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Esercizi di comprensione di lettura Richard Middleton Sulla strada di Brighton Giuseppe Pederiali Uno strano animale: il Bigatto Robert Louis Stevenson Una tragica metamorfosi Agatha Christie La lanterna Unità 3 L’evasione fantastica

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Esercizi di comprensione di lettura

Richard Middleton Sulla strada di BrightonGiuseppe Pederiali Uno strano animale: il BigattoRobert Louis Stevenson Una tragica metamorfosiAgatha Christie La lanterna

Unità 3L’evasione fantastica

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RICHARD MIDDLETON

Sulla strada di Brighton

In questo racconto dello scrittore inglese Richard Middleton (1882-1911), morto suicida a soliventinove anni, i confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti sono molto labili e la morte stessaappare come una continuazione della “normalità” della vita.

Il sole aveva risalito lentamente le ripide dune bianche, finché spuntò senzaquasi nulla del misterioso rituale dell’alba su un mondo scintillante di neve.Durante la notte aveva gelato, e gli uccelli, che saltavano qua e là con la parven-za di vitalità che restava loro, non lasciavano traccia del proprio passaggio sulterreno d’argento. A tratti le caverne riparate delle siepi rompevano la mono-tonia del candore che aveva ricoperto la terra colorata, e in alto il cielo sfuma-va da arancio in azzurro cupo, dall’azzurro cupo in un azzurro tanto pallido dafar pensare a un sottile schermo di carta più che a uno spazio illimitato. Un ven-to freddo, silenzioso, spazzava i campi piatti, soffiando un impalpabile nevischiodai rami degli alberi, ma muovendo appena le siepi impennacchiate. Raggiuntol’orizzonte, il sole sembrò salire più rapidamente, e mentre saliva nel cielo ema-nava un calore che si mescolava al freddo pungente del vento.

Fu forse questo strano alternarsi di caldo e freddo a disturbare i sogni delvagabondo, perché si dibatté per qualche attimo nella neve che lo ricopriva,come chi si sveglia aggrovigliato nelle coperte, e si alzò a sedere con uno sguar-do perplesso negli occhi sbarrati. “Dio! Credevo di essere a letto” si disse, men-tre assorbiva il paesaggio deserto, “e sono sempre stato qui fuori”. Stirò le mem-bra intorpidite, e, alzandosi cautamente in piedi, si scosse la neve dal corpo.Così facendo, mentre il vento lo faceva rabbrividire, si rese conto di quanto cal-do fosse stato il suo letto.

“Su, mi sento abbastanza in forma” pensò. “Ritengo di essere stato fortuna-to a svegliarmi. O sfortunato.., non ho gran che a cui fare ritorno”. Alzò lo sguar-do e vide le dune scintillare stagliate sull’azzurro del cielo come le Alpi in unacartolina illustrata. “Ciò significa un’altra quarantina di miglia più o meno, riten-go” continuò tetramente. “Dio sa che cosa ho fatto ieri. Camminato fino a nonpoterne più, e adesso sono solo a circa dodici miglia da Brighton1. Maledetta laneve, maledetta Brighton, maledetto tutto!” Il sole saliva sempre più alto, e luisi incamminò pazientemente sulla strada volgendo le spalle alle colline.

“Sono contento o no che sia stato solo sonno quello che mi ha preso, conten-to o no, contento o no?” I suoi pensieri sembravano comporsi in modo da for-mare un accompagnamento metrico al tonfo instancabile dei suoi passi, e noncercava neppure una risposta alla sua domanda. Gli bastava continuare a cam-minare.

Adesso, quando ebbe oltrepassato tre pietre miliari, raggiunse un ragazzoche si era chinato ad accendersi una sigaretta. Non aveva cappotto, e sembra-va inesprimibilmente fragile contro la neve. «Siete per strada, padrone?» chie-se il ragazzo con voce roca mentre lo superava.

«Credo di sì» disse il vagabondo.«Oh, allora vi accompagnerò per un tratto, se non camminate troppo in fret-

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1. Brighton: città inglese sulla Manica.

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. ta. Ci si sente un po’ soli a quest’ora del giorno». Il vagabondo annuì con la testa,e il ragazzo incominciò a zoppicare al suo fianco.

«Ho diciott’anni» disse in tono discorsivo. «Scommetto che me ne avevatedati meno».

«Avrei detto quindici».«Avreste puntato sul cavallo perdente. Ho compiuto diciott’anni questo ago-

sto, e sono per strada da sei anni. Sono scappato da casa cinque volte quandoero bambino, e ogni volta la polizia mi ha ripreso. È stata molto buona con me,la polizia. Adesso non ho una casa dalla quale scappare».

«E neppure io» disse pacatamente il vagabondo.«Oh, so quello che siete», ansò il ragazzo «siete un signore decaduto. È più

dura per voi che per me». Il vagabondo lanciò uno sguardo alla figura esile, zop-picante, e rallentò il passo.

«Non sono un veterano come te» confessò.«No, l’ho capito dal vostro modo di camminare. Non vi siete ancora stanca-

to. Magari vi aspettate qualcosa alla fine della strada?»Il vagabondo rifletté un attimo. «Non so» disse con amarezza. «Mi aspetto

sempre qualcosa».«Vi passerà» osservò il ragazzo. «A Londra fa più caldo, ma è più difficile

sgraffignare qualcosa. Non è un gran che in verità». [...]«Sono caduto lungo la strada ieri sera e mi sono addormentato dov’ero cadu-

to. È un miracolo che non sia morto» disse il vagabondo. Il ragazzo gli lanciòuno sguardo penetrante.

«E chi vi dice che non lo siate?» disse.«Non capisco» disse il vagabondo dopo qualche attimo.«Vi dirò una cosa», disse il ragazzo con voce roca «la gente come noi non può

cambiar vita neanche se vuole. Sempre affamati e assetati e stanchi come bestieda soma e sempre in marcia. Eppure se qualcuno mi offre una bella casa e unlavoro mi viene il voltastomaco. Vi sembro forte? So di essere piccolo per la miaetà, ma vengo sbattuto qua e là in questo modo da sei anni, e pensate che nonsia morto? Sono annegato facendo il bagno a Margate, e sono stato ucciso dauno zingaro con una picca; mi ha preso dritto in testa, e per due volte mi sonocongelato come voi la notte scorsa, e un motore mi ha messo sotto proprio suquesta strada, eppure cammino ancora, diretto a Londra e ritorno, perché nonposso farne a meno. Morto! Ve lo dico io che non possiamo cambiare vita nean-che se vogliamo».

Il ragazzo si interruppe tossendo penosamente, e il vagabondo si fermò finoa quando non si fu ripreso.

