UN’ANALISI DEL LAVORO ATIPICO...
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BRUNO MAURIZIO ACCARDO
DANIELA BRAGOLI
PIERO GANUGI
CLAUDIO LUCIFORA
NICOLA ORLANDO
PIETRO ANTONIO VARESI
UN’ANALISI DEL LAVORO ATIPICO NELLA
PROVINCIA DI CREMONA
Indice
PARTE PRIMA: La disciplina del lavoro non standard ...................................................................... 4
1. Flessibilità e politiche attive del lavoro ................................................................................... 4
2. Le forme di lavoro flessibile .................................................................................................... 7
2.1 Il contratto di lavoro a tempo determinato (o “a termine”) .............................................. 7
2.2 Il contratto di somministrazione di lavoro ..................................................................... 12
2.3 Il lavoro a tempo parziale ............................................................................................... 16
2.4 Il contratto di lavoro intermittente (lavoro a chiamata o job on call) ............................ 20
2.5 Il contratto di lavoro ripartito (o a coppia o job sharing) ............................................... 23
2.6 Apprendistato ................................................................................................................. 26
2.7 Il contratto di inserimento .............................................................................................. 29
2.8 Contratto di formazione e lavoro ................................................................................... 32
2.9 Il lavoro a progetto ......................................................................................................... 33
2.10 Il lavoro occasionale ...................................................................................................... 38
2.11 Il lavoro accessorio ........................................................................................................ 39
3. Quali politiche locali del lavoro in un mercato del lavoro “flessibile”? ................................ 42
PARTE SECONDA: Un’analisi sulla base dell’Indagine sulle Forze di lavoro e i dati INPS .......... 47
4. La flessibilità del lavoro: alcune riflessioni ........................................................................... 47
5. Il lavoro parasubordinato ....................................................................................................... 50
6. L’occupazione a tempo parziale ............................................................................................ 60
6.1 I motivi dell’occupazione a tempo parziale ................................................................... 67
7. L’occupazione a tempo determinato ...................................................................................... 69
7.1 I motivi e la durata dell’occupazione a tempo determinato ........................................... 77
7.2 Non occupati e occupazione a tempo determinato ......................................................... 80
8. La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato ..... 82
9. Contratti flessibili e ricerca del posto di lavoro ..................................................................... 86
PARTE TERZA: La rilevazione diretta ad imprese , Enti Pubblici ed Aziende Speciali in provincia
di Cremona. ........................................................................................................................................ 92
10. Il campione delle società .................................................................................................... 92
11. Il settore pubblico allargato ................................................................................................ 98
12. I questionari........................................................................................................................ 99
13. Le caratteristiche delle imprese del campione: l’analisi sul numero dei dipendenti per
qualifica professionale, area funzionale e turni di lavoro. I soci d’impresa nel settore
metalmeccanico ............................................................................................................................ 101
13.1 I dipendenti per qualifica professionale ....................................................................... 101
13.2 I dipendenti per area funzionale ................................................................................... 103
13.3 I dipendenti per turni di lavoro. Un accenno ai soci d’impresa del settore
metalmeccanico ........................................................................................................................ 106
14. La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del campione. Le principali
caratteristiche dei lavoratori atipici. ............................................................................................. 109
15. La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del campione. Motivazioni
all’utilizzo, trasformazioni di contratto di lavoro e predisposizione al loro impiego in futuro ... 113
16. L’importanza dei lavoratori atipici nell’organico degli Enti Pubblici e delle Aziende
Speciali. Le caratteristiche degli atipici e le considerazioni degli Enti ....................................... 118
16.1 I lavoratori atipici ......................................................................................................... 118
16.2 Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratti di lavoro ed eventualità che anche
in futuro gli Enti si avvalgano di lavoratori atipici .................................................................. 121
17. Conclusioni ...................................................................................................................... 124
Bibliografia ...................................................................................................................................... 130
APPENDICE A ................................................................................................................................ 131
APPENDICE B ................................................................................................................................ 146
PARTE PRIMA: La disciplina del lavoro non standard
1.1 Flessibilità e politiche attive del lavoro
Lo sviluppo del diritto italiano del lavoro degli ultimi decenni è stato segnato dall’introduzione di
nuove forme di lavoro che, affiancandosi al tradizionale rapporto di lavoro subordinato (quello a
tempo pieno, a tempo indeterminato ed in cui il datore di lavoro è anche l’utilizzatore della
prestazione), tendono a raggiungere due obiettivi principali:
- consentire alle imprese di godere, nell’utilizzo della forza-lavoro, della flessibilità necessaria
ad assicurare adeguati livelli di competitività sui mercati europei e mondiali;
- favorire l’avvicinamento all’occupazione di lavoratori e lavoratrici che necessitano di forme
di lavoro compatibili con altri impegni (di studio, di cura, di assistenza) e che non si
presentano sul mercato del lavoro (oppure si presentano solo sul mercato del lavoro
irregolare) in mancanza di contratti di lavoro flessibili in grado di assicurare la conciliazione
tra le diverse attività.
Dal 1983 (data del primo intervento legislativo di riforma) ad oggi la gamma dei contratti di
lavoro si è notevolmente ampliata.
L’area del lavoro subordinato è ormai densa di contratti che si distinguono dal rapporto di lavoro
tipico:
- per la durata prefissata nel tempo (v. lavoro a termine);
- oppure per la durata dell’orario di lavoro inferiore al tempo pieno, con collocazione
flessibile della prestazione e con possibilità di variazione sia in aumento che in diminuzione
(v. part-time, lavoro intermittente, lavoro ripartito);
- per le finalità perseguite, più ampie rispetto al normale rapporto di lavoro subordinato (v.
in particolare i contratti di lavoro con finalità formative ed in primo luogo l’apprendistato);
- per la separazione della figura del datore di lavoro da quella dell’utilizzatore della
prestazione (v. lavoro interinale, ora denominato in Italia “somministrazione di lavoro”).
A partire dal 1995 ha assunto maggiore rilievo anche l’area del lavoro parasubordinato,
principalmente a seguito dello sviluppo delle collaborazioni coordinate e continuative. L’avvertita
necessità di disciplinare più puntualmente questa forma di lavoro ha indotto il legislatore ad
introdurre modifiche che, secondo l’interpretazione del Ministero del lavoro, dovrebbero consentire
di identificare, oltre alle collaborazioni coordinate e continuative prive di un termine, le
collaborazioni riconducibili ad un progetto o ad un programma, per le quali si delinea una specifica
normativa.
Onde evitare abbagli, va comunque tenuto in considerazione che la maggior parte dei lavoratori
italiani presta tuttora la propria attività con rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed a
tempo indeterminato (secondo i dati ISTAT circa il novanta per cento del totale dei lavoratori
subordinati) e che complessivamente la quota di lavoro autonomo e parasubordinato non è andata
crescendo significativamente nell’ultimo decennio.
Se ne può dedurre che il ricorso alle nuove forme di lavoro è stato essenzialmente un fenomeno
connesso alla fase di ingresso nel mercato del lavoro, tendente poi a trasformarsi gradualmente in
contratti di lavoro subordinato a tempo pieno ed a tempo indeterminato oppure, per l’area della
parasubordinazione, anche in stabili attività di lavoro autonomo.
Il dato, in sé confortante, pone però in evidenza un punto critico nel funzionamento del mercato del
lavoro, punto su cui può concentrarsi l’azione di politica attiva del lavoro, anche locale: va
segnalata infatti l’esistenza di un’area di lavoro debole, composta da quei soggetti che, entrati nel
mercato del lavoro mediante forme caratterizzate da precarietà e dequalificazione, vi rimangono
prigionieri (spesso a livello europeo quest’area è descritta come una “trappola” di cui i lavoratori
segnalati rimangono prigionieri).
Prima di procedere alla descrizione delle forme di lavoro subordinato e parasubordinato attualmente
previste dalla nostra legislazione ed alla valutazione dei possibili interventi di politica attiva del
lavoro programmabili in sede locale, appare però necessaria una pur sintetica riflessione sul
rapporto tra politiche attive del lavoro e regolazione (rigida o flessibile) dei rapporti di lavoro.
In generale possiamo dire che il tema è quello del rapporto tra tutela nel rapporto di lavoro e
tutela nel mercato; detto in altri termini in che modo assicurare un intervento pronto, efficace, ed
efficiente delle amministrazioni locali quando i giovani lavoratori devono inserirsi nel mondo del
lavoro o i lavoratori adulti sono in difficoltà occupazionale o sono ormai disoccupati in cerca di un
nuovo lavoro a fronte di una legislazione del lavoro che ammette, come abbiamo visto, molte
forme di lavoro caratterizzate da precarietà.
In proposto possiamo aggiungere che costruire un buon sistema locale di politiche attive del lavoro,
di formazione professionale e di servizi per l’impiego è compito fondamentale per la tutela dei
lavoratori: infatti quanto più si va allentando la tutela nel rapporto di lavoro (mediante le più
svariate forme di flessibilità), tanto più assume rilievo la tutela nel mercato del lavoro.
E’ possibile svolgere anche una riflessione più “raffinata”: tutela nel mercato e tutela nel rapporto
non solo non devono essere concepite come separate (o, peggio, in contrapposizione), ma va messo
in luce che esiste un legame stretto tra i due tipi di tutela. Si pensi ad esempio ai lavori a termine o
comunque caratterizzati da instabilità: in un mercato con quote ridotte di lavoro a termine ed in
grado di assicurare una rapida e qualificata ricollocazione potrebbe, in astratto, essere pressoché
indifferente la stabilità o meno del rapporto di lavoro; al contrario in un mercato con alte quote di
lavoro precario ed in cui non si attuano politiche idonee alla rapida e qualificata ricollocazione di
tali lavoratori, vi sarà una naturale tendenza dei lavoratori e del sindacato a favorire la
stabilizzazione presso lo stesso datore di lavoro.
In sintesi la protezione nel mercato e la flessibilità/rigidità dei rapporti di lavoro in quel mercato
sono in parte collegate tra loro; costruire il buon sistema di politiche attive del lavoro di cui si è
detto, non è dunque fare “altro” rispetto alla regolazione dei rapporti di lavoro, ma è creare le
condizioni per una diversa regolazione dei rapporti di lavoro.
Quindi l’istituzione pubblica che si preoccupa di assicurare buone tutele sul mercato, incide,
indirettamente, anche sui livelli e sulla modalità di protezione nel rapporto. Come si può notare, la
responsabilità della pubblica amministrazione, anche di quella locale, appare sempre più ampia.
1.2 Le forme di lavoro flessibile
L’inquadramento giuridico del problema del lavoro flessibile e delle conseguenti politiche del
lavoro dirette ad assicurare, a fronte di una riduzione della tutela nel rapporto di lavoro (con le più
svariate forme di flessibilità), una tutela nel mercato del lavoro dei lavoratori, mediante la
costruzione di un buon sistema locale di politiche attive del lavoro, di formazione professionale e di
servizi per l’impiego, impone innanzitutto un’analisi dettagliata delle singole tipologie contrattuali
flessibili.
1.2.1 Il contratto di lavoro a tempo determinato (o “a termine”)
Definizione e finalità generale
Le crescenti istanze di flessibilità e di nuova occupazione hanno condotto ad una progressiva
attenuazione dell’originario rigore in materia (v. legge n.230/1962) fino all’emanazione del D.Lgs.
6 settembre 2001, n.368, in attuazione della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giungo
1999.
Il D.Lgs. n.368/2001 ha profondamente modificato la disciplina del lavoro a tempo determinato (o a
termine), abrogando le precedenti norme di riferimento (legge 18 aprile 1962, n.230, art.8bis della
legge 25 marzo 1983, n.79, l’art.23 della legge 28 febbraio 1987, n.56) e tutte le disposizioni di
legge comunque incompatibili con la nuova normativa (art.11, comma 1°).
La disciplina dei contratti a termine trova applicazione anche nel settore pubblico; in quest’ultimo
settore resta però inapplicabile il meccanismo della conversione del rapporto a termine in rapporto
di lavoro a tempo indeterminato.
Regole principali
Quando è ammesso
L’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di
“ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (art.1, comma 1, D.Lgs.
n.368/2001). Questa disposizione introduce nel nostro ordinamento una clausola generale ed aperta,
al posto delle precedenti ipotesi tassative individuate dalla legge e dai contratti collettivi, la cui
funzione è quella di consentire l’utilizzo flessibile dell’istituto in raccordo con le specifiche e
variabili esigenze concrete di ciascun datore di lavoro.
Le ragioni giustificatrici devono essere specificate in via preventiva nel contratto di lavoro e devono
essere oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive dell’intento del legislatore “volto ad evitare
qualsiasi volontà discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro”.
Forma
Nell’intento di offrire elementi di certezza alle parti in merito alla natura del contratto di lavoro
stipulato, il D.Lgs. n.368 del 2001, richiede che la clausola relativa al termine risulti, direttamente o
indirettamente, da atto scritto, in cui devono essere specificate le ragioni giustificatrici (art.1,
comma 2°); in mancanza dell’atto scritto il rapporto di lavoro si intende a tempo indeterminato (la
scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale,
non sia superiore a 12 giorni).
Per giurisprudenza consolidata, l’apposizione del termine in forma scritta deve avvenire in un
momento anteriore o, al limite, contestuale al concreto inizio della prestazione lavorativa.
Limiti quantitativi
Il legislatore affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente
più rappresentativi l’individuazione, anche in maniera non uniforme (ossia differenziata per
categoria, area geografica, …), di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a
tempo determinato (cd. clausole di contingentamento, generalmente in percentuale rispetto agli
occupati), con una serie di rilevanti eccezioni (vedi art.10, comma 7, del D.Lgs. n.368/2001).
Divieti
Il legislatore ha previsto un’analitica disciplina riguardante il divieto di apposizione del termine al
contratto di lavoro per: sostituzione di lavoratori in sciopero; assunzione presso unità produttive
nelle quali si sia proceduto nei sei mesi precedenti a licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori
adibiti alle stesse mansioni, salvo diversa disposizione degli accordi sindacali, ed in ogni caso sono
fatti salvi i contratti conclusi per ragioni sostitutive, per quelli conclusi con un lavoratore in
mobilità, ovvero quelli di durata iniziale non superiore a tre mesi; assunzione presso unità
produttive nelle quali sia in atto l’intervento di Cassa integrazione guadagni per lavoratori adibiti
alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; imprese che non abbiano effettuato la
valutazione dei rischi.
La parità di trattamento
Elemento centrale della disciplina del lavoro a termine è la parificazione del lavoratore assunto a
termine con i lavoratori assunti a tempo indeterminato (il lavoratore assunto a tempo determinato ha
diritto alle ferie, alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto e
ad ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori a tempo indeterminato in proporzione
al servizio prestato), ad eccezione di poche regole speciali (ad es., le prestazioni economiche in caso
di malattia che sono dovute per un periodo non superiore a quello di attività lavorativa svolta nei
dodici mesi immediatamente precedenti l’evento morboso).
Il recesso anticipato
L’art.2119 cod. civ. stabilisce che il datore di lavoro può legittimamente recedere dal contratto a
tempo determinato prima della scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa, cioè di
una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.
Proroga
Il termine del contratto può essere prorogato una sola volta, con il consenso del lavoratore per la
stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, purché
sussistano ragioni oggettive, anche se diverse da quelle originarie, e la durata complessiva del
rapporto a termine (durata iniziale + proroga) non sia superiore a tre anni.
Il rapporto può proseguire oltre la scadenza, per un lasso di tempo, senza incorrere nella
trasformazione a tempo indeterminato; tale margine di tolleranza è di 20 o 30 giorni (a seconda che
il contratto a termine sia stato stipulato (o prorogato) per un periodo inferiore o superiore a 6 mesi);
per tutto il periodo di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine prestabilito, al lavoratore
spetta un incremento della retribuzione.
Riassunzione
Inoltre, se il lavoratore viene riassunto con contratto a termine entro 10 o 20 giorni dalla scadenza di
un precedente contratto, sempre a tempo determinato, di durata rispettivamente inferiore o superiore
ai 6 mesi, il secondo contratto deve considerarsi a tempo indeterminato.
Nel caso in cui ci siano due assunzioni successive a termine senza soluzione di continuità, il
rapporto di lavoro si converte in rapporto a tempo indeterminato fin dalla data di conclusione del
primo contratto.
Esclusioni e discipline speciali
Sono escluse dal campo di applicazione del D.Lgs. n.368/2001 diverse fattispecie di rapporti di
lavoro o di formazione, in quanto già disciplinati da una normativa specifica (apprendistato; tirocini
o stages; rapporti di lavoro tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato;
rapporti a termine per l’esecuzione di “speciali servizi” di durata non superiore a 3 giorni nei settori
del turismo e dei pubblici esercizi; rapporti instaurati con le aziende che esercitano il commercio di
esportazione, importazione ed all’ingrosso di prodotti ortifrutticoli).
Tra le discipline speciali, si segnala la perdurante vigenza delle precedenti normative sull’impiego a
termine dei lavoratori anziani (1), nonché dei prestatori di lavoro destinati a sostituire personale in
1
L’art.75, l.n. 388/2000, prevede che i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano maturato i requisiti
minimi per l’accesso al pensionamento di anzianità possano rinunciare all’accredito contributivo relativo
all’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti ed in conseguenza di ciò venga meno
l’obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative, a condizione che il
lavoratore posticipi l’accesso al pensionamento per un periodo di almeno due anni e stipuli un contratto di lavoro a
tempo determinato di pari durata con il datore di lavoro.
congedo parentale, con anticipo fino ad un mese della loro assunzione, e dei lavoratori in mobilità
(art.8, comma 2, legge 23 luglio 1991, n. 223).
Nei confronti di questi soggetti il legislatore ha svolto considerazioni di ordine sociale attribuendo
al contratto a termine una specifica funzione di promozione dell’occupazione nei confronti di fasce
sociali collocate in una posizione critica.
I dirigenti sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina in esame (salvi gli artt.6 e 8 sul
principio di non discriminazione ed i criteri di computo); essi possono essere assunti con contratti di
lavoro di durata non superiore a cinque anni.
Contratto a tempo determinato nel Pubblico impiego
Nessuna esclusione o disciplina speciale è prevista per il settore pubblico dall’art.36, 1° comma, del
D.Lgs. n. 165/2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche”, in base a cui “le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle
disposizioni sul reclutamento del personale, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di
assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro
subordinato nell’impresa” demandando ai contratti collettivi nazionali la disciplina dei contratti a
tempo determinato. Resta però inapplicabile il meccanismo della conversione, in quanto “in ogni
caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da
parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a
tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni” (art.36, 2° comma).
In particolare, l’art.92, del D.Lgs. n.267/2000 “Testo Unico degli Enti Locali”, stabilisce che gli
Enti locali possano costituire rapporti di lavoro a tempo determinato nel rispetto della disciplina
vigente in materia.
1.2.2 Il contratto di somministrazione di lavoro
La somministrazione di lavoro, prevista dagli artt.20 e ss. del D.Lgs. n.276/2003, non è altro che il
lavoro interinale già disciplinato, nel nostro Paese, dalla legge 24 giugno 1997, n.196 (artt.1-11).
Definizione e finalità generale
Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, denominato
utilizzatore, che si rivolge ad altro soggetto, denominato somministratore, a ciò autorizzato, ossia
un’agenzia di lavoro abilitata a svolgere l’attività di somministrazione (art.20, D.Lgs. n. 276/2003).
Il rapporto di somministrazione si qualifica come un rapporto giuridico che coinvolge tre soggetti
distinti: il somministratore, l’utilizzatore ed il lavoratore e due contratti distinti:
- il contratto di somministrazione di lavoro fra utilizzatore e somministratore;
- il contratto di lavoro subordinato tra il somministratore ed il lavoratore; per tutta la durata della
somministrazione il lavoratore, dipendente del somministratore, svolge la propria attività
nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.
Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso ora in 2 forme distinte:
1) a termine, possiamo chiamarlo il “nuovo” lavoro interinale (le disposizioni di cui agli artt.1-11
della legge 24 giugno 1997, n.196 sono state abrogate), in cui i lavoratori sono assegnati
all’utilizzatore per un tempo predeterminato e definito nel contratto;
2) a tempo indeterminato (cd. staff leasing): esso costituisce una delle principali novità introdotte e
che si caratterizza per il fatto che la durata del contratto non ha limiti temporali predefiniti.
Somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing)
La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa solo in una serie ben individuata
di attività e di servizi (tra cui rientrano, tra gli altri: servizi di consulenza e assistenza nel settore
informatico; servizi di pulizia, custodia e portineria; attività di gestione di biblioteche, parchi,
archivi, magazzini, nonché servizi di economato; attività di consulenza direzionale, assistenza alla
certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del
personale, ricerca e selezione del personale; attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione
della funzione commerciale; gestione di call center).
La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa inoltre “in tutti gli altri casi
previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative” (cd. staff leasing puro).
L’art.86, comma 9°, del D.Lgs. n.276/2003, dispone che la trasformazione in rapporto di lavoro a
tempo indeterminato con l’utilizzatore nel caso in cui la somministrazione avvenga fuori dai limiti e
dalle condizioni di cui agli artt.20 e 21 comma 1, lett.a)-e) non si applica alla pubblica
amministrazione.
Somministrazione a tempo determinato
La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività
dell’utilizzatore.
Soggetti coinvolti
Le 3 posizioni giuridiche soggettive coinvolte sono quelle di:
utilizzatore: il soggetto che si avvale dell’attività del lavoratore assunto dal somministratore
(non si parla di imprenditore, ma di utilizzatore ciò significa che il contratto di
somministrazione potrà essere stipulato anche dai piccoli imprenditori, dai coltivatori diretti,
dagli artigiani, dai piccoli commercianti e da tutti coloro che svolgono un’attività
professionale o lavorativa). La piena estensione all’agricoltura e all’edilizia, fa venir meno,
rispetto alla sfera di operatività della legge n.196/1997, qualsiasi limitazione di tipo
settoriale;
somministratore: l’agenzia autorizzata a svolgere attività di somministrazione di lavoro,
ossia la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine. L’attività
di somministrazione può essere svolta solo da società (di capitali o cooperative) autorizzate
dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica di determinati requisiti
giuridici e finanziari, volti a garantire la stabilità economica e finanziaria dell’agenzia di
somministrazione nonché la sua affidabilità sul piano professionale, organizzativo e sociale.
Le agenzie che svolgono attività di somministrazione di lavoro non possono pretendere
alcuna somma di denaro dal lavoratore in ragione della propria attività;
prestatore di lavoro: il lavoratore assunto dall’agenzia di somministrazione (datore di
lavoro) che svolge le proprie prestazioni lavorative a favore di uno o più utilizzatori.
Regole principali
Forma e contenuti del contratto di somministrazione
Il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve
contenere una serie di elementi: a) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il
numero dei lavoratori da somministrare; c) le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo per quanto concerne la somministrazione a tempo determinato, i casi in cui è ammessa
la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato; d) l’indicazione della presenza di eventuali
rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; e) la data di
inizio del contratto di somministrazione e la durata prevista dello stesso, in caso di
somministrazione a tempo determinato.
In mancanza di forma scritta con l’indicazione di questi elementi il contratto di somministrazione è
nullo ed i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
Il contratto di somministrazione deve inoltre indicare altri elementi richiesti dalla natura
commerciale del contratto.
Divieti
E’ vietato il ricorso al contratto di somministrazione di lavoro: per la sostituzione di lavoratori che
esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi
precedenti, a licenziamenti collettivi, oppure nelle quali sia in atto l’intervento della Cassa
integrazione guadagni per lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di
somministrazione; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Disciplina dei rapporti di lavoro
In caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore e
prestatore di lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice
civile ed alle leggi speciali.
Il lavoratore può essere assunto dal somministratore con contratto a tempo determinato ed in questo
caso la disciplina applicabile è quella del lavoro a termine per quanto compatibile (non opera però
l’intervallo temporale per la riassunzione a termine ed il termine inizialmente posto al contratto può
in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la
durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore).
Nell’ipotesi in cui il lavoratore sia assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato, egli
rimane a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolge la prestazione lavorativa
presso un utilizzatore e percepisce un’indennità di disponibilità, salvo che sussista una giusta causa
o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.
Rimangono sostanzialmente confermati ed estesi alla somministrazione a tempo indeterminato gli
aspetti caratterizzanti della ripartizione di obblighi e responsabilità tra utilizzatore e
somministratore che caratterizzavano la precedente disciplina (artt. 1-11, l. n.196/1997).
Il lavoratore dipendente dal somministratore ha diritto ad un trattamento economico e normativo
complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di
mansioni svolte.
Formazione dei lavoratori
Inoltre, rispetto alle tutele del lavoratore sul mercato, viene confermato il fondo per la formazione (i
soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare ad un apposito fondo
bilaterale un contributo pari al 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti sia con
contratto a tempo determinato che con contratto a tempo indeterminato per l’esercizio di attività di
somministrazione).
1.2.3 Il lavoro a tempo parziale
Il lavoro a tempo parziale (o part - time) rappresenta una delle manifestazioni più significative della
tendenza di diversificazione e flessibilizzazione del rapporto di lavoro subordinato rispetto al
modello tradizionale.
La disciplina del lavoro a tempo parziale è contenuta nel d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, integrato e
corretto dal successivo d.lgs 26 febbraio 2001, n. 100, che ha provveduto a recepire la direttiva
97/81/CE e ad abrogare l’art.5 della legge n. 863 del 1984 (prima disciplina organica del lavoro a
tempo parziale). Il D.Lgs. n.61/2000 ha introdotto una normativa organica del part-time volta ad
attenuare le incertezze e le lacune del passato e ad aumentarne la regolazione flessibile.
La recente riforma del mercato del lavoro e dei rapporti di lavoro, partendo dalla considerazione che
il lavoro a tempo parziale viene ancora utilizzato in Italia in misura ridotta rispetto agli altri Paesi
Europei (in Europa usano il part-time meno di noi solo Spagna e Grecia), ha inteso incentivare il
ricorso a questa tipologia contrattuale prevedendo delle modifiche alla disciplina del part-time.
Definizione
Si considerano a tempo parziale i rapporti di lavoro in cui l’orario di lavoro fissato dal contratto
individuale risulta comunque inferiore al tempo pieno, ossia all’orario normale di lavoro fissato
dalla legge (cioè 40 ore settimanali) o dal contratto collettivo applicato.
Il part – time può essere:
- “orizzontale”, in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario
normale giornaliero di lavoro (ad esempio 4 ore al giorno, anziché 8, per tutti i giorni di lavoro);
- “verticale”, in cui l’attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi
predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno;
- “misto”, che si svolge secondo una combinazione delle modalità del part - time orizzontale e
verticale.
I contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali) possono determinare condizioni e modalità
della prestazione lavorativa a tempo parziale; i contratti collettivi nazionali possono anche
prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle
discipline rimesse alla contrattazione collettiva.
Regole principali
Forma e contenuto del contratto di lavoro a tempo parziale
Occorre, innanzitutto, premettere che nessun intervento correttivo è stato previsto dal D.Lgs. n.
276/2003 in relazione ai contenuti formali e sostanziali del contratto.
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta ai fini di prova (ad
probationem).
Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della
prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla
settimana, al mese e all’anno.
Viene meno l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’assunzione a tempo parziale alla
Direzione Provinciale del lavoro competente per territorio.
Lavoro supplementare e straordinario
Rilevanti modifiche sono state apportate dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276 alla
disciplina del lavoro supplementare. Si deve precisare che si è passati dall’originario divieto di
lavoro supplementare di cui all’art.5, legge n.863/1984, all’introduzione di una “doppia chiave di
controllo” di cui all’art.3 del D.Lgs. n.61/2000 (necessità regolazione da parte del contratto
collettivo e del consenso del lavoratore interessato) ad una “chiave unica di controllo” costituita dal
consenso del lavoratore o in alternativa dal contratto collettivo.
Il lavoro supplementare consiste nelle prestazioni lavorative svolte oltre l’orario di lavoro
concordato tra le parti, ma entro il limite del tempo pieno.
Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato, il datore di
lavoro ha la facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle
concordate con il lavoratore.
I contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali) stabiliscono il numero massimo delle ore di
lavoro supplementare effettuabili in relazione ai periodi di riferimento che riterranno opportuni (non
più in ragione dell’anno e della singola giornata lavorativa); i contratti collettivi devono stabilire
anche le causali per lo svolgimento di lavoro supplementare e le conseguenze del superamento delle
ore di lavoro supplementare.
L’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore
interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo (nuovo comma 3° dell’art.3,
D.Lgs. n.61/2000); il rifiuto del lavoratore non può integrare gli estremi del giustificato motivo di
licenziamento.
Clausole flessibili ed elastiche
Fermo restando l’obbligo di indicare nel contratto di lavoro sia la durata della prestazione lavorativa
che la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e
all’anno, sono le parti del contratto di lavoro a tempo parziale che possono concordare “clausole
flessibili” relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa.
Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche
“clausole elastiche” relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa.
E’ necessario in entrambe le ipotesi il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico
patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro reso, su richiesta del lavoratore, con
l’assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore
medesimo. L’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della
prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in
favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno 2 giorni
lavorativi oltre al diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai
contratti collettivi.
A garanzia del lavoratore si attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le
condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione
temporale della prestazione lavorativa, nonché quelle in base alle quali può variare in aumento la
durata della prestazione lavorativa e i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della
prestazione lavorativa. In assenza di contratti collettivi, datore di lavoro e prestatore di lavoro
possono concordare direttamente l’adozione di clausole elastiche o flessibili, nel rispetto di criteri
individuati dal legislatore.
Infine, si può porre in evidenza la possibilità di inserire clausole flessibili ed elastiche anche nei
contratti di lavoro a tempo parziale e a termine, per consentire una gestione flessibile dei rapporti di
lavoro in quei settori in cui si fa ampio ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato (turismo,
agricoltura).
Principio di non discriminazione
L’art.4, comma 1, del D.Lgs. n. 61 del 2000, sancisce il principio di non discriminazione nei
confronti del lavoratore a tempo parziale: quest’ultimo non deve ricevere un trattamento meno
favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello.
Gli istituti normativi ed economici del lavoro subordinato a tempo pieno vanno riproporzionati in
relazione al tempo di lavoro stabilito dal contratto part – time (non vanno riproporzionati invece
quegli istituti che non sono legati da un nesso di corrispettività con la prestazione di lavoro: ad es.,
la durata del periodo di prova e delle ferie annuali, …).
Trasformazione del rapporto part-time in rapporto a tempo pieno
In precedenza i lavoratori part-time potevano vantare un diritto di precedenza nelle assunzioni di
personale a tempo pieno, con priorità riconosciuta ai dipendenti che avevano precedentemente
trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; ora questo diritto di precedenza
non è più previsto direttamente da una disposizione legislativa, ma è il contratto individuale che può
prevedere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale, stabilendo il
limite territoriale delle attività produttive site nello stesso ambito comunale.
Applicabilità nel settore agricolo
In conformità con i criteri ed i principi direttivi della legge delega n.30/2003, il decreto di
attuazione prevede l’integrale estensione della disciplina del lavoro a tempo parziale al settore
agricolo (prima la stipula di questo tipo di contratti di lavoro era possibile solo nel caso in cui i
CCNL sottoscritti dai sindacati più rappresentativi ne avessero previsto e regolamentato il ricorso,
art.13, comma 7, l. n. 196/1997).
Il part-time nel Pubblico impiego
Per quanto attiene al pubblico impiego, il part-time è inserito a pieno titolo tra le tipologie flessibili
di rapporto di lavoro ed in molti casi, è prevista la trasformazione automatica dal tempo pieno al
tempo parziale a domanda del lavoratore (art.1, commi 56-65, legge 23 dicembre 1996 n. 662, a cui
l’art.10, D.Lgs. n.61 del 2000 fa esplicito riferimento), con diritto di ottenere il ritorno al tempo
pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione ed alle successive scadenze previste dai
contratti collettivi (art.6, comma 4, l. n. 140 del 1997).
1.2.4 Il contratto di lavoro intermittente (lavoro a chiamata o job on call)
Definizione e finalità generale
Il contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a
disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti indicati
dalla legge (art.33, D.Lgs. n.276/2003); questo contratto è stato introdotto al fine di sottoporre a
norme certe e a specifiche tutele inderogabili l’utilizzo discontinuo di prestazioni lavorative da parte
dell’impresa.
Con questa nuova tipologia contrattuale flessibile, il datore di lavoro può “chiamare”, di volta in
volta, il lavoratore a svolgere le prestazioni di lavoro, nel rispetto di un periodo minimo di
preavviso, e quest’ultimo può obbligarsi o meno a rispondere alla chiamata, godendo, nel caso
assuma l’obbligo di rispondere alla chiamata, di un’indennità di disponibilità per i periodi in cui
resta in attesa di utilizzazione.
Il contratto di lavoro intermittente si ritiene che sia un contratto di lavoro subordinato che può
essere stipulato sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.
Il contratto di lavoro intermittente ha un duplice oggetto: la “messa a disposizione delle proprie
energie lavorative”, oltre alla prestazione lavorativa quando richiesta.
Casi di ricorso al lavoro intermittente
Sono previste ipotesi oggettive e soggettive di ammissione del lavoro intermittente.
Il lavoro intermittente può essere utilizzato per lo svolgimento di prestazioni di carattere
discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (stipulati da
associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale o territoriale) o, in via provvisoria, dal ministro del lavoro e delle politiche sociali, con
apposito decreto (ipotesi oggettive).
