UN’ANALISI DEL LAVORO ATIPICO...

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BRUNO MAURIZIO ACCARDO DANIELA BRAGOLI PIERO GANUGI CLAUDIO LUCIFORA NICOLA ORLANDO PIETRO ANTONIO VARESI UN’ANALISI DEL LAVORO ATIPICO NELLA PROVINCIA DI CREMONA

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BRUNO MAURIZIO ACCARDO

DANIELA BRAGOLI

PIERO GANUGI

CLAUDIO LUCIFORA

NICOLA ORLANDO

PIETRO ANTONIO VARESI

UN’ANALISI DEL LAVORO ATIPICO NELLA

PROVINCIA DI CREMONA

Indice

PARTE PRIMA: La disciplina del lavoro non standard ...................................................................... 4

1. Flessibilità e politiche attive del lavoro ................................................................................... 4

2. Le forme di lavoro flessibile .................................................................................................... 7

2.1 Il contratto di lavoro a tempo determinato (o “a termine”) .............................................. 7

2.2 Il contratto di somministrazione di lavoro ..................................................................... 12

2.3 Il lavoro a tempo parziale ............................................................................................... 16

2.4 Il contratto di lavoro intermittente (lavoro a chiamata o job on call) ............................ 20

2.5 Il contratto di lavoro ripartito (o a coppia o job sharing) ............................................... 23

2.6 Apprendistato ................................................................................................................. 26

2.7 Il contratto di inserimento .............................................................................................. 29

2.8 Contratto di formazione e lavoro ................................................................................... 32

2.9 Il lavoro a progetto ......................................................................................................... 33

2.10 Il lavoro occasionale ...................................................................................................... 38

2.11 Il lavoro accessorio ........................................................................................................ 39

3. Quali politiche locali del lavoro in un mercato del lavoro “flessibile”? ................................ 42

PARTE SECONDA: Un’analisi sulla base dell’Indagine sulle Forze di lavoro e i dati INPS .......... 47

4. La flessibilità del lavoro: alcune riflessioni ........................................................................... 47

5. Il lavoro parasubordinato ....................................................................................................... 50

6. L’occupazione a tempo parziale ............................................................................................ 60

6.1 I motivi dell’occupazione a tempo parziale ................................................................... 67

7. L’occupazione a tempo determinato ...................................................................................... 69

7.1 I motivi e la durata dell’occupazione a tempo determinato ........................................... 77

7.2 Non occupati e occupazione a tempo determinato ......................................................... 80

8. La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato ..... 82

9. Contratti flessibili e ricerca del posto di lavoro ..................................................................... 86

PARTE TERZA: La rilevazione diretta ad imprese , Enti Pubblici ed Aziende Speciali in provincia

di Cremona. ........................................................................................................................................ 92

10. Il campione delle società .................................................................................................... 92

11. Il settore pubblico allargato ................................................................................................ 98

12. I questionari........................................................................................................................ 99

13. Le caratteristiche delle imprese del campione: l’analisi sul numero dei dipendenti per

qualifica professionale, area funzionale e turni di lavoro. I soci d’impresa nel settore

metalmeccanico ............................................................................................................................ 101

13.1 I dipendenti per qualifica professionale ....................................................................... 101

13.2 I dipendenti per area funzionale ................................................................................... 103

13.3 I dipendenti per turni di lavoro. Un accenno ai soci d’impresa del settore

metalmeccanico ........................................................................................................................ 106

14. La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del campione. Le principali

caratteristiche dei lavoratori atipici. ............................................................................................. 109

15. La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del campione. Motivazioni

all’utilizzo, trasformazioni di contratto di lavoro e predisposizione al loro impiego in futuro ... 113

16. L’importanza dei lavoratori atipici nell’organico degli Enti Pubblici e delle Aziende

Speciali. Le caratteristiche degli atipici e le considerazioni degli Enti ....................................... 118

16.1 I lavoratori atipici ......................................................................................................... 118

16.2 Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratti di lavoro ed eventualità che anche

in futuro gli Enti si avvalgano di lavoratori atipici .................................................................. 121

17. Conclusioni ...................................................................................................................... 124

Bibliografia ...................................................................................................................................... 130

APPENDICE A ................................................................................................................................ 131

APPENDICE B ................................................................................................................................ 146

PARTE PRIMA: La disciplina del lavoro non standard

1.1 Flessibilità e politiche attive del lavoro

Lo sviluppo del diritto italiano del lavoro degli ultimi decenni è stato segnato dall’introduzione di

nuove forme di lavoro che, affiancandosi al tradizionale rapporto di lavoro subordinato (quello a

tempo pieno, a tempo indeterminato ed in cui il datore di lavoro è anche l’utilizzatore della

prestazione), tendono a raggiungere due obiettivi principali:

- consentire alle imprese di godere, nell’utilizzo della forza-lavoro, della flessibilità necessaria

ad assicurare adeguati livelli di competitività sui mercati europei e mondiali;

- favorire l’avvicinamento all’occupazione di lavoratori e lavoratrici che necessitano di forme

di lavoro compatibili con altri impegni (di studio, di cura, di assistenza) e che non si

presentano sul mercato del lavoro (oppure si presentano solo sul mercato del lavoro

irregolare) in mancanza di contratti di lavoro flessibili in grado di assicurare la conciliazione

tra le diverse attività.

Dal 1983 (data del primo intervento legislativo di riforma) ad oggi la gamma dei contratti di

lavoro si è notevolmente ampliata.

L’area del lavoro subordinato è ormai densa di contratti che si distinguono dal rapporto di lavoro

tipico:

- per la durata prefissata nel tempo (v. lavoro a termine);

- oppure per la durata dell’orario di lavoro inferiore al tempo pieno, con collocazione

flessibile della prestazione e con possibilità di variazione sia in aumento che in diminuzione

(v. part-time, lavoro intermittente, lavoro ripartito);

- per le finalità perseguite, più ampie rispetto al normale rapporto di lavoro subordinato (v.

in particolare i contratti di lavoro con finalità formative ed in primo luogo l’apprendistato);

- per la separazione della figura del datore di lavoro da quella dell’utilizzatore della

prestazione (v. lavoro interinale, ora denominato in Italia “somministrazione di lavoro”).

A partire dal 1995 ha assunto maggiore rilievo anche l’area del lavoro parasubordinato,

principalmente a seguito dello sviluppo delle collaborazioni coordinate e continuative. L’avvertita

necessità di disciplinare più puntualmente questa forma di lavoro ha indotto il legislatore ad

introdurre modifiche che, secondo l’interpretazione del Ministero del lavoro, dovrebbero consentire

di identificare, oltre alle collaborazioni coordinate e continuative prive di un termine, le

collaborazioni riconducibili ad un progetto o ad un programma, per le quali si delinea una specifica

normativa.

Onde evitare abbagli, va comunque tenuto in considerazione che la maggior parte dei lavoratori

italiani presta tuttora la propria attività con rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed a

tempo indeterminato (secondo i dati ISTAT circa il novanta per cento del totale dei lavoratori

subordinati) e che complessivamente la quota di lavoro autonomo e parasubordinato non è andata

crescendo significativamente nell’ultimo decennio.

Se ne può dedurre che il ricorso alle nuove forme di lavoro è stato essenzialmente un fenomeno

connesso alla fase di ingresso nel mercato del lavoro, tendente poi a trasformarsi gradualmente in

contratti di lavoro subordinato a tempo pieno ed a tempo indeterminato oppure, per l’area della

parasubordinazione, anche in stabili attività di lavoro autonomo.

Il dato, in sé confortante, pone però in evidenza un punto critico nel funzionamento del mercato del

lavoro, punto su cui può concentrarsi l’azione di politica attiva del lavoro, anche locale: va

segnalata infatti l’esistenza di un’area di lavoro debole, composta da quei soggetti che, entrati nel

mercato del lavoro mediante forme caratterizzate da precarietà e dequalificazione, vi rimangono

prigionieri (spesso a livello europeo quest’area è descritta come una “trappola” di cui i lavoratori

segnalati rimangono prigionieri).

Prima di procedere alla descrizione delle forme di lavoro subordinato e parasubordinato attualmente

previste dalla nostra legislazione ed alla valutazione dei possibili interventi di politica attiva del

lavoro programmabili in sede locale, appare però necessaria una pur sintetica riflessione sul

rapporto tra politiche attive del lavoro e regolazione (rigida o flessibile) dei rapporti di lavoro.

In generale possiamo dire che il tema è quello del rapporto tra tutela nel rapporto di lavoro e

tutela nel mercato; detto in altri termini in che modo assicurare un intervento pronto, efficace, ed

efficiente delle amministrazioni locali quando i giovani lavoratori devono inserirsi nel mondo del

lavoro o i lavoratori adulti sono in difficoltà occupazionale o sono ormai disoccupati in cerca di un

nuovo lavoro a fronte di una legislazione del lavoro che ammette, come abbiamo visto, molte

forme di lavoro caratterizzate da precarietà.

In proposto possiamo aggiungere che costruire un buon sistema locale di politiche attive del lavoro,

di formazione professionale e di servizi per l’impiego è compito fondamentale per la tutela dei

lavoratori: infatti quanto più si va allentando la tutela nel rapporto di lavoro (mediante le più

svariate forme di flessibilità), tanto più assume rilievo la tutela nel mercato del lavoro.

E’ possibile svolgere anche una riflessione più “raffinata”: tutela nel mercato e tutela nel rapporto

non solo non devono essere concepite come separate (o, peggio, in contrapposizione), ma va messo

in luce che esiste un legame stretto tra i due tipi di tutela. Si pensi ad esempio ai lavori a termine o

comunque caratterizzati da instabilità: in un mercato con quote ridotte di lavoro a termine ed in

grado di assicurare una rapida e qualificata ricollocazione potrebbe, in astratto, essere pressoché

indifferente la stabilità o meno del rapporto di lavoro; al contrario in un mercato con alte quote di

lavoro precario ed in cui non si attuano politiche idonee alla rapida e qualificata ricollocazione di

tali lavoratori, vi sarà una naturale tendenza dei lavoratori e del sindacato a favorire la

stabilizzazione presso lo stesso datore di lavoro.

In sintesi la protezione nel mercato e la flessibilità/rigidità dei rapporti di lavoro in quel mercato

sono in parte collegate tra loro; costruire il buon sistema di politiche attive del lavoro di cui si è

detto, non è dunque fare “altro” rispetto alla regolazione dei rapporti di lavoro, ma è creare le

condizioni per una diversa regolazione dei rapporti di lavoro.

Quindi l’istituzione pubblica che si preoccupa di assicurare buone tutele sul mercato, incide,

indirettamente, anche sui livelli e sulla modalità di protezione nel rapporto. Come si può notare, la

responsabilità della pubblica amministrazione, anche di quella locale, appare sempre più ampia.

1.2 Le forme di lavoro flessibile

L’inquadramento giuridico del problema del lavoro flessibile e delle conseguenti politiche del

lavoro dirette ad assicurare, a fronte di una riduzione della tutela nel rapporto di lavoro (con le più

svariate forme di flessibilità), una tutela nel mercato del lavoro dei lavoratori, mediante la

costruzione di un buon sistema locale di politiche attive del lavoro, di formazione professionale e di

servizi per l’impiego, impone innanzitutto un’analisi dettagliata delle singole tipologie contrattuali

flessibili.

1.2.1 Il contratto di lavoro a tempo determinato (o “a termine”)

Definizione e finalità generale

Le crescenti istanze di flessibilità e di nuova occupazione hanno condotto ad una progressiva

attenuazione dell’originario rigore in materia (v. legge n.230/1962) fino all’emanazione del D.Lgs.

6 settembre 2001, n.368, in attuazione della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giungo

1999.

Il D.Lgs. n.368/2001 ha profondamente modificato la disciplina del lavoro a tempo determinato (o a

termine), abrogando le precedenti norme di riferimento (legge 18 aprile 1962, n.230, art.8bis della

legge 25 marzo 1983, n.79, l’art.23 della legge 28 febbraio 1987, n.56) e tutte le disposizioni di

legge comunque incompatibili con la nuova normativa (art.11, comma 1°).

La disciplina dei contratti a termine trova applicazione anche nel settore pubblico; in quest’ultimo

settore resta però inapplicabile il meccanismo della conversione del rapporto a termine in rapporto

di lavoro a tempo indeterminato.

Regole principali

Quando è ammesso

L’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di

“ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (art.1, comma 1, D.Lgs.

n.368/2001). Questa disposizione introduce nel nostro ordinamento una clausola generale ed aperta,

al posto delle precedenti ipotesi tassative individuate dalla legge e dai contratti collettivi, la cui

funzione è quella di consentire l’utilizzo flessibile dell’istituto in raccordo con le specifiche e

variabili esigenze concrete di ciascun datore di lavoro.

Le ragioni giustificatrici devono essere specificate in via preventiva nel contratto di lavoro e devono

essere oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive dell’intento del legislatore “volto ad evitare

qualsiasi volontà discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro”.

Forma

Nell’intento di offrire elementi di certezza alle parti in merito alla natura del contratto di lavoro

stipulato, il D.Lgs. n.368 del 2001, richiede che la clausola relativa al termine risulti, direttamente o

indirettamente, da atto scritto, in cui devono essere specificate le ragioni giustificatrici (art.1,

comma 2°); in mancanza dell’atto scritto il rapporto di lavoro si intende a tempo indeterminato (la

scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale,

non sia superiore a 12 giorni).

Per giurisprudenza consolidata, l’apposizione del termine in forma scritta deve avvenire in un

momento anteriore o, al limite, contestuale al concreto inizio della prestazione lavorativa.

Limiti quantitativi

Il legislatore affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente

più rappresentativi l’individuazione, anche in maniera non uniforme (ossia differenziata per

categoria, area geografica, …), di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a

tempo determinato (cd. clausole di contingentamento, generalmente in percentuale rispetto agli

occupati), con una serie di rilevanti eccezioni (vedi art.10, comma 7, del D.Lgs. n.368/2001).

Divieti

Il legislatore ha previsto un’analitica disciplina riguardante il divieto di apposizione del termine al

contratto di lavoro per: sostituzione di lavoratori in sciopero; assunzione presso unità produttive

nelle quali si sia proceduto nei sei mesi precedenti a licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori

adibiti alle stesse mansioni, salvo diversa disposizione degli accordi sindacali, ed in ogni caso sono

fatti salvi i contratti conclusi per ragioni sostitutive, per quelli conclusi con un lavoratore in

mobilità, ovvero quelli di durata iniziale non superiore a tre mesi; assunzione presso unità

produttive nelle quali sia in atto l’intervento di Cassa integrazione guadagni per lavoratori adibiti

alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; imprese che non abbiano effettuato la

valutazione dei rischi.

La parità di trattamento

Elemento centrale della disciplina del lavoro a termine è la parificazione del lavoratore assunto a

termine con i lavoratori assunti a tempo indeterminato (il lavoratore assunto a tempo determinato ha

diritto alle ferie, alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto e

ad ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori a tempo indeterminato in proporzione

al servizio prestato), ad eccezione di poche regole speciali (ad es., le prestazioni economiche in caso

di malattia che sono dovute per un periodo non superiore a quello di attività lavorativa svolta nei

dodici mesi immediatamente precedenti l’evento morboso).

Il recesso anticipato

L’art.2119 cod. civ. stabilisce che il datore di lavoro può legittimamente recedere dal contratto a

tempo determinato prima della scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa, cioè di

una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

Proroga

Il termine del contratto può essere prorogato una sola volta, con il consenso del lavoratore per la

stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, purché

sussistano ragioni oggettive, anche se diverse da quelle originarie, e la durata complessiva del

rapporto a termine (durata iniziale + proroga) non sia superiore a tre anni.

Il rapporto può proseguire oltre la scadenza, per un lasso di tempo, senza incorrere nella

trasformazione a tempo indeterminato; tale margine di tolleranza è di 20 o 30 giorni (a seconda che

il contratto a termine sia stato stipulato (o prorogato) per un periodo inferiore o superiore a 6 mesi);

per tutto il periodo di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine prestabilito, al lavoratore

spetta un incremento della retribuzione.

Riassunzione

Inoltre, se il lavoratore viene riassunto con contratto a termine entro 10 o 20 giorni dalla scadenza di

un precedente contratto, sempre a tempo determinato, di durata rispettivamente inferiore o superiore

ai 6 mesi, il secondo contratto deve considerarsi a tempo indeterminato.

Nel caso in cui ci siano due assunzioni successive a termine senza soluzione di continuità, il

rapporto di lavoro si converte in rapporto a tempo indeterminato fin dalla data di conclusione del

primo contratto.

Esclusioni e discipline speciali

Sono escluse dal campo di applicazione del D.Lgs. n.368/2001 diverse fattispecie di rapporti di

lavoro o di formazione, in quanto già disciplinati da una normativa specifica (apprendistato; tirocini

o stages; rapporti di lavoro tra i datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato;

rapporti a termine per l’esecuzione di “speciali servizi” di durata non superiore a 3 giorni nei settori

del turismo e dei pubblici esercizi; rapporti instaurati con le aziende che esercitano il commercio di

esportazione, importazione ed all’ingrosso di prodotti ortifrutticoli).

Tra le discipline speciali, si segnala la perdurante vigenza delle precedenti normative sull’impiego a

termine dei lavoratori anziani (1), nonché dei prestatori di lavoro destinati a sostituire personale in

1

L’art.75, l.n. 388/2000, prevede che i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano maturato i requisiti

minimi per l’accesso al pensionamento di anzianità possano rinunciare all’accredito contributivo relativo

all’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti ed in conseguenza di ciò venga meno

l’obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative, a condizione che il

lavoratore posticipi l’accesso al pensionamento per un periodo di almeno due anni e stipuli un contratto di lavoro a

tempo determinato di pari durata con il datore di lavoro.

congedo parentale, con anticipo fino ad un mese della loro assunzione, e dei lavoratori in mobilità

(art.8, comma 2, legge 23 luglio 1991, n. 223).

Nei confronti di questi soggetti il legislatore ha svolto considerazioni di ordine sociale attribuendo

al contratto a termine una specifica funzione di promozione dell’occupazione nei confronti di fasce

sociali collocate in una posizione critica.

I dirigenti sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina in esame (salvi gli artt.6 e 8 sul

principio di non discriminazione ed i criteri di computo); essi possono essere assunti con contratti di

lavoro di durata non superiore a cinque anni.

Contratto a tempo determinato nel Pubblico impiego

Nessuna esclusione o disciplina speciale è prevista per il settore pubblico dall’art.36, 1° comma, del

D.Lgs. n. 165/2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche”, in base a cui “le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle

disposizioni sul reclutamento del personale, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di

assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro

subordinato nell’impresa” demandando ai contratti collettivi nazionali la disciplina dei contratti a

tempo determinato. Resta però inapplicabile il meccanismo della conversione, in quanto “in ogni

caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da

parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a

tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni” (art.36, 2° comma).

In particolare, l’art.92, del D.Lgs. n.267/2000 “Testo Unico degli Enti Locali”, stabilisce che gli

Enti locali possano costituire rapporti di lavoro a tempo determinato nel rispetto della disciplina

vigente in materia.

1.2.2 Il contratto di somministrazione di lavoro

La somministrazione di lavoro, prevista dagli artt.20 e ss. del D.Lgs. n.276/2003, non è altro che il

lavoro interinale già disciplinato, nel nostro Paese, dalla legge 24 giugno 1997, n.196 (artt.1-11).

Definizione e finalità generale

Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, denominato

utilizzatore, che si rivolge ad altro soggetto, denominato somministratore, a ciò autorizzato, ossia

un’agenzia di lavoro abilitata a svolgere l’attività di somministrazione (art.20, D.Lgs. n. 276/2003).

Il rapporto di somministrazione si qualifica come un rapporto giuridico che coinvolge tre soggetti

distinti: il somministratore, l’utilizzatore ed il lavoratore e due contratti distinti:

- il contratto di somministrazione di lavoro fra utilizzatore e somministratore;

- il contratto di lavoro subordinato tra il somministratore ed il lavoratore; per tutta la durata della

somministrazione il lavoratore, dipendente del somministratore, svolge la propria attività

nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.

Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso ora in 2 forme distinte:

1) a termine, possiamo chiamarlo il “nuovo” lavoro interinale (le disposizioni di cui agli artt.1-11

della legge 24 giugno 1997, n.196 sono state abrogate), in cui i lavoratori sono assegnati

all’utilizzatore per un tempo predeterminato e definito nel contratto;

2) a tempo indeterminato (cd. staff leasing): esso costituisce una delle principali novità introdotte e

che si caratterizza per il fatto che la durata del contratto non ha limiti temporali predefiniti.

Somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing)

La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa solo in una serie ben individuata

di attività e di servizi (tra cui rientrano, tra gli altri: servizi di consulenza e assistenza nel settore

informatico; servizi di pulizia, custodia e portineria; attività di gestione di biblioteche, parchi,

archivi, magazzini, nonché servizi di economato; attività di consulenza direzionale, assistenza alla

certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del

personale, ricerca e selezione del personale; attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione

della funzione commerciale; gestione di call center).

La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa inoltre “in tutti gli altri casi

previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e

prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative” (cd. staff leasing puro).

L’art.86, comma 9°, del D.Lgs. n.276/2003, dispone che la trasformazione in rapporto di lavoro a

tempo indeterminato con l’utilizzatore nel caso in cui la somministrazione avvenga fuori dai limiti e

dalle condizioni di cui agli artt.20 e 21 comma 1, lett.a)-e) non si applica alla pubblica

amministrazione.

Somministrazione a tempo determinato

La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere

tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività

dell’utilizzatore.

Soggetti coinvolti

Le 3 posizioni giuridiche soggettive coinvolte sono quelle di:

utilizzatore: il soggetto che si avvale dell’attività del lavoratore assunto dal somministratore

(non si parla di imprenditore, ma di utilizzatore ciò significa che il contratto di

somministrazione potrà essere stipulato anche dai piccoli imprenditori, dai coltivatori diretti,

dagli artigiani, dai piccoli commercianti e da tutti coloro che svolgono un’attività

professionale o lavorativa). La piena estensione all’agricoltura e all’edilizia, fa venir meno,

rispetto alla sfera di operatività della legge n.196/1997, qualsiasi limitazione di tipo

settoriale;

somministratore: l’agenzia autorizzata a svolgere attività di somministrazione di lavoro,

ossia la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine. L’attività

di somministrazione può essere svolta solo da società (di capitali o cooperative) autorizzate

dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica di determinati requisiti

giuridici e finanziari, volti a garantire la stabilità economica e finanziaria dell’agenzia di

somministrazione nonché la sua affidabilità sul piano professionale, organizzativo e sociale.

Le agenzie che svolgono attività di somministrazione di lavoro non possono pretendere

alcuna somma di denaro dal lavoratore in ragione della propria attività;

prestatore di lavoro: il lavoratore assunto dall’agenzia di somministrazione (datore di

lavoro) che svolge le proprie prestazioni lavorative a favore di uno o più utilizzatori.

Regole principali

Forma e contenuti del contratto di somministrazione

Il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve

contenere una serie di elementi: a) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il

numero dei lavoratori da somministrare; c) le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo

o sostitutivo per quanto concerne la somministrazione a tempo determinato, i casi in cui è ammessa

la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato; d) l’indicazione della presenza di eventuali

rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; e) la data di

inizio del contratto di somministrazione e la durata prevista dello stesso, in caso di

somministrazione a tempo determinato.

In mancanza di forma scritta con l’indicazione di questi elementi il contratto di somministrazione è

nullo ed i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.

Il contratto di somministrazione deve inoltre indicare altri elementi richiesti dalla natura

commerciale del contratto.

Divieti

E’ vietato il ricorso al contratto di somministrazione di lavoro: per la sostituzione di lavoratori che

esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi

precedenti, a licenziamenti collettivi, oppure nelle quali sia in atto l’intervento della Cassa

integrazione guadagni per lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di

somministrazione; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

Disciplina dei rapporti di lavoro

In caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore e

prestatore di lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice

civile ed alle leggi speciali.

Il lavoratore può essere assunto dal somministratore con contratto a tempo determinato ed in questo

caso la disciplina applicabile è quella del lavoro a termine per quanto compatibile (non opera però

l’intervallo temporale per la riassunzione a termine ed il termine inizialmente posto al contratto può

in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la

durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore).

Nell’ipotesi in cui il lavoratore sia assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato, egli

rimane a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolge la prestazione lavorativa

presso un utilizzatore e percepisce un’indennità di disponibilità, salvo che sussista una giusta causa

o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.

Rimangono sostanzialmente confermati ed estesi alla somministrazione a tempo indeterminato gli

aspetti caratterizzanti della ripartizione di obblighi e responsabilità tra utilizzatore e

somministratore che caratterizzavano la precedente disciplina (artt. 1-11, l. n.196/1997).

Il lavoratore dipendente dal somministratore ha diritto ad un trattamento economico e normativo

complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di

mansioni svolte.

Formazione dei lavoratori

Inoltre, rispetto alle tutele del lavoratore sul mercato, viene confermato il fondo per la formazione (i

soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare ad un apposito fondo

bilaterale un contributo pari al 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti sia con

contratto a tempo determinato che con contratto a tempo indeterminato per l’esercizio di attività di

somministrazione).

1.2.3 Il lavoro a tempo parziale

Il lavoro a tempo parziale (o part - time) rappresenta una delle manifestazioni più significative della

tendenza di diversificazione e flessibilizzazione del rapporto di lavoro subordinato rispetto al

modello tradizionale.

La disciplina del lavoro a tempo parziale è contenuta nel d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, integrato e

corretto dal successivo d.lgs 26 febbraio 2001, n. 100, che ha provveduto a recepire la direttiva

97/81/CE e ad abrogare l’art.5 della legge n. 863 del 1984 (prima disciplina organica del lavoro a

tempo parziale). Il D.Lgs. n.61/2000 ha introdotto una normativa organica del part-time volta ad

attenuare le incertezze e le lacune del passato e ad aumentarne la regolazione flessibile.

La recente riforma del mercato del lavoro e dei rapporti di lavoro, partendo dalla considerazione che

il lavoro a tempo parziale viene ancora utilizzato in Italia in misura ridotta rispetto agli altri Paesi

Europei (in Europa usano il part-time meno di noi solo Spagna e Grecia), ha inteso incentivare il

ricorso a questa tipologia contrattuale prevedendo delle modifiche alla disciplina del part-time.

Definizione

Si considerano a tempo parziale i rapporti di lavoro in cui l’orario di lavoro fissato dal contratto

individuale risulta comunque inferiore al tempo pieno, ossia all’orario normale di lavoro fissato

dalla legge (cioè 40 ore settimanali) o dal contratto collettivo applicato.

Il part – time può essere:

- “orizzontale”, in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario

normale giornaliero di lavoro (ad esempio 4 ore al giorno, anziché 8, per tutti i giorni di lavoro);

- “verticale”, in cui l’attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi

predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno;

- “misto”, che si svolge secondo una combinazione delle modalità del part - time orizzontale e

verticale.

I contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali) possono determinare condizioni e modalità

della prestazione lavorativa a tempo parziale; i contratti collettivi nazionali possono anche

prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle

discipline rimesse alla contrattazione collettiva.

Regole principali

Forma e contenuto del contratto di lavoro a tempo parziale

Occorre, innanzitutto, premettere che nessun intervento correttivo è stato previsto dal D.Lgs. n.

276/2003 in relazione ai contenuti formali e sostanziali del contratto.

Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta ai fini di prova (ad

probationem).

Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della

prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla

settimana, al mese e all’anno.

Viene meno l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’assunzione a tempo parziale alla

Direzione Provinciale del lavoro competente per territorio.

Lavoro supplementare e straordinario

Rilevanti modifiche sono state apportate dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276 alla

disciplina del lavoro supplementare. Si deve precisare che si è passati dall’originario divieto di

lavoro supplementare di cui all’art.5, legge n.863/1984, all’introduzione di una “doppia chiave di

controllo” di cui all’art.3 del D.Lgs. n.61/2000 (necessità regolazione da parte del contratto

collettivo e del consenso del lavoratore interessato) ad una “chiave unica di controllo” costituita dal

consenso del lavoratore o in alternativa dal contratto collettivo.

Il lavoro supplementare consiste nelle prestazioni lavorative svolte oltre l’orario di lavoro

concordato tra le parti, ma entro il limite del tempo pieno.

Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato, il datore di

lavoro ha la facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle

concordate con il lavoratore.

I contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali) stabiliscono il numero massimo delle ore di

lavoro supplementare effettuabili in relazione ai periodi di riferimento che riterranno opportuni (non

più in ragione dell’anno e della singola giornata lavorativa); i contratti collettivi devono stabilire

anche le causali per lo svolgimento di lavoro supplementare e le conseguenze del superamento delle

ore di lavoro supplementare.

L’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore

interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo (nuovo comma 3° dell’art.3,

D.Lgs. n.61/2000); il rifiuto del lavoratore non può integrare gli estremi del giustificato motivo di

licenziamento.

Clausole flessibili ed elastiche

Fermo restando l’obbligo di indicare nel contratto di lavoro sia la durata della prestazione lavorativa

che la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e

all’anno, sono le parti del contratto di lavoro a tempo parziale che possono concordare “clausole

flessibili” relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa.

Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche

“clausole elastiche” relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa.

E’ necessario in entrambe le ipotesi il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico

patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro reso, su richiesta del lavoratore, con

l’assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore

medesimo. L’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della

prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in

favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno 2 giorni

lavorativi oltre al diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai

contratti collettivi.

A garanzia del lavoratore si attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le

condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione

temporale della prestazione lavorativa, nonché quelle in base alle quali può variare in aumento la

durata della prestazione lavorativa e i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della

prestazione lavorativa. In assenza di contratti collettivi, datore di lavoro e prestatore di lavoro

possono concordare direttamente l’adozione di clausole elastiche o flessibili, nel rispetto di criteri

individuati dal legislatore.

Infine, si può porre in evidenza la possibilità di inserire clausole flessibili ed elastiche anche nei

contratti di lavoro a tempo parziale e a termine, per consentire una gestione flessibile dei rapporti di

lavoro in quei settori in cui si fa ampio ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato (turismo,

agricoltura).

Principio di non discriminazione

L’art.4, comma 1, del D.Lgs. n. 61 del 2000, sancisce il principio di non discriminazione nei

confronti del lavoratore a tempo parziale: quest’ultimo non deve ricevere un trattamento meno

favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello.

Gli istituti normativi ed economici del lavoro subordinato a tempo pieno vanno riproporzionati in

relazione al tempo di lavoro stabilito dal contratto part – time (non vanno riproporzionati invece

quegli istituti che non sono legati da un nesso di corrispettività con la prestazione di lavoro: ad es.,

la durata del periodo di prova e delle ferie annuali, …).

Trasformazione del rapporto part-time in rapporto a tempo pieno

In precedenza i lavoratori part-time potevano vantare un diritto di precedenza nelle assunzioni di

personale a tempo pieno, con priorità riconosciuta ai dipendenti che avevano precedentemente

trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; ora questo diritto di precedenza

non è più previsto direttamente da una disposizione legislativa, ma è il contratto individuale che può

prevedere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale, stabilendo il

limite territoriale delle attività produttive site nello stesso ambito comunale.

Applicabilità nel settore agricolo

In conformità con i criteri ed i principi direttivi della legge delega n.30/2003, il decreto di

attuazione prevede l’integrale estensione della disciplina del lavoro a tempo parziale al settore

agricolo (prima la stipula di questo tipo di contratti di lavoro era possibile solo nel caso in cui i

CCNL sottoscritti dai sindacati più rappresentativi ne avessero previsto e regolamentato il ricorso,

art.13, comma 7, l. n. 196/1997).

Il part-time nel Pubblico impiego

Per quanto attiene al pubblico impiego, il part-time è inserito a pieno titolo tra le tipologie flessibili

di rapporto di lavoro ed in molti casi, è prevista la trasformazione automatica dal tempo pieno al

tempo parziale a domanda del lavoratore (art.1, commi 56-65, legge 23 dicembre 1996 n. 662, a cui

l’art.10, D.Lgs. n.61 del 2000 fa esplicito riferimento), con diritto di ottenere il ritorno al tempo

pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione ed alle successive scadenze previste dai

contratti collettivi (art.6, comma 4, l. n. 140 del 1997).

1.2.4 Il contratto di lavoro intermittente (lavoro a chiamata o job on call)

Definizione e finalità generale

Il contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a

disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti indicati

dalla legge (art.33, D.Lgs. n.276/2003); questo contratto è stato introdotto al fine di sottoporre a

norme certe e a specifiche tutele inderogabili l’utilizzo discontinuo di prestazioni lavorative da parte

dell’impresa.

Con questa nuova tipologia contrattuale flessibile, il datore di lavoro può “chiamare”, di volta in

volta, il lavoratore a svolgere le prestazioni di lavoro, nel rispetto di un periodo minimo di

preavviso, e quest’ultimo può obbligarsi o meno a rispondere alla chiamata, godendo, nel caso

assuma l’obbligo di rispondere alla chiamata, di un’indennità di disponibilità per i periodi in cui

resta in attesa di utilizzazione.

Il contratto di lavoro intermittente si ritiene che sia un contratto di lavoro subordinato che può

essere stipulato sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.

Il contratto di lavoro intermittente ha un duplice oggetto: la “messa a disposizione delle proprie

energie lavorative”, oltre alla prestazione lavorativa quando richiesta.

Casi di ricorso al lavoro intermittente

Sono previste ipotesi oggettive e soggettive di ammissione del lavoro intermittente.

Il lavoro intermittente può essere utilizzato per lo svolgimento di prestazioni di carattere

discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (stipulati da

associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano

nazionale o territoriale) o, in via provvisoria, dal ministro del lavoro e delle politiche sociali, con

apposito decreto (ipotesi oggettive).

In via sperimentale il contratto di lavoro intermittente può essere concluso anche per prestazioni

rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età o da lavoratori con più di 45

anni di età espulsi dal ciclo produttivo o iscritti alle liste di mobilità e di collocamento (attuali

elenchi anagrafici) (ipotesi soggettive).