«Farai meglio a prendere il mio cappotto per un po’, Tommy», gli disse «haiuna tosse piuttosto brutta».

«Andate all’inferno!» disse il ragazzo fieramente, aspirando la sigaretta, «stobenissimo. Vi dicevo della strada. Non ve ne siete ancora reso conto, ma lo sco-prirete presto. Siamo tutti morti, tutti noi che ci siamo sopra, e siamo tutti stan-chi eppure in un modo o nell’altro non possiamo lasciarla. D’estate ci sono pro-fumi piacevoli, polvere e fieno e il vento vi schiocca in faccia nei giorni caldi; edè piacevole svegliarsi nell’erba umida una bella mattina. Non so, non so...» Cad-de all’improvviso in avanti, e il vagabondo lo prese fra le braccia.

«Sto male...» sussurrò il ragazzo «male».Il vagabondo guardò su e giù per la strada ma non riuscì a scorgere nessuna

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casa né alcuna traccia di aiuto. Ma proprio mentre sosteneva dubbioso il ragaz-zo in mezzo alla strada all’improvviso lampeggiò in lontananza un’automobile,avvicinandosi silenziosamente sulla neve.

«Che cosa c’è?» chiese pacatamente il conducente mentre frenava. «Sonoun medico». Guardò con occhio clinico il ragazzo e ascoltò il suo respiro affan-noso.

«Polmonite» osservò. «Gli darò un passaggio fino all’ospedale, e anche a voi,se volete».

Il vagabondo pensò all’ospizio di mendicità e scosse il capo. «Preferisco cam-minare» disse.

Il ragazzo gemette flebilmente mentre lo infilavano in macchina.«Vi verrò incontro dopo Reigate» mormorò al vagabondo. «Vedrete». E l’au-

tomobile scomparve in fondo alla strada.Per tutta la mattina il vagabondo sciaguattò nella neve che si scioglieva, ma

a mezzogiorno chiese la carità di un po’ di pane alla porta di una casa di cam-pagna e strisciò in un granaio deserto a sbocconcellarlo. Faceva caldo, e dopomangiato si addormentò nella paglia. Quando si svegliò era buio, e ricominciòad avanzare faticosamente nella fanghiglia delle strade.

Due miglia dopo Reigate una figura fragile uscì dall’oscurità per venirgli incon-tro.

«Per strada, padrone?» disse una voce roca. «Allora vi accompagno per unpo’ se non camminate troppo in fretta. Ci si sente un po’ soli a quest’ora del gior-no».

«Ma la polmonite!» esclamò sgomento il vagabondo.«Sono morto a Crawley stamattina» disse il ragazzo.

(in Ghost Stories. Celebri racconti di fantasmi, a cura di B. Cerf,trad. di L. Zazo, Milano, A. Mondadori, 1991)

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Esercizi1 Spiega con le tue parole le seguenti espressioni.

a. «ripide dune bianche»: ....................................................................................................................................................................................

b. «tonfo instancabile dei suoi passi»: .......................................................................................................................................................

c. «impalpabile nevischio»: ................................................................................................................................................................................

d. «ospizio di mendicità»: ..................................................................................................................................................................................

e. «siepi impennacchiate»: ...............................................................................................................................................................................

f. «il vagabondo sciaguattò nella neve»: .................................................................................................................................................

2 «Ci si sente un po’ soli a quest’ora del giorno»: questa espressione è ripetuta in due punti del racconto.Rintracciali e spiega il diverso significato che la frase assume nei diversi punti.

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3 Rintraccia nel racconto i riferimenti realistici a località precise nei dintorni di Londra.

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4 Quale funzione ha la descrizione con cui comincia il racconto?

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5 A chi appartiene la voce narrante? Si tratta di una voce interna o esterna?

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6 Nella storia ti sembra sia presente un narratore “ambiguo”? Motiva la risposta.

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7 Quali personaggi agiscono nella storia?

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8 In quali punti del racconto si genera suspense? Per mezzo di quali particolari?

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9 Sapresti indicare il punto di maggiore tensione (Spannung) del racconto?

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10 Nell’explicit del racconto si può parlare di un effetto “sorpresa”? Ti sembra che l’ambiguità fantastica siamantenuta fino alla conclusione, oppure che l’esito finale sia prevedibile? Motiva la risposta.

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GIUSEPPE PEDERIALI

Uno strano animale: il Bigatto

Il brano è tratto dalla parte conclusiva de Il tesoro del Bigatto (1980) dello scrittore emiliano Giu-

seppe Pederiali. Ambientato in un Medioevo fantastico, il romanzo narra lo strano viaggio che San-t’Anselmo, un pio eremita che vive sulla Pietra di Bismantova, intraprende per ordine della contes-sa Matilde di Canossa per recare un messaggio al patriarca di Aquileia. Accompagnato da un’eterogeneacompagnia (della quale fanno parte Parpaia, una serva fuggita al suo padrone, Galaverna, un ambi-guo mendicante dai tratti demoniaci, e il piccolo trovatello Ranìn), Sant’Anselmo si mette in mar-cia attraverso una misteriosa Padania medievale, tra acquitrini, valli e paludi ricoperte di nebbia, inluoghi incantati dove vivono animali enigmatici (come il Bigatto, un gigantesco lombrico che fa laguardia a una zucca gigante), piante magiche, gnomi, streghe e alchimisti. Il risultato è una favolafantasiosa, ricca di colpi di scena e di metamorfosi continue della realtà.

Attraversarono una foresta di giganteschi frassini dalle radici sprofondatenell’acqua. Esplorarono ogni isoletta, ogni polesine, ogni cuore, ovvero le isolefluitanti1 che anche qui abbondavano seppure non grandi come nelle aperte Val-li del Po.

Di zucca, gigante o normale, non trovarono neppure una piantina.«Meglio tornare sulla terraferma» propose Sant’Anselmo.Con la voce bassa per nascondere il pianto, Parpaia chiese di continuare la

ricerca:«La troveremo di sicuro, basta abituare gli occhi al buio».Sant’Anselmo non seppe dire di no; Galaverna alzò le spalle senza neppure

aprir bocca; Ranìn sorrise a Parpaia quando lei tornò a sorridere.«La troveremo» ripeté. «Il frutto di quella pianta è tanto grande che dovre-

mo vederlo per forza».Ora il santo sospingeva la barca adagio, per non mandarla su una secca o fra-

cassarla contro un tronco semisommerso. Le braccia cominciavano a fargli male,e pensò che non poteva remare tutta la notte, vagando a caso nella palude. Aggi-rò l’ostacolo di un tronco galleggiante, irto di rami spezzati, e finì con la pruaaddosso a un animale, con tale violenza che il legno penetrò nella carne scurae flaccida.

