dalle difficoltà della ricostruzione era adesso acuita dalla mancanza di derrate e aiuti in

un continente stremato. Il Piano Marshall era stato ideato quando l’Europa versava in una

situazione particolarmente difficile; tale complessità non si poteva comprendere qualora non si

fosse valutata univocamente una situazione, che era relativa all’intero continente.

4.6. La questione tedesca

Su tale reductio ad unum si può ragionare partendo dalla Nazione di cui si è parlato

diffusamente all’inizio del nostro discorso: la Germania.85 La questione tedesca, come quella

84

“Il discorso con il quale, il 5 giugno 1947, parlando all’Università di Harvard, il Segretario di Stato

USA George Marshall, preannunciò l’intenzione da parte degli Stati Uniti di avviare l’elaborazione e l’attuazione di un vasto piano di aiuti all’Europa (…) fu uno dei momenti più alti e dominanti della vita internazionale del secondo dopoguerra(…)” Ennio Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, 1918-1999, cit., pag. 684. 85

Vedi supra, cap. 1.

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austriaca era stata oggetto dei trattati di pace fra le Potenze vincitrici e i Paesi appartenenti

all’Asse. Pochi giorni prima dell’elaborazione della dottrina Truman, il 10 marzo del ’47, si era

tenuta una riunione a Mosca del Consiglio dei Ministri degli Esteri, l’organo che aveva lavorato

fino al dicembre del ’46, su tematiche minori, per poi discutere delle grandi questioni sul

tappeto, cioè - come ricordato - Germania e Austria. La Conferenza del Consiglio si concluse il

26 aprile 1947: tuttavia, essa aveva avuto il merito di avere messo in luce quelle che erano le

diversità esistenti in seno al Consiglio di Controllo fra le varie potenze. Inizialmente, senza che

ciò ancora intaccasse minimamente la questione della riforma monetaria, sulla quale

successivamente maturerà la rottura, il problema era quello della ricostituzione della Germania:

qui le posizioni fra gli alleati erano le più disparate. Da un lato, inglesi e americani insieme

erano fermamente assestati nell’opinione che la Germania dovesse continuare ad avere una

natura federale e dovesse continuare ad essere costituita da Stati federati fra loro ognuno con la

propria autonomia (Laender). Di contro, i Sovietici insistevano sull’esistenza di uno Stato

centralizzato e unitario guidato da coalizioni elette “democraticamente” (in realtà, come si è

visto, 86non era così), mentre i francesi si dimostravano preoccupati di una rinascita tedesca, per

cui si collocavano nel mezzo fra la proposta dei sovietici (che temevano, perché parlava di

rinascita tedesca su base unitaria), e quella degli anglo-americani (che temevano ancora di più,

perché parlava della riorganizzazione su base federale dei Laender, che storicamente era stato

l’unico sistema politico che la Germania negli anni aveva conosciuto per essere una grande e

temuta Nazione). Queste motivazioni facevano temere ai francesi la possibilità che una

Germania forte si riorganizzasse, politicamente e militarmente, tornando, così, ad essere una

seria minaccia per la Francia. Poi c’era la questione delle riparazioni. La proposta americana era

quella di considerare il debito tedesco “null and avoid”. 87E vi era anche il nodo del controllo

politico. In questo senso, i Sovietici volevano un governo centralizzato perché ritenevano che

uno stato, così organizzato, fosse meglio in grado di pagare le riparazioni di guerra, così come ci

si era accordati a fare nel corso delle conferenze di Yalta e Potsdam. Al tempo stesso gli anglo-

americani accusavano sovietici e francesi di non avere a cuore la rinascita della Germania (che

essi sponsorizzavano anche e soprattutto per motivazioni strategiche legate al contingentamento

imposto dalla guerra fredda), ma soltanto il modo in cui ottenere tali riparazioni. Del resto,

obiettavano, i sovietici avevano già preso tutto quello che ci sarebbe stato da prendere in

Germania. I francesi, invece, tendevano a governare la loro zona in modo che la Germania fosse

in grado di produrre di più, allo scopo di poter usufruire delle riparazioni in un più breve tempo

e questo non era sicuramente fare gli interessi del popolo tedesco, in quanto una maggior

86

I Sovietici volevano in realtà dare solo la parvenza di libere e democratiche elezioni, in quanto

miravano ad un controllo totale sull’intera Germania. Vedi supra, Capp. 1-2. 87

Vedi supra, Cap. 1.

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produzione volta a restituire i soldi delle riparazioni non poteva essere ben vista dall’orgogliosa

nazione tedesca. Si deve anche aggiungere che nei bacini siderurgici della Saar e della Ruhr, la

produzione era stata calmierata, in quanto non si era ancora trovato un accordo vero e proprio

sulla gestione comune di quelle risorse, che non si sarebbero potute lasciare quale appannaggio

esclusivo di una rinata potenza germanica. Quindi, vi era la questione dei profughi. Le Regioni

della Slesia e della Pomerania erano state cedute in parte alla Polonia, in parte amministrate dai

sovietici che avevano già lasciato sul campo le loro forze armate, presenti sul territorio ancor

prima della fine della guerra e adesso non intendevano di certo ritirarle, nell’ottica della

spartizione in blocchi contrapposti.

4.7. Le relazioni interalleate dall’impasse decisionale al varo del “piano Marshall”

Si era dunque venuta a creare una situazione di forte impasse sul piano decisionale, fra le

varie potenze sul campo. In questo senso, gli anglo-americani decidevano motu proprio di

accordare alla Germania la possibilità di incrementare la produzione dell’acciaio88, mentre i

sovietici continuavano ancora a ribadire la questione delle riparazioni di guerra e i francesi

dovevano agire necessariamente con cautela.89

Intorno alla metà del mese di aprile del 1947, il Segretario di Stato Marshall si rese conto,

(coadiuvato anche dal futuro Segretario di Stato John Foster Dulles, allora ancora esperto di

politica estera del partito repubblicano, ma che successivamente diventerà Segretario di Stato,

nel 1952), che continuare il confronto con i sovietici sarebbe stato inutile sotto ogni punto di

vista e che, quindi, sarebbe stato necessario elaborare un piano da discutere per uscire da questa

situazione di impasse. La Conferenza venne interrotta (di fatto, conclusa) alla fine di aprile del

’47, decidendo di rimandare tutta la discussione all’autunno successivo: nel frattempo, la

88

Questa decisione era stata presa anche per evitare che si verificassero disordini all’interno della bizona

amministrata dagli anglo-americani. Ennio Di Nolfo, op. cit., ibidem, pag. 688. 89

Per i francesi la questione si era complicata da quando i comunisti erano entrati nella coalizione del

Governo Ramadier. Quindi per loro si imponeva una mediazione interna, fra le forze di governo interne alla Francia stessa, (i partiti comunisti dell’Europa occidentale, anche di stati non-satelliti, allora prendevano ordini da Mosca) e quelle esterne. Al Ministro degli Esteri francese, Bidault, il compito di mediare fra queste dinamiche interne al suo Paese e la necessità di non sconvolgere l’intesa con gli anglo-americani, che agivano come un Moloch, un monolite che asseritamente non sarebbe stato da mettere mai in discussione, almeno dagli alleati occidentali. Fedeltà assoluta e subordinazione era ciò che veniva chiesto alla Francia in quel momento storico. Anche loro pagavano un prezzo per la liberazione. De Gaulle al potere denuncerà, poi, questa subordinazione dei francesi e dell’Europa continentale agli anglo-americani, in ogni occasione in cui potrà farlo, dal suo “ritorno” nel 1958, fino alla “crisi della sedia vuota” del 1965. La Gran Bretagna, praticamente non potrà entrare nella Comunità Economica Europea fino al 1973, cioè dopo la morte del Presidente Francese, avvenuta nel 1970. Sulla questione cfr. Ennio Di Nolfo, cit., eadem, ss.; sulla crisi della “sedia vuota” cfr. Bino Olivi, L’Europa Difficile, Il Mulino, Bologna, 1997.

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situazione era cambiata. Si era proceduto al varo del piano Marshall, il 5 giugno del 1947.90

Il discorso che il Segretario di Stato George Marshall aveva fatto all’Università di

Harvard il 5 giugno del 1947, evidenziando le difficoltà internazionali rappresentate dalle

necessità della ricostruzione, aveva descritto soprattutto alcuni aspetti, tra i quali quelli relativi

all’acquisto da parte dell’Europa dei beni che sarebbero stati necessari alla sua sopravvivenza.

Il discorso di Marshall è importante anche perché affronta la questione del rinnovato

clima dei rapporti fra Europa e Stati Uniti. Questi due continenti avrebbero dovuto riprendere a

collaborare fra loro e questo era quanto si sarebbe dovuto fare sia sul piano delle relazioni

economiche che su quello delle relazioni di natura politica.

In altri termini, si trattava di fare uscire il progetto di un’Europa unita dal vago e

inconcludente assetto che fino ad ora essa stessa si era data, e farla entrare in un nuovo progetto

politico che avrebbe rivisto la questione intera dei rapporti con gli Stati Uniti e l’annosa

questione della Germania. I giochi, in quello scorcio del 1947, erano ancora tutti aperti.

90

Gli Americani avevano avuto la sensazione, suffragata dalla visione delle macerie presenti in Europa in

quel periodo, che si fosse in presenza di una crisi senza ritorno e che quindi bisognava agire in fretta per uscire dall’impasse. Tale sensazione era acuita anche dalla disperazione dei paesi occidentali, come l’Italia; ad es., De Gasperi facendo riferimento alla difficile situazione sociale in cui versava il nostro Paese nell’immediato dopoguerra, diceva che «un soffiio di panico e follia attraversa certe zone del Paese». Secondo alcuni autori, come Ennio Di Nolfo, la situazione non era poi così drammatica, come gli americani stavano lasciando intendere. Un conto era la crisi in cui stava versando una borghesia appena uscita dalla guerra, altro dire che le conseguenze di quella crisi generale erano irreparabili. Cfr. Tabelle in Appendice B alle pagg. 175-176.

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PARTE SECONDA

____________________________________________________________

IL PONTE

____________________________________________________________

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CAPITOLO 5

L’EVOLUZIONE DELLE RELAZIONI BILATERALI

5.1 Il ponte aereo, volano per la ripresa economica tedesca

Il ponte aereo andava dunque ad inserirsi nei progetti relativi alla ripresa economica

dell’Europa piegata dalla guerra, che aveva avuto l’esito di porre i riflettori sulla Germania.

L’esito principale della Conferenza interalleata di Mosca era stato in prevalenza quello secondo

cui non si sarebbe più continuato a vedere la Germania come una nazione politicamente unita. Il

fatto che si rifiutasse l’idea della separazione del territorio tedesco non significava che, de facto,

questo territorio non potesse essere considerato separato in due zone, più o meno equamente

divise nell’appartenenza ai due blocchi al di qua e al di là della cortina di ferro. Questa

situazione era accettata quale risultato della reale evoluzione dei rapporti di forza fra USA e

URSS, anche da parte degli altri alleati.91

5.2. L’annosa questione delle riparazioni e l’unificazione delle zone anglo-americane

Sullo sfondo era la questione delle riparazioni, che rimaneva centrale in qualsiasi

discussione sulla Germania, non soltanto per le rivendicazioni francesi, ma anche per le

necessità strategiche degli americani, i quali non erano minimamente sfiorati dall’idea che la

Germania avrebbe dovuto rinunciare ad essere una nazione centrale nel quadro generale della

rinascita europea.92 Pochi giorni dopo il discorso di Harvard del 10 giugno 1947, con il quale

era stato ufficializzato il piano Marshall, si ebbe la fusione delle due zone, inglese e americana,

della Germania; accanto a tale iniziativa, avrebbe anche avuto luogo la creazione di organismi

istituzionali tedeschi, primo nucleo istituzionale di una Germania restituita alla sua dignità di

nazione.93 E non si trattava di vicende esclusivamente di tipo economico, in quanto vi era in

91

“Sin dalla prima fase dei lavori della Conferenza di Parigi sulle proposte Marshall (presente

Molotov), Bidault aveva ammesso:«E’ chiaro che non è possibile per noi pensare ad un progetto collettivo europeo (in risposta a Marshall) nel quale non sia compresa la Germania». Bidault aggiungeva a questa affermazione una serie di condizioni, ma non poteva sottrarsi all’evidenza dei fatti(…)” Ennio Di Nolfo, op. cit., pag. 706. Il virgolettato è riferito all’intervento del ministro degli Esteri francese, Georges Bidault, nel corso dei lavori alla Conferenza di Parigi, come riportato in Di Nolfo, cit., eadem. 92

“«Non potremo far rivivere un’economia dell’Europa occidentale autosufficiente senza una Germania

florida, che svolga il proprio ruolo di unità produttiva e di consumo.»” E. Di Nolfo, cit., pag. 706. Il virgolettato riferisce l’opinione di Harriman sul futuro della Germania. 93

E questo era vero, anche se la Germania avrebbe dovuto fare i conti con la divisione del suo territorio.

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ballo anche la questione politica della permanenza di un accordo quadripartito, difficile da

mantenere94 che in Germania aveva lasciato soltanto la parvenza della sua esistenza: a dire il

vero era proprio in Germania che tale accordo aveva la sua ragion d’essere e al tempo stesso

stava cercando di mantenersi vivo, dal momento che in altri contesti, come quello dell’Europa

meridionale, questo accordo quadripartito era stato sostituito da un accordo tripartito fra USA,

Gran Bretagna e Francia. Tale accordo, aveva anche la funzione di un’intesa che avrebbe

salvaguardato gli alleati dal prendere “(…) qualsiasi iniziativa unilaterale(…)”.95

5.3. La Conferenza di Mosca e la rottura aperta fra i due principali protagonisti

della guerra fredda

L’esito della Conferenza di Mosca, che sarebbe durata dall’aprile al dicembre del ’47, fu

quello di mettere in luce che fra i due principali attori sulla scena (USA e URSS) si era ormai

giunti ad una rottura aperta. Benchè l’accordo di massima sulla riorganizzazione (non sul

riarmo) della Germania vi fosse, non era chiaro come questo sarebbe dovuto avvenire, se la

Germania si sarebbe potuta riorganizzare su base unitaria oppure su base federale. Ma, di fondo,

a farla sempre più da padrone erano le accuse reciproche che ormai i due schieramenti si

andavano vicendevolmente lanciando, evidenziando una rottura che era nei fatti anche se non

nelle decisioni, che si sarebbero prese di lì a poco.

5.4. L’avvento del “tripartito”

Nella primavera del 1948, anche il Ministro degli Esteri francese Bidault, si accordò con

Ernest Bevin, britannico e George Marshall ad appoggiare il progetto di un conclave tripartito

fra USA, Gran Bretagna e Francia. Era ormai divenuto chiaro come gli occidentali si sarebbero

orientati sulla questione tedesca. Il 9 febbraio 1948 americani e inglesi si accordavano per la

creazione di un governo provvisorio tedesco nella bizona. Ne conseguiva tutto un corollario di

proteste e accuse da parte dei sovietici, i quali non del tutto a torto, a dire il vero, accusavano, in

Tale fusione in una bizona “…divenne effettiva, accompagnata dalla formazione di un Consiglio Economico germanico e da una Commissione esecutiva, nominata dai parlamenti regionali (Landtag) delle rispettive zone. Il primo compito del Consiglio Economico germanico fu quello di inviare rappresentanti alla Conferenza di Parigi sul piano Marshall. Ancora non vi era una chiara convergenza fra gli orientamenti dei partiti tedeschi (in particolare l’Unione Cristiano Democratica – CDU e il Partito Social Democratico – SPD) e quelli delle autorità di occupazione. Gli inglesi, secondo le direttive del governo laburista, progettavano modelli di nazionalizzazione e socializzazione; gli americani ondeggiavano tra un pieno appoggio alla libera iniziativa e il consenso verso la nazionalizzazione di industrie di base (…)” Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, freq. cit., pag. 708-709. 94

Cfr. supra, Cap. 1. 95

Ennio Di Nolfo, op. cit., pag. 709.

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tale comportamento degli alleati occidentali, una violazione degli accordi di Yalta e Potsdam.96

Nelle settimane successive iniziavano le prime scaramucce, come la chiusura al traffico

dell’autostrada per Berlino, con un check point sovietico posizionato nella zona di Magdeburgo

e con diversi controlli sui passeggeri in viaggio verso Berlino. La questione era stata affrontata

in un primo momento, diplomaticamente fra Lucius D. Clay ed il Maresciallo russo Sokolovsky.

Per quanto riguardava la popolazione dei settori di Berlino sotto la guida occidentale, ebbene

questa non aveva subito alcun trauma, fino a quel momento, che fosse degno di nota, dovuto al

deteriorarsi delle relazioni USA/URSS, se non per alcuni funzionari del governo americano, che

erano stati trasferiti a Francoforte. Il 5 aprile 1948 si sarebbe verificato un incidente aereo, in

fase di atterraggio a Berlino, in una di quelle che qualche mese dopo sarebbe stata fra le piste di

atterraggio dei velivoli del ponte aereo97, di cui sarebbe stata data notizia qualche giorno dopo:

un aereo civile britannico, con 5 passeggeri britannici e due americani, Pasquale Pintus del 248°

plotone di sussistenza, facente capo ai ruoli civili dell’Esercito Americano e Frances Ruth

Clough dell’OMGUS erano periti in uno schianto con un aereo sovietico, assieme ad altri 5

cittadini britannici e al pilota sovietico. Benché si fosse trattato chiaramente di un incidente, i

britannici incolparono Mosca, sostenendo che vi erano forti possibilità che l’episodio fosse stato

deliberatamente provocato da parte sovietica, accuse che fecero irritare Sokolovsky.

5.4.1. Il Consiglio di Controllo alleato, “a defunct organization”

Nel telegramma del 13 aprile 1948, da parte di Murphy e indirizzato ad Hickerson, il

primo affrontava chiaramente la questione della rappresentatività all’interno del Consiglio di

Controllo alleato, sostenendo che quest’ultimo ormai si sarebbe potuto considerare Defunct

Organization, un’organizzazione morta.98 Considerazioni sulla durata del conclave

quadripartito a parte, Murphy ribadiva come la questione assumesse importanza per via della

96

La questione dei rapporti fra le potenze vincitrici e alleate contro la Germania nazista è stata dibattuta

nella parte Prima di questo lavoro. Giova, qui, sottolineare come in questa seconda parte si voglia riprendere il fio del discorso interrotto: la metodologia utilizzata è quella del flashback narrativo che permette di entrare in medias res all’inizio del lavoro e reintroduce l’argomento successivamente, solo dopo aver fatto un’ampia premessa, come quella che ha occupato i capitoli finali della parte prima. Si ricomincia dunque la narrazione degli eventi da fonti di prima mano, quali quelli descritti in Frus, The Berlin crisis, pag. 889, ss. 97

Vedi supra, pag. 67. 98

“I personally feel that Control Council is a defunct organization(…).” Frus, The Crisis of Berlin, 1948,

telegramma n. 853, Murphy/Hickerson, pag. 892. Come si è avuto modo di ricordare, la questione dei rapporti fra ex-alleati era relativa alla sola questione tedesca, mentre per quanto riguardava altri settori-chiave della geopolitica occidentale, i rapporti con l’URSS non erano più rapporti difficili fra ex-alleati, ma rapporti fra competitori su scala globale, ed erano già passati da relazioni di tipo amico/amico a relazioni di tipo amico/nemico. Come si è detto più volte, in questo scorcio di primavera del 1948 si stava assistendo, in Germania, all’ultimo atto di una farsa: i tentativi di trovare un accordo con i sovietici sulla questione di Berlino.

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popolazione dei settori occidentali di Berlino, che adesso rischiava di restare senza

approvvigionamenti, in quanto era ormai chiaro che i sovietici avrebbero fatto di tutto per

ostacolare i rifornimenti alla città.

5.5. Le relazioni interalleate nella primavera del 1948

Tuttavia, sulla questione di Berlino erano un po’ tutti gli alleati occidentali ad avanzare

preoccupazioni e proposte. Persino i francesi, che ormai giacevano assestati su posizioni filo

statunitensi, per bocca del rappresentante, il generale Koenig, affrontavano la questione della

presenza degli alleati occidentali a Berlino, ricevendo come risposta che non era il momento più

adatto a prendere delle decisioni in proposito, cosa che si sarebbe potuta fare subito dopo le

elezioni in Italia del 1948 e, in ogni caso, dopo la Conferenza di Londra. Tale posizione

attendista, sarebbe comunque stata interpretata come un segno di debolezza da parte dei Russi.

Al tempo stesso, sia Robertson che Koenig, vale a dire i rappresentanti di Gran Bretagna e

Francia, ritenevano che l’esperienza del Consiglio di Controllo alleato fosse ormai da

considerarsi conclusa, mentre i francesi ribadivano che la scelta di Berlino come centro in cui

fondare il Consiglio di Controllo non era da loro mai stata vista di buon occhio e che, a loro

dire, sarebbe stato più semplice individuare come capitale della Germania una città come

Francoforte, in un rinnovato clima di relazioni trilaterali, USA, Gran Bretagna e Francia.99

5.5.1. La Gran Bretagna, “più realista del re”

A livello di Capi di Stato, è degna di nota la posizione di Attlee, il quale rimaneva fermo

nell’intento di utilizzare la forza con i sovietici, dal momento che quello era l’unico sistema che

i russi conoscevano per addivenire a miti consigli e che, a questo scopo, si sarebbe dovuto

anche lasciar intendere loro il tipo di arma letale che gli USA in quel momento, per primi

sarebbero stati in grado di utilizzare: la bomba atomica. Le note successive degli incaricati del

governo degli Stati Uniti, per quanto maggiormente attendiste nei confronti dei sovietici,

comunque manifestavano nei confronti di questi ultimi e della loro politica un’insofferenza

sempre crescente; infatti, in un clima ormai orientato verso relazioni esclusivamente di tipo

bilaterale, o comunque bipolare, essi ricordavano come le forze armate sovietiche avrebbero già

dovuto abbandonare alcuni territori della Germania, esattamente come gli USA avevano fatto

con la Turingia e la Sassonia, lasciate ai sovietici ancora nel 1945.100

99

Frus, cit., telegramma n. 888, Murphy/Segretario di Stato USA, 15 aprile 1948, pagg. 893-894. 100

Frus, cit., pagg. 895-897.

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5.6. Attualità della riforma monetaria

La questione della riforma monetaria rimaneva comunque sempre in primo piano.

Attorno alla creazione di una nuova valuta, che inoltre comportava, da un punto di vista

materiale (oltre che, logisticamente, trovare il luogo in cui si sarebbe dovuta realizzare) il fatto

di coniare la nuova moneta, si era discusso a lungo. A tal proposito, venivano avanzate alcune

ipotesi, come quella secondo cui la nuova moneta sarebbe dovuta circolare uniformemente e

liberamente in tutta Berlino, intendendo con ciò una circolazione completa attraverso le varie

aree della città; circolazione che sarebbe potuta tranquillamente avvenire utilizzando i RM

(Reichsmarks) a meno che i sovietici non avessero avuto la stessa idea relativamente alla

conversione di moneta nel loro settore. Ciò che rileva è che si sarebbe allora dato vita ad una

circolazione di moneta per tutta Berlino, a prescindere dalla politica monetaria seguita nel resto

dei settori occidentali della Germania.101 Seguivano riflessioni relativamente alla previsione di

circolazione della moneta: se la conversione di RM avesse preso piede nel settore sovietico,

molto probabilmente il “Sov-Mark”, (la moneta sovietica utilizzata nei settori orientali di

Berlino, n.d.s.), circolando insieme al RM, avrebbe spiazzato quest’ultimo: ciò sarebbe accaduto

se i Sovietici avessero convertito moneta nel loro settore della città. Si proponeva quindi, al fine

di evitare che la moneta sovietica venisse messa in circolazione in mancanza di altra moneta,

così come al fine di evitare una circolazione duale nei vari settori della città di Berlino, di

accordarsi immediatamente con i sovietici, al fine di uniformare la circolazione della moneta e

di trovare le condizioni alle quali la moneta si sarebbe reperita con facilità. In questo senso si

sarebbe potuto raggiungere un accordo quadripartito per la circolazione dei marchi a Berlino,

ma in modo da salvaguardare prestigio e sovranità nazionale, così come pure la possibilità da

parte degli USA di esperire azioni di controllo, qualora ne fosse stata ravvisata la necessità.

Tuttavia, fallendo l’accordo nel quadripartito con i sovietici, sarebbe fallito anche un accordo

con gli stessi in materia di circolazione della moneta. Un accordo per l’utilizzo della moneta

sovietica non sembrava nemmeno possibile, in quanto quello sulla circolazione della valuta era

un potere che non si sarebbe potuto togliere alla sovranità tedesca per cui, in assenza di

decisioni di questo tipo, ci si sarebbe potuti accordare solo in relazione ad alcune aree e solo a

determinate condizioni. Qualora i sovietici avessero deciso di utilizzare la “loro” moneta nei

settori occidentali di Berlino, ciò avrebbe significato la rottura definitiva delle relazioni con gli

101

“It would be most desirable to mantain uniform currency for Berlin which would circulate freely in

all sectors. Unless Soviets carry out conversion in their zone, this objective can most easily be accomplished by continuing use of RM as common currency for Berlin, without regard to conversion policy followed in Western Zones”. Frus, ibidem, Dept. of Army to Clay, Warx 80633, 28 aprile 1948, pagg. 897-898.

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USA. Nell’impossibilità di un accordo con i sovietici, in materia di libera circolazione della

moneta, si sarebbero potuti utilizzare i DM (Deutschemark), quanto meno nei settori occidentali

della città, in mano alle potenze alleate del tripartito USA - UK - Francia. Il vantaggio sarebbe

stato quello di un’agevole introduzione nel tessuto economico cittadino, cosa che avrebbe

garantito una simultaneità con l’eventuale rapida diffusione dei “Sov-mark”; oltretutto, si

ribadiva che questi “DM” sarebbero stati differenti rispetto a quelli diffusi nella parte

occidentale della Germania. Si sarebbe quindi provveduto successivamente ad invalidare i DM

presenti a Berlino, il che era, evidentemente, necessario. Il fatto di avere due monete a Berlino

era un rischio, un rischio che tuttavia appariva inevitabile. Per quanto riguardava il cambio

monetario, se fosse stata presa la decisione di introdurre i “nuovi DM”, si sarebbe potuto

procedere ad un cambio dei marchi con i “Sov-mark”, ma tale cambio sarebbe stato possibile

solo all’interno della città di Berlino, non nei settori già sotto amministrazione occidentale: non

sarebbe stato possibile, quanto meno ufficialmente.102 Oltretutto, si sarebbe potuta garantire

libera circolazione sia dei “nuovi DM” sia dei “Sov-marks” nei settori occidentali, anche se non

in via ufficiale, ma ufficiosa. Questo punto veniva ribadito, in quanto si sosteneva che ciò

sarebbe avvenuto a prescindere da qualsiasi azione i sovietici avessero posto in essere, relativa

al contrasto alla diffusione dei DM occidentali nelle zone sottoposte alla loro influenza. In altre

parole, gli americani sembravano essere interessati alla diffusione della moneta sia nei settori

della città, che nelle zone sottoposte alla loro influenza (laender occidentali della Germania).

Questo sarebbe avvenuto nel diretto interesse delle popolazioni di queste aree; vi sarebbe stato,

naturalmente, il rischio di ingenerare inflazione, ma questo sarebbe passato in secondo piano

rispetto alla possibilità che il popolo tedesco potesse finalmente uscire dalla crisi e andare

definitivamente in direzione dell’auspicato sviluppo sociale ed economico; questo era il piano

che si sarebbe dovuto cercare di realizzare, almeno fino a quando l’inflazione non avesse

incominciato a diventare particolarmente pesante.

5.7. Differenze circa ruolo e “natura” degli alleati

La posizione dell’alleato occidentale più affine ideologicamente agli USA, cioè il Regno

Unito, oscillava tra attendismo e decisionismo, quasi come se fosse per l’unica potenza del polo

occidentale un pungolo ad intervenire in difesa dei valori e del sentire comuni. Ragioni di

ordine politico imponevano una soluzione politica della vicenda di Berlino, ragioni di ordine

strategico imponevano una seria riflessione sul potenziale bellico da dislocare in terra tedesca,

ragioni diplomatiche imponevano un atteggiamento duro da parte inglese, anche al fine di non

restare, sul tavolo delle trattative, come il convitato di pietra. Fine che rischiava di fare la

102

Frus, eadem, pag. 898. Approfondimento in Appendice (Documento 3 pag. 166).

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Francia, anche se in diverse occasioni aveva alzato la voce, soprattutto per quanto riguardava la

questione dei confini e della rimilitarizzazione della Germania. Tenendo conto che la voce era

sempre quella degli Stati Uniti, vale comunque la pena di riferire, per grandi linee quanto

Douglas, ambasciatore USA nel Regno Unito, aveva riferito al Segretario di Stato del suo Paese

il 28 aprile 1948.103 Gli inglesi, infatti, non avevano alcun problema a prendere deliberatamente

le parti degli USA, anche per quanto riguardava la natura del loro intervento, che era e restava

comunque a favore degli USA, senza esitazione alcuna: in altre parole, essi si chiedevano se

avrebbero dovuto mettere le loro rimostranze per iscritto oppure se queste fossero state da

inviare oralmente attraverso i loro canali diplomatici a Mosca. Nella nota in questione la Gran

Bretagna manifestava comunque una disponibilità nei confronti dell’alleato occidentale, ad

“acts of war”; ricorrente era anche l’utilizzo di questa parola, nello stile tradizionalmente

pragmatico delle leadership anglosassoni: in queste note, relative alla crisi di Berlino

nell’ambito delle relazioni internazionali degli USA, la prima volta in cui si menziona la parola

“war”, ebbene, questa viene usata dagli inglesi. Se si considera anche che lo stesso Churchill

aveva espresso nei colloqui avvenuti negli anni precedenti una visione piuttosto decisa delle

relazioni con l’URSS, quanto riferito da Douglas fa il paio con quelle dichiarazioni di allora. In

realtà, forse, questo piglio decisionista calzava a pennello con quello che gli USA desideravano

sentirsi dire in quel momento. Quello cui i britannici non erano preparati era la guerra ad ogni

costo pur di rimanere a Berlino. Questo a dispetto anche di ciò che poteva sembrare a Douglas

quale effetto di discorsi di natura informale e che non esprimevano la posizione ufficiale della

Gran Bretagna.104

5.8. La posizione sovietica di totale rifiuto di ogni collaborazione con gli occidentali

Del resto, i sovietici si erano oramai assestati in posizioni di totale rifiuto di qualsivoglia

colloquio costruttivo all’interno del Consiglio di Controllo. Spesso adottavano tattiche volte

semplicemente ad irritare e confondere i loro ex-alleati ed ormai concorrenti sulla scena

bipolare; infatti veniva spesso rilevato da parte delle fonti americane questo atteggiamento di

totale rifiuto e ostilità nei confronti degli occidentali, che ingenerava negli americani

soprattutto, ma anche nei britannici, il sospetto - che era praticamente una certezza, almeno lo

era diventato ai primi di maggio del 1948 - che la rottura fosse ormai data per assodata anche

nel Consiglio di Controllo alleato per la Germania, organo “figlio” della Commissione di

Controllo. Vale appena precisare come questa alleanza con i sovietici fosse oramai già venuta

meno in altre aree e che in Germania si stava soltanto cercando una parvenza di accordo che, già

103

Approfondimento in Appendice (Documento 3 pag. 167). 104

Vedi ancora approfondimento in Appendice (Documento 3 pag. 168).

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da qualche tempo, era appesa al filo delle reciproche volontà e che adesso erano solo diventate

reciproche incomprensioni e reciproche accuse. Le proposte avanzate da Washington, o meglio,

le indicazioni suggerite a Lucius D. Clay, di cui si è parlato in precedenza, non erano state

considerate valide da quest’ultimo; nel telegramma del 2 maggio 1948, Clay espone le ragioni

per le quali non era possibile imporre una valuta diversa da quella esistente, cioè i “nuovi DM”

cui si era prima fatto riferimento. La priorità, secondo il governatore americano di Berlino era

mantenere un accordo formale con i sovietici al fine di far circolare la moneta liberamente in

città. Ciò stava ad indicare quanto agli americani, allora, davvero interessava: la questione

economico-monetaria. Infatti, sottolineando come le difficoltà di dialogo con i sovietici fossero

esclusivamente di natura politica e non economica, Clay poneva l’accento sulla possibilità che si

potesse trovare con questi un accordo sul piano monetario: nel caso della Germania e di Berlino,

in particolare, si sarebbe dovuta privilegiare la circolazione di moneta, almeno fino a quando ciò

non avrebbe provocato un tracollo inflazionistico nell’area. Questo significava facilitare il più

possibile la circolazione anche di moneta che era circolata fino a quel momento, ivi compresa

quella circolante nel settore sovietico, dunque. Oltre a questi aspetti, Clay sottolineava come nei

berlinesi e nei tedeschi in generale vi sarebbe stato uno shock derivante dall’introduzione dei

nuovi DM; poi si sarebbe verificata una perdita di fiducia verso monete di altro tipo, grazie

all’introduzione dei “Sov-marks” e questo avrebbe ingenerato una sfiducia verso l’economia in

generale nella città di Berlino. L’idea di Clay era che, benché si rendesse necessaria, visti gli

ultimi avvenimenti politici e il disaccordo crescente fra sovietici e americani, non era possibile

organizzare l’economia della Germania, o meglio, di quella parte della Germania controllata dal

tripartito alleato USA-UK-Francia (quindi laenders tedeschi della Germania sotto controllo

anglo-franco-americano e le tre parti della città di Berlino), con due monete distinte fra loro,

una per i settori (laender) ed una per le zone (Berlino). Non era possibile o quanto meno, non lo

sarebbe stato a lungo. In questo modo, si poneva la questione della circolazione di moneta a

Berlino sotto il diretto controllo della kommandatura, che era un organo che si ricollegava

espressamente all’esistenza del quadripartito, quindi comprensivo anche dei Sovietici. Si

sarebbe potuto discutere circa l’opportunità o meno di continuare a mantenere in vita un organo

come la Kommandatura, tuttavia la necessità di imporre una visione univoca in una ridda di

voci ormai divenute confuse non faceva che aumentare dubbi e perplessità sull’esistenza di un

accordo che ormai tale non era più.105

La soluzione proposta da Clay era quella di cercare un accordo per una sola moneta, che

105

L’eventualità (che, lo si ripete, era una quasi certezza a quella data, il 2 maggio ’48) di addivenire ad

una rottura con i sovietici era chiara anche a Clay. Segue approfondimento in Appendice (Documento 4 pag. 169).

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circolasse nei Settori occidentali. Quindi un’unica valuta, che sarebbe stata affiancata da quella

sovietica, ma con regole ben precise: il fatto di permettere, per via ufficiosa, la circolazione di

“Sov-marks” nei settori occidentali, non significava che si sarebbe dovuto temere di raggiungere

un livello drammatico di inflazione, ma che si sarebbe dovuto fissare un tasso di cambio fra le

due monete in circolazione; tuttavia, questo fino a quando il DM sarebbe rimasto in

circolazione, come unica valuta legale nei settori occidentali. Infatti l’accumularsi di DM sia nei

settori occidentali di Berlino, che nei settori sovietici adiacenti, più che contrastare effetti

inflattivi, avrebbe potuto innestare un processo di riduzione della quantità di valuta di DM

presente nel settore sovietico, qualora la quantità presente nel settore occidentale di Berlino

fosse stata eccessiva. Il telegramma si concludeva con una rassicurazione relativamente

all’importazione di viveri a Berlino, che stava procedendo senza problemi, almeno fino a

quando vi sarebbe stata sufficiente quantità di moneta nell’area.106

Il problema adesso era la tenuta dell’alleanza tripartita, dal momento che i sovietici erano

assestati su posizioni definitivamente isolate; a questo proposito, era foriera di qualche

preoccupazione la posizione tenuta dai francesi, i quali si erano già dimostrati attendisti in

passato e che adesso chiedevano un termine superiore per porre in essere la riforma monetaria,

che essi avrebbero voluto posticipare al mese di luglio del 1948, suscitando le ire degli alleati

americani e le critiche sulla reale tenuta della loro fedeltà al tripartito.107

5.9. L’evoluzione delle relazioni bilaterali a ridosso del blocco di Berlino

Il telegramma di Murphy del 29 maggio 1948 faceva riferimento al dissolvimento

completo del Consiglio di Controllo; nel corso dell’ultima riunione, durata più di 15 ore, i

rappresentanti dei governi USA e URSS si erano scambiati reciproche accuse, nel corso di

questo, che era il loro 11° incontro. La questione, al di là delle solite accuse e delle reciproche

reprimende dall’una e dall’altra parte, che vedevano i sovietici sempre sul piede di guerra, si era

questa volta incentrata sulla difesa fatta nel settore sovietico di un noto criminale nazista,

(Schubert): questo fatto, aveva aperto una falla nel sistema di polizia cittadino, condiviso ancora

106

“…Irrispective of currency which circulate there…” Frus, ibidem, pag. 904. In realtà, l’espressione

usata da Clay era relativa al tipo e non alla quantità di valuta. Ma sembra difficile non ritenere che nel contesto descritto dal telegramma de quo, dove Clay cercava di rassicurare il Dipartimento dell’Esercito (e naturalmente il Presidente USA) sulla necessità di un accordo con i sovietici al fine di mantenere il DM in entrambi i settori, anche se ufficiosamente (al fine di evitare il diffondersi di due valute), cosa che avrebbe favorito il mantenimento del livello dei prezzi e contenuto effetti inflattivi, egli non si riferisse - fra le righe- soprattutto alla possibilità che un’abbondante quantità di DM nelle zone di Berlino e nei confinanti settori sovietici dava relativamente all’acquisto di larghe importazioni di generi alimentari, necessarie alla popolazione di Berlino (2.300.000 abitanti) e foriere di effetti benefici anche per la stessa economia degli Stati Uniti. 107

Vedi telegrammi n. 5-2248/2219 Douglas/Lovett 22 maggio 1948 e Segretario di Stato

USA(Saltzman)/Douglas e Clay 29 maggio 1948, in Frus, cit., ibidem, pagg. 904-905.

