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1 FIT FOR LIFE SCEGLIERE SENZA PIANO B AUTORE Michele "SPREK" Spreghini

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FIT FOR LIFE

SCEGLIERE SENZA PIANO B

AUTORE

Michele "SPREK" Spreghini

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Eccomi qua a riordinare ricordi, propositi, fallimenti e

successi di più di quarant’anni di vita che più che un’esistenza

interessante, la chiamerei “quella montagna russa dove vomito

sempre alla solita curva”. Niente male eh?

E tu sei qui, complice forse quella macchinetta che ti gonfia e

sgonfia il torace ad ascoltarmi.

Mi ascolterai? Mi senti? Babbo ci sei?

Si dice che le persone prive di coscienza siano comunque

connesse con la realtà, ma siccome nella realtà, in tutti questi

decenni sei stato solamente un'ombra di ricordi frastagliati e

taglienti, secondo me prima che tu te ne vada dai casini che hai

combinato, è bene che tu prenda coscienza che dai lombi

qualcosa di apparentemente buono ti è uscito.

È servita questa brutta malattia per intrappolarti in questa

condizione di ascoltatore. I nostri dialoghi da che ne abbia

memoria sono stati sul tempo, su Federica che cresce, e su

quanto le persone non ti capiscano. Quindi ne approfitto, sia

mai che te ne vai da qualche parte senza aver conosciuto tuo

figlio e cosa ha combinato nella vita che hai scelto di non

conoscere.

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Invece di lamentarmene, ti sequestro in questa stanzetta

piena di moquette. Quindi che tu lo voglia o no, oggi conoscerai

tuo figlio.

Partiamo dall’inizio, quello vero.

Ti risparmio la storiella dello Sprek col grembiule e i’ffiocco

alle elementari o peggio ancora degli aneddoti su quanto fossi

tremendo da ragazzino, chiunque mi conosce da allora porta

ancora in tasca qualche amuleto scaccia-Michele pronto all’uso

con la speranza gli sia utile se mai riprendessi quelle sembianze

di adorabile bambino indemoniato. Diciamo che il giorno che

decisi di salire su questa montagna russa, fu il 2 giugno del

1991.

Proprio in questo momento mentre ti dico la data esatta

avrei voglia di farmi spazio accanto a te e appoggiarmi su una

tua spalla per simulare un abbraccio, ma evito.

Il rancore che provo per quello che (non) sei stato non deve

dar spazio a sentimentalismi. Mi devo dare un tono.

Diciamo che quel fatidico giorno salii sul palco per la prima

volta nella mia vita. L’occasione era il primo concerto del

gruppo rap “i Censura” (notare il nome a denuncia del disagio

giovanile, ci sentivamo tutti un po' un incrocio tra Jena Plissken

e un abitante dell' Armenia) composti da me, Riccardo che

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sarebbe l'altro tuo figlio, e altri 5 ragazzetti (non molto

intelligenti, ma ci torneremo su questa cosa). Riccardo cantava e

si scriveva i pezzi e io con le altre scimmie ballavamo

coreografie ideate da me (roba che manco le veline più

paraplegiche si impegnerebbero a fare). Mi ricordo che a volte

sei venuto a vederci con le varie donne che hai avuto, con

telecamere prese in prestito (diciamo così...) a gonfiarti la bocca

del nostro talento, senza menzionare che la somiglianza non era

tanto nel talento, quanto che la nostra bocca era voluminosa per

le labbrate a tradimento che ci rifilavi in pieno stile Montessori

Style.

Alt! Non vorrei che stanotte diventasse un rinfacciarti

qualcosa. Quello che è fatto è fatto, ma permettimi di lanciarti

qualche frecciatina, ora che ti ho a tiro almeno sono sicuro di

centrare il bersaglio.

Eccheccacchio almeno una gioia! Ma ti voglio bene. Lo sai

che è così. Altrimenti non sarei qua.

Precisazione chiusa. Non ne farò altre.

Forse.

Ma torniamo al gruppo di coloro che trattengono peti a

ritmo di musica rap.

I Censura.

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Si, perché per il 90% della popolazione Grossetana, questo

eravamo. Noi in fondo eravamo bravi, ma in un paese fatto di

disquisizioni tra il "dove scarico questa rotoballa?" e "alla Fiera del

Madonnino quest'anno un cera 'na sega!", un gruppo di ragazzi

che ballava era visto come un qualcosa da criticare per darsi un

tono. Siamo stati pieni di haters ancor prima dei Social

Network....se non è pionierismo questo?!?!