In via sperimentale il contratto di lavoro intermittente può essere concluso anche per prestazioni
rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età o da lavoratori con più di 45
anni di età espulsi dal ciclo produttivo o iscritti alle liste di mobilità e di collocamento (attuali
elenchi anagrafici) (ipotesi soggettive).
Il ricorso al lavoro a chiamata è previsto anche per prestazioni da rendersi in periodi predeterminati
dell’anno, ossia il fine settimana, nei periodi di ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali e
ulteriori periodi individuati dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.
Regole principali
Divieti
Il legislatore ha individuato i casi in cui è tassativamente vietato il ricorso al lavoro intermittente;
sono i seguenti: a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) salva
disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6
mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse
mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata oppure presso unità produttive nelle quali
sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di
integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a
chiamata; c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Disciplina del rapporto di lavoro intermittente
Sul fronte della tutela del lavoratore intermittente il legislatore delegato ha introdotto un principio di
sostanziale parità di trattamento, pur non essendo espressamente richiesto dalla legge delega e
questa garanzia si pone come tutela ulteriore rispetto ai generali divieti di discriminazione diretta ed
indiretta già presenti nel nostro ordinamento.
Per i periodi lavorati, il lavoratore intermittente non deve ricevere un trattamento economico e
normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di
mansioni svolte.
Per il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di
lavoro non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati né matura alcun
trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato,
in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda
l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei
trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità, congedi parentali.
Indennità di disponibilità
Al lavoratore che si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro spetta,
come più volte ricordato, l’indennità di disponibilità per i periodi nei quali garantisce la sua
disponibilità al datore di lavoro; nel contratto di lavoro intermittente è stabilita la misura
dell’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie.
La misura di questa indennità è stabilita dai contratti collettivi e comunque non è inferiore alla
misura fissata ed aggiornata periodicamente, con decreto del ministro del lavoro e delle politiche
sociali, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale.
L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla
chiamata, il lavoratore è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la
durata dell’impedimento; nel periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto
all’indennità di disponibilità. Nel caso in cui il lavoratore non provveda a questo adempimento
perde il diritto all’indennità di disponibilità per un periodo di 15 giorni, salvo diversa previsione del
contratto individuale.
Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata da parte del lavoratore che si sia obbligato
contrattualmente a rispondervi può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della
quota dell’indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, nonché il
pagamento di un risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza,
dal contratto individuale di lavoro.
Pubbliche amministrazioni
Questa tipologia contrattuale non trova applicazione per il personale delle pubbliche
amministrazioni (art.6, legge n.30/2003 ed art.1, comma 2°, D.Lgs. n. 276/2003).
1.2.5 Il contratto di lavoro ripartito (o a coppia o job sharing)
Il lavoro ripartito è una forma di lavoro già conosciuta in altri Paesi Europei e negli Stati Uniti. Esso
è sorto originariamente negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’70; in Europa si è diffuso dapprima in
Gran Bretagna e successivamente in Germania.
Il contratto di lavoro ripartito era già disciplinato dalla circolare del Ministero del Lavoro del 7
aprile 1998, n.43, con la quale erano stati chiariti alcuni dubbi interpretativi circa la disciplina
giuridica da applicarsi al contratto ed era stata affermata espressamente la sua compatibilità con il
nostro ordinamento, anche in assenza di una specifica disciplina legale. Il ricorso ad uno strumento
di soft law, come la circolare ministeriale, anziché ad un intervento legislativo, è stato dovuto
all’esclusione di questa fattispecie contrattuale dal Pacchetto Treu (nell’originario d.d.l. n.2764 del
1995 che poi ha costituito la base della legge 24 giugno 1997, n.196 questa ipotesi contrattuale era
dettagliatamente disciplina dall’art.20).
La regolamentazione contenuta nel decreto delegato è sostanzialmente modellata sull’impianto della
circolare ministeriale n.43 del 1998, al fine di consolidare prassi già in atto.
Definizione e finalità generale
Il contratto di lavoro ripartito è definito dal D.Lgs. n.276 del 2003 come “uno speciale contratto di
lavoro mediante il quale due lavoratori si assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica
obbligazione lavorativa” (art.41).
L’oggetto del contratto è costituito da una “unica” ed “identica” prestazione lavorativa; ciò significa
che la prestazione è la stessa per ciascuno dei coobbligati: il datore di lavoro può chiedere l’esatto
ed integrale adempimento ad entrambi ed a ciascuno dei lavoratori, essendo irrilevante l’eventuale
ripartizione interna delle singole modalità operative concordate tra i lavoratori ai fini del
complessivo adempimento della prestazione.
Regole principali
Il vincolo di solidarietà
La formulazione dell’art.41, del D.Lgs n.276 del 2003, qualifica il contratto come una particolare
forma di lavoro subordinato, la cui specialità è data dal vincolo fiduciario che sussiste tra i 2
coobbligati; vincolo che contraddistingue questo contratto di lavoro, al pari dell’altro elemento che
qualifica la fattispecie, ossia il vincolo di solidarietà tra i 2 lavoratori coobbligati.
In base al vincolo di solidarietà ogni lavoratore è personalmente e direttamente responsabile
dell’adempimento dell’intera obbligazione lavorativa, senza che ciò impedisca che l’obbligazione
possa essere estinta in forza dell’adempimento di uno solo dei lavoratori coobbligati; ciò impone ai
lavoratori coobbligati l’obbligo di sostituirsi reciprocamente in caso di impedimento a svolgere la
prestazione lavorativa. I 2 lavoratori coobbligati hanno la facoltà di determinare discrezionalmente
e in qualsiasi momento sostituzioni tra di loro nonché di modificare consensualmente la
collocazione temporale dell’orario di lavoro. Un aspetto peculiare della fattispecie è, infatti,
l’ampia apertura lasciata alla autodeterminazione delle parti contraenti in materia di distribuzione
dell’orario di lavoro.
Il licenziamento o le dimissioni di uno dei lavoratori coobbligati comportano l’estinzione dell’intero
vincolo contrattuale, in quanto viene meno il vincolo fiduciario e di solidarietà, salvo diversa intesa
tra le parti (ammettendo così accordi individuali per l’assunzione di un altro lavoratore coobbligato)
e salvo che l’altro prestatore, su richiesta del datore di lavoro, si renda disponibile ad adempiere
l’obbligazione lavorativa, integralmente o parzialmente.
Disciplina applicabile
La regolamentazione del rapporto è demandata alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello
(nazionale, territoriale e aziendale) nel rispetto delle previsioni di legge.
In assenza di contratti collettivi e fatto salvo quanto stabilito dal D.Lgs. n.276/2003, si applica la
normativa generale del lavoro subordinato, in quanto compatibile con la particolare natura del
rapporto di lavoro ripartito.
Principio di non discriminazione
Per i periodi lavorati, il lavoratore ripartito non deve ricevere un trattamento economico e
normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di
mansioni svolte, fermo restando i divieti di discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla
legislazione vigente.
Il trattamento economico e normativo dei lavoratori coobbligati è riproporzionato, in ragione della
prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della
retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per
malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, congedi parentali.
Ciascuno dei lavoratori coobbligati ha diritto ai permessi retribuiti per partecipare alle assemblee di
cui all’art.20, Statuto dei lavoratori, entro il previsto limite complessivo di 10 ore annue, il cui
trattamento economico verrà ripartito fra i coobbligati proporzionalmente alla prestazione lavorativa
effettivamente eseguita.
Pubbliche amministrazioni
Così come il lavoro intermittente anche il lavoro ripartito non trova applicazione per il personale
delle pubbliche amministrazioni.
1.2.6 Apprendistato
Definizione e finalità generale
L’apprendistato è un contratto di lavoro con finalità formative avente causa mista (o doppia), poiché
in cambio della prestazione lavorativa il datore di lavoro si impegna non solo a retribuire il
lavoratore, ma ad assicurare anche la formazione professionale. A parziale compensazione degli
oneri che ricadono sul datore di lavoro per l’attività formativa svolta, lo Stato concede significative
agevolazioni contributive che azzerano, di fatto, il costo dei contributi sociali.
L’apprendistato ha ricevuto una prima compiuta regolamentazione con la legge 19 gennaio 1955, n.
25, successivamente oggetto di numerose integrazioni e modifiche, tra le quali emergono per
importanza quelle introdotte dall’art.21 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e dall’art.16 della legge
24 giugno 1997, n. 196.
Ora gli artt.47 e seguenti del D.Lgs. n. 276 del 2003 prospettano una nuova riforma, la cui
effettività è rinviata nel tempo, dopo che le Regioni avranno disciplinato in via legislativa l’istituto.
Per questa ragione è bene avere presente la disciplina attualmente vigente, pur preparandosi alle
future modifiche.
La disciplina della legge n.196 del 1997
Le innovazioni previste dall’art.16, della legge n.196 del 1997, per il contratto di apprendistato
risultano ispirate dall’intento di renderlo più congruo ad una formazione professionale effettiva,
attenuandone la valenza di mero strumento di riduzione del costo del lavoro. Viene previsto
l’obbligo di partecipazione degli apprendisti alle iniziative di formazione esterna all’azienda
previste dai contratti collettivi nazionali e proposte formalmente all’impresa da parte
dell’amministrazione pubblica competente (durata minima della formazione esterna all’azienda del
giovane apprendista pari ad almeno 120 ore). Inoltre, al fine di migliorare l’efficacia del processo
formativo, viene favorita la individuazione di tutors aziendali, ossia di figure interne all’azienda
chiamate ad affiancare l’apprendista nella “formazione sul lavoro” e a curare i rapporti tra l’azienda
e la struttura dedita alla formazione esterna (D.M. 28 febbraio 2000).
Possono essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato, i giovani di età
non inferiore a 15 anni (che abbiano assolto l’obbligo scolastico) e non superiore a 24 anni, ovvero
a 26 anni nelle aree di cui agli obiettivi n. 1 e 2 del regolamento CEE n. 2081/1993 (si tratta
prevalentemente di aree situate nel Mezzogiorno); nel settore artigiano la contrattazione collettiva
può elevare l’età massima fino a 29 anni, nel caso in cui l’assunzione riguardi qualifiche ad alto
contenuto professionale. Nel caso di portatori di handicap i limiti di età sono elevati di 2 anni.
Possono essere assunti in qualità di apprendisti anche i giovani in possesso di titolo di studio post-
obbligo (diploma di scuola media superiore; diploma professionale) o di attestato di qualifica
professionale idonei rispetto all’attività da svolgere.
L’art.16 della legge n. 196/1997 stabilisce che l’apprendistato non possa avere una durata superiore
a quella fissata dai contratti collettivi e comunque non inferiore a 18 mesi e superiore a 4 anni
(salvo per il settore artigiano, in cui il limite massimo è di 5 anni).
Per il contratto di apprendistato sono previsti incentivi sia normativi che economici:
- i lavoratori assunti come apprendisti sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da
leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti, salvo che
specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo stabiliscano diversamente;
- la concessione di agevolazioni riguarda i contributi per le assicurazioni sociali e previdenziali:
per gli apprendisti occupati presso aziende artigiane non è richiesto il versamento di questi
contributi (ad esclusione del contributo per la tutela della maternità); in tutti gli altri casi è
previsto un contributo in misura forfettaria non rapportata all’ammontare della retribuzione.
La riforma prospettata dal D.Lgs. n.276/2003
In attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nella l. n.30/2003, l’art.47, del D.Lgs. n. 276
del 2003, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di diritto - dovere di istruzione e di
formazione (quindi anche i percorsi della formazione in alternanza prevista dalla legge 28 marzo
2003, n.53, “riforma Moratti”), definisce il contratto di apprendistato secondo 3 distinte tipologie:
per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione;
professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul
lavoro e un apprendimento tecnico – professionale;
per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione.
Il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione
Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato per l’espletamento
del diritto – dovere di istruzione e formazione i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto 15
anni (art.48, D.Lgs. n. 276 del 2003).
Questa tipologia di apprendistato sarà finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale e
avrà una durata massima di 3 anni (la durata del contratto sarà determinata in considerazione della
qualifica da conseguire, dei titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonché
del bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l’impiego o dai soggetti privati
accreditati, mediante l’accertamento dei crediti formativi che saranno definiti ai sensi della legge
n.53/2003).
Spetterà alle Regioni, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero
dell’istruzione, della università e della ricerca, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, regolamentare i
profili formativi dell’apprendistato, prevedendo un monte ore, esterno o interno, all’azienda
congruo al conseguimento della qualifica professionale.
Il contratto dovrà essere stipulato in forma scritta e dovrà contenere l’indicazione della prestazione
lavorativa, del piano formativo individuale e della qualifica acquisibile al termine del rapporto di
apprendistato, sulla base della formazione aziendale od extra-aziendale.
Il contratto di apprendistato professionalizzante
Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato
professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro
e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico - professionali, i soggetti di età
compresa tra i 18 e 29 anni. Una deroga al requisito dell’età sarà possibile per i soggetti in possesso
di una qualifica professionale, conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n.53, che potranno
essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante a partire dal 17° anno di età.
La durata del contratto di apprendistato professionalizzante verrà stabilita dai contratti collettivi
(nazionali o regionali), in ragione del tipo di qualificazione da conseguire, e comunque non
inferiore a 2 anni e superiore a 6.
Per questa tipologia di contratto di apprendistato, come per la prima, verrà richiesta la forma scritta.
Anche per l’apprendistato professionalizzante la Regione dovrà intervenire a regolamentare i profili
formativi; in questo caso, è fissato però un monte ore di formazione, interna o esterna all’azienda, di
almeno 120 ore per anno per l’acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali.
Il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione
Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato per il
conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio
universitari e della alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore, i soggetti di
età compresa tra i 18 e i 29 anni (l’età minima potrà scendere a 17 anni in caso di possesso di
qualifica professionale).
La disciplina contenuta nel decreto è minima e la regolamentazione e la durata dell’apprendistato è
rimessa alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione.
1.2.7 Il contratto di inserimento
Definizione e finalità generale
Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 introduce per il settore privato, al posto del contratto di
formazione e lavoro, un nuovo contratto denominato contratto di inserimento in cui il profilo della
formazione, a differenza del precedente contratto di formazione e lavoro, è del tutto eventuale
rispetto all’obiettivo principale che è quello di politica occupazionale.
Il contratto di inserimento viene infatti definito come un contratto di lavoro diretto a realizzare,
mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un
determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro di
particolari categorie di lavoratori (art.54, D.Lgs. n. 276/2003).
Soggetti a cui è destinato
Il contratto di inserimento si rivolge a soggetti in condizione di svantaggio sotto il profilo
occupazionale: soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni; disoccupati di lunga durata da 29 fino a
32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderano
riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato da almeno 2 anni; donne di qualsiasi età
residenti in aree geografiche caratterizzate da un divario tra i tassi di occupazione e disoccupazione
femminili e maschili particolarmente elevato; persone con grave handicap fisico, mentale o
psichico.
I contratti di inserimento possono essere stipulati da: enti pubblici economici, imprese e loro
consorzi; gruppi di imprese; associazioni professionali, socio - culturali, sportive; fondazioni; enti di
ricerca, pubblici e privati; organizzazioni e associazioni di categoria.
Regole principali
Progetto individuale di inserimento
Nel contratto di inserimento è prevista la predisposizione di un progetto individuale di inserimento,
definito con il consenso del lavoratore e finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze
professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo.
Forma
Il contratto di inserimento deve essere stipulato, a pena di nullità, in forma scritta e deve contenere
l’indicazione del progetto individuale di inserimento.
Durata
Si tratta di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, di durata non inferiore a 9 mesi
e superiore a 18 mesi (elevabile a 36 per i portatori di handicap grave). Nel computo della durata
massima non rilevano i periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare e di quello civile e i
periodi di astensione per maternità. Il contratto di inserimento non è rinnovabile tra le stesse parti e
le eventuali proroghe sono ammesse entro il limite massimo di durata.
Ad esso si applicano in quanto compatibili le disposizioni sul contratto a tempo determinato, salvo
diversa previsione dei contratti collettivi.
Incentivi normativi ed economici
Per quanto riguarda gli incentivi normativi, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono
esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di
particolari normative ed istituti, fatte salve specifiche previsioni del contratto collettivo.
I vantaggi per le imprese che attivano contratti di inserimento sono, oltre che normativi, di ordine
retributivo e contributivo.
L’azienda può pagare una retribuzione più bassa, poiché il lavoratore può essere inquadrato in una
categoria non inferiore per più di due livelli alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni
o funzioni richiedenti qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è preordinato il
progetto di inserimento.
In attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione si applicano gli incentivi
economici previsti dalla disciplina vigente in materia di c.f.l., ma solo per alcuni dei soggetti
indicati in precedenza.
Gli incentivi trovano applicazione solo per alcuni dei soggetti assumibili con contratto di
inserimento: disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di
un posto di lavoro; lavoratori che desiderano riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano
lavorato da almeno 2 anni; donne di qualsiasi età residenti in aree geografiche caratterizzate da un
divario tra i tassi di occupazione e disoccupazione femminili e maschili particolarmente elevato;
persone con grave handicap fisico, mentale o psichico; con esclusione dei contratti stipulati con i
soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. In tali casi la legge stabilisce una riduzione dei
contributi previdenziali ed assistenziali in misura differenziata a seconda dell’area e del settore
produttivo:
- nel Mezzogiorno, nelle zone ad elevata disoccupazione e per tutte le imprese artigiane i
contributi previdenziali sono stabiliti nella stessa misura prevista per gli apprendisti;
- le imprese commerciali e turistiche con meno di 15 dipendenti, non ubicate nel Mezzogiorno e
nelle zone ad elevata disoccupazione, godono di una riduzione degli oneri contributivi del 40%;
- tutte le altre imprese (non ubicate nel Mezzogiorno e nelle zone ad elevata disoccupazione, non
artigiane, non commerciali e non turistiche) godono di una riduzione del 25%.
Fase transitoria
La nuova normativa non è immediatamente applicabile, poiché i contratti collettivi di lavoro
(nazionali, territoriali, aziendali) devono determinare le modalità di definizione dei progetti
individuali di inserimento, con particolare riferimento alla realizzazione del progetto.
Qualora, entro 5 mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, non sia intervenuta la
determinazione da parte del contratto collettivo nazionale di lavoro delle modalità di definizione dei
piani individuali di inserimento, il Ministro del lavoro convocherà le organizzazioni sindacali
interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assisterà, al fine di promuovere l’accordo. Solo
se entro i 4 mesi successivi a tale convocazione non verrà raggiunta un’intesa, il Ministro del lavoro
individuerà in maniera provvisoria, con proprio decreto, le modalità di definizione dei piani
individuali di inserimento.
1.2.8 Contratto di formazione e lavoro
Disciplina transitoria per il settore privato
Per gestire il regime transitorio dei contratti di formazione e lavoro è stato sottoscritto, dalle
associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale, il 13 novembre 2003, un accordo interconfederale, ai sensi dell’art.86, comma 13, D.Lgs.
n.276/2003.
L’accordo interconfederale prevede che: 1) i contratti di formazione e lavoro stipulati, anche dopo il
23.10.2003 (ultimo giorno prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276/2003), in base a progetti
approvati entro tale data, esplicano integralmente i loro effetti fino alla scadenza prevista; 2) i
progetti per contratti di formazione e lavoro il cui deposito è avvenuto entro il 23.10.2003 possono
proseguire il loro iter di valutazione secondo le modalità precedentemente in vigore e se approvati
saranno attivati esplicando integralmente i loro effetti; 3) le assunzioni saranno effettuate nell’arco
di tempo previsto dalle delibere regionali o dalle intese interconfederali o settoriali che disciplinano
la materia.
Il contratto di formazione e lavoro nella Pubblica amministrazione
La previgente disciplina in materia di contratti di formazione e lavoro trova applicazione
esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione, sia per l’affermazione di principio di
cui all’art.6, l. n.30/2003 ed art.1, comma 2, D.Lgs. n.276/2003 (esclusione dal campo di
applicazione della normativa della pubblica amministrazione e del relativo personale), sia per
espressa previsione dell’art.86, comma 9, D.Lgs. n. 276/2003. Quindi anche dopo il 24.10.2003
(data di entrata in vigore del D.Lgs. n.276/2003) il contratto di formazione e lavoro può continuare
ad essere stipulato dalle pubbliche amministrazioni.
1.2.9 Il lavoro a progetto
Definizione e finalità generale
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, consistenti in una prestazione di attività resa
a favore di un committente in maniera prevalentemente personale e senza vincolo di
subordinazione, di cui all’art.409 n.3 del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a
uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso di durata prefissata, determinati dal
committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del
coordinamento con la organizzazione del committente ed indipendentemente dal tempo impiegato
per l’esecuzione dell’attività lavorativa.
La novità principale rispetto alla disciplina precedente consiste nel dover agganciare, per il settore
privato, il contratto ad un progetto o programma di lavoro o fase di esso, essendo ora vietato il
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a tempo indeterminato.
L’intento del legislatore è stato quello di ricondurre le collaborazioni coordinate e continuative
“genuine” al lavoro a progetto oppure, nel caso in cui si trattasse di collaborazioni fittizie, al lavoro
subordinato.
Regole principali
Campo di applicazione
Il comma 1, dell’art.61, del D.Lgs. n.276 del 2003, nel ricondurre i contratti collaborazione
coordinata e continuativa al lavoro a progetto tiene ferma la disciplina per gli agenti ed i
rappresentanti di commercio.
Sono esclusi dal campo di applicazione del lavoro a progetto le professioni intellettuali per
l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, nonché i rapporti e le
attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese ed utilizzate a fini istituzionali in
favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive
nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal Coni;
sono altresì esclusi dal campo di applicazione gli amministratori e i sindaci delle società e i
partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia, per i
quali continueranno a potersi stipulare le precedenti collaborazioni coordinate e continuative.
Diritti e doveri del collaboratore a progetto
Fermo restando che il legislatore delegato non ha pregiudicato l’applicazione di clausole di
contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto, i diritti
del collaboratore si caratterizzano, in primo luogo, per una chiara determinazione del corrispettivo.
Il compenso del collaboratore a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro
eseguito e per la sua determinazione si deve tener conto dei compensi normalmente corrisposti per
analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.
Il lavoratore a progetto ha, inoltre, diritto ad essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello
svolgimento del rapporto.
Sono state inoltre estese tutele proprie del lavoro subordinato, predisponendo un sistema di tutele
minimo a presidio della dignità e sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a
maternità, malattia, infortunio e malattie professionali, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Inoltre, si deve precisare che l’attività del collaboratore a progetto, può essere svolta a favore di più
committenti, salvo diverso accordo tra le parti.
Per quanto concerne i doveri, è stabilito che il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in
concorrenza con i committenti né, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai
programmi ed alla organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della
attività dei committenti stessi.
Misure sanzionatorie
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno
specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro
subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto.
In secondo luogo, qualora venga accertato dal giudice che il rapporto di lavoro a progetto sia venuto
a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro
subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. In questo caso, il
controllo da parte del giudice è limitato esclusivamente all’accertamento dell’esistenza del progetto,
programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito
valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.
Durata
I contratti a progetto si risolvono al momento della realizzazione del progetto o programma di
lavoro o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto.
Tra i tratti distintivi del lavoro a progetto rispetto al lavoro dipendente, rientra l’autonomia del
collaboratore nello svolgimento della prestazione, in particolare, per quanto riguarda l’irrilevanza
del tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Inoltre, nel lavoro a progetto la
prestazione assume necessariamente un carattere temporaneo, in funzione del risultato dedotto in
contratto, ossia dell’esecuzione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso che,
in quanto tale, non può che essere limitato nel tempo. Ne è prova il fatto che tra i contenuti del
contratto di lavoro è richiesta la indicazione della durata, determinata o determinabile, della
prestazione di lavoro.
Il recesso prima della scadenza del termine è possibile solo in presenza di giusta causa o secondo le
diverse causali e modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti stesse nel contratto di lavoro
individuale.
Rinnovo
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, mediante circolare 8 gennaio 2004, n.1, ha precisato
la disciplina del lavoro a progetto, in particolare, ha previsto, da una parte, che un analogo progetto
o programma di lavoro possa essere oggetto di successivi contratti con lo stesso collaboratore e,
dall’altra, che il lavoratore a progetto possa essere impiegato successivamente anche per diversi
progetti o programmi aventi contenuto diverso. In entrambe le ipotesi, rinnovo e nuovi progetti per
lo stesso lavoratore, non devono costituire strumenti elusivi della normativa di cui al D.Lgs.
n.276/2003.
Disposizioni transitorie
Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della normativa previgente, che non
possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro
scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente
provvedimento. Termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni
coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina previgente potranno essere stabiliti
nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime, stipulati in sede aziendale con le
istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale (art.86,
comma 1).
I vecchi rapporti di collaborazione autonoma possono dunque, mediante accordo sindacale
aziendale, essere mantenuti in vita anche per altri anni, con estensione ai collaboratori coordinati e
continuativi delle protezioni disposte dagli artt.62-68, D.Lgs. n. 276/2003, che prevedono, come già
detto in precedenza, alcune tutele in materia di igiene e sicurezza del lavoratore, corrispettivo,
invenzioni del lavoratore, sospensione per malattia, infortunio, maternità o altri impedimenti
personali, preavviso di recesso unilaterale, rinunce e transazioni di diritti previsti dagli artt.62-67.
All’interno dell’accordo aziendale il datore di lavoro deve contrattare con i sindacati la transizione
di questi collaboratori o verso il lavoro a progetto o verso le nuove forme di lavoro flessibile
disciplinate dal D.Lgs. n.276/2003 o verso le forme del lavoro subordinato già disciplinate
(Circolare ministeriale n.1/2004).
Collaborazioni coordinate e continuative e Pubblica amministrazione
La disciplina del lavoro a progetto (artt.61-69), stante la disposizione di cui all’art.1, comma 2,
D.Lgs. n. 276/2003 e l’art.6, l. n. 30/2003, non si applica alla Pubblica amministrazione, con la
conseguenza che esse potranno continuare a stipulare collaborazioni coordinate e continuative, ai
sensi dell’art.7, D.Lgs. n.165/2001 ed art.110, D.Lgs. 267/2000.
Viene quindi a crearsi un regime separato per il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione;
si verifica uno scostamento tra due assetti regolativi, entrambi di diritto comune, l’uno rivolto
all’impresa e l’altro alle amministrazioni, con una duplicazione di sistemi e con un rischio per la
pubblica amministrazione di offrire ai propri lavoratori minori garanzie rispetto al settore privato.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica- con nota del 18
novembre 2003 n.8329/11, messa a punto dall’Ufficio per il personale delle Pubbliche
Amministrazioni, è intervenuta sulle collaborazioni coordinate e continuative delle Amministrazioni
centrali e degli Enti locali ricordando che esse devono: 1) caratterizzarsi per l’autonomia di
svolgimento; 2) riguardare profili professionali elevati; 3) essere tali, quanto a caratteristiche e
contenuti professionali, come sostenuto dalla Corte dei Conti, da eccedere le ordinarie competenze
dei propri dipendenti, oppure non devono potersi svolgere per carenza oggettiva, assoluta o relativa,
di determinate figure professionali.
Occorre comunque ricordare che l’art.86, comma 8, D.Lgs. n.276/2003, dispone che il Ministro per
la funzione pubblica convochi le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti
all’entrata in vigore del D.Lgs. n.276/2003, entro 6 mesi, anche ai fini della eventuale
predisposizione di provvedimenti legislativi in materia.
Disposizioni previdenziali
L’art.45, del d.l. 30 settembre 2003, n.269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre
2003, n.326 (collegato alla Finanziaria 2004), prevede che dal 1° gennaio 2004 l’aliquota
contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata INPS non assicurati presso altre
forme obbligatorie sia stabilità in misura identica a quella prevista per la gestione pensionistica dei
commercianti, passando dal 14 al 17,39% (18,39% a seconda dello scaglione di riferimento). Per gli
anni successivi ad essa si applica un incremento annuale di 0,2 punti percentuali fino a raggiungere
l’aliquota del 19%.
1.2.10 Il lavoro occasionale
Per lavoro occasionale, distinto dal lavoro a progetto, si intende ogni rapporto di durata complessiva
non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente e che dia luogo ad un
compenso complessivamente percepito nello stesso anno solare, non superiore a 5 mila euro sempre
con lo stesso committente.
La Circolare del Ministero del lavoro dell’8 gennaio 2004 n.1 precisa che le prestazioni occasionali
di cui all’art.61, comma 2°, D.Lgs. n.276/2003 sono “collaborazioni coordinate e continuative per le
quali, data la loro limitata “portata”, si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto” e
quindi di sottrarle all’ambito di applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n.276/2003.
Le prestazioni occasionali (di durata inferiore a 30 giorni e per un compenso non superiore a 5.000
€, con lo stesso committente) sono soggette a contribuzione previdenziale qualora sia configurabile
un rapporto di collaborazione coordinata di cui all’art.50, comma 1, lett.c-bis), del TUIR e non ci si
trovi in presenza di un rapporto di lavoro autonomo di cui all’art.2222 cod. civ. (Circolare INPS n.9
del 22 gennaio 2004). Tale chiarimento da parte dell’INPS, in linea con quanto disposto dal
Ministero del Welfare nella circolare n.1/2004, risulta di difficile coordinamento con l’art.4, comma
1, lett.c), n.2), l. n. 30/2003, che ha delegato il Governo a differenziare le collaborazioni coordinate
e continuative rispetto ai rapporti di lavoro meramente occasionali “intendendosi per tali i rapporti
di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso
committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore
a 5.000 euro”. Inoltre, la relazione di accompagnamento del D.Lgs. n.276/2003 ha posto in evidenza
che con il 2° comma dell’art.61 di tale decreto si è inteso contenere le prestazioni occasionali che
“sono esenti da contribuzione”.
La Circolare ministeriale n.1/2004 distingue le prestazioni occasionali (art.61, comma 2, D.Lgs.
n.276/2003) dalle attività di lavoro autonomo occasionale (art.2222 c.c.) in cui non si riscontra un
coordinamento ed una continuità nelle prestazioni, non soggette a limiti temporali e reddituali se
non quelli coerenti con l’occasionalità della prestazione e che per questa natura non sono soggetti
né all’iscrizione alla Gestione separata INPS né all’adempimento degli obblighi contributivi.
Infine occorre sottolineare che, a partire dal 1° gennaio 2004, i soggetti che esercitano attività di
lavoro autonomo occasionale (ai sensi dell’art.2222 c.c.) sono iscritti alla gestione separata INPS e
conseguentemente devono versare i contributi previdenziali, solo nel caso in cui il reddito annuo
derivante da tale attività sia superiore a 5.000 euro. Per il versamento del contributo da parte di tali
soggetti si applicano le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi
iscritti alla gestione separata (art.44, 2° comma, legge n.326/2003).
1.2.11 Il lavoro accessorio
Definizione e finalità generale
Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono le attività lavorative di natura meramente
occasionale, rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel
mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne. Tali attività devono essere riconducibili a: a)
piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza domiciliare ai bambini, alle
persone anziane, ammalate o con handicap; b) insegnamento privato supplementare; c) piccoli
lavori di giardinaggio, di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; d) realizzazione di
manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; e) collaborazione con enti pubblici e
associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, dovuti a calamità, eventi
naturali improvvisi o di solidarietà.
Si tratta di prestazioni di breve periodo svolte occasionalmente in favore, come disposto dall’art.4,
comma 1, lett.d), legge n.30/2003, di famiglie e di enti senza fini di lucro.
La “attività occasionale e accessoria” comprende tutte quelle attività lavorative che coinvolgono il
lavoratore per una durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare, anche se
l’attività è svolta a favore di più beneficiari e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo
a compensi superiori a 3 mila euro, sempre nel corso di un anno solare.
Soggetti a cui è destinato
L’elemento centrale nella definizione del lavoro accessorio è di ordine soggettivo; possono svolgere
attività di lavoro accessorio: a) disoccupati da oltre un anno; b) casalinghe, studenti e pensionati; c)
disabili e soggetti in comunità di recupero; d) lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti
in Italia, nei 6 mesi successivi alla perdita di lavoro.
I lavoratori interessati a svolgere prestazioni di lavoro accessorio comunicano la loro disponibilità
ai servizi per l’impiego delle Province, nell’ambito territoriale di riferimento, o ai soggetti
accreditati dalle Regioni; a seguito della comunicazione i soggetti interessati allo svolgimento di
prestazioni di carattere accessorio ricevono, a loro spese, una tessera magnetica da cui risulta la loro
condizione.
Regole principali
Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio i beneficiari acquistano presso le rivendite
autorizzate uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio del valore nominale di 7,5
euro.
Il lavoratore percepisce il proprio compenso presso gli enti o le società concessionarie all’atto della
restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio, in misura pari
a 5,8 euro per ogni buono consegnato.
L’ente o la società concessionaria provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i
buoni per prestazioni di lavoro accessorio, registrando i dati anagrafici ed il codice fiscale e
provvedendo per suo conto al versamento dei contributi per fini previdenziali all’INPS, alla
gestione separata, in misura di 1 euro e per fini assicurativi contro gli infortuni all’INAIL, in misura
di 0,5 euro e trattiene 0,2 euro a titolo di rimborso spese.
Questa tipologia contrattuale potrà essere utilizzata dopo che il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali avrà individuato, con proprio decreto, i soggetti autorizzati alla vendita dei buoni
(presumibilmente saranno tabaccherie, uffici postali, edicole o altri luoghi a capillare diffusione sul
territorio) e gli enti e le società concessionarie della riscossione dei buoni (si pensa possano essere
banche, uffici postali), oltre che i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle
relative coperture assicurative e previdenziali.