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a livello quadripartito, creando probabilmente il motivo per un disfacimento definitivo di tale

organismo. Anche questa occasione si era tramutata in un reciproco scambio di accuse, in

quanto la Kommandatura alleata spesso non veniva nemmeno consultata dai sovietici nel loro

settore e in questioni da condividere con gli alleati, mentre i sovietici (verrebbe da dire: “come

al solito”) sostenevano di “avere a cuore la sicurezza dei berlinesi” e di avere fatto per loro

molto di più di quanto non avessero fatto gli occidentali.108

5.10. Ultimi preparativi prima della riforma monetaria in Germania

Tutto era pronto, a quel punto, per il varo della riforma monetaria in Germania: questa

sarebbe partita il 20 giugno 1948, a dispetto di ulteriori periodi aggiuntivi richiesti, ad es., dai

francesi.109 Il periodo intercorrente fra le dichiarazioni del 4 giugno ’48, relative allo

stabilimento della data della riforma monetaria e la data in cui essa sarebbe avvenuta, il 20

giugno ’48, sarebbe stato impiegato per prendere accordi con le potenze del tripartito e su come

trasportare le banconote nei tre settori occidentali.110 La riforma monetaria della Germania si

108

Telegramma n. 5/2948-2253, Murphy/Segretario di Stato USA, 29 maggio 1948, in Frus, op. cit.,

ibidem, pagg. 905-906. 109

I francesi, si ricorda, avevano chiesto di posticipare la riforma al 10 luglio. Per gli americani la

richiesta di un ulteriore periodo di tempo, aggiuntivo a quanto era stato pattuito in seno al Consiglio di Controllo alleato, costituiva un ulteriore elemento di debolezza, che, appunto, si aggiungeva a quello della concessione dei 60 giorni di tempo, già concessi non tanto ai sovietici, quanto decisi all’interno del quadripartito, al fine di proporre un varo condiviso della riforma monetaria. Questa ulteriore richiesta da parte francese era stata vista come un rischio che avrebbe potuto fare piombare nell’indecisionismo gli anglo-americani, che nel loro pragmatismo del “do something about it” vedevano esclusivamente come un fumo negli occhi sia questa richiesta che proprio la stessa alleanza con i francesi, risoluti nel richiedere il rispetto dei confini della Francia e la smilitarizzazione della Renania, ma fondamentalmente privi di una prospettiva su larga scala che riguardasse la questione della sicurezza globale. Su questo genere di contestazione, vi è da dire, gli USA avevano terreno fertile, data l’alleanza con la Gran Bretagna, un popolo di cultura anglosassone, allora pieno di debiti, ma affine ideologicamente e tendenzialmente con la volontà decisionista americana. Si trattava di non superare il confine “volontà/nolontà”. E quel confine, i francesi, con quella richiesta di tempo ulteriore, lo avevano passato. Non sarebbero stati accontentati. Se del tempo ulteriore, come di fatto avvenne, sarebbe stato in seguito concesso, lo si sarebbe dovuto ad una precisa volontà del Consiglio di Controllo e non certo alle richieste in tal senso dei francesi. 110

Vi sono diverse date che fanno risalire l’inizio della guerra fredda, come il 1944, con gli accordi di

Bretton Woods, o il 1945, con l’effettiva spartizione militare della Germania, il 1946, con il discorso all’Università del Missouri del Presidente Churchill sulla “cortina di ferro” fra Stettino e Trieste, oppure ancora con la Dottrina Truman del 12 marzo 1947 o il varo del Piano Marshall di qualche mese dopo. Come si è già avuto modo di ricordare, la Germania divisa in due costituiva icasticamente il confine dei due blocchi, occidentale e orientale, in cui si divideva il mondo. Ora, allo stesso modo, quando si inizia a parlare di Germania Est/Germania Ovest? Siamo in grado di fissare un termine a quo? Si potrebbe obiettare che tale definizione relativa ad un’unica nazione divisa in due daterebbe dalla fine del Blocco di Berlino, data convenzionalmente ritenuta valida, cioè il maggio ’49. Sembra però possibile, data la descrizione degli eventi de quo, anticipare questa data al telegramma del 4 giugno 1948 e all’avvio del blocco di Berlino, il 18 giugno 1948. In queste date, si segna definitivamente un punto di non ritorno. Perché? Da che cosa era causato? Dalla riforma monetaria. Bene, ma allora se il quadripartito aveva resistito strenuamente prima di cadere nel giugno ’48, ciò a cosa era dovuto? Alla volontà/nolontà francese? Al buonismo degli americani contrapposto alla rudezza dei sovietici? Ad avviso di chi scrive, la questione della Germania e di Berlino in particolare rivestiva una duplice veste: politica ed economica.

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sarebbe divisa in due distinte fasi: la prima fase, da pubblicarsi entro il 19 per il varo il 20

giugno, sarebbe consistita nella consegna delle vecchie banconote e nella distribuzione pro-

capite delle nuove banconote per tutta la popolazione dei settori occidentali. La seconda fase, da

pubblicarsi una settimana dopo, il 26 giugno per il varo il 27, era relativa alla percentuale di

conversione della vecchia moneta e del trattamento del debito privato e di altre misure relative

alla riforma monetaria in atto.111

5.11. La seduta del Consiglio di Controllo alleato del 16 giugno 1948, l’atto finale

del “quadripartito”

La seduta del Consiglio di controllo del 16 giugno 1948 rappresentava l’atto finale del

quadripartito in seno al Consiglio di Controllo alleato a Berlino. Nel corso della riunione fra i

rappresentanti delle quattro potenze, si verificavano alcuni scontri verbali fra Herbert (inglese) e

Ganeval (francese), ma ad avere le luci del proscenio sarebbero stati gli interventi del

Colonnello USA Howley, il quale, dopo 15 ore di accuse sovietiche praticamente ininterrotte,

decideva di abbandonare il Consiglio di Controllo; tanto, era inutile. Naturalmente, sarebbero

seguiti gli immediati abbandoni della sala da parte del Colonnello sovietico Yelisariov, che

Bene, per gli americani, l’economia (keynesiana) è imprescindibile, come per i russi (per questi ultimi:marxista). A ben vedere, però, la partita (economica) che si stava giocando in Germania era importante sì per la questione delle riparazioni, del risollevamento economico liberale (liberista?) dell’economia tedesca, ecc. ecc., ma lo era anche per una questione di supremazia bipolare. Lasciando Berlino, l’uno o l’altro dei due rivali sul piano geopolitico mondiale, avrebbero dato l’impressione di una sconfitta, una sconfitta che sarebbe stata di un intero emisfero, non solo americana o sovietica. Per questo fino a quel momento gli americani avevano fino all’ultimo cercato di trovare un accordo con i sovietici, naturalmente senza piombare nella “nolontà”, ma nemmeno condividendo il decisionismo inglese (di facciata, perché alla fin fine il dispiegamento di forze in campo e le potenzialità economiche parlavano chiaro). Solo quando era divenuto chiaro che non era possibile esperire alcun accordo, era venuta fuori la reale portata del pragmatismo (imperialista? decisionista?) degli Stati Uniti, senza i quali nessuna guerra sarebbe stata vinta, nessun tipo di riforma sarebbe stato possibile, e probabilmente non si sarebbe nemmeno potuto approntare alcun tipo di assetto geopolitico occidentale. 111

“Il tasso di conversione della vecchia moneta sarà del 10% da convertire e del 10% da bloccare.

L’80% sarà invece cancellato. Saranno previste speciali provvigioni per una conversione di 60 od 80 marchi per persona fisica, o per impiegato, se fosse stato il caso. Per quanto riguarda il debito provato questo verrà trattato nello stesso modo di cui sopra. I creditori stranieri di Reichsmark (RM) accetteranno una riduzione simile oppure aspetteranno gli adeguamenti monetari imposti dai trattati di pace. I debiti derivanti da scambi con l’estero rimarranno irresoluti, almeno fino a quando non entreranno in vigore i trattati di pace. Non vi sarà alcun risarcimento per i creditori del Reich, almeno per il momento. Le strutture tipiche del capitale finanziario saranno adattate alla nuova situazione, riflettendo le nuove condizioni politiche delle banche dei laender tedeschi e della Banca Centrale del Land.” Frus, Memorandum Saltzman/Lovett, 4 giugno 1948, in op. cit., ibidem, pagg. 907-908. Questa, in sintesi, era la riforma proposta unilateralmente, dagli americani. Essi pertanto stavano decidendo da soli il destino dell’intera Europa, che in quel momento passava da Berlino. Va ricordato, ad abundantiam, come gli inglesi avessero già avallato con il loro appiattimento su posizioni ultras, l’unilateralismo americano e come i francesi si fossero, de facto, ritirati dalla scena. Era un meraviglioso gioco delle parti a tre. Forse anche a quattro. Seguivano poi, indicazioni circa le necessarie leggi che si sarebbero dovute varare per l’inizio della riforma monetaria e i suggerimenti rivolti al Generale Clay sul modus operandi della riforma. Segue approfondimento in Appendice (Documento 5 pag. 169).

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usciva con tutta la delegazione. Ganeval, presidente di turno, decideva di interrompere lì la

seduta, dal momento che non aveva più alcun senso proseguire la discussione, sottolineando

come non per il precedente abbandono di Howley, quanto per quello di Yelisarov e delegazione,

era stato impossibile continuare. La fine ingloriosa, tra reciproche accuse e volontà di potenza,

del Consiglio di Controllo Alleato, nella fase precedente il Blocco, rappresentava icasticamente

la conclusione di ogni dialogo fra USA e URSS: una conclusione che era già avvenuta, aveva

già prodotto degli effetti in altre aree dello scenario geopolitico mondiale e che adesso stava

trovando una sublimazione perentoria in Germania, arenandosi sulle sabbie di Berlino.112

5.12. L’avvento del blocco, 18 giugno 1948

Nel telegramma del 19 giugno del 1948,113 venivano descritti gli avvenimenti

immediatamente successivi il posizionamento del Blocco di Berlino: veniva bloccata

l’Autobahn (Autostrada) e veniva ammesso l’arrivo di un treno ogni ora diretto alla stazione di

Marienborn. Nel frattempo venivano intensificate le misure di controllo sul traffico veicolare in

entrata a Berlino, da parte sovietica e venivano boicottati gli ingressi di veicoli non in ottime

condizioni. Questo ingenerava delle proteste, da parte degli alleati: gli inglesi intensificavano a

loro volta i controlli nel settore di Berlino di loro competenza, protestando vivacemente per le

restrizioni imposte quasi immediatamente appena avuta notizia del varo della riforma monetaria

nei settori tedeschi e nelle zone occidentali della città. Gli stessi americani si dimostravano, in

questa prima fase, attendisti in quanto ritenevano che i blocchi e i controlli posti in atto dai

sovietici non fossero particolarmente gravosi e che, conseguenzialmente, non sarebbe stato

conveniente intervenire risolutoriamente in questa prima fase. In questo senso le proteste e i

colloqui fra Robertson e Clay erano volti ad individuare un compromesso con i sovietici, in

considerazione del fatto che una reazione di questo tipo, da parte sovietica, sarebbe stata più che

probabile: il fatto che si fosse verificata era un qualcosa del tutto normale, quindi non vi era

ragione alcuna di esserne sorpresi; per quanto riguardava le vigorose proteste suggerite dai

britannici, si trattava - da un lato - di aspettare qualche giorno, anche per mettere alla prova la

capacità dei sovietici di stare o meno nella Kommandatura alleata, dato che formalmente

l’organo era ancora in vita, così come - dall’altro - di condividere con gli altri ex alleati,

nonostante il Blocco, la gestione della città.

112

Brl in tedesco antico vuol proprio dire “sabbia”: Berlino città del fiume Spree, città dove sorgono i

laghi di Spandau, confluenza di acque fluviali e lacustri, era una città fondata nel medioevo sulle sabbie di quei corsi d’acqua. (cfr. Taylor, Berlino, Introduzione. 113

Telegramma n. 6/1948-1413, Murphy/Segretario di Stato USA, 19 giugno 1948, in Frus, cit., ibidem,

pagg. 910-911.

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5.12.1 La reazione alleata

La risposta immediata al Blocco sovietico di Berlino, era stata quella di uno stato

generale di allerta rivolto ai media, che mirava, da un lato a trovare ingenti risorse per una città

che contava allora 2.300.000 abitanti, i quali adesso rischiavano di rimanere a corto di viveri per

un tempo indeterminato, mentre, dall’altro, a rendere chiaro ai berlinesi chi fosse il reale

responsabile del blocco, cioè l’URSS. Nei primi giorni del blocco si sarebbero verificati alcuni

incidenti diplomatici, come un tentativo, da parte dei conducenti del treno composto da

personale USA, di forzare il blocco e procedere oltre.114 Nel corso dei giorni successivi veniva

affrontata la questione della valuta, che, a detta dei sovietici sarebbe dovuta essere soltanto una,

cioè quella sovietica. Questa era la dimostrazione, una volta di più, del perdurare dei cattivi

rapporti e dello sclerotizzarsi sempre maggiore delle relazioni bipolari fra USA e URSS in

Germania. Ai sovietici, in fondo poco importava che l’organo preposto al controllo della valuta

a Berlino fosse la Kommandatura e che questa non avesse per nulla stabilito che l’unica moneta

in circolazione sarebbe dovuta essere quella sovietica, bensì che per Berlino erano previste due

monete, distinte e separate. In questo frangente, la vicinanza di inglesi e francesi con gli USA si

era fatta sentire e aveva avuto l’effetto sperato, in quanto aveva di fatto costituito una nuova

sorta di collante del tripartito all’interno della Kommandatura; era inoltre stato già evidenziato

come gli unici responsabili del Blocco fossero i sovietici, come già ricordato, e questo giocava

fortemente a favore di una propaganda occidentale in città.115 La posizione degli alleati

occidentali, tuttavia, continuava a restare debole; gli inglesi avevano perso il vigore

ultrarealista di qualche settimana prima, mentre i francesi mostravano attendismo e indecisione.

Del resto, era probabilmente il loro stesso sistema governativo, centralista, ad impedire loro di

avere l’autonomia necessaria a compiere delle scelte definitive in Germania: tutto passava

sempre e solo per Parigi. La riforma monetaria sarebbe stata adesso rivista alla luce dei recenti

avvenimenti che avevano riguardato il blocco di Berlino: per cui essa sarebbe stata anticipata,

almeno quale presentazione delle linee applicative, ai giorni 21-22 giugno, tenendo presente che

114

Il treno si trovava nella linea Helmstedt-Berlino e si era fermato al check-point di Marienborn. Al

tentativo del maggiore dell’esercito USA Lefevra, si opposero vigorosamente i sovietici, i quali minacciarono di sparare. Praticamente (queste le giustificazioni addotte) essi ritenevano che il treno stesse portando delle banconote DM che, come era noto, non sarebbero dovute circolare nel settore sovietico. Tuttavia, avevano aggiunto che, qualora avessero acconsentito a fargli fare un’ispezione del convoglio, li avrebbero lasciati passare. Cfr. FRUS, Murphy/Segretario di Stato USA, 21 giugno 1948, freq. cit., ibidem, pagg. 912-913. 115

In questa prima fase del Blocco, si inizia ad utilizzare da parte occidentale, il termine “Settore

Occidentale di Berlino”, preludio a “Berlino Ovest”, che avrebbe avuto maggior fortuna successivamente. I sovietici utilizzavano anche essi il termine “Berlino” in riferimento all’intera area, per cui era necessario porre una differenziazione con la definizione che questi ultimi davano alla città. Che fosse una maniera inconscia (forse, non più di tanto) di attribuire a sé stessi tutta Berlino?

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la riforma monetaria sovietica sarebbe iniziata il 24 giugno.116

5.13. Il ruolo della kommandatura nella riforma monetaria

Come si era arrivati a questa decisione? Ebbene, le possibilità di un incontro a quattro,

cioè fra Americani, Britannici, Francesi e Sovietici ancora riuniti insieme erano, una volta fallito

il quadripartito presso la Commissione di Controllo alleata, lasciate alla sola Kommandatura,

che si sarebbe dovuta riunire per decidere la questione della moneta nella mattinata del 24

giugno, cioè lo stesso giorno in cui sarebbe dovuta entrare in vigore la riforma monetaria

sovietica. La preparazione dei lavori già indicava uno stato di tensione, sia da parte sovietica

che da parte americana. Infatti i Sovietici insistevano sul fatto che ci si sarebbe dovuti incontrare

esclusivamente per discutere sull’applicazione di una riforma monetaria e di una moneta che

circolasse in entrambi i settori. Gli Americani, di contro, erano favorevoli all’incontro con i

sovietici, ma senza alcuna limitazione. Questi, infatti, avevano rilevato come l’unico organo in

grado di proporre una valuta speciale che circolasse liberamente per tutta l’area di Berlino era

proprio la Kommandatura, al cui interno si sarebbe presa la decisione di applicare o meno tale

valuta; nelle loro posizioni, di contro, gli Americani erano sostenuti da Britannici e Francesi.

Non si trattava, dunque, di una volontà sovietica che sarebbe ricaduta su tutti gli alleati: sarebbe

stata una decisione presa da un organo super partes come la Kommandatura alleata e tale

organo avrebbe avuto il compito non solo di decidere l’applicazione reale di tale riforma

monetaria, ma anche di mettere effettivamente d’accordo i due attori principali della contesa,

Russi e Americani. Non era facile. Infatti, ben presto si sarebbe verificata una grave crisi di

incomunicabilità fra i due attori principali dello schieramento e, nel momento in cui era

diventato di tutta evidenza il fatto che i sovietici non erano in grado di prendere autonomamente

una decisione (probabilmente senza il placet di Stalin) da poter condividere insieme agli altri

nella Kommandatura, ebbene vennero informati che, in assenza di una loro decisione in tal

senso, la nuova moneta DM (Deutshmark) avrebbe iniziato a circolare nei tre settori occidentali

della città. Conseguenza di questo mancato accordo sarebbe stata una riforma monetaria non

condivisa con i sovietici, oltre che lo svuotamento organico della Kommandatura. Mentre

l’incontro era ancora in corso, i delegati occidentali ricevevano una lettera, a firma Sokolovsky,

con la quale venivano avvisati dall’Amministrazione Militare Sovietica che si sarebbe

provveduto, da parte sovietica, a far circolare la moneta “sov-mark” oltre che nel settore

sovietico, anche nel settore della città di Berlino gestito dai sovietici, cioè quello ad oriente della

Porta di Brandeburgo, quindi il quartiere che iniziava dalla Unter den Linden e che passava

116

Frus, cit., Telegramma n. 6/2348-1440, Murphy/Segretario di Stato USA, 23 giugno 1948, ibidem,

pag. 914.

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attraverso Alexanderplatz e si estendeva ad oriente lungo la Karl-Marx-Allee, fino all’uscita, ad

oriente della città, e poi giù ancora ad oriente, verso il confine polacco lungo il corso dell’Oder.

5.14. Le reazioni al blocco e alla questione della moneta

5.14.1. Atteggiamento dei sovietici nei primi giorni del blocco

Tuttavia, non è che i sovietici volessero arrivare subito ad una sorta di resa dei conti con

gli Stati Uniti e gli alleati occidentali. Nel corso della riunione tenutasi fra gli alleati nella

Kommandatura il 23 giugno 1948, Vyrianov, uno stretto collaboratore di Sokolovsky aveva

lasciato intravedere una volontà di contrattare le condizioni della presenza occidentale a

Berlino; offrendo champagne a tutti i presenti, aveva detto che una soluzione sarebbe stata

possibile; tuttavia, per quanto il referente fosse Murphy, assestato anch’egli su posizioni

rigoriste e poco incline al dialogo ( se mai vi fosse stata ancora una reciproca propensione), era

comunque significativo quanto da quest’ultimo riportato, in quanto lasciava intendere come la

reale volontà dei sovietici, pur ribadita mellifluamente, fosse quella di convincere le potenze

occidentali ad abbandonare Berlino.117

5.14.2. Atteggiamento ambiguo dei francesi

In ogni caso, non tutti gli alleati occidentali erano favorevoli a rimanere a Berlino ad ogni

costo. Merita di essere qui menzionata la posizione della Francia che, pur rimanendo fedele ai

movimenti di Stati Uniti e Gran Bretagna, aveva comunque manifestato il proprio disappunto,

nelle parole del Ministro degli Esteri francese Bidault all’Ambasciatore USA a Parigi, Caffery,

relativamente all’”ostinazione” delle potenze occidentali sul fatto di voler rimanere ad ogni

costo a Berlino. In fondo, quella era un’area completamente circondata dalle armate sovietiche,

cosa che avrebbe reso difficile, se non impossibile, un’affermazione definitiva delle potenze

occidentali, anche a Berlino, nonostante questa fosse sotto amministrazione congiunta e fosse di

117

La questione era se tale “aggiustamento” fosse stato possibile solo alle condizioni del 1945, quando

gli USA avevano abbandonato Turingia e Sassonia, per lasciarle alle forze di occupazione sovietiche. Naturalmente, la risposta era che le cose non stavano in questi termini, anche se, in realtà, era qualcosa di simile. Come interpretare tale atteggiamento? Sicuramente in quel momento la città di Berlino era già in preda alla fame, dal momento che il blocco era operativo da circa una settimana. Potrebbe avere avuto l’effetto di giocare sulla sensibilità degli occidentali e sulla loro volontà di non passare per invasori senza scrupoli: questo avrebbe senz’altro facilitato una loro dipartita, se non altro per motivi di protezione umanitaria, la stessa che essi dicevano di voler attuare in città. I sovietici, non altrettanto sensibili sul piano dell’organizzazione degli aiuti umanitari, avevano la sensazione che, probabilmente, avrebbero ottenuto meglio il loro scopo blandendo i loro avversari e convincendoli ad una loro definitiva dipartita da Berlino, ma senza stressarli sul piano delle accuse, come fino a qualche tempo prima avevano fatto all’interno del Consiglio di Controllo alleato. Frus, cit., Telegramma n. 6/2348-1451, Murphy/Segretario di Stato-Saltzman/Hickerson, 23 giugno 1948, pag. 915.

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fatto una città aperta all’occupazione alleata, compresi i sovietici e gli occidentali. I francesi,

tuttavia, non capivano quale fosse l’utilità di restare a Berlino, data la situazione contingente,

dal momento che ciò avrebbe causato molti guai ai berlinesi, in nome di una difesa dei valori

della democrazia e dell’occidente; il rischio era che si sarebbe potuti passare per oppressori,

anziché per liberatori, annullando il vantaggio psicologico già in possesso degli alleati

occidentali.118

5.14.3. Proposte di un “accordo di libero scambio” con i sovietici

In una proposta fatta da Lucius D. Clay a Royall e Beam del Dipartimento dell’Esercito,

si era cercato di trovare un sistema che fosse valido lì, a Berlino, per poter scambiare i beni: un

accordo sul commercio con i sovietici. Le previsioni che lo stesso Clay evidenziava al riguardo

erano relative alla ricerca di un incontro con Sokolovsky, per discutere circa la necessità di un

accordo con i sovietici, anche se Robertson non sarebbe stato d’accordo sul punto. Clay si

dimostrava preoccupato per la popolazione berlinese, che sarebbe rimasta stretta in una morsa

fra Sovietici e occidentali. Questo programma, che gli americani in primis avevano pensato per

l’economia berlinese in particolare, benché si continuasse a mantenere l’obbligo di emissione di

due tipi di moneta in città, sarebbe stato ideale, come già rilevato per pompare denaro in

circolazione a Berlino, almeno fin quando l’inflazione non sarebbe diventata un problema. Nel

concreto, si trattava di porre in essere un trattato economico generale tra il settore sovietico e i

settori occidentali della città, nei quali i pagamenti per le importazioni venissero pagati in DM,

così come pure le esportazioni da Berlino verso l’ovest; la moneta occidentale sarebbe stata

utilizzata dalla Banca Centrale per acquistare “Sov-Marks” (la moneta sovietica in circolazione

a Berlino), secondo le norme del trattato, ma non sarebbe stata usata per la circolazione

generale. Le emissioni già effettuate sarebbero state usate dai cittadini per acquistare moneta

sovietica; qualora si fosse stipulato un accordo di questo tipo, vi sarebbe stato uno scambio di

beni utile anche per l’economia del settore sovietico, oltre che dell’intera zona sovietica.

Naturalmente, allo scopo di ovviare alle problematicità connesse con la circolazione di doppia

valuta a Berlino, si sarebbe approvato il principio che in quella città sarebbe stata usata la sola

valuta occidentale, anche se era ampiamente tollerato lo scambio con la moneta sovietica.

118

Questo, effettivamente, era un rischio serio. Restare a Berlino ad ogni costo, contribuendo a ridurre

alla fame un’intera città avrebbe potuto far ingenerare nei berlinesi il sospetto che la strategia geopolitica venisse prima dei bisogni primari di 2.300.000 abitanti; bisognava anche tener conto di un altro fattore: gli americani, nell’immaginario dei tedeschi, e gli occidentali in genere, erano più ben visti rispetto ai sovietici, i quali si abbandonavano spesso ad ogni genere di bestialità nei confronti dei tedeschi, comportandosi né più né meno con la stessa ferocia dei nazisti. Quindi, la considerazione degli occidentali come liberatori e dei sovietici come invasori era un vantaggio non da poco, che non si sarebbe dovuto disperdere, anche perché avrebbe potuto avere delle ripercussioni nel settore occidentale della Germania, stabilmente occupato dal tripartito alleato.

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Difficoltà ulteriore era, adesso, rappresentata dalla necessità di trovare un accordo circa la

creazione di un corridoio che facesse transitare persone, merci e valute a Berlino. Infatti, la

necessità di garantire tale transito, rappresentava nella visione di Clay, il corollario

imprescindibile dell’intesa con i sovietici. Nel chiarire che, in ogni caso, si trattava comunque di

un primo approccio, seguito ad appena 6 giorni dal Blocco, della questione di Berlino, Clay

ribadiva che avrebbero comunque mantenuto il diritto di emettere moneta separata in città.

Questa dichiarazione era accompagnata da una previsione sul futuro piuttosto incerto delle

relazioni interalleate; in ogni caso, avrebbe prima discusso della questione con i rappresentanti

tedeschi. Specificando inoltre che la sua proposta avrebbe avuto davvero poche speranze di

essere accettata, chiariva il suo punto di vista: se i sovietici non avessero ristabilito le

comunicazioni da e per Berlino, gli alleati avrebbero potuto muovere le proprie truppe, al fine di

ristabilirle. La previsione era che se non si fosse agito in fretta, e su questo punto non c’era da

farsi molte illusioni, la città nel giro di due o tre settimane a partire dall’avvento del Blocco

sarebbe potuta versare in condizioni disperate. Clay, sottolineava infine, in modo un po’

ambiguo, come - benché fosse convinto che il movimento di convogli avrebbe potuto prevenire

l’insorgere di tensioni anziché provocarle - questa stessa azione avrebbe anche potuto avere

quale effetto l’insorgere di una guerra.119

5.15. Un ponte aereo verso la città assediata

Quella del ponte aereo per Berlino (1948-1949) era stata quindi un'azione intrapresa

durante la Guerra Fredda dagli Stati Uniti e dai loro alleati dell'Europa occidentale per

trasportare cibo e altri generi di prima necessità verso il settore occidentale di Berlino che era

stato circondato dai sovietici.

In breve, era successo che il 24 giugno 1948, l'Unione Sovietica aveva bloccato gli

accessi ai tre settori di Berlino occupati da statunitensi, inglesi e francesi, tagliando tutti i

collegamenti stradali e ferroviari che attraversavano quella parte della Germania sotto controllo

sovietico. Le parti occidentali della città sarebbero state anche scollegate dalla rete elettrica,

anch'essa sotto controllo sovietico. Berlino ovest sarebbe così divenuta una città assediata, senza

viveri né medicinali.

119

In realtà, lo stesso Clay più che ambiguo era realista: la situazione di Berlino era difficilmente

gestibile, dati i rapporti con gli alleati. Gli inglesi erano oltranzisti, i francesi non avevano mai capito fino in fondo il perché di rimanere a tutti i costi a Berlino, gli americani pensavano, non a torto, che una dipartita da Berlino sarebbe stata prodromica all’abbandono dell’intera Germania in mani sovietiche. E queste erano le posizioni di tre potenze che erano saldamente alleate. Se a questa situazione si fosse aggiunta l’intransigenza sovietica e le crescenti preoccupazioni rivolte ad una città che rischiava di ridursi davvero allo stremo, si sarebbe capito meglio il senso delle titubanze di Clay, convinto che una volta presa una decisione, in un senso o nell’altro, non ci si sarebbe più dovuti tirare indietro.

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Il comandante delle truppe di occupazione statunitensi, generale Lucius D. Clay aveva

proposto di inviare una grossa colonna corazzata attraverso le strade che collegavano la

Germania occidentale a Berlino. La colonna avrebbe marciato pacificamente per scortare gli

aiuti umanitari ma sarebbe stata pronta a rispondere al fuoco se bloccata o attaccata. Il Generale

Albert Wedemeyer, comandante dell'aviazione statunitense in Europa, sarebbe stato tuttavia

incaricato dal governo statunitense di studiare la fattibilità di un ponte aereo, in quanto non vi

erano garanzie a sufficienza circa il fatto che non si sarebbero potuti verificare scontri via terra

fra truppe occidentali e sovietiche, relativamente all’ingresso nel territorio della città di Berlino.

Il 25 giugno, il giorno dopo l'inizio del blocco, era stato quindi istituito un enorme ponte aereo

che poi sarebbe durato 462 giorni. Centinaia e centinaia di aeroplani, chiamati affettuosamente

"Rosinenbomber" (aerei che trasportavano uva passa) dalla popolazione locale, avrebbero

trasportato una enorme varietà di provviste, da interi container pieni di viveri, carbone e

medicinali a piccoli pacchetti di caramelle. Gli ammalati gravi ed i bambini venivano evacuati

dalla città con gli stessi aerei. Gli aeromobili sarebbero stati forniti dagli Stati Uniti d'America,

dal Regno Unito e dalla Francia, mentre gli equipaggi sarebbero giunti anche dall'Australia, dal

Sudafrica e dalla Nuova Zelanda.

Sarebbero stati effettuati in totale 278.228 voli, trasportando 2.326.406 tonnellate di cibo e altre

forniture, tra cui 1.500.000 tonnellate di carbone per riscaldamento e produzione di energia

elettrica, dando vita al più grande trasporto umanitario della storia. All'apice dell'operazione

atterravano a Berlino 1.398 voli ogni 24 ore trasportando 12.940 tonnellate di viveri, carbone e

macchinari.

L'Unione Sovietica avrebbe tolto il blocco a mezzanotte del 12 maggio 1949. Il ponte aereo

sarebbe comunque continuato fino al 30 settembre, in quanto le democrazie occidentali erano

fermamente intenzionate a costituire a Berlino sufficienti scorte nel caso in cui i sovietici

avessero bloccato nuovamente la città.

L'azione statunitense portava il nome in codice di Operation Vittles, mentre quella britannica

quello di Plain Fare. L'operazione non sarebbe stata indolore per gli equipaggi; data l'elevata

frequenza dei voli si sarebbero registrati alcuni incidenti con vittime. Il più noto è il già

ricordato disastro di Gatow, aeroporto della RAF all'epoca, dove il 5 aprile 1948 un Vickers

VC.1B Viking britannico entrava in collisione con uno Yakovlev Yak.3 che stava effettuando

delle acrobazie, precipitando nella zona sovietica dopo essere entrato in vite. Il pilota dello Yak

e 14 tra membri dell’equipaggio e passeggeri a bordo del Viking morirono.

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Il controllo operativo dei tre corridoi aerei alleati veniva allora affidato al controllo del traffico

aereo del BARTCC, situato nel settore americano di Berlino, all'aeroporto di Tempelhof a

Berlino. L'autorità di mediazione e controllo diplomatico sarebbe stata garantita da

un'organizzazione non ufficiale delle tre potenze - a cui partecipava come contatto anche

personale sovietico - anch'essa situata nel settore americano e che sarebbe stata chiamata Berlin

Air Safety Center (BASC).

Figura 1. Il ponte aereo di Berlino.

5.15.1. Contromisure alleate: l’avvio del ponte aereo

Così, in un telegramma del 26 giugno 1948,120 veniva riportata la contromisura alleata al blocco

di Berlino. In seguito ad un ordine conferito dal Generale Clay e dal Generale Le May,

Comandante in Capo dell’USAFEE, si dava avvio al ponte aereo fra le zone occidentali e i

settori occidentali della città. Veniva calcolato che vi sarebbero stati circa 70 aeromobili in

grado di portare 225 tonnellate di viveri al giorno, in circa 100 viaggi giornalieri per Berlino.

Veniva anche considerata l’eventualità di incrementare il numero degli aerei di 30 unità, cosa

120

Si trattava del Telegramma n. 6/2648, 1487, Murphy/Segretario di Stato-Saltzman/Hickerson, 26

giugno 1948, Frus, op. cit., pagg. 918-919.

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che avrebbe permesso di far giungere a Berlino qualcosa come 500 tonnellate di viveri al

giorno, con aumento esponenziale dei trasporti nella rotta anzidetta. Ribadendo come le

necessità complessive di viveri dedicati alle forze occidentali di occupazione sarebbe stata pari a

circa 50 tonnellate, e che approssimativamente il fabbisogno giornaliero di una città di

2.300.000 abitanti era pari a 2.000 tonnellate, si rilevava come il ponte aereo venisse fatto quasi

esclusivamente a favore e a tutto vantaggio della popolazione berlinese, tenendo conto anche del

fatto che il Generale Lucius Clay aveva ordinato al personale occidentale presente a Berlino, di

limitare fortemente l’uso della corrente elettrica, di cibo o di altro tipo di generi di prima

necessità.121 Nelle comunicazioni di quei giorni traspare tutta la tensione degli americani in

merito alla vicenda di Berlino.122 Veniva data implicitamente una risposta ai timori e ai dubbi

espressi da alcuni alleati circa l’utilità di restare a Berlino, in quanto questa era stata una

decisione presa in seguito ad un accordo negoziato dal Signor Winant e da altri ancora nel 1944,

un accordo negoziato nella fretta di quei giorni, in cui si stava cercando di indurre l’URSS a

cooperare in Germania con Stati Uniti e Gran Bretagna; inoltre la questione di Berlino era stata

ben discussa a Londra nel novembre del ’47, dalla delegazione presso il Consiglio dei Ministri

degli Esteri. Murphy ribadiva le difficoltà di un ritiro adesso da Berlino, anche perché a Londra

gli alleati, se avessero giudicato in altro modo l’opportunità di rimanere a Berlino, non

ravvisandone l’utilità, ebbene essi se ne sarebbero dovuti andare via subito, non certo adesso. La

presenza a Berlino era diventata quindi, indiscutibilmente, un simbolo del prestigio della

compagine occidentale e, al tempo stesso, della resistenza contro il rischio di espansione che

proveniva da oriente; se, invece, gli americani avessero battuto in ritirata, questo sarebbe stato

letto, da più parti in Europa, non ultimi dagli stessi francesi - che adesso si attestavano su

posizioni critiche circa l’ostinazione degli angloamericani di restare a Berlino - come un chiaro

segno di debolezza, che avrebbe rischiato di aprire le porte all’invasione sovietica in Europa, dal

momento che la ritirata degli alleati dalle zone occidentali della Germania sarebbe stata solo

questione di tempo. A preoccupare, in modo particolare era la situazione del blocco imposto dai

sovietici. Murphy ribadiva come ci fosse già stata una sua raccomandazione a Draper il 21

giugno ’48, volta ad evidenziare come fosse necessaria una protesta da parte USA sul blocco di

persone e merci per Berlino. A sua volta Draper informava Clay sul fatto se fosse o meno

121

Frus, ibidem. Era dunque ben sentita, da parte americana, la necessità di addossare ai sovietici la colpa

delle difficoltà dovute al Blocco, dato che gli Americani stavano mettendo in piedi, tra mille difficoltà, un ponte aereo per venire in soccorso dei berlinesi, che avrebbero sicuramente patito oltremodo la mancanza di generi di prima necessità. Significativa la sproporzione fra generi di prima necessità rivolti alle truppe e al personale occidentali, e le necessità dei berlinesi. 122

Nei telegrammi nn. 1495 ed 1496, entrambi del 26 giugno 1948, Murphy poneva in evidenza come il

persistere delle misure restrittive del traffico a Berlino avrebbe potuto avere delle ripercussioni negative sull’intera popolazione della città, e sull’attuale situazione in cui versava Berlino, ivi compresa un’analisi degli accordi presi ancora nel 1945 relativi alle vie d’accesso a Berlino. Telegramma n. 6/2648, 1497, Murphy/Segretario di Stato-Saltzman/Hickerson, 26 giugno 1948, Frus, op. cit., pagg. 919.

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necessaria una comunicazione ai sovietici, cosa che si domandavano anche i Dipartimenti

americani di Stato ed Esercito, anche perché in precedenza non vi era stato alcun supporto da

parte di inglesi e francesi.123 Murphy, dunque, raccomandava che i governi francese e inglese

venissero contattati fin da subito per comprendere se, in caso di veto sovietico relativo al

trasporto ferroviario o stradale, cosa che avrebbe avuto come esito quello di tagliare Berlino

fuori dall’occidente, questi avessero prontamente reagito, unendosi agli USA nella protesta

contro una simile violazione, che avrebbe impedito alle potenze occidentali l’occupazione dei

settori occidentali di Berlino e se fossero anche dell’avviso di chiedere il rispetto degli obblighi

cui il Maresciallo Zhukov, ancora nel 1945, si era obbligato, anche nei loro confronti. Questa

lotta per il rispetto anche del loro diritto di rimanere a Berlino, dunque, li riguardava. Si sarebbe

dovuto fare di tutto per rifornire di carburante e cibo i settori occidentali della città. A tal fine,

Murphy si faceva portatore di alcune raccomandazioni che, da un lato, rappresentavano una

summa degli avvenimenti occorsi e delle relative azioni per porvi rimedio e, dall’altro,

costituivano un appello a tutte le forze democratiche presenti a Berlino ad affrontare il comune

pericolo sovietico. Le raccomandazioni di Murphy erano le seguenti:

1) proteggere i diritti legali degli USA come potenza di occupazione e gli obblighi derivanti

dagli accordi sottoscritti;

2) la tutela delle condizioni politiche, economiche e finanziarie riguardanti la politica europea;

3) la protezione di quei soggetti che a Berlino si opponevano e manifestavano coraggio nel

tentare di impedire la dominazione sovietica nella parte municipale più estesa della

Germania;

4) favorire l’incoraggiamento alla resistenza tedesca contro la dominazione sovietica dei 18

milioni di residenti nella zona sovietica fuori Berlino;

5) il ritiro USA da Berlino sarebbe equivalso ad una mancanza di determinazione a resistere, e

questo a meno di non affrontare una guerra, avrebbe comportato una pubblica confessione

di debolezza. Sarebbe stata la “Monaco” degli USA;

6) un ritiro da Berlino avrebbe potuto avere ripercussioni politiche ben più gravi di una

battaglia politica per la città. Ciò implicava che ci si sarebbe dovuti ritirare anche da Vienna

e dalle zone occidentali della Germania;

123

Proprio tale situazione avrebbe rivelato tutte le difficoltà del caso: innanzitutto, una mancanza di unità

fra Inglesi, Francesi e Americani, di cui i Sovietici avrebbero sicuramente approfittato; in secondo luogo, non bisogna dimenticare che i sovietici avrebbero sicuramente risposto immediatamente, senza sapere con quali conseguenze.

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7) infine, un ritiro avrebbe avuto l’effetto di sollevare dubbi fondati nelle menti degli Europei

circa la fermezza della politica europea seguita dagli USA e circa la loro capacità di opporsi

al dilagare del Comunismo, in modo particolare nell’Europa centrale.

Non ultima la consapevolezza dell’impossibilità del rovesciamento dei rapporti di forza a

Berlino: questo era quanto risultava anche a causa della possibile morte per fame di buona parte

degli abitanti di quella città; ciò era letto come una tattica volta a spaventare piuttosto che a

realizzare ipotetici intenti di sopprimere la popolazione tedesca. Il richiamo all’unità veniva

visto come una patriottica resistenza contro l’invasore sovietico, al punto che, nonostante si

sarebbero potuti verificare episodi di sommosse o scioperi, la risposta era - da parte occidentale

- quella di restare saldamente nelle proprie posizioni a Berlino.