«Attenti!» gridò Sant’Anselmo, mentre appoggiava la pertica sull’animale, persospingersi indietro con tutta la barca. Ma anche la pertica penetrò nella car-ne, come fosse strutto2.

Per fortuna quella bestia non doveva essere troppo sensibile; invece di arrab-biarsi cominciò a scivolar via, strisciando metà dentro e metà fuori dell’acqua,stringendo e allungando gli enormi anelli che formavano il suo corpo.

Soltanto quando fu lontana almeno una pertica, la riconobbero.«Un verme» disse Anselmo.«Un lombrico gigantesco» precisò Galaverna. «Lungo almeno duecento pie-

di e grosso quanto una quercia vecchia di un secolo».«Il Bigatto!» gridò Parpaia. «È il Bigatto!»«La leggenda parla di un mostruoso Bigatto a guardia della pianta di zucca

gigante. Sarà lui?» domandò Sant’Anselmo.

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1. fluitanti: galleggianti.2. strutto: grasso di maiale, morbido come il burro.

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a remare con tutta la forza che gli restava. Raggiunse il Bigatto e quasi lo spe-ronò.

«Con un colpo di coda può schiacciarci per sempre sul fondo dell’acquitrino,insieme ai suoi minuscoli simili» disse Galaverna.

Il bambino guardava a bocca spalancata il Bigatto che seguitava ad avanza-re davanti a loro, indifferente.

«Ha il davanti uguale al didietro» osservò Sant’Anselmo.«Perché ti interessa tanto l’anatomia del Bigatto?» domandò Galaverna.«Mi interessa soltanto sapere dove ha la bocca, per stare attento a non esse-

re divorato» spiegò il santo.Nonostante la mole, il Bigatto procedeva con fare aggraziato, relativamen-

te a un verme, senza abbattere gli alberelli, che evitava, e senza schiacciare icespugli di canne, che aggirava; gli anelli del suo corpo si contraevano a rit-mo costante.

Lo stomaco di Anselmo doveva essere di nuovo molto vuoto, perché trasmi-se al cervello la curiosità di sapere se la carne del Bigatto fosse commestibile edi buon sapore. Si consolò pensando alla zucca. Quella sì che era buona: dolceper i dolci, amara se fritta, migliore della carne se usata come ripieno per i tor-tellini col ragù.

«Dammi il cambio» disse Anselmo a Galaverna, e gli cedette la pertica.Il mendicante prese il posto di Anselmo e seppe restare in coda al Bigatto

senza avvicinarsi troppo.Passò tanto tempo che la foschia schiarì, ingiallì e da certi buchi su in alto i

raggi di sole sgusciarono sino all’acqua.Finalmente il Bigatto arrivò al nido, un isolotto semicoperto di neve, sul qua-

le era cresciuta un’unica pianta, ora secca a causa del freddo, ma con il fruttobello e maturo e tanto grande che in quella zucca si poteva scavare una casaadatta a due famiglie.

Galaverna piantò la pertica nell’acqua e legò la barca a quel palo, in vista del-l’isolotto, ma non troppo vicino. Il Bigatto giaceva ora sulla riva, apparentemen-te addormentato. Il suo corpo girava tutto intorno alla pianta e la coda si appog-giava alla testa, o viceversa.

Sant’Anselmo, Ranìn, Galaverna e Parpaia tacevano. La visione di quella zuc-ca enorme li affascinava. Nessuno di loro, forse neppure Parpaia, aveva pensa-to che esistesse veramente. Non esultarono e non commentarono. Rimaserotanto tempo immobili a guardare il meraviglioso frutto, che un tarabusino ven-ne a posarsi sugli arruffati capelli di Sant’Anselmo, sicuro che fossero un cespu-glio adatto a farci il nido.

Volò via quando il santo disse:«Per arrivare alla zucca occorre superare il Bigatto che fa la guardia».«Ma come farete a portarla via?» domandò Galaverna.«Basterà impossessarci di un seme. Così altre piante nasceranno».Il Bigatto sospirò. O sognò. O stava soltanto digerendo. Ma il sussulto del cor-

paccione fu così evidente che fece tremare tutti per lo spavento.«Dobbiamo uccidere il Bigatto, se vogliamo arrivare alla zucca» disse Gala-

verna.«Perché non tentare di aggirarlo?» domandò Sant’Anselmo.

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«E come, se la bestia gli sta intorno, come una ciambella intorno al buco?»«Non sembra molto feroce».«La leggenda dice che il Bigatto fa la guardia alla zucca, dunque avrà armi

adatte a difenderla. Comunque gli basterebbe appoggiare il suo corpo su di noiper ucciderci».

«Può darsi che si riesca a raggiungere la zucca senza dovere affrontare ilBigatto» ribadì Anselmo, sempre testardo.

«Vengo con te. La zucca è mia» disse Parpaia.«Resterai col bambino».Il santo non aggiunse altro. Riprese la pertica e circumnavigò l’isolotto per

studiare il punto migliore per passare oltre l’anello formato dal Bigatto. Spera-va che nel punto dove la coda incontrava la testa, i due capi non combaciasse-ro completamente. Ma anche qui non esisteva alcun passaggio, perché il lom-brico era lungo due o tre piedi in più del diametro dell’isola. Non gli restava chescavalcare il corpo del Bigatto addormentato.

Toltasi la pelliccia, si calò nell’acqua che gli arrivava all’inguine. Il contatto lofece rabbrividire, per il freddo e per la paura che l’acqua di palude sempre gliprovocava: la sentiva viva, densa di nutrimento, abitata da animaletti che nuo-tavano alla cieca, gamberetti che pizzicavano e fuggivano, sanguisughe che siaggrappavano per succhiare golosamente, e altre misteriose creature subac-quee, pesci, anfibi o draghi, minuscoli e schifosi. Per resistere nell’acqua occor-reva fingere che il proprio corpo appartenesse a qualcun altro. Inoltre Anselmodoveva avanzare adagio per non svegliare il Bigatto. Aggrappato a un cespugliodi salice, si issò sulla riva, a un passo dal corpo del Bigatto, enorme, viscido,vivo.

Non doveva esitare oltre; appoggiò la mano al Bigatto per provare se la pel-le era liscia e scivolosa come sembrava.

La ritrasse nauseato; la lucidità del colore marrone era dovuta a uno stratodi grasso che proteggeva il corpo dal freddo e gli consentiva di scivolare nell’ac-qua e sul terreno.