Il ricorso al lavoro a chiamata è previsto anche per prestazioni da rendersi in periodi predeterminati

dell’anno, ossia il fine settimana, nei periodi di ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali e

ulteriori periodi individuati dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di

lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.

Regole principali

Divieti

Il legislatore ha individuato i casi in cui è tassativamente vietato il ricorso al lavoro intermittente;

sono i seguenti: a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) salva

disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6

mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse

mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata oppure presso unità produttive nelle quali

sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di

integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a

chiamata; c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

Disciplina del rapporto di lavoro intermittente

Sul fronte della tutela del lavoratore intermittente il legislatore delegato ha introdotto un principio di

sostanziale parità di trattamento, pur non essendo espressamente richiesto dalla legge delega e

questa garanzia si pone come tutela ulteriore rispetto ai generali divieti di discriminazione diretta ed

indiretta già presenti nel nostro ordinamento.

Per i periodi lavorati, il lavoratore intermittente non deve ricevere un trattamento economico e

normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di

mansioni svolte.

Per il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di

lavoro non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati né matura alcun

trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità.

Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato,

in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda

l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei

trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità, congedi parentali.

Indennità di disponibilità

Al lavoratore che si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro spetta,

come più volte ricordato, l’indennità di disponibilità per i periodi nei quali garantisce la sua

disponibilità al datore di lavoro; nel contratto di lavoro intermittente è stabilita la misura

dell’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie.

La misura di questa indennità è stabilita dai contratti collettivi e comunque non è inferiore alla

misura fissata ed aggiornata periodicamente, con decreto del ministro del lavoro e delle politiche

sociali, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più

rappresentative sul piano nazionale.

L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.

In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla

chiamata, il lavoratore è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la

durata dell’impedimento; nel periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto

all’indennità di disponibilità. Nel caso in cui il lavoratore non provveda a questo adempimento

perde il diritto all’indennità di disponibilità per un periodo di 15 giorni, salvo diversa previsione del

contratto individuale.

Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata da parte del lavoratore che si sia obbligato

contrattualmente a rispondervi può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della

quota dell’indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, nonché il

pagamento di un risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza,

dal contratto individuale di lavoro.

Pubbliche amministrazioni

Questa tipologia contrattuale non trova applicazione per il personale delle pubbliche

amministrazioni (art.6, legge n.30/2003 ed art.1, comma 2°, D.Lgs. n. 276/2003).

1.2.5 Il contratto di lavoro ripartito (o a coppia o job sharing)

Il lavoro ripartito è una forma di lavoro già conosciuta in altri Paesi Europei e negli Stati Uniti. Esso

è sorto originariamente negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’70; in Europa si è diffuso dapprima in

Gran Bretagna e successivamente in Germania.

Il contratto di lavoro ripartito era già disciplinato dalla circolare del Ministero del Lavoro del 7

aprile 1998, n.43, con la quale erano stati chiariti alcuni dubbi interpretativi circa la disciplina

giuridica da applicarsi al contratto ed era stata affermata espressamente la sua compatibilità con il

nostro ordinamento, anche in assenza di una specifica disciplina legale. Il ricorso ad uno strumento

di soft law, come la circolare ministeriale, anziché ad un intervento legislativo, è stato dovuto

all’esclusione di questa fattispecie contrattuale dal Pacchetto Treu (nell’originario d.d.l. n.2764 del

1995 che poi ha costituito la base della legge 24 giugno 1997, n.196 questa ipotesi contrattuale era

dettagliatamente disciplina dall’art.20).

La regolamentazione contenuta nel decreto delegato è sostanzialmente modellata sull’impianto della

circolare ministeriale n.43 del 1998, al fine di consolidare prassi già in atto.

Definizione e finalità generale

Il contratto di lavoro ripartito è definito dal D.Lgs. n.276 del 2003 come “uno speciale contratto di

lavoro mediante il quale due lavoratori si assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica

obbligazione lavorativa” (art.41).

L’oggetto del contratto è costituito da una “unica” ed “identica” prestazione lavorativa; ciò significa

che la prestazione è la stessa per ciascuno dei coobbligati: il datore di lavoro può chiedere l’esatto

ed integrale adempimento ad entrambi ed a ciascuno dei lavoratori, essendo irrilevante l’eventuale

ripartizione interna delle singole modalità operative concordate tra i lavoratori ai fini del

complessivo adempimento della prestazione.

Regole principali

Il vincolo di solidarietà

La formulazione dell’art.41, del D.Lgs n.276 del 2003, qualifica il contratto come una particolare

forma di lavoro subordinato, la cui specialità è data dal vincolo fiduciario che sussiste tra i 2

coobbligati; vincolo che contraddistingue questo contratto di lavoro, al pari dell’altro elemento che

qualifica la fattispecie, ossia il vincolo di solidarietà tra i 2 lavoratori coobbligati.

In base al vincolo di solidarietà ogni lavoratore è personalmente e direttamente responsabile

dell’adempimento dell’intera obbligazione lavorativa, senza che ciò impedisca che l’obbligazione

possa essere estinta in forza dell’adempimento di uno solo dei lavoratori coobbligati; ciò impone ai

lavoratori coobbligati l’obbligo di sostituirsi reciprocamente in caso di impedimento a svolgere la

prestazione lavorativa. I 2 lavoratori coobbligati hanno la facoltà di determinare discrezionalmente

e in qualsiasi momento sostituzioni tra di loro nonché di modificare consensualmente la

collocazione temporale dell’orario di lavoro. Un aspetto peculiare della fattispecie è, infatti,

l’ampia apertura lasciata alla autodeterminazione delle parti contraenti in materia di distribuzione

dell’orario di lavoro.

Il licenziamento o le dimissioni di uno dei lavoratori coobbligati comportano l’estinzione dell’intero

vincolo contrattuale, in quanto viene meno il vincolo fiduciario e di solidarietà, salvo diversa intesa

tra le parti (ammettendo così accordi individuali per l’assunzione di un altro lavoratore coobbligato)

e salvo che l’altro prestatore, su richiesta del datore di lavoro, si renda disponibile ad adempiere

l’obbligazione lavorativa, integralmente o parzialmente.

Disciplina applicabile

La regolamentazione del rapporto è demandata alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello

(nazionale, territoriale e aziendale) nel rispetto delle previsioni di legge.

In assenza di contratti collettivi e fatto salvo quanto stabilito dal D.Lgs. n.276/2003, si applica la

normativa generale del lavoro subordinato, in quanto compatibile con la particolare natura del

rapporto di lavoro ripartito.

Principio di non discriminazione

Per i periodi lavorati, il lavoratore ripartito non deve ricevere un trattamento economico e

normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di

mansioni svolte, fermo restando i divieti di discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla

legislazione vigente.

Il trattamento economico e normativo dei lavoratori coobbligati è riproporzionato, in ragione della

prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della

retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per

malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, congedi parentali.

Ciascuno dei lavoratori coobbligati ha diritto ai permessi retribuiti per partecipare alle assemblee di

cui all’art.20, Statuto dei lavoratori, entro il previsto limite complessivo di 10 ore annue, il cui

trattamento economico verrà ripartito fra i coobbligati proporzionalmente alla prestazione lavorativa

effettivamente eseguita.

Pubbliche amministrazioni

Così come il lavoro intermittente anche il lavoro ripartito non trova applicazione per il personale

delle pubbliche amministrazioni.

1.2.6 Apprendistato

Definizione e finalità generale

L’apprendistato è un contratto di lavoro con finalità formative avente causa mista (o doppia), poiché

in cambio della prestazione lavorativa il datore di lavoro si impegna non solo a retribuire il

lavoratore, ma ad assicurare anche la formazione professionale. A parziale compensazione degli

oneri che ricadono sul datore di lavoro per l’attività formativa svolta, lo Stato concede significative

agevolazioni contributive che azzerano, di fatto, il costo dei contributi sociali.

L’apprendistato ha ricevuto una prima compiuta regolamentazione con la legge 19 gennaio 1955, n.

25, successivamente oggetto di numerose integrazioni e modifiche, tra le quali emergono per

importanza quelle introdotte dall’art.21 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e dall’art.16 della legge

24 giugno 1997, n. 196.

Ora gli artt.47 e seguenti del D.Lgs. n. 276 del 2003 prospettano una nuova riforma, la cui

effettività è rinviata nel tempo, dopo che le Regioni avranno disciplinato in via legislativa l’istituto.

Per questa ragione è bene avere presente la disciplina attualmente vigente, pur preparandosi alle

future modifiche.

La disciplina della legge n.196 del 1997

Le innovazioni previste dall’art.16, della legge n.196 del 1997, per il contratto di apprendistato

risultano ispirate dall’intento di renderlo più congruo ad una formazione professionale effettiva,

attenuandone la valenza di mero strumento di riduzione del costo del lavoro. Viene previsto

l’obbligo di partecipazione degli apprendisti alle iniziative di formazione esterna all’azienda

previste dai contratti collettivi nazionali e proposte formalmente all’impresa da parte

dell’amministrazione pubblica competente (durata minima della formazione esterna all’azienda del

giovane apprendista pari ad almeno 120 ore). Inoltre, al fine di migliorare l’efficacia del processo

formativo, viene favorita la individuazione di tutors aziendali, ossia di figure interne all’azienda

chiamate ad affiancare l’apprendista nella “formazione sul lavoro” e a curare i rapporti tra l’azienda

e la struttura dedita alla formazione esterna (D.M. 28 febbraio 2000).

Possono essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato, i giovani di età

non inferiore a 15 anni (che abbiano assolto l’obbligo scolastico) e non superiore a 24 anni, ovvero

a 26 anni nelle aree di cui agli obiettivi n. 1 e 2 del regolamento CEE n. 2081/1993 (si tratta

prevalentemente di aree situate nel Mezzogiorno); nel settore artigiano la contrattazione collettiva

può elevare l’età massima fino a 29 anni, nel caso in cui l’assunzione riguardi qualifiche ad alto

contenuto professionale. Nel caso di portatori di handicap i limiti di età sono elevati di 2 anni.

Possono essere assunti in qualità di apprendisti anche i giovani in possesso di titolo di studio post-

obbligo (diploma di scuola media superiore; diploma professionale) o di attestato di qualifica

professionale idonei rispetto all’attività da svolgere.

L’art.16 della legge n. 196/1997 stabilisce che l’apprendistato non possa avere una durata superiore

a quella fissata dai contratti collettivi e comunque non inferiore a 18 mesi e superiore a 4 anni

(salvo per il settore artigiano, in cui il limite massimo è di 5 anni).

Per il contratto di apprendistato sono previsti incentivi sia normativi che economici:

- i lavoratori assunti come apprendisti sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da

leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti, salvo che

specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo stabiliscano diversamente;

- la concessione di agevolazioni riguarda i contributi per le assicurazioni sociali e previdenziali:

per gli apprendisti occupati presso aziende artigiane non è richiesto il versamento di questi

contributi (ad esclusione del contributo per la tutela della maternità); in tutti gli altri casi è

previsto un contributo in misura forfettaria non rapportata all’ammontare della retribuzione.

La riforma prospettata dal D.Lgs. n.276/2003

In attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nella l. n.30/2003, l’art.47, del D.Lgs. n. 276

del 2003, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di diritto - dovere di istruzione e di

formazione (quindi anche i percorsi della formazione in alternanza prevista dalla legge 28 marzo

2003, n.53, “riforma Moratti”), definisce il contratto di apprendistato secondo 3 distinte tipologie:

per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione;

professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul

lavoro e un apprendimento tecnico – professionale;

per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione.

Il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione

Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato per l’espletamento

del diritto – dovere di istruzione e formazione i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto 15

anni (art.48, D.Lgs. n. 276 del 2003).

Questa tipologia di apprendistato sarà finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale e

avrà una durata massima di 3 anni (la durata del contratto sarà determinata in considerazione della

qualifica da conseguire, dei titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonché

del bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l’impiego o dai soggetti privati

accreditati, mediante l’accertamento dei crediti formativi che saranno definiti ai sensi della legge

n.53/2003).

Spetterà alle Regioni, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero

dell’istruzione, della università e della ricerca, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei

prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, regolamentare i

profili formativi dell’apprendistato, prevedendo un monte ore, esterno o interno, all’azienda

congruo al conseguimento della qualifica professionale.

Il contratto dovrà essere stipulato in forma scritta e dovrà contenere l’indicazione della prestazione

lavorativa, del piano formativo individuale e della qualifica acquisibile al termine del rapporto di

apprendistato, sulla base della formazione aziendale od extra-aziendale.

Il contratto di apprendistato professionalizzante

Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato

professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro

e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico - professionali, i soggetti di età

compresa tra i 18 e 29 anni. Una deroga al requisito dell’età sarà possibile per i soggetti in possesso

di una qualifica professionale, conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n.53, che potranno

essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante a partire dal 17° anno di età.

La durata del contratto di apprendistato professionalizzante verrà stabilita dai contratti collettivi

(nazionali o regionali), in ragione del tipo di qualificazione da conseguire, e comunque non

inferiore a 2 anni e superiore a 6.

Per questa tipologia di contratto di apprendistato, come per la prima, verrà richiesta la forma scritta.

Anche per l’apprendistato professionalizzante la Regione dovrà intervenire a regolamentare i profili

formativi; in questo caso, è fissato però un monte ore di formazione, interna o esterna all’azienda, di

almeno 120 ore per anno per l’acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali.

Il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione

Potranno essere assunti, in tutti i settori di attività, con contratto di apprendistato per il

conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio

universitari e della alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore, i soggetti di

età compresa tra i 18 e i 29 anni (l’età minima potrà scendere a 17 anni in caso di possesso di

qualifica professionale).

La disciplina contenuta nel decreto è minima e la regolamentazione e la durata dell’apprendistato è

rimessa alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione.

1.2.7 Il contratto di inserimento

Definizione e finalità generale

Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 introduce per il settore privato, al posto del contratto di

formazione e lavoro, un nuovo contratto denominato contratto di inserimento in cui il profilo della

formazione, a differenza del precedente contratto di formazione e lavoro, è del tutto eventuale

rispetto all’obiettivo principale che è quello di politica occupazionale.

Il contratto di inserimento viene infatti definito come un contratto di lavoro diretto a realizzare,

mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un

determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro di

particolari categorie di lavoratori (art.54, D.Lgs. n. 276/2003).

Soggetti a cui è destinato

Il contratto di inserimento si rivolge a soggetti in condizione di svantaggio sotto il profilo

occupazionale: soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni; disoccupati di lunga durata da 29 fino a

32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderano

riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato da almeno 2 anni; donne di qualsiasi età

residenti in aree geografiche caratterizzate da un divario tra i tassi di occupazione e disoccupazione

femminili e maschili particolarmente elevato; persone con grave handicap fisico, mentale o

psichico.

I contratti di inserimento possono essere stipulati da: enti pubblici economici, imprese e loro

consorzi; gruppi di imprese; associazioni professionali, socio - culturali, sportive; fondazioni; enti di

ricerca, pubblici e privati; organizzazioni e associazioni di categoria.

Regole principali

Progetto individuale di inserimento

Nel contratto di inserimento è prevista la predisposizione di un progetto individuale di inserimento,

definito con il consenso del lavoratore e finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze

professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo.

Forma

Il contratto di inserimento deve essere stipulato, a pena di nullità, in forma scritta e deve contenere

l’indicazione del progetto individuale di inserimento.

Durata

Si tratta di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, di durata non inferiore a 9 mesi

e superiore a 18 mesi (elevabile a 36 per i portatori di handicap grave). Nel computo della durata

massima non rilevano i periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare e di quello civile e i

periodi di astensione per maternità. Il contratto di inserimento non è rinnovabile tra le stesse parti e

le eventuali proroghe sono ammesse entro il limite massimo di durata.

Ad esso si applicano in quanto compatibili le disposizioni sul contratto a tempo determinato, salvo

diversa previsione dei contratti collettivi.

Incentivi normativi ed economici

Per quanto riguarda gli incentivi normativi, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono

esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di

particolari normative ed istituti, fatte salve specifiche previsioni del contratto collettivo.

I vantaggi per le imprese che attivano contratti di inserimento sono, oltre che normativi, di ordine

retributivo e contributivo.

L’azienda può pagare una retribuzione più bassa, poiché il lavoratore può essere inquadrato in una

categoria non inferiore per più di due livelli alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni

o funzioni richiedenti qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è preordinato il

progetto di inserimento.

In attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione si applicano gli incentivi

economici previsti dalla disciplina vigente in materia di c.f.l., ma solo per alcuni dei soggetti

indicati in precedenza.

Gli incentivi trovano applicazione solo per alcuni dei soggetti assumibili con contratto di

inserimento: disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni; lavoratori con più di 50 anni, privi di

un posto di lavoro; lavoratori che desiderano riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano

lavorato da almeno 2 anni; donne di qualsiasi età residenti in aree geografiche caratterizzate da un

divario tra i tassi di occupazione e disoccupazione femminili e maschili particolarmente elevato;

persone con grave handicap fisico, mentale o psichico; con esclusione dei contratti stipulati con i

soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. In tali casi la legge stabilisce una riduzione dei

contributi previdenziali ed assistenziali in misura differenziata a seconda dell’area e del settore

produttivo:

- nel Mezzogiorno, nelle zone ad elevata disoccupazione e per tutte le imprese artigiane i

contributi previdenziali sono stabiliti nella stessa misura prevista per gli apprendisti;

- le imprese commerciali e turistiche con meno di 15 dipendenti, non ubicate nel Mezzogiorno e

nelle zone ad elevata disoccupazione, godono di una riduzione degli oneri contributivi del 40%;

- tutte le altre imprese (non ubicate nel Mezzogiorno e nelle zone ad elevata disoccupazione, non

artigiane, non commerciali e non turistiche) godono di una riduzione del 25%.

Fase transitoria

La nuova normativa non è immediatamente applicabile, poiché i contratti collettivi di lavoro

(nazionali, territoriali, aziendali) devono determinare le modalità di definizione dei progetti

individuali di inserimento, con particolare riferimento alla realizzazione del progetto.

Qualora, entro 5 mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, non sia intervenuta la

determinazione da parte del contratto collettivo nazionale di lavoro delle modalità di definizione dei

piani individuali di inserimento, il Ministro del lavoro convocherà le organizzazioni sindacali

interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assisterà, al fine di promuovere l’accordo. Solo

se entro i 4 mesi successivi a tale convocazione non verrà raggiunta un’intesa, il Ministro del lavoro

individuerà in maniera provvisoria, con proprio decreto, le modalità di definizione dei piani

individuali di inserimento.

1.2.8 Contratto di formazione e lavoro

Disciplina transitoria per il settore privato

Per gestire il regime transitorio dei contratti di formazione e lavoro è stato sottoscritto, dalle

associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano

nazionale, il 13 novembre 2003, un accordo interconfederale, ai sensi dell’art.86, comma 13, D.Lgs.

n.276/2003.

L’accordo interconfederale prevede che: 1) i contratti di formazione e lavoro stipulati, anche dopo il

23.10.2003 (ultimo giorno prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276/2003), in base a progetti

approvati entro tale data, esplicano integralmente i loro effetti fino alla scadenza prevista; 2) i

progetti per contratti di formazione e lavoro il cui deposito è avvenuto entro il 23.10.2003 possono

proseguire il loro iter di valutazione secondo le modalità precedentemente in vigore e se approvati

saranno attivati esplicando integralmente i loro effetti; 3) le assunzioni saranno effettuate nell’arco

di tempo previsto dalle delibere regionali o dalle intese interconfederali o settoriali che disciplinano

la materia.

Il contratto di formazione e lavoro nella Pubblica amministrazione

La previgente disciplina in materia di contratti di formazione e lavoro trova applicazione

esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione, sia per l’affermazione di principio di

cui all’art.6, l. n.30/2003 ed art.1, comma 2, D.Lgs. n.276/2003 (esclusione dal campo di

applicazione della normativa della pubblica amministrazione e del relativo personale), sia per

espressa previsione dell’art.86, comma 9, D.Lgs. n. 276/2003. Quindi anche dopo il 24.10.2003

(data di entrata in vigore del D.Lgs. n.276/2003) il contratto di formazione e lavoro può continuare

ad essere stipulato dalle pubbliche amministrazioni.

1.2.9 Il lavoro a progetto

Definizione e finalità generale

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, consistenti in una prestazione di attività resa

a favore di un committente in maniera prevalentemente personale e senza vincolo di

subordinazione, di cui all’art.409 n.3 del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a

uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso di durata prefissata, determinati dal

committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del

coordinamento con la organizzazione del committente ed indipendentemente dal tempo impiegato

per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

La novità principale rispetto alla disciplina precedente consiste nel dover agganciare, per il settore

privato, il contratto ad un progetto o programma di lavoro o fase di esso, essendo ora vietato il

rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a tempo indeterminato.

L’intento del legislatore è stato quello di ricondurre le collaborazioni coordinate e continuative

“genuine” al lavoro a progetto oppure, nel caso in cui si trattasse di collaborazioni fittizie, al lavoro

subordinato.

Regole principali

Campo di applicazione

Il comma 1, dell’art.61, del D.Lgs. n.276 del 2003, nel ricondurre i contratti collaborazione

coordinata e continuativa al lavoro a progetto tiene ferma la disciplina per gli agenti ed i

rappresentanti di commercio.

Sono esclusi dal campo di applicazione del lavoro a progetto le professioni intellettuali per

l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, nonché i rapporti e le

attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese ed utilizzate a fini istituzionali in

favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive

nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal Coni;

sono altresì esclusi dal campo di applicazione gli amministratori e i sindaci delle società e i

partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia, per i

quali continueranno a potersi stipulare le precedenti collaborazioni coordinate e continuative.

Diritti e doveri del collaboratore a progetto

Fermo restando che il legislatore delegato non ha pregiudicato l’applicazione di clausole di

contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto, i diritti

del collaboratore si caratterizzano, in primo luogo, per una chiara determinazione del corrispettivo.

Il compenso del collaboratore a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro

eseguito e per la sua determinazione si deve tener conto dei compensi normalmente corrisposti per

analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.

Il lavoratore a progetto ha, inoltre, diritto ad essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello

svolgimento del rapporto.

Sono state inoltre estese tutele proprie del lavoro subordinato, predisponendo un sistema di tutele

minimo a presidio della dignità e sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a

maternità, malattia, infortunio e malattie professionali, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

Inoltre, si deve precisare che l’attività del collaboratore a progetto, può essere svolta a favore di più

committenti, salvo diverso accordo tra le parti.

Per quanto concerne i doveri, è stabilito che il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in

concorrenza con i committenti né, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai

programmi ed alla organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della

attività dei committenti stessi.

Misure sanzionatorie

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno

specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro

subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto.

In secondo luogo, qualora venga accertato dal giudice che il rapporto di lavoro a progetto sia venuto

a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro

subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. In questo caso, il

controllo da parte del giudice è limitato esclusivamente all’accertamento dell’esistenza del progetto,

programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito

valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.

Durata

I contratti a progetto si risolvono al momento della realizzazione del progetto o programma di

lavoro o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto.

Tra i tratti distintivi del lavoro a progetto rispetto al lavoro dipendente, rientra l’autonomia del

collaboratore nello svolgimento della prestazione, in particolare, per quanto riguarda l’irrilevanza

del tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Inoltre, nel lavoro a progetto la

prestazione assume necessariamente un carattere temporaneo, in funzione del risultato dedotto in

contratto, ossia dell’esecuzione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso che,

in quanto tale, non può che essere limitato nel tempo. Ne è prova il fatto che tra i contenuti del

contratto di lavoro è richiesta la indicazione della durata, determinata o determinabile, della

prestazione di lavoro.

Il recesso prima della scadenza del termine è possibile solo in presenza di giusta causa o secondo le

diverse causali e modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti stesse nel contratto di lavoro

individuale.

Rinnovo

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, mediante circolare 8 gennaio 2004, n.1, ha precisato

la disciplina del lavoro a progetto, in particolare, ha previsto, da una parte, che un analogo progetto

o programma di lavoro possa essere oggetto di successivi contratti con lo stesso collaboratore e,

dall’altra, che il lavoratore a progetto possa essere impiegato successivamente anche per diversi

progetti o programmi aventi contenuto diverso. In entrambe le ipotesi, rinnovo e nuovi progetti per

lo stesso lavoratore, non devono costituire strumenti elusivi della normativa di cui al D.Lgs.

n.276/2003.

Disposizioni transitorie

Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della normativa previgente, che non

possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro

scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente

provvedimento. Termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni

coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina previgente potranno essere stabiliti

nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime, stipulati in sede aziendale con le

istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale (art.86,

comma 1).

I vecchi rapporti di collaborazione autonoma possono dunque, mediante accordo sindacale

aziendale, essere mantenuti in vita anche per altri anni, con estensione ai collaboratori coordinati e

continuativi delle protezioni disposte dagli artt.62-68, D.Lgs. n. 276/2003, che prevedono, come già

detto in precedenza, alcune tutele in materia di igiene e sicurezza del lavoratore, corrispettivo,

invenzioni del lavoratore, sospensione per malattia, infortunio, maternità o altri impedimenti

personali, preavviso di recesso unilaterale, rinunce e transazioni di diritti previsti dagli artt.62-67.

All’interno dell’accordo aziendale il datore di lavoro deve contrattare con i sindacati la transizione

di questi collaboratori o verso il lavoro a progetto o verso le nuove forme di lavoro flessibile

disciplinate dal D.Lgs. n.276/2003 o verso le forme del lavoro subordinato già disciplinate

(Circolare ministeriale n.1/2004).

Collaborazioni coordinate e continuative e Pubblica amministrazione

La disciplina del lavoro a progetto (artt.61-69), stante la disposizione di cui all’art.1, comma 2,

D.Lgs. n. 276/2003 e l’art.6, l. n. 30/2003, non si applica alla Pubblica amministrazione, con la

conseguenza che esse potranno continuare a stipulare collaborazioni coordinate e continuative, ai

sensi dell’art.7, D.Lgs. n.165/2001 ed art.110, D.Lgs. 267/2000.

Viene quindi a crearsi un regime separato per il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione;

si verifica uno scostamento tra due assetti regolativi, entrambi di diritto comune, l’uno rivolto

all’impresa e l’altro alle amministrazioni, con una duplicazione di sistemi e con un rischio per la

pubblica amministrazione di offrire ai propri lavoratori minori garanzie rispetto al settore privato.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica- con nota del 18

novembre 2003 n.8329/11, messa a punto dall’Ufficio per il personale delle Pubbliche

Amministrazioni, è intervenuta sulle collaborazioni coordinate e continuative delle Amministrazioni

centrali e degli Enti locali ricordando che esse devono: 1) caratterizzarsi per l’autonomia di

svolgimento; 2) riguardare profili professionali elevati; 3) essere tali, quanto a caratteristiche e

contenuti professionali, come sostenuto dalla Corte dei Conti, da eccedere le ordinarie competenze

dei propri dipendenti, oppure non devono potersi svolgere per carenza oggettiva, assoluta o relativa,

di determinate figure professionali.

Occorre comunque ricordare che l’art.86, comma 8, D.Lgs. n.276/2003, dispone che il Ministro per

la funzione pubblica convochi le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei

dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti

all’entrata in vigore del D.Lgs. n.276/2003, entro 6 mesi, anche ai fini della eventuale

predisposizione di provvedimenti legislativi in materia.

Disposizioni previdenziali

L’art.45, del d.l. 30 settembre 2003, n.269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre

2003, n.326 (collegato alla Finanziaria 2004), prevede che dal 1° gennaio 2004 l’aliquota

contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata INPS non assicurati presso altre

forme obbligatorie sia stabilità in misura identica a quella prevista per la gestione pensionistica dei

commercianti, passando dal 14 al 17,39% (18,39% a seconda dello scaglione di riferimento). Per gli

anni successivi ad essa si applica un incremento annuale di 0,2 punti percentuali fino a raggiungere

l’aliquota del 19%.

1.2.10 Il lavoro occasionale

Per lavoro occasionale, distinto dal lavoro a progetto, si intende ogni rapporto di durata complessiva

non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente e che dia luogo ad un

compenso complessivamente percepito nello stesso anno solare, non superiore a 5 mila euro sempre

con lo stesso committente.

La Circolare del Ministero del lavoro dell’8 gennaio 2004 n.1 precisa che le prestazioni occasionali

di cui all’art.61, comma 2°, D.Lgs. n.276/2003 sono “collaborazioni coordinate e continuative per le

quali, data la loro limitata “portata”, si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto” e

quindi di sottrarle all’ambito di applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n.276/2003.

Le prestazioni occasionali (di durata inferiore a 30 giorni e per un compenso non superiore a 5.000

€, con lo stesso committente) sono soggette a contribuzione previdenziale qualora sia configurabile

un rapporto di collaborazione coordinata di cui all’art.50, comma 1, lett.c-bis), del TUIR e non ci si

trovi in presenza di un rapporto di lavoro autonomo di cui all’art.2222 cod. civ. (Circolare INPS n.9

del 22 gennaio 2004). Tale chiarimento da parte dell’INPS, in linea con quanto disposto dal

Ministero del Welfare nella circolare n.1/2004, risulta di difficile coordinamento con l’art.4, comma

1, lett.c), n.2), l. n. 30/2003, che ha delegato il Governo a differenziare le collaborazioni coordinate

e continuative rispetto ai rapporti di lavoro meramente occasionali “intendendosi per tali i rapporti

di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso

committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore

a 5.000 euro”. Inoltre, la relazione di accompagnamento del D.Lgs. n.276/2003 ha posto in evidenza

che con il 2° comma dell’art.61 di tale decreto si è inteso contenere le prestazioni occasionali che

“sono esenti da contribuzione”.

La Circolare ministeriale n.1/2004 distingue le prestazioni occasionali (art.61, comma 2, D.Lgs.

n.276/2003) dalle attività di lavoro autonomo occasionale (art.2222 c.c.) in cui non si riscontra un

coordinamento ed una continuità nelle prestazioni, non soggette a limiti temporali e reddituali se

non quelli coerenti con l’occasionalità della prestazione e che per questa natura non sono soggetti

né all’iscrizione alla Gestione separata INPS né all’adempimento degli obblighi contributivi.

Infine occorre sottolineare che, a partire dal 1° gennaio 2004, i soggetti che esercitano attività di

lavoro autonomo occasionale (ai sensi dell’art.2222 c.c.) sono iscritti alla gestione separata INPS e

conseguentemente devono versare i contributi previdenziali, solo nel caso in cui il reddito annuo

derivante da tale attività sia superiore a 5.000 euro. Per il versamento del contributo da parte di tali

soggetti si applicano le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi

iscritti alla gestione separata (art.44, 2° comma, legge n.326/2003).

1.2.11 Il lavoro accessorio

Definizione e finalità generale

Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono le attività lavorative di natura meramente

occasionale, rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel

mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne. Tali attività devono essere riconducibili a: a)

piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza domiciliare ai bambini, alle

persone anziane, ammalate o con handicap; b) insegnamento privato supplementare; c) piccoli

lavori di giardinaggio, di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; d) realizzazione di

manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; e) collaborazione con enti pubblici e

associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, dovuti a calamità, eventi

naturali improvvisi o di solidarietà.

Si tratta di prestazioni di breve periodo svolte occasionalmente in favore, come disposto dall’art.4,

comma 1, lett.d), legge n.30/2003, di famiglie e di enti senza fini di lucro.

La “attività occasionale e accessoria” comprende tutte quelle attività lavorative che coinvolgono il

lavoratore per una durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare, anche se

l’attività è svolta a favore di più beneficiari e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo

a compensi superiori a 3 mila euro, sempre nel corso di un anno solare.

Soggetti a cui è destinato

L’elemento centrale nella definizione del lavoro accessorio è di ordine soggettivo; possono svolgere

attività di lavoro accessorio: a) disoccupati da oltre un anno; b) casalinghe, studenti e pensionati; c)

disabili e soggetti in comunità di recupero; d) lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti

in Italia, nei 6 mesi successivi alla perdita di lavoro.

I lavoratori interessati a svolgere prestazioni di lavoro accessorio comunicano la loro disponibilità

ai servizi per l’impiego delle Province, nell’ambito territoriale di riferimento, o ai soggetti

accreditati dalle Regioni; a seguito della comunicazione i soggetti interessati allo svolgimento di

prestazioni di carattere accessorio ricevono, a loro spese, una tessera magnetica da cui risulta la loro

condizione.

Regole principali

Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio i beneficiari acquistano presso le rivendite

autorizzate uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio del valore nominale di 7,5

euro.

Il lavoratore percepisce il proprio compenso presso gli enti o le società concessionarie all’atto della

restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio, in misura pari

a 5,8 euro per ogni buono consegnato.

L’ente o la società concessionaria provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i

buoni per prestazioni di lavoro accessorio, registrando i dati anagrafici ed il codice fiscale e

provvedendo per suo conto al versamento dei contributi per fini previdenziali all’INPS, alla

gestione separata, in misura di 1 euro e per fini assicurativi contro gli infortuni all’INAIL, in misura

di 0,5 euro e trattiene 0,2 euro a titolo di rimborso spese.

Questa tipologia contrattuale potrà essere utilizzata dopo che il Ministro del lavoro e delle politiche

sociali avrà individuato, con proprio decreto, i soggetti autorizzati alla vendita dei buoni

(presumibilmente saranno tabaccherie, uffici postali, edicole o altri luoghi a capillare diffusione sul

territorio) e gli enti e le società concessionarie della riscossione dei buoni (si pensa possano essere

banche, uffici postali), oltre che i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle

relative coperture assicurative e previdenziali.

Distinzione dal lavoro occasionale

La distinzione tra le prestazioni occasionali e quelle accessorie e occasionali sta nel fatto che nelle

prime si fa riferimento al committente a favore del quale il lavoro è stato prestato, le seconde sono

prestazioni che lo stesso lavoratore ha svolto a favore anche di più beneficiari. Nel primo caso il

criterio quantitativo (ossia prestazioni svolte per non più di 30 giorni e di valore non superiore a

5.000 euro) è riferito all’incarico, nel secondo caso (prestazioni svolte per non più di 30 giorni e di

valore non superiore a 3.000 euro) al lavoratore.