I rapporti con il principale alleato, quello britannico, procedevano speditamente in quei

drammatici giorni di fine giugno 1948. In una lunga conversazione fra Douglas, Ambasciatore

USA nel Regno Unito, e il ministro degli esteri britannico Bevin, vengono mostrati alcuni atti,

come la copia di una lettera che il generale inglese Robertson stava per inviare a Sokolovsky

verso le 11,30 del mattino del 26 giugno e che sarebbe stata pubblicata lo stesso pomeriggio alle

17,00. Tale lettera non rappresentava sicuramente un atto particolarmente deciso come avrebbe

forse dovuto, ma era tuttavia una chiara protesta contro varie azioni che i sovietici stavano

mettendo in atto, azioni tese ad interrompere le linee di comunicazione fra le zone occidentali

della Germania ed i tre settori alleati di Berlino, occupati dalle potenze occidentali.124 Era poi in

corso tutta una battaglia di informazioni relative alla partecipazione dei britannici

all’occupazione di Berlino; queste erano indicative di una conflittualità interna alla Gran

Bretagna, conflittualità che era speculare alla volontà di mistificare in merito ad una loro

presunta volontà di “abbandonare il campo” quando fosse giunto il momento. Il governo Attlee

non aveva dato prova di attaccamento alla causa tedesca, probabilmente a causa di polemiche

interne agli schieramenti politici britannici.125

124

L’ultimo paragrafo di questa lettera recitava così: “L’interruzione dei trasporti fondamentali non può

essere considerata una misura necessaria per proteggere la posizione monetaria nella zona sovietica. Quindi chiedo che accordi vengano presi dall’Amministrazione Militare Sovietica per ripristinare immediatamente le normali comunicazioni da e per Berlino. Desidero che sia chiaro che, se la popolazione tedesca dovesse soffrire per questa situazione, sarà perché non mi sono stati concessi i mezzi per sostenerla” Frus, op. cit., Telegramma n. 2822, Douglas/Segretario di Stato USA, 26 giugno 1948, pag. 921. Tuttavia, il testo completo della lettera di Robertson a Sokolovsky era stato trasmesso nel telegramma n. 1501, del 27 giugno 1948, da Berlino; non stampato. Frus, eadem. 125

Era apparsa, in due quotidiani tedeschi, il Tagliche Rundschau ed il Neues Deutschland, una

comunicazione da parte del Partito di Unità Socialista, la quale sosteneva che le fonti ufficiali britanniche a Londra indicavano che il Governo Attlee non era pronto a restare a Berlino e stava discutendo con altre due potenze occidentali sulla possibilità o meno di continuare a rimanere a Berlino. Ora, a parte il fatto che la notizia si era rivelata del tutto infondata, la situazione dei rapporti fra gli alleati si era complicata in considerazione della questione di rimanere o meno a Berlino, che era diventata un cavallo di battaglia per la propaganda sovietica, pronta a far passare gli occidentali per carnefici affamatori e che adesso stavano individuando possibili vie di fuga dalla città. Per queste considerazioni cfr. Frus, op. cit., ibidem, pag.

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5.15.2. Le relazioni fra gli angloamericani e i francesi a ridosso del blocco

Per quanto invece riguardava i rapporti con i francesi, di cui si temeva la natura stessa

dell’alleanza, non propriamente votata alla causa del riarmo della Germania in chiave anti-

sovietica, ma ancora legata alle questioni delle riparazioni di guerra e ai timori relativi ad un

possibile riarmo tedesco, questi erano visti alla luce di relazioni di tipo europeo-continentale,

che gli Stati Uniti stavano promuovendo in quel periodo, con alcuni Paesi dell’Europa

occidentale, tra cui la Francia e l’Italia. In Francia la neonata Quarta repubblica, guidata da

Léon Blum, che era stato in visita per parecchi giorni in Inghilterra, proseguendo nella

tradizione dei rapporti bilaterali successivi all’appello del 18 giugno 1940,126aveva dato chiari

segni di fedeltà alla causa dei rapporti fra alleati occidentali, dimostrando un definitivo

allontanamento da Mosca; tale considerazione vale nel momento in cui si noti che la Francia

assieme all’URSS era a favore della questione delle riparazioni dai danni di guerra, da far

pagare ai tedeschi. A differenza di quanto avevano detto nel corso delle riunioni in seno al

Consiglio di Controllo Alleato Francesi e Sovietici, anche se da prospettive che rimanevano

distanti, americani e britannici erano invece a favore di un riarmo della Germania e di non fare

pagare a quest’ultima le riparazioni, la qual cosa avrebbe garantito una fedeltà maggiore, in

prospettiva, da parte dell’alleato tedesco; oltre a ciò, riarmare la Germania, riorganizzarne la

922. 126

In quella data, il governo francese in esilio a Londra, con a capo Charles De Gaulle, rifugiatosi

assieme ai suoi ministri, aveva pronunciato il famoso proclama, rivolgendosi alla Francia ormai preda nazista e in parte collaborazionista a Vichy, con queste parole: “Elle n’est pas seule! Elle n’est pas seule! Elle n’est pas seule!” che avevano infiammato gli animi francesi e dato un sostegno indiretto alla resistenza al nazismo. L’alleanza tra Francia e Inghilterra è qualcosa di organico alla natura stessa dei rapporti fra i due Paesi fin dai tempi del medioevo, con due eccezioni, che li avevano visti contrapposti, al tempo della Guerra delle Due Rose e al tempo della Rivoluzione Francese, l’una come difensore estremo della conservazione, l’altra come fautrice di un rinnovamento degli spiriti, portatrice di homines novi, eredi della civiltà dei Lumi. Ecco, quindi che un’alleanza organica, forse anche un destino comune, che durava dai tempi della Battaglia di Hastings del 1066, non sarebbero certo stati messi in discussione in quei drammatici giorni del giugno 1948. L’elemento di novità, che non si può non ricordare è appunto la presenza di quel “figlio” anglosassone, divenuto ormai “fratello maggiore” degli inglesi, che erano gli USA; i rapporti tra Francia e Inghilterra, alla luce della potenza americana, sarebbero definitivamente cambiati; gli USA avrebbero mantenuto un rapporto particolare con la Gran Bretagna, mentre con il resto degli stati europei avrebbero seguito una linea di containment nei confronti dei partiti comunisti ivi presenti, come in Francia e in Italia o in altri Paesi come la Germania Ovest, di cui in quei giorni si intravvedeva la nascita. Quindi i rapporti con la Francia, in una visione globale, non avevano più la stessa aura di specificità che avevano in precedenza: vale, per la cronaca, sottolineare come i comunisti che prendevano ordini da Mosca non avrebbero fatto riferimento alle decisioni prese nel corso della Conferenza di Varsavia del 24 giugno ’48, in cui avevano partecipato i Ministri degli Esteri di Unione Sovietica, Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Yugoslavia, Polonia, Ungheria e Romania, prendendo alcune decisioni in merito a quanto stabilito a Londra nel corso della conferenza svolta ivi dalle 6 potenze alleate. Ebbene, non vi sarebbe stata in Francia una obbedienza assoluta nei confronti del PCUS e di Stalin e non corrispondeva al vero la notizia secondo cui i comunisti francesi avrebbero preso ordini direttamente da Mosca; e questo era vero per il PCF, quindi a maggior ragione per il governo francese e per lo stesso De Gaulle, che continuava ad essere presente nella vita politica francese dal buen retiro di Colombay-les-deux-églises.

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moneta ed altri aspetti finanziari, era diventato prioritario alla luce del conflitto bipolare, ormai

chiaramente ben delineato, USA/URSS.

5.15.3 Le relazioni interalleate “tripartite”

I rapporti con l’alleato britannico, visti alla luce dei colloqui fra Strang e Bevin, erano

dunque orientati, in quei giorni, verso una denuncia delle attività disumane e particolarmente

crudeli dei sovietici a Berlino, cosa che individuava chiaramente, se mai ce ne fosse stato

bisogno, quella che era diventata la reale natura dei rapporti con chi aveva condiviso la comune

battaglia per la liberazione dell’Europa e della Germania dal nazismo.127 Così era emerso, dal

tenore di questi colloqui, che Londra sarebbe stata il centro delle decisioni tripartite sulla

Germania; lì si sarebbero dovute discutere le questioni relative alla Germania, senza

l’intermediazione degli ambasciatori, ma facendo direttamente comunicare i governatori

militari: ne sarebbe risultata un’organizzazione che avrebbe potuto avere informazioni

aggiornate in tre diversi luoghi, Londra, Washington e Berlino. Al tempo stesso, si rimandava

alla natura delle relazioni stabilite nel corso della Conferenza di Londra fra alleati, tra cui la

Francia per bocca dell’ambasciatore a Londra Massigli, il quale suggeriva la procedura delle

consultazioni, come stabilito dalla Sezione III degli accordi presi a Londra sulla Germania,

perorando la partecipazione dei membri britannici e francesi all’interno del Comando Militare

stabilito dalle 5 Potenze all’epoca del Patto di Bruxelles. Riconoscendo come a tale scopo si

sarebbe potuto unire anche un rappresentane USA, Massigli chiariva come stesse de facto

facendo soltanto una proposta e non intendesse dare una versione definitiva dei fatti; al punto

che avrebbe desiderato avere un parere da parte del governo britannico sulla questione. Bevin,

quindi, investito della questione, riteneva di dover affrontare il tema dei rifornimenti a Berlino,

questione spinosa e quanto mai attuale: riteneva che si sarebbe dovuto incentivare il ponte aereo

integrandolo anche con qualsiasi altro sistema potesse fornire viveri, medicinali o quant’altro

fosse ritenuto necessario per le esigenze di una città di oltre 2.000.000 di abitanti.128 Nelle

127

Ad onor del vero, va detto che i sovietici furono i primi a giungere a Berlino; per non dare priorità ad

un riconoscimento di una Germania totalmente sotto egida sovietica, gli USA paracadutarono parecchi soldati nel 1945 proprio per sostenere la tesi del diritto degli occidentali di rimanere in città; in tal modo infatti, anche se i sovietici erano giunti a Berlino con le armate, gli Americani in qualche modo erano presenti a Berlino contemporaneamente. Oltre a ciò, vanno messi sul piatto della bilancia sia i 26 milioni di morti patiti dall’URSS nel corso della guerra che le atrocità commesse dai sovietici ai danni della popolazione di Berlino nel maggio-giugno del ’45, dove per non essere vittime di violenze di ogni tipo da parte della soldataglia sovietica, molte giovani donne, ma anche intere famiglie, preferirono darsi la morte, come si è già avuto modo di ricordare. Non era facile, per i sovietici cancellare questa pagina nera accaduta durante i primi tempi della loro presenza a Berlino; era decisamente più semplice per gli americani passare come liberatori e per i sovietici come carnefici, nei cuori e nelle menti dei berlinesi, di quanto gli alleati stessi potessero pensare. 128

Frus, cit., ibidem, pag. 923.

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intenzioni e nei comunicati di Bevin vi era il convincimento che servissero più bombardieri per

il ponte aereo per Berlino, in quanto, benché non lo si suggerisse espressamente come

operazione militare, grande sarebbe stato l’impatto sull’opinione pubblica mondiale nel

momento in cui fosse passato il messaggio di far credere ai Sovietici che gli alleati occidentali

erano in buona fede. Naturalmente queste operazioni non sarebbero state decise se non

accompagnate da una riunione delle quattro Potenze sul futuro della Germania, cosa che si

sarebbe dovuta affrontare quanto prima, onde discutere ivi delle reciproche interpretazioni del

comunicato di Varsavia. Al proposito di quest’ultimo aspetto, vi erano delle importanti

questioni: A) Bisognava inviare un messaggio ai sovietici? B) In tal caso, quale sarebbe dovuto

essere il suo contenuto? C) Se si fosse deciso di inviarlo, quando lo si sarebbe dovuto inviare?

Nelle intenzioni di Bevin, non era chiaro quali conseguenze sarebbero scaturite se si fosse

davvero inviato il messaggio: se, cioè, esso avrebbe portato a dei negoziati fra le Quattro

potenze e, conseguenzialmente, ad un ritardo che quindi si sarebbe verificato, un ritardo

dannoso per gli interessi occidentali nella zona, oltre che per la situazione complessiva nella

parte ovest della Germania, dove erano le truppe anglo-americane e dove risiedevano milioni di

tedeschi. Invece, tendeva a prevalere il convincimento che - qualora si fosse invece deciso di

inviare un messaggio - questo non lo si sarebbe dovuto inviare almeno fino a quando gli alleati

occidentali non avessero assunto una posizione univoca relativamente alla questione della loro

permanenza a Berlino, o fino a quando questioni di politica interna negli USA non avessero

contribuito a fare in modo che le decisioni su Berlino assumessero il tenore delle scelte

irrevocabili.129 Quindi, la questione, condivisa fra le tre potenze occidentali, era quale assetto

dare alla riforma monetaria a Berlino; tale questione era stata accuratamente evitata nel corso

della conferenza di Varsavia ed aveva indicato, nei cinque punti in cui la stessa si sostanziava,

che i Sovietici non erano tanto interessati alla questione economica, quanto piuttosto alla

questione dell’unificazione della Germania, unificazione che - secondo loro - sarebbe dovuta

avvenire esclusivamente sotto l’egida sovietica. Questi erano i termini della discussione nel

corso delle conferenze di Mosca e Londra; da questi punti i sovietici non si erano minimamente

allontanati. E, in conseguenza di ciò, proprio per questo loro rifiuto di trattare sulle questioni

economiche, ma solo su quelle di natura politica (leggasi: unificazione della Germania) risultava

essere più probabile che i sovietici considerassero il comunicato come un patto per le quattro

potenze, quanto piuttosto come il prologo per la loro definitiva occupazione della zona est della

Germania. Sarebbe stata sostenuto, da parte occidentale, con ogni mezzo, radio, carta stampata,

129

Frus, cit., ibidem, pagg. 924-925. In realtà qui si prendono in esame le dichiarazioni di un

responsabile della politica estera degli Stati Uniti (l’Ambasciatore a Londra, Douglas), per cui va detto che la visione dei rapporti fra gli alleati è appiattita sulle posizioni del responsabile USA; tuttavia, filtrando tale messaggio alla luce dei rapporti con le altre potenze, come Francia e Gran Bretagna, sembra difficile - eccezion fatta per i governi, quando venivano chiamati in causa - individuare prospettive e punti di vista differenti.

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ecc., che la responsabilità del blocco era solo dei sovietici e a loro si sarebbero dovute imputare

le sofferenze del popolo tedesco. Nella risposta del Segretario di Stato USA, George Marshall,

traspariva tutta la tensione del momento: i termini erano quelli di uno stato di allerta generale, in

cui, si specificava, sarebbero stati inviati gruppi di bombardieri B-29 in Gran Bretagna, quali

strumenti di ausilio per il ponte aereo verso Berlino; si ribadivano gli incontri e i patti esistenti

con i sovietici, come quelli della metà del 1945, in cui il Presidente Truman e Stalin,

incontrandosi, avevano preso accordi, soprattutto in materia di vie di accesso da e per Berlino,

sia per via di terra che per via aerea.130

5.16. Effetti del blocco nelle relazioni bipolari fra Stati Uniti e alleati occidentali e

Unione Sovietica

La situazione internazionale in quei giorni non era meno preoccupante; infatti vi era la

possibilità che una nota di protesta inviata dagli Stati Uniti ai sovietici potesse avere delle

conseguenze pericolose. Sul piano geopolitico, le ritorsioni ad eventuali azioni da parte

dell’URSS verso gli Stati Uniti, come il blocco delle esportazioni di manganese, ritorsioni che

sarebbero potute consistere anche nel blocco del Canale di Panama e dei porti americani per le

navi sovietiche, ebbene, esse avrebbero potuto anche non avere alcun effetto sull’Unione

Sovietica, che era una nazione considerata “autosufficiente”.131 Relativamente alle possibili

evoluzioni in senso negativo della situazione, oltre alla paventata “guerra di dattilografi” che

una nota unilaterale da parte degli Stati Uniti avrebbe potuto causare, vi era la questione di

Berlino sullo sfondo, con tutto il carico di sofferenza per la popolazione civile che sarebbe

scaturito da un esacerbarsi delle tensioni fra i due blocchi. Ma questo non era tutto: non si

sarebbe nemmeno dovuta dimenticare l’altra vicenda, la questione monetaria, cui sempre

guardavano le potenze occidentali e i sovietici; i problemi per i settori occidentali, secondo gli

USA, erano incominciati quando il vecchio marco era ancora in uso nella zona est di Berlino;

ebbene, tale situazione era adesso cambiata, entrando in circolazione la nuova moneta sia nel

settore sovietico che nei settori occidentali. A questo proposito, diversi erano stati gli incontri

130

In effetti, gli accordi fra le potenze in merito al transito da e per Berlino esistevano già da qualche

tempo: l’Ambasciatore Douglas sosteneva di avere avuto delle informazioni da parte di Bevin in merito agli accordi del 1945 relativamente agli accessi via occidente per Berlino. Lo stesso Bevin citava il quinto incontro del Consiglio di Controllo alleato per la Germania, del 10 settembre 1945, che si occupava dei rifornimenti alimentari per Berlino via ferrovia e via autostrada e il 13° incontro del Consiglio di Controllo Alleato, il 30 novembre 1945, sui corridoi aerei. Infine l’incontro del 22 ottobre 1946 dell’ “Air Directorate” organo facente parte dell’Autorità di Controllo alleata, durante il quale venne siglato un accordo su un documento relativo ai regolamenti di volo nel corridoio di Berlino. Frus, op. cit., Telegramma n. 2429, Marshall/Douglas, 27 giugno 1948, pagg. 926-927 nota n.5, eadem. 131

Frus, op. cit., Memorandum del Capo Divisione Affari dell’Europa Centrale (Beam), Washington, 28

giugno 1948, ibidem, pag. 928.

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fra i rappresentanti delle potenze e, nel corso di tali incontri, assumeva importanza anche il tipo

di autorità posseduta dai soggetti chiamati a discutere la questione di Berlino: infatti, se gli

operatori sovietici parlavano solo ed esclusivamente per bocca di Stalin, gli operatori

occidentali, in primis quelli americani, avevano una qualche autonomia decisionale.132 Tale

autonomia consentiva loro di avere maggiore libertà di movimento nei giorni caldi di fine

giugno ’48, in cui bisognava accorciare il processo decisionale relativamente all’organizzazione

di un ponte aereo di aiuti umanitari per Berlino, ormai sotto il blocco sovietico dal “check-

point” di Marienborn. Bisognava dunque essere presenti in ogni modo a Berlino, dimostrare di

voler restare ad ogni costo, usare la propaganda per favorire la posizione occidentale, fare

pubblicità ed appelli, mettere in evidenza che gli affamatori erano solo i sovietici, senza

escludere ricorsi all’ONU in caso di necessità. Il rischio, a questo punto, era un’escalation che

avrebbe portato nuovamente alla guerra. Era un rischio da evitare ad ogni costo.133 Nell’ambito

di relazioni che ormai erano divenute bipolari, i britannici avevano in qualche modo manifestato

posizioni di intransigenza, che si erano evidenziate nel corso dei colloqui precedenti; tali

posizioni avevano permesso loro di essere il giudice parziale che adesso serviva agli USA per

fare in modo di non essere da soli a prendere la decisione di forzare il blocco mediante il ponte

aereo.

5.16.1. Tentativi di dialogo fra Gran Bretagna e Unione Sovietica

L’evoluzione delle relazioni fra gli alleati proseguiva con i contatti fra URSS e Regno

Unito, dal momento che la posizione di conflittualità apertasi con gli USA si era avviata verso

una qualche forma di inconciliabilità. Gli Inglesi, per mano di Robertson, avevano proposto a

Sokolovsky, una soluzione politica del blocco di Berlino, da loro appena messo in atto. Nella

sua risposta, Sokolovsky aveva tuttavia ribadito tutta una serie di considerazioni che non

avrebbero aggiunto nulla di particolarmente importante nel già compromesso dialogo con gli

alleati occidentali; anzi, tali risposte erano viste come “…tipico esempio sovietico di promesse

132

Ad esempio, nel Telegramma “Royall/Clay” del 28 giugno 1948, fra i consigli che vengono dati al

Comandante in capo Clay, vi era un periodo che recitava grosso modo così: “decidete come credete più giusto, e alla luce dell’attuale situazione, siete autorizzato a servirvi dei seguenti punti base con i Sovietici: a) Accordi Commerciali: Accordi commerciali fra le zone dell’ovest della Germania, e i settori di Berlino occidentali e fra zone dell’est della Germania e i settori orientali della città di Berlino, come soggetti di accordi separati… b) Moneta a Berlino: l’uso della moneta sovietica con la condizione essenziale che i sovietici garantiscano il libero accesso a Berlino. I principi del controllo delle quattro potenze … sono considerati importanti… ma su questi punti vi lasciamo libero di decidere…” Frus, Telegramma “Royall/Clay”, Washington, 28 giugno 1948, cit., ibidem, pag. 930. 133

Questo era il pensiero di George Marshall, in una nota indirizzata a Douglas, il 28 giugno ’48, come

riportato in Frus, cit., pagg. 930-931.

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vaghe ed implicite ed è piena di clausole che possono essere aggirate.”134 Infatti, l’implicito era

nella reale durata prevista del blocco: era chiaro che quando fosse stato riaperto il traffico

interzonale tedesco, tutti gli argomenti per le restrizioni sul traffico autostradale, causati dalla

riforma monetaria sarebbero improvvisamente divenuti insostenibili. La reazione era stata una

forte raccomandazione affinché la risposta sovietica contenuta nella nota indirizzata a Robertson

il 29 giugno ’48, in cui erano spiegate le contromosse da parte sovietica, venisse presa nella

giusta considerazione e tenuta riservata; nel frattempo si sarebbe dovuto provvedere

all’organizzazione del “ponte aereo” per Berlino, almeno fino a quando le comunicazioni in

entrata e in uscita per e dalla città non fossero state interamente ripristinate.

5.16.2. Problematicità dell’accordo con i francesi

Tuttavia, se l’azione congiunta delle potenze prevedeva un’implementazione dei rapporti

fra URSS e l’alter ego degli USA, la Gran Bretagna, che trattava con una maggiore autonomia e

un’autorità imparziale che gli USA non avevano più al cospetto dei sovietici, era necessario

anche procedere di comune accordo con l’altro alleato, la Francia. In questo caso, tuttavia, si

trattava di un alleato non “alla pari”, cui non si riconosceva, dalla “cabina di regia” anglo-

americana, un ruolo di attore di prima istanza; tuttavia, pur non avendo tale ruolo, in molti casi

la Francia non rinunciava alla propria autonomia decisionale, che si manifestava soprattutto

nelle occasioni in cui ribadiva i propri dubbi in merito alla celerità dei processi decisionali

relativamente all’entrata in vigore di provvedimenti restrittivi nei confronti dei sovietici, anche

se le posizioni con questi ultimi restavano comunque sempre lontane. Quello che prevaleva, in

ogni caso, era una visione delle relazioni fra occidentali e sovietici in cui i francesi di fatto

assumevano un ruolo maggiormente defilato; nella nota inviata da Marshall a Douglas,

l’ambasciatore americano a Londra, il 30 giugno ’48, veniva rilevato proprio come i francesi si

stessero allineando sulle loro identiche posizioni di condanna dell’ex alleato sovietico. In questa

nota si ribadiva, altresì, come le azioni condotte nelle ultime settimane a Berlino da parte dei

sovietici fossero da considerare “arbitrarie e illegali”, oppure come anche la questione di

Berlino fosse chiara fin dalle origini del quadripartito, al punto che l’accordo internazionale che

ne era scaturito aveva avuto come esito il controllo della città e della Germania da parte delle

potenze vincitrici sulla base di una cooperazione che il governo statunitense desiderava

continuare a mantenere: a tal proposito veniva ricordato come, nel corso della Conferenza di

Potsdam, lo stesso Presidente americano Truman avrebbe concordato con Stalin, il 14 giugno

’45, il rispetto dei confini zonali fra le varie forze di occupazione. In questo senso, il ritiro degli

Stati Uniti da zone come la Turingia e la Sassonia, per fare sì che il diritto all’occupazione della

134

Frus, ibidem, pag. 932.

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Germania da parte dei sovietici potesse avere un seguito, veniva letto come garanzia di uno

speculare diritto da parte statunitense circa la loro permanenza in città. Quindi, veniva ribadito,

non si poteva riconoscere il diritto di occupare ai sovietici, che gli USA stessi avevano garantito

fin da principio, e non riconoscere adesso agli Stati Uniti lo stesso diritto a Berlino. Oltre a ciò

veniva ribadito, nella lunga nota ai francesi, che la città non si trovava in territorio soggetto ad

influenza sovietica, ma in una zona internazionale e che, pertanto, sarebbe stato difficile negare

il diritto degli alleati occidentali all’occupazione di Berlino sulla base di un distorto concetto di

territorialità, preso a simbolo, vincolo e base giuridica dell’occupazione alleata.

5.17. Il “diritto” degli alleati di permanere a Berlino e in Germania

L’occupazione alleata era dunque derivante dalla resa incondizionata della Germania,

pertanto essa costituiva un diritto delle potenze alleate, riconosciuto dalla prassi fin da subito e

successivamente oggetto di specifici accordi fra le potenze alleate. Ciò che era rimasto

nell’ambito della prassi era proprio l’organizzazione dei corridoi per Berlino; ma anche queste

forme di accesso erano successivamente state regolamentate. I disaccordi fra i governi

statunitense e sovietico si sarebbero necessariamente dovuti risolvere una volta riuniti attorno ad

un tavolo per le trattative, anche in base agli accordi fra questi due ex-alleati, adesso contendenti

su scala globale, accordi che avevano come palcoscenico e attore di ultima istanza l’ONU,

appena entrata in funzione, che stava elaborando la Dichiarazione universale dei Diritti

dell’Uomo, in risposta sì ai crimini del nazifascismo appena trascorsi, ma che in quel 1948

aveva tanto il sapore dell’appoggio indiretto alla questione di Berlino e della universale difesa

dei diritti degli individui, di cui gli Stati Uniti si erano assunti il ruolo di promotori su scala

mondiale. In effetti, Berlino era una città di 2.300.000 abitanti, che rischiavano di restare senza

né cibo né acqua e questo nonostante gli sforzi dei governi occidentali: a maggior ragione era

evidente ogni tentativo di far passare i sovietici come i reali responsabili della situazione di

indigenza in cui stava adesso versando la città. In assenza del ponte aereo, infatti, buona parte

degli abitanti di Berlino, almeno dei settori occidentali della città, avrebbe concretamente

rischiato di morire di fame. In questo senso si ribadivano tre punti fissi: a) riapertura del

corridoio via terra per Berlino; b) discussione della questione al Consiglio dei Ministri degli

Esteri; c) eventuale discussione in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nel rispetto dei

principi fondamentali ribaditi nella Carta del 1945.

5.18. Difficoltà sorte sulla questione del blocco di Berlino all’interno del Consiglio

dei Ministri degli Esteri

Le diatribe fra gli alleati erano sorte intorno alla questione di cui al punto b). Infatti, in un

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telegramma rivolto da Douglas, Ambasciatore USA nel Regno Unito al Segretario di Stato

George Marshall, si vede come gli inglesi condividessero la necessità di redigere una nota

esplicativa dell’attuale situazione tedesca, e in questo senso Bevin, ministro degli Esteri

britannico e il Primo Ministro Attlee, si dicevano favorevoli a concordare una tale linea di

condotta anche con i francesi. Tuttavia, pur studiando le linee di condotta proposte da parte

statunitense, anche se ritenevano necessario un periodo di tempo pari a 48 ore anziché 24, come

invece proponevano gli USA, veniva sollevata la questione dell’opportunità di discutere di

Berlino all’interno di un Consiglio dei Ministri degli Esteri, così come era stato proposto dal

governo USA ai francesi. La motivazione era collegata al fatto che i Sovietici non si sarebbero

lasciati sfuggire l’occasione per discutere in seno a tale consesso della questione dell’intera

Germania; tale discussione non sarebbe stata auspicabile, in quanto si sarebbe ben presto

trasformata in una vetrina dei sovietici per la loro propaganda; questo era il disegno sovietico

fin dal primo momento, in quanto Stalin non aveva mai abbandonato l’idea di impossessarsi

della Germania, mediante il sistema degli stati satelliti, sulla falsariga di Paesi come l’Ungheria

o la Cecoslovacchia. Si facevano quindi promotori di quanto detto a proposito della necessità di

portare la questione in seno all’ONU, comunque e a prescindere, dal momento che invece gli

USA sostenevano la necessità di un intervento presso il consesso internazionale solo quale

extrema ratio. La situazione si sarebbe evoluta, questa era la paura degli inglesi, discutendo

all’interno del Consiglio dei Ministri degli Esteri della questione dell’intera Germania, dando ai

sovietici un incredibile assist per dell’ottima propaganda anti-occidentale. Dietro a tutte queste

preoccupazioni, naturalmente stava la questione irrisolta della riforma monetaria. Ora, se gli

inglesi volevano, nelle intenzioni di Attlee e Bevin, investire della questione i soli governatori

militari, dando pieno appoggio a Robertson e quindi piena autonomia nel trattare con

Sokolovsky della questione di Berlino, i francesi invece volevano riprendere delle conversazioni

quadripartite e considerare il Consiglio dei Ministri degli Esteri solo come soluzione di riserva.

Venivano in qualche modo considerate degne di nota le dichiarazioni dei sovietici relative ad

una ripresa delle comunicazioni ferroviarie fra Berlino ed Helmstedt e gli snodi fluviali della

città, che erano di assoluta importanza per riprendere i rapporti fra gli alleati.

5.18.1 I francesi tornano sulla proposta di accordi quadripartiti con la partecipazione

dell’URSS

Risulta forse difficile comprendere appieno il senso di questa proposta da parte dei

francesi e di Massigli, in particolare. Infatti, pur concordando con gli inglesi sul fatto che il

Consiglio dei Ministri degli Esteri era visto solo come un’eventualità remota, essi si facevano

promotori di un accordo “quadripartito”; e questo, nonostante fosse ormai evidente da tempo

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che i rapporti di tipo “quadripartito” continuavano solo a livello della kommandatura, cioè del

governo militare (in altre parole, ordinaria amministrazione, ordine pubblico, ecc.), cosa che

andava via via svanendo anche in quel settore specifico. Ebbene, essi si facevano promotori di

un accordo con i sovietici per cercare forse di trovare un punto di convergenza relativamente

alla questione monetaria; ma che senso avrebbe avuto, a questo punto, dare la natura di

“quadripartito” ad un dialogo che vedeva come protagonisti assoluti USA e URSS, tra l’altro

schierati l’uno in opposizione all’altro? Era la ricerca di un dialogo a tutti i costi, di una

trattativa infinita con Stalin (perché l’URSS era, in quel momento, Stalin: nessun altro)? Era una

sostanziale miopia nazionalista dei francesi, che li portava ad autocelebrarsi come “parti in

causa”, dimenticando che da qualche tempo le relazioni erano solo ed esclusivamente sul piano

bipolare? Era forse il tentativo di accreditarsi come alleato di riferimento e ottenere in cambio

qualcosa? Ma cosa, in quel momento storico, si sarebbe potuto ottenere di più se non la libertà

dell’intera Europa dal giogo sovietico? Come si sarebbe potuto agire diversamente?

5.18.2. Ruolo maggiormente “attivo” da parte degli angloamericani rispetto ai francesi

Cosa si sarebbe dovuto fare, allora? In questo senso Gran Bretagna e Francia non avevano

molto da dire; potevano avallare, discutere, procrastinare, chiedere tempo in qualche modo; ma

nulla di più. E questo, gli inglesi lo avevano capito bene, dal momento che, almeno fino

all’inizio del ponte aereo, si erano mantenuti su posizioni filo-statunitensi; il tentativo francese

di dimostrarsi autonomi da una condotta troppo anglo-americana delle operazioni in Germania,

li aveva relegati nell’alveo di non interventisti, o meglio, di oltranzisti della trattativa con i

sovietici ad ogni costo, fino al punto massimo, quello più involutivo, del “ma, in fondo Berlino

non si trova nella parte occidentale della Germania, ivi sono arrivati per primi i sovietici, ci

stiamo solo ostinando a restare a Berlino, anche a costo di affamare la sua popolazione”; era

un chiaro sintomo di inaffidabilità. In quel momento a Clay e Robertson non interessava la

presenza di un alleato che discutesse “democraticamente” facendo valere il proprio punto di

vista. In quel momento, ad essere democratici erano solo gli sforzi da parte statunitense,volti a

garantire a Berlino e alla Germania un futuro di nazione libera, magari rendendola innocua, ma

fondamentalmente facendo valere il diritto tedesco a risollevarsi come nazione indipendente.

5.19. Le discussioni intorno alla questione economica e monetaria fra gli alleati

occidentali

In ciò vi era tuttavia un duplice ordine di considerazioni: da un lato, gli USA analizzando

la questione in un’ottica bipolare, riconoscevano l’assoluta necessità di riarmare una Germania

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il più possibile libera da influenze sovietiche, ben sapendo che ciò non sarebbe stato possibile se

non nella parte occidentale del Paese; dall’altro, francesi e sovietici, per motivi diversi, non

avevano mai cessato di guardare alla Germania come ad una nazione sconfitta in guerra e che

avrebbe dovuto riparare i relativi debiti. Proprio su questo punto vi era uno scontro sul piano

tecnico, ancor prima che ideologico con gli anglo-americani: questi ultimi, infatti, sostenevano

che quelle riparazioni i tedeschi le avrebbero pagate lo stesso e più volentieri, nel corso degli

anni a venire, in cui si sarebbe affermata la presenza occidentale in Germania, grazie alla ripresa

economica, che sarebbe stata conseguenza della riedificazione degli impianti industriali che

avrebbero garantito, per gli alleati occidentali, lauti guadagni sul suolo tedesco, mentre ai

tedeschi la ripresa della propria economia. Era la visione tipica del “piano Marshall”, valeva per

la Germania in particolare, ma in genere per tutti i paesi ammessi al finanziamento. Unica

condizione: che la scelta di campo fosse netta, a favore degli USA e del liberismo che essi

propugnavano. Ecco perché i francesi che erano stati ammessi al tavolo delle trattative non

erano dei convitati “alla pari” nei confronti dell’alleato statunitense. Dall’altro, i francesi

avevano anch’essi accumulato dei debiti di guerra, al punto che il piano Marshall riguardava

pure loro, oltre che gli inglesi. Quindi sulla questione economica in generale, si giocava tutto il

sistema delle alleanze fra occidentali; i francesi e gli inglesi in misura ancora maggiore, erano

indebitati ed ammessi al piano Marshall, quindi il motivo ultimo di esistenza di una qualsiasi

discussione “quadripartita” avrebbe realisticamente potuto riguardare solo alcuni aspetti tecnico

- logistici circa le vicende dell’occupazione di Berlino e della Germania. Per quanto riguardava

la questione della riforma monetaria, valeva quanto aveva detto Robertson a Sokolovsky,

dicendosi “…pronto a considerare qualunque accordo ragionevole per l’uso di una sola

moneta a Berlino…”135, addirittura accettando l’ipotesi della circolazione di moneta orientale

nella sola città di Berlino, a condizione, però, che tale circolazione avvenisse sotto il controllo

delle quattro potenze. Era, quindi, un’evidente prova della volontà degli alleati di discutere -

nonostante tutto - insieme ai sovietici le condizioni dell’occupazione di Berlino: come si poteva

osservare, la discussione era su aspetti di natura economica. Erano anche scongiurate, o da

scongiurarsi, azioni unilaterali che avrebbero potuto vedere gli inglesi muoversi di propria

iniziativa: a Robertson era stato infatti intimato di non abbattere lo sbarramento di palloni

frenati effettuato dai sovietici, cosa che sarebbe stata vista come un’azione ostile nei confronti

di questi ultimi. La battaglia adesso assumeva i toni della propaganda, per cui si cercava di

convincere l’opinione pubblica (in questo caso, l’opinione pubblica inglese) della fondatezza

della causa tedesca, incluso il diritto iure belli degli occidentali di rimanere a Berlino. Questi

punti non si sarebbero mai dovuti mettere in discussione.

135

Frus, cit., pag. 940.

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5.20. La dichiarazione ufficiale. Gli occidentali restano a Berlino

Da qui alla dichiarazione ufficiale il passo era breve: infatti, il 30 giugno 1948 il

Segretario di Stato George Marshall emise una dichiarazione nella quale si affermava

l’intenzione da parte del Governo USA di rimanere a Berlino e di fare un uso massiccio del

trasporto aereo per rifornire la popolazione civile di quella città. Durante la conferenza stampa

del 1° luglio 1948, il Presidente Harry Truman confermò che il Segretario di Stato USA aveva

espresso la posizione ufficiale del governo degli Stati Uniti.

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101

CAPITOLO 6

LE RAGIONI DEL PONTE

6.1. La rottura del quadripartito nella Kommandatura

I rapporti fra gli Alleati precipitavano ulteriormente quando, la mattina del 1° luglio

1948, interrompevano ufficialmente la loro presenza all’interno della Kommandatura alleata.

Tale decisione era stata in qualche modo causata dal comportamento degli alleati occidentali, i

quali avevano assunto ormai posizioni e comportamenti “indipendenti”; la reazione sovietica,

incentrata sul fatto che Berlino era una città che si trovava all’interno della zona sovietica, pur

avendo lo status di città occupata da tutte e quattro le potenze, era dunque stata la rottura

definitiva. Nelle parole di Kalinin, “non esiste più la Kommandatura alleata”; era tuttavia

rimasto il senso di quella svolta definitiva, che non annullava i patti presi in precedenza con gli

ormai definitivamente ex-Alleati.136 La discussione fra gli alleati rimasti fedeli alla linea

statunitense, cioè USA, Gran Bretagna e Francia, verteva principalmente sul fatto di sottoporre

la questione di Berlino all’ONU oppure al Consiglio dei Ministri degli Esteri. In questo senso,

gli incontri fra Bevin, Koenig e Clay si erano infittiti e avevano avuto riguardo di considerare

l’evoluzione degli eventi su scala gerarchica. In altre parole, la questione di Berlino andava

prima rappresentata ai governatori militari della città, quindi al Consiglio dei Ministri degli

Esteri e, solo nel caso in cui non si fosse riusciti ad ottenere nulla, si sarebbe dovuta portare la

questione di fronte all’ONU. Qui le potenze avrebbero posto sul tappeto, fra le altre, anche la

questione del tipo di scenario che si sarebbe rappresentato, da parte loro, in merito alla vicenda

di Berlino; tuttavia, i problemi riguardavano anche gli impegni non presi da Stalin con Bevin

nella nota del 28 giugno ’48. Se la nota successiva, che Stalin avrebbe dovuto successivamente

indirizzare a Clay avesse avuto lo stesso tenore, allora il ricorso all’ONU sarebbe stato

imprescindibile, in quanto dirimere la questione berlinese nel palcoscenico del Consiglio dei

Ministri degli Esteri sarebbe stata, come già rilevato, un’occasione troppo ghiotta per Stalin di

fare una propaganda a favore proprio. Era l’ONU il palcoscenico in cui, nei primi giorni di

luglio ’48, gli Stati Uniti avrebbero voluto portare la questione di Berlino.

136

La necessità di continuare il cammino intrapreso insieme alle altre potenze occidentali di occupazione

della città di Berlino, sembrava riguardare esclusivamente il recente passato, dal momento che si cercava quantomeno di continuare una collaborazione riguardante la tenuta degli archivi e dei patti che erano stati posti in essere fino ad allora.