Nel turbinìo di prove, spettacoli, gite fuori porta per esibirsi

e mazzi vari mi ero scordato di una cosa fondamentale: LA

SCUOLA!

Già perché andare alle interrogazioni con un running man o

girando sulla testa non è che mi facesse entrare nelle grazie di

Iria Nebbi (professoressa di Storia il cui nome, se te la immagini

alta alta, secca secca, brutta brutta, con i denti a Dracula, le

mani ossute piene di anelli e una voce con intonazione tra

Marlboro e decotto di rovi e spine, hai capito il personaggio; la

sua materia te la faceva proprio piacere).

I voti che prendevo non erano male, dovevi solo avere la

cura di sommarli a gruppi di 3 o 4; allora raggiungevo una

media decente, solo che quando nella storia della mia scuola

sono stato il primo a prendere uno (si, ho preso 1, che è meno di

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un 2 di uno scolaro che fa scena muta e più di uno zero di uno

scolaro che neanche si alza dal banco) capii che forse studiare

non mi piaceva così tanto.

Io ci andavo alle interrogazioni, ma mi uscivano parole tipo

kjwjwb oppure akcjcb alla domanda più facile alla quale anche la

cattedra avrebbe potuto rispondere.

Ma vediamo le alternative:

1. Studiare, diplomarmi, laurearmi, fare pratica per un

lavoro per il quale ho preso una laurea.

2. Ballare, divertirmi, far girare la testa alle ragazze,

godermi la giovinezza che fugge tuttavia.

Secondo te quale potevo scegliere?

No, non la prima.

E neanche la seconda (cosa che mi avrebbe fatto piacere

assai).

Ce n'è un' altra che magari non hai considerato:

MANGIARE!

Eh si, perché mentre te ne andavi di casa, compravi

macchine, motociclette, impianti stereo da GigaWatt, offrivi la

cena a vicemogli et similia, mamma aveva ancora la sua firma

nel cazilione di prestiti che avevi chiesto e toccava pagarli a lei,

di conseguenza...a noi!

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E pensa che abbiamo anche vissuto senza riscaldamenti negli

inverni più rigidi che l' Italia ricordi, messo toppe a qualunque

vestito distrutto, rimpeciottato la 500 di mamma per poter

muoversi oltre il nostro quartiere, ma avevamo il bruttissimo

vizio, e te ne chiedo scusa, di aver bisogno di nutrirci.

Quanto volte ho visto mamma darci il coscio della gallina e

lei mangiarsi le zampe, sbucciarci una mela e lei mangiarsi il

torsolo e la buccia.

Ma non bastava più.

Non bastava fare il gioco del silenzio in casa quando i tuoi

creditori prendevano a pugni la porta, conveniva cambiarla.

La casa, non la porta.

Sparire dalla circolazione, visto l' eco dei casini che ci hai

lasciato da risolvere.

Ma traslocare costa, la casa nuova costa, e dulcis in fundo, la

nuova casa è abbordabile a patto che poi la riscattiamo con un

acquisto.

Non so perché, ma ci ritrovammo con mamma che faceva 3

lavori (fiscalista, lavapiatti nei ristoranti, donna delle pulizie nei

weekend), io in pasticceria dalle 3 del mattino fino alle 7, poi

scuola, poi ci tornavo alle 17 fino alle 23 sette giorni su sette,

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Riccardo a fare le notti alla centrale del latte e nel weekend a

fare il cameriere nei ristoranti.

Aspetta, il perchè lo so, non avevamo una lira neanche per

far cantare un cieco, quindi o mangiavamo quella minestra

(allungata) o saltavamo dalla finestra.

Non mi rendevo conto sinceramente delle rinunce, eravamo

sempre molto uniti nelle disgrazie della vita che vivevamo. Poi

io avevo il ballo, riuscivo a sfogarmi solo così.

L' unica cosa che volevo era ballare, e (ti sembrerà strano)

studiare!

Poi se volessi continuare a studiare per rimorchiare la Nebbi,

per diventare un dotto figuro, perché a scuola i riscaldamenti

funzionavano non lo so neanche adesso, fatto sta che studiare

sembrava una buona via di uscita.