Il lavoro accessorio nell’esperienza belga

Questa tipologia contrattuale è stata introdotta nel nostro ordinamento riprendendola dall’esperienza

belga: “contrat de travail Ale (Agences locales pour l’emploi)”. Ogni Comune o gruppo di Comuni

è obbligato a costituire un’Ale. Tra i compiti dell’agenzia rientra l’attestazione del fatto che il tipo

di attività lavorativa richiesta dal candidato utilizzatore può essere considerata marginale e

accessoria.

Colui che intende avvalersi di queste prestazioni lavorative deve rivolgersi all’Ale comunale

competente e compilare un formulario nel quale descrive le attività che intende affidare al prestatore

di lavoro. L’agenzia concede la sua approvazione, condizione essenziale per usufruire di prestazioni

lavorative accessorie, solo nel caso in cui le attività siano estranee ai tradizionali rapporti di lavoro e

rispondano a bisogni temporanei ed urgenti.

L’Ale è stata istituita con il compito di offrire occasioni di lavoro ai disoccupati di lunga durata ed

altre categorie assimilabili, beneficiari di prestazioni sociali o di somministrazione di un minimum

di mezzi di sussistenza, non per studenti, pensionati e le altre tipologie di cui all’art.71 del D.Lgs

n.276 del 2003.

Esistono 3 specie di lavoro accessorio:

1) “assistant pour la prevention et la sécurité”: attività quali la sorveglianza ferroviaria, la custodia

della auto in sosta, la vigilanza all’esterno delle scuole, il controllo dei fattori di rischio

ambientale nei quartieri, la repressione delle infrazioni dei limiti di velocità da parte delle

vetture e delle motociclette, …;

2) attività stagionali e occasionali nel settore dell’orticoltura;

3) attività stagionali e occasionali nel settore agricolo.

Il “contrat Ale” deve essere stipulato in forma scritta e sottoscritto prima dell’inizio della

prestazione. I soggetti del contratto sono 3: employeur (Ale), utilisateur (datore di lavoro) e

travailleur (prestatore). La retribuzione delle prestazioni lavorative Ale avviene mediante i cd.

“cheques Ale” che l’utilizzatore può acquistare quando l’agenzia rilascia il formulario contente

l’autorizzazione ad usufruire delle prestazioni lavorative richieste. L’utilizzatore consegna gli

cheques al lavoratore nel corso dell’esecuzione della prestazione.

Come si può notare il modello belga prevede, a differenza di quello italiano, una disciplina

estremamente complessa e dettagliata, incentrata sull’attività di un’agenzia, l’Ale.

1.3 Quali politiche locali del lavoro in un mercato del lavoro

“flessibile”?

Si è detto che il principale problema di politica del lavoro derivante dall’introduzione delle nuove

forme di lavoro illustrate è rinvenibile nel rischio che i lavoratori impiegati con contratti di lavoro

che li collocano spesso in condizione precaria o poco qualificata cadano stabilmente nella trappola

della marginalità rispetto al cuore del mercato del lavoro. Ne deriva innanzi tutto che l’area dei

lavoratori interessati al problema non è riconducibile esclusivamente a quella di coloro che prestano

la loro attività sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa o di lavoro a progetto, ma si

estende, in potenza, a tutte le forme di lavoro caratterizzate da forte discontinuità (lavoratori

interinali, intermittenti, stagionali) o con orari molto ridotti (v. part-time per poche ore alla

settimana).

Al fine di sostenere e migliorare l’occupazione di questi lavoratori, le istituzioni pubbliche e le

parti sociali possono programmare e realizzare interventi specifici, la cui efficacia può essere

considerata più che buona in contesti territoriali caratterizzati da bassi tassi di disoccupazione.

In generale possono essere considerate utili a questi fini misure di rafforzamento della posizione

del lavoratore sul mercato ed in primo luogo interventi di formazione professionale, finalizzati ad

una qualificazione o specializzazione richiesta dalle imprese.

Appare però ancor più interessante l’adozione di una strategia complessiva a sostegno specifico dei

lavoratori con contratti non standard. Potrebbe, ad esempio, essere attivato un progetto per questi

lavoratori, articolato in interventi di orientamento, di formazione professionale, di incontro tra

domanda ed offerta. Non solo. Questi interventi potrebbero essere realizzati individuando anche

soluzioni organizzative originali: ad esempio individuando, all’interno delle strutture preposte (in

primo luogo all’interno dei centri per l’impiego), sportelli dedicati oppure costituendo una task-

force di operatori con competenze diverse (in materia di orientamento, servizi per l’impiego,

formazione professionale, politiche attive del lavoro) chiamata a promuovere e coordinare interventi

in questo campo.

Nell’ambito di questo disegno particolari interventi possono essere indirizzati nei confronti dei

lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi e lavoratori a progetto). Anche

tenendo conto di esperienze realizzate o di proposte avanzate in altre realtà territoriali (Toscana,

Lazio, Liguria, Molise, Trentino, Abruzzo, Lombardia), può essere ricostruito il seguente quadro

di possibili iniziative a sostegno di tali lavoratori:

a) il primo intervento utile è rinvenibile nel rafforzamento della conoscenza del fenomeno: occorre

cioè dare stabilità all’osservazione del lavoro non standard, per coglierne prontamente

l’evoluzione, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo;

b) la Provincia potrebbe, nel quadro della propria politica attiva del lavoro, concedere contributi

finalizzati a migliorare e consolidare la posizione dei parasubordinati sul mercato del lavoro.

I contributi potrebbero sostenere l’acquisto o la locazione di determinati beni (sedi, attrezzature,

strumentazioni, materiali, pacchetti di programmi informatici) o servizi (ad es. accessi a banche dati

o siti specializzati, abbonamenti a riviste di settore).

Una prima versione di questo intervento, di tipo soft, può prevedere la concessione dei contributi in

relazione all’esecuzione di attività aventi una certa durata e/o valore economico.

Va segnalata anche una seconda versione, certamente più ambiziosa: i contributi potrebbero essere

concessi solo a sostegno dell’avvio di attività di lavoro autonomo o d’impresa. In questo caso si

mirerebbe a favorire il passaggio dallo stadio iniziale del lavoro parasubordinato ad una

collocazione professionale più solida e gratificante. Si tratta di creare le condizioni per rendere, per

quanto possibile, l’area del lavoro parasubordinato un’area di transizione, destinata per molti

lavoratori (in specie quelli destinati ad attività professionali) ad esaurirsi in un lasso di tempo

relativamente breve.

Non v’è dubbio che l’efficacia della misura e la prevenzione di possibili abusi dipenderanno da una

puntuale specificazione delle condizioni, modalità e limiti per la concessione dei benefici indicati.

Tra i limiti che possono svolgere un ruolo cruciale per il buon esito dell’intervento vi è quello

relativo alla cumulabilità (o meno) dei contributi con quelli previsti da analoghi interventi regionali

o statali; il tema andrebbe pertanto valutato molto attentamente, soprattutto alla luce dell’entità più

o meno ragguardevole dei contributi previsti.

c) sempre nell’intento di rafforzare la posizione dei lavoratori considerati sul mercato del lavoro,

potrebbero inoltre essere favorita la partecipazione ad attività formative particolarmente

qualificanti, svolte da istituzioni italiane ed estere. La misura potrebbe consistere sia in iniziative

corsuali specificamente predisposte dalla Provincia (ma in proposito va segnalata la difficoltà di

cogliere puntualmente i bisogni formativi di un’utenza tanto variegata e di organizzare una gamma

completa e vasta di iniziative formative), sia nella erogazione di voucher spendibili presso

istituzioni formative di grande prestigio, selezionate sul mercato internazionale. Quest’ultima

soluzione garantirebbe certamente indubbi vantaggi nello snellimento delle procedure di gestione

del contributo e nella flessibilità di fruizione della formazione da parte dei soggetti interessati;

d) un altro importante filone di intervento della Provincia nel campo considerato è rinvenibile

nell’attività di “certificazione dei contratti di lavoro”, secondo quanto previsto dal d. lgs. n. 276/03.

Il Titolo VIII (artt. 75- 84) di tale decreto chiama infatti la Provincia (oltre che la Direzione

provinciale del lavoro, gli enti bilaterali e le Università), a svolgere un ruolo di rilievo al fine di

ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro ed assicurare “certezza di

diritto” anche nei rapporti di lavoro meno standardizzati e a più alto rischio di conflittualità (lavoro

a progetto, lavoro intermittente, lavoro a tempo parziale, lavoro ripartito, contratti di associazione

in partecipazione). E’ bene infatti essere consapevoli che, in aggiunta alla questione classica della

distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, il problema di qualificazione sembra oggi

ulteriormente accentuato dal proliferare di diversi contratti a seguito dell’emanazione dello stesso

decreto legislativo n. 276 del 2003 (come si è cercato di illustrare nella seconda parte del presente

contributo).

La Provincia può dunque decidere di assumere un ruolo in questo campo, costituendo una propria

Commissione di certificazione dei contratti di lavoro o partecipando, insieme agli altri soggetti

sopra indicati, alla costituzione di una Commissione “integrata”.

Nelle intenzioni del legislatore, la “certificazione” dovrebbe dunque rappresentare una tecnica

attraverso cui le parti di un contratto individuale di lavoro pervengono, anche grazie all’aiuto di

apposite strutture specializzate, a una precisa qualificazione del contratto di lavoro che tra esse

intercorre. Le procedure di certificazione (attivate volontariamente dalle parti) dovrebbero pertanto

“rendere certa” tra le stesse la “natura” del contratto di lavoro (subordinato o autonomo) ed

eventualmente il tipo (ad es. intermittente, ripartito, a tempo parziale, a progetto).

Quali gli effetti che si possono attendere dalla certificazione?

Poiché a contratti diversi si applicano discipline diverse, la certificazione ha innanzitutto la finalità

di rendere certo il novero dei diritti e degli obblighi che gravano su ciascuna delle parti. Ciò anche

al fine di evitare loro inattese conseguenze patrimoniali che spesso derivano da una sentenza di

condanna, per il periodo in cui il rapporto ha già avuto esecuzione sulla base di un contratto poi

diversamente qualificato dal giudice (questo accade, ad es., quando il datore di lavoro abbia

omesso di corrispondere il trattamento previsto per il lavoratore subordinato, nella convinzione che

si trattasse di lavoro autonomo: la sentenza del giudice che qualifica quel rapporto come lavoro

subordinato condannerà lo stesso datore alla corresponsione del trattamento retributivo e

contributivo per il periodo pregresso).

La certificazione vorrebbe poi contribuire a ridurre l’abnorme contenzioso pendente dinanzi ai

giudici del lavoro proprio in tema di qualificazione del contratto di lavoro (in particolare con

riferimento alla natura subordinata o autonoma di esso). In tal senso, certificare ex ante natura e

tipologia contrattuale dovrebbe avere l’effetto di prevenire il contenzioso successivo (a contratto

già in esecuzione o, come spesso accade, a rapporto contrattuale già estinto) di fronte al giudice.

Lo strumento non va però enfatizzato, pena la caduta in amare delusioni.

La qualificazione operata in sede di certificazione non vincola, una volta per tutte, le parti e il

giudice ad applicare la disciplina corrispondente al tipo certificato.

E’ la legge stessa infatti a prevedere che le parti e i terzi, nella cui sfera giuridica l’atto di

certificazione è destinato a produrre effetti, possano impugnarlo, sia per erronea qualificazione del

contratto, sia per difformità nella sua attuazione, sia per vizi del consenso tra le parti (non avrebbe

potuto essere diversamente, d’altronde, poiché sarebbe stata incostituzionale una previsione di

legge volta a impedire alle parti il ricorso giurisdizionale).

Inoltre, la legge prevede che l’accertamento da parte del giudice dell’erroneità della certificazione

abbia effetto fin dal momento della stipulazione del contratto: questo comporta che le risultanze

della precedente certificazione vengano travolte con effetto retroattivo per effetto del provvedimento

giurisdizionale, sicché la certificazione non è in grado di garantire certezza alcuna alle parti (poiché

gli effetti derivanti dal contratto certificato possono essere cancellati retroattivamente dalla diversa

qualificazione operata dal giudice).

Queste premesse non impediscono che, di fatto, la certificazione possa sortire effetti non irrilevanti.

Si tenga presente, a tal proposito, che la certificazione dovrà essere effettuata sulla base degli

orientamenti giurisprudenziali prevalenti, contenuti in appositi “moduli o formulari” predisposti dal

Ministero del Welfare, nonché sulla base di “codici di buone pratiche” (predisposti dallo stesso

Ministero) per l’individuazione delle clausole indisponibili dalle parti in relazione a ogni tipologia

contrattuale, e contenenti altre indicazioni fornite dagli accordi interconfederali; se a ciò si aggiunge

che l’organo certificatore può assumere una certa autorevolezza (si pensi a commissioni presiedute

da soggetti di chiara fama, competenza ed esperienza nell’ambito del diritto del lavoro e delle

relazioni industriali), si evince che una certificazione autorevole, aderente ai prevalenti orientamenti

giurisprudenziali, rispondente alle indicazioni delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei

lavoratori, è in grado di conseguire, nei fatti, una garanzia di uniformità e solidità della disciplina,

con scoraggiamento dei comportamenti devianti.

e) l’ampia gamma di contratti di lavoro esistenti e le continue novità legislative richiedono

un’opera di informazione costante in primo luogo dei giovani in ingresso nel mercato del lavoro,

spesso disorientati di fronte all’evoluzione in atto. Per queste ragioni sembrerebbe opportuna una

campagna di informazione/formazione volta a rendere consapevoli i giovani (ed i principali

protagonisti del processo educativo: le famiglie e gli insegnanti) delle caratteristiche fondamentali

dei vari tipi di contratto.

L’obiettivo è quello di rendere i giovani capaci di scegliere con cognizione di causa, valutando

serenamente vantaggi e svantaggi.

Se la si ritiene adatta al contesto locale, potrebbe essere realizzata anche una specifica campagna a

sostegno della diffusione del part-time che, come è noto, nel nostro Paese ha tassi di utilizzo molto

più bassi di altri Paesi dell’Unione europea. Questa iniziativa può essere inquadrata nell’ambito

della strategia volta ad innalzare i tassi di occupazione (in specie quello femminile e quello dei

lavoratori ultra cinquantenni).

f) un ultimo ed ambizioso obiettivo per la politica locale del lavoro (anche se le risorse richieste

renderebbero più opportuno un intervento da parte della Regione) può essere segnalato nel sostegno

finanziario ad enti bilaterali che prevedano di erogare ai lavoratori prestazioni integrative o

complementari a carattere previdenziale in particolare per quanto riguarda il sostegno al reddito nei

periodi di disoccupazione involontaria. In concreto potrebbe ipotizzarsi un contributo destinato a

coprire una quota degli oneri sostenuti dall’Ente bilaterale. Questo intervento potrebbe offrire forme

di tutela oggi inesistenti ai lavoratori impiegati in lavori caratterizzati da alta discontinuità,

mobilizzando risorse private ed attribuendo notevoli responsabilità alle parti sociali.

PARTE SECONDA: Un’analisi sulla base dell’Indagine sulle Forze di

lavoro e i dati INPS

1.4 La flessibilità del lavoro: alcune riflessioni

I paesi industrializzati, nel corso degli anni ’90, hanno registrato una crescita particolarmente

accentuata di forme atipiche di rapporti di lavoro, più articolate e flessibili rispetto al modello

standard a tempo pieno e a tempo indeterminato. Questa crescente diversificazione dei rapporti di

impiego, caratterizzata da modalità contrattuali meno stabili e più flessibili, determina un

progressivo allontanamento dal rapporto standard a tempo pieno e permanente che, tuttavia, può

manifestarsi in modi diversi nei differenti contesti nazionali e locali: anche in Italia, esistono

rilevanti differenze territoriali nella diffusione dei rapporti di lavoro atipici, nelle caratteristiche di

coloro che sono occupati con queste tipologie contrattuali, nei tassi di trasformazione di queste

forme di lavoro in occupazioni a tempo pieno e a tempo indeterminato, nelle modalità di utilizzo di

ciascun istituto contrattuale.

Il crescente ricorso a forme di lavoro atipico ha indotto una maggiore attenzione sulla flessibilità del

lavoro nelle sue diverse accezioni (oraria, salariale, interna/esterna, ecc.) e sugli interventi di

deregolazione dei regimi di protezione dell’impiego nei diversi contesti nazionali (Reyneri, 1996;

Esping-Andersen e Regini, 2000; Bentolilla e Bertola, 1990; Blanchard, 1998). Sia pure

mantenendo la struttura portante dei propri sistemi di welfare e di protezione del lavoro, quasi tutti i

Paesi Europei hanno adottato, con intensità diversa, forme di liberalizzazione dei contratti di lavoro

e norme più elastiche sui licenziamenti, anche sulla spinta delle indicazioni sempre più pressanti di

alcuni organismi sovranazionali, quali l’UE e l’OECD, che identificano, nella rigidità del mercato

del lavoro, una delle principali cause della disoccupazione e della scarsa capacità di creare nuova

occupazione in Europa. Tuttavia, appare opportuno sottolineare che queste problematiche “comuni”

possono essere affrontate mediante interventi (deregolazione, neo-regolazione, mix di entrambe),

che possono essere diversi, non solo tra Paesi, ma anche tra aree territoriali all’interno di ciascun

Paese e tra un’area di policy e l’altra (Regini, 2000).

La teoria economica, comunque, non ha ancora dimostrato né l’esistenza di un legame tra una

minore protezione del lavoro ed una migliore efficienza del mercato del lavoro, (intesa come effetto

positivo sui livelli di occupazione), né la relazione inversa, ovvero che ad un’elevata rigidità delle

forme di impiego corrisponda un basso rendimento del mercato del lavoro (Samek Lodovici e

Semenza, 2001).

Nel corso degli anni ’90, diversi studi comparativi hanno studiato gli effetti dei sistemi di

protezione dell’occupazione sulla performance del mercato del lavoro senza giungere

all’individuazione, sia a livello teorico sia a livello empirico, di un chiaro legame tra

disoccupazione media in un paese e rigidità dei regimi di protezione dell’impiego (Bertola, 1999;

Blanchard, 1998; Boeri, 1999; Nickell, 1997; OECD, 1999). A livello teorico, la presenza di costi di

aggiustamento ha effetti poco rilevanti sulla disoccupazione: le imprese riducono meno

l’occupazione a fronte di shock negativi e la aumentano di meno in seguito a shock positivi per il

timore di dover fronteggiare costi di licenziamento, qualora abbiano la necessità di ridurre il

numero di addetti nei periodi successivi (Bentolilla e Bertola, 1990). La presenza di rigidità può

dunque spiegare la scarsa reattività dell’occupazione europea a fronte di shock positivi, ma risulta

poco utile per spiegare l’elevato livello di disoccupazione media. A ciò si aggiunga che anche

l’analisi empirica non sembra mostrare effetti significativi delle rigidità sul tasso medio di

disoccupazione (OECD, 1999).

Ciò che, invece, emerge dall’analisi teorica ed empirica è il fatto che le rigidità abbiano effetti

rilevanti sul tasso di turnover, sui flussi in entrata ed uscita dalla disoccupazione e sulla durata

media della disoccupazione. I Paesi caratterizzati da un elevata rigidità offrono un elevato grado di

protezione agli occupati, dando dunque ad essi maggiore potere contrattuale, con la conseguenza di

elevati salari reali (Bertola, 1998) e di un incremento della segmentazione sul mercato tra insiders e

outsiders. I disoccupati, specie se alla ricerca di prima occupazione, incontrano elevate barriere

all’entrata e ciò contribuisce ad incrementare la durata media della disoccupazione. Le restrizioni

hanno un forte impatto sulla composizione della disoccupazione. Sono, infatti, soprattutto i giovani

e le donne a subire gli effetti negativi delle restrizioni ai licenziamenti: la disoccupazione giovanile,

per esempio, risulta correlata positivamente con il grado di rigidità che caratterizza il mercato del

lavoro (OECD, 1999). L’incremento della durata media della disoccupazione crea, inoltre, ulteriori

effetti indiretti alimentando una sorta di circolo vizioso (modelli di isteresi): i disoccupati di lunga

durata esercitano pressioni assai limitate sui salari e ciò rende più difficile la loro uscita dalla

disoccupazione.

Il modello rigido di regolazione del mercato del lavoro italiano, affermatosi negli anni ’50 e ’60, è

stato progressivamente riformato nel corso degli anni ’90 grazie ad una serie di interventi

incrementali (alcuni dei quali ricordati nell’introduzione) che hanno modificato il sistema di

regolazione dei rapporti di lavoro nel suo insieme, senza modificare però il sistema di welfare (Paci,

1998: Samek Lodovici, 2000). Vi è dunque stata una transizione da un’estrema rigidità del mercato

del lavoro ad una fase di flessibilità regolata (Bertola e Ichino, 1995; Esping-Andersen e Regini,

2000: Toharia et al, 2002), contrassegnata dalla crescita dei cosiddetti contratti atipici.

La maggiore articolazione dei rapporti di lavoro costituisce una delle risposte del sistema

economico alle nuove esigenze della domanda di lavoro, dettate sia da una maggiore variabilità del

mercato sia dalle nuove tecnologie, che richiedono un diverso modo di erogazione del lavoro

(spesso attraverso rapporti di lavoro a tempo parziale e/o a tempo determinato) e che non

corrispondono più al precedente modello di organizzazione produttiva, storicamente determinato e

fondato quasi esclusivamente sul rapporto di lavoro alle dipendenze stabile (Samek Lodovici e

Semenza, 2001). Nello stesso tempo, alle esigenze della domanda di lavoro, si è affiancato un

mutamento culturale almeno di una parte delle forze di lavoro (giovani, donne, offerta di lavoro

qualificata-istruita), che risulta nel complesso più aperta a soluzioni lavorative, anche autonome,

che possono variare in relazione alle diverse fasi del ciclo di vita (Samek Lodovici e Semenza,

2003).

1.5 Il lavoro parasubordinato

I dati INPS sulla gestione separata2 ci consentono di avere informazioni sul lavoro parasubordinato,

ossia su quel particolare segmento del lavoro atipico che di fatto non è riconducibile né al lavoro

alle dipendenze né a quello autonomo. Tali dati riguardano i collaboratori coordinati e continuativi,

i professionisti non iscritti ad alcun albo professionale e i collaboratori/professionisti, mentre non si

dispongono informazioni sui collaboratori occasionali. Si tratta, in altri termini, di tipologie

contrattuali che prevedono un certa flessibilità nell’orario e nell’organizzazione del lavoro, ma che a

volte assumono la forma di vere e propri rapporti di lavoro alle dipendenze. Prima di procedere

nell’analisi dei dati dell’Osservatorio INPS sui lavoratori parasubordinati, occorre sottolineare che

si tratta di dati di natura cumulativa, che comprendono tutti coloro che si sono iscritti e che non

sono stati cancellati seppur nel tempo fosse cambiata la natura del loro rapporto contrattuale. Di

conseguenza, probabilmente, questi dati potrebbero essere sovrastimati rispetto alle posizioni

effettivamente attive.

In Italia, al 31-12-2002, alla gestione separata INPS risultavano iscritti 2.392.257 lavoratori

parasubordinati3, di cui il 90,0% rappresentato da collaboratori coordinati e continuativi ed il resto

suddiviso tra professionisti (7,9%) e collaboratori/professionisti (2,1%) (Figura 11.1). Rispetto al

1996, il numero totale degli iscritti è cresciuto costantemente (+ 145% tra il 1996 e il 2002).

Figura 11.1 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Italia (31

dicembre 2002)

Collaboratori

90,0%

Collaboratori/

Professionisti

2.1%Professionisti

7,9%

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

2 La Gestione ha iniziato ad operare dal 1° aprile 1996 (dal 30 giugno 1996 per i pensionati o iscritti ad altre forme

pensionistiche obbligatorie) e ha previsto per gli iscritti aliquote contributive relativamente basse rispetto a quelle in vigore nelle altre

Gestioni assicurative dell’INPS: le attuali (anno 2002) sono del 10% per i soggetti coperti da altre forme di previdenza e per i

pensionati e del 14% per i soggetti privi di tutela previdenziale.

Il lavoro parasubordinato è una tipologia contrattuale che vede una leggera prevalenza della

componente maschile su quella femminile (il 53,8% del totale degli iscritti al 31 dicembre 2002),

tuttavia nel tempo la quota di donne ha guadagnato peso sul totale (oltre sei punti percentuali tra il

1996 ed il 2000), grazie in modo particolare al notevole incremento delle occupate con contratto di

collaborazione coordinata e continuativa (Tabelle 11.1 e 11.2).

3 I dati (in valore assoluto) relativi ai lavoratori parasubordinati in Italia, Lombardia e provincia di Cremona al

31 dicembre 2002 sono riportati in Appendice A.

52

Tabella 11. 1 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Italia (Anni 1996 – 2002)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 58.6 41.4 100 71.4 28.6 100 61.8 38.2 100 60.0 40.0 100

1997 55.3 44.7 100 71.0 29.0 100 62.2 37.8 100 56.9 43.1 100

1998 54.3 45.7 100 69.9 30.1 100 63.5 36.5 100 55.9 44.1 100

1999 53.7 46.3 100 68.8 31.2 100 63.7 36.3 100 55.3 44.7 100

2000 53.1 46.9 100 68.1 31.9 100 63.6 36.4 100 54.7 45.3 100

2001 52.6 47.4 100 67.8 32.2 100 63.2 36.8 100 54.1 45.9 100

2002 52.4 47.6 100 67.3 32.7 100 63.2 36.8 100 53.8 46.2 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Tabella 11.2 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Italia. Numeri indici (Anno base = 1996)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100

1997 125.0 143.0 132.4 118.2 120.8 118.9 142.0 139.9 141.2 124.3 141.2 131.1

1998 147.3 175.6 159.0 132.2 142.0 135.0 229.9 214.5 224.0 146.3 173.4 157.2

1999 166.4 203.0 181.5 143.9 163.0 149.4 293.4 270.9 284.8 165.0 200.6 179.2

2000 179.0 223.6 197.4 151.9 178.0 159.4 335.0 310.6 325.7 177.3 221.0 194.8

2001 198.1 252.9 220.8 159.2 189.1 167.7 397.3 375.3 388.9 195.4 249.3 217.0

2002 224.9 288.9 251.4 167.5 203.4 177.8 456.3 430.9 446.6 220.2 283.8 245.6

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

53

Il numero di iscritti alla gestione separata INPS in Lombardia, tra il 1996 ed il 2002, è cresciuto in

maniera progressiva (+ 114%), anche se in misura leggermente meno sostenuta rispetto al dato

nazionale (+ 145%) (Tabella 11.4). Al 31 dicembre 2002, i lavoratori parasubordinati a livello

regionale si attestano a 519.398 unità, incidendo in misura particolarmente rilevante sul totale dei

lavoratori parasubordinati in Italia (il 21,7%). In linea con quanto si verifica a livello nazionale,

gran parte degli iscritti alla gestione separata INPS (sempre alla stessa data) è costituto da

collaboratori coordinati e continuativi (l’89,8%) (Figura 11.2).

Figura 11.2 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Lombardia

(31 dicembre 2002)

Professionisti

7,9%

Collaboratori/

Professionisti

2.3%

Collaboratori

89,8%

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Anche in Lombardia, nonostante nel corso degli anni la quota di donne sia cresciuta, recuperando

peso sul totale degli iscritti alla gestione separata (quasi 6 punti percentuali in più tra il 1996 ed il

2002), grazie soprattutto al sostenuto aumento delle occupate con contratti di collaborazione

coordinata e continuativa, i lavoratori parasubordinati sono prevalentemente uomini (il 55,6% del

totale al 31 dicembre 2002) (Tabelle 11.3 e 11.4).

54

Tabella 11.3 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Lombardia (Anni 1996 – 2002)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 60.5 39.5 100 70.2 29.8 100 64.8 35.2 100 61.5 38.5 100

1997 57.8 42.2 100 69.7 30.3 100 64.9 35.1 100 59.0 41.0 100

1998 56.6 43.4 100 69.0 31.0 100 65.1 34.9 100 57.8 42.2 100

1999 55.8 44.2 100 68.3 31.7 100 65.1 34.9 100 57.0 43.0 100

2000 55.2 44.8 100 68.1 31.9 100 64.7 35.3 100 56.5 43.5 100

2001 54.8 45.2 100 67.8 32.2 100 64.2 35.8 100 56.1 43.9 100

2002 54.4 45.6 100 67.2 32.8 100 64.5 35.5 100 55.6 44.4 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Tabella 11.4 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Lombardia. Numeri indici (Anno base =

1996)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0

1997 119.3 133.2 124.8 114.2 116.9 115.0 137.7 136.9 137.4 118.9 131.9 123.9

1998 137.3 161.6 146.9 126.1 133.2 128.2 225.7 222.6 224.6 137.0 159.9 145.8

1999 152.8 185.8 165.9 137.0 149.9 140.9 300.1 296.3 298.7 152.7 184.0 164.7

2000 162.2 202.0 177.9 143.5 158.4 147.9 336.8 338.3 337.3 162.0 199.9 176.6

2001 176.1 222.7 194.5 150.3 168.2 155.7 392.6 402.2 396.0 175.6 220.2 192.7

2002 194.8 250.3 216.7 157.7 181.1 164.6 455.2 460.7 457.2 193.4 246.9 214.0

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

55

La provincia di Cremona occupava, al 31 dicembre 2002, 15.367 lavoratori subordinati, pari al

3,0% dei parasubordinati in Lombardia. Nel complesso tra il 1996 ed il 2002, anche in provincia di

Cremona il lavoro parasubordinato è un fenomeno in crescita (+ 130%) (Tabella 11.6 e Figura

11.4), anche se moderatamente meno sostenuta rispetto al dato italiano (+145%), ma certamente più

accentuata rispetto a quello regionale (+114%), che riguarda maggiormente i

collaboratori/professionisti rispetto alle altre tipologie, anche se il loro peso rimane tuttavia

piuttosto modesto (2,1%). Sono, infatti, i collaboratori coordinati e continuativi che, in linea con

quanto avviene a livello sia nazionale sia regionale, rappresentano la maggioranza degli iscritti alla

gestione separata INPS al 31 dicembre 2002 (il 90,3%) (Figura 11.3).

Figura 11. 3 _ Composizione percentuale dei lavoratori parasubordinati per tipologia di iscrizione. Lombardia

(31 dicembre 2002)

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Il 55,6% dei lavoratori parasubordinati in provincia di Cremona è di sesso maschile (Tabella 11.5),

un dato assolutamente in linea con quello regionale (55,6%) e, comunque, superiore a quello

nazionale (53,8%). D’altra parte, invece, la percentuale di lavoratrici parasubordinate è cresciuta nel

tempo di circa sette punti percentuali, attestandosi al 31 dicembre 2002 al 44,4%, un dato in linea

con quello regionale ma inferiore a quello nazionale (46,2%). In altri termini, in provincia di

Cremona non emergono differenze rispetto alla Lombardia per quanto riguarda la composizione per

sesso dei lavoratori parasubordinati, mentre rispetto al dato italiano i parasubordinati cremonesi

appartengono in misura maggiore alla componente maschile. Tuttavia, il fenomeno della crescente

Collaboratori/

Professionisti

2.1%Professionisti

7,6%

Collaboratori

90,3%

56

femminilizzazione del parasubordinato (+ 173% contro + 104% del dato maschile nel periodo 1996-

2002) si verifica anche in provincia di Cremona con le stesse modalità riscontrate a livello sia

regionale sia nazionale e che vedono soprattutto aumentare le collaboratrici/professioniste e le

collaboratrici coordinate e continuative (Figura 11.4 e Tabella 11.6).

57

Tabella 11.5 _ Composizione percentuale per sesso e per tipologia di iscrizione dei lavoratori parasubordinati. Provincia di Cremona (Anni 1996 – 2002)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 61.0 39.0 100 75.5 24.5 100 66.0 34.0 100 62.6 37.4 100

1997 57.5 42.5 100 72.6 27.4 100 69.4 30.6 100 59.1 40.9 100

1998 56.1 43.9 100 72.2 27.8 100 69.0 31.0 100 57.7 42.3 100

1999 55.9 44.1 100 72.6 27.4 100 67.5 32.5 100 57.6 42.4 100

2000 55.3 44.7 100 71.5 28.5 100 69.3 30.7 100 57.0 43.0 100

2001 54.9 45.1 100 70.1 29.9 100 67.3 32.7 100 56.4 43.6 100

2002 54.2 45.8 100 68.5 31.5 100 67.0 33.0 100 55.6 44.4 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Tabella 11.6 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione in Provincia di Cremona. Numeri indici (Anno

base = 1996)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0

1997 118.9 137.9 126.3 114.4 132.7 118.9 110.0 94.4 104.7 118.2 136.9 125.2

1998 138.6 170.2 150.9 128.9 152.7 134.8 171.4 150.0 164.2 138.0 168.8 149.5

1999 156.0 192.8 170.4 138.0 160.0 143.4 204.3 191.7 200.0 154.6 190.6 168.1

2000 169.2 214.2 186.7 146.3 179.4 154.4 238.6 205.6 227.4 167.6 211.7 184.1

2001 188.9 242.8 209.9 152.2 200.0 163.9 267.1 252.8 262.3 185.7 240.1 206.1

2002 209.3 276.6 235.6 157.9 223.6 174.0 307.1 294.4 302.8 204.7 273.4 230.4

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

58

Figura 11.4 _ Evoluzione temporale dei lavoratori parasubordinati in provincia di Cremona. Numeri indici

(Anno base = 1996)

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

La Tabella 11.7 presenta la distribuzione per classi d’età del lavorato parasubordinato in provincia

di Cremona, in Lombardia e in Italia sia complessivamente sia distinguendo per le diverse tipologie

di iscrizione che vi rientrano.

In provincia di Cremona, le donne parasubordinate si concentrano soprattutto al di sotto dei 40 anni

(63,1%), implicando quindi che difficilmente il ricorso a queste forme di lavoro atipico rappresenta

per le donne un percorso professionale qualificato ma spesso una scelta obbligata per inserirsi o

reinserirsi nel mercato del lavoro. Gli uomini, invece, lavorano con queste modalità contrattuali

anche oltre i 50 anni (il 38,1% del totale): il lavoro parasubordinato costituisce dunque per questi

ultimi o una modalità di lavoro alternativa rispetto al lavoro sia autonomo sia dipendente o un

possibile strumento di integrazione economica alla pensione oppure un’opportunità per poter

proseguire la propria attività lavorativa.

