Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane...

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali Dottorato di ricerca in Ecologia Forestale CICLO: XVII Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche. Coordinatore : Ch.mo Prof. Viola Franco Supervisore : Prof. Tommaso Anfodillo Dottorando : Dott. Claudio Fior ANNO ACCADEMICO 2004-2005

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Il limite superiore del bosco è elemento fondamentale della biodiversità, del ciclo idrologico e nelle dinamiche dei gas in atmosfera; perciò è importante conoscere i fattori ambientali che ne determinano posizione e caratteristiche, specialmente in un’epoca di cambiamento globale. Su scala locale molte sono le ipotesi proposte per una sua spiegazione funzionale, mentre su quella mondiale solo un paio sono ritenute determinanti da parte della comunità scientifica. L’ipotesi del deficit nel bilancio del carbonio propone che le ridotte capacità di fissazione, o gli elevati costi metabolici sostenuti delle piante al limite superiore del bosco, determinino la difficoltà nel mantenere il portamento arboreo al di sopra di una certa quota. A questa si contrappone l’ipotesi della limitazione dell’attività metabolica, la quale presuppone che le basse temperature riducano l’attività dei meristemi della pianta, più che la capacità di fissare il carbonio.Per valutare quale delle due spiegazioni più si adatti al contesto delle Alpi orientali italiane, sono stati misurati gli scambi gassosi in piante adulte al limite superiore del bosco, e sono state rilevate relazioni allometriche e strategie di partizione della biomassa su piante di piccole dimensioni lungo un gradiente altitudinale. Si è osservato che piante adulte al limite superiore del bosco, sottoposte ad un innalzamento artificiale dell’attività metabolica, presentano una maggior attività fotosintetica. Si può concludere perciò che non sia quest’ultima a limitarne lo sviluppo. Si è inoltre osservato che piante di piccole dimensioni subiscono, con il crescere dell’altitudine, modeste alterazioni nelle relazioni allometriche; per lo più sono modificati gli incrementi in altezza e l’allocazione della biomassa. Ciò fa supporre che le piante sfruttino le condizioni ambientali sub ottimali allo sviluppo delle piante presenti a ridosso del suolo. I dati sperimentali inoltre non sono coerenti con l’ipotesi del deficit nel bilancio del carbonio. Quindi, nel contesto delle Alpi orientali italiane, la migliore spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco sembra essere quella della limitazione nell’attività metabolica.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova

Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali

Dottorato di ricerca in Ecologia Forestale

CICLO: XVII

Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del

bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche.

Coordinatore : Ch.mo Prof. Viola Franco

Supervisore : Prof. Tommaso Anfodillo

Dottorando : Dott. Claudio Fior

ANNO ACCADEMICO 2004-2005

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1 Riassunto

Il limite superiore del bosco è elemento fondamentale della biodiversità, del ciclo idrologico e

nelle dinamiche dei gas in atmosfera; perciò è importante conoscere i fattori ambientali che ne

determinano posizione e caratteristiche, specialmente in un’epoca di cambiamento globale. Su scala

locale molte sono le ipotesi proposte per una sua spiegazione funzionale, mentre su quella mondiale

solo un paio sono ritenute determinanti da parte della comunità scientifica. L’ipotesi del deficit nel

bilancio del carbonio propone che le ridotte capacità di fissazione, o gli elevati costi metabolici

sostenuti delle piante al limite superiore del bosco, determinino la difficoltà nel mantenere il

portamento arboreo al di sopra di una certa quota. A questa si contrappone l’ipotesi della

limitazione dell’attività metabolica, la quale presuppone che le basse temperature riducano l’attività

dei meristemi della pianta, più che la capacità di fissare il carbonio.

Per valutare quale delle due spiegazioni più si adatti al contesto delle Alpi orientali italiane,

sono stati misurati gli scambi gassosi in piante adulte al limite superiore del bosco, e sono state

rilevate relazioni allometriche e strategie di partizione della biomassa su piante di piccole

dimensioni lungo un gradiente altitudinale. Si è osservato che piante adulte al limite superiore del

bosco, sottoposte ad un innalzamento artificiale dell’attività metabolica, presentano una maggior

attività fotosintetica. Si può concludere perciò che non sia quest’ultima a limitarne lo sviluppo. Si è

inoltre osservato che piante di piccole dimensioni subiscono, con il crescere dell’altitudine, modeste

alterazioni nelle relazioni allometriche; per lo più sono modificati gli incrementi in altezza e

l’allocazione della biomassa. Ciò fa supporre che le piante sfruttino le condizioni ambientali sub

ottimali allo sviluppo delle piante presenti a ridosso del suolo. I dati sperimentali inoltre non sono

coerenti con l’ipotesi del deficit nel bilancio del carbonio. Quindi, nel contesto delle Alpi orientali

italiane, la migliore spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco sembra

essere quella della limitazione nell’attività metabolica.

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Summary

In a changing world the treeline is a key element for biodiversity, the hydrologic cycle, and

the relation with atmosphere gasses; in order to evaluate its dynamics, it is important to know which

the main environmental variables are that control it. At a local level a lot of different hypothesis are

suggested to give a functional explanation of the treeline position on mountains; moreover, at a

global level only two of them attract the interest of the scientific community: the carbon limitation

hypothesis suggesting that high altitude plants show a reduced carbon gain or higher carbon loss

related to respiration, which compromises the carbon balance of plants; and the growth limitation

hypothesis that low temperatures reduce plant meristematic activity in extreme environments also if

there is no significant reduction of photosynthate availability in plant organs.