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102

6.2. Disaccordo fra gli occidentali

Ma tutto ciò non era di facile soluzione: nelle convulse giornate del 2 e del 3 luglio 1948,

venivano riportati diversi contatti fra gli alleati occidentali in cui si discuteva della questione del

Blocco di Berlino e in cui sembrava non esserci un vero e proprio accordo nemmeno fra

costoro. Infatti, da un lato francesi e britannici trovavano delle difficoltà nell’elaborazione di un

testo per i sovietici che prendesse realmente in considerazione le colpe degli stessi nell’affamare

una popolazione di 2.300.000 abitanti; dall’altro, vi erano delle difficoltà iniziali nella

continuazione del ponte aereo appena intrapreso per portare aiuti alla popolazione. Gli

americani, invece, insistevano sul fatto di portare la questione di fronte all’ONU, in quanto si

trattava di una vicenda particolarmente grave dal punto di vista umanitario. La questione poi

riguardava anche il modo in cui le potenze si sarebbero dovute servire del Consiglio dei ministri

degli Esteri, istituto che sembrava non riscuotere la necessaria fiducia.137 Nelle comunicazioni

fra Robertson, Massigli, Sokolovsky, Clay vi era sempre il tentativo, da parte occidentale della

ricerca di un dialogo, anche se a più velocità, perché gli accordi fra le potenze non erano così

scontati come si sarebbe potuto invece immaginare. A maggior ragione che, in una nota del 4

luglio, Sokolovsky non faceva alcun accenno alla questione monetaria, come la causa principale

del disaccordo con gli ex-alleati; un disaccordo che nasceva dalla più volte ricordata

“responsabilità occidentale” nell’introduzione di una nuova moneta che avrebbe potuto minare

alle fondamenta il sistema economico-monetario sovietico posto in essere a Berlino e, quindi,

condurre ad una situazione di stallo, dovuta al verificarsi di condizioni particolarmente dannose

per l’economia sovietica al punto da rendere necessario un blocco da e per la città di Berlino. In

quella nota, Sokolovsky faceva infatti riferimento alla Conferenza di Londra, o meglio, alle

decisioni prese nel corso della Conferenza di Londra, cui lui stesso non aveva partecipato. Tale

Conferenza aveva evidentemente urtato la sensibilità di Stalin138, in quanto le decisioni prese in

137

Il Consiglio dei Ministri degli Esteri costituiva un’arma a doppio taglio. Avrebbe consentito

probabilmente una discussione a quattro sulla questione di Berlino, ma questa sarebbe consistita in uno show sovietico circa la propria visione relativa all’intera Germania. Ma la questione riguardava Berlino, non l’intera nazione tedesca. Le mire di Stalin, invece, erano rivolte a tutta la Germania. Quindi, per gli americani, la questione riguardava essenzialmente il modo in cui si sarebbe passati dal discutere in un tavolo insieme a tutti i governatori militari, al discutere di fronte all’ONU. Per farlo, però, essi necessitavano di un appoggio concreto da parte dell’opinione pubblica americana e occidentale, evidenziando anche il carattere particolarmente ostile che i sovietici avevano dato alle relazioni sul piano internazionale con gli ex-alleati. Ma tale passaggio non sarebbe stato così scontato; l’esclusione del Consiglio dei Ministri degli Esteri era un’eventualità remota. Tuttavia, alla fine la posizione USA sarebbe prevalsa, nel nome della responsabilità comune verso Berlino e i berlinesi, che rischiavano la morte per fame. 138

Nel corso della Conferenza di Londra del novembre 1947, fra le quattro potenze vincitrici, si era

registrata la chiusura del dialogo diplomatico fra gli alleati occidentali e l’URSS. Anche il quadripartito alleato verrà fortemente condizionato, nei mesi a venire, fino alla rottura dell’aprile 1948, dall’esito di

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quell’assise erano adesso viste come estremamente dannose nei confronti dei sovietici e della

loro “libertà di manovra” a Berlino.

6.3. La denuncia del blocco da parte occidentale e il riferimento all’articolo 33

della Carta ONU

Tale presa di posizione sovietica, che seguiva di pochi giorni l’uscita dell’URSS dalla

Kommandatura Alleata (quindi adesso a ragione si può parlare di ex-alleati), era stata decisiva

in prima istanza; essa infatti aveva fatto in modo che gli USA inviassero una nota, a firma del

Segretario di Stato George Marshall, il 6 luglio 1948, all’ambasciatore Panyushkin, nella quale

si denunciava pubblicamente il blocco sovietico di Berlino come chiaro segno di

irresponsabilità e inimicizia nei confronti degli ex alleati e come segno di efferatezza nei

confronti di 2.300.000 persone; tale lettera, inoltre, dal punto di vista dei rapporti fra gli alleati,

aveva rappresentato la vittoria della linea statunitense sugli altri alleati, in quanto veniva

espressamente menzionato il ricorso all’ONU. Di più: veniva fatto espressamente riferimento

all’Art. 33 della Carta delle Nazioni Unite, a tutela dei diritti umani, la qual cosa quindi, avrebbe

determinato l’abolizione del ricorso al Consiglio dei Ministri degli Esteri.

La posizione statunitense era dunque orientata a valutare le azioni che si sarebbero dovute

intraprendere nel caso si fossero verificate alcune eventualità. Qualora i sovietici avessero

accettato le note in risposta alla lettera di Sokolovsky, si sarebbe dovuto procedere a liberare vie

e corridoi di accesso da e per Berlino, evidenziando come la situazione rivestisse grande

pregnanza dal punto di vista proprio del rispetto dei diritti umani a Berlino. Su questi punti,

Washington faceva, come si può immaginare, grandi pressioni su Londra e Parigi. Tali pressioni

erano volte a far conoscere il loro parere in relazione alla vicenda. Qualora i sovietici si fossero

rifiutati di rimuovere il blocco allora la questione sarebbe andata di fronte alla Corte

Internazionale di Giustizia. In questo caso, i rifornimenti a Berlino sarebbero continuati per via

aerea, anche se questa non era riconosciuta come “la” soluzione. In ogni caso si insisteva

sempre sul concetto secondo il quale erano i sovietici con le loro azioni irresponsabili ad avere

causato la perdita di ogni diritto sull’accesso da e per la città di Berlino, cosa che si sarebbe

dovuta riconoscere agli americani iure belli, e al tempo stesso erano sempre i sovietici che

sarebbero dovuti passare per carnefici nei confronti dei berlinesi. La discussione di questa

situazione avrebbe dovuto prescindere dalla discussione sulla questione relativa all’intera

Germania, che era il terreno preferito da Stalin. Trapelava una certa inaffidabilità dei sovietici

sulle posizioni da prendere. Ormai non era più solo una questione di rimuovere un blocco fatto

tale conferenza.

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con dei palloni posizionati fra Berlino ed Helmstedt, ma era diventata proprio una scelta politica

da parte dei sovietici, quella di rendere impossibile qualsiasi soluzione pacifica del conflitto,

esasperando le possibili azioni da parte degli alleati occidentali. Ogni azione da parte

occidentale si sarebbe potuta trasformare in una ritorsione da parte dei sovietici, e viceversa.

Negli intendimenti di Clay, l’URSS non avrebbe comunque desiderato giungere ad una vera e

propria guerra; i sovietici avrebbero continuato a provocare, a fare attacchi verbali in qualche

riunione con gli alleati occidentali, avrebbero forse anche offeso, ma una nuova guerra, di certo,

non la volevano. E non la volevano nemmeno gli USA e gli altri alleati. Non era quello il

problema temuto in quei mesi. Allora si trattava di comprendere se esisteva un piano prefissato

che avrebbe potuto scatenare una guerra, nelle menti dei sovietici; perché era chiaro che, se tale

piano vi fosse stato, questo attacco sarebbe potuto avvenire ovunque, quindi non solo a Berlino.

Da tutte queste dichiarazioni traspariva netta la volontà da parte degli Stati Uniti di rimanere a

Berlino a qualunque costo.

6.4. Ripresa e immediata interruzione delle discussioni intorno alla questione

della riforma monetaria

Così, sempre in quei giorni, intorno al 10 luglio, veniva ripresa la discussione in merito

alla questione della riforma monetaria: l’intera questione monetaria sarebbe stata affrontata in

maniera tale da garantire la circolazione di una sola valuta per Berlino, quanto meno per tutto il

territorio di Berlino. Si sarebbe mantenuta, tuttavia, la circolazione doppia, con equazione: 1

DM = 1 RM. Tuttavia, la risposta di Panyushkin, ambasciatore URSS a Washington, alla lettera

di George Marshall, era esattamente ciò che gli USA temevano di sentirsi rispondere: in altre

parole, venivano ribaltate del tutto le accuse che gli Stati uniti avevano rivolto all’URSS. Le

stesse accuse di irresponsabilità, dovute questa volta alle decisioni prese dai tre alleati

occidentali nel corso della Conferenza di Londra, che venivano scaricate addosso agli Stati

Uniti, in quanto principali ideatori, insieme ai britannici, di quella conferenza. Nel telex del 9

luglio 1948 dal Segretario di Stato Marshall all’Ambasciatore Douglas a Londra si evidenziava

come innanzitutto non vi fosse alcuna volontà da parte sovietica di addivenire ad alcun accordo

con le potenze del tripartito, loro ex alleate; ebbene, tale assoluta mancanza di dialogo era

speculare alla voglia di riprenderlo nel caso in cui gli alleati occidentali, con riferimento alla

situazione della Germania e di Berlino in particolare, avessero accettato di ridiscutere i termini

degli accordi presi nel corso della Conferenza di Londra, accordi che evidentemente dovevano

essere particolarmente onerosi per i sovietici dal momento che Stalin continuava a ripetere che

la condicio sine qua non di ogni futuro accordo con gli Stati Uniti e gli altri alleati occidentali

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passava per una rielaborazione degli accordi presi a Londra139. Nelle parole di George Marshall

traspariva tutto il conflitto politico-diplomatico che portava a considerare i sovietici come gli

infidi detrattori che pensavano solo a difendere i propri interessi. In realtà le cose stavano così,

anche se gli USA sembrava fossero quasi divenuti esperti nel toccare le corde della sensibilità

sovietica, segno dell’esistenza di una reciproca ostilità; l’evoluzione dei fatti portava a

considerare gli USA come i “liberatori” di un popolo oppresso, quello tedesco, ormai oppresso

da giogo staliniano.140 Tale certezza di superiorità democratica prevaleva anche al riguardo della

tenuta del dialogo con i sovietici, dal momento che questo non veniva auspicato in momenti di

difficoltà.141

6.4.1. Ineluttabilità del blocco

Il Blocco, attuato mediante l’apposizione di palloni nell’autostrada fra Berlino ed

Helmstedt, non sarebbe stato facilmente rimosso dai sovietici, i quali erano altresì anche

riluttanti ad esaminare l’intera questione tedesca, posto che per quanto riguardava la situazione

di Berlino questa rischiava di non venire assolutamente presa in considerazione; tuttavia, era

necessario dare l’impressione che si volesse trattare con i sovietici, in quanto sarebbe

sicuramente stato peggio non avere alcun dialogo con la controparte, per gli USA. Veniva così

proposta la riforma monetaria per quanto riguardava il settore di Berlino. Nei memoranda di

quel giorno, il 14 luglio, traspariva chiara la volontà di accelerare le decisioni relative ad una

incentivazione del ponte aereo, tant’è che le discussioni relative ai bombardieri B-29, che

sarebbero stati impiegati per lo scopo, sarebbero state intraprese fra il sottosegretario, Lovett, e

l’ambasciatore inglese, Franks, nel corso di colloqui informali. In particolare, veniva ribadito

come fosse più che mai urgente l’uso dei B-29 che gli Stati Uniti avrebbero dovuto inviare in

Inghilterra, dove sarebbero rimasti di stanza, in attesa di essere impiegati in Germania. Questa

situazione rendeva evidente una volta di più, come a livello informale i giochi verso ogni genere

di decisioni che avessero riguardato la questione della Germania e di Berlino in particolare,

avrebbero dovuto prevedere comunque se non l’uso della forza nel senso di una guerra

dichiarata, quanto meno l’applicazione di misure belliche. Questo, a dispetto delle note ufficiali,

delle istruzioni e dei propositi di collaborazione con l’Unione Sovietica, ancora volte a ricercare

delle soluzioni che andassero bene a tutti.

139

Vedi nota precedente. 140

La realtà dei fatti che spesso le fonti americane riportano è proprio relativa ad un coinvolgimento

sempre maggiore del politburo sovietico nelle decisioni prese in Germania e a Berlino, in particolare; qui si nota come, anche nell’evoluzione delle vicende relative alla riforma monetaria, non vi fu particolare attenzione nei confronti del popolo tedesco, ma fondamentalmente una forma di coazione da parte sovietica. Questo elemento di critica nei confronti degli ex-alleati sarà sempre presente nelle fonti USA. 141

Frus, cit., pag. 956.

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6.5. Le difficoltà della situazione di Berlino dalla prospettiva statunitense

Douglas, ambasciatore USA nel Regno Unito, esponeva tutte le difficoltà del caso in una

nota inviata a Lovett, Segretario di Stato USA, il 17 luglio 1948, in cui sintetizzava tutte le

difficoltà rappresentate fino a quel momento dalla situazione di Berlino:

1) In primo luogo, vi era la questione del rinvio, caldeggiato dai sovietici, della riforma

monetaria: in questo senso, si poteva anche trovare un accordo per cercare di rimuovere

il blocco di Berlino e, una volta rimosso, discutere della questione dell’intera Germania,

anche procrastinando l’applicazione degli accordi di Londra, dai quali i sovietici erano

stati esclusi de facto.

2) In secondo luogo, permaneva comunque il rifiuto sovietico, ormai da più di tre anni, di

ridiscutere la riorganizzazione della Germania su basi federali; la necessità di una

riorganizzazione di tipo federale era più consona alla natura del precedente stato

tedesco, ma era anche vicina alla concezione di “stato” per come lo intendevano gli

americani; oltre a ciò, va anche detto che Stalin gradiva maggiormente una Germania

democratica, quindi uno stato unitario su cui egli avrebbe agevolmente potuto

“allungare le mani”, riducendolo ad un semplice “stato satellite”, come quelli che già si

erano venuti formando (Cecoslovacchia, Ungheria, ecc..).

3) L’esazione, da parte sovietica, delle riparazioni provenienti dalla produzione corrente in

Germania. Anche questa era una questione sulla quale non poteva esserci accordo fra le

potenze: la Francia e l’URSS insistevano sulla questione delle riparazioni tedesche per

motivazioni diverse. La Francia, per mettere la parola fine all’aggressività militare

sovietica, occupando la zona della Ruhr, tanto contesa e tanto ricca di materie prime,

che, insieme all’Alsazia e alla Lorena, avevano rappresentato da ottant’anni a quella

parte la causa principale delle guerre fratricide fra i due popoli europei. L’URSS, perché

voleva delle riparazioni almeno coerenti con i 26 milioni di morti e con i costi di una

guerra causata da Hitler: ma i morti rappresentavano una perdita che nessuno stato o

parte di stato avrebbe potuto sanare. Gli Stati Uniti, insieme alla Gran Bretagna avevano

un’altra idea sulla riorganizzazione tedesca: essi pensavano a incamerare gli introiti di

una dominazione capitalistico-imperialista, dando alla Germania la sua organizzazione

politico-economica, che tra l’altro le era più consona, quella federale. In essa, avrebbero

negli anni a venire avuto compensati i costi sostenuti a causa della guerra.142

142

Non va dimenticato come la questione del “non umiliare il nemico battuto” fosse tipica della

diplomazia europea e anglosassone in particolare, fin dai tempi del Congresso di Vienna. Il nemico battuto e non umiliato era la Francia del 1815, e lo era adesso la Germania del 1945. Purtroppo, gli

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4) Il tipo di organizzazione sociale, economica e politica della zona sovietica,

evidentemente molto differente dal tipo di organizzazione statunitense e occidentale.

5) L’ambizione sovietica di partecipare al controllo della Ruhr: a tal proposito, va detto

come, negli anni a venire, tale ambizione sarebbe definitivamente naufragata con la

creazione del primo organismo sovranazionale europeo, la CECA, nel 1951. Tale

organismo si era posto l’obiettivo fondamentale di “sovra nazionalizzare” la Ruhr: ciò

significava non renderla più disponibile alla sola Germania che aveva dimostrato di fare

un cattivo uso dell’acciaio prodotto in abbondanza in quelle zone; il controllo della

produzione di carbone e acciaio sotto un’Alta Autorità avrebbe messo al riparo la

questione del pericolo tedesco e avrebbe tranquillizzato la Francia sulla rimozione

dell’eventualità di un loro uso sbagliato.

6) La disgregazione del Consiglio di Controllo Alleato: questo, a dire il vero, era già nei

fatti da molto tempo. Il Consiglio di Controllo, già discioltosi qualche mese prima,

aveva già dalla primavera del ’48, cessato di esistere di fatto.

7) La disgregazione della Kommandatura: anche questo organismo, che presupponeva un

accordo fra militari, aveva seguito le sorti del Consiglio di Controllo. Non poteva che

essere così; in altre parole, una gestione militare di Berlino non sarebbe potuta esistere a

dispetto della non esistenza di un organo politico come il Consiglio di Controllo. Questa

è la ragione per la quale quest’organo cessò di esistere - almeno con funzioni

quadripartite - fin dai primi di luglio 1948.

Fondamentalmente, la ragione per la quale si stava ancora negoziando con i sovietici, a

distanza di quasi un mese dall’apposizione del “blocco”, era quella di convincere i francesi della

buona fede del tripartito occidentale; naturalmente Léon Blum, all’epoca Presidente francese,

era restio ad una soluzione che riguardasse l’uso della forza per la vicenda di Berlino. Tuttavia,

le stesse negoziazioni venivano portate avanti con l’unico obiettivo di dimostrare che, ormai,

negoziare con i sovietici non era più possibile; o almeno, non lo era più su basi paritarie. 143

accordi di Versailles del 1919, avevano invece consegnato una Germania battuta e umiliata proprio a causa della questione delle riparazioni. Cosa ne sarebbe scaturito è tristemente noto. Adesso, il revanscismo francese e l’oltranzismo staliniano avrebbero potuto indurre allo stesso errore. Ma la Francia si sarebbe ben presto appostata sulle posizioni di USA e Gran Bretagna; tutto andava nel segno della nascita di un’Europa finalmente unita. 143

Ci si riferisce, qui, ad un telex da parte dell’Ambasciatore USA a Londra, Douglas, indirizzato al

Segretario di Stato Lovett. Frus, freq. cit., «Douglas/Lovett», 7 luglio 1948, ibidem, pagg. 967-968.

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6.5.1. Difficoltà di un ricorso alle organizzazioni internazionali

I dubbi degli alleati nascevano dal fatto che anche un esercizio “legittimo” dei loro diritti

su Berlino, esercizio che imponeva la ricerca di una soluzione politica attraverso l’ONU,

avrebbe avuto il rischio di fare scatenare una guerra su vasta scala: il problema sarebbe stato lo

scaturire di un conflitto oppure di più conflitti armati che avrebbero rischiato di far cadere

nuovamente il mondo intero dentro l’incubo della guerra totale, dal quale si era appena

risvegliato. Ecco che, allora, si poneva un problema di “utilizzabilità” di quelle norme a tutela

dei diritti dell’uomo, diritti inalienabili, certamente, riconosciuti dalla Dichiarazione Universale

dei Diritti dell’Uomo, di quello stesso anno, il 1948; ma che erano già stati concepiti all’epoca

della Carta ONU del 1945. Questo era il milieu politico-internazionale in cui gli alleati

occidentali, USA in primis, avrebbero voluto confrontarsi. Ma l’esasperazione della portata

politica di quei diritti, ora, costituiva un rischio reale di guerra; bisognava agire con cautela.

6.5.2. Si discute anche se lasciare Berlino

L’ipotesi meno auspicabile, sicuramente più invisa agli Americani era quella di lasciare

Berlino; ma era un’ipotesi che veniva gettata sul piatto solo per dire quanto sarebbe stato

deleterio, da parte occidentale, l’abbandono della capitale tedesca.144 La discussione in merito

all’ipotesi di abbandonare Berlino, era andata assumendo sempre di più l’aspetto di una contesa

di natura strategica; questa contesa riguardava le possibili conseguenze di un abbandono della

città. Cosa significava abbandonare Berlino lasciandola in mano ai sovietici? Come avrebbero

reagito gli occidentali? Come sarebbe stato possibile riconquistare la fiducia persa da parte degli

alleati e dei tedeschi su una nazione che li stava abbandonando? Questi erano gli interrogativi

che adesso si ponevano gli americani. Una risposta parziale a questi interrogativi sarebbe stata

quella di dare vita ad “azioni spettacolari” che inducessero a pensare che, se anche si fosse

andati via da Berlino, in realtà si stava “uscendo dalla porta per rientrare dalla finestra”. Quali

sarebbero state queste azioni spettacolari? Si poteva dare vita ad un patto regionale o ad un patto

avente qualsiasi altra forma; si potevano rafforzare le forze militari già presenti sul suolo

tedesco; si poteva potenziare la forza aerea nell’Europa Occidentale; si potevano, infine, aiutare

144

«Possiamo abbandonare Berlino. Ma ciò sarebbe un’enorme calamità. La fiducia dell’Europa

occidentale in noi, alla luce delle nostre ripetute affermazioni di voler restare a Berlino, sarebbe così scossa che noi, sicuramente, perderemmo progressivamente la Germania occidentale, se non, addirittura l’Europa occidentale. Timore, incertezza e mancanza di fiducia in noi indebolirebbero la determinazione dei Tedeschi occidentali e della popolazione dell’Europa occidentale e, probabilmente, creerebbe una rottura del Programma di Recupero Europeo, nel caso in cui non producesse degli effetti benefici». Frus, eadem, pag. 968, trad. it. a cura di Serenella Dessì, Cagliari, 2014.

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le migliaia di tedeschi che avessero voluto transitare nella Germania Occidentale. Un puro e

semplice “abbandono”, un ritiro senza condizioni sarebbe stato deleterio, non certamente per il

prestigio e l’onore delle armate statunitensi, inglesi o francesi, ma proprio per le anzidette

problematiche di natura assistenziale verso i tedeschi. Era, inoltre, un venir meno ai piani

dell’UNRRA. Ragioni di natura politica, di natura strategica, di tenuta della democrazia in

occidente, imponevano quindi una permanenza a tutti i costi a Berlino, al punto che anche la più

invisa delle ipotesi, quella della fuoriuscita degli occidentali dalla capitale tedesca, avrebbe

dovuto avere la sostanza della permanenza, in qualche modo, ivi. Dal punto di vista americano,

quindi, l’abbandono della città - che invece i francesi avevano messo in conto - era de facto

fuori discussione.

6.6. La “rappresentanza diplomatica” occidentale

Nel corso dei giorni successivi, si era formata una “rappresentanza” diplomatica, in cui il

rappresentante statunitense avrebbe assunto la rappresentanza anche degli altri alleati

occidentali. Nel tono delle discussioni registratosi il 20 luglio ’48, dopo poco più di un mese dal

blocco, era sempre viva l’intenzione degli USA, che adesso parlavano legittimamente anche a

nome dei “tre governi alleati”, di non abbandonare Berlino. Anzi. La vicenda del blocco era un

qualcosa di cui si sarebbe - secondo il rappresentante USA - potuto continuare a discutere

all’interno del Consiglio di Controllo Alleato, se i sovietici non avessero fatto naufragare

quell’organo di controllo quadripartito in Germania; tutte le questioni in agenda si sarebbero

potute comunque ancora discutere insieme ai sovietici, magari con prospettive differenti,

sempre che tali ipotesi non avessero portato alla guerra; al proposito di quest’ultima il tono

muscolare delle proposte americane si evinceva dall’enfasi posta sull’impossibilità di scatenare

una guerra per “ragioni valutarie”. Una guerra non poteva scaturire solo per questi motivi.

Quindi, la stessa mancanza di volontà di addivenire ad una guerra, sostenevano gli USA, era

speculare alla stessa mancanza di volontà in tal senso da parte sovietica; al punto che si indicava

chiaramente Stalin come colui che se avesse usato questo sistema per far precipitare la

situazione, allora “i suoi sforzi potrebbero non avere avuto alcun senso”.145

145

«…(B) Se queste iniziative tendono a portare a dei negoziati con le tre potenze europee, esse

sono del tutto inutili in quanto questi paesi non hanno mai rifiutato una proposta diretta per negoziare su qualunque argomento nell’ambito delle competenze delle quattro potenze.

(C) Se, però, il vero scopo (non espresso) del blocco è di (a) cercare di forzare le potenze europee a ritirarsi da Berlino o (b) tentare di spingerle ad abbandonare le azioni che sono state costrette ad intraprendere nell’amministrazione delle zone occidentali in assenza dell’accordo del generale tedesco, allora Stalin deve capire che questi sforzi non avranno alcun successo.

8. L’Ambasciatore dovrebbe dichiarare che presumendo che non è più interesse dell’Unione Sovietica ed ancor meno delle tre potenze occidentali arrivare alla guerra, dovrebbe essere possibile per i 4 Governi trovare un modo di superare le difficoltà ed arrivare alla fine della situazione molto

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110

Tale presa di posizione faceva il paio con la dichiarazione che il diplomatico che avesse

avuto l’incarico di rappresentare le tre potenze occidentali, Franks, non avrebbe avuto le “mani

libere” su ciò che si sarebbe dovuto fare a Berlino, ma avrebbe dovuto riportare fedelmente ai

governi quanto veniva discusso, con scarsa autonomia decisionale.

6.7. L’aumento della flotta dei bombardieri

Nel corso della conferenza del 22 luglio 1948 fra i rappresentanti americani e inglesi, si

decideva di aumentare la flotta aerea impegnata a Berlino dagli iniziali bombardieri B-29 a 75

unità di C-54, che sarebbero stati impegnati per il ponte aereo in corso. Assieme alla questione

della forza aerea, naturalmente vi era in esame quella dell’accordo fra le tre potenze occidentali.

Ad interessare Marshall e Lovett a Washington erano soprattutto le reazioni sulla vicenda di

Berlino da parte di Bevin e Massigli, rispettivamente il premier britannico e l’ambasciatore

francese a Londra, dei quali Douglas, nel suo ruolo di ambasciatore statunitense a Londra, era

riuscito a saggiare le inclinazioni, riuscendo sostanzialmente a garantire a Washington che

Bevin non avrebbe seguito una strada differente per quanto riguardava eventuali accordi separati

con i sovietici. Per quanto riguardava la posizione dei francesi, Massigli aveva ribadito che in

quei giorni si stava creando un nuovo governo in Francia, e che Robert Schumann sarebbe stato

il nuovo Ministro degli Esteri francese. Questo nuovo governo sarebbe stato fedele alle scelte di

Washington e Londra, mentre la figura di Schumann, poi tra i “padri” fondatori dell’Europa

unita, non avrebbe significato un sostanziale cambio di rotta nella politica fino ad allora seguita

dalla Francia nei confronti dei suoi alleati. Per quanto riguardava la terza questione che

interessava a Washington, cioè un accordo tripartito su un eventuale ricorso all’ONU circa la

pericolosa sviluppatasi a Berlino a causa delle azioni sovietiche.

9. Nel caso in cui la risposta di Stalin indicasse che le azioni da loro intraprese a Berlino sono causate da “a” o “b” del Par. 9, dovrebbe sollecitare il suo punto di vista come pure il modo di superare le difficoltà e dovrebbe essere pronto a discutere con Stalin alcuni accordi pratici che fornirebbero una soluzione della situazione di Berlino senza perdita di prestigio per nessuno dei due blocchi, possibilmente con la riapertura delle comunicazioni ferroviarie, viarie e acquatiche verso Berlino con l’annuncio simultaneo di un accordo su un incontro delle 4 potenze per analizzare questioni più ampie. Fine.

L’Ambasciatore non sarebbe autorizzato ad impegnare le tre potenze, per rispetto nei loro confronti, a nessuna proposta di Stalin, ma dovrebbe riportare fedelmente ai tre Governi i risultati della sua visita.

Noi pensiamo che questo passo diplomatico, che dovrebbe essere tenuto segreto quanto più a lungo possibile, dovrebbe essere intrapreso prima dell’invio di una risposta alla nota sovietica. Se la reazione di Stalin fosse negativa, non solo dovremmo rispondere alla nota, ma dovremmo presentare il problema alle Nazioni Unite, onde assicurare i nostri diritti a Berlino.

Vorremmo che otteneste il parere di Bevin al riguardo. In vista di una crisi di governo francese, proponiamo di sottoporla ai Francesi solo dopo il parere di Bevin.3 MARSHALL» Frus, op. cit., ibidem, pagg. 971-973, «Marshall/Douglas, 20 luglio 1948», traduzione italiana a cura di Serenella Dessì, cit., 2014.

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111

questione di Berlino e della presenza americana in quella città “iure naturali”, Bevin si

impegnava a considerarlo favorevolmente, lasciando anche intendere che si sarebbe potuto dare

vita ad azioni come l’imposizione di sanzioni o l’invio di convogli umanitari a Berlino.146

6.8. Le reali intenzioni dei sovietici, vere “ragioni” del ponte

Sempre nella giornata del 24 luglio, un altro referente di Washington, l’Ambasciatore

Smith a Mosca, precisava la portata del misunderstanding inglese in ordine alle reali intenzioni

dei sovietici di trattare con gli occidentali. Secondo l’ambasciatore USA, infatti, gli inglesi

avevano sottovalutato i sovietici, ritenendoli pronti al dialogo con gli occidentali, mentre invece

era vero il contrario. Vedendo gli avvenimenti da una prospettiva maggiormente realistica,

infatti, la posizione degli occidentali non era poi così vantaggiosa, come si voleva far credere.

Era pur sempre vero che lo scavalcamento del blocco grazie al ponte aereo aveva risolto la

questione dell’approvvigionamento di derrate alimentari e generi di prima necessità, ma era

anche vero che la città di Berlino aveva necessità di combustibili e materie prime che

giungevano dalla Russia; ecco perché, a lungo andare, il blocco sarebbe stato estremamente

vantaggioso per i sovietici; più di quanto non lo sarebbe stato per gli occidentali, che

effettivamente avrebbero salvato nell’immediato i berlinesi dalla morte per fame, ma che non

sarebbero riusciti nell’intento di porre le condizioni socio-politiche ed economiche per una loro

fruttuosa presenza in Germania. La questione della valuta, poi, aveva ulteriori ripercussioni.

Fino a quel momento, infatti e nonostante i proclami vittoriosi che accompagnavano i voli su

Berlino, la moneta sovietica circolava liberamente ed era stabilmente inserita nell’economia

berlinese, più di quanto non lo fossero i marchi occidentali. Le mire dei sovietici non erano

soltanto quelle relative a Berlino. Riguardavano l’intera Germania; che, lo si è già ricordato, era

stata oggetto delle mire di Stalin fin da subito; una volta che essa sarebbe stata posta tutta sotto

l’ombrello dei sovietici, sarebbe quasi sicuramente finita come gli altri “satelliti” sovietici. Con

il rischio che si sarebbe avverato lo spostamento ad occidente della “cortina di ferro” fino alla

Ruhr, che i sovietici avrebbero voluto condividere in una gestione quadripartita con gli

occidentali; la stessa gestione che avevano dimostrato di non volere più a Berlino, l’avrebbero

voluta nella Ruhr, col risultato di spostare il confine Est/Ovest nel cuore dell’Europa.147 Smith

146

Frus, cit., ibidem, pagg. 982-983, «Douglas/Marshall», 24 luglio 1948, trad. It. a cura di Serenella

Dessì, cit., 2014. 147

Era questo uno dei motivi per cui non si sarebbe potuto arretrare a Berlino. Il rischio che la Germania

venisse fagocitata dai sovietici non era un rischio per la sola nazione tedesca; ognuno di noi, vedendo dove si trovava il bacino siderurgico della Ruhr, può capire come di fatto i sovietici, cogestendo con gli alleati occidentali una zona così importante e ricca di materie prime come quella, si sarebbero ritrovati a decidere anch’essi dei destini di una zona che si trovava a ridosso della Francia e del Belgio. Questo non avrebbero potuto permetterlo né gli americani né gli inglesi o, tanto meno, i francesi. Alla fine, per forza

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concludeva il suo report a Washington evidenziando come, proprio per le ragioni anzidette, i

sovietici non avrebbero avuto alcuna fretta di concludere degli accordi con gli occidentali e che

non avrebbero intrapreso alcuna azione al fine di fare togliere il blocco verso la città. A

conferma di tale posizione, vi era il fatto che i sovietici non avrebbero avuto particolare

intenzione di rinegoziare la propria presenza a Berlino, ma cercavano semplicemente di

restaurare lo status quo ante pre-riforma monetaria; con il risultato di indurre gli alleati

occidentali ad abbandonare la città.

6.8.1. L’approccio diretto con Stalin

Da lì a qualche giorno, il 26 luglio, prendeva corpo l’ipotesi di parlare direttamente con

Stalin, anziché Molotov, per discutere con lui su possibili accordi, anche se la cosa non era di

facile attuazione, non solo per le note difficoltà di approccio con il dittatore sovietico, ma anche

per il disaccordo fra gli alleati occidentali.148 Si arrivò così ai piani di approccio con Stalin. I

francesi, inizialmente perplessi circa la strategia angloamericana di approccio con i sovietici,

finirono con l’accettare in toto le proposte occidentali, rendendo pubblico il loro disappunto in

ordine alla visione sovietica dei fatti occorsi in Germania e al mancato riconoscimento sovietico

dei diritti degli occidentali circa la loro permanenza a Berlino.149

6.9. La nota “Forrestal” del 28 luglio ’48 e l’implementazione del ponte aereo

La questione del blocco e di come affrontarlo veniva trattata in una nota del 28 luglio ’48,

di James Forrestal, Segretario alla Difesa USA al suo Segretario di Stato, Marshall. In questa

nota si parlava di come sarebbe stato auspicabile continuare con il ponte aereo, data la difficoltà

di inviare truppe di terra; meglio, dato il fatto che l’invio di truppe di terra avrebbero facilmente

condotto ad una escalation che avrebbe potuto portare ad una guerra. Scongiurare un simile

pericolo significava implementare il traffico aereo da e per Berlino. Che la guerra fosse

un’eventualità da prendere in considerazione era ormai più che una semplice ipotesi, dal

momento che lo stesso George Kennan, in una nota del 3 agosto 1948 suggeriva di scrivere che

si sarebbe “rimasti a Berlino, anche a costo di scatenare una guerra”. Era chiaro, una volta di

più, come le intenzioni degli USA fossero tutt’altro che attendiste in ordine alla questione di

andare via da o restare a Berlino.

di cose, anche qual’ora vi fossero state delle divergenze, gli interessi delle tre potenze occidentali tendevano sicuramente a collidere, al punto da costituire un unico blocco. 148 Approfondimento in Appendice (Documento 6 pag. 173). 149 Bozza francese (aide-mémoire):segue Approfondimento in Appendice (Documento 7 pag. 174).

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113

CAPITOLO 7

LE REAZIONI DEGLI ALLEATI

7.1. La condivisione delle scelte fra angloamericani e francesi

Quale reazione avevano avuto gli alleati occidentali (da ora in poi: “alleati”) ai diktat di

Mosca? Un primo elemento di novità è quello di una maggiore condivisione delle scelte con

l’alleato più morbido verso i sovietici, la Francia. Non è un caso, infatti, che nei giorni

immediatamente precedenti la visita a Mosca, la stesura dell’aide mémoire (con il quale si

indicavano ai russi le intenzioni degli alleati sul da farsi), fosse stata affidata alla Francia, con la

collaborazione di Massigli. Questa mossa, apparentemente scontata, era parte di una strategia di

inclusione degli alleati francesi, che aveva un duplice significato: da un lato, era tesa a

dimostrare come gli alleati fossero coesi tra di loro anche al di là della scontata vicinanza anglo-

americana; dall’altro, l’inclusione della Francia in un ruolo maggiormente assertivo, aveva

l’effetto di sbarrare definitivamente la strada a Mosca per la Ruhr, con il risultato, negativo per i

sovietici, di non poter più contare su futuri assetti quadripartiti da far valere nel bacino renano.

Aveva dunque preso piede la strategia secondo la quale se non esisteva più un quadripartito a

Berlino, tanto meno questo sarebbe potuto esistere a ridosso del confine francese e belga, nel

cuore dell’Europa.

7.2. La reale misura della contrapposizione fra sovietici e americani

Nel telegramma del 31 luglio ’48 dall’Ambasciatore USA a Mosca, Smith, al Segretario

di Stato Marshall, si notava il disappunto dovuto al fatto che a lui era stato concesso pochissimo

tempo per colloquiare con Molotov, in quanto la scaletta degli appuntamenti di quel giorno

prevedeva la presenza dell’Ambasciatore americano alle 19:00, di quello inglese alle 20:00 e di

quello francese alle 22:00. Tale organizzazione degli appuntamenti denotava una maggiore

volontà sovietica di interloquire con gli inglesi che non con gli Stati Uniti; era uno dei sintomi

del clima di contrapposizione, tutt’altro che formale, che si era creato fra sovietici e americani.

In ogni caso, nulla poteva far presagire ai sovietici, neanche lontanamente, che avrebbero potuto

trovare una “sponda” negli alleati inglesi o francesi. Questi erano, come si direbbe in gergo

militare, “embedded”, erano fortemente vincolati all’alleato occidentale più importante,

all’unica superpotenza occidentale, che si era avviata già da qualche anno nella necessaria

avventura della guerra fredda; ed era l’unica potenza in grado di fronteggiare il potere sovietico.

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Impensabile, dunque, in quel clima mutato nei fatti, pensare a future alleanze; no, la

motivazione di questa scaletta di appuntamenti non doveva essere quella anzidetta: era, forse, un

atteggiamento congeniale ai sovietici, quello di cercare di lavorare ai fianchi, anche con sistemi

come questi, i loro avversari, sapendo di non volere uno scontro aperto, come del resto non lo

volevano nemmeno gli USA, sul fronte orientale.150 Zorin, il delegato sovietico in assenza di

Molotov, aveva rilevato come l’aide mémoire del 30 luglio degli USA fosse breve ed evasivo.

La risposta fu che era stato lasciato volutamente breve e che le note sarebbero state inserite

successivamente, a margine della discussione fra tutti gli alleati in cui eventuali accordi

successivi sarebbero stati raggiunti nel corso dei colloqui fra gli alleati occidentali e i sovietici.

Questa voluta brevità delle annotazioni presentata ai sovietici da parte degli USA aveva sortito

l’effetto di fare inalberare Molotov, in quanto per lui a quel punto l’incontro del 31 luglio non

aveva avuto senso, dal momento che egli avrebbe voluto consegnare a Stalin un rapporto

formale più completo con le decisioni da parte americana. Anche questo era un segno di

tatticismo degli USA nei colloqui con l’ex alleato sovietico; non c’era nessuna nota importante

perché semplicemente non era più possibile discutere al fine di trovare un accordo. Inoltre,

emanare delle note che sarebbero finite nelle mani di Stalin sarebbe stato un errore: avrebbe

concesso un grosso vantaggio all’avversario sovietico, scarsamente allenato alla pratica del

confronto democratico con segretari di stato, ambasciatori, consiglieri, militari, ministri e così

via, come era invece il caso degli alleati. Tale scarso allenamento alle pratiche democratiche era

però un grosso vantaggio in quel frangente, in cui la decisione di un unico uomo avrebbe potuto

condizionare il susseguirsi degli eventi e, probabilmente, scatenare una nuova guerra. A quel

punto, sempre nel corso della giornata del 31 luglio, Molotov dichiara a Smith che sperava fosse

chiaro che il disappunto sovietico nasceva dall’applicazione delle decisioni prese nel corso della

Conferenza di Londra; era, quello della Conferenza di Londra, un vero e proprio “tallone

d’Achille” per Stalin.

