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1 Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico © 2010 Loescher Editore - Torino Unità 3, L’uomo e la storia MOHSIN HAMID Il fondamentalista riluttante L’autore e l’opera Mohsin Hamid è uno scrittore pakistano, nato nel 1971 a Lahore, dove ha vissuto gli anni della giovinezza. In seguito ha frequentato negli Stati Uniti la Princeton University e la Harvard Law School, lavorando poi come consulente aziendale a New York. È arrivato al succes- so con il suo primo romanzo, Nero Pakistan, pubbli- cato in Italia nel 2002, cui ha fatto seguito Il fonda- mentalista riluttante, del 2007. Attualmente vive e lavora a Londra. L’edizione Torino, Einaudi, 2007 (titolo originale The Reluctant Fundamentalist, Usa, 2007). Il genere Romanzo. La recensione Nel vecchio mercato di Anarkali, a Lahore, Changez, venticinquenne pakistano, racconta a un cittadino ame- ricano, incontrato in apparenza per caso, la sua sto- ria: dalla rapida carriera come manager finanziario a New York, all’amore tragico per Erica, una dolce fan- ciulla che sarà vittima della propria fragilità psicologica, fino alla trasformazione nei mesi successivi all’11 settembre. Questa data segna, per Changez, un mutamento radicale del- la sua visione della vita e della società: se fino ad allora era stato profondamente attrat- to dal mito americano, dopo la caduta delle Torri gemelle, di fronte alla sete di vendet- ta che sembra aver preso l’America, egli riscopre le proprie origini, trasformandosi a poco a poco in un pericoloso fondamentalista. La riflessione sulla storia a noi contemporanea, sulle precarietà esistenziali e politiche di un’epoca che rimette costantemente in discussione ogni certezza, costituisce il filo conduttore di questo breve ma intenso romanzo, tutto affidato alla voce narrante inter- na del protagonista che racconta la propria vicenda sotto forma di un lungo monologo, frammentato da domande che lasciano supporre osservazioni da parte di un interlocu- tore che, tuttavia, resta sempre in silenzio. Changez e lo sconosciuto si fronteggiano per tutto il corso della narrazione, in una strana conversazione che occupa lo spazio di una serata nella quale solo il primo ha la possibilità di parlare, mentre il ritratto dell’altro è scandito da una serie di particolari enigmatici – lo squillo del cellulare a intervalli rego- lari e il rigonfiamento sotto la giacca che fa pensare a un’arma nascosta – che portano a uno stato di suspense crescente fino all’inquietante finale. C O N S I G L I A T O D A C O N S I G L I A T O D A Galeotto fu il libro

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Unità 3, L’uomo e la storia

MOHSIN HAMID

Il fondamentalista riluttante

L’autore e l’operaMohsin Hamid è uno scrittore pakistano, nato nel 1971a Lahore, dove ha vissuto gli anni della giovinezza. Inseguito ha frequentato negli Stati Uniti la PrincetonUniversity e la Harvard Law School, lavorando poi comeconsulente aziendale a New York. È arrivato al succes-so con il suo primo romanzo, Nero Pakistan, pubbli-cato in Italia nel 2002, cui ha fatto seguito Il fonda-

mentalista riluttante, del 2007. Attualmente vive elavora a Londra.

L’edizioneTorino, Einaudi, 2007 (titolo originale The Reluctant

Fundamentalist, Usa, 2007).

Il genereRomanzo.