La distribuzione per classi d’età, a livello provinciale, del lavoro parasubordinato nel suo complesso

non sembra discostarsi in maniera significativa rispetto a quella regionale, mentre alcune differenze

emergono con quella nazionale. Le principali si riscontano nel fatto che mediamente in provincia di

Cremona, rispetto all’Italia, ci sono meno lavoratori parasubordinati nella fascia di età compresa tra

i 30 ed i 39 anni (il 28,3% del totale contro il 32,1%) e più lavoratori subordinati con oltre 50 anni

(il 28,9% contro il 25,7%).

Abbiamo già avuto modo di rilevare come, nell’ambito del lavoro parasubordinato, la tipologia

decisamente prevalente siano i collaboratori coordinati e continuativi e questo è vero sia a livello

100

150

200

250

300

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

Maschi Femmine Italia

59

locale (regionale e provinciale) sia a livello nazionale. Tuttavia, mentre in Lombardia ed in

provincia di Cremona più della metà dei collaboratori coordinati e continuativi si concentra nelle

fasce d’età estreme (meno di 29 anni e oltre 50 anni), in Italia essi si concentrano soprattutto tra i 30

ed i 50 anni (il 52,1%).

Infine, sia a livello nazionale sia regionale e provinciale, la maggior parte dei professionisti e dei

collaboratori/professionisti si concentra per il 60% circa (ed oltre) tra i 30 ed i 50 anni.

Tabella 11.7 _ Lavoratori parasubordinati per classi d’età, sesso e tipologia di iscrizione. Italia, Lombardia e

provincia di Cremona (31 dicembre 2002)

Cremona

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

<20 0.6 0.9 0.8 0.0 0.5 0.2 0.0 0.0 0.0 0.6 0.9 0.7

20-24 4.2 10.5 7.1 1.6 3.0 2.0 4.2 1.9 3.4 4.0 9.9 6.6

25-29 10.5 20.9 15.3 9.1 15.4 11.1 9.3 12.3 10.3 10.4 20.5 14.9

30-39 24.6 31.2 27.6 31.5 37.4 33.4 32.6 50.0 38.3 25.5 31.8 28.3

40-49 20.9 19.1 20.1 26.4 27.4 26.7 24.2 22.6 23.7 21.5 19.6 20.7

50-59 21.8 12.2 17.4 21.3 12.5 18.5 19.1 5.7 14.6 21.7 12.1 17.5

>60 17.2 5.2 11.7 10.0 3.8 8.0 10.7 7.5 9.7 16.4 5.2 11.4

Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100

Lombardia

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

<20 0.4 0.5 0.5 0.0 0.1 0.1 0.0 0.0 0.0 0.3 0.5 0.4

20-24 4.3 8.0 6.0 1.8 2.0 1.9 1.4 1.3 1.4 4.0 7.5 5.5

25-29 11.3 19.0 14.8 8.6 11.2 9.4 9.8 13.5 11.1 11.0 18.5 14.3

30-39 26.7 32.5 29.3 31.2 40.0 34.1 35.2 46.1 39.1 27.3 33.2 29.9

40-49 20.6 18.9 19.8 25.2 25.8 25.4 24.2 21.7 23.3 21.1 19.3 20.3

50-59 19.6 13.9 17.0 19.0 15.0 17.7 18.1 13.1 16.3 19.5 14.0 17.0

>60 17.2 7.1 12.6 14.2 5.9 11.5 11.2 4.3 8.8 16.8 7.0 12.5

Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100

Italia

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

<20 0.4 0.5 0.4 0.0 0.1 0.1 0.0 0.0 0.0 0.3 0.4 0.4

20-24 4.3 8.2 6.2 1.9 2.7 2.2 1.3 2.1 1.6 4.0 7.8 5.8

25-29 11.8 19.5 15.5 8.9 13.8 10.5 9.1 14.9 11.2 11.5 19.1 15.0

30-39 28.3 35.3 31.6 32.3 42.7 35.7 37.0 47.5 40.9 28.9 35.9 32.1

40-49 21.5 19.5 20.5 26.5 24.8 25.9 25.3 21.4 23.9 22.1 19.8 21.0

50-59 18.6 11.6 15.3 19.1 11.8 16.7 17.5 10.5 14.9 18.6 11.6 15.4

>60 15.1 5.5 10.5 11.3 4.2 9.0 9.8 3.6 7.5 14.6 5.4 10.3

Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

60

1.6 L’occupazione a tempo parziale

I dati ISTAT sulle forze di lavoro consentono di analizzare le principali caratteristiche degli

individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione a tempo parziale,

rispetto a coloro che invece lavorano a tempo pieno4. L’analisi sarà svolta principalmente con

riferimento all’anno 2002, con alcuni confronti con quella che, invece, era la situazione nel 2000

per quanto riguarda i dati di carattere più generale.

La provincia di Cremona, nel 2002, presenta un’incidenza dell’occupazione part-time sul totale

dell’occupazione pari all’8,1%, abbastanza in linea, quindi, con il dato nazionale (8,6%) ma

inferiore a quello regionale (9,3%) (Tabella 12.1). Come era lecito attendersi, l’occupazione part-

time rappresenta una forma di impiego con un elevato tasso di femminilizzazione a livello sia

nazionale sia locale (regione e provincia): in provincia di Cremona, la percentuale di donne che

lavorano a tempo parziale si attesta al 16,2% rispetto al 2,4% degli uomini. Questo dato

sull’occupazione part-time a livello provinciale è assolutamente in linea con quello nazionale

(16,9%), ma è la Lombardia che presenta la percentuale più elevata di donne che lavorano con

questa tipologia contrattuale (18,3%).

In un sintetico confronto con il 2000, si osserva essenzialmente che nel 2002 l’incidenza

dell’occupazione a tempo parziale in provincia di Cremona è leggermente diminuita e che tale

riduzione ha interessato esclusivamente la componente femminile, mentre la percentuale di uomini

con un’occupazione part-time è leggermente aumentata. Tuttavia, tra il 2000 ed il 2002, la

diffusione dell’occupazione part-time a livello provinciale è cresciuta del 35,2%, passando da 8.750

a 11.829 unità; nel confronto tra i due anni, l’occupazione totale ha fatto registrare un incremento

ancora più consistente di quello dell’occupazione a tempo parziale (+42,6%, pari a 43.755 unità in

più)5 (Tabella 12.2). E’ evidente che un ampliamento della base occupazionale complessiva

mediamente superiore a quello dell’occupazione part-time implica anche una crescita dell’altra

componente dell’occupazione (quella a tempo pieno), che, infatti, mostra un incremento pari al

43,3% (passando, quindi, da 94.015 a 134.692 unità). Sia per gli uomini sia per le donne,

l’andamento è positivo per entrambe le forme di impiego (full-time e part-time), anche se l’aumento

dell’occupazione part-time è molto più marcato per gli uomini (46,7% contro il 32,9% delle donne),

4

L’indicazione sul tipo di orario svolto si desume da una domanda della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di

Lavoro rivolta a tutti gli occupati. Tale quesito coglie per i lavoratori dipendenti la definizione contrattuale del tempo

parziale e del tempo pieno, mentre nel caso del lavoro autonomo il tempo parziale si riferisce ad una percezione

personale della distribuzione del tempo di lavoro. 5 I dati (in valore assoluto) relativi all’occupazione sia full-time sia part-time nel 2000 e nel 2002 sono riportati

in Appendice A.

61

mentre si verifica il contrario nel caso dell’occupazione full-time (+55,6% per le donne rispetto al

+37,3% degli uomini).

In sostanza, il peso percentuale dell’occupazione part-time sul totale dell’occupazione si è ridotto,

sia pure moderatamente, nel confronto tra il 2000 ed il 2002, essenzialmente a causa del fatto che

l’incremento dell’occupazione complessiva in provincia di Cremona è risultato essere superiore a

quello dell’occupazione part-time (particolarmente nel caso delle donne). In controtendenza, per gli

uomini, l’occupazione a tempo parziale è cresciuta più di quella complessiva, giustificando, quindi,

l’aumento dell’incidenza dell’occupazione part-time sul totale dell’occupazione.

Tabella 12.1 _ Incidenza percentuale dell’occupazione part-time sull’occupazione totale in Italia, Lombardia e

provincia di Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002)

2002

Tempo pieno Tempo parziale Totale

Uomini

Cremona 97.6 2.4 100

Lombardia 97.2 2.8 100

Italia 96.5 3.5 100

Donne

Cremona 83.1 16.9 100

Lombardia 81.1 18.9 100

Italia 83.1 16.9 100

Totale

Cremona 91.9 8.1 100

Lombardia 90.7 9.3 100

Italia 91.4 8.6 100

2000

Tempo pieno Tempo parziale Totale

Uomini

Cremona 97.8 2.2 100

Lombardia 96.9 3.1 100

Italia 96.3 3.7 100

Donne

Cremona 80.8 19.2 100

Lombardia 81.7 18.3 100

Italia 83.5 16.5 100

Totale

Cremona 91.5 8.5 100

Lombardia 90.9 9.1 100

Italia 91.6 8.4 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

62

Tabella 12.2 _ Variazione percentuale [2002- 2000] dell’occupazione complessiva, dell’occupazione part-time e

dell’occupazione full-time per sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona

Variazione % 2002-2000

Tempo pieno Tempo parziale Totale

Uomini

Cremona 37.3 46.7 37.5

Lombardia 36.0 22.7 35.6

Italia 2.3 -4.5 2.1

Donne

Cremona 55.6 32.9 51.2

Lombardia 39.2 45.2 40.3

Italia 5.5 8.9 6.1

Totale

Cremona 43.3 35.2 42.6

Lombardia 37.1 40.5 37.4

Italia 3.4 5.2 3.6

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Ma quali sono le principali caratteristiche (età, stato civile, titolo di studio, posizione professionale,

settore economico) dei lavoratori a tempo parziale in provincia di Cremona? In altri termini, qual è

il ruolo svolto dal lavoro atipico inteso come part-time (o flessibilità nell’orario di lavoro) in ambito

provinciale?

Innanzitutto si nota che le donne, nel 2002, in provincia di Cremona, rappresentano l’82,1% degli

occupati a tempo parziale (Figura 12.1), un dato in linea con quello della Lombardia (82,0%) ma

superiore a quello nazionale (74,6%).

Figura 12.1 _ Composizione percentuale degli occupati a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno

2002)

Uomini

17,9%

Donne

82,1%

63

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT Il part-time, dunque, è scelto principalmente dalle donne, ma in alcuni casi da uomini giovani che

cercano di conciliare il lavoro con lo studio: il 16,1% del lavoro part-time maschile si concentra,

infatti, nella classe d’età 20-24 anni (Tabella 12.3). In questo senso, il lavoro a tempo parziale può

essere utilizzato dagli uomini come forma di primo ingresso sul mercato del lavoro. Nel caso delle

donne, invece, il lavoro part-time si concentra essenzialmente nelle classi d’età centrali (il 22,5% tra

i 30 ed i 34 anni, il 26,5% tra i 35 e i 39 anni ed il 18,9% tra i 40 ed i 44 anni), a prova del fatto che

le donne scelgono questa forma di impiego, in particolar modo, quando devono conciliare il lavoro

con gli impegni familiari. Ad ulteriore conferma di ciò, quando si osserva lo stato civile delle donne

che lavorano a tempo parziale, si rileva che il 78,8% è coniugato. In conclusione, a partire dai

trent’anni, il part-time rappresenta una valida e duratura alternativa al full-time (Samek Lodovici e

Semenza, 2001). Ampliando ulteriormente l’interpretazione di questi dati, si potrebbe sostenere che

le donne entrano sul mercato del lavoro cercando un’occupazione a tempo pieno e scelgono il part-

time solo successivamente, ovvero allorché rientrano sul mercato del lavoro, dopo essersi formate

una famiglia ed aver avuto dei figli.

Per quanto riguarda il titolo di studio, in provincia di Cremona, la percentuale di donne occupate a

tempo parziale che hanno al massimo concluso la scuola dell’obbligo si attesta al 33,7% contro il

37,3% di quelle che lavorano full-time. Inoltre, la percentuale di donne con il diploma di licenza

media superiore è in media più elevata tra le lavoratrici a tempo parziale (35,3%) piuttosto che tra le

lavoratrici a tempo pieno (30,8%). Questi dati sembrerebbero indicare che le donne che lavorano

part-time siano mediamente più istruite di quelle che lavorano full-time. Tuttavia, se si prendono in

considerazione titoli di istruzioni più elevati, si osserva che le laureate rappresentano l’8,6% ed il

13,7% rispettivamente delle lavoratrici a tempo parziale e delle lavoratrici a tempo pieno. Nel caso

degli uomini, invece, sembra emergere in maniera più marcata che quelli che lavorano part-time

sono mediamente più istruiti di quelli che lavorano a tempo pieno:

i laureati rappresentano il 15,1% dei lavoratori a tempo parziale ed il 6,7% dei lavoratori a

tempo pieno;

tra gli occupati part-time, il 42,3% ha conseguito un diploma di licenza media superiore contro

il 29,8% di coloro che sono occupati full-time;

il 40,5% dei lavoratori a tempo pieno ha la licenza media inferiore in confronto al 14,8% dei

lavoratori a tempo parziale.

Relativamente alla posizione nella professione, le donne, sia che lavorino full-time sia part-time,

sono prevalentemente “impiegate”, anche se la percentuale di lavoratrici a tempo parziale che

occupano tale posizione è mediamente più elevata di quella delle lavoratrici a tempo pieno (il

64

49,6% contro il 41,5%). Nel caso degli uomini, invece, si osserva che il 40,2% di coloro che

lavorano full-time sono operai, una percentuale più che doppia rispetto a quella che si riscontra per i

lavoratori part-time (17,8%).

Infine, relativamente al settore di attività economica, si evidenzia che le donne occupate a tempo

parziale lavorano soprattutto nel commercio (21,6%), mentre quelle occupate a tempo pieno

lavorano principalmente nell’industria della trasformazione (27,8%). Gli uomini che lavorano part-

time, invece, lavorano innanzitutto nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (25,5%), mentre

quelli che lavorano full-time sono maggiormente presenti nell’industria della trasformazione

(35,7%).

65

Tabella 12.3 _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di Cremona. Anno

2002

Tempo pieno Tempo parziale

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Età

15/19 anni 1.8 0.2 1.2 3.3 0.6 1.1

20/24 anni 5.9 8.0 6.7 16.1 4.4 6.5

25/29 anni 12.5 19.0 14.8 8.9 9.0 9.0

30/34 anni 16.6 16.4 16.5 13.8 22.5 20.9

35/39 anni 16.0 16.0 16.0 8.7 26.5 23.4

40/44 anni 15.8 15.1 15.6 0.0 18.9 15.5

45/49 anni 11.7 10.7 11.4 9.1 10.3 10.1

50/54 anni 10.9 9.3 10.3 2.8 4.1 3.9

55/59 anni 4.8 2.8 4.1 0.0 3.1 2.6

60/64 anni 2.5 1.5 2.1 20.6 0.0 3.7

65 e oltre 1.6 1.0 1.4 16.8 0.4 3.4

Totale 100 100 100 100 100 100

Stato Civile

Celibe/Nubile 38.1 36.2 37.4 49.4 14.5 20.7

Coniugato/a 59.1 57.2 58.4 50.6 78.8 73.7

Separato/a di fatto 0.7 0.5 0.6 0.0 0.0 0.0

Separato/a legalmente 1.6 2.5 1.9 0.0 3.2 2.6

Divorziato/a 0.4 1.9 0.9 0.0 2.6 2.1

Vedovo/a 0.2 1.6 0.7 0.0 1.0 0.8

Totale 100 100 100 100 100 100

Titolo di studio

Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea 0.6 0.0 0.4 0.0 0.0 0.0

Laurea 6.7 13.7 9.2 15.1 8.6 9.8

Diploma universitario o laurea breve 0.7 2.3 1.2 0.0 0.0 0.0

Diploma di maturità 29.8 30.8 30.2 42.3 35.3 36.5

Diploma di qualifica professionale 10.9 15.9 12.6 7.8 22.4 19.8

Licenza media inferiore 40.5 29.8 36.7 14.8 24.9 23.1

Licenza elementare 10.2 6.9 9.0 16.6 8.8 10.2

Nessun titolo 0.7 0.6 0.6 3.4 0.0 0.6

Totale 100 100 100 100 100 100

Posizione professionale

Dirigente 2.2 0.1 1.5 0.0 0.0 0.0

Direttivo/quadro 5.0 4.1 4.7 11.1 0.6 2.5

Impiegato/intermedio 20.7 41.5 28.1 13.9 49.6 43.2

Operaio ed assimilati 40.5 32.8 37.7 17.8 34.2 31.3

Apprendista 1.3 0.3 0.9 0.0 0.0 0.0

Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0.0 0.2 0.1 0.0 0.0 0.0

Imprenditore 5.1 2.7 4.2 0.0 0.0 0.0

Libero professionista 4.2 4.9 4.4 26.6 1.4 5.9

Lavoratore in proprio 18.6 9.0 15.2 21.1 3.0 6.2

Socio di cooperativa 0.4 0.3 0.4 0.0 4.1 3.3

Coadiuvante in un'impresa familiare 2.0 4.2 2.8 9.6 7.2 7.6

Totale 100 100 100 100 100 100

66

Tabella 12.3 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di

Cremona. Anno 2002

Tempo pieno Tempo parziale

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Branca d'attività

Agricoltura, Caccia e Pesca 8.4 1.5 6.0 3.4 4.0 3.9

Industria dell'energia e industria estrattiva 1.8 0.4 1.3 0.0 0.0 0.0

Industria della trasformazione 35.7 27.8 32.9 21.4 13.1 14.6

Costruzioni 9.2 0.9 6.3 8.7 0.6 2.0

Altre attività: commercio 15.4 12.2 14.3 13.0 21.6 20.1

Altre attività: alberghi e ristoranti 3.3 4.0 3.5 2.6 9.7 8.4

Altre attività: trasporti e comunicazione 4.4 2.7 3.8 9.4 0.5 2.1

Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria,

attività immobiliari 3.4 2.9 3.3 0.0 0.5 0.4

Altre attività: servizi alle imprese e altre attività

professionali e imprenditoriali 5.0 8.7 6.3 7.3 9.0 8.7

Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 4.7 6.3 5.3 2.7 6.6 5.9

Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 5.0 26.2 12.5 25.5 21.3 22.1

Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 3.7 6.4 4.6 6.0 12.9 11.7

Totale 100 100 100 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

67

1.6.1 I motivi dell’occupazione a tempo parziale

Il ricorso al lavoro part-time nel mercato del lavoro della provincia di Cremona può essere

interpretato alla luce della relativa volontarietà di tale posizione contrattuale. L’indagine trimestrale

ISTAT sulle forze di lavoro consente, infatti, di verificare quali siano i motivi per cui un individuo

lavora a tempo parziale (Tabella 12.4).

Tabella 12.4 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Uomini Donne Totale

Non desidera un lavoro a tempo pieno 29.1 28.6 28.7

Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 25.6 19.5 20.6

Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 6.7 2.3 3.1

Malattia od invalidità 9.7 0.0 1.7

Motivi personali 14.9 19.6 18.8

Carichi familiari 2.8 27.1 22.7

Altri motivi 11.2 2.9 4.4

Totale 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Le principali motivazioni per cui le donne lavorano part-time sono:

non desidera un lavoro a tempo parziale (28,6%);

motivi personali (19,6%);

carichi familiari (il 27,1%).

In altri termini, considerando come lavoratrici part-time “volontarie” solo coloro che alla domanda

sull’orario di lavoro rispondono di lavorare a tempo parziale in quanto non desiderano un lavoro a

tempo pieno, la quota di donne che lavorano “volontariamente” part-time si attesta al 28,6%.

Tuttavia, considerando anche le altre motivazioni addotte in relazione alla propria condizione di

lavoratrici a tempo parziale, è possibile adottare una definizione più ampia di part-time volontario

che include, come motivazioni del lavoro part-time, oltre al desiderio di non lavorare full-time,

anche i motivi personali, i carichi famigliari ed il fatto di frequentare contemporaneamente corsi

scolastici o di formazione professionale, si deduce che oltre due terzi delle donne che lavorano part-

time sembra scegliere questa forma di impiego volontariamente, allo scopo di conciliare l’attività

lavorativa con la propria vita familiare, confermando quanto sostenuto in precedenza sul lavoro a

tempo parziale come valida e duratura alternativa al lavoro a tempo pieno. La quota di part-time

femminile involontario (ossia, la percentuale di donne che lavorano a tempo parziale perché non

hanno potuto trovare un’occupazione a tempo pieno), si attesta, invece, al 19,5%.

68

Per quanto riguarda gli uomini che lavorano part-time, invece, si nota che il 29,1% non desidera un

lavoro a tempo pieno, mentre il 25,6% non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno (part-time

involontario).

Al fine di consentire una migliore interpretazione dei motivi per cui gli individui lavorano a tempo

parziale, si è disaggregata l’analisi per sesso e classi d’età (Tabella 12.5). Ciò che emerge è che gli

uomini che non desiderano trovare un lavoro a tempo pieno hanno tutti oltre 35 anni, mentre tutti

coloro che asseriscono di lavorare part-time, perché frequentano corsi scolastici o corsi di

formazione professionale, hanno un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni. Quindi, gli uomini (giovani)

lavorano part-time per conciliare l’attività lavorativa con gli impegni di studio. Nel caso delle

donne, invece, si nota che la maggior parte delle donne che scelgono volontariamente di lavorare a

tempo parziale (perché non desiderano un lavoro a tempo pieno, per motivi personali o per carichi

familiari) ha oltre 35 anni. Ancora una volta, sembra trovare conferma il fatto che, per le donne, il

part-time rappresenta uno strumento di conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa.

Tabella 12.5 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno

2002)

Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Non desidera un lavoro a tempo pieno 0.0 0.0 100.0 100

Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 37.8 62.2 0.0 100

Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 100.0 0.0 0.0 100

Malattia od invalidità 30.8 42.5 26.9 100

Motivi personali 0.0 0.0 100.1 100

Carichi familiari 0.0 0.0 100.0 100

Altri motivi 0.0 23.5 76.4 100

Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Non desidera un lavoro a tempo pieno 2.1 33.0 64.9 100

Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 6.7 56.8 36.5 100

Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 54.6 45.3 0.0 100

Malattia od invalidità 0.0 0.0 0.0 0

Motivi personali 0.0 25.6 74.4 100

Carichi familiari 4.1 14.4 81.5 100

Altri motivi 27.3 35.2 37.4 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

69

1.7 L’occupazione a tempo determinato

I dati ISTAT sulle forze di lavoro ci consentono di analizzare le principali caratteristiche degli

individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione dipendente a tempo

determinato confrontandole con quelle di coloro che, invece, lavorano alle dipendenze a tempo

indeterminato. Anche in questo caso, così come avvenuto per il lavoro part-time, l’analisi sarà

svolta principalmente con riferimento all’anno 2002, con alcuni confronti con quella che, invece,

era la situazione nel 2000, per quanto riguarda i dati di carattere più generale.

Nel 2002, in provincia di Cremona, la percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli

occupati alle dipendenze si è attestata al 6,1%, in linea con quanto registrato a livello regionale

(6,5%) ma inferiore al dato nazionale (9,9%) (Tabella 13.1). Le donne con un’occupazione a tempo

determinato sono, in termini percentuali, più degli uomini che lavorano con questa forma di

impiego: in provincia di Cremona, infatti, la percentuale di donne che lavorano a tempo determinato

è pari all’8,9 % in confronto al 3,9% degli uomini. Questo dato provinciale sull’occupazione

femminile a tempo determinato è leggermente superiore a quello regionale (8,2%), ma

marcatamente inferiore a quello nazionale (12,0%).

Rispetto al 2000, l’incidenza dell’occupazione a tempo determinato in provincia di Cremona nel

2002 si è moderatamente ridotta e questo calo sembra aver interessato quasi esclusivamente la

componente femminile, mentre la percentuale di uomini con un’occupazione a tempo determinato è

rimasta praticamente inalterata. Nonostante ciò, il numero degli occupati a tempo determinato, tra il

2000 ed il 2002, è cresciuto del 26,7%, passando da 5.137 a 6.508 unità (Tabella 13.2); quindi, la

riduzione dell’incidenza di questa forma di impiego è dovuta al fatto che l’occupazione a tempo

determinato è cresciuta meno dell’occupazione dipendente complessiva (+ 46,3%, da 73.392 a

107.374 unità)6. Questi dati implicano che conseguentemente anche l’occupazione a tempo

indeterminato sia cresciuta, passando da 68.255 a 100.866 unità, con un incremento pari al 47,8%.

Sia per gli uomini sia per le donne, l’andamento è positivo per entrambe le forme di impiego, anche

se l’aumento dell’occupazione a tempo determinato è molto più elevato per gli uomini (+42,4%

contro il +18,9% delle donne), mentre l’occupazione a tempo indeterminato cresce in maniera più

marcata per le donne piuttosto che per gli uomini (+63,4% per le donne in confronto al +38,4%

degli uomini).

In sintesi, tra il 2000 ed il 2002, l’occupazione a tempo determinato in provincia di Cremona pur

essendo aumentata, mostra un incremento in termini percentuali inferiore a quello dell’occupazione

6 I dati (in valore assoluto) relativi all’occupazione sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato nel 2000

e nel 2002 sono riportati in Appendice A.

70

alle dipendenze e ciò risulta essere vero soprattutto per le donne. Nel caso degli uomini, invece,

l’incremento dell’incidenza dell’occupazione a tempo determinato è stato pari ad un decimo di

punto percentuale poiché l’occupazione a tempo determinato è aumentata, nel confronto tra il 2000

ed il 2002, in misura leggermente superiore a quella dell’occupazione alle dipendenze.

71

Tabella 13.1 _ Incidenza percentuale dell’occupazione a tempo determinato sul totale dell’occupazione

dipendente in Italia, Lombardia e provincia di Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002)

2002

Tempo indeterminato Tempo determinato Totale

Uomini

Cremona 96.1 3.9 100

Lombardia 94.9 5.1 100

Italia 91.6 8.4 100

Donne

Cremona 91.1 8.9 100

Lombardia 91.8 8.2 100

Italia 88.0 12.0 100

Totale

Cremona 93.9 6.1 100

Lombardia 93.5 6.5 100

Italia 90.1 9.9 100

2000

Tempo indeterminato Tempo determinato Totale

Uomini

Cremona 96.2 3.8 100

Lombardia 94.6 5.4 100

Italia 91.3 8.7 100

Donne

Cremona 88.2 11.8 100

Lombardia 91.0 9.0 100

Italia 87.8 12.2 100

Totale

Cremona 93.0 7.0 100

Lombardia 93.1 6.9 100

Italia 89.9 10.1 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Tabella 13.2 _ Variazione percentuale [2002- 2000] dell’occupazione alle dipendenze complessiva,

dell’occupazione dipendente a tempo determinato e dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato per

sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona

Variazione % 2002-2000

Tempo indeterminato Tempo determinato Totale

Uomini

Cremona 38.4 42.4 38.6

Lombardia 38.0 30.5 37.6

Italia 3.5 -0.9 3.1

Donne

Cremona 63.4 18.9 58.1

Lombardia 44.0 29.8 42.8

Italia 7.5 5.6 7.3

Totale

Cremona 47.8 26.7 46.3

Lombardia 40.6 30.1 39.8

Italia 5.0 2.2 4.7

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

72

L’analisi dei dati ci consente di verificare quali siano le principali caratteristiche dell’occupazione a

tempo determinato a livello provinciale con riferimento all’anno 2002.

Le donne che lavorano a tempo determinato rappresentano il 62,9% di tutti coloro che sono

occupati con questa tipologia contrattuale in provincia di Cremona (Figura 13.1) . La quota di

donne sul totale dei lavoratori a tempo determinato è, invece, pari al 55,8% in Lombardia, mentre a

livello nazionale poco più della metà dei lavoratori a tempo determinato sono uomini (50,3%).

Figura 13.1 _ Composizione percentuale degli occupati a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona

(Anno 2002)

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

In provincia di Cremona, il lavoro a tempo determinato, nel caso degli uomini, caratterizza le fasi di

ingresso della carriera lavorativa, come evidenziato dall’elevata concentrazione nelle classi di età

più giovani: il 63,5% degli uomini che lavorano a tempo determinato ha, infatti, tra i 15 ed i 29

anni. In particolare, la quota di occupati a tempo determinato raggiunge il massimo nella fascia di

età tra i 20 ed i 24 anni, si riduce in quella immediatamente successiva (25-29 anni), per poi

attestarsi su valori percentuali piuttosto bassi nelle fasce d’età successive (tabella 13.3). Nel caso

delle donne, invece, la percentuale di lavoratrici a tempo determinato è particolarmente alta tra le

donne di età compresa tra i 20 ed i 24 anni (22,9%) e tra i 25 e i 29 anni (23,8%), ma permane

elevata anche nelle fasce d’età centrali: il 21,1% ha tra i 30 ed i 34 anni, il 15,0% ha tra i 35 ed i 39

anni.

Uomini

37,1%

Donne

62,9%

73

La figura 13.2 mostra la percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli occupati alle

dipendenze ed i tassi di partecipazione per classi di età, sia per gli uomini sia per le donne. L’analisi

del grafico ci consente di dedurre che:

per gli uomini, al crescere dell’età, la percentuale di lavoratori alle dipendenze che lavora a

tempo determinato si riduce (come visto in precedenza), mentre la partecipazione al mercato del

lavoro cresce (si osservino a tal proposito, in modo particolare, le fasce d’età centrali). In altri

termini, se la forbice (la differenza) tra tasso di partecipazione e la percentuale di lavoratori a

tempo determinato aumenta al crescere dell’età (cioè, tassi di partecipazione elevati, a fronte di

una minore incidenza del lavoro a tempo determinato), ciò può essere interpretato come un

incremento del numero di lavoratori che passano da contratti a tempo determinato a contratti di

lavoro a tempo indeterminato; da questa analisi sembra, quindi, emergere un’ulteriore conferma

del fatto che il contratto a tempo determinato, per gli uomini, è evidentemente una forma

contrattuale di ingresso sul mercato del lavoro;

per le donne, invece, al crescere dell’età, la partecipazione al mercato del lavoro aumenta al

crescere della percentuale di lavoratrici a tempo determinato sul totale delle occupate alle

dipendenze tendenzialmente fino ai 30-34 anni; nelle fasce di età successive, la partecipazione

al mercato del lavoro delle donne al mercato del lavoro diminuisce a fronte di una riduzione

dell’incidenza del lavoro a tempo determinato, ovvero la forbice tra tassi di partecipazione e

percentuale di lavoratrici a tempo determinato si riduce. Le donne, quindi, oltre a lavorare a

tempo indeterminato (magari part-time), o lavorano con contratti di lavoro a tempo determinato

o non partecipano al mercato del lavoro; il fatto che la partecipazione femminile diminuisca al

diminuire dell’incidenza del lavoro a tempo determinato induce quindi a considerare l’ipotesi

che molte donne, allorché non possono più lavorare nemmeno con tale tipologia contrattuale,

siano indotte a ritirarsi dal mercato del lavoro. Questa analisi ci consente, quindi, di trarre

alcune indicazioni di policy, ovvero la flessibilità (intesa come contratto di lavoro a tempo

determinato) è uno strumento che garantisce una elevata partecipazione femminile al mercato

del lavoro.

74

Tabella 13.3 _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in provincia di

Cremona. Anno 2002

Tempo indeterminato Tempo determinato

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Età

15/19 anni 1.9 0.2 1.2 13.0 1.5 5.8

20/24 anni 6.1 7.4 6.7 34.9 22.9 27.3

25/29 anni 13.8 18.1 15.6 15.6 23.8 20.7

30/34 anni 17.4 17.4 17.4 7.3 21.1 16.0

35/39 anni 17.5 18.4 17.9 5.3 15.0 11.4

40/44 anni 16.0 16.3 16.1 5.0 4.6 4.7

45/49 anni 11.5 9.8 10.8 7.5 7.9 7.8

50/54 anni 11.5 8.7 10.3 2.3 1.6 1.9

55/59 anni 2.8 2.7 2.7 2.2 1.6 1.8

60/64 anni 1.1 0.6 0.9 4.6 0.0 1.7

65 e oltre 0.3 0.5 0.4 2.3 0.0 0.9

Totale 100 100 100 100 100 100

Stato Civile

Celibe/Nubile 41.4 30.6 36.9 70.4 44.6 54.2

Coniugato/a 56.0 63.0 58.9 29.6 46.9 40.5

Separato/a di fatto 0.5 0.5 0.5 0.0 0.0 0.0

Separato/a legalmente 1.6 2.5 2.0 0.0 3.4 2.1

Divorziato/a 0.2 2.0 1.0 0.0 3.7 2.3

Vedovo/a 0.2 1.3 0.6 0.0 1.4 0.9

Totale 100 100 100 100 100 100

Titolo di studio

Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea 0.9 0.0 0.5 0.0 0.0 0.0

Laurea 6.8 12.0 8.9 16.9 12.2 14.0

Diploma universitario o laurea breve 0.9 1.8 1.3 0.0 0.0 0.0

Diploma di maturità 29.7 34.3 31.6 50.0 27.0 35.5

Diploma di qualifica professionale 11.1 17.9 13.9 4.8 17.1 12.5

Licenza media inferiore 42.8 28.0 36.6 19.3 40.6 32.7

Licenza elementare 7.4 5.6 6.7 7.0 3.2 4.6

Nessun titolo 0.5 0.4 0.4 2.0 0.0 0.7

Totale 100 100 100 100 100 100

Posizione professionale

Dirigente 3.2 0.2 1.9 0.0 0.0 0.0

Direttivo/quadro 7.2 4.7 6.1 13.4 1.8 6.1

Impiegato/intermedio 29.5 54.3 39.8 36.7 46.6 42.9

Operaio ed assimilati 58.6 40.5 51.1 39.8 49.1 45.7

Apprendista 1.5 0.1 0.9 10.0 2.5 5.3

Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0.0 0.2 0.1 0.0 0.0 0.0

Imprenditore 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0

Libero professionista 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0

Lavoratore in proprio 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0

Socio di cooperativa 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0

Coadiuvante in un'impresa familiare 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0

Totale 100 100 100 100 100 100

75

Tabella 13.3 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in

provincia di Cremona. Anno 2002

Tempo indeterminato Tempo determinato

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Branca d'attività

Agricoltura, Caccia e Pesca 5.2 0.9 3.4 0.0 1.5 1.0

Industria dell'energia e industria estrattiva 2.3 0.4 1.5 26.5 25.2 25.7

Industria della trasformazione 44.3 28.8 37.8 6.7 0.0 2.5

Costruzioni 6.6 0.6 4.1 4.6 0.0 1.7

Altre attività: commercio 12.0 10.5 11.4 11.7 13.5 12.9

Altre attività: alberghi e ristoranti 0.3 2.8 1.3 5.3 6.0 5.7

Altre attività: trasporti e comunicazione 5.2 2.4 4.1 5.3 3.0 3.8 Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria,

attività immobiliari 4.0 2.3 3.3 0.0 0.0 0.0 Altre attività: servizi alle imprese e altre

attività professionali e imprenditoriali 3.2 6.9 4.7 12.8 11.9 12.2

Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 6.8 7.5 7.1 2.3 5.1 4.1

Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 6.3 30.9 16.5 16.6 19.7 18.6

Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 3.8 5.8 4.6 8.2 14.1 11.9

Totale 100 100 100 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Figura 13.2 _ Incidenza dell’occupazione a tempo determinato sull’occupazione dipendente e tassi di

partecipazione per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno 2002)

0

20

40

60

80

100

120

15/19

anni

20/24

anni

25/29

anni

30/34

anni

35/39

anni

40/44

anni

45/49

anni

50/54

anni

55/59

anni

60/64

anni

65 e oltre

% lavoratori

tempo deter di sesso maschile

Tasso di

partecipazione

maschile

% lavoratori

tempo deter di sesso femminile

Tasso di

partecipazione

femminile

76

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

77

Per quanto riguarda lo stato civile dei lavoratori a tempo determinato, nel 2002, in provincia di

Cremona, mentre la maggior parte degli uomini che lavora a tempo determinato è celibe (70,4%,

rispetto al 41,4% dei lavoratori a tempo indeterminato), le donne occupate con questa tipologia

contrattuale sono più o meno equamente distribuite tra coniugate e nubili (rispettivamente, il 46,9%

e il 44,6% in confronto al 63,0% di donne coniugate e al 30,6% di nubili con contratto di lavoro a

tempo indeterminato).

