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Esercizi di comprensione di lettura Pier Paolo Pasolini La rondinella del Pacher Lucia Drudi Demby Enallumini la nocte Ernest Hemingway Gli uccisori Tommaso Landolfi Il bacio Unità 8 Tra realtà e sogno

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Esercizi di comprensione di lettura

Pier Paolo Pasolini La rondinella del PacherLucia Drudi Demby Enallumini la nocteErnest Hemingway Gli uccisoriTommaso Landolfi Il bacio

Unità 8Tra realtà e sogno

2N. Botta, Galeotto fu il libro © Loescher Editore, 2010

PIER PAOLO PASOLINI

La rondinella del Pacher

In questo racconto di ambientazione friulana Pier Paolo Pasolini (1922-75), scrittore, poeta eregista cinematografico di fondamentale importanza nella seconda metà del Novecento, narra il sal-vataggio di una rondine compiuto da un giovane timido e solitario sulle sponde del laghetto delPacher.

Erio salutò sua mamma, dal cortile, montando in bicicletta.A Cordovado non c’era che il sole. Le cicale, sugli alberelli ruggini dello stra-

done d’asfalto – il tremito di qualche trebbia – e, ogni tanto, un camion soli-tario, diretto verso Portogruaro o Casarsa. Del resto, silenzio – un silenzio dicimitero. Sotto i portici di mattoni alcuni ragazzetti giocavano a palline: eranoNando, Cere, Velino, quello di Caorle. Velino gridò a Erio: «Dove vai?»

Erio frenò, e restando a cavalcioni sulla sella, su cui arrivava a stento, disseserio, com’era sempre: «Al Pacher».

«Portami», disse Velino, attaccandosi al manubrio della bicicletta. «Monta»,gli fece Erio. Velino aveva nove anni, Erio quasi tredici. Erio era innamoratodegli uccelli: a casa aveva una ventina di gabbie, nel cortiletto della pompa, lun-go il rigagnolo. Andava a caccia con la vermena e le paniuzze, quasi ogni matti-na. Era per questo che aveva degli amici, benché tutto l’inverno lo passasse nelcollegio di Porto. Velino condivideva la sua passione; aveva in tasca una grossafionda, conosceva il posto di almeno due dozzine di nidi. Adesso aveva un occhiogonfio perché poco prima aveva fatto a pugni con Nando a causa di un nido.

Da Cordovado al Pacher c’era un chilometro di strada. Erio e Velino non siscambiarono una parola, durante la corsa. Erio non lo faceva per timidità; soloi suoi occhi neri gli brillavano, lucidi, inespressivi, come quelli di un piccolo ani-male selvatico.

Il Pacher splendeva liscio sotto il sole.Lungo l’argine della ferrovia in quel momento passò la littorina. Velino bal-

zato giù dalla bicicletta, le corse un po’ dietro, saltando e ballando. Sulla riva diqua, verso Cordovado, c’erano già una ventina di ragazzi e di giovani; venivanoda Ramuscello, da Gleris, da Morsano, da Teglio e perfino da San Vito. Giù, ver-so la punta più lontana del Pacher si vedevano dei ragazzetti nudi, che si tuffa-vano in fila uno dopo l’altro, e ogni tanto, sottili, giungevano i loro gridi.

Erio andò a spogliarsi nel più profondo dei cespugli, venne fuori con le vestiin mano, indossando un paio di mutandine di tela bianca, troppo grandi. Senzaguardare nessuno, mise i panni sopra la bicicletta, e si allontanò. Alle sue spal-le i ragazzi facevano una assordante gazzarra, urlando, ridendo; bestem-miavano e dicevano parole che colpivano Erio come sferzate, anche se il suovolto restava del tutto inespressivo. Allontanandosi dal posto dove gli altri impaz-zavano, egli si teneva tutto chiuso, orecchi, bocca, occhi, con le gambe di piom-bo, come in certi sogni. Temeva che gli altri lo disprezzassero perché era cosìtimido, perché non sapeva dire le loro parole, perché era boyscout, perché sene stava sempre solo... Andò al Pacher Piccolo – di un color verde torbido, mar-cio. Lì nessuno veniva a fare il bagno. Nelle boschine intorno volavano centina-ia di uccelli, indisturbati, nel pieno del loro diurno fervore. L’uva cominciava adannerire: il bacò era quasi maturo, e poiché i campi lì intorno erano di una fami-Al

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. glia amica, andò a mangiarne qualche grappolo. Poi girellò un poco per le

boschine, a fare delle osservazioni. I gridi dei ragazzi giungevano nitidi, coi ton-fi dei tuffi e il rumore dell’acqua.

Erio, come sempre, quand’era solo, pensava con dolore a se stesso, al fattoche non era come gli altri. Non sapeva scherzare, non sapeva stare in compa-gnia, nelle partite al pallone era confinato sempre in porta; benché sapesse nuo-tare aveva paura ad allontanarsi dalla riva... Da qualche tempo però era umilia-to e tormentato da un fatto più preciso che non fosse ad esempio la paura dinuotare al largo. Egli non aveva mai compiuto una “buona azione”. Una “buonaazione” completa, rifinita, che fosse anche bella: una impresa con un principioe una fine, di cui si potesse parlare come in un libro, come nel Don Chisciottedella Mancia che gli aveva regalato suo cugino – quell’odioso libro che non sape-va se prendere sul serio o disprezzare, ma che, intanto, era pieno di quelle occa-sioni ad agire così perfette e concluse. Egli, nella sua realtà, era sempre in atte-sa che accadesse qualcosa di simile; quand’era più piccolo aveva con lo stessoaccanimento scavato la terra dell’orto per trovare un tesoro. Possibile che lavita fosse sempre tanto indifferente?