Sant’Anselmo si artigliò al verme con le due mani. Con le reni e con le ginoc-chia si preparava a saltare, quando il Bigatto si mosse. Sembrò un terremotosussultorio; Anselmo scivolò, cadde all’indietro e finì nell’acqua, tanto spaven-tato che non chiuse la bocca spalancata per urlare; l’acqua gli arrivò sino ai pol-moni.

Di nuovo in piedi, tossì a lungo.«Sei vivo?» gridò Parpaia dalla barca.Tossì ancora, e più forte, perché capissero che era vivo anche se non riusci-

va a parlare.Il bestione continuava a sussultare senza però cambiare posizione. Come se

ridesse.«Il solletico» spiegò Sant’Anselmo mentre risaliva sulla barca. «La pelle del

Bigatto è tanto sensibile che basta toccarla per provocargli il solletico».«Costruiamo un ponte di tronchi per scavalcarlo».«Non abbiamo attrezzi».«Ranìn…»«Ascoltate Ranìn, vuole dirci qualcosa».Il bambino indicava il Bigatto, un punto preciso, dove il corpaccione poggia-

va su un vecchio tronco che si consumava da secoli.Alun

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. Parpaia avvicinò di più la barca, e tutti guardarono meglio.«Fra tronco e terreno il corpo del lombrico non aderisce perfettamente. Il

bambino, magro e minuto, potrebbe passare per quel pertugio e arrivare allazucca» disse Galaverna.

«No, troppo pericoloso» intervenne Sant’Anselmo che aveva indossato la pel-liccia e si sfilava da sotto gli abiti fradici. «Se anche riuscisse a passare dall’al-tra parte, esiste il rischio che il Bigatto cambi posizione e blocchi il bambino persempre sull’isolotto».

«Avrebbe acqua piovana da bere e buona zucca da mangiare per tutta la vita»sogghignò Galaverna.

Sant’Anselmo guardò Parpaia e le disse:«Decidi tu se Ranìn deve rischiare la vita per un seme di zucca».La donna non esitò:«Deve andare. Un seme di quella zucca potrebbe salvare migliaia di bambi-

ni dalla fame».Lo disse con una tale convinzione, e contemporaneamente con un tale dolo-

re nella voce, che il santo non dubitò della sua sincerità, come del suo affettoper Ranìn.

«Tocca a te, bambino» disse Anselmo a Ranìn.(G. Pederiali, Il tesoro del Bigatto, Milano, Rusconi, 1994)

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Esercizi1 Quali personaggi compaiono nel testo?

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2 Come avviene l’incontro con il Bigatto? Come viene descritto?

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3 Che cosa narra la leggenda a proposito del Bigatto?

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4 L’incontro con questo strano animale provoca nei personaggi:paura. curiosità. sorpresa.

5 Il dialogo tra i personaggi, secondo te, presenta:spunti ironici. spunti drammatici.

6 Nella zucca «si poteva scavare una casa adatta a due famiglie». Questa espressione è:metaforica. iperbolica. metonimica.

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7 Che tentativo fa Sant’Anselmo? Perché non riesce ad arrivare alla zucca gigante?

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8 Qual è il ruolo di Ranìn nella storia? Quale compito gli viene infine affidato?

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9 Nel brano sono presenti alcuni termini tipici dell’ambiente delle Valli del Po: ne riportiamo alcuni. Con l’aiu-to del dizionario, scrivi per ciascuno l’esatto significato.

«polesine»: ....................................................................................................................................................................................................................

«cuore»: ...........................................................................................................................................................................................................................

«secca»: ..........................................................................................................................................................................................................................

«tarabusino»: ...............................................................................................................................................................................................................

«sanguisuga»: ..............................................................................................................................................................................................................

«salice»: ..........................................................................................................................................................................................................................

10 Chi assume in questo brano il ruolo di eroe? Che tipo di eroe è?

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11 A chi appartiene la voce narrante? Con quale focalizzazione?

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12 Le opinioni dei personaggi sono registrate in:discorso diretto. discorso indiretto. discorso indiretto libero.

13 Nel testo si alternano particolari realistici e particolari fantastici. Registrali in una tabella a due colonne.

Particolari realistici Particolari fantastici

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ROBERT LOUIS STEVENSON

Una tragica metamorfosi

Il brano è tratto dalla parte conclusiva de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886)di Robert Louis Stevenson (1850-94). Il romanzo racconta la storia di uno sdoppiamento di per-sonalità che si concretizza in due esseri opposti, il Bene e il Male, incarnazione delle forze che agi-scono nell’animo umano. Il mistero che circonda l’esistenza del dottor Henry Jekyll, in apparenzaricattato da un losco individuo di nome Edward Hyde, sarà chiarito solo nel finale quando, accantoal cadavere di Hyde, verranno trovate due lettere dalle quali emergerà che egli non era altri che ildottor Jekyll. Nelle sue ricerche scientifiche, infatti, era riuscito a scoprire un preparato chimicocon il quale separare dentro di sé il Bene e il Male, dando loro il corpo di due persone distinte. Ilbrano che segue è una parte della spiegazione dei fatti straordinari, fornita dallo stesso Jekyll nelcapitolo X.

Ero a questo punto delle mie riflessioni, quando, come ho detto, dal mio tavo-lo di laboratorio una luce sbieca cominciò a proiettarsi sul problema. Potei allo-ra appercepire1, più acutamente di quanto non sia mai stato dato, la tremulaimmaterialità, la nebbiosa transitorietà di questo corpo apparentemente cosìsolido, paludati2 del quale ci aggiriamo. Certi agenti, trovai, avevano il potere discuotere e di svellere3 quel carneo rivestimento, così come il vento può abbat-tere i teli di una tenda. Per due ragioni, non mi inoltrerò negli aspetti scientifi-ci della mia confessione. In primo luogo, perché sono stato educato a ritenereche la sorte e il gravame della nostra vita siano per sempre addossati alle spal-le dell’uomo; e quando ci si prova a scrollarseli di dosso, non facciano che rica-derci sopra con più sgradevole e spaventosa oppressione. In secondo luogo, per-ché, come il mio resoconto, ahimè, comproverà fin troppo chiaramente, le miescoperte erano incomplete. Basti quindi dire che non solo riconobbi il mio cor-po naturale quale mera4 emanazione e irradiazione di alcuni dei poteri che com-ponevano il mio spirito, ma riuscii a elaborare un preparato grazie al quale talipoteri avrebbero potuto essere detronizzati dalla loro supremazia e sostituiti dauna seconda forma e aspetto, che mi riuscivano non meno naturali in quantoerano l’espressione, e recavano il marchio, dei più vili elementi della mia anima.