Relativamente al titolo di studio, le donne che lavorano a tempo determinato sono mediamente

meno istruite di quelle occupate a tempo indeterminato: il 43,8% delle lavoratrici a tempo

determinato ha infatti conseguito al massimo il titolo di scuola dell’obbligo contro il 34,0% di

quelle con un contratto di lavoro permanente; inoltre, la percentuale di donne con il diploma di

licenza media superiore è in media più elevata tra le lavoratrici a tempo indeterminato (34,3%)

piuttosto che tra le lavoratrici a tempo determinato (27,0%), mentre non emergono grosse differenze

per quanto riguarda le laureate. Nel caso degli uomini, invece, emerge in maniera evidente che i

lavoratori a tempo determinato sono in media più istruiti di quelli che lavorano a tempo

indeterminato: il 16,9% (contro il 6,8%) sono laureati, il 50,0% (in confronto al 27,8%) ha

conseguito il diploma di maturità, mentre “solo” il 28,3% (rispetto al 50,7%) è in possesso al

massimo del diploma di licenza media inferiore.

Le donne, sia che lavorino a tempo determinato o a tempo indeterminato, lavorano quasi

esclusivamente come impiegate o come operaie, anche se in media tra le lavoratrici a tempo a

tempo indeterminato ci sono, in termini percentuali, più impiegate e meno operaie rispetto alle

lavoratrici a tempo determinato (rispettivamente, il 54,3% rispetto al 46,6% e il 40,5% contro il

49,1%), probabilmente a causa del fatto che le seconde sono mediamente meno istruite delle prime.

Per quanto riguarda gli uomini, gli operai rappresentano il 39,8% dei lavoratori a tempo

determinato, mentre costituiscono il 58,6% dei lavoratori a tempo indeterminato. Le posizioni

impiegatizie e quelle dirigenziali e direttive sono, invece, ricoperte rispettivamente dal 36,7% e dal

13,4% degli occupati con contratto a tempo determinato contro rispettivamente il 29,5% e il 10,4%

dei lavoratori a tempo indeterminato. Anche, nel caso degli uomini, la struttura per posizione

professionale dei lavoratori sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato sembra riflettere

quella che è la distribuzione per titolo di studio, analizzata precedentemente, degli occupati con

queste due tipologie contrattuali.

Infine, per quanto riguarda il settore di attività economica, si osserva che gli occupati a tempo

determinato lavorano principalmente nell’industria della trasformazione, sia nel caso delle donne

(25,2%) sia nel caso degli uomini (26,5%), mentre gli uomini e le donne che lavorano a tempo

78

indeterminato sono occupati soprattutto rispettivamente nell’industria della trasformazione (44,3%)

e nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (30,9%).

1.7.1 I motivi e la durata dell’occupazione a tempo determinato

La Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro condotta dall’ISTAT consente di analizzare i

motivi per cui un lavoratore ha un’occupazione a tempo determinato e la durata complessiva

dell’occupazione a termine.

In provincia di Cremona, nel 2002, il 37,7% dei lavoratori ha un’occupazione a tempo determinato

perché ha un contratto di formazione lavoro o di apprendistato (contratti a causa mista), ma un’altra

buona parte (28,4%) lavora a termine perché non è riuscita a trovare un lavoro a tempo

indeterminato (Tabella 13.4). La quota di coloro che lavorano a tempo determinato per propria

scelta è esigua (3,6%) e una quota pari all’11,8% si dichiara in prova. L’occupazione a tempo

determinato per gli uomini appare, nel complesso, più legata ad una fase di ingresso nel mondo del

lavoro (il 54,8% degli occupati con un contratto temporaneo o è assunto con un contratto a causa

mista o è in prova contro il 46,4% delle donne), mentre per le donne appare più spesso una

condizione subita (32,9% sono le occupate a tempo determinato involontarie contro il 20,6% degli

uomini).

Tabella 13.4 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Uomini Donne Totale

Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 47.2 32.1 37.7

Non ha potuto trovare un lavoro permanente 20.6 32.9 28.4

Non desidera un lavoro permanente 7.7 1.2 3.6

E' in prova 7.6 14.3 11.8

Altri motivi 17.0 19.4 18.5

100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

La tabella 13.5 mostra che il 78,1% degli uomini che lavora a tempo determinato perché ha un

contratto a causa mista ha un’età compresa tra i 15 ed i 24 anni, dato questo che conferma come

l’occupazione a tempo determinato per gli uomini appaia, in generale, più legata ad una fase di

ingresso sul mercato del lavoro.

L’involontarietà del lavoro a termine (non ha potuto trovare un lavoro permanente), per le donne,

cresce al crescere dell’età delle lavoratrici temporanee, mentre per gli uomini si rileva un

andamento meno lineare. Le donne oltre i 35 anni, invece, non desiderano un lavoro a tempo

79

indeterminato. Coloro che lavorano a tempo determinato perché in prova hanno soprattutto un’età

compresa tra i 25 ed i 34 anni. (rispettivamente, il 69,4% degli uomini ed il 60,2% delle donne).

Tabella 13.5 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona

(Anno 2002)

Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 78.1 17.3 4.6 100

Non ha potuto trovare un lavoro permanente 40.0 22.8 37.2 100

Non desidera un lavoro permanente 36.3 0.0 63.8 100

E' in prova 0.0 69.4 30.6 100

Altri motivi 0.0 27.9 72.1 100

Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 35.4 43.6 21.0 100

Non ha potuto trovare un lavoro permanente 21.1 38.3 40.6 100

Non desidera un lavoro permanente 0.0 0.0 100.0 100

E' in prova 8.2 60.2 31.6 100

Altri motivi 25.4 49.6 25.0 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

In relazione alla durata temporale del contratto, poco più di un terzo (33,8%) degli occupati a

termine è assunto con un contratto di durata compresa tra i 7 ed i 12 mesi, il 18,8% con un contratto

di durata tra i 19 ed i 24 mesi (Tabella 13.6). Analizzando la durata temporale dei contratti a

termine distintamente per sesso, si evidenzia una maggiore rilevanza dei contratti brevissimi per le

donne (il 23,5% è assunto con un contratto di durata inferiore ai sei mesi, contro il 9,5% degli

uomini) e di quelli di media durata (da sei a dodici mesi) per gli uomini (il 40,6% in confronto al

29,7% delle donne). Infine, emerge una differenza di tre punti percentuali a favore degli uomini per

quanto riguarda i contratti “medio lunghi”: rispettivamente il 34,2% degli uomini e il 31,1% delle

donne lavora, infatti, con contratti a termine di durata da 13 ad oltre 36 mesi.

Tabella 13.6 _ Durata complessiva dell’occupazione a termine. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Uomini Donne Totale

Durata non definita 15.7 15.7 15.7

Meno di 1 mese 0.0 0.0 0.0

Da 1 a 3 mesi 7.0 9.2 8.4

Da 4 a 6 mesi 2.4 14.3 9.9

Da 7 a 12 mesi 40.6 29.7 33.8

Da 13 a 18 mesi 2.8 1.2 1.8

Da 19 a 24 mesi 26.2 14.4 18.8

Da 25 a 36 mesi 5.2 9.8 8.1

Più di 3 anni 0.0 5.6 3.5

Totale 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

80

E’ possibile verificare, distinguendo tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato, se

tra gli occupati alle dipendenze, vi siano individui in cerca di un altro lavoro e se si per quale

motivo. Si nota che la percentuale di persone in cerca di un’altra occupazione è mediamente più

elevata tra i lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato (rispettivamente il 20,4%

contro il 2,6%) (Tabella 13.7). E la percentuale di persone in cerca di nuova occupazione tra coloro

che hanno un contratto a termine risulta (in media) essere più elevata per le donne (21,5%) piuttosto

che per gli uomini (18,7%).

Tabella 13.7 _ Percentuale di individui alla ricerca di un’altra occupazione tra i lavoratori a tempo determinato

e a tempo indeterminato. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Tempo indeterminato Tempo determinato

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Cerca un altro lavoro 2.3 3.0 2.6 18.7 21.5 20.4

Non cerca un altro lavoro 97.7 97.0 97.4 81.3 78.5 79.6

Totale 100 100 100 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Ma quali sono i motivi che spingono un individuo, già in possesso di un’occupazione, a cercare un

altro lavoro? Nel caso degli occupati a tempo indeterminato, l’81,1% cerca un altro lavoro poiché

aspira a condizioni migliori (l’80,1% degli uomini e l’82,3% delle donne) (Tabella 13.8). Per

quanto riguarda i lavoratori a tempo determinato, il timore di perdere l’attuale occupazione e

l’aspirazione a condizioni di vita migliore sono le motivazioni per cui cerca un altro lavoro il 92,9%

delle donne (contro il 58,6% degli uomini); mentre il 28,5% degli uomini che lavorano con

contratto a termine cerca una nuova occupazione perché teme di perdere l’attuale occupazione,

nessuna donna occupata con questa tipologia contrattuale cerca un altro lavoro per questa

motivazione.

Tabella 13.8 _ Motivi della ricerca di un altro lavoro. Lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.

Provincia di Cremona (Anno 2002)

Tempo indeterminato Tempo determinato

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Teme di perdere l'attuale occupazione 0.0 0.0 0.0 28.5 0.0 9.7

L'attuale occupazione è a termine 4.0 5.5 4.7 30.7 60.1 50.1

Cerca una seconda attività lavorativa 0.0 4.3 2.0 0.0 0.0 0.0

Aspira a condizioni di lavoro migliore 80.1 82.3 81.1 27.9 32.8 31.2

Altri motivi 11.5 7.9 9.8 12.9 7.1 9.1

Motivi non specificati 4.3 0.0 2.3 0.0 0.0 0.0

Totale 100 100 100 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

81

1.7.2 Non occupati e occupazione a tempo determinato

Il questionario della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro (RTFL) ci consente anche di

verificare i motivi per cui gli individui non occupati (disoccupati e inattivi) da meno di 8 anni hanno

abbandonato l’ultima occupazione (Tabella 13.9).

Complessivamente, tra i motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione, quello

maggiormente addotto dagli uomini è la pensione di anzianità o di vecchiaia (75,5%), mentre nel

caso delle donne l’ultima occupazione è stata abbandonata, oltre che a causa della pensione di

anzianità o di vecchiaia (38,2%), anche per motivi personali o familiari (32,3%). Tuttavia, si nota

che in provincia di Cremona, nel 2002, il 7,1% dei non occupati dichiara di aver abbandonato

l’ultima occupazione a causa della fine di un lavoro a tempo determinato (il 10,4% delle donne e il

4,1% degli uomini).

Tabella 13.9 _ Motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Uomini Donne Totale

Licenziamento 3.6 7.5 5.5

Fine di una lavoro a tempo determinato 4.1 10.4 7.1

Motivi personali o familiari 1.2 32.3 16.1

Malattia o invalidità 5.2 2.5 3.9

Frequenza di corsi scolastici 2.0 3.0 2.5

Prepensionamento 1.9 2.2 2.1

Pensionamento di anzianità o di vecchiaia 75.5 38.2 57.6

Servizio di leva o servizio civile 2.2 0.0 1.1

Altri motivi 4.3 3.7 4.0

Totale 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Concentrandoci su coloro che hanno abbandonato l’ultima occupazione per la fine di un lavoro a

tempo determinato, è possibile verificare quale posizione professionale occupassero ed in quale

branca di attività economica fossero occupati (Tabella 13.10). Emerge che le donne inoccupate che

hanno abbandonato l’ultima occupazione da meno di otto anni erano tutte lavoratrici dipendenti,

mentre tra gli uomini erano soprattutto lavoratori alle dipendenze (88,6%), ma con un 11,4% che

era lavoratore autonomo senza dipendenti. Per quanto concerne il settore di attività economica,

coloro che avevano un contratto di lavoro a tempo determinato e che, nel 2002, dichiarano di essere

non occupati, lavoravano principalmente nell’industria della trasformazione (il 41,5%, a sintesi del

50,4% degli uomini e il 37,7% delle donne) e nell’istruzione, sanità e altri servizi sociali (il 21,3%,

come sintesi del 29,2% degli uomini e del 17,9% delle donne).

82

Tabella 13.10 _ Posizione professionale e branca di attività dei non occupati che hanno abbandonato l’ultima

occupazione da meno di 8 mesi. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Uomini Donne Totale

Posizione nella professione

Alle dipendenze 88.6 100.0 96.6

Autonomo (senza dipendenti) 11.4 0.0 3.4

Totale 100 100 100

Branca di attività economica

Agricoltura, caccia e pesca 0.0 3.6 2.5

Industria della trasformazione 50.4 37.7 41.5

Altre attività: commercio 0.0 4.3 3.0

Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari 9.6 0.0 2.9

Altre attività: servizi alle imprese e altre attività professionali e imprenditoriali 0.0 11.1 7.8

Altre attività: P.A. difesa e assicurazioni sociali obbligatorie 10.8 16.3 14.6

Altre attività: istruzione, sanità e altri servizi sociali 29.2 17.9 21.3

Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 0.0 9.1 6.4

Totale 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

83

1.8 La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a

tempo determinato

La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato, piuttosto

che a tempo indeterminato, in provincia di Cremona, è stata stimata con un modello probit7. In

questo modello econometrico la variabile dipendente è una variabile discreta che assume valore 1

nel caso l’individuo sia occupato alle dipendenze a tempo determinato e valore 0 nel caso sia

occupato alle dipendenze a tempo indeterminato. Le variabili esplicative utilizzate sono il sesso,

l’età (e l’età al quadrato), la posizione nella famiglia, lo stato civile ed il titolo di studio.

I risultati della stima econometrica mostrano che, a parità delle altre caratteristiche personali, la

probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato, piuttosto che a

tempo indeterminato, è influenzata in maniera significativa dall’età, dal sesso, dalla posizione

famigliare, mentre stato civile e titolo di studio non sembrano avere un impatto significativo

(Tabella 14.1).

In particolare, tale probabilità :

si riduce meno che proporzionalmente al crescere dell’età (come rilevabile dal coefficiente

negativo della variabile età e da quello positivo della variabile età2).;

aumenta se si è donne piuttosto che uomini;

cresce se, all’interno del nucleo famigliare, si ricoprono le posizioni di figlio o di altro parente

rispetto a quella di capofamiglia.

7 La stima in oggetto è stata condotta utilizzando i microdati, relativi, al 2002, della Rilevazione Trimestrale

sulle Forze di Lavoro dell’ISTAT.

84

Tabella 14.1 _ Stima probit della probabilità di essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo

determinato in provincia di Cremona

Number of obs = 1655

LR chi2(11) = 88.88

Prob> chi2 = 0.000

Pseudo R2 = 0.116

Variabili esplicative Coeff. Std. Err. z P>|z|

Età -0.163 0.029 -5.59 0.000

Età2 0.002 0.000 4.90 0.000

Sesso (Donne=1) 0.354 0.131 2.70 0.007

Coniuge 0.247 0.183 1.35 0.178

Figlia 0.405 0.238 1.71 0.088

Altro parente 0.589 0.315 1.87 0.061

Coniugato 0.264 0.237 1.11 0.266

Separato/Divorziato/Vedovo 0.444 0.307 1.45 0.148

Diploma Licenza Media -0.231 0.236 -0.98 0.329

Diploma Licenza Superiore -0.223 0.235 -0.95 0.342

Titolo di studio Universitario 0.043 0.256 0.17 0.866

Costante 1.440 0.646 2.23 0.026

Note: variabili escluse Capofamiglia,Celibe/Nubile, Licenza elementare

Tra parentesi sono riportate le statistiche z

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

La Figura 14.1 mostra gli effetti marginali per le variazioni delle variabili inserite nel modello, i cui

coefficienti sono statisticamente significativi (età, età2, sesso, figlia, altro parente). Si osserva che

un anno in più di età riduce la probabilità di lavorare a tempo determinato dell’1,5% circa, ma nello

stesso tempo la incrementa dello 0,02% (effetto dovuto alla variabile età2). In altri termini, si

conferma che la probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a termine si riduce

meno che proporzionalmente al crescere dell’età. Per esaminare gli effetti delle variabili categoriche

statisticamente significative (sesso, figlia, altro parente), poiché per tali variabili non ha senso

calcolare gli effetti marginali, quello che si ottiene è un confronto tra la probabilità di essere

occupato alle dipendenze a tempo determinato stimata nella situazione “di partenza” con la

probabilità stimata dopo che l’individuo è stato posto nella nuova categoria.

85

Si nota che:

essere donna, rispetto ad essere uomo, incrementa la probabilità di lavorare a tempo determinato

del 3,4%;

essere figlia in un nucleo familiare, rispetto a non esserlo, incrementa tale probabilità del 4,2%

circa;

essere altro parente in un nucleo familiare, rispetto a non esserlo, incrementa tale probabilità

dell’8,5% circa.

Figura 14.1 _ Modello probit: effetti marginali. Valori percentuali

Note: sono stati riportati gli effetti marginali solo delle variabili con coefficiente statisticamente significativo

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Allo scopo di rendere ancora più agevole l’interpretazione dei risultati delle stime, sono stati

individuati degli individui “rappresentativi”, per ciascuno dei quali è stata calcolata la probabilità di

essere occupati alle dipendenze con contratto a tempo determinato (anche se occorre tener presente

il fatto che non tutte le variabili esplicativa hanno coefficiente statisticamente significativo) (Tabella

14.2). Si rileva che la probabilità di essere lavoratore dipendente con contratto a tempo determinato,

tra gli individui “rappresentativi” presi in considerazione, è più elevata per una donna di 19 anni,

nubile, con posizione di figlia all’interno del nucleo familiare e diploma di licenza superiore (il

30,9%). Mentre tale probabilità è più bassa, sempre relativamente agli individui “rappresentativi”

considerati, per un uomo di 40 anni, sposato, capofamiglia e con diploma di scuola superiore

(l’1,2%). Osservando le probabilità associate a ciascun individuo “rappresentativo”, si evidenzia,

-1,49

0,02

3,40

4,28

8,49

-2

-1

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

Età Età2 Sesso Figlia Altro parente

86

ancora una volta, che, a parità delle altre caratteristiche, la probabilità di essere occupati alle

dipendenze con contratto a tempo determinato:

si riduce meno che proporzionalmente al crescere dell’età;

aumenta se si è donne, piuttosto che uomini;

è influenzata positivamente dal fatto di essere figlia o altro parente all’interno di un nucleo

famigliare.

Tabella 14.2 _ Descrizione degli individui “rappresentativi” e rispetti probabilità di essere occupati alle

dipendenze con contratto a tempo determinato

Individui rappresentativi Probabilità associate Donna, 19 anni, nubile, figlia, diplomata 30,9%

Uomo, 19 anni, celibe, figlio, diplomato 19,7%

Donna, 30 anni, nubile, altro parente, laureata 18,2%

Uomo, 30 anni, celibe, altro parente, laureato 10,4%

Donna, 40 anni, sposata, coniuge, diplomata 4,8%

Uomo, 40 anni, sposato, capofamiglia, diplomato 1,2%

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

87

1.9 Contratti flessibili e ricerca del posto di lavoro

In questa sezione si analizzerà con quali contratti e con quale orario siano disposte a lavorare le

persone alla ricerca di un posto di lavoro, ovvero se siano disponibili a lavorare anche con un

contratto a tempo a tempo determinato e/o con un orario a tempo parziale.

In primo luogo, nel 2002, si nota che il 4,0% delle popolazione di 15 anni ed oltre della provincia di

Cremona dichiara di essere alla ricerca di un posto di lavoro (Figura 15.1). Di coloro che cercano un

lavoro, il 62,2% sono di sesso femminile (Figura 15.2).

Figura 15.1 _ Percentuale di persone alla ricerca di un lavoro in Provincia di Cremona (Anno 2002).

Cerca un lavoro

4,0%

Non cerca un

lavoro

96,0%

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

88

Figura 15.2 _ Composizione delle persone alla ricerca di un lavoro per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002).

Uomini

37,8%

Donne

62,2%

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Relativamente alla condizione occupazionale di coloro che cercano un posto di lavoro, si osserva

che il 39,2% dichiara di essere occupato, il 33,5% di essere in cerca di occupazione, il 21,7% di

essere inattivo ma di cercare lavoro non attivamente, il 5,2% di essere inattivo ma non disponibile a

lavorare immediatamente e, infine, la percentuale residuale (0,4%) di essere inattivo con età

superiore ai 65 anni (Tabella 15.1). In un sintetico confronto di genere,si osserva che tra gli uomini

alla ricerca di lavoro ci sono soprattutto individui già in possesso di un’occupazione (49,2%),

mentre tra le donne ci sono principalmente persone in cerca di occupazione (38,6%); infine, la

percentuale di persone che rientrano tra le non forze di lavoro e che ricercano, anche se non

attivamente, un lavoro, risulta essere non trascurabile sia tra gli uomini (18,4%) sia tra le donne

(23,6%).

89

Tabella 15.1 _ Condizione occupazionale attuale delle persone alla ricerca di lavoro per sesso. Provincia di

Cremona (Anno 2002)

Condizione attuale Uomini Donne Totale

Occupati dichiarati 47.9 31.0 37.3

Altri occupati 1.3 2.2 1.9

Disoccupati (azioni 30 gg) 13.2 17.7 16.0

Persone in cerca di prima occupazione (30 gg) 10.6 5.2 7.2

Altre persone in cerca di occupazione (30 gg) 1.3 15.7 10.3

NFL che cercano lavoro non attivamente 18.4 23.6 21.7

NFL non cercano ma disponibili a lavorare immediatamente 0.0 0.0 0.0

NFL non disponibili a lavorare immediatamente 7.3 3.9 5.2

NFL di età superiore a 65 anni 0.0 0.6 0.4

Totale 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

L’occupazione prevalentemente ricercata da chi dichiara di essere in cerca di un lavoro è, come ci si

poteva attendere, alle dipendenze con contratto di lavoro a tempo indeterminato (62,7%) (Tabella

15.2). Tuttavia, il 5,8% (il 5,4% degli uomini ed il 6,1% delle donne) dichiara di cercare

un’occupazione alle dipendenze con contratto a termine ed un altro rilevante 30,0% (il 33,9% degli

uomini ed il 27,6% delle donne) dichiara di cercare un lavoro dipendente senza esprimere

preferenze per il tipo di contratto, quindi anche a tempo determinato.

Tabella 15.2 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Uomini Donne Totale

Alle dipendenze

Con contratto a tempo indeterminato 60.7 63.8 62.7

Con contratto a termine 5.4 6.1 5.8

Con contratto di formazione professionale 0.0 0.0 0.0

Senza preferenze 33.9 27.6 30.0

Autonomo

Ha già predisposto i mezzi per esercitarlo 0.0 0.0 0.0

Non ha ancora predisposto i mezzi per esercitarlo 0.0 2.5 1.6

Totale 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

Il tipo di occupazione cercato può essere analizzato distinguendo per la condizione occupazionale

(aggregata in occupati, persone in cerca di occupazione e non forze di lavoro) di chi è alla ricerca di

lavoro (Tabella 15.3). Chi è già in possesso di un’occupazione prevalentemente cerca un lavoro alle

dipendenze a tempo indeterminato (76,5%) e ciò risulta essere vero sia per gli uomini (72,1%) sia

per le donne (80,5%). Le persone in cerca di occupazione, invece, o cercano un’occupazione alle

dipendenze a tempo indeterminato oppure non esprimono preferenze per il tipo di contratto

90

(rispettivamente, il 49,5% ed il 47,5 %); tuttavia, le donne sono più propense degli uomini a

lavorare a tempo indeterminato (52,9% contro il 40,8% degli uomini), mentre gli uomini (il 54,8%)

più delle donne (il 44,6%) non esprimono preferenze per la tipologia contrattuale. Infine, gli inattivi

mostrano una disponibilità a lavorare a tempo determinato (14,2%) più elevata di quella degli

occupati (2,4%) e delle persone in cerca di occupazione (2,5%). In particolare, rispettivamente il

16,6% degli uomini inattivi ed il 12,8% delle donne inattive cerca prevalentemente un’occupazione

dipendente con contratto a termine.

Tabella 15.3 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso e per condizione occupazionale attuale.

Provincia di Cremona (Anno 2002)

Condizione attuale

Con contratto

a

tempo

indeterminato

Con

contratto

a

termine

Con

contratto di

formazione

professionale

Senza

preferenze

Autonomo

(ha già

predisposto

i mezzi per

esercitarlo)

Autonomo

(non ha

ancora

predisposto

i mezzi per

esercitarlo)

Totale

Uomini

Occupati 72.1 0.0 0.0 27.9 0.0 0.0 100

Persone in cerca di occupazione 40.8 4.4 0.0 54.8 0.0 0.0 100

NFL (15 anni ed oltre) 58.3 16.6 0.0 25.1 0.0 0.0 100

Totale 60.7 5.4 0.0 33.9 0.0 0.0 100

Donne

Occupati 80.5 4.5 0.0 12.7 0.0 2.3 100

Persone in cerca di occupazione 52.9 2.5 0.0 44.6 0.0 0.0 100

NFL (15 anni ed oltre) 59.2 12.8 0.0 21.9 0.0 6.1 100

Totale 63.8 6.1 0.0 27.6 0.0 2.5 100

Totale

Occupati 76.5 2.4 0.0 19.9 0.0 1.2 100

Persone in cerca di occupazione 49.5 3.0 0.0 47.5 0.0 0.0 100

NFL (15 anni ed oltre) 58.9 14.2 0.0 23.0 0.0 4.0 100

Totale 62.7 5.8 0.0 30.0 0.0 1.6 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

E’ possibile, infine, osservare con quale orario sarebbero disposte a lavorare le persone alla ricerca

di un’occupazione (Tabella 15.4). Si rileva che la maggior parte degli uomini che cerca un lavoro

vorrebbe lavorare esclusivamente/preferibilmente a tempo pieno (il 77,6%), mentre le donne che

vorrebbero lavorare a tempo pieno (esclusivamente/parzialmente) costituiscono il 55,9% delle

donne in cerca di lavoro. D’altra parte, sono soprattutto le donne che dichiarano che vorrebbero

lavorare esclusivamente/prevalentemente a tempo parziale (il 28,4% contro l’8,0% degli uomini).

Infine, si registra che rispettivamente il 15,7% delle donne ed il 14,3% degli uomini che sono alla

ricerca di un lavoro vorrebbe lavorare con qualsiasi orario.

91

Tabella 15.4 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002)

Orario con cui vorrebbe lavorare Uomini Donne Totale

Esclusivamente a tempo pieno 28.1 22.0 24.3

Esclusivamente a tempo parziale 4.5 19.0 13.5

Preferibilmente a tempo pieno 49.5 33.9 39.8

Preferibilmente a tempo parziale 3.6 9.5 7.2

Qualsiasi orario 14.3 15.7 15.2

Totale 100 100 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

L’orario con il quale si vorrebbe lavorare può essere analizzato distintamente per la condizione

occupazionale di coloro che dichiarano di cercare un lavoro (Tabella 15.5). In generale, coloro che

sono già in possesso di un’occupazione vorrebbero soprattutto lavorare

(esclusivamente/preferibilmente) a tempo pieno (il 72,6%): ciò risulta essere vero sia per gli uomini

(74,5%) sia per le donne (70,9%), anche se la percentuale di donne occupate che vorrebbero

lavorare (esclusivamente/preferibilmente) a tempo parziale (21,3%) è certamente più elevata di

quella degli uomini (3,8%). Tuttavia, tra gli occupati, la percentuale di uomini che lavorerebbero

con qualsiasi orario di lavoro (21,7%) è mediamente più elevata di quella delle donne (7,8%).

Per quanto riguarda le persone in cerca di occupazione, il 46,7% vorrebbe lavorare preferibilmente

a tempo parziale; questa percentuale sale al 72,9% per gli uomini, mentre si attesta al 36,4% per le

donne.

Infine, relativamente agli inattivi, il 57,2% vorrebbe lavorare (sia esclusivamente sia

preferibilmente) a tempo pieno, ma la percentuale di coloro che vorrebbero lavorare

(esclusivamente/preferibilmente) a tempo parziale è certamente superiore tra le donne inattive

piuttosto che tra gli uomini inattivi (il 31,8% contro il 18,9%).

92

Tabella 15.5 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso e per condizione occupazionale attuale. Provincia

di Cremona (Anno 2002)

Esclusivamente

a tempo pieno

Esclusivamente

a tempo

parziale

Preferibilmente

a tempo pieno

Preferibilmente

a tempo

parziale

Qualsiasi

orario Totale

Uomini

Occupati 29.0 0.0 45.5 3.8 21.7 100

Persone in cerca di occupazione 16.3 5.1 72.9 0.0 5.7 100

NFL (15 anni ed oltre) 37.9 12.3 34.4 6.6 8.8 100

Totale 28.1 4.5 49.5 3.6 14.3 100

Donne

Occupati 37.7 13.1 33.2 8.2 7.8 100

Persone in cerca di occupazione 11.7 15.5 36.4 11.5 25.0 100

NFL (15 anni ed oltre) 17.5 30.7 31.4 8.2 12.1 100

Totale 22.0 19.0 33.9 9.5 15.7 100

Totale

Occupati 33.6 6.9 39.0 6.1 14.4 100

Persone in cerca di occupazione 13.0 12.5 46.7 8.2 19.5 100

NFL (15 anni ed oltre) 24.8 24.2 32.4 7.6 11.0 100

Totale 24.3 13.5 39.8 7.2 15.2 100

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

93

PARTE TERZA: La rilevazione diretta ad imprese , Enti Pubblici ed

Aziende Speciali in provincia di Cremona.

Nei paragrafi seguenti sono esposti i risultati della rilevazione diretta condotta su due tipologie di

interlocutori della provincia di Cremona: le aziende private da un lato e gli Enti Pubblici e le

Aziende Speciali dall’altro.

La rilevazione è avvenuta attraverso la somministrazione di un questionario a queste due tipologie

di soggetti.

1.10 Il campione delle società

Data l’impossibilità di intervistare la totalità delle imprese della provincia di Cremona, abbiamo

deciso di rivolgerci, in primo luogo, solo alle società di capitale dell’industria manifatturiera

cremonese; successivamente abbiamo preso in considerazione i due settori del manifatturiero più

rilevanti in termini di numero di imprese e di valore aggiunto, puntando la nostra attenzione sul

settore agro-alimentare e metalmeccanico; infine abbiamo campionato l’universo delle imprese di

questi due settori utilizzando un tasso di campionamento pari al 30% circa.

La fonte utilizzata per estrarre l’elenco delle imprese da intervistare è la banca dati SIES, una banca

dati formata dai dati individuali di bilancio dell’universo delle società di capitale cremonesi

appartenenti all’industria manifatturiera.

I bilanci forniti dal CERVED vengono convertiti in una matrice dei dati in cui ogni riga rappresenta

un’azienda e ogni colonna costituisce una posta di bilancio.

Le imprese appartenenti alla banca dati sono 687, mentre le poste del Conto Economico e dello

Stato Patrimoniale sono 76.

Di queste 687 imprese abbiamo considerato quelle appartenenti ai settori agro-alimentare (DA15) e

metalmeccanico (DJ-DK) considerando gli ultimi dati disponibili riferiti al 2001.

In questo modo abbiamo costruito il campione su 79 imprese del settore agro-alimentare e su 219

imprese del settore metalmeccanico.

Prima di spiegare il processo di campionamento, riteniamo necessario motivare la decisione di

prendere in considerazione questi due settori economici (agro-alimentare e metalmeccanico) e di

queste branche (DA 15, DJ e DK).

94

I due settori costituiscono le principali attività economiche in termini di valore aggiunto,

rappresentano infatti nel loro insieme il 61,1% del valore aggiunto dell’intera industria

manifatturiera cremonese e sono il 43,4% del totale del numero delle imprese.