Le rondinelle garrendo rasentavano il Pacher coi loro petti bianchi; poisi rilanciavano verso il cielo, costruendo tutta una rete di voli, assordanti. Dopopoco giunse la banda dei ragazzi, andarono sulla punta più alta dell’argine ecominciarono a tuffarsi. Con loro c’era Velino, e Erio si avvicinò a guardarli.Prendevano una breve rincorsa sull’erba pesta del prato, e si gettavano neiPacher, tra i muschi galleggianti. Velino si tuffava come i grandi, con essi si com-portava come un loro pari. Dopo una decina di minuti i ragazzi stanchi dei tuf-fi ritornarono verso il Pacher Grande. Il silenzio ripiombò improvviso, e si riu-dirono stridere le rondinelle. Velino era rimasto con Erio. «Vuoi venire a vedereil nido della ghiandaia?» gli disse. «È qui vicino». Girarono intorno al PacherPiccolo, e giunsero ai piedi di un pioppo. Si arrampicarono. Da lassù si vedevamezzo Friuli, con i deserti di ghiaia del Tagliamento, da una parte, e in fondo labarriera delle montagne, azzurre, corrose dalla luce, sotto una leggera fila dinuvole, splendide e azzurre anch’esse. Sotto i loro piedi i due Pacher sfolgora-vano rasentati dall’argine della ferrovia, che puntava verso i campanili di Cor-dovado, di Teglio, di Cintello... Sul Pacher Piccolo continuavano a giocare le ron-dini, sfrecciando sull’acqua. Ad un tratto Velino – sul pioppo mosso dal ventocome l’albero di una nave – si mise a gridare: «Guarda, guarda, in mezzo al PacherPiccolo, una rondine».

Una rondine, troppo ardita, sfiorando l’acqua si era abbassata fin sotto ilpelo, e ora vi si dibatteva dentro, affogando. Si vedevano le sue ali nere agitar-si e smuovere in larghi anelli le acque stagnanti del Pacher. «Annega, annega»,gridava Velino. Erio, ch’era più in basso, si lasciò scivolare giù lungo il troncoliscio, e saltò sull’erba tutto scorticato. Ora, dal basso, la rondine pareva anco-ra più lontana dalla riva, perduta nel centro del laghetto. Erio si calò nell’ac-qua fin che gli giunse al petto, poi si mise a nuotare in direzione della rondine.Velino lo stava a guardare dal pioppo. Quando Erio fu vicino alla rondine, Veli-no lo vide che tentava di afferrarla, ma ogni volta che la toccava, ritirava comespaventato la mano. «Che fu?» gli gridò. «Perché non la prendi?» «Mi becca»,gridò Erio. Velino rise, scese dal pioppo e andò anche lui coi piedi dentro l’ac-qua. Erio intanto si era deciso ad afferrare la rondinella, e ora nuotava pian pia-no verso la riva; appena vi giunse, Velino gli prese la rondine dalle mani. «Per-

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ché l’hai salvata?» gli chiese. «Era bello vederla annegare». Erio non gli rispo-se; riprese la rondine tra le mani e la guardava. «È piccola», disse, «adessolasciamo che si asciughi».

Ci volle poco perché si asciugasse, dopo cinque minuti rivolava tra le cam-pagne nel cielo del Pacher, e Erio ormai non la distingueva più dalle altre.

(P. P. Pasolini, Un paese di temporali e di primule, a cura di N. Naldini, Parma, Guanda, 1993)

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1 Il Pacher è: un laghetto del Friuli.un fiume del Friuli.un luogo immaginario.

2 Erio e Velino sono: due amici coetanei.Erio è maggiore di Velino.Velino è maggiore di Erio.

3 Sottolinea nel testo le espressioni che rimandano alla “diversità” di Erio.

4 «Egli non aveva mai compiuto una buona azione». Per «buona azione» Erio intende:un’azione generosa.un’azione per mettersi in vista di fronte ai compagni.un’impresa con un principio e una fine.

5 Spiega, aiutandoti con il dizionario, il significato delle espressioni in corsivo:

«il tremito di qualche trebbia»;

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«lungo il rigagnolo»;

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«andava a caccia con la vermena e le paniuzze»;

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«passò la littorina»;

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«i ragazzi facevano una assordante gazzarra»;

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«girellò un poco per le boschine»;

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«le rondinelle garrendo rasentavano il Pacher».

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. 6 A chi appartiene la voce narrante? Si tratta di una voce interna o esterna?

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7 Che tipo di focalizzazione è presente nel testo?

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8 Come è presentato il protagonista Erio?

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9 Quali personaggi agiscono nella storia? Chi sono gli antagonisti di Erio? Chi è invece il suo aiutante?

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10 Nel brano i rimandi realistici al mondo contadino e friulano sembrano rivisitati da uno scrittore adulto checon nostalgia ripensa al passato; il testo venne scritto infatti dopo l’addio definitivo di Pasolini al suo Friu-li (28 gennaio 1950). Ti sembra di poter cogliere nel testo richiami autobiografici? Quanto ti sembrano signi-ficativi nell’ideazione di questo racconto?

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LUCIA DRUDI DEMBY

Ennallumini la nocte1

Il breve racconto della scrittrice e traduttrice italiana Lucia Drudi Demby (1924-95) vive in un’at-mosfera onirica: un ragazzo in sogno ascolta una musica incantata e inizia un viaggio per scoprirnela provenienza, fino alla scoperta della propria musica interiore, un’armonia del tutto personale chenasce da dentro.

for James Gabriele, 1975

Un ragazzo dormiva e qualcosa di molto bello entrò dentro di lui. Questa cosamolto bella era la musica e il ragazzo cercò da dove venisse.

Il ragazzo trovò una porta socchiusa.Questa porta non era in una casa, era in mezzo alla campagna, ed era sem-

plice e bella e chiara e dorata, e stava ritta da sola senza mura di casa che lasostenessero, stava in piedi sotto la luna piena come una quinta.

Il ragazzo spinse la porta socchiusa ed entrò, a piedi scalzi, un po’ ansante,e dietro la porta c’era la musica, che era un grande armonium, e una donna mol-to bella stava suonando, e la musica era così forte e bella che il ragazzo caddein ginocchio e si chiuse gli occhi, si chiuse gli orecchi, piangendo, e quando ilragazzo riaprì gli occhi e gli orecchi non c’era più nulla, nella campagna. Nonc’era più nemmeno la porta, c’era solo la campagna, e il ragazzo corse in tuttele direzioni in cerca della porta, in cerca della donna, in cerca dell’armonium,che era la musica, ma non la ritrovava più.