La recensioneNel vecchio mercato di Anarkali, a Lahore, Changez,venticinquenne pakistano, racconta a un cittadino ame-ricano, incontrato in apparenza per caso, la sua sto-ria: dalla rapida carriera come manager finanziario aNew York, all’amore tragico per Erica, una dolce fan-

ciulla che sarà vittima della propria fragilità psicologica, fino alla trasformazione nei mesisuccessivi all’11 settembre. Questa data segna, per Changez, un mutamento radicale del-la sua visione della vita e della società: se fino ad allora era stato profondamente attrat-to dal mito americano, dopo la caduta delle Torri gemelle, di fronte alla sete di vendet-ta che sembra aver preso l’America, egli riscopre le proprie origini, trasformandosi a pocoa poco in un pericoloso fondamentalista.La riflessione sulla storia a noi contemporanea, sulle precarietà esistenziali e politichedi un’epoca che rimette costantemente in discussione ogni certezza, costituisce il filoconduttore di questo breve ma intenso romanzo, tutto affidato alla voce narrante inter-na del protagonista che racconta la propria vicenda sotto forma di un lungo monologo,frammentato da domande che lasciano supporre osservazioni da parte di un interlocu-tore che, tuttavia, resta sempre in silenzio. Changez e lo sconosciuto si fronteggiano pertutto il corso della narrazione, in una strana conversazione che occupa lo spazio di unaserata nella quale solo il primo ha la possibilità di parlare, mentre il ritratto dell’altro èscandito da una serie di particolari enigmatici – lo squillo del cellulare a intervalli rego-lari e il rigonfiamento sotto la giacca che fa pensare a un’arma nascosta – che portano auno stato di suspense crescente fino all’inquietante finale.

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Unità 3, L’uomo e la storia

11 settembre 2001La sera dopo avrebbe dovuto essere l’ultima a Manila. Ero nella mia stan-

za che facevo i bagagli. Accesi la televisione e vidi quello che sulle prime miparve un film. Ma continuai a guardare e mi resi conto che non era una fin-zione ma una notizia. Vidi crollare prima una e poi l’altra delle torri gemelledel World Trade Center di New York. E allora sorrisi. Sì, per quanto possaapparire deprecabile, la mia prima reazione fu di notevole compiacimento.

Il suo disgusto è evidente; ha serrato apugno la sua grossa mano, forse senza accor-gersene. Ma la prego di credermi se dico chenon sono un sociopatico; non sono indifferen-te alle sofferenze altrui. Quando sento che aun mio conoscente è stata diagnosticata unamalattia grave, provo, quasi invariabilmente,una dolorosa compassione, una fitta ai reni abbastanza acuta dafarmi trasalire. Quando vengo contattato per una donazione a un ente di bene-ficenza, sono quasi sempre disponibile, nei limiti dei miei modesti mezzi. Per-ciò quando le dico che ero compiaciuto per il massacro di migliaia di inno-centi, lo faccio con un profondo senso di perplessità.

Ma in quel momento i miei pensieri non erano per le vittime dell’attacco– la morte in televisione mi tocca di più quando è fittizia e riguarda un per-sonaggio con cui ho costruito una relazione nel corso di una serie di epi-sodi –, no, ero colpito dal simbolismo della cosa, dal fatto che qualcuno fos-se riuscito a mettere in ginocchio gli Stati Uniti in modo tanto smaccato. Ah,vedo che non faccio che aggravare il suo malcontento. Naturalmente la capi-sco; è odioso sentire uno che si bea delle disgrazie del nostro paese. Ma cer-to questo sentimento non le sarà del tutto sconosciuto. Non prova gioia difronte alle immagini televisive, così diffuse in questo periodo, degli armamen-ti americani che radono al suolo le infrastrutture dei vostri nemici?

Ma voi siete in guerra, dice? Sì, le do ragione. Io non ero in guerra con gliStati Uniti. Anzi, ero il prodotto di un’università americana; stavo guadagnan-do un lucroso salario americano; ero infatuato di una donna americana. Per-ché allora una parte di me desiderava il male degli Stati Uniti? Non lo sape-vo; sapevo solo che i miei sentimenti sarebbero stati inaccettabili per i mieicolleghi, e mi sforzai di nasconderli più che potevo. Quando più tardi quellasera il mio team si riunì in camera di Jim, simulai lo stesso sconvolgimento ela stessa angoscia che vedevo sulle facce intorno a me.

Ma sentendoli parlare dei loro cari, i miei pensieri corsero a Erica e nonebbi più bisogno di fingere. Naturalmente non sapevo ancora che la morteaveva toccato soltanto chi si trovava nel limitato raggio geografico che sareb-be stato chiamato ground zero. E neppure sapevo che Erica era al sicuro acasa sua al momento degli attentati. Provai quasi sollievo non riuscendo adormire a causa della preoccupazione per lei; mi permise di condividere l’an-sia dei miei colleghi e di ignorare per qualche tempo il mio iniziale compiaci-mento.

Per parecchi giorni non potemmo lasciare Manila, i voli erano stati cancel-lati. All’aeroporto venni accompagnato da guardie armate in una stanza dovemi fecero spogliare lasciandomi in boxer – fu assai imbarazzante, visto che

La citazioneUn’America come quella anda-va fermata…

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ne indossavo un paio rosa con gli orsetti, ma tale rivelazione non ebbe alcunimpatto sulle facce severe di coloro che mi perquisirono – e di conseguenzafui l’ultimo a salire a bordo del nostro aereo. Il mio ingresso suscitò sguardipreoccupati in molti passeggeri. Volai a New York sentendomi a disagio conme stesso: ero consapevole di essere sospetto, mi sentivo in colpa e cercavodi comportarmi nel modo più naturale possibile, con l’effetto di risultare rigi-do e goffo. Jim, seduto al mio fianco, mi chiese più volte se mi sentivo bene.

All’arrivo, venni separato dagli altri al controllo passaporti. Loro si uniro-no alla fila dei cittadini statunitensi; io mi unii a quella degli stranieri. L’agen-te che esaminò i miei documenti era una donna robusta con una pistola alfianco e una padronanza dell’inglese inferiore alla mia; cercai di disarmarlacon un sorriso. «Qual è lo scopo del suo viaggio negli Stati Uniti?» mi doman-dò. «Ci vivo», risposi. «Non è quello che le ho chiesto, signore», disse lei.«Qual è lo scopo del suo viaggio negli Stati Uniti?» Il nostro scambio conti-nuò così per qualche minuto. Alla fine venni destinato a un’ulteriore ispezio-ne in una stanza dove mi fecero sedere su una panca di metallo accanto a unuomo tatuato con le manette ai polsi. Il mio team non mi aspettò; quandofinalmente arrivai alla dogana avevano già recuperato i bagagli e se n’eranoandati. Così quella sera tornai a Manhattan in perfetta solitudine.

Ma cos’è che l’ha fatta trasalire? Ah, sì, i pipistrelli, volteggiano piuttostobassi. Non ci toccheranno, glielo posso assicurare. Lo sa anche lei, dice? Chetono brusco; vedo che l’ho offesa, anzi l’ho fatta arrabbiare. Ma presumo dinon averla del tutto sorpresa. Lo nega? No? Questo è tutt’altro che privod’interesse per me, dato che non ci siamo mai incontrati prima, eppure sem-bra che lei sappia delle cose di me. Forse ha tratto delle conclusioni dal mioaspetto, dalla mia barba fluente; forse si è limitato a seguire l’arco del mioracconto con la sorprendente abilità di un tiratore scelto; o forse... Ma bastacon queste ipotesi! Concentriamoci sul menu; ho parlato troppo, e temo diaver trascurato i miei doveri di ospite. Inoltre vorrei sentire qualcosa di piùda lei: cosa la porta a Lahore, per quale azienda lavora, eccetera eccetera.La notte intorno a noi si sta facendo più cupa, e malgrado le luci del merca-to il suo volto è quasi del tutto in ombra. Esercitiamo gli altri sensi, come que-sti pipistrelli, dato che i nostri occhi sono sempre più inservibili. Le sue orec-chie devono essere esauste; è venuto il momento di impiegare la lingua pergustare, se non altro, anche se prima o poi spero di persuaderla a parlare!

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