Per ciò che riguarda le branche economiche dei due settori abbiamo fatto riferimento, nel caso

dell’agro-alimentare, alla branca DA 15, escludendo l’industria del tabacco DA 16, nel caso del

metalmeccanico, abbiamo selezionato quelle branche che fanno parte del settore metalmeccanico in

senso stretto:

DJ: “Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo” che a sua volta si

suddivide in altre due branche “Produzione di metalli e loro leghe”(27) e “Fabbricazione e

lavorazione dei prodotti in metallo, escluse macchine e impianti” (28);

DK: “Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (29).

Abbiamo escluso invece quelle branche che fanno parte di una definizione allargata di

metalmeccanico:

DL: “Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche”;

DM: “Fabbricazione di mezzi di trasporto”;

DN: “Altre industrie manifatturiere”.

Abbiamo preferito puntare l’attenzione su queste branche in quanto, in primo luogo, costituiscono il

nocciolo duro della metalmeccanica e in secondo luogo queste branche prevalgono sia in termini di

numero di imprese, formano il 77% dell’intero settore metalmeccanico inteso in senso allargato, sia

in termini di valore aggiunto, rappresentano il 77,6% dell’intero settore metalmeccanico.

95

Al fine della costruzione del campione sono state utilizzate due variabili: la “spesa complessiva

annua del personale” e la tipologia di attività di produzione delle imprese.

L’indicatore “spesa complessiva annua del personale” è stato scelto al posto del “numero degli

addetti”che doveva essere la variabile più adeguata ai fini della stratificazione, ma che non poteva

essere reperita dai dati di bilancio.

Il processo di costruzione del campione, distinto per i due settori economici, è avvenuto in due fasi.

Nella prima fase, l’universo delle imprese dei due settori è stato stratificato in base alle attività

economiche del codice ATECO.

Nel caso del settore agro-alimentare la suddivisione è avvenuta utilizzando la classificazione

ATECO a tre cifre:

151: Produzione e lavorazione della carne e dei prodotti a base di carne;

152: Lavorazione e conservazione di pesce e di prodotti a base di pesce;

153: Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;

154: Fabbricazione di oli e grassi vegetali ed animali;

155: Industria lattiero-casearia;

156: Lavorazione delle granaglie e dei prodotti amidacei;

157: Fabbricazione di prodotti per l’alimentazione degli animali;

158: Fabbricazione di altri prodotti alimentari;

159: Industria delle bevande.

A differenza del settore agro-alimentare nel settore metalmeccanico la stratificazione è avvenuta

sulla base di una classificazione ATECO a sole due cifre.

27: Produzione di metalli e loro leghe;

28: Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo, escluse macchine e impianti;

29: Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici, compresi l’installazione, la

riparazione e la manutenzione.

Nella seconda fase le imprese stratificate in base al settore economico vengono poi suddivise in

base alla variabile “spesa annua complessiva del personale”.

96

Nel caso del settore agro-alimentare la suddivisione è avvenuta sulla base delle seguenti classi di

spesa:

imprese con spesa annua complessiva del personale fino a 500.000 euro;

imprese con spesa annua complessiva del personale oltre i 500.000 euro.

Nel caso del settore metalmeccanico, la stratificazione è avvenuta sulla base delle seguenti classi di

spesa:

imprese con spesa annua complessiva del personale fino a 250.000 euro;

imprese con spesa annua complessiva del personale da 250.000 a 1.000.000 euro;

imprese con spesa annua complessiva del personale oltre 1.000.000 di euro.

Una volta costruita questa doppia stratificazione per le imprese dell’universo del settore agro-

alimentare e del settore metalmeccanico abbiamo considerato il 30% delle imprese di ogni cella e

abbiamo scelto le imprese del campione attraverso un procedimento di estrazione casuale.

Nelle tabelle 16.1-16.4 abbiamo riportato il passaggio da universo a campione per i due settori

economici considerati.

97

Tabella 16.1: Universo delle imprese del settore agro-alimentare

Tabella 16.2: Campione delle imprese del settore agro-alimentare

Dall’universo delle imprese del settore agro-alimentare si nota come il comparto “Lavorazione di

pesce e di prodotti a base di pesce”(152) è privo di imprese nella provincia di Cremona; i settori

“Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi” (153) e l’ “Industria delle bevande”(159) non

hanno imprese con “spesa complessiva annua del personale” fino a 500.000 euro, mentre hanno

una sola impresa con “spesa complessiva annua del personale” maggiore di 500.000 euro.

Il campione è dunque costituito da 25 imprese estratte con procedimento casuale.

Nel corso della rilevazione sono sorti alcuni problemi relativi alla resistenza posta da parte di alcune

imprese nel compilare il questionario e la modifica dell’attività produttiva da parte di altre.

In questi due casi abbiamo provveduto a sostituire tali imprese con altre società dell’universo.

fino a 500.000 oltre i 500.000 Totale

151 15 9 24

153 0 1 1

154 2 1 3

155 12 11 23

156 2 3 5

157 3 2 5

158 7 10 17

159 0 1 1

Totale 41 38 79

fino a 500.000 Oltre i 500.000 Totale

151 5 3 8

153 0 0 0

154 1 0 1

155 4 3 7

156 1 1 2

157 1 1 2

158 2 3 5

159 0 0 0

Totale 14 11 25

98

Nel caso del comparto 156 le uniche due imprese appartenenti a tale comparto hanno modificato la

propria attività produttiva pertanto in quel caso siamo stati costretti a togliere un’impresa dal

campione che da 25 imprese è passato a 24.

fino a 250.000 250.000-1.000.000 Oltre i 1.000.000 Totale

DJ 27 2 3 7 12

DJ28 48 53 21 122

DK29 34 35 16 85

Totale 84 91 44 219

Tabella 16.3: Universo delle imprese del settore metalmeccanico

Tabella 16.4: Campione delle imprese del settore metalmeccanico

fino a 250.000 250.000-1.000.000 Oltre i 1.000.000 Totale

DJ 27 1 1 2 4

DJ28 14 16 6 36

DK29 10 11 5 26

Totale 25 28 13 66

Nel caso del settore metalmeccanico il campione è formato da 66 imprese, in questo caso non si

sono verificati i problemi relativi al settore agro-alimentare in quanto ogni strato presenta un

numero di imprese comunque maggiore di 1.

99

1.11 Il settore pubblico allargato

Oltre alle aziende private abbiamo considerato il Settore Pubblico allargato che comprende il

Settore Pubblico ristretto (i principali Comuni della provincia, l’Ente Provincia, la Camera di

Commercio) e le Aziende Speciali.

La lista dei soggetti a cui ci siamo rivolti è la seguente:

ENTI PUBBLICI:

I Comuni:

- Comune di Cremona;

- Comune di Offanengo;

- Comune di Castelleone;

- Comune di Pizzighettone;

- Comune di Soresina;

- Comune di Rivolta d’Adda;

- Comune di Casalmaggiore;

- Comune di Crema;

- Comune di Pandino;

La Provincia di Cremona

La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura;

LE AZIENDE SPECIALI:

L’Azienda Sanitaria Locale;

L’Azienda Ospedaliera;

L’Azienda Energetica Municipale;

Casalasca Servizi SPA;

Padania Acque SPA;

Consorzio Cremasco SPA;

ASPM Soresina Servizi;

Soresina Reti e Impianti SPA.

100

1.12 I questionari

Ai fini della rilevazione diretta sui contratti di lavoro atipici nella provincia di Cremona sono stati

costruiti due diversi questionari: uno per le aziende private e uno per gli Enti Pubblici e le Aziende

Speciali.8

Nella prima parte del questionario vengono chieste informazioni sulle caratteristiche dell’impresa,

dell’Ente Pubblico e delle Aziende Speciali quali il numero dei dipendenti, nel caso delle imprese

vengono inoltre approfonditi altri aspetti quali la suddivisione del personale per area funzionale,

l’organizzazione dei turni di lavoro e il ricorso al lavoro straordinario.

Nella seconda parte si richiedono invece informazioni sull’utilizzo di contratti o posizioni atipiche

da parte dell’impresa, Ente Pubblico, Azienda Speciale:

l’utilizzo di contratti di lavoro/posizioni atipiche;

le tipologie di contratti/posizioni atipiche in essere;

il titolo di studio, l’età, la tipologia di lavoro svolta dai lavoratori assunti con

contratto/posizione atipica;

le motivazioni sottostanti alla scelta di avvalersi di questi lavoratori;

la decisione di trasformare questi contratti in altre tipologie contrattuali;

l’utilizzo futuro dei contratti/posizioni atipiche.

Nella presente rilevazione abbiamo deciso di indagare su tutti quei contratti o posizioni atipiche

che, in quanto tali, si distinguono dal contratto a tempo indeterminato (full time).

E’ utile chiarire che non ci riferiamo solo a forme contrattuali, ma anche a posizioni che non

necessariamente predispongono una formalizzazione contrattuale come ad esempio i tirocini

formativi.

I contratti/posizioni atipiche che abbiamo scelto di analizzare sono i seguenti:

Contratti a tempo indeterminato (part time);

Contratti a tempo determinato (full time);

Contratti a tempo determinato (part time);

CFL;

Apprendistato;

CO.CO.CO.;

Collaborazioni occasionali;

Interinali;

8 I questionari sono riportati in Appendice B.

101

Tirocinio Formativo;

Altro.

E’ importante sottolineare che i dati forniti da imprese, Enti Pubblici ed Aziende Speciali si

riferiscono al 31 luglio 2003.

Per quanto riguarda la voce “Altro” è necessario puntualizzare che la maggior parte degli Enti

Pubblici ha voluto includere nella categoria “Altro” le forme contrattuali in essere con liberi

professionisti, i cosiddetti “incarichi professionali”, da tenere distinti dalle “collaborazioni

occasionali”.

102

1.13 Le caratteristiche delle imprese del campione: l’analisi sul numero dei

dipendenti per qualifica professionale, area funzionale e turni di

lavoro. I soci d’impresa nel settore metalmeccanico

1.13.1 I dipendenti per qualifica professionale

Le 24 imprese del campione costruito per il settore agro-alimentare, al mese di luglio 2003, contano

1.635 dipendenti, distribuiti in 1.187 operai, 396 impiegati e 52 dirigenti (tabella 19.1)

Tabella 19.1. Il campione di imprese del settore agro-alimentare: numero di dipendenti per qualifica

professionale e comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

pro

du

zio

ne,

lav

ora

zion

e e

con

serv

azio

ne

di

carn

e e

di

pro

do

tti

a b

ase

di

carn

e

pro

du

zio

ne

di

oli

e g

rass

i

veg

etal

i e

anim

ali

ind

ust

ria

latt

iero

-cas

eari

a e

dei

gel

ati

lav

ora

zio

ne

del

le g

ran

agli

e e

di

pro

do

tti

amid

acei

pro

du

zio

ne

di

pro

do

tti

per

l'al

imen

tazi

on

e d

egli

an

imal

i

pro

du

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ne

di

altr

i p

rod

ott

i

alim

enta

ri

IND

US

TR

IE A

GR

O-

AL

IME

NT

AR

I

operai valore assoluto 112 14 380 64 58 559 1187

valore percentuale 78,9% 87,5% 75,0% 62,1% 69,9% 71,3% 72,6%

impiegati valore assoluto 24 1 110 35 22 204 396

valore percentuale 16,9% 6,3% 21,7% 34,0% 26,5% 26,0% 24,2%

dirigenti valore assoluto 6 1 17 4 3 21 52

valore percentuale 4,2% 6,3% 3,4% 3,9% 3,6% 2,7% 3,2%

TOTALE valore assoluto 142 16 507 103 83 784 1635

valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

In termini percentuali, sul totale di 1.635 dipendenti, il 72,6% è rappresentato da operai, il 24,2% da

impiegati ed il 3,2% da dirigenti. La stessa analisi viene proposta pure per singolo comparto di

attività agro-alimentare. Dai dati di tabella 19.1 si evince che i due comparti maggiormente

rappresentati, come numero di dipendenti sul totale delle aziende agro-alimentari del campione,

riguardano la “produzione di altri prodotti alimentari” – dove la provincia di Cremona detiene una

rilevanza notevole soprattutto nell’ “industria dolciaria” – con 784 dipendenti e l’“industria lattiero-

casearia” con 507 dipendenti. A tale proposito, la disaggregazione dei dipendenti per qualifica

professionale evidenzia come nell’ “industria lattiero-casearia” è maggiore, rispetto alla media del

settore agro-alimentare, la presenza di operai, pari al 75% del totale, e minore quella di impiegati,

pari al 21,7%.

Invece, nel comparto di attività agro-alimentare – dove spicca la presenza di industrie dolciarie –

minore, sempre rispetto alla media dell’intero settore, è la presenza di operai (il 71,3% del totale) e

103

maggiore quella di impiegati (il 26%). Un altro comparto molto presente, in termini di imprese, in

provincia è rappresentato dal comparto “produzione, lavorazione e conservazione di carne e di

prodotti a base di carne”. In proposito, dei 142 dipendenti delle imprese del campione, monitorate

dal questionario sulla domanda di lavoro, quasi l’80% è costituito da operai e solo il 17% circa da

impiegati.

Tabella 19.2. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di dipendenti per qualifica

professionale e branca di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

pro

du

zio

ne

di

met

alli

e l

oro

leg

he

fab

bri

cazi

on

e e

lav

ora

zio

ne

dei

pro

do

tti

in m

etal

lo,

escl

usi

mac

chin

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imp

ian

ti

fab

bri

cazi

on

e d

i m

acch

ine

ed

app

arec

chi

mec

can

ici

IND

US

TR

IE

ME

TA

LM

EC

CA

NIC

HE

operai valore assoluto 438 568 638 1644

valore percentuale 69,2% 77,6% 73,7% 73,7%

impiegati valore assoluto 185 148 219 552

valore percentuale 29,2% 20,2% 25,3% 24,7%

dirigenti valore assoluto 10 16 9 35

valore percentuale 1,6% 2,2% 1,0% 1,6%

TOTALE valore assoluto 633 732 866 2231

valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Lo stesso tipo di analisi sui dipendenti, ma per il campione di imprese monitorate per il settore

metalmeccanico, è riportato in tabella 19.2. In questo caso, sui 2.231 dipendenti relativi alle 66

aziende del campione, 1.644, pari al 73,7%, sono operai, 552, pari al 24,7%, sono impiegati e 35

(solo l’1,6% del totale) sono dirigenti. Tali valori percentuali non si discostano più di tanto da

quanto emerso per il settore agro-alimentare.

In particolare, il peso degli operai sul totale è relativamente superiore per la branca “fabbricazione e

lavorazione dei prodotti in metallo” (il 77,6%) che per la branca “fabbricazione di macchine ed

apparecchi meccanici” (il 73,7%, in linea con il dato settoriale) e soprattutto per la branca

“produzione di metalli e loro leghe”, più comunemente detta “metallurgia”, (il 69,2%). Se ne

deduce che il peso degli impiegati sul totale è sopra la media settoriale per la stessa “metallurgia” (il

29,2% rispetto al 24,7% di cui si è detto sopra).

104

1.13.2 I dipendenti per area funzionale

Tabella 19.3. Il campione di imprese del settore agro-alimentare: numero di dipendenti per area funzionale e

comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

pro

du

zio

ne,

lav

ora

zion

e e

con

serv

azio

ne

di

carn

e e

di

pro

do

tti

a b

ase

di

carn

e

pro

du

zio

ne

di

oli

e g

rass

i

veg

etal

i e

anim

ali

ind

ust

ria

latt

iero

-cas

eari

a e

dei

gel

ati

lav

ora

zio

ne

del

le g

ran

agli

e e

di

pro

do

tti

amid

acei

pro

du

zio

ne

di

pro

do

tti

per

l'al

imen

tazi

on

e d

egli

an

imal

i

pro

du

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ne

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altr

i p

rod

ott

i

alim

enta

ri

IND

US

TR

IE A

GR

O-

AL

IME

NT

AR

I

direzione valore assoluto 6 1 15 5 3 7 37

valore percentuale 4,2% 6,3% 3,0% 4,9% 3,6% 0,9% 2,3%

produzione valore assoluto 105 14 369 60 53 562 1163

valore percentuale 73,9% 87,5% 72,8% 58,3% 63,9% 71,7% 71,1%

logistica valore assoluto 6 0 32 10 7 27 82

valore percentuale 4,2% 0,0% 6,3% 9,7% 8,4% 3,4% 5,0%

finanza-amministrazione valore assoluto 10 1 44 10 8 20 93

valore percentuale 7,0% 6,3% 8,7% 9,7% 9,6% 2,6% 5,7%

personale-relazioni industriali valore assoluto 3 0 3 2 1 16 25

valore percentuale 2,1% 0,0% 0,6% 1,9% 1,2% 2,0% 1,5%

commerciale-marketing valore assoluto 5 0 23 6 4 79 117

valore percentuale 3,5% 0,0% 4,5% 5,8% 4,8% 10,1% 7,2%

R&S valore assoluto 1 0 3 1 3 12 20

valore percentuale 0,7% 0,0% 0,6% 1,0% 3,6% 1,5% 1,2%

controllo qualità valore assoluto 5 0 7 4 1 14 31

valore percentuale 3,5% 0,0% 1,4% 3,9% 1,2% 1,8% 1,9%

EDP valore assoluto 1 0 5 1 0 8 15

valore percentuale 0,7% 0,0% 1,0% 1,0% 0,0% 1,0% 0,9%

engineering valore assoluto 0 0 6 2 0 33 41

valore percentuale 0,0% 0,0% 1,2% 1,9% 0,0% 4,2% 2,5%

altro valore assoluto 0 0 0 2 3 6 11

valore percentuale 0,0% 0,0% 0,0% 1,9% 3,6% 0,8% 0,7%

TOTALE valore assoluto 142 16 507 103 83 784 1635

valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Una volta ripartiti i dipendenti per qualifica professionale, il passo successivo è stato quello di

distribuirli per area funzionale. In generale, nel settore agro-alimentare i dipendenti si concentrano

soprattutto nella produzione (1.163 dipendenti su 1.635, pari al 71,1%). L’area commerciale-

marketing è la seconda per importanza, come numero di dipendenti impiegati, con il 7,2%; seguono

l’area finanza-amministrazione (5,7%) e l’area logistica (5%).

105

Per branche, alcuni aspetti interessanti devono essere messi in rilievo. In primo luogo, il fatto che

per la “lavorazione delle granaglie e di prodotti amidacei” – cioè la molitura e lavorazione di

frumento ed altri cereali – e la “produzione di prodotti per l’alimentazione degli animali” nell’area

produzione si concentra un numero di dipendenti relativamente inferiore rispetto alla media del

settore agro-alimentare (rispettivamente il 58,3% ed il 63,9% del totale). Inoltre, nella “produzione

di altri prodotti alimentari” – essenzialmente “industria dolciaria” – oltre alla produzione, si nota il

peso rilevante detenuto dall’area commerciale-marketing (il 10,1% del totale dipendenti) e d’altro

canto quello relativamente modesto di finanza-amministrazione (2,6%) e logistica (3,4%).

Infine, la R&S è premiata soprattutto dalla “produzione di prodotti per l’alimentazione degli

animali” e dall’ “industria dolciaria”, mentre il controllo di qualità dalla “lavorazione delle

granaglie” e dalla “produzione, lavorazione e conservazione di carne e di prodotti a base di carne”.

106

Tabella 19.4. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di dipendenti per area funzionale e

comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

pro

du

zio

ne

di

met

alli

e l

oro

leg

he

fab

bri

cazi

on

e e

lav

ora

zio

ne

dei

pro

do

tti

in m

etal

lo,

escl

usi

mac

chin

e e

imp

ian

ti

fab

bri

cazi

on

e d

i m

acch

ine

ed

app

arec

chi

mec

can

ici

IND

US

TR

IE

ME

TA

LM

EC

CA

NIC

HE

direzione valore assoluto 15 11 5 31

valore percentuale 2,4% 1,5% 0,6% 1,4%

produzione valore assoluto 508 532 625 1665

valore percentuale 80,3% 72,7% 72,2% 74,6%

logistica valore assoluto 26 23 74 123

valore percentuale 4,1% 3,1% 8,5% 5,5%

finanza-amministrazione valore assoluto 15 53 39 107

valore percentuale 2,4% 7,2% 4,5% 4,8%

personale-relazioni industriali valore assoluto 1 4 18 23

valore percentuale 0,2% 0,5% 2,1% 1,0%

commerciale-marketing valore assoluto 27 33 38 98

valore percentuale 4,3% 4,5% 4,4% 4,4%

R&S valore assoluto 7 9 19 35

valore percentuale 1,1% 1,2% 2,2% 1,6%

controllo qualità valore assoluto 20 21 13 54

valore percentuale 3,2% 2,9% 1,5% 2,4%

EDP valore assoluto 4 4 7 15

valore percentuale 0,6% 0,5% 0,8% 0,7%

engineering valore assoluto 0 20 24 44

valore percentuale 0,0% 2,7% 2,8% 2,0%

altro valore assoluto 10 22 4 36

valore percentuale 1,6% 3,0% 0,5% 1,6%

TOTALE valore assoluto 633 732 866 2231

valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Per il settore metalmeccanico (tabella 19.4), sempre la produzione rappresenta l’area funzionale con

maggiore numero di dipendenti sul totale; in cifre, 1.665 dipendenti su 2.231, pari al 74,6%.

Seguono la logistica (il 5,5% dei dipendenti totali), la finanza-amministrazione (4,8%) ed il

commerciale-marketing (4,4%).

In particolare, la percentuale di dipendenti nell’area produzione è mediamente superiore nella

branca “produzione di metalli e loro leghe” (80,3%), la logistica nella branca “fabbricazione di

macchine ed apparecchi meccanici” (8,5%) e la finanza-amministrazione nella branca

“fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo”. Inoltre, sempre in termini di dipendenti sul

107

totale, la R&S è curata soprattutto dalla branca “fabbricazione di macchine ed apparecchi

meccanici” (il 2,2% del totale) mentre il controllo di qualità dalle imprese metallurgiche (3,2%).

1.13.3 I dipendenti per turni di lavoro. Un accenno ai soci d’impresa del settore

metalmeccanico

Tabella 19.5. Il campione di imprese del settore agro-alimentare: numero di dipendenti per turni di lavoro e

comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

pro

du

zio

ne,

lav

ora

zion

e e

con

serv

azio

ne

di

carn

e e

di

pro

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pro

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zio

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oli

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ria

latt

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zio

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pro

du

zio

ne

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pro

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an

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du

zio

ne

di

altr

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rod

ott

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alim

enta

ri

IND

US

TR

IE A

GR

O-

AL

IME

NT

AR

I

3 turni valore assoluto 0 5 4 51 40 133 233

valore percentuale 0,0% 31,3% 0,8% 49,5% 48,2% 17,0% 14,3%

2 turni valore assoluto 0 0 129 20 0 421 570

valore percentuale 0,0% 0,0% 25,4% 19,4% 0,0% 53,7% 34,9%

giornaliero valore assoluto 142 11 236 32 43 230 694

valore percentuale 100,0% 68,8% 46,5% 31,1% 51,8% 29,3% 42,4%

6 x 6 valore assoluto 0 0 138 0 0 0 138

valore percentuale 0,0% 0,0% 27,2% 0,0% 0,0% 0,0% 8,4%

altro valore assoluto 0 0 0 0 0 0 0

valore percentuale 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,0%

TOTALE valore assoluto 142 16 507 103 83 784 1635

valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Per turni di lavoro (tabella 19.5), i dipendenti del settore agro-alimentare, in generale, sono

impiegati principalmente sul turno “giornaliero”, con una quota del 42,4% del totale, cioè 694

dipendenti su 1.635. Una buona percentuale, però, è anche collocata sui due turni (il 34,9%), mentre

solo il 14,3% lavora su tre turni ed ancora meno (l’8,4% del totale) sono quelli che lavorano sei ore

al giorno per sei giorni la settimana (il cosiddetto 6x6).

Per comparti, si nota come il turno giornaliero interessi tutti i dipendenti delle imprese del campione

impegnate nella “produzione, lavorazione e conservazione di carne e prodotti a base di carne”, ma

solo il 29,3% dei dipendenti impiegati nella “produzione di altri prodotti alimentari”

(essenzialmente prodotti dolciari). Per quest’ultimo comparto, forte è l’utilizzo dei due turni

(53,7%). Inoltre, i tre turni interessano soprattutto i dipendenti dei comparti relativi alla

“lavorazione delle granaglie” ed alla “produzione di prodotti per l’alimentazione degli animali”, con

108

quote di circa il 50%. Da ultimo, si noti come il 6x6 riguarda unicamente i dipendenti

dell’“industria lattiero-casearia”.

Tabella 19.6. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di dipendenti per turni di lavoro e

comparto di attività economica, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

Pro

du

zio

ne

di

met

alli

e l

oro

leg

he

fab

bri

cazi

on

e e

lav

ora

zio

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dei

pro

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lo,

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usi

mac

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e d

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acch

ine

ed

app

arec

chi

mec

can

ici

IND

US

TR

IE

ME

TA

LM

EC

CA

NIC

HE

3 turni valore assoluto 400 4 40 444

valore percentuale 63,2% 0,5% 4,6% 19,9%

2 turni valore assoluto 0 55 48 103

valore percentuale 0,0% 7,5% 5,5% 4,6%

giornaliero valore assoluto 233 673 770 1676

valore percentuale 36,8% 91,9% 88,9% 75,1%

6 x 6 valore assoluto 0 0 8 8

valore percentuale 0,0% 0,0% 0,9% 0,4%

altro valore assoluto 0 0 0 0

valore percentuale 0,0% 0,0% 0,0% 0,0%

TOTALE valore assoluto 633 732 866 2231

valore percentuale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Per quanto concerne l’organizzazione dei turni di lavoro delle imprese del settore metalmeccanico,

in questo caso l’utilizzo del turno “giornaliero” è assai più massiccio rispetto a quanto visto per le

imprese agro-alimentari. Infatti, su 2.231 dipendenti, 1.676, pari al 75,1%, lavorano sul

“giornaliero”; percentuale che si alza all’88,9% ed al 91,9% se il riferimento è rispettivamente alle

imprese che fabbricano macchine ed apparecchi meccanici o che producono e lavorano prodotti in

metallo. Per la branca delle imprese metallurgiche, invece, anche se in questo caso pesa il fatto che

su un campione di sole quattro imprese metallurgiche ve ne sia una di dimensione assai rilevante, la

scelta sui tre turni di lavoro riguarda il 63,2% dei dipendenti. I due turni ed il cosiddetto 6x6, infine,

sono in generale molto poco utilizzati.

109

Tabella 19.7. Il campione di imprese del settore metalmeccanico: numero di soci, numero di soci attivi in azienda

e percentuale di soci attivi sul totale. Valori assoluti e valori percentuali.

pro

du

zio

ne

di

met

alli

e l

oro

leg

he

fab

bri

cazi

on

e e

lav

ora

zio

ne

dei

pro

do

tti

in m

etal

lo,

escl

usi

mac

chin

e e

imp

ian

ti

fab

bri

cazi

on

e d

i m

acch

ine

ed

app

arec

chi

mec

can

ici

IND

US

TR

IE

ME

TA

LM

EC

CA

NIC

HE

numero di soci valore assoluto 2 91 43 136

attivi in azienda valore assoluto 2 55 33 90

% ATTIVI SUL NUMERO SOCI valore percentuale 100,0% 60,4% 76,7% 66,2%

Il questionario del settore metalmeccanico è stato in parte migliorato rispetto a quello agro-

alimentare data la sua successiva somministrazione alle imprese. Uno dei miglioramenti condotti è

stata l’introduzione del numero dei titolari e la funzione da essi svolta. Questa modifica ha

permesso di individuare alcune informazioni, solo per il settore metalmeccanico, sui soci d’impresa

(si veda la tabella 19.7). Delle 66 imprese rilevate dal questionario 136 risultano essere i soci, cioè

mediamente ogni impresa ha due soci. In particolare, di questi il 66,2% sono attivi in azienda,

mentre il restante 33,8% sono unicamente conferitori di capitale. Infine, la percentuale di soci attivi

in azienda sul totale è superiore per le imprese meccaniche (76,7%) rispetto a quelle che lavorano i

metalli (60,4%).

110

1.14 La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del

campione. Le principali caratteristiche dei lavoratori atipici.

Al capitolo precedente si è considerata la struttura dei dipendenti del campione di imprese dei

settori agro-alimentare e metalmeccanico. In particolare, il numero complessivo di dipendenti per i

due settori evidenziato sopra non concerne tutto l’organico delle imprese rilevate dal questionario

sui lavoratori atipici, in quanto restano escluse quelle forme contrattuali che non danno luogo ad un

vero e proprio rapporto di lavoro alle dipendenze, come le collaborazioni coordinate e continuative

(CO.CO.CO.), le collaborazioni occasionali e gli addetti inseriti con stage. Ne consegue che,

considerando anche i lavoratori inseriti nell’organico d’impresa attraverso queste forme di rapporto

di lavoro, il numero complessivo di addetti delle imprese del campione del settore agro-alimentare

sale a 1.652 unità – rispetto ai 1.635 dipendenti veri e propri precedentemente dichiarati – e quello

relativo al settore metalmeccanico a 2.268 unità, da 2.231 dipendenti.

Quanti sono i lavoratori atipici sul totale degli addetti per le imprese del campione dei due settori di

attività economica monitorati? Dai dati campionari (tabella 20.1) emerge che la percentuale di

lavoratori atipici sul totale degli addetti è superiore nel settore agro-alimentare rispetto a quello

metalmeccanico. In cifre, il confronto verte tra il 14,9% del settore agro-alimentare ed il 12,1% di

quello metalmeccanico.

Tabella 20.1. Lavoratori atipici, non atipici e totale addetti del campione di imprese dei settori agro-alimentare e

metalmeccanico, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

lavoratori atipici lavoratori non atipici totale addetti

valore ass. valore perc. valore ass. valore perc. valore ass. valore perc.

settore agro-alimentare 246 14,9% 1406 85,1% 1652 100,0%

settore metalmeccanico 274 12,1% 1994 87,9% 2268 100,0%

L’insieme dei lavoratori atipici impiegati nelle imprese dei due settori è stato distribuito per

tipologia di contratto di lavoro atipico, in modo da evidenziare a quali tra i seguenti contratti – a

tempo determinato, formazione e lavoro, apprendistato, tirocinio formativo, part time, CO.CO.CO.,

collaborazione occasionale e lavoro interinale – le imprese maggiormente ricorrono. Si nota (tabella

20.2) come per il settore agro-alimentare il tempo determinato (28% del totale dei lavoratori

atipici), l’interinale (27,2%) ed il part time (19,1%) siano le forme contrattuali più utilizzate;

relativamente basso, invece, l’impiego di apprendisti (6,9%) e CO.CO.CO. (4,9%). D’altra parte,

per il settore metalmeccanico le imprese ricorrono soprattutto al tempo determinato (32,8%),

111

all’apprendistato (18,6%) ed al part time (15,7%). Rispetto all’agro-alimentare, inoltre, più modesto

è l’utilizzo di lavoratori interinali (12,8%), ma superiore quello di CO.CO.CO. (12,4%).

Tabella 20.2. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e

metalmeccanico per tipologia di contratto di lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

settore agro-alimentare settore metalmeccanico

valore

assoluto

valore

percentuale

valore

assoluto

valore

percentuale

a termine 69 28,0% 90 32,8%

cfl 29 11,8% 18 6,6%

apprendistato 17 6,9% 51 18,6%

tirocinio 2 0,8% 1 0,4%

part time 47 19,1% 43 15,7%

co.co.co. 12 4,9% 34 12,4%

coll. occasionali 3 1,2% 2 0,7%

interinale 67 27,2% 35 12,8%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%

In generale, senza alcuna distinzione tra lavoratori atipici impiegati in azienda per tipologia

contrattuale, come si distribuiscono gli stessi per titolo di studio? In linea di massima, per entrambi

i settori di attività economica rilevati, i lavoratori atipici sono a bassa scolarità (tabella 20.3). In

particolare, questo fatto è vero soprattutto per le imprese agro-alimentari, dove il 78% degli atipici

si concentra nella fascia a più bassa scolarità (alcun titolo di studio e soprattutto licenza media).

Sempre per l’agro-alimentare, pochi sono i lavoratori atipici diplomati o che hanno conseguito la

maturità (in totale, il 16,2%) ed ancora meno quelli laureati (5,7%). Per il settore metalmeccanico,

invece, più bassa è la percentuale di coloro che hanno al massimo la licenza media (62%), mentre

rispetto all’agro-alimentare, molti di più – sempre sul totale dei lavoratori atipici – sono coloro che

sono diplomati od hanno conseguito la maturità (in totale, 34%). Sempre molto modesta, infine, la

percentuale di laureati (4%).

112

Tabella 20.3. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e

metalmeccanico per titolo di studio, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

settore agro-alimentare settore metalmeccanico

valore

assoluto

valore

percentuale

valore

assoluto

valore

percentuale

no titolo di studio 16 6,5% 30 10,9%

licenza media 176 71,5% 140 51,1%

diploma 35 14,2% 67 24,5%

maturità 5 2,0% 26 9,5%

laurea 14 5,7% 11 4,0%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%

Per classi d’età (tabella 20.4), l’esame dei dati sui lavoratori atipici evidenzia come più giovane sia

la struttura per età di coloro impiegati nelle imprese del settore metalmeccanico. Infatti, nella classe

d’età più giovane (fino a 25 anni) si situa il 24,8% dei lavoratori atipici dell’agro-alimentare ma il

32,5% di quelli del metalmeccanico; per contro, nella classe meno giovane (oltre 35 anni) il 28,5%

degli atipici dell’agro-alimentare ma solo il 16,1% di quelli del metalmeccanico. Si nota come, per

entrambi i settori di attività economica, circa la metà degli atipici ha tra i 25 ed i 35 anni.