Il ragazzo corse nella città ricca, nella città povera, in cerca del suo armo-nium.

Il ragazzo entrò in una grande sala, con tanti strumenti di musica, e ancheun armonium, ma non era il suo armonium.

Il ragazzo entrò in una chiesa, e c’era un armonium, ma non era il suo armo-nium.

Il ragazzo entrò in una bottega, e c’era un armonium, e forse era il suo armo-nium.

«Quanto costa quest’armonium?»«Settanta volte sette più di quanto pensi tu. Noi puoi comprarlo».«Lavorerò settanta volte sette più di quanto posso. Lo comprerò».La donna molto bella piangeva, nella casa sul mare.«Non piangere» disse il ragazzo. «Lavorerò e comprerò l’armonium».Il ragazzo lavorò e lavorò. Ma più lavorava e meno lo pagavano.«Io lavoro per comprare l’armonium. Ma se non mangio non posso lavorare».«Tu mangi per mangiare, tu mangi per mangiare».«Io mangio per dormire, se non dormo non posso lavorare, se non lavoro non

posso comprare l’armonium».«Tu dormi per dormire, tu dormi per dormire».«E allora io non dormo».«E allora non hai più senno, non puoi mangiare».«E allora io non mangio».

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1. Ennallumini la nocte: il titolo è tratto da un verso del Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi, quando loda il Signore per «fra-te focu», grazie al quale «illumini (ennallumini) la notte».

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. «E allora non hai più forza, non puoi lavorare».«E allora io non lavoro».«E allora non puoi comprare l’armonium».«E allora io piango e grido e corro e cado e mi ferisco e muoio».«E allora sei morto e l’armonium non c’è».E il ragazzo fu morto e l’armonium non ci fu.Il ragazzo dormì per dormire. Mangiò per mangiare. Lavorò per lavorare. Qual-

cosa di molto bello entrò dentro di lui.Questa cosa molto bella era la musica.Il ragazzo si guardò intorno e vide la porta socchiusa, che stava in piedi da

sola, e dietro c’era la musica, un grande armonium.Il ragazzo cercò di rapire l’armonium, ma l’armonium divenne pesante, così

pesante che non si poteva nemmeno spostarlo di un miliardesimo di millimetro,e intorno era diventato tutto sottobosco.

Il bambino chiamò i bambini ladri, chiamò i bambini mangioni, chiamò i bam-bini del bordello, chiamò i bambini operai.

I bambini erano grappoli, i bambini trascinarono l’armonium e lo cavalca-rono.

«Così lo sciupate, così l’uccidete, è l’armonium mio».Il ragazzo battagliò con i bambini e i bambini lo uccisero.Il ragazzo dormì e qualcosa di molto bello entrò dentro di lui.Questa cosa molto bella era la musica, e il ragazzo seppe da dove veniva. Veni-

va da dentro di lui, e lui era il suo armonium, e c’erano rondini e maggiolini efarfalle e moscerini, fra le sue canne che suonavano, in mezzo alla campagna.

L. Drudi Demby, in Pozzo segreto. Cinquanta scrittrici italiane,a cura di M. R. Cutrufelli, R. Guacci, M. Rusconi, Firenze, Giunti, 1993

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1 Che cos’è un armonium?

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2 Nel racconto l’armonium è simbolo: dell’armonia interiore che non può essere acquistata né con i soldi né con il lavoro.di un mistero irraggiungibile in questo mondo.di una capacità musicale che il ragazzo non può possedere.

3 Il lessico di questo racconto è piuttosto semplice, ma l’effetto che provoca sul lettore è assai suggestivoper gli effetti di ritmo che la narrazione possiede. Rintraccia nel testo:a. e numerose espressioni anaforiche (ripetizioni);b. l’uso degli aggettivi a gruppi di tre o di quattro;c. l’utilizzo di alcune formule tipiche della fiaba.

4 La formula «qualcosa di molto bello entrò in lui» è ripetuta più volte nel testo. Sottolineala e spiega qualiparti della storia scandisce.

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5 Il ragazzo della storia è:curioso.ostinato.testardo.incapace di raggiungere il suo scopo.

6 La donna della storia è:irraggiungibile.ingannevole.bugiarda.ostile.

7 Perché i personaggi della storia non hanno un nome proprio?

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8 In quali luoghi è ambientato il racconto? Ti sembrano reali o ideali? Da quali particolari lo deduci?

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9 A chi appartiene la voce narrante? Si tratta di una voce interna o esterna?

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10 È possibile, secondo te, determinare il tempo in cui si svolge la vicenda?

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11 Secondo te, in questo racconto prevalgono le tecniche di accelerazione del racconto o quelle di rallenta-mento? Motiva la risposta con opportuni riferimenti al testo.

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12 Ti sembra che il racconto abbia un evidente punto di Spannung? In quale passaggio?

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. ERNEST HEMINGWAY

Gli uccisori

In questo racconto Ernest Hemingway (1899-1961) presenta una situazione e dei personaggicolti in una dimensione realistica. La narrazione è essenzialmente mimetica e la vicenda si delineaa poco a poco attraverso il dialogo tra i vari interlocutori.

La porta della trattoria Enrico si aprì ed entrarono due uomini. Si sedetteroal banco.

«Cosa desiderate?» chiese George.«Non saprei» uno dei due disse. «Cosa vuoi da mangiare, Al?»«Per me è lo stesso» disse Al «non lo so proprio cos’è che voglio».Fuori stava facendosi buio. La luce di un lampione brillò attraverso la fine-

stra. I due uomini si misero a leggere il menù mentre all’altra estremità del ban-co Nick Adams li stava a guardare. Parlava con George quando erano entrati.

«Voglio una braciola di maiale arrosto con salsa di mele e purè di patate» dis-se il primo.