A lungo esitai prima di porre al banco di prova della pratica questa teoria.Ben sapevo che rischiavo la morte; perché ogni preparato, che con tale forzacontrollasse e scuotesse la roccaforte stessa dell’identità, avrebbe potuto, peruna minimissima eccedenza nella dosatura o per un infinitesimale5 inconvenien-te al momento della somministrazione, spazzar via completamente quel taber-nacolo immateriale6 che mi proponevo di cangiare7. Ma la tentazione di una sco-perta così singolare e radicale finì per vincere le voci della prudenza. Da unpezzo avevo confezionato la mia mistura; senza frapporre indugi comprai, da ungrossista di prodotti farmaceutici, una gran quantità di un certo sale che, losapevo dai miei esperimenti, era l’ultimo ingrediente necessario; e, nel cuore diuna maledetta notte, unii gli elementi, li guardai bollire e fumare mescolati nelbicchiere e, placatasi l’ebollizione, con disperato émpito di coraggio scolai lapozione.

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1. appercepire: percepire, acquistare coscienza.2. paludati: rivestiti.3. svellere: strappare.4. mera: pura e semplice.

5. infinitesimale: piccolissimo.6. tabernacolo immateriale: si intende il corpo umano.7. cangiare: cambiare.

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Avvertii dolori lancinanti: uno scricchiolio delle ossa, una nausea mortale,mentre il mio spirito era colto da un orrore quale può provarsi solo nell’attimodella nascita o della morte. Poi, questa agonia rapidamente decrebbe e io tor-nai in me come se uscissi da una grave malattia. V’era alcunché di strano nellemie sensazioni, qualcosa di ineffabilmente8 nuovo e, appunto per la sua novità,incredibilmente dolce. Mi sentivo più giovane, più leggero, di membra più feli-ci; dentro di me avvertivo un’inebriante noncuranza, una corrente di disordina-te immagini sensuali che tumultuavano, come in una gora di mulino, nell’imma-ginazione, un dissolversi dei vincoli del dovere, una sconosciuta ma non innocentelibertà dell’animo. Mi seppi, fin dal primo vagito di quella nuova vita, più mal-vagio, dieci volte più malvagio, schiavo venduto al mio peccato originale; e ilpensiero, in quell’istante, mi inebriò e deliziò come vino. Tesi le braccia, esul-tante per la freschezza di tali sensazioni; e nel gesto, subitaneamente m’avvidi9

di aver perduto in statura.Non c’era uno specchio, all’epoca, nel mio gabinetto; quello che mi sta davan-

ti mentre scrivo vi è stato portato più tardi, e proprio in relazione a tali meta-morfosi. La notte, tuttavia, da un pezzo s’era di molto inoltrata nel mattino – ilmattino, per nero che fosse, era quasi maturo per concepire il giorno – e gli abi-tanti della mia casa erano ancora impastoiati10 nelle ore del sonno più denso; eio decisi, esaltato com’ero dalla speranza e dal trionfo, di avventurarmi, nellamia nuova forma, sino alla stanza da letto. Attraversai il cortile, e dall’alto lecostellazioni guardavano, devo aver pensato, con stupore me, la prima creatu-ra di quella specie che l’insonne vigilanza avesse svelato loro; scivolai per i cor-ridoi, straniero in casa mia. E giunto nella mia camera, vidi per la prima volta ilsembiante di Edward Hyde.

Qui devo limitarmi a parlare in via teorica; dicendo non già quel che so, ben-sì quel che ritengo essere più probabile. La parte malvagia della mia natura, allaquale avevo ora conferito il marchio dell’efficacia11, era meno robusta e menosviluppata che non la buona che avevo testé dimesso12. Ancora, nel corso dellamia vita che a conti fatti era stata per nove decimi di sforzi, virtù e disciplina,essa parte era stata assai meno esercitata e assai meno sfruttata. Donde, riten-go, il fatto che Edward Hyde fosse tanto piccolo, più sottile e giovane di HenryJekyll. Come la bontà risplendeva dal volto dell’uno, così il male stava scritto, achiare, ampie lettere, in viso all’altro. Inoltre il male (che ancora non posso nonreputare la parte letale dell’uomo) aveva impresso su quel corpo un marchio dideformità e corruzione. Eppure, quando guardavo quell’orrido idolo nello spec-chio, nulla13 repugnanza avvertivo, anzi piuttosto un afflato di sollievo. Anchequello ero io. Sembrava naturale e umano. Ai miei occhi, era un’immagine piùviva dello spirito, pareva più immediata e precisa che non il sembiante imper-fetto e diviso che fino a quel momento ero stato accostumato14 a dire mio. E intanto15, avevo indubbiamente ragione. Ho osservato che, quando vestivo i trat-ti di Edward Hyde, nessuno poteva avvicinarmisi senza un visibile moto di dif-fidenza. Questo, a mio avviso, perché ogni essere umano, quale ci è dato incon-trare, è un coacervo di bene e male: e Edward Hyde, lui solo di tutta l’umanità,era puro male.

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8. ineffabilmente: che non si può esprimere a parole.9. subitaneamente m’avvidi: improvvisamente mi accorsi.10. impastoiati: impediti, ma qui nel senso di occupati.11. il marchio dell’efficacia: il segno della concretizzazione.

12. testé dimesso: ora abbandonato.13. nulla: nessuna.14. accostumato: abituato.15. in tanto: in questo.

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Rimasi solo un istante allo specchio: il secondo e conclusivo esperimentodoveva ancora essere compiuto; restava ancora da vedere se avevo perduto lamia identità senza possibilità di recupero e se quindi non fossi costretto a fug-gire, prima della luce del giorno, da una casa non più mia; e, rientrato in granfretta nel mio gabinetto, ancora una volta preparai e bevvi la pozione, ancorauna volta patii i tormenti della dissoluzione, e tornai ancora una volta in me conil carattere, la statura e il volto di Henry Jekyll.

(R. L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde,trad di F. Saba Sardi, Milano, A. Mondadori, 1994)

Esercizi1 In che cosa consiste l’esperimento del dottor Jekyll?

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2 Come viene descritta la metamorfosi? Quali effetti fisici provoca?

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3 La metamorfosi Jekyll/Hyde è di tipo ascendente o discendente?

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4 Dopo la metamorfosi in Hyde, Jekyll prova:una sensazione di paura.una sensazione di curiosità.una sensazione di potenza.

Motiva la risposta.

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5 L’espressione «come in una gora di mulino» è:una metafora.una similitudine.un’iperbole.

6 Nel brano sono presenti alcune parole difficili (o poco usate): ne riportiamo alcune. Con l’aiuto del diziona-rio, scrivi per ciascuna l’esatto significato.

«immaterialità»: .........................................................................................................................................................................................................