Distinzione dal lavoro occasionale
La distinzione tra le prestazioni occasionali e quelle accessorie e occasionali sta nel fatto che nelle
prime si fa riferimento al committente a favore del quale il lavoro è stato prestato, le seconde sono
prestazioni che lo stesso lavoratore ha svolto a favore anche di più beneficiari. Nel primo caso il
criterio quantitativo (ossia prestazioni svolte per non più di 30 giorni e di valore non superiore a
5.000 euro) è riferito all’incarico, nel secondo caso (prestazioni svolte per non più di 30 giorni e di
valore non superiore a 3.000 euro) al lavoratore.
Il lavoro accessorio nell’esperienza belga
Questa tipologia contrattuale è stata introdotta nel nostro ordinamento riprendendola dall’esperienza
belga: “contrat de travail Ale (Agences locales pour l’emploi)”. Ogni Comune o gruppo di Comuni
è obbligato a costituire un’Ale. Tra i compiti dell’agenzia rientra l’attestazione del fatto che il tipo
di attività lavorativa richiesta dal candidato utilizzatore può essere considerata marginale e
accessoria.
Colui che intende avvalersi di queste prestazioni lavorative deve rivolgersi all’Ale comunale
competente e compilare un formulario nel quale descrive le attività che intende affidare al prestatore
di lavoro. L’agenzia concede la sua approvazione, condizione essenziale per usufruire di prestazioni
lavorative accessorie, solo nel caso in cui le attività siano estranee ai tradizionali rapporti di lavoro e
rispondano a bisogni temporanei ed urgenti.
L’Ale è stata istituita con il compito di offrire occasioni di lavoro ai disoccupati di lunga durata ed
altre categorie assimilabili, beneficiari di prestazioni sociali o di somministrazione di un minimum
di mezzi di sussistenza, non per studenti, pensionati e le altre tipologie di cui all’art.71 del D.Lgs
n.276 del 2003.
Esistono 3 specie di lavoro accessorio:
1) “assistant pour la prevention et la sécurité”: attività quali la sorveglianza ferroviaria, la custodia
della auto in sosta, la vigilanza all’esterno delle scuole, il controllo dei fattori di rischio
ambientale nei quartieri, la repressione delle infrazioni dei limiti di velocità da parte delle
vetture e delle motociclette, …;
2) attività stagionali e occasionali nel settore dell’orticoltura;
3) attività stagionali e occasionali nel settore agricolo.
Il “contrat Ale” deve essere stipulato in forma scritta e sottoscritto prima dell’inizio della
prestazione. I soggetti del contratto sono 3: employeur (Ale), utilisateur (datore di lavoro) e
travailleur (prestatore). La retribuzione delle prestazioni lavorative Ale avviene mediante i cd.
“cheques Ale” che l’utilizzatore può acquistare quando l’agenzia rilascia il formulario contente
l’autorizzazione ad usufruire delle prestazioni lavorative richieste. L’utilizzatore consegna gli
cheques al lavoratore nel corso dell’esecuzione della prestazione.
Come si può notare il modello belga prevede, a differenza di quello italiano, una disciplina
estremamente complessa e dettagliata, incentrata sull’attività di un’agenzia, l’Ale.
1.3 Quali politiche locali del lavoro in un mercato del lavoro
“flessibile”?
Si è detto che il principale problema di politica del lavoro derivante dall’introduzione delle nuove
forme di lavoro illustrate è rinvenibile nel rischio che i lavoratori impiegati con contratti di lavoro
che li collocano spesso in condizione precaria o poco qualificata cadano stabilmente nella trappola
della marginalità rispetto al cuore del mercato del lavoro. Ne deriva innanzi tutto che l’area dei
lavoratori interessati al problema non è riconducibile esclusivamente a quella di coloro che prestano
la loro attività sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa o di lavoro a progetto, ma si
estende, in potenza, a tutte le forme di lavoro caratterizzate da forte discontinuità (lavoratori
interinali, intermittenti, stagionali) o con orari molto ridotti (v. part-time per poche ore alla
settimana).
Al fine di sostenere e migliorare l’occupazione di questi lavoratori, le istituzioni pubbliche e le
parti sociali possono programmare e realizzare interventi specifici, la cui efficacia può essere
considerata più che buona in contesti territoriali caratterizzati da bassi tassi di disoccupazione.
In generale possono essere considerate utili a questi fini misure di rafforzamento della posizione
del lavoratore sul mercato ed in primo luogo interventi di formazione professionale, finalizzati ad
una qualificazione o specializzazione richiesta dalle imprese.
Appare però ancor più interessante l’adozione di una strategia complessiva a sostegno specifico dei
lavoratori con contratti non standard. Potrebbe, ad esempio, essere attivato un progetto per questi
lavoratori, articolato in interventi di orientamento, di formazione professionale, di incontro tra
domanda ed offerta. Non solo. Questi interventi potrebbero essere realizzati individuando anche
soluzioni organizzative originali: ad esempio individuando, all’interno delle strutture preposte (in
primo luogo all’interno dei centri per l’impiego), sportelli dedicati oppure costituendo una task-
force di operatori con competenze diverse (in materia di orientamento, servizi per l’impiego,
formazione professionale, politiche attive del lavoro) chiamata a promuovere e coordinare interventi
in questo campo.
Nell’ambito di questo disegno particolari interventi possono essere indirizzati nei confronti dei
lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi e lavoratori a progetto). Anche
tenendo conto di esperienze realizzate o di proposte avanzate in altre realtà territoriali (Toscana,
Lazio, Liguria, Molise, Trentino, Abruzzo, Lombardia), può essere ricostruito il seguente quadro
di possibili iniziative a sostegno di tali lavoratori:
a) il primo intervento utile è rinvenibile nel rafforzamento della conoscenza del fenomeno: occorre
cioè dare stabilità all’osservazione del lavoro non standard, per coglierne prontamente
l’evoluzione, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo;
b) la Provincia potrebbe, nel quadro della propria politica attiva del lavoro, concedere contributi
finalizzati a migliorare e consolidare la posizione dei parasubordinati sul mercato del lavoro.
I contributi potrebbero sostenere l’acquisto o la locazione di determinati beni (sedi, attrezzature,
strumentazioni, materiali, pacchetti di programmi informatici) o servizi (ad es. accessi a banche dati
o siti specializzati, abbonamenti a riviste di settore).
Una prima versione di questo intervento, di tipo soft, può prevedere la concessione dei contributi in
relazione all’esecuzione di attività aventi una certa durata e/o valore economico.
Va segnalata anche una seconda versione, certamente più ambiziosa: i contributi potrebbero essere
concessi solo a sostegno dell’avvio di attività di lavoro autonomo o d’impresa. In questo caso si
mirerebbe a favorire il passaggio dallo stadio iniziale del lavoro parasubordinato ad una
collocazione professionale più solida e gratificante. Si tratta di creare le condizioni per rendere, per
quanto possibile, l’area del lavoro parasubordinato un’area di transizione, destinata per molti
lavoratori (in specie quelli destinati ad attività professionali) ad esaurirsi in un lasso di tempo
relativamente breve.
Non v’è dubbio che l’efficacia della misura e la prevenzione di possibili abusi dipenderanno da una
puntuale specificazione delle condizioni, modalità e limiti per la concessione dei benefici indicati.
Tra i limiti che possono svolgere un ruolo cruciale per il buon esito dell’intervento vi è quello
relativo alla cumulabilità (o meno) dei contributi con quelli previsti da analoghi interventi regionali
o statali; il tema andrebbe pertanto valutato molto attentamente, soprattutto alla luce dell’entità più
o meno ragguardevole dei contributi previsti.
c) sempre nell’intento di rafforzare la posizione dei lavoratori considerati sul mercato del lavoro,
potrebbero inoltre essere favorita la partecipazione ad attività formative particolarmente
qualificanti, svolte da istituzioni italiane ed estere. La misura potrebbe consistere sia in iniziative
corsuali specificamente predisposte dalla Provincia (ma in proposito va segnalata la difficoltà di
cogliere puntualmente i bisogni formativi di un’utenza tanto variegata e di organizzare una gamma
completa e vasta di iniziative formative), sia nella erogazione di voucher spendibili presso
istituzioni formative di grande prestigio, selezionate sul mercato internazionale. Quest’ultima
soluzione garantirebbe certamente indubbi vantaggi nello snellimento delle procedure di gestione
del contributo e nella flessibilità di fruizione della formazione da parte dei soggetti interessati;
d) un altro importante filone di intervento della Provincia nel campo considerato è rinvenibile
nell’attività di “certificazione dei contratti di lavoro”, secondo quanto previsto dal d. lgs. n. 276/03.
Il Titolo VIII (artt. 75- 84) di tale decreto chiama infatti la Provincia (oltre che la Direzione
provinciale del lavoro, gli enti bilaterali e le Università), a svolgere un ruolo di rilievo al fine di
ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro ed assicurare “certezza di
diritto” anche nei rapporti di lavoro meno standardizzati e a più alto rischio di conflittualità (lavoro
a progetto, lavoro intermittente, lavoro a tempo parziale, lavoro ripartito, contratti di associazione
in partecipazione). E’ bene infatti essere consapevoli che, in aggiunta alla questione classica della
distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, il problema di qualificazione sembra oggi
ulteriormente accentuato dal proliferare di diversi contratti a seguito dell’emanazione dello stesso
decreto legislativo n. 276 del 2003 (come si è cercato di illustrare nella seconda parte del presente
contributo).
La Provincia può dunque decidere di assumere un ruolo in questo campo, costituendo una propria
Commissione di certificazione dei contratti di lavoro o partecipando, insieme agli altri soggetti
sopra indicati, alla costituzione di una Commissione “integrata”.
Nelle intenzioni del legislatore, la “certificazione” dovrebbe dunque rappresentare una tecnica
attraverso cui le parti di un contratto individuale di lavoro pervengono, anche grazie all’aiuto di
apposite strutture specializzate, a una precisa qualificazione del contratto di lavoro che tra esse
intercorre. Le procedure di certificazione (attivate volontariamente dalle parti) dovrebbero pertanto
“rendere certa” tra le stesse la “natura” del contratto di lavoro (subordinato o autonomo) ed
eventualmente il tipo (ad es. intermittente, ripartito, a tempo parziale, a progetto).
Quali gli effetti che si possono attendere dalla certificazione?
Poiché a contratti diversi si applicano discipline diverse, la certificazione ha innanzitutto la finalità
di rendere certo il novero dei diritti e degli obblighi che gravano su ciascuna delle parti. Ciò anche
al fine di evitare loro inattese conseguenze patrimoniali che spesso derivano da una sentenza di
condanna, per il periodo in cui il rapporto ha già avuto esecuzione sulla base di un contratto poi
diversamente qualificato dal giudice (questo accade, ad es., quando il datore di lavoro abbia
omesso di corrispondere il trattamento previsto per il lavoratore subordinato, nella convinzione che
si trattasse di lavoro autonomo: la sentenza del giudice che qualifica quel rapporto come lavoro
subordinato condannerà lo stesso datore alla corresponsione del trattamento retributivo e
contributivo per il periodo pregresso).
La certificazione vorrebbe poi contribuire a ridurre l’abnorme contenzioso pendente dinanzi ai
giudici del lavoro proprio in tema di qualificazione del contratto di lavoro (in particolare con
riferimento alla natura subordinata o autonoma di esso). In tal senso, certificare ex ante natura e
tipologia contrattuale dovrebbe avere l’effetto di prevenire il contenzioso successivo (a contratto
già in esecuzione o, come spesso accade, a rapporto contrattuale già estinto) di fronte al giudice.
Lo strumento non va però enfatizzato, pena la caduta in amare delusioni.
La qualificazione operata in sede di certificazione non vincola, una volta per tutte, le parti e il
giudice ad applicare la disciplina corrispondente al tipo certificato.
E’ la legge stessa infatti a prevedere che le parti e i terzi, nella cui sfera giuridica l’atto di
certificazione è destinato a produrre effetti, possano impugnarlo, sia per erronea qualificazione del
contratto, sia per difformità nella sua attuazione, sia per vizi del consenso tra le parti (non avrebbe
potuto essere diversamente, d’altronde, poiché sarebbe stata incostituzionale una previsione di
legge volta a impedire alle parti il ricorso giurisdizionale).
Inoltre, la legge prevede che l’accertamento da parte del giudice dell’erroneità della certificazione
abbia effetto fin dal momento della stipulazione del contratto: questo comporta che le risultanze
della precedente certificazione vengano travolte con effetto retroattivo per effetto del provvedimento
giurisdizionale, sicché la certificazione non è in grado di garantire certezza alcuna alle parti (poiché
gli effetti derivanti dal contratto certificato possono essere cancellati retroattivamente dalla diversa
qualificazione operata dal giudice).
Queste premesse non impediscono che, di fatto, la certificazione possa sortire effetti non irrilevanti.
Si tenga presente, a tal proposito, che la certificazione dovrà essere effettuata sulla base degli
orientamenti giurisprudenziali prevalenti, contenuti in appositi “moduli o formulari” predisposti dal
Ministero del Welfare, nonché sulla base di “codici di buone pratiche” (predisposti dallo stesso
Ministero) per l’individuazione delle clausole indisponibili dalle parti in relazione a ogni tipologia
contrattuale, e contenenti altre indicazioni fornite dagli accordi interconfederali; se a ciò si aggiunge
che l’organo certificatore può assumere una certa autorevolezza (si pensi a commissioni presiedute
da soggetti di chiara fama, competenza ed esperienza nell’ambito del diritto del lavoro e delle
relazioni industriali), si evince che una certificazione autorevole, aderente ai prevalenti orientamenti
giurisprudenziali, rispondente alle indicazioni delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei
lavoratori, è in grado di conseguire, nei fatti, una garanzia di uniformità e solidità della disciplina,
con scoraggiamento dei comportamenti devianti.
e) l’ampia gamma di contratti di lavoro esistenti e le continue novità legislative richiedono
un’opera di informazione costante in primo luogo dei giovani in ingresso nel mercato del lavoro,
spesso disorientati di fronte all’evoluzione in atto. Per queste ragioni sembrerebbe opportuna una
campagna di informazione/formazione volta a rendere consapevoli i giovani (ed i principali
protagonisti del processo educativo: le famiglie e gli insegnanti) delle caratteristiche fondamentali
dei vari tipi di contratto.
L’obiettivo è quello di rendere i giovani capaci di scegliere con cognizione di causa, valutando
serenamente vantaggi e svantaggi.
Se la si ritiene adatta al contesto locale, potrebbe essere realizzata anche una specifica campagna a
sostegno della diffusione del part-time che, come è noto, nel nostro Paese ha tassi di utilizzo molto
più bassi di altri Paesi dell’Unione europea. Questa iniziativa può essere inquadrata nell’ambito
della strategia volta ad innalzare i tassi di occupazione (in specie quello femminile e quello dei
lavoratori ultra cinquantenni).
f) un ultimo ed ambizioso obiettivo per la politica locale del lavoro (anche se le risorse richieste
renderebbero più opportuno un intervento da parte della Regione) può essere segnalato nel sostegno
finanziario ad enti bilaterali che prevedano di erogare ai lavoratori prestazioni integrative o
complementari a carattere previdenziale in particolare per quanto riguarda il sostegno al reddito nei
periodi di disoccupazione involontaria. In concreto potrebbe ipotizzarsi un contributo destinato a
coprire una quota degli oneri sostenuti dall’Ente bilaterale. Questo intervento potrebbe offrire forme
di tutela oggi inesistenti ai lavoratori impiegati in lavori caratterizzati da alta discontinuità,
mobilizzando risorse private ed attribuendo notevoli responsabilità alle parti sociali.
PARTE SECONDA: Un’analisi sulla base dell’Indagine sulle Forze di
lavoro e i dati INPS
1.4 La flessibilità del lavoro: alcune riflessioni
I paesi industrializzati, nel corso degli anni ’90, hanno registrato una crescita particolarmente
accentuata di forme atipiche di rapporti di lavoro, più articolate e flessibili rispetto al modello
standard a tempo pieno e a tempo indeterminato. Questa crescente diversificazione dei rapporti di
impiego, caratterizzata da modalità contrattuali meno stabili e più flessibili, determina un
progressivo allontanamento dal rapporto standard a tempo pieno e permanente che, tuttavia, può
manifestarsi in modi diversi nei differenti contesti nazionali e locali: anche in Italia, esistono
rilevanti differenze territoriali nella diffusione dei rapporti di lavoro atipici, nelle caratteristiche di
coloro che sono occupati con queste tipologie contrattuali, nei tassi di trasformazione di queste
forme di lavoro in occupazioni a tempo pieno e a tempo indeterminato, nelle modalità di utilizzo di
ciascun istituto contrattuale.
Il crescente ricorso a forme di lavoro atipico ha indotto una maggiore attenzione sulla flessibilità del
lavoro nelle sue diverse accezioni (oraria, salariale, interna/esterna, ecc.) e sugli interventi di
deregolazione dei regimi di protezione dell’impiego nei diversi contesti nazionali (Reyneri, 1996;
Esping-Andersen e Regini, 2000; Bentolilla e Bertola, 1990; Blanchard, 1998). Sia pure
mantenendo la struttura portante dei propri sistemi di welfare e di protezione del lavoro, quasi tutti i
Paesi Europei hanno adottato, con intensità diversa, forme di liberalizzazione dei contratti di lavoro
e norme più elastiche sui licenziamenti, anche sulla spinta delle indicazioni sempre più pressanti di
alcuni organismi sovranazionali, quali l’UE e l’OECD, che identificano, nella rigidità del mercato
del lavoro, una delle principali cause della disoccupazione e della scarsa capacità di creare nuova
occupazione in Europa. Tuttavia, appare opportuno sottolineare che queste problematiche “comuni”
possono essere affrontate mediante interventi (deregolazione, neo-regolazione, mix di entrambe),
che possono essere diversi, non solo tra Paesi, ma anche tra aree territoriali all’interno di ciascun
Paese e tra un’area di policy e l’altra (Regini, 2000).
La teoria economica, comunque, non ha ancora dimostrato né l’esistenza di un legame tra una
minore protezione del lavoro ed una migliore efficienza del mercato del lavoro, (intesa come effetto
positivo sui livelli di occupazione), né la relazione inversa, ovvero che ad un’elevata rigidità delle
forme di impiego corrisponda un basso rendimento del mercato del lavoro (Samek Lodovici e
Semenza, 2001).
Nel corso degli anni ’90, diversi studi comparativi hanno studiato gli effetti dei sistemi di
protezione dell’occupazione sulla performance del mercato del lavoro senza giungere
all’individuazione, sia a livello teorico sia a livello empirico, di un chiaro legame tra
disoccupazione media in un paese e rigidità dei regimi di protezione dell’impiego (Bertola, 1999;
Blanchard, 1998; Boeri, 1999; Nickell, 1997; OECD, 1999). A livello teorico, la presenza di costi di
aggiustamento ha effetti poco rilevanti sulla disoccupazione: le imprese riducono meno
l’occupazione a fronte di shock negativi e la aumentano di meno in seguito a shock positivi per il
timore di dover fronteggiare costi di licenziamento, qualora abbiano la necessità di ridurre il
numero di addetti nei periodi successivi (Bentolilla e Bertola, 1990). La presenza di rigidità può
dunque spiegare la scarsa reattività dell’occupazione europea a fronte di shock positivi, ma risulta
poco utile per spiegare l’elevato livello di disoccupazione media. A ciò si aggiunga che anche
l’analisi empirica non sembra mostrare effetti significativi delle rigidità sul tasso medio di
disoccupazione (OECD, 1999).
Ciò che, invece, emerge dall’analisi teorica ed empirica è il fatto che le rigidità abbiano effetti
rilevanti sul tasso di turnover, sui flussi in entrata ed uscita dalla disoccupazione e sulla durata
media della disoccupazione. I Paesi caratterizzati da un elevata rigidità offrono un elevato grado di
protezione agli occupati, dando dunque ad essi maggiore potere contrattuale, con la conseguenza di
elevati salari reali (Bertola, 1998) e di un incremento della segmentazione sul mercato tra insiders e
outsiders. I disoccupati, specie se alla ricerca di prima occupazione, incontrano elevate barriere
all’entrata e ciò contribuisce ad incrementare la durata media della disoccupazione. Le restrizioni
hanno un forte impatto sulla composizione della disoccupazione. Sono, infatti, soprattutto i giovani
e le donne a subire gli effetti negativi delle restrizioni ai licenziamenti: la disoccupazione giovanile,
per esempio, risulta correlata positivamente con il grado di rigidità che caratterizza il mercato del
lavoro (OECD, 1999). L’incremento della durata media della disoccupazione crea, inoltre, ulteriori
effetti indiretti alimentando una sorta di circolo vizioso (modelli di isteresi): i disoccupati di lunga
durata esercitano pressioni assai limitate sui salari e ciò rende più difficile la loro uscita dalla
disoccupazione.
Il modello rigido di regolazione del mercato del lavoro italiano, affermatosi negli anni ’50 e ’60, è
stato progressivamente riformato nel corso degli anni ’90 grazie ad una serie di interventi
incrementali (alcuni dei quali ricordati nell’introduzione) che hanno modificato il sistema di
regolazione dei rapporti di lavoro nel suo insieme, senza modificare però il sistema di welfare (Paci,
1998: Samek Lodovici, 2000). Vi è dunque stata una transizione da un’estrema rigidità del mercato
del lavoro ad una fase di flessibilità regolata (Bertola e Ichino, 1995; Esping-Andersen e Regini,
2000: Toharia et al, 2002), contrassegnata dalla crescita dei cosiddetti contratti atipici.
La maggiore articolazione dei rapporti di lavoro costituisce una delle risposte del sistema
economico alle nuove esigenze della domanda di lavoro, dettate sia da una maggiore variabilità del
mercato sia dalle nuove tecnologie, che richiedono un diverso modo di erogazione del lavoro
(spesso attraverso rapporti di lavoro a tempo parziale e/o a tempo determinato) e che non
corrispondono più al precedente modello di organizzazione produttiva, storicamente determinato e
fondato quasi esclusivamente sul rapporto di lavoro alle dipendenze stabile (Samek Lodovici e
Semenza, 2001). Nello stesso tempo, alle esigenze della domanda di lavoro, si è affiancato un
mutamento culturale almeno di una parte delle forze di lavoro (giovani, donne, offerta di lavoro
qualificata-istruita), che risulta nel complesso più aperta a soluzioni lavorative, anche autonome,
che possono variare in relazione alle diverse fasi del ciclo di vita (Samek Lodovici e Semenza,
2003).
1.5 Il lavoro parasubordinato
I dati INPS sulla gestione separata2 ci consentono di avere informazioni sul lavoro parasubordinato,
ossia su quel particolare segmento del lavoro atipico che di fatto non è riconducibile né al lavoro
alle dipendenze né a quello autonomo. Tali dati riguardano i collaboratori coordinati e continuativi,
i professionisti non iscritti ad alcun albo professionale e i collaboratori/professionisti, mentre non si
dispongono informazioni sui collaboratori occasionali. Si tratta, in altri termini, di tipologie
contrattuali che prevedono un certa flessibilità nell’orario e nell’organizzazione del lavoro, ma che a
volte assumono la forma di vere e propri rapporti di lavoro alle dipendenze. Prima di procedere
nell’analisi dei dati dell’Osservatorio INPS sui lavoratori parasubordinati, occorre sottolineare che
si tratta di dati di natura cumulativa, che comprendono tutti coloro che si sono iscritti e che non
sono stati cancellati seppur nel tempo fosse cambiata la natura del loro rapporto contrattuale. Di
conseguenza, probabilmente, questi dati potrebbero essere sovrastimati rispetto alle posizioni
effettivamente attive.
In Italia, al 31-12-2002, alla gestione separata INPS risultavano iscritti 2.392.257 lavoratori
parasubordinati3, di cui il 90,0% rappresentato da collaboratori coordinati e continuativi ed il resto
suddiviso tra professionisti (7,9%) e collaboratori/professionisti (2,1%) (Figura 11.1). Rispetto al
1996, il numero totale degli iscritti è cresciuto costantemente (+ 145% tra il 1996 e il 2002).
Figura 11.1 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Italia (31
dicembre 2002)
Collaboratori
90,0%
Collaboratori/
Professionisti
2.1%Professionisti
7,9%
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
2 La Gestione ha iniziato ad operare dal 1° aprile 1996 (dal 30 giugno 1996 per i pensionati o iscritti ad altre forme
pensionistiche obbligatorie) e ha previsto per gli iscritti aliquote contributive relativamente basse rispetto a quelle in vigore nelle altre
Gestioni assicurative dell’INPS: le attuali (anno 2002) sono del 10% per i soggetti coperti da altre forme di previdenza e per i
pensionati e del 14% per i soggetti privi di tutela previdenziale.
Il lavoro parasubordinato è una tipologia contrattuale che vede una leggera prevalenza della
componente maschile su quella femminile (il 53,8% del totale degli iscritti al 31 dicembre 2002),
tuttavia nel tempo la quota di donne ha guadagnato peso sul totale (oltre sei punti percentuali tra il
1996 ed il 2000), grazie in modo particolare al notevole incremento delle occupate con contratto di
collaborazione coordinata e continuativa (Tabelle 11.1 e 11.2).
3 I dati (in valore assoluto) relativi ai lavoratori parasubordinati in Italia, Lombardia e provincia di Cremona al
31 dicembre 2002 sono riportati in Appendice A.
52
Tabella 11. 1 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Italia (Anni 1996 – 2002)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 58.6 41.4 100 71.4 28.6 100 61.8 38.2 100 60.0 40.0 100
1997 55.3 44.7 100 71.0 29.0 100 62.2 37.8 100 56.9 43.1 100
1998 54.3 45.7 100 69.9 30.1 100 63.5 36.5 100 55.9 44.1 100
1999 53.7 46.3 100 68.8 31.2 100 63.7 36.3 100 55.3 44.7 100
2000 53.1 46.9 100 68.1 31.9 100 63.6 36.4 100 54.7 45.3 100
2001 52.6 47.4 100 67.8 32.2 100 63.2 36.8 100 54.1 45.9 100
2002 52.4 47.6 100 67.3 32.7 100 63.2 36.8 100 53.8 46.2 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Tabella 11.2 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Italia. Numeri indici (Anno base = 1996)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
1997 125.0 143.0 132.4 118.2 120.8 118.9 142.0 139.9 141.2 124.3 141.2 131.1
1998 147.3 175.6 159.0 132.2 142.0 135.0 229.9 214.5 224.0 146.3 173.4 157.2
1999 166.4 203.0 181.5 143.9 163.0 149.4 293.4 270.9 284.8 165.0 200.6 179.2
2000 179.0 223.6 197.4 151.9 178.0 159.4 335.0 310.6 325.7 177.3 221.0 194.8
2001 198.1 252.9 220.8 159.2 189.1 167.7 397.3 375.3 388.9 195.4 249.3 217.0
2002 224.9 288.9 251.4 167.5 203.4 177.8 456.3 430.9 446.6 220.2 283.8 245.6
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
53
Il numero di iscritti alla gestione separata INPS in Lombardia, tra il 1996 ed il 2002, è cresciuto in
maniera progressiva (+ 114%), anche se in misura leggermente meno sostenuta rispetto al dato
nazionale (+ 145%) (Tabella 11.4). Al 31 dicembre 2002, i lavoratori parasubordinati a livello
regionale si attestano a 519.398 unità, incidendo in misura particolarmente rilevante sul totale dei
lavoratori parasubordinati in Italia (il 21,7%). In linea con quanto si verifica a livello nazionale,
gran parte degli iscritti alla gestione separata INPS (sempre alla stessa data) è costituto da
collaboratori coordinati e continuativi (l’89,8%) (Figura 11.2).
Figura 11.2 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Lombardia
(31 dicembre 2002)
Professionisti
7,9%
Collaboratori/
Professionisti
2.3%
Collaboratori
89,8%
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Anche in Lombardia, nonostante nel corso degli anni la quota di donne sia cresciuta, recuperando
peso sul totale degli iscritti alla gestione separata (quasi 6 punti percentuali in più tra il 1996 ed il
2002), grazie soprattutto al sostenuto aumento delle occupate con contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, i lavoratori parasubordinati sono prevalentemente uomini (il 55,6% del
totale al 31 dicembre 2002) (Tabelle 11.3 e 11.4).
54
Tabella 11.3 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Lombardia (Anni 1996 – 2002)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 60.5 39.5 100 70.2 29.8 100 64.8 35.2 100 61.5 38.5 100
1997 57.8 42.2 100 69.7 30.3 100 64.9 35.1 100 59.0 41.0 100
1998 56.6 43.4 100 69.0 31.0 100 65.1 34.9 100 57.8 42.2 100
1999 55.8 44.2 100 68.3 31.7 100 65.1 34.9 100 57.0 43.0 100
2000 55.2 44.8 100 68.1 31.9 100 64.7 35.3 100 56.5 43.5 100
2001 54.8 45.2 100 67.8 32.2 100 64.2 35.8 100 56.1 43.9 100
2002 54.4 45.6 100 67.2 32.8 100 64.5 35.5 100 55.6 44.4 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Tabella 11.4 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Lombardia. Numeri indici (Anno base =
1996)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0
1997 119.3 133.2 124.8 114.2 116.9 115.0 137.7 136.9 137.4 118.9 131.9 123.9
1998 137.3 161.6 146.9 126.1 133.2 128.2 225.7 222.6 224.6 137.0 159.9 145.8
1999 152.8 185.8 165.9 137.0 149.9 140.9 300.1 296.3 298.7 152.7 184.0 164.7
2000 162.2 202.0 177.9 143.5 158.4 147.9 336.8 338.3 337.3 162.0 199.9 176.6
2001 176.1 222.7 194.5 150.3 168.2 155.7 392.6 402.2 396.0 175.6 220.2 192.7
2002 194.8 250.3 216.7 157.7 181.1 164.6 455.2 460.7 457.2 193.4 246.9 214.0
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
55
La provincia di Cremona occupava, al 31 dicembre 2002, 15.367 lavoratori subordinati, pari al
3,0% dei parasubordinati in Lombardia. Nel complesso tra il 1996 ed il 2002, anche in provincia di
Cremona il lavoro parasubordinato è un fenomeno in crescita (+ 130%) (Tabella 11.6 e Figura
11.4), anche se moderatamente meno sostenuta rispetto al dato italiano (+145%), ma certamente più
accentuata rispetto a quello regionale (+114%), che riguarda maggiormente i
collaboratori/professionisti rispetto alle altre tipologie, anche se il loro peso rimane tuttavia
piuttosto modesto (2,1%). Sono, infatti, i collaboratori coordinati e continuativi che, in linea con
quanto avviene a livello sia nazionale sia regionale, rappresentano la maggioranza degli iscritti alla
gestione separata INPS al 31 dicembre 2002 (il 90,3%) (Figura 11.3).
Figura 11. 3 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Lombardia
(31 dicembre 2002)
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Il 55,6% dei lavoratori parasubordinati in provincia di Cremona è di sesso maschile (Tabella 11.5),
un dato assolutamente in linea con quello regionale (55,6%) e, comunque, superiore a quello
nazionale (53,8%). D’altra parte, invece, la percentuale di lavoratrici parasubordinate è cresciuta nel
tempo di circa sette punti percentuali, attestandosi al 31 dicembre 2002 al 44,4%, un dato in linea
con quello regionale ma inferiore a quello nazionale (46,2%). In altri termini, in provincia di
Cremona non emergono differenze rispetto alla Lombardia per quanto riguarda la composizione per
sesso dei lavoratori parasubordinati, mentre rispetto al dato italiano i parasubordinati cremonesi
appartengono in misura maggiore alla componente maschile. Tuttavia, il fenomeno della crescente
Collaboratori/
Professionisti
2.1%Professionisti
7,6%
Collaboratori
90,3%
56
femminilizzazione del parasubordinato (+ 173% contro + 104% del dato maschile nel periodo 1996-
2002) si verifica anche in provincia di Cremona con le stesse modalità riscontrate a livello sia
regionale sia nazionale e che vedono soprattutto aumentare le collaboratrici/professioniste e le
collaboratrici coordinate e continuative (Figura 11.4 e Tabella 11.6).
57
Tabella 11.5 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Provincia di Cremona (Anni 1996 – 2002)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 61.0 39.0 100 75.5 24.5 100 66.0 34.0 100 62.6 37.4 100
1997 57.5 42.5 100 72.6 27.4 100 69.4 30.6 100 59.1 40.9 100
1998 56.1 43.9 100 72.2 27.8 100 69.0 31.0 100 57.7 42.3 100
1999 55.9 44.1 100 72.6 27.4 100 67.5 32.5 100 57.6 42.4 100
2000 55.3 44.7 100 71.5 28.5 100 69.3 30.7 100 57.0 43.0 100
2001 54.9 45.1 100 70.1 29.9 100 67.3 32.7 100 56.4 43.6 100
2002 54.2 45.8 100 68.5 31.5 100 67.0 33.0 100 55.6 44.4 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
Tabella 11.6 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Provincia di Cremona. Numeri indici (Anno
base = 1996)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0
1997 118.9 137.9 126.3 114.4 132.7 118.9 110.0 94.4 104.7 118.2 136.9 125.2
1998 138.6 170.2 150.9 128.9 152.7 134.8 171.4 150.0 164.2 138.0 168.8 149.5
1999 156.0 192.8 170.4 138.0 160.0 143.4 204.3 191.7 200.0 154.6 190.6 168.1
2000 169.2 214.2 186.7 146.3 179.4 154.4 238.6 205.6 227.4 167.6 211.7 184.1
2001 188.9 242.8 209.9 152.2 200.0 163.9 267.1 252.8 262.3 185.7 240.1 206.1
2002 209.3 276.6 235.6 157.9 223.6 174.0 307.1 294.4 302.8 204.7 273.4 230.4
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
58
Figura 11.4 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati in provincia di Cremona. Numeri indici
(Anno base = 1996)
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
La Tabella 11.7 presenta la distribuzione per classi d’età del lavorato parasubordinato in provincia
di Cremona, in Lombardia e in Italia sia complessivamente sia distinguendo per le diverse tipologie
di iscrizione che vi rientrano.