«Non è pronto». […]«Si può sapere cosa hai di pronto?» […]«Posso darvi uova al prosciutto, uova al lardo, fegato...»«Vada per le uova al prosciutto» disse l’uomo chiamato Al. Portava la bom-

betta1 e un soprabito nero a doppio petto. Il suo viso era piccolo e pallidissimocon le labbra sottili. Aveva un fazzoletto di seta al collo e i guanti.

«Io le voglio con il lardo» disse l’altro. Aveva circa la stessa statura di Al. I loro volti erano diversi ma vestivano come gemelli. Avevano tutti e due

dei soprabiti troppo stretti e stavano lì seduti, sporti in avanti, con i gomiti sulbanco.

«C’è niente da bere?» chiese Al. «Birra, bibite, ginger-ale2» rispose George. «Voglio dire se c’è niente da bere».«Ve l’ho già detto».«Ma in che diavolo di città siamo capitati?» disse l’altro «si può sapere come

si chiama?» «Summit».«L’hai mai sentita nominare?» chiese Al al suo amico. «No» rispose questo. «Che si fa qui la notte?» domandò Al. «Si mangia» rispose l’amico. «Vengono qui e mangiano come porci».«Esatto» fece George. «Così per te va tutto bene?» chiese Al a George. «Sicuro».«Sei un ragazzo sveglio, no?»«Sicuro».«Invece no, te lo dico io» fece l’altro ometto. «No, Al?»

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1. bombetta: cappello da uomo a cupola tonda, con falde stret-te e ripiegate verso l’alto.

2. ginger-ale: bibita a base di zenzero, pianta erbacea di origi-ne asiatica.

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«È scemo» rispose Al. Si volse a Nick. «Come ti chiami?» «Adams».«Un altro ragazzo sveglio» fece Al. «Non trovi, Max?»«La città è piena di ragazzi svegli» Al disse.George posò sul banco due piatti: uno con le uova al prosciutto e l’altro con

le uova al lardo. Vi mise vicino due piccoli vassoi con le patate fritte e chiuse losportello che dava in cucina.

«Qual è il suo?» chiese a Al.«Non te lo ricordi?»«Le uova al prosciutto, mi pare».«Sei proprio sveglio» disse Max. Si sporse in avanti e prese le uova al lardo.

Si misero a mangiare entrambi senza togliersi i guanti mentre George stava lì aguardarli.

«Cosa c’è da guardare?» chiese Max dandogli un’occhiata.«Niente».«Ti dico che mi guardavi, per Dio».«Forse lo faceva solo per scherzo, Max» disse Al.George si mise a ridere.«Non c’è niente da ridere» gli disse Max. «Non c’è proprio niente da ridere,

hai capito?»«E va bene».«Così lui pensa che va tutto bene, capisci?» disse Max volgendosi a Al. «Que-

sta sì che è buona! Tutto bene, lui pensa».«È un pensatore» Al disse. Seguitarono a mangiare.«Come si chiama quel ragazzo sveglio che sta in fondo al banco?» chiese Al

a Max.«Ehi, ragazzo sveglio» disse Max a Nick. «Gira subito dall’altra parte del ban-

co e mettiti vicino al tuo amico».«E perché poi?» chiese Nick.«Non c’è nessun perché».«Faresti meglio a far quello che ha detto» disse Al. Nick passò dall’altra par-

te del banco.«Perché poi?» chiese George.«Niente che t’interessi» rispose Al. «Chi diavolo c’è in cucina?»«Il negro».«Cosa vuoi dire?»«Il cuoco negro».«Fallo venir qui». […]«Cosa gli volete fare?»«Ma niente. Adopera il cervello, ragazzo. Cosa vuoi che facciamo a un negro?»George aprì lo sportello che dava in cucina. «Sam» chiamò «vieni qui un

momento».La porta si aprì ed entrò il negro. «Cosa c’è?» chiese. I due uomini al banco

gli dettero un’occhiata.«Bene, bene. Non muoverti di là» disse Al.Sam in piedi, nel suo grembiale, guardò i due uomini seduti al banco.«Va bene, signore» disse. Al scese giù dallo sgabello.«Io andrò in cucina con il negro e questo ragazzo sveglio» disse. «Torna in

cucina, negro. E tu seguilo». Se ne andò dietro a Nick e Sam il cuoco. La portaAlun

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. si richiuse. L’uomo di nome Max rimase seduto al banco proprio di fronte a Geor-ge, senza guardarlo, con gli occhi fissi allo specchio che stava dietro al ragazzo(la trattoria era stata prima un bar).

«Bene, ragazzo mio» disse Max fissando lo specchio «perché non dici nien-te?»

«Cosa vuol dire, tutto questo?»«Ehi, Al» chiamò Max «il ragazzo sveglio vuol sapere cosa vuol dire tutto que-

sto».«E perché non glielo dici?» rispose Al dalla cucina.«Tu cosa ne pensi?» chiese Max a George.«Non saprei».«Un’idea te la sarai pur fatta».Fissava lo specchio mentre parlava.«Non vorrei dirlo».«Ehi, Al, il ragazzo sveglio dice che non vorrebbe dire che cosa ne pensa del-

la faccenda».«Vi sento, vi sento» disse Al dalla cucina. Aveva poggiato una bottiglia di sal-

sa contro lo sportello per cui passavano i vassoi. «Senti, ragazzo» disse a Geor-ge dalla cucina «vai un po’ più in là, e anche tu, Max, spostati un po’ a sinistra».Sembrava un fotografo che disponesse un gruppo.

«Dimmi un po’, bello mio» disse Max «cosa credi che succederà adesso?»George non aprì bocca.«Te lo dirò io, allora» continuò Max. «Uccideremo uno svedese. Conosci uno

svedese grande e grosso chiamato Ole Anderson?»«Sì».«Viene qui a mangiare tutte le sere, no?»«A volte. Non tutte le sere».«Viene alle sei, non è vero?»«Quando viene, sì».«Ma tutto questo lo sappiamo benissimo ragazzo sveglio. Parliamo d’altro.