Tabella 20.4. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e

metalmeccanico per classe d’età, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

settore agro-alimentare settore metalmeccanico

valore

assoluto

valore

percentuale

valore

assoluto

valore

percentuale

fino a 25 anni 61 24,8% 89 32,5%

25-35 anni 115 46,7% 141 51,5%

oltre 35 anni 70 28,5% 44 16,1%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%

Infine, in relazione al tipo di lavoro, i dati mostrati (tabella 20.5) sono pertinenti con quanto detto in

precedenza sulla bassa scolarità dei lavoratori atipici impiegati nelle aziende agro-alimentari e

metalmeccaniche della provincia di Cremona. Infatti, per entrambi i settori, oltre il 60% degli atipici

viene impiegata in azienda per lavori di tipo manuale. Inoltre, in termini relativi, maggiore è

l’impiego di atipici per lavori di tipo tecnico nell’agro-alimentare rispetto al metalmeccanico

(rispettivamente, 26,4% e 14,2% del totale); viceversa per i lavori di concetto (9,3% e 19,7%).

113

Tabella 20.5. Disaggregazione dei lavoratori atipici del campione di imprese dei settori agro-alimentare e

metalmeccanico per tipologia di lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

settore agro-alimentare settore metalmeccanico

valore

assoluto

valore

percentuale

valore

assoluto

valore

percentuale

lavoro manuale 158 64,2% 181 66,1%

lavoro tecnico 65 26,4% 39 14,2%

lavoro di concetto 23 9,3% 54 19,7%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 246 100,0% 274 100,0%

114

1.15 La rilevanza dei lavoratori atipici nell’organico delle imprese del

campione. Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratto di

lavoro e predisposizione al loro impiego in futuro

La maggiore parte delle imprese del campione per i settori agro-alimentare e metalmeccanico si

avvale di lavoratori atipici (tabella 21.1), secondo la definizione ampia di lavoratori atipici data in

precedenza, quando questi sono stati disaggregati per tipologia di contratto di lavoro. A tale

proposito, 19 imprese sulle 24 del settore agro-alimentare, pari al 79,2% del totale, e 49 imprese

sulle 66 del settore metalmeccanico, pari al 74,2%, hanno lavoratori atipici nel proprio organico al

mese di luglio 2003.

Tabella 21.1. Imprese con lavoratori atipici, imprese senza lavoratori atipici e totale imprese del campione dei

settori agro-alimentare e metalmeccanico, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

settore agro-alimentare settore metalmeccanico

valore

assoluto

valore

percentuale

valore

assoluto

valore

percentuale

Imprese con lavoratori atipici 19 79,2% 49 74,2%

Imprese senza lavoratori atipici 5 20,8% 17 25,8%

TOTALE IMPRESE 24 100,0% 66 100,0%

È interessante chiedersi perché tali imprese si avvalgono di lavoratori inseriti in azienda con questi

contratti di lavoro(vedi grafici 21.1 21.2). Secondo i risultati pervenuti attraverso il questionario, la

motivazione principale data dalle imprese agro-alimentari sull’utilizzo di lavoratori atipici è

rappresentata dalla flessibilità esterna, cioè dal fatto che con i lavoratori atipici si ottiene una

maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera nel tempo, in modo da adeguarla più rapidamente

alla domanda di propri prodotti. Se il 45,9% delle imprese agro-alimentari ha motivato l’utilizzo di

lavoratori atipici con la flessibilità esterna, un altro 16,2% ne ha giustificato l’uso con la necessità di

inserire i lavoratori in azienda con un maggiore periodo di prova ed un altro 13,5% con la

flessibilità interna, rappresentata dal fatto che con gli atipici l’acquisizione del risultato d’impresa

avviene senza gravare sulla struttura produttiva della stessa impresa. Sempre sulle motivazioni

all’utilizzo, poche imprese, invece, si sono espresse per un contenimento del costo del personale o

per l’indisponibilità delle stesse figure a tempo indeterminato (rispettivamente, 8,1% e 5,4%).

Infine, un 10,8% di imprese ha indicato altri motivi da quelli richiamati sopra, che non abbiamo

considerato opportuno specificare perché troppo correlati alla situazione economico-finanziaria

attuale di quelle stesse imprese.

115

Grafico 21.1. Motivazioni all’utilizzo in azienda di lavoratori atipici per il campione di imprese del settore agro-

alimentare.

contenimento

costo personale

8,1%

flessibilità

esterna

45,9%

indisponibilità

stesse figure a

TIND

5,4%

altri motivi

10,8%flessibilità interna

13,5%inserimento con

maggiore periodo

di prova

16,2%

Grafico 21.2. Motivazioni all’utilizzo in azienda di lavoratori atipici per il campione di imprese del settore

metalmeccanico.

inserimento con

maggiore periodo

di prova

17,3%

contenimento

costo personale

20,4%

altri motivi

13,3%

flessibilità interna

13,3%

indisponibilità

stesse figure a

TIND

10,2%

flessibilità

esterna

25,5%

116

Rispetto al settore agro-alimentare, la motivazione all’utilizzo in azienda di lavoratori atipici da

parte delle imprese metalmeccaniche della provincia di Cremona è più uniformemente distribuita tra

le diverse risposte. Infatti, se la flessibilità esterna resta l’opzione preferita – ma con una

percentuale molto più bassa rispetto a quanto indicato dalle imprese agro-alimentari, cioè il 25,5% –

, anche il contenimento del costo del personale, indicato dal 20,4% delle imprese metalmeccaniche,

diviene un’opzione di risposta rilevante. Ancora, l’inserimento con un maggiore periodo di prova è

la terza delle risposte maggiormente indicate (17,3%), mentre la flessibilità interna tra le ultime, con

il 13,3%.

Un altro aspetto che si è voluto valutare con il questionario sui lavoratori atipici è rappresentato

dalle intenzioni delle imprese in merito alla possibilità o meno di procedere, in futuro, a trasformare

tali rapporti di lavoro in contratti di lavoro a tempo indeterminato o contratti di lavoro full time (per

i part time, ovviamente).

A tale riguardo, emerge la volontà di procedere alla trasformazione di cui sopra per le imprese agro-

alimentari, visto che le aziende che hanno risposto sì (68,4%) superano abbondantemente quante si

sono dichiarate contrarie (31,6%). Si aggiunga che quelle che si sono espresse affermativamente

hanno indicato principalmente la possibilità di trasformare i contratti a termine in a tempo

indeterminato. Non sono poche, comunque, le imprese che si sono dichiarate possibiliste sul fatto di

trasformare il contratto di tutti i lavoratori atipici.

Tabella 21.2. Imprese del campione del settore agro-alimentare e possibilità che queste trasformino i contratti di

lavoro atipici in a tempo indeterminato o full time. Valori assoluti e valori percentuali.

SETTORE AGRO-ALIMENTARE

valore assoluto % sul totale

sì, i ctd in indeterminato 7 36,8%

sì, i part time in full time 1 5,3%

sì, per tutte le tipologie 5 26,3%

si' 13 68,4%

no 6 31,6%

TOTALE IMPRESE RISPONDENTI 19 100,0%

Anche per il settore metalmeccanico emerge in prevalenza la volontà di procedere, in futuro, alla

trasformazione dei contratti di lavoro atipico in rapporti a tempo indeterminato o full time, anche se

il valore percentuale sul totale è inferiore rispetto al corrispondente valore di cui si è detto per

l’agro-alimentare (61,2% contro 68,4%). È rilevante notare come, però, ben 20 imprese su 49

(40,8%) si siano espresse a favore della trasformazione di tutte le tipologie contrattuali atipiche da

117

loro utilizzate. In questo caso il valore è superiore rispetto al corrispondente relativo al settore agro-

alimentare (26,3%).

Tabella 21.3. Imprese del campione del settore metalmeccanico e possibilità che queste trasformino i contratti di

lavoro atipici in a tempo indeterminato o full time. Valori assoluti e valori percentuali.

SETTORE METALMECCANICO

valore assoluto % sul totale

sì, i co.co.co. in part-time 1 2,0%

sì, i ctd in indeterminato 8 16,3%

sì, i part time in full time 1 2,0%

sì, per tutte le tipologie 20 40,8%

si' 30 61,2%

no 19 38,8%

TOTALE IMPRESE RISPONDENTI 49 100,0%

L’ultimo quesito proposto nel questionario ha interessato la volontà delle imprese, che avessero o

meno allo stato attuale lavoratori inseriti con contratti di lavoro atipico, da qui ai prossimi dodici

mesi di ricorrere a queste figure contrattuali. A tale proposito, le imprese di entrambi i settori hanno

risposto in prevalenza in maniera affermativa, con percentuali sul totale pari a 66,7% per l’agro-

alimentare e 72,7% per il metalmeccanico. In particolare, per il settore agro-alimentare si rileva che

la risposta non solo è prevalentemente affermativa, ma pressoché quasi unicamente in favore di un

incremento di lavoratori atipici rispetto al numero attuale nei prossimi 12 mesi.

Tabella 21.4. Imprese del campione del settore agro-alimentare e possibilità che queste si avvalgano di

lavoratori atipici in futuro. Valori assoluti e valori percentuali.

SETTORE AGRO-ALIMENTARE

valore assoluto % sul totale

sì, incrementandone il numero 14 58,3%

sì, mantenendone il numero 1 4,2%

sì, riducendone il numero 1 4,2%

si' 16 66,7%

no 8 33,3%

TOTALE IMPRESE 24 100,0%

Per il settore metalmeccanico questa prevalenza è meno marcata, ed infatti il 18,2% del totale delle

imprese si è espresso per un sì vincolato al mantenimento dello stesso numero di lavoratori atipici.

Assai modesto, invece, il numero di imprese che si propone per il futuro di ridurre il ricorso alle

figure contrattuali atipiche (4,5%).

118

Tabella 21.5. Imprese del campione del settore metalmeccanico e possibilità che queste si avvalgano di lavoratori

atipici in futuro. Valori assoluti e valori percentuali.

SETTORE METALMECCANICO

valore assoluto % sul totale

sì, incrementandone il numero 33 50,0%

sì, mantenendone il numero 12 18,2%

sì, riducendone il numero 3 4,5%

si’ 48 72,7%

no 18 27,3%

TOTALE IMPRESE 66 100,0%

119

1.16 L’importanza dei lavoratori atipici nell’organico degli Enti Pubblici e

delle Aziende Speciali. Le caratteristiche degli atipici e le

considerazioni degli Enti

1.16.1 I lavoratori atipici

Diciannove sono gli Enti Pubblici territoriali e le Aziende Speciali della provincia di Cremona cui è

stato sottoposto il questionario sui lavoratori atipici. In termini di addetti impiegati da questi, il

numero complessivo si attesta a 6.359 unità, di cui 1.343 lavoratori atipici, pari al 21,1% del totale

addetti. Rispetto alle imprese dei settori agro-alimentare e metalmeccanico, quindi, il peso degli

atipici sul totale addetti degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali è superiore. Per agro-alimentare e

metalmeccanico, infatti, tale valore percentuale non raggiunge il 15% (tabella 22.1).

Tabella 22.1. Lavoratori atipici, non atipici e totale addetti degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali, al mese di

luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI

valore assoluto valore percentuale

lavoratori atipici 1343 21,1%

lavoratori non atipici 5016 78,9%

totale addetti 6359 100,0%

Diverso è il tipo di contratto di lavoro che riguarda i 1.343 lavoratori atipici impiegati nel settore

pubblico locale. In proposito, gli istituti contrattuali maggiormente utilizzati dall’Ente o Azienda

Speciale locale sono rappresentati dal tempo indeterminato part time (36,1% del totale lavoratori

atipici), dalla collaborazione coordinata continuativa (20,1%) e dal tempo determinato, sia full time

(11,2%) sia part time (5,3%). Basso è invece il ricorso all’apprendistato (0,1%), al lavoro interinale

(1,3%) ed al contratto di formazione e lavoro (2,1%).

Inoltre, per un 15,2% del totale degli atipici, è stata data una risposta diversa da quelle proposte nel

questionario. In particolare, nella risposta “altro” rientrano i liberi professionisti – che alcuni Enti

hanno voluto tenere distinti dai collaboratori occasionali – ed i lavoratori socialmente utili (L.S.U.).

120

Tabella 22.2. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per tipologia di

contratto di lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI

valore assoluto valore percentuale

part time 485 36,1%

a termine 150 11,2%

a termine part time 71 5,3%

CFL 28 2,1%

apprendistato 2 0,1%

co.co.co. 270 20,1%

collaborazione occasionale 81 6,0%

interinale 18 1,3%

tirocinio formativo 34 2,5%

altro 204 15,2%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%

Disaggregando l’insieme degli atipici impiegati nel settore pubblico locale per titolo di studio del

lavoratore, ne discende un buon livello di scolarizzazione dei lavoratori stessi, diversamente da

quanto si era rilevato con il questionario rivolto alle imprese private (dei settori agro-alimentare e

metalmeccanico). In particolare, solo il 9,4% degli atipici possiede un titolo di studio uguale o

inferiore alla licenza media, mentre il restante 90,6% è in possesso almeno di un diploma o della

maturità (tabella 22.3).

Si aggiunga che il 41,4% degli stessi atipici è laureato. Non sembra superfluo ricordare come tale

percentuale, per i lavoratori dei settori agro-alimentare e metalmeccanico fosse nell’ordine del 5%

circa.

Tabella 22.3. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per titolo di studio, al

mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI

valore assoluto valore percentuale

nessun titolo di studio 4 0,3%

licenza media 122 9,1%

diploma 193 14,4%

maturità 468 34,8%

laurea 556 41,4%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%

Per classi d’età, si osserva come i lavoratori atipici del settore pubblico locale si distribuiscano

equamente tra minori o uguali di 35 anni e maggiori di 35 anni. In particolare, pochi (l’11.4% del

totale) sono coloro con un’età inferiore ai 25 anni.

121

Infine, considerando la tipologia di lavoro prestata nell’Ente o Azienda Speciale, ne emerge un

quadro in linea con quanto in precedenza rilevato per il titolo di studio. In altre parole, ad un’elevata

scolarizzazione dei lavoratori atipici ne corrisponde soprattutto un impiego per lavori di tipo tecnico

(36,9% del totale) e di concetto (50,6%), non per i lavori manuali (12,5%) (tabella 22.5).

Tabella 22.4. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per classe d’età, al

mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI

valore assoluto valore percentuale

fino a 25 anni 153 11,4%

25-35 anni 528 39,3%

oltre 35 anni 662 49,3%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%

Tabella 22.5. Disaggregazione dei lavoratori atipici degli Enti Pubblici ed Aziende Speciali per tipologia di

lavoro, al mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI

valore assoluto valore percentuale

lavori di tipo manuale 168 12,5%

lavori di tipo tecnico 496 36,9%

lavori di concetto 679 50,6%

TOTALE LAVORATORI ATIPICI 1343 100,0%

122

1.16.2 Motivazioni all’utilizzo, trasformazioni di contratti di lavoro ed eventualità che

anche in futuro gli Enti si avvalgano di lavoratori atipici

Il primo aspetto che occorre evidenziare in questa parte è relativo al fatto che tutti e diciannove gli

Enti Pubblici e le Aziende Speciali monitorati dal questionario impiegano, al mese di luglio 2003,

almeno un lavoratore atipico. Per le imprese private dei settori agro-alimentare e metalmeccanico,

invece, una parte di esse, seppure minoritaria, aveva dichiarato di non averne nel proprio organico,

sempre alla stessa data.

Tabella 22.6. Enti Pubblici ed Aziende Speciali con lavoratori atipici, senza lavoratori atipici ed in totale, al

mese di luglio 2003. Valori assoluti e valori percentuali.

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE

SPECIALI

valore assoluto valore percentuale

Enti con lavoratori atipici 19 100,0%

Enti senza lavoratori atipici 0 0,0%

TOTALE ENTI PUBBLICI E AZIENDE SPECIALI 19 100,0%

Cerchiamo di capire quali sono state le principali motivazioni addotte dagli Enti per giustificare

l’utilizzo dei lavoratori atipici (grafico 22.1). È emerso che si ricorre all’atipico soprattutto per

motivi di flessibilità, sia interna (39,5%) sia esterna (26,3%). In altre parole, coi lavoratori atipici

sia si acquisisce il risultato senza gravare sulla struttura organizzativa dell’Ente o impresa, sia si

riesce ad adeguare il proprio organico nel tempo in modo da adeguarlo più rapidamente alla

domanda di propri prodotti o servizi. Per il settore pubblico locale, invece, sono ritenute

motivazioni meno importanti l’indisponibilità di queste figure a tempo indeterminato ed il

contenimento del costo del personale. Infine, tra gli altri motivi è stato indicato il fatto che

l’inserimento di lavoratori atipici può dipendere da esigenze temporanee e contingenti.

123

Grafico 22.1. Motivazioni all’utilizzo nell’Ente od in Azienda dei lavoratori atipici.

contenimento del

costo del personale

10,5%

altri motivi

10,5%

indisponibilità di

queste figure a TIND

13,2%flessibilità esterna

26,3%

flessibilità interna

39,5%

Un secondo aspetto rilevato dal questionario è rappresentato dalla possibilità che in futuro gli Enti

Pubblici e le Aziende Speciali trasformino i contratti di lavoro atipici in altra tipologia contrattuale

(sia tipica sia atipica) (grafico 22.2). In particolare, nel questionario è stata fornita un’ampia griglia

di possibili trasformazioni di contratto di lavoro cui gli Enti hanno risposto in maniera più che altro

negativa. Infatti, i due terzi circa degli Enti interpellati si sono espressi per il “no”, evidenziando

che non rientra tra le volontà dell’Ente stesso quello di modificare o prolungare i contratti di lavoro

in essere. Per chi si è espresso affermativamente, invece, l’opzione maggiormente scelta è stata

quella della trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato

(full time).

124

Grafico 22.2. Enti Pubblici ed Aziende Speciali e possibilità che questi trasformino i contratti di lavoro atipici in

altra tipologia contrattuale (sia tipica sia atipica).

CO.CO.CO. in

indeterminato full time

5,3%

CFL in indeterminato full

time

5,3%

determinato part time in

determinato full time

5,3%

determinato full time in

indeterminato full time

13,2%

CFL in indeterminato part

time

2,6%

no

68,4%

L’ultimo quesito proposto nel questionario ha interessato ancora la volontà delle imprese, da qui ai

prossimi dodici mesi, di ricorrere – ed in che misura – a queste figure contrattuali. A tale proposito,

in linea con il settore privato (agro-alimentare metalmeccanico), anche il settore pubblico locale si è

espresso in termini affermativi. Dei diciannove Enti ed Aziende monitorati, infatti, sedici – pari

all’84,2% del totale – si sono espressi in maniera affermativa. In particolare, però, se dieci Enti

ritengono che in futuro manterranno costante od incrementeranno il numero di atipici in organico,

ce ne sono altri sei che ritengono che tale numero sarà nel tempo ridotto. Infine, è rilevante notare

come nessuno si sia espresso in termini negativi, prediligendo al massimo il non rispondere.

Tabella 22.7. Imprese del campione del settore agro-alimentare e possibilità che queste si avvalgano di

lavoratori atipici in futuro. Valori assoluti e valori percentuali.

ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI

valore assoluto % sul totale

sì, incrementandone il numero 8 42,1%

sì, mantenendone il numero 2 10,5%

sì, riducendone il numero 6 31,6%

sì 16 84,2%

non risponde 3 15,8%

TOTALE ENTI 19 100,0%

125

1.17 Conclusioni

Dopo aver inquadrato a livello giuridico la disciplina del lavoro non standard, proponendo una

descrizione delle forme di lavoro subordinato e parasubordinato previste dalla nostra legislazione, ci

siamo spostati ad analizzare le caratteristiche del lavoro atipico in provincia di Cremona, con

particolare attenzione al lavoro parasubordinato (rappresentato prevalentemente dalle collaborazioni

coordinate e continuative), all’occupazione a tempo parziale e all’occupazione a tempo

determinato.

La scelta di approfondire queste tipologie contrattuali atipiche ha risposto all’esigenza di indagare

nel maggior dettaglio possibile le trasformazioni che coinvolgono il mercato del lavoro cremonese,

nell’ipotesi che tutte le tipologie di lavoro diverse dal lavoro standard (a tempo pieno e a tempo

indeterminato) assolvano funzioni specifiche nella ricerca di flessibilità sia da parte delle imprese

sia da parte dei lavoratori, e che, quindi, vadano indagate in maniera distinta.

I dati INPS sulla gestione separata, aggiornati al 31 dicembre 2002, ci hanno permesso di osservare

che, in provincia di Cremona, i lavoratori parasubordinati sono 15.367, pari al 3,0% dei

parasubordinati in Lombardia, con una tasso di crescita del 130%, rispetto al 1996. La tipologia di

iscrizione prevalente è la collaborazione coordinata e continuativa (il 90,3% degli iscritti alla

gestione separata INPS). I lavoratori parasubordinati, a livello provinciale, sono prevalentemente di

sesso maschile (il 55,6%); tuttavia, nel tempo si è verificata una crescente femminilizzazione del

lavoro parasubordinato (+ 173% contro + 104% del dato maschile nel periodo 1996-2002), grazie

soprattutto all’incremento delle collaboratrici/professioniste e delle collaboratrici coordinate e

continuative. Le donne parasubordinate si concentrano soprattutto al di sotto dei 40 anni (63,1%),

implicando quindi che difficilmente il ricorso a queste forme di lavoro atipico rappresenta per le

donne un percorso professionale qualificato ma spesso una scelta obbligata per inserirsi o reinserirsi

nel mercato del lavoro. Mentre gli uomini lavorano con queste modalità contrattuali anche oltre i 50

anni (il 38,1% del totale), ossia il lavoro parasubordinato costituisce per questi ultimi o una

modalità di lavoro alternativa rispetto al lavoro sia autonomo sia dipendente o un possibile

strumento di integrazione economica alla pensione oppure un’opportunità per poter proseguire la

propria attività lavorativa.

I dati ISTAT sulle forze di lavoro, relativi al 2002, ci hanno consentito di analizzare le principali

caratteristiche degli individui della provincia di Cremona che dichiarano di avere un’occupazione a

tempo parziale. Emerge che le donne rappresentano l’82,1% degli occupati a tempo parziale in

provincia di Cremona. Il part-time, dunque, è scelto principalmente dalle donne, ma in alcuni casi

da uomini giovani che cercano di conciliare il lavoro con lo studio: il 16,1% del lavoro part-time

126

maschile si concentra, infatti, nella classe d’età 20-24 anni (il lavoro a tempo parziale può, quindi,

essere utilizzato dagli uomini come forma di primo ingresso sul mercato del lavoro). Nel caso delle

donne, invece, il lavoro part-time si concentra essenzialmente nelle classi d’età centrali, a prova del

fatto che le donne scelgono questa forma di impiego, in particolar modo, quando devono conciliare

il lavoro con gli impegni familiari. Ad ulteriore conferma di ciò, le donne che lavorano a tempo

parziale sono prevalentemente coniugate (il 78,8%). Per quanto riguarda il titolo di studio,

sembrerebbe che le donne che lavorano part-time siano mediamente più istruite di quelle che

lavorano full-time. Tuttavia, prendendo in considerazione i livelli di istruzione più elevati, si

osserva che le laureate rappresentano l’8,6% ed il 13,7% rispettivamente delle lavoratrici a tempo

parziale e delle lavoratrici a tempo pieno. Nel caso degli uomini, invece, sembra emergere in

maniera più marcata che quelli che lavorano part-time sono mediamente più istruiti di coloro che

lavorano a tempo pieno. Relativamente alla posizione nella professione, le donne, sia che lavorino

full-time sia part-time, sono prevalentemente “impiegate”. Nel caso degli uomini, invece, si osserva

che la percentuale di operai tra coloro che lavorano part-time è marcatamente inferiore a quella che

si riscontra per i lavoratori full-time (il 17,8% contro il 40,2%). Infine, relativamente al settore di

attività economica, si evidenzia che le donne occupate a tempo parziale lavorano soprattutto nel

commercio (21,6%), mentre quelle occupate a tempo pieno lavorano principalmente nell’industria

della trasformazione (27,8%). Gli uomini che lavorano part-time, invece, lavorano innanzitutto

nell’istruzione, sanità ed altri servizi sociali (25,5%), mentre quelli che lavorano full-time sono

maggiormente presenti nell’industria della trasformazione (35,7%). La quota di part-time

involontario nel caso delle donne non è particolarmente rilevante (il 19,5%): oltre i due terzi delle

donne che lavorano part-time, infatti, scelgono questa forma di impiego volontariamente, allo scopo

di conciliare l’attività lavorativa con la propria vita familiare, confermando che il lavoro a tempo

parziale rappresenta per esse una valida e duratura alternativa al lavoro a tempo pieno. Per quanto

riguarda gli uomini (giovani), invece, il lavoro part-time rappresenta soprattutto uno strumento per

conciliare l’attività lavorativa con gli impegni di studio.

I dati della Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro, relativi al 2002, ci hanno anche permesso

di analizzare le principali caratteristiche degli individui della provincia di Cremona che dichiarano

di avere un’occupazione dipendente a tempo determinato, confrontandole con quelle di coloro che,

invece, lavorano alle dipendenze a tempo indeterminato. Le donne che lavorano a tempo

determinato rappresentano il 62,9% di tutti coloro che sono occupati con questa tipologia

contrattuale in provincia di Cremona. Il lavoro a tempo determinato, nel caso gli uomini,

caratterizza le fasi di ingresso della carriera lavorativa: il 63,5% degli uomini che lavorano a tempo

determinato ha, infatti, tra i 15 ed i 29 anni. Nel caso delle donne, invece, confrontando la

127

percentuale di occupati a tempo determinato sul totale degli occupati alle dipendenze con i tassi di

partecipazione per classi di età, emerge che, al crescere dell’età, la partecipazione al mercato del

lavoro aumenta al crescere dell’incidenza delle lavoratrici a tempo determinato sul totale delle

occupate alle dipendenze tendenzialmente fino ai 30-34 anni; nelle fasce di età successive, la

partecipazione al mercato del lavoro delle donne al mercato del lavoro diminuisce a fronte di una

riduzione dell’incidenza del lavoro a tempo determinato, ovvero la forbice tra tassi di

partecipazione e percentuale di lavoratrici a tempo determinato si riduce. Le donne, quindi, oltre a

lavorare a tempo indeterminato (magari part-time), o lavorano con contratti di lavoro a tempo

determinato o non partecipano al mercato del lavoro; il fatto che la partecipazione femminile

diminuisca al diminuire dell’incidenza del lavoro a tempo determinato induce quindi a considerare

l’ipotesi che molte donne, allorché non possono più lavorare nemmeno con tale tipologia

contrattuale, siano indotte a ritirarsi dal mercato del lavoro. Da questa considerazione, si possono

trarre alcune indicazioni di policy, ovvero la flessibilità (intesa come contratto di lavoro a tempo

determinato) può essere uno strumento per garantire una più elevata partecipazione femminile al

mercato del lavoro. Per quanto riguarda lo stato civile dei lavoratori a tempo determinato, nel 2002,

in provincia di Cremona, mentre la maggior parte degli uomini che lavora a tempo determinato è

celibe, le donne occupate con questa tipologia contrattuale sono più o meno equamente distribuite

tra coniugate e nubili. Relativamente al titolo di studio, le donne che lavorano a tempo determinato

sono mediamente meno istruite di quelle occupate a tempo indeterminato; nel caso degli uomini,

invece, emerge in maniera evidente che i lavoratori a tempo determinato sono in media più istruiti

di quelli che lavorano a tempo indeterminato. Le donne, sia che lavorino a tempo determinato o a

tempo indeterminato, lavorano quasi esclusivamente come impiegate o come operaie, anche se in

media tra le lavoratrici a tempo a tempo indeterminato ci sono, in termini percentuali, più impiegate

e meno operaie rispetto alle lavoratrici a tempo determinato, probabilmente a causa del fatto che le

seconde sono mediamente meno istruite delle prime. Per quanto riguarda gli uomini, i lavoratori a

tempo determinato ricoprono mediamente posizioni professionali più elevate di quelle dei lavoratori

a tempo indeterminato. Anche, nel caso degli uomini, la struttura per posizione professionale dei

lavoratori sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato sembra riflettere quella che è la

distribuzione per titolo di studio degli occupati con queste due tipologie contrattuali. Infine, per

quanto riguarda il settore di attività economica, si osserva che gli occupati a tempo determinato

lavorano principalmente nell’industria della trasformazione, sia nel caso delle donne (25,2%) sia nel

caso degli uomini (26,5%), mentre gli uomini e le donne che lavorano a tempo indeterminato sono

occupati soprattutto rispettivamente nell’industria della trasformazione (44,3%) e nell’istruzione,

sanità ed altri servizi sociali (30,9%). L’occupazione a tempo determinato, in provincia di Cremona,

128

per gli uomini appare, nel complesso, più legata ad una fase di ingresso nel mondo del lavoro (il

54,8% degli occupati con un contratto temporaneo o è assunto con un contratto a causa mista o è in

prova contro il 46,4% delle donne), mentre per le donne appare più spesso una condizione subita

(32,9% sono le occupate a tempo determinato involontarie contro il 20,6% degli uomini).

L’involontarietà del lavoro a termine (non ha potuto trovare un lavoro permanente), per le donne,

crescere al crescere dell’età delle lavoratrici temporanee, mentre per gli uomini si rileva un

andamento meno lineare.

La probabilità di essere occupati alle dipendenze con un contratto a tempo determinato, piuttosto

che a tempo indeterminato, in provincia di Cremona, è stata stimata con un modello probit. In

questo modello econometrico la variabile dipendente è una variabile discreta che assume valore 1

nel caso l’individuo sia occupato alle dipendenze a tempo determinato e valore 0 nel caso sia

occupato alle dipendenze a tempo indeterminato. Le variabili esplicative utilizzate sono il sesso,

l’età (e l’età al quadrato), la posizione nella famiglia, lo stato civile ed il titolo di studio. I risultati

principali mostrano che tale probabilità, a parità delle altre caratteristiche, si riduce meno che

proporzionalmente al crescere dell’età, aumenta se si è donne piuttosto che uomini, cresce se,

all’interno del nucleo famigliare, si ricoprono le posizioni di figlio o di altro parente rispetto a

quella di capofamiglia.

Nell’ultima parte ci siamo occupati della rilevazione diretta alle imprese dei due settori economici

principali in provincia di Cremona, il settore agro-alimentare e il settore metalmeccanico, e al

Settore Pubblico (Enti Pubblici ed Aziende Speciali), con lo scopo di individuare:

- la presenza di tipologie contrattuali atipiche all’interno dei due Settori (Privato e Pubblico);

- le motivazioni che spingono questi soggetti ad utilizzare queste tipologie contrattuali e

l’utilizzo futuro dei contratti di lavoro atipico.

Per quel che riguarda la rilevazione condotta presso le imprese emerge che la percentuale di

lavoratori atipici sul totale degli addetti è pari al 14,9% nel settore agro-alimentare e al 12,1% nel

settore metalmeccanico.

Nel caso dell’agro-alimentare le forme contrattuali più utilizzate sono il contratto a tempo

determinato (28% del totale dei lavoratori atipici), l’interinale (27,2%) ed il part time (19,1%); nel

caso invece del settore metalmeccanico le imprese ricorrono soprattutto al tempo determinato

(32,8%), all’apprendistato (18,6%) ed al part time (15,7%).

Per entrambi i settori di attività economica i lavoratori atipici sono a bassa scolarità, nel caso del

settore agro-alimentare il 78% degli atipici si concentra nella fascia più bassa di scolarità, pochi

sono i lavoratori diplomati o che hanno conseguito la maturità (16,2%) ed ancora meno quelli

129

laureati (5,7%). Per il settore metalmeccanico, più bassa è la percentuale di coloro che hanno al

massimo la licenza media (62%), mentre molti di più sono coloro che sono diplomati od hanno

conseguito la maturità (34%), molto modesta è in questo caso la percentuale di laureati (4%).

Per quanto concerne l’età di questi lavoratori, l’esame dei dati evidenzia come più giovane sia la

struttura di età di coloro impiegati nelle imprese del settore metalmeccanico rispetto all’agro-

alimentare, per entrambi i settori economici oltre il 60% degli atipici viene impiegato in azienda per

lavori di tipo manuale.

La motivazione che spinge le imprese del settore agro-alimentare ad avvalersi di queste tipologie di

lavoratori è rappresentata dalla flessibilità esterna (maggiore flessibilità della manodopera nel

tempo in modo da adeguarla più rapidamente alla domanda di propri prodotti).

Nel caso del settore metalmeccanico se la flessibilità esterna resta l’opzione preferita, anche il

contenimento del costo del personale diviene un’opzione di risposta rilevante.

Il 68,4% delle imprese agro-alimentari e il 61,2% delle imprese metalmeccaniche hanno risposto di

voler trasformare i contratti di lavoro atipico in altre tipologie contrattuali.

Il 66,7% delle imprese del settore agro-alimentare e il 72,7% delle imprese del settore

metalmeccanico hanno intenzione di avvalersi di queste tipologie contrattuali in futuro.

Nel caso degli Enti Pubblici e delle Aziende Speciali la situazione sulle tipologie contrattuali

atipiche presenta delle differenze rispetto alle imprese.

Innanzitutto, il peso di queste forme contrattuali sul totale degli addetti è più marcato rispetto alle

imprese ed è pari al 21,1%.

Le tipologie contrattuali maggiormente utilizzate sono i contratti a tempo indeterminato part time

(36,1% del totale dei lavoratori atipici), i Co.Co.Co. (20,1%), il tempo determinato, sia full time

(11,2%) sia part time (5,3%). Il 15,2% del totale degli atipici è inoltre costituito da liberi

professionisti e da lavoratori socialmente utili.

A differenza dei lavoratori appartenenti alle imprese, quelli facenti parte degli Enti Pubblici e delle

Aziende Speciali presentano un buon livello di scolarizzazione: il 90,6% dei lavoratori è in possesso

almeno di un diploma o della maturità, mentre il 41,4% degli stessi atipici è laureato.

Per classi d’età, si osserva come i lavoratori atipici del settore pubblico si distribuiscono equamente

tra i minori uguali di 35 anni e maggiori di 35.

Ad un’elevata scolarizzazione dei lavoratori atipici ne corrisponde soprattutto un impiego per lavori

di tipo tecnico (36,9% del totale) e di concetto (12,5%).

Il ricorso al lavoro atipico da parte di Enti Pubblici ed Aziende Speciali avviene soprattutto per

motivi di flessibilità, sia interna (39,55) sia esterna (26,3%).