In order to analyse the better functional explanation of the treeline position in the Italian Alps,

we have made some gas exchange relives on adult plants at high altitudes, and some allometric

relives on small plants along an altitudinal gradient. We observed that mature plants with an

artificial increase of metabolic activity present higher photosynthetic activity; so the primary

production does not limit plant growth. Moreover, on small plants the altitude affects only few

allometric relations, many of them related to height growth and biomass allocation. This highlighted

that near the soil, at high altitudes, there is a boundary layer with better environmental conditions

for plant life and that plant modifications on such small plants are not so strictly related to a reduced

primary plant production. Therefore our experimental data are better explainable by the growth

limitation hypothesis than by the carbon hypothesis.

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2 Indice

1 Riassunto......................................................................................................................................1

2 Indice............................................................................................................................................3

3 Introduzione..................................................................................................................................6

4 Analisi degli scambi gassosi su Larix decidua Mill., Pinus cembra L. e Pinus leucodermis Ant.

al limite superiore del bosco...............................................................................................................11

4.1 Materiali e metodi..............................................................................................................11

4.1.1 Area di studio.............................................................................................................11

4.1.2 Analisi degli scambi gassosi e manipolazione della temperatura del ramo...............12

4.1.3 Analisi dei dati............................................................................................................16

4.2 Risultati..............................................................................................................................18

4.2.1 Scambi gassosi e fattori ambientali nelle tre specie...................................................18

4.2.1.1 Fotosintesi netta (A)...............................................................................................18

4.2.1.2 Conduttanza stomatica (gs)....................................................................................20

4.2.1.3 Concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci).....................................22

4.2.1.4 Efficienza nell’utilizzo dell’acqua..........................................................................25

4.2.2 Effetti del riscaldamento di parti legnose della pianta sugli scambi gassosi della

chioma ....................................................................................................................................26

4.2.2.1 Fotosintesi netta (A)...............................................................................................26

4.2.2.2 Conduttanza stomatica (gs)....................................................................................29

4.2.2.3 Concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci).....................................32

4.3 Discussione.........................................................................................................................34

4.3.1 Scambi gassosi e fattori ambientali nelle tre specie...................................................34

4.3.1.1 Fotosintesi netta (A)...............................................................................................34

4.3.1.2 Conduttanza stomatica (gs)....................................................................................34

4.3.1.3 Concentrazione sottostomatica di anidride carbonica (ci).....................................35

4.3.1.4 Efficienza nell’uso dell’acqua (WUEg).................................................................36

4.3.2 Effetti del riscaldamento di parti legnose della pianta sugli scambi gassosi della

chioma ....................................................................................................................................36

4.4 Conclusioni.........................................................................................................................38

5 Allocazione della biomassa e caratteristiche strutturali di Larix decidua Mill. e Pinus cembra

L. al variare della quota......................................................................................................................39

5.1 Materiali e metodi..............................................................................................................39

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5.1.1 Area di studio.............................................................................................................39

5.1.2 Scelta dei campioni....................................................................................................41

5.1.3 Preparazione dei campioni e misure...........................................................................41

5.1.4 Analisi statistiche.......................................................................................................42

5.1.5 Descrizione del modello WBE...................................................................................44

5.2 Risultati..............................................................................................................................45

5.2.1 Condizioni ambientali................................................................................................45

5.2.2 Incrementi in altezza..................................................................................................47

5.2.3 Incremento in diametro..............................................................................................48

5.2.4 Incrementi ed allocazione della biomassa..................................................................48

5.2.5 Caratteristiche dei rami..............................................................................................50

5.2.6 Caratteristiche dell’apparato radicale.........................................................................50

5.2.7 Relazioni allometriche................................................................................................52

5.3 Discussione.........................................................................................................................54

5.3.1 Condizioni ambientali................................................................................................54

5.3.2 Incrementi in altezza..................................................................................................55

5.3.3 Incrementi in diametro...............................................................................................55

5.3.4 Produzione di biomassa..............................................................................................56

5.3.5 Allocazione della biomassa........................................................................................57

5.3.6 Caratteristiche della chioma.......................................................................................58

5.3.7 Caratteristiche dell’apparato radicale.........................................................................59

5.3.8 Relazioni allometriche................................................................................................59

5.4 Conclusioni.........................................................................................................................60

6 Modello integrato dell’architettura idraulica, stabilità meccanica e struttura della chioma

applicato a piccole piante di L. decidua Mill. e P. cembra L. in due siti a diversa quota..................61

6.1 Materiali e metodi..............................................................................................................61

6.1.1 Modelli di architettura delle piante............................................................................61

6.1.1.1 Applicazione del modello WBE al fusto................................................................66

6.1.1.2 Ipotesi di modello frattale per l’apparato radicale..................................................70

6.1.2 Siti d’indagine............................................................................................................71

6.1.3 Preparazione dei campioni e misure...........................................................................72

6.1.4 Analisi statistiche.......................................................................................................73

6.2 Risultati..............................................................................................................................74

6.2.1 Applicazione del modello WBE al fusto....................................................................74

4

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6.2.2 Ipotesi di modello frattale per l’apparato radicale......................................................78

6.2.3 Dimensione dei vasi nel getto apicale e sviluppo della pianta...................................82

6.2.4 Diametro degli elementi di conduzione alla base del fusto e sviluppo della pianta...82

6.3 Discussione.........................................................................................................................86