7.3. Conseguenze degli accordi di Londra

Dall’applicazione degli accordi presi a Londra fra le potenze occidentali, anche a causa

150

Può sembrare strano parlare di “fronte” a guerra ultimata. In realtà, se si pensa alla geopolitica della

guerra fredda, si vede come quello orientale fosse a tutti gli effetti, un fronte di una guerra mai esplosa, ma pur sempre potenzialmente possibile. Si trattava di una minaccia attuale e - anche se a noi lettori degli anni Dieci, che conosciamo come la vicenda della guerra fredda si è conclusa, parlare di “minaccia attuale” potrebbe suonare falso - non era per nulla scontato che dalla guerra fredda si sarebbe facilmente potuti uscire, vivendo in pace e armonia. Allora, negli anni Quaranta, la pace era tutt’altro che vicina. Nuovi rumori di guerra si andavano susseguendo nel mondo e le dimensioni globali del conflitto stavano progressivamente interessando altre aree geografiche. Anche l’evoluzione della scienza giocava un ruolo di primo piano. I primi aerei a reazione, portato dell’applicazione degli studi di Von Braun e altri scienziati tedeschi passati a collaborare con gli USA, verranno utilizzati nel 1950 nella guerra di Corea, il primo dei conflitti scoppiati subito dopo l’avvio della guerra fredda.

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dell’esclusione dell’URSS, dipendevano i futuri assetti regionali europei. Risolta la questione di

Londra, nel senso della non applicazione di quanto deciso, improvvisamente si sarebbe risolta la

questione di Berlino, anzi di tutta la Germania. Come si poteva prestare fiducia all’URSS?

Questi segni di repentini capovolgimenti strategici erano sintomatici di una colloquio che

avveniva a più voci soltanto da una parte; dall’altra parte la voce era una e una sola: quella di

Josip Dziugashvili, Stalin.151

7.4. L’incontro dei tre ambasciatori con Stalin, 2 agosto 1948

Finalmente, il 2 agosto 1948, giungeva il giorno dell’incontro diretto con Stalin; dopo

alcuni convenevoli, volti a capire se i delegati occidentali, rappresentati dall’ambasciatore capo

delle tre nazioni alleate, avessero l’autorità di prendere delle decisioni per conto dei loro

rispettivi Paesi, Stalin, sollecitato a trovare una soluzione per il problema di Berlino,

snocciolava le questioni sul tappeto: si trattava di non applicare gli Accordi di Londra delle tre

potenze occidentali; di risolvere la questione della riforma monetaria, che non sarebbe più

dovuta essere nel senso dell’esistenza di due monete, una per la parte orientale e una per la parte

occidentale della Germania, cui se ne aggiungeva un’altra per Berlino; tale situazione non

deponeva bene per il futuro degli accordi con le potenze occidentali, ma la strada per l’accordo

continuava principalmente a passare per la non applicazione di quanto stabilito a Londra.

Tuttavia non era tutto: gli alleati occidentali avevano dato vita ad una nuova capitale tedesca,

Francoforte, con il risultato che non era possibile, come invece si sarebbe voluto fare, parlare

della questione della Germania nel suo insieme, se si fosse dovuta accettare l’esistenza di due

capitali, Francoforte e Berlino. Come sarebbe stato possibile? Al di là dell’aspetto di una

ritrovata armonia con i propri interlocutori, magari di facciata, ma pur sempre da valutare

positivamente, le presunte aperture di Stalin non vi erano state: netta era la sua posizione per

quanto riguardava il perdurare della questione degli accordi di Londra, nette erano le accuse per

la riforma monetaria e, in più, vi era adesso la questione della doppia capitale tedesca, che

andava contro l’idea russa di una Germania unita, magari sotto controllo sovietico. Ma questo

desiderio di Stalin cozzava duramente contro la volontà occidentale di riprendere il controllo di

Berlino, nonostante le affermazioni del dittatore sovietico, il quale riteneva che Berlino era nel

mezzo del territorio sotto diretta influenza sovietica e, in quanto tale, sarebbe dovuta ritornare

sotto il loro controllo. Nel dettaglio, la giornata, stando al resoconto dell’Ambasciatore Smith al

Segretario di Stato fatta il 3 agosto 1948, si era svolta così: l’ambasciatore Smith aveva aperto la

discussione, dicendo chiaramente che egli avrebbe parlato a nome delle tre potenze occidentali,

151

Frus, op.cit., ibidem, pagg. 996-998, «Smith/Marshall». Traduzione it. a cura di Serenella Dessì, cit.,

2014.

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in quanto ambasciatore delegato dalle stesse e che si sarebbe discusso della nota inviata dai

sovietici il 14 luglio precedente; una nota, lo si ricorda, in cui gli occidentali venivano accusati

di essere coloro i quali avevano causato, con le loro azioni e a causa del varo della riforma

monetaria, la reazione sovietica (che era consistita nell’apposizione di palloni nell’autostrada fra

Berlino ed Helmstedt e nel blocco della linea ferroviaria fino a Marienborn). Ebbene, adesso,

dopo diversi giorni di stallo e a circa un mese e mezzo dal blocco, si voleva discutere nel

dettaglio quella nota sovietica. La risposta iniziale di Stalin, invitato a prendere parola per

primo, era stata quella di chiedere loro se avessero l’autorità, conferitagli dai rispettivi governi,

per negoziare. Prontamente, Smith gli rispondeva che essi (gli occidentali) non si trovavano lì

per negoziare con lui, ma che il loro ruolo era semplicemente quello di trovare una formula per

poter negoziare successivamente. Questo significava che gli ambasciatori non avevano il

compito di parlare a nome dei rispettivi governi: era una forma di deferenza nei confronti di

Stalin, ma, a ben vedere, era anche un modo per apprendere da lui le sue intenzioni, lasciando ai

rispettivi governi la facoltà di decidere cosa fare e come accordarsi con l’URSS. Infatti, Stalin

apriva subito la discussione chiedendo se loro, gli ambasciatori, fossero pronti a discutere della

questione tedesca. Quindi non solo Berlino, ma tutta la Germania. La risposta era stata che gli

ambasciatori, pur non autorizzati a prendere decisioni per i loro governi, erano comunque

interessati a sentire Stalin sull’argomento. Così Stalin, dopo aver rilevato come quell’incontro

non fosse particolarmente usuale in quanto avveniva con dei rappresentanti delle varie potenze

(non è casuale che egli chiedesse varie volte, nel corso della riunione, “che tipo di autorità essi

avessero” per trattare direttamente con lui), ribadì il suo punto di vista, che riguardava

inizialmente la questione del blocco di Berlino. Questo era stato causato da alcuni fattori, come:

1) ragioni di natura tecnica; 2) a causa del fatto che una grande quantità di viveri e generi di

altro tipo si stava muovendo in continuazione verso i settori occidentali fino anche a uscire dalla

città; 3) a causa delle decisioni di Londra e, in modo particolare, delle decisioni prese che

avevano portato alla riforma monetaria e all’introduzione nei settori di Berlino ovest di una

valuta occidentale. Quindi, Stalin rilevava come per i sovietici fosse assai rischioso il fatto di

ritrovarsi con una valuta occidentale dentro Berlino, che al tempo stesso si trovava nel bel

mezzo del settore sovietico. Questa mossa aveva avuto l’effetto di turbare l’economia di quella

zona; pertanto le autorità, sovietiche, militari e non, stavano solo difendendo legittimamente i

loro interessi in quella zona e in quei settori di loro pertinenza. Pur riconoscendo che, dal

momento che vi era stata una presenza costante da parte degli alleati del Quadripartito (quando

questo era ancora in vita), era naturale la presenza di truppe occidentali a Berlino, comunque

adesso si sarebbe dovuto riconoscere che la città si trovava all’interno del settore sovietico e

quindi non vi era la possibilità, per gli occidentali, di impossessarsi - come era stato fatto -

dell’economia di una zona che non era di loro pertinenza, anche se Berlino era la capitale della

Germania, volendo considerare la questione tedesca nella sua interezza e il conseguente diritto

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“naturale” degli occidentali di gestire alcuni settori di essa. Tuttavia, (e qui si tornava al leit

motiv della Conferenza di Londra) proprio a causa delle decisioni prese a Londra, si stava

procedendo a dividere la Germania in due parti. Una delle conseguenze delle decisioni prese a

Londra, infatti, era stata proprio il conferimento alla città di Francoforte del ruolo di capitale

della parte occidentale della Germania. Nella visione di Stalin dell’organizzazione politico-

istituzionale tedesca, una visione unitaria, non poteva esistere uno stato tedesco con due capitali.

Ma, più che l’aspetto giuridico relativamente all’assetto più o meno unitario da conferire al

futuro stato tedesco, a lui interessava la giustificazione giuridica della permanenza delle truppe

occidentali a Berlino, dal momento che proprio i governi occidentali avevano sponsorizzato la

nascita di una nuova capitale, facendosi essi stessi precursori e padrini della futura Germania

Ovest. Era questo il senso con cui si sarebbe dovuta intendere la nota sovietica del 14 luglio

precedente. Quindi, non vi era ragione, per Stalin, di allarmarsi: si trattava solo di misure

precauzionali che, tra l’altro, erano state prese in risposta alle misure stabilite dagli occidentali,

che si erano pure creati un’altra capitale in Germania e che però volevano anche restare a

Berlino, nonostante questa città ricadesse interamente nella zona di influenza sovietica, luogo in

cui i sovietici si trovavano fin dal 1945.

7.5. Andamento dei colloqui fra Stalin e gli occidentali

Conseguenza diretta del ragionamento di Stalin era quella di domandarsi: “Come poteva

Berlino essere la capitale dell’intera Germania se proprio gli occidentali, istituendo Francoforte

come capitale, avevano di fatto creato due Germanie? Berlino doveva essere capitale di

entrambe? Questo il ragionamento del dittatore sovietico. Il quale aggiungeva che non era

minimamente intenzione dei sovietici cacciare da Berlino gli occidentali, anzi che questo non

sarebbe successo nemmeno se non vi fosse stato più alcun accordo fra i sovietici e gli

occidentali e nemmeno se i sovietici fossero rimasti da soli a gestire la città. Egli voleva solo

mettere in luce quelle che erano le posizioni giuridiche ufficiali a giustificazione del blocco,

ribadendo in continuazione come esso si fosse reso necessario per via dell’introduzione di due

monete separate per due zone di influenza differenti, una orientale e una occidentale. A queste,

inoltre, si discuteva addirittura di aggiungerne una terza, una moneta speciale per Berlino.

Ebbene, questa situazione non era più tollerabile. A queste contestazioni si aggiungevano le

consuete rimostranze relativamente alle decisioni di Londra e alle due capitali tedesche,

soluzioni entrambe invise al dittatore. La reazione degli alleati si concretizzava quasi

esclusivamente in una tattica attendista in cui, da un lato vi era attenzione a quanto diceva Stalin

in proposito, che era il motivo principale per cui gli occidentali avevano inviato degli

ambasciatori e non degli incaricati ufficiali o plenipotenziari, come si sarebbe dovuto fare in

casi come questi. Proprio a causa di ciò, nella sua nota, l’Ambasciatore Smith evidenziava come

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essi (gli ambasciatori delle tre potenze occidentali) non avessero alcuna autorità per dire a Stalin

quando e in che misura riaprire un dialogo con i sovietici qualora avessero tolto il blocco dalla

città e fossero cessate le misure particolarmente restrittive nei confronti degli occidentali. A

questo punto, l’Ambasciatore Smith ringraziava Stalin della chiarezza con la quale aveva

presentato i problemi esistenti ancora fra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica; e

che, pur restando diametralmente opposte, le posizioni dei due principali contendenti si

sarebbero potute discutere da adesso in avanti più amichevolmente insieme, non come era stato

fatto in passato,in cui le posizioni erano rimaste perennemente distanti e si era sempre proceduto

in assenza di chiarezza. La proposta in esame era quella per cui si sarebbe dovuto procedere al

simultaneo ritiro della moneta occidentale quale contropartita del ritiro del blocco di Berlino. A

questo punto veniva fuori la personalità controversa e l’arroganza di Stalin. La merce di

scambio non era la moneta (e quindi la riforma monetaria nel suo complesso), ma le decisioni

prese nel corso della Conferenza di Londra. Soltanto un congelamento delle decisioni prese a

Londra, una loro disapplicazione, fino alla cancellazione totale di quelle decisioni tripartite, che

stavano dando vita alla nuova capitale tedesco-occidentale, Francoforte, avrebbe potuto avere

come effetto il simultaneo scioglimento del blocco. Tra gli ambasciatori occidentali presenti alla

discussione, l’ambasciatore britannico, Roberts, prendeva la parola e spiegava come si trovasse

totalmente d’accordo con l’ambasciatore USA Smith in merito alle questioni da lui sollevate e

alla reazione circa le risposte date da Stalin. Ebbene, Roberts insisteva sul fatto che era stata

trovata una importante base per riprendere i colloqui est/ovest, grazie anche alla disponibilità di

Stalin in questo senso, ma che - come del resto aveva già spiegato a Molotov un paio di giorni

prima - il suo governo avrebbe voluto affrontare la questione progressivamente, partendo dalle

proposte più urgenti, quale ad es., la riforma monetaria. A questa posizione faceva eco

l’ambasciatore francese, che si dimostrava totalmente d’accordo su questo punto. La posizione

di Stalin, però, rimaneva ferma: faceva delle concessioni agli occidentali quando affermava che

effettivamente non tutto quello che era stato deciso a Londra avrebbe potuto costituire una

ragione di discussione prioritaria rispetto ad altre. Tuttavia, gli era sembrato che Roberts e il

delegato francese, con le loro affermazioni relative alla ricerca di un accordo progressivo con i

sovietici, non tenessero in minima considerazione l’aspetto delle decisioni prese nel corso della

Conferenza di Londra come il punto principale in agenda; si sarebbe dovuto, secondo il

dittatore, procedere immediatamente alla rimozione delle decisioni prese a Londra, in

particolare quelle relative alle due capitali tedesche, altrimenti, se i sovietici si fossero trovati, a

tal proposito, messi di fronte al fatto compiuto, da parte degli occidentali, ogni tentativo, ogni

sforzo da parte degli americani o dei loro alleati per convincere i sovietici a togliere il blocco,

sarebbe risultato vano e non vi sarebbe stato più nulla da discutere con essi. L’Ambasciatore

USA, a nome delle tre potenze, sosteneva allora che la questione non doveva essere vista alla

luce delle divergenze ancora esistenti fra i rispettivi governi. Secondo Smith, infatti, bisognava

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considerare che non vi era alcuna ipotesi di creazione di un parlamento occidentale e che fino a

quel momento non era stata presa nessuna decisione che riguardasse un governo centrale

tedesco, che non fosse stata adeguatamente discussa fra le potenze componenti il quadripartito.

Quindi le accuse in questo senso erano palesemente infondate. Oltretutto, nei periodi trascorsi

erano state messe in atto delle misure, da parte degli alleati occidentali, che erano

dichiaratamente difensive, così come difensive erano le misure messe in atto dai sovietici. Non

vi era stata alcuna misura presa per ingenerare tensioni fra i due blocchi, tensioni che non

avessero una ragione specifica o che non fossero conseguenza di qualcosa d’altro. Erano due le

questioni su cui veramente si sarebbe dovuto dibattere: a) la riforma monetaria; b) il blocco di

Berlino. Questi erano i punti che sarebbero dovuti essere all’ordine del giorno delle discussioni

quali felici conseguenze di una ritrovata intesa quadripartita. Soltanto di questo si sarebbe

dovuto parlare. La critica di Stalin si faceva sempre più arguta ed essenziale, nel momento in

cui, pur elogiando gli alleati per l’organizzazione di un ponte aereo che avrebbe sfamato i

berlinesi e portato loro ogni sorta di generi di prima necessità, sosteneva che un ponte aereo a

Berlino non si sarebbe dovuto fare. Non lo si sarebbe dovuto fare per via degli incidenti che

erano già successi e che sarebbero ancora accaduti. Quindi proponeva di sedersi nuovamente al

tavolo dei negoziati tutti insieme, in una sorta di ristabilimento del quadripartito, e ridiscutere

insieme le intese sui punti fondamentali delle questioni irrisolte, cioè il blocco della città e la

questione della nuova valuta. Se si fosse affrontato il problema con spirito costruttivo, i

problemi dell’abbattimento del blocco e della valuta sarebbero stati immediatamente e

simultaneamente risolti.

7.5.1. Vero ruolo dei delegati occidentali nei “negoziati” con Stalin

Il ruolo degli altri ambasciatori presenti a quell’incontro era essenzialmente di supporto

alle decisioni prese dai delegati occidentali, anche se l’impegno che essi prendevano era quello

di informare i loro rispettivi governi circa le possibilità di un ritrovato dialogo a quattro con i

sovietici. Anche lo stesso Molotov, anch’egli presente alla riunione con Stalin confessava di non

avere ben chiaro cosa intendesse fare l’ambasciatore statunitense. Tuttavia, era auspicabile, da

parte di tutti, che venisse al più presto raggiunto un accordo, un accordo che fosse soddisfacente

per tutti. Pena ne sarebbe stata l’impossibilità di procedere su questa scia.

7.5.2. Impossibilità di un accordo. Infondatezza delle proposte

L’accordo che piaceva ai sovietici era quello secondo cui si sarebbero: 1) bloccata la

riforma monetaria; 2) azzerate le decisioni della Conferenza di Londra, tra cui vi era quella che

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stabiliva Francoforte capitale di uno stato della Germania occidentale. Potevano,

realisticamente, gli americani accettare questo tipo di condizioni? Cosa sarebbe successo se

fossero andati via dalla Germania? Che cosa sarebbe stato di una Germania unita proprio

secondo i desiderata di Stalin? Quest’ultimo, oltretutto, malcelava le intenzioni di avere in

serbo per un futuro stato tedesco il destino di “satellite” sovietico, come si è già avuto modo di

ricordare. Un satellite che era nel cuore dell’Europa. Erano condizioni inaccettabili

realisticamente. Non vi era nulla da fare: anche il modo di contrattare, fra USA e URSS, non era

più quello fra alleati o ex-alleati, ma fra nemici che si detestavano cordialmente e che si

trovavano allo stesso tavolo per cercare di trovare un’intesa che evitasse una guerra. Forse era

così già da tempo, forse no. Sta di fatto che in quel momento Stalin stava dettando le condizioni

di un’intesa ai governi occidentali, che a loro volta, mandando gli ambasciatori, non stavano

trattando, ma solo ascoltando il Generalissimo, cercando di capire quali fossero le sue reali

intenzioni.

7.5.3. Le reali intenzioni di Stalin al tavolo con gli alleati

Sintetizzando il pensiero di Stalin, questo quindi si fondava su due punti importanti: A)

contemporanea abolizione di ogni misura di blocco verso la città di Berlino e al tempo stesso

abolizione della riforma monetaria con il Marco-B nella zona di Berlino che sarebbe stato

sostituito dal Marco sovietico già in voga in quel settore della città. B) assicurazione di un

mutamento in positivo delle decisioni prese nel corso della Conferenza di Londra, mutamento

che, ovviamente, prevedeva l’abbattimento o il congelamento della decisione della creazione di

una capitale tedesca dell’ovest (Francoforte), almeno fino a quando le quattro potenze si

sarebbero nuovamente incontrate. A questo proposito, Smith introduceva una nota, nella quale

esplicitamente affermava queste parole: “probabilmente lui (Stalin) ha capito che ci saremmo

(noi, come quadripartito) incontrati di nuovo” per discutere delle strategie sulla Germania.

Probabilmente era un modo, quello dell’ambasciatore americano Smith, di indicare al suo

superiore, al Segretario di Stato Marshall, che non aveva contravvenuto ad alcuna indicazione

proveniente da Washington: era stato Stalin a capire che ci si sarebbe potuti incontrare

nuovamente, poiché nessuno, tra gli ambasciatori occidentali ivi presenti, doveva aver indicato

una soluzione di questo tipo. Era anche questo un segno delle tensioni esistenti al momento:

l’ordine doveva essere quello di ascoltare Stalin, senza proporgli nulla, tantomeno un ritrovato

entente cordiale. Tuttavia, in quel momento Stalin aveva ben capito che, per negoziare con gli

occidentali, avrebbe dovuto sbottonarsi sulle questioni dirimenti, che allora stavano

interessando le parti in causa. E, se si pensa bene a quante questioni vi erano sul tappeto, si può

dire che la diplomazia aveva il suo bel daffare. Infatti, non solo vi era ancora la vicenda della

valuta, ma vi era anche quella dell’unificazione tedesca, che Stalin avrebbe voluto, a differenza

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degli occidentali, che invece parteggiavano per la separazione delle due Germanie; poi vi era la

questione della capitale occidentale della Germania (Francoforte), invisa ai sovietici; e, sullo

sfondo, il luogo, il topos, in cui tali decisioni erano maturate: la Conferenza di Londra, ormai

vero e proprio refrain. Ebbene, nel corso dell’incontro del 2 agosto ‘48, Stalin aveva focalizzato

il suo intervento sulla possibilità che gli occidentali creassero un governo nelle zone sottoposte

al loro controllo: erano in corso, infatti, proprio in quei giorni, delle consultazioni fra gli alleati

relative alla possibilità di creare un governo nelle parti occidentali della Germania, con un

parlamento che si sarebbe riunito il 1° settembre successivo. Se tale decisione fosse stata presa,

allora, ribadiva Stalin, non vi sarebbe stata più alcuna possibilità di trattare con i sovietici.

Questo era il pensiero del dittatore sovietico, mentre proprio l’ambasciatore USA sosteneva che

avrebbe riportato le proposte staliniane a Washington, senza promettere nulla, anzi

evidenziando come sarebbe stato veramente difficile, per il suo governo, accettarle. Era forse un

modo, questo di “dettare le condizioni”, per Stalin di restare al centro della scena, senza farsi

“mettere all’angolo” dagli ambasciatori occidentali, quindi da semplici delegati che, tutto

sommato, non avevano nemmeno il compito di trattare, ma solo di riportare il suo pensiero e i

suoi orientamenti sulla questione di Berlino. Ma gli ambasciatori, per quanto semplici incaricati

dai loro governi e quindi dagli stessi non considerati dei plenipotenziari, erano comunque al

cospetto del “Generalissimo” per ribadire le posizioni su cui gli occidentali concordavano e che

lui, Stalin, conosceva molto bene. Il fatto, poi, che frutto principale degli accordi presi nel corso

della Conferenza di Londra fosse la creazione di una capitale della Germania dell’ovest,

Francoforte, ciò non significava affatto che sotto questa capitale sarebbero rientrate anche le

zone dell’est. Quindi, spiegava l’ambasciatore, non vi era da parte degli occidentali alcuna

ingerenza sulle zone gestite dai sovietici. A suscitare il disappunto di Stalin, il quale avrebbe

detto che quello era stato un incontro cui si era parlato di “disaccordi insignificanti”, da poter

tranquillamente discutere all’interno di un consiglio dei ministri degli esteri, era, a ben vedere,

proprio il fatto che la capitale di una parte occidentale della Germania fosse stata chiaramente

individuata e fosse ben netta la volontà degli occidentali di non retrocedere su questo punto. Era

ciò che Stalin meno desiderava: la creazione di due Germanie con una capitale dell’ovest;

significava per i sovietici dare l’addio a quella parte della Germania che più gli interessava dal

punto di vista delle ricchezze del sottosuolo, la Renania. E che gli avrebbe garantito una

cospicua parte delle riparazioni di guerra, altra questione sul tappeto. Infatti, proprio per questo,

dopo aver sminuito il significato di quell’incontro, era passato ad indicare le questioni che,

secondo lui, sarebbero state da mettere al centro dell’agenda da quel momento in avanti e cioè:

1) riparazioni di guerra. Queste sarebbero dovute spettare principalmente a coloro che erano

necessitati a chiederle. Stalin sosteneva che vi erano state nazioni che avevano sostenuto

maggiormente il peso della lotta contro la Germania nazista e che sarebbe stato giusto

risarcire, chiedendo pesanti riparazioni, in modo tale da scoraggiare definitivamente una

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politica di aggressione verso altre nazioni, da parte di soggetti militarmente meglio

organizzati.

2) Smilitarizzazione. Questo era un processo che non era ancora stato portato a compimento.

3) Formazione di un governo tedesco. Le quattro potenze avevano preso tutte insieme

l’obbligo di non dare vita a governi separati, ma di creare un solo governo centrale

tedesco. Le decisioni prese nel corso delle conferenze di Yalta e di Potsdam non avevano

mai fatto riferimento all’eventualità di dare vita a dei governi tedeschi separati. Così come

non si sarebbe dato vita a quattro governi con quattro valute differenti, lo stesso non si

sarebbe dovuto fare adesso, nel mutato clima internazionale, che vedeva le sole due

superpotenze nucleari al centro della scena: quindi, non si sarebbe dovuto nemmeno fare,

mutatis mutandis, un doppio governo tedesco con due capitali. Il governo sovietico aveva

avuto molta pazienza da quando era divenuto evidente che presto sarebbe stato creato un

governo separato nelle zone occidentali della Germania, con una valuta separata. Si

sarebbe organizzato, da parte sovietica, una valuta per le zone orientali, ma non avrebbero

voluto essere costretti a porre in essere un vero e proprio governo della Germania

orientale. Si sarebbe dovuto presto discutere della questione tutti insieme e, se l’obiettivo

era questo di un governo tedesco dell’ovest, semplicemente non si sarebbe dovuto fare,

per nessuna ragione.

4) Trattati di pace.

5) Controllo della Ruhr. Al proposito, erano state prese alcune decisioni unilaterali proprio a

Londra.

Stalin aveva quindi detto che se si fosse davvero voluto riprendere un dialogo con i

sovietici, non ci si sarebbe dovuti discostare da questi punti. Infine concludeva dicendo che i

sovietici non avevano nessuna intenzione di cacciare gli occidentali da Berlino. Ma, come si usa

dire, excusatio non petita, accusatio manifesta, i sovietici, tutt’altro che inconsciamente,

stavano già cercando di cacciare gli alleati da Berlino (e, se fosse loro riuscito, dall’intera

Germania). L’ambasciatore USA sosteneva quindi, che non sarebbe stato possibile avviare

alcuna intesa fra le potenze, almeno fino a quando le condizioni di scontro e di estrema durezza

da parte dei sovietici nei confronti degli occidentali fossero durate. Ribadiva inoltre che non era

a causa delle decisioni prese nel corso della Conferenza di Londra che si era creato quel clima di

scontro, fino ad arrivare all’apposizione del blocco e del ponte aereo per Berlino. Le questioni

erano, fondamentalmente, due: il blocco della città e la valuta occidentale. Su questi due

argomenti ci sarebbe stato spazio per avviare uno scambio fra est e ovest, null’altro. Stalin

ripeteva che bisognava abolire il Marco-B circolante a Berlino e sospendere l’applicazione delle

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decisioni prese nel corso della Conferenza di Londra; se fosse stato fatto ciò, non vi sarebbero

stati più problemi e sarebbe stato tolto il blocco verso la città. Stalin, al tempo stesso si

dimostrava compiacente con gli ex-alleati, quando affermava che la questione del ritardo circa

l’applicazione di un governo della Germania dell’ovest si sarebbe potuta discutere

confidenzialmente senza alcuna nota scritta, aggiungeva anche che non era sua intenzione di

imbarazzare nessuno e quindi, se si fosse addivenuti ad un accordo, bene. In caso contrario si

sarebbe continuati ad andare avanti così. Ma che non si pensasse che era intenzione dei sovietici

quella di porre in essere delle manovre che avrebbero potuto portare ad un conflitto con gli ex

alleati. Loro intenzione era di cercare il dialogo e non lo scontro. L’Ambasciatore USA, a

questo punto, ribadiva di essere un semplice referente del suo governo e che, dunque, non

poteva decidere o promettere che quanto stabilito a Londra fosse disapplicato. E, anche se Stalin

interveniva dicendo che a lui sarebbe solo interessata la disapplicazione di una parte delle

decisioni prese a Londra, non di tutte (era evidente che a lui principalmente dava disturbo la

capitale a Francoforte di una Germania dell’ovest), l’ambasciatore USA sosteneva che la

questione delle decisioni prese a Londra, difficilmente avrebbe potuto essere oggetto di

revisione da parte del suo governo, al quale, comunque, l’Ambasciatore avrebbe riferito sugli

sviluppi in proposito. Gli faceva eco l’ambasciatore inglese, Roberts, il quale sosteneva di non

trovarsi, anch’egli, nella condizione di poter discutere le decisioni prese a Londra, in quanto

questa sarebbe stata una specifica competenza dei ministri degli Affari Esteri, non tanto di un

conclave di ambasciatori, dunque. Quindi, sosteneva che le loro mire, quel giorno erano molto

meno ambiziose di quanto forse stesse pensando Stalin. Essi (gli occidentali, dunque) volevano

soltanto creare le condizioni perché riprendesse un dialogo fra le potenze, tutto qui. Agli

occidentali premeva che si togliesse il blocco da Berlino e ai sovietici che si togliesse il Marco-

B dalla circolazione nella capitale tedesca. Quindi, se si fosse voluto discutere, si sarebbe

dovuta affrontare la questione in modo concreto e al tempo stesso fruttuoso per ambedue le

parti. Quindi interveniva l’Ambasciatore francese per affermare che sarebbe stato possibile

raggiungere un’intesa per oggi (“oggi o al massimo domani”, come ebbe a dire,

interrompendolo, Stalin). Dopo aver visto Stalin e Molotov scambiarsi delle opinioni nella loro

lingua, (dai gesti, dalle espressioni del volto dei due russi, tutti ebbero l’impressione che

l’accordo sarebbe stato molto di là da venire), gli occidentali ricevettero la proposta di

incontrarsi nuovamente l’indomani. Era evidente che Stalin aveva la volontà di trattare, anche se

solo su alcuni punti e sulle questioni che più lo interessavano, cioè l’abolizione delle decisioni

della conferenza di Londra e il Marco-B. Quindi, le condizioni di Stalin erano le seguenti:

1) abolizione del Marco-B, contestuale ripristino del Deutsche Mark a Berlino e contestuale

rimozione del blocco in entrata e uscita per e dalla città.

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2) In secondo luogo, non dovevano essere ancora i sovietici a continuare a richiedere che

venissero rimosse le decisioni prese nel corso della Conferenza di Londra. L’averle

chieste sempre loro continuativamente li aveva messi in condizioni di grande difficoltà.

Qualora si fossero affrontati questi punti, Stalin si diceva dunque disponibile ad

incontrare l’Ambasciatore americano anche il giorno dopo. Quindi l’ambasciatore USA

chiedeva a Stalin se avesse desiderato procedere alla ridiscussione di tutti i problemi e le

questioni “a quattro”, ivi comprese tutte le questioni relative alla Germania, che ancora

dovevano essere affrontate. Stalin rispose affermativamente. Era, nelle intenzioni degli USA, la

rinascita del Consiglio di Controllo Alleato. Ma la diffidenza verso Stalin era d’obbligo, in quel

momento. I tre rappresentanti delle potenze occidentali concordavano sul fatto di riferire ai loro

rispettivi governi delle questioni discusse con Stalin, di ciò che egli desiderava, di quali erano le

sue posizioni, e che quindi si sarebbero potuti rivedere successivamente, sempre che i rispettivi

governi avessero disposto in tal senso. L’incontro si chiudeva, dunque, in un’atmosfera di

cordialità e amicizia. Si concordava l’emanazione di un comunicato con il quale veniva detto

nient’altro se non che Stalin aveva ricevuto intorno alle 9.00 di mattina gli ambasciatori delegati

delle potenze occidentali e che l’incontro era durato circa due ore.152 Questa era stata la cronaca

degli avvenimenti del 2 agosto ’48, come riportata nel telex «Smith/Marshall» il giorno

successivo. Stalin aveva gettato la maschera. Si era trattato del primo incontro dopo la fine del

quadripartito fra gli occidentali e il dittatore sovietico, la prima occasione di parlare

direttamente con il responsabile del destino di un’intera parte della Germania. Lo ricordiamo,

solo per inciso, l’unico vero responsabile, fino a quel momento; l’interlocutore per antonomasia

degli Stati Uniti. Lo stesso giorno del primo resoconto, Smith inviava, il 3 agosto 1948, un altro

telex per Marshall e Charles Bohlen. In questo, l’ambasciatore americano riferiva di una

partecipazione all’incontro molto cordiale da ambedue le parti, ma evidenziando anche come

fosse una tattica tipica dei sovietici quella di circuire l’interlocutore con messaggi distensivi,

una tattica che, però, nascondeva altri intenti, come quelli di confondere e spiazzare

l’avversario. Aggiungeva anche che Roberts e Chataigneau, gli ambasciatori britannico e

francese, non avevano avuto un ruolo particolarmente attivo, secondo le istruzioni che Bevin

aveva dato al primo; quindi, non avevano aiutato, ma nemmeno intralciato. Media via neque

amicos parat, neque inimicos tollit. Tuttavia, le previsioni erano non molto buone, per non dire

pessime. Si trattava, appunto di una finzione sovietica, secondo le interpretazioni

dell’ambasciatore statunitense, evidentemente molto prudente nel confermare di essere convinto

di ciò che egli stesso aveva appena detto, cioè dell’esito particolarmente cordiale dell’incontro e

della volontà di tenerne un altro, qualora i governi avessero acconsentito. La dichiarazione

152

Frus, freq. cit., ibidem, pagg. 999-1006, «Smith/Marshall», 3 agosto 1948.

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secondo cui “sembrava una finzione e di finzione temo proprio che si tratti”, riferita ai sovietici

era funzionale al clima di reciproca sfiducia esistente in entrambi gli schieramenti. Si era trattato

di un tentativo, da parte americana, di vedere cosa si agitava nella mente, cangiante, di Stalin. E

Stalin aveva risposto chiudendosi ermeticamente dietro le solite proposte di collaborazione,

lanciandosi in richieste che sapeva molto bene non sarebbero mai state accolte. Questo era il

livello dei negoziati a circa un mese e mezzo dal blocco di Berlino. Sperare in un successo dal

cui esito sarebbe potuto dipendere il fatto di togliere il blocco alla città, sarebbe stato vano, fino

a quel momento. Era stato fatto un tentativo, da parte sovietica, di dare vita ad un blocco

socialista, cosa che si era vista anche con l’appoggio indiretto, nella primavera precedente, al

colpo di stato in Cecoslovacchia. Ma era un tentativo riuscito solo in parte. L’esistenza stessa

del blocco, per essere efficace, non avrebbe potuto che riguardare anche quella parte di Europa,

quella occidentale, in cui maggiori erano le ricchezze da cui i sovietici avrebbero potuto trarre

vantaggio. E non era solo una questione di riparazioni dai danni di guerra.

7.6. Il rischio di una sovietizzazione in Europa

Ma questa posizione sovietica, o meglio, il rischio di sovietizzazione dell’Europa

occidentale era tenuto ben presente nella mente degli alleati occidentali nel ’48. La politica di

containment occidentale, di fatto, era riuscita perché il Piano Marshall (che era continuazione

dell’UNRRA, successivamente dell’E.R.P.) aveva gettato sull’Europa piena di macerie, la

risorsa più risolutiva rimasta in mano agli Stati Uniti: un modello di democrazia e prosperità dei

consumi che offriva un ristoro dopo le sofferenze patite dagli europei nel corso della guerra.

7.7. La reazione dell’economia e della politica europee agli effetti benefici del

piano Marshall

La reazione dei governi europei a questo fiume di denaro e aiuti che gli USA riversarono

sul Vecchio Continente era stata particolarmente felice: Londra e Parigi, per primi, avevano

intuito quale fosse il reale spazio apertosi grazie all’offerta americana (il coordinamento degli

aiuti USA ai sedici paesi aderenti al Piano Marshall) e si gettarono nell’impresa. Fra il 1948 e il

1951 gli USA elargirono aiuti gratuiti per 13.000.000.000 di dollari, allentando, così, il vincolo

della valuta sulle importazioni dall’Europa agli USA. Così gli investimenti si svilupparono e

diedero vita ad un boom economico che in Europa sarebbe durato un trentennio, in condizioni

tali da evitare dinamiche da conflitti sociali e politici. Tra il 1947 e il 1950 il PIL dell’Europa

occidentale era cresciuto del 30%. In questo contesto europeo particolarmente felice ciascun

governo aveva trovato il proprio percorso di crescita economica: dalla politica italiana di

stabilizzazione della lira a quella laburista di nazionalizzazione e spesa sociale in Gran

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Bretagna. Gli USA, dunque, ponendosi come creditori e garanti di un lungo periodo di ripresa

dell’Europa occidentale, riuscivano in questo modo ad avviare una riorganizzazione del

continente, sotto la propria egida, cosa che creava delle ragioni e delle basi più solide per quella

strategia del containment anticomunista di cui si è parlato.

7.8. L’inasprimento del confronto bipolare

Tuttavia, sulle prime battute, il conflitto politico si andava inasprendo. Fra l’autunno del

’47 e la primavera del ’48 (grosso modo il periodo precedente al blocco di Berlino, in cui si

andava deteriorando l’alleanza a quattro, il “quadripartito” delle potenze che avevano insieme

dato vita al controllo della Germania), vi erano state tutta una serie di manifestazioni

antiamericane, che erano diretta conseguenza dei diktat di Mosca ai partiti comunisti

dell’Europa occidentale; ebbene, tali partiti, finanziati dalla Russia, seguivano una strategia

funzionale ai dettami di Stalin: non era possibile, per essi, discostarsene. Il risultato era che una

politica così lontana dalla realtà che l’Europa viveva in quel momento (una realtà

drammaticamente presente nelle macerie e nella povertà, eredità del conflitto bellico), era

funzionale solo agli interessi del Cremlino e della fortuna politica di molti uomini politici in

occidente, ma fondamentalmente si trattava di una politica schizofrenica e palesemente

inadeguata, che avrebbe lasciato uno strascico di ostilità nei confronti degli Stati Uniti, negli

anni a venire. Così, tra i Paesi “satelliti” dell’URSS, nel marzo ’48 i comunisti cecoslovacchi

lanciavano tutta una campagna di espropri e nazionalizzazioni, assumendo poi in quel Paese il

controllo della polizia e arrestando tutti gli oppositori. Questo avveniva mentre le truppe

sovietiche avanzavano verso il confine cecoslovacco, gli altri ministri si dimettevano per

protesta e venivano sostituiti da ministri comunisti. Il colpo di stato in Cecoslovacchia segnò,

agli occhi degli occidentali, quello che era il reale clamore suscitato dalla svolta staliniana in

Europa orientale, con l’effetto di suscitare, a occidente, shock e paura a causa di queste azioni.

Poco più di un mese dopo questi fatti, nelle elezioni italiane del 18 aprile 1948, i partiti di centro

che sostenevano la coalizione di De Gasperi aderivano al Piano Marshall, e relegavano la

sinistra comunista ad una lunga opposizione.153 La quasi contemporaneità delle vicende di

Cecoslovacchia e Italia del periodo marzo/aprile 1948, erano un segnale del rapido consolidarsi

153

Cfr. Romero, Storia della guerra fredda, Einaudi, cit., 2009. Effettivamente, nel nostro Paese si

ebbero diversi governi a guida monocolore DC, per aprirsi a governi “di collaborazione” con alcuni partiti di ispirazione liberale. Solo verso la seconda metà degli anni ’70 la sinistra tornerà ad essere un partito “di governo” grazie al «compromesso storico» tra le forze della DC e quelle del PCI, che non avrebbe voluto governare il Paese con il 51% dei consensi, sufficienti per governare, forse, ma non per durare a lungo e fare “da collante” ad una società politicamente in subbuglio e frammentata come quella italiana di quel periodo. Oltre a ciò, l’Italia sarà comunque, da quando entrerà a fare parte della N.A.T.O., un paese “a sovranità limitata”, non totalmente autonomo e vincolato ad un patto di fedeltà indissolubile con gli alleati occidentali, Stati Uniti in testa.