In provincia di Cremona, le donne parasubordinate si concentrano soprattutto al di sotto dei 40 anni
(63,1%), implicando quindi che difficilmente il ricorso a queste forme di lavoro atipico rappresenta
per le donne un percorso professionale qualificato ma spesso una scelta obbligata per inserirsi o
reinserirsi nel mercato del lavoro. Gli uomini, invece, lavorano con queste modalità contrattuali
anche oltre i 50 anni (il 38,1% del totale): il lavoro parasubordinato costituisce dunque per questi
ultimi o una modalità di lavoro alternativa rispetto al lavoro sia autonomo sia dipendente o un
possibile strumento di integrazione economica alla pensione oppure un’opportunità per poter
proseguire la propria attività lavorativa.
La distribuzione per classi d’età, a livello provinciale, del lavoro parasubordinato nel suo complesso
non sembra discostarsi in maniera significativa rispetto a quella regionale, mentre alcune differenze
emergono con quella nazionale. Le principali si riscontano nel fatto che mediamente in provincia di
Cremona, rispetto all’Italia, ci sono meno lavoratori parasubordinati nella fascia di età compresa tra
i 30 ed i 39 anni (il 28,3% del totale contro il 32,1%) e più lavoratori subordinati con oltre 50 anni
(il 28,9% contro il 25,7%).
Abbiamo già avuto modo di rilevare come, nell’ambito del lavoro parasubordinato, la tipologia
decisamente prevalente siano i collaboratori coordinati e continuativi e questo è vero sia a livello
100
150
200
250
300
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
Maschi Femmine Italia
59
locale (regionale e provinciale) sia a livello nazionale. Tuttavia, mentre in Lombardia ed in
provincia di Cremona più della metà dei collaboratori coordinati e continuativi si concentra nelle
fasce d’età estreme (meno di 29 anni e oltre 50 anni), in Italia essi si concentrano soprattutto tra i 30
ed i 50 anni (il 52,1%).
Infine, sia a livello nazionale sia regionale e provinciale, la maggior parte dei professionisti e dei
collaboratori/professionisti si concentra per il 60% circa (ed oltre) tra i 30 ed i 50 anni.
Tabella 11.7 _ Lavoratori parasubordinati per classi d’età, sesso e tipologia di iscrizione. Italia, Lombardia e
provincia di Cremona (31 dicembre 2002)
Cremona
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
<20 0.6 0.9 0.8 0.0 0.5 0.2 0.0 0.0 0.0 0.6 0.9 0.7
20-24 4.2 10.5 7.1 1.6 3.0 2.0 4.2 1.9 3.4 4.0 9.9 6.6
25-29 10.5 20.9 15.3 9.1 15.4 11.1 9.3 12.3 10.3 10.4 20.5 14.9
30-39 24.6 31.2 27.6 31.5 37.4 33.4 32.6 50.0 38.3 25.5 31.8 28.3
40-49 20.9 19.1 20.1 26.4 27.4 26.7 24.2 22.6 23.7 21.5 19.6 20.7
50-59 21.8 12.2 17.4 21.3 12.5 18.5 19.1 5.7 14.6 21.7 12.1 17.5
>60 17.2 5.2 11.7 10.0 3.8 8.0 10.7 7.5 9.7 16.4 5.2 11.4
Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Lombardia
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
<20 0.4 0.5 0.5 0.0 0.1 0.1 0.0 0.0 0.0 0.3 0.5 0.4
20-24 4.3 8.0 6.0 1.8 2.0 1.9 1.4 1.3 1.4 4.0 7.5 5.5
25-29 11.3 19.0 14.8 8.6 11.2 9.4 9.8 13.5 11.1 11.0 18.5 14.3
30-39 26.7 32.5 29.3 31.2 40.0 34.1 35.2 46.1 39.1 27.3 33.2 29.9
40-49 20.6 18.9 19.8 25.2 25.8 25.4 24.2 21.7 23.3 21.1 19.3 20.3
50-59 19.6 13.9 17.0 19.0 15.0 17.7 18.1 13.1 16.3 19.5 14.0 17.0
>60 17.2 7.1 12.6 14.2 5.9 11.5 11.2 4.3 8.8 16.8 7.0 12.5
Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Italia
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
<20 0.4 0.5 0.4 0.0 0.1 0.1 0.0 0.0 0.0 0.3 0.4 0.4
20-24 4.3 8.2 6.2 1.9 2.7 2.2 1.3 2.1 1.6 4.0 7.8 5.8
25-29 11.8 19.5 15.5 8.9 13.8 10.5 9.1 14.9 11.2 11.5 19.1 15.0
30-39 28.3 35.3 31.6 32.3 42.7 35.7 37.0 47.5 40.9 28.9 35.9 32.1
40-49 21.5 19.5 20.5 26.5 24.8 25.9 25.3 21.4 23.9 22.1 19.8 21.0
50-59 18.6 11.6 15.3 19.1 11.8 16.7 17.5 10.5 14.9 18.6 11.6 15.4
>60 15.1 5.5 10.5 11.3 4.2 9.0 9.8 3.6 7.5 14.6 5.4 10.3
Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS
60
1.6 L’occupazione a tempo parziale
I dati ISTAT sulle forze di lavoro consentono di analizzare le principali caratteristiche degli
individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione a tempo parziale,
rispetto a coloro che invece lavorano a tempo pieno4. L’analisi sarà svolta principalmente con
riferimento all’anno 2002, con alcuni confronti con quella che, invece, era la situazione nel 2000
per quanto riguarda i dati di carattere più generale.
La provincia di Cremona, nel 2002, presenta un’incidenza dell’occupazione part-time sul totale
dell’occupazione pari all’8,1%, abbastanza in linea, quindi, con il dato nazionale (8,6%) ma
inferiore a quello regionale (9,3%) (Tabella 12.1). Come era lecito attendersi, l’occupazione part-
time rappresenta una forma di impiego con un elevato tasso di femminilizzazione a livello sia
nazionale sia locale (regione e provincia): in provincia di Cremona, la percentuale di donne che
lavorano a tempo parziale si attesta al 16,2% rispetto al 2,4% degli uomini. Questo dato
sull’occupazione part-time a livello provinciale è assolutamente in linea con quello nazionale
(16,9%), ma è la Lombardia che presenta la percentuale più elevata di donne che lavorano con
questa tipologia contrattuale (18,3%).
In un sintetico confronto con il 2000, si osserva essenzialmente che nel 2002 l’incidenza
dell’occupazione a tempo parziale in provincia di Cremona è leggermente diminuita e che tale
riduzione ha interessato esclusivamente la componente femminile, mentre la percentuale di uomini
con un’occupazione part-time è leggermente aumentata. Tuttavia, tra il 2000 ed il 2002, la
diffusione dell’occupazione part-time a livello provinciale è cresciuta del 35,2%, passando da 8.750
a 11.829 unità; nel confronto tra i due anni, l’occupazione totale ha fatto registrare un incremento
ancora più consistente di quello dell’occupazione a tempo parziale (+42,6%, pari a 43.755 unità in
più)5 (Tabella 12.2). E’ evidente che un ampliamento della base occupazionale complessiva
mediamente superiore a quello dell’occupazione part-time implica anche una crescita dell’altra
componente dell’occupazione (quella a tempo pieno), che, infatti, mostra un incremento pari al
43,3% (passando, quindi, da 94.015 a 134.692 unità). Sia per gli uomini sia per le donne,
l’andamento è positivo per entrambe le forme di impiego (full-time e part-time), anche se l’aumento
dell’occupazione part-time è molto più marcato per gli uomini (46,7% contro il 32,9% delle donne),
4
L’indicazione sul tipo di orario svolto si desume da una domanda della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di
Lavoro rivolta a tutti gli occupati. Tale quesito coglie per i lavoratori dipendenti la definizione contrattuale del tempo
parziale e del tempo pieno, mentre nel caso del lavoro autonomo il tempo parziale si riferisce ad una percezione
personale della distribuzione del tempo di lavoro. 5 I dati (in valore assoluto) relativi all’occupazione sia full-time sia part-time nel 2000 e nel 2002 sono riportati
in Appendice A.
61
mentre si verifica il contrario nel caso dell’occupazione full-time (+55,6% per le donne rispetto al
+37,3% degli uomini).
In sostanza, il peso percentuale dell’occupazione part-time sul totale dell’occupazione si è ridotto,
sia pure moderatamente, nel confronto tra il 2000 ed il 2002, essenzialmente a causa del fatto che
l’incremento dell’occupazione complessiva in provincia di Cremona è risultato essere superiore a
quello dell’occupazione part-time (particolarmente nel caso delle donne). In controtendenza, per gli
uomini, l’occupazione a tempo parziale è cresciuta più di quella complessiva, giustificando, quindi,
l’aumento dell’incidenza dell’occupazione part-time sul totale dell’occupazione.
Tabella 12.1 _ Incidenza percentuale dell’occupazione part-time sull’occupazione totale in Italia, Lombardia e
provincia di Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002)
2002
Tempo pieno Tempo parziale Totale
Uomini
Cremona 97.6 2.4 100
Lombardia 97.2 2.8 100
Italia 96.5 3.5 100
Donne
Cremona 83.1 16.9 100
Lombardia 81.1 18.9 100
Italia 83.1 16.9 100
Totale
Cremona 91.9 8.1 100
Lombardia 90.7 9.3 100
Italia 91.4 8.6 100
2000
Tempo pieno Tempo parziale Totale
Uomini
Cremona 97.8 2.2 100
Lombardia 96.9 3.1 100
Italia 96.3 3.7 100
Donne
Cremona 80.8 19.2 100
Lombardia 81.7 18.3 100
Italia 83.5 16.5 100
Totale
Cremona 91.5 8.5 100
Lombardia 90.9 9.1 100
Italia 91.6 8.4 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
62
Tabella 12.2 _ Variazione percentuale [2002- 2000] dell’occupazione complessiva, dell’occupazione part-time e
dell’occupazione full-time per sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona
Variazione % 2002-2000
Tempo pieno Tempo parziale Totale
Uomini
Cremona 37.3 46.7 37.5
Lombardia 36.0 22.7 35.6
Italia 2.3 -4.5 2.1
Donne
Cremona 55.6 32.9 51.2
Lombardia 39.2 45.2 40.3
Italia 5.5 8.9 6.1
Totale
Cremona 43.3 35.2 42.6
Lombardia 37.1 40.5 37.4
Italia 3.4 5.2 3.6
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Ma quali sono le principali caratteristiche (età, stato civile, titolo di studio, posizione professionale,
settore economico) dei lavoratori a tempo parziale in provincia di Cremona? In altri termini, qual è
il ruolo svolto dal lavoro atipico inteso come part-time (o flessibilità nell’orario di lavoro) in ambito
provinciale?
Innanzitutto si nota che le donne, nel 2002, in provincia di Cremona, rappresentano l’82,1% degli
occupati a tempo parziale (Figura 12.1), un dato in linea con quello della Lombardia (82,0%) ma
superiore a quello nazionale (74,6%).
Figura 12.1 _ Composizione percentuale degli occupati a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno
2002)
Uomini
17,9%
Donne
82,1%
63
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT Il part-time, dunque, è scelto principalmente dalle donne, ma in alcuni casi da uomini giovani che
cercano di conciliare il lavoro con lo studio: il 16,1% del lavoro part-time maschile si concentra,
infatti, nella classe d’età 20-24 anni (Tabella 12.3). In questo senso, il lavoro a tempo parziale può
essere utilizzato dagli uomini come forma di primo ingresso sul mercato del lavoro. Nel caso delle
donne, invece, il lavoro part-time si concentra essenzialmente nelle classi d’età centrali (il 22,5% tra
i 30 ed i 34 anni, il 26,5% tra i 35 e i 39 anni ed il 18,9% tra i 40 ed i 44 anni), a prova del fatto che
le donne scelgono questa forma di impiego, in particolar modo, quando devono conciliare il lavoro
con gli impegni familiari. Ad ulteriore conferma di ciò, quando si osserva lo stato civile delle donne
che lavorano a tempo parziale, si rileva che il 78,8% è coniugato. In conclusione, a partire dai
trent’anni, il part-time rappresenta una valida e duratura alternativa al full-time (Samek Lodovici e
Semenza, 2001). Ampliando ulteriormente l’interpretazione di questi dati, si potrebbe sostenere che
le donne entrano sul mercato del lavoro cercando un’occupazione a tempo pieno e scelgono il part-
time solo successivamente, ovvero allorché rientrano sul mercato del lavoro, dopo essersi formate
una famiglia ed aver avuto dei figli.
Per quanto riguarda il titolo di studio, in provincia di Cremona, la percentuale di donne occupate a
tempo parziale che hanno al massimo concluso la scuola dell’obbligo si attesta al 33,7% contro il
37,3% di quelle che lavorano full-time. Inoltre, la percentuale di donne con il diploma di licenza
media superiore è in media più elevata tra le lavoratrici a tempo parziale (35,3%) piuttosto che tra le
lavoratrici a tempo pieno (30,8%). Questi dati sembrerebbero indicare che le donne che lavorano
part-time siano mediamente più istruite di quelle che lavorano full-time. Tuttavia, se si prendono in
considerazione titoli di istruzioni più elevati, si osserva che le laureate rappresentano l’8,6% ed il
13,7% rispettivamente delle lavoratrici a tempo parziale e delle lavoratrici a tempo pieno. Nel caso
degli uomini, invece, sembra emergere in maniera più marcata che quelli che lavorano part-time
sono mediamente più istruiti di quelli che lavorano a tempo pieno:
i laureati rappresentano il 15,1% dei lavoratori a tempo parziale ed il 6,7% dei lavoratori a
tempo pieno;
tra gli occupati part-time, il 42,3% ha conseguito un diploma di licenza media superiore contro
il 29,8% di coloro che sono occupati full-time;
il 40,5% dei lavoratori a tempo pieno ha la licenza media inferiore in confronto al 14,8% dei
lavoratori a tempo parziale.
Relativamente alla posizione nella professione, le donne, sia che lavorino full-time sia part-time,
sono prevalentemente “impiegate”, anche se la percentuale di lavoratrici a tempo parziale che
occupano tale posizione è mediamente più elevata di quella delle lavoratrici a tempo pieno (il
64
49,6% contro il 41,5%). Nel caso degli uomini, invece, si osserva che il 40,2% di coloro che
lavorano full-time sono operai, una percentuale più che doppia rispetto a quella che si riscontra per i
lavoratori part-time (17,8%).
Infine, relativamente al settore di attività economica, si evidenzia che le donne occupate a tempo
parziale lavorano soprattutto nel commercio (21,6%), mentre quelle occupate a tempo pieno
lavorano principalmente nell’industria della trasformazione (27,8%). Gli uomini che lavorano part-
time, invece, lavorano innanzitutto nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (25,5%), mentre
quelli che lavorano full-time sono maggiormente presenti nell’industria della trasformazione
(35,7%).
65
Tabella 12.3 _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di Cremona. Anno
2002
Tempo pieno Tempo parziale
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Età
15/19 anni 1.8 0.2 1.2 3.3 0.6 1.1
20/24 anni 5.9 8.0 6.7 16.1 4.4 6.5
25/29 anni 12.5 19.0 14.8 8.9 9.0 9.0
30/34 anni 16.6 16.4 16.5 13.8 22.5 20.9
35/39 anni 16.0 16.0 16.0 8.7 26.5 23.4
40/44 anni 15.8 15.1 15.6 0.0 18.9 15.5
45/49 anni 11.7 10.7 11.4 9.1 10.3 10.1
50/54 anni 10.9 9.3 10.3 2.8 4.1 3.9
55/59 anni 4.8 2.8 4.1 0.0 3.1 2.6
60/64 anni 2.5 1.5 2.1 20.6 0.0 3.7
65 e oltre 1.6 1.0 1.4 16.8 0.4 3.4
Totale 100 100 100 100 100 100
Stato Civile
Celibe/Nubile 38.1 36.2 37.4 49.4 14.5 20.7
Coniugato/a 59.1 57.2 58.4 50.6 78.8 73.7
Separato/a di fatto 0.7 0.5 0.6 0.0 0.0 0.0
Separato/a legalmente 1.6 2.5 1.9 0.0 3.2 2.6
Divorziato/a 0.4 1.9 0.9 0.0 2.6 2.1
Vedovo/a 0.2 1.6 0.7 0.0 1.0 0.8
Totale 100 100 100 100 100 100
Titolo di studio
Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea 0.6 0.0 0.4 0.0 0.0 0.0
Laurea 6.7 13.7 9.2 15.1 8.6 9.8
Diploma universitario o laurea breve 0.7 2.3 1.2 0.0 0.0 0.0
Diploma di maturità 29.8 30.8 30.2 42.3 35.3 36.5
Diploma di qualifica professionale 10.9 15.9 12.6 7.8 22.4 19.8
Licenza media inferiore 40.5 29.8 36.7 14.8 24.9 23.1
Licenza elementare 10.2 6.9 9.0 16.6 8.8 10.2
Nessun titolo 0.7 0.6 0.6 3.4 0.0 0.6
Totale 100 100 100 100 100 100
Posizione professionale
Dirigente 2.2 0.1 1.5 0.0 0.0 0.0
Direttivo/quadro 5.0 4.1 4.7 11.1 0.6 2.5
Impiegato/intermedio 20.7 41.5 28.1 13.9 49.6 43.2
Operaio ed assimilati 40.5 32.8 37.7 17.8 34.2 31.3
Apprendista 1.3 0.3 0.9 0.0 0.0 0.0
Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0.0 0.2 0.1 0.0 0.0 0.0
Imprenditore 5.1 2.7 4.2 0.0 0.0 0.0
Libero professionista 4.2 4.9 4.4 26.6 1.4 5.9
Lavoratore in proprio 18.6 9.0 15.2 21.1 3.0 6.2
Socio di cooperativa 0.4 0.3 0.4 0.0 4.1 3.3
Coadiuvante in un'impresa familiare 2.0 4.2 2.8 9.6 7.2 7.6
Totale 100 100 100 100 100 100
66
Tabella 12.3 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di
Cremona. Anno 2002
Tempo pieno Tempo parziale
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Branca d'attività
Agricoltura, Caccia e Pesca 8.4 1.5 6.0 3.4 4.0 3.9
Industria dell'energia e industria estrattiva 1.8 0.4 1.3 0.0 0.0 0.0
Industria della trasformazione 35.7 27.8 32.9 21.4 13.1 14.6
Costruzioni 9.2 0.9 6.3 8.7 0.6 2.0
Altre attività: commercio 15.4 12.2 14.3 13.0 21.6 20.1
Altre attività: alberghi e ristoranti 3.3 4.0 3.5 2.6 9.7 8.4
Altre attività: trasporti e comunicazione 4.4 2.7 3.8 9.4 0.5 2.1
Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria,
attività immobiliari 3.4 2.9 3.3 0.0 0.5 0.4
Altre attività: servizi alle imprese e altre attività
professionali e imprenditoriali 5.0 8.7 6.3 7.3 9.0 8.7
Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 4.7 6.3 5.3 2.7 6.6 5.9
Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 5.0 26.2 12.5 25.5 21.3 22.1
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 3.7 6.4 4.6 6.0 12.9 11.7
Totale 100 100 100 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
67
1.6.1 I motivi dell’occupazione a tempo parziale
Il ricorso al lavoro part-time nel mercato del lavoro della provincia di Cremona può essere
interpretato alla luce della relativa volontarietà di tale posizione contrattuale. L’indagine trimestrale
ISTAT sulle forze di lavoro consente, infatti, di verificare quali siano i motivi per cui un individuo
lavora a tempo parziale (Tabella 12.4).
Tabella 12.4 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini Donne Totale
Non desidera un lavoro a tempo pieno 29.1 28.6 28.7
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 25.6 19.5 20.6
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 6.7 2.3 3.1
Malattia od invalidità 9.7 0.0 1.7
Motivi personali 14.9 19.6 18.8
Carichi familiari 2.8 27.1 22.7
Altri motivi 11.2 2.9 4.4
Totale 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Le principali motivazioni per cui le donne lavorano part-time sono:
non desidera un lavoro a tempo parziale (28,6%);
motivi personali (19,6%);
carichi familiari (il 27,1%).
In altri termini, considerando come lavoratrici part-time “volontarie” solo coloro che alla domanda
sull’orario di lavoro rispondono di lavorare a tempo parziale in quanto non desiderano un lavoro a
tempo pieno, la quota di donne che lavorano “volontariamente” part-time si attesta al 28,6%.
Tuttavia, considerando anche le altre motivazioni addotte in relazione alla propria condizione di
lavoratrici a tempo parziale, è possibile adottare una definizione più ampia di part-time volontario
che include, come motivazioni del lavoro part-time, oltre al desiderio di non lavorare full-time,
anche i motivi personali, i carichi famigliari ed il fatto di frequentare contemporaneamente corsi
scolastici o di formazione professionale, si deduce che oltre due terzi delle donne che lavorano part-
time sembra scegliere questa forma di impiego volontariamente, allo scopo di conciliare l’attività
lavorativa con la propria vita familiare, confermando quanto sostenuto in precedenza sul lavoro a
tempo parziale come valida e duratura alternativa al lavoro a tempo pieno. La quota di part-time
femminile involontario (ossia, la percentuale di donne che lavorano a tempo parziale perché non
hanno potuto trovare un’occupazione a tempo pieno), si attesta, invece, al 19,5%.
68
Per quanto riguarda gli uomini che lavorano part-time, invece, si nota che il 29,1% non desidera un
lavoro a tempo pieno, mentre il 25,6% non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno (part-time
involontario).
Al fine di consentire una migliore interpretazione dei motivi per cui gli individui lavorano a tempo
parziale, si è disaggregata l’analisi per sesso e classi d’età (Tabella 12.5). Ciò che emerge è che gli
uomini che non desiderano trovare un lavoro a tempo pieno hanno tutti oltre 35 anni, mentre tutti
coloro che asseriscono di lavorare part-time, perché frequentano corsi scolastici o corsi di
formazione professionale, hanno un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni. Quindi, gli uomini (giovani)
lavorano part-time per conciliare l’attività lavorativa con gli impegni di studio. Nel caso delle
donne, invece, si nota che la maggior parte delle donne che scelgono volontariamente di lavorare a
tempo parziale (perché non desiderano un lavoro a tempo pieno, per motivi personali o per carichi
familiari) ha oltre 35 anni. Ancora una volta, sembra trovare conferma il fatto che, per le donne, il
part-time rappresenta uno strumento di conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa.
Tabella 12.5 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno
2002)
Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Non desidera un lavoro a tempo pieno 0.0 0.0 100.0 100
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 37.8 62.2 0.0 100
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 100.0 0.0 0.0 100
Malattia od invalidità 30.8 42.5 26.9 100
Motivi personali 0.0 0.0 100.1 100
Carichi familiari 0.0 0.0 100.0 100
Altri motivi 0.0 23.5 76.4 100
Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Non desidera un lavoro a tempo pieno 2.1 33.0 64.9 100
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 6.7 56.8 36.5 100
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 54.6 45.3 0.0 100
Malattia od invalidità 0.0 0.0 0.0 0
Motivi personali 0.0 25.6 74.4 100
Carichi familiari 4.1 14.4 81.5 100
Altri motivi 27.3 35.2 37.4 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
69
1.7 L’occupazione a tempo determinato
I dati ISTAT sulle forze di lavoro ci consentono di analizzare le principali caratteristiche degli
individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione dipendente a tempo
determinato confrontandole con quelle di coloro che, invece, lavorano alle dipendenze a tempo
indeterminato. Anche in questo caso, così come avvenuto per il lavoro part-time, l’analisi sarà
svolta principalmente con riferimento all’anno 2002, con alcuni confronti con quella che, invece,
era la situazione nel 2000, per quanto riguarda i dati di carattere più generale.
Nel 2002, in provincia di Cremona, la percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli
occupati alle dipendenze si è attestata al 6,1%, in linea con quanto registrato a livello regionale
(6,5%) ma inferiore al dato nazionale (9,9%) (Tabella 13.1). Le donne con un’occupazione a tempo
determinato sono, in termini percentuali, più degli uomini che lavorano con questa forma di
impiego: in provincia di Cremona, infatti, la percentuale di donne che lavorano a tempo determinato
è pari all’8,9 % in confronto al 3,9% degli uomini. Questo dato provinciale sull’occupazione
femminile a tempo determinato è leggermente superiore a quello regionale (8,2%), ma
marcatamente inferiore a quello nazionale (12,0%).
Rispetto al 2000, l’incidenza dell’occupazione a tempo determinato in provincia di Cremona nel
2002 si è moderatamente ridotta e questo calo sembra aver interessato quasi esclusivamente la
componente femminile, mentre la percentuale di uomini con un’occupazione a tempo determinato è
rimasta praticamente inalterata. Nonostante ciò, il numero degli occupati a tempo determinato, tra il
2000 ed il 2002, è cresciuto del 26,7%, passando da 5.137 a 6.508 unità (Tabella 13.2); quindi, la
riduzione dell’incidenza di questa forma di impiego è dovuta al fatto che l’occupazione a tempo
determinato è cresciuta meno dell’occupazione dipendente complessiva (+ 46,3%, da 73.392 a
107.374 unità)6. Questi dati implicano che conseguentemente anche l’occupazione a tempo
indeterminato sia cresciuta, passando da 68.255 a 100.866 unità, con un incremento pari al 47,8%.
Sia per gli uomini sia per le donne, l’andamento è positivo per entrambe le forme di impiego, anche
se l’aumento dell’occupazione a tempo determinato è molto più elevato per gli uomini (+42,4%
contro il +18,9% delle donne), mentre l’occupazione a tempo indeterminato cresce in maniera più
marcata per le donne piuttosto che per gli uomini (+63,4% per le donne in confronto al +38,4%
degli uomini).
In sintesi, tra il 2000 ed il 2002, l’occupazione a tempo determinato in provincia di Cremona pur
essendo aumentata, mostra un incremento in termini percentuali inferiore a quello dell’occupazione
6 I dati (in valore assoluto) relativi all’occupazione sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato nel 2000
e nel 2002 sono riportati in Appendice A.
70
alle dipendenze e ciò risulta essere vero soprattutto per le donne. Nel caso degli uomini, invece,
l’incremento dell’incidenza dell’occupazione a tempo determinato è stato pari ad un decimo di
punto percentuale poiché l’occupazione a tempo determinato è aumentata, nel confronto tra il 2000
ed il 2002, in misura leggermente superiore a quella dell’occupazione alle dipendenze.
71
Tabella 13.1 _ Incidenza percentuale dell’occupazione a tempo determinato sul totale dell’occupazione
dipendente in Italia, Lombardia e provincia di Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002)
2002
Tempo indeterminato Tempo determinato Totale
Uomini
Cremona 96.1 3.9 100
Lombardia 94.9 5.1 100
Italia 91.6 8.4 100
Donne
Cremona 91.1 8.9 100
Lombardia 91.8 8.2 100
Italia 88.0 12.0 100
Totale
Cremona 93.9 6.1 100
Lombardia 93.5 6.5 100
Italia 90.1 9.9 100
2000
Tempo indeterminato Tempo determinato Totale
Uomini
Cremona 96.2 3.8 100
Lombardia 94.6 5.4 100
Italia 91.3 8.7 100
Donne
Cremona 88.2 11.8 100
Lombardia 91.0 9.0 100
Italia 87.8 12.2 100
Totale
Cremona 93.0 7.0 100
Lombardia 93.1 6.9 100
Italia 89.9 10.1 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Tabella 13.2 _ Variazione percentuale [2002- 2000] dell’occupazione alle dipendenze complessiva,
dell’occupazione dipendente a tempo determinato e dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato per
sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona
Variazione % 2002-2000
Tempo indeterminato Tempo determinato Totale
Uomini
Cremona 38.4 42.4 38.6
Lombardia 38.0 30.5 37.6
Italia 3.5 -0.9 3.1
Donne
Cremona 63.4 18.9 58.1
Lombardia 44.0 29.8 42.8
Italia 7.5 5.6 7.3
Totale
Cremona 47.8 26.7 46.3
Lombardia 40.6 30.1 39.8
Italia 5.0 2.2 4.7
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
72
L’analisi dei dati ci consente di verificare quali siano le principali caratteristiche dell’occupazione a
tempo determinato a livello provinciale con riferimento all’anno 2002.
Le donne che lavorano a tempo determinato rappresentano il 62,9% di tutti coloro che sono
occupati con questa tipologia contrattuale in provincia di Cremona (Figura 13.1) . La quota di
donne sul totale dei lavoratori a tempo determinato è, invece, pari al 55,8% in Lombardia, mentre a
livello nazionale poco più della metà dei lavoratori a tempo determinato sono uomini (50,3%).
Figura 13.1 _ Composizione percentuale degli occupati a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona
(Anno 2002)
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
In provincia di Cremona, il lavoro a tempo determinato, nel caso degli uomini, caratterizza le fasi di
ingresso della carriera lavorativa, come evidenziato dall’elevata concentrazione nelle classi di età
più giovani: il 63,5% degli uomini che lavorano a tempo determinato ha, infatti, tra i 15 ed i 29
anni. In particolare, la quota di occupati a tempo determinato raggiunge il massimo nella fascia di
età tra i 20 ed i 24 anni, si riduce in quella immediatamente successiva (25-29 anni), per poi
attestarsi su valori percentuali piuttosto bassi nelle fasce d’età successive (tabella 13.3). Nel caso
delle donne, invece, la percentuale di lavoratrici a tempo determinato è particolarmente alta tra le
donne di età compresa tra i 20 ed i 24 anni (22,9%) e tra i 25 e i 29 anni (23,8%), ma permane
elevata anche nelle fasce d’età centrali: il 21,1% ha tra i 30 ed i 34 anni, il 15,0% ha tra i 35 ed i 39
anni.
Uomini
37,1%
Donne
62,9%
73
La figura 13.2 mostra la percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli occupati alle
dipendenze ed i tassi di partecipazione per classi di età, sia per gli uomini sia per le donne. L’analisi
del grafico ci consente di dedurre che:
per gli uomini, al crescere dell’età, la percentuale di lavoratori alle dipendenze che lavora a
tempo determinato si riduce (come visto in precedenza), mentre la partecipazione al mercato del
lavoro cresce (si osservino a tal proposito, in modo particolare, le fasce d’età centrali). In altri
termini, se la forbice (la differenza) tra tasso di partecipazione e la percentuale di lavoratori a
tempo determinato aumenta al crescere dell’età (cioè, tassi di partecipazione elevati, a fronte di
una minore incidenza del lavoro a tempo determinato), ciò può essere interpretato come un
incremento del numero di lavoratori che passano da contratti a tempo determinato a contratti di
lavoro a tempo indeterminato; da questa analisi sembra, quindi, emergere un’ulteriore conferma
del fatto che il contratto a tempo determinato, per gli uomini, è evidentemente una forma
contrattuale di ingresso sul mercato del lavoro;
per le donne, invece, al crescere dell’età, la partecipazione al mercato del lavoro aumenta al
crescere della percentuale di lavoratrici a tempo determinato sul totale delle occupate alle
dipendenze tendenzialmente fino ai 30-34 anni; nelle fasce di età successive, la partecipazione
al mercato del lavoro delle donne al mercato del lavoro diminuisce a fronte di una riduzione
dell’incidenza del lavoro a tempo determinato, ovvero la forbice tra tassi di partecipazione e
percentuale di lavoratrici a tempo determinato si riduce. Le donne, quindi, oltre a lavorare a
tempo indeterminato (magari part-time), o lavorano con contratti di lavoro a tempo determinato
o non partecipano al mercato del lavoro; il fatto che la partecipazione femminile diminuisca al
diminuire dell’incidenza del lavoro a tempo determinato induce quindi a considerare l’ipotesi
che molte donne, allorché non possono più lavorare nemmeno con tale tipologia contrattuale,
siano indotte a ritirarsi dal mercato del lavoro. Questa analisi ci consente, quindi, di trarre
alcune indicazioni di policy, ovvero la flessibilità (intesa come contratto di lavoro a tempo
determinato) è uno strumento che garantisce una elevata partecipazione femminile al mercato
del lavoro.