Vai mai al cinema?»«Qualche volta».«Dovresti andarci più spesso. Il cinema fa bene a un ragazzo sveglio come

te».«Per che ragione volete uccidere Ole Anderson? Che cosa vi ha fatto?»«Non ha mai avuto nemmeno l’occasione di farci qualcosa. Non ci ha nean-

che mai visto».«E ci vedrà solo una volta» fece Al dalla cucina.«Perché mai lo volete uccidere, allora?» chiese George.«Per un amico. Così, per far piacere a un amico, mio caro».«Chiudi il becco» disse Al dalla cucina «parli troppo, perdio».«Cerco di far stare allegro il ragazzo. Non è vero, mio caro?»«Parli troppo, ti dico. Il negro e quest’altro ragazzo sveglio stanno allegri da

sé. Li ho legati che sembrano due educande3 in un convento». […]George alzò gli occhi verso l’orologio.«Se entra qualcuno gli dirai che il cuoco è uscito e se insisterà gli dirai che

devi andare in cucina a far tu da mangiare. Hai capito ragazzo sveglio?»

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3. educande: giovinette che vengono istruite ed educate in collegio.

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«Va bene» rispose George «e dopo cosa ci farete?»«Vedremo» disse Max «è di quelle cose che non si sanno mai prima».George guardò di nuovo l’orologio. Erano le sei e un quarto. La porta che

dava nella strada si aprì ed entrò un tranviere. «Ciao, George» disse «è prontala cena?»

«Sam è uscito» rispose George «sarà di ritorno tra mezz’ora».«Allora è meglio che vada in qualche altro posto» disse il tranviere. George

guardò l’orologio: erano le sei e venti.«Molto bene, ragazzo sveglio» disse Max «sei proprio un piccolo vero genti-

luomo».«Sapeva benissimo che gli avrei fatto saltare immediatamente le cervella»

disse Al dalla cucina.«No» fece Max «non è solo questo. Questo ragazzo è bravo: è proprio un bra-

vo ragazzo. Mi va a genio».A cinque minuti alle sette George disse: «Stasera ormai non verrà».Altre due persone erano entrate nell’osteria. Una volta George era dovuto

andare in cucina a preparare un panino con uovo e prosciutto che un clientevoleva portar via con sé. In cucina aveva visto Al con la bombetta all’indietro,seduto su un panchetto davanti allo sportello, con una pistola mitragliatriceappoggiata all’orlo di questo. Nick e il cuoco erano in un angolo, a schiena aschiena, con la bocca imbavagliata da un tovagliolo. George aveva preparato ilpanino, lo aveva avvolto nella carta oleata, messo dentro un sacchetto e porta-to in sala. L’uomo aveva pagato e se n’era andato.

«Questo ragazzo sa fare di tutto» disse Max «sa perfino cucinare. Dovrestiprenderti una bella moglietta, mio caro».

«Davvero?» fece George. «Il vostro amico Ole Anderson ormai non viene più».«Aspettiamo ancora dieci minuti» disse Max fissando lo specchio e l’orolo-

gio. Le lancette segnarono le sette, poi le sette e cinque.«Andiamocene, Al, è meglio. Ormai non viene più».«Ancora cinque minuti» disse Al dalla cucina.In quei cinque minuti entrò un uomo e George gli spiegò che il cuoco era

malato.«Perché diavolo non ne prendi un altro?» aveva detto l’uomo «è un’osteria

questa sì o no?» se ne andò via.«Andiamocene, Al» disse Max.«Cosa ne facciamo di questi due ragazzi e del negozio?»«Staranno buoni».«Ne sei sicuro?»«Ma sì. Andiamocene».«Non mi piace questa faccenda. Non ci vedo chiaro. Tu parli sempre

troppo».«Oh al diavolo! Bisogna pur tenerli allegri, no?»«Parli troppo lo stesso» disse Al. Uscì dalla cucina. La pistola mitragliatrice

gli faceva un piccolo rigonfiamento sotto il soprabito troppo attillato. Si aggiu-stò con le mani inguantate.

«Addio, ragazzo sveglio» disse a George «sei fortunato».«Davvero» fece Max «dovresti giocare alle corse».Uscirono fuori entrambi. George dalla finestra li seguì con lo sguardo e li vide

passare sotto il lampione e attraversare la strada. Nei loro stretti soprabiti e conAlun

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. le bombette sembravano degli attori da vaudeville4. George andò in cucina eslegò Nick e il cuoco.

«Non ne voglio più sapere di questa faccenda» disse Sam. «Più niente».Nick si alzò. Non era mai stato imbavagliato prima.«Dimmi un po’» disse «che diavolo volevano?» Cercava di rimettersi un po’.«Volevano uccidere Ole Anderson» rispose George «volevano sparargli quan-

do sarebbe entrato per cenare».«Ole Anderson?»«Sicuro».Il cuoco si toccò gli angoli della bocca con i pollici.«Se ne sono proprio andati tutti e due?» chiese.«Sì» rispose George. «Se ne sono andati».«Non mi piace questo affare» disse il cuoco «non mi piace proprio niente».«Senti un po’» fece George a Nick. «Faresti bene ad andare da Ole Ander-

son!»«Fareste meglio a non immischiarvi nella faccenda» disse Sam. «Non convie-

ne mettercisi in mezzo».«Non andarci se non ti va» fece George.«Non ne ricaverete niente di buono, ve lo dico io» disse il cuoco «non vi occu-

pate di ciò che non vi riguarda».«Ci andrò» disse Nick. «Dove abita?»Il cuoco se ne andò.«Questi ragazzini sanno sempre meglio di tutti quello che vogliono fare».«Abita alla pensione Hirsch» rispose George.«Ci vado subito».Fuori la luce del lampione brillava attraverso i rami nudi di un albero. Nick

seguì la strada lungo le rotaie del tram e al primo lampione svoltò in una traver-sa. La terza casa era la pensione Hirsch. Salì due gradini e suonò il campanello.