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dei due blocchi contrapposti.

7.9. Il “topos” della guerra fredda in Europa, la Germania

Tuttavia, il fronte più importante, il topos centrale in cui si realizzava la disputa fra le due

superpotenze, per quanto riguardava i confini ad est, era la Germania. Da qui passava la linea

immaginaria «Oder/Neisse» e la cortina di ferro calata «da Stettino a Trieste» suscitava le

preoccupazioni degli alleati occidentali. Il progetto, mai abbandonato, dell’istituzione di uno

stato della Germania occidentale, era alla base della guida statunitense e a fondamento di una

politica statunitense di elargizioni nei confronti dell’Europa intera. Per la Germania, dunque,

passava più che un confine, passava proprio la stessa ragione dell’esistenza di una Europa

occidentale. La ragione stessa per la quale gli americani erano giunti da così lontano per

liberarla dall’orrore del nazismo. Non si poteva concedere ancora il terreno europeo alle

ideologie totalitarie; da questa presa di posizione passava il desiderio, da parte americana, di

non abbandonare Berlino in mano ai sovietici, il cui dichiarato intento era di “sbattere fuori” da

Berlino gli alleati occidentali. Tuttavia, per fare questo, bisognava, in qualche modo, armare la

Germania, la cui tradizionale bellicosità era nota ai francesi, che infatti ne avrebbero fatto

volentieri a meno.154 Si trattava quindi di rassicurare la Francia su questi aspetti, relativi a

irrisolte e annose dispute di confine, ormai anacronistiche nei rinnovati scenari del bipolarismo

USA/URSS. Il governo americano, dunque, avrebbe rassicurato quello francese, decretando che

le truppe statunitensi sarebbero rimaste a lungo nel territorio tedesco, a garanzia della stabilità

europea.

154

E’ noto come Francia e Germania abbiano rappresentato un rischio per lo “status quo” europeo,

contendendosi a lungo interi territori, come l’Alsazia e la Lorena. Se nel 1815 il timore era di un revanscismo napoleonico, negli anni a venire, con la battaglia e la resa francese di Sedan nel 1870 e il conseguente ingresso dei prussiani a Parigi, dove celebreranno l’unità tedesca nel 1871; con gli assedi vittoriosi tedeschi nelle trincee di Verdun nel 1916-17, nel corso della I^ Guerra Mondiale, quindi con il dilagare dei nazisti nel 1940-44 e con la creazione della Repubblica di Vichy, il problema, la vera spina nel fianco della Francia e dell’Europa era la Germania. Questo gli americani lo sapevano bene. Tuttavia, vi erano alcuni elementi di novità che rendevano le paure francesi della rinascita di un nazionalismo tedesco infondate: il primo elemento era l’annientamento degli armamenti tedeschi già nel corso della guerra; il secondo, era la rinuncia a “umiliare” la Germania come era successo dopo la I^ Guerra Mondiale, non chiedendole le riparazioni di guerra; il terzo elemento era la “sovranità limitata” tedesca, per cui era impossibile che la Germania avesse un esercito se non a scopi difensivi e all’interno di coalizioni internazionali o a guida sovranazionale, una condizione che, del resto, le è imposta in parte ancora oggi; il quarto elemento era una progressiva europeizzazione del bacino carbosiderurgico della Ruhr, che avrebbe consentito una gestione unitaria delle enormi ricchezze di quella zona; ricchezze che non sarebbero più state appannaggio della sola Germania, ma che, negli anni a venire, sarebbero state organizzate sotto l’Alta Autorità della CECA, dal 1951. Le paure francesi, date queste variabili, di un risorgere del militarismo tedesco, erano infondate. Prevalevano dunque, in un’ottica bipolare, le necessità dettate dalla guerra fredda e dal sorgere dei due blocchi. Se una Germania troppo forte avrebbe fatto paura ai francesi, una Germania troppo debole sarebbe stata facilmente inglobata nell’impero sovietico e lì fagocitata, ridotta a rango di stato-satellite a sovranità limitatissima. Un rischio che né gli USA, né l’Europa si sentivano di correre.

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7.10. Alleanze politico-militari in Europa occidentale

Quelle degli Stati Uniti non erano state le uniche reazioni da parte degli occidentali.

Anche la Gran Bretagna aveva fatto la sua parte, proponendo alla Francia e ai paesi del Benelux

un patto difensivo, firmato a Bruxelles nel gennaio 1948, la UEO (Unione dell’Europa

Occidentale), uno strumento di difesa comune contro l’URSS, ma concepito, almeno

inizialmente, anche in funzione antitedesca. Vi era, da parte americana, una duplice strategia: da

un lato vincolare gli europei, con la partecipazione dei tre alleati storici, Stati Uniti, Gran

Bretagna e Francia, in funzione anti-sovietica, per controllare al tempo stesso i tedeschi e i

sovietici. Dall’altro lato, la partecipazione di Stati Uniti e Gran Bretagna alla Carta Atlantica fin

dal 1941, aveva in qualche modo avuto l’effetto di consolidare le retrovie e azzerare la distanza

di oltre 5000 km fra Stati Uniti ed Europa. In questo senso, andavano incentivati i progetti di

alleanza atlantica, in modo da costituire un valido argine contro la superpotenza sovietica

continentale. Quindi, nella primavera del 1948, ad impensierire gli alleati occidentali era un

crescente antagonismo sul piano politico e ideologico, cosa che si riverberava nella gestione

quadripartita della Germania e di Berlino in particolare. Così, alla formalizzazione ufficiale del

Piano Marshall seguivano questioni di sicurezza sovranazionale, che andavano assumendo

sempre maggiore rilevanza.155

155

L’amministrazione Truman chiedeva sempre maggiori risorse per la difesa, dopo avere interrotto la

smobilitazione del patrimonio dell’esercito passato dagli 81 miliardi di dollari del 1945 ai 13 miliardi del 1947. Essa aveva finito con l’accettare le pressioni repubblicane, che richiedevano un maggior sistema di controllo sui dipendenti del governo degli Stati Uniti. Vi è da dire che, nonostante la carriera di Harry Truman fosse stata all’ombra di Roosevelt, per beneficiare poi della sua improvvisa scomparsa, quindi all’insegna della democratica “american way of life”, connotazione che fino ad allora era stata propria dell’America, appunto, democratica, dall’inizio della guerra fredda egli finì per incarnare un ideale del Presidente americano energicamente impegnato nella lotta contro le derive comuniste; in tale aspetto, si intravvedevano i caratteri di un tosto repubblicano, più che di un democratico. Ma tant’è. Del resto, l’anticomunismo americano, le esagerazioni granguignolesche del maccartismo, forse sarebbero potute nascere e svilupparsi solo in quegli anni. Resta la complessità del giudizio sulla persona, sull’uomo Truman: un democratico repubblicano, o un repubblicano democratico?

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CAPITOLO 8

LE REAZIONI DI STALIN

8.1. Le preoccupazioni del dittatore sovietico

Stalin aveva quindi i suoi motivi di preoccupazione. Gli Stati Uniti stavano guidando la

coalizione occidentale, con le importanti risorse rappresentate dal piano Marshall, e adesso

colonizzavano la parte più ricca della Germania, che non avrebbero mai concesso all’URSS. Sul

piano geopolitico extraeuropeo occidentale stava anche maturando la rottura con la Iugoslavia,

in quanto la politica di Tito veniva vista come un esempio di indipendenza da Mosca e, in

quanto tale, da condannare. Ecco che allora il dittatore sovietico aveva iniziato una campagna di

epurazioni nei confronti dei partiti comunisti dell’est, allo scopo di assicurarsene la totale

fedeltà; oltre a ciò, l’URSS aveva raddoppiato gli sforzi per la costruzione dell’atomica

sovietica e cercato di raddoppiare le forze convenzionali sovietiche fra il 1948 e il 1955. E

questo, in qualche modo, spaventava l’Europa occidentale. Il riarmo e il potenziamento bellico

sovietico mirava a costituire un deterrente molto efficace contro l’Europa continentale, verso la

quale dimostrava di avere delle mire espansionistiche.

8.1.1 Necessità di una azione che mirasse alla conquista della Germania

Tuttavia, era soprattutto in Germania che bisognava agire. Lì la prospettiva di un governo

tedesco occidentale e della riforma monetaria, stava evidenziando pericolosamente la rinascita

di una Germania militarmente forte e aggressiva. Per quanto, i sovietici e i comunisti tedeschi

mirassero a creare uno stato analogo nella parte orientale della Germania, essi avrebbero prima

esperito ogni azione, ogni mossa per cercare di far fallire i piani di potenziamento occidentale,

cercando di trovare il sistema di inglobare l’intera Germania nella loro sfera di influenza. Si era

così arrivati al blocco di Berlino, di cui si è detto. Infatti, la capitale dell’ex potenza nazista era

sembrato il luogo ideale dove agire; Berlino era, infatti, del tutto dipendente dai rifornimenti

sovietici, in quanto si trovava in una zona completamente circondata dalle armate sovietiche,

anche se di fatto era sottoposta ai settori militari di occupazione di tutte le potenze che avevano

partecipato alla sconfitta della Germania. Questioni strategiche, come si è detto in precedenza,

ma anche di fiducia e di prestigio militare, imponevano agli alleati occidentali di rimanere a

Berlino.

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8.1.2. La ribellione del Maresciallo Tito, “preoccupazione” di Stalin, coeva al blocco di

Berlino

Vi era stata una differenza di fondo nel comportamento di Stalin nelle due situazioni della

ribellione di Tito e del blocco di Berlino: infatti, se nel perdurare prima e nell’acuirsi poi della

crisi tedesca Stalin si era trovato a dover reagire, aveva invece il pieno controllo della situazione

iugoslava, da lui stesso creata. A Berlino lo scopo, peraltro dichiarato da Stalin, era quello di

infliggere una sconfitta agli americani, cosa che avrebbe incrinato la credibilità di questi quali

protettori dell’occidente. A Belgrado, invece, in gioco vi era la credibilità del dittatore sovietico

come signore indiscusso di tutta l’Europa orientale. Sembrava chiaro da più parti come, in caso

di vittoria, egli sarebbe riuscito ad affermare la supremazia sovietica in entrambe le parti del

continente, cosa che gli era sfuggita nel corso della Seconda Guerra Mondiale; in caso di

fallimento, però, non avrebbe fatto altro che rafforzare il predominio americano che ormai si

stava affermando nel corso della Guerra Fredda, spezzando l’unità del comunismo

internazionale.156 Anche perché gli alleati occidentali, Stati Uniti in primis, avevano deciso di

non sottomettersi affatto al blocco. Come si sarebbe agevolmente potuto affrontare, da parte

degli alleati il blocco di Berlino? La prima ipotesi, vale a dire quella di affrontarlo con unità

militari, era subito stata scartata, in quanto avrebbe ingenerato una guerra in cui l’Unione

Sovietica sarebbe potuta dilagare in tutta Europa. Così, era diventato chiaro fin da subito come

l’unica strada percorribile sarebbe stata quella di affrontare il blocco per via aerea157 come, in

realtà, sarebbe avvenuto.

8.1.3. Interpretazione del blocco di Berlino da parte di Stalin

Il blocco di Berlino aveva avuto inizio in segreto; dai documenti contemporanei è infatti

difficile stabilirne addirittura la data esatta. L’uscita dei sovietici dalla kommandatura alleata,

avvenuta il 17 giugno 1948, è l’episodio che viene da più parti visto come il sintomo di una

volontà sovietica di addivenire ad un conflitto, anche se il blocco vero e proprio della città,

preparato dal giorno successivo e reso operativo qualche giorno più tardi, il 24 giugno, non era

stato figlio di una strategia preparata da tempo, ma era stato deciso e pianificato in breve tempo.

Si era trattato, molto probabilmente di un’iniziativa di Stalin.158

156

V. Mastny, Il dittatore insicuro, pagg. 58, ss. 157

Federico Romero, op. cit., pagg. 62-63. 158

Mastny, op. cit., pag. 58.

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8.1.4. La questione monetaria, per Stalin occasione di scontro con gli occidentali

L’occasione per lo scontro gli era stata fornita dagli stessi alleati i quali avevano deciso di

introdurre una valuta diversa nelle loro zone, misura che si era resa indispensabile a causa

dell’incontrollata emissione sovietica di moneta comune nel Paese, la quale cosa stava causando

effetti deleteri in economia, aumentando l’inflazione. Il 18 giugno, quando le potenze

occidentali avrebbero annunciato il varo della riforma monetaria, da questa avrebbero escluso a

sorpresa i settori di Berlino di loro competenza, mentre erano ancora in corso trattative e

ulteriori negoziati con le autorità sovietiche; queste, però ignoravano il carattere distensivo di

tale gesto, cioè quello di non comprendere i settori della città di Berlino nella riforma monetaria

appena varata, (leggasi: i settori occidentali), facendo precipitare lo scontro nel momento in cui

avrebbero impedito agli Alleati di fare circolare la nuova valuta nei loro stessi settori,

sostenendo che “la città si trova nella zona di occupazione sovietica e fa economicamente parte

della zona sovietica”. Mosca era molto attenta a non farsi sfuggire l’esitazione da parte degli

Alleati ad attuare una riforma monetaria completa; due giorni dopo, il 20 giugno, il

rappresentante locale dei sovietici, Sokolovsky, aveva accettato soddisfatto il fatto che gli

occidentali avessero deciso di trattare sulla questione monetaria; in modo particolare, vi erano

state delle dichiarazioni volte a far applicare la riforma monetaria nella parte ovest della città.

La provocazione finale, in questo senso, era stata posta in essere nel corso della riunione del

Consiglio di Controllo del 22 giugno, quando, ancora in piena riunione, era emersa la mossa a

sorpresa dell’applicazione nei settori ovest della nuova moneta. Si trattava di un esautoramento

di tale organismo alleato e del ruolo degli occidentali a Berlino, che sapeva di provocazione

finale. Che infatti era stata subito raccolta. Le cronache di quei giorni facevano costante

riferimento a dichiarazioni livorose e piene di risentimento nei confronti dei sovietici, da parte

occidentale, mentre da parte sovietica si lanciavano accuse, spesso infondate, alla compagine

occidentale e si insisteva nel non voler dettare una linea univoca e chiara, che tradivano la

volontà di non svelare agli alleati quali fossero le reali intenzioni di Stalin. Più volte Sokolovsky

si nascondeva dietro il fatto che la riforma monetaria aveva gettato volutamente nello

scompiglio l’intera regione di Berlino, per la quale i sovietici avevano combattuto a lungo e

vantavano un diritto “superiore” a quello degli Alleati a restare lì. Lo stesso dicevano gli

occidentali, Stati Uniti in testa, che ricordavano come le decisioni di Yalta e Potsdam le

avessero per primi rispettate, abbandonando con le loro armate la Turingia e la Sassonia, regioni

nelle quali era già presente l’Armata Rossa. Ragioni quindi di sicurezza internazionale, miste a

quelle di opportunità politico-strategica, avevano fatto in modo che il blocco venisse aggirato

per via aerea.

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8.2. Calcoli strategici alla base del ponte aereo per Berlino

Tale soluzione, già vista in precedenza,159 avrebbe avuto l’effetto di far cadere sui

sovietici le colpe per una probabile escalation di una crisi; così, gli occidentali avevano deciso

in questo senso. Stati Uniti e Gran Bretagna avevano avviato un ponte aereo che aveva come

effetto quello di rifornire la città delle provviste essenziali, che era divenuto via via sempre più

imponente. Al suo culmine, nella primavera del 1949, arrivavano a Berlino qualcosa come

1.400 aerei al giorno, portando 8.000 tonnellate di rifornimenti, tanti quanti ne arrivavano a

Berlino per via terrestre e fluviale prima del blocco.160 In realtà, ai sovietici e a Stalin in

particolare, più che i confini, interessavano le recenti conclusioni prese nel corso della

conferenza di Londra, in cui - come ricordato - si stava di fatto procedendo a dare vita ad uno

stato della Germania occidentale, con capitale Francoforte. Vale la pena ripercorrere le concitate

giornate di quel giugno-luglio 1948, giusto per chiarire il punto di vista di Stalin e le reazioni

che avrebbe causato negli alleati. Stalin aveva lasciato che il blocco non fosse particolarmente

rigido, come anche avrebbe potuto fare, lasciando aperti i corridoi di accesso per via aerea verso

la città. Non bisogna, però, vedere in questa apertura una sorta di buona volontà, di

“predisposizione al dialogo” da parte dei sovietici. Aprire ai sostentamenti per via aerea di una

città che nei quartieri occidentali contava oltre 2.000.000 di abitanti, non era impresa da poco; il

ponte aereo, inaugurato ufficialmente il 26 giugno, due giorni dopo il blocco, era un’impresa

particolarmente ardua. Il rischio di un insuccesso era tale che Stalin accettò di lasciare aperti i

corridoi aerei per la città, convinto che, alla fine, il ponte aereo avrebbe fallito nell’intento di

sfamare i berlinesi; il risultato negativo dell’operazione sarebbe ricaduto ben presto sugli

occidentali, incapaci di risolvere unilateralmente la questione.

8.3. Effetti della chiusura di Stalin verso gli alleati occidentali

Ma la politica “chiusa” di Stalin aveva avuto degli effetti di non poco momento. Se

159

Vedi supra. 160

Romero, cit., pag. 63. Il testo si sofferma sulla dichiarazione di Willy Brandt, allora assistente del

sindaco di Berlino Ovest, che ricorda come il blocco durò nel complesso 322 giorni: «La corrente elettrica era disponibile solo per quattro ore al giorno» con turni di due ore e molte imprese semichiuse. Il carbone era razionato, ogni famiglia «riusciva a tenere una sola stanza appena tiepida per alcune ore al giorno». I berlinesi sapevano che la situazione militare era disperata, con 6500 soldati occidentali contro 18000 sovietici solo a Berlino, e altri 300.000 tutt’intorno. Erano sottoposti alla propaganda quotidiana dei sovietici che annunciavano il ritiro degli occidentali, arrestavano e intimidivano i consiglieri municipali, comminavano condanne a 25 anni di lavori forzati a chi strappava una bandiera rossa e, in dicembre, sigillavano il proprio settore, i cui abitanti avrebbero avuto bisogno di ottenere dei visti per andare negli altri quartieri della città. Ma il 9 settembre 250.000 berlinesi scesero ugualmente in piazza, ad applaudire il sindaco socialdemocratico Ernst Reuter che invitava a non capitolare ai sovietici.

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Truman non era favorevole ad un attacco via terra, una volta convinto da Lucius Db. Clay, oltre

che dal consigliere Robert Murphy, che questa non sarebbe stata la mossa giusta, avrebbe

firmato l’invio, il 28 giugno 1948, di ben sessanta bombardieri in grado di trasportare bombe

atomiche. Questa mossa si sarebbe invece rivelata giusta. Il 29 giugno, in una lettera indirizzata

al generale inglese Brian Robertson, Sokolovsky faceva vagamente riferimento alla possibilità

di togliere il blocco a Berlino, anche se non veniva specificato come e in che modo. Lo

“spauracchio” dell’atomica aveva funzionato.161 Ma era una vittoria solo momentanea. Il 30

giugno vi era stata la dichiarazione di George Marshall, che aveva dichiarato la ferma

intenzione da parte degli Stati Uniti di rimanere a tutti i costi a Berlino. Questa dichiarazione

ebbe l’effetto di azzerare ogni intendimento favorevole da parte sovietica verso la rimozione del

blocco; anzi, ritenendosi offesa, l’Unione Sovietica annunciò la propria uscita, anche formale

dalla kommandatura. Da quel momento in avanti, Sokolovsky avrebbe legato esplicitamente la

soluzione della crisi di Berlino all’assetto generale della Germania.162

8.3.1. La proverbiale doppiezza di Stalin nelle relazioni bipolari

Fino a quando sarebbe perdurata l’incertezza su cosa l’America avrebbe fatto per

difendere il proprio diritto a rimanere in Germania e a Berlino in particolare, Stalin non si

sarebbe mai più espresso con chiarezza, restando sempre nel vago; lo avrebbe fatto nei giorni

successivi alla dichiarazione di Marshall del 30 giugno, come si è visto, una dichiarazione nella

quale oltre a rivendicare il diritto degli americani a restare in Germania, il Segretario di Stato

USA aveva affermato l’ineluttabilità di continuare con il ponte aereo verso Berlino, almeno fino

a quando il blocco non fosse stato tolto. Da allora, la replica sovietica del 14 luglio, muoveva

agli Stati Uniti, che protestavano per il blocco posto fra Helmstedt e Berlino con dei grossi

palloni, le stesse accuse di avere sbarrato la strada ai sovietici verso la Ruhr. Come dire: “Voi

americani ci avete sbarrato la strada per la Ruhr, adesso noi vi sbarriamo la strada per Berlino”.

Il documento del 14 luglio, che muoveva dalla visione staliniana di una Germania unita sotto il

controllo sovietico, accusava nello specifico i tentativi di divisione messi in atto, che erano alla

161

Si può notare come, fin dai primi giorni del blocco di Berlino, vi era una situazione di assoluto

vantaggio da parte degli Stati Uniti nei confronti dell’Unione Sovietica. I primi, infatti, avevano dato inizio al ponte aereo portando effettivi vantaggi alla popolazione berlinese; i secondi avevano soltanto cercato di impedire il raggiungimento degli obiettivi occidentali, passando sopra la testa dei berlinesi: l’operazione di immagine, per quanto rischiosa, era finita a tutto vantaggio dell’America, perché sul piano dell’effettività aveva dato una grossa lezione all’URSS. Truman, poi, non smentiva la sua fama di “uomo dell’atomica”, già fin dai tempi delle bombe a Hiroshima e Nagasaki dell’agosto ’45. Anche questa volta, spedendo 60 B-29 in Inghilterra, pronti a lanciarsi verso la Germania o, magari a dirigersi ancora più ad est, con il loro carico, non si era smentito, affrontando la questione di Berlino con eccesso di realismo. Un eccesso di realismo che, però, questa volta era stato efficace. 162

Mastny, cit., pag. 61.

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base della contestazione sovietica, in quanto minavano alla radice il progetto unitarista che

Stalin aveva in mente. L’ambasciatore statunitense Smith si rese conto che vi era una scarsa

collaborazione da parte sovietica; anche la pretesa di negoziare quando ancora il blocco era in

atto, sarebbe stata da respingere al mittente, come in effetti venne fatto. Il convincimento,

reiterato, di avere la meglio nel confronto con i sovietici, era in parte giustificato proprio dalla

scarsa collaborazione ricevuta da questi ultimi.

8.4. La preparazione di una costituzione tedesca

Così si procedette alla stesura di un documento, una bozza di costituzione che sarebbe

dovuta valere per l’intera Germania. Tale documento, preparato dai sovietici a Berlino Est,

aveva previsto la nascita di una costituzione in stile sovietico, oltre alla soppressione di ogni

opposizione politica, che sarebbe avvenuta con la messa al bando di ogni attività che fosse

dichiaratamente contraria all’”eguaglianza dei cittadini”.163 Tuttavia, l’unitarietà di intenti che

aveva sempre caratterizzato le mosse degli alleati angloamericani, in occasione dello svolgersi

degli avvenimenti del luglio-agosto ’48 si era andata incrinando, in quanto gli inglesi, come si è

già avuto modo di ricordare, erano addirittura più risoluti degli stessi americani, i quali

tendevano a non “forzare la mano” all’ex alleato sovietico. La questione, si ribadisce,

riguardava ancora la Ruhr; in altre parole, il rischio, reale o meno, di un’URSS nel cuore

dell’Europa, che non sarebbe stato auspicabile per buona parte del Vecchio Continente e del

blocco occidentale. In questo senso, nonostante la tradizionale durezza degli inglesi, il generale

britannico Robertson pensava che concedere una parte della Ruhr ai sovietici in cambio di libere

elezioni in Germania, al termine delle quali si sarebbe instaurato un governo rappresentativo in

Germania, sarebbe stato un prezzo accettabile da pagare, oltre che un rischio contenuto. Ma

questo desiderio, espresso per bocca di Robertson, non trovò una grande considerazione presso

gli inglesi, che avevano un atteggiamento complessivamente più duro rispetto a Washington.

Come nel migliore dei flashback narrativi tornavano allora alla mente le parole di Stalin di

qualche mese prima, il quale aveva più d’una volta affermato di voler cacciare gli occidentali da

Berlino e, successivamente, una volta unita la Germania in un unico stato, fare di esso un

“satellite” di Mosca. Fu dunque il persistente convincimento (suffragato dai fatti), di una

volontà totalizzante da parte dell’URSS nei confronti della Germania a convincere i britannici

della necessità di uno stato tedesco separato. L’impegno che gli occidentali misero nel risolvere

la situazione di Berlino mediante il ponte aereo fu alla base della nascita di un diffuso

sentimento filo-occidentale nei tedeschi; essi maturarono il radicale convincimento che non

sarebbero stati né abbandonati, né lasciati da soli dagli occidentali. Fu proprio la certezza di un

163

Mastny, op. cit., ibidem, pag. 62.

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impegno che non sarebbe mai venuto meno, più ancora della garanzia di libere elezioni e del

ritorno della democrazia a rendere il ponte aereo di Berlino un successo davvero importante. I

sovietici erano sempre più presentati come degli affamatori della popolazione civile, mentre gli

alleati rappresentavano i liberatori. Benché fossero coloro i quali erano contro l’unità tedesca, il

ponte aereo finì con il riconciliare i tedeschi con gli occidentali, anche se questi erano

propugnatori di due Germanie; alla fine, erano il male minore, magari non erano affatto un

male, rispetto ai sovietici. Al di là dell’apparente e scontata opzione liberale di buona parte del

popolo tedesco, il punto impone una riflessione. Non va dimenticato che la Germania veniva da

un passato unitario ed era cresciuta nel periodo nazista, anche se poi la sconfitta nella guerra, di

quel Reich aveva lasciato solo macerie. Ma erano le macerie di uno stato giovane che aveva

sfidato il mondo e aveva perso. Ecco che, allora, l’accettazione di uno stato tedesco, rinato, ma

diviso in due e occupato da USA e URSS, rappresentava comunque un passo importante per la

popolazione: non era affatto scontato che l’operazione “due monete, due Germanie” fosse ben

vista, come infatti non lo fu, almeno inizialmente. Fu proprio la portata del terrore staliniano a

convincere della bontà del progetto occidentale, in cui vi sarebbero state sì due Germanie, ma

almeno una delle due, la più grande, sarebbe rimasta occidentale. Stalin, dunque, doveva essere

conciliante con gli occidentali. Soprattutto, andava detto che, più a lungo fosse durato il ponte

aereo, più la spartizione della Germania, con quello che ne conseguiva, avrebbe finito con il

riguardare anche la stessa capitale, Berlino. Questo stallo rischiava di avere effetti infausti per

Stalin, il quale poteva avere dei dubbi su come gestire il blocco e il conseguente ponte aereo,

che, fino a quel momento, era stato un successo della diplomazia di guerra americana e

occidentale. Si era arrivati, così, all’appuntamento di Stalin con i tre ambasciatori occidentali, il

2 agosto 1948 a Mosca. Nel corso di tale incontro, il dittatore sovietico si era dimostrato

conciliante e non aggressivo, al punto che aveva offerto di togliere il blocco dalla città in

cambio del ritiro da Berlino della valuta occidentale e della sospensione delle decisioni prese nel

corso della conferenza di Londra. Nel corso dell’incontro Stalin era assistito da Molotov ed

evidentemente era alla ricerca di un accordo con gli alleati occidentali, in quanto la coppia

Stalin/Molotov adesso non era più a chiedere la disapplicazione degli accordi di Londra, ma che

venisse registrato il loro desiderio di una disapplicazione di tali accordi. La differenza era

sottile, ma significativa.

8.5. Natura “contingente” delle preoccupazioni di Stalin

Nel corso del mese di agosto Molotov non fece alcuna proposta allettante agli alleati, non

facendo più alcun riferimento alle decisioni di Londra fino a quando, il 24 agosto 1948, offrì di

sospendere il blocco anche l’indomani, purché venisse rispettata l’unica richiesta che, a quel

punto, i sovietici stavano portando avanti, cioè il ritiro della valuta occidentale da Berlino e la

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promessa di ridiscutere di tutta la questione in un prossimo futuro. In questa decisione di

ricercare a tutti i costi un accordo con gli occidentali, si intravedeva la solitudine di un uomo,

Stalin, che aveva ormai poche chance di riuscire nei suoi intenti: infatti, benché l’ambasciatore

Smith fosse rimasto contento dei risultati ottenuti a Mosca, la sua soddisfazione non era

particolarmente condivisa a Washington. In effetti, a ben vedere, non vi era alcuna fretta di

porre in essere delle riforme che piacevano solo ai sovietici, come la parziale disapplicazione

degli accordi di Londra. E anche la questione della valuta, in un periodo in cui l’opinione

pubblica tedesca sembrava essere palesemente a favore dei liberatori americani, poteva essere

successivamente ridiscussa con tutta calma. I problemi per Stalin erano contingenti, relativi non

solo alla questione tedesca. In quei giorni, il 25 agosto 1948, stava entrando in vigore il trattato

di Bruxelles, istitutivo della UEO (Unione dell’Europa Occidentale) e questo avrebbe

significato un riaprirsi della discussione con gli ex-alleati, che sarebbe stata affrontata anche e

soprattutto sul piano delle forze militari in campo. L’UEO era, è vero, stata concepita in

funzione antitedesca, ma era del tutto evidente che l’attualità della minaccia, per l’occidente,

non sarebbe stato più il risorgere a breve del nazismo, ma l’avvento in Europa del socialismo

reale, rappresentato dall’URSS, con tutto ciò che comportava in termini di destabilizzazione del

sistema capitalistico già in auge ancor prima della guerra e che adesso l’America riproponeva

come modello economico all’interno di un’Europa pacificata, ma ancora da ricostruire. Quindi,

ciò che aveva giustificato la nascita dell’UEO era stata la minaccia sovietica; con buona pace

delle paure francesi del risorgere della potenza tedesca.

8.5.1. Cessazione della ricerca di una rapida soluzione della crisi di Berlino da parte di Stalin

I sovietici, con Molotov, si convincevano, qualche giorno dopo, che non sarebbe stato

facilmente raggiunto alcun accordo con gli alleati occidentali e quindi cessarono di ricercare una

rapida soluzione della crisi, rimandando a qualche giorno dopo una nota ufficiale con la quale si

sarebbe cercata in un periodo di là da venire una soluzione alla crisi che, a questo punto, non

sarebbe stata risolta in tempi rapidi. In questo senso va letto l'accordo fatto tra i comandanti

militari che avrebbe rimandato ad un periodo futuro la rinnovata ricerca di accordo fra gli alleati

a quattro. Questo era il succo dell’accordo di Mosca del 30 agosto ’48, nel quale, ma solo

marginalmente, ancora una volta i sovietici avevano tentato di fare un rinnovato accenno alle

famose conclusioni del vertice delle potenze occidentali di Londra.

8.5.2. Berlino, luogo inadatto ad ogni accordo fra le parti in causa

A preoccupare era anche la città di Berlino, che stava diventando il posto più inadatto a

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concludere degli accordi fra le parti in causa; innanzitutto, Berlino era facilmente influenzabile a

causa della presenza dell’Unione Sovietica e delle pressioni che questa era in grado di esercitare

sul posto, data anche la vicinanza e la contiguità del territorio berlinese con la zona di influenza

sovietica. Questo comportava anche il tentativo, da parte sovietica, di imporre la presenza di un

forte numero di uomini dipendenti da Mosca all’interno dell’amministrazione municipale di

Berlino Ovest, la qual cosa non faceva che peggiorare una situazione che già, di per sé stessa,

era difficile. Ma ad inasprire i rapporti non erano solo i sovietici. Anche gli occidentali, con la

convocazione, il 1° settembre ’48 di un comitato incaricato di elaborare la costituzione della

Germania occidentale, non avevano certamente agevolato la qualità dei rapporti fra Stati Uniti e

Russia. Era il risultato del blocco, che aveva spaccato la città in numerosi settori, rendendola

una sede poco adatta a dei negoziati che, appena ripresi, si erano già impantanati tra reciproche

accuse. Questo muro contro muro che non avrebbe portato da nessuna parte, era evidente fin

dall’inizio. Lo era fin da quando era entrata in vigore la nuova valuta e il conseguente blocco

della città, così come era evidente che non sarebbe stato possibile trovare un’intesa

soddisfacente. Anche l’incontro del 2 agosto con i diplomatici occidentali era miseramente

fallito fra accuse reciproche e i tentativi sovietici di alternare “bastone e carota”, da un lato

lasciando intendere che l’armata rossa in fondo non si era opposta al ponte aereo, anche se la

sua contraerea lo avrebbe facilmente potuto interrompere, mentre, dall’altro, si cercava di

contrattare al ribasso alla ricerca di un benché minimo accordo che in qualche modo levigasse

anche solo marginalmente le decisioni di Londra, che adesso stavano di fatto dividendo in due

la Germania, con l’istituzione di una capitale della Germania Ovest a Francoforte. E poco

importava se le dinamiche interne ai rapporti fra gli alleati occidentali erano rivolte a cercare

una strada per un accordo con i sovietici. Abbiamo visto come gli inglesi, più realisti del re,

erano comunque disposti a concedere a Mosca una gestione condivisa della Ruhr, ma come

questa soluzione, prospettata dai vertici militari di stanza a Berlino, non era stata tanto

considerata nemmeno in patria. Era il segno dei tempi: non era ulteriormente pensabile che in

uno scenario bipolare vi fosse spazio per le proposte degli alleati occidentali, i quali avevano

finito con lo svolgere un ruolo di cuscinetto fra l’una e l’altra delle due superpotenze.

8.5.3. Stalin, dittatore “insicuro”

Secondo alcuni analisti, in realtà, Stalin non sapeva realmente cosa fare.164 Nonostante ci

si chiedesse, da parte occidentale,165 se non vi fossero stati dei fraintendimenti, da parte dei

164

Mastny, cit., ibidem, pagg. 64-65. 165

In pratica, l’ambasciatore statunitense Smith si chiedeva se Stalin non avesse in realtà equivocato il

tenore delle conversazioni del 2 agosto, laddove si coglieva una disponibilità da parte degli occidentali

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sovietici, circa il tenore dei colloqui del 2 agosto a Mosca con i rappresentanti occidentali, era

evidente che la politica delle relazioni bilaterali USA/URSS era stata gestita da Stalin, in quel

frangente, piuttosto male. Il dittatore, probabilmente non sapendo cosa fare, aveva evitato

ulteriori colloqui con gli ex alleati ed aveva anche posticipato di un lungo periodo l’incontro,

già pianificato, con alcuni alti funzionari del partito della Germania Est, partendo per le

vacanze.166 Mai scelta avrebbe potuto essere più infausta. Nonostante i rapporti rassicuranti

sulla reale efficacia e durata del ponte aereo, che non avrebbe garantito ai berlinesi scorte a

sufficienza per poter passare un altro inverno, a causare guai a Stalin erano, in sua vece, i suoi

sottoposti, come Walter Ullbricht, capo del partito comunista nella Germania Est e il colonnello

Tiulpanov, suo sovrintendente sovietico, i quali vedevano un’occasione d’oro soprattutto per

accrescere il loro potere: questi, nel tentativo di boicottare gli alleati occidentali, soprattutto di

rovesciare i funzionari eletti nei settori occidentali, si erano serviti di gruppetti di agit-prop che

fomentavano disordini, rendendo difficile ancora di più la ricerca di quegli accordi che

Sokolovsky stava faticosamente cercando di portare a termine.167

8.6. Linea difensiva del dittatore

Adesso la palla tornava agli alleati occidentali, i quali avevano un ruolo ormai facile nel

lanciare ultimatum e considerando ogni ulteriore discussione in materia inutile e dannosa,

costringendo Mosca sulla linea difensiva. Il governo sovietico, considerando Berlino come

ultimo punto d’appoggio in un contesto europeo che, evidentemente, era diventato perdente su

tutti i fronti, il 25 settembre emanava una nota nella quale si chiedeva perché mai gli occidentali

non si accontentassero dell’amministrazione della zona ovest della Germania e dei settori

occidentali di Berlino; mediante l’introduzione di una nuova valuta, con l’elaborazione di un

nuovo corso di politica economica, stavano costringendo, al di là di ogni accordo in materia, i

sovietici a ritirarsi da lì e questo non era possibile.168 Non fu trovata alcuna ulteriore soluzione a

sulla concessione del controllo sovietico sulla città, in cambio “…di una amministrazione di facciata da parte delle quattro potenze.” Cfr. Mastny, freq. cit., eadem. 166

Mastny, eadem. Ci si domanda se Stalin, in realtà fosse in condizioni di prendersi una vacanza in un

periodo saturo di avvenimenti come quello. La presenza di un dittatore al posto di comando è sempre stata imprescindibile per un dittatore che non avesse intenzione di cedere il potere a qualcun altro, specialmente se la sua presenza è particolarmente richiesta dall’incedere di avvenimenti che potrebbero portare ad una sua destituzione. Ma non era tanto il rischio di una destituzione a preoccupare Stalin, quanto quello di dare l’impressione di una sua debolezza, collegata all’impossibilità di prendere una decisione che gli salvasse la faccia davanti all’opinione pubblica internazionale. Così, la sua partenza per le vacanze assomigliava tanto ad una momentanea fuga, suscitando tutte le impressioni del caso. 167

In questo senso vanno letti i tentativi di strappare qualche concessione al tavolo delle trattative

attraverso una interpretazione particolare del già di per sé stesso ambiguo accordo di Mosca; così come ancora insistevano su minacce piuttosto velate, come quelle di estendere all’aria il blocco di Berlino, ostruendo i canali del ponte aereo. Cfr. Mastny, cit., ibidem, pag. 65. 168

Mastny, eadem. Che i sovietici avessero deciso di far saltare il tavolo delle trattative era evidente.