«transitorietà»: ...........................................................................................................................................................................................................

«gravame»: ....................................................................................................................................................................................................................

«tabernacolo»: ............................................................................................................................................................................................................

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«mistura»: ......................................................................................................................................................................................................................

«empito»: ........................................................................................................................................................................................................................

«pozione»: ......................................................................................................................................................................................................................

«gora»: .............................................................................................................................................................................................................................

«vagito»: ..........................................................................................................................................................................................................................

«sembiante»: ................................................................................................................................................................................................................

«coacervo»: ...................................................................................................................................................................................................................

«afflato»: .........................................................................................................................................................................................................................

7 Che cosa significano, nel contesto, le seguenti espressioni.

a. «certi agenti avevano il potere di scuotere e di svellere quel carneo rivestimento»:

«carneo rivestimento» indica il .........................................................................................................................................................................

b. «riconobbi il mio corpo naturale quale mera emanazione e irradiazione di alcuni dei poteri che compo-nevano il mio spirito»:

«mera emanazione» significa: ...........................................................................................................................................................................

c. «quando guardavo quell’orrido idolo nello specchio, nulla repugnanza avvertivo»:

«orrido idolo» indica il ............................................................................................................................................................................................

«nulla repugnanza» significa ..............................................................................................................................................................................

8 A chi appartiene la voce narrante? Puoi ritenere “ingannevole” un simile narratore?

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9 In quale luogo è ambientata la scena? In quale tempo? Ti sembra che questa dimensione spazio-tempora-le sottolinei efficacemente il mistero della vicenda?

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10 Quali indizi presenti nel testo fanno prevedere al lettore una conclusione drammatica?

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11 Nel testo vi sono alcune riflessioni sulla condizione umana. Sottolineale e spiegane il significato.

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AGATHA CHRISTIE

La lanterna

I racconti della scrittrice inglese Agatha Christie (1891-1976), autrice di molti romanzi e dram-mi polizieschi, hanno ottenuto un grande successo di pubblico. Il testo che proponiamo si discostaperò dalla struttura classica del racconto poliziesco, cui la Christie ci ha abituato con i suoi abiliintrecci, per assumere piuttosto le caratteristiche di un’inquietante ghost story.

Indubbiamente era una vecchia casa. La piazza era vecchia, e aveva quell’ariaun po’ sdegnosa che assumono a volte le città ammassate intorno a una catte-drale. Il numero 19 dava l’impressione di essere un rudere fra i ruderi, solo piùantico, e si ammantava di una patriarcale solennità. Torreggiava più grigio sulgrigio, più altezzoso sull’altezzoso, più gelido sul gelido. Severo, minaccioso esegnato da quella particolare desolazione che impregna tutte le case da tempodisabitate, regnava sovrano sugli altri edifici.

In qualsiasi altra città si sarebbe guadagnata la fama di casa infestata, maWeyminster era refrattaria ai fantasmi e non li considerava rispettabili, a menoche fossero il vanto di un nobile casato. Così nessuno parlava del numero 19come di “una casa infestata”; nondimeno era rimasta, per anni, nell’albo dei ven-desi o affittasi.

La signora Lancaster guardò la casa con aria d’approvazione mentre l’agen-te immobiliare, ben lieto di potersene sbarazzare, apriva la porta e inondava lacliente di informazioni e commenti elogiativi.

«Ma da quanto tempo è vuota?» tagliò corto la signora Lancaster, ponendofine a quel diluvio verbale.

Il signor Raddish (della Raddish & Foplow) si fece un pochino confuso. «E...ehm... da un po’ di tempo». Voleva essere una risposta casuale.

«Questo lo capisco anch’io» osservò seccamente la signora Lancaster.L’ingresso, scarsamente illuminato, era gelido, gelido in modo quasi sinistro.

Una donna con più immaginazione sarebbe rabbrividita, ma la signora Lanca-ster era una persona pratica. Era alta, con una folta massa di capelli scuri spruz-zati di grigio e occhi azzurri piuttosto freddi. [...]

«Cosa c’è che non va, qui dentro?»Il signor Raddish fu colto di sorpresa.«Be’, una casa senza mobili è sempre un po’ triste» tentò di parare.«Sciocchezze» ribatté la signora Lancaster. «L’affitto che chiede è ridicolo,

per una casa del genere. Puramente simbolico. Quindi, dev’esserci una ragio-ne. La casa è infestata?» [...]

«Naturalmente io non credo ai fantasmi e alle baggianate del genere, quindise il motivo per cui la casa è rimasta sfitta è questo, non m’importa affatto. Laservitù, d’altra parte, è molto credulona e si lascia facilmente spaventare.

«È per questo che le chiedo di dirmi che cosa, sì, che cosa infesta esattamen-te questo posto».

«Io, ehm... non lo so» balbettò l’agente immobiliare.«Sono sicura di sì, invece» rispose la signora con la massima calma. «Non

posso prendere la casa senza saperlo. Dunque, si vuole decidere? C’è stato unassassinio?»

«Oh, no!» protestò il signor Raddish, sconvolto dall’idea che qualcosa di così

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anomalo potesse capitare nella rispettabile piazza. «Si tratta solo... solo di unbambino».

«Un bambino?»«Sì».«Non conosco la storia in tutti i particolari» continuò riluttante l’agente immo-

biliare. «E inoltre esistono parecchie varianti. Comunque, circa trent’anni fa unuomo di nome Williams prese in affitto il numero diciannove. Non si sapeva nien-te di lui, e non aveva servitori; non aveva amici e nelle ore diurne usciva rara-mente. Aveva però un bambino, un ragazzetto che si supponeva fosse suo figlio.Dopo un paio di mesi si recò a Londra, ma aveva appena messo piede nellametropoli che fu riconosciuto come l’autore di un misterioso crimine. Non homai saputo esattamente di che si trattasse, ma doveva essere qualcosa di gra-ve, perché piuttosto che consegnarsi alla polizia l’uomo si sparò. Nel frattempoil bambino continuò a vivere in questa casa, dalla quale non si era mai mosso.Per un po’ il cibo gli fu sufficiente, ed egli si limitò ad aspettare giorno dopogiorno l’arrivo del padre. Per sua sfortuna questi gli aveva ordinato di non usci-re per nessuna ragione e di non rivolgere la parola a sconosciuti. Era un bam-bino piccolo, debole, fragile, e non si sarebbe mai sognato di disobbedire all’or-dine. Di notte i vicini, ignari della partenza del padre, lo sentivano piangere elamentarsi nella spaventosa desolazione della casa vuota».