74
Tabella 13.3 _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in provincia di
Cremona. Anno 2002
Tempo indeterminato Tempo determinato
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Età
15/19 anni 1.9 0.2 1.2 13.0 1.5 5.8
20/24 anni 6.1 7.4 6.7 34.9 22.9 27.3
25/29 anni 13.8 18.1 15.6 15.6 23.8 20.7
30/34 anni 17.4 17.4 17.4 7.3 21.1 16.0
35/39 anni 17.5 18.4 17.9 5.3 15.0 11.4
40/44 anni 16.0 16.3 16.1 5.0 4.6 4.7
45/49 anni 11.5 9.8 10.8 7.5 7.9 7.8
50/54 anni 11.5 8.7 10.3 2.3 1.6 1.9
55/59 anni 2.8 2.7 2.7 2.2 1.6 1.8
60/64 anni 1.1 0.6 0.9 4.6 0.0 1.7
65 e oltre 0.3 0.5 0.4 2.3 0.0 0.9
Totale 100 100 100 100 100 100
Stato Civile
Celibe/Nubile 41.4 30.6 36.9 70.4 44.6 54.2
Coniugato/a 56.0 63.0 58.9 29.6 46.9 40.5
Separato/a di fatto 0.5 0.5 0.5 0.0 0.0 0.0
Separato/a legalmente 1.6 2.5 2.0 0.0 3.4 2.1
Divorziato/a 0.2 2.0 1.0 0.0 3.7 2.3
Vedovo/a 0.2 1.3 0.6 0.0 1.4 0.9
Totale 100 100 100 100 100 100
Titolo di studio
Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea 0.9 0.0 0.5 0.0 0.0 0.0
Laurea 6.8 12.0 8.9 16.9 12.2 14.0
Diploma universitario o laurea breve 0.9 1.8 1.3 0.0 0.0 0.0
Diploma di maturità 29.7 34.3 31.6 50.0 27.0 35.5
Diploma di qualifica professionale 11.1 17.9 13.9 4.8 17.1 12.5
Licenza media inferiore 42.8 28.0 36.6 19.3 40.6 32.7
Licenza elementare 7.4 5.6 6.7 7.0 3.2 4.6
Nessun titolo 0.5 0.4 0.4 2.0 0.0 0.7
Totale 100 100 100 100 100 100
Posizione professionale
Dirigente 3.2 0.2 1.9 0.0 0.0 0.0
Direttivo/quadro 7.2 4.7 6.1 13.4 1.8 6.1
Impiegato/intermedio 29.5 54.3 39.8 36.7 46.6 42.9
Operaio ed assimilati 58.6 40.5 51.1 39.8 49.1 45.7
Apprendista 1.5 0.1 0.9 10.0 2.5 5.3
Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0.0 0.2 0.1 0.0 0.0 0.0
Imprenditore 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0
Libero professionista 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0
Lavoratore in proprio 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0
Socio di cooperativa 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0
Coadiuvante in un'impresa familiare 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0
Totale 100 100 100 100 100 100
75
Tabella 13.3 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in
provincia di Cremona. Anno 2002
Tempo indeterminato Tempo determinato
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Branca d'attività
Agricoltura, Caccia e Pesca 5.2 0.9 3.4 0.0 1.5 1.0
Industria dell'energia e industria estrattiva 2.3 0.4 1.5 26.5 25.2 25.7
Industria della trasformazione 44.3 28.8 37.8 6.7 0.0 2.5
Costruzioni 6.6 0.6 4.1 4.6 0.0 1.7
Altre attività: commercio 12.0 10.5 11.4 11.7 13.5 12.9
Altre attività: alberghi e ristoranti 0.3 2.8 1.3 5.3 6.0 5.7
Altre attività: trasporti e comunicazione 5.2 2.4 4.1 5.3 3.0 3.8 Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria,
attività immobiliari 4.0 2.3 3.3 0.0 0.0 0.0 Altre attività: servizi alle imprese e altre
attività professionali e imprenditoriali 3.2 6.9 4.7 12.8 11.9 12.2
Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 6.8 7.5 7.1 2.3 5.1 4.1
Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 6.3 30.9 16.5 16.6 19.7 18.6
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 3.8 5.8 4.6 8.2 14.1 11.9
Totale 100 100 100 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Figura 13.2 _ Incidenza dell’occupazione a tempo determinato sull’occupazione dipendente e tassi di
partecipazione per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno 2002)
0
20
40
60
80
100
120
15/19
anni
20/24
anni
25/29
anni
30/34
anni
35/39
anni
40/44
anni
45/49
anni
50/54
anni
55/59
anni
60/64
anni
65 e oltre
% lavoratori
tempo deter di sesso maschile
Tasso di
partecipazione
maschile
% lavoratori
tempo deter di sesso femminile
Tasso di
partecipazione
femminile
77
Per quanto riguarda lo stato civile dei lavoratori a tempo determinato, nel 2002, in provincia di
Cremona, mentre la maggior parte degli uomini che lavora a tempo determinato è celibe (70,4%,
rispetto al 41,4% dei lavoratori a tempo indeterminato), le donne occupate con questa tipologia
contrattuale sono più o meno equamente distribuite tra coniugate e nubili (rispettivamente, il 46,9%
e il 44,6% in confronto al 63,0% di donne coniugate e al 30,6% di nubili con contratto di lavoro a
tempo indeterminato).
Relativamente al titolo di studio, le donne che lavorano a tempo determinato sono mediamente
meno istruite di quelle occupate a tempo indeterminato: il 43,8% delle lavoratrici a tempo
determinato ha infatti conseguito al massimo il titolo di scuola dell’obbligo contro il 34,0% di
quelle con un contratto di lavoro permanente; inoltre, la percentuale di donne con il diploma di
licenza media superiore è in media più elevata tra le lavoratrici a tempo indeterminato (34,3%)
piuttosto che tra le lavoratrici a tempo determinato (27,0%), mentre non emergono grosse differenze
per quanto riguarda le laureate. Nel caso degli uomini, invece, emerge in maniera evidente che i
lavoratori a tempo determinato sono in media più istruiti di quelli che lavorano a tempo
indeterminato: il 16,9% (contro il 6,8%) sono laureati, il 50,0% (in confronto al 27,8%) ha
conseguito il diploma di maturità, mentre “solo” il 28,3% (rispetto al 50,7%) è in possesso al
massimo del diploma di licenza media inferiore.
Le donne, sia che lavorino a tempo determinato o a tempo indeterminato, lavorano quasi
esclusivamente come impiegate o come operaie, anche se in media tra le lavoratrici a tempo a
tempo indeterminato ci sono, in termini percentuali, più impiegate e meno operaie rispetto alle
lavoratrici a tempo determinato (rispettivamente, il 54,3% rispetto al 46,6% e il 40,5% contro il
49,1%), probabilmente a causa del fatto che le seconde sono mediamente meno istruite delle prime.
Per quanto riguarda gli uomini, gli operai rappresentano il 39,8% dei lavoratori a tempo
determinato, mentre costituiscono il 58,6% dei lavoratori a tempo indeterminato. Le posizioni
impiegatizie e quelle dirigenziali e direttive sono, invece, ricoperte rispettivamente dal 36,7% e dal
13,4% degli occupati con contratto a tempo determinato contro rispettivamente il 29,5% e il 10,4%
dei lavoratori a tempo indeterminato. Anche, nel caso degli uomini, la struttura per posizione
professionale dei lavoratori sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato sembra riflettere
quella che è la distribuzione per titolo di studio, analizzata precedentemente, degli occupati con
queste due tipologie contrattuali.
Infine, per quanto riguarda il settore di attività economica, si osserva che gli occupati a tempo
determinato lavorano principalmente nell’industria della trasformazione, sia nel caso delle donne
(25,2%) sia nel caso degli uomini (26,5%), mentre gli uomini e le donne che lavorano a tempo
78
indeterminato sono occupati soprattutto rispettivamente nell’industria della trasformazione (44,3%)
e nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (30,9%).
1.7.1 I motivi e la durata dell’occupazione a tempo determinato
La Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro condotta dall’ISTAT consente di analizzare i
motivi per cui un lavoratore ha un’occupazione a tempo determinato e la durata complessiva
dell’occupazione a termine.
In provincia di Cremona, nel 2002, il 37,7% dei lavoratori ha un’occupazione a tempo determinato
perché ha un contratto di formazione lavoro o di apprendistato (contratti a causa mista), ma un’altra
buona parte (28,4%) lavora a termine perché non è riuscita a trovare un lavoro a tempo
indeterminato (Tabella 13.4). La quota di coloro che lavorano a tempo determinato per propria
scelta è esigua (3,6%) e una quota pari all’11,8% si dichiara in prova. L’occupazione a tempo
determinato per gli uomini appare, nel complesso, più legata ad una fase di ingresso nel mondo del
lavoro (il 54,8% degli occupati con un contratto temporaneo o è assunto con un contratto a causa
mista o è in prova contro il 46,4% delle donne), mentre per le donne appare più spesso una
condizione subita (32,9% sono le occupate a tempo determinato involontarie contro il 20,6% degli
uomini).
Tabella 13.4 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini Donne Totale
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 47.2 32.1 37.7
Non ha potuto trovare un lavoro permanente 20.6 32.9 28.4
Non desidera un lavoro permanente 7.7 1.2 3.6
E' in prova 7.6 14.3 11.8
Altri motivi 17.0 19.4 18.5
100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
La tabella 13.5 mostra che il 78,1% degli uomini che lavora a tempo determinato perché ha un
contratto a causa mista ha un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni, dato questo che conferma come
l’occupazione a tempo determinato per gli uomini appaia, in generale, più legata ad una fase di
ingresso sul mercato del lavoro.
L’involontarietà del lavoro a termine (non ha potuto trovare un lavoro permanente), per le donne,
cresce al crescere dell’età delle lavoratrici temporanee, mentre per gli uomini si rileva un
andamento meno lineare. Le donne oltre i 35 anni, invece, non desiderano un lavoro a tempo
79
indeterminato. Coloro che lavorano a tempo determinato perché in prova hanno soprattutto un’età
compresa tra i 25 ed i 34 anni. (rispettivamente, il 69,4% degli uomini ed il 60,2% delle donne).
Tabella 13.5 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona
(Anno 2002)
Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 78.1 17.3 4.6 100
Non ha potuto trovare un lavoro permanente 40.0 22.8 37.2 100
Non desidera un lavoro permanente 36.3 0.0 63.8 100
E' in prova 0.0 69.4 30.6 100
Altri motivi 0.0 27.9 72.1 100
Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 35.4 43.6 21.0 100
Non ha potuto trovare un lavoro permanente 21.1 38.3 40.6 100
Non desidera un lavoro permanente 0.0 0.0 100.0 100
E' in prova 8.2 60.2 31.6 100
Altri motivi 25.4 49.6 25.0 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
In relazione alla durata temporale del contratto, poco più di un terzo (33,8%) degli occupati a
termine è assunto con un contratto di durata compresa tra i 7 ed i 12 mesi, il 18,8% con un contratto
di durata tra i 19 ed i 24 mesi (Tabella 13.6). Analizzando la durata temporale dei contratti a
termine distintamente per sesso, si evidenzia una maggiore rilevanza dei contratti brevissimi per le
donne (il 23,5% è assunto con un contratto di durata inferiore ai sei mesi, contro il 9,5% degli
uomini) e di quelli di media durata (da sei a dodici mesi) per gli uomini (il 40,6% in confronto al
29,7% delle donne). Infine, emerge una differenza di tre punti percentuali a favore degli uomini per
quanto riguarda i contratti “medio lunghi”: rispettivamente il 34,2% degli uomini e il 31,1% delle
donne lavora, infatti, con contratti a termine di durata da 13 ad oltre 36 mesi.
Tabella 13.6 _ Durata complessiva dell’occupazione a termine. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini Donne Totale
Durata non definita 15.7 15.7 15.7
Meno di 1 mese 0.0 0.0 0.0
Da 1 a 3 mesi 7.0 9.2 8.4
Da 4 a 6 mesi 2.4 14.3 9.9
Da 7 a 12 mesi 40.6 29.7 33.8
Da 13 a 18 mesi 2.8 1.2 1.8
Da 19 a 24 mesi 26.2 14.4 18.8
Da 25 a 36 mesi 5.2 9.8 8.1
Più di 3 anni 0.0 5.6 3.5
Totale 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
80
E’ possibile verificare, distinguendo tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato, se
tra gli occupati alle dipendenze, vi siano individui in cerca di un altro lavoro e se si per quale
motivo. Si nota che la percentuale di persone in cerca di un’altra occupazione è mediamente più
elevata tra i lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato (rispettivamente il 20,4%
contro il 2,6%) (Tabella 13.7). E la percentuale di persone in cerca di nuova occupazione tra coloro
che hanno un contratto a termine risulta (in media) essere più elevata per le donne (21,5%) piuttosto
che per gli uomini (18,7%).
Tabella 13.7 _ Percentuale di individui alla ricerca di un’altra occupazione tra i lavoratori a tempo determinato
e a tempo indeterminato. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Tempo indeterminato Tempo determinato
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Cerca un altro lavoro 2.3 3.0 2.6 18.7 21.5 20.4
Non cerca un altro lavoro 97.7 97.0 97.4 81.3 78.5 79.6
Totale 100 100 100 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Ma quali sono i motivi che spingono un individuo, già in possesso di un’occupazione, a cercare un
altro lavoro? Nel caso degli occupati a tempo indeterminato, l’81,1% cerca un altro lavoro poiché
aspira a condizioni migliori (l’80,1% degli uomini e l’82,3% delle donne) (Tabella 13.8). Per
quanto riguarda i lavoratori a tempo determinato, il timore di perdere l’attuale occupazione e
l’aspirazione a condizioni di vita migliore sono le motivazioni per cui cerca un altro lavoro il 92,9%
delle donne (contro il 58,6% degli uomini); mentre il 28,5% degli uomini che lavorano con
contratto a termine cerca una nuova occupazione perché teme di perdere l’attuale occupazione,
nessuna donna occupata con questa tipologia contrattuale cerca un altro lavoro per questa
motivazione.
Tabella 13.8 _ Motivi della ricerca di un altro lavoro. Lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.
Provincia di Cremona (Anno 2002)
Tempo indeterminato Tempo determinato
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Teme di perdere l'attuale occupazione 0.0 0.0 0.0 28.5 0.0 9.7
L'attuale occupazione è a termine 4.0 5.5 4.7 30.7 60.1 50.1
Cerca una seconda attività lavorativa 0.0 4.3 2.0 0.0 0.0 0.0
Aspira a condizioni di lavoro migliore 80.1 82.3 81.1 27.9 32.8 31.2
Altri motivi 11.5 7.9 9.8 12.9 7.1 9.1
Motivi non specificati 4.3 0.0 2.3 0.0 0.0 0.0
Totale 100 100 100 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
81
1.7.2 Non occupati e occupazione a tempo determinato
Il questionario della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro (RTFL) ci consente anche di
verificare i motivi per cui gli individui non occupati (disoccupati e inattivi) da meno di 8 anni hanno
abbandonato l’ultima occupazione (Tabella 13.9).
Complessivamente, tra i motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione, quello
maggiormente addotto dagli uomini è la pensione di anzianità o di vecchiaia (75,5%), mentre nel
caso delle donne l’ultima occupazione è stata abbandonata, oltre che a causa della pensione di
anzianità o di vecchiaia (38,2%), anche per motivi personali o familiari (32,3%). Tuttavia, si nota
che in provincia di Cremona, nel 2002, il 7,1% dei non occupati dichiara di aver abbandonato
l’ultima occupazione a causa della fine di un lavoro a tempo determinato (il 10,4% delle donne e il
4,1% degli uomini).
Tabella 13.9 _ Motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini Donne Totale
Licenziamento 3.6 7.5 5.5
Fine di una lavoro a tempo determinato 4.1 10.4 7.1
Motivi personali o familiari 1.2 32.3 16.1
Malattia o invalidità 5.2 2.5 3.9
Frequenza di corsi scolastici 2.0 3.0 2.5
Prepensionamento 1.9 2.2 2.1
Pensionamento di anzianità o di vecchiaia 75.5 38.2 57.6
Servizio di leva o servizio civile 2.2 0.0 1.1
Altri motivi 4.3 3.7 4.0
Totale 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Concentrandoci su coloro che hanno abbandonato l’ultima occupazione per la fine di un lavoro a
tempo determinato, è possibile verificare quale posizione professionale occupassero ed in quale
branca di attività economica fossero occupati (Tabella 13.10). Emerge che le donne inoccupate che
hanno abbandonato l’ultima occupazione da meno di otto anni erano tutte lavoratrici dipendenti,
mentre tra gli uomini erano soprattutto lavoratori alle dipendenze (88,6%), ma con un 11,4% che
era lavoratore autonomo senza dipendenti. Per quanto concerne il settore di attività economica,
coloro che avevano un contratto di lavoro a tempo determinato e che, nel 2002, dichiarano di essere
non occupati, lavoravano principalmente nell’industria della trasformazione (il 41,5%, a sintesi del
50,4% degli uomini e il 37,7% delle donne) e nell’istruzione, sanità e altri servizi sociali (il 21,3%,
come sintesi del 29,2% degli uomini e del 17,9% delle donne).
82
Tabella 13.10 _ Posizione professionale e branca di attività dei non occupati che hanno abbandonato l’ultima
occupazione da meno di 8 mesi. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini Donne Totale
Posizione nella professione
Alle dipendenze 88.6 100.0 96.6
Autonomo (senza dipendenti) 11.4 0.0 3.4
Totale 100 100 100
Branca di attività economica
Agricoltura, caccia e pesca 0.0 3.6 2.5
Industria della trasformazione 50.4 37.7 41.5
Altre attività: commercio 0.0 4.3 3.0
Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari 9.6 0.0 2.9
Altre attività: servizi alle imprese e altre attività professionali e imprenditoriali 0.0 11.1 7.8
Altre attività: P.A. difesa e assicurazioni sociali obbligatorie 10.8 16.3 14.6
Altre attività: istruzione, sanità e altri servizi sociali 29.2 17.9 21.3
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 0.0 9.1 6.4
Totale 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
83
1.8 La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a
tempo determinato
La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato, piuttosto
che a tempo indeterminato, in provincia di Cremona, è stata stimata con un modello probit7. In
questo modello econometrico la variabile dipendente è una variabile discreta che assume valore 1
nel caso l’individuo sia occupato alle dipendenze a tempo determinato e valore 0 nel caso sia
occupato alle dipendenze a tempo indeterminato. Le variabili esplicative utilizzate sono il sesso,
l’età (e l’età al quadrato), la posizione nella famiglia, lo stato civile ed il titolo di studio.
I risultati della stima econometrica mostrano che, a parità delle altre caratteristiche personali, la
probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato, piuttosto che a
tempo indeterminato, è influenzata in maniera significativa dall’età, dal sesso, dalla posizione
famigliare, mentre stato civile e titolo di studio non sembrano avere un impatto significativo
(Tabella 14.1).
In particolare, tale probabilità :
si riduce meno che proporzionalmente al crescere dell’età (come rilevabile dal coefficiente
negativo della variabile età e da quello positivo della variabile età2).;
aumenta se si è donne piuttosto che uomini;
cresce se, all’interno del nucleo famigliare, si ricoprono le posizioni di figlio o di altro parente
rispetto a quella di capofamiglia.
7 La stima in oggetto è stata condotta utilizzando i microdati, relativi, al 2002, della Rilevazione Trimestrale
sulle Forze di Lavoro dell’ISTAT.
84
Tabella 14.1 _ Stima probit della probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo
determinato in provincia di Cremona
Number of obs = 1655
LR chi2(11) = 88.88
Prob> chi2 = 0.000
Pseudo R2 = 0.116
Variabili esplicative Coeff. Std. Err. z P>|z|
Età -0.163 0.029 -5.59 0.000
Età2 0.002 0.000 4.90 0.000
Sesso (Donne=1) 0.354 0.131 2.70 0.007
Coniuge 0.247 0.183 1.35 0.178
Figlia 0.405 0.238 1.71 0.088
Altro parente 0.589 0.315 1.87 0.061
Coniugato 0.264 0.237 1.11 0.266
Separato/Divorziato/Vedovo 0.444 0.307 1.45 0.148
Diploma Licenza Media -0.231 0.236 -0.98 0.329
Diploma Licenza Superiore -0.223 0.235 -0.95 0.342
Titolo di studio Universitario 0.043 0.256 0.17 0.866
Costante 1.440 0.646 2.23 0.026
Note: variabili escluse Capofamiglia,Celibe/Nubile, Licenza elementare
Tra parentesi sono riportate le statistiche z
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
La Figura 14.1 mostra gli effetti marginali per le variazioni delle variabili inserite nel modello, i cui
coefficienti sono statisticamente significativi (età, età2, sesso, figlia, altro parente). Si osserva che
un anno in più di età riduce la probabilità di lavorare a tempo determinato dell’1,5% circa, ma nello
stesso tempo la incrementa dello 0,02% (effetto dovuto alla variabile età2). In altri termini, si
conferma che la probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a termine si riduce
meno che proporzionalmente al crescere dell’età. Per esaminare gli effetti delle variabili categoriche
statisticamente significative (sesso, figlia, altro parente), poiché per tali variabili non ha senso
calcolare gli effetti marginali, quello che si ottiene è un confronto tra la probabilità di essere
occupato alle dipendenze a tempo determinato stimata nella situazione “di partenza” con la
probabilità stimata dopo che l’individuo è stato posto nella nuova categoria.
85
Si nota che:
essere donna, rispetto ad essere uomo, incrementa la probabilità di lavorare a tempo determinato
del 3,4%;
essere figlia in un nucleo familiare, rispetto a non esserlo, incrementa tale probabilità del 4,2%
circa;
essere altro parente in un nucleo familiare, rispetto a non esserlo, incrementa tale probabilità
dell’8,5% circa.
Figura 14.1 _ Modello probit: effetti marginali. Valori percentuali
Note: sono stati riportati gli effetti marginali solo delle variabili con coefficiente statisticamente significativo
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Allo scopo di rendere ancora più agevole l’interpretazione dei risultati delle stime, sono stati
individuati degli individui “rappresentativi”, per ciascuno dei quali è stata calcolata la probabilità di
essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato (anche se occorre tener presente
il fatto che non tutte le variabili esplicativa hanno coefficiente statisticamente significativo) (Tabella
14.2). Si rileva che la probabilità di essere lavoratore dipendente con contratto a tempo determinato,
tra gli individui “rappresentativi” presi in considerazione, è più elevata per una donna di 19 anni,
nubile, con posizione di figlia all’interno del nucleo familiare e diploma di licenza superiore (il
30,9%). Mentre tale probabilità è più bassa, sempre relativamente agli individui “rappresentativi”
considerati, per un uomo di 40 anni, sposato, capofamiglia e con diploma di scuola superiore
(l’1,2%). Osservando le probabilità associate a ciascun individuo “rappresentativo”, si evidenzia,
-1,49
0,02
3,40
4,28
8,49
-2
-1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Età Età2 Sesso Figlia Altro parente
86
ancora una volta, che, a parità delle altre caratteristiche, la probabilità di essere occupati alle
dipendenze con contratto a tempo determinato:
si riduce meno che proporzionalmente al crescere dell’età;
aumenta se si è donne, piuttosto che uomini;
è influenzata positivamente dal fatto di essere figlia o altro parente all’interno di un nucleo
famigliare.
Tabella 14.2 _ Descrizione degli individui “rappresentativi” e rispetti probabilità di essere occupati alle
dipendenze con contratto a tempo determinato
Individui rappresentativi Probabilità associate Donna, 19 anni, nubile, figlia, diplomata 30,9%
Uomo, 19 anni, celibe, figlio, diplomato 19,7%
Donna, 30 anni, nubile, altro parente, laureata 18,2%
Uomo, 30 anni, celibe, altro parente, laureato 10,4%
Donna, 40 anni, sposata, coniuge, diplomata 4,8%
Uomo, 40 anni, sposato, capofamiglia, diplomato 1,2%
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
87
1.9 Contratti flessibili e ricerca del posto di lavoro
In questa sezione si analizzerà con quali contratti e con quale orario siano disposte a lavorare le
persone alla ricerca di un posto di lavoro, ovvero se siano disponibili a lavorare anche con un
contratto a tempo a tempo determinato e/o con un orario a tempo parziale.
In primo luogo, nel 2002, si nota che il 4,0% delle popolazione di 15 anni ed oltre della provincia di
Cremona dichiara di essere alla ricerca di un posto di lavoro (Figura 15.1). Di coloro che cercano un
lavoro, il 62,2% sono di sesso femminile (Figura 15.2).
Figura 15.1 _ Percentuale di persone alla ricerca di un lavoro in Provincia di Cremona (Anno 2002).
Cerca un lavoro
4,0%
Non cerca un
lavoro
96,0%
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
88
Figura 15.2 _ Composizione delle persone alla ricerca di un lavoro per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002).
Uomini
37,8%
Donne
62,2%
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Relativamente alla condizione occupazionale di coloro che cercano un posto di lavoro, si osserva
che il 39,2% dichiara di essere occupato, il 33,5% di essere in cerca di occupazione, il 21,7% di
essere inattivo ma di cercare lavoro non attivamente, il 5,2% di essere inattivo ma non disponibile a
lavorare immediatamente e, infine, la percentuale residuale (0,4%) di essere inattivo con età
superiore ai 65 anni (Tabella 15.1). In un sintetico confronto di genere,si osserva che tra gli uomini
alla ricerca di lavoro ci sono soprattutto individui già in possesso di un’occupazione (49,2%),
mentre tra le donne ci sono principalmente persone in cerca di occupazione (38,6%); infine, la
percentuale di persone che rientrano tra le non forze di lavoro e che ricercano, anche se non
attivamente, un lavoro, risulta essere non trascurabile sia tra gli uomini (18,4%) sia tra le donne
(23,6%).
89
Tabella 15.1 _ Condizione occupazionale attuale delle persone alla ricerca di lavoro per sesso. Provincia di
Cremona (Anno 2002)
Condizione attuale Uomini Donne Totale
Occupati dichiarati 47.9 31.0 37.3
Altri occupati 1.3 2.2 1.9
Disoccupati (azioni 30 gg) 13.2 17.7 16.0
Persone in cerca di prima occupazione (30 gg) 10.6 5.2 7.2
Altre persone in cerca di occupazione (30 gg) 1.3 15.7 10.3
NFL che cercano lavoro non attivamente 18.4 23.6 21.7
NFL non cercano ma disponibili a lavorare immediatamente 0.0 0.0 0.0
NFL non disponibili a lavorare immediatamente 7.3 3.9 5.2
NFL di età superiore a 65 anni 0.0 0.6 0.4
Totale 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
L’occupazione prevalentemente ricercata da chi dichiara di essere in cerca di un lavoro è, come ci si
poteva attendere, alle dipendenze con contratto di lavoro a tempo indeterminato (62,7%) (Tabella
15.2). Tuttavia, il 5,8% (il 5,4% degli uomini ed il 6,1% delle donne) dichiara di cercare
un’occupazione alle dipendenze con contratto a termine ed un altro rilevante 30,0% (il 33,9% degli
uomini ed il 27,6% delle donne) dichiara di cercare un lavoro dipendente senza esprimere
preferenze per il tipo di contratto, quindi anche a tempo determinato.
Tabella 15.2 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Uomini Donne Totale
Alle dipendenze
Con contratto a tempo indeterminato 60.7 63.8 62.7
Con contratto a termine 5.4 6.1 5.8
Con contratto di formazione professionale 0.0 0.0 0.0
Senza preferenze 33.9 27.6 30.0
Autonomo
Ha già predisposto i mezzi per esercitarlo 0.0 0.0 0.0
Non ha ancora predisposto i mezzi per esercitarlo 0.0 2.5 1.6
Totale 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
Il tipo di occupazione cercato può essere analizzato distinguendo per la condizione occupazionale
(aggregata in occupati, persone in cerca di occupazione e non forze di lavoro) di chi è alla ricerca di
lavoro (Tabella 15.3). Chi è già in possesso di un’occupazione prevalentemente cerca un lavoro alle
dipendenze a tempo indeterminato (76,5%) e ciò risulta essere vero sia per gli uomini (72,1%) sia
per le donne (80,5%). Le persone in cerca di occupazione, invece, o cercano un’occupazione alle
dipendenze a tempo indeterminato oppure non esprimono preferenze per il tipo di contratto
90
(rispettivamente, il 49,5% ed il 47,5 %); tuttavia, le donne sono più propense degli uomini a
lavorare a tempo indeterminato (52,9% contro il 40,8% degli uomini), mentre gli uomini (il 54,8%)
più delle donne (il 44,6%) non esprimono preferenze per la tipologia contrattuale. Infine, gli inattivi
mostrano una disponibilità a lavorare a tempo determinato (14,2%) più elevata di quella degli
occupati (2,4%) e delle persone in cerca di occupazione (2,5%). In particolare, rispettivamente il
16,6% degli uomini inattivi ed il 12,8% delle donne inattive cerca prevalentemente un’occupazione
dipendente con contratto a termine.
Tabella 15.3 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso e per condizione occupazionale attuale.
Provincia di Cremona (Anno 2002)
Condizione attuale
Con contratto
a
tempo
indeterminato
Con
contratto
a
termine
Con
contratto di
formazione
professionale
Senza
preferenze
Autonomo
(ha già
predisposto
i mezzi per
esercitarlo)
Autonomo
(non ha
ancora
predisposto
i mezzi per
esercitarlo)
Totale
Uomini
Occupati 72.1 0.0 0.0 27.9 0.0 0.0 100
Persone in cerca di occupazione 40.8 4.4 0.0 54.8 0.0 0.0 100
NFL (15 anni ed oltre) 58.3 16.6 0.0 25.1 0.0 0.0 100
Totale 60.7 5.4 0.0 33.9 0.0 0.0 100
Donne
Occupati 80.5 4.5 0.0 12.7 0.0 2.3 100
Persone in cerca di occupazione 52.9 2.5 0.0 44.6 0.0 0.0 100
NFL (15 anni ed oltre) 59.2 12.8 0.0 21.9 0.0 6.1 100
Totale 63.8 6.1 0.0 27.6 0.0 2.5 100
Totale
Occupati 76.5 2.4 0.0 19.9 0.0 1.2 100
Persone in cerca di occupazione 49.5 3.0 0.0 47.5 0.0 0.0 100
NFL (15 anni ed oltre) 58.9 14.2 0.0 23.0 0.0 4.0 100
Totale 62.7 5.8 0.0 30.0 0.0 1.6 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
E’ possibile, infine, osservare con quale orario sarebbero disposte a lavorare le persone alla ricerca
di un’occupazione (Tabella 15.4). Si rileva che la maggior parte degli uomini che cerca un lavoro
vorrebbe lavorare esclusivamente/preferibilmente a tempo pieno (il 77,6%), mentre le donne che
vorrebbero lavorare a tempo pieno (esclusivamente/parzialmente) costituiscono il 55,9% delle
donne in cerca di lavoro. D’altra parte, sono soprattutto le donne che dichiarano che vorrebbero
lavorare esclusivamente/prevalentemente a tempo parziale (il 28,4% contro l’8,0% degli uomini).
Infine, si registra che rispettivamente il 15,7% delle donne ed il 14,3% degli uomini che sono alla
ricerca di un lavoro vorrebbe lavorare con qualsiasi orario.
91
Tabella 15.4 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)
Orario con cui vorrebbe lavorare Uomini Donne Totale
Esclusivamente a tempo pieno 28.1 22.0 24.3
Esclusivamente a tempo parziale 4.5 19.0 13.5
Preferibilmente a tempo pieno 49.5 33.9 39.8
Preferibilmente a tempo parziale 3.6 9.5 7.2
Qualsiasi orario 14.3 15.7 15.2
Totale 100 100 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
L’orario con il quale si vorrebbe lavorare può essere analizzato distintamente per la condizione
occupazionale di coloro che dichiarano di cercare un lavoro (Tabella 15.5). In generale, coloro che
sono già in possesso di un’occupazione vorrebbero soprattutto lavorare
(esclusivamente/preferibilmente) a tempo pieno (il 72,6%): ciò risulta essere vero sia per gli uomini
(74,5%) sia per le donne (70,9%), anche se la percentuale di donne occupate che vorrebbero
lavorare (esclusivamente/preferibilmente) a tempo parziale (21,3%) è certamente più elevata di
quella degli uomini (3,8%). Tuttavia, tra gli occupati, la percentuale di uomini che lavorerebbero
con qualsiasi orario di lavoro (21,7%) è mediamente più elevata di quella delle donne (7,8%).
Per quanto riguarda le persone in cerca di occupazione, il 46,7% vorrebbe lavorare preferibilmente
a tempo parziale; questa percentuale sale al 72,9% per gli uomini, mentre si attesta al 36,4% per le
donne.
Infine, relativamente agli inattivi, il 57,2% vorrebbe lavorare (sia esclusivamente sia
preferibilmente) a tempo pieno, ma la percentuale di coloro che vorrebbero lavorare
(esclusivamente/preferibilmente) a tempo parziale è certamente superiore tra le donne inattive
piuttosto che tra gli uomini inattivi (il 31,8% contro il 18,9%).
92
Tabella 15.5 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso e per condizione occupazionale attuale. Provincia
di Cremona (Anno 2002)
Esclusivamente
a tempo pieno
Esclusivamente
a tempo
parziale
Preferibilmente
a tempo pieno
Preferibilmente
a tempo
parziale
Qualsiasi
orario Totale
Uomini
Occupati 29.0 0.0 45.5 3.8 21.7 100
Persone in cerca di occupazione 16.3 5.1 72.9 0.0 5.7 100
NFL (15 anni ed oltre) 37.9 12.3 34.4 6.6 8.8 100
Totale 28.1 4.5 49.5 3.6 14.3 100
Donne
Occupati 37.7 13.1 33.2 8.2 7.8 100
Persone in cerca di occupazione 11.7 15.5 36.4 11.5 25.0 100
NFL (15 anni ed oltre) 17.5 30.7 31.4 8.2 12.1 100
Totale 22.0 19.0 33.9 9.5 15.7 100
Totale
Occupati 33.6 6.9 39.0 6.1 14.4 100
Persone in cerca di occupazione 13.0 12.5 46.7 8.2 19.5 100
NFL (15 anni ed oltre) 24.8 24.2 32.4 7.6 11.0 100
Totale 24.3 13.5 39.8 7.2 15.2 100
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT
93
PARTE TERZA: La rilevazione diretta ad imprese , Enti Pubblici ed
Aziende Speciali in provincia di Cremona.