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139

questa crisi, iniziata a giugno e terminata a settembre. 169

8.6.1. Assenza della percezione dell’elemento di novità (trasmissione della questione all’ONU) nell’approccio sovietico alla crisi di Berlino

In quel momento, tuttavia, la questione era stata trasmessa all’ONU da parte degli Stati

Uniti, esattamente al Consiglio di Sicurezza, che annoverava i quattro membri usciti vittoriosi

dalla guerra, cioè USA, Regno Unito, Francia e URSS. La questione venne dunque portata al

cospetto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e solo il veto sovietico aveva impedito che

venisse, un mese dopo, nell’ottobre del ’48 messa all’ordine del giorno. Ma era chiaro che la

sconfitta sul piano strategico e militare dei sovietici era così evidente, da risultare

imbarazzante.170 Mancava, nell’approccio sovietico alla questione tedesca l’elemento di novità

rispetto al passato.171

8.6.2. La preoccupazione di Stalin per il grande dispiegamento di forze da parte occidentale su Berlino

In effetti, la questione era difficilmente risolvibile. La crisi, come evidenziato

dall’ambasciatore USA a Mosca, Smith nel telegramma inviato al Segretario di Stato Marshall

inviato il 3 agosto del ’48, colpiva molto da vicino il cuore decisionale dell’Unione Sovietica;

Non era per loro possibile abbandonare Berlino, dal momento che, in un recente passato, avevano fatto di tutto per fare in modo che fossero gli alleati occidentali a dover abbandonare la capitale tedesca. I sovietici si sentivano comunque e sempre in posizione di forza, come le forze terrestri sul campo stavano lì a dimostrare. Tuttavia, sul piano strategico, la fine dei colloqui con gli occidentali si era rivelata essere un fallimento per i sovietici e una vittoria per gli alleati, USA in testa. E’ chiaro che, a quel punto, far saltare il tavolo della trattativa, scaricando sugli alleati la responsabilità di non aver trovato un accordo, era il male minore. 169

Si fa qui riferimento non tanto alla crisi determinata dal blocco di Berlino, quanto a quella strategico-

diplomatica della ricerca di un accordo a quattro fra gli alleati occidentali e i sovietici. Accordo che non era stato possibile raggiungere, dato il perdurare dei conflitti e delle reciproche inadatte soluzioni, volte non tanto alla ricerca di un compromesso, quanto soprattutto alla ricerca di elementi che facessero pendere l’ago della bilancia a favore dell’uno o dell’altro degli schieramenti in campo. A queste condizioni non era possibile nessun accordo. 170

Questo è tanto più vero quanto più si consideri il nocciolo della questione, il quid che aveva causato la

discordia fra americani e russi: la questione della valuta. In tale disputa erano evidenti i segni della discordia fra sovietici e americani, una discordia che non era soltanto di natura economica, ma anche militare e politica. Infatti, a ingenerare entusiasmo verso l’occidente, non era soltanto l’evidente portato dell’invasione sovietica in Germania, rapportata alla possibilità che ai tedeschi veniva data in concreto, di scegliere la libertà, scegliendo l’alleato più ben disposto, gli USA e l’occidente; ma vi era anche una conseguenza importante di tale scelta: la libertà che offrivano gli americani, non era solo una libertà dal giogo sovietico, ma anche una libertà economica; il liberismo made in USA era, per quell’epoca, una sorta di panacea, che trovava la sua legittimazione politica in un sistema democratico rappresentante una liberazione politica ed economica dall’oppressione delle dittature, che negli anni ’30 del secolo scorso avevano avvinto buona parte d’Europa. L’URSS, sconfitto il nazismo, non aveva proposto, mutatis mutandis, niente di nuovo, ai tedeschi e al mondo, rispetto all’economia pianificata del nazionalsocialismo. 171

Cfr. nota precedente.

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140

Stalin e Molotov erano particolarmente preoccupati per il dispiegamento di forze occidentali su

Berlino, mentre Roberts e Chataigneau, i delegati inglese e francese, erano assestati su posizioni

occidentali, come da copione. Quanto riferito dall’ambasciatore statunitense teneva

naturalmente conto dei colloqui che si erano avuti il giorno precedente, il 2 agosto, con Stalin;

era quindi nello stato d’animo di chi si trovava a vivere il “giorno dopo la battaglia con il

leone”; quindi si trovava in uno stato d’animo particolarmente complice con la volontà di

addivenire ad un accordo. Il telegramma del 3 agosto da Smith al Segretario di Stato USA era

quindi carico di una volontà, da parte statunitense di osservare insieme ai rappresentanti delle

potenze occidentali di occupazione, quali fossero i percorsi realmente praticabili per trattare con

Stalin e Molotov, fermo restando che Molotov, senza Stalin, non sarebbe stato in grado di

prendere alcuna decisione.172 L’ambasciatore, ricordando al proprio Segretario di Stato come i

due punti salienti nella testa di Stalin fossero prevalentemente la questione della moneta e la

questione dello stabilimento di un governo della Germania occidentale, ricordava come fosse

doveroso, da parte occidentale, ricercare un dialogo a tutti i costi con Stalin e i sovietici, in

quanto - se si fosse riusciti in quest’opera - i risultati positivi non si sarebbero fatti attendere.

8.6.3. Stalin e l’”investitura” dell’ambasciatore Smith quale “unico” interlocutore

La posizione dell’ambasciatore era chiaramente a favore della ricerca di una soluzione

politica, che impegnasse gli alleati occidentali esclusivamente alla ricerca di un accordo con i

sovietici sulle questioni che a Stalin stavano maggiormente a cuore e di cui si è detto adesso;

cioè la questione della valuta e del governo occidentale; vi erano le premesse, secondo Smith, di

un fruttuoso dialogo con i sovietici, qualora lo si fosse realmente cercato, al punto che

l’indicazione delle due questioni sulle quali maggiormente si accanivano i sovietici, sembravano

quasi un segnale di azione, una via da seguire per la ricerca reale di un accordo con il dittatore

sovietico. Altra cosa sarebbe stata invece una inazione occidentale nei confronti del dittatore

qualora ci si fosse trovati di fronte ad un tentativo di colpo di stato su Berlino, del tipo di quello

che era appena avvenuto in Cecoslovacchia, avente l’esito di mettere al potere un governo

comunista. Tuttavia, cercare di instillare bene in mente a Stalin questo fatto, cioè una

collaborazione occidentale sulla questione della moneta e della capitale occidentale,

(quest’ultimo aspetto era particolarmente importante, in quanto i sovietici erano ben radicati

nell’idea di un’unica Germania, eventualmente da riportare al credo staliniano) e

un’intransigenza sulla questione del controllo di Berlino, sarebbe stato un grosso passo in

avanti, che avrebbe visto uno Stalin, tutto sommato, ben disposto al dialogo e soddisfatto

dall’incontro con i tre ambasciatori. Fra le righe, poteva evincersi, da questi colloqui, che Stalin

172

Frus, op. cit.,«Smith/Marshall», 3 agosto 1948, pagg. 1006-1007.

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141

volesse concedere una sorta di “mandato” agli americani a trattare loro in prima persona sulla

questione di Berlino, al punto che anche il paragone con il riferimento, nei colloqui precedenti,

al reale “mandato” che gli ambasciatori, referenti delle tre potenze occidentali avevano dai loro

Paesi, comparato con la rilassatezza di Stalin al termine dei colloqui e alla sua dichiarazione

secondo cui si era andati “oltre i colloqui con tre ambasciatori”, stavano a simboleggiare

un’apertura univoca ad un dialogo diretto, che non poteva che avere due soli protagonisti, USA

e URSS. Forse era la conferma dell’esistenza di un solo interlocutore a rendere Stalin così ben

disposto al dialogo.173

173

Frus, eadem.

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143

PARTE TERZA

_____________________________________________________________________________

LA GUERRA FREDDA IN GERMANIA E LA

RICONGIUNZIONE IMPOSSIBILE FRA I DUE

BLOCCHI. EST/OVEST

____________________________________________________________

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145

CAPITOLO 9

IL DIFFICILE RIORNO ALLA “NORMALITA’”

9.1. Le resistenze

Nonostante, come già ricordato,174 vi fosse chi, fra gli alleati occidentali, desiderasse

venire incontro alle richieste di Stalin, sussistevano ancora delle forti resistenze all’interno dello

stesso schieramento occidentale, relative alla volontà di addivenire ad un compromesso con il

dittatore sovietico. Tali atteggiamenti rendevano decisamente difficile un ritorno alla normalità

dei rapporti, che era già fortemente inficiata dalla doppiezza di Stalin e dalla morale ondivaga di

cui esso era artefice e interprete e alla quale costringeva i suoi più stretti collaboratori. Detto ciò,

sembrava di tutta evidenza già allora, come al dittatore caucasico sarebbe interessato rimettere

in discussione tutte le decisioni prese nel corso della conferenza di Londra; nell’impossibilità di

ottenere ciò, Stalin aveva ripiegato sulla questione della moneta e sulla questione della capitale

tedesca dell’Ovest.175

9.2. Le difficoltà

Le difficoltà, subito presentate dal Segretario di Stato USA all’ambasciatore a Mosca,

relativamente all’accettazione dei punti ribaditi da Stalin, erano collegate, innanzitutto, al

ritorno al quadripartito a Berlino. Questo non era possibile, tanto meno era possibile per una

questione delicata come quella della riforma della moneta; e non era possibile, non tanto perché

gli americani non desiderassero una forma di controllo quadripartito, che anzi auspicavano, ma

non lo era per via della questione speculare della distribuzione di valuta sovietica che sarebbe

stata immessa, anch’essa senza alcun controllo quadripartito.176 A rendere difficile

l’accettazione pura e semplice della circolazione di una valuta, il «Marco – B», che a Berlino

avrebbe sostituito il Marco fatto circolare nella zona sovietica fino ad allora, era la mancanza di

garanzie circa questo nuovo tipo di valuta. In modo particolare le garanzie richieste sarebbero

dovute essere il frutto di un accordo con i sovietici, relativo al controllo del credito,

all’applicazione univoca di regole relative all’immissione di credito e valuta circolante in città,

alla reperibilità di fondi sufficienti per le quattro potenze occupanti di stanza a Berlino, oltre che

174

Vedi supra, Parte Seconda. 175

Vedi nota precedente. 176

Frus, freq. cit., «Marshall/Smith», 3 agosto 1948, pag. 1008.

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146

alcune modifiche relative agli accordi sul commercio fra le zone occidentali e Berlino. La

necessità di modifiche ad accordi sul commercio fra le zone occidentali e orientali non

dovevano costituire una novità per Stalin, dal momento che lui ben conosceva la situazione e

aveva accettato gli accordi precedenti “fintantoché non si fossero dovute affrontare questioni di

altro tipo”. Questo è un punto sul quale si sarebbe dovuta provare la tenuta degli accordi con i

sovietici, quali base di future discussioni.

9.3. Pregnanza della questione monetaria

La questione non era di poco conto. Gli alleati stavano cercando il modo di accettare le

richieste di Mosca, introducendo un’unica valuta per Berlino, cosa per la quale i sovietici

avevano apposto il blocco alla città. Adesso, per poter accettare l’esistenza di una sola valuta,

gli americani chiedevano tutte le garanzie di cui sopra; in cambio di ciò, si sarebbe dovuto

togliere immediatamente il blocco alle vie d’accesso verso la capitale. Se invece i sovietici

fossero stati di diverso avviso, facendo dipendere la rimozione del blocco dalla cancellazione

del “Marco-B” e dalla sostituzione di questo con la loro valuta, si sarebbero allora dovute

attendere istruzioni in proposito da parte dei governatori militari di Berlino, al fine di trovare

qualche accordo per la gestione della città, senza che si perdesse troppo tempo. Naturalmente un

accordo del genere si sarebbe dovuto trovare prima di ogni altro accordo; ma in ogni caso, il

tempo massimo concesso, a tal fine, non sarebbe dovuto essere superiore alle 48 ore.

Si ribadiva che il marco sovietico sarebbe stato accettato come la sola moneta per Berlino

a condizione che venissero date le stesse condizioni di accesso, dal punto di vista politico-

economico, oltre che commerciale, a tutte le potenze di occupazione, cosa che comportava

l’esistenza di un adeguato ammontare di provvigioni monetarie, di basi monetarie sufficienti a

garantire il commercio fra le zone occidentali e Berlino e delle agevolazioni bancarie e

creditizie che prevedessero erogazioni prive di interessi, che fossero gratuitamente accessibili a

tutta Berlino. Come corollario di questo accordo, il marco sovietico sarebbe stata la moneta

unica circolante a Berlino, mentre il marco occidentale sarebbe stato reso scambiabile con

quello sovietico di lì a poco tempo, ma solo a determinate condizioni, stabilite insieme dalle

autorità di occupazione.

Circa il fatto se accettare o meno l’unica valuta a Berlino vi era necessariamente una

disputa fra gli alleati e fra gli stessi referenti dei governi. Ad esempio, Roberts, il delegato

britannico all’interno del tripartito, manifestava un certo “imbarazzo” nei confronti di Bevin, il

ministro degli esteri del suo Paese, il quale aveva frapposto delle questioni ridicole e pretestuose

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147

a quelli che erano i piani di sviluppo del dialogo con i sovietici sulla questione della valuta.177

9.4. Generale sfiducia degli alleati sulla ripresa di un dialogo con i Sovietici

Del resto, anche fra gli americani, le opinioni erano contrastanti e le opinioni

possibilistiche dei rappresentanti americani e del segretario di stato si scontravano con il

pessimismo di Clay, il comandante in capo delle forze alleate del tripartito. Da quanto riportato

dall’ambasciatore Smith in merito all’esito dell’incontro con Stalin, Clay evinceva che non vi

era stato alcun riferimento ad una possibile ripresa di un accordo quadripartito, in merito alla

questione della valuta e alla gestione di Berlino in genere. Questo era, secondo Clay, un dato di

fatto incontrovertibile, al punto che questi contestava ai delegati occidentali di non avere

realizzato per davvero quali fossero i reali termini della questione.178

Termini della questione che, per Clay significavano una sola cosa: era del tutto evidente

che i sovietici volevano prendere il totale controllo della città; questo era tanto più vero in

quanto tale preoccupazione era condivisa da parte di quasi tutti i leaders politici tedeschi, i quali

non vedevano auspici particolarmente favorevoli nelle proposte da parte sovietica, che

avrebbero avuto l’esito scontato di distruggere il governo della città di Berlino.179

Ciononostante, la questione della ricerca di un accordo con i sovietici era vista come

necessaria anche per Clay, anche se egli riteneva che i termini della questione, così come le

stesse richieste da parte sovietica, fossero del tutto inadeguate. A dare man forte a tale visione

pessimistica era il consigliere Bohlen, il quale, nel memorandum del 4 agosto ’48 ribadiva come

la questione fondamentale per i sovietici fosse proprio quella di azzerare le decisioni prese a

Londra; cosa che era di per sé inaccettabile, ma che si scontrava anche con evidenti difficoltà,

collegate a pressioni da parte di non meglio identificate lobbies, che avrebbero reso difficile, se

non impossibile, trovare con i sovietici un accordo in questo senso, volto al congelamento, se

non all’azzeramento vero e proprio di quanto deciso a Londra.180

9.5. “Tenuta” dell’alleanza fra gli occidentali

In una nota dell’ambasciatore a Mosca, Smith, indirizzata al Segretario di Stato USA e

datata 5 agosto ’48, venivano evidenziati i punti in comune fra le tre potenze occidentali, che

erano i seguenti:

177

Frus, op.cit., «Smith/Marshall», 4 agosto 1948, ibidem, pag. 1010. 178

Frus, cit., «Clay/Dipartimento dell’Esercito USA», 4 agosto 1948, ibidem, pag. 1011. 179

Frus, cit., eadem. 180

Frus, cit., «Memorandum», di Charles E. Bohlen al Dipartimento di Stato, 4 agosto 1948, ibidem,

pagg. 1013-1014.

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148

1) Rimozione di tutti i blocchi relativi al transito di beni e persone fra le zone occidentali e i

settori occidentali di Berlino, relativamente al traffico delle merci, così come

mantenimento della libertà di circolazione della popolazione fra tutti i settori della città;

2) Rimozione di tutti i blocchi relativi al transito di beni e persone fra il settore e le zone

sovietiche e i settori occidentali della città, così come fra i primi e le zone occidentali;

stesso discorso, relativamente al mantenimento della libertà di circolazione della

popolazione.

Quale contropartita di una tale apertura da parte sovietica vi sarebbe dovuta essere la

libertà di circolazione del marco sovietico e del suo riconoscimento quale unica moneta

circolante a Berlino, mentre il marco occidentale sarebbe stato scambiato allo stesso valore non

appena si fosse trovato un accordo in questo senso fra le varie potenze di occupazione.181

L’approvazione di un tale accordo doveva, tuttavia, passare attraverso un reale

bilanciamento delle proposte e delle richieste, spesso esose, da parte sovietica. Infatti, appena un

giorno dopo, il 6 agosto, lo stesso Smith, che varie volte si era dimostrato possibilista circa il

raggiungimento di un accordo con i sovietici sia in materia di moneta che in materia di libera

circolazione di persone e merci, arrivava alla conclusione che i sovietici stessero cercando di

mantenere i piedi in due scarpe. Tali controproposte sovietiche, che avevano come obiettivo

principale l’azzeramento delle decisioni prese a Londra, riguardavano, nello specifico, la data-

limite che gli alleati occidentali avevano stabilito per la sostituzione della vecchia moneta con il

marco occidentale, cioè il 1° settembre 1948. Questo, di fatto, era un limite che avrebbe loro

impedito qualsiasi mossa giocando con l’effetto sorpresa sulla gestione non solo della crisi di

Berlino, ma anche della riorganizzazione politica tedesca. Infatti, le due proposte di Molotov,

che avevano avuto l’effetto di far passare l’ambasciatore Smith dalla parte degli scettici, erano

relative a questioni finanziarie:

1) Quale era la data effettiva nella quale si sarebbe dovuta verificare la sostituzione della

vecchia moneta con la nuova;

181

Frus, freq.cit., «Smith/Marshall», 5 agosto 1948, ibidem, pagg. 1016-1017. Questo, in effetti, era il

risultato di un compromesso, cui entrambi gli schieramenti puntavano allo scopo di trovare una soluzione che rappresentasse una via d’uscita, onorevole, dall’impasse in cui erano precipitati i rapporti fra le potenze occidentali e i sovietici. Tale compromesso riguardava essenzialmente la questione della moneta: in primo luogo doveva essere assicurato un trattamento eguale, cioè senza alcuna discriminazione fra moneta dell’est e dell’ovest; lo stesso discorso valeva per il ricorso e l’accesso a facilitazioni creditizie, che avrebbero dovuto essere regolate in base al principio di non discriminazione sia nel blocco occidentale che in quello orientale; oltre a ciò, si dovevano individuare dei fondi a copertura delle spese di occupazione e facilitare il commercio fra Berlino e le zone occidentali. La Kommandatura veniva individuata come l’organo deputato ad agevolare l’applicazione di queste decisioni.

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149

2) Quali erano le reali intenzioni a proposito dei costi relativi al mantenimento delle truppe

di occupazione: a questo proposito, Molotov suggeriva che ognuna delle quattro potenze

di occupazione pagasse per le proprie truppe.

Queste affermazioni andavano di pari passo con la volontà da parte sovietica di aggirare

l’organo tripartito mediante una tattica, già usata in precedenza, con la quale tendevano ad

individuare negli USA l’unico interlocutore, passando sopra gli altri attori presenti.182

La risposta da parte del governo americano non sarebbe tardata. Le condizioni o -

meglio- le istruzioni relative al modus operandi vennero ben presto impartite, nella giornata del

7 agosto, dal Segretario di Stato all’ambasciatore Smith; esse andavano tutte nella direzione di

un colloquio molto franco con l’URSS, che avesse anche lo scopo di ribadire come le decisioni

fossero prese coralmente anche con gli altri alleati occidentali, Francia e Gran Bretagna.183

182

L’ambasciatore Smith non era, tuttavia, persona che avrebbe potuto cedere su questi punti: non

avrebbe avuto l’investitura per andare oltre una visione ufficiale, che era quella che sposava un atteggiamento diffidente nei confronti di Stalin e dei sovietici, ma evidentemente non era nemmeno lui stesso uomo che avrebbe mai ceduto ad una logica di lusinghe e velati ricatti: egli cercava, in altre parole, quel dialogo che non sembrava ormai più raggiungibile da diversi mesi con gli ex-alleati sovietici, fedele all’incarico ricevuto dal proprio governo per i colloqui con Stalin a Mosca nei primissimi giorni di agosto. Ma già 3-4 giorni dopo, doveva anch’egli rendersi conto della proverbiale doppiezza del dittatore sovietico e dell’impossibilità di addivenire a qualsiasi accordo, né con Stalin, né con i suoi collaboratori. 183

Nel dispaccio inviato da Marshall a Smith il 7 agosto ’48, era espresso chiaramente come ogni singolo

punto veniva concordato con gli altri governi di Francia e Gran Bretagna. In questo si esponeva come gli Stati Uniti fossero presenti a Berlino non per grazia ricevuta da parte dell’Unione Sovietica, ma per diritto. Lo stesso veniva ribadito al proposito delle altre questioni, cioè la riforma monetaria da applicarsi nei settori occidentali e il fatto che gli Stati Uniti (così come gli altri alleati occidentali) non dovessero minimamente contrattare con i sovietici la loro permanenza nella capitale tedesca. Frus, cit., «Marshall/Smith», 7 agosto 1948, ibidem, pag. 1021. In effetti, dietro la questione della permanenza a Berlino, per così dire, iure belli, vi erano motivazioni più profonde e ben note: si trattava del fatto che i sovietici stessero predisponendo una sostituzione dei carichi e delle responsabilità circa un governo di Berlino, già di competenza degli alleati occidentali, con un governo tedesco completamente in mani sovietiche.

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151

CAPITOLO 10

LA RICONGIUNZIONE IMPOSSIBILE

10.1. “Modus operandi” nelle relazioni fra gli occidentali e Stalin

Il modus operandi era dunque quello di non dare spazio ad eccessive manovre da parte di

Stalin, che dessero adito a capire ciò che non era, cioè il fatto che gli americani, insieme ai loro

alleati occidentali temessero una qualche reazione eccessiva da parte sovietica e, per timore di

poter aggravare la situazione in Germania, decidessero di ritirarsi da Berlino. Questo non era nei

piani degli americani, i quali sapevano molto bene che una ritirata dalla capitale tedesca,

avrebbe significato dare libero campo alle mire sovietiche di espansione fin dentro il cuore

dell’Europa. Oltre a ciò, andava anche ribadito come la presenza degli alleati occidentali a

Berlino derivasse da un diritto di guerra e non fosse minimamente collegato ad una

“concessione” in questo senso da parte sovietica, erroneamente fondata sul fatto che essi erano

la potenza di occupazione della zona orientale della Germania.

Non era possibile, dunque, una ricongiunzione pura e semplice degli interessi da parte

delle varie potenze in campo in Germania, in quanto non vi era una volontà, né da parte di

Stalin, né da parte degli occidentali, di addivenire ad una soluzione di compromesso; e questo

era vero per la situazione in Germania e per la questione di Berlino, in particolare.

10.2. Berlino, agosto ‘48

Per quanto riguardava la capitale tedesca, il periodo in cui si cercò maggiormente una

soluzione che soddisfacesse tutti era stato proprio il mese di agosto del ’48. Del resto, non

poteva che essere così: la scadenza del 1° settembre stabilita dal tripartito occidentale per

l’immissione in circolazione della nuova moneta, imponeva una ricerca a tutti i costi di un

dialogo con i sovietici, che il 18 giugno precedente avevano apposto il blocco. Ma era un

dialogo destinato a impaludarsi nelle secche delle rispettive posizioni. Così, quando il 9 agosto

si ebbe l’ennesima riunione fra i rappresentanti delle potenze occidentali e i sovietici, le

posizioni retrocessero da una discussione su possibili soluzioni di compromesso - quali se ne

erano avute anche solo fino a pochi giorni prima - ad una che puntualizzava punto per punto le

varie parti del discorso; ormai era chiaro che non era possibile, su queste basi, alcuna

soluzione.184 Vi era un atteggiamento di ricerca, da parte sovietica, di questioni futili, come

184

Ad esempio, nel corso dell’incontro fra gli alleati e i sovietici del 9 agosto ’48, furono molto attivi i

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152

quella relativa alle “fandonie” pubblicate nei giornali americani; si alternavano questioni serie,

come il controllo della città, l’approvazione della riforma monetaria, a questioni decisamente

meno importanti, che venivano interpretate da parte sovietica, forse artatamente, come questioni

in cui gli alleati avrebbero dovuto specificare “cosa intendessero dire o fare con questa o

quell’altra frase”.

L’atteggiamento di risposta da parte statunitense era un’irritazione sempre crescente,

interpolata anche con un atteggiamento di ricerca di spiegazioni da parte degli altri protagonisti

della questione, Gran Bretagna e Francia, dal momento che anche essi sembravano seguire il

gioco sovietico della ricerca spasmodica dell’ago nel pagliaio in certi casi.185 Tuttavia, accanto

all’irritazione e all’impossibile ricongiunzione con l’ex alleato sovietico, si cercavano soluzioni

che fossero onorevoli per entrambi gli schieramenti, anche a costo di parlare direttamente con

Stalin, anche se francesi e inglesi sembravano essere ancora alla ricerca di un dialogo con il

delegato sovietico, Molotov; il quale non faceva altro che dare risposte vaghe, quando non

addirittura prive di senso, tradendo la scarsità di manovra che gli era stata affidata da Stalin.

Tale atteggiamento di risposta da parte statunitense non era soltanto affidato ad

ambasciatori esperti e capaci come Smith o ai comandanti in capo delle potenze occidentali di

occupazione, come Clay; era un atteggiamento condiviso pienamente, come era probabilmente

ovvio che fosse, da parte del Segretario di Stato George Marshall: ma qui la questione della

condivisione di intenti salta agli occhi per un altro motivo, cioè per marcare la differenza fra

l’attitudine americana al “fare qualcosa” e quella sovietica, attendista, nascosta e per certi versi

ambigua, alla ricerca di ostacoli più che di elementi volti alla loro rimozione.

In questo senso, la risposta di Marshall, il 10 agosto, era sul tenore della difesa dei propri

interessi a Berlino e della ricerca non più tanto di soluzioni di compromesso, quanto di lasciar

trapelare ai sovietici che il loro diritto di restare a Berlino non era un qualcosa che sarebbe

potuto essere oggetto di una trattazione con i sovietici, né con nessun altro, dal momento che

agli inglesi veniva quasi imposto un atteggiamento più collaborativo, abbandonando quella

delegati francese Chataigneau e inglese, Roberts, nell’enucleare veri punti di contestazione nei confronti dei sovietici, a cominciare dalla questione della data; chiedendo quale fosse la data limite per i sovietici e ricevendo risposte vaghe, oppure chiedendo cosa i sovietici intendessero con l’espressione “indire conferenze separate” e non ricevendo alcuna risposta; oppure ancora quando chiedevano cosa i sovietici intendessero con la questione della condivisione quadripartita relativamente alla questione della moneta e ricevevano come risposta che “non vi era più alcun quadripartito; e che se lo si fosse stabilito nuovamente per la Germania intera, allora vi sarebbe stato spazio per una sua restaurazione anche a Berlino”; si trattava di frasi pronunciate su singoli punti, relative a singole frasi, che avevano magari avuto il malcapitato effetto di infastidire Stalin e i sovietici, i quali avevano reagito. Gran Bretagna e Francia, frequentatori meno assidui degli svariati tentativi di conciliazione con i sovietici e meno inclini ad un colloquio compromissorio, chiedevano spiegazioni su singoli punti contestati: domande che, come abbiamo visto, ricevevano risposte vaghe, se non nessuna risposta. Gli americani, nella persona dell’ambasciatore Smith, non avrebbero gradito supportare questi dubbi ed ebbero un atteggiamento diverso, volto alla ricerca di una soluzione. Frus, cit., «Smith/Marshall», 9 agosto 1948, pagg. 1024, ss. 185

Vedi nota precedente.

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posizione di intransigenza che in effetti strideva con la realtà di un conflitto “freddo”, ma ormai

ben assestato su basi bipolari, dove i due poli erano solo USA e URSS.186 Quello che gli Stati

Uniti volevano, in questo momento, era varare la riforma monetaria; in cambio di ciò erano

disposti unicamente a riconoscere ai sovietici - qualora avessero immediatamente rimosso il

blocco alla città - parità di condizioni nel commercio e negli scambi di merci e valute.

10.3. Francoforte. Una nuova capitale?

Nel telegramma indirizzato da Francoforte sul Meno, individuata come capitale di una

futura Germania dell’Ovest, Murphy, il delegato statunitense per la Germania, riportava, l’11

agosto ’48, a Marshall il punto di vista del Comandante Lucius D. Clay, il quale elencava le

difficoltà di condurre avanti il ponte aereo per Berlino, garantendo l’approvvigionamento a

2.300.000 abitanti ormai da quasi due mesi; senza alcuna modifica alle motivazioni che avevano

portato al blocco della città, era “impensabile” trattare con i sovietici su una rimozione pura e

semplice del blocco. In altre parole, non era nemmeno il caso di chiedere ad essi di rimuovere il

blocco, se ciò avesse significato riprendere a controllare i passeggeri in transito verso la città

all’ingresso di autostrade e ferrovie, in modo continuativo e assillante. Rimozione del blocco

significava, nelle intenzioni dei comandi militari statunitensi, non tanto il diritto naturale di

restare a Berlino - che era la posizione forse della politica - quanto rimuovere gli impedimenti

che di fatto ostavano ad una libera circolazione di persone, merci e capitali.187 Si poteva forse

fare qualche tentativo in questo senso, di convincere i sovietici alla rimozione mentale del

blocco di Berlino, ma, fallendo questi ulteriori tentativi, si sarebbe dovuta, secondo Murphy e

Clay, giocare la carta del ricorso alle Nazioni Unite.188

10.4. Un “metodo” di dialogo con Stalin. Assenza di univocità

Nei colloqui fra i vari esponenti dell’amministrazione statunitense, vi erano approcci

differenti circa il metodo da applicarsi nel confronto con Stalin. Come si è già avuto modo di

dire in precedenza, l’approccio seguito dall’ambasciatore a Mosca, Smith, oscillava tra la

ricerca del possibile accordo con i sovietici e un realismo imposto dalla situazione contingente;

lo stesso non poteva dirsi del consigliere incaricato, Murphy, così come del comandante in capo,

Clay, i quali avevano un atteggiamento, forse, maggiormente realista nei confronti dei sovietici.

186

Frus, cit., «Marshall/Smith», 10 agosto 1948, ibidem, pagg. 1028, ss. Per quanto riguarda

l’atteggiamento degli inglesi, “più realisti del re”, cfr. parte prima. 187

Frus, cit., « Murphy/Marshall», 11 agosto 1948, ibidem, pagg. 1031-1032. 188

Frus, op. cit., eadem.

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154

Tutti riferivano al Segretario di Stato, George Marshall. E questi aveva un atteggiamento che, in

qualche maniera, si sarebbe dovuto adattare alle singole personalità, a seconda del momento

particolare; il rapporto con i sovietici, la riuscita o meno del dialogo, dipendeva anche dagli

attori in gioco; a tale eterogeneità di comportamenti (ma che non potevano che parlare ad unica

voce, come si evince da una lettura delle note ufficiali), corrispondeva una eterogeneità nei

comportamenti degli alleati occidentali, Francia e Gran Bretagna. Di quest’ultima si è parlato

soprattutto a proposito di una certa intransigenza nei rapporti con Stalin, mentre la Francia

aveva come obiettivo fondamentale quello delle riparazioni dai danni di guerra. Conseguenza

diretta dei colloqui degli ambasciatori occidentali, guidati da Smith, con Stalin e Molotov era

stata una generale presa di coscienza dell’impossibilità di un accordo con i sovietici. Al tono

conciliante, ma non privo di una certa doppiezza, di Stalin il 2 agosto, era seguito

l’atteggiamento maggiormente intransigente di Molotov, che di fatto era esautorato da ogni

responsabilità decisionale, a causa anche della mentalità accentratrice di Stalin.189

10.5. Un unico piano di azione

Tutte queste posizioni, questi approcci differenti avevano avuto come risultato quello

dell’approvazione di un unico piano di azione nei confronti dell’ex alleato sovietico, che si

erano espresse durante i lunghi mesi del blocco di Berlino, in cui ebbe luogo una delle imprese

di salvataggio più affascinanti della Seconda Guerra Mondiale, il ponte aereo di Berlino, che

avrebbe dato la misura di quello che sicuramente sarebbe stato un grande successo politico degli

Stati Uniti e dei suoi alleati.

189

Tale mentalità aveva in qualche modo lasciato spazio ad una giovialità nei rapporti, derivante dal

ruolo rivestito da Stalin. Egli aveva, nel colloquio con i tre ambasciatori, dimostrato un’attenzione verso formule compromissorie, quali il rinvio di decisioni già prese, la partecipazione sovietica al controllo della Ruhr, oppure il baratto rappresentato dal fatto di lasciare che a Berlino circolasse solo il marco sovietico in cambio di un atteggiamento conciliatorio verso la nascita della Repubblica Federale di Germania, ecc. In altre parole, l’atteggiamento di Stalin, più e più volte contraddetto dai suoi stessi collaboratori, ma anche dai suoi stessi atteggiamenti, non era poi così ostile alla ricerca di un dialogo, se non fosse stato per la sua proverbiale doppiezza.

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155

CAPITOLO 11

NORMALITA’ E CONFLITTO

11.1. La situazione di impasse e il suo superamento

Questa situazione di impasse sarebbe ancora durata parecchi mesi. Solo all’inizio del

1949 si sarebbe sbloccata ed avrebbe avuto come interlocutore lo stesso Stalin.190

Il 4 aprile 1949 a Washington i rappresentanti di 12 nazioni siglavano il patto della

alleanza atlantica. Nell’Europa occidentale, fisicamente essa sarebbe stata presente in Germania,

in Austria e nel Territorio Libero di Trieste, servendosi di amministrazioni con scarsa capacità

operativa. Sull’onda del negoziato per il patto atlantico, i membri del patto di Bruxelles

avviarono anch’essi un negoziato per la realizzazione di un organismo di cooperazione politica

europea.

OECE, ERP, patto di Bruxelles, alleanza atlantica e Consiglio d’Europa venivano viste

come il simbolo della reazione occidentale alla minaccia sovietica, in quanto si era venuto a

creare un sistema occidentale, all’interno del quale si andava ormai strutturando un sottosistema

europeo occidentale, a guida degli Stati Uniti, ma con un importante ruolo giocato anche da

Gran Bretagna e Francia. Al tempo stesso era altrettanto importante il processo che nel maggio

del 1949 conduceva all’approvazione della Grundgesetz (Legge Fondamentale) e alla

Costituzione della Repubblica federale tedesca; le prime elezioni avevano sancito il successo di

Konrad Adenauer, leader della CDU/CSU, un cattolico conservatore.

Nella primavera del 1949 l’Unione Sovietica consentiva la ripresa delle comunicazioni

fra la Germania Federale e Berlino Ovest. La reazione occidentale aveva rivelato tutta la sua

efficacia sul piano politico, mentre il piano Marshall faceva sentire i propri effetti benefici

sull’economia della parte occidentale d’Europa, per quanto nell’ottobre di quello stesso anno

l’URSS favorisse la creazione della Repubblica democratica tedesca. 191

A dare un’idea di quella che sarebbe stata l’evoluzione dei progetti sul futuro della

Germania da lì in avanti, valgono i seguenti schemi:

190

Il 30 gennaio 1949 Stalin aveva concesso un’intervista ad un giornalista americano, con la quale egli

apriva ad una soluzione compromissoria: il blocco di Berlino poteva essere tolto, qualora gli Alleati avessero posposto la creazione della futura Repubblica federale di Germania ad una riunione di un Consiglio dei ministri degli esteri, che discutesse della questione germanica. E’ stato rilevato come questa fosse una distinzione sottile, ma significativa; l’opposizione, dura, netta e in linea di principio verso la politica degli alleati occidentali lasciava spazio ad una condizione, che si sarebbe adempiuta prima della nascita della Repubblica federale tedesca. Stalin, dunque, stava lasciando intendere che vi era lo spazio per una ripresa del dialogo. E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali 1919-1999, cit., pag. 725. 191

A. Varsori, op. cit., pagg. 169-170.

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Figura 1. L’organizzazione della Commissione di Controllo alleata.

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Figura 2. L’organizzazione dell’Alta Commissione degli Stati Uniti per la Germania.

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Figura 3. L’organizzazione della Repubblica federale tedesca (R.F.T.), 1949.

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159

11.2. La fine del blocco e la nascita della R.F.T.

Come si può vedere, l’organizzazione della Repubblica federale tedesca, la cui nascita

seguì alla ripresa dei negoziati nel febbraio del 1949, era strutturata sul modello delle precedenti

commissioni di controllo e dell’Alta Commissione Statunitense di Controllo per la Germania.

Oltre a ciò, nell’ufficio di Adenauer, primo Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, vi

era un ufficio di collegamento con l’Alta Commissione alleata, a significare una

istituzionalizzazione del rapporto di subordine che, nel clima della guerra fredda, doveva essere

mantenuta nei confronti degli alleati occidentali, Stati Uniti in primis.

11.3. Lo “sblocco” di Berlino

La ripresa del dialogo non aveva avuto il solo effetto di sbloccare la situazione e fornire il

“via libera” alla creazione della Germania Federale e alla conseguente spartizione della

Germania in una Germania Est e in una Germania Ovest, ma aveva avuto anche l’esito di

accelerare i colloqui volti a sbloccare la situazione di Berlino. Venne sottoscritto un

comunicato, da parte dei rappresentanti delle quattro potenze di occupazione, con il quale

veniva annunciata la fine del blocco entro il 12 maggio successivo ed il 23 maggio vi sarebbe

stata la riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri.

Anche questo fatto, dopo una lunga stagione di conflitto, stava a simboleggiare un ritorno

alla normalità.

11.3.1. La questione di Berlino dopo la fine del blocco

Il prezzo pagato a Stalin e ai sovietici fu, molto probabilmente, la rinuncia ad inserire

pienamente Berlino nel quadro istituzionale della Germania Ovest. I rappresentanti della città di

Berlino avrebbero potuto prendere parte alle sedute del parlamento federale (Bundestag), ma

senza alcun potere di voto.192 Oltre a ciò, l’organizzazione prevedeva una permanenza da parte

delle potenze di occupazione per molti anni ancora nella città.

192

E. Di Nolfo, cit., eadem.

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CAPITOLO 12

EST e OVEST

12.1. Est e Ovest

Nulla più che a Berlino stava a simboleggiare la rivalsa fra Est e Ovest in un quadro di

mutati rapporti all’interno del quadro geopolitico mondiale: si è detto in precedenza,193che il

confine fra Est e Ovest, in tale quadro di mutati rapporti bipolari passava proprio in mezzo alla

Germania; e nel cuore della Germania adesso si era frapposto quello che era stato ampiamente

previsto nel corso dei dibattiti all’interno del Consiglio di Controllo alleato per la Germania,

cioè la sua divisione in due parti.

La divisione non stava però a significare una nascita di due repubbliche, una stranamente

definita “democratica”, ma che di democratico avrebbe avuto ben poco, dal momento che la sua

stessa organizzazione sarebbe finita all’interno del patto di Varsavia di lì a qualche anno (1955);

l’altra, federale, organizzata veramente su basi democratiche e diretta espressione del

liberalismo di una certa borghesia illuminata tedesca, ma anch’essa, come già visto,194

direttamente controllata dall’Alta Commissione alleata, che aveva il proprio ufficio di

collegamento proprio nel cuore pulsante della nuova organizzazione politica, nell’ufficio del

cancelliere federale.

Tale diversità di impostazioni politiche rimandava al clima generale della guerra fredda,

un clima che aveva avuto come esito quello della divisione del mondo in due blocchi, Est e

Ovest, due blocchi che erano anche due diversi modi di intendere la vita politica ed economica

all’interno delle proprie rispettive aree di influenza.

Il modo in cui si espresse questa influenza fu diverso a seconda delle aree interessate: in

occidente come in oriente essa si sarebbe espressa militarmente, con le conseguenze della

creazione progressiva ad est, di uno stato “satellite” dell’URSS, mentre ad ovest tale presenza

aveva più un carattere garantistico, quasi una sorta di retaggio, una memoria del passato e al

tempo stesso un monito e una garanzia di difesa da eventuali attacchi da parte sovietica. Non era

secondario il ruolo che gli alleati occidentali avrebbero avuto in Germania Ovest: essi si

sarebbero riservati tutti i compiti relativi al disarmo e alla smilitarizzazione, al controllo della

politica estera ed al commercio e, non ultimo, dei movimenti monetari.