6.3.1 Applicazione del modello WBE al fusto....................................................................86

6.3.2 Ipotesi di modello frattale per l’apparato radicale......................................................87

6.3.3 Dimensione dei vasi nel getto apicale e sviluppo della pianta...................................87

6.3.4 Diametro degli elementi di conduzione alla base del fusto e sviluppo della pianta...88

6.4 Conclusioni.........................................................................................................................88

6.5 Principali simboli ed abbreviazioni utilizzate....................................................................91

7 Conclusioni.................................................................................................................................92

8 Allegati.......................................................................................................................................95

8.1 Adattamento della spline nell’interpolazione delle misure di scambio gassoso................95

8.2 Diversi metodi di analisi dell’architettura di chioma e sistema di conduzione degli alberi...99

8.3 Iconografia........................................................................................................................105

9 Ringraziamenti.........................................................................................................................112

10 Bibliografia...............................................................................................................................113

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“… there (are) two kinds of original thinkers, those who upon viewing disorder try to create order, and those who upon encountering order try to protest it by creating disorder. The tension between the two is what drives learning forward.”

(Wilson, 1998)

3 Introduzione

Nello studio degli ecosistemi forestali uno degli aspetti oggetto di interesse da più tempo da

parte della comunità scientifica è la presenza di limiti alla loro diffusione. Il limite superiore del

bosco, ossia il fatto che al di sopra di una certa quota la vegetazione arborea lasci spazio a cespugli

e praterie, è probabilmente quello più noto (Griggs, 1937), ma ancora senza un’univoca spiegazione

funzionale.

Montagne e foreste boreali svolgono un ruolo fondamentale nell’ecosistema terrestre: queste

occupano un’elevata frazione della superficie (il 10 % è montagna e il 22 % foresta boreale), sono

più o meno abitate (vi vive il 10% della popolazione mondiale, ed almeno la metà della stessa

dipende indirettamente da essi), sono un serbatoio di biodiversità, specialmente le montagne con il

loro elevato sviluppo altitudinale (Theurillat e Guisan, 2001; Theurillat et al.,) ed un elemento

chiave del ciclo idrologico (qui si originano gran parte dei maggiori fiumi del mondo). Infine

alterazioni nella struttura e della funzionalità di questi ecosistemi (come l’emissione di gas serra,

modifiche dell’albedo o del regime di fuoco nelle zone boreali) possono avere un impatto elevato

sull’atmosfera (Chapin III et al., 2000). Disporre di un’ipotesi funzionale delle dinamiche su scala

mondiale del limite superiore del bosco è necessario supporto ai modelli di previsione del

cambiamento globale.

Infatti numerosi indizi paleoclimatici, come campioni di legno fossile (Tinner e Theurillat,

2003), pollini fossili (Pisaric et al., 2003), carote legnose (Rolland et al., 1998) e carote di ghiacciai,

evidenziano che l’intensità dei cambiamenti climatici avvertita in questo secolo negli ecosistemi

montani e boreali è superiore a quella rilevata a livello globale e di emisfero. Perciò si suppone che

l’effetto del cambiamento globale sarà maggiormente avvertibile in ambienti d’alta quota (Beniston

et al., 1997). Gli effetti di questo processo sulla vegetazione, specialmente nelle foreste boreali,

possono inoltre essere osservati tramite fotografie aeree o rilevamento remoto da satellite. I risultati

di tutte queste tecniche sono controversi (Moore, 2004), a volte evidenziano una significativa

espansione della foresta (Sturm et al., 2001), altre solo uno spostamento modesto (Lloyd e Fastie,

2002; Jeffrey, 2001; Hattenschwiler e Korner, 1995; Paulsen e Korner, 2001; Dullinger et al.,

2004).

Per interpretare queste osservazioni, e le sue relazioni con il clima, è necessario almeno

ipotizzare una spiegazione funzionale e fisica della sua posizione a livello globale. Innanzitutto

bisogna esplicitare il significato di questo termine e degli elementi che lo compongono: per albero

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si intende una pianta legnosa con fusto dominante che arriva a superare i 3 m di altezza; con limite

si indica un limite naturale, in genere questi è una zona di transizione, un’ecotono frutto

dell’interazione di numerosi processi, come la riduzione delle risorse disponibili e delle condizioni

ambientali favorevoli alla vita della pianta (Malanson et al., 2001). In un ecotono di limite del

bosco è possibile individuare diversi elementi (Körner, 1998):

Limite della specie, limite superiore degli alberi isolati;

Limite del bosco, limite superiore dei i gruppi di alberi sparsi;

Limite della foresta, limite della foresta densa.

Su scala globale l’altitudine del limite superiore del bosco diminuisce con la latitudine,

passando dai 4.000 m delle regioni subtropicali al livello del mare in prossimità dei poli (Fig. 1). A

questa scala limite del bosco e delle nevi perenni presentano analogo andamento, sebbene traslato di

circa 1.000 m di quota. Perciò, se il limite delle nevi perenni è determinato essenzialmente da fattori

fisici dell’ambiente come la temperatura, altrettanto probabilmente vale per il limite del bosco;

questo fatto è noto da lungo tempo e quest’ultimo limite si trova nei siti dove la temperatura media

durante la stagione vegetativa è compresa tra 5.5 °C e 7 °C (Körner, 1999; Jobbàgy e Jackson,

2000).

S u dL a titu d in e

L im ite d e lle n e v iL im ite d e l b o sc o

7 0 ° 6 0 ° 5 0 ° 4 0 ° 3 0 ° 2 0 ° 1 0 0 ° 1 0 ° 2 0 ° 3 0 ° 4 0 ° 5 0 ° 6 0 °N o rd

0

1 0 0 0

2 0 0 0

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(m)

Fig. 1 Limite superiore del bosco e delle nevi perenni a livelli globale (tratto da Körner, 1998).

Se la temperatura è il fattore fisico dell’ambiente che meglio spiega la posizione del limite

superiore del bosco a livello globale d’altra parte sono state avanzate spiegazioni funzionali,

aggregabili in seguenti gruppi omogenei:

Attività antropiche. Queste giocano un ruolo significativo in zone densamente antropizzate

quali le Alpi, ma su scala mondiale l’importanza è modesta (Didier, 2001);

Stress ambientale. Dovuto al ripetuto danneggiamento delle piante a seguito di gelate,

disseccamento invernale o effetto fitotossico dei danni da gelo; questi fenomeni si verificano per

lo più durante i mesi più freddi dell’anno, quando la resistenza delle piante ai danni da gelo è

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massima ed in genere superiore alle effettive condizioni ambientali. Probabilmente per questa

ragione non è possibile trovare una chiara relazione tra temperatura minima assoluta e posizione

del limite superiore del bosco; perciò l’importanza di questo effetto è per lo più su scala locale

(Tranquillini, 1979);

Disturbo biotico ed abiotico. I danni da vento (Alftine e Malanson, 2004), l’abrasione da

cristalli di ghiaccio, lo stress meccanico dovuto al manto nevoso, le valanghe, la brucatura degli

erbivori o il danno da fughi patogeni possono far perdere una quantità di biomassa analoga o

superiore a quella che la pianta è in grado di produrre. L’importanza di questi fattori è per lo più

relegata a scala locale, solo in alcuni casi arriva a determinare la posizione del limite del bosco

(Burke et al., 1976; Olien, 1967; Baig e Tranquillini, 1976; Tranquillini, 1979);

Difficoltà nella riproduzione delle piante. La produzione di polline, la crescita del tubulo

pollinico, lo sviluppo del seme e la sua dispersione, l’insediamento delle plantule può essere

limitato fino a compromettere le possibilità di rinnovazione degli alberi (Cullen et al., 2001;

Hobbie e Chapin III, 1998). In genere però semenzali ed arbusti sono comuni al di sopra del

limite del bosco (Forbis, 2003), perciò questa spiegazione non sembra essere valida su scala

globale, sebbene possa essere importate in determinate condizioni ambientali locali (Smith et

al., 2003; Hattenschwiler e Korner, 1995);

Deficit nel bilancio del carbonio (Carbon balance hypothesis). Sia la fissazione del carbonio

da parte della pianta, sia il bilancio tra perdite respiratorie ed attività fotosintetica, possono non

riuscire a garantire la crescita alle piante (Reisigl e Keller, 1987; Bamberg et al., 1967; Marr,

1977). D’altra parte, misure di scambi gassosi non hanno evidenziato un particolare svantaggio

delle piante d’alta quota rispetto a quelle di bassa (Huxman et al., 2003) e vi sono evidenze

sperimentali della modesta influenza della temperatura sull’attività fotosintetica durante il

periodo vegetativo. Altri studi hanno evidenziato che a quote elevate le perdite respiratorie di

una pianta durante tutto l’inverno possono essere compensate dal carbonio fissato in una sola

giornata di bel tempo durante la stagione vegetativa (Wieser, 1997). Inoltre, in piante di alta

quota, è stata osservata un’elevata concentrazione di carboidrati non strutturali nella linfa,

superiore a quella di piante di fondovalle; ciò pone in dubbio che l’attività meristematica di una

pianta possa essere effettivamente limitata da una scarsa disponibilità di fotosintati (Hoch et al.,

2002);

Limitazione dell’attività metabolica (Growth limitation hypothesis). I processi che, partendo

da zuccheri e carboidrati, arrivano a produrre parti complesse della pianta, possono non riuscire

a raggiungere l’intensità necessaria alla crescita ed alla sostituzione dei tessuti persi da un

albero, indipendentemente dalla disponibilità dei materiali di partenza (Körner, 1998; Grace et

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al., 2002; Häsler et al., 1999). Vi sono comunque evidenze sperimentali di condizioni di limite

del bosco determinate da una limitata attività fotosintetica (Cavieres et al., 2000; Waide et al.,

1998; Walker et al., 1996), come prove in campo in alta quota con piante allevate in atmosfera

arricchita in anidride carbonica dove si è osservata una maggior incremento di biomassa

(Hattenschwiler et al., 2002).

Su scala globale solo un paio di queste ipotesi sono oggetto di dibattito da parte della

comunità scientifica, infatti alcune (disturbo antropico e riproduzione delle piante) sono importanti

solo su scala locale, mentre altre possono essere comprese in spiegazioni più generiche, come il

deficit nel bilancio del carbonio (Bamberg et al., 1967; Marr, 1977). Infatti, disturbo ambientale e

stress possono essere intesi come aggravio al deficit del bilancio del carbonio della pianta.

Per trovare una spiegazione funzionale soddisfacente della posizione del limite del bosco, a

livello mondiale, è necessario un approccio multidisciplinare. La fisiologia vegetale difficilmente

riesce ad estrapolare i risultati di ricerche, riferite ad una situazione puntuale, su una scala più

ampia. D’altra parte il solo studio degli spostamenti del limite del bosco può non arrivare ad

individuare la ragione ultima, ad esempio per la particolarità dei perché che agiscono su scala

locale.

Con il presente lavoro si è voluto verificare quale potrebbe la spiegazione di questo fenomeno

limitatamente alle Alpi orientali, tra le due più accreditate su scala planetaria: il deficit nel bilancio

del carbonio e la limitazione nell’attività metabolica. Per fare ciò si sono condotte indagini su tre

diversi aspetti dell’ecofiosiologia delle piante al limite superiore del bosco, discussi in altrettanti

capitoli.

Sono stati analizzati gli scambi gassosi in Pinus cembra L., Larix decidua Mill. e Pinus

leucodemis Ant. a cui si è incrementata l’attività metabolica di alcune parti legnose aumentandone

artificialmente la temperatura. Un risultato atteso, se il limitato sviluppo in alta quota è dovuto ad

una scarsa attività metabolica degli organi legnosi, è un concomitante aumento di fotosintesi netta e

conduttanza stomatica.

Si è inoltre indagata la produzione, l’allocazione della biomassa, lo sviluppo e le principali

relazioni allometriche in piccole piante lungo un gradiente altitudinale. Una maggior frazione di

massa eterotrofa in piante d’alta quota causa un aggravio nei costi metabolici della pianta,

avvalorando l’ipotesi del deficit nel bilancio del carbonio.

Infine abbiamo valutato se le relazioni allometriche, e l’architettura del sistema idraulico della

pianta, sono influenzate dalla quota in piante di piccole dimensioni. I risultati attesi erano che se, a

ridosso del suolo, vi sono condizioni ambientali migliori la vita delle piante le differenze

riscontrabili siano modeste.

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Conoscendo quali sono le prime relazioni allometriche della pianta a venir perturbate dalla

quota durante il suo sviluppo, si possono avere delle informazioni sulle funzioni della pianta

coinvolte da queste alterazioni.

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“Trust in Lord with all your heart and do no lean on your own understanding. In all your ways acknowledge Him, and He will make your paths straight”

Manuale LICOR 6400

4 Analisi degli scambi gassosi su Larix decidua Mill., Pinus

cembra L. e Pinus leucodermis Ant. al limite superiore del

bosco.

Per valutare le dinamiche di un ecosistema è fondamentale conoscere il bilancio del carbonio

della componente autotrofa e le interazioni con i principali fattori ambientali. Rilevamenti

allometrici possono fornire informazioni nel lungo periodo ma, circa il primo aspetto, non possono

evidenziare gli effetti legati ai fattori ambientali nel breve periodo. Invece l’analisi degli scambi

gassosi consente di porre in relazione, nel breve periodo, la variazione di un fattore ambientale con

un alterazione nella produzione primaria e nel bilancio del carbonio di una pianta. Questa tecnica

consente di valutare nel breve periodo l’efficienza nell’utilizzo dell’acqua (water use efficiency) e

come questa sia influenzata dai fattori ambientali (Falge et al., 1997). Questa tecnica è stata

applicata in alberi adulti al fine di caratterizzare il loro comportamento in un ecosistema con

condizioni ambientali estreme.

Inoltre abbiamo studiato l’effetto di un incremento nell’attività metabolica della pianta,

ottenuto elevando di 10 K la temperatura di alcuni suoi organi legnosi (Azcón-Bieto e Osmond,

1983), sugli scambi gassosi della chioma.

4.1 Materiali e metodi

4.1.1 Area di studio

I rilevamenti sono stati condotti in località 5 Torri (Cortina d’Ampezzo, BL; Fig. 63) nelle

Dolomiti venete (2.080 m s.l.m.) su L. decidua e P. cembra (Fig. 60; Fig. 56). Altri esperimenti

sono stati effettuati su P. leucodermis (Fig. 58) a Serra del Crispo (San Severino Lucano, PZ;

Fig. 59) nell’Appennino lucano (2.000 m s.l.m.).

Il sito nelle Alpi (N 46° 31’ E 12° 04’) presenta una precipitazione media annua di 1.109 mm,

concentrata per lo più in estate; la temperatura media nel mese di gennaio è -7.5 °C, e quella media

in luglio di 22.3°C. Presso il limite superiore del bosco si trova una formazione di L. decidua,

P. cembra e Picea abies (Karts.) L. su di un suolo superficiale con substrato calcareo.

Il sito negli appennini (N 39° 55’ E 16° 13’) presenta una precipitazione media annua di 1.100

mm, per lo più concentrati in autunno e primavera; la temperatura media in gennaio è di 3.2 °C, e

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quella media in giugno di 13.8°C. Presso il limite del bosco si trova una formazione rada di P.

leucodermis su di un suolo superficiale con substrato calcareo.

I rilevamenti sono stati fatti su piante adulte, nella parte della chioma esposta a sud est, in

modo da garantire un’omogenea disponibilità di radiazione solare agli aghi analizzati (Fig. 2;

Fig. 75; Fig. 76).

5 To rr i - C o r tin a d ’A m p e z z o (B L )

S e r ra d e l C r isp o - S a n S e v e r in o u c a n o (P Z )L

Fig. 2 Localizzazione dei siti.

4.1.2 Analisi degli scambi gassosi e manipolazione della temperatura del

ramo

L’analisi degli scambi gassosi è stata condotta con LCi (ADC BioScientific Ltd), un sistema

portatile per lo studio della fotosintesi di singole foglie o aghi (Fig. 57); questo strumento fornisce

inoltre i dati di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR, mol m-2 s-1).

Si tratta di un sistema dotato di una cuvetta, isolata dall’ambiente circostante, in cui viene

inserita la foglia di cui si analizzano i principali processi metabolici, fotosintesi e traspirazione. Si

definisce sistema stazionario, poiché un costante flusso d’aria passa attraversa la camera; dove si

assiste ad una riduzione della concentrazione di anidride carbonica ed un aumento del contenuto

idrico grazie ai processi di fotosintesi a traspirazione. Lo strumento confronta l’aria in ingresso e

quella in uscita, rilevando le modifiche nella concentrazione atmosferica di acqua e anidride

carbonica. L’umidità dell’aria viene rilevata attraverso due sensori, che analizzano il flusso in

ingresso ed in uscita dalla camera. Si tratta di due sensori capacitivi, ossia condensatori permeabili

ai gas in cui capacità è influenzata dalla presenza di vapore acqueo. La differenza di umidità, tra

aria in uscita ed in entrata, permette di calcolare la quantità d’acqua persa per traspirazione dalla 12

Page 14: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

pianta. La concentrazione di anidride carbonica viene rilevata attraverso un rilevatore ad infrarossi

(IRGA - INfrared Gas Analyzer), che rileva la quantità di radiazione infrarossa emessa da una

sorgente non viene assorbita da un campione d’aria. Molti gas presenti in atmosfera assorbono nella

banda dell’infrarosso; al fine di evidenziare la frazione di assorbimento dovuta all’anidride

carbonica, lo strumento compara l’assorbanza nell’aria da analizzare con quella di riferimento, cui è

stata rimossa l’anidride carbonica mediante passaggio in idrossido di sodio in polvere.

2 NaOH + CO2 → Na2CO3 + H2O

L’assorbanza viene rilevata sia sull’aria in ingresso sia in uscita dalla camera, mentre il

campione di riferimento è relativo esclusivamente all’aria in ingresso. La differenza di

concentrazione di anidride carbonica, tra l’aria in ingresso nella camera e quella in uscita,

rappresenta la frazione di questo gas fissata dalla foglia attraverso la fotosintesi. Il flusso d’aria

nella camera è noto, e mantenuto costante tramite un flussimetro. Perciò partendo dalle variazioni di

concentrazione di anidride carbonica e vapore acqueo tra aria in ingresso ed in uscita, è possibile

calcolare la quantità di questi gas rilasciati o assorbiti nella camera dalla foglia. Dividendo questi

valori assoluti per la superficie fogliare analizzata possiamo ottenere i valori di fotosintesi netta (A,

mol m-2 s-1) e traspirazione (E, mmol m-2 s-1) per unità di area fogliare (Eq. 1; Eq. 2).

Eq. 1 Formula per il calcolo della fotosintesi netta (A).

Eq. 2 Formula per il calcolo della traspirazione (E).

E=Traspirazione (mmol m-2 s-1)

A=Fotosintesi netta (mol m-2 s-1)

Δc=Differenza di concentrazione di anidride carbonica tra aria in ingresso ed in uscita (ppm)

Δw=Differenza di concentrazione di acqua tra aria in ingresso ed aria in uscita (mol mol –1)

a=Superficie fogliare (cm2)

u=Flusso di aria nella camera (mol m-2 s–1)

La resistenza della foglia al vapore acqueo è il reciproco della sua conduttanza, la

permeabilità della foglia a questo gas. Una parte di questa permeabilità e legata allo strato limite a

ridosso della lamina fogliare, un’altra all’apertura ed alle caratteristiche degli stomi. La conduttanza

fogliare è il rapporto fra traspirazione e la differenza di potenziale di vapore acqueo tra l’aria della

camera e quella del mesofillo fogliare (Eq. 3), quest’ultima in genere supposta a saturazione. La

conduttanza stomatica (gs, mol m-2 s-1) viene calcolata per differenza tra la conduttanza della foglia 13

Page 15: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

e quella stimata o rilevata dello strato limite, questo parametro e legato al grado di apertura degli

stomi (Eq. 4).

Eq. 3 Formula per il calcolo della conduttanza totale (gsw).

Eq. 4 Formula per il calcolo della conduttanza stomatica (gs).

gsw=Conduttanza totale (mol m-2 s-1)

Δwa=Differenza di potenziale di vapore tra camera e mesofillo fogliare (mol mol –1)

rb=Resistenza dello strato limite (m2 s mol–1)

gs=Conduttanza stomatica (mol m-2 s-1)

A partire dalla fotosintesi netta e dalla conduttanza stomatica è possibile stimare la

concentrazione di anidride carbonica nel mesofillo della foglia (Eq. 5).

Eq. 5 Formula per la stima della concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci).

ci=Concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ppm)

cref=concentrazione atmosferica di anidride carbonica (ppm)

Nell’analizzare gli scambi gassosi nelle conifere, uno dei principali problemi è che la

superficie del campione è determinabile solo alla fine dei rilevamenti. Questo rilevamento viene

fatto tramite considerazioni geometriche, o attraverso l’utilizzo di formule allometriche che

correlano massa ed area fogliare. Perciò è necessario impostare nello strumento una superficie

fogliare stimata, per poi correggere i dati rilevati per l’area fogliare effettiva del campione. Per la

fotosintesi netta e traspirazione la correzione è una proporzione lineare tra area stimata e quella

effettiva del campione (Eq. 6; Eq. 7). Nel caso della conduttanza stomatica un’analoga proporzione

può essere applicata solo alla resistenza totale, che è il reciproco della conduttanza totale.

Solamente quando si è corretta la resistenza totale è possibile calcolare la conduttanza stomatica

effettiva (Eq. 8). La stima della concentrazione di anidride carbonica sottostomatica è un parametro

stimato dai precedenti (Eq. 5), perciò è possibile calcolarne nuovamente il valore usando i dati

corretti di fotosintesi netta e traspirazione (Lambers et al., 1998; Percy et al., 1991).

14

Page 16: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Eq. 6 Formula per correggere la traspirazione (E) con l’effettiva area fogliare del campione.

Eq. 7 Formula per correggere la fotosintesi netta (A) con l’effettiva area fogliare del campione.

Eq. 8 Formula per correggere la conduttanza stomatica (gs) con l’effettiva area fogliare del campione.

Dove:

Ec=Traspirazione corretta (mmol m-2 s-1)

Er=Traspirazione rilevata (mmol m-2 s-1)

Ac=Fotosintesi netta corretta (mol m-2 s-1)

Ar=Fotosintesi netta rilevata (mol m-2 s-1)

gsc=Conduttanza stomatica corretta (mol m-2 s-1)

gsr=Conduttanza stomatica rilevata (mol m-2 s-1)

ac=Superficie fogliare effettiva (cm2)

ar=Superficie fogliare ipotizzata (cm2)

rb=Resistenza dello strato limite (m2 s mol–1)

Un altro parametro utile per la caratterizzazione ecologica di una specie è l’efficienza

nell’utilizzo dell’acqua (water use efficiency - WUEg, mol CO2 mol H2O-1; Fredeen et al., 1991)

espresso come rapporto tra fotosintesi netta e conduttanza stomatica (Morgan e LeCain, 1991); in

altre parole rappresenta il numero di moli di carbonio fissate per resistenza al flusso dell’acqua della

foglia. Questa definizione di WUEg non è influenzata dal diverso deficit di pressione di vapore

medio nel corso degli esperimenti. Altrimenti il WUE è definito come rapporto tra fotosintesi netta

e traspirazione. In quest’ultimo caso l’efficienza di una pianta è influenzata dalle condizioni

ambientali del sito di rilevamento, oltre che dalle possibilità di regolazione stomatica della chioma.

I rilevamenti su L. decidua sono stati fatti con una camera per conifere, di dimensioni tali da

contenerne un intero rametto. Diversamente in P. leucodermis e P. cembra, le misure sono state

fatte con una camera per latifoglie, analizzando 4-6 aghi contemporaneamente. I rilevamenti sono

15

Page 17: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

sempre stati fatti su aghi dell’anno, per ovviare alla riduzione dell’attività metabolica osservata

negli aghi di due o più anni (Sonia e Alfonso, 2003).

I parametri analizzati sono stati fotosintesi netta, conduttanza stomatica, concentrazione di

anidride carbonica sottostomatica ed efficienza nell’uso dell’acqua; una limitrofa stazione

meteorologica ha fornito i dati di temperatura dell’aria (T, °C), deficit di pressione di vapore (VPD,

hPa) e contenuto idrico del suolo (TDR, %). I rilevamenti sono stati effettuati in L. decidua dal 3

agosto al 16 settembre 2002; in. P. leucodermis dal 6 al 17 giugno 2003, e in P. cembra dal 18 al 28

agosto 2003.

La prova di riscaldamento è stata fatta su un ramo mantenuto ad una temperatura superiore di

10K, rispetto ad un ramo simile per esposizione e dimensioni utilizzato come testimone; in ogni

caso i getti terminali sono stati lasciati liberi. Il riscaldamento del campione è stato fatto

avvolgendolo con 100 m di filo resistivo (1.6 KΩ; Fig. 61), alimentato con corrente alternata da 220

V. È stato utilizzato un datalogger CR-10X (Campbell Ltd. USA; Fig. 62) per la raccolta dei dati ed

il controllo della temperatura, ed un generatore per la produzione di corrente. Più precisamente, il

datalogger controllava la temperatura del ramo testimone e di quello soggetto a riscaldamento ogni

due secondi; se la differenza di temperatura tra i due era inferiore a 10 K il circuito veniva chiuso,

altrimenti veniva aperto.

Le misure di scambi gassosi sono state fatte su 3 getti nel ramo riscaldato e 3 getti in quello

testimone in ogni esperimento. LCi giungeva all’equilibrio in circa 5 minuti, così da effettuare

dodici rilevamenti nell’arco di un’ora, ripartiti equamente tra ramo riscaldato e testimone.

L’effetto del riscaldamento è stato valutato su fotosintesi netta, conduttanza stomatica,

concentrazione di anidride carbonica sottostomatica. Per sapere se le differenze osservate tra ramo

riscaldato e testimone sono associabili all’effetto di riscaldamento, sono state fatte delle misure per

alcuni giorni con il sistema di riscaldamento spento; questo ha permesso di valutare le differenze

naturalmente esistenti tra i due rami, alla base di quest’organizzazione si è ipotizzata

un’indipendenza nel attivtià metabolica dei rami di un’albero (Lacointe et al., 2004).

4.1.3 Analisi dei dati

I dati di fotosintesi e radiazione fotosinteticamente attiva sono stati interpolati con un’iperbole

rettangolare (Eq. 9), come proposto da alcuni modelli teorici di questo processo metabolico

(Hamlyn, 1983; Le Roux et al., 2001). Il principale vantaggio di questa funzione, rispetto ad una

funzione logaritmica, è quello di essere limitata superiormente (Amax).