Il signor Raddish fece una pausa.«Alla fine... ehm... il bimbo morì d’inedia1». Questa tragica conclusione fu

detta nello stesso tono di chi osservi che sta cominciando a piovere.«E sarebbe il fantasma del bambino, quello che infesta la casa?» chiese la

signora Lancaster.«Non c’è niente di fondato, mi creda» si affrettò a rassicurarla Raddish. «Nes-

suno ha mai visto niente. I sostenitori di questa storia dicono di aver sentito, èridicolo, un bambino che piange e si lamenta».

La signora si diresse alla porta d’ingresso.«La casa mi piace» annunciò. «Per un prezzo simile non troverò niente di

così adatto. Ci penserò e le darò la risposta».«È molto accogliente, vero, papà?» [...]L’uomo al quale si era rivolta era un anziano signore dalle spalle ricurve e un

delicato volto ascetico. Il signor Winburn non somigliava per niente alla figlia,anzi, non si sarebbe potuto immaginare contrasto maggiore di quello offerto dal-la risoluta praticità di lei e dalla sognante astrazione di lui.

«Certo» rispose il vecchietto con un sorriso. «A nessuno verrebbe in menteche è una casa infestata».

«Papà, non dire sciocchezze! È il nostro primo giorno qui!»Il signor Winburn sorrise.«Va bene, mia cara, faremo come se i fantasmi non esistessero».«E per favore» continuò la signora Lancaster «non dire una parola davanti a

Geoff. È così impressionabile!»Geoff era il figlio della signora Lancaster, e con il nonno e la mamma com-

pletava la famiglia.La pioggia cominciava a battere contro i vetri: pit-pat, pit-pat.«Senti» disse il signor Winburn. «Non sembrano piedini?»

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«Sembra più che altro pioggia» rispose lei con un sorriso.«Ma questo, questo è un rumore di passi!» gridò il padre, piegandosi per ascol-

tare meglio.La signora scoppiò a ridere di cuore.Anche il padre si mise a ridere. Stavano prendendo il tè in sala, e lui sede-

va con le spalle alla scala. Ora si voltò e vide il nipote, il piccolo Geoff, chescendeva con circospezione, affascinato e al tempo stesso intimidito dalla casanuova.

Le scale erano di quercia e non c’era tappeto. Il bambino attraversò la sala esi fermò accanto a sua madre. Il signor Winburn trasalì, perché aveva udito distin-tamente un altro paio di piedini sulle scale, come se qualcuno seguisse Geof-frey. Piedini che si trascinavano, che facevano fatica... Scrollò le spalle, incre-dulo. “La pioggia, non c’è dubbio” pensò fra sé. [...]

«Mamma, Jane dice che c’è una soffitta, qui. Posso esplorarla? Troverò unaporta segreta, vero? Jane dice che non c’è, ma invece c’è; e le condutture del-l’acqua, che bellezza, le vedrò e mi metterò a giocare! E la caldaia? Posso vede-re la caldaia?» Pronunciò queste ultime parole con tale delizia che il nonno sisentì vergognoso di non condividerne l’infantile entusiasmo. [...]

«Andremo in soffitta domani, caro» disse la signora Lancaster. «Perché nonfai un po’ di costruzioni, eh? Potresti creare una bella casa, o un apparecchio,non so».

«Non voglio fare una casa».«Fai una bella casa».«No, una casa no. E nemmeno un apparecchio».«Allora costruisci una caldaia» suggerì il nonno.Geoffrey s’illuminò.«Con le condutture?»«Con quante condutture vuoi».Geoffrey corse felice a prendere le costruzioni.Continuava a piovere. Il signor Winburn ascoltava. Sì, era senz’altro la piog-

gia quella che aveva udito, ma il suono era identico ai passi di un bambino.Quella notte fece uno strano sogno.Sognò di trovarsi in una città tutta popolata di bambini: non c’erano adulti,

solo bambini, e a migliaia. Quando lo videro – lui, straniero – gli corsero incon-tro e gridarono: «L’hai portato?» Come se capisse ciò che intendevano, il signorWinburn scosse la testa tristemente, in segno di diniego. A questo punto i bim-bi scappavano e cominciavano a singhiozzare amaramente.

Il sogno si dileguò e il signor Winburn si ritrovò nel suo letto, ma il piantocontinuò a risuonargli nelle orecchie. Era perfettamente sveglio, eppure lo sen-tiva distintamente. Poi ricordò che Geoffrey dormiva al piano di sotto, mentreil lamento veniva dall’alto. Si mise a sedere e accese un fiammifero. I singhioz-zi cessarono di colpo.

Il signor Winburn non parlò alla figlia né del sogno né di ciò che aveva uditopoi; ma col passare delle ore il fenomeno si ripeté, e in pieno giorno. Certo, ilvento sibilava nel camino, ma questo era diverso: un suono distinto, inconfon-dibile. Piccoli disperati singhiozzi.

Come non tardò a scoprire, l’anziano signore non era il solo a udirli. La gover-nante, per esempio, borbottò alla cameriera che «non credeva che l’istitutricefacesse il suo dovere, perché il povero signorino Geoffrey aveva pianto a dirot-

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to, nelle prime ore del mattino». Ma Geoffrey era sceso a colazione raggiante difelicità e salute. Il signor Winburn sapeva che non era stato suo nipote a pian-gere, ma l’altro bimbo, i cui passettini l’avevano fatto trasalire più di una volta.

Solo la signora Lancaster non sentiva niente. Forse le sue orecchie non era-no abbastanza fini per percepire i suoni di un altro mondo.

Un giorno, tuttavia, anche lei ricevette una sorpresa.«Mammina» disse Geoffrey in tono lamentoso «vorrei che mi lasciassi gioca-

re con quel ragazzino».Lei alzò gli occhi dallo scrittoio e sorrise.«Che ragazzino, Geoff?»«Non so come si chiama. Era su in soffitta, seduto sul pavimento, e piange-

va. Quando mi ha visto è scappato. Penso che sia timido». (L’ultima frase fu det-ta in tono vagamente sprezzante). «Non è come un ragazzo cresciuto. Poi, quan-do mi sono messo a giocare con le costruzioni, l’ho visto di nuovo che mi spiavadalla porta. Mi pareva solo come un cane e da come guardava ho capito che vole-va giocare con me. Gli ho detto: “Entra, costruisci un apparecchio”, ma lui nonha risposto ed è rimasto a guardare, come se vedesse un mucchio di cioccolatae la mamma gli avesse detto di non prenderla». Geoff sospirò: evidentementeanche lui aveva tristi memorie al riguardo. «Ma quando ho chiesto a Jane chiera quello e se potevo giocare con lui, mi ha risposto che non c’erano altri ragaz-zi in casa e che non dovevo dire le bugie. Jane non mi piace, mamma».