193

Cfr. Parte Prima. 194

Vedi supra

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162

12.1.1. Due differenti interpretazioni dei concetti di “Est” e “Ovest”

I due modi di intendere la diversità fra Est e Ovest erano anche corrispondenti a due

diverse concezioni, lo si è detto e ripetuto varie volte: Berlino stessa usciva dalla crisi

profondamente cambiata al suo interno. Da allora in avanti essa sarebbe sempre più rimasta

divisa in due parti; due parti che rispecchiavano, l’una il modo sovietico di concepire la

ricostruzione in Europa e la stessa presenza in occidente; l’altra, espressione del modo

occidentale di risolvere gli stessi problemi.

La questione della divisione, dei confini fisici, si rispecchiava in una divisione fra due

anime l’una occidentale, l’altra orientale, appartenenti alla stessa Europa: le comunicazioni

sarebbero divenute via via sempre più difficili, fino a paralizzarsi con gli anni, diventando

occasione di nuove crisi.

12.2. I riflessi europei e mondiali del blocco

Tuttavia il blocco ebbe anche dei riflessi europei e mondiali di maggiore portata, al punto

che il tentativo sovietico di impedire la nascita della Repubblica federale di Germania rimase

del tutto inefficace. Infatti, proprio lo stesso giorno in cui terminava il blocco, il 12 maggio

1949, i governatori militari accettavano la legge fondamentale (Grundgesetz), cioè la carta

costituzionale della nascente Repubblica federale di Germania. Da quel momento, il susseguirsi

degli eventi indicava la strada e dava il ritmo, sempre crescente, con il quale si sarebbe andati

verso la nascita della R.F.T.. Il 23 maggio ’49 ebbe inizio a Parigi il Consiglio dei Ministri degli

Affari Esteri, che si sarebbe concluso con un sostanziale nulla di fatto il 20 giugno successivo.

Vi fu una sorta di ritorno, in termini di popolarità, in questo periodo, dell’Unione Sovietica che

ebbe gioco facile nel sostenere l’unità della Germania a fronte degli alleati che invece dovevano

arrancare spiegando come e quando questa si sarebbe potuta raggiungere.195

Così, completato il processo di ratifica dei singoli governi regionali interessati, si riuniva

il parlamento federale tedesco, il 7 settembre 1949, il quale proclamava la nascita della

Repubblica federale di Germania ed eleggeva Konrad Adenauer quale primo cancelliere

federale e capo del partito CDU. Anche a Berlino, nello stesso giorno, veniva costituito un

governo per il settore occidentale della città.

195

Come si è avuto modo di vedere (cfr. Parte Prima),i sovietici erano per una unità della Germania, ma

quale “satellite” di Mosca, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Anche allora, con il colpo di stato in Cecoslovacchia avutosi nel 1948, era chiaro quello che sarebbe stato il destino dei satelliti di Mosca. Nessuna libertà di scegliere, da parte dei cittadini dell’est Europa, i propri rappresentanti politici e, soprattutto, un diffuso clima di paura e di terrore, cui faceva da contraltare un ovest sotto egida statunitense, ma con istituzioni democratiche e in grado di rimettersi in cammino verso la strada dello sviluppo e del rispetto dei diritti umani.

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163

CONCLUSIONI

Blocco e ponte aereo, “figli del loro tempo”

Oltre al fatto di non frenare minimamente lo sviluppo interno della Germania, che

poggiava su solide basi, rafforzate dalla volontà degli alleati di non imporre alla Germania delle

condizioni di resa particolarmente umilianti, il blocco di Berlino e il ponte aereo che gli alleati

organizzarono, ebbe un’eco mondiale veramente eccezionale. Come si diceva in precedenza, 196

esso era stato posto poche settimane dopo il colpo di stato di Praga ed aveva alimentato la

percezione che i sovietici in qualche modo stessero limitando lo sviluppo di un’Europa

pacificata e coesa democraticamente.197

Gli eventi politici internazionali

Assieme al fatto della incredibile (ma, a ben vedere, non più di tanto) contemporaneità

con gli eventi politici internazionali, come il già ricordato colpo di stato del ’48 in

Cecoslovacchia, va detto che tali eventi, che si erano spesso susseguiti con un ritmo frenetico,

ebbero l’esito di dimostrare al mondo intero l’efferatezza e la brutale aggressività usata

dall’URSS e che avrebbe colpito gli stati che avessero rifiutato di sottomettersi ai diktat

sovietici. E la questione, negli anni a venire, avrebbe riguardato non solo Stalin, ma anche

l’URSS di Khrushev.198

Non era certo stato un caso che i negoziati per il “patto atlantico” avessero avuto inizio

subito dopo l’inizio del blocco di Berlino e si fossero conclusi il 4 aprile 1949, a un mese circa

dalla fine del blocco. Vi era la percezione, in Europa, della necessità che l’integrazione

economica attuata con il piano Marshall dovesse essere accompagnata da una protezione

politico-militare altrettanto efficace.

196

Vedi nota precedente. 197

Le tattiche dilatorie dei sovietici nelle lunghe ed estenuanti discussioni all’interno del Consiglio di

Controllo Alleato e dentro la Commissione di Controllo in genere, non erano volte soltanto alla realizzazione dei loro piani di barbara “sovietizzazione” della Germania e di riflesso dell’intera Europa. Tale tattica stava a dimostrare anche che i sovietici erano in una condizione di forte difficoltà nei confronti dell’altro contendente sul piano del conflitto bipolare. Un contendente forte, in grado adesso di uscire vincitore e passare per l’alleato buono e altruista, che si era speso per la causa della pace e della democrazia; ebbene, l’URSS, in forti difficoltà finanziarie e reduce da una guerra che aveva lasciato 26 milioni di morti,non era nelle stesse condizioni di forza e di potenza degli USA. Ecco, forse questo è uno dei possibili motivi, assieme a tanti altri, che spiegano l’atteggiamento dilatorio e forse anche la doppiezza di Stalin nei negoziati con le potenze occidentali. 198

Vedi anche Parte Prima.

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164

Gli anni Cinquanta

Il periodo successivo, che orientativamente va dal 1950 al 1955 fu denso di cambiamenti

sul piano internazionale. Concentrando il focus sull’Europa, va detto che il 1955 fu l’anno nel

quale si completò l’assetto e la creazione dei blocchi contrapposti e organizzati in modo

speculare. Per quanto riguardava l’URSS, questa aveva ormai completato il processo di

assimilazione dei regimi politici e dei rapporti bilaterali con ciascuno dei paesi satelliti, durante

il quale aveva visto la luce, ancora nel 1949, il COMECON (Consiglio di reciproca assistenza

economica).

Ebbene, insieme al COMECON, si registrarono, all’indomani della nascita della UEO, il

6 maggio 1955, i negoziati, dall’11 al 14 dello stesso mese, che culminarono proprio il 14

maggio 1955 con la nascita del Patto di Varsavia, fra l’URSS e i suoi “satelliti”; questo patto, di

fatto era una sorta di formalizzazione di accordi precedenti ed aggiungeva davvero poco al

sistema di sicurezza precedente, già del resto egemonizzato da parte sovietica. Il valore

dell’accordo era proprio quello di dimostrare al mondo intero che, se una parte dell’Europa,

quella occidentale, insieme agli Stati Uniti d’America, si era organizzata con diverse strutture

politiche e militari (UEO, NATO, CECA, tentativo CED), comprendendo la Germania Ovest,

adesso anche l’Unione Sovietica aveva un sistema posto a tutela dell’Europa orientale, analogo

nei trattati a scopo difensivo e comprendente la Germania Est, con un forte appeal su vasti

settori della stessa Berlino.

Dalla genesi allo sviluppo: la “cristallizzazione” della guerra fredda

Da quel momento, in Europa, non si sarebbe più combattuta una guerra vera e propria. La

creazione di due schieramenti opposti, egualmente forti e che adesso si erano spartiti il

continente europeo, aveva avuto come effetto quello di “cristallizzare” la guerra fredda, che non

si sarebbe più combattuta in Europa, ma in altre aree, come l’Asia, al punto che si può iniziare a

parlare di una prima “distensione” (glasnost) fra due blocchi, eterni rivali e alleati.199

199

Il processo di distensione era ancora molto lungo e di là da venire. Era solo l’inizio della “glasnost”

khrusceviana, non esente da ombre sul proprio cammino, cui tuttavia ancora seguiranno gli anni bui della guerra fredda, che registreranno diversi episodi di intolleranza anche nello schieramento occidentale. Tuttavia, il periodo che va dalla fine del blocco di Berlino fino al 1956 aveva avuto l’effetto di dare l’illusione di un cambiamento, di voltare pagina per sempre, rispetto alla logica della guerra fredda, una logica sempre di guerra e di corsa agli armamenti. L’illusione sarebbe durata poco: fra il 1957 e il 1976 varie crisi nell’uno e nell’altro schieramento avrebbero interessato molte aree del pianeta, soprattutto alcune tra le più povere, prima della seconda distensione nell’era di Carter, immediatamente precedente la seconda guerra fredda con Reagan e poi la perestrojka di Gorbatcev nel 1985, che avrebbero traghettato il mondo verso il 1989, con il suo lascito di domande e di risposte ancora oggi non del tutto evase.

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APPENDICE A:

DOCUMENTI

DOCUMENTO 1 (rif. nota 45 a pag. 36)

E’ anche difficile dire con certezza quante realmente fossero le vittime della guerra, anche se si possono azzardare alcune cifre, che danno l’idea di quanto spaventoso era stato il massacro e di quanto grande sarebbe stato, adesso, il compito della ricostruzione:

1) URSS: L’Unione Sovietica contava qualcosa come 7,5 milioni di morti fra i militari; i civili morti erano forse stati altrettanti; si ignora il numero dei morti per fame o di stenti. Nel complesso, la cifra di oltre 20 milioni di morti, molto probabilmente circa 26 milioni, appare realistica: infatti, bisogna aggiungere le vittime successive, quelle che nel conflitto erano rimaste gravemente ferite e decedute successivamente, così - anche se non annoverate nella macabra conta dei morti - non vanno dimenticate le persone rimaste menomate dalla guerra e le persone che ebbero dal conflitto completamente distrutta la propria famiglia: ad aggravare il tutto era l’estrema vicinanza con l’altra guerra mondiale, la Prima, che aveva prodotto quegli stessi lutti e quelle immani distruzioni, che ora si stavano ripetendo su scala moltiplicata.

2) POLONIA: in termini proporzionali, fu il Paese che più di tutti subì sacrifici umani: circa il 15% della popolazione, in gran parte civili. Quasi 6 milioni di morti, la metà dei quali Ebrei provenienti dalla zona orientale del Paese, sui quali si era incarognita la persecuzione di Hitler.

3) GERMANIA: la Germania pagò la sua fedeltà pressoché assoluta al fuhrer con 4 milioni e ½ di morti, ma va anche detto che, più che a qualunque altro Stato, ad essa toccò patire le sofferenze delle migrazioni forzate, quando 11 milioni di persone dovettero abbandonare i territori poi assegnati alla Polonia e all’URSS.

4) CINA: qui si contavano oltre 2 milioni di morti. Tuttavia, vi era stata una infinta lunga guerra, negli anni precedenti, con oltre 20 milioni di morti; in questo, come in altri casi di assenza di statistiche valide, si possono tuttavia dare solo alcune valutazioni generiche.

5) JUGOSLAVIA: qui si contavano qualcosa come 1,5 milioni di morti.

6) FRANCIA: circa 600.000 vittime.

7) ITALIA: oltre 400.000 vittime.

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8) STATI UNITI: 406.000 vittime.

9) EBREI IN EUROPA ante guerra: 9.200.000.

10) EBREI IN EUROPA dopo guerra: 3.800.000.

11) MORTI IN COMBATTIMENTO IN EUROPA nella Seconda Guerra Mondiale: oltre 40.000.000 (più del doppio della Prima Guerra Mondiale).

DOCUMENTO 2 (rif. nota 48 a pag. 39)

In Ungheria vi erano dei motivi di risentimento che contribuirono a portare questo Paese ad allearsi con i nazisti; tuttavia, alcuni tra gli episodi più efferati non si sarebbero realizzati prima dell’avvento al potere del regime delle Croci Frecciate, nel 1944, di cui parla anche un bellissimo film, Music box-prova d’accusa, del 1987. Queste si resero responsabili dell’eccidio degli ebrei di Budapest, che vennero massacrati in riva al Danubio, dai bastioni del Parlamento. Dopo l’affermazione delle Croci Frecciate, l’Ungheria aveva anche introdotto delle modifiche alla propria costituzione, passando da un regime a bicameralismo perfetto ad uno monocamerale, in cui la sola camera alta aveva in mano il potere legislativo. Era l’effetto della potenza di Hitler, in grado di far sentire la propria voce anche in un periodo in cui era ormai chiaro che avrebbe perso la guerra; eppure, questa affermazione ungherese, così come l’efferatezza delle sue truppe in ritirata in Italia, dava in quegli anni la misura dell’efficacia delle armate tedesche e, al tempo stesso, forgiava le resistenze di mezza Europa, dando la percezione di quanto lungo fosse il cammino per la vittoria. Una volta affermatosi il regime comunista, l’Ungheria vide l’affermazione di un regime di stampo sovietico particolarmente morbido, al punto che da varie parti si utilizzò il termine di “socialismo magiaro” per indicare la “via ungherese” di applicazione delle idee socialiste; la rivoluzione contro l’oppressore comunista, in un clima mutato, scoppiò comunque e, infine, il 23 ottobre del 1956 i carri armati sovietici soffocarono nel sangue i moti di piazza per riportare al potere Imre Nàgy, che venne giustiziato nel 1958 e sepolto a testa in giù in una tomba senza nome. Riabilitato e riconosciuto eroe nazionale, fu riesumato e ai funerali di stato del 16 aprile 1989 parteciparono più di 300.000 persone. Oggi Nàgy riposa a Budapest al mausoleo di Piazza degli Eroi.

DOCUMENTO 3

(rif. nota 102 a pag. 72)

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167

(rif. nota 103 a pag. 73)

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168

(rif. nota 104 a pag. 73)

Frus, pagg. 899-900, Telegramma n. 4/2848, Consiglio di Controllo per la Germania, Douglas/Segretario di Stato USA, Londra, 28 aprile 1948, qui riportato per intero.

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169

DOCUMENTO 4 (rif. nota 105 a pag. 74)

Clay sosteneva che:

Frus, freq. cit., Clay/Dept. of Army, CC4140, Berlino, 2 maggio 1948, ibidem, pag. 903.

DOCUMENTO 5 (rif. nota 111 a pag. 77)

LA PROGRAMMAZIONE DELLA RIFORMA MONETARIA DA PARTE DEGLI ALLEATI

OCCIDENTALI.

“L’intera economia pubblica della zona comprensiva della città di Berlino e

dell’hinterland, che include unità condotte direttamente e corporazioni di proprietà delle città

(imprese pubbliche) verrà gestita (esattamente come veniva fatto prima della riforma

monetaria) come una entità con moneta unica.

Tutte le ricevute pubbliche e le spese verranno registrate nella moneta valida nel settore

di occupazione sovietica (Reichsmark) e verranno portate in un unico posto, l’ufficio principale

del cassiere e la banca cittadina di Berlino (Stadtkontor) e saranno amministrate secondo il

budget ed i piani economici.

Se le somme in marchi tedeschi verranno ricevute o spese nei settori americano,

britannico o francese sulla base di regole accettate dai governi militari autorizzati riguardanti

la riforma monetaria, tali somme devono essere cambiate da un ufficio soggetto ai governi

militari in questione, onde lo scacchiere pubblico possa ricevere o pagare solo <<R-marks>>.

I soldi richiesti per tali scambi, in particolare il “D-mark” (marco tedesco) verranno forniti dai

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governi militari. Il cambio sarà di «1 R-mark = 1 D-mark». Nell’accettare la risoluzione del

Magistrato, i rappresentanti sovietici hanno promesso fondi alla città per 25 milioni in marchi

sovietici, rendendo possibile le retribuzioni della città. I fondi sono quindi stati apparentemente

trattenuti a causa della violazione dell’ordine sovietico di non riconoscere alcuna moneta al di

fuori di quella sovietica. La risoluzione del Magistrato, accettata dai rappresentanti delle

quattro potenze, rappresenta quindi un compromesso in cui i Sovietici riconoscono il marco

sovietico come unico marco per Berlino e le potenze alleate ottengono implicita accettazione

del D-mark come moneta supplementare nei settori occidentali, anche mantenendo le basi per

negoziati quadripartiti come sottolineato nelle recenti comunicazioni inviate ai Sovietici. I fondi

stanziati rappresentano circa un quarto del budget mensile della città e la metà degli stipendi di

tutti i settori. I rappresentanti sovietici promettono al tesoriere della città un importo

addizionale di 15 milioni da consegnare al più presto.

A seguito della promessa verbale dei Sovietici di stanziare i fondi, il capo del

Dipartimento della Finanza, della città di Berlino, riceve la seguente lettera dai Sovietici:

Secondo le istruzioni dell’amministrazione delle finanze (SMA) vi si fa divieto di

effettuare le seguenti spese in Reichmark o “Rentenmark” (non validi):

«(1) Ogni tipo di costo relativo all’occupazione per le potenze di occupazione

(Americani, Inglesi e Francesi), inclusi i costi di sostentamento per il personale tedesco, le

Guardia Nere (??), rifugiati, ecc»;

«(2) Tutte le spese riguardanti le potenze di occupazione (Americani, Britannici e

Francesi), tra le altre le spese per i dipartimenti del Magistrato per i costi di occupazione nei

settori occidentali»;

«(3) I costi di mantenimento dei tribunali amministrativi nei settori americano ed inglese

(nessuno in settore francese)»;

« (4) I costi di mantenimento dell’ufficio tedesco per la notifica delle morti al parente più

prossimo degli ex membri della Deutsche Wehrmacht e dell’ufficio per la registrazione delle

vittime di guerra»;

« (5) I costi di mantenimento dell’ufficio brevetti»;

«(6) I costi di mantenimento dell’Istituto di Chimica Fisica e Chimica Elettrica, del

Reichsanstalt fisico e tecnico ed il materiale. Firmato Tenente Colonnello Rubanisty».

I costi mensili stimati degli stipendi del personale impiegato ammontano

approssimativamente a 8.5 milioni. Il tesoriere sta ora cercando di rinegoziare coi Sovietici nei

settori occidentali. Un divieto sovietico sembrerebbe contraddire l’assenso sovietico al

paragrafo 2 della risoluzione del Magistrato riguardante i costi sempre considerati come

porzione del budget.

I consiglieri finanziari degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sono rimasti d’accordo, il

9 luglio, nel fondare un’organizzazione tedesca per comprare i prodotti di Berlino da vendere

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nelle zone occidentali. Gli acquisti saranno sia in marchi sovietici che tedeschi.

I procedimenti ed il credito derivanti dalla vendita serviranno per finanziare ulteriori

vendite ed acquisti e per ridurre l’indebitamento delle zone. Un accordo stabilisce un

finanziamento per il commercio con le zone occidentali attraverso una Commissione Monetaria

che agisca come Landeszentralbank per Berlino, per garantire un credito fino al 90% contro i

documenti commerciali scontati ed accreditati sul Bank Deutscher Laender, che fornisce il

deposito iniziale con la Commissione Monetaria.

Onde facilitare il marco sovietico e quello tedesco nel settore occidentale ed in quello

sovietico e per evitare passaggi di valuta nel settore sovietico i consulenti finanziari

raccomandano che tutte le transazioni finanziarie provenienti dalle filiali passino

esclusivamente sul conto del Magistrato e siano soggetto all’approvazione preventiva dei

governi militari occidentali. Il diritto di nominare ufficiali di collegamento nella sede centrale

della banca della città (Stadtkontor) per garantire la correttezza nei prestiti bancari. Se i

Sovietici hanno obiezioni al riguardo, i flussi monetari dei settori occidentali verso la banca

centrale potrebbero essere interrotti”.200

Nella nota successiva del 14 luglio ’48, dell’Ambasciatore sovietico a Washington,

Panyushkyn , al Segretario di Stato George Marshall, si affermava come permanesse ancora una

certa lontananza fra le posizioni sovietiche e quelle occidentali sulla questione di Berlino:

“Il Governo sovietico non può essere d’accordo con questa dichiarazione del Governo

degli Stati Uniti e pensa che la situazione creata a Berlino è stata generata dalla violazione, da

parte dei Governi degli Stati Uniti d’America, della Gran Bretagna e della Francia, di accordi

presi dalle 4 potenze riguardanti la Germania e Berlino, e tali violazioni hanno portato alla

creazione di due diverse unità monetarie ed all’introduzione di una moneta speciale per i

settori occidentali di Berlino, nell’ottica di uno smembramento della Germania.

Il Governo sovietico ha più di una volta messo in guardia i Governi degli USA, UK e

Francia su una eventuale loro responsabilità nel caso avessero seguito la strada della

violazione degli accordi presi ed adottati dalle 4 potenze riguardo alla Germania. Le decisioni

adottate alle Conferenze di Yalta e Potsdam ed anche l’accordo delle 4 potenze riguardo al

meccanismo di controllo della Germania, hanno lo scopo di demilitarizzare e democratizzare la

Germania, la cancellazione del militarismo tedesco e prevenire la rinascita di un potere tedesco

aggressivo e quindi la trasformazione della Germania in uno stato democratico e pacifico.

Questi accordi prevedono l’obbligo da parte della Germania di pagare i danni di guerra e

quindi di rifondere, almeno parzialmente, i danni subiti da quei paesi che hanno subito

l’invasione tedesca. Secondo questi accordi i Governi delle 4 potenze si assumono la

responsabilità dell’amministrazione della Germania ed insieme si impegnano a stilare uno

200

Frus, op. freq. cit., pagg. 958-960.

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statuto per la Germania o per tutte le zone, inclusa Berlino, che erano parte del territorio

tedesco e (si impegnano) a concludere con la Germania un trattato di pace che dovrebbe essere

firmato da un Governo di una Germania democratica, creato a tale scopo.

Questi accordi importantissimi tra le 4 potenze, riguardo alla Germania, sono stati

violati dai Governi USA, UK e Francia. Le azioni per smilitarizzare la Germania non sono state

completate e importantissimi centri della Germania, come il distretto della Ruhr non sono

ancora fuori dal controllo delle 4 potenze.

L’esecuzione di decisioni concernenti le riparazioni provenienti dalle zone occidentali di

occupazione della Germania è stata interrotta dai Governi USA, UK e Francia. Tramite azioni

separate dei governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia il meccanismo di

controllo delle 4 potenze in Germania è stato distrutto ed il Consiglio di Controllo ha quindi

cessato la sua attività.

A seguito dell’incontro di Londra delle tre potenze, con la partecipazione del Benelux,

sono state prese decisioni dai Governi USA, UK e Francia indirizzate alla divisione e

smembramento della Germania, incluse azioni, ora in corso, per designare un governo separato

per le zone occidentali della Germania e la riforma di una valuta separata per le zone

occidentali di occupazione, riforma avvenuta il 18 giugno di quest’anno.

Sia la situazione creata a Berlino, come pure quella nel resto della Germania è il

risultato diretto della violazione sistematica, da parte dei Governi USA, UK e Francia delle

decisioni prese alla Conferenza di Potsdam ed anche dell’accordo delle 4 potenze sul

meccanismo di controllo in Germania, il Governo sovietico deve rigettare come completamente

infondata la dichiarazione del Governo USA che afferma che le restrizioni sulle comunicazioni

tra Berlino e le zone occidentali d’occupazione in Germania, restrizioni introdotte dal comando

sovietico per la difesa dell’economia della zona sovietica sono palesemente in violazione degli

accordi riguardanti l’amministrazione di Berlino….”.201

201

Il testo continuava così: «1. Il Governo degli USA dichiara che occupa il proprio settore di

Berlino grazie ai diritti scaturiti dalla sconfitta e capitolazione della Germania, e si avvale al riguardo dell’accordo tra le 4 potenze sulla Germania e Berlino. Ciò conferma il fatto che l’esercizio del diritto sopra citato riguardo a Berlino è legato all’esecuzione obbligatoria da parte delle potenze occupanti la Germania del trattato delle 4 potenze, tra loro concluso, riguardo alla Germania nel suo insieme. In conformità con questi accordi si considerò Berlino come sede della autorità suprema delle 4 potenze occupanti, e sulla base di questo venne raggiunto un accordo sull’amministrazione della Grande Berlino sotto la direzione del Consiglio di controllo.

Quindi l’accordo riguardante l’amministrazione delle 4 potenze di Berlino è una parte componente inseparabile del trattato per le 4 potenze per l’amministrazione della Germania nel suo insieme. Dopo che gli USA, il Regno Unito e la Francia, col loro potere separato nelle zone occidentali della Germania hanno distrutto il sistema dell’amministrazione delle 4 potenze della Germania ed hanno iniziato a costituire una capitale per il Governo della Germania Occidentale a Frankfurt-am-Main, essi hanno così minato anche le basi legali che assicuravano il loro diritto a partecipare all’amministrazione di Berlino.

2. Il Governo degli USA nella sua nota sottolinea che il suo diritto di stare a Berlino è anche dovuto al fatto che gli USA hanno ritirato le loro forze da alcune regioni delle zone sovietiche di

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DOCUMENTO 6 (rif. nota 148 a pag. 112)

« Più tardi, questo pomeriggio, abbiamo incontrato Bevin, Strang, Peterson, Dean e Roberts per gli Inglesi. Dopo una lunga discussione durante la quale Bevin, con una grande dose di petulanza e lamentandosi, si dimostrava riluttante all’approccio con Stalin, per le ragioni sopra riportate, e finalmente egli sosteneva che avrebbe raccomandato al suo Gabinetto un approccio a Stalin secondo le

occupazione in cui erano penetrati nel periodo delle ostilità in Germania e che se (gli USA) avessero previsto la situazione creatasi a Berlino, non avrebbero ritirato le loro forze da quelle regioni. Comunque il Governo degli USA sa bene che spostare le proprie truppe vicino alle zone americane stabilite dall’accordo delle 4 potenze sulle zone di occupazione in Germania è stato solo un atto dovuto dall’obbligo (dell’accordo), la cui esecuzione era in accordo col diritto di ingresso delle truppe USA a Berlino. Un esame della lettera citata nella nota del Governo USA, del Presidente Truman al Premier Stalin del 14 giugno 19453, conferma il fatto che, grazie all’accordo allora raggiunto, le forze degli USA, UK e Francia ebbero l’opportunità di entrare, non solo nella capitale della Germania, Berlino, ma anche nella capitale dell’Austria, Vienna, che, come si sa, è stata conquistata solo dall’Esercito sovietico. Inoltre, si sa che gli accordi riguardanti la questione di Berlino ed anche di Vienna erano solo una parte degli accordi sulla Germania ed Austria, sull’applicazione dei quali il Governo sovietico continua ad insistere.

3. Il Governo USA dichiara che le misure temporanee messe in atto dal Comando sovietico per la restrizione del trasporto tra Berlino e le zone occidentali ha creato difficoltà nel rifornimento alla popolazione di Berlino nei settori occidentali. E’ impossibile, comunque, negare il fatto che queste difficoltà sono state create dagli USA, UK e Francia e principalmente dalle loro azioni atte ad introdurre una nuova valuta nelle zone occidentali della Germania ed una valuta speciale nei settori occidentali di Berlino.

Berlino si trova al centro della zona sovietica ed è parte di quella zona. Gli interessi della popolazione di Berlino non permettono una situazione in cui a Berlino o anche solo nei settori occidentali di Berlino sarà introdotta una valuta speciale che non sarà valida nella zona sovietica. Inoltre, l’attuazione di una riforma monetaria separata nelle zone occidentali della Germania ha posto Berlino e l’intera zona di occupazione sovietica in una situazione nella quale l’intera massa monetaria cancellata nelle zone occidentali ha minacciato di riversarsi a Berlino e nella zona di occupazione sovietica in Germania.

Il Comando sovietico è stato quindi obbligato ad adottare alcune misure urgenti per proteggere gli interessi della popolazione tedesca ed anche dell’economia della zona sovietica di occupazione e dell’area della «Grande Berlino». Il pericolo di dissesto della normale attività economica della zona sovietica e di Berlino non è stato ancora superato in quanto gli Usa, UK e Francia continuano a mantenere a Berlino la loro valuta speciale.

Inoltre, il Comando sovietico ha abbondantemente mostrato e sta mostrando, preoccupazione per il benessere della popolazione di Berlino e per assicurare il rifornimento normale per tutto ciò che è di normale necessità e sta lottando per eliminare quanto prima le difficoltà sorte recentemente al riguardo. In questo contesto, se la situazione lo richiede, il Governo sovietico sarebbe d’accordo nell’assicurare un adeguato rifornimento per tutta la “Greater Berlin” coi propri mezzi.

Riguardo alla dichiarazione del Governo USA, secondo la quale esso (il governo) non avrebbe rinunciato ai suoi diritti di partecipare all’occupazione di Berlino, né con minacce, pressioni od altre azioni, il governo sovietico non intende discutere tale dichiarazione poiché non necessita di alcuna politica di pressione, in quanto, con palese violazione delle decisioni prese sull’amministrazione di Berlino, i governi sopra citati, stanno annullando il loro diritto a partecipare all’occupazione di Berlino.

4. Il Governo USA nella sua nota del 6 luglio esprime la sua disponibilità ad iniziare negoziati tra i 4 alleati per analizzare la situazione creatasi a Berlino ma passa sotto silenzio la questione dell’intera Germania

Il Governo sovietico, pur non opponendosi ai negoziati, considera, però necessario stabilire che non può collegare l’inizio di tali negoziati con l’adempimento di condizioni preliminari di qualunque genere e che, inoltre, le conversazioni tra le 4 potenze potrebbero essere applicabili solo nel caso in cui esse non si limitassero alla questione dell’amministrazione di Berlino, poiché questa questione non può essere scissa dalla questione generale del controllo delle 4 potenze in Germania.(…)». Frus, ibidem, pagg. 960-964. Trad. it. a cura di Serenella Dessì, Cagliari, 2014.

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seguenti linee: (a) Gli Ambasciatori USA, UK (se Peterson fosse lì, altrimenti lo Chargé d’Affaires) e Francese

avrebbero presentato a Molotov un comunicato molto breve che descriveva la situazione, che i loro governi avevano pensato che la situazione sorta a Berlino era molto seria e chiedevano un incontro con Stalin e Molotov. Smith e Peterson, con Bohlen e Strang stanno preparando questo breve comunicato.

(b) Se la richiesta viene accolta, i 3 Ambasciatori che incontreranno Stalin e Molotov ed il nostro Ambasciatore Smith, se è il più anziano in grado, stabiliranno la posizione dei tre governi servendosi di note accuratamente preparate con l’accordo dei 3 governi. Smith, Bohlen, Peterson e Dean stanno preparando questo documento ed inoltre (stanno preparando) le istruzioni per gli Ambasciatori per le discussioni che si spera seguiranno dopo la presentazione orale della nostra posizione. Questo documento non è stato ancora stilato ma rappresenterà, da un lato, una riconciliazione tra la nota inglese2 espressa nel linguaggio da me raccomandato e che è stata discussa con Bohlen e, dall’altro, il soggetto della vostra 28193. Sarà probabilmente molto più corta della versione inglese.

(c) Nel caso in cui questi approcci ricevessero un rifiuto od una reazione chiaramente negativa, Bevin pensa che dovremmo preparare una nota forte, probabilmente in linea con la prima bozza britannica4, che si chiuda con la proposta che il problema sia portato all’attenzione dell’ONU. Su un ultimo punto, però, Bevin vuole ulteriori discussioni sulle caratteristiche tecniche (?). Questa nota deve essere completata prima che Smith torni a Mosca. Verrebbe preparata da Strang e da me e Bohlen fintanto che egli starà qui (Embtel 3361, 24 Luglio5)». Frus, op. freq. cit., ibidem, pagg. 986-988. Trad. ad opera di Serenella Dessì, cit., 2014.

DOCUMENTO 7 (rif. nota 149 a pag. 112)

“Il Governo (spazio in bianco) ha preso in massima considerazione la nota rilasciata dall’Ambasciatore sovietico a Washington ed ha scambiato i suoi punti di vista con i Governi americano e britannico sulle note simili ricevute da questi governi. Il (spazio in bianco) governo non accetta l’assunto nella nota sovietica che il diritto delle forze d’occupazione occidentali a partecipare all’occupazione di Berlino è decaduto, e mentre essi non desiderano entrare in una discussione dettagliata delle scuse contenute nella nota di M. Abramov del 14 luglio, vorrebbe che fosse chiaro che essi non possono accettare la versione sovietica dei fatti e tanto meno l’interpretazione di detti fatti.

“Qualunque siano le ragioni che hanno portato le autorità sovietiche a decidere (sulle) restrizioni delle comunicazioni tra Berlino e e le Zone d’Occupazione Occidentali della Germania, che queste ragioni siano tecniche, come dichiarato in un primo momento, o politiche, come la nota di M. Abramov sembrerebbe indicare, le misure adottate dalle autorità sovietiche a Berlino hanno creato una situazione abnorme e pericolosa, la cui gravità non ha bisogno di essere messa in evidenza.

La risposta sovietica del 14 luglio non offre suggerimenti costruttivi per portare a termine la situazione abnorme di Berlino. Ciononostante il governo, come qualunque governo che ami la pace, stima che tale disputa si possa comporre. Essi sperano che il Governo sovietico la pensi allo stesso modo: non si pone in gioco, e non si è mai posta in gioco, la possibilità di un negoziato. La volontà di negoziare in assenza di fatti è sempre stata presente. Secondo il governo il miglior modo per risolvere le presenti difficoltà è quello di un approccio diretto. Essi pensano che una franca discussione tra il Generalissimo Stalin e voi da un lato ed i rappresentanti di ognuna delle tre forze occidentali di occupazione dall’altro, dovrebbero cercare di trovare una soluzione. Ho ricevuto istruzioni dal mio governo di richiedere che voi organizziate un colloquio tra il Generalissimo Stalin e voi da un lato e l’Ambasciatore francese, lo Chargé d’Affaires britannico ed io dall’altro (lato) onde discutere la presente situazione di Berlino e le sue vaste implicazioni”.2 Frus, freq. cit., ibidem, pagg. 990-991; trad. it. a cura di Serenella Dessì, freq. cit., 2014.

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APPENDICE B:

TABELLE ( rif. nota 90 a pag. 64)

Tabella n. 1 : Reddito nazionale: variazione fra il 1938 e il 1947 (in $ - 1950)

Belgio -2,7 Lussemburgo + 35,5

Francia -15,3 Paesi Bassi - 5,4

Germania occ. ---- Gran Bretagna - 1,9

Italia - 0,3 Stati Uniti + 62,5

Tabella n. 2: Reddito nazionale pro capite: variazione fra il 1938 ed il 1948 (in $ - 1950)

Belgio -4,8 Lussemburgo + 39,7

Francia -15,6 Paesi Bassi - 16,1

Germania occ. ---- Gran Bretagna - 6,9

Italia - 6,9 Stati Uniti + 43,8

Tabella n. 3: Produzione agricola: variazione fra il 1934-38 con indice 100 e il 1947-48

Belgio e Lussemburgo 85 Paesi Bassi 87

Francia 77 Gran Bretagna 108

Germania occ. 64 Stati Uniti 136

Italia 89

Tabella n. 4: Produzione industriale: variazione fra il 1938 = 100 e 1948

Belgio 121 Lussemburgo 145

Francia 108 Paesi Bassi 113

Saar 67 Gran Bretagna 129

Germania occ. 50 Stati Uniti 217

Italia 96 URSS 118

Questi dati, nell’insieme, mostrano una ripresa difficile, ma già evidente sul piano industriale nel 1948 (quando gli effetti del piano Marshall si fecero appena sentire). A essi vanno aggiunti i dati relativi alla disoccupazione nel 1946 e nel 1947 (in migliaia di lavoratori):

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Paese Anno 1946 Anno 1947

Belgio 48 36

Francia 57 46

Italia 1324 1620

Paesi Bassi 89 47

Gran Bretagna 237 374

Stati Uniti 2270 2142

L’indice della bilancia dei pagamenti documentava l’effettivo peso dei conti con l’estero dei principali Paesi sin qui esaminati. Ogni cifra viene fornita in milioni di valuta di conto di ciascun paese con l’eccezione del Belgio-Lussemburgo per il quale è disponibile il dato in franchi francesi. Nel dato sono comprese le partite visibili e quelle invisibili:

Paese Anno 1945 Anno 1946 Anno 1947 Anno 1948

Belgio --- --- --- - 4625

Francia - 1496 - 2049 - 1676 - 1738

Italia (miliardi di lire) - 135 - 144 - 355 + 11

Paesi Bassi - 1312 -1667 - 1447 - 312

Gran Bretagna - 870 - 230 - 381 + 26

Infine il dato riguardante i prezzi (…). Questo dato viene riportato sulla base di indicazioni di numeri indici che consentono il confronto fra il livello prebellico dei prezzi e quello dei primi anni della ricostruzione. In generale, l’ano assunto come indice 100 è il 1929.

PAESE Anno 1939 Anno 1945 Anno 1946 Anno 1947 Anno 1948

Belgio 76 363 413 470 ---

Francia 108 376 635 764 1009

Germania --- --- --- --- ---

Italia 104 2058 2881 5154 5437

Paesi Bassi 106 181 181 175 178

Gran Bretagna 79 157 152 159 165

Questi dati non mostrano un quadro omogeneo. Del resto non omogenea era la situazione di Paesi che erano stati devastati dalle operazioni belliche o da queste relativamente risparmiati: né omogenea era la politica economica scelta dalle coalizioni o dai singoli partiti che li guidavano. Nell’insieme, però, i dati dimostrano la lentezza della ripresa industriale; il peso assillante del deficit della bilancia dei pagamenti, cioè della dipendenza, in particolare dagli Stati Uniti, e in alcuni casi (…), la pressione inflazionistica (…) Gli elementi di fondo di questa situazione sono indicati da pochi dati. Fra la metà del 1945 (subito dopo la fine della guerra) e il giugno 1947 l’Europa aveva ricevuto dagli Stati Uniti un aiuto che, nel suo insieme, superava quello che le sarebbe poi stato dato con il piano Marshall. La Gran Bretagna aveva ricevuto 4,4 miliardi di $, la Francia 1,9 miliardi, l’Italia 330 milioni e i tre Paesi insieme del Benelux 546 milioni(…)” Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit., pagg. 690-693.

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BIBLIOGRAFIA

1. Fonti di primo grado:

- Foreign relations of the United States (1861-1958/1960), 375 volumi:

1) Foreign relations of the United States, 1948. Germany and Austria, Vol. II, U.S.

Government Printing office, 1948.

http://digital.library.wisc.edu/1711.dl/FRUS.FRUS.1948v02

Parte IV – The Berlin Crisis, pagg. 867 – 1284.

A) The breakdown of Quadripartite control in Germany, pagg. 867-909.

B) The establishment of the Berlin Blockade, pagg. 909-995.

C) The meetings of the representatives of the United States, the United Kingdom,

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per la Parte terza

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− Trachtenberg, M.A., Constructed Peace: The Making of the European

Settlement, 1945-1963, Princeton, NJ, Princeton University Press, 1999.

3. INTERVISTE:

Intervista dell'autore a Giovanni Carlo Curatola, giornalista, Una mia visione personale

del socialismo reale, Palermo, 04 ottobre 2015, riportato in Introduzione, pagg. 8-9,

nota n. 1.