Quindi rimase quella finestra quotidiana di studio, a volte

con gli avambracci pieni di marmellata o con le dita spaccate

dal cemento e/o dai geloni di un cantiere troppo in collina per

andarci in motorino di Febbraio senza guanti. Ma soldi non ce

n'erano, quindi il lusso di un paio di guanti era un vezzo del

quale dovevo fare a meno.

E intanto mi facevo giovanotto e arrivò la maturità. Come io

sia riuscito a prenderla non si sa, forse me la sono sognata o

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forse quel pezzo di carta tanto agognato alla fine è arrivato. Una

cosa che però non è mai andata via ed era vero come i tremori

di freddo che facevo sul motorino...era la mancanza di ballare.

Cacchio se mi mancava.

L' entusiasmo dei Censura aveva lasciato il posto al senso di

responsabilità, ma il fuoco della danza se ce l'hai non ti

abbandona, sul palco del Teatro dell' Opera come in miniera a

estrarre carbone.

Continuavo a ballare, ma lo facevo col telecomando in mano.

Ai tempi c'era VideoMusic, con Michael Jackson, MC Hammer,

Vanilla Ice e tutti quei noti o meno noti balli d'oltreoceano che

tra una calcagnata al letto e una craniata sulla porta cercavo di

imitare.

Poi c'era anche la danza televisiva, che per quanto era

"maschia" come Malgioglio, mi attreaeva.

Resta da capire tutt'oggi se fosse per le movenze o per l'

occasione di poter stare accanto a quelle cosce svitabili di

gnocche galattiche, volevo a tutti i costi ballare in TV.

Non passava momento che non guardassi la danza televisiva

come un obiettivo da raggiungere, finché a Grosseto arrivò un

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famoso coreografo romano a tenere uno stage. Era la mia

occasione!

Partecipai allo stage e non ci misi molto a farmi notare per la

mia energia, il mio talento e la mia voglia di emergere. Il

coreografo mi propose di entrare nella sua compagnia a Roma,

facendomi notare che a Grosseto quel talento era sprecato.

Così feci.

E mamma non disse nulla. Nonostante il mio sostentamento

poteva farci stare più tranquilli (ai tempi ormai ero "lanciato"

verso una carriera muratoresca), non mi disse nulla, anzi, mi

fece utilizzare per partire anche quei pochi soldi che ero riuscito

a mettere da parte. Si parla di un misero milione, ma conservato

rinunciando alle più ovvie frivolezze di cui ogni ragazzo

giovane ha il sacrosanto diritto.

Lavorai per Mediaset, per RAI e tante compagnie di Danza.

La presunzione era così alle stelle che non mi resi conto che mi

stavo comportando come il peggiore dei personaggi che prima

di allora avevo sempre criticato: MI ERO MONTATO LA

TESTA.

Tant'è che commisi poco a poco un errore dietro l' altro auto-

sabotando la mia possibilità di continuare con questo tipo di

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carriera. Passai dal guadagnare quasi due milioni di lire a

puntata, a dormire nelle panchine di Villa Borghese.

Così feci nuovamente fagotto e in una Domenica piovosa me

ne tornai a Grosseto con la coda tra le gambe.

Conobbi allora il vero significato della parola depressione.

Anche se a mio avviso ne andrebbe coniata un' altra:

COGLIONERÌA.

Avevo l' occasione di lasciarmi alle spalle povertà, sacrifici,

fame, stenti e invidia verso i miei coetanei e mi sono rovinato

con le mie stesse mani.

In pratica avevo fatto un fiore per poi defecarci sopra. Ma

questo modo di fare me lo sono ritrovato spesso nella vita, anzi,

direi che questa fu la prima occasione per prendere confidenza

con il mio lato oscuro, oscuro e tendente al marroncino.

Lo stesso lato che mi farà avere notti insonni per il resto dei

miei giorni, che mi toglie la possibilità di parlare quando sono

estremamente arrabbiato e che mi procurò ben 3 infarti in una

sola notte, mentre addentavo la mia terza pizza nei primi anni

2000.

Perchè addirittura tre pizze? Perché quando pesi ben oltre i

115 kg, prima di sentirti sazio ci vogliono 3 pizze, 4 porzioni di

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patatine fritte, 2 bottiglie di CocaCola e forse qualcos' altro o

forse no.