Venne ad aprire una donna.«C’è Ole Anderson?»«Volete vederlo?»«Sì, se è in casa».Nick seguì la donna per le scale fino al primo piano e poi in fondo a un cor-

ridoio. Bussò a una porta.«Chi c’è?»«C’è qualcuno che vuol vedervi, Mr. Anderson» disse la donna.«Avanti».Nick aprì la porta ed entrò nella stanza. Ole Anderson stava sdraiato sul let-

to, tutto vestito. Era stato un peso massimo e il letto era troppo corto per lui.Teneva due guanciali sotto la testa. Non guardò neanche Nick.

«Che c’è?» domandò.«Ero da Enrico» disse Nick «quando sono entrati due individui e hanno lega-

to me e il cuoco dicendo che erano venuti per uccidere voi». Gli sembrava stu-pido ciò che stava dicendo. Ole Anderson non disse una parola.

«Ci hanno tenuti in cucina» seguitò Nick. «Volevano spararvi addosso quan-do voi sareste entrato per la cena».

Ole Anderson continuava a fissare la parete senza dire nulla.

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4. vaudeville: teatro di varietà (in francese).

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«George ha pensato che avrei fatto bene a venirvi a raccontare tutto».«Non posso farci niente» disse Ole Anderson.«Vi racconterò com’erano».«Non me ne importa» disse Ole Anderson con gli occhi fissi sulla parete. «Gra-

zie di essere venuto».«Oh, di niente».Nick guardava quell’uomo grande e grosso disteso sul letto.«Non volete che vada ad avvertire la polizia?»«No. Non servirebbe a niente».«Non c’e proprio niente che possa fare per voi?»«No, niente».«Forse è stato solo un bluff5».«No. Non era un bluff».Ole Anderson si girò contro la parete.«La sola cosa» disse parlando voltato dall’altra parte «è che non posso nean-

che pensarci a uscir fuori di qui. Sono rimasto in questa stanza tutto il giorno».«Non potreste andarvene dalla città?»«No. Sono stufo di questo girare da un posto all’altro».Fissava la parete.«Non c’è niente da fare, ora».«Non potete proprio uscirne in qualche modo?»«No. Mi sono messo dalla parte del torto». Parlava sempre con la stessa voce

monotona. «Non c’è più niente da fare. Tra poco mi deciderò a uscire».«Sarà meglio che io torni da George» disse Nick.«Arrivederci» disse Ole Anderson senza voltarsi. «Grazie per il disturbo».Nick uscì. Mentre richiudeva la porta dette un’ultima occhiata a Ole Ander-

son tutto vestito, disteso sul letto, che fissava la parete.«È restato nella stanza tutto il giorno» gli disse l’affittacamere a pianterre-

no. «Scommetto che non si sente bene. Gli ho detto: “Mr. Anderson, dovrebbeuscire a fare una passeggiata, con una bella giornata d’autunno come questa”,ma si vede che non è dello stesso parere».

«Non vuole andar fuori».«Mi spiace che non stia bene» seguitò la donna. «È proprio un uomo come

si deve. È stato un pugile, lo sapevate?»«Sì».«Non si direbbe davvero se non fosse dalla faccia».Stavano parlando proprio davanti alla porta che dava sulla strada. «È sem-

pre così cortese». […] «Buona notte». Nick seguì la strada buia fino all’angolo del lampione, e poi, lungo le rotaie

del tram, tornò alla Trattoria Enrico. Trovò George dietro al banco. «Hai visto Ole?» «Sì» rispose Nick «è chiuso nella sua stanza e non vuole uscire». Il cuoco aprì la porta della cucina appena sentì la voce di Nick. «Non voglio nemmeno stare a sentire» disse e sbatté la porta. «Gli hai detto tutto?» chiese George. «Sicuro, ma sa benissimo di che si tratta».

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5. bluff: finzione (in inglese).

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. «Cosa fare?»«Niente».«Ma l’uccideranno».«Ci puoi scommettere».«Si deve essere messo in qualche pasticcio a Chicago».«Credo anch’io» disse Nick.«È un brutto affare».«Terribile, puoi dire».Rimasero in silenzio. George raccolse un tovagliolo e pulì il banco.«Vorrei sapere che cosa avrà fatto» disse Nick.«Avrà tradito qualcuno. In genere è per questo che uccidono».«Voglio andar via da questa città» fece Nick.«Sì» disse George «sarebbe una buona cosa».«Non posso resistere a pensarlo là nella sua stanza che aspetta, sapendo di

dover morire. È troppo terribile».«Già» disse George «faresti meglio a non pensarci».

(E. Hemingway, Quarantanove racconti, Torino, Einaudi, 1967)

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1 Il racconto si può dividere in quattro parti. Rintracciale nel testo e indica:a. quali personaggi agiscono:

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b. in quali spazi si svolge l’azione:

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2 Dai a ciascuna di esse un titolo che ne riassuma il contenuto.

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3. ..........................................................................................................................................................................................................................................

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3 Esprimi in una frase di non più di quindici parole il significato del racconto.

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4 Dai un altro titolo al racconto.

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5 Quali aspetti di questo racconto hanno colpito la tua attenzione a una prima lettura?

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6 Quale impressione ricavi da una narrazione che utilizza prevalentemente la forma mimetica? Quale effet-to ha voluto, secondo te, conseguire l’autore?

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7 Secondo la tua opinione, lo scrittore riesce a ricostruire nel testo una realtà spazio-temporale precisa? Sesì, con quali mezzi? Motiva la tua risposta.

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8 A che genere di racconto appartiene, a tuo parere, la narrazione che ti abbiamo proposto?

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. TOMMASO LANDOLFI

Il bacio

Con uno stile raffinato, Tommaso Landolfi (1908-79), originale scrittore del Novecento italiano,dà vita a un racconto sospeso tra razionalità e fantasia. Nell’anonima vita del personaggio, la ricer-ca dell’amore porta all’annullamento, diventando ossessione fatale che conduce a un abisso, inevi-tabile scacco di un’esistenza destinata alla morte. Così il timido protagonista, vittima inconsapevo-le di una forza più grande di lui – venuta dall’esterno o piuttosto eco di desideri segreti e inconfessabili?– soccombe a un mistero che gli è impossibile dominare.

Il notaio D., scapolo e non ancor vecchio ma maledettamente timido colledonne, spense la luce e si dispose a dormire; quando sentì qualcosa sulle lab-bra: come un soffio, o piuttosto come lo sfioramento di un’ala. Non ci badò piùche tanto, poteva essere il vento delle coltri smosse oppure una farfallina not-turna, e prese sonno subito. Ma la notte seguente avvertì la medesima sensa-zione, e anzi più distinta: invece di scivolar via, quel qualunque1 gravò un atti-mo sulle sue labbra. Alquanto stupito, se non allarmato, il notaio riaccese la lucee si guardò inutilmente intorno; poi scosse il capo e anche stavolta si addormen-tò, sebbene meno agevolmente. La terza notte, infine, il che2 fu ancor più sen-sibile e si dichiarò per il che che era: non correva dubbio, un bacio! Un bacio, sisarebbe detto, del buio stesso, quasi il buio si concentrasse per un momentosulla bocca del notaio. Il quale peraltro non la intendeva a questa maniera: unbacio è sempre un bacio e quantunque, quello, fosse un tantino arido e non umi-do e dolce come egli lo sognava, era sempre un dono del cielo. Probabilmentesi trattava d’una proiezione dei suoi desideri segreti, di un’allucinazione insom-ma; e benvenuta. Turbato, deliziato e sbigottito, il nostro eroe rimase steso comeun ciocco3, nell’oscurità (da lui non a torto giudicata pronuba4); ed ebbe, piùtardi, il piacere di ricevere un nuovo bacio.

Di notte in notte i baci divennero più frequenti e più sostanziosi, benché alnotaio non riuscisse tuttavia ritrovarvi o trovarvi alcun sapore di bocca femmi-nile. E qui il notaio, checché gli consigliasse la sua antica ragione, fu preso dal-l’insana brama di evocare in qualche modo la creatura che glieli largiva: era stan-co di abbrancare ogni volta l’aria, e un bacio presuppone bene una creatura chelo dia, o no? La quale potrà essere eterea e sottile quanto vuole, vi sarà pureuna maniera per addensarla, da poterla stringere tra le braccia; Dio mio, nonche egli avesse già perduto il senso di tutti i rapporti, sulle prime forse imma-ginava o si illudeva che la sua brama tornasse a quella di rendere più corposala propria allucinazione; ma ben presto venne a non più dubitare della reale esi-stenza d’una baciatrice.

Tuttavia, guardando la cosa più davvicino, qual era poi la maniera per indur-la a manifestarsi meno esclusivamente, per menarla a corporeità5? Il notaio videperfettamente che non disponeva, a tal uopo6, se non di mezzi psichici; per cuiprese a concentrarsi, ogniqualvolta era baciato, a protendere la propria volon-tà e le proprie energie, quasi sforzandosi di captare nell’attimo una particola7

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1. quel qualunque: quella cosa.2. il che: la cosa indefinibile.3. ciocco: legno.4. pronuba: che favorisce gli incontri.

5. menarla a corporeità: indurla a manifestarsi in un corpo.6. uopo: scopo.7. particola: piccola parte.

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della inafferrabile creatura, del suo fluido o della sua sostanza; particole che,sommandosi, dovevano finire col dar luogo a un essere purchessia. A questapratica aggiunse in seguito un’azione di generico suscitamento o sollecitamen-to dal buio. E davvero, fosse quello il metodo giusto o per diversi motivi, nonandò molto che cominciò a raccogliere i frutti di tanti conati8.

Da premettere che la stanza dava su un’angusta corte, epperò non benefi-ciava nelle ore notturne di alcuna luce esterna; e ad escluderla d’altronde sareb-be bastato l’avvolgibile9 alla finestra, le cui stecche per eccezione combaciava-no a dovere. Nondimeno, in quel buio di forno, al notaio sembrò scorgere unanotte come un altro buio, un buio più nero; un’ombra, diciamo magari assurda-mente, solo che non si capiva bene dove fosse né che contorno avesse. Più sin-golare ancora, una seconda notte nella stanza si levò una sorta di sanguignaaurora: una debole e sinistra luminosità che sorse di terra e si precisò nell’alto,quasi aurora boreale, in forma di fascia frangiata, abbrividente e sventolante,spengendosi quindi a grado a grado. Finalmente (passando ad altro ordine difatti), una sera egli poté distintamente udire un riso sommesso da un angolo,ma un riso gelido, non allegro, innaturale.

Di tali risultati il notaio non sapeva se rallegrarsi o inorridire: gli è che la crea-tura si andava rivelando tutt’altra dalla vagheggiata, senza contare che non pare-va disposta a ulteriori concessioni. Infra due, egli sospese per un tempo le suepratiche di evocazioni; ma non per tanto cessò, quella, di manifestarsi in varimodi. Quanto ai suoi baci, erano divenuti ormai divoranti. E lui, smagrito, esau-sto e come svotato, perso il sonno e l’appetito, si chiedeva angosciosamente senon si fosse spinto troppo oltre; il suo lavoro andava alle ballodole10, la sua salu-te era gravemente minacciata, non si poteva seguitare così. Da ultimo si deci-se, tardivamente, a ciò che se mai gli sarebbe stato d’aiuto sul bel principio: ossiaconvenne seco stesso di dormire colla luce accesa. La decisione, quel dare perpersa la partita e rinunciare a tutto, costò non poco alle sue romantiche dispo-sizioni: ma è pur vero che da tempo le sue prime estasi, di quando s’era vistooggetto di quelle misteriose attenzioni, avevano ceduto il luogo al senso di unpericolo incombente. Comunque sia, cominciò a dormire in piena luce; dormi-re, poi!