130

I due terzi degli Enti e delle Aziende Speciali interpellati, infine, hanno risposto negativamente alla

volontà di modificare o prolungare i contratti di lavoro in essere. Per chi si è espresso

affermativamente, invece, l’opzione maggiormente scelta è stata quella della trasformazione del

contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato (full time).

131

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132

APPENDICE A

133

Tabella A1 _ Lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Italia (31 dicembre 2002)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 501,719 354,544 856,263 76,002 30,411 106,413 7,055 4,356 11,411 584,776 389,311 974,087

1997 627,188 506,895 1,134,083 89,808 36,740 126,548 10,017 6,092 16,109 727,013 549,727 1,276,740

1998 739,116 622,492 1,361,608 100,469 43,188 143,657 16,221 9,343 25,564 855,806 675,023 1,530,829

1999 834,803 719,626 1,554,429 109,372 49,561 158,933 20,702 11,801 32,503 964,877 780,988 1,745,865

2000 897,964 792,630 1,690,594 115,461 54,130 169,591 23,634 13,529 37,163 1,037,059 860,289 1,897,348

2001 993,941 896,679 1,890,620 120,971 57,513 178,484 28,026 16,350 44,376 1,142,938 970,542 2,113,480

2002 1,128,226 1,024,161 2,152,387 127,322 61,852 189,174 32,194 18,772 50,966 1,287,742 1,104,785 2,392,527

Fonte: dati INPS

Tabella A2 _ Lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Lombardia (31 dicembre 2002)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 130,240 85,014 215,254 17,433 7,408 24,841 1,700 924 2,624 149,373 93,346 242,719

1997 155,355 113,244 268,599 19,910 8,661 28,571 2,341 1,265 3,606 177,606 123,170 300,776

1998 178,775 137,341 316,116 21,981 9,871 31,852 3,837 2,057 5,894 204,593 149,269 353,862

1999 199,055 157,949 357,004 23,891 11,108 34,999 5,101 2,738 7,839 228,047 171,795 399,842

2000 211,246 171,692 382,938 25,016 11,736 36,752 5,725 3,126 8,851 241,987 186,554 428,541

2001 229,405 189,364 418,769 26,203 12,463 38,666 6,674 3,716 10,390 262,282 205,543 467,825

2002 253,725 212,777 466,502 27,486 13,414 40,900 7,739 4,257 11,996 288,950 230,448 519,398 Fonte: dati INPS

Tabella A3 _ Lavoratori parasubordinati per sesso e per tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Provincia di Cremona (31 dicembre 2002)

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Anno Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

1996 3,595 2,295 5,890 508 165 673 70 36 106 4,173 2,496 6,669

1997 4,275 3,165 7,440 581 219 800 77 34 111 4,933 3,418 8,351

1998 4,983 3,907 8,890 655 252 907 120 54 174 5,758 4,213 9,971

1999 5,609 4,425 10,034 701 264 965 143 69 212 6,453 4,758 11,211

2000 6,083 4,915 10,998 743 296 1,039 167 74 241 6,993 5,285 12,278

2001 6,790 5,573 12,363 773 330 1,103 187 91 278 7,750 5,994 13,744

2002 7,526 6,349 13,875 802 369 1,171 215 106 321 8,543 6,824 15,367 Fonte: dati INPS

134

Tabella A4 _ Lavoratori parasubordinati per classi d’età, sesso e tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Italia, Lombardia e provincia di Cremona (31 dicembre 2002)

Cremona

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

<20 48 57 105 0 2 2 0 0 0 48 59 107

20-24 319 665 984 13 11 24 9 2 11 341 678 1,019

25-29 793 1,326 2,119 73 57 130 20 13 33 886 1,396 2,282

30-39 1,853 1,979 3,832 253 138 391 70 53 123 2,176 2,170 4,346

40-49 1,571 1,215 2,786 212 101 313 52 24 76 1,835 1,340 3,175

50-59 1,644 776 2,420 171 46 217 41 6 47 1,856 828 2,684

>60 1,298 331 1,629 80 14 94 23 8 31 1,401 353 1,754

Totale 7,526 6,349 13,875 802 369 1,171 215 106 321 8,543 6,824 15,367

Lombardia

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

<20 986 1,138 2,124 11 10 21 1 0 1 998 1,148 2,146

20-24 10,874 17,008 27,882 496 265 761 112 54 166 11,482 17,327 28,809

25-29 28,591 40,476 69,067 2,357 1,500 3,857 762 573 1,335 31,710 42,549 74,259

30-39 67,648 69,156 136,804 8,574 5,371 13,945 2,724 1,964 4,688 78,946 76,491 155,437

40-49 52,203 40,138 92,341 6,932 3,466 10,398 1,875 925 2,800 61,010 44,529 105,539

50-59 49,679 29,677 79,356 5,210 2,010 7,220 1,397 558 1,955 56,286 32,245 88,531

>60 43,744 15,184 58,928 3,906 792 4,698 868 183 1,051 48,518 16,159 64,677

Totale 253,725 212,777 466,502 27,486 13,414 40,900 7,739 4,257 11,996 288,950 230,448 519,398 Fonte: dati INPS

135

Tabella A4 (continua). Lavoratori parasubordinati per classi d’età, sesso e tipologia di iscrizione (Valori assoluti). Italia, Lombardia e provincia di Cremona (31

dicembre 2002)

Italia

Collaboratori Professionisti Collaboratori/Professionisti Totale Iscritti

Classe di età Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale

<20 4,390 4,896 9,286 57 40 97 3 1 4 4,450 4,937 9,387

20-24 48,982 84,334 133,316 2444 1640 4,084 411 386 797 51,837 86,360 138,197

25-29 133,454 199,345 332,799 11320 8511 19,831 2925 2793 5,718 147,699 210,649 358,348

30-39 318,856 361,588 680,444 41187 26396 67,583 11926 8923 20,849 371,969 396,907 768,876

40-49 242,399 199,436 441,835 33691 15347 49,038 8157 4025 12,182 284,247 218,808 503,055

50-59 209,871 118,383 328,254 24281 7313 31,594 5625 1974 7,599 239,777 127,670 367,447

>60 170,274 56,179 226,453 14342 2605 16,947 3147 670 3,817 187,763 59,454 247,217

Totale 1,128,226 1,024,161 2,152,387 127,322 61,852 189,174 32,194 18,772 50,966 1,287,742 1,104,785 2,392,527

Fonte: dati INPS

136

Tabella A5 _ Occupati part-time, full-time e totali n Italia, Lombardia e provincia di Cremona per sesso (Anno

2002)

Tempo pieno Tempo parziale Totale

Uomini

Cremona 86,951 2,114 89,065

Lombardia 2,331,399 67,478 2,398,877

Italia 13,118,565 474,543 13,593,108

Donne

Cremona 47,741 9,715 57,456

Lombardia 1,317,120 307,012 1,624,132

Italia 6,840,314 1,395,854 8,236,168

Totale

Cremona 134,692 11,829 146,521

Lombardia 3,648,519 374,490 4,023,009

Italia 19,958,879 1,870,397 21,829,276

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A6 _ Variazione assoluta [2002- 2000] dell’occupazione complessiva, dell’occupazione part-time e

dell’occupazione full-time per sesso. Italia, Lombardia e provincia di Cremona

Variazione assoluta 2002-2000

Tempo pieno Tempo parziale Totale

Uomini

Cremona 23,618 673 24,291

Lombardia 616,705 12,465 629,170

Italia 299,399 -22,251 277,148

Donne

Cremona 17,059 2,405 19,465

Lombardia 371,005 95,499 466,504

Italia 358,349 114,003 472,352

Totale

Cremona 40,677 3,078 43,755

Lombardia 987,710 107,964 1,095,674

Italia 657,748 91,752 749,500

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

137

Tabella A7 _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di Cremona. Anno

2002 (Valori assoluti)

Tempo pieno Tempo parziale

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Età

15/19 anni 1,530 74 1,604 69 63 132

20/24 anni 5,143 3,834 8,978 339 430 769

25/29 anni 10,842 9,058 19,900 189 875 1,064

30/34 anni 14,463 7,813 22,276 291 2,186 2,476

35/39 anni 13,877 7,657 21,534 184 2,578 2,763

40/44 anni 13,733 7,231 20,963 0 1,839 1,839

45/49 anni 10,207 5,117 15,324 192 1,001 1,193

50/54 anni 9,455 4,427 13,882 59 398 456

55/59 anni 4,196 1,336 5,532 0 305 305

60/64 anni 2,133 724 2,857 435 0 435

65 e oltre 1,371 471 1,842 356 41 397

Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829

Stato Civile

Celibe/Nubile 33,089 17,303 50,391 1,044 1,404 2,448

Coniugato/a 51,386 27,322 78,707 1,070 7,653 8,723

Separato/a di fatto 568 216 784 0 0 0

Separato/a legalmente 1,367 1,209 2,576 0 309 309

Divorziato/a 355 918 1,273 0 252 252

Vedovo/a 186 774 960 0 97 97

Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829

Titolo di studio

Dottorato di ricerca o Specializzazione Post-laurea 504 0 504 0 0 0

Laurea 5,818 6,544 12,362 320 840 1,160

Diploma universitario o laurea breve 574 1,089 1,663 0 0 0

Diploma di maturità 25,942 14,712 40,654 894 3,425 4,320

Diploma di qualifica professionale 9,436 7,593 17,030 165 2,176 2,340

Licenza media inferiore 35,248 14,251 49,499 312 2,420 2,732

Licenza elementare 8,829 3,283 12,111 351 854 1,205

Nessun titolo 600 270 870 72 0 72

Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829

Posizione professionale

Dirigente 1,896 67 1,963 0 0 0

Direttivo/quadro 4,335 1,972 6,307 234 57 291

Impiegato/intermedio 18,030 19,802 37,832 294 4,820 5,114

Operaio ed assimilati 35,182 15,638 50,821 376 3,324 3,700

Apprendista 1,107 155 1,262 0 0 0

Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0 84 84 0 0 0

Imprenditore 4,453 1,266 5,719 0 0 0

Libero professionista 3,637 2,332 5,969 562 135 697

Lavoratore in proprio 16,202 4,279 20,481 446 289 735

Socio di cooperativa 372 152 524 0 394 394

Coadiuvante in un'impresa familiare 1,736 1,993 3,729 202 697 899

Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829

138

Tabella A7 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo parziale e a tempo pieno in provincia di

Cremona. Anno 2002 (Valori assoluti)

Branca d'attività

Agricoltura, Caccia e Pesca 7,324 726 8,051 72 386 458

Industria dell'energia e industria estrattiva 1,599 170 1,769 0 0 0

Industria della trasformazione 31,020 13,273 44,293 452 1,275 1,727

Costruzioni 8,031 417 8,449 183 59 242

Altre attività: commercio 13,359 5,838 19,197 275 2,098 2,373

Altre attività: alberghi e ristoranti 2,841 1,909 4,750 55 944 999

Altre attività: trasporti e comunicazione 3,820 1,293 5,113 199 53 252

Altre attività: intermediazione monetaria

e finanziaria, attività immobiliari 2,995 1,384 4,379 0 53 53

Altre attività: servizi alle imprese e altre

attività professionali e imprenditoriali 4,347 4,154 8,501 155 878 1,033

Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 4,055 3,025 7,080 57 641 698

Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 4,385 12,492 16,878 540 2,074 2,614

Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 3,175 3,060 6,234 126 1,254 1,380

Totale 86,951 47,741 134,692 2,114 9,715 11,829

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A8 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori

assoluti

Uomini Donne Totale

Non desidera un lavoro a tempo pieno 616 2,781 3,396

Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 541 1,891 2,432

Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 141 228 369

Malattia od invalidità 204 0 204

Motivi personali 315 1,904 2,220

Carichi familiari 59 2,632 2,691

Altri motivi 238 279 516

Totale 2,114 9,715 11,829

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A9 _ Motivi dell’occupazione a tempo parziale per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona (Anno

2002). Valori assoluti

Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Non desidera un lavoro a tempo pieno 0 0 616 616

Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 204 337 0 541

Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 141 0 0 141

Malattia od invalidità 63 87 55 204

Motivi personali 0 0 315 315

Carichi familiari 0 0 59 59

Altri motivi 0 56 182 238

139

Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Non desidera un lavoro a tempo pieno 57 917 1,806 2,781

Non ha potuto trovare un lavoro a tempo pieno 127 1,074 690 1,891

Frequenta corsi scolastici o di formazione professionale 124 103 0 228

Malattia od invalidità 0 0 0 0

Motivi personali 0 488 1,417 1,904

Carichi familiari 108 380 2,144 2,632

Altri motivi 76 98 104 279

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A10 _ Occupati a tempo determinato, a tempo indeterminato e totali in Italia, Lombardia e provincia di

Cremona per sesso (Anni 2000 e 2002). Valori assoluti

Tempo indeterminato Tempo determinato Totale

Uomini

Cremona 59,039 2,415 61,454

Lombardia 1,610,612 86,463 1,697,075

Italia 8,570,028 786,399 9,356,427

Donne

Cremona 41,826 4,093 45,919

Lombardia 1,227,454 109,295 1,336,748

Italia 5,715,938 776,943 6,492,881

Totale

Cremona 100,866 6,508 107,374

Lombardia 2,838,066 195,758 3,033,823

Italia 14,285,966 1,563,342 15,849,308 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A11 _ Variazione assoluta [2002- 2000] dell’occupazione alle dipendenze complessiva, dell’occupazione

dipendente a tempo determinato e dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato per sesso. Italia,

Lombardia e provincia di Cremona

Variazione assoluta 2002-2000

Tempo indeterminato Tempo determinato Totale

Uomini

Cremona 16,389 719 17,108

Lombardia 443,757 20,229 463,986

Italia 285,968 -7,306 278,662

Donne

Cremona 16,222 652 16,874

Lombardia 375,217 25,107 400,322

Italia 398,592 40,862 439,454

Totale

Cremona 32,610 1,371 33,982

Lombardia 818,974 45,336 864,308

Italia 684,560 33,556 718,116 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A12 _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in provincia di

Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Tempo pieno Tempo parziale

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Età

15/19 anni 1140 74 1214 313 63 376

20/24 anni 3630 3093 6723 844 936 1780

25/29 anni 8172 7577 15749 376 972 1348

140

30/34 anni 10275 7283 17557 176 865 1041

35/39 anni 10350 7682 18032 128 616 744

40/44 anni 9432 6798 16230 120 187 307

45/49 anni 6786 4086 10872 182 324 506

50/54 anni 6765 3641 10406 56 65 121

55/59 anni 1627 1138 2764 54 64 119

60/64 anni 659 239 898 112 0 112

65 e oltre 204 216 420 56 0 56

Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508

Stato Civile

Celibe/Nubile 24450 12809 37259 1700 1826 3526

Coniugato/a 33087 26357 59445 715 1920 2635

Separato/a di fatto 277 216 492 0 0 0

Separato/a legalmente 962 1061 2024 0 139 139

Divorziato/a 145 850 995 0 152 152

Vedovo/a 118 533 651 0 56 56

Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508

Titolo di studio

Dottorato Di ricerca o Specializzazione Post-laurea 504 0 504 0 0 0

Laurea 4012 5015 9027 408 501 908

Diploma universitario o laurea breve 512 758 1270 0 0 0

Diploma di maturità 17540 14359 31899 1207 1103 2310

Diploma di qualifica professionale 6536 7474 14011 116 699 816

Licenza media inferiore 25246 11713 36958 467 1660 2127

Licenza elementare 4391 2357 6748 169 129 298

Nessun titolo 299 150 449 49 0 49

Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

141

Tabella A12 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in

provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Tempo pieno Tempo parziale

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Posizione professionale

Dirigente 1896 67 1963 0 0 0

Direttivo/quadro 4245 1953 6199 324 75 399

Impiegato/intermedio 17437 22717 40153 887 1905 2793

Operaio ed assimilati 34596 16953 51549 962 2009 2971

Apprendista 865 52 917 242 103 345

Lavorante presso il domicilio per conto di imprese 0 84 84 0 0 0

Imprenditore 0 0 0 0 0 0

Libero professionista 0 0 0 0 0 0

Lavoratore in proprio 0 0 0 0 0 0

Socio di cooperativa 0 0 0 0 0 0

Coadiuvante in un'impresa familiare 0 0 0 0 0 0

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A12 (continua) _ Caratteristiche degli occupati a tempo determinato e a tempo indeterminato in

provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Tempo pieno Tempo parziale

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Branca d'attività

Agricoltura, Caccia e Pesca 3064 381 3444 0 62 62

Industria dell'energia e industria estrattiva 1376 170 1546 161 0 161

Industria della trasformazione 26133 12045 38177 640 1032 1672

Costruzioni 3922 258 4180 111 0 111

Altre attività: commercio 7102 4408 11510 283 553 837

Altre attività: alberghi e ristoranti 162 1180 1343 129 244 372

Altre attività: trasporti e comunicazione 3095 1020 4115 127 124 251

Altre attività: intermediazione monetaria

e finanziaria, attività immobiliari 2378 966 3344 0 0 0

Altre attività: servizi alle imprese e altre

attività professionali e imprenditoriali 1876 2896 4773 309 487 796

Altre attività: PA, difesa. Assicurazioni sociali obbligatorie 3997 3145 7142 56 209 265

Altre attività: istruzione , sanità ed altri servizi sociali 3702 12926 16628 402 806 1208

Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 2233 2431 4664 198 576 775

Totale 59039 41826 100866 2415 4093 6508

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

142

Tabella A13 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002).

Valori assoluti

Uomini Donne Totale

Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 1,139 1,314 2,453

Non ha potuto trovare un lavoro permanente 498 1,347 1,845

Non desidera un lavoro permanente 186 49 235

E' in prova 183 587 769

Altri motivi 409 796 1,205

Totale 2,415 4,093 6,508 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A14 _ Motivi dell’occupazione a tempo determinato per sesso e per classi d’età. Provincia di Cremona

(Anno 2002). Valori assoluti

Uomini 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 890 197 52 1,139

Non ha potuto trovare un lavoro permanente 199 113 185 498

Non desidera un lavoro permanente 67 0 119 186

E' in prova 0 127 56 183

Altri motivi 0 114 295 409

Donne 15-24 anni 25-34 anni 35 e oltre Totale

Ha un contratto di formazione lavoro, di apprendistato, ecc. 465 573 276 1,314

Non ha potuto trovare un lavoro permanente 284 517 547 1,347

Non desidera un lavoro permanente 0 0 49 49

E' in prova 48 353 185 587

Altri motivi 202 395 199 796

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A15 _ Durata complessiva dell’occupazione a termine. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori

assoluti

Uomini Donne Totale

Durata non definita 379 643 1,023

Meno di 1 mese 0 0 0

Da 1 a 3 mesi 170 376 546

Da 4 a 6 mesi 58 586 644

Da 7 a 12 mesi 982 1,216 2,197

Da 13 a 18 mesi 69 51 119

Da 19 a 24 mesi 632 591 1,223

Da 25 a 36 mesi 125 400 525

Più di 3 anni 0 231 231

Totale 2,415 4,093 6,508

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

143

Tabella A16 _ Percentuale di individui alla ricerca di un’altra occupazione tra i lavoratori a tempo determinato e

a tempo indeterminato. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Tempo indeterminato Tempo determinato

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale

Cerca un altro lavoro 1,380 1,235 2,614 451 879 1,330

Non cerca un altro lavoro 57,660 40,592 98,251 1,964 3,214 5,178

Totale 59,039 41,826 100,866 2,415 4,093 6,508

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A17 _ Motivi della ricerca di un altro lavoro. Lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.

Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Tempo indeterminato Tempo determinato

Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale Teme di perdere l'attuale occupazione 0 0 0 129 0 129

L'attuale occupazione è a termine 55 68 124 139 528 667

Cerca una seconda attività lavorativa 0 53 53 0 0 0

Aspira a condizioni di lavoro migliore 1,106 1,016 2,121 126 289 415

Altri motivi 159 98 257 58 62 121

Motivi non specificati 60 0 60 0 0 0

Totale 1,380 1,235 2,614 451 879 1,330

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A18 _ Motivi per cui è stata abbandonata l’ultima occupazione. Provincia di Cremona (Anno 2002).

Valori assoluti

Uomini Donne Totale

Licenziamento 577 1106 1683

Fine di una lavoro a tempo determinato 654 1538 2191

Motivi personali o familiari 187 4765 4952

Malattia o invalidità 830 367 1198

Frequenza di corsi scolastici 319 447 766

Prepensionamento 311 331 642

Pensionamento di anzianità o di vecchiaia 12075 5632 17707

Servizio di leva o servizio civile 347 0 347

Altri motivi 688 546 1234

Totale 15988 14733 30720

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

144

Tabella A19 _ Posizione professionale e branca di attività dei non occupati che hanno abbandonato l’ultima

occupazione da meno di 8 mesi. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Uomini Donne Totale

Posizione nella professione

Alle dipendenze 579 1,538 2,117

Autonomo (senza dipendenti) 74 0 74

Totale 654 1,538 2,191

Branca di attività economica

Agricoltura, caccia e pesca 55 55

Industria della trasformazione 329 580 909

Altre attività: commercio 67 67

Altre attività: intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari 63 63

Altre attività: servizi alle imprese e altre attività professionali e imprenditoriali 171 171

Altre attività: P.A. difesa e assicurazioni sociali obbligatorie 70 250 320

Altre attività: istruzione, sanità e altri servizi sociali 191 275 466

Altre attività: altri servizi pubblici, sociali e alle persone 140 140

Totale 654 1,538 2,191

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A20 _ Condizione occupazionale attuale delle persone alla ricerca di lavoro per sesso. Provincia di

Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Condizione attuale Uomini Donne Totale

Occupati dichiarati 2,106 2,242 4,348

Altri occupati 58 162 220

Disoccupati (azioni 30 gg) 581 1,282 1,864

Persone in cerca di prima occupazione (30 gg) 466 375 842

Altre persone in cerca di occupazione (30 gg) 57 1,139 1,196

NFL che cercano lavoro non attivamente 811 1,713 2,524

NFL non cercano ma disponibili a lavorare immediatamente 0 0 0

NFL non cercano non disponibili a lavorare immediatamente 320 285 606

NFL di età superiore a 65 anni 0 45 45

Totale 4,400 7,244 11,644

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

Tabella A21 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori

assoluti

Tipo di occupazione cercata Uomini Donne Totale

Con contratto a tempo indeterminato 2,671 4,624 7,295

Con contratto a termine 236 439 675

Con contratto di formazione professionale 0 0 0

Senza preferenze 1,493 2,000 3,493

Autonomo (ha già predisposto i mezzi per esercitarlo) 0 0 0

Autonomo (non ha ancora predisposto i mezzi per esercitarlo) 0 181 181

Totale 4,400 7,244 11,644

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

145

Tabella A22 _ Tipo di occupazione prevalentemente cercato per sesso e per condizione occupazionale attuale.

Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Condizione attuale

Con contratto

a

tempo

indeterminato

Con

contratto

a termine

Con

contratto di

formazione

professionale

Senza preferenze

Autonomo

(ha già

predisposto

i mezzi per

esercitarlo)

Autonomo

(non ha

ancora

predisposto

i mezzi per

esercitarlo)

Totale

Uomini

Occupati 1,561 0 0 603 0 0 2,164

Persone in cerca di occupazione 450 49 0 606 0 0 1,104

NFL (15 anni ed oltre) 660 188 0 284 0 0 1,132

Totale 2,671 236 0 1,493 0 0 4,400

Donne

Occupati 1,935 108 0 305 0 56 2,404

Persone in cerca di occupazione 1,480 69 0 1,248 0 0 2,797

NFL (15 anni ed oltre) 1,209 262 0 447 0 126 2,043

Totale 4,624 439 0 2,000 0 181 7,244

Totale

Occupati 3,496 108 0 908 0 56 4,568

Persone in cerca di occupazione 1,930 117 0 1,854 0 0 3,901

NFL (15 anni ed oltre) 1,869 449 0 731 0 126 3,174

Totale 7,295 675 0 3,493 0 181 11,644

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Tabella A23 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso. Provincia di Cremona (Anno 2002). Valori

assoluti

Orario con cui vorrebbe lavorare Uomini Donne Totale

Esclusivamente a tempo pieno 1,238 1,591 2,828

Esclusivamente a tempo parziale 196 1,374 1,570

Preferibilmente a tempo pieno 2,179 2,457 4,636

Preferibilmente a tempo parziale 157 687 844

Qualsiasi orario 631 1,135 1,766

Totale 4,400 7,244 11,644

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

146

Tabella A24 _ Orario col quale si vorrebbe lavorare per sesso e per condizione occupazionale attuale. Provincia

di Cremona (Anno 2002). Valori assoluti

Esclusivamente

a tempo pieno

Esclusivamente

a tempo

parziale

Preferibilmente

a tempo pieno

Preferibilmente

a tempo

parziale

Qualsiasi

orario Totale

Uomini

Occupati 628 0 984 83 469 2,164

Persone in cerca di occupazione 180 57 805 0 63 1,104

NFL (15 anni ed oltre) 429 140 389 74 100 1,132

Totale 1,238 196 2,179 157 631 4,400

Donne

Occupati 906 314 799 197 189 2,404

Persone in cerca di occupazione 327 433 1,018 321 699 2,797

NFL (15 anni ed oltre) 358 627 641 168 248 2,043

Totale 1,591 1,374 2,457 687 1,135 7,244

Totale

Occupati 1,534 314 1,783 280 657 4,568

Persone in cerca di occupazione 507 489 1,823 321 761 3,901

NFL (15 anni ed oltre) 787 767 1,030 243 348 3,174

Totale 2,828 1,570 4,636 844 1,766 11,644

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT

147

APPENDICE B

148

SEZIONE IMPRESE

Settembre 2003

GENERALITA’ DELL’IMPRESA

DENOMINAZIONE IMPRESA

REFERENTE

E-MAIL

INDIRIZZO SEDE

RECAPITO TELEFONICO

COMUNE DI

Indicare i principali settori di specializzazione dell'impresa

1 Produzione di metalli e loro leghe 2 Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (esclusi macchine e impianti)

3 Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici

4 Altro (specificare)

RILEVAZIONE SUI CONTRATTI DI LAVORO

ATIPICI NELLA PROVINCIA DI CREMONA

149

Quanti DIPENDENTI ha la sua impresa?

TOTALE Operai

TOTALE Impiegati

TOTALE Dirigenti

Indicare il NUMERO DI DIPENDENTI esclusi i Co.Co.Co. al 31 luglio 2003

NUMERO FUNZIONE SVOLTA Indicare il NUMERO dei TITOLARI e la

funzione svolta

A quale titolo di studio sono associabili le seguenti figure dirigenziali?

LA

UR

EA

ING

EG

NE

RIA

LA

UR

EA

EC

ON

OM

IA

LA

UR

EA

GIU

RIS

PR

UD

EN

ZA

LA

UR

EA

MA

TE

MA

TIC

A

INF

OR

MA

TIC

A

LA

UR

EA

CH

IMIC

A

LA

UR

EA

SC

IEN

ZE

E

TE

CN

OL

OG

IE

AL

IME

NT

AR

I

LA

UR

EA

AG

RA

RIA

LA

UR

EA

LE

TT

ER

E E

LIN

GU

E

DIRIGENTE DIRETTORE GENERALE

DIRIGENTE AREA PRODUZIONE

DIRIGENTE AREA LOGISTICA

DIRIGENTE AREA FINANZA AMMINISTRAZIONE

DIRIGENTE AREA COMMERCIALE E VENDITE

DIRIGENTE AREA PERSONALE

DIRIGENTE AREA RICERCA & SVILUPPO

DIRIGENTE CONTROLLO QUALITA’

DIRIGENTE EDP

DIRIGENTE ENGINEERING

ALTRO

PARTE PRIMA

CARATTERISTICHE DELL'IMPRESA

A DIMENSIONE DELL'IMPRESA

B TITOLO DI STUDIO DEI DIRIGENTI/RESPONSABILI

150

Può indicare la suddivisione del personale per AREA FUNZIONALE PREVALENTE?

AREA FUNZIONALE NUMERO

ADDETTI 1. Direzione

2. Produzione

3. Logistica

4. Finanza e amministrazione

5. Personale & relazioni industriali

6. Commerciale & marketing

7. Ricerca & sviluppo

8. Controllo qualità

9. EDP

10. Engineering

11. Altri servizi (Pulizie, Mense, Custodia, Portineria...)

Saprebbe indicare come è organizzata l’attività produttiva della sua impresa dal punto di vista dei TURNI di lavoro?

NUMERO ADDETTI

1. 3 Turni

2. 2 turni

3. Giornaliero

4. 6 x 6

5. Altro (specificare)

La sua impresa fa ricorso al LAVORO STRAORDINARIO?

SI NO

(fare una croce sulla casella che interessa)

Se SI’, con che frequenza?

Saprebbe fornire una misura?

L) L’IMPRESA SI AVVALE DELL’UTILIZZO DI CONTRATTI DI LAVORO ATIPICI?

1. Regolarmente

2. Occasionalmente

3. Raramente

PARTE TERZA

CONTRATTI

ATIPICI

C PERSONALE PER AREA FUNZIONALE

D ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

E RICORSO AL LAVORO STRAORDINARIO

151

SI NO

(fare una croce sulla casella che interessa)

Se sì indicarne il numero

Se SI indicarne il NUMERO

M) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI PER TIPOLOGIA DI CONTRATTO ATIPICO?

A termine Part time

CFL Co.Co.Co. Apprendistato Collaborazioni occasionali

Tirocinio formativo Interinali

N) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI CON UN CONTRATTO ATIPICO PER TIPOLOGIA DI TITOLO DI STUDIO ?

Nessun titolo di studio Diploma tecnico/professionale

Licenza media Maturità Laurea

O) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI CON UN CONTRATTO ATIPICO PER CLASSI DI ETÀ?

Fino a 25 anni

25-35 anni Oltre 35 anni

P) PUÒ INDICARE IL NUMERO DI LAVORATORI ASSUNTI CON UN CONTRATTO DI LAVORO ATIPICO PER TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ LAVORATIVA?

Lavori manuali

Lavori tecnici Lavori di concetto

152

Q) QUALI SONO LE PRINCIPALI MOTIVAZIONI SOTTOSTANTI ALLA DECISIONE DI AVVALERSI DI QUESTI LAVORATORI?

Maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera nel tempo, in modo da adeguarla più rapidamente alla domanda di propri prodotti

Contenimento del costo del personale

Indisponibilità di queste figure con contratti a tempo indeterminato

Acquisizione del risultato senza gravare sulla struttura organizzativa dell’impresa (flessibilità interna)

Altro (specificare)

R) PENSA DI TRASFORMARE QUESTI CONTRATTI ATIPICI IN CONTRATTI DI DIVERSA NATURA?

Sì, per tutte le tipologie contrattuali

Sì, principalmente per i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato

Sì, principalmente per i contratti part time in contratti full time

No

S) SECONDO LA SUA RECENTE ESPERIENZA E LE CARATTERISTICHE DELL’IMPRESA, RITIENE CHE QUESTE TIPOLOGIE DI CONTRATTI ATIPICI LE SARANNO UTILI ANCHE IN FUTURO?

Sì, ed incrementandone il numero

Sì, ma riducendone il numero

No

NOTE:

153

Ottobre 2003

GENERALITA’ DELL’ ENTE O AZIENDA SPECIALE

DENOMINAZIONE

INDIRIZZO SEDE

REFERENTE

E-MAIL

RECAPITO TELEFONICO

COMUNE DI

SEZIONE ENTI PUBBLICI ED AZIENDE SPECIALI

RILEVAZIONE SUI CONTRATTI DI LAVORO

ATIPICI NELLA PROVINCIA DI CREMONA

154

Quanti dipendenti ha l’ENTE/AZIENDA SPECIALE?

NUMERO

TOTALE

Indicare il NUMERO DI DIPENDENTI con contratto di lavoro a tempo indeterminato (full time) al 31 luglio 2003

B) L’ENTE/AZIENDA SPECIALE si avvale dell’utilizzo di rapporti di lavoro atipici?

SI NO

(fare una croce sulla casella che interessa)

Se sì indicarne il numero

Se SI indicarne il NUMERO

C) Può indicare il numero di lavoratori assunti per tipologia di contratto/posizione atipica?

A tempo indeterminato (part time) Co.Co.Co.

A tempo determinato (full time) Collaborazioni occasionali A tempo determinato (part time) Interinali

CFL Tirocinio formativo Apprendistato Altro (specificare)

D) Può indicare il numero di lavoratori assunti con un contratto/posizione atipica per tipologia di

titolo di studio ?

Nessun titolo di studio Diploma tecnico/professionale

Licenza media Maturità Laurea

E) Può indicare il numero di lavoratori assunti con un contratto /posizione atipica per classi di età?

Fino a 25 anni

25-35 anni Oltre 35 anni

F) Può indicare il numero di lavoratori assunti con un contratto di lavoro/posizione atipica per tipologia di attività lavorativa?

Lavori manuali

Lavori tecnici Lavori di concetto

QUESTIONARIO

155

G) Quali sono le principali motivazioni sottostanti alla decisione di avvalersi di questi lavoratori?

Maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera nel tempo, in modo da adeguarla più rapidamente alla domanda di propri servizi

Contenimento del costo del personale

Indisponibilità di queste figure con contratti a tempo indeterminato

Acquisizione del risultato senza gravare sulla struttura organizzativa dell’impresa (flessibilità interna)

Altro (specificare)

H) Pensa di trasformare questi contratti/posizioni atipiche in contratti/posizioni di diversa natura?

SI NO

(fare una croce sulla casella che interessa)

I) In quale tipologia contrattuale pensa di trasformare i contratti /posizioni atipiche attualmente in essere?

DETER.

(FULL TIME)

DETER.

(PART TIME)

INDETER.

(PART TIME)

INDETER.

(FULL TIME)

A tempo indeterminato (part time)

A tempo determinato (full time)

A tempo determinato (part time)

CFL

Apprendistato

Co.Co.Co.

Collaborazioni occasionali

Interinali

Tirocinio formativo

Altro (specificare)

156

I) Secondo la sua recente esperienza e le caratteristiche dell’ENTE/AZIENDA SPECIALE, ritiene che queste tipologie di contratti/posizioni atipiche Le saranno utili anche in futuro?

Sì, ed incrementandone il numero

Sì, ma riducendone il numero

No

NOTE: