Una Voce Notiziario», 29-30 nuova serie

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Bollettino Trimestrale - Sped. in Abb. Post. Art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Roma UNA VOCE Associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana GENNAIO - MARZO 1/2008 APRILE - GIUGNO 2/2008 N. 29 e 30 Nuova Serie PER UNA PRIMA LETTURA DELLA LETTERA APOSTOLICA SUMMORUM PONTIFICUM La promulgazione della lettera apostolica Summorum Pontificum ha interessato i mezzi di comunicazione, e perciò di essa una qualche notizia è giunta a molte persone. Come spesso avviene in materia di dottrina e disciplina ecclesiastica, le notizie sono state confuse: ad esempio, quasi sempre il rito antico è stato presen- tato come la Messa in latino, cosa che è vera ma non è distintiva, giacché anche la forma originaria del rito promulgato da Paolo VI è in latino. È stato notato anche un singolare convergere di censure al Pontefice da alcuni ambienti qualificatisi come “liturgisti cattolici”, ai quali hanno offerto ampio spa- zio quotidiani e riviste normalmente lontani dalla religione cattolica 1 . D’altra parte, non pochi vescovi italiani e stranieri, si sono peritati, su mezzi di comuni- cazione ovvero attraverso un passaparola non meno efficace, di segnalare la loro contrarietà a che i parroci si avvalessero delle facoltà riconosciute loro dal roma- no Pontefice. Appare allora utile, iniziare a offrire alcuni elementi di analisi giuridica canoni- ca, posto che solo di recente è apparso su Acta Apostolicae Sedis il testo definitivo della lettera apostolica 2 . 1 Per una rassegna critica di questi tentativi di delegittimazione, si veda E. ARTIGLIERI, La tradizione vivente secondo Benedetto XVI, in Una Voce, luglio-dicembre 2007 (27-28 NS), pp. 1-7. 2 Il fascicolo degli Acta 7 settembre 2007, è stato pubblicato all’inizio del mese di marzo 2008; la let- tera apostolica è alle pagine 777-781; alle pagine 795-799, è pubblicata la lettera di accompagna- mento.

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Bollettino Trimestrale - Sped. in Abb. Post. Art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Roma

UNA VOCEAssoc iaz ione per la sa l vaguard ia de l la l i t u rg ia la t ino -gregor iana

GENNAIO - MARZO 1/2008APRILE - GIUGNO 2/2008

N. 29 e 30 Nuova Serie

PER UNA PRIMA LETTURA DELLA LETTERA APOSTOLICA

SUMMORUM PONTIFICUM

La promulgazione della lettera apostolica Summorum Pontificum ha interessato imezzi di comunicazione, e perciò di essa una qualche notizia è giunta a moltepersone. Come spesso avviene in materia di dottrina e disciplina ecclesiastica, lenotizie sono state confuse: ad esempio, quasi sempre il rito antico è stato presen-tato come la Messa in latino, cosa che è vera ma non è distintiva, giacché anche laforma originaria del rito promulgato da Paolo VI è in latino.È stato notato anche un singolare convergere di censure al Pontefice da alcuniambienti qualificatisi come “liturgisti cattolici”, ai quali hanno offerto ampio spa-zio quotidiani e riviste normalmente lontani dalla religione cattolica1. D’altraparte, non pochi vescovi italiani e stranieri, si sono peritati, su mezzi di comuni-cazione ovvero attraverso un passaparola non meno efficace, di segnalare la lorocontrarietà a che i parroci si avvalessero delle facoltà riconosciute loro dal roma-no Pontefice. Appare allora utile, iniziare a offrire alcuni elementi di analisi giuridica canoni-ca, posto che solo di recente è apparso su Acta Apostolicae Sedis il testo definitivodella lettera apostolica2.

1 Per una rassegna critica di questi tentativi di delegittimazione, si veda E. ARTIGLIERI, La tradizionevivente secondo Benedetto XVI, in Una Voce, luglio-dicembre 2007 (27-28 NS), pp. 1-7.

2 Il fascicolo degli Acta 7 settembre 2007, è stato pubblicato all’inizio del mese di marzo 2008; la let-tera apostolica è alle pagine 777-781; alle pagine 795-799, è pubblicata la lettera di accompagna-mento.

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§2 Ogni ordinamento giuridico subisce un grande danno, nell’immagine che se nefanno i consociati, per la riduzione dello spirito di sistema dei legislatori, da unlato, e degli interpreti dall’altro. Ciò ha molte cause, prima fra tutte la continuaproduzione di norme di vario rango che rendono difficile anche solo individuaree ricordare la disciplina precedente del settore.Il danno si fa più grave quando il criterio della lettura sistematica sia abbandona-to o rarefatto da parte dell’interprete munito di giurisdizione: il giudice lo puòfare a favore di altri criteri, anche significativi (ad esempio, il criterio teleologico),oppure per modestia di dottrina o per accelerazione dei tempi necessari alla deci-sione, ma sempre con gravi conseguenze. Moltissimi arbitrîi, ed alcuni scandaliche risuonano hanno radice intellettuale in questa ridotta attenzione al sistemacomplessivo del diritto vigente.L’asistematicità dell’interpretazione si diffonde anche per un difetto morale chene è concausa. L’interpretazione sistematica impone fatica e umiltà, necessarie atenere presenti numerose precedenti statuizioni e la stessa consuetudine, e cosìessa impone limiti, traccia strade, erige argini, al fluire della volontà; è facileintuire che ciò contraria uno spirito superbo.Questa osservazione di massima pare appropriata sia per l’ordinamento canoni-co sia per l’ordinamento civile (nel senso di statale, ordo civitatis), e permette dicomprendere perché sia bene porre alcune premesse all’esame del documento.La prima consiste nel ricordare alcuni tratti propri dell’ordinamento canonico,che definisce la specifica giuridicità di queste note.La seconda vuole definire la situazione giuridica del rito romano antico neltempo successivo alla promulgazione del novus ordo missae, avvenuta nel 1969 efino ai giorni nostri.

§3 La Chiesa cattolica ha dato di sé, fin dall’epoca della sua fondazione, molte defi-nizioni.Il giurista considera la struttura visibile della Chiesa e la descrive con le catego-rie del pensiero giuridico: ciò è avvenuto eminentemente nella Chiesa latina,erede più diretta del pensiero romano, ma non è mai mancato nelle chiese di ori-gine apostolica, anche quando esse si siano poi separate da Roma.La scienza canonistica si è affinata molto con la riforma degli studi di dirittoromano nell’undicesimo secolo, ma essa ne è insieme indipendente quanto all’og-getto e molto dipendente quanto alla storia; come già prima diceva una costitu-zione dell’imperatore Ludovico il Pio: omnis ordo ecclesiarum secundum Romananlegem vivit3.

3 HLudovici Pii, const. 58.

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4 A. OTTAVIANI, Compendium iuris publici ecclesiastici, Typis polyglottis Vaticanis, 1954, pp. 23 e 103 sg.5 Gli obblighi costituzionali che gli Stati si sono dati in età moderna, sono evidentemente una auto-

normazione, interna allo stesso ordinamento.6 Codice di diritto canonico, testo ufficiale e versione italiana, diretto da Tarcisio Bertone sdb,

Unione editori cattolici italiani, Roma, 1984, p. 966: prae oculis habita salute animarum quae in eccle-sia suprema semper lex esse debet.

7 Caratteristica non solo della Chiesa ma di tutti gli ordinamenti giuridici in cui le funzioni nonsono ripartite secondo le ormai recepite individuazioni di CHARLES LOUIS DE SECONDAT, barone diMontesquieu, De l’ésprit de lois ,XI, VI, Gallimard, Paris, 2005, vol. I, p. 328-330.

Per venire al presente ed alle linee fondamentali, diciamo che la Chiesa cattolicaha amato fino a tempi recenti definirsi come societas juridice perfecta4, ovvero cheha in sé tutti gli elementi necessari alla propria vita e organizzazione. La definizio-ne non implica la perfezione morale, come talvolta si è inteso, ma dice ciò che igiuspubblicisti chiamano un ordinamento originario, superiorem non recognoscens. Tuttavia, come è già chiaro nella lettera a Diogneto, la vita nella Chiesa non esau-risce in sé tutte le relazioni umane possibili: vi sono perciò molte materie che l’or-dinamento canonico non disciplina direttamente (la materia contrattuale o testa-mentaria, ad esempio).L’ordinamento canonico, pur sovrano perché superiorem non recognoscens, non hafini indifferenziati e liberi, come è per gli Stati, ma è finalizzato5.La tradizione indica tale fine nella salus animarum, cui ancora fa riferimento ilcanone 1752, ultimo del codice vigente6.Questa caratteristica produce alcuni effetti, fra i quali il principio di aequitas, comecriterio interpretativo, ed una diffusa possibilità di derogare alle leggi generali:siamo di fronte ad un ordinamento esteso a tutta la terra.Un tempo, anche l’esistenza dei cosiddetti legislatori speciali nell’ordinamentocanonico (c. 13) creava problemi rispetto alla visione monolitica dello Stato, mal’attuale situazione ci ha molto abituati alle fonti concorrenti (si pensi alle normeeuropee, statali, regionali, tutte di rango primario). Ad ogni buon conto, è oppor-tuno ricordare che le fonti del diritto codificate nel libro primo del codice di dirit-to canonico sono:a) le leggi ecclesiastiche universali;b) le leggi ecclesiastiche particolari (territoriali e personali);c) le consuetudini;d) i decreti generali.Infine, in questo ordinamento7, la massima autorità legislativa coincide anchecon il titolare del massimo potere amministrativo (o esecutivo): è perciò talvoltadifficile definire se una fonte interpretativa come l’istruzione approvata dalPontefice sia pura esplicazione regolamentare, interpretazione autentica o unanuova legge eccezionale e derogatoria.Possiamo arrestarci su questi accenni di massima, utili ai fini della disamina chequi ci occupa.

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§4 Il rito della Messa contenuto nel messale romano promulgato da Paolo VI nel1969, con la costituzione apostolica Missale Romanum, (ed a seguire i rituali ed isacramentali, e molto più di recente il pontificale), sono stati e sono comunemen-te definiti con il nome di rito del Concilio, riforma conciliare8. In questa sede, cibasti osservare che una riforma del messale, introdotta nel 1965 e più vicina alleforme tradizionali, parse ai più che recepisse le raccomandazioni ed anche ledisposizioni della costituzione conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium.In ordine al tema della riforma come auspicata dalla costituzione citata, nel para-grafo 49 (affinché poi il sacrificio della Messa raggiunga la sua piena efficacia anche nellaforma rituale, il sacro Concilio, in vista delle messa celebrate con partecipazione di popo-lo, specialmente le domeniche ed i giorni di precetto, stabilisce quanto segue9) introduceuna distinzione.Nell’ambito di intervento assegnato alle proposte riforme, si trova perciò unadistinzione fra Messe celebrate con il popolo e Messe celebrate senza il popolo;sembrerebbe che le modifiche richieste o consigliate dalla costituzione conciliaredebbano riguardare unicamente le Messe con assistenza di fedeli. Per converso,nel caso di Messa celebrata come si usava dire, privatamente, nella volontà dellegislatore conciliare l’antico rito doveva continuare ad essere la regola per isacerdoti10.Ciò nondimeno, la costituzione apostolica Missale Romanum, esplicita nel sottoti-tolo la propria convinzione di dare attuazione alle revisioni decretate dal secon-do Concilio vaticano. Con essa si ha la promulgazione di una nuova forma diMessa, ma non si ritrovano clausole che dispongano l’abrogazione del messale cddi San Pio V, ovvero che ne affermino la totale sostituzione con quello di PaoloVI. Le clausole finali, come si sa, sono formule di stile che non derogano al rangodelle fonti preesistenti ed alla loro forza.Viene allora in rilievo la questione della vigenza della costituzione apostolica Quoprimum, promulgata in forma di Bolla da San Pio V.Incidentalmente, annotiamo che quella costituzione del santo Pontefice domeni-cano, rappresentò un consolidamento regolante l’immemorabile disciplina della

8 Molti studi sono stati fatti per mostrare l’incongruenza di questa definizione, e la sua falsità seapplicata non solo ai rituali ma alle rationes sottostanti e soprattutto alla prassi corrente e tantotollerata da potersi in qualche modo ritenere ratificata od almeno favorevolmente ricevuta.

9 Sacrosanctum Concilium, § 49, in Tutti i documenti del concilio, Massimo, Milano, 1979 (X edizione),p. 116. Nel § 48, si descrive come i fedeli laici debbano auspicabilmente prendere parte alla litur-gia; nel successivo § 50, sono dettati i cardini delle riforme dei riti che si propongono.

10 Seguiamo, per questa annotazione, ed alcune successive, NICOLA BUX e SALVATORE VITELLO, Was theold rite abrogated?, in Mass od Ages, Magazine of the Latin Mass Society, London, febbraio 2008 (155),pp 12-13.

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Chiesa romana, in continuità con una struttura rituale già stabilizzatasi nella granparte degli atti e delle formule nel sesto secolo dopo Cristo. La stessa bolla Quoprimum, perciò, può ben ritenersi non tanto la fonte della legittima esistenza delrito romano antico, quanto la fonte della sua elevazione a rito universalmentevincolante (salva la notissima eccezione in favore degli altri riti preesistenti daalmeno duecento anni).In materia di interpretazione della successione di norme nel tempo, l’ordinamen-to canonico presenta un’altra peculiarità. Per il legislatore statuale moderno, lasoluzione del succedersi di discipline diverse sulla stessa materia è l’individua-zione della norma abrogatrice e di quella abrogata, anche e soprattutto in assen-za di espressa abrogazione (come fa ad esempio l’articolo 15 delle disposizionisulla legge in generale nelle disposizioni preliminari al codice civile italiano11). Per l’ordinamento canonico il criterio da applicare è molto diverso: il canone 21stabilisce infatti che in dubio revocatio legis praeexistentis non praesumitur, sed legesposteriores ad priores trahendae sunt et his, quantum fieri potest, conciliandae12. Anche un accertamento storico conduce alla stessa conclusione.Riferisce infatti Annibale Bugnini, che presiedeva il comitato ad hoc e curò la reda-zione del nuovo messale e l’iter legislativo collegato, che più volte, ed ancora dalvescovo Sustar, segretario del consiglio delle conferenze episcopali europee, si“insistette per avere una dichiarazione se esisteva una proibizione tassativa in merito allamessa di Pio V”. La Segreteria di Stato con nota 10 giugno 1974, n. 258911, risposeche pareva inopportuno richiedere una dichiarazione od un accertamento su talequestione alla Commissione per l’interpretazione autentica dei testi del Concilio,perchè una risposta favorevole alla riforma sarebbe stata vista come un “atto odio-so nei confronti della tradizione liturgica”13.Sulla base di queste allegazioni, sistematiche e storiche, si può allora affermarecon certezza che il rito antico non sia mai stato abrogato.La sua legittimità si fonda su una consuetudine più che secolare14. Il fatto che glistessi promotori del mutamento dei riti rifiutarono di dichiarare l’abrogazioneespressa conferma che la costituzione Missale Romanum non poteva essere intesanel senso di interdire l’antico.

11 “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incom-patibilità tra le nuovi disposizioni e le precedenti, o perché la nuova legge regola l’intera materia già rego-lata dalla legge anteriore”.

12 Codice di diritto canonico, edizione citata, p. 92. 13 Cfr. A. BUGNINI, La riforma liturgica, 1948-1975, CL Edizione liturgiche, 1983, p 298. Una notifica-

zione della Congregazione del culto, nei sensi da lui auspicati, pubblicata sulla rivista Notitiae, n.10 (1974), p. 353, è poi ricordata dal Bugnini perché avrebbe accolta la tesi dell’abrogazione; madifficilmente un atto di tale natura potrebbe ritenersi idoneo ad incidere su leggi universali e con-suetudini pluricentenarie.

14 Canone 28, Lex …. non revocat consuetudines centenarias aut immemorabiles, Codice di diritto cano-nico, edizione citata, p. 94.

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In ogni caso, persistendo il dubbio, deve applicarsi il canone 21 sopra richia-mato15.

§5 Questa verità di giustizia e di diritto ha però faticato ad emergere: non è stata laprima e non sarà l’ultima volta nella storia.Il 3 ottobre 1984, la Congregazione del culto divino, con circolare 686, approvatadal Pontefice, emanò una disposizione che ha integrato la disciplina delle celebra-zioni pubbliche nel rito antico fino a tempi recentissimi.La circolare introduce il tema con queste parole: “Data però la persistenza del pro-blema stesso”. Con ciò, fa riferimento ad un sondaggio che era stato richiestotempo prima ai vescovi territoriali circa l’accettazione del rito nuovo: se ne dedu-ce che il desiderio dell’antico rito non poteva essere considerato, neanche a livel-lo mondiale, un fenomeno marginale.Il documento definisce se stesso come concessione di indulto, espressione antica nel-l’ordinamento canonico, ma che il codice vigente non riprende al libro primo. Essasi trova invece nel libro relativo alla vita consacrata, dove come indulto si intende ilpermesso di uscire dall’istituto religioso (cc. 691- 693), dall’istituto secolare dopol’incorporazione definitiva (c. 727), dalla società di vita apostolica (c. 743) od anchedi vivere fuori dalla stessa società (c. 745). Nel codice preesistente, il cd pio-benedet-tino, promulgato nel 1917, lo stesso nome ricorreva per la materia della dispensadalle obbligazioni assunte con la professione religiosa, o voti, ovvero con le analo-ghe promesse negli altri istituti di vita consacrata, nei canoni 638-641. Lo strumento dell’indulto era accordato ai vescovi, intendendo così che era all’or-dinario del luogo che spettava rilevare la sussistenza delle condizioni apposte eapplicarlo.L’espressione indulto, tuttavia, caduta in un testo che assumeva la forma di unacircolare, oltre a creare non pochi casi di coscienza nei sacerdoti che ritenevano (egiustamente) di avere fino ad allora usato di un loro diritto, si presentò subitodubbia. Per quanto visto, l’indulto è la disapplicazione di un obbligo di fare o di non fareimposto dalla legge generale che l’autorità esecutiva può permettere in un casoparticolare. Nei casi espressamente indicati dal codice, in particolare, per indultosi intende la dispensa temporanea o perpetua dagli obblighi assunti con i votisolenni o con le promesse negli istituti di vita consacrata; ovvero, un provvedi-mento concesso dalla competente autorità ecclesiastica che o permette o rispon-de ad una richiesta, con carattere eminentemente grazioso16.

15 Resta così confermata la legittima e valida interpretazione data da don Filippo dei duchiCaffarelli, primo presidente di Una Voce in Italia, diramata il 20 settembre 1969.

16 Cfr. D. J. ANDRÈS cmf, El derecho de los religiosos, Publicationes claretianas, Madrid-Roma, 1984, p. 612.

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Nella materia in esame, era ben difficile individuare da quale obbligazione por-tata da una legge generale si sarebbe dato l’esonero: i fedeli interessati al rito anti-co, infatti, non desideravano la dispensa dall’obbligo di sentire Messa nel ritonuovo, ma al contrario operavano per accrescere la loro partecipazione al ritonelle forme trasmesse dai padri17. Inoltre, ed è argomento pregnante, il documen-to non individuava la fonte dell’obbligo dal quale l’indulto concedeva relaxatio:esso si sarebbe potuto individuare solo nel divieto di assistere o celebrare laMessa nel rito antico.In realtà, a dispetto del nomen iuris, la Congregazione del culto aveva costruito unregime amministrativo derogatorio, perché si potesse circoscrivere un fenomenoche era percepito come un problema, parola che di per sé lascia trasparire l’ani-mo di quanti estesero la circolare. Nondimeno, quel documento avrebbe potutoessere improprio, ma non dannoso.Rispetto alla celebrazione dei sacramenti e più largamente dei riti sacri, il laicocattolico è titolare di un diritto ad una prestazione avente ad oggetto un bene didiritto pubblico canonico (il sacramento od il rito specifico18). Obbligato alla pre-stazione è il clero costituito in cura d’anime. La circolare, creando il cosiddettoindulto, avrebbero avuto un significato utile di regolamentazione ordinata delservizio, ove fosse stata accolta con lo spirito che Giovanni Paolo II ebbe a coman-dare più tardi: c) inoltre, dovrà essere ovunque rispettato l’animo di tutti coloro che sisentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un’ampia e generosa applicazionedelle direttive, già da tempo emanate dalla Sede Apostolica, per l’uso del Messale Romanosecondo l’edizione tipica del 196219.L’inconsistenza della qualificazione di indulto contenuta nella circolare del 1984era stata notata anche dalla Santa Sede, perché due anni più tardi fu insediata unacommissione cardinalizia con il compito di esaminare due questioni: se si potes-se ritenere abrogato il rito romano antico e se un vescovo potesse proibire ad unprete di celebrarlo. La commissione dei nove20, con otto voti su nove, stabilì chel’antico rito non era mai stato abrogato; e con nove su nove (dunque all’unani-mità), che i vescovi non potevano vietare ai preti nella loro diocesi di dire Messasecondo il messale cd di san Pio V. La determinazione della commissione nonfurono promulgate e rimasero perciò un parere autorevole ma del tutto interno:sembra però che esse abbiano influenzato la giurisprudenza dei dicasteri pontifi-

17 CIC, c. 213, ed. cit. p. 192: ius est christifidelibus ut cultum Deo persolvant iuxta praecriptis proprii ritusa legitimis ecclesiae pastoribus adprobati.

18 CIC. c. 212, ed. cit. , p. 192: ius est christifidelibus ut ex spiritualibus Ecclesiae bonis, praesertim ex verboDei et sacramentis, adiumenta a sacris Pastoribus accipiant.

19 Lettera Apostolica, motu propria data, Ecclesia Dei adflicta, canone 6, lettera c.20 Cardinali Agostino Casaroli, Bernardin Gantin, Augustin Mayer, Antonio Innocenti, Silvio Oddi,

Pietro Palazzini, Joseph Ratzinger, Alfons Stickler, Jozef Tomko: così in Bux-Vitello, cit.

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ci, giacché le sospensioni a divinis talvolta irrogate da alcuni vescovi ai preti checelebravano l’antico rito risultano annullate quando il prete interessato avevainterposto ricorso. L’espressa dichiarazione contenuta nella lettera apostolica Summorum Pontificum,al cui testo ora accediamo, non è dunque sorta da un improvviso moto dell’ani-mo del regnante Pontefice ed è stata preceduta da una profonda analisi e dalunga preparazione dottrinale e giuridica.

§6 La lettera apostolica Summorum Pontificum è stata promulgata il 7 luglio del 2007;insieme ad essa, il Pontefice ha diramato una lettera accompagnatoria ai vescovi.Mentre per “lettera apostolica” possiamo convenire che sia usata come sinonimo di“costituzione apostolica” e si tratti di una legge universale, il grado normativo dellalettera ai vescovi è materia controversa anche se essa, in qualche modo, annunciaalcuni atti amministrativi generali a seguire. Può essere prudente ritenerla un’inter-pretazione autentica del contenuto normativo della lettera apostolica.Come è nella tradizione in questo tipo di atti, la lettera apostolica si richiama aiprecedenti interventi normativi o per dire meglio alla consuetudine che ha vedu-to nei secoli concentrarsi nella figura del romano Pontefice i poteri definitori allamateria del culto. Si dice definitori perché è innegabile che il corpo delle regoleliturgiche (ordines) e degli stessi testi di preghiera (sacramentalia) siano soprattut-to un deposito della tradizione.L’incipit solenne Summorum Pontificum pare volere ricordare a tutti, che il Ponteficesi richiama al sommo potere di moderatore universale che egli direttamente ricevedal Capo invisibile della Chiesa quale Suo vicario: autorità piena, ma razionale,esercitata secondo la tradizione. Il Pontefice ricorda innanzitutto che ciò che egli fanella lettera in esame è stato già fatto; ecco l’espressione “da tempo immemorabilecome anche per l’avvenire” e l’altra ”ogni chiesa particolare deve concordare con laChiesa universale non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali,ma anche agli usi universalmente accettati dall’ ininterrotta tradizione apostolica”.Il Pontefice ricorda poi i più insigni esempi di questa cura per il culto: il consolida-mento delle tradizioni liturgiche curato da Gregorio Magno, la restitutio ex decretosacrosanti Concilii Tridentini curata da Pio V, gli interventi normativi e dottrinali diPio X , Pio XII e Giovanni XXIII; infine, il rinnovamento richiesto dal secondoConcilio vaticano, attuato soprattutto con i libri riformati di Paolo VI. In questa pre-messa, dunque, la lettera apostolica resta nella prospettiva propria del diritto cano-nico che rifugge nel pensare il legislatore come sciolto dai vincoli del sistema.Finita la disamina storica che giunge fino a Giovanni Paolo II, si trova un’avver-sativa: dopo il “ma”, la lettera espone non la persistenza di un problema (come siera detto nel 1984, supra) ma rileva che esiste “l’adesione con tanto amore ed affet-to alle antecedenti forme liturgiche”: si viene così al rito antico, ricordando ledisposizioni precedenti sulle quali ci siamo sopra intrattenuti. Accediamo allaparte dispositiva della lettera apostolica.

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L’articolo 1, è forse dal punto di vista delle implicazioni di sistema, il più denso.Posto che esiste un’ unica lex credendi nella Chiesa, il legislatore deve constatareche dell’unico rito romano esistono oggi un uso ordinario ed un uso straordina-rio, il primo creato da Paolo VI, il secondo trasmesso dall’antichità e attestatosiultimamente nei testi aggiornati da Giovanni XXIII.Sull’espressione più antica, definita straordinaria, del rito romano, il Ponteficespende queste parole: “deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venera-bile ed antico”, che sembrano richiamare simile formula della SacrosanctumConcilium21.La parola uso non ha un carattere tecnico in diritto canonico: essa ricorda quellavicina per sostanza di consuetudine, ma quest’ultima è una fattispecie complessache è parte del sistema delle fonti del diritto, è cioè un modo di produrre norme22.Per tale ragione, dobbiamo forse ritenere che la parola uso applicata al rito roma-no sia tratta non tanto dal diritto canonico, quanto dalla scienza liturgica. Perquesta, un insieme di atti e parole ordinati alla celebrazione di un sacramentocostituiscono un rito (rito della confessione , rito dell’ordinazione etc). Con la stes-sa parola, si intende talvolta un corpo autonomo di tali regole: rito ambrosiano,rito lionese. Tuttavia, la storia della Chiesa ci mostra rituali applicati in alcuniluoghi e conservati fino a tempi recenti che non sono realmente autonomi dal ritoromano ma che introducono alcune variazioni minori (un esempio è forse il mes-sale coloniese oppure l’uso patriarchino). Sembra possibile accostare a tale situa-zione la formula “due usi di un unico rito” che troviamo nella lettera apostolica.Segue immediatamente la dichiarazione: “perciò è lecito celebrare il sacrificiodella Messa secondo la tradizione tipica del Messale romano….promulgato daGiovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato”. Sembra necessario chiarire, perché inte-ressati dubbi sono stati sollevati che questo accertamento delle fonti è dichiarati-vo e non costitutivo e viene a porre un suggello di interpretazione autentica sullavexata quaestio. Lo stesso articolo dichiara abrogate le norme precedenti e pone lanuova disciplina in coerenza con gli accertamenti di fatto e di diritto appenaesposti.L’articolo 2, trae le conseguenze del diritto oggettivo (legge vigente) accertatonell’articolo 1 e interviene sul diritto soggettivo del singolo sacerdote in ordinealla forma rituale. Viene esaminata la situazione della c.d. Messa senza il popo-

21 Sacrosanctum Concilium, §4, ed. cit, p. 100: infine il sacro Concilio, in fedele ossequio alla tradizione,dichiara che la santa Madre Chiesa considera su uno stesso piano di diritto ed onore tutti i riti legittima-mente riconosciuti e vuole che in avvenire essi siano conservati ed in ogni modo incrementati ecc..

22 Meriterebbe studiare se la situazione verificatasi dopo il 1970 non integri gli estremi di quella con-suetudine che costituisce in capo ai suoi fruitori, un diritto originario all’antico rito (prescrizioneacquisitiva). È però analisi che trascende i limiti di questa esposizione.

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lo23. In questo caso, trattandosi di pura esplicazione della potestas sacrificandi provivis et pro mortuis che consegue all’ordinazione presbiterale, viene chiarito che ilsacerdote non ha bisogno di alcun permesso per celebrare il rito straordinario. Corollario di questo principio appare anche il paragrafo 3 dell’articolo 9, che per-mette a tutti i chierici di usare il Breviario romano del 1962. Nello stesso senso,ma in questo caso in relazione al bene delle anime, si pone il paragrafo 1 dell’ar-ticolo 9, che dà licenza al parroco di usare il rituale più antico per i sacramenti delbattesimo, del matrimonio, della penitenza, e dell’unzione degli infermi. Agliordinari, sempre quale corollario, a nostro avviso, dei principi fissati nell’articolo1, è concessa la facoltà di celebrare il sacramento della confermazione secondol’antico Pontificale romano. La collocazione di tali norme nell’articolo 9, nella parte relativa alla cura fideliumnelle forme del rito antico, sembra dovuta al fatto che tali sacramenti si esercita-no necessariamente verso altre persone e, per il Breviario, che non tutti i chiericisono costituiti in sacris24.Tornando all’articolo 2, merita di essere notato che tale diritto è dichiarato ancheper i sacerdoti regolari ovvero appartenenti ad ordini o congregazioni religiose (iltesto dice “religiosi”): ciò è particolarmente opportuno perché per la professionedel voto di obbedienza, il regolare è tenuto in certa misura ad abdicare all’eserci-zio dei propri diritti soggettivi. Appare perciò utile, sia sul piano ascetico sia sulpiano disciplinare, l’espressa menzione dei sacerdoti in tale stato di vita.Un’ulteriore implicazione è stata di recente dedotta dalla Commissione EcclesiaDei, che ha precisato come esista il diritto dello studente dei seminari ad essereformato e apprendere il rito straordinario. Ciò è coerente con il quinto capoversodella lettera accompagnatoria del Pontefice ai vescovi, ove, nel descrivere la realeentità del fenomeno, egli segnala come il numero dei fedeli in concreto interessa-ti al rito antico possa risultare contenuto per la necessità di una certa precedenteformazione.L’articolo 3, in materia di comunità di regolari (monasteri, conventi, case religio-se di diritto pontificio o diocesano) ipotizza due casi: la celebrazione della Messaconventuale o comunitaria a titolo saltuario; la stessa celebrazione fatta “spesso,

23 La dizione missa sine populo non indica una celebrazione solitaria e ciò per due ragioni. La primaè che il rito è intrinsecamente dialogico e suppone dunque un ministro oltre al celebrante. Laseconda è che la celebrazione di un rito è per sua natura atto pubblico della Chiesa anche se peraccidens avvenga senza assistenza. La presenza o l’assenza di fedeli deve riferirsi perciò alla desti-nazione universale di quella specifica cerimonia: si tratta, a nostro avviso, delle messe diverse daquelle cd tabellari che le parrocchie e le cattedrali celebrano ad ore prefissate perché i fedeli pos-sano prevedere quando assistervi.

24 L’obbligo della recitazione del breviario per i chierici della chiesa latina sorge oggi con il diacona-to, ed esso non sussiste più neanche per gli attuali suddiaconi, ordinati con l’antico Pontificale,che un tempo vi erano astretti.

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abitualmente o permanentemente”. Nel primo caso esiste libertà e non occorronoprovvedimenti dei superiori. Nel secondo caso, la decisione deve essere presa daisuperiori maggiori: questi ultimi sono i superiori provinciali e gli abati presidi (c.620). Questa differenziata disciplina permette ad ogni famiglia religiosa di costituireuna casa ove il rito antico sia un’opzione praticata e desiderata; sembra di poter-vi ravvisare l’idea di un’opportuna valorizzazione della specificità spiritualedella tradizione romana.L’articolo 3, non riguarda invece le famiglie religiose o le società di vita apostolicache sono state istituite dalla Commissione Ecclesia Dei le quali hanno come ritoproprio quello che oggi si chiama rito straordinario e dove semmai la questione sipone in termini reciproci, ovvero come possibilità per il sacerdote ed il chierico lìincardinato, in applicazione dell’articolo 2, di celebrare il rito nuovo (ordinario). L’articolo 4, costituisce uno snodo all’interno del documento: si passa dai dirittisoggettivi dei sacerdoti e di alcune persone giuridiche di diritto canonico, al dirit-to alla prestazione sacramentale o rituale da parte dei battezzati cattolici. Questaè la parte più dettagliata perché in buona sostanza riguarda la più gran parte deisoggetti e degli organi della gerarchia. La struttura dell’articolo induce a ritenere che per le Messe in rito straordinarionon destinate in via ordinaria alla presenza di fedeli, si sia dato un diritto ai fede-li di potervi assistere a domanda (l’inciso “possono essere ammessi” accorda unafacoltà ai fedeli che lo chiedano, non solo all’amministrazione ecclesiastica inte-ressata). Il riferimento alle “norme di diritto” salvaguarda le necessità di tipogenerale (si pensi alle chiese degli antichi ordini religiosi esenti, dove si continua-va a dire Messa anche in tempo di interdetto, ma a porte chiuse) ed anche le spe-cifiche condizioni di alcuni istituti religiosi (oratori collocati nella clausura, cap-pelle in conventi non aperti ai fedeli, ecc.).Fra le norme da ricordare, vi è anche il divieto di messe private durante il TriduoSacro: poiché nel documento vi si faceva riferimento all’articolo 2, si è volutosostenere da taluno che ciò vietasse le relative cerimonie nel rito romano antico,ma la notificazione 4 febbraio 2008 della Segreteria di Stato, sulla orazione proIudaeis nel Venerdì Santo ha privato di fondamento tale interpretazione. Nella lettera accompagnatoria, il Pontefice accenna ad “aspetti sociali indebita-mente vincolati alla attitudine dei fedeli legati all’antica tradizione” ma, ancheparla della necessità di “giungere ad una riconciliazione interna nel seno dellaChiesa” perché “ nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessunarottura”. Sempre nella lettera accompagnatoria il Papa incita i vescovi a quel quidpluris di spirito, che la norma non può produrre; nella stessa lettera accompagna-toria, vi è l’invito ad esercitare una vigilanza perché tutto si svolga in pace e sere-nità, e ad inviare un rapporto dopo tre anni. Nella lettera apostolica, troviamo invece le specifiche norme: queste ultime sonocerto di maggior tranquillità, poiché l’esperienza ha mostrato che gli inviti di

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Giovanni Paolo II ad una considerazione larga e generosa non hanno trovato moltaeco nell’episcopato mondiale. L’intendimento del Pontefice, coerente con il riconosciuto diritto al rito antico, èstato quello di porre la relativa questione pastorale eminentemente nelle mani del“clero del secondo ordine” come si diceva nelle costituzioni gallicane. Gli artico-li 5, 6 e 7 esplicitano chiaramente che la ratio legis è questa. Essa appare coerentecon il principio di sussidiarietà che ispira l’ordinamento della Chiesa: in via ordi-naria la cura d’anime è svolta dal parroco25 ed è a quest’ultimo che il Ponteficeaffida l’esecuzione de plano del motu proprio.Muovendo dal testo si possono ricostruire due ipotesi: l’esistenza di un gruppostabile in una parrocchia o l’esistenza di un certo numero di fedeli in ambito piùvasto, ad esempio diocesano. Nel testo definitivo della lettera apostolica all’arti-colo 5, comma 1, si legge: “Nelle parrocchie in cui esiste stabilmente (stabiliter) ungruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolgavolentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito delMessale romano edito nel 1962”. Nel testo diffuso in precedenza, si trovava inve-ce l’avverbio continenter, che letteralmente vuol dire ‘ininterrottamente´ e chepoteva far erroneamente pensare che un gruppo di fedeli avesse diritto allaMessa in rito antico solo se si fosse costituito stabilmente già prima della pubbli-cazione del motu proprio e non in conseguenza di esso.Nel primo caso, dice l’articolo 5, paragrafo 1, il parroco accolga volentieri le lororichieste, armonizzando questa attività con le altre esigenze della parrocchia e coni poteri del vescovo. Il richiamo al canone 392 è piuttosto suggestivo: esso faobbligo al vescovo di spingere (urgere) all’osservanza delle leggi ecclesiastiche evigilare per evitare abusi, specie nella disciplina sacramentale. La formula al congiuntivo, nel linguaggio canonico, non ha solo la forza di con-siglio ma crea un obbligo di accogliere la richiesta, dalla quale il parroco si puòscusare, a nostro avviso, solo adducendo il proprio diritto a celebrare il ritonuovo: egli non può, invece, estinguere in via discrezionale il diritto dei fedelialla propria cura pastorale.Precisiamo, super materiam, che il paragrafo 4 dello stesso articolo 5, dopo che il§3 ha disposto che il parroco permetta per i sacerdoti e i fedeli che lo chiedanocelebrazioni del rito antico in circostanze particolari ( matrimoni, esequie), pre-cisa che i sacerdoti che usano il messale antico devono essere idonei e nonimpediti.Quest’ultima condizione è comune a tutti per qualunque rito ma la prima (idonei,apti) discende dalla possibilità odierna che i sacerdoti non sappiano la lingua lati-

25 CIC, c. 519, ed. cit. p. Parochus est pastor proprius paroeciae sibi commissae…ut pro eadem communita-te munera exsequatur docendi, sanctificandi et regendi…

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na26 o più facilmente che, non conoscano come celebrare un rito ormai rarefatto.Questo paragrafo ha dato origine a qualche confusione: taluno non ha considera-to che la norma è posta come parte dell’art. 5, e la necessaria inidoneità del cele-brante vi è collegata alla vigilanza del parroco e del vescovo: la previsione è statousata in talune diocesi per negare le celebrazioni in base ad una supposta impre-parazione dei preti. Lo stesso si è detto dei laici interessati ed in un caso italiano,si è addirittura negata l’esistenza dei caratteri di stabilità e preparazione ad unaconfraternita di culto.Dunque, in via generale è rimesso al parroco di provvedere a questa specificacura, con l’offerta anche quotidiana nei giorni feriali delle Messe in rito antico edi una sola Messa in rito antico la domenica e nelle feste di precetto.Le stesse facoltà e compiti sono attribuite ai rettori delle chiese non parrocchiali(articolo 5, pgfo 5).Rispetto a quella che la lettera apostolica considera la situazione ordinaria, pos-siamo individuare due diversioni: l’impossibilità di offrire la prestazione neisensi dell’art. 5; una diffusione dei fedeli più rarefatta o più estesa, che non siesaurisca nell’ambito di una parrocchia.In ordine alla prima situazione, gli art. 7 e 8, in base al principio di sussidiarietàrimandano prima al vescovo del luogo, e quindi alla pontificia CommissioneEcclesia Dei. Sul presupposto implicito in ogni parte del sistema giuridico, che lagerarchia dia applicazione alle leggi, la lettera prevede il caso in cui il parroconon voglia celebrare il rito antico, e che il vescovo non possa rimediare alla situa-zione. Al riguardo, il testo in origine diffusa portava non potest, mentre il testodefinitivo dice non vult. Questa scelta evidenzia un problema, perché se alcunecondizioni di fatto possono rendere impossibile al vescovo garantire il rito anticoin qualche remota diocesi, non si comprende il rilievo accordato ad una volontànon altrimenti precisata che appare essere in contrasto con la legge.Per la seconda situazione, ci sembra particolarmente appropriato il disposto del-l’art. 10, che permette all’ordinario (diremmo meglio gli indica la strada, cheanche prima era possibile) di costituire una parrocchia personale o di nominareun cappellano.La parrocchia come sappiano, è in genere territoriale ma esistono parrocchie per-sonali i cui fedeli sono individuati in base al rito alla lingua o alla nazionalità (c,518). Nelle città metropolitane iniziano anche in Italia a costituirsi parrocchie per-sonali, a causa della grande immigrazione avvenuta di recente.Il cappellano, per il c. 564, è il sacerdote al quale è attribuita la cura pastoraleanche non totale di un gruppo specifico di fedeli.Pare perciò contemplato dalla lettera l’intero arco di strumenti giuridici che gra-duano la cura d’anime, ed infatti la lettera si conclude con gli art. 11 e 12 che risal-

26 Il che avviene contro la vigente disciplina: CIC, c. 249, ed. cit. p.210.

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gono all’ultima istanza costituita presso il romano Pontefice e rappresentata dallaCommissione Ecclesia Dei.

§7 La relazione fra libertà umana ed atti regolamentati ha sempre costituito e sem-pre costituirà un momento critico del diritto, laddove esso disciplina in modouniforme situazioni che sub specie appaiono eguali, mentre nel concretizzarsi insingoli fatti storici si arricchiscono di particolarità tanto diverse da sembrarecome forzate dalla norma.L’ordinamento canonico, per quelle particolari caratteristiche che abbiamo inparte elucidate all’inizio, ha forse più strumenti rispetto ad un ordinamento sta-tuale per contemperare i due corni del dilemma. In particolare, esso ha la consa-pevolezza di essere esteso a tutta l’umanità ricevuta nella Chiesa, e dunque diriunire in se sensibilità assai lontane; e dall’altro di doversi rendere strumento diuna giusta convivenza nella comunione, onde non mai estinguere quella carità,anche languente, la quale sola permette la salus animarum. È un modo di essereche si può allontanare molto dalle esigenze di effettività che più da presso siimpongono agli ordinamenti temporali, soprattutto statuali, e che ritrova inveceanalogie in quelle grandi costruzioni dello spirito umano che sono la Res Romanae il jus commune. Nella vicenda del tramonto apparente del rito antico nella vita della Chiesa, rico-nosciamo quella sapienza che seppe consigliare la bulla servatoria a papa MartinoV27.A qualche mese dalla vigenza della lettera apostolica Summorum Pontificum,appaiono non revocabili in dubbio le situazioni giuridiche soggettive collegate alrito antico.È invece ancora problematico il pacifico recepimento nell’amministrazione dellechiese locali, spesso indicata con il nome di prassi pastorale, ove la crisi di legalitàche esiste all’interno dell’ordinamento canonico28, non diversamente che in ognigrande amministrazione, si rende palese.Onestà impone di porre però in evidenza una grande difficoltà culturale che inogni caso i pastori si trovano ad incontrare.La celebrazione del rito antico male s’incontra con il prassismo dell’immagineche domina il presente momento e con la scarsa percezione (questa volta comu-ne a fedeli e pastori) dell’orientamento proprio dell’azione di culto: il carattere

27 Si tratta della costituzione apostolica 10 maggio 1418, relativa a deliberazioni del concilio diCostanza.

28 Fra i tanti esempi, affini alla nostra materia: dichiarazioni improprie di vescovi, rifiuti espressi diriconoscere la legge vigente, inosservanza di norme rituali, anche nelle cattedrali e da parte deivescovi, leggerezza nell’adempimento ai doveri di stretta giustizia, ad esempio in materia di sti-pendia missarum, e di precisione nell’insegnamento della dottrina cattolica, eccetera.

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contemplativo che regge il culto antico non soddisfa la vocazione all’agire agita-to che ispira spesso le assemblee domenicali delle parrocchie. La voluttà delmutamento che segue all’instabilità di spirito, mostra soprattutto la sua gravitànella materia rituale, ma proprio per questo, una controtestimonianza apparireb-be feconda, oltre ché urgente, ed essa potrebbe ben discendere dalla diffusionedel rito antico e dalla sua conoscenza.Il rimedio ha bisogno di tempo e di incisiva azione culturale, così come (ripetu-tamente raccomandata del resto dai Pontefici) ne ha bisogno una formazione delclero che lo allontani dagli idola fori cui oggi pare doversi bruciare l’incenso.È, invero, un problema di sempre.“Non celebrate il culto secondo il vostro gusto: per cosa guardate allora gli antichi scrit-ti ed i rituali che sono in vostra mano, coma materia di studio per i vostri bambini?”: que-sta è parte di un’iscrizione del tempio di Edfu, il maggiore attivo nell’Egitto tole-maico29.Ed ancora, così doveva raccomandarsi san Gregorio Magno, nella sua epistolasinodale: Nam tunc sacerdos irreprehensibiliter graditur, cum exempla patrum praece-dentium indesinenter intuetur, cum sanctorum vestigia sine cessatione considerat, etcogitationes illicitas deprimit, ne extra ordinis sui limitem operis pedem tendat...30

Il paganesimo di Edfu si è spento, ma il monito di san Gregorio è tornato a sen-tirsi nella Chiesa.

Riccardo Turrini Vita

29 Testi religiosi egizi, UTET, Torino, 1970, p. 566.30 Registrum epistularum Gregorii Magni, Ep. I, 24, in ed. Dag Norberg, vol. I, Città Nuova Editrice,

Roma 1996, p. 150. Ringrazio il consocio dr. Maurizio Reina, dottore di ricerca in teoria generalee ordine del diritto europeo, per la pregiata segnalazione.

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§ 1. La musica nei popoli della Bibbia:Mesopotamia ed Egitto.Le radici della tradizione biblica affon-dano nel fertile terreno della culturamesopotamica.La musica fa la sua apparizione in epocamolto antica, poco dopo la creazione delmondo, con la pastorizia e la lavorazio-ne del bronzo e del ferro. Nella regionedella più antica civiltà mesopotamica,quella sumerica, le relazioni fra musica edivinità appaiono strette. Circa le più antiche testimonianze musi-cali dell’antichità, ricordiamo le tavolet-te d’argilla sumeriche rinvenute adUruk (ca. 3000 a.C.), in cui compare ilsegno pittografico che indica la tipicaarpa sumerica a forma di barca; la primarappresentazione figurativa di questostrumento si trova su un sigillo da

Chonga Mish (nell’odierno Iran meri-dionale), risalente circa al 3200 a. C. Un esemplare autentico, unitamente anove lire ornamentali e a una serie diflauti d’argento, fu rinvenuto ad Ur – lacittà originaria di Abramo, secondo latradizione – nelle tombe reali della regi-na Pu-Abi e del suo seguito (ca. 2650a.C.). Un pannello intarsiato che avevadecorato una delle lire mostra un’orche-stra di animali, motivo folklorico diffusonell’antichità, che comprendeva unasino che suona la lira, un orso che cantabattendo le zampe e uno sciacallo chetiene il tempo con un sistro e uno stru-mento a percussione. Alla fine del IIImillennio l’esistenza di una tradizionemusicale sumerica ben sviluppata è atte-stata in modo ancor più diretto dalladocumentazione letteraria, che include

La musica nella Bibbia e nei padri della Chiesa.

Genesi e lineamenti della prima musica cristiana.

di GIUSEPPE PINARDI1

1 Il consocio Giuseppe Pinardi, dottore il lettere classiche, dottorando di ricerca in scienze dell’an-ticihità classica e cristiana presso l’università degli studi di Foggia, è tesoriere di Una Voce Roma, Conil presente contributo, egli vuole offrire un sincero ringraziamento alla corale UNA VOCE in Romaper l’attività svolta nel corso degli anni a favore del canto gregoriano e a difesa della S. Messa in ritoromano antico. A tutti i componenti, che nel tempo in essa si sono succeduti, lasciando un preziosocontributo sia mediante la loro fattiva e generosa disponibilità alla pratica musicale, sia per unamigliore conoscenza del patrimonio musicale gregoriano in Italia, giunga la sua rinnovata e profon-da gratitudine.

A questa dedica dell’articolo, volentieri si unisce la redazione del Bollettino e, per desiderio par-tecipatoci del presidente nazionale, tutta l’associazione italiana.

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raccolte di inni divini, inni dedicati atempli ed inni dedicati o rivolti ai redella III dinastia di Ur: in tali inni sonocontenuti numerosi termini musicali. Ancor di più si sa sulla musica assira ebabilonese nel II e nel I millennio. Lerappresentazioni artistiche, e in partico-lare i bassorilievi assiri del I millennio,raffigurano infatti una varietà di stru-menti, e nelle scuole scribali si compila-vano liste alfabetiche di nomi di stru-menti. Un vasto repertorio di inni,lamentazioni e litanie liturgiche trasmet-te informazioni circa l’uso del canto nelrituale religioso, e ciò in particolare perquei testi che recavano intestazioni indi-canti il loro genere o il loro scopo, o lanatura del loro accompagnamento o delmodo di eseguirli. Sembra che inMesopotamia la musica sacra e di cortevenisse eseguita o diretta da famiglie dimusicisti di professione, forse non dissi-mili dalle corporazioni levitiche di musi-cisti di Davide. I musicisti professionistivenivano istruiti nelle scuole dei templi,e furono probabilmente musicisti comeloro a mettere per iscritto, su tavolettecuneiformi risalenti al periodo tra il 800 eil 500 a. C., la teoria musicale mesopota-mica, i cui particolari sono venuti pro-gressivamente alla luce negli ultimidecenni. La ricerca assiriologia e musico-logica ha rivelato inoltre che il sistemamusicale mesopotamico conosceva settediverse scale diatoniche di sette toni, unadelle quali simile alla nostra scala mag-giore; dunque il materiale mesopotamicofornisce documentazione dell’antichitàdella musica occidentale circa 1400 anniprima delle più antiche fonti greche. A Ugarit, in Siria, fu ritrovato un pezzomusicale completo, il cui sistema esplici-

to di notazione fa uso di nomi tecnici diintervalli in accadico, seguiti da segninumerici: si tratta di un inno cultualehurrita dedicato alla dea lunare Nikkal,risalente al 1400 a. C. circa. Nei recintidei templi edificati nel IV millennio a. C.nelle città della pianura mesopotamica,sacerdoti e liturgisti, matematici edastrologi, riuniti in corporazioni, coltiva-vano anche la musica, ossia la cantilena(kalutu), che veniva integrata alle varieliturgie nelle forme dell’inno e delresponsorio, ed era spesso accompagna-ta da strumenti. I bassorilievi mesopota-mici documentano, però, anche una fio-rente pratica di musica profana (scene dicerimonie, feste, banchetti di corte allie-tati da menestrelli e cantatrici). Gli stru-menti testimoniati da reperti o che com-paiono nelle raffigurazioni sono idiofo-ni, membranofoni, aerofoni e cordofoni.I più antichi idiofoni mesopotamici con-servati sono delle castagnette del sec.XXV a .C. provenienti da Ur; a un perio-do successivo appartengono sistri, cam-pane, campanelli, cimbali. All’età sume-rica risalgono pure i membranofoni,come il lilis e l’ub, due timpani di diver-se dimensioni, il balag, un tamburo chedagli ideogrammi si può supporre fossea forma di clessidra, varie fogge di tam-burello. Gli aerofoni più importantidella Mesopotamia erano gli strumenti afiato di legno e di canna: flauti ed oboi didiverso tipo; mentre per quanto concer-ne corni e trombe, ben poche sono leillustrazioni e le descrizioni di cui sidispone. Di grande interesse, dal puntodi vista musicologico, sono soprattuttogli strumenti cordofoni, appartenentialla famiglia dell’arpa e della cetra, sem-pre di origine sumerica. L’arpa (zagsal) si

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presenta di tre tipi: il primo ha la cassa eil manico ricavati da un unico pezzo, ilsecondo, pure arcuato, ha il manicoseparato dalla cassa di risonanza, il terzoha forma angolare, con manico verticaleinfisso in una cassa armonica orizzonta-le. Quest’ultimo tipo diede origine pres-so gli Assiri, intorno al 2000 a. C., adun’arpa angolare con cassa armonicasuperiore, che era praticamente ilmodello di prima capovolto. Varie sonopure le fogge delle cetre, per lo più conle corde raggruppate sul lato dello stru-mento accostato all’esecutore. Lo stru-mento più importante di questa catego-ria era la cetra grande, che in sumerico,con tutta probabilità, era chiamata algar,e dalla quale derivò, intorno al 1800 a.C.,un tipo più piccolo portatile. Documen-tata è altresì una sorta di liuto, chiamatoin sumero pantur, forse ottenuto «stiran-do» in basso il manico curvo dell’arpa acassa inferiore. I cantanti sumeri nonappaiono quasi mai senza strumenti.Le teorie musicali degli assiro-babilone-si dovevano essere intimamente connes-se con le conoscenze astronomiche ematematiche per cui essi andavanofamosi nel mondo antico; e la loroinfluenza non è forse estranea alle con-cezioni cosmologiche della musica (l’ar-monia delle sfere) e ai principi dell’ethosad essa inerente, elaborati da Pitagora.Cercando d’interpretare le testimonian-ze iconografiche, si può supporre che lamusica mesopotamica fosse dapprimapentatonica e più tardi si mutasse ineptatonica: ma non si sa nulla di preciso,se non che, in generale, l’influenza eser-citata dalla cultura mesopotamica equindi anche dalla musica delle civiltàche fiorirono in quest’area, fu grandissi-

ma sul mondo occidentale, come giàriconoscevano Greci e Romani. La cultu-ra della Mesopotamia ha certamenteinfluito sulla musica delle zone arabeconfinanti, dando vita a quella che sipensa essere stata un’altra notevole tra-dizione musicale, quella preislamica deipopoli mediorientali, ed in particolaredell’Arabia e della Persia.Per gli Egizi la musica (chiamata hy,gioia, gaiezza) aveva origine divina ecustode di essa era la casta sacerdotale;non ci sono pervenuti, ma sappiamoessere esistiti, libri contenenti inni reli-giosi e se, sul versante sacro, la musicarispondeva al compito di mistico potereevocatore quale esplicito richiamo almetafisico, nel settore profano soddisfa-ceva pienamente il desiderio di svago,come del resto chiaramente sottintendeil suo stesso nome; agli uffici sacri parte-cipavano uomini e donne, la cui presen-za è attestata a partire dal II millennio a.C., su imitazione del costume orientale,e che accompagnavano il canto spessocon la danza e con il sistro. Anche lamusica egiziana dunque ha una lungastoria, le cui memorie figurate e scritte siestendono dal 3000 a. C. circa fino all’e-poca romana. Dal III millennio a. C.,infatti, il musicista di sesso maschilesembra una figura preminente nellaciviltà egiziana, e la sua attività è con-temporaneamente quella di corista, stru-mentista, e di danzatore. Fatto ancor piùimportante, molti degli strumenti rap-presentati nelle fonti iconografiche omenzionati in quelle scritte si sono con-servati intatti e servono da preziosafonte di dati comparativi per lo studiodegli strumenti mesopotamici comepure di quelli biblici.

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Gli Egizi possedevano infatti un grannumero di strumenti: a percussione,come sistri, cembali e campane di variogenere, caratteristici piedi e mani artifi-ciali di osso, legno o avorio (che veniva-no battuti insieme) come raganelle enacchere, crotali, tamburi di legno e ter-racotta, tamburelli; veri e propri flauti abecco con l’imboccatura a un’estremità,strumenti a fiato ad ancia doppia e adancia semplice del genere sia del clari-netto sia dell’oboe, zampogne, trombeanche d’argento e d’oro, come quellerinvenute nella tomba di Tut’ankhamun(1347-1338 a. C.); strumenti a corde piz-zicate, varie cítare, tra le quali un parti-colare tipo di cetra (kena’na’wr), un liutodal lungo manico (nefer) e arpe di diver-sa foggia; le più antiche poggiavano interra e l’esecutore, a seconda della loroaltezza, suonava stando accosciato, ingi-nocchiato o in piedi. Gli strumenti si riu-nivano anche in piccole orchestre, la cuipratica si basava forse solo su procedi-menti eterofonici: uno strumento esegui-va la sua melodia, gli altri le sue varia-zioni. Come Israele, l’Egitto ha conosciu-to un’improvvisa importazione di stru-menti e di musici stranieri. Quando, nelsecolo XVIII a. C., ebbe assoggettato ilsud-ovest dell’Asia, i re sottomessiinviarono tributi di fanciulle danzatrici ecantanti, con i loro strani strumenti. Inun dipinto della residenza di AmenofisIV ad Amarna si possono vedere, infatti,fanciulle nell’atto di esercitarsi in unharem particolare che il pittore ha lascia-to scoperchiato, come una casa di bam-bole.Sulle sculture e sulle pitture murali egi-zie la musica è, per lo più, collegata conquelle scene in cui gli artisti rievocavano

la vita dei grandi personaggi permostrare e sottolineare le gioie dell’al-dilà. Banchetti con cantanti, suonatori eballerini sono molto più frequenti chenon le cerimonie religiose.Fra gli strumenti principali vi erano learpe, spesso artisticamente adornate.Non sapremmo come erano accordate senon fosse per una sola parola rinvenutanelle Antichità giudaiche di GiuseppeFlavio, storico e generale ebreo, scrittenel I secolo d. C., in cui l’arpa egizianaviene definita «organon trigonon enar-monion» usato dagli arpisti del tempio(hieropsàltai). L’arpa egiziana era dunqueenarmonica. Nell’antico Egitto, tutti icantori solisti rappresentati nei dipinti onei rilievi scultorei, o si accompagnanoda sé o siedono di fronte a un accompa-gnatore ch’essi dirigono con gestiespressivi. Tra i passi biblici in rapporto al popoloegizio è significativo menzionare Es 15,20-21, quando, dopo il passaggio delMar Rosso da parte del popolo ebraico,il Signore, al transito delle armate egizia-ne, fece richiudere le acque del mare,sommergendo «i cavalli del faraone, isuoi carri e i suoi cavalieri» (Es 15, 19).L’esultanza della profetessa Maria,sorella di Aronne e delle donne israelite,manifestata con timpani e cori di danze,testimonia in modo inequivocabilecome, già prima dell’istituzione dellamonarchia, le donne fossero strettamen-te associate alle manifestazioni musicali.La musica dunque è praticata a tutti ilivelli sociali: in origine infatti la praticamusicale è diffusa in particolare fra ilpopolo, che con il canto sottolinea conforza i momenti decisivi della propriastoria; quando poi l’antico modello

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patriarcale viene sostituito dalla monar-chia sorge una nuova organizzazionemusicale, quale è evidenziata dalla pre-senza di musicisti professionisti. Il ruolo rilevante svolto dalla musica sipotrebbe già scorgere nell’esaminare ilrapporto instaurato tra questa e le sva-riate divinità: tutta la intricata simbolo-gia degli animali foggiati sugli strumen-ti musicali, infatti, sottintende un ruolosacrale e magico della musica, e vuoleespressamente riaffermare la convinzio-ne egiziana che nel suono è comunquesempre presente la voce di una divinità.Al suono della voce, herw, è strettamen-te congiunto un altissimo potere evocati-vo: non si sa esattamente come questavenisse impiegata, ma sembra che ogniminima sfumatura vocale avesse un suovalore.Si ha notizia di canti popolari e leggen-dari, tra i quali un millenario cantonazionale chiamato Maneros (Erodoto)ed un Inno delle sette vocali, privi diaccompagnamento. Non risulta che gliEgizi usassero notazione musicale, tutta-via conoscevano la scala cromatica emettevano in relazione la teoria musica-le con l’osservazione astrologica e le dot-trine cosmologiche, associando le settenote con i giorni della settimana e con isette pianeti allora conosciuti.

§ 2. La musica nell’Antico Testamento.Scarsi e lacunosi sono i documentiriguardanti la pratica musicale presso i

popoli dell’antichità. Privilegiato è a talriguardo il popolo ebraico, la cui Bibbia,intesa come Storia dell’aspettazionedella salvezza, costituisce una notevolefonte informativa2. Nonostante, infatti,la nostra conoscenza della musica bibli-ca abbia compiuto progressi grazie allenumerose scoperte archeologiche inIsraele, il suo studio rimane molto ipote-tico in alcune parti. Nello studio dellamusica si è soliti generalmente distin-guere tra due tipi di fonti: una primacategoria, preziosa per lo studio dellamusica nell’epoca veterotestamentaria, èdi ordine letterario, ed è costituitasoprattutto da scritti biblici, cui vannoaggiunti anche la Mishnah, i testi diQumrân, Filone d’Alessandria eGiuseppe Flavio per l’epoca in cui lamusica subì influenze ellenistiche. Unaseconda serie di fonti è di ordine archeo-logico ed iconografico, ad esempio restiautentici di strumenti musicali, e le rap-presentazioni pittoriche di questi ultimio di scene musicali da tutto il mondoantico vicino-orientale e mediterraneo. Ilsuolo della Palestina non è favorevolealla conservazione di strumenti fatti conmateriali organici (tamburi, strumenti acorde), ma ha conservato, ad esempio,cembali di metallo, campanelle, raganel-le d’osso o d’avorio, a cui bisognaaggiungere figurine e rappresentazionisu affreschi, mosaici, ceramica, monete.Una parte della documentazione provie-ne da paesi vicini, dove gli oggetti pos-

2 I testi biblici contenenti importanti riferimenti alla musica in ambito veterotestamentario sono:Gn 4, 21; Es 15; Lv 25, 9; Nm 10, 2; Gs 6, 4; Gdc 7, 16.18-19; 1 Sam 18, 6; 1 Cr 13, 8; 15, 16; 23, 5; 25; 2 Cr20, 28; 35, 25; Esd 3, 10; 1 Mac 9, 39; Sal 68 (67), 26; 137 (136), 1-3; 149, 3; 150; Sir 47, 8-9; Is 5, 12; 16, 10;18, 3; 24, 8; Ger 9, 16-17; Dn 3, 5.15. Nell’ambito neotestamentario: Mt 9, 23.

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sono essere stati comprati (presso iFenici) o giunti come bottino (le trombesull’arco di Tito). La documentazionerelativa alla musica egiziana, inoltre,può fornire elementi interessanti per lacomparazione. Sfortunatamente questidocumenti, se si eccettua – ed è fragile –l’interpretazione di alcuni termini, per-mettono solo uno studio esterno dellamusica biblica, cioè ci informano unica-mente sulla vita musicale, l’atteggia-mento degli ebrei di fronte all’arte musi-cale, gli strumenti (l’organologia). Lostudio interno della musica, al contrario,ossia ciò che essa è in sé, è molto piùproblematico poiché non abbiamo nétrattati né strumenti musicali, e le indi-cazioni antiche che riguardano la letturaritmata dei poemi biblici, soprattutto deiSalmi, sono rare e quasi incomprensibili.Le tracce che la musica biblica potrebbeaver lasciato ulteriormente poi, possonoessere studiate solo con molta prudenza,trovando un aiuto prezioso nell’etnolo-gia musicale o etnomusicologia. Il popo-lo ebraico si distingue principalmente intre grandi gruppi: gli Orientali, nelMedio Oriente; i Sefarditi, in tutto ilMediterraneo; gli Askenaziti, nel restodell’Europa. L’antica eredità è conserva-ta meglio nella liturgia degli ebrei orien-tali che hanno vissuto senza interruzio-ne nel Vicino e nel Medio Oriente e chemai hanno permesso a melodie profanedi entrare nella sinagoga e ai loro canto-ri d’improvvisare. In un punto impor-

tante, tuttavia, gli ebrei orientali si com-portano diversamente non soltantodagli antenati ma dalla maggioranza deicantori arcaici: il loro canto liturgico èprivo di accompagnamento.La sensibilità musicale del popolod’Israele, nel complesso, è contraddi-stinta da una concezione piuttosto ele-mentare in cui il canto, la musica stru-mentale e la danza costituiscono uninsieme unitario, in quanto espressionidi vita della comunità. L’alto valore nonmeramente simbolico attribuito allamusica nell’antico Israele si manifestacon chiarezza fin dal primo passo dellaBibbia nel quale si fa riferimento all’e-spressione musicale: a partire da Iubal,discendente di Caino e figlio di Lamech,fino all’entrata di Gesù in Gerusalemmela settimana avanti la Pasqua dell’anno33 d. C., un’effervescente citazione distrumenti, di forme, di soggetti, di esor-tazioni, di applicazioni ci illustranoabbastanza la musica di questa civiltàmediterranea. Iubal3, consideratol’«inventore» della musica organizzò ilcanto corale, i cui esecutori adottarono ilnome patronimico di Kayna, ossiaCainiti in quanto discendenti di Caino.E’ importante notare come nonostante laSacra Scrittura condivida nel suo esor-dio l’associazione tra il gesto creatore e ilsuono della parola, per il mondo ebraicola musica rimane più semplicementelegata a fattori umani, per di più connes-si alla maledizione di Caino, che ricade

3 Il fratello di Iubal il pastore Iabal, a sua volta, è emblematico dell’inizio dell’economia pastora-le nomadica (Gn 4, 20), mentre il terzo fratello Tubalkain rappresenta l’arte di lavorare i metalli (Gn4, 22). I nomi di Iubal e Iabal, che evocano la stessa radice, potrebbero essere rapportati a yôbel, “arie-te”, “corno d’ariete”.

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sulla sua progenie, nella caso specificoIubal (Gn 4, 21). La musica fu senza dub-bio adoperata a perfezionare il canto e aregolare la danza, infatti spesso ad essi èassociata; parte attiva specie nelladanza, prendevano le donne. A Iubal si attribuisce anche l’invenzionedi vari strumenti musicali, quali il kinnore lo ‘ugab. Nell’antico Israele la musicaveniva impiegata sia nelle cerimoniecultuali sia in quelle private e, sulla basedi alcuni testi biblici4, essa talora avevaanche un effetto terapeutico. I riferimen-ti al piacere popolare della musica sonodiffusi nella più antica storia biblica.Alla musica «profana» veniva ricono-sciuto un importante ruolo nella vitaquotidiana, durante le feste di addiooppure di ritorno a casa, nella guerra,con canti marziali5, nell’arte terapeutica,nell’estasi, durante le feste e i matrimoni(2 Sam 19, 36; Is 24, 8; Qo 2, 8; 1 Mac 9, 39)e ancora come intrattenimento (Is 5, 12assicura che la passione per la musica,unita all’eccesso di vino, distolgono daDio alcuni gaudenti oziosi), oppureancora in circostanze luttuose comemusica funebre. La musica era altresìimpiegata nell’incoronazione dei re (2Sam 15, 10; 1 Re 1, 40; 2 Re 9, 13; 11, 14) epresso i cortigiani fa ugualmente partedei mezzi di seduzione (Is 23, 16); si can-tava inoltre in occasione del lavoro dellamietitura e della vendemmia (Is 16, 10;Ger 31, 4): si pensi ai canti o alle cantile-

ne di lavoro, come per esempio quelladegli scavatori di pozzi (Nm 21, 17-18),quella delle sentinelle (Is 21, 12) e quelladei pigiatori d’uva (Ger 25, 30; 48, 33). Tutta la vita degli Ebrei, orientata versoDio, viene dunque messa in rapportocon la musica e la cessazione di quest’ul-tima è un segno di desolazione: durantel’esilio di Babilonia (Sal 137, 2) ad esem-pio ed alla fine dei tempi (Is 24, 8-9). Lamusica sacra e profana dunque, rivesti-va nella vita della gente dell’epoca bibli-ca un ruolo non inferiore a quello cheriveste al giorno d’oggi: essa conferivasolennità alle celebrazioni nazionali,coraggio ai soldati, vitalità al lavoro e aldivertimento, conforto nei momenti ditristezza, ispirazione nell’espressionedella religiosità. A puro titolo informativo si fornisce quiun’elencazione dettagliata dei passibiblici in cui si fa riferimento ai generimusicali della musica profana nell’anti-co Israele, con l’enunciazione del rispet-tivo genere: Canti di guerra e di trionfo: Es15, 1 ss.; Es 15, 21; Gdc 5, 1 ss.; 1 Sam 18,7; 2 Cor 20, 21; Is 14, 4; Canti funebri elamenti: 2 Sam 1, 18 ss.; 2 Cr 35, 25; Sal 12;44; 60; 74; 79; 80; 83; 85; 106; 123; 129;137; Ger 9, 18 ss.; Lam 1-5; Ez 27, 32 ss.;28, 2 ss.; Ballate e danze: Es 32, 17 ss.; Gdc11, 34; 21, 21; 1 Sam 18, 6 s.; 2 Sam 6, 5.14s.; 1 Cr 13, 8; 15, 29; Canti per le feste: Is 5,12; 16, 10; Am 6, 5; Epitalami e canti d’amo-re: Sal 45; Ger 7, 34; 25, 10; 33, 1; 1 Mac 9,

4 1 Sam 16, 23.5 Ballate eroiche dal carattere guerresco erano probabilmente messe per iscritto nel perduto

“Libro delle guerre del Signore” (Nm 21, 14) e nel “Libro del giusto” (Gs 10, 13; 2 Sam 1, 18). Esse veni-vano senza dubbio eseguite da cantori e da bardi itineranti (cfr. Nm 21, 27-30): i canti generalmentecelebravano qualche trionfo militare, ma non mancano le canzoni composte per gli eroi caduti, sipensi ad esempio al commovente lamento di Davide per Saul e Gionata (2 Sam 1, 19-27).

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39; Canti di lavoro: Nm 21, 17 s.; Is 5, 1 ss.;9, 2; Ger 25, 30; 48, 33; Musica nella vitaquotidiana: 1 Sam 16, 18; Qo 2, 8; Is 23, 16. Sul carattere della musica nell’anticoIsraele è possibile oggi solo congettura-re. Lingua, poesia e lirica non possiedo-no ancora una propria metrica, almenosecondo la nostra concezione modernadel termine: la musica serve quindi altesto quale strumento interpretativo,analogamente alla funzione dell’inter-punzione per la scrittura. Il testo nonviene musicato dall’esterno, ma assumeuna configurazione musicale. Comepresso i Greci avviene una stretta sim-biosi tra musica e lingua, in contrapposi-zione ad una concezione occidentale chevede una separazione di questi dueambiti. Poiché non esisteva presumibil-mente alcun sistema di notazione, lamusica veniva tramandata oralmente digenerazione in generazione. Alcuni tito-li di salmi (ad es. Sal 57; 58; 59; 75) fannoriferimento a particolari modelli melodi-ci (modi), paragonabili al principio del

maqam dell’ambiente culturale arabo-persiano o al principio indiano dei raga.Largo impiego trovarono nella musica ebrai-ca strumenti a percussione di ogni genere,mentre i rari strumenti a fiato ebbero nell’usouna precisa destinazione, come le trombe inguerra e i corni nelle cerimonie religiose.Questi ultimi, benché emettenti suoni definitie organizzati, non servirono che di accompa-gnamento. Assai raramente gli strumenti menzio-nati nella Bibbia vengono descritti nellaloro forma e struttura. Oggi tuttavia,sulla base di comparazioni con strumen-ti simili che trovano impiego in culturelimitrofi, per quanto concerne l’organo-logia, ossia lo studio degli strumenti, èpossibile avanzare una ripartizione infamiglie dei vari strumenti musicali siasulla base di documentazioni qualimonete, rilievi parietali, dipinti su vasi,sia in base ad osservazioni etimologiche. Una prima classificazione è individuabi-le per quanto riguarda gli strumenti acorda: il kinnor6 (lira o cetra a più corde:

6 È il primo strumento musicale di cui viene fatta menzione nella Bibbia e viene normalmenteidentificato con la «cetra» (Gn 4, 21). È menzionato quarantadue volte. Si tratta dello strumento conil quale si accompagnava Davide: una lira composta da più corde (da cinque a nove corde?), proba-bilmente di origine assira, di forma rettangolare o trapezoidale a due bracci, spesso di lunghezzadiversa e ricurvi, congiunti alla sommità da una traversa; le corde, diversamente da quelle dell’arpa,erano all’incirca della stessa lunghezza. Questo strumento era popolare in tutto il Vicino Oriente, e iltermine stesso che lo indica compare nei vocabolari cuneiformi dell’antica Ebla in Siria (2400 a. C.) enei testi assiri, hurriti, hittiti, ugaritici ed egiziani. La raffigurazione di un suonatore di kinnor su unintarsio cananeo in avorio proveniente da Meghiddo mostra che lo strumento veniva portato sotto ilbraccio sinistro e suonato con la mano destra o con un plettro. In genere lo strumento trovava impie-go in circostanze gioiose e di festa (1 Sam 10, 5; Gb 21, 12) ed aveva un suono «melodioso» o «dolce»(Sal 81, 3). Non vi sono attestazioni dell’uso di kinnor durante i funerali. È lo strumento in cui Davideeccelle e che è stato chiamato “l’arpa del re Davide”. Esso tuttavia sembra appartenere piuttosto altipo della chitarra o della lira (analoghi ai tipi riscontrabili in Assiria ed in Egitto). L’elegia di Davidesu Saul e Gionata (2 Sam 1, 17 ss.) non viene accompagnata da nessuno strumento e la musica tace-va quando non vi era gioia (ad es. Sal 137, 2). Allo stesso modo, i profeti avvisano che «è cessata lagioia della cetra» (Is 24, 8) e che «non si udrà più il suono delle tue cetre» (Ez 26, 13), quando il giu-dizio di Dio scenderà sugli uomini. Anche i notabili ed i ricchi del paese erano soliti suonare il kinnor

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Gn 4, 21); il nebœl7 (arpa triangolare; 1Sam 10, 5; Is 5, 12); ‘asor o nebœl (arpa adieci corde, salterio; Sal 33, 2; 92, 4; 144,94); sabbeka’8 (piccola arpa a quattrocorde, arpicordo: Dn 3, 5.7.10.15). Un

secondo raggruppamento è discernibilenegli strumenti a fiato: ‘ugab9 (flauto,strumento a fiato: Gn 4, 21; Gb 21, 2; 30,31; Sal 150, 4); halıl10 (strumento similead un oboe, zufolo: 1 Sam 10, 5; 1 Re 1,

durante le loro bevute (Is 5, 11 s.; Am 6, 5 s.). Il kinnor diventerà inoltre il principale strumento del-l’orchestra del secondo Tempio.

7 È menzionato di frequente nella Bibbia (ad es. 1 Sam 10, 5), e generalmente può essere conside-rato come una sorta di arpa angolare. La traduzione greca della Bibbia utilizza principalmente il ter-mine psalterion (salterio), con il quale si intende uno strumento che viene pizzicato (psallo) con le dita.Le numerose raffigurazioni di strumenti simili all’arpa provenienti dall’ambiente circostante hannodato luogo alle più svariate interpretazioni degli studiosi. Secondo alcuni (E. Gerson-Kiwi e C. Sachs)esso appartiene alla famiglia dell’arpa, secondo altri (B. Bayer) è invece una lira di grandi dimensio-ni. Il nebœl, costruito con legno di cipresso ed in seguito con legno di sandalo, era uno strumentotubolare ricurvo di diverse dimensioni, la più grande delle quali può essere considerata come unasorta di strumento di registro basso. Esso viene sempre menzionato insieme con la cetra ed è presu-mibile che fosse una specie di arpa ad angolo con la cassa di risonanza verticale, quale spesso la sitrova raffigurata nei rilievi assiri del II millennio a. C., oppure un altro genere di cetra con una cassadi risonanza dall’insolita forma di otre, nota solo attraverso raffigurazioni su monete dell’epoca diBar Kochbah (132-135 a. C.). Il temine ‘a sor, derivante da una radice lessicale che significa «dieci»,compare in tre passi della Bibbia assieme al nebœl (Sal 33, 2; 92, 4; 144, 9), lasciando supporre che sitrattasse di un’arpa a dieci corde oppure di una chitarra di tipo fenicio. In Sal 92, 6, tuttavia, i due ter-mini vengono distinti nettamente e ciò d’altro canto lascia pensare che si possa trattare di due stru-menti differenti. Il vocabolo minnîm (Sal 150, 4) indica più esattamente un liuto, a meno che esso nonvoglia semplicemente significare “corde” e dunque designi uno strumento a corde.

8 La sabbeka’ è uno strumento a corde menzionato nel libro di Daniele, quando si parla degli stru-menti dell’orchestra di Nabucodonosor. Solitamente tale strumento viene identificato con la grecasambyke o con la latina sambuca, una piccola arpa triangolare a quattro corde, di tono piuttosto acuto.Quello che è sicuro è che la sabbeka’ non aveva grande importanza nell’antico Israele, tanto più checompare esclusivamente in contesto idolatrico, visto con occhio negativo in Israele.

9 Il termine ebraico ‘ugab compare solo quattro volte nella Bibbia e non si riferisce probabilmen-te a nessuno strumento specifico, ma ad un gruppo di strumenti a fiato. La Vulgata lo traduce conorganum. Esso è considerato un altro tipo di flauto, benché la LXX lo ritenga uno strumento a corda.In esso si vede generalmente un flauto (ma B. Bayer vi vedrebbe piuttosto un’arpa), prima di canna,poi fatta con altri materiali (osso, legno, ecc.). La prima menzione che ne viene fatta, in Gn 4, 21, è inrelazione al kinnor, che indica ivi gli strumenti a corda in generale. In Sal 150, viene detto:«lodatelosulle corde (minnım) e sui flauti (‘ugab), dove il termine minnım si riferisce agli strumenti a corda ingenerale e quindi, per analogia, ‘ugab dovrebbe essere inteso come indicazione generica di tutti glistrumenti a fiato. I passi di Gb 21, 12 e 30, 31 confermano questa interpretazione. L’origine etimolo-gica della parola ‘ugab deriva probabilmente dal verbo ebraico ‘agab «essere innamorato», «desidera-re». Lo stretto rapporto esistente tra i flauti e l’incanto amoroso lo si ritrova nell’ambiente circostante.

10 La radice del termine hal ıl significa «traforato» e lascia supporre che tale termine indichi untubo cavo fatto di canna di metallo o avorio oppure di altro materiale vegetale. Esso è il principalestrumento biblico a fiato e consisteva di due tubi separati, ciascuno dotato della propria imboccatu-ra ad ancia semplice (come nel clarinetto) o doppia (come nell’oboe) ed era di origine siriana. I tubivenivano suonati insieme ed uno serviva probabilmente per l’accompagnamento a bordone. Non sipuò dunque dire con sicurezza se si trattasse di uno strumento con bocchino, simile all’oboe, corri-

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40; Is 5, 12; 30, 29; Ger 48, 36); masrok ıta’11

(flauto di Pan [?], flauto: Dn 3, 5.7.10.15);sumponyah12 (zampogna o armonia deidiversi strumenti: Dn 3, 5.10.15);

hasoserah13 (tromba d’argento: Nm 10, 2;31, 6); sofar14 (corno d’ariete: 2 Sam 6, 15;15, 10; 1 Cr 15, 28); qœrœn15 (corno: Gs 6,5). Infine un terzo gruppo è individuabi-

spondente al greco aulos, o di una sorta di piffero. Al contrario del suono più dolce e melodioso deiflauti (‘ugab), questo strumento aveva un tono più acuto e penetrante. I passi biblici che ne fannomenzione, indicano che il hal ıl era uno strumento adatto alle manifestazioni gioiose, ma che venivasuonato anche in circostanze dolorose (Ger 48, 36). Il termine ‘abbûb appare all’epoca talmudica comeequivalente di hal ıl.

11 Nell’elenco degli strumenti che si trovavano alla corte di Nabucodonosor compare anche lamasrokıta’. Il termine viene ricondotto al verbo saraq, che significa «fischiare» o «sobillare». Poiché glistrumenti a fiato del genere dei flauti producono solitamente suoni sibilanti, è possibile che lamasrokıta’ fosse uno strumento a fiato di legno, probabilmente una sorta di flauto di Pan.

12 Le opinioni degli studiosi riguardo a questo vocabolo aramaico sono piuttosto divergenti.Molti ritengono infatti che il termine sia una traslitterazione della parola greca symphonía e ne dedu-cono che si dovesse trattare di uno strumento somigliante alla zampogna o alla cornamusa. Altriinvece suppongono che il termine si riferisca al’armonia sonora prodotta da un gruppo di strumen-ti come in un’orchestra.

13 La hasoserah che gli israeliti avevano imparato a conoscere in Egitto, era una tromba normalmen-te d’argento o di bronzo costituita da una canna sottile, lunga circa 60 cm., con un padiglione all’estre-mità; il suo timbro alto e squillante ed un’estensione di sole quattro o cinque note, rendevano lo stru-mento adatto per un impiego di tipo militare. Come è evidente dal significato del suo nome (hasarsignifica «radunare»), la hasoserah veniva utilizzata come strumento di segnalazione durante la guer-ra (Nm 31, 6), ma anche nelle occasioni gioiose (1 Cr 15, 24; 16, 6.42; 2 Cr 5, 12 s.; 7, 6), durante tutte lefeste religiose, durante gli olocausti e i sacrifici quotidiani di ringraziamento, nonché in tutte le festedel popolo (2 Re 11, 14; 2 Cr 23, 13; Esd 3, 10). Veniva suonata dai sacerdoti, di regola in coppia, maoccasionalmente in grandi orchestre (2 Cr 5, 12-13), ed era annoverata tra le suppellettili d’oro e d’ar-gento del Tempio (2 Re 12, 14; cfr. Nm 31, 6). Nm 10, 1 ss. contiene precise indicazioni di Dio a Mosésul significato e sugli scopi del suono della tromba.

14 Tra gli strumenti musicali che incontriamo nella Bibbia, lo sofar è quello che compare più spes-so (settantadue volte) e che è sopravvissuto fino ad oggi nella sua forma originaria e nella sua fun-zione liturgica. Il termine potrebbe risalire al nome accadico dell’ibex, l’antilope selvatica. Si tratta diuno strumento a fiato fatto con il corno dell’ariete o di capro, mai di bovino, che viene utilizzato nellavita religiosa (2 Sam 6, 15; 1 Cr 15, 28; Sal 81, 4) e profana del popolo (2 Sam 15, 10; 1 Re 1, 34). Laforma originaria di questo strumento era quella del corno ritorto del montone, ma più tardi si imparòa distendere il corno e a curvarlo solo in corrispondenza della rosa. Con lo sofar si potevano solamen-te riprodurre tre suoni molto brevi, così che lo strumento veniva utilizzato prevalentemente per lesegnalazioni. Generalmente il loro uso è prerogativa dei sacerdoti, essendo utilizzato per richiamarei fedeli al culto. La voce misteriosa e oscura di questo strumento (qol nella Bibbia) si ricollegava all’a-riete del sacrificio di Isacco, quindi all’alleanza, e la si credeva avere qualità magiche. Molti passinella Sacra Scrittura fanno riferimento agli effetti miracolosi dello sofar (Es 19, 17 ss.; Gs 6, 4 ss.).Legato alla storia del popolo ebraico, alle ricorrenze di Rosh ha-Shana e di Yom Kippur, possiede unforte impatto simbolico: ogni volta che il suo suono lacerante compare sulla scena ricorda la conqui-sta di Gerico ad opera di Giosuè, ma annuncia soprattutto un rilevante cambiamento sociale, comela fine della schiavitù. Tale strumento è ancora oggi in uso nelle sinagoghe.

15 Secondo il suo significato originario («il forte»), anche il termine ebraico qœrœn può essere iden-tificato con il corno e viene infatti spesso fatto coincidere con lo sofar. Nella Bibbia si possono trova-

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le negli strumenti a percussione: tof16

(tamburo a percussione manuale, timpa-no: Es 15, 20; Gdc 11, 34; Sal 68, 26);sœlse lım o mesiltayim17 (cembali: 1 Cr 16,5; 25, 1.6; Sal 150, 5); mena’an’ım18 (sistro:2 Sam 6, 5); pa’amonım19 (sonagli o cam-panelli: Es 28, 33; 39, 25 s.). Lo s alisîm di1 Sam 18, 6-7 forse non designa uno stru-

mento musicale, ma un gruppo di danza“a tre”. Alcuni strumenti menzionati daDn 3, 5.7.10 sono trascrizioni aramaicheapprossimative di termini greci. Di essisi dice che venissero suonati dai musicidi corte del re di Babilonia Nabuco-donosor (604-562 a. C.). La loro identifi-cazione non è ancora del tutto sicura.

re diverse interpretazioni di questo termine che contengono comunque tutte un’idea di forza epotenza (Gn 22, 13; Lv 4, 7.18.25; 1 Sam 16, 1; 1 Re 1, 39; Ger 48, 25). Si deve quindi pensare che il qœrœnfosse uno strumento fatto di corno che produceva un suono molto potente e forte, ma che non vennemai utilizzato nella liturgia.

16 L’ebraico tof è un termine collettivo che designa tutti i tipi di tamburi a percussione manuale,senza sonagli, menzionati nella Bibbia come strumenti d’accompagnamento ritmico. Le raffigurazio-ni egizie ed assire mostrano uno strumento costituito da una cassa di risonanza di forma general-mente tonda, fatta di legno o metallo, sulla quale veniva tesa una pelle di animale. Il timpano veni-va suonato con le dita o con il palmo della mano principalmente durante le danze delle donne (Es15, 20; Gdc 11, 34; Sal 68, 26). In alcuni passi, tuttavia, si fa menzione anche di uomini che suonano iltof (1 Sam 10, 5; 2 Sam 6, 5; 1 Cr 13, 8). Gn 31, 27 sembra indicare che, similmente al kinnor, anche il tofera considerato simbolo di gioia. Originariamente lo strumento veniva utilizzato anche durante lecerimonie liturgiche, ma ne venne più tardi escluso perché era proibita la partecipazione attiva delledonne ai riti sacri. Esso è collegato ad un simbolismo femminile (è attestato quale attributo delle figu-rine di Astarte) ed è spesso associato alla danza.

17 I cembali erano strumenti ammessi durante la liturgia. Nella loro forma più antica venivanodetti sœlselım in quella più recente mesiltayim. In greco il vocabolo venne tradotto con kymbalon, ter-mine che indicava una ciotola o un piatto con un incavo. Le raffigurazioni assire in particolaremostrano due diverse forme metalliche: erano a forma di piatto piano oppure a forma di campanacon una lunga impugnatura, del diametro di 10-15 cm. I cembali venivano utilizzati sempre in cop-pia e dal loro sbattere l’uno contro l’altro si produceva un suono limpido e squillante (Sal 150, 5), cheannunciava dapprima l’inizio della cerimonia liturgica, ma che successivamente venne ad indicarel’attacco del canto corale. Solo ai più alti dignitari, ad esempio ad Asaf (1 Cr 16, 5) e, dopo la stabileorganizzazione della musica del Tempio ad opera di Davide, anche ad Eman e Idutun (1 Cr 25, 1.6),era riservato l’uso dei cembali. Il simbolismo religioso di tali strumenti, secondo E. Gerson-Kiwi,avrebbe la sua origine nel culto sumero e si avvicinerebbe all’uso delle campane e dei gong nell’Asiaorientale. Ad essi, inoltre, era attribuita una qualità ipnotica, come è ricordato nella versione apocri-fa degli Atti degli Apostoli.

18 Il termine ebraico mena’an’ım compare solo in 2 Sam 6, 5 e può essere tradotto con sonaglio. Ilsuono veniva generato scuotendo lo strumento come il sistro egiziano: ad una cornice metallicaerano fissate alcune bacchette dalle quali pendevano, mobili, piccole lamine metalliche che venivanofatte suonare afferrando e scuotendo lo strumento dall’impugnatura.

19 In Es 28, 33 e 39, 25 s. vengono menzionati piccoli sonagli, detti pa’amonım, termine collegato adun verbo che significa «percuotere», i quali venivano fissati all’orlo della veste del sommo sacerdote.Questi sonagli d’oro avevano la funzione di fare individuare immediatamente, attraverso il suono,la posizione del sommo sacerdote all’interno del santuario e, secondo l’antica superstizione, anchequella apotropaica di scacciare gli spiriti maligni. Essi per l’appunto erano probabilmente dischi dimetallo e non campanelli, poiché le vere e proprie campane a batacchio non furono note in Israelefino al IX sec. a. C.

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Probabilmente comprendevano uncorno ricurvo, un flauto (o, meno verosi-milmente, un flauto di Pan o siringa),una cetra, una piccola arpa a forma dibarca e un secondo tipo di cetra (o forseun tipo antico di salterio). Il termine cheindica questo strumento, nel TestoMasoretico sypnyh, nella Bibbia ”zampo-gna”, è una forma aramaica della parolagreca symphonía e potrebbe significaresemplicemente il “suonare insieme” didiversi strumenti, e quindi la musica inquanto tale. La Bibbia non menziona ilplettro.Quando compare una primitiva scrittu-ra musicale in Israele, vi proliferanoanche nuovi strumenti, quali il nable, lalyra, il cymbalon, la cetra, ecc. Né di que-sti né di quelli nominati nei salmi149/150, abbiamo descrizioni e quindiidee chiare. Solo della tromba ci resta l’e-loquente testimonianza dell’arco di Titoin Roma, che la raffigura nel trionfo cele-brato per la distruzione di Gerusalemmee la vittoria sugli ebrei. Ma nel caso spe-cifico è arduo decidere se il trionfo siastato organizzato e svolto esclusivamen-te dai romani con loro tubae et tibicines,restando i vinti e le loro cose puro trofeo,oppure se i romani abbiano usato latromba ebraica, poco verosimilmente,dato che le legioni venute da Romaerano dotate di strumentisti esperti (inquanto al seguito dell’imperatore),ovvero se trattisi di Ebrei facenti partedel corteo del trionfo. Iddio stesso avevaordinato a Mosè di costruirne alcune inargento (Nm 10, 2).Non è improbabile che i patriarchi aves-

sero qualche nozione della musica edegli strumenti musicali prima del loroviaggio in Egitto. Dopo l’esodo si ha lacertezza che la pratica musicale pressoquel popolo era una realtà. Un dipintodi Beni-Assan documenta l’entrata inEgitto degli Ebrei, muniti di una lyraderivata dai Cananei. La civiltà egiziana,tuttavia, era notevolmente più sviluppa-ta di quella ebraica, di qui i probabiliinflussi subiti da questa ad opera diquella. Si sa che dopo la morte diGiuseppe gli ebrei, moltiplicatisi rapida-mente, caddero in uno stato di schiavitù,soggetti ad una vessazione da cui soloMosè, per comando di Dio, riuscì a libe-rarli. In una simile situazione si ridusseovviamente il processo di interscambio,ma il rinchiudersi in se stessi, d’altrocanto, favorì di più la salvaguardia delproprio patrimonio culturale e quindianche di quello artistico-musicale.In proposito la Bibbia offre molte testi-monianze dell’inseparabilità di canto esuono: «Ai salici di quella terra appen-demmo le nostre cetre» (Sal 137, 2) oancora «Come cantare i canti del Signorein terra straniera?» (Sal 137, 4). Moltevolte nei libri delle Cronache20 o deiRe21, lira e arpa sono chiamate kle shîr,gli «strumenti del canto», o Isharîm, «peri cantori». Come cantavano dunque gli antichiEbrei? Gridavano realmente fino all’e-stremo limite della voce? Alcuni studio-si hanno ritenuto di poter credere chefosse proprio così, riferendosi particolar-mente a numerosi salmi che citano pre-ghiere cantate in fortissimo. In realtà il

20 1 Cr 16, 42; 2 Cr 9, 11.21 1 Re 10, 12.

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canto forte rappresenta l’espressionenormale del fervore e si accorda con l’i-dea primitiva che l’attenzione divinasegua più l’espressione impetuosa chenon quella più trattenuta. È interessantein proposito notare come anche il cristia-nesimo presenti esempi analoghi.L’abate Pambone, vissuto in Egitto nelsecolo IV d. C., redarguì pesantementeun monaco che, si trovasse in chiesa onella sua cella, «alzava la voce come untoro»22. Ancor oggi i preti cristianid’Etiopia cantano ad alta voce fino a rag-giungere il punto più alto dell’estasicompletamente esausti. La violentaantropomorfica idea che l’orecchio divi-no fosse più aperto verso chi maggior-mente gridasse fu in contrasto con l’ele-vata ispirazione dei profeti. Quando sulmonte Carmelo i sacerdoti pagani grida-rono invocando Baal, il profeta Elia libeffeggiò gridando loro: «Gridate convoce più alta: poiché egli è un dio! Forseè soprappensiero oppure indaffarato oin viaggio; caso mai fosse addormenta-to, si sveglierà» (1 Re 18, 27).Non conoscendo l’armonia né il contra-sto di effetti consonanza/dissonanza, lavoce modulava, infatti, secondo i tonidella lyra, e questo costituiva la «bellez-za della musica» ebraica. La differenzaessenziale tra la concezione occidentaleantica e quella moderna consiste nelprincipio di ciò che costituisce l’unitàmelodica. La moderna unità è data dallasingola nota inerte; l’unità antica erarappresentata dall’intervallo. Ciò signi-

fica che gli Ebrei intesero il movimentomelodico come composto di elementimotori o “motivi”, ossia, nel vero signi-ficato del termine, quel significato chefilosoficamente e musicalmente si dimo-stri il più corretto. Il mondo antico, finoa Plutarco, di elogi per questa musica,mediante la quale si vincevano le batta-glie, si conquistavano le città, si sedava-no ammutinamenti e perfino si curava-no le malattie. Diversi passi della Sacra Scrittura dimo-strano che la musica veniva impiegatacome strumento terapeutico23 . Spesso lamusica era il mezzo attraverso cui siesprimeva la potenza divina24 ed erainoltre ispiratrice di profezie25.Con l’inizio dell’epoca monarchicaattorno all’anno 1000 a. C., accanto aicompiti della musica all’interno dellavita sociale degli ebrei, si sviluppò unamaggiore attenzione allo sfarzo ed allagrandiosità, che investì anche la vitareligiosa e di conseguenza, il servizio delTempio. I cantori del Tempio, originaridella stirpe di Levi (1 Cr 6, 16 ss.), venne-ro così dispensati da ogni altro compito,«perché giorno e notte erano in attività»(1 Cr 9, 33). A partire da questo momen-to, pertanto, la musica assunse un ruoloparticolare, divenendo parte integrantedei riti liturgici (1 Cr 16, 7.37) e durante ipreparativi per la futura costruzione delTempio, Davide sviluppò un progettoper suddividere in classi di cantori icomplessivi 4000 musicisti (1 Cr 23, 5),sotto la direzione di Asaf, Eman ed

22 G. REESE, Music in the Middle Ages, New York 1940, 66, 94, (trad. it. Milano 1990).23 1 Sam 16, 23; cfr. 1 Sam 18, 10; 19, 9.24 Gs 6, 1-21.25 1 Sam 10,5; 2 Re 3, 15.

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Idutun (1 Cr 25, 1). Asaf aveva quattrofigli, Idutun ne aveva sei ed Eman sedi-ci; essi vennero impiegati per la direzio-ne dei ventiquattro gruppi complessivi,ciascuno costituito dai dodici cantori.Secondo 1 Cr 25, 7, questi duecentottan-totto musicisti erano «tutti veramentecapaci» e rappresentavano probabil-mente il fior fiore della corporazione deimusicisti, i quali costituivano una castachiusa ed erano educati nell’accademiadi musica annessa al Tempio. Uno spie-gamento di questo genere testimonia diquale monumentale solennità fosserorivestiti i riti di un popolo che da noma-de si era fatto sedentario e si era cristal-lizzato in numerose comunità urbane.Tuttavia nelle sinagoghe (letteralmente«case delle adunanze»), centri minorisorti a centinaia in alternativa al grandeTempio dopo la distruzione nel 587 a. C.e la successiva cattività babilonese dura-ta fino al 538 a. C. (basti rammentare cheall’epoca della distruzione del nuovoTempio, nel 70 d. C. ad opera dell’impe-ratore Tito, le sinagoghe nella sola

Gerusalemme erano circa quattrocento),le cose andavano diversamente e nonv’era posto per un culto grandioso emagniloquente; semmai si concedevamaggiore spazio al sentimento indivi-duale, alla preghiera personalizzata e,quindi, a un culto di tipo devozionale.Proprio dalla liturgia, che prevede l’im-piego di formule e di testi predetermina-ti e disposti secondo un ordine rigoroso,vengono le indicazioni più preziose sul-l’importanza e sulle caratteristiche dellaparte musicale, quantunque della prassidei tempi antichi nulla sia stato mate-rialmente conservato. Il rituale ebraico èinfatti improntato alla promessa divinadella salvezza, e pone al centro dellaconcezione religiosa giudaica una rivo-luzione politica e sociale, ispirata e con-dotta direttamente da Dio, quale concre-tamente si verificò, ad esempio, nell’in-surrezione del condottiero giudaicoautodenominatosi Simone principed’Israele26 nel 132-135 d.C. Pertanto èproprio nella lode di Dio che si colloca laparte più significativa della realizzazio-

26 Circa la denominazione di questo personaggio c’è discordanza tra fonti giudaico-rabbiniche efonti cristiane. G. Ricciotti, Storia d’Israele, Torino 1997, 841 s., attesta che le prime lo denominano inmodo costante Ben o Bar-Kozebha’, le seconde invece Bar-Kokhebhah. Quest’ultimo appellativo, ossia«figlio della stella», ha una connotazione prettamente messianica (cfr. Nm 24, 17) e viene applicato aSimone da rabbı ‘Aqıba, che riconobbe in lui il Messia. L’origine del primo appellativo, invece, èoscura: può trattarsi del solito patronimico d’origine semitica, «figlio di Kozebha’» ed in tal casoKozebha’sarebbe stato il nome del padre di Simone; l’altra ipotesi è che si tratti di un appellativotoponomastico, «figlio [= nativo] di Kozebha’», cioè di quella località di Kozebha’ situata nella tribùdi Giuda che è nominata in 1 Cr 4, 22: quest’ultima spiegazione pare essere la più verosimile. Scarsofondamento, al contrario, riveste l’ipotesi secondo la quale Kozebha’ conserverebbe il suo significatoetimologico (dai codici K Z B, «mentire»), e pertanto significherebbe «mentitore»: secondo questaspiegazione i rabbini posteriori, a motivo del fallimento dell’insurrezione guidata da Simone, avreb-bero introdotto una lieve ma significativa mutazione, cambiando il pomposo nome di tale condottie-ro da Bar-Kokhebhah, «figlio della stella» in quello di Bar-Kozebha’, «figlio del mentitore», cioè menti-tore raffinato. Gli scrittori cristiani lo conoscono soltanto come «figlio della stella», e non certo comeMessia.

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ne musicale. L’impianto monoteisticodel mondo biblico, che contraddistinguela cultura ebraica da quelle dei popolivicini, conduce infatti verso un concettodi sacralità legato in modo univoco allapotenza del Dio di Israele. A partire dalX secolo, oltretutto, la tradizione sacer-dotale, che attraversa la redazione deitesti della Bibbia, mette in relazione ilsacro al culto che, volto a proteggere lasantità dell’uomo, esige purezza. Laradice stessa del termine qadosh = santo(qds), che esprime l’essenza del sacro perla mentalità biblica, imprime anche uncarattere indelebile e radicalmentenuovo al sacro, individuando la presen-za di Dio non più unicamente nel cosmo,bensì nella concretezza della storia delsuo popolo. In tale ottica il libro delle Lodi, in ebrai-co Tehillîm e nelle principali lingue euro-pee Salterio (da una parola greca chesignifica «toccare le corde di uno stru-mento», perché i canti erano accompa-gnati da uno strumento a pizzico) èquello che offre il repertorio più signifi-cativo: 150 componimenti (in realtà, 145)che noi chiamiamo «Salmi» e che neltesto ebraico sono ripartiti in 5 libri.Attribuiti in gran parte (una settantinaalmeno) al re Davide, tali testi poetici acarattere prevalentemente laudativo, maanche narrativo, profetico, di supplica eimplorazione, lamentazione e benedi-zione, venivano intonati secondo unostile cantilenante (salmodico, appunto),come una litania che tiene conto degliaccenti tonici e che presenta brevi fiori-ture melodiche, essendo regolata dallastruttura della frase, oltre che dalla par-ticolare natura del discorso letterario.Quest’ultimo poi procede per paralleli-

smi, essendo ogni versetto formato dadue emistichi di significato identicooppure contrario. Giova notare che,mentre il culto ebraico ha continuato adutilizzare il Salterio nella sua sostanzialeintegrità, l’esegesi cristiana, alla luce delprincipio cristologico, lo ha riletto nellaprospettiva liturgica. L’ispirazione divi-na attribuita al Salterio davidico concor-re a dare a queste testimonianze unacerta normatività, facendole diventare,sotto l’ispirazione della nuova visionecristologica, il riferimento primo per lapreghiera cristiana: in diretta connessio-ne con la predicazione, il ricorso conti-nuo ai Salmi corrisponderà fin da subitoalla viva esigenza di contrastare la pras-si di quegli eretici, come i marcioniti, cherifiutavano il corpus davidico, sostituen-dolo con un salterio di nuove composi-zioni. Il repertorio salmodico dunque haincarnato nel tempo il vincolo geneticotra le parole della preghiera e la potenzadella musica. Il termine psalmós compare in ambito cri-stiano per indicare i primi inni di nuovoconio, che si rifanno al modello stilisticoveterotestamentario, privato però, nellatraduzione dei Settanta, della caratteri-stica ritmica. L’esclusione degli strumen-ti musicali dal culto e il rifiuto categori-co di ogni forma metrica costituiscono iprimi tratti distintivi della fisionomiadel cristianesimo nascente e della Chiesaprimitiva, orientale e occidentale, neiconfronti del mondo ellenistico, il cuicorredo si raccorda invece con il mondoeretico della catechesi gnostica. Daipassi biblici menzionati risulta dunqueevidente che i leviti erano allo stessotempo cantori e strumentisti. Si deveinoltre supporre che il loro addestra-

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mento iniziasse già durante l’infanzia,sebbene il servizio nel Tempio potesseessere intrapreso solamente a partire daltrentesimo anno d’età (1 Cr 23, 3). I levi-ti27 erano i discendenti della tribù diLevi, alla quale era esplicitamentedemandato da Dio l’incarico di provve-dere alla formazione del coro che eracostituito da un minimo di dodici canto-ri maschi di età compresa fra i trenta e icinquanta anni (gli anni ritenuti di mas-simo e migliore sviluppo della voce),mentre di assai minore rilevanza eraconsiderata, naturalmente, la musicastrumentale (chiunque poteva suonaregli strumenti), dal momento che essa eraintesa come semplice accompagnamen-to od ornamento della parola intonata edel canto, veicoli di comunicazioni esentimenti. Nelle sinagoghe tale compi-to, invece, era svolto da un cantore laico,il shaliah-tsibbur («messaggero dellacomunità» dei fedeli e quindi personaritenuta «uno del popolo»), una speciedi praecentor – al quale, in progressionedi tempo, furono affiancati due tomekhimo mesayim (assistenti) – che doveva esse-re persona dotata di una particolareconoscenza del repertorio delle preghie-re, nell’interpretazione del loro significa-to, nell’improvvisazione e, a partire dalVI secolo, anche nella creazione dinuove preghiere in forma di poesiametrica (piyyut), talvolta così elaboratedal punto di vista del virtuosismo voca-le da richiedere l’intervento di un canto-re professionista (hazzan). Tra gli antichi,

già Platone aveva avvertito infatti chenon ogni musica è adatta ad elevare lospirito, essendoci musiche che lo depri-mono: la bellezza era dunque tutta nellamelodia. Gli strumenti che l’accompa-gnavano invece avevano la parte di unbasso sostenuto. E l’effetto che tale com-binazione produceva era molto graditoagli orecchi orientali proprio in virtù delcarattere monotonico predominante,generante un effetto di monotonia, chefa da contrappeso agli elementi armoni-camente diversificati che compongonola musica moderna. Del resto tutti i popoli, dall’Egitto allaCina, amavano ed amano la loro musica,ancorché – per un orecchio moderno –noiosa e monotona.Ecco, nella fattispecie, alcuni elementiformali e strutturali riguardanti la musi-ca degli Ebrei:1) recitativo “stile gregoriano” (si riscon-tra anche nella tragedia greca);2) melodia popolare usata su testi diver-si, tanto profani quanto sacri (il corri-spondente dei nomoi greci);3) alternanza di cori, come nella praticasalmodica (l’equivalente del coro grecodistinto in strofe/antistrofe); 4) alternanza solo/coro, simile al dialo-go attore/coro nella tragedia;5) canto melismatico o alleluiatico, spe-cie in fine dei salmi (l’alleluia allorateneva il luogo del nostro Gloria Patri),in cui si evidenzia un notevole pathoslirico che s’innalza al di sopra dellaparola scritta.

27 2 Cr 5, 12. Da diversi passi biblici soprattutto del libro delle Cronache risulta evidente che i levi-ti erano allo stesso tempo cantori e strumentisti (ad es. 1 Cr 16, 41 s.). Si deve inoltre supporre che illoro addestramento iniziasse già durante l’infanzia, sebbene il servizio nel Tempio potesse essereintrapreso solamente a partire dal trentesimo anno d’età (1 Cr 23, 3).

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Si è fatto riferimento a quella formagreca – la tragedia – in cui hanno spaziotutti gli elencati elementi, ma il caratterepeculiare della musica degli Ebrei derivadagli influssi ricevuti da quelle civiltàcon le quali essi furono a stretto contat-to: gli Egizi prima, gli Assiro-babilonesipoi. La musica greca invece potrebbemeglio definirsi il compendio delle espe-rienze medio-orientali. Ora Egitto,Israele, Grecia, Roma sono civiltà bagna-te dallo stesso mare, attraverso il qualegli elementi delle varie culture si sonoora intrecciati, ora fusi, costituendoinsieme un ceppo comune, quello dellaciviltà mediterranea. Nondimeno, lamusica in età veterotestamentaria si con-figura quindi come un’istituzione nonumana, bensì divina, istituita da Diostesso per mezzo dei suoi profeti.Nelle più antiche comunità ebraiche tro-viamo principalmente due gruppi dicanti: 1) I modi per le preghiere di origi-ne talmudica, ossia canti di adorazione,di lode, di domanda, lamentazioni, inni,canti di penitenza. Sono tutti testi ispira-ti alla Sacra Scrittura, ma composti darabbini sino al VII sec. d. C. e rappresen-tano una fonte assai importante per lamusica ebraica antica; 2) I modi per lelettura bibliche: ogni libro della SacraScrittura veniva letto in una manieraparticolare, con inflessioni vocali carat-teristiche.È sorprendente che – mentre gli Europeinon conobbero le note che nel secolo X, adifferenza degli orientali che le disco-

nobbero fino al sec. XIII – Gli Ebrei adot-tarono dall’epoca dei Re (ca. 1000 a. C.)una determinata frase musicale, adesempio in alcune titolature dei Salmi,con la quale, secondo gli esperti, si indi-cava ora il cambio di tempo, ora l’ac-compagnamento con gli strumenti, orala ripetizione in tono più alto28. In segui-to, infatti, al progressivo decadere delTempio e di pari passo con il crescenteaffermarsi delle sinagoghe, si determi-narono mutamenti nella liturgia, la cuimusica fu affidata esclusivamente allavoce umana. Il canto della sinagoga siarticolò in due tipi fondamentali: la sal-modia (intonazione dei salmi in cui unanota centrale viene ripetuta e brevi fiori-ture sottolineano le svolte sintattiche delversetto, alla cui variabile lunghezza ilprocedimento si adatta facilmente) e lacantillazione, un particolare modo di let-tura della prosa biblica, intermedio fra ladeclamazione e il canto vero e proprio,indicato con un sistema di accenti segna-to sul testo. La cantillazione per l’esat-tezza è una tecnica tipica delle cultureorali che esalta, intensificando la struttu-ra fonetica della parola, la qualità deldiscorso mediante l’impiego di un for-mulario melodico assai ridotto ed unuso costante della declamazione «canta-bile». In pratica, si tratta di un sistema dicanto ulteriormente semplificato rispet-to alla salmodia. Su un piano superioredal punto di vista melodico, si collocainvece lo stile innodico che ha caratterecorale, come quello salmodico, a diffe-

28 La pratica sussiste pure ai giorni nostri nel canto gregoriano in significativi brani dellaSettimana Santa, ad esempio nell’azione liturgica del Venerdì Santo, in occasione dell’adorazione allegno della Santa Croce.

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renza della cantillazione che è solistica.Se si giudica in base alle tradizioni ulte-riori, i poemi biblici e i testi biblici ingenere erano destinati ad essere lettisotto forma di cantillazione, ossia, comegià detto, una specie di recitazione litur-gica. Questo procedimento per modula-re la lettura rappresenta una tendenzanaturale del lettore orientale, che cosìcontinua la tradizione sostenendo lamemoria attraverso il canto. Lo si ritrovanon solo negli uffici della sinagoga, maanche nella lettura del Corano e nellecelebrazioni delle Chiese orientali.Sfortunatamente possiamo avere soloun’idea vaga di ciò che poteva esserequesta cantillazione in epoca biblica. Perquanto concerne l’aspetto delle moda-lità, non vi è dubbio che le cantillazionisiano sorte in un’epoca in cui il sensomodale era ancora prevalente. Tuttavia i“modi” della cantillazione non corri-spondono in generale né a quelli dellatradizione greca, né a quelli della tradi-zione gregoriana. È logico supporre cheelementi della musica ebraica siano pas-sati nella primitiva liturgia cristiana edabbiano trovato una continuazione nellamusica liturgica bizantina e nel cantogregoriano, costituendo così una dellepremesse della musica occidentale. Un esperto in materia, lo studioso A. Z.Idelsohn (1882-1938), nella prima metàdel XX secolo, ha dimostrato che il cantodei salmi (salmodia) trova un precisoparallelismo nel canto corale gregoriano.In particolare l’attacco della melodia, iltono recitativo con pausa mediana e ilcalo finale sono paragonabili alla strut-tura tipica del canto gregoriano, caratte-rizzato da initium, tenor con mediatio efinalis. Inoltre gli accenti musicali (taha-

min) inventati nell’alto medioevo insie-me con i “punti vocalici”, non indicanoné l’altezza né la durata dei suoni, mapossono servire solo d’aiuto mnemonicoa coloro che hanno appreso la “cantilla-zione” dalla viva voce del maestro. Essirappresentano in un certo senso dei ten-tativi di codificazione scritta della cantil-lazione, ma dal momento che l’interpre-tazione di queste formule melodichenon è sempre facile, essi, come giàaccennato, costituiscono solo un mezzomnemotecnico per chi conosce già imodi tradizionali. I dotti ebrei diBabilonia e di Palestina, al fine di preser-vare la tradizione, adottarono non solo ipunti e le lineette, che, aggiunti sopra osotto le consonanti, indicarono le vocalida seguire, non tracciate precedente-mente, ma inventarono altresì specialisimboli per assicurare una correttaapplicazione della melodia. La tradizio-ne fu denominata Masora; gli studiosiche ebbero lo stesso ruolo dei grammati-ci alessandrini nel mondo greco, furonoconosciuti come masoreti, ed i segnivennero detti masoretici. La cantillazio-ne nelle comunità ebraiche, inoltre, com-porta delle varianti nelle diverse regionidella Diaspora e può essere statainfluenzata dalla cultura musicale dellepopolazioni con le quali esse eranoentrati in contatto. In definitiva la nostraconoscenza della musica in epoca biblicaè essenzialmente esterna: è impossibileinfatti sapere quali possano essere statele melodie, ad ogni modo è possibileaffermare che la musica ebraica fu solomelodica: ignora del tutto l’armonia e lapolifonia. La scala non era cromatica oenarmonica, ma diatonica: in un’ottavasi potevano avere fino a 24 gradi o sud-

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divisioni! Si può parimenti essere sicuriche la lettura si faceva sotto forma dicantillazione, un metodo molto orienta-le; e anche gli strumenti, nonostantealcune particolarità, erano simili a quellidell’Antico Oriente. Si può quindi pen-sare che gli Ebrei non abbiano avuto unsistema musicale proprio, ma che la loromusica si integrasse con quella antico-orientale. La struttura di molti salmisuggerisce una loro esecuzione alternatatra due cori (antifonata) o tra un antifona-rio, il sacerdote, ed un gruppo (il coro ola comunità intera: responsoriale). Ilparallelismo, ossia la ripetizione convariante, che caratterizza la poesia ebrai-ca, sembra supporre infatti un ricorsoalla forma antifonata e responsoriale: l’e-sistenza di ritornelli (Sal 136) fa pensaread un’esecuzione alternata a due cori.Una questione a parte che merita unatrattazione particolare è quella relativaalla titolatura dei salmi. Un gran nume-ro di salmi, infatti, è preceduto da unadidascalia particolare, da un “titolo”,che indica come ognuno di essi debbavenire eseguito, e in alcuni casi questititoli costituiscono dei dati musicali.Alcuni termini ed espressioni nelle tito-lature si riferiscono più direttamente aquestioni musicali: il carattere, lo scopoo il modo di esecuzione di singole com-posizioni. Sfortunatamente essi sonooggetto di interminabili controversie enon si ha alcuna certezza nei loro riguar-di. Già i traduttori antichi non li com-prendevano più. Alcuni tra loro sembra-no rinviare ad un modello, evocare lamelodia da utilizzare. Circa due terzi deisalmi poi contengono nella titolatural’indicazione del loro autore: o Davide,“il soave cantore d’Israele” (2 Sam 23, 1),

o – con poche eccezioni – i fondatori difamiglie di musici leviti collegati all’isti-tuzione originaria della liturgia delTempio. Le didascalie che accompagna-no i carmi portano anche le tracce di unadattamento del testo a una serie dimelodie preesistenti, individuate attra-verso gli incipit. Alcuni canti vengonochiamati “salmi”, dalla traduzione grecadell’ebraico mizmor; entrambi i terminisi riferiscono a un canto con accompa-gnamento strumentale, più esattamentenel libro dei Salmi compare spesso l’ac-coppiamento di due radici: shir (cantare)e zamar (toccare/tirare), quest’ultimovocabolo, all’origine dei termini legatialla strumentazione ad arco, fornisce l’e-timo al vocabolo mimo, che i Settantarendono psalmós. Altri titoli comprendo-no “canto” (ebraico Sir, derivato dall’ac-cadico e dal sumerico = “canto di lode”),e il termine comune per “preghiera”(che viene applicato anche in Ab 3), unsalmo collocato fuori posto. Il significatodei termini masse miktam, non tradotti, èsconosciuto: derivano da radici chesignificano «avere discernimento» e«coprire, nascondere». In Sal 7 (e Ab 3), iltermine siggayon è connesso con la paro-la accadica indicante una sorta di lamen-tazione o di grido di dolore oppure unostrumento musicale. Alcuni commentisono riferiti al modo di esecuzione di unsalmo, come “per strumenti a corda”(cfr. Sal 6, 1) o “per flauti” (cfr. Sal 5, 1),benché tali traduzioni non siano deltutto sicure. ‘Alamot (Sal 45) e seminit (Sal6 e 12) potrebbero riferirsi a un tipo diaccordatura dell’arpa e all’esecuzione diuna melodia un’ottava più in alto.Mahalat (Sal 53 e 88) potrebbe riferirsi aun tipo di danza o forse a un ritmo.

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Nelle titolature si trovano anche attacchidi canzoni, ossia titoli o parole iniziali divecchie canzoni popolari sulle cui melo-die i salmi andavano cantati: per esem-pio “Cerva dell’Aurora” (Sal 22) o “igigli” (Sal 45). Anche la parola selah, chericorre di frequente all’interno o alla finedi alcuni salmi (settantatré volte com-plessivamente), è probabilmente unaspecie d’indicazione per l’esecuzione,indicando un momento di pausa vocalee strumentale nel corso del componi-mento. Il significato della parola è sco-nosciuto, ma in base alla traduzione deiLXX si ritiene che indichi una pausa nelcanto, forse segnalata dal suono deicembali. Può darsi che in tali punti ricor-ressero degli interludi musicali, o che ungruppo diverso di esecutori subentrassenel canto.Tra gli ulteriori stili di canto liturgicooccorre ricordare la lectio, ovvero ladeclamazione solistica dei testi biblici.Tale forma è attestata fin dal V sec. a. C.e viene praticata ancora oggi. Taluni stu-diosi e critici ritengono che la lectio costi-tuisca, sul piano musicale, l’eredità piùimportante che l’ebraismo abbia tra-smesso al cristianesimo. Infine una terzaforma di canto è costituita dall’innodia,sviluppatasi probabilmente dalla salmo-dia. Tale genere di espressione musicaleè tipico dell’antica cristianità. Di fonda-mentale importanza è sottolineare ilfatto che il canto cristiano, contraria-mente a quello ebraico, non nasce dalladimensione fluida e dirompente dellaparola fondatrice, sia a livello sonoro siasemantico, ma al contrario, dal suo esse-

re ordinata, misurata e cadenzata.E’ notevole il fatto che verso il sec. V a.C. gli Ebrei cominciassero ad usare deisegni o accenti detti «tahamin»: essi cor-rispondevano più o meno ai neumi gre-goriani, indicando non semplici note magruppi ed anche piccole frasi.Procedendo nella lettura della Bibbia sinota che in epoche diverse questi segniassumono diverso significato. Si conget-tura infatti che tali citazioni nel testo,comparate nello svolgere del tempo, tro-vino il loro significato nella matrice didifferenti dialetti. Delle poche melodie – tra cui il noto«Cantico di Mosè» – che la tradizione ciha conservato, alcune tutt’oggi si canta-no nei paesi occidentali, ma esse mostra-no differenze così sostanziali che solo glistudiosi e gli specialisti riescono consicurezza ad individuarle.I leviti come già accennato ebbero diretta-mente da Dio l’incarico degli uffici sacri.Durante il regno di Davide (1004-966 a.C.) – musicista e poeta ispirato – essifurono elevati anche al rango di cantoried esecutori29. Infatti, in qualità di mini-stri del culto, erano in un certo mododepositari e mediatori della parola, a ser-vizio della quale, a maggior gloria di Dio,si poneva il frutto di un’ispirazione appa-rentemente simile all’ispirazione divina.Per merito del re Davide inoltre la musi-ca progredì talmente da raggiungere l’a-pice dello sviluppo. Lo stesso Davidassurse a personaggio mitico – quasinovello Orfeo – a motivo della suavalentìa nella poesia, nella musica e nelcanto, con il quale riusciva a placare l’ira

29 Cfr. 1 Cr 9, 33.

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furiosa di Saul. Taluni hanno dubitatoche l’organizzazione del rituale dellaliturgia del Tempio, quale è descritta in 1Cr 15-16, fosse opera del solo Davide; e sisono espressi dubbi anche sul suo ruolonella composizione del Salterio. E’ adogni modo dall’epoca della monarchia (apartire dal 1040 a. C. circa) e con lo svi-luppo del Tempio che la pratica profes-sionale della musica entrò sia a corte (1 Re1, 34.39-40; Qo 2, 8) sia nel rituale religio-so. Di certo il Davide dei testi biblici èuna figura rappresentata secondo pro-porzioni sovrumane, e le corporazionilevitiche di musicisti da lui istituitepotrebbero aver tentato di accrescere ilproprio prestigio e le proprie prerogativeattribuendo al suo nome alcune opere.Tuttavia tali semplici congetture, in man-canza di prove più solide e soprattutto difronte ai numerosi indizi sull’abilità diDavide come musicista, non sono suffi-cienti perché gli si possano sottrarre,come taluni pretenderebbero, le liricheattribuitegli dalla tradizione. Egli fu dun-que compositore di canzoni e di lamenta-zioni, abile suonatore di cetra (1 Sam 16,16-18), inventore di strumenti musicali(Am 6, 5), nonché apprezzato musicista dicorte (1 Sam 19, 9) e perfino danzatore (2Sam 6, 14-15). Le irrefutabili testimonian-ze letterarie delle sue molteplici qualitàsono seconde solo a quelle del re sumeri-co di Ur Shulgi (2093-2045 a. C.), il qualecelebrò i propri ragguardevoli talenti dimusicista, atleta e statista in diversi innidi composizione assai raffinata. E’ in ognicaso con l’istituzione del secondo Tempio(fine VI sec. a. C.), che i discendenti degli

originari musicisti levitici (Esd 2, 41) rias-sunsero la responsabilità della musicaliturgica; l’influsso di queste corporazioniereditarie si può osservare nei riferimentiai loro fondatori contenuti nelle intesta-zioni dei salmi. I ritornelli e le acclama-zioni alleluiatiche, ad esempio, la divisio-ne in strofe e soprattutto il diffuso ricorsoallo strumento del parallelismo poetico,peculiarità della poesia ebraica, suggeri-scono modelli di esecuzione responsoria-le o ad antifona. Al fine di comprendere più esattamentela prassi esecutiva di queste composizio-ni è opportuno ricordare che la prosodiaebraica differisce in modo fondamentaledalla prosodia classica. Non si ha unapoesia che segua un metro schematicoche si ripete. Il ritmo della poesia ebrai-ca si fonda, anziché sulla posizione dellasillaba centrale relativamente alle sillabecircostanti, su una determinata posizio-ne relativa della sillaba che nel verso èpreminente. Alla scomparsa di David, rimane alpopolo ebraico l’eredità di lui: un gran-dioso tempio di orazione e di pietà,quello che farà dire a Gesù: «Domusmea domus orationis» (Mt 21, 13), ilsublime poema dei Salmi, un poema amisura di tempio salomonico ed allostesso tempo di popolo eletto. Con lacostruzione del primo Tempio diGerusalemme ad iniziativa di Salomone,infatti la musica – e principalmente laliturgia – vennero canonizzate in rigoro-se leggi, e la musica assunse un’impor-tanza primaria a fianco della parola e delsacrificio30. E’ questa la fase che segna

30 Il primo Tempio, che fu distrutto nel 586 a. C., non aveva oboi nel suo servizio rituale.

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l’apogeo della musica rituale ebraica,quale viene descritta in 2 Cr 5, dove lamoltitudine dei leviti si incontra con ilfasto della musica religiosa.All’inaugurazione del suddetto tempio,infatti, la traslazione dell’Arcadell’Alleanza dal monte Sion al«Santissimo» fu accompagnato dalletrombe di centoventi sacerdoti. Da que-sta testimonianza apprendiamo poi chela musica divenne parte integrante deiriti liturgici. Fu appunto sotto il regno diSalomone che comparvero improvvisa-mente strumenti stranieri: arpe, cetre,oboi, cimbali, sistri. Purtroppo, con ilpassare del tempo e l’avvicinarsi delMessia, il popolo ebraico si allontanòsempre più dalla legge. Puntuali pertan-to piombarono su di esso i castighi divi-ni. Eccolo dunque schiavo diNabucodonosor: «Super fluminaBabylonis illic sedimus et flevimus cumrecordaremur Sion» (Sal 137, 1) è il tri-stissimo e patetico lamento di una gentea cui manca perfino il conforto di un’ar-pa, che muta giace appesa al salice (Sal137, 2); ormai questo popolo è divenuto«di dura cervice» (Bar 2, 30) e i ravvedi-menti e le prevaricazioni non si contanopiù, in un crescendo di abdicazione e ditradimento alla sua missione. Inutiledire che anche la musica, in un simileatteggiamento dell’uomo, più nessuneffetto è capace di produrre ad elevazio-ne umana e ad onore di Dio. Bisogneràritrovarsi al campo dei pastori ed allagrotta di Betlemme per riudire un cantoe un suono di speranza per la redenzio-ne dell’umanità.

§ 3. La musica nel Nuovo Testamento.Nel Nuovo Testamento sono menzionati

quattro diversi strumenti: il flauto dop-pio (”flauto”, “flauti”), la cetra, la trom-ba e i cembali. Il “bronzo che risuona”menzionato in 1 Cor 13, 1, si riferisceprobabilmente ai grandi recipienti d’ot-tone che venivano collocati sul retro deiteatri greci per amplificare le voci degliattori. Oltre ai nomi di numerosi stru-menti musicali, il Nuovo Testamentocontiene alcuni riferimenti al canto nelcontesto del culto (Ef 5, 19; Col 3, 16b),anche se non vi è indicazione di chi can-tasse né di quando il canto ricorressedurante il culto. La presenza nelle fontineotestamentarie di dossologie o fram-menti che seguono la scansione e gli sti-lemi caratteristici della poesia ebraica fapresumere che le prime comunità cri-stiane avessero avuto un repertorio dacui attingere anche per dare corpo alproprio canto. Anche se la distinzionepaolina tra salmi, inni e cantici spiritualinon è da sola sufficiente per dedurreprecise tipologie letterarie o musicali, gliesegeti concordano nel distinguere ilrepertorio che fa riferimento ad unmodello di composizione di matriceveterotestamentaria, come i “cantici”presenti nel Vangelo di Luca (Lc 1, 46-55;68-79; 2, 29-32) o gli inni del librodell’Apocalisse, da quei canti che l’inte-ra comunità riunita (ekklesía) avrebbeusato specificatamente per celebrare ilproprio culto. In origine infatti l’inno èun canto di lode, praticamente sinonimodi salmo, e segue pertanto il suo tipicoandamento libero. Gli inni sono pertan-to privi di riferimento metrico quantita-tivo, vale a dire che sono aritmici, comei canti evangelici riportati da Luca nelVangelo dell’infanzia ed ereditati da cer-chie di Giudei sensibili alla tematica

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escatologica; parimenti aritmici sonol’inno liturgico al Verbo, che costituisceil prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,1-14), e i frammenti tratti dalle lettereneotestamentarie e dall’Apocalisse. In Ef5, 18- 19 si legge:«E non ubriacatevi divino, il quale porta alla sfrenatezza, masiate ricolmi dello Spirito, intrattenendo-vi a vicenda con salmi, inni, cantici spiri-tuali, cantando e inneggiando al Signorecon tutto il vostro cuore». Il canto vienequi considerato come un’attività delloSpirito Santo che riempiva il cuore deifedeli e li faceva esplodere di gioia santacon la letizia della musica. Nella letteraai Colossesi, parimenti l’Apostolo affer-ma: «La parola di Cristo dimori tra voiabbondantemente; ammaestratevi eammonitevi con ogni sapienza, cantan-do a Dio di cuore e con gratitudinesalmi, inni e cantici spirituali». In Col 3 Paolo, parlando delle cose dilassù ed esortando a pensare a questepiuttosto che a quelle della terra, ponetre conseguenze iniziate con un solenne«dunque». La prima conseguenza è chela vita del cristiano è nascosta con Cristoin Dio ed, in quanto tale, si manifesteràinsieme a Cristo nella gloria della resur-rezione. La seconda è finalizzata a spro-nare l’uomo nuovo a rivestire «l’imma-gine del suo Creatore» (Col 3, 10); laterza infine riguarda una nuova vita dicomunità, ed è in questa mera realtàpasquale che rientra l’esortazione adammonirsi caritatevolmente. In tale otti-ca è chiaro che il canto, la musica è undono pasquale, o meglio una conse-guenza pasquale della gioia apportatadalla Resurrezione di Cristo. In questosenso è dunque possibile asserire che ilcanto e la musica, così intesi, sono dav-

vero un elemento sacramentale perchéelemento pasquale. Dunque non soltan-to è un dono divino apportato dagliangeli e dal Signore dal cielo sulla terra,ma è un elemento di resurrezione: ilcanto di coloro che sono risorti conCristo per l’appunto. I riferimenti alcanto degli abitanti dei cieli ad esempioin Ap 4, 10 e i frammenti di inni citati (Ap4, 11; 5, 9; 7, 15-17; 11, 17-18) possono for-nire informazioni sul genere di musicache era in uso nel culto dei primi cristia-ni. Tra gli strumenti il vero e profondosignificato della tromba si rivela piena-mente nell’Apocalisse di S. Giovanni,dove essa compare in tutti gli eventiescatologici. Già la voce dell’Angelo checomanda di scrivere l’Apocalisse è terri-bile come lo squillo di tromba (Ap 1, 10;4, 1); sette trombe sono consegnate asette angeli che le faranno squillare neimomenti prestabiliti da Dio per il giudi-zio di condanna dei reprobi e di trionfodegli eletti (Ap 8, 1-11.19).Per quanto riguarda l’aspetto dell’ap-porto della musica greca e delle societàellenistico-orientali dell’Asia Minorealla Chiesa cristiana, è doveroso notareche alcuni tratti dell’antica vita musicalefurono nettamente respinti, ad esempiol’idea della musica come arte di purogodimento. Soprattutto le forme e i tipidi musica connessi con i grandi spetta-coli pubblici, quali le feste, le gare e lerappresentazioni drammatiche, cosìcome la musica destinata a più intimeoccasioni conviviali, furono consideratisconvenienti dalla Chiesa, non tanto peravversione alla musica in sé, quanto perla necessità di allontanare in numero viavia crescente i convertiti da tutto quantoper essi poteva associarsi al paganesimo

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passato. Tale atteggiamento agli iniziportò anche ad una diffidenza versoogni musica strumentale. Tuttavia nonpuò essere stata una rottura completa.Infatti così come la teologia cristiana fuinizialmente influenzata dalla filosofiadell’antichità, parimenti anche la musicadel primo cristianesimo può aver eredi-tato qualcosa – quando e che cosa non èpossibile dire – da fonti classiche. Piùimportante, tuttavia, di ogni influenzaesterna di quel tipo fu il fatto che il cultodel Cristianesimo primitivo veniva eser-citato in forme conseguenti ai riti religio-si ebraici. Nel complesso è possibileaffermare che la musica dell’età vetero-testamentaria risentiva ancora di unculto materiale, in un certo senso carna-le (il grande numero di cantori e deglistrumenti ed anche il vociare assordan-te), mentre al contrario nell’epoca neote-stamentaria essa assume una dimensio-ne del tutto nuova, spiritualizzandosiper così dire: essa, infatti, è accettata solose è casta e pudica, devota e serenamen-te accolta. Nell’ambito neotestamenta-rio, in definitiva, è la liturgia l’elementoche presta al canto sacro un ontologicoaccordo fra la natura e la sopranatura. Iprimi riti cristiani includevano infatti, asomiglianza dei riti ebraici, la lettura deilibri sacri, i salmi, gli inni, le preghiere el’elemosina – tutti elementi che perman-gono sino ai giorni nostri nella liturgiadella Messa, nella quale sono seguitinaturalmente dall’Eucaristia. E’ unasupposizione sicura ritenere che nellamusica, come nella liturgia, il cristianesi-mo primitivo abbia adottato le praticheusuali della sinagoga, probabilmenteaggiungendo alcune caratteristichedesunte dall’adorazione del Tempio. Nei

servizi divini sia degli Ebrei, sia deiCristiani, gli stili caratteristici e le formedelle parti musicali erano adattati allafunzione liturgica (ed in effetti da essacondizionati). Tra le più evidenti caratteristiche dellamusica ebraica, presenti nel culto dellaChiesa primitiva e che penetrarono infi-ne nei vari tipi di canti liturgici svilup-patisi nei secoli successivi, va senz’altroannoverata la lettura alternata dei salmi,che erano cantati alternativamente da unsolista e dalla massa dei fedeli, in unaforma che verrà denominata salmodiaresponsoriale; in essa il solista intonavail primo rigo del versetto di ogni salmo el’assemblea replicava cantando il secon-do rigo. Tale procedimento è particolar-mente adatto alla struttura dei salmi incui i versetti sovente hanno due frasiparallele, la seconda delle quali riaffer-ma o continua o amplifica il pensieroesposto dalla prima. Un modo simile dicanto era rappresentato dalla salmodiaantifonale in cui le due parti del versettoo alternativamente due versetti, eranocantati a turno da due cori. Un’altrausanza che la Chiesa cristiana conservòfu la recitazione di brani stabiliti dalleSacre Scritture da parte di un solista, cheutilizzava alcuni moduli melodici le cuilinee essenziali potevano essere mante-nute, mentre alcuni particolari venivanovariati e adeguati alle esigenze di unparticolare testo.Caduto il Tempio nel 70 d. C., le sinago-ghe non ereditarono per il loro culto glistrumenti in uso. Neppure per quellecomunità cristiane che sorsero dallesinagoghe si pose il problema. Del resto,in ambienti piccoli la voce che canta haforse bisogno di strumenti?

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Le comunità cristiane, invece, dovetteroereditare, da quelle ebraiche i canti oalmeno certi canti, o modi di cantare.Non si deve esagerare la singolaritàdella comunità cristiana di Roma, for-mata ex gentibus, perché vari usi cristianinell’Urbe sono di derivazione ebraica (sipensi alla sepoltura catacombale adesempio). Il contrasto fra sinagoga eChiesa oltretutto non poteva sopprimereil fatto che le letture del culto cristianoerano in gran parte tratte dai libri in usonella sinagoga, dove venivano recitatecon una cantilena “rituale” che ne favo-riva la trasmissione e l’apprezzamento.Gli studiosi sono soliti individuare, inmerito alla genesi ed allo sviluppo dellamusica cristiana, la seguente partizione:Primo periodo (I-IV sec.), che comprendele origini e la prima età patristica; unSecondo periodo (IV-VIII sec.), dal conci-lio di Nicea sino alla fine convenzionaledell’età patristica; un Terzo periodo (VIII-XIV sec.), che racchiude i secoli dall’etàbizantina a tutto il medioevo ed infineun Quarto periodo che abbraccia i secoli apartire dalla fine del medioevo e dallariforma protestante ai giorni nostri (XV-XX sec.).Costituendo il presente articolo unariflessione limitata al mondo biblico epatristico saranno presi in considerazio-ne soltanto i primi due periodi, fornen-do qualche accenno al terzo periodo edin particolare agli sviluppi del discorsomusicale cristiano nell’epoca bizantina emedievale, che fonda il suo patrimoniogenetico liturgico e musicale sullo svi-luppo di premesse in gran parte postenei secoli precedenti ed in particolarenella seconda patristica. Il primo cantore cristiano anche in pub-

blico è stato Cristo stesso. Egli due volteha certamente cantato: la prima voltanella sinagoga di Nazareth, quandolesse cantando il brano di Isaia, 6 «LoSpirito del Signore è sopra di me…» (Lc4, 18); la seconda volta durante l’UltimaCena, all’istituzione dell’Eucaristia: «edopo aver cantato l’inno uscirono versoil monte degli Ulivi» (Mt 26, 30).Sempre nell’ambito neotestamentario èinoltre possibile chiedersi: cosa cantava-no Paolo e Sila nella prigione di Filippitra l’attenzione degli altri prigionieri (At16, 25)? Probabilmente dei Salmi. L’orientalista E. Wellesz (1885-1974),musicologo viennese, allievo di A.Schönberg, osserva che i noti passi di Ef5, 18-21 e Col 3, 16 in cui l’apostolo Paoloesorta i cristiani ad innalzare a Diosalmi, inni e cantici spirituali, ha datoadito a discussioni fin dal tempo diOrigene (III sec.), ma il loro significatonon poteva essere determinato con unacerta sicurezza, finché non si sapessequalcosa di più sulla musica della sina-goga ebraica da un lato, e della Chiesabizantina dall’altro. Certamente S. Paolosi era riferito ad una pratica ben nota acoloro ai quali scriveva. E’presumibile pertanto che fra i cristianidelle comunità di Efeso e di Colossi fos-sero effettivamente in uso tre differentitipologie di canto, delle cui caratteristi-che è possibile farsi un’idea sulla basedelle testimonianze coeve della musicaebraica e del primo canto cristiano: 1) Lasalmodia ossia la recitazione intonatadei salmi ebraici e dei cantici e dossolo-gie modellati su di essi; 2) Inni: canti dilode di tipo sillabico, in cui, cioè, ognisillaba è cantata su una o due note dellamelodia; 3) Canti spirituali, tra cui

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l’Alleluia ed altri canti di carattere gioio-so ed estatico, particolarmente ricchi difioriture. Il Wellesz31 spiega inoltre che il cantodegli inni era particolarmente radicatonella liturgia ebraica e pertanto risultavafamiliare alle prime generazioni di cri-stiani. Tali inni erano essenzialmentelibere parafrasi del testo biblico e non sibasavano esclusivamente sulle paroledelle Sacre Scritture e per questo subiro-no un rifiuto, al punto da far sopravvi-vere solo i canti che si ritrovano nellaSacra Scrittura: questa è la ragione percui restano così pochi inni dei primisecoli del cristianesimo. Tuttavia la loroimportanza era troppo grande nella reli-giosa per essere aboliti completamente,cosicché la Chiesa modificò i passidiscutibili dal punto di vista dell’orto-dossia e ristabilì l’antica pratica innogra-fica. Nota con competenza U. Franca32

che «la reazione ortodossa per gli inni, alsec. III, avvenne specialmente per con-trastare e bloccare il passo ai numerosiinni di contenuto manicheo e gnostico,con i quali venivano diffuse ovunque leloro eresie». E. T. Moneta Caglio, senzadistinguere eccessivamente tra i tre tipidi canto menzionati dall’Apostolo nellelettere agli Efesini ed ai Colossesi, silimita a definirli «canti cultuali dellacomunità»33, cioè canti generalmentepraticati nelle assemblee per ammae-strarsi e ammonirsi vicendevolmente

con sapienza. In tal senso quelladell’Apostolo Paolo non sarebbe dun-que una catechesi musicale. Le espres-sioni «Cantare ed inneggiare al Signorecon tutto il cuore» (Ef 5, 19) e «cantare aDio di cuore e con gratitudine» (Col 3,16) potrebbero designare frasi di com-plemento, pronunciate per esprimere ilvalore pedagogico e spirituale del cantocomunitario. Certamente questo valoreè presente e Paolo anzi indirizza le sueparole a questo scopo ed i mezzi per rag-giungere il valore “pedagogico e spiri-tuale” del canto comunitario, sonoespressi dalle formule “salmi, inni e can-tici spirituali”. Anche se non si vuoleasserire che si tratti di tre generi diversidi musica, è questa un’attestazione evi-dente del fatto che nelle primitiveassemblee cristiane, anche in quelle dipoche persone, tenute nella segretezza enella clandestinità, esistevano non pochielementi di canto, che, anzi, si è in pre-senza di una notevole e nutrita attivitàmusicale. Il canto pertanto era una parteintegrante nelle assemblee di preghieracomunitaria.Dunque già le prime testimonianze let-terarie (i Vangeli e le lettere si San Paolo)parlano di «salmi, inni e canti spirituali»come di una prassi usuale, sulla scia diuna più antica e ben consolidata tradi-zione di preghiera intonata; così ricorrespesso il termine «salmodiare» di incer-ta definizione, ma che comunque si

31 E. WELLESZ, La musica cristiana nei primi secoli dell’era volgare, in «Storia della musica» (The NewOxford History of Music ). II. Musica medievale fino al Trecento, trad. it. F. Bussi, Milano 1963, 5-6.

32 U. FRANCA, Il primitivo canto cristiano, in Quaderni dell’Associazione Una Voce, III, Roma 1990, 51.33 E. T. MONETA CAGLIO, Lo “jubilus” e le origini della salmodia responsoriale, in «Jucunda Laudatio»

1976-1977, 132-133, n. 302. Sulla primitiva innodia cristiana, biblica e non, si legga con profitto la nota103 alle pp. 54-56, nonché la nota 301 a p. 132.

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richiama alla recitazione o meglio alcanto dei salmi davidici. Nel grande cro-giuolo di popoli, di lingue, di costumidiversi, il canto liturgico, pur con inevi-tabili differenze da una regione all’altra,dovette rappresentare un potente ele-mento unificatore del mondo cristianonei primi secoli di prepotente espansio-ne della nuova religione e delle nuoveidealità che portava con sé. Paolo dun-que sapientemente raccomanda canti,inni e salmi anche agli Efesini ed aiColossesi e, anzi, aggiunge l’esortazionea cantare «di cuore». Ai Corinti, poi, dicedi cantare con intelligenza (1 Cor 14, 26).Dunque un’eredità volenterosamentepartecipata.Da notare infine è il fatto che anche gliinni sparsi negli scritti di Paolo o diGiovanni sono – per lo più – di stile sal-mico, come, del resto, ma qui l’evidenzadel rapporto è maggiore, i canti diZaccaria, di Simeone o lo stesso cantodella vergine Maria (Magnificat).

§ 4. La musica nei Padri della Chiesa enell’età bizantina.Il carmen di cui riferisce il governatoredella Bitinia, Plinio Secondo Minore

(Plinio il Giovane) nella famosa lettera aTraiano sui cristiani, doveva essere uncanto di tipo responsoriale o litanico34,ricavato probabilmente dal salmo 24. Sitratta nella fattispecie di un rescritto,databile, quasi con certezza, tra gli anni111-113 d. C. Questo prezioso documen-to attesta che i cristiani della Bitiniainnalzano un canto a Cristo anche quan-do sono costretti a subire il martirio,come indicano le Passiones martyrum.Interessante inoltre il fatto che il cantoche i cristiani elevano al sorgere del soleviene indicato da Tertulliano (155-220)nell’Apologeticum con un termine, canere,che allude alla recita dei poemi o alcanto tipico delle formule magiche, con-dannate dal diritto romano. Con moltaprobabilità alcuni inni dell’antica Chiesaerano intonati su quelle che oggi chia-meremmo melodie popolari, ed è verosi-mile che alcune di queste melodie fosse-ro state accolte nel repertorio ufficialedei canti ecclesiastici. Il più antico esempio rimastoci di musi-ca della Chiesa cristiana è un inno inlode della SS. ma Trinità, in greco e connotazione greca, scoperto in un papironei pressi dell’antica città egizia di

34 PLINIO IL GIOVANE, Epistula X, conferma tra i cristiani della Bitinia l’abitudine di riunirsi primadell’alba per cantare «a Cristo come a un Dio un inno ad esecuzione alternata». L’espressione diPlinio «carmen dicere», secondo MOHLBERG, Rivista di Archeologia Cristiana, 1937, nn. 1 e 2, piuttosto che“cantare”, può significare: “recitare una poesia” o “proferire un incantesimo”, o come egli la defini-sce esplicitamente «una formula magica», riferentesi anziché alla preghiera eucaristica, alla preghie-ra di intercessione nella quale il diacono annunzia l’oggetto della domanda e il popolo risponde con«Kyrie eleison», ma siffatta interpretazione non pare verosimile. Tale personale chiave di lettura,infatti, oltre che risultare anacronistica, in quanto fu Papa Gelasio ad istituire successivamente laprece litanica d’intercessione, pare smentita dal senso stesso del passo e pertanto si può concordarecon quanto afferma E. T. MONETA CAGLIO, Lo “Jubilus”, 131, ossia che «il testo di Plinio rimane unachiara attestazione dell’innodia musicale alternata». Riecheggia, infatti, la formula responsoriale: ilcanto del solista, al quale risponde l’assemblea. Infine quanto al tempo cui si riferisce la lettera, èquasi certamente il primo mattino della domenica: la notte del sabato era trascorsa in veglia d’ora-zione, e al mattino della domenica vi era la celebrazione eucaristica.

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Ossirinco, una località sulla riva destradel Nilo nell’Alto Egitto, e pubblicatonel 1922. Il papiro risale approssimativa-mente alla fine del III secolo; contienesoltanto gli ultimi pochi versi dell’innoed è mutilo al punto che neppure questipossono essere totalmente ricostruiti.Dapprima si era ritenuto che il fram-mento di Ossirinco provasse definitiva-mente l’influenza della musica grecanella Chiesa primitiva; ma successivericerche hanno dimostrato che, nono-stante la notazione greca la melodia pro-babilmente è piuttosto di origine orien-tale. Essa si fonda su un gruppo di for-mule, secondo E. Wellesz35, e sfuggeancora ad una griglia metrica, a confer-ma di un’origine compositiva di tiposemitico nonostante gli stilemi ellenisti-ci. Tale principio è caratteristico dellacomposizione musicale semitica e non losi riscontra nell’antica musica greca:«Allorché il cristianesimo si diffuse neipaesi del bacino mediterraneo, portòcon sé questo principio di composizione,che perciò si può trovare sia nel cultooccidentale sia in quello orientale testi-moniando quindi la comune originesemitica di essi…il frammento di innoalla SS. ma Trinità non è quindi solamen-te un documento di importanza unicadella musica cantata dai cristiani di lin-gua greca d’Egitto: esso prova altresì cheun principio di composizione, che pernoi è caratteristico del canto cristiano, siera saldamente affermato fuori dell’im-mediata cerchia della Palestina già nelterzo secolo». Per una valutazioneobbiettiva di tali documenti è importan-

te sottolineare come la musica dellaChiesa di Bisanzio continuò a esercitareuna certa influenza sull’Occidente inmaniera continuativa fino allo scismanel 1054. Il canto liturgico bizantino,inoltre, è l’antenato della musica dellamoderna chiesa greca, di quella russa edi altre chiese d’Oriente unite o separateda Roma. Il canto che fu chiamato bizantino, dalpunto di vista della teoria musicale (inquanto ai modi ed alle scale usate) non sidifferenzia nominalmente da quellod’Occidente ed in realtà si organizzòsecondo usanze musicali diverse. Talunistudiosi sostengono ad esempio che lastruttura responsoriale e antifonaria siastata recepita dall’Occidente proprio sulmodello del canto bizantino che perprimo l’aveva istituzionalizzata. InOccidente d’altra parte prima di giunge-re ad un’effettiva unificazione del reper-torio, varie differenziazioni locali si pre-sentavano, ad esempio a Milano, dove ilvescovo Ambrogio aveva valorizzato esviluppato nella sua cattedrale un cantoche si sviluppò per secoli con una relati-va indipendenza prendendo appunto ilnome di canto ambrosiano. La tradizio-ne gli attribuisce per primo il merito diaver importato, sull’esempio dellaChiesa orientale, il canto antifonale,oltre ad attribuirgli l’invenzione di mol-tissimi inni. La critica filologica ne rico-nosce autentici solamente cinque:Aeterne rerum conditor; Deus creatoromnium; Iam surgit hora tertia; Grates tibi,Iesu, novas; Intende, qui regis Israel, men-tre sulla paternità di altri nove, fra cui

35 E. WELLESZ, La musica cristiana, 6.

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l’Aeterna Christi munera, il giudizio restasospeso. Lo stile poetico adottato per talicomponimenti dal vescovo di Milano èmaggiormente sensibile alla metricaaccentuativa, rafforzata dall’uso di stro-fe rigorosamente di quattro versi, ele-ganti e gravi ad un tempo, ed inoltre daun impiego di melodie sillabiche «seve-re e mistiche al tempo stesso, facilmenteaccessibili ai fedeli»36. Resta comunqueappurato ad Ambrogio, grazie al suoinstancabile zelo pastorale, il merito diavere innovato le forme liturgiche arric-chendo il rito dell’area liturgica milane-se con un patrimonio di canti ed unostile musicale le cui peculiarità melodi-che e strutturali perdureranno nei secoliresistendo ad innovazioni, trasformazio-ni, acquisizioni, come stanno precisa-mente ad attestare alcune tra le più anti-che forme di canti in Occidente, quali ilcanto ambrosiano, quello beneventanoed infine il canto romano pregregoriano,meglio definito come canto piano.Ambrogio fu il padre della prima formainnodica occidentale, che trovò terrenofertile e favorevole accoglimento neifedeli della sua diocesi, e ravvivò le vigi-lie di preghiera prima delle solennitàraccordandole al canto della salmodiaresponsoriale e degli inni. E’ oltretuttoimportante sottolineare come l’innodiaambrosiana venne recepita dalla Regoladi San Benedetto, il quale prescrisse ilcanto di un inno ad ogni ora canonica. Tra gli scritti di ambiente cristiano piut-tosto che gnostico, trovano una colloca-zione nell’ambito della prima innodia

cristiana anche le Odi di Salomone: qua-rantadue componimenti poetici a ritmolibero, che pur non essendo scritti metri-camente presentano spesso l’Alleluiacome ritornello e pertanto vengono assi-milati a degli inni. Si possono considera-re vicine allo stile salmodico, sia per ladivisione in due stichi in ogni verso,come per la presenza del parallelismusmembrorum, proprio dei salmi biblici. Sitrovano in quattro redazioni linguisti-che: ebraica, siriaca, greca e copta. E’ dif-ficile sapere quale delle quattro stesurepossa essere stata la prima, ma il fattostesso di tale quadruplice attestazioneben documenta la loro straordinaria dif-fusione in molti e diversi ambienti lin-guistici. La Laus angelorum magna dellatradizione ambrosiana è un inno mattu-tino ancora presente nella liturgia greca,e farà da scheletro a quello strumentolaudativo che verrà inserito all’iniziodella celebrazione eucaristica comeGloria in excelsis Deo. Lo stesso ambientegnostico presenta molti componimentiinnodici, ad esempio negli Atti diGiovanni e di Tommaso. Fra gli innogra-fi particolare importanza hanno CelioSedulio (seconda metà del V secolo),autore dell’A solis ortus cardine,Prudenzio (la cui data di morte è incertafra il 413 e il 424 d. C.) cui si deve, fral’altro, una raccolta di inni giornalieri inlingua latina e greca (LiberCathemérinon), Venanzio Fortunato (ca.530/540- ca. 600†), autore fra l’altro delPange lingua gloriosi e del Vexilla regis pro-deunt, Paolo Diacono (ca. 720 - ca. 799),

36 L. STORONI MAZZOLANI, Sant’Ambrogio e il suo tempo, in Quaderni dell’Associazione Corale Una Voce,III, Roma 1990, 90.

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cui si deve l’Ut quaeant laxis e RabanoMauro (ca. 780-856), probabile autoredel Veni Creator Spiritus. Il più famosodegli inni, in ogni caso, è il Te Deum lau-damus variamente attribuito (adAgostino, Ambrogio o, più probabil-mente, a Niceta di Remesiana).Limitandoci a considerare i soli inniambrosiani, è opportuno notare che que-sti sono formati da otto strofe di quattroversi ciascuno in dimetri giambici. Lamelodia, ripetuta uguale per ogni strofa,è suddivisa in quattro sezioni, una perverso, secondo la successione ABCD(talvolta modificata in ABCA). Tra gli altri documenti appartenenti avario titolo al genere liturgico innodico,si ricordano il Papyrus Bodmer XII, data-bile fra il 164 ed il 166 da taluni ritenutol’inizio di un inno pasquale per il fattoche i pochi versi sono copiati dopol’Omelia di Melitone sulla Pasqua e loStomion polon, inno metrico in ritmo ana-pestico, dedicato a Cristo Salvatore, con-servato alla fine del Pedagogo diClemente alessandrino. La prima partedello Stomion polon risente di influssiellenistici, mentre la seconda è pretta-mente cristiana presentando le forme diun inno cristologico. Nella Gallia e nella penisola iberica sisvilupparono molte altre tradizioni loca-li, con il cosiddetto canto gallicano e conquello impropriamente detto mozarabi-co (dal momento che risale ad un perio-

do precedente all’invasione degli arabi).Tuttavia in Occidente, anche grazie all’e-lemento unificatore della comune lingualatina, le differenze tra le varie tradizio-ni sono rimaste sempre secondarie e nonhanno costituito un serio ostacolo aduna sostanziale unificazione di tutto ilrepertorio liturgico. In Oriente invece ledifferenze sono rimaste più accentuateanche per la differenza di linguaggi(armeno, copto, o un tardo slavo, oltrenaturalmente al greco) e alla minorecompattezza della chiesa d’Oriente conla varietà dei suoi riti e delle sue eresie.Perciò nel mondo latino, si è poi potu-to guardare al canto gregoriano comeal complesso dell’immenso repertoriodel canto piano, al di là delle differenzetra le tradizioni locali, sopra le qualidominava la sostanziale unità lingui-stica e culturale del mondo medievalecristiano. Gli esempi migliori e più caratteristici dimusica bizantina nel medioevo furonogli inni. Questi trassero origine dalle breviaggiunte poetiche (troparia37) poste tra iversetti dei salmi, intonate su melodie otipi di melodie venuti forse dalla Siria.Questi inserti crebbero gradualmented’importanza e a volte vennero svilup-pati in forme innografiche a sé, da sud-dividere in due gruppi principali: i kon-takia38, che fiorirono nel VI secolo, e ikanones, diffusisi tra l’VIII e il X secolo

37 Il troparion è una breve forma poetica di facile apprendimento composta inizialmente da unapreghiera monostrofica interpolata tra i versetti di un salmo che poi, assumendo forma strofica,godrà di autonomia propria.

38 Il termine kontakion, coniato nel IX secolo per indicare hodé, psalmós, hymnós, indica un cantomelismatico, la cui forma polistrofica prende l’etimo dall’assicella attorno a cui si avvolge la pergame-na: si compone di una introduzione cui seguono una ventina di stanze organizzate da un acrostico.

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soprattutto ad opera di Andrea di Creta(660-712), autore di 111 “canoni”, cheadottarono probabilmente alcune melo-die usate prima nei kontakia. Il più cele-bre esempio di kontakion è rappresentatodall’Akhatistos Hymnos, così denominatoper il fatto che si recita in piedi(«Akatisto» vuol dire «non seduto»,quale segno di rispetto al mistero del-l’incarnazione39. Fra gli esempi più notidi canoni, il cosiddetto Grande Canone diAndrea Cretese, un componimento dismisurate proporzioni, costituito da ben250 troparia. L’ampiezza della forma èdeterminata dal fatto che il canone ècostituito da un insieme di nove inni(odi) ciascuno dei quali è riferito a undeterminato cantico biblico, l’ultimo deiquali è il solo ad essere ispirato aiVangeli. Questi i passi biblici ai quali leodi liberamente si ispirano: 1) Es 15, 1-19.21 (Canto degli israeliti dopo il pas-saggio del Mar Rosso); 2) Dt 32, 1-43(Benedizione profetica di Mosè in puntodi morte); 1 Sam 2, 1-10 (Cantico diAnna); Ab 3, 1-19 (Preghiera del profetaAbacuc); Is 26, 9-19 (Cantico del profetaIsaia); Gio 2, 3-10 (Preghiera di Giona nelventre della balena); Dn 3, 26-45(Preghiera di Azaria); Dn 3, 52-88(Cantico dei tre giovani nella fornace);Lc 1, 46-55 (Inno alla Madre di Dio[Magnificat]). Il genere fu coltivato anche da GiovanniDamasceno (fine sec. VII-750†), tra i

Padri della Chiesa più distintisi nellalotta contro i movimenti eretici e control’iconoclastia in particolare, nonché daldi lui fratello Cosma il Melode. Gli innibizantini avevano una struttura assaielaborata. Un kanon comprendeva diregola otto sezioni (dette odes), ciascunacomposta di diverse strofe. Ognunadelle odes di un kanon era cantata su unapropria melodia, che rimaneva la mede-sima per ogni stanza dell’ode ed ogniode corrispondeva a uno specifico canti-co biblico; i cantici sono frammenti liricidella Bibbia simili agli inni o ai salmi,cantati nei riti liturgici in occasioni spe-cifiche. I testi dei kanones bizantini nonerano creazioni del tutto originali, mapiuttosto commentari o variazioni suimodelli biblici. Anche le melodie nonerano del tutto originali, ma venivanocomposte seguendo un principio comu-ne a tutta la musica orientale, affattodiverso dalle concezioni occidentali.Come unità strutturale non c’era unaserie di note organizzate in scala, mapiuttosto un gruppo di brevi motivi pre-stabiliti, tra cui il cantore poteva sceglie-re combinandone alcuni nella sua melo-dia. Certi motivi dovevano essere usatiall’inizio, alcuni nella parte centrale ealtri alla fine di una melodia, altri anco-ra servivano da anelli di congiunzione,c’erano poi alcuni moduli convenzionalidi ornamentazione detti melismas.L’originalità del cantore consisteva nel

39 Secondo i più accreditati studiosi esso costituisce un rendimento di grazie alla Vergine per averdifeso Costantinopoli dai Persiani. Esso in passato è stato variamente attribuito a diversi autori tra iquali, G. Pisides, S. Giovanni Damasceno, la poetessa Casiana, il patriarca Fozio, Romano il Melode.Recentemente la paternità è stata attribuita al patriarca Sergio (610-641). L’altra ipotesi è che esso fucelebrato a Costantinopoli nella notte nell’anno 626 d. C., senza che i fedeli prendessero riposo finoall’alba.

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modo in cui combinava i motivi e livariava con moduli ornamentali. I moti-vi così raggruppati hanno nomi diversinei diversi sistemi musicali: raga nellamusica indù, maqam in quella araba,echos in quella bizantina e vari termini,traducibili con modo, in quella ebraica. Tutto sommato è possibile concludereche, se all’inizio il canto cristiano fu unaderivazione di quello sinagogale è anchevero che ben presto si svincolò da esso esi rese arte indipendente divenendocanto strettamente romano e latino, spe-cialmente in seguito alla sistemazionegregoriana. Due elementi principalmen-te caratteristici del canto ebraico sonopassati nel canto cristiano maturo. Ilcanto ebraico non fa uso di valori lun-ghi, bensì di melismi, cioè di grappoli dinote sull’ultima sillaba di un testo.Anche il primitivo canto cristiano si ada-gia sull’ultima sillaba di un testo canta-to, sbocciando in più di una nota, fino agiunger talora a venti note. Il melismaalleluiatico del canto visigotico, nel ritodella chiesa ispana, possiede sull’ultimasillaba di «alleluia» fino a duecento,duecentocinquanta, trecento note. Talefatto che, in apparenza, potrebbe sem-brare un’esagerazione, non è tale se siconsidera che anche il canto gregoriano(e parimenti l’ambrosiano) presentamolti melismi, talvolta fino ai venti, qua-ranta, sessanta note. Nella musica della grecità classica o elle-nistica questo particolare l’elemento nonesisteva: il melisma gregoriano, infatti, èun’eredità dell’ambiente musicale giu-daico. Un’altra caratteristica di prove-nienza ebraica è la composizione cento-nica, cioè la creazione di nuove compo-sizioni servendosi di formule melodiche

preesistenti, vale a dire composizioni acarattere di mosaico, in cui l’arte consi-ste nel saper ben scegliere e cucire i dif-ferenti motivi. Altro aspetto particolare della musicaebraica precedentemente evidenziatoera la proclamazione solenne del testodella Bibbia, secondo il termine notocome cantillazione. Nel libro di Esdra èscritto che gli addetti al tempio cantilla-vano il testo dei Profeti e quello dellaLegge. I Salmi, trasposti ed assimilatiinteramente nel culto cristiano, formava-no la base del culto del Tempio e di quel-lo sinagogale. Essi erano eseguiti nelcanto mediante una formula strutturatain tre elementi: un’intonazione costituitada una-due-tre sillabe iniziali, una cordadi recita sulla quale era cantillato il testodi ogni versetto o parte di esso, ed infineuna cadenza, una movenza melodicache chiudeva la formula. Tale schema fumutuato fedelmente dalla Chiesa cristia-na: la formula salmodica, infatti, è atutt’oggi il canto fondamentale dellaliturgia cattolica. Si conoscono a taleproposito otto formule salmodiche, sem-plici o solenni, più o meno sviluppate,ed ognuna di esse è sempre strutturatasecondo un’intonazione, una corda direcita ed una cadenza finale. Tale formamusicale fu fornita alle prime chiese cri-stiane dal mondo musicale ebraico.Nella riflessione teologica dei Padri ilSalterio, oltre alla raccolta della preghie-ra liturgica, rappresenta soprattutto unafonte privilegiata cui attingere, median-te il filtro dell’allegoria tipologica, ogniriferimento utile per interpretare lasostanza della fede cristiana. Tra gliscrittori del III secolo Clemente diAlessandria nel Pedagogo ammette l’uso

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della cetra e della lira, ma soltanto perl’accompagnamento dei salmi in un con-testo domestico, mentre il resto dei Padrigreci e latini concordano nel rifiuto cate-gorico degli strumenti. Egli manifestaparimenti la propria preoccupazione perla scelta di melodie adatte, decorose perle àgapi, riferendosi così alla presenza diun canto con una fisionomia musicaleprecisa, che anche al di fuori del culto siesprima con caratteristiche di lode(Stromata). Per quanto riguarda l’atteg-giamento dei Padri riguardo l’uso deglistrumenti musicali nella prassi sinago-gale è emblematica la posizione assuntaal riguardo da S. Girolamo (342-420) e S.Giovanni Crisostomo (345-407): se l’oc-chio patristico, infatti, deve comunquegiustificare la presenza degli strumentinella tradizione biblica, è altresì vero checerca sempre di trasfigurarli all’internodella predicazione, diversamente tendead escluderli perché il loro uso è visto inpericolosa connivenza con lo spiritodelle rappresentazioni comico-tragiche,tipiche delle libagioni e dei culti di origi-ne magica e pagana. Il culto diArtemide, della Magna Mater, di Isideed in genere i culti sacrificali, infatti, esi-gevano la presenza di strumenti a per-cussione. Questi ultimi, di conseguenza,assimilati ai riti di sepoltura per lacomune funzione magica, assumonouna connotazione negativa che porta alloro divieto. E’ quanto accade ad esem-pio anche per i flauti, che dal satiroMarsia ereditano la sensualità dello stru-mento dionisiaco. S. Atanasio diAlessandria (†373) si scaglia similmentecontro le percussioni che i melezianiusano per accompagnare il canto, edinsiste allo stesso tempo sulla necessità

di stabilire un’armonia tra le parole, lamelodia, il ritmo dell’anima e dello spi-rito. Coloro che cantano infatti non gio-vano soltanto a loro stessi ma anche acoloro che ascoltano. S. Epifanio (315-403) vede nel flauto un’analogia con ilserpente seduttore di Eva (Panarion). Parimenti eredità del culto sinagogale èla forma responsoriale in cui l’assem-blea, ripetendo come un ritornello laparte sì eseguita da un solista (la cosid-detta risposta o responsum), instaura conquesto un vero e proprio dialogo. Lemelodie delle sinagoghe ebraiche sonostate classificate in base ai loro modi. Lamusica bizantina si fondava su un siste-ma di otto echoi e le melodie nelle colle-zioni per i kanones sono classificatesecondo tale sistema. Le melodie dellesinagoghe ebraiche e della chiesa bizan-tina, così come quelle delle chiese occi-dentali si erano tramandate attraversouna tradizione orale per secoli prima diessere trascritte. Nella musica liturgicabizantina si riscontra l’influenza direttadella musica greca, siriaca e di quellasinagogale. La comparazione con letestimonianze più antiche accessibili el’esame di altre circostanze hanno per-suaso gli studiosi moderni che sia leantiche melodie ebraiche, sia quelledelle prime Chiese cristiane furonocostruite sul principio dei modi; in alcu-ni casi è stato possibile definire con unalto grado di probabilità gli antichimoduli melodici. Queste scoperte sonostate importanti nella storia della primamusica sacra occidentale per due motivi:1) molti dei più antichi canti occidentalisono costruiti secondo il metodo usatonelle melodie ebraiche, vale a dire inbase a modelli melodici e includenti un

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numero di motivi melodici stabiliti. Inqualche caso la somiglianza tra i cantiebraici e quelli occidentali è tale da sug-gerire addirittura che questi fosseropresi da quelli, o altrimenti che ambe-due fossero varianti di un modulocomune. Per una corretta valutazione, èad ogni modo importante notare comeisolate somiglianze melodiche, sonomeno importanti della simile metodolo-gia di base e dei principi di costruzionemelodica usati sia nel canto ebraico siain quello cristiano. In base a tale somi-glianza possiamo concludere quindi chela musica sacra della più antica Chiesaoccidentale incorporò numerosi elemen-ti della tradizione ebraica, o direttamen-te dai canti delle sinagoghe, o indiretta-mente, essendo state modificate le melo-die originali nei primi centri cristiani inGrecia, Siria, Egitto e in altre regioni delMedio Oriente. In quale modo poi taletrasfusione si sia verificata e quali fosse-ro i rispettivi contributi derivati da que-sti vari centri, è argomento non ancoraabbastanza chiarito; 2) il sistema bizanti-no degli otto echoi ebbe un importanteinflusso sulla teoria medievaledell’Occidente degli otto modi ecclesia-stici. Il nuovo canto piano, inoltre, sistruttura su nuove scale che saranno icosiddetti modi gregoriani che continue-ranno a portare i nomi delle armonie deigreci, anche se saranno radicalmentediversi da esse. Non sappiamo quanto ilsistema bizantino fosse influenzato dallateoria greca, ma certo il successivo siste-ma medievale occidentale fu chiaramen-te formato dagli echoi bizantini uniti aitonoi greci. Gli echoi, pertanto, possonoessere considerati un primo stadio di unprocesso evolutivo di cui la teoria musi-

cale occidentale rappresenta un culminelogico. La musica bizantina, tranne la lingua,conservò ben poco dei tratti che potevaereditare dalla grecità classica, configu-rando così una propria e distintivacoscienza musicale, avulsa da ogni pos-sibile influenza pagana. All’inizio sonotestimoniati rapporti con la tradizionemusicale ebraica e siriaca, ma successi-vamente quando Bisanzio attrae nellasua orbita politica e religiosa l’intera vitaculturale dell’oriente, Bisanzio stessa,nonché i vari monasteri disseminati intutto il vasto territorio imperiale, vienefusa in una tradizione musicale nuova,avente caratteristiche proprie di unmelos che si elaborava su tessuti melodi-ci tradizionali, consistenti in tipi melodi-ci e ritmici, comunemente denominatinomoi. Le melodie ubbidiscono a figura-zioni costanti, retaggio della tradizione,e tutte insieme formano il fondamentodi tutta la pratica musicale orientale. Inomoi melodici, infatti, altro non sonoche un insieme di brevi, e meno brevi,formule melodiche differenziantisi fraloro nel ritmo e nella struttura internadei suoni componenti le formule stesse,secondo le gamme iniziali. I compositoridunque basano su questi nomoi il loroschema compositivo, nell’utilizzo varia-to di questi schemi melici al fine di adat-tare il carattere voluto dall’intero com-ponimento. I nomoi offrono formule ini-ziali e formule per cadenzare con caden-ze intermedie e finali che i compositoriabbelliscono e variano sempre nel pienorispetto del nomos tradizionale. Il periodo di massima fioritura di testiinnodici e componimenti musicali èsenz’altro quello che va dal secolo V al

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secolo X: il periodo più caratteristicodella musica bizantina. I nomi più insi-gni nel V-VI secolo sono: Antimo,Timaele, Ciriaco, Romano (detto “ilmelode” per antonomasia), Anastasio,Aussenzio; nei secoli VII-VIII: Andrea diCreta, Sofronio di Gerusalemme,Germano di Costantinopoli, GiovanniDamasceno, i Cosma di S. Saba; nel seco-lo IX: Teodoro e Giuseppe Studiti, Casìae Giuseppe Innografo. A ciò bisognaaggiungere il notevole contributo deimonaci, che con paziente lavoro, neimonasteri e nelle laure solitarie, hannoin parte salvato questo patrimonio pri-mitivo, sottraendolo alle incurie deltempo e al furore delle lotte iconoclasteai tempi dell’imperatore Leone IIIIsaurico (717-740). All’attività dei primi melodi succede neisecoli XII-XIV, sotto la dinastia deiPaleologhi (1261-1453), l’attività dei“melurgi”, i quali rielaborano il patri-monio melodico primitivo, arricchendo-lo di numerosi ed elaborati melismi emanifestando la loro creatività in unnuovo linguaggio melico, riccamenteespressivo. Fu solo con la caduta diBisanzio nel 1453, la musica bizantinarisente notevolmente dell’influsso turco-arabo, che apporta alterazioni ritmiche ecromatiche, non originarie e non pecu-liari di questa musica. I più antichi docu-menti in scrittura paleobizantina, risal-gono al X secolo, quando una gran moledi materiale manoscritto andò irrepara-bilmente perduto. Tra i più celebri canto-ri bizantini si annovera Romano ilMelode (562†), poeta, compositore einterprete, che viene presentato in origi-ne come incapace di cantare e di com-porre: solo un intervento miracoloso

della Vergine, annunciato in sogno nellanotte di Natale, gli permetterà di vince-re la vergogna e lo scherno dei suoi con-fratelli chierici, trasformandolo in unimportante innografo.Essendosi diffuso, attraverso l’AsiaMinore, in Africa e in Europa, ilCristianesimo primitivo accumulò ele-menti musicali di aree diverse. I monaste-ri e le chiese della Siria furono importan-ti per lo sviluppo della salmodia antifo-nale e per l’uso degli inni. Entrambi que-sti canti ecclesiastici, a quanto pare, sipropagarono dalla Siria attraversoBisanzio fino a Milano e ad altri centridell’Occidente. L’innodia è la più anticatraccia di un’attività musicale dellaChiesa cristiana (Mt 26, 30; Mc 14, 26).Da osservare è il fatto che i Salmi sonotroppo lontani dalla poetica o dallamusica greca perché si possa pensare asalmi ebraici cantati con musica greca.E’vero che nell’ecumene cristiano pre-valse dapprima la lingua greca, ma èprobabile che si sia tentato di adattareintelligentemente, creativamente, la sal-modia ebraica. Nel secondo secolo, d’al-tronde, il predominio greco nell’arealatina è in lento declino. In Gallia, per dipiù, Ireneo ci dice che si parlava solo cel-tico e latino; e allora come si sarebbeinnestata la musica greca nell’area occi-dentale?Quanto alla musica latina vi dovevanoessere delle resistenze da parte ecclesia-stica. In primo luogo i musicisti eranoassimilati ad un contesto mondano chedai cristiani era respinto. Occorre inoltrenon dimenticare che il culto cristiano èrestato a lungo segreto: in tale situazioneè difficile ammettere uno sviluppo dellamusica nelle assemblee liturgiche. La

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musica pagana dotta, del resto, non pre-senta similitudini accettabili; quellapopolare era meritevole di guardingacautela agli occhi degli educatori deimartiri. L’influsso del canto della sinago-ga resta pertanto il più verosimile. Talecondizionamento ad esempio è discerni-bile nel divieto assoluto delle danze con-siderate espressioni tipicamente ereticheo assimilabili a manifestazioni gnostiche,testimoniate ad esempio dalla letteraturaapocrifa. Secondo gli studiosi la cantile-na della prima Chiesa stette fra la recita-zione uniforme e la salmodia stilizzata,evidenziando così una certa perizia nel-l’adattare l’identica formula musicale aparole mosse e diseguali, ma ben prestosi fece largo il coro: la liturgia di lode(Sanctus) riferita all’Apocalisse (4, 8) èconfermata da Clemente Romano e daIgnazio d’Antiochia. Secondo il LiberPontificalis fu papa Siricio (115-125 d. C.)ad introdurre il Sanctus cantato alternati-vamente fra il celebrante e l’assistenza,mentre papa Telesforo (125-136 d. C.)avrebbe introdotto il Gloria in excelsisnella Messa di Natale, poi esteso anchealle domeniche ed alle festività. L’Alleluiaera già molto diffuso ai tempi diTertulliano ed Ippolito. Un’importanteforma “arcaica” di sussidio liturgico qualè la Traditio Apostolica (220), che contieneformule consacratorie (schemi per pre-ghiere eucaristiche) e altre indicazionirituali in cui si accenna al canto dei bam-bini, alla salmodia alleluiatica e all’alter-nanza corale con il diacono.Le seduzioni legate al compiacimentodel canto dovettero apparire assai prestose già nel II sec. si tende a scindere l’uf-ficio del lettore da quello del cantore (ilcantore dunque non può diventare letto-

re!) e se Tertulliano denuncia con forzala demenza di certi innovatori di salmo-dia, Clemente d’Alessandria parimenticon toni di vibrante polemica si aderge acondannare l’uso di musiche molli eartificiose che risentono dell’influssopagano. C’è anche un pericolo più graveper la Chiesa delle origini: in primoluogo l’intrusione di musiche e di cantidegli gnostici (cui si sbarra prontamentela strada) e poi il tentativo di Paolo diSamosata d’introdurre cori di donne (lasua sconfitta è significativa anche sottoquesto profilo, però solo limitatamentealla matrice pagana del tentativo, inquanto S. Efrem adibì un coro di verginiconsacrate e S. Girolamo e S. Ambrogioparlano di donne ammesse al cantoliturgico come di cosa normale). Tra le prime preziose testimonianzedella Chiesa primitiva, non necessaria-mente legate a occasioni liturgiche, siricorda, tra i Padri apostolici, il Pastoredi Erma, nel quale sono menzionatedelle vergini cui è affidato Erma, cheintrecciano intorno a lui danze e canti. Iltentativo di danzare e ritmare rumorosa-mente presso le tombe o in occasione deifunerali sarà ostinato, ma con il tempoverrà stroncato anch’esso. Nel IV secolo la disciplina della Chiesaaveva ormai il controllo del canto sacro.Nell’età della seconda patristica sussi-stevano infatti fondate preoccupazioni:circa le composizioni popolari (i “salmiplebei” furono proscritti dal concilio diLaodicea nel IV sec.), circa il pericolo chela musica non finisse per coltivare lasensualità (Basilio, Agostino), circa iltendenziale prevalere della musica sullaparola alla quale, invece, deve restaresubordinata (Girolamo). Anche S.

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Giovanni Crisostomo (344-407), tra iPadri greci, attesta il canto di inni tra icustodi prigionieri. Egli dirà anche:«Colui che canta i salmi trae, già dallamelodia, un grande godimento ed ancheconsolazione e sollievo, e ciò conferisceal cantore una sorta di dignità»40. Assaieloquente il giudizio dell’Antiochenosulla salmodia: egli parla con entusia-smo della semplicità con la quale imonaci del deserto eseguono la salmo-dia levandosi e cantando inni profeticicon un insieme perfetto di melodie benritmate, senza l’accompagnamento dialcuno strumento, ma in stato di perfet-ta e profonda calma e solitudine41.In riferimento alla definizione musicaledel silenzio, inteso non come assenza,bensì come pienezza di suono, si tengapresente l’acuta definizione delCrisostomo: «Questo silenzio dei cieli èuna voce più risuonante di quella di unatromba. Questa voce grida ai nostriocchi e non alle nostre orecchie la gran-dezza di chi li ha fatti»42. Teodoreto (393-466), ugualmente, rico-nosce alla musica la facoltà non soltantod’incantare l’orecchio, ma anche dimutare lo stato d’animo, di rendere lagaiezza a coloro che sono depressi 43. Trai Cappadoci, S. Basilio Magno (330 ca.-379) afferma in una delle sue omelie:«Quando lo Spirito Santo vede quantoera difficile condurre gli uomini alla

virtù e quante volte essi erano, dalla loronaturale inclinazione per i piaceri sen-suali, distolti dal retto cammino, cosa fa?Egli mescola ai precetti religiosi la dol-cezza della melodia perché, dall’inter-mediazione dell’orecchio, noi accettia-mo, senza dubitare il contenuto utiledelle parole…le melodie armoniose deisalmi sono state aggiunte da coloro chesono ancora, in età e in spirito, fanciulliun poco sviluppati, formando, in realtà,le loro anime, mentre essi credevanosolamente di cantare le melodie»44. VariPadri avrebbero preferito addiritturache non fosse dato posto al canto nellaliturgia. Secondo Isidoro di Siviglia (560ca. 636†) il canto fu ammesso per rag-giungere coloro che erano impermeabilial messaggio della parola e per suscitarenei refrattari sentimenti di pietà. S.Benedetto esigerà che il cantore «edifi-chi» l’assemblea. Fatto sta che i musiciprofessionisti, dopo Costantino, entranonella Chiesa, la quale eredita anche, conil quadrivium, l’insegnamento dellamusica dotta. Non si deve esagerare,peraltro, questo influsso, né sul pianopratico né su quello teorico. Sul pianopratico la musica – in ambiente cristiano– non è coltivata per se stessa ma solocome supporto della parola (e si esigeche tale supporto non sia né complicatoné artificioso). Sul piano teorico biso-gnerà aspettare S. Agostino (354-430)

40 S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Expositio in Psalmum 134; PG 55, 388.41 S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In Epistulam I ad Timotheum Homilia 14; PG 62, 576.42 S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IX ad populum antiochenum; PG 49, 105, in G. Ravasi, Cantare a

Dio con arte. Il teologico ed il musicale nella Bibbia. Atti del convegno internazionale di studi promosso daBiblia e dall’Accademia musicale chigiana. Siena 24-26 Agosto 1990, a cura di P. Troìa, Roma 1992, 85.

43 TEODORETO, De provid. orat. 5; PG 83, 624.44 BASILIO DI CESAREA, Homilia I in Psalmum; PG 29, 212.

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per avere il primo trattato cristiano, il Demusica; anche se limitato alla metrica dellinguaggio, tuttavia il trattato agostinia-no ha il merito di saldare la culturamusicale pagana con quella medievale.La posizione di Agostino nei confrontidel piacere dell’ascolto già esplicitatanelle Confessioni45, esprime assai esau-rientemente il carattere ambiguo dellamusica: egli scinde, infatti, tra il canto ele parole cantate, evidenziando un rap-porto di ancillarità fra parola e musica eponendo in risalto il carattere ambiva-lente della presenza musicale. Celebre la definizione di Agostino:«Musica est scientia bene modulandi»46.Tra i latini il presbitero Ippolito per farfronte probabilmente alla fatica dell’im-provvisazione che coinvolge il clero del IIsecolo, offre una traccia per la creazionedi preghiere liturgiche. E’opportunoricordare che Agostino si colloca tra colo-ro che al suo tempo sostennero l’utilitàdell’uso del canto in chiesa dal momentoche secondo lui uno spirito debole sareb-be potuto arrivare al sentimento delladevozione anche attraverso il dilettodelle orecchie (Confessioni X, 33, 50). L’opera agostiniana che meglio rispondeai criteri di una siffatta concezione musi-cale, sia dal punto di vista pastorale sia

ecclesiale sia liturgico, è senz’altro costi-tuita dalle Enarrationes in Psalmos. Inesse, a partire dalla propria esperienzain ambito liturgico, Agostino giunge ateorizzare il positivo connubio tra cantoe culto, propendendo personalmenteper la grande utilità del canto. NelleEnarrationes in Psalmos47 la musica deglistrumenti musicali è del tutto sottomes-sa al canto e quindi a sua volta alla paro-la; se infatti da una parte la preghieranon ha alcun bisogno stringente di esse-re accompagnata, dall’altro è pur veroche essa trova nelle forme musicali unaforte carica simbolica ed emotiva. Taleposizione, tuttavia, oscilla tra il pericolodel piacere fine a se stesso e la constata-zione dei suoi aspetti salutari, accordan-do alla musica il carattere di diletto48 siaper l’esecutore che per il fruitore. Questaambivalenza tuttavia, indurrà Agostinoa concepire la musica come astrazione,accordando al mondo interiore la suavera sorgente. Le Enarrationes presenta-no inoltre un singolare approfondimen-to del concetto di giubilo: qui il puromelos assume uno spazio autonomo. Inquesto si rivela la straordinaria moder-nità di Agostino: con lo Iubilus il musica-le puro prende una sua direzione rispet-to alla parole, al testo della Scrittura,

45 In tale opera Agostino esplicita il proprio pensiero sulla musica che per lui è un modo per spie-gare la memoria, la creazione, il tempo, l’armonia dell’universo e la vita stessa, un paragone insom-ma in grado di evocare la soavità dell’esperienza mistica (Confessioni IX, 29, 40; X.33.49-50; XI.28.38).

46 AGOSTINO, De musica, I, 2, 2; NBA 3/2, Roma 1976, 402. La definizione, osserva P. POLIERI, I suonidella Torah, Bari 1997, 108n, non è originale di Agostino, ma è già presente nel De die natali diCensorino (10, 1-3). Circa la provenienza di tale formula, U. PIZZANI-G. MILANESE, De musica, Palermo1990, suppongono un’origine varroniana cui Censorino e dunque Agostino avrebbero attinto.Occorre tuttavia rilevare che non tutti gli studiosi accolgono in maniera acritica tale congettura.

47 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos 146, 2.48 AGOSTINO, De musica VI, 11, 29: «Delectatio ergo ordinat animam»; NBA 3/2, 668.

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aprendo lo spazio alla sola voce.L’originalità di Agostino emerge soprat-tutto nel fatto che per lui il canto chepiace a Dio ha anzitutto la caratteristicadi essere ineffabile, ossia senza parole:egli connota questo atto del cantare conil verbo «giubilare». Lo Iubilus ebbemolta importanza nello sviluppo dell’ar-te musicale cristiana, raccordandosi alleorigini del canto melismatico49. Il retroterra filosofico della concezionemusicale agostiniana è chiaramente rile-vabile in Filone e nell’apporto della filo-sofia neoplatonica. Tra i filosofi che vis-sero nel periodo delle origini cristianeFilone è molto critico nei confronti diogni tipo di piacere sensibile e ammettela musica solo come preparazione allafilosofia. Secondo Filone la gioia dellapresenza divina arresta la parola, perchéla contemplazione dell’Essere supremosi fa nel silenzio, non nei canti a vocespiegata, ma in quelli proferiti dallo spi-rito interiore. Secondo la più classica tra-dizione apofatica filosofica, il termineche indica questa ineffabilità è árrethon.E’ interessante notare come in Plotino lamusica è utilizzata almeno comemetafora, mentre nel filosofo Porfirio ètotalmente assente la possibilità di espri-mere alcunché per mezzo dei sensi: lamusica per Porfirio è solo teoria.

Nell’ambito del paganesimo ancheGiamblico50 presenta due interessantiaffermazioni sulla musica: egli distinguein proposito fra estasi ed entusiasmo. Laprima è di natura demoniaca, il secondoè al contrario di origine divina. Non è lamusica a creare l’entusiasmo, ma il con-trario: esso procede dall’armonia divina.Insomma, anche in questo caso la musi-ca stabilisce un rapporto tra Dio e l’uo-mo, ma il culto più perfetto resta quellodel silenzio. Il principale punto di accor-do con i neoplatonici è per Agostino ilfatto che l’esperienza sensibile costitui-sce il punto di partenza per il processoad incorporalia, ossia l’affermazione chel’anima non può parlare e pensare logi-camente della sua partecipazione allaverità, dal momento che il pensierodiscorsivo utilizza i concetti l’uno dopol’altro, secondo il processo del pensiero.La differenza fondamentale è che men-tre per Plotino il pensiero stesso tornaalla sua origine trasformandosi in questastessa ed assimilandosi pienamente adessa (in base al pensiero che «il simileconosce il simile», Porfirio, CommentarioIV, 25), per Agostino questa origine èidentificabile con Dio nella sua relazionetrinitaria. Pertanto «egli si differenziadai neoplatonici dal momento che perlui l’anima non ha bisogno di scompari-

49 Lo studio più completo e documentato sull’argomento è il contributo di E. T. Moneta Caglio,«Lo Iubilus e le origini della Salmodia Responsoriale», in «Jucunda Laudatio», 1976-1977, 5-17, riprodottoin P. ERNETTI, Principi filosofici e teologici della musica, Roma 1980, 360-373. Cfr. pure sul tema dello iubi-lus il dotto contributo di M. B. ZORZI, Autonomia della musica e mistica cristiana. Lo iubilus in Agostinod’Ippona, in Mneme, 30 Novembre 1999; IDEM, Melos e iubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostinod’Ippona. Una questione di mistica agostiniana, in «Augustinianum» 41 (2002), 383-413; IDEM, L’esperienzadel canto liturgico secondo le Enarrationes in Psalmos di Sant’Agostino, in «Inter Fratres» 52 (2002), 27-52,211-238.

50 Afferma GIAMBLICO, I misteri d’Egitto, 8,3, Paris 1966, 196: «Anzitutto (Dio) nel culto non si cele-bra che in silenzio».

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re Non vi è un oblio da parte dellacoscienza, ma come un suo “presentire”.In altre parole la persona non si ottunde,ma resta, e proprio nel suo dire e comu-nicare “balbettando” manifesta unarealtà più grande, ad essa rimanda e diessa così fa esperienza (come sempre piùgrande e sempre oltre)», nota efficace-mente la Zorzi. La prospettiva agostinia-na è poi chiaramente condizionata dallaSacra Scrittura che è anzitutto Logos,ossia aiuto ai fini della salvezza. Nel suoottimo contributo sullo Iubilus in S.Agostino, M. B. Zorzi prospetta l’ipotesiche Agostino «sia stato attratto dall’ele-mento dell’ineffabilità del giubilo acausa di un influsso della dottrina neo-platonica sul silenzio, o meglio da quel-la che è stata chiamata la teologia nega-tiva, con il suo corrispondente concettodi ineffabilità, e in particolare dal rilevoche in questo sistema filosofico il concet-to assume riguardo al rapporto con Dioe all’esperienza mistica»51. In Agostinol’avvicinarsi a Dio, o il fare esperienza dilui, include necessariamente la purifica-zione del cuore, cioè una vita di conti-nua conversione: è questa propriamentela dimensione etica del giubilo.Nell’Enarratio 150, egli propone efficaciparallelismi secondo i quali la voce cor-risponderebbe alla mente, lo strumentoa fiato allo spirito e quello a percussioneal corpo. L’importanza estrema dell’ap-porto di Agostino, al fine della presentetrattazione, è pertanto quella di conferi-re allo iubilus il connotato che nella tra-dizione filosofica era proprio del vero

culto, facendo così entrare a pieno titolonel culto la musica, a seguito del canto,tramite una nozione del tutto nuova ecristiana, vale a dire quella del rapportocon la divinità che si manifesta nella pre-ghiera e nell’adorazione contemplativa.Lo iubilus agostiniano è una parola, che,in quanto partecipa alla parola rivelativadel Padre, non può fare a meno di comu-nicare il mistero nell’affermazione delsuo limite, a differenza di quanto acca-deva in Plotino, l’ineffabilità in Agostinonon è il contrario della parola, bensì èancora un elemento di espressione diessa: una parola dunque che denuncia sestessa come finita, parziale e limitata maforiera di verità nell’additare l’orizzontedivino. Agostino a differenza di Porfirio,che asserisce essere migliori coloro che,rinunciando alla comprensione di Dio,affermano di Dio quello che egli non è,piuttosto che ciò che egli è (teologianegativa), non rinuncia al linguaggio néalla conoscenza di Dio, per quanto siaperfettamente consapevole del limite edella finitezza della parola e della menteumane. E’ significativo notare comeanche la concezione dell’ek-stasi del cri-stiano sia quella della gioia del messag-gio inaudito che spezza i confini dellaparola stessa quando intende comuni-carsi, esplicandosi pienamente nelladimensione liturgica. Il venir meno dellaparola o il suo trascendimento nello iubi-lus manifesta una profonda differenzadal silenzio dei filosofi pagani per i qualiesso aveva un valore in sé: era, in altritermini, il venir meno della parola per-

51 M. B. ZORZI, Autonomia della musica e mistica cristiana. Lo iubilus in Agostino d’Ippona, in Mneme,30 Sett. 1999.

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ché veniva meno ogni dualità, ogni pro-cesso dialogico, a causa del ritornofusionale all’uno-Bene che l’anima rag-giungeva, superando il molteplice,diversamente dal cristianesimo in cui ilsilenzio non ha valore in sé. Nota acuta-mente la Zorzi: «Nel giubilo il corpo dauna parte esprime la necessità di auto-trascendersi (spezzare le sillabe), dall’al-tra resta come orizzonte trascendentaletramite il quale solo l’uomo può direqualcosa di e a Dio partecipando cosìdella sua Parola… Anche in questonotiamo una differenza con il neoplato-nismo, per il quale il corpo era solo car-cere e l’esperienza della divinità spetta-va alla sola anima»52. Per quanto riguarda gli strumenti inte-ressante l’interpretazione offerta daAgostino, secondo cui le dieci corde delsalterio, possono facilmente essere asso-ciate ai dieci comandamenti e perciòcantare con il salterio significa adempie-re la legge (En. Ps. 91, 5; 110, 1); il timpa-no invece ricorda la trasformazionedella corruzione terrena nella crocifissio-ne della carne (En. Ps. 150, 7) e, come ilcuoio del timpano deve essere seccato,così l’uomo deve abbandonare le concu-piscenze della carne. Il grado di tiraturadella pelle, la tensione escatologica, faemettere un suono più acuto al tocco diCristo (En. Ps. 149, 8). Abbiamo in que-sto caso un’allusione al rapporto trasforzo dell’uomo e Grazia divina, travita ascetica e amore di Dio. Il suono (ifrutti dello Spirito) non si emette se lacorda non è toccata da Cristo (toccodella Grazia), e le corde devono essere

ben tirate (sforzo) per poter produrresuono (carità). Degna di nota l’interpre-tazione agostiniana del suono dellatromba: il cuore del cristiano produce unsuono che è il desiderio del regno di Dio.Questo desiderio spesso è suscitato dalletribolazioni che colpiscono i cristianiprovenendo da ogni parte: infatti neisalmi è detto che dobbiamo lodare Dioin duttili trombe. La tromba si rendeduttile con il martello e del pari il cuorecristiano si protende a Dio nel doloredelle angustie (En Ps. 32, II, II, 10).Anche in questo caso lo strumentodiventa un’allegoria. Essa è sviluppatasulla base del fatto che la tromba, essen-do di metallo, deve essere battuta peressere forgiata e produrre suono. Il cri-stiano parimenti si purifica e diventaduttile sopportando le angustie e le tri-bolazioni. Il cristiano sarà dunque unatromba duttile, costruita a gloria di Dionel momento in cui, quando giunge latribolazione, sa ricavarne del frutto spi-rituale, come Giobbe (En. Ps. 97, 6). Latribolazione è il picchiare del maglio, ilprofitto è il modellarsi della tromba (cfr.En. Ps. 97, 6-7). Agostino interpreta ladebolezza (infirmitas) di Paolo propriocome questa duttilità così da poter arri-vare a dire: «in infirmitate virtus perfici-tur» (ibidem). La tromba ha un suonomolto acuto («excellentissima claritate»,En. Ps. 150, 7), allusione anche questo altipo di lode che il cristiano dovrebbe tri-butare a Dio. Il cristiano deve alzare lavoce come la tromba (En. Ps. 46, 7).Singolare la simbologia del corno.L’allegoria qui si fa molto curiosa. Ogni

52 M. B. ZORZI, Autonomia, cit.

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corno infatti arriva dove non arriva lacarne. Poiché il corpo si spinge oltre lacarne la sua caratteristica sarà quella diessere duro e resistente: nonostante ciòesso può emettere dei suoni. Come sispiega questo fatto? Agostino rispondesu un livello metaforico dicendo: perchésupera la carne. In tal modo chiunquevuol essere una tromba di corno deve«superare la carne» cioè trascendere gliaffetti carnali e superare gli appetiti infe-riori (En. Ps. 97, 7). Sporgendo fuoridella pelle dell’animale, il corno diventasimbolo della rinuncia a vivere secondola carne e del suo trascenderla. Nellavita spirituale essere tromba di cornovuol dire levarsi contro il diavolo e nonquindi contro il proprio fratello, diven-tando così una tromba di «carne» cioè dipeccato (En. Ps. 97, 7). Abbiamo quindidi questo strumento un’applicazionemorale alla vita cristiana. I cembali cheper suonare devono urtare l’uno control’altro, vengono paragonati da Agostinoall’urtare delle nostre labbra: i cembali,come le labbra, non suonano se nonsono l’uno contro l’altro. Si tratta anchein questo caso di un’allusione, ma que-sta volta il riferimento rimanda al cantoreale. Più significativa l’allegoria allavita comunitaria, ma sotto l’aspetto que-sta volta della stima reciproca, quasi uncommento a quello che dice Paolo:«gareggiate nello stimarvi a vicenda»(Rm 12, 10). Interessante il fatto cheAgostino riprende l’interpretazione sim-bolica per parlare dei rapporti interper-sonali di reciproca stima e fiducia: siloda Dio con i cembali quando uno rice-

ve l’onore da un altro, e non ne va a cac-cia da sé, e così i due onorandosi scam-bievolmente, lodano Dio (En. Ps. 150, 8).Il motivo della concordia e dell’armoniadi suoni diversi sembra essere veramen-te originale in Agostino rispetto ad altriPadri, i quali invece non ammettevanola polifonia nelle liturgie, perché simbo-lo della molteplicità e quindi delladiscordia (per questo preferiscono sol-tanto una sola voce, cioè un canto mono-dico). Al contrario Agostino afferma chequalora la concordia e l’unità si creinodalla diversità, risultano ancora piùgrandi. L’intuizione di Agostino pone lebasi teologiche per il futuro processo disviluppo della polifonia cristiana.Tertulliano attesta che nelle carceri i cri-stiani cantavano inni e pregavano e chepoi le stesse guardie e i custodi venivanotrascinati dalla potenza ammaliatrice delcanto: «in carcere audientibus custodiis,orabant et canebant Deo»53 ed oltre adocumentare la forma intercalare alle-luiatica per il canto dei salmi, egli nel Deanima precisa la distinzione tra la decla-mazione della Sacra Scrittura e il cantodei salmi, precisando la presenza delcanto dei salmi interlezionali e della pre-ghiera dei fedeli all’interno della cele-brazione eucaristica dei montanisti iquali, benché eterodossi, è possibile cheseguissero la tradizione liturgica corren-te e fornisce, ad un tempo, la traccia delrito, composta di letture, canto dei salmi,omelia e orazione finale. E’ sempre inquesto documento che abbiamo un’ap-prossimativa descrizione dell’organo,strumento conosciuto nel mondo greco

53 TERTULLIANO, De oratione, c. 24, 5-6; CSEL 1, 272.

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già dal III secolo a. C. in una forma a tra-smissione idraulica per l’alimentazionedelle canne.La riflessione musicale dell’Ipponensederiva in gran parte dalla sua formazio-ne retorica, in parte dall’esperienza dellavita di Chiesa. All’interno di essa il cantorivestiva un ruolo considerevole. Il can-tare per Agostino è segno di letizia e, sesi considera la cosa più attentamente,anche espressione di amore: «chi saamare la vita nuova sa cantare il canticonuovo. Rientrano infatti nell’unicoregno tutte queste cose: l’uomo nuovo, ilcantico nuovo, il testamento nuovo, percui l’uomo nuovo e canta il canticonuovo e appartiene al Testamentonuovo»54 e ancora: «Dio ci si offre inmodo completo . Ci grida: Amatemi e mipossederete, poiché se non mi aveste,non potreste nemmeno amarmi. O fra-telli, o figli, o germogli della Chiesa cat-tolica, o semi santi e celesti, o rigeneratiin Cristo e [in Lui] nati dall’alto, ascolta-temi! Anzi, stimolati da me, cantate alSignore un cantico nuovo. Eccomi – dici– io sto cantando. Stai cantando, è vero,stai cantando: lo ascolto. Ma che la tuavita non proferisca testimonianza con-trastante con la tua lingua. Cantate conle voci, cantate con i cuori; cantate con lelabbra, cantate con i costumi»55. Lo iubilus, per l’appunto, dal punto divista tecnico era il vocalizzo che accom-pagnava il canto dei salmi, al quale isalmi stessi invitavano e grazie al qualeAgostino tematizza il «canto senza paro-le», un canto cioè non sottomesso alle

parole ma puramente musicale. Lamatrice di tale concezione, come già evi-denziato, affonda le proprie radici nellariflessione neoplatonica, la quale influen-za sotto certi aspetti anche il primo pen-siero cristiano. In Agostino lo iubilusmutua alcune caratteristiche dal pensie-ro neoplatonico, ma se ne distacca essen-zialmente per il fatto di esprimere unagioia incontenibile, ineffabile, la qualetutt’altro che sfociare nel silenzio nonpuò fare a meno di comunicarsi. Il voca-lizzo puramente musicale esprime in talsenso il paradosso di dire ciò che nonpuò essere detto. In tal modo la dimen-sione corporea e sensibile dell’uomo nonsolo non viene disdegnata, ma diventanecessariamente tramite per la lode diDio, il quale a sua volta si è comunicatouna volta per tutte nell’incarnazione delVerbo. Nel rispetto di questa chiave dilettura la pratica musicale acquista inAgostino una dignità mai prima cono-sciuta, grazie ad un nuovo concetto direlazionalità dialogica: alla parola di Dio,in altri termini, l’uomo non è in grado dirispondere con un’altra parola, ma è ingrado e deve rispondere con giubilo. Eparimenti ciò che fa del giubilo un verocanto è la comunione, cioè la sua caratte-ristica ecclesiale, comunitaria. La caratte-ristica fondamentale del canto è muove-re l’affectus. Con il canto, assieme allemelodie, entrano nel cuore i concettidelle parole. Ossia quando l’animo èricolmo di commozione, non un linguag-gio discorsivo-razionale può esprimere illinguaggio del cuore, ma la stessa ripeti-

54 AGOSTINO, Serm. 34, 1-3; NBA 29, Roma 1979, 622-625. 55 AGOSTINO, Serm. 34, 5-6; NBA 29, 626-627.

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zione, la cantilena, cioè il puro musicalee sonoro. Lo stesso Cristo usava parlareripetendo Amen, per arrivare direttamen-te al cuore dei suoi discepoli e di conse-guenza attrarre le menti e muovere lavolontà. Il primo motivo del nostro giu-bilo, dice Agostino, è la grandezza diDio, poi la sua unicità, la sua signoria, lasua misericordia, la potenza con la qualeregge e guida la creazione e la storia.Motivo del giubilo è la meraviglia (En.Ps. 46, 7) per l’opera di Dio nelle suemanifestazioni lungo la storia della sal-vezza: si giubila per la creazione (En. Ps.26, I, 6; 26, II, 12; 94, 5.9; 99, 16), per lafede (En. Ps. 26, II, 13), per il mistero del-l’incarnazione, morte e risurrezione diCristo: «Ho considerato il mondo checrede in Cristo e il fatto che Dio si è umi-liato nel tempo per noi, con gioia l’holodato» (En. Ps. 26, I, 6). Ancora, si giubi-la per la grazia (En. Ps. 88, I, 17), per lapace cattolica (En. Ps. 94, 8), e soprattut-to per la grandezza di Dio (En. Ps. 94, 6),e cioè senza motivo, gratuitamente e per-ciò ripetutamente, come ad esprimere lasovrabbondanza della grazia (En. Ps. 94,5). Si giubila per la remissione dei pecca-ti (En. Ps. 97, 4). La stessa vita eterna saràun eterno giubilo (En. Ps. 99, 8.11; 102,8.10.29; 148, 1). Il sentimento di timoreconnesso con l’indagine dell’origine delmale e una ricerca del numero nellarealtà materiale muovono la riflessioneagostiniana nell’introduzione alle veritàspirituali attraverso le conoscenze profa-ne, rendendo la musica partecipe di unascienza divina.Dopo Agostino abbiamo i trattati diAlbino e Boezio (480-524). Quest’ultimo,in particolare, tratta del canto e dellavoce, della composizione e dell’organo.

Ad essi si aggiungono Cassiodoro (485-552) e, soprattutto, Isidoro di Siviglia(636†), il quale passa dalla considerazio-ne scientifica a quella pratica. L’assettoeducativo delle arti liberali, che vieneorganizzato già in epoca ellenistica, tro-verà una conferma preziosa nel mona-chesimo medievale e, sotto il profilodella morfologia della cultura, leInstitutiones di Cassiodoro diventano unimportante documento antologico chesancisce come la musica rappresenti unascienza in grado di elevare i sensi allerealtà celesti. Da quel momento laChiesa organizza il suo patrimonio. FuBoezio con il De institutione musicae a tra-scrivere e a fornire la propria interpreta-zione della teoria musicale greca, purese con lo stravolgimento di quest’ultima;in questo modo si creò una nuova tradi-zione musicale cristiana, che si conso-lidò lentamente, attraverso un processodi unificazione di tradizione locali distili e di linguaggi diversi, nel segnodella comune civiltà cristiana che dove-va servire da coagulo di esperienze tantodiverse per la loro origine. Egli dunquecolloca la musica all’interno della mate-matica, nell’ambito della concezionedella musica delle sfere – la musica mun-dana –, tuttavia non si sofferma con pre-cisione sulla catalogazione degli stru-menti, confermando la scarsa considera-zione per ciò che è semplicemente fun-zionale, al servizio dell’esecuzione epropendendo viceversa per un approc-cio teorico. In tale ottica anche i fenome-ni di consonanza e dissonanza, che cor-rispondono a equilibri o squilibri difenomeni fisici, vengono puntualmenteassociati ad effetti psicologici di benes-sere o malessere dell’animo. Prende pro-

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gressivamente piede l’idea di proporzio-nalità che sta alla base sia delle conso-nanze musicali sia di quelle psicologico-morali. I canti dei primi cristiani, inebraico o aramaico nei primissimidecenni, poi in greco e più tardi in latinoavevano formato un repertorio vero eproprio che andò poi codificandosi informe più rigide verso il IV-V secolo. Mail processo di formazione del repertorioliturgico, del nuovo linguaggio musicalecon i suoi stilemi e le sue nuove conven-zioni, fu assai lungo e si protrasse sinoalla fine del primo millennio. Qui è forse opportuno ricordare e chiari-re in via preliminare una distinzione:qualunque sia il debito dell’Occidentecristiano verso l’Oriente, lo sviluppomusicale dell’Occidente egemonizzatoda Roma va considerato a parte. Moltoprobabilmente furono i monaci orientalia indulgere per primi ai vocalizzi: pas-sando per i vari gradi di tensione, infat-ti, la voce rivelava la sua capacità di for-zare l’uditore a partecipare dell’emozio-ne di chi cantava, ma in Occidente all’ar-te del solista si preferì la compostezzapolifonica. Aquileia, Milano, la Gallia el’area ispanica sono esposti all’influssoorientale (specificamente siriaco), conaccentuati vocalizzi e canto ornato, maRoma, che aveva mantenuto un maggiordistacco e riserbo nei confronti di taliinflussi, riuscì ad imporsi come punto diriferimento.Alla fine del presente studio è ad ognimodo interessante notare come il modu-lo siriano enunciato da S. Efrem (373†) siricollegava al modulo dei salmi ebraici,ma, a differenza di essi, esaltava il ritor-nello e adottava versi di lunghezza fissa.Tra i compositori di inni nel De viris illu-

stribus Girolamo ci ragguaglia sulla rac-colta di inni, composta da Ilario diPoitiers (315-376), di cui possediamo solotre esemplari parziali: egli, tuttavia, purcomponendo i prototipi latini del generenon può essere messo in relazione diret-ta con Efrem, sia per le incongruenzetemporali sia per il carattere più com-plesso dei suoi lavori, certamente nonadatti a essere cantati. I suoi inni sonostrofici, ma scritti in una sorta di prosapoetica. L’introduzione di un elementocosì innovativo, non più declinato in uncontesto orientale, si deve, come già spie-gato, ad Ambrogio che imita Efrem (sitrova, del resto, in situazioni polemicheanaloghe), ma ottiene maggior successoomettendo il ritornello ed adottando pre-cise regole metriche. Inoltre gli inniambrosiani, sfruttando un modello ripe-titivo, si presentano come uno strumentoprezioso per l’attività catechetica eimpiegano immagini vive che fanno dacontrappunto alla predicazione.Ambrogio si avvale di essi come ausilioper il suo scopo pastorale, utilizzandoverosimilmente un testo ritmico, mamantenendo una chiara autonomia dallaclassicità del mondo pagano. Il segreta-rio del vescovo Ambrogio, Paolino (353-431), nello scrivere la Vita Ambrosii, inclu-derà gli inni, il canto lateranense e leveglie, tra le iniziative pastorali delvescovo per un coinvolgimento maggio-re nella preghiera comune. A Roma si conosceva la musica bizanti-na e l’innovazione milanese, ma, appog-giandosi al proprio modulo arcaico, sisviluppò un filone musicale più omoge-neo. L’imposizione del Canone latino(382 d. C.) indica una direzione di mar-cia: l’ordine dato da papa Damaso di

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cantare l’ufficio di giorno e di notte dà ilvia ad uno sviluppo. Senza mantenerefissa né la sua liturgia né la sua musica,Roma – al tempo giusto – ottiene un pro-gressivo allineamento sulle sue posizio-ni in un certo senso “aggiornate” attra-verso il cosiddetto canto curiale. In par-ticolare il canto antifonico fu regolato dapapa Celestino (422-432). I vocalizzi alle-luiatici di cui si compiacevano Girolamoe Agostino saranno regolati successiva-mente da Gregorio Magno e verrannofissati nei manoscritti dell’ottavo secolo.La litania diaconale in uso nel IV sec.,sarà amplificata da Gregorio (è il germedel Kyrie). Per quanto concerne gli inniinvece va rilevato che il salmo non tieneconto né della rima, né del numero dellesillabe, né della metrica; invece la strofametrica dell’inno è cantata sull’identicamelodia che viene ripetuta. Si avverte ilpericolo che questa innovazione possaaprire la porta ad influssi profani comesottolinea la discordanza in propositofra vari vescovi e Roma (che al riguardosi mostra restìa), ma dopo che papaGelasio imitò Ambrogio, la formulavenne pienamente recepita. Quanto agli strumenti, il filtro fu anchepiù severo: nell’Apocalisse ci si riferisceall’arpa e S. Efrem la userà; Ignazio siriferisce alla cetra ed è probabile che essafosse usata a Roma, avvalendosi dimetafore musicali per argomentare lasua ecclesiologia. Nella lettera agliEfesini compare la terminologiaomophÿnía/symphÿnía per veicolare l’im-magine della concordia. Gli strumentiad aria sono proibiti e solo l’organo siaprirà un varco, col tempo. Il flauto èadibito, fuori della chiesa nel rito mor-tuario: in chiesa non è ammesso, forse

per il suo riferimento alle divinità infere.La tromba sembra avere un significato“apocalittico”, come già rilevato, e soloin epoca “moderna” fu parzialmente edeccezionalmente accettata. In ambitoantiocheno, Diodoro di Tarso (†394)attribuisce al canto qualità calmanti neiconfronti delle passioni suscitate dallacarne. Vari Padri inoltre, tra cuiGirolamo e Crisostomo, sono ostili aglistrumenti. Il Crisostomo in particolareafferma che è a causa del peccato e delladebolezza umana che Dio ha permessol’uso dei canti e degli strumenti, tuttavianei secoli successivi quando lo strumen-to dell’organo trovò una degna sistema-zione e accoglimento nella basilica late-ranense (XI sec.), anche le ultime pre-venzioni caddero. L’Antiocheno parlaugualmente con indignazione dei «cantispezzati» che si ascoltano alle cerimoniedi matrimonio. Quest’ultimo potrebbeessere un riferimento non troppo velatoal cromatismo, ma si potrebbe anchepensare a delle melodie cariche di fiori-ture, eseguite sia con l’aulos doppio, siacon la cetra. L’evoluzione romana più importante edi maggiore influsso tuttavia fu quelladei cantori. Nelle piccole chiese antichebastò, dapprincipio, un solo cantore (lagente rispondeva coralmente con breviinvocazioni), la cui figura – sospettatada Padri come Girolamo – prese rilievonel concilio di Laodicea (341-363 d. C.).Il lettore ebbe nella Chiesa maggiorriguardo e cure, infatti le prime regoleper la sua educazione comunitaria furo-no normalizzate da papa Siricio (385-398d. C.), ed ebbero analogo trattamentosolo più tardi, ma la saldatura fra parolae musica fu inarrestabile e con un conse-

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guente sopravvento della musica sullaparola. Si rese dunque indispensabile enecessario regolare il fenomeno. Scuoleper cantori sembra che esistessero findal sec. V. Il concilio di Braga (563 d. C.)interviene ad imporre una tenuta liturgi-ca (abiti e capigliatura) ai salmodiantiintegrati nella liturgia. Il sacramentario el’antifonario curati da Gregorio Magnocostituiscono un regolamento piùsostanziale, ma egli si prende cura anchedell’educazione dei cantori occupandosidegli elementi più dotati e promettenti.A Roma, sulla base di una consolidataprassi esecutiva, è presumibile che cifosse un canto prestigioso, dal momentoche di vari papi si dice che fossero ancheottimi cantori. In tal senso le analiticheregole di Isidoro di Siviglia, sorprenden-temente attuali, dovettero essere presein seria considerazione. Nel 678 l’arci-cantore romano Giovanni, di sanMartino ai Monti, venne mandato inInghilterra per insegnavi il canto. Ciòdimostra che il cantore che ha per com-pito quello d’insegnare a comprendere itesti sacri è ormai una figura pienamen-te inquadrata a Roma. Sotto l’aspetto della paleografia musica-le, allargando lo sguardo ai secoli imme-diatamente successivi, si nota che i puntie i trattini dell’accentuazione latina ado-perata per i poemi profani furono ripre-si per utilità dei lettori liturgici e per icantori: per questa via i «neumi» si tra-sformarono sino a diventare la nostrascrittura musicale. Da quando le compo-sizioni musicali poterono così essereconservate, esse abbondarono e la creati-vità di cui esse sono portatrici, così con-trollata, fu messa in condizione di averepiù spazio. Tra i componimenti più

significativi, la nota sequenza Dies iraerisale al IX sec.; Victimae Paschali e VeniSancte Spiritus al X sec., mentre lo StabatMater e il Lauda Sion sono databili conogni probabilità al secolo XIII. Il severo controllo esercitato dallaChiesa di Roma sull’eccessiva disinvol-tura di alcuni componimenti musicali, sitramuta in un disciplinato controllovolto a stornare ogni forma di eccesso,storpiamento e caricatura all’internodell’esecuzione musicale. Infatti il gene-re musicale del dramma liturgico, trop-po dialogato, cade in sospetto, e i cister-censi e i domenicani si vedono alloraproibire ogni forma di polifonia, finchéGiovanni XXII vieta espressamente leinnovazioni che turbano i fedeli: così sisbarra il passo ai mottetti in lingua vol-gare (sec. XIV). Anche la trattatisticaconosce il suo periodo di rigoglio, anno-verando tra i suoi promotori soprattuttoAlcuino e Aureliano di Réome, senzatrascurare l’apporto considerevole reca-to dagli strumenti: si pensi in propositoche trattati sull’organo ci sono pervenu-ti fin dal X secolo.In tutto il Medioevo, infine, il principalefattore frenante non è certamente dariconoscersi nel genio, nell’entusiasmooppure nel gusto, che pure in questoperiodo abbondarono, bensì va indivi-duato principalmente nell’analfabeti-smo, cui si connette l’onere della memo-rizzazione e, quindi, il prevalere dellavoro ripetitivo su quello creativo.Sarebbe ad ogni modo errato supporreche quella stupenda primavera dellenazioni europee che fu l’epoca medieva-le, nella quale si formarono linguenuove, acquisirono una propria identitàdiversi popoli e nacquero e prosperaro-

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no nuove arti, sia restata impassibile alladimensione musicale: è il Medioevo,infatti, che creò la musica nuovadell’Occidente, ponendo le fondamentaper i generi successivi e fu propriodurante quest’epoca che l’arte musicaleconobbe maggior rigoglio raggiungendol’apogeo dell’affermazione del sacro neldiscorso musicale, attraverso un perfettaintegrazione fra parola e musica. Tracceevidenti di tale portato sono tutt’oggidiscernibili nel canto religioso popolare,dal quale, raccordato alla polifonia e algregoriano, presero avvio sia il corale

del nord Europa, che prese piede succes-sivamente nella sfera religiosa del prote-stantesimo, sia la lauda spirituale tipica-mente italiana. Infine non è da trascura-re il fatto, del resto non casuale, che lecanzoni veramente popolari, sono rima-ste saldamente agganciate alla loromatrice cattolica ed in certo qual modoromana, ed è questa la prova più certadell’impronta indelebile e del caratteredi continuità che attraverso i secoli, dal-l’età biblica alla produzione più specifi-camente patristica, contraddistingue laproduzione musicale cristiana.

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Bibliografia56

ADLER, I., Histoire de la musique religeuse juive, in J.Porte (ed.), Encyclopédie des musiques sacrées, Paris, I,1968, 469-493;ALGAZI, L., Musique juive, in Histoire de la Musique(Encyclopédie de la Pléiade), Paris, I, 1960, 363-373;AVERNARY, H., Geschichte der jüdischen Musik, in DieMusik in Geschichte und Gegenwart, VII, 1949-1968, 225-261;AVIGAD, N., The king’s Daughter and the Lyre, IsrEJ 28,1978, 146-151;BEHN, F., Musikleben im Altertum und frühen Mittelalter,1954;BERL, H., Das Judentum in der Musik, Berlino-Lipsia1926;BOURGUET, D., Les accents de la Bible: musique ou cantila-tion?, ÉTRel 54, 1979, 289-294; CIPRIANI, S., s. v. Musica in Dizionario biblico, a cura diF. Spadafora, Roma 1963;CORBIN, S., La musica cristiana dalle origini al gregoriano,Milano 1987;DUCHESNE-GUILLEMIN, M., s.v. Égypte et Mésopotamie, inM. Honeggar (ed.), Science de la musique, Paris, 1976;IDEM, Music in Mesopotamia and Egypt, WorldArch12/3, 1981, 287-297 (tavv. 26-64);IDEM, Aux sources du chant sacré, MondeB 37, 1985;EATON, J. H., Music’s Place in Worship: A Contributionfrom the Psalms, in Prophets, Worship and Theodicy.Studies in Prophetism, Biblical Theology and Structuraland Rhetorical Analysis and on the Place of Music inWorship (= OTS 23), Leiden 1984, 85-107;FLENDER, R., Der Biblische Sprechgesang und seinemündliche Überlieferung in Synagoge und griechischerKirche, Wilhelmshaven 1988;GASTOUÉ, A., Les origins du chant romain, Paris 1907, c. I;GÉROLD, T., Les Pères de l’Église et la musique, Paris 1931;GERSON-KIWI, E., s. v. Israel. Biblische Zeit, in H.Honegger-G. Massenkeil, (a cura di), Das grosse Lexiconder Musik, IV, 1978 e 1987 (ed. tedesca), 208-210;IDEM, s. v. Jewish music, II, Secular, in S. Sadie (a curadi), The new Grove, IX, 1980, 634-645;GEVAERT, F. A., Histoire et théorie de la musique de l’anti-quité, I, Gent 1875; II, Gent 1881 (riprod. fot. Olms,Hildesheim 1965);

GRADENWITZ, O., Die Musikgeschichte Israels, 1961;Grosdidier de Matons, J., Romanos et les origins de lapoésie religeuse à Byzance, Paris 1977; HAÏK-VANTOURA, S., La musique de la Bible révélée, Paris19782;HARTMANN, H., Die Musik der sumerischen Kultur,Frankfurt am Main 1960;KORTLEITNER, F. X., Archeologia Biblica, Innsbruck 1917,635-641;KURZSCHENKEL, W., Die theologische Bestimmung derMusik, Trier 1971; MONTAGU, J., s. v. ‘Asor, Halil, Hatzotzerah, Kaithros,Kinnor, Metziltayim, Minnim, Nevel, Qarna, Tof,Tziltzelim,‘Ugav, in S. Sadie (a cura di), The new GroveDictionary of Musical Instruments, vol. I-III, 1984;IDELSOHN, A. Z., Hebräisch-OrientalischerMelodienschatz, 10 voll., 1914-1932;IDELSOHN, A. Z., Jewish music in its historical develop-ment, New York 1929;PISTONE, D., La Bible et la musique, in C. Savart-J.N.ALETTI (éd.), Le monde contemporaine et la Bible (= Biblede Tous les Temps 8), Paris 1985, 251-268;RAUHE, H.-FLENDER, R., Schlüssel zur Musik, 1986;Sachs, C., La musica nel mondo antico, Milano 1992;RAVASI, G., Cantare a Dio con arte. Il teologico e il musica-le nella Bibbia. Atti del convegno internazionale distudi prosmosso da Biblia e dall’Accademia musicalechigiana. Siena 24-26 agosto 1990, a cura di P. Troia,Roma 1992;SENDREY, A.-NORTON, M., David’s Harp, The Story ofMusic in biblical Times, New York 1964;Sendrey, A., Music in Ancient Israel, New York 1969;SEIDEL, H. E., Musik in Altisrael. Untersuchungen zurMusikgeschichte und Musikpraxis Altisraels anhand bib-lischer und ausserbiblischer Texte, Frankfurt am Main1989;WEGNER, M., Die Musikinstrumente des alten Orients,Münster 1950;WELLESZ, E., A History of Byzantine Music andHymnography, London 19633;WERNER, E., The sacred bridge, New York 1959;WESTERMANN, C., Instrumentale Musik, Gesang undDichtung in Israel, RGG3, IV, 1201-1205.

56 La presente bibliografia scientifica è di carattere meramente orientativo. Essendo le opere spe-cialistiche molto maggiori di quelle elencate, si è inteso fornire soltanto un elenco parziale dellenumerose trattazioni che riguardano in maniera più o meno esaustiva i caratteri peculiari della musi-ca ebraica, i suoi influssi sulla prima musica cristiana ed in particolare le tradizioni musicali connes-se con la genesi di essa. Specialmente per quanto riguarda il settore veterotestamentario, oltre alletrattazioni tecniche specifiche di area franco-tedesca, si tengano presente anche gli specifici rimandibibliografici annessi in calce alle singole voci nelle apposite trattazioni storiche e nei rispettivi dizio-nari biblici e musicali.

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VITA DELL’ASSOCIAZIONE

FEDERAZIONE

INTERNAZIONALE

Stato della Città del Vaticano, 14 febbraio

2008. Con lettera dell’assessore alla

segreteria di stato, rev.mo mgr. Gabriele

Caccia, il Santo Padre si è degnato di

significare al presidente federale, signor

Leo Darroch, la particolare adesione ai

Propri auspici della lettera di omaggio a

Lui giunta dalla federazione, unendovi

l’invito a perseverare nel culto delle

venerabili tradizioni della Santa Chiesa:

a tale fine, il Romano Pontefice ha volu-

to impartire al presidente federale ed a

tutti i membri dell’associazione la propi-

ziatrice benedizione apostolica.

UNA VOCE ITALIA

Roma, 23 febbraio 2008. Una Voce Italia si

è resa presente alla fausta occorrenza

delle prime ordinazioni diaconali

dell’Istituto del Buon Pastore, di

Bordeaux che hanno avuto luogo nel-

l’arcibasilica di San Giovanni in

Laterano, per le mani dell’ecc.mo arcive-

scovo di Nova, mgr. Luigi de Magistris.

Fra i nuovi diaconi, il rev. dr. Stefano

Carusi, da Camerino. Ha curato la cele-

brazione il collegio dell’Apparizione di

san Marco, appositamente disceso da

Venezia. Una Voce è stata rappresentata

dal primo vicepresidente nazionale, e

presidente di Una Voce Venezia, profes-

sor Fabio Marino; dalla presidente di

Una Voce Bologna, dr.ssa Alessandra

Codivilla, dal presidente di Una Voce

Roma, dottor Carlo Marconi.

Roma, 19 aprile 2008. L’em.mo signor car-

dinale Darìo Castrillòn Hoyos, gran prio-

re dell’ordine costantinano, con l’assi-

stenza del reverendo superiore della casa

romana della fraternità san Pietro, padre

Joseph Kramer, e del collegio liturgico di

san Gregorio dei Muratori, ha offerto un

pontificale nel rito romano classico in

onore del patrono dell’ordine, il martire

san Giorgio. Lo splendore del rito è stato

accresciuto dalla polifonia e dal canto

gregoriano del coro del maestro Dario

Paolini che ha anche eseguito pregiati

brani d’organo. La magnificenza dell’an-

tico culto, che soprattutto nella messa

pontificale mostra la sua pienezza, ha

toccato l’intera assemblea, che vedeva

presenti il gran maestro, i familiari del

principe, la reale deputazione dell’ordi-

ne, molti diplomatici e numeroso clero.

Hanno assistito alla cerimonia, di grande

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significato anche per la conoscenza delrito romano classico, il presidente nazio-nale, il presidente di Una Voce Napoli, ilpresidente d’onore di Una Voce Etruria, iltesoriere di Una Voce Roma, il tesoriere diUna Voce Napoli. Il presidente nazionaleha scritto le sue calde felicitazioni al pre-sidente della reale commissione perl’Italia, ecc.mo duca Pietro de VargasMachuca; al presidente della reale depu-tazione, ecc.mo ambasciatore Paolo Puccidei baroni di Benisichi; al reverendopadre Joseph Kramer.

Roma, primavera 2008. La Fondazione Vita

Humana, diretta in Italia dal rev. mgr.Ignacio Barreiro Carambula, ha parteci-pato alla nostra associazione la sua dispo-nibilità ad offrire supporto di studio el’uso di biblioteca per quanti, soprattuttosacerdoti, desiderino approfondire i deli-cati temi dell’enciclica Humane Vitae.Siamo perciò lieti di comunicare che labiblioteca con sede in Roma, piazzaleGregorio VII, numero 2, è aperta dallunedì al venerdì, dalle 9 alle 17,00, conorario continuato. Altre informazionipossono chiedersi al numero 06378985.

UNA VOCE Bologna

Bologna, 2008. Dopo lunga e difficile pre-parazione, si sono ormai confermate in

Bologna le celebrazioni di alcune SanteMesse in rito romano antico. A cura diUna Voce, continua la celebrazione dellasanta Messa alla Chiesa del Barracano, ilprimo sabato del mese, alle ore 16,00. Acura dell’istituto di Cristo Re SommoSacerdote, una santa Messa è offerta allachiesa dell’Oratorio (propriamente,Madonna di Galliera e di san FilippoNeri, via Manzoni), tutte le domeniche ele feste di precetto, ore 9,30. Ancora, acura del reverendo parroco, una Messa ècelebrata alla chiesa di S. Maria della Pace(vulgo dei Mendicanti), tutte le domeni-che alle ore 18: per scelta del parroco, leletture sono lì fatte in lingua italiana.

Medicina, 28 aprile 2008. Un requiem nelrito antico, per vivo desiderio dei con-cittadini della socia Irene Rosa Colizzi,loro stimata benefattrice, è stato cantatodal rev. p. dom Stefano Maria Greco OSBoliv. nella chiesa di S. Annadell’Osservanza. La sezione bologneseha offerto la sua assistenza alla popola-zione per il degno servizio in tal rito; ilservizio è stato svolto da F. Tolloi a da F.Marino di Una Voce Venezia e da L.Raimondi di Una Voce Bologna; il cantoda M. Bisson e N. Lamon di Una VoceVenezia. Sia pure con le consuete inesat-tezze, la stampa ha riferito dell’impor-tante evento e della corale presenza dipopolo.

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Bologna, 17 maggio 2008. Con l’espressa

autorizzazione dell’em.mo signor cardi-

nale Carlo Caffarra, arcivescovo di

Bologna, che è anche ratione muneris ret-

tore del santuario della Madonna di San

Luca, il rev.mo mgr. Camille Perl vice-

presidente della pontifica commissione

Ecclesia Dei ha amabilmente accolto l’in-

vito della sezione Ida Samuel ed ha

offerto la messa votiva della Vergine nel

santuario, carissimo alla devozione dei

Bolognesi. Il servizio ed il canto della

cerimonia sono stati prestati da sacerdo-

ti e seminaristi dell’Istituto di Cristo Re

SS, guidati dal rev.mo priore generale,

mgr. Gilles Wach. Un tocco di gioiosa

letizia hanno portato i bimbi del coro

PiCaBo, diretti dalla prof. Satomi

Yanagibashi. Si sono uniti ai soci bolo-

gnesi, il presidente nazionale, il presi-

dente emerito, dr. Mario Seno, il vicepre-

sidente prof. Fabio Marino, soci di Una

Voce Verona, Venezia, Milano. La presi-

dente della sezione, dr.ssa Alessandra

Codivilla ha poi offerto un’amabile cola-

zione, onorata da mgr. Perl e dagli uffi-

ciali nazionali presenti al rito.

Bologna, 18 maggio 2008. Alla presenza

del presidente nazionale, il rev.mo mgr.

Camille Perl, vicepresidente della ponti-

fica commissione Ecclesia Dei, ha cele-

brato la santa Messa della festa della

Trinità nella parrocchia di san Filippo

Neri (Madonna di Galliera), assistito dal

rev. Laurent Jantaud, ICRSS. All’organo

il consocio m.o Bisson, primo corista il

m.o di Betta, il servizio è stato curato da

alcuni membri del collegio veneziano

dell’Apparizione di San Marco.

UNA VOCE PICENO

Osimo, 2008. Su iniziativa del gruppo

giovanile della locale parrocchia, e con

la vigile assistenza del segretario di Una

Voce Piceno, maestro Andrea Carradori,

ha preso ad essere celebrata, tutte le

domeniche, alle ore 16,15, nella chiesa

del santuario Madonna Addolorata di

Campocavallo, la Santa Messa in rito

romano antico.

Tolentino, primo febbraio 2008. Nella chiesa

del sacro Cuore e san Benedetto da Norcia,

si sono officiate le solenni Quarantore di

adorazione del Sacramento esposto. Alle

ore 18 i vespri e la benedizione eucaristica

sono stati seguiti dalla Santa Messa in rito

romano antico, offerta dal reverendo

padre Uwe Michael Lang, C.O.. Ha presta-

to servizio la schola cantorum della basilica

di San Nicola. Dopo la santa Messa, è stato

benedetto il concerto delle nuove campane

in piazza Don Bosco.

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Tolentino, 22 febbraio 2008. In occasionedella festa della Cattedra di San Pietro,nella chiesa del santissimo Crocefisso,una Santa Messa nel rito romano anticoè stata celebrata dal rev.mo canonicoFrediano Salvucci, parroco della concat-tedrale di Tolentino. Il servizio musicale,in canto gregoriano, è stato curato dalleragazze più grandi del coro Pueri

Cantores di San Nicola, diretto dalla pro-fessoressa Franca Gaggiano.

Ancona, 23 febbraio 2008. Nella chiesa disan Biagio ha avuto inizio la celebrazionedelle sante Messe nel rito romano anticoche, soddisfacendo il precetto festivo,avranno luogo tutti i sabati: l’ecc.mo arci-vescovo, mons. Edoardo Menichelli, habenignamente benedetto la ripresa dellecelebrazioni.

Rapagnano di Fermo, 24 febbraio 2008. Nellachiesa collegiata di San Giovanni Battista,si è offerta una santa Messa solenne inrito romano antico, organizzata da stu-denti delle scuole superiori e curatadall’Istituto del Buon Pastore. Sono inter-venuti alcuni seminaristi marchigiani eromani e ha prestato servizio il Coro San

Gregorio Magno di Magliano di Tenna,diretto dal maestro Gionni Scriboni.

Campocavallo di Osimo, 24 febbraio 2008.Una santa Messa nel rito romano antico è

stata offerta dal reverendo padre fra’Leone, dell’ordine dei frati minoridell’Immacolata. Le messe di Campo-cavallo sono conosciute con l’appellativodi “Messe dei giovani” perché i fedeliche vi partecipano sono, per la maggiorparte, giovani e giovanissimi.

26 maggio 2008. Per la festa di San FilippoNeri è stata celebrata una santa Messaed è stata offerta alla venerazione deifedeli una reliquia del Beato Carlod’Asburgo, gentilmente concessa da S. A.I. R. l’Arciduca Lorenz von Habsburg.

UNA VOCE firenze

Firenze, 18 maggio 2008. Il rev.mo cano-nico, mgr. Dante Carolla, per delega-zione avutane dell’em.mo signor cardi-nale Ennio Antonelli, arcivescovo diFirenze, ha conferito la santa Cresimaad un giovane consocio fiorentino. Ilsacro rito, seguito dalla santa Messa, èstato organizzato dal presidente di Una

Voce Firenze, professor Dante Pastorelli:l’evento conforta le ragionevoli attesedi un crescente interesse dei giovaniper la pienezza spirituale dell’anticoculto. Il servizio ed il canto sono staticurati dal rev. Rodié e da alcuni semi-naristi dell’istituto di Cristo Re SommoSacerdote.

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Firenze, 24 maggio 2008. Hanno preso

inizio le stabili celebrazioni nella chiesa

di San Michele e Gaetano, vulgo san

Gaetano., affidate all’istituto di Cristo

Re SS dall’em.mo signor cardinale

Ennio Antonelli, arcivescovo di

Firenze. Per l’occasione, la santa Messa

è stata officiata in terzo dal rev.mo mgr

Gilles Wach, priore generale, con servi-

zio e canto curato dal seminario dell’i-

stituto. L’ampliamento delle occasioni

di culto in Firenze corrisponde felice-

mente al comune auspicio di diffusione

alla sacra bellezza del rito antico: ed in

effetti, hanno assistito non meno di 200

persone. La santa Messa sarà officiata

tutti i sabati alle 19,00, salve variazioni

dell’orario.

UNA VOCE roma

Gradoli, primavera 2008. È mancato il

signor Tullio Contini, padre della dr.ssa

Anna, segretaria della sezione romana:

di anni 79, era fra i più influenti e rispet-

tati cittadini di Gradoli. Alla nostra con-

socia ed ai suoi cari, la redazione del

Bollettino desidera rinnovare i sensi di

affettuoso cordoglio.

Roma, Sacro Triduo 2008. In occasione

della precoce Settimana Santa, la con-

gregazione romana ha potuto godere

di splendide cerimonie curate dal reve-

rendo superiore della casa romana

della fraternità san Pietro, padre

Joseph Kramer, e dal collegio liturgico

di san Gregorio dei Muratori, con l’as-

sistenza del coro del maestro Dario

Paolini. In particolare, in tutte le mattine

del Triduo, nella cappella di S. Gregorio

dei Muratori si è cantato l’Ufficio delle

Tenebre. Nella chiesa della SS. Trinità

dei Pellegrini, giovedì santo ha avuto

luogo la S. Messa «in cœna Domini

seguita dalla reposizione del

Santissimo. Ugualmente; il 21 marzo i

riti del venerdì santo; il 22 marzo, alle

22,30, la solenne Veglia di Pasqua.

Roma, 26 aprile 2008. E’ improvvisamen-

te mancata in un tragico incidente stra-

dale, la consocia Giovanna Molajoni

Mariotti Bianchi, consorte dell’avvocato

Umberto, per lunghi anni tesoriere di

Una Voce Italia e della sezione romana, e

vera colonna del nostro sodalizio: al cor-

doglio suo e dei suoi figlioli, la

Redazione si unisce con affettuoso pen-

siero di preghiera, così come tutta l’asso-

ciazion italiana. Il presidente nazionale

ha preso parte alle esequie, celebrate

mercoledì 30 aprile. Una Voce Roma ha

offerto un requiem cantato nel trigesimo

della scomparsa.

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AI LETTORI

Una Voce vive del contributo dei Soci; raccomandiamo a tutti pertanto di porsi in regola con il ver-samento della quota di Euro 26,00; è in facoltà dei responsabili delle Sezioni e del Segretario Nazionaledi accettare quote ridotte per componenti della stessa famiglia o situazioni particolari. La quota dà dirit-to a ricevere il periodico Una Voce.

L’Associazione ringrazia cordialmente quanti hanno contribuito e contribuiranno con generosità alsuo sostentamento. I Soci iscritti presso le Sezioni locali potranno versare le quote ai responsabili diesse; tutti gli altri invieranno le quote alla Segreteria nazionale, preferibilmente mediante versamentosul c.c.p. 68822006 intestato a “Una Voce-periodico”.

L’Associazione dispone di un indirizzo e-mail, [email protected].

Roma, 8 giugno 2008.Con una S. Messasolenne è stata inaugurata la parrocchiapersonale della Ss.ma. Trinità deiPellegrini. La cerimonia si è tenuta allapresenza dell’ecc.mo mons. ErnestoMandara, vescovo ausiliare del vicariodi Roma: si tratta della prima parrocchiain Italia dedicata al rito romano antico. Ildecreto di erezione della Parrocchia,datato 23 marzo 2008, domenica dellaPasqua di Resurrezione, attesta che inconformità con l´art. 10 del motu proprio

Summorum Pontificum, “e accogliendoaltresì la proposta del Cardinale Vicario,il Santo Padre ha disposto che nel setto-re Centro della Diocesi di Roma - e pre-cisamente nel Primo Municipio, pressoun edificio di culto idoneo, da identifi-carsi nella Chiesa ‘SS. Trinità dei

Pellegrini ai Catinari’... fosse eretta unaParrocchia personale atta ad assicurareun’adeguata assistenza religiosa perl´intera comunità dei fedeli legati allaforma antica del rito romano residentinella stessa Diocesi”. Il reverendoJoseph Kramer, superiore della casaromana della fraternità sacerdotale SanPietro (FSSP), è stato nominato primoparroco della parrocchia SS. Trinità deiPellegrini, primicerio della venerabilearciconfraternita della SS. Trinità deiPellegrini e Convalescenti, e rettore dellastessa chiesa. Con l’occasione, si informache è attivo il nuovo sito internet dedica-to alla vita della fraternità in Italia, cheoltre alla parrocchia di Roma, compren-de la cappellania di Venezia: il nuovosito internet è: www.fssp.it.

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SOMMARIO

EDITORIALE Per una prima lettura della lettera apostolicaSummorum Pontificumdi R. TURRINI VITA

Convocazione dell’Assemblea Nazionale

ARTICOLI La musica nella Bibbia e nei Padri della Chiesa.Genesi e lineamenti della prima musica cristianadi G. PINARDI

VITA DELL’ASSOCIAZIONE

bollettino trimestrale - direttore responsabile: filippo delpino - redattore: emilio artiglieri autor. trib. roma n. 142449 del 13 dicembre 1971 - spediz. abb. post. art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di roma

conto corrente postale n. 68822006 intestato ad «una voce - periodico»