Per qualche tempo tutto andò bene, e lui riprendeva un po’ fiato, sebbene sisentisse come privo di alcunché; ma ecco che una notte, lì, in piena luce, dac-capo ebbe o subì un bacio. Per la verità stava in quel punto (alla men peggio)dormendo, e, destatosi di soprassalto, poté pensare di aver sognato; tuttavia,quando si riappisolò, o meglio mentre era ancora tra veglia e sonno, un nuovogagliardo bacio si impresse sulle sue labbra. “Si impresse”, così suol dirsi; ma inrealtà quel bacio fu come una tromba d’aria. In breve, il notaio intese che la crea-tura, non potendo più contare sul buio, approfittava adesso del suo sonno, e chenulla ormai l’avrebbe fermata. E contemporaneamente l’atroce sospetto che egliaveva tanto a lungo respinto divenne certezza; la creatura si nutriva di lui, sifaceva grande e forte col suo sangue, colla sua vita, coll’anima sua.

Questo accertamento ebbe per effetto di togliere al notaio residue forze e dipiombarlo in una ottusa rassegnazione; di qui la sua esistenza non fu più cheuna lunga, e non troppo lunga, attesa della inevitabile morte.

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8. conati: tentativi.9. avvolgibile: tapparella.

10. alle ballodole: in rovina (in toscano).

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19N. Botta, Galeotto fu il libro © Loescher Editore, 2010

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. Era idiota, grottesca, una tale faccenda eppure non pareva vi fosse difesa;grottesca e tragica, come spesso avviene. Fuggire? Ma dove o a che sarebbe val-so se la creatura forse se l’era inventata lui stesso? E dov’erano in caso, la for-za, la volontà di farlo? Meglio invece favorirla nella sua opera, ché tutto si com-pisse nel più breve tempo possibile; e cercare almeno di vederla o intravederla,ora che s’era irrobustita. Sì, il solo sentimento che in lui sopravvivesse era unasorta di curiosità infame, della quale difatto egli si vergognava ma contro cui sisentiva impotente. Ricominciò a spengere la luce: il miglior modo per darle sicu-rezza e baldanza.

Vide o provò tante cose nelle sue notti d’agonia, e tutte orrendamente assur-de. Dapprima fu come un’immensa massa, che sembrava occupare l’intera stan-za ed era nondimeno stranamente vacua, distinta dal fitto buio circostante secon-do11 può distinguersi un vuoto in un vuoto, simile a certe falle nel nero eterecosmico; essa brulicava di appendici o zampe o tentacoli, che si piegavano erisorgevano quasi sotto l’azione di un vento occulto. Poi d’un tratto questa mas-sa negativa, questa bolla di vuoto, si convertiva in qualcosa di estremamenteesiguo ed acuto, d’insinuante, che si frangeva in mille rivoli, pervadeva tutto elui stesso a mo’ di circolazione capillare. Oppure nella stanza si diffondeva unsottile odore dolciastro e putrido, evocatore di immagini incomprensibili e dipaesaggi mai veduti. O era solo un senso, pari piuttosto a una fuggevole memo-ria, che con effetto indecifrabilmente spaventoso pareva anticipare se medesi-mo o lasciarsi dietro ogni cosa, ogni plausibile esperienza, o fronteggiare l’in-forme, l’inesistente addirittura. E ancora risa sommesse, gelidi ghigni, sfioramentinon diversi da brividi; e un acre sapore in bocca, benché come percepito attra-verso tutta la superficie del corpo.

Ma ormai le ore del notaio erano contate. L’ultima notte ai suoi occhi (delcorpo e dell’anima) s’aprì un’immane voragine rovesciata, un vortice grigiastrosomigliante a una matrice12 o ad un nicchio13; incombeva, e lo chiamava dal som-mo della sua spirale. In pari tempo la sua pelle, ridotta ad arida squama, anda-va assumendo una smorta fosforescenza, che non era segno di vita ma di cor-ruzione: quella da cui si levano i fuochi fatui. Vide se stesso quale un pesce delprofondo, fiocamente luminoso nel nero abisso; ecco, non aveva più sangue, alsuo posto aveva quel tenue lume che di lì a un attimo si sarebbe anch’esso spen-to; era la fine. Si abbandonò; e forse in quell’ultimo istante, per premio del suoabbandono, gli fu dato guardarla in viso, colei che lo aveva succhiato dalla vita,che ora gli strappava il supremo bacio.

Fu la fine. E la creatura sconosciuta si risollevò dalla spoglia vuota e corseper il mondo.

(T. Landolfi, Le più belle pagine scelte da Italo Calvino, Milano, Rizzoli, 1989)

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11. secondo: come.12. matrice: utero.13. nicchio: conchiglia di mollusco.

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20N. Botta, Galeotto fu il libro © Loescher Editore, 2010

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Volume 1, Unità 8

1 Il processo di progressivo peggioramento del protagonista è scandito in vari passaggi. Individuali nel testoe descrivili.

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2 Chi è il protagonista del racconto? Come è caratterizzato?

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3 Potresti definire “personaggio” la presenza misteriosa che lentamente lo distrugge?

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4 È possibile ricostruire la dimensione temporale e spaziale del racconto? Quali dati fornisce l’autore?

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5 Che tipo di narratore è presente nel racconto?

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6 Da chi è presentato il protagonista del racconto?

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7 La presenza misteriosa che lentamente si insinua nella vita del notaio è descritta nel testo in vari modi. Rin-tracciali.

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8 È possibile ricostruire quanto dura il tempo dell’avventura?

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9 Segui la progressione delle reazioni del personaggio nei confronti della presenza indefinibile che gli fa visi-ta di notte.

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Esercizi

21N. Botta, Galeotto fu il libro © Loescher Editore, 2010

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10 Analizzando lo stile di Landolfi potrai notare che ha fatto ricorso a una prosa molto ricercata e letteraria.Sottolinea le espressioni e le scelte lessicali che conferiscono alla narrazione un tono “alto”.

11 In questo racconto Landolfi fa ricorso anche a una serie di motivi del più classico repertorio “gotico” e delterrore: rintracciali nel testo.

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12 Come interpreteresti la “cosa” che distrugge progressivamente il protagonista? Secondo te, si tratta diuna presenza dotata di reale esistenza o piuttosto di un’allucinazione prodotta dalla mente del personag-gio? Motiva la tua risposta.

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GIUDIZIO .............................................................................................................................................................................................................................

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Volume 1, Unità 8