Nei paragrafi seguenti sono esposti i risultati della rilevazione diretta condotta su due tipologie di
interlocutori della provincia di Cremona: le aziende private da un lato e gli Enti Pubblici e le
Aziende Speciali dall’altro.
La rilevazione è avvenuta attraverso la somministrazione di un questionario a queste due tipologie
di soggetti.
1.10 Il campione delle società
Data l’impossibilità di intervistare la totalità delle imprese della provincia di Cremona, abbiamo
deciso di rivolgerci, in primo luogo, solo alle società di capitale dell’industria manifatturiera
cremonese; successivamente abbiamo preso in considerazione i due settori del manifatturiero più
rilevanti in termini di numero di imprese e di valore aggiunto, puntando la nostra attenzione sul
settore agro-alimentare e metalmeccanico; infine abbiamo campionato l’universo delle imprese di
questi due settori utilizzando un tasso di campionamento pari al 30% circa.
La fonte utilizzata per estrarre l’elenco delle imprese da intervistare è la banca dati SIES, una banca
dati formata dai dati individuali di bilancio dell’universo delle società di capitale cremonesi
appartenenti all’industria manifatturiera.
I bilanci forniti dal CERVED vengono convertiti in una matrice dei dati in cui ogni riga rappresenta
un’azienda e ogni colonna costituisce una posta di bilancio.
Le imprese appartenenti alla banca dati sono 687, mentre le poste del Conto Economico e dello
Stato Patrimoniale sono 76.
Di queste 687 imprese abbiamo considerato quelle appartenenti ai settori agro-alimentare (DA15) e
metalmeccanico (DJ-DK) considerando gli ultimi dati disponibili riferiti al 2001.
In questo modo abbiamo costruito il campione su 79 imprese del settore agro-alimentare e su 219
imprese del settore metalmeccanico.
Prima di spiegare il processo di campionamento, riteniamo necessario motivare la decisione di
prendere in considerazione questi due settori economici (agro-alimentare e metalmeccanico) e di
queste branche (DA 15, DJ e DK).
94
I due settori costituiscono le principali attività economiche in termini di valore aggiunto,
rappresentano infatti nel loro insieme il 61,1% del valore aggiunto dell’intera industria
manifatturiera cremonese e sono il 43,4% del totale del numero delle imprese.
Per ciò che riguarda le branche economiche dei due settori abbiamo fatto riferimento, nel caso
dell’agro-alimentare, alla branca DA 15, escludendo l’industria del tabacco DA 16, nel caso del
metalmeccanico, abbiamo selezionato quelle branche che fanno parte del settore metalmeccanico in
senso stretto:
DJ: “Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo” che a sua volta si
suddivide in altre due branche “Produzione di metalli e loro leghe”(27) e “Fabbricazione e
lavorazione dei prodotti in metallo, escluse macchine e impianti” (28);
DK: “Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (29).
Abbiamo escluso invece quelle branche che fanno parte di una definizione allargata di
metalmeccanico:
DL: “Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche”;
DM: “Fabbricazione di mezzi di trasporto”;
DN: “Altre industrie manifatturiere”.
Abbiamo preferito puntare l’attenzione su queste branche in quanto, in primo luogo, costituiscono il
nocciolo duro della metalmeccanica e in secondo luogo queste branche prevalgono sia in termini di
numero di imprese, formano il 77% dell’intero settore metalmeccanico inteso in senso allargato, sia
in termini di valore aggiunto, rappresentano il 77,6% dell’intero settore metalmeccanico.
95
Al fine della costruzione del campione sono state utilizzate due variabili: la “spesa complessiva
annua del personale” e la tipologia di attività di produzione delle imprese.
L’indicatore “spesa complessiva annua del personale” è stato scelto al posto del “numero degli
addetti”che doveva essere la variabile più adeguata ai fini della stratificazione, ma che non poteva
essere reperita dai dati di bilancio.
Il processo di costruzione del campione, distinto per i due settori economici, è avvenuto in due fasi.
Nella prima fase, l’universo delle imprese dei due settori è stato stratificato in base alle attività
economiche del codice ATECO.
Nel caso del settore agro-alimentare la suddivisione è avvenuta utilizzando la classificazione
ATECO a tre cifre:
151: Produzione e lavorazione della carne e dei prodotti a base di carne;
152: Lavorazione e conservazione di pesce e di prodotti a base di pesce;
153: Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
154: Fabbricazione di oli e grassi vegetali ed animali;
155: Industria lattiero-casearia;
156: Lavorazione delle granaglie e dei prodotti amidacei;
157: Fabbricazione di prodotti per l’alimentazione degli animali;
158: Fabbricazione di altri prodotti alimentari;
159: Industria delle bevande.
A differenza del settore agro-alimentare nel settore metalmeccanico la stratificazione è avvenuta
sulla base di una classificazione ATECO a sole due cifre.
27: Produzione di metalli e loro leghe;
28: Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo, escluse macchine e impianti;
29: Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici, compresi l’installazione, la
riparazione e la manutenzione.
Nella seconda fase le imprese stratificate in base al settore economico vengono poi suddivise in
base alla variabile “spesa annua complessiva del personale”.
96
Nel caso del settore agro-alimentare la suddivisione è avvenuta sulla base delle seguenti classi di
spesa:
imprese con spesa annua complessiva del personale fino a 500.000 euro;
imprese con spesa annua complessiva del personale oltre i 500.000 euro.
Nel caso del settore metalmeccanico, la stratificazione è avvenuta sulla base delle seguenti classi di
spesa:
imprese con spesa annua complessiva del personale fino a 250.000 euro;
imprese con spesa annua complessiva del personale da 250.000 a 1.000.000 euro;
imprese con spesa annua complessiva del personale oltre 1.000.000 di euro.
Una volta costruita questa doppia stratificazione per le imprese dell’universo del settore agro-
alimentare e del settore metalmeccanico abbiamo considerato il 30% delle imprese di ogni cella e
abbiamo scelto le imprese del campione attraverso un procedimento di estrazione casuale.
Nelle tabelle 16.1-16.4 abbiamo riportato il passaggio da universo a campione per i due settori
economici considerati.
97
Tabella 16.1: Universo delle imprese del settore agro-alimentare
Tabella 16.2: Campione delle imprese del settore agro-alimentare
Dall’universo delle imprese del settore agro-alimentare si nota come il comparto “Lavorazione di
pesce e di prodotti a base di pesce”(152) è privo di imprese nella provincia di Cremona; i settori
“Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi” (153) e l’ “Industria delle bevande”(159) non
hanno imprese con “spesa complessiva annua del personale” fino a 500.000 euro, mentre hanno
una sola impresa con “spesa complessiva annua del personale” maggiore di 500.000 euro.
Il campione è dunque costituito da 25 imprese estratte con procedimento casuale.
Nel corso della rilevazione sono sorti alcuni problemi relativi alla resistenza posta da parte di alcune
imprese nel compilare il questionario e la modifica dell’attività produttiva da parte di altre.
In questi due casi abbiamo provveduto a sostituire tali imprese con altre società dell’universo.
fino a 500.000 oltre i 500.000 Totale
151 15 9 24
153 0 1 1
154 2 1 3
155 12 11 23
156 2 3 5
157 3 2 5
158 7 10 17
159 0 1 1
Totale 41 38 79
fino a 500.000 Oltre i 500.000 Totale
151 5 3 8
153 0 0 0
154 1 0 1
155 4 3 7
156 1 1 2
157 1 1 2
158 2 3 5
159 0 0 0
Totale 14 11 25
98
Nel caso del comparto 156 le uniche due imprese appartenenti a tale comparto hanno modificato la
propria attività produttiva pertanto in quel caso siamo stati costretti a togliere un’impresa dal
campione che da 25 imprese è passato a 24.
fino a 250.000 250.000-1.000.000 Oltre i 1.000.000 Totale
DJ 27 2 3 7 12
DJ28 48 53 21 122
DK29 34 35 16 85
Totale 84 91 44 219
Tabella 16.3: Universo delle imprese del settore metalmeccanico
Tabella 16.4: Campione delle imprese del settore metalmeccanico
fino a 250.000 250.000-1.000.000 Oltre i 1.000.000 Totale
DJ 27 1 1 2 4
DJ28 14 16 6 36
DK29 10 11 5 26
Totale 25 28 13 66
Nel caso del settore metalmeccanico il campione è formato da 66 imprese, in questo caso non si
sono verificati i problemi relativi al settore agro-alimentare in quanto ogni strato presenta un
numero di imprese comunque maggiore di 1.
99
1.11 Il settore pubblico allargato
Oltre alle aziende private abbiamo considerato il Settore Pubblico allargato che comprende il
Settore Pubblico ristretto (i principali Comuni della provincia, l’Ente Provincia, la Camera di
Commercio) e le Aziende Speciali.
La lista dei soggetti a cui ci siamo rivolti è la seguente:
ENTI PUBBLICI:
I Comuni:
- Comune di Cremona;
- Comune di Offanengo;
- Comune di Castelleone;
- Comune di Pizzighettone;
- Comune di Soresina;
- Comune di Rivolta d’Adda;
- Comune di Casalmaggiore;
- Comune di Crema;
- Comune di Pandino;
La Provincia di Cremona
La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura;
LE AZIENDE SPECIALI:
L’Azienda Sanitaria Locale;
L’Azienda Ospedaliera;
L’Azienda Energetica Municipale;
Casalasca Servizi SPA;
Padania Acque SPA;
Consorzio Cremasco SPA;
ASPM Soresina Servizi;
Soresina Reti e Impianti SPA.
100
1.12 I questionari
Ai fini della rilevazione diretta sui contratti di lavoro atipici nella provincia di Cremona sono stati
costruiti due diversi questionari: uno per le aziende private e uno per gli Enti Pubblici e le Aziende
Speciali.8
Nella prima parte del questionario vengono chieste informazioni sulle caratteristiche dell’impresa,
dell’Ente Pubblico e delle Aziende Speciali quali il numero dei dipendenti, nel caso delle imprese
vengono inoltre approfonditi altri aspetti quali la suddivisione del personale per area funzionale,
l’organizzazione dei turni di lavoro e il ricorso al lavoro straordinario.
Nella seconda parte si richiedono invece informazioni sull’utilizzo di contratti o posizioni atipiche
da parte dell’impresa, Ente Pubblico, Azienda Speciale:
l’utilizzo di contratti di lavoro/posizioni atipiche;
le tipologie di contratti/posizioni atipiche in essere;
il titolo di studio, l’età, la tipologia di lavoro svolta dai lavoratori assunti con
contratto/posizione atipica;
le motivazioni sottostanti alla scelta di avvalersi di questi lavoratori;
la decisione di trasformare questi contratti in altre tipologie contrattuali;
l’utilizzo futuro dei contratti/posizioni atipiche.
Nella presente rilevazione abbiamo deciso di indagare su tutti quei contratti o posizioni atipiche
che, in quanto tali, si distinguono dal contratto a tempo indeterminato (full time).
E’ utile chiarire che non ci riferiamo solo a forme contrattuali, ma anche a posizioni che non
necessariamente predispongono una formalizzazione contrattuale come ad esempio i tirocini
formativi.
I contratti/posizioni atipiche che abbiamo scelto di analizzare sono i seguenti:
Contratti a tempo indeterminato (part time);
Contratti a tempo determinato (full time);
Contratti a tempo determinato (part time);
CFL;
Apprendistato;
CO.CO.CO.;
Collaborazioni occasionali;
Interinali;
8 I questionari sono riportati in Appendice B.
101
Tirocinio Formativo;
Altro.
E’ importante sottolineare che i dati forniti da imprese, Enti Pubblici ed Aziende Speciali si
riferiscono al 31 luglio 2003.
Per quanto riguarda la voce “Altro” è necessario puntualizzare che la maggior parte degli Enti
Pubblici ha voluto includere nella categoria “Altro” le forme contrattuali in essere con liberi
professionisti, i cosiddetti “incarichi professionali”, da tenere distinti dalle “collaborazioni
occasionali”.
102
1.13 Le caratteristiche delle imprese del campione: l’analisi sul numero dei
dipendenti per qualifica professionale, area funzionale e turni di
lavoro. I soci d’impresa nel settore metalmeccanico
1.13.1 I dipendenti per qualifica professionale
Le 24 imprese del campione costruito per il settore agro-alimentare, al mese di luglio 2003, contano
1.635 dipendenti, distribuiti in 1.187 operai, 396 impiegati e 52 dirigenti (tabella 19.1)
Tabella 19.1. Il campione di imprese del settore agro-alimentare: numero di dipendenti per qualifica
professionale e comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
pro
du
zio
ne,
lav
ora
zion
e e
con
serv
azio
ne
di
carn
e e
di
pro
do
tti
a b
ase
di
carn
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pro
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zio
ne
di
oli
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anim
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ind
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dei
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zio
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pro
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du
zio
ne
di
pro
do
tti
per
l'al
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i
pro
du
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ne
di
altr
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rod
ott
i
alim
enta
ri
IND
US
TR
IE A
GR
O-
AL
IME
NT
AR
I
operai valore assoluto 112 14 380 64 58 559 1187
valore percentuale 78,9% 87,5% 75,0% 62,1% 69,9% 71,3% 72,6%
impiegati valore assoluto 24 1 110 35 22 204 396
valore percentuale 16,9% 6,3% 21,7% 34,0% 26,5% 26,0% 24,2%
dirigenti valore assoluto 6 1 17 4 3 21 52
valore percentuale 4,2% 6,3% 3,4% 3,9% 3,6% 2,7% 3,2%
TOTALE valore assoluto 142 16 507 103 83 784 1635
valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
In termini percentuali, sul totale di 1.635 dipendenti, il 72,6% è rappresentato da operai, il 24,2% da
impiegati ed il 3,2% da dirigenti. La stessa analisi viene proposta pure per singolo comparto di
attività agro-alimentare. Dai dati di tabella 19.1 si evince che i due comparti maggiormente
rappresentati, come numero di dipendenti sul totale delle aziende agro-alimentari del campione,
riguardano la “produzione di altri prodotti alimentari” – dove la provincia di Cremona detiene una
rilevanza notevole soprattutto nell’ “industria dolciaria” – con 784 dipendenti e l’“industria lattiero-
casearia” con 507 dipendenti. A tale proposito, la disaggregazione dei dipendenti per qualifica
professionale evidenzia come nell’ “industria lattiero-casearia” è maggiore, rispetto alla media del
settore agro-alimentare, la presenza di operai, pari al 75% del totale, e minore quella di impiegati,
pari al 21,7%.
Invece, nel comparto di attività agro-alimentare – dove spicca la presenza di industrie dolciarie –
minore, sempre rispetto alla media dell’intero settore, è la presenza di operai (il 71,3% del totale) e
103
maggiore quella di impiegati (il 26%). Un altro comparto molto presente, in termini di imprese, in
provincia è rappresentato dal comparto “produzione, lavorazione e conservazione di carne e di
prodotti a base di carne”. In proposito, dei 142 dipendenti delle imprese del campione, monitorate
dal questionario sulla domanda di lavoro, quasi l’80% è costituito da operai e solo il 17% circa da
impiegati.
Tabella 19.2. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di dipendenti per qualifica
professionale e branca di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
pro
du
zio
ne
di
met
alli
e l
oro
leg
he
fab
bri
cazi
on
e e
lav
ora
zio
ne
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app
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can
ici
IND
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TR
IE
ME
TA
LM
EC
CA
NIC
HE
operai valore assoluto 438 568 638 1644
valore percentuale 69,2% 77,6% 73,7% 73,7%
impiegati valore assoluto 185 148 219 552
valore percentuale 29,2% 20,2% 25,3% 24,7%
dirigenti valore assoluto 10 16 9 35
valore percentuale 1,6% 2,2% 1,0% 1,6%
TOTALE valore assoluto 633 732 866 2231
valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Lo stesso tipo di analisi sui dipendenti, ma per il campione di imprese monitorate per il settore
metalmeccanico, è riportato in tabella 19.2. In questo caso, sui 2.231 dipendenti relativi alle 66
aziende del campione, 1.644, pari al 73,7%, sono operai, 552, pari al 24,7%, sono impiegati e 35
(solo l’1,6% del totale) sono dirigenti. Tali valori percentuali non si discostano più di tanto da
quanto emerso per il settore agro-alimentare.
In particolare, il peso degli operai sul totale è relativamente superiore per la branca “fabbricazione e
lavorazione dei prodotti in metallo” (il 77,6%) che per la branca “fabbricazione di macchine ed
apparecchi meccanici” (il 73,7%, in linea con il dato settoriale) e soprattutto per la branca
“produzione di metalli e loro leghe”, più comunemente detta “metallurgia”, (il 69,2%). Se ne
deduce che il peso degli impiegati sul totale è sopra la media settoriale per la stessa “metallurgia” (il
29,2% rispetto al 24,7% di cui si è detto sopra).
104
1.13.2 I dipendenti per area funzionale
Tabella 19.3. Il campione di imprese del settore agro-alimentare: numero di dipendenti per area funzionale e
comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
pro
du
zio
ne,
lav
ora
zion
e e
con
serv
azio
ne
di
carn
e e
di
pro
do
tti
a b
ase
di
carn
e
pro
du
zio
ne
di
oli
e g
rass
i
veg
etal
i e
anim
ali
ind
ust
ria
latt
iero
-cas
eari
a e
dei
gel
ati
lav
ora
zio
ne
del
le g
ran
agli
e e
di
pro
do
tti
amid
acei
pro
du
zio
ne
di
pro
do
tti
per
l'al
imen
tazi
on
e d
egli
an
imal
i
pro
du
zio
ne
di
altr
i p
rod
ott
i
alim
enta
ri
IND
US
TR
IE A
GR
O-
AL
IME
NT
AR
I
direzione valore assoluto 6 1 15 5 3 7 37
valore percentuale 4,2% 6,3% 3,0% 4,9% 3,6% 0,9% 2,3%
produzione valore assoluto 105 14 369 60 53 562 1163
valore percentuale 73,9% 87,5% 72,8% 58,3% 63,9% 71,7% 71,1%
logistica valore assoluto 6 0 32 10 7 27 82
valore percentuale 4,2% 0,0% 6,3% 9,7% 8,4% 3,4% 5,0%
finanza-amministrazione valore assoluto 10 1 44 10 8 20 93
valore percentuale 7,0% 6,3% 8,7% 9,7% 9,6% 2,6% 5,7%
personale-relazioni industriali valore assoluto 3 0 3 2 1 16 25
valore percentuale 2,1% 0,0% 0,6% 1,9% 1,2% 2,0% 1,5%
commerciale-marketing valore assoluto 5 0 23 6 4 79 117
valore percentuale 3,5% 0,0% 4,5% 5,8% 4,8% 10,1% 7,2%
R&S valore assoluto 1 0 3 1 3 12 20
valore percentuale 0,7% 0,0% 0,6% 1,0% 3,6% 1,5% 1,2%
controllo qualità valore assoluto 5 0 7 4 1 14 31
valore percentuale 3,5% 0,0% 1,4% 3,9% 1,2% 1,8% 1,9%
EDP valore assoluto 1 0 5 1 0 8 15
valore percentuale 0,7% 0,0% 1,0% 1,0% 0,0% 1,0% 0,9%
engineering valore assoluto 0 0 6 2 0 33 41
valore percentuale 0,0% 0,0% 1,2% 1,9% 0,0% 4,2% 2,5%
altro valore assoluto 0 0 0 2 3 6 11
valore percentuale 0,0% 0,0% 0,0% 1,9% 3,6% 0,8% 0,7%
TOTALE valore assoluto 142 16 507 103 83 784 1635
valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Una volta ripartiti i dipendenti per qualifica professionale, il passo successivo è stato quello di
distribuirli per area funzionale. In generale, nel settore agro-alimentare i dipendenti si concentrano
soprattutto nella produzione (1.163 dipendenti su 1.635, pari al 71,1%). L’area commerciale-
marketing è la seconda per importanza, come numero di dipendenti impiegati, con il 7,2%; seguono
l’area finanza-amministrazione (5,7%) e l’area logistica (5%).
105
Per branche, alcuni aspetti interessanti devono essere messi in rilievo. In primo luogo, il fatto che
per la “lavorazione delle granaglie e di prodotti amidacei” – cioè la molitura e lavorazione di
frumento ed altri cereali – e la “produzione di prodotti per l’alimentazione degli animali” nell’area
produzione si concentra un numero di dipendenti relativamente inferiore rispetto alla media del
settore agro-alimentare (rispettivamente il 58,3% ed il 63,9% del totale). Inoltre, nella “produzione
di altri prodotti alimentari” – essenzialmente “industria dolciaria” – oltre alla produzione, si nota il
peso rilevante detenuto dall’area commerciale-marketing (il 10,1% del totale dipendenti) e d’altro
canto quello relativamente modesto di finanza-amministrazione (2,6%) e logistica (3,4%).
Infine, la R&S è premiata soprattutto dalla “produzione di prodotti per l’alimentazione degli
animali” e dall’ “industria dolciaria”, mentre il controllo di qualità dalla “lavorazione delle
granaglie” e dalla “produzione, lavorazione e conservazione di carne e di prodotti a base di carne”.
106
Tabella 19.4. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di dipendenti per area funzionale e
comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
pro
du
zio
ne
di
met
alli
e l
oro
leg
he
fab
bri
cazi
on
e e
lav
ora
zio
ne
dei
pro
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tti
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e e
imp
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ed
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chi
mec
can
ici
IND
US
TR
IE
ME
TA
LM
EC
CA
NIC
HE
direzione valore assoluto 15 11 5 31
valore percentuale 2,4% 1,5% 0,6% 1,4%
produzione valore assoluto 508 532 625 1665
valore percentuale 80,3% 72,7% 72,2% 74,6%
logistica valore assoluto 26 23 74 123
valore percentuale 4,1% 3,1% 8,5% 5,5%
finanza-amministrazione valore assoluto 15 53 39 107
valore percentuale 2,4% 7,2% 4,5% 4,8%
personale-relazioni industriali valore assoluto 1 4 18 23
valore percentuale 0,2% 0,5% 2,1% 1,0%
commerciale-marketing valore assoluto 27 33 38 98
valore percentuale 4,3% 4,5% 4,4% 4,4%
R&S valore assoluto 7 9 19 35
valore percentuale 1,1% 1,2% 2,2% 1,6%
controllo qualità valore assoluto 20 21 13 54
valore percentuale 3,2% 2,9% 1,5% 2,4%
EDP valore assoluto 4 4 7 15
valore percentuale 0,6% 0,5% 0,8% 0,7%
engineering valore assoluto 0 20 24 44
valore percentuale 0,0% 2,7% 2,8% 2,0%
altro valore assoluto 10 22 4 36
valore percentuale 1,6% 3,0% 0,5% 1,6%
TOTALE valore assoluto 633 732 866 2231
valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Per il settore metalmeccanico (tabella 19.4), sempre la produzione rappresenta l’area funzionale con
maggiore numero di dipendenti sul totale; in cifre, 1.665 dipendenti su 2.231, pari al 74,6%.
Seguono la logistica (il 5,5% dei dipendenti totali), la finanza-amministrazione (4,8%) ed il
commerciale-marketing (4,4%).
In particolare, la percentuale di dipendenti nell’area produzione è mediamente superiore nella
branca “produzione di metalli e loro leghe” (80,3%), la logistica nella branca “fabbricazione di
macchine ed apparecchi meccanici” (8,5%) e la finanza-amministrazione nella branca
“fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo”. Inoltre, sempre in termini di dipendenti sul
107
totale, la R&S è curata soprattutto dalla branca “fabbricazione di macchine ed apparecchi
meccanici” (il 2,2% del totale) mentre il controllo di qualità dalle imprese metallurgiche (3,2%).
1.13.3 I dipendenti per turni di lavoro. Un accenno ai soci d’impresa del settore
metalmeccanico
Tabella 19.5. Il campione di imprese del settore agro-alimentare: numero di dipendenti per turni di lavoro e
comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
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IND
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I
3 turni valore assoluto 0 5 4 51 40 133 233
valore percentuale 0,0% 31,3% 0,8% 49,5% 48,2% 17,0% 14,3%
2 turni valore assoluto 0 0 129 20 0 421 570
valore percentuale 0,0% 0,0% 25,4% 19,4% 0,0% 53,7% 34,9%
giornaliero valore assoluto 142 11 236 32 43 230 694
valore percentuale 100,0% 68,8% 46,5% 31,1% 51,8% 29,3% 42,4%
6 x 6 valore assoluto 0 0 138 0 0 0 138
valore percentuale 0,0% 0,0% 27,2% 0,0% 0,0% 0,0% 8,4%
altro valore assoluto 0 0 0 0 0 0 0
valore percentuale 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0%
TOTALE valore assoluto 142 16 507 103 83 784 1635
valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Per turni di lavoro (tabella 19.5), i dipendenti del settore agro-alimentare, in generale, sono
impiegati principalmente sul turno “giornaliero”, con una quota del 42,4% del totale, cioè 694
dipendenti su 1.635. Una buona percentuale, però, è anche collocata sui due turni (il 34,9%), mentre
solo il 14,3% lavora su tre turni ed ancora meno (l’8,4% del totale) sono quelli che lavorano sei ore
al giorno per sei giorni la settimana (il cosiddetto 6x6).
Per comparti, si nota come il turno giornaliero interessi tutti i dipendenti delle imprese del campione
impegnate nella “produzione, lavorazione e conservazione di carne e prodotti a base di carne”, ma
solo il 29,3% dei dipendenti impiegati nella “produzione di altri prodotti alimentari”
(essenzialmente prodotti dolciari). Per quest’ultimo comparto, forte è l’utilizzo dei due turni
(53,7%). Inoltre, i tre turni interessano soprattutto i dipendenti dei comparti relativi alla
“lavorazione delle granaglie” ed alla “produzione di prodotti per l’alimentazione degli animali”, con
108
quote di circa il 50%. Da ultimo, si noti come il 6x6 riguarda unicamente i dipendenti
dell’“industria lattiero-casearia”.
Tabella 19.6. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di dipendenti per turni di lavoro e
comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
Pro
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zio
ne
di
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IND
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HE
3 turni valore assoluto 400 4 40 444
valore percentuale 63,2% 0,5% 4,6% 19,9%
2 turni valore assoluto 0 55 48 103
valore percentuale 0,0% 7,5% 5,5% 4,6%
giornaliero valore assoluto 233 673 770 1676
valore percentuale 36,8% 91,9% 88,9% 75,1%
6 x 6 valore assoluto 0 0 8 8
valore percentuale 0,0% 0,0% 0,9% 0,4%
altro valore assoluto 0 0 0 0
valore percentuale 0,0% 0,0% 0,0% 0,0%
TOTALE valore assoluto 633 732 866 2231
valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Per quanto concerne l’organizzazione dei turni di lavoro delle imprese del settore metalmeccanico,
in questo caso l’utilizzo del turno “giornaliero” è assai più massiccio rispetto a quanto visto per le
imprese agro-alimentari. Infatti, su 2.231 dipendenti, 1.676, pari al 75,1%, lavorano sul
“giornaliero”; percentuale che si alza all’88,9% ed al 91,9% se il riferimento è rispettivamente alle
imprese che fabbricano macchine ed apparecchi meccanici o che producono e lavorano prodotti in
metallo. Per la branca delle imprese metallurgiche, invece, anche se in questo caso pesa il fatto che
su un campione di sole quattro imprese metallurgiche ve ne sia una di dimensione assai rilevante, la
scelta sui tre turni di lavoro riguarda il 63,2% dei dipendenti. I due turni ed il cosiddetto 6x6, infine,
sono in generale molto poco utilizzati.
109
Tabella 19.7. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di soci, numero di soci attivi in azienda
e percentuale di soci attivi sul totale. Valori assoluti e valori percentuali.
pro
du
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ne
di
met
alli
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oro
leg
he
fab
bri
cazi
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lo,
escl
usi
mac
chin
e e
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ian
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fab
bri
cazi
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i m
acch
ine
ed
app
arec
chi
mec
can
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IND
US
TR
IE
ME
TA
LM
EC
CA
NIC
HE
numero di soci valore assoluto 2 91 43 136
attivi in azienda valore assoluto 2 55 33 90
% ATTIVI SUL NUMERO SOCI valore percentuale 100,0% 60,4% 76,7% 66,2%
Il questionario del settore metalmeccanico è stato in parte migliorato rispetto a quello agro-
alimentare data la sua successiva somministrazione alle imprese. Uno dei miglioramenti condotti è
stata l’introduzione del numero dei titolari e la funzione da essi svolta. Questa modifica ha
permesso di individuare alcune informazioni, solo per il settore metalmeccanico, sui soci d’impresa
(si veda la tabella 19.7). Delle 66 imprese rilevate dal questionario 136 risultano essere i soci, cioè
mediamente ogni impresa ha due soci. In particolare, di questi il 66,2% sono attivi in azienda,
mentre il restante 33,8% sono unicamente conferitori di capitale. Infine, la percentuale di soci attivi
in azienda sul totale è superiore per le imprese meccaniche (76,7%) rispetto a quelle che lavorano i
metalli (60,4%).
110
1.14 La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del
campione. Le principali caratteristiche dei lavoratori atipici.
Al capitolo precedente si è considerata la struttura dei dipendenti del campione di imprese dei
settori agro-alimentare e metalmeccanico. In particolare, il numero complessivo di dipendenti per i
due settori evidenziato sopra non concerne tutto l’organico delle imprese rilevate dal questionario
sui lavoratori atipici, in quanto restano escluse quelle forme contrattuali che non danno luogo ad un
vero e proprio rapporto di lavoro alle dipendenze, come le collaborazioni coordinate e continuative
(CO.CO.CO.), le collaborazioni occasionali e gli addetti inseriti con stage. Ne consegue che,
considerando anche i lavoratori inseriti nell’organico d’impresa attraverso queste forme di rapporto
di lavoro, il numero complessivo di addetti delle imprese del campione del settore agro-alimentare
sale a 1.652 unità – rispetto ai 1.635 dipendenti veri e propri precedentemente dichiarati – e quello
relativo al settore metalmeccanico a 2.268 unità, da 2.231 dipendenti.
Quanti sono i lavoratori atipici sul totale degli addetti per le imprese del campione dei due settori di
attività economica monitorati? Dai dati campionari (tabella 20.1) emerge che la percentuale di
lavoratori atipici sul totale degli addetti è superiore nel settore agro-alimentare rispetto a quello
metalmeccanico. In cifre, il confronto verte tra il 14,9% del settore agro-alimentare ed il 12,1% di
quello metalmeccanico.
Tabella 20.1. Lavoratori atipici, non atipici e totale addetti del campione di imprese dei settori agro-alimentare e
metalmeccanico, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
lavoratori atipici lavoratori non atipici totale addetti
valore ass. valore perc. valore ass. valore perc. valore ass. valore perc.
settore agro-alimentare 246 14,9% 1406 85,1% 1652 100,0%
settore metalmeccanico 274 12,1% 1994 87,9% 2268 100,0%
L’insieme dei lavoratori atipici impiegati nelle imprese dei due settori è stato distribuito per
tipologia di contratto di lavoro atipico, in modo da evidenziare a quali tra i seguenti contratti – a
tempo determinato, formazione e lavoro, apprendistato, tirocinio formativo, part time, CO.CO.CO.,
collaborazione occasionale e lavoro interinale – le imprese maggiormente ricorrono. Si nota (tabella
20.2) come per il settore agro-alimentare il tempo determinato (28% del totale dei lavoratori
atipici), l’interinale (27,2%) ed il part time (19,1%) siano le forme contrattuali più utilizzate;
relativamente basso, invece, l’impiego di apprendisti (6,9%) e CO.CO.CO. (4,9%). D’altra parte,
per il settore metalmeccanico le imprese ricorrono soprattutto al tempo determinato (32,8%),
111
all’apprendistato (18,6%) ed al part time (15,7%). Rispetto all’agro-alimentare, inoltre, più modesto
è l’utilizzo di lavoratori interinali (12,8%), ma superiore quello di CO.CO.CO. (12,4%).
Tabella 20.2. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e
metalmeccanico per tipologia di contratto di lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
settore agro-alimentare settore metalmeccanico
valore
assoluto
valore
percentuale
valore
assoluto
valore
percentuale
a termine 69 28,0% 90 32,8%
cfl 29 11,8% 18 6,6%
apprendistato 17 6,9% 51 18,6%
tirocinio 2 0,8% 1 0,4%
part time 47 19,1% 43 15,7%
co.co.co. 12 4,9% 34 12,4%
coll. occasionali 3 1,2% 2 0,7%
interinale 67 27,2% 35 12,8%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%
In generale, senza alcuna distinzione tra lavoratori atipici impiegati in azienda per tipologia
contrattuale, come si distribuiscono gli stessi per titolo di studio? In linea di massima, per entrambi
i settori di attività economica rilevati, i lavoratori atipici sono a bassa scolarità (tabella 20.3). In
particolare, questo fatto è vero soprattutto per le imprese agro-alimentari, dove il 78% degli atipici
si concentra nella fascia a più bassa scolarità (alcun titolo di studio e soprattutto licenza media).
Sempre per l’agro-alimentare, pochi sono i lavoratori atipici diplomati o che hanno conseguito la
maturità (in totale, il 16,2%) ed ancora meno quelli laureati (5,7%). Per il settore metalmeccanico,
invece, più bassa è la percentuale di coloro che hanno al massimo la licenza media (62%), mentre
rispetto all’agro-alimentare, molti di più – sempre sul totale dei lavoratori atipici – sono coloro che
sono diplomati od hanno conseguito la maturità (in totale, 34%). Sempre molto modesta, infine, la
percentuale di laureati (4%).