Ecco come andò quella notte.

Immagina di aprire gli occhi lentamente, hai il respiro

pesante e senti un gran fracasso metallico accompagnato da un

suono ridondante mono-nota. Una persona che non conosci ha

un camice bianco e ti osserva...Esatto: siamo all' interno di un'

ambulanza!

In quegli anni avevo ritrovato una motivazione attraverso l'

Università, una figlia, una mia Impresa Edile, una casa di

proprietà. Ero realizzato.

Allo stesso tempo ero in guerra col mondo intero, odiavo

tutti, la madre di mia figlia, mamma, te, Riccardo, i clienti che

non mi pagavano, i miei cani.

Realizzato con beneficio di inventario. Facevo l' inventario

ed ero ancora io, il depresso cicciobomba di 10 anni prima.

Grasso, depresso e con un infarto in corso. Quello sdraiato

ero io. Come avevo fatto a ridurmi così?

Eppure avevo fatto tutte le cose per bene, avevo la testa al

posto suo, sapevo cosa volesse dire il duro lavoro, il sacrificio, l'

impegno, lo studio mentre lavoro e tutte quelle cose di cui molti

si complimentavano.

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Avevo miseramente fallito, ecco cosa fosse successo. Anni di

terapia psicologica mi fecero poi capire che mi sentivo in colpa

verso Mamma, verso Riccardo a cui lasciai la "patata bollente",

verso mia figlia, verso sua madre, verso tutti quelli che avevo

deluso o trattato con superiorità solo perché mi sentivo una

stella (senza pubblico).

Sopravvissi ovviamente (non potrei star qui a parlarti).

Ricordo ancora quello che dissero i dottori: "Spreghini, lei a 30

anni ci vuole arrivare? Cominci a mangiare di meno, fare più attività

fisica e soprattutto la smetta di essere incazzato con il mondo intero".

"Ma sapete una sega voi!!!" rispondevo. Purtroppo il tuo

modo di fare Spreghiniano dove te hai capito tutto nella vita e

sono gli altri ad essere dei fessi era sempre molto presente.

Grazie per questa fantastica eredità. Un orologio come tutti no

eh?

Vabbè.

Sapevo perfettamente quello che intendevano dire. Il bello è

anche che quelle cose che mi stavano succedendo, le

conseguenze, e il come fare per risolvere tutto io LO SAPEVO

PERCHÈ AVEVO STUDIATO!

Il fatto poi che non avessi fatto poi quel lavoro per il quale

avevo studiato era solo perché avrei potuto "ingranare" solo

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dopo degli anni che non avevo da "investire", soldi non ce

n'erano e il cantiere era l' unica cosa che me ne procurasse a

stretto giro.

Ma vedere mia figlia che si accorgeva di quanto mi stessi

spegnendo, nessun amico che mi durasse più di una settimana

e come trattavo le donne più dolci con le peggio ripicche mi

fece decidere: SI RINASCE!

Da dove si comincia?

Si perché puoi anche conoscere i tipi di bisturi, le patologie

con tutti i loro nomi, ma quando sei un orso con istinto alla

rabbia, tutto ti viene in mente tranne l' ABC del salvarsi la vita

con nuove (e corrette) abitudini.

L' unica attività che facevo oltre alla ginnastica mandibolare

era suonare la chitarra. Proprio come facevi tu. Visto che non

comunicavamo ero convinto nel mio delirio che mi avresti

"sentito". Arrivai anche ad essere abbastanza famoso nel

circuito italiano della chitarra acustica ma te? Niente, un

silenzio assordante.

Vabbè.

Ti racconto il mio primo giorno di dieta.

Quella pizzeria al taglio sotto casa, piena di gente

abbronzata nel Dna, poteva uscirmi dal campo visivo ma non

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da quello olfattivo. Quei profumi avevano significato fino ad

allora il mio "Oh! Finalmente anche questa giornata è finita!".

Ma provavo a non sentirli, ma di sensi ne abbiamo altri e

dove non arriva l' odore, arriva il rumore. Il rumore di una voce

che mi chiama "michel belo, ogi nienti Kebab?" un pizzettaro

sgrammaticato che mi chiama per nome. Praticamente quel

locale gliel'ho finanziato io.