La signora Lancaster si alzò.«E invece ha ragione lei. Non c’è nessun ragazzo».«Ma l’ho visto! Oh, mamma, fammici giocare. È così solo e triste! Voglio fare

in modo che si senta meglio». [...]«Geoff» disse il nonno con dolcezza «quel ragazzino è veramente solo. For-

se puoi fare qualcosa per alleviarlo, ma devi scoprire tu il modo, come in unindovinello. Hai capito?»

«Devo scoprirlo da solo perché sto diventando grande, è così, nonno?»«Perché stai diventando grande, sì».Quando il bambino uscì la signora Lancaster ebbe un moto d’impazienza ver-

so il padre.«Papà, è assurdo! Incoraggiare Geoffrey a credere agli sciocchi racconti del-

le cameriere!»«Nessuna cameriera gli ha detto niente. Lui ha visto ciò che io ho solo udi-

to. Forse lo vedrei anch’io, se avessi la sua età».«Ma sono sciocchezze! Perché io non vedo e non sento nessun ragazzino,

eh?»Il signor Winburn sorrise: un sorriso stanco, curioso, e non disse niente.«Dimmi perché» insisté la figlia. «E dimmi perché gli hai messo in testa che

può aiutare quella... cosa. È impossibile».Il vecchio la fissò col suo sguardo pensieroso.«E chi lo dice? Ricordati queste parole»:

Quale Lanterna diede il Destino

Ai suoi Bambini sperduti nel buio?

«Un sesto senso» il Cielo rispose.

«Geoffrey ce l’ha... un sesto senso, come tutti i bambini. È solo quando cre-sciamo che perdiamo questa facoltà. A volte, da vecchi, ne scorgiamo di nuovo

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il bagliore, ma è nell’infanzia che la Lanterna brilla più intensamente. Ecco per-ché credo che Geoffrey possa aiutare il suo amico».

«Non capisco» mormorò debolmente la signora Lancaster.«Nemmeno io, ma quel... quel bambino è in pena e vuol essere liberato. Come?

Non lo so, però è spaventoso pensarci: è un bimbo, una creatura, e gli si spac-ca il cuore dal dolore».

Un mese dopo questa conversazione Geoffrey si ammalò gravemente. Il vento dell’est aveva soffiato forte e lui non era un ragazzo robusto. Il medi-

co scuoté la testa e disse che si trattava di un caso grave. Col signor Winburnfu ancora più esplicito, ammettendo che non c’erano speranze. «In ogni casonon sarebbe vissuto a lungo» aggiunse. «Da troppo tempo soffre di questa malat-tia polmonare».

Accudendo il figlio malato, la signora Lancaster sentì per la prima volta lapresenza dell’altro bambino. Dapprima i singhiozzi le parvero confondersi colvento, poi pian piano si fecero più distinti, inconfondibili. Alla fine fu in gradodi udirli anche nei momenti di assoluto silenzio: singhiozzi di bimbo, di un bim-bo solo, disperato e affranto.

Man mano che Geoffrey peggiorava, parlava con sempre maggior frequenzadel piccolo amico. Nel delirio gridava: «Voglio aiutarlo ad andar via, lo voglio!»

Al delirio seguì uno stato letargico. Geoffrey stava immobile, a stento respi-rava, perso nell’oblio. Non si poteva far altro che guardare e aspettare. Poi ven-ne una notte chiara, calma, senza un alito di vento.

Improvvisamente il ragazzo tremò, aprì gli occhi e fissò la porta aperta allespalle di sua madre. Cercò di parlare, e chinandosi la signora Lancaster colse lesue ultime parole.

«Eccomi, sto arrivando». Poi reclinò il capo.La madre attraversò la stanza in preda al terrore e andò in cerca del signor

Winburn. Da qualche parte, intorno a loro, l’altro bambino era scoppiato a ride-re. Felici, irrefrenabili, argentine, le risate echeggiavano fra le pareti.

«Ho paura, ho paura» gemette lei.Il signor Winburn le mise un braccio intorno alle spalle, con aria protettiva.

Un alito improvviso di vento li fece trasalire, ma morì presto.Le risate erano cessate, e al loro posto si sentiva un debole rumore, così

debole che a stento si riusciva a distinguerlo. Passi, passi leggeri che si allon-tanavano.

Pit-pat, pit-pat, il fruscio alternato dei piedini. Ma ora... che strano... parevache un altro paio di piedini si fosse unito al primo, e che si muovesse in modopiù rapido e leggero.

Il fruscio giunse alla porta, la superò, i passettini erano chiarissimi. Pit-pat,pit-pat, due bambini che marciavano insieme.

La signora Lancaster alzò gli occhi, terrorizzata.«Adesso sono due! Sono due!»Bianca di paura guardò il lettino del figlio, nell’angolo, ma il signor Winburn

la invitò gentilmente a guardare nella direzione opposta, oltre la porta.«Là» disse semplicemente.Pit-pat, pit-pat... sempre più deboli e lontani.E poi silenzio.

(A. Christie, Il meglio dei racconti, Milano, A. Mondadori, 1990)

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Esercizi1 Riassumi in dieci righe il testo.

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2 Individua nel racconto i punti in cui gli elementi soprannaturali sono inseriti in un contesto concreto e reale.

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3 Individua nel racconto la presenza di un punto di vista razionale sugli avvenimenti narrati e quella di unaspiegazione soprannaturale. Quale personaggio cerca di fornire una spiegazione razionale? Quale unasoprannaturale? Che ruolo ha il bambino?

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4 Che tipo di narratore è presente in questo racconto?

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5 Rintraccia nel testo:

a. i punti in cui il narratore si mantiene in bilico tra la spiegazione razionale e quella soprannaturale deglieventi narrati:

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b. il punto in cui sembra prevalere la soluzione soprannaturale:

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c. i punti in cui si creano situazioni enigmatiche:

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d. il punto in cui si manifesta la sorpresa:

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6 Analizza la dimensione spaziale del racconto. In quale modo sono creati gli effetti di suspense?

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7 Analizza la dimensione temporale del racconto e di’ se è funzionale all’evoluzione della storia.

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8 Quali sono i motivi tipici della ghost story che puoi ritrovare in questo racconto?

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9 Rintraccia nella storia i punti in cui viene creato il dubbio nel lettore.

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10 Rintraccia nel racconto il motivo del doppio e dell’apparizione misteriosa.

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11 A partire da quale punto della storia si verifica una decisa propensione per una spiegazione soprannaturale?

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12 Il finale della storia, secondo te, consegue il suo effetto oppure appare in qualche modo prevedibile?

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