112
Tabella 20.3. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e
metalmeccanico per titolo di studio, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
settore agro-alimentare settore metalmeccanico
valore
assoluto
valore
percentuale
valore
assoluto
valore
percentuale
no titolo di studio 16 6,5% 30 10,9%
licenza media 176 71,5% 140 51,1%
diploma 35 14,2% 67 24,5%
maturità 5 2,0% 26 9,5%
laurea 14 5,7% 11 4,0%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%
Per classi d’età (tabella 20.4), l’esame dei dati sui lavoratori atipici evidenzia come più giovane sia
la struttura per età di coloro impiegati nelle imprese del settore metalmeccanico. Infatti, nella classe
d’età più giovane (fino a 25 anni) si situa il 24,8% dei lavoratori atipici dell’agro-alimentare ma il
32,5% di quelli del metalmeccanico; per contro, nella classe meno giovane (oltre 35 anni) il 28,5%
degli atipici dell’agro-alimentare ma solo il 16,1% di quelli del metalmeccanico. Si nota come, per
entrambi i settori di attività economica, circa la metà degli atipici ha tra i 25 ed i 35 anni.
Tabella 20.4. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e
metalmeccanico per classe d’età, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
settore agro-alimentare settore metalmeccanico
valore
assoluto
valore
percentuale
valore
assoluto
valore
percentuale
fino a 25 anni 61 24,8% 89 32,5%
25-35 anni 115 46,7% 141 51,5%
oltre 35 anni 70 28,5% 44 16,1%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%
Infine, in relazione al tipo di lavoro, i dati mostrati (tabella 20.5) sono pertinenti con quanto detto in
precedenza sulla bassa scolarità dei lavoratori atipici impiegati nelle aziende agro-alimentari e
metalmeccaniche della provincia di Cremona. Infatti, per entrambi i settori, oltre il 60% degli atipici
viene impiegata in azienda per lavori di tipo manuale. Inoltre, in termini relativi, maggiore è
l’impiego di atipici per lavori di tipo tecnico nell’agro-alimentare rispetto al metalmeccanico
(rispettivamente, 26,4% e 14,2% del totale); viceversa per i lavori di concetto (9,3% e 19,7%).
113
Tabella 20.5. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e
metalmeccanico per tipologia di lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
settore agro-alimentare settore metalmeccanico
valore
assoluto
valore
percentuale
valore
assoluto
valore
percentuale
lavoro manuale 158 64,2% 181 66,1%
lavoro tecnico 65 26,4% 39 14,2%
lavoro di concetto 23 9,3% 54 19,7%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%
114
1.15 La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del
campione. Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratto di
lavoro e predisposizione al loro impiego in futuro
La maggiore parte delle imprese del campione per i settori agro-alimentare e metalmeccanico si
avvale di lavoratori atipici (tabella 21.1), secondo la definizione ampia di lavoratori atipici data in
precedenza, quando questi sono stati disaggregati per tipologia di contratto di lavoro. A tale
proposito, 19 imprese sulle 24 del settore agro-alimentare, pari al 79,2% del totale, e 49 imprese
sulle 66 del settore metalmeccanico, pari al 74,2%, hanno lavoratori atipici nel proprio organico al
mese di luglio 2003.
Tabella 21.1. Imprese con lavoratori atipici, imprese senza lavoratori atipici e totale imprese del campione dei
settori agro-alimentare e metalmeccanico, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
settore agro-alimentare settore metalmeccanico
valore
assoluto
valore
percentuale
valore
assoluto
valore
percentuale
Imprese con lavoratori atipici 19 79,2% 49 74,2%
Imprese senza lavoratori atipici 5 20,8% 17 25,8%
TOTALE IMPRESE 24 100,0% 66 100,0%
È interessante chiedersi perché tali imprese si avvalgono di lavoratori inseriti in azienda con questi
contratti di lavoro(vedi grafici 21.1 21.2). Secondo i risultati pervenuti attraverso il questionario, la
motivazione principale data dalle imprese agro-alimentari sull’utilizzo di lavoratori atipici è
rappresentata dalla flessibilità esterna, cioè dal fatto che con i lavoratori atipici si ottiene una
maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera nel tempo, in modo da adeguarla più rapidamente
alla domanda di propri prodotti. Se il 45,9% delle imprese agro-alimentari ha motivato l’utilizzo di
lavoratori atipici con la flessibilità esterna, un altro 16,2% ne ha giustificato l’uso con la necessità di
inserire i lavoratori in azienda con un maggiore periodo di prova ed un altro 13,5% con la
flessibilità interna, rappresentata dal fatto che con gli atipici l’acquisizione del risultato d’impresa
avviene senza gravare sulla struttura produttiva della stessa impresa. Sempre sulle motivazioni
all’utilizzo, poche imprese, invece, si sono espresse per un contenimento del costo del personale o
per l’indisponibilità delle stesse figure a tempo indeterminato (rispettivamente, 8,1% e 5,4%).
Infine, un 10,8% di imprese ha indicato altri motivi da quelli richiamati sopra, che non abbiamo
considerato opportuno specificare perché troppo correlati alla situazione economico-finanziaria
attuale di quelle stesse imprese.
115
Grafico 21.1. Motivazioni all’utilizzo in azienda di lavoratori atipici per il campione di imprese del settore agro-
alimentare.
contenimento
costo personale
8,1%
flessibilità
esterna
45,9%
indisponibilità
stesse figure a
TIND
5,4%
altri motivi
10,8%flessibilità interna
13,5%inserimento con
maggiore periodo
di prova
16,2%
Grafico 21.2. Motivazioni all’utilizzo in azienda di lavoratori atipici per il campione di imprese del settore
metalmeccanico.
inserimento con
maggiore periodo
di prova
17,3%
contenimento
costo personale
20,4%
altri motivi
13,3%
flessibilità interna
13,3%
indisponibilità
stesse figure a
TIND
10,2%
flessibilità
esterna
25,5%
116
Rispetto al settore agro-alimentare, la motivazione all’utilizzo in azienda di lavoratori atipici da
parte delle imprese metalmeccaniche della provincia di Cremona è più uniformemente distribuita tra
le diverse risposte. Infatti, se la flessibilità esterna resta l’opzione preferita – ma con una
percentuale molto più bassa rispetto a quanto indicato dalle imprese agro-alimentari, cioè il 25,5% –
, anche il contenimento del costo del personale, indicato dal 20,4% delle imprese metalmeccaniche,
diviene un’opzione di risposta rilevante. Ancora, l’inserimento con un maggiore periodo di prova è
la terza delle risposte maggiormente indicate (17,3%), mentre la flessibilità interna tra le ultime, con
il 13,3%.
Un altro aspetto che si è voluto valutare con il questionario sui lavoratori atipici è rappresentato
dalle intenzioni delle imprese in merito alla possibilità o meno di procedere, in futuro, a trasformare
tali rapporti di lavoro in contratti di lavoro a tempo indeterminato o contratti di lavoro full time (per
i part time, ovviamente).
A tale riguardo, emerge la volontà di procedere alla trasformazione di cui sopra per le imprese agro-
alimentari, visto che le aziende che hanno risposto sì (68,4%) superano abbondantemente quante si
sono dichiarate contrarie (31,6%). Si aggiunga che quelle che si sono espresse affermativamente
hanno indicato principalmente la possibilità di trasformare i contratti a termine in a tempo
indeterminato. Non sono poche, comunque, le imprese che si sono dichiarate possibiliste sul fatto di
trasformare il contratto di tutti i lavoratori atipici.
Tabella 21.2. Imprese del campione del settore agro-alimentare e possibilità che queste trasformino i contratti di
lavoro atipici in a tempo indeterminato o full time. Valori assoluti e valori percentuali.
SETTORE AGRO-ALIMENTARE
valore assoluto % sul totale
sì, i ctd in indeterminato 7 36,8%
sì, i part time in full time 1 5,3%
sì, per tutte le tipologie 5 26,3%
si' 13 68,4%
no 6 31,6%
TOTALE IMPRESE RISPONDENTI 19 100,0%
Anche per il settore metalmeccanico emerge in prevalenza la volontà di procedere, in futuro, alla
trasformazione dei contratti di lavoro atipico in rapporti a tempo indeterminato o full time, anche se
il valore percentuale sul totale è inferiore rispetto al corrispondente valore di cui si è detto per
l’agro-alimentare (61,2% contro 68,4%). È rilevante notare come, però, ben 20 imprese su 49
(40,8%) si siano espresse a favore della trasformazione di tutte le tipologie contrattuali atipiche da
117
loro utilizzate. In questo caso il valore è superiore rispetto al corrispondente relativo al settore agro-
alimentare (26,3%).
Tabella 21.3. Imprese del campione del settore metalmeccanico e possibilità che queste trasformino i contratti di
lavoro atipici in a tempo indeterminato o full time. Valori assoluti e valori percentuali.
SETTORE METALMECCANICO
valore assoluto % sul totale
sì, i co.co.co. in part-time 1 2,0%
sì, i ctd in indeterminato 8 16,3%
sì, i part time in full time 1 2,0%
sì, per tutte le tipologie 20 40,8%
si' 30 61,2%
no 19 38,8%
TOTALE IMPRESE RISPONDENTI 49 100,0%
L’ultimo quesito proposto nel questionario ha interessato la volontà delle imprese, che avessero o
meno allo stato attuale lavoratori inseriti con contratti di lavoro atipico, da qui ai prossimi dodici
mesi di ricorrere a queste figure contrattuali. A tale proposito, le imprese di entrambi i settori hanno
risposto in prevalenza in maniera affermativa, con percentuali sul totale pari a 66,7% per l’agro-
alimentare e 72,7% per il metalmeccanico. In particolare, per il settore agro-alimentare si rileva che
la risposta non solo è prevalentemente affermativa, ma pressoché quasi unicamente in favore di un
incremento di lavoratori atipici rispetto al numero attuale nei prossimi 12 mesi.
Tabella 21.4. Imprese del campione del settore agro-alimentare e possibilità che queste si avvalgano di
lavoratori atipici in futuro. Valori assoluti e valori percentuali.
SETTORE AGRO-ALIMENTARE
valore assoluto % sul totale
sì, incrementandone il numero 14 58,3%
sì, mantenendone il numero 1 4,2%
sì, riducendone il numero 1 4,2%
si' 16 66,7%
no 8 33,3%
TOTALE IMPRESE 24 100,0%
Per il settore metalmeccanico questa prevalenza è meno marcata, ed infatti il 18,2% del totale delle
imprese si è espresso per un sì vincolato al mantenimento dello stesso numero di lavoratori atipici.
Assai modesto, invece, il numero di imprese che si propone per il futuro di ridurre il ricorso alle
figure contrattuali atipiche (4,5%).
118
Tabella 21.5. Imprese del campione del settore metalmeccanico e possibilità che queste si avvalgano di lavoratori
atipici in futuro. Valori assoluti e valori percentuali.
SETTORE METALMECCANICO
valore assoluto % sul totale
sì, incrementandone il numero 33 50,0%
sì, mantenendone il numero 12 18,2%
sì, riducendone il numero 3 4,5%
si’ 48 72,7%
no 18 27,3%
TOTALE IMPRESE 66 100,0%
119
1.16 L’importanza dei lavoratori atipici nell’organico degli Enti Pubblici e
delle Aziende Speciali. Le caratteristiche degli atipici e le
considerazioni degli Enti
1.16.1 I lavoratori atipici
Diciannove sono gli Enti Pubblici territoriali e le Aziende Speciali della provincia di Cremona cui è
stato sottoposto il questionario sui lavoratori atipici. In termini di addetti impiegati da questi, il
numero complessivo si attesta a 6.359 unità, di cui 1.343 lavoratori atipici, pari al 21,1% del totale
addetti. Rispetto alle imprese dei settori agro-alimentare e metalmeccanico, quindi, il peso degli
atipici sul totale addetti degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali è superiore. Per agro-alimentare e
metalmeccanico, infatti, tale valore percentuale non raggiunge il 15% (tabella 22.1).
Tabella 22.1. Lavoratori atipici, non atipici e totale addetti degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali, al mese di
luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI
valore assoluto valore percentuale
lavoratori atipici 1343 21,1%
lavoratori non atipici 5016 78,9%
totale addetti 6359 100,0%
Diverso è il tipo di contratto di lavoro che riguarda i 1.343 lavoratori atipici impiegati nel settore
pubblico locale. In proposito, gli istituti contrattuali maggiormente utilizzati dall’Ente o Azienda
Speciale locale sono rappresentati dal tempo indeterminato part time (36,1% del totale lavoratori
atipici), dalla collaborazione coordinata continuativa (20,1%) e dal tempo determinato, sia full time
(11,2%) sia part time (5,3%). Basso è invece il ricorso all’apprendistato (0,1%), al lavoro interinale
(1,3%) ed al contratto di formazione e lavoro (2,1%).
Inoltre, per un 15,2% del totale degli atipici, è stata data una risposta diversa da quelle proposte nel
questionario. In particolare, nella risposta “altro” rientrano i liberi professionisti – che alcuni Enti
hanno voluto tenere distinti dai collaboratori occasionali – ed i lavoratori socialmente utili (L.S.U.).
120
Tabella 22.2. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per tipologia di
contratto di lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI
valore assoluto valore percentuale
part time 485 36,1%
a termine 150 11,2%
a termine part time 71 5,3%
CFL 28 2,1%
apprendistato 2 0,1%
co.co.co. 270 20,1%
collaborazione occasionale 81 6,0%
interinale 18 1,3%
tirocinio formativo 34 2,5%
altro 204 15,2%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%
Disaggregando l’insieme degli atipici impiegati nel settore pubblico locale per titolo di studio del
lavoratore, ne discende un buon livello di scolarizzazione dei lavoratori stessi, diversamente da
quanto si era rilevato con il questionario rivolto alle imprese private (dei settori agro-alimentare e
metalmeccanico). In particolare, solo il 9,4% degli atipici possiede un titolo di studio uguale o
inferiore alla licenza media, mentre il restante 90,6% è in possesso almeno di un diploma o della
maturità (tabella 22.3).
Si aggiunga che il 41,4% degli stessi atipici è laureato. Non sembra superfluo ricordare come tale
percentuale, per i lavoratori dei settori agro-alimentare e metalmeccanico fosse nell’ordine del 5%
circa.
Tabella 22.3. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per titolo di studio, al
mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI
valore assoluto valore percentuale
nessun titolo di studio 4 0,3%
licenza media 122 9,1%
diploma 193 14,4%
maturità 468 34,8%
laurea 556 41,4%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%
Per classi d’età, si osserva come i lavoratori atipici del settore pubblico locale si distribuiscano
equamente tra minori o uguali di 35 anni e maggiori di 35 anni. In particolare, pochi (l’11.4% del
totale) sono coloro con un’età inferiore ai 25 anni.
121
Infine, considerando la tipologia di lavoro prestata nell’Ente o Azienda Speciale, ne emerge un
quadro in linea con quanto in precedenza rilevato per il titolo di studio. In altre parole, ad un’elevata
scolarizzazione dei lavoratori atipici ne corrisponde soprattutto un impiego per lavori di tipo tecnico
(36,9% del totale) e di concetto (50,6%), non per i lavori manuali (12,5%) (tabella 22.5).
Tabella 22.4. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per classe d’età, al
mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI
valore assoluto valore percentuale
fino a 25 anni 153 11,4%
25-35 anni 528 39,3%
oltre 35 anni 662 49,3%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%
Tabella 22.5. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per tipologia di
lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI
valore assoluto valore percentuale
lavori di tipo manuale 168 12,5%
lavori di tipo tecnico 496 36,9%
lavori di concetto 679 50,6%
TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%
122
1.16.2 Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratti di lavoro ed eventualità che
anche in futuro gli Enti si avvalgano di lavoratori atipici
Il primo aspetto che occorre evidenziare in questa parte è relativo al fatto che tutti e diciannove gli
Enti Pubblici e le Aziende Speciali monitorati dal questionario impiegano, al mese di luglio 2003,
almeno un lavoratore atipico. Per le imprese private dei settori agro-alimentare e metalmeccanico,
invece, una parte di esse, seppure minoritaria, aveva dichiarato di non averne nel proprio organico,
sempre alla stessa data.
Tabella 22.6. Enti Pubblici ed Aziende Speciali con lavoratori atipici, senza lavoratori atipici ed in totale, al
mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.
ENTI PUBBLICI ED AZIENDE
SPECIALI
valore assoluto valore percentuale
Enti con lavoratori atipici 19 100,0%
Enti senza lavoratori atipici 0 0,0%
TOTALE ENTI PUBBLICI E AZIENDE SPECIALI 19 100,0%
Cerchiamo di capire quali sono state le principali motivazioni addotte dagli Enti per giustificare
l’utilizzo dei lavoratori atipici (grafico 22.1). È emerso che si ricorre all’atipico soprattutto per
motivi di flessibilità, sia interna (39,5%) sia esterna (26,3%). In altre parole, coi lavoratori atipici
sia si acquisisce il risultato senza gravare sulla struttura organizzativa dell’Ente o impresa, sia si
riesce ad adeguare il proprio organico nel tempo in modo da adeguarlo più rapidamente alla
domanda di propri prodotti o servizi. Per il settore pubblico locale, invece, sono ritenute
motivazioni meno importanti l’indisponibilità di queste figure a tempo indeterminato ed il
contenimento del costo del personale. Infine, tra gli altri motivi è stato indicato il fatto che
l’inserimento di lavoratori atipici può dipendere da esigenze temporanee e contingenti.
123
Grafico 22.1. Motivazioni all’utilizzo nell’Ente od in Azienda dei lavoratori atipici.
contenimento del
costo del personale
10,5%
altri motivi
10,5%
indisponibilità di
queste figure a TIND
13,2%flessibilità esterna
26,3%
flessibilità interna
39,5%
Un secondo aspetto rilevato dal questionario è rappresentato dalla possibilità che in futuro gli Enti
Pubblici e le Aziende Speciali trasformino i contratti di lavoro atipici in altra tipologia contrattuale
(sia tipica sia atipica) (grafico 22.2). In particolare, nel questionario è stata fornita un’ampia griglia
di possibili trasformazioni di contratto di lavoro cui gli Enti hanno risposto in maniera più che altro
negativa. Infatti, i due terzi circa degli Enti interpellati si sono espressi per il “no”, evidenziando
che non rientra tra le volontà dell’Ente stesso quello di modificare o prolungare i contratti di lavoro
in essere. Per chi si è espresso affermativamente, invece, l’opzione maggiormente scelta è stata
quella della trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato
(full time).
124
Grafico 22.2. Enti Pubblici ed Aziende Speciali e possibilità che questi trasformino i contratti di lavoro atipici in
altra tipologia contrattuale (sia tipica sia atipica).
CO.CO.CO. in
indeterminato full time
5,3%
CFL in indeterminato full
time
5,3%
determinato part time in
determinato full time
5,3%
determinato full time in
indeterminato full time
13,2%
CFL in indeterminato part
time
2,6%
no
68,4%
L’ultimo quesito proposto nel questionario ha interessato ancora la volontà delle imprese, da qui ai
prossimi dodici mesi, di ricorrere – ed in che misura – a queste figure contrattuali. A tale proposito,
in linea con il settore privato (agro-alimentare metalmeccanico), anche il settore pubblico locale si è
espresso in termini affermativi. Dei diciannove Enti ed Aziende monitorati, infatti, sedici – pari
all’84,2% del totale – si sono espressi in maniera affermativa. In particolare, però, se dieci Enti
ritengono che in futuro manterranno costante od incrementeranno il numero di atipici in organico,
ce ne sono altri sei che ritengono che tale numero sarà nel tempo ridotto. Infine, è rilevante notare
come nessuno si sia espresso in termini negativi, prediligendo al massimo il non rispondere.
Tabella 22.7. Imprese del campione del settore agro-alimentare e possibilità che queste si avvalgano di
lavoratori atipici in futuro. Valori assoluti e valori percentuali.
ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI
valore assoluto % sul totale
sì, incrementandone il numero 8 42,1%
sì, mantenendone il numero 2 10,5%
sì, riducendone il numero 6 31,6%
sì 16 84,2%
non risponde 3 15,8%
TOTALE ENTI 19 100,0%
125
1.17 Conclusioni
Dopo aver inquadrato a livello giuridico la disciplina del lavoro non standard, proponendo una
descrizione delle forme di lavoro subordinato e parasubordinato previste dalla nostra legislazione, ci
siamo spostati ad analizzare le caratteristiche del lavoro atipico in provincia di Cremona, con
particolare attenzione al lavoro parasubordinato (rappresentato prevalentemente dalle collaborazioni
coordinate e continuative), all’occupazione a tempo parziale e all’occupazione a tempo
determinato.
La scelta di approfondire queste tipologie contrattuali atipiche ha risposto all’esigenza di indagare
nel maggior dettaglio possibile le trasformazioni che coinvolgono il mercato del lavoro cremonese,
nell’ipotesi che tutte le tipologie di lavoro diverse dal lavoro standard (a tempo pieno e a tempo
indeterminato) assolvano funzioni specifiche nella ricerca di flessibilità sia da parte delle imprese
sia da parte dei lavoratori, e che, quindi, vadano indagate in maniera distinta.
I dati INPS sulla gestione separata, aggiornati al 31 dicembre 2002, ci hanno permesso di osservare
che, in provincia di Cremona, i lavoratori parasubordinati sono 15.367, pari al 3,0% dei
parasubordinati in Lombardia, con una tasso di crescita del 130%, rispetto al 1996. La tipologia di
iscrizione prevalente è la collaborazione coordinata e continuativa (il 90,3% degli iscritti alla
gestione separata INPS). I lavoratori parasubordinati, a livello provinciale, sono prevalentemente di
sesso maschile (il 55,6%); tuttavia, nel tempo si è verificata una crescente femminilizzazione del
lavoro parasubordinato (+ 173% contro + 104% del dato maschile nel periodo 1996-2002), grazie
soprattutto all’incremento delle collaboratrici/professioniste e delle collaboratrici coordinate e
continuative. Le donne parasubordinate si concentrano soprattutto al di sotto dei 40 anni (63,1%),
implicando quindi che difficilmente il ricorso a queste forme di lavoro atipico rappresenta per le
donne un percorso professionale qualificato ma spesso una scelta obbligata per inserirsi o reinserirsi
nel mercato del lavoro. Mentre gli uomini lavorano con queste modalità contrattuali anche oltre i 50
anni (il 38,1% del totale), ossia il lavoro parasubordinato costituisce per questi ultimi o una
modalità di lavoro alternativa rispetto al lavoro sia autonomo sia dipendente o un possibile
strumento di integrazione economica alla pensione oppure un’opportunità per poter proseguire la
propria attività lavorativa.
I dati ISTAT sulle forze di lavoro, relativi al 2002, ci hanno consentito di analizzare le principali
caratteristiche degli individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione a
tempo parziale. Emerge che le donne rappresentano l’82,1% degli occupati a tempo parziale in
provincia di Cremona. Il part-time, dunque, è scelto principalmente dalle donne, ma in alcuni casi
da uomini giovani che cercano di conciliare il lavoro con lo studio: il 16,1% del lavoro part-time
126
maschile si concentra, infatti, nella classe d’età 20-24 anni (il lavoro a tempo parziale può, quindi,
essere utilizzato dagli uomini come forma di primo ingresso sul mercato del lavoro). Nel caso delle
donne, invece, il lavoro part-time si concentra essenzialmente nelle classi d’età centrali, a prova del
fatto che le donne scelgono questa forma di impiego, in particolar modo, quando devono conciliare
il lavoro con gli impegni familiari. Ad ulteriore conferma di ciò, le donne che lavorano a tempo
parziale sono prevalentemente coniugate (il 78,8%). Per quanto riguarda il titolo di studio,
sembrerebbe che le donne che lavorano part-time siano mediamente più istruite di quelle che
lavorano full-time. Tuttavia, prendendo in considerazione i livelli di istruzione più elevati, si
osserva che le laureate rappresentano l’8,6% ed il 13,7% rispettivamente delle lavoratrici a tempo
parziale e delle lavoratrici a tempo pieno. Nel caso degli uomini, invece, sembra emergere in
maniera più marcata che quelli che lavorano part-time sono mediamente più istruiti di coloro che
lavorano a tempo pieno. Relativamente alla posizione nella professione, le donne, sia che lavorino
full-time sia part-time, sono prevalentemente “impiegate”. Nel caso degli uomini, invece, si osserva
che la percentuale di operai tra coloro che lavorano part-time è marcatamente inferiore a quella che
si riscontra per i lavoratori full-time (il 17,8% contro il 40,2%). Infine, relativamente al settore di
attività economica, si evidenzia che le donne occupate a tempo parziale lavorano soprattutto nel
commercio (21,6%), mentre quelle occupate a tempo pieno lavorano principalmente nell’industria
della trasformazione (27,8%). Gli uomini che lavorano part-time, invece, lavorano innanzitutto
nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (25,5%), mentre quelli che lavorano full-time sono
maggiormente presenti nell’industria della trasformazione (35,7%). La quota di part-time
involontario nel caso delle donne non è particolarmente rilevante (il 19,5%): oltre i due terzi delle
donne che lavorano part-time, infatti, scelgono questa forma di impiego volontariamente, allo scopo
di conciliare l’attività lavorativa con la propria vita familiare, confermando che il lavoro a tempo
parziale rappresenta per esse una valida e duratura alternativa al lavoro a tempo pieno. Per quanto
riguarda gli uomini (giovani), invece, il lavoro part-time rappresenta soprattutto uno strumento per
conciliare l’attività lavorativa con gli impegni di studio.
I dati della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro, relativi al 2002, ci hanno anche permesso
di analizzare le principali caratteristiche degli individui della provincia di Cremona che dichiarano
di avere un’occupazione dipendente a tempo determinato, confrontandole con quelle di coloro che,
invece, lavorano alle dipendenze a tempo indeterminato. Le donne che lavorano a tempo
determinato rappresentano il 62,9% di tutti coloro che sono occupati con questa tipologia
contrattuale in provincia di Cremona. Il lavoro a tempo determinato, nel caso gli uomini,
caratterizza le fasi di ingresso della carriera lavorativa: il 63,5% degli uomini che lavorano a tempo
determinato ha, infatti, tra i 15 ed i 29 anni. Nel caso delle donne, invece, confrontando la
127
percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli occupati alle dipendenze con i tassi di
partecipazione per classi di età, emerge che, al crescere dell’età, la partecipazione al mercato del
lavoro aumenta al crescere dell’incidenza delle lavoratrici a tempo determinato sul totale delle
occupate alle dipendenze tendenzialmente fino ai 30-34 anni; nelle fasce di età successive, la
partecipazione al mercato del lavoro delle donne al mercato del lavoro diminuisce a fronte di una
riduzione dell’incidenza del lavoro a tempo determinato, ovvero la forbice tra tassi di
partecipazione e percentuale di lavoratrici a tempo determinato si riduce. Le donne, quindi, oltre a
lavorare a tempo indeterminato (magari part-time), o lavorano con contratti di lavoro a tempo
determinato o non partecipano al mercato del lavoro; il fatto che la partecipazione femminile
diminuisca al diminuire dell’incidenza del lavoro a tempo determinato induce quindi a considerare
l’ipotesi che molte donne, allorché non possono più lavorare nemmeno con tale tipologia
contrattuale, siano indotte a ritirarsi dal mercato del lavoro. Da questa considerazione, si possono
trarre alcune indicazioni di policy, ovvero la flessibilità (intesa come contratto di lavoro a tempo
determinato) può essere uno strumento per garantire una più elevata partecipazione femminile al
mercato del lavoro. Per quanto riguarda lo stato civile dei lavoratori a tempo determinato, nel 2002,
in provincia di Cremona, mentre la maggior parte degli uomini che lavora a tempo determinato è
celibe, le donne occupate con questa tipologia contrattuale sono più o meno equamente distribuite
tra coniugate e nubili. Relativamente al titolo di studio, le donne che lavorano a tempo determinato
sono mediamente meno istruite di quelle occupate a tempo indeterminato; nel caso degli uomini,
invece, emerge in maniera evidente che i lavoratori a tempo determinato sono in media più istruiti
di quelli che lavorano a tempo indeterminato. Le donne, sia che lavorino a tempo determinato o a
tempo indeterminato, lavorano quasi esclusivamente come impiegate o come operaie, anche se in
media tra le lavoratrici a tempo a tempo indeterminato ci sono, in termini percentuali, più impiegate
e meno operaie rispetto alle lavoratrici a tempo determinato, probabilmente a causa del fatto che le
seconde sono mediamente meno istruite delle prime. Per quanto riguarda gli uomini, i lavoratori a
tempo determinato ricoprono mediamente posizioni professionali più elevate di quelle dei lavoratori
a tempo indeterminato. Anche, nel caso degli uomini, la struttura per posizione professionale dei
lavoratori sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato sembra riflettere quella che è la
distribuzione per titolo di studio degli occupati con queste due tipologie contrattuali. Infine, per
quanto riguarda il settore di attività economica, si osserva che gli occupati a tempo determinato
lavorano principalmente nell’industria della trasformazione, sia nel caso delle donne (25,2%) sia nel
caso degli uomini (26,5%), mentre gli uomini e le donne che lavorano a tempo indeterminato sono
occupati soprattutto rispettivamente nell’industria della trasformazione (44,3%) e nell’istruzione,
sanità ed altri servizi sociali (30,9%). L’occupazione a tempo determinato, in provincia di Cremona,
128
per gli uomini appare, nel complesso, più legata ad una fase di ingresso nel mondo del lavoro (il
54,8% degli occupati con un contratto temporaneo o è assunto con un contratto a causa mista o è in
prova contro il 46,4% delle donne), mentre per le donne appare più spesso una condizione subita
(32,9% sono le occupate a tempo determinato involontarie contro il 20,6% degli uomini).
L’involontarietà del lavoro a termine (non ha potuto trovare un lavoro permanente), per le donne,
crescere al crescere dell’età delle lavoratrici temporanee, mentre per gli uomini si rileva un
andamento meno lineare.
La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato, piuttosto
che a tempo indeterminato, in provincia di Cremona, è stata stimata con un modello probit. In
questo modello econometrico la variabile dipendente è una variabile discreta che assume valore 1
nel caso l’individuo sia occupato alle dipendenze a tempo determinato e valore 0 nel caso sia
occupato alle dipendenze a tempo indeterminato. Le variabili esplicative utilizzate sono il sesso,
l’età (e l’età al quadrato), la posizione nella famiglia, lo stato civile ed il titolo di studio. I risultati
principali mostrano che tale probabilità, a parità delle altre caratteristiche, si riduce meno che
proporzionalmente al crescere dell’età, aumenta se si è donne piuttosto che uomini, cresce se,
all’interno del nucleo famigliare, si ricoprono le posizioni di figlio o di altro parente rispetto a
quella di capofamiglia.
Nell’ultima parte ci siamo occupati della rilevazione diretta alle imprese dei due settori economici
principali in provincia di Cremona, il settore agro-alimentare e il settore metalmeccanico, e al
Settore Pubblico (Enti Pubblici ed Aziende Speciali), con lo scopo di individuare:
- la presenza di tipologie contrattuali atipiche all’interno dei due Settori (Privato e Pubblico);
- le motivazioni che spingono questi soggetti ad utilizzare queste tipologie contrattuali e
l’utilizzo futuro dei contratti di lavoro atipico.
Per quel che riguarda la rilevazione condotta presso le imprese emerge che la percentuale di
lavoratori atipici sul totale degli addetti è pari al 14,9% nel settore agro-alimentare e al 12,1% nel
settore metalmeccanico.
Nel caso dell’agro-alimentare le forme contrattuali più utilizzate sono il contratto a tempo
determinato (28% del totale dei lavoratori atipici), l’interinale (27,2%) ed il part time (19,1%); nel
caso invece del settore metalmeccanico le imprese ricorrono soprattutto al tempo determinato
(32,8%), all’apprendistato (18,6%) ed al part time (15,7%).
Per entrambi i settori di attività economica i lavoratori atipici sono a bassa scolarità, nel caso del
settore agro-alimentare il 78% degli atipici si concentra nella fascia più bassa di scolarità, pochi
sono i lavoratori diplomati o che hanno conseguito la maturità (16,2%) ed ancora meno quelli
129
laureati (5,7%). Per il settore metalmeccanico, più bassa è la percentuale di coloro che hanno al
massimo la licenza media (62%), mentre molti di più sono coloro che sono diplomati od hanno
conseguito la maturità (34%), molto modesta è in questo caso la percentuale di laureati (4%).
Per quanto concerne l’età di questi lavoratori, l’esame dei dati evidenzia come più giovane sia la
struttura di età di coloro impiegati nelle imprese del settore metalmeccanico rispetto all’agro-
alimentare, per entrambi i settori economici oltre il 60% degli atipici viene impiegato in azienda per
lavori di tipo manuale.
La motivazione che spinge le imprese del settore agro-alimentare ad avvalersi di queste tipologie di
lavoratori è rappresentata dalla flessibilità esterna (maggiore flessibilità della manodopera nel
tempo in modo da adeguarla più rapidamente alla domanda di propri prodotti).
Nel caso del settore metalmeccanico se la flessibilità esterna resta l’opzione preferita, anche il
contenimento del costo del personale diviene un’opzione di risposta rilevante.
Il 68,4% delle imprese agro-alimentari e il 61,2% delle imprese metalmeccaniche hanno risposto di
voler trasformare i contratti di lavoro atipico in altre tipologie contrattuali.
Il 66,7% delle imprese del settore agro-alimentare e il 72,7% delle imprese del settore
metalmeccanico hanno intenzione di avvalersi di queste tipologie contrattuali in futuro.