Quando rientravo a casa la sera, più volte ho parcheggiato

stoico, fiero di me per non essermi fermato, e prima ancora di

estrarre la chiave, ero già ad attendere la mia piadina con "tutto

senza piccante", anche se "picanti fa felisci toa moje!".

Sia chiaro, di far "felisci" le donne non è mai stato un mio

problema, ma il "dita scure" non mi ha mai escluso da queste

sue perle di saggezza.

Il mio problema è solo quello che ho adesso: la doverosa

confessione ad Hamdi che non potrò pagare la sua nuova rata

del mutuo: mi sono messo a dieta!

Non so se fosse vero, ma mentre gli dicevo addio, sentivo la

musica di quando muore Jen di Dawson's Creek. Forse ce l'aveva

alla radio o forse me lo sono soltanto immaginato.

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Fatto sta che, dieci passi dopo mi sentivo fiero, leggero,

determinato e motivato. E imboccai la sera stessa la via che mi

portava verso una palestra.

Conoscevo già quell' ambiente, come penso ti ricorderai

Mamma era di casa alla Silhouette di Monica e Tiberio, mi ci

portava spesso visto che il lusso di una tata non ce l'avevamo.

Ma entrarci in quelle condizioni mi faceva dire a me stesso

che, forse, informare di essere abbastanza pratico avrebbe

significato farsi dire un bel "A' Bugiardoooo!" da parte dei

gestori.

Mi iscrissi e cominciai il giorno dopo.

Eh, io sono così. Non rimando. Se una cosa la voglio non

aspetto.

Nello spogliatoio mi vergognavo come un ladro, come se

tutti stessero lì pronti a giudicare me.

Senz' altro l' hanno fatto, ma non ho voluto indagare, Hamdi

era ancora a portata di delusione. Dovevo resistere.

Pensavo ad Hamdi come si pensa a una donna che hai

appena lasciato.

"Ora la faccio un po' soffrire poi ci faccio pace".

E così in parallelo: "dai, spingi come un dannato, e dopo una

bella pizza non te la toglie nessuno".

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Spinsi come un dannato.

Ma soffrendo.

Molto più che il sudore, i pesi, la fatica, quello che mi faceva

soffrire era la ferita al mio amor proprio, lo spettacolo indegno

di me che camminavo a stento sul tapis roulant ansimando

come un carlino.

Controllavo chi fosse accanto a me se vedeva la stessa cosa

che vedevo io.

Un panzone che vedeva i 100 kg come un traguardo felice

che ansima e geme e suda dai polsi.

Non pensavo si potesse sudare dai polsi, mi si riempivano le

punta delle dita di acqua che potevo benedire un passante con

un saluto.

Benedizione salata.

Praticamente avevo il potere di condire la gente al volo.

Non ero triste perché gli altri erano più in forma di me, ero

morto dentro perché vedevo finalmente come mi fossi ridotto.

Avrei voluto che tutte le fantascienze dei film visti fino a

quel momento si materializzassero in uno schiocco di dita e

puff, addominali scolpiti, fiato lunghissimo e taglia M.

Miiiiiiiiii, la taglia M, non la vedevo da quando studiavo le

guerre puniche.

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Ma poi, i puni hanno vinto?.....Professoressa Nebbi kjwjwb

non mi metta 3, che mi rovina la media. akcjcb. Le faccio una

capriola?

Scusa, sto divagando.

Uscito dalla palestra, lo confesso, ero diretto verso Hamdi.

"Ma si, che vuoi che mi faccia"; già assaporavo quella puzza di

circo nell' attesa di una capricciosa fumante, o quell' olezzo di

tamburo nell' estrarre la CocaCola dal frigo.

Mentre pensavo a tutto questo, però mi ritrovai in casa. Col

mio merluzzo e zucchine...ero libero!

E cazzo.....stavo bene! E sentivo profumo.

Profumo di rinascita.

Le mie giornate scorrevano all' insegna della palestra e delle

rinunce alimentari.

Non mangiare mi sembrava una figata, mi pesavo ogni

giorno e vedevo che il peso scendeva continuamente. Ci misi

pochi mesi ad arrivare a quei tanto impossibili 100 kg. Ma visto

e considerato quando ballavo a Roma negli anni 90 ne pesavo

72, avevo quello come riferimento, quindi vedendo ancora

lontana la meta, osavo sempre di più.

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Creme dimagranti, fasce stringenti, purghe, e tanti piccoli

espedienti per un solo motivo: vedere quei 72 kg di nuovo

tornare.

In barba agli studi sulla tiroide, sulla chetoacidosi, sul

cortisolo; il corpo umano e le sue regole fisiologiche avevano

lasciato lo spazio a un invasato di dimensioni bibliche che si

specchiava a ogni vetro di macchina, che comprava vestiti

sempre più stretti, che se solo avesse avuto il coraggio, si

sarebbe infilato un dito in gola anche dopo aver ingoiato la

saliva.

Mi dicevano che dimagrivo e mi riempivo di orgoglio.

Poi chiudevo gli occhi di notte e piangevo.

Le lacrime mi uscivano da sole, pensando all' ultima decade

passata a farmi del male, ma rifiutando la verità.

Infatti stavo continuando ancora a farlo ma dalla parte

opposta.

Ti spiego come funziona: quando privi la tua vita dei tuoi

rifugi esistenziali, nel mio caso il cibo, inizialmente ti fai del

bene, poi non fai altro che sostituire un' estrema distruzione

nell' eccesso con un' estrema distruzione nel difetto.

Arrivavo a spremermi letteralmente le bottiglie in bocca

mentre bevevo per saziarmi facilmente con l' acqua.

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Ci fu un episodio significativo che mi fece capire l' ennesima

stronzata che stavo facendo.

Da ex infartuato, attuale denutrito e muscolarmente

martoriato dalla miriade di allenamenti che svolgevo, mi trovai

a giocare una partita di calcetto con alcuni colleghi di lavoro.

Già negli spogliatoi mi dicevano che avevo un colorito

strano, ma non diedi molta importanza. Tra calorie in eccesso e

alcool a fiumi che mi sono ingozzato negli anni prima, ci sta

anche che avessi un fegato performante come una Panda 70s.

A calcio sono sempre stato bravino. Odio il tifo e tutto il

business che sta dietro il gioco del calcio, ma tirar calci a una

palla mi è sempre piaciuto. I kilotoni del mio carattere hanno

sempre trovato giusto sfogo correndo dietro a un pallone.

Ma con le poche centinaia di calorie che ingerivo, il lavoro

usurante che facevo e le quasi 2 ore al giorno di palestra che mi

sorbivo, arrivò come una coltellata con un ferro rovente al

centro del petto, proprio mentre correvo appresso a un rumeno

imbolzito dalla birra che aveva avuto l' ardire di togliere il

pallone proprio a me. Ok dai, giù la maschera, a calcio sono una

pippa, ma mi piace pensare che tutto quello che facevo da

giovane lo facevo bene e meglio degli altri. Sennò che Spreghini

sarei?

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Torniamo alla fucilata al petto.

Fu forte, molto forte. Proprio come quella che quasi mi

uccise tanti mesi prima.

A quel punto pensai: Michele, che cazzo stai facendo?

Era arrivato il troppo che stroppiava.

Ci voleva una pizza per riprendermi?

Esatto: ci ho pensato. Lì per lì avevo in mente solo una cosa,

come tutti i ciccioni: ho fallito, mangio come prima che sennò

muoio di questo passo.

Si ma Michele, se mangi come prima muori lo stesso.

Già, cazzarola, bel problema, e allora che si fa?

Non farci caso, tra me e me mi sono sempre fatto delle gran

chiacchierate. Non a caso parlo a te che non puoi rispondermi e

che forse non passerai questa notte.

Vabbè.

Capii finalmente che tornare indietro sugli stessi passi mi

avrebbe fatto fare la stessa fine.

Così come continuare su quella strada...peggio che andar di

notte!

Serviva un' idea, un allenamento migliore? Una dieta fatta

da qualcuno?

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No, COGLIONE! Ripassa quello che già sai e mettilo in

pratica!

E così feci.

Nel frattempo c'erano anche Internet, i Social Network, i

Forum e tutti quei macro e micromondi fatti di persone che ce l'

avevano fatta. Si ok, c'erano anche tanti Gigacoglioni peggio di

me, ma svestiti i panni del cerebroleso fatto di digiuno e corse

estenuanti, tornai presto in me e seppi ben distinguerli anche se

poi mi resi conto che mi sarebbero serviti molto più di quanto

avessi mai immaginato...

...continua

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