Nel caso degli Enti Pubblici e delle Aziende Speciali la situazione sulle tipologie contrattuali
atipiche presenta delle differenze rispetto alle imprese.
Innanzitutto, il peso di queste forme contrattuali sul totale degli addetti è più marcato rispetto alle
imprese ed è pari al 21,1%.
Le tipologie contrattuali maggiormente utilizzate sono i contratti a tempo indeterminato part time
(36,1% del totale dei lavoratori atipici), i Co.Co.Co. (20,1%), il tempo determinato, sia full time
(11,2%) sia part time (5,3%). Il 15,2% del totale degli atipici è inoltre costituito da liberi
professionisti e da lavoratori socialmente utili.
A differenza dei lavoratori appartenenti alle imprese, quelli facenti parte degli Enti Pubblici e delle
Aziende Speciali presentano un buon livello di scolarizzazione: il 90,6% dei lavoratori è in possesso
almeno di un diploma o della maturità, mentre il 41,4% degli stessi atipici è laureato.
Per classi d’età, si osserva come i lavoratori atipici del settore pubblico si distribuiscono equamente
tra i minori uguali di 35 anni e maggiori di 35.
Ad un’elevata scolarizzazione dei lavoratori atipici ne corrisponde soprattutto un impiego per lavori
di tipo tecnico (36,9% del totale) e di concetto (12,5%).
Il ricorso al lavoro atipico da parte di Enti Pubblici ed Aziende Speciali avviene soprattutto per
motivi di flessibilità, sia interna (39,55) sia esterna (26,3%).
130
I due terzi degli Enti e delle Aziende Speciali interpellati, infine, hanno risposto negativamente alla
volontà di modificare o prolungare i contratti di lavoro in essere. Per chi si è espresso
affermativamente, invece, l’opzione maggiormente scelta è stata quella della trasformazione del
contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato (full time).
131
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133
Tabella A1 _ Lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Italia (31 dicembre 2002)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 501,719 354,544 856,263 76,002 30,411 106,413 7,055 4,356 11,411 584,776 389,311 974,087
1997 627,188 506,895 1,134,083 89,808 36,740 126,548 10,017 6,092 16,109 727,013 549,727 1,276,740
1998 739,116 622,492 1,361,608 100,469 43,188 143,657 16,221 9,343 25,564 855,806 675,023 1,530,829
1999 834,803 719,626 1,554,429 109,372 49,561 158,933 20,702 11,801 32,503 964,877 780,988 1,745,865
2000 897,964 792,630 1,690,594 115,461 54,130 169,591 23,634 13,529 37,163 1,037,059 860,289 1,897,348
2001 993,941 896,679 1,890,620 120,971 57,513 178,484 28,026 16,350 44,376 1,142,938 970,542 2,113,480
2002 1,128,226 1,024,161 2,152,387 127,322 61,852 189,174 32,194 18,772 50,966 1,287,742 1,104,785 2,392,527
Fonte: dati INPS
Tabella A2 _ Lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Lombardia (31 dicembre 2002)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 130,240 85,014 215,254 17,433 7,408 24,841 1,700 924 2,624 149,373 93,346 242,719
1997 155,355 113,244 268,599 19,910 8,661 28,571 2,341 1,265 3,606 177,606 123,170 300,776
1998 178,775 137,341 316,116 21,981 9,871 31,852 3,837 2,057 5,894 204,593 149,269 353,862
1999 199,055 157,949 357,004 23,891 11,108 34,999 5,101 2,738 7,839 228,047 171,795 399,842
2000 211,246 171,692 382,938 25,016 11,736 36,752 5,725 3,126 8,851 241,987 186,554 428,541
2001 229,405 189,364 418,769 26,203 12,463 38,666 6,674 3,716 10,390 262,282 205,543 467,825
2002 253,725 212,777 466,502 27,486 13,414 40,900 7,739 4,257 11,996 288,950 230,448 519,398 Fonte: dati INPS
Tabella A3 _ Lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Provincia di Cremona (31 dicembre 2002)
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
1996 3,595 2,295 5,890 508 165 673 70 36 106 4,173 2,496 6,669
1997 4,275 3,165 7,440 581 219 800 77 34 111 4,933 3,418 8,351
1998 4,983 3,907 8,890 655 252 907 120 54 174 5,758 4,213 9,971
1999 5,609 4,425 10,034 701 264 965 143 69 212 6,453 4,758 11,211
2000 6,083 4,915 10,998 743 296 1,039 167 74 241 6,993 5,285 12,278
2001 6,790 5,573 12,363 773 330 1,103 187 91 278 7,750 5,994 13,744
2002 7,526 6,349 13,875 802 369 1,171 215 106 321 8,543 6,824 15,367 Fonte: dati INPS
134
Tabella A4 _ Lavoratori parasubordinati per classi d’età, sesso e tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Italia, Lombardia e provincia di Cremona (31 dicembre 2002)
Cremona
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
<20 48 57 105 0 2 2 0 0 0 48 59 107
20-24 319 665 984 13 11 24 9 2 11 341 678 1,019
25-29 793 1,326 2,119 73 57 130 20 13 33 886 1,396 2,282
30-39 1,853 1,979 3,832 253 138 391 70 53 123 2,176 2,170 4,346
40-49 1,571 1,215 2,786 212 101 313 52 24 76 1,835 1,340 3,175
50-59 1,644 776 2,420 171 46 217 41 6 47 1,856 828 2,684
>60 1,298 331 1,629 80 14 94 23 8 31 1,401 353 1,754
Totale 7,526 6,349 13,875 802 369 1,171 215 106 321 8,543 6,824 15,367
Lombardia
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
<20 986 1,138 2,124 11 10 21 1 0 1 998 1,148 2,146
20-24 10,874 17,008 27,882 496 265 761 112 54 166 11,482 17,327 28,809
25-29 28,591 40,476 69,067 2,357 1,500 3,857 762 573 1,335 31,710 42,549 74,259
30-39 67,648 69,156 136,804 8,574 5,371 13,945 2,724 1,964 4,688 78,946 76,491 155,437
40-49 52,203 40,138 92,341 6,932 3,466 10,398 1,875 925 2,800 61,010 44,529 105,539
50-59 49,679 29,677 79,356 5,210 2,010 7,220 1,397 558 1,955 56,286 32,245 88,531
>60 43,744 15,184 58,928 3,906 792 4,698 868 183 1,051 48,518 16,159 64,677
Totale 253,725 212,777 466,502 27,486 13,414 40,900 7,739 4,257 11,996 288,950 230,448 519,398 Fonte: dati INPS
135
Tabella A4 (continua). Lavoratori parasubordinati per classi d’età, sesso e tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Italia, Lombardia e provincia di Cremona (31
dicembre 2002)
Italia
Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti
Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
<20 4,390 4,896 9,286 57 40 97 3 1 4 4,450 4,937 9,387
20-24 48,982 84,334 133,316 2444 1640 4,084 411 386 797 51,837 86,360 138,197
25-29 133,454 199,345 332,799 11320 8511 19,831 2925 2793 5,718 147,699 210,649 358,348
30-39 318,856 361,588 680,444 41187 26396 67,583 11926 8923 20,849 371,969 396,907 768,876
40-49 242,399 199,436 441,835 33691 15347 49,038 8157 4025 12,182 284,247 218,808 503,055
50-59 209,871 118,383 328,254 24281 7313 31,594 5625 1974 7,599 239,777 127,670 367,447
>60 170,274 56,179 226,453 14342 2605 16,947 3147 670 3,817 187,763 59,454 247,217
Totale 1,128,226 1,024,161 2,152,387 127,322 61,852 189,174 32,194 18,772 50,966 1,287,742 1,104,785 2,392,527
Fonte: dati INPS
136
Tabella A5 _ Occupati part-time, full-time e totali n Italia, Lombardia e provincia di Cremona per sesso (Anno
2002)
Tempo pieno Tempo parziale Totale
Uomini
Cremona 86,951 2,114 89,065
Lombardia 2,331,399 67,478 2,398,877
Italia 13,118,565 474,543 13,593,108
Donne
Cremona 47,741 9,715 57,456
Lombardia 1,317,120 307,012 1,624,132
Italia 6,840,314 1,395,854 8,236,168
Totale
Cremona 134,692 11,829 146,521
Lombardia 3,648,519 374,490 4,023,009
Italia 19,958,879 1,870,397 21,829,276
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A6 _ Variazione assoluta [2002- 2000] dell’occupazione complessiva, dell’occupazione part-time e
dell’occupazione full-time per sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona
Variazione assoluta 2002-2000
Tempo pieno Tempo parziale Totale
Uomini
Cremona 23,618 673 24,291
Lombardia 616,705 12,465 629,170
Italia 299,399 -22,251 277,148
Donne
Cremona 17,059 2,405 19,465
Lombardia 371,005 95,499 466,504
Italia 358,349 114,003 472,352
Totale
Cremona 40,677 3,078 43,755
Lombardia 987,710 107,964 1,095,674
Italia 657,748 91,752 749,500
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
137
Tabella A7 _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di Cremona. Anno
2002 (Valori assoluti)
Tempo pieno Tempo parziale
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Età
15/19 anni 1,530 74 1,604 69 63 132
20/24 anni 5,143 3,834 8,978 339 430 769
25/29 anni 10,842 9,058 19,900 189 875 1,064
30/34 anni 14,463 7,813 22,276 291 2,186 2,476
35/39 anni 13,877 7,657 21,534 184 2,578 2,763
40/44 anni 13,733 7,231 20,963 0 1,839 1,839
45/49 anni 10,207 5,117 15,324 192 1,001 1,193
50/54 anni 9,455 4,427 13,882 59 398 456
55/59 anni 4,196 1,336 5,532 0 305 305
60/64 anni 2,133 724 2,857 435 0 435
65 e oltre 1,371 471 1,842 356 41 397
Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829
Stato Civile
Celibe/Nubile 33,089 17,303 50,391 1,044 1,404 2,448
Coniugato/a 51,386 27,322 78,707 1,070 7,653 8,723
Separato/a di fatto 568 216 784 0 0 0
Separato/a legalmente 1,367 1,209 2,576 0 309 309
Divorziato/a 355 918 1,273 0 252 252
Vedovo/a 186 774 960 0 97 97
Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829
Titolo di studio
Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea 504 0 504 0 0 0
Laurea 5,818 6,544 12,362 320 840 1,160
Diploma universitario o laurea breve 574 1,089 1,663 0 0 0
Diploma di maturità 25,942 14,712 40,654 894 3,425 4,320
Diploma di qualifica professionale 9,436 7,593 17,030 165 2,176 2,340
Licenza media inferiore 35,248 14,251 49,499 312 2,420 2,732
Licenza elementare 8,829 3,283 12,111 351 854 1,205
Nessun titolo 600 270 870 72 0 72
Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829
Posizione professionale
Dirigente 1,896 67 1,963 0 0 0
Direttivo/quadro 4,335 1,972 6,307 234 57 291
Impiegato/intermedio 18,030 19,802 37,832 294 4,820 5,114
Operaio ed assimilati 35,182 15,638 50,821 376 3,324 3,700
Apprendista 1,107 155 1,262 0 0 0
Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0 84 84 0 0 0
Imprenditore 4,453 1,266 5,719 0 0 0
Libero professionista 3,637 2,332 5,969 562 135 697
Lavoratore in proprio 16,202 4,279 20,481 446 289 735
Socio di cooperativa 372 152 524 0 394 394
Coadiuvante in un'impresa familiare 1,736 1,993 3,729 202 697 899
Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829
138
Tabella A7 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di
Cremona. Anno 2002 (Valori assoluti)
Branca d'attività
Agricoltura, Caccia e Pesca 7,324 726 8,051 72 386 458
Industria dell'energia e industria estrattiva 1,599 170 1,769 0 0 0
Industria della trasformazione 31,020 13,273 44,293 452 1,275 1,727
Costruzioni 8,031 417 8,449 183 59 242
Altre attività: commercio 13,359 5,838 19,197 275 2,098 2,373
Altre attività: alberghi e ristoranti 2,841 1,909 4,750 55 944 999
Altre attività: trasporti e comunicazione 3,820 1,293 5,113 199 53 252
Altre attività: intermediazione monetaria
e finanziaria, attività immobiliari 2,995 1,384 4,379 0 53 53
Altre attività: servizi alle imprese e altre
attività professionali e imprenditoriali 4,347 4,154 8,501 155 878 1,033
Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 4,055 3,025 7,080 57 641 698
Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 4,385 12,492 16,878 540 2,074 2,614
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 3,175 3,060 6,234 126 1,254 1,380
Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A8 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori
assoluti
Uomini Donne Totale
Non desidera un lavoro a tempo pieno 616 2,781 3,396
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 541 1,891 2,432
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 141 228 369
Malattia od invalidità 204 0 204
Motivi personali 315 1,904 2,220
Carichi familiari 59 2,632 2,691
Altri motivi 238 279 516
Totale 2,114 9,715 11,829
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A9 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno
2002). Valori assoluti
Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Non desidera un lavoro a tempo pieno 0 0 616 616
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 204 337 0 541
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 141 0 0 141
Malattia od invalidità 63 87 55 204
Motivi personali 0 0 315 315
Carichi familiari 0 0 59 59
Altri motivi 0 56 182 238
139
Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Non desidera un lavoro a tempo pieno 57 917 1,806 2,781
Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 127 1,074 690 1,891
Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 124 103 0 228
Malattia od invalidità 0 0 0 0
Motivi personali 0 488 1,417 1,904
Carichi familiari 108 380 2,144 2,632
Altri motivi 76 98 104 279
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A10 _ Occupati a tempo determinato, a tempo indeterminato e totali in Italia, Lombardia e provincia di
Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002). Valori assoluti
Tempo indeterminato Tempo determinato Totale
Uomini
Cremona 59,039 2,415 61,454
Lombardia 1,610,612 86,463 1,697,075
Italia 8,570,028 786,399 9,356,427
Donne
Cremona 41,826 4,093 45,919
Lombardia 1,227,454 109,295 1,336,748
Italia 5,715,938 776,943 6,492,881
Totale
Cremona 100,866 6,508 107,374
Lombardia 2,838,066 195,758 3,033,823
Italia 14,285,966 1,563,342 15,849,308 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A11 _ Variazione assoluta [2002- 2000] dell’occupazione alle dipendenze complessiva, dell’occupazione
dipendente a tempo determinato e dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato per sesso. Italia,
Lombardia e provincia di Cremona
Variazione assoluta 2002-2000
Tempo indeterminato Tempo determinato Totale
Uomini
Cremona 16,389 719 17,108
Lombardia 443,757 20,229 463,986
Italia 285,968 -7,306 278,662
Donne
Cremona 16,222 652 16,874
Lombardia 375,217 25,107 400,322
Italia 398,592 40,862 439,454
Totale
Cremona 32,610 1,371 33,982
Lombardia 818,974 45,336 864,308
Italia 684,560 33,556 718,116 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A12 _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in provincia di
Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Tempo pieno Tempo parziale
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Età
15/19 anni 1140 74 1214 313 63 376
20/24 anni 3630 3093 6723 844 936 1780
25/29 anni 8172 7577 15749 376 972 1348
140
30/34 anni 10275 7283 17557 176 865 1041
35/39 anni 10350 7682 18032 128 616 744
40/44 anni 9432 6798 16230 120 187 307
45/49 anni 6786 4086 10872 182 324 506
50/54 anni 6765 3641 10406 56 65 121
55/59 anni 1627 1138 2764 54 64 119
60/64 anni 659 239 898 112 0 112
65 e oltre 204 216 420 56 0 56
Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508
Stato Civile
Celibe/Nubile 24450 12809 37259 1700 1826 3526
Coniugato/a 33087 26357 59445 715 1920 2635
Separato/a di fatto 277 216 492 0 0 0
Separato/a legalmente 962 1061 2024 0 139 139
Divorziato/a 145 850 995 0 152 152
Vedovo/a 118 533 651 0 56 56
Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508
Titolo di studio
Dottorato Di ricerca o Specializzazione Post-laurea 504 0 504 0 0 0
Laurea 4012 5015 9027 408 501 908
Diploma universitario o laurea breve 512 758 1270 0 0 0
Diploma di maturità 17540 14359 31899 1207 1103 2310
Diploma di qualifica professionale 6536 7474 14011 116 699 816
Licenza media inferiore 25246 11713 36958 467 1660 2127
Licenza elementare 4391 2357 6748 169 129 298
Nessun titolo 299 150 449 49 0 49
Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
141
Tabella A12 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in
provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Tempo pieno Tempo parziale
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Posizione professionale
Dirigente 1896 67 1963 0 0 0
Direttivo/quadro 4245 1953 6199 324 75 399
Impiegato/intermedio 17437 22717 40153 887 1905 2793
Operaio ed assimilati 34596 16953 51549 962 2009 2971
Apprendista 865 52 917 242 103 345
Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0 84 84 0 0 0
Imprenditore 0 0 0 0 0 0
Libero professionista 0 0 0 0 0 0
Lavoratore in proprio 0 0 0 0 0 0
Socio di cooperativa 0 0 0 0 0 0
Coadiuvante in un'impresa familiare 0 0 0 0 0 0
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A12 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in
provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Tempo pieno Tempo parziale
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Branca d'attività
Agricoltura, Caccia e Pesca 3064 381 3444 0 62 62
Industria dell'energia e industria estrattiva 1376 170 1546 161 0 161
Industria della trasformazione 26133 12045 38177 640 1032 1672
Costruzioni 3922 258 4180 111 0 111
Altre attività: commercio 7102 4408 11510 283 553 837
Altre attività: alberghi e ristoranti 162 1180 1343 129 244 372
Altre attività: trasporti e comunicazione 3095 1020 4115 127 124 251
Altre attività: intermediazione monetaria
e finanziaria, attività immobiliari 2378 966 3344 0 0 0
Altre attività: servizi alle imprese e altre
attività professionali e imprenditoriali 1876 2896 4773 309 487 796
Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 3997 3145 7142 56 209 265
Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 3702 12926 16628 402 806 1208
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 2233 2431 4664 198 576 775
Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
142
Tabella A13 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002).
Valori assoluti
Uomini Donne Totale
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 1,139 1,314 2,453
Non ha potuto trovare un lavoro permanente 498 1,347 1,845
Non desidera un lavoro permanente 186 49 235
E' in prova 183 587 769
Altri motivi 409 796 1,205
Totale 2,415 4,093 6,508 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A14 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona
(Anno 2002). Valori assoluti
Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 890 197 52 1,139
Non ha potuto trovare un lavoro permanente 199 113 185 498
Non desidera un lavoro permanente 67 0 119 186
E' in prova 0 127 56 183
Altri motivi 0 114 295 409
Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale
Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 465 573 276 1,314
Non ha potuto trovare un lavoro permanente 284 517 547 1,347
Non desidera un lavoro permanente 0 0 49 49
E' in prova 48 353 185 587
Altri motivi 202 395 199 796
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A15 _ Durata complessiva dell’occupazione a termine. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori
assoluti
Uomini Donne Totale
Durata non definita 379 643 1,023
Meno di 1 mese 0 0 0
Da 1 a 3 mesi 170 376 546
Da 4 a 6 mesi 58 586 644
Da 7 a 12 mesi 982 1,216 2,197
Da 13 a 18 mesi 69 51 119
Da 19 a 24 mesi 632 591 1,223
Da 25 a 36 mesi 125 400 525
Più di 3 anni 0 231 231
Totale 2,415 4,093 6,508
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
143
Tabella A16 _ Percentuale di individui alla ricerca di un’altra occupazione tra i lavoratori a tempo determinato e
a tempo indeterminato. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Tempo indeterminato Tempo determinato
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Cerca un altro lavoro 1,380 1,235 2,614 451 879 1,330
Non cerca un altro lavoro 57,660 40,592 98,251 1,964 3,214 5,178
Totale 59,039 41,826 100,866 2,415 4,093 6,508
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A17 _ Motivi della ricerca di un altro lavoro. Lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.
Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Tempo indeterminato Tempo determinato
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale Teme di perdere l'attuale occupazione 0 0 0 129 0 129
L'attuale occupazione è a termine 55 68 124 139 528 667
Cerca una seconda attività lavorativa 0 53 53 0 0 0
Aspira a condizioni di lavoro migliore 1,106 1,016 2,121 126 289 415
Altri motivi 159 98 257 58 62 121
Motivi non specificati 60 0 60 0 0 0
Totale 1,380 1,235 2,614 451 879 1,330
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A18 _ Motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione. Provincia di Cremona (Anno 2002).
Valori assoluti
Uomini Donne Totale
Licenziamento 577 1106 1683
Fine di una lavoro a tempo determinato 654 1538 2191
Motivi personali o familiari 187 4765 4952
Malattia o invalidità 830 367 1198
Frequenza di corsi scolastici 319 447 766
Prepensionamento 311 331 642
Pensionamento di anzianità o di vecchiaia 12075 5632 17707
Servizio di leva o servizio civile 347 0 347
Altri motivi 688 546 1234
Totale 15988 14733 30720
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
144
Tabella A19 _ Posizione professionale e branca di attività dei non occupati che hanno abbandonato l’ultima
occupazione da meno di 8 mesi. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Uomini Donne Totale
Posizione nella professione
Alle dipendenze 579 1,538 2,117
Autonomo (senza dipendenti) 74 0 74
Totale 654 1,538 2,191
Branca di attività economica
Agricoltura, caccia e pesca 55 55
Industria della trasformazione 329 580 909
Altre attività: commercio 67 67
Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari 63 63
Altre attività: servizi alle imprese e altre attività professionali e imprenditoriali 171 171
Altre attività: P.A. difesa e assicurazioni sociali obbligatorie 70 250 320
Altre attività: istruzione, sanità e altri servizi sociali 191 275 466
Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 140 140
Totale 654 1,538 2,191
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A20 _ Condizione occupazionale attuale delle persone alla ricerca di lavoro per sesso. Provincia di
Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Condizione attuale Uomini Donne Totale
Occupati dichiarati 2,106 2,242 4,348
Altri occupati 58 162 220
Disoccupati (azioni 30 gg) 581 1,282 1,864
Persone in cerca di prima occupazione (30 gg) 466 375 842
Altre persone in cerca di occupazione (30 gg) 57 1,139 1,196
NFL che cercano lavoro non attivamente 811 1,713 2,524
NFL non cercano ma disponibili a lavorare immediatamente 0 0 0
NFL non cercano non disponibili a lavorare immediatamente 320 285 606
NFL di età superiore a 65 anni 0 45 45
Totale 4,400 7,244 11,644
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Tabella A21 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori
assoluti
Tipo di occupazione cercata Uomini Donne Totale
Con contratto a tempo indeterminato 2,671 4,624 7,295
Con contratto a termine 236 439 675
Con contratto di formazione professionale 0 0 0
Senza preferenze 1,493 2,000 3,493
Autonomo (ha già predisposto i mezzi per esercitarlo) 0 0 0
Autonomo (non ha ancora predisposto i mezzi per esercitarlo) 0 181 181
Totale 4,400 7,244 11,644
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
145
Tabella A22 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso e per condizione occupazionale attuale.
Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Condizione attuale
Con contratto
a
tempo
indeterminato
Con
contratto
a termine
Con
contratto di
formazione
professionale
Senza preferenze
Autonomo
(ha già
predisposto
i mezzi per
esercitarlo)
Autonomo
(non ha
ancora
predisposto
i mezzi per
esercitarlo)
Totale
Uomini
Occupati 1,561 0 0 603 0 0 2,164
Persone in cerca di occupazione 450 49 0 606 0 0 1,104
NFL (15 anni ed oltre) 660 188 0 284 0 0 1,132
Totale 2,671 236 0 1,493 0 0 4,400
Donne
Occupati 1,935 108 0 305 0 56 2,404
Persone in cerca di occupazione 1,480 69 0 1,248 0 0 2,797
NFL (15 anni ed oltre) 1,209 262 0 447 0 126 2,043
Totale 4,624 439 0 2,000 0 181 7,244
Totale
Occupati 3,496 108 0 908 0 56 4,568
Persone in cerca di occupazione 1,930 117 0 1,854 0 0 3,901
NFL (15 anni ed oltre) 1,869 449 0 731 0 126 3,174
Totale 7,295 675 0 3,493 0 181 11,644
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A23 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori
assoluti
Orario con cui vorrebbe lavorare Uomini Donne Totale
Esclusivamente a tempo pieno 1,238 1,591 2,828
Esclusivamente a tempo parziale 196 1,374 1,570
Preferibilmente a tempo pieno 2,179 2,457 4,636
Preferibilmente a tempo parziale 157 687 844
Qualsiasi orario 631 1,135 1,766
Totale 4,400 7,244 11,644
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
146
Tabella A24 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso e per condizione occupazionale attuale. Provincia
di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti
Esclusivamente
a tempo pieno
Esclusivamente
a tempo
parziale
Preferibilmente
a tempo pieno
Preferibilmente
a tempo
parziale
Qualsiasi
orario Totale
Uomini
Occupati 628 0 984 83 469 2,164
Persone in cerca di occupazione 180 57 805 0 63 1,104
NFL (15 anni ed oltre) 429 140 389 74 100 1,132
Totale 1,238 196 2,179 157 631 4,400
Donne
Occupati 906 314 799 197 189 2,404
Persone in cerca di occupazione 327 433 1,018 321 699 2,797
NFL (15 anni ed oltre) 358 627 641 168 248 2,043
Totale 1,591 1,374 2,457 687 1,135 7,244
Totale
Occupati 1,534 314 1,783 280 657 4,568
Persone in cerca di occupazione 507 489 1,823 321 761 3,901
NFL (15 anni ed oltre) 787 767 1,030 243 348 3,174
Totale 2,828 1,570 4,636 844 1,766 11,644
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
148
SEZIONE IMPRESE
Settembre 2003
GENERALITA’ DELL’IMPRESA
DENOMINAZIONE IMPRESA
REFERENTE
INDIRIZZO SEDE
RECAPITO TELEFONICO
COMUNE DI
Indicare i principali settori di specializzazione dell'impresa
1 Produzione di metalli e loro leghe 2 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (esclusi macchine e impianti)
3 Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici
4 Altro (specificare)
RILEVAZIONE SUI CONTRATTI DI LAVORO
ATIPICI NELLA PROVINCIA DI CREMONA
149
Quanti DIPENDENTI ha la sua impresa?
TOTALE Operai
TOTALE Impiegati
TOTALE Dirigenti
Indicare il NUMERO DI DIPENDENTI esclusi i Co.Co.Co. al 31 luglio 2003
NUMERO FUNZIONE SVOLTA Indicare il NUMERO dei TITOLARI e la
funzione svolta
A quale titolo di studio sono associabili le seguenti figure dirigenziali?
LA
UR
EA
ING
EG
NE
RIA
LA
UR
EA
EC
ON
OM
IA
LA
UR
EA
GIU
RIS
PR
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LA
UR
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LA
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LA
UR
EA
LE
TT
ER
E E
LIN
GU
E
DIRIGENTE DIRETTORE GENERALE
DIRIGENTE AREA PRODUZIONE
DIRIGENTE AREA LOGISTICA
DIRIGENTE AREA FINANZA AMMINISTRAZIONE
DIRIGENTE AREA COMMERCIALE E VENDITE
DIRIGENTE AREA PERSONALE
DIRIGENTE AREA RICERCA & SVILUPPO
DIRIGENTE CONTROLLO QUALITA’
DIRIGENTE EDP
DIRIGENTE ENGINEERING
ALTRO
PARTE PRIMA
CARATTERISTICHE DELL'IMPRESA
A DIMENSIONE DELL'IMPRESA
B TITOLO DI STUDIO DEI DIRIGENTI/RESPONSABILI
150
Può indicare la suddivisione del personale per AREA FUNZIONALE PREVALENTE?
AREA FUNZIONALE NUMERO
ADDETTI 1. Direzione
2. Produzione
3. Logistica
4. Finanza e amministrazione
5. Personale & relazioni industriali
6. Commerciale & marketing
7. Ricerca & sviluppo
8. Controllo qualità
9. EDP
10. Engineering
11. Altri servizi (Pulizie, Mense, Custodia, Portineria...)
Saprebbe indicare come è organizzata l’attività produttiva della sua impresa dal punto di vista dei TURNI di lavoro?
NUMERO ADDETTI
1. 3 Turni
2. 2 turni
3. Giornaliero
4. 6 x 6
5. Altro (specificare)
La sua impresa fa ricorso al LAVORO STRAORDINARIO?
SI NO
(fare una croce sulla casella che interessa)
Se SI’, con che frequenza?
Saprebbe fornire una misura?
L) L’IMPRESA SI AVVALE DELL’UTILIZZO DI CONTRATTI DI LAVORO ATIPICI?
1. Regolarmente
2. Occasionalmente
3. Raramente
PARTE TERZA
CONTRATTI
ATIPICI
C PERSONALE PER AREA FUNZIONALE
D ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
E RICORSO AL LAVORO STRAORDINARIO
151
SI NO
(fare una croce sulla casella che interessa)
Se sì indicarne il numero
Se SI indicarne il NUMERO
M) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI PER TIPOLOGIA DI CONTRATTO ATIPICO?
A termine Part time
CFL Co.Co.Co. Apprendistato Collaborazioni occasionali
Tirocinio formativo Interinali
N) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI CON UN CONTRATTO ATIPICO PER TIPOLOGIA DI TITOLO DI STUDIO ?
Nessun titolo di studio Diploma tecnico/professionale
Licenza media Maturità Laurea
O) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI CON UN CONTRATTO ATIPICO PER CLASSI DI ETÀ?
Fino a 25 anni
25-35 anni Oltre 35 anni
P) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI CON UN CONTRATTO DI LAVORO ATIPICO PER TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ LAVORATIVA?
Lavori manuali
Lavori tecnici Lavori di concetto
152
Q) QUALI SONO LE PRINCIPALI MOTIVAZIONI SOTTOSTANTI ALLA DECISIONE DI AVVALERSI DI QUESTI LAVORATORI?
Maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera nel tempo, in modo da adeguarla più rapidamente alla domanda di propri prodotti
Contenimento del costo del personale
Indisponibilità di queste figure con contratti a tempo indeterminato
Acquisizione del risultato senza gravare sulla struttura organizzativa dell’impresa (flessibilità interna)
Altro (specificare)
R) PENSA DI TRASFORMARE QUESTI CONTRATTI ATIPICI IN CONTRATTI DI DIVERSA NATURA?
Sì, per tutte le tipologie contrattuali
Sì, principalmente per i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato
Sì, principalmente per i contratti part time in contratti full time
No
S) SECONDO LA SUA RECENTE ESPERIENZA E LE CARATTERISTICHE DELL’IMPRESA, RITIENE CHE QUESTE TIPOLOGIE DI CONTRATTI ATIPICI LE SARANNO UTILI ANCHE IN FUTURO?
Sì, ed incrementandone il numero
Sì, ma riducendone il numero
No
NOTE:
153
Ottobre 2003
GENERALITA’ DELL’ ENTE O AZIENDA SPECIALE
DENOMINAZIONE
INDIRIZZO SEDE
REFERENTE
RECAPITO TELEFONICO
COMUNE DI
SEZIONE ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI
RILEVAZIONE SUI CONTRATTI DI LAVORO
ATIPICI NELLA PROVINCIA DI CREMONA
154
Quanti dipendenti ha l’ENTE/AZIENDA SPECIALE?
NUMERO
TOTALE
Indicare il NUMERO DI DIPENDENTI con contratto di lavoro a tempo indeterminato (full time) al 31 luglio 2003
B) L’ENTE/AZIENDA SPECIALE si avvale dell’utilizzo di rapporti di lavoro atipici?
SI NO
(fare una croce sulla casella che interessa)
Se sì indicarne il numero
Se SI indicarne il NUMERO
C) Può indicare il numero di lavoratori assunti per tipologia di contratto/posizione atipica?
A tempo indeterminato (part time) Co.Co.Co.
A tempo determinato (full time) Collaborazioni occasionali A tempo determinato (part time) Interinali
CFL Tirocinio formativo Apprendistato Altro (specificare)
D) Può indicare il numero di lavoratori assunti con un contratto/posizione atipica per tipologia di
titolo di studio ?
Nessun titolo di studio Diploma tecnico/professionale
Licenza media Maturità Laurea
E) Può indicare il numero di lavoratori assunti con un contratto /posizione atipica per classi di età?
Fino a 25 anni
25-35 anni Oltre 35 anni
F) Può indicare il numero di lavoratori assunti con un contratto di lavoro/posizione atipica per tipologia di attività lavorativa?
Lavori manuali
Lavori tecnici Lavori di concetto
QUESTIONARIO
155
G) Quali sono le principali motivazioni sottostanti alla decisione di avvalersi di questi lavoratori?
Maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera nel tempo, in modo da adeguarla più rapidamente alla domanda di propri servizi
Contenimento del costo del personale
Indisponibilità di queste figure con contratti a tempo indeterminato
Acquisizione del risultato senza gravare sulla struttura organizzativa dell’impresa (flessibilità interna)
Altro (specificare)
H) Pensa di trasformare questi contratti/posizioni atipiche in contratti/posizioni di diversa natura?
SI NO
(fare una croce sulla casella che interessa)
I) In quale tipologia contrattuale pensa di trasformare i contratti /posizioni atipiche attualmente in essere?
DETER.
(FULL TIME)
DETER.
(PART TIME)
INDETER.
(PART TIME)
INDETER.
(FULL TIME)
A tempo indeterminato (part time)
A tempo determinato (full time)
A tempo determinato (part time)
CFL
Apprendistato
Co.Co.Co.
Collaborazioni occasionali
Interinali
Tirocinio formativo
Altro (specificare)