Eq. 9 Funzione di iperbole rettangolare con tre incognite.

16

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Le relazioni tra conduttanza stomatica e radiazione fotosinteticamente attiva, fotosintesi netta

e concentrazione di anidride carbonica sottostomatica, concentrazione di anidride carbonica

sottostomatica e radiazione fotosinteticamente attiva sono rappresentate attraverso spline. Invece le

relazioni tra fotosintesi netta e conduttanza stomatica sono state ottenute attraverso una regressione

lineare; la relazione tra conduttanza stomatica e concentrazione di anidride carbonica sottostomatica

è stata ottenuta sempre con una regressione lineare previa trasformazione logaritmica della prima

variabile. I dati di concentrazione di anidride carbonica sottostomatica hanno una distribuzione di

frequenza irregolare, perciò sono stati analizzati, oltre che con il coefficiente di correlazione di

Pearson, anche con un metodo non parametrico, la correlazione di Spearman, ottenendo risultati

analoghi (Zar, 1999).

L’analisi dei parametri caratterizzanti gli scambi gassosi della pianta è stata fatta inoltre

attraverso una regressione multipla, in modo da stimare l’influenza dei diversi fattori ambientali. La

radiazione fotosinteticamente attiva è stata preventivamente sottoposta a trasformazione logaritmica

per rendere lineare la relazioni. La regressione multipla presenta il vantaggio di individuare per ogni

parametro, come la fotosintesi netta, il contributo netto (B), ossia la correlazione con un fattore

ambientale, come la temperatura, corretto dell’interazione esistente con gli altri fattori (Adam et al.,

2004).

L’efficienza nell’utilizzo dell’acqua (WUEg) è una variabile poco influenzata dai fattori

ambientali, perciò i confronti sono stati fatti comparando tutti i dati attraverso un test non

parametrico di Kruskal-Wallis.

Si è osservata una grande variabilità osservabile nei principali parametri caratterizzanti gli

scambi gassosi, legata per lo più ai fattori ambientali, che si è dovuta rimuovere per evidenziare

l’effetto del riscaldamento. Si sono analizzati i residui dei parametri caratterizzanti gli scambi

gassosi, espressi come differenza tra il valore osservato nel ramo riscaldato e quello atteso nel ramo

di riferimento. Il valore atteso dal ramo di riferimento è stato ottenuto interpolando l’andamento

giornaliero dei dati osservati nel ramo testimone con una spline (vedi 8.1 Adattamento della spline

nell’interpolazione delle misure di scambio gassoso, pag. 96). La media dei residui, se

significativamente diversa da zero, è stata associata and un diverso comportamento di ramo

riscaldato e testimone. Si sono confrontati i residui nel ramo riscaldato durante il periodo di

accensione e di spegnimento del sistema di riscaldamento, attraverso il test non parametrico U

Mann-Whitney. Se ciò si è verificato è possibile associare la modifica del parametro caratterizzante

gli scambi gassosi all’incrementata temperatura delle parti legnose.

È possibile stimare in quali ore del giorno si realizza gran parte di questa differenza, qualora il

riscaldamento sia associato residui maggiori nel ramo riscaldato. Questa è stata individuata come

17

Page 19: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

l’ora in cui nel ramo riscaldato viene cumulato il 50 % della somma dei residui nell’intera giornata

di misure; questo effetto è ritenuto importante entro l’intervallo orario che va da quando viene

cumulato il 25% dei residui a quando si arriva alla soglia del 75%.

4.2 Risultati

4.2.1 Scambi gassosi e fattori ambientali nelle tre specie

4.2.1.1 Fotosintesi netta (A)

Nelle tre specie si è valutato l’effetto dei principali fattori ambientali sulla fotosintesi netta,

mediante una regressione multipla. Le variabili dipendenti considerate sono temperatura dell’aria,

contenuto idrico del suolo, deficit di pressione di vapore e radiazione fotosinteticamente attiva

(Tab. 1).

L. decidua P. leucodermis P. cembraR2 corretto 0.40 0.28 0.18

N° di campioni 689 497 431

log (Radiazione fotosinteticamente attiva) 0.59 0.30 0.43Contenuto idrico del suolo -0.20 0.12 -0.13

Deficit di pressione di vapore -0.20 -0.45 -0.05

Tab. 1 Regressione multipla tra fotosintesi netta e principali fattori ambientali. I valori in grassetto indicano i fattori ambientali significativi per quella specie.

Gran parte della variabilità della fotosintesi netta nel L. decidua, rispetto alle altre due specie,

viene spiegata dai fattori ambientali. Il parametro più predittivo nei confronti della fotosintesi netta,

nelle tre specie, è la radiazione fotosinteticamente attiva. In L. decidua il contenuto idrico del suolo

spiega una frazione considerevole della variabilità della fotosintesi netta, l’effetto è meno evidente

in P. leucodermis. Per P. leucodermis un importante fattore di variabilità della fotosintesi netta è il

deficit di pressione di vapore che, invece, presenta una correlazione modesta in L. decidua. Infine

P. cembra presenta caratteristiche analoghe a L. decidua, seppure globalmente la variabilità di

fotosintesi netta spiegata dai fattori ambientali è più modesta. Per confrontare la fotosintesi nelle tre

specie si sono analizzate le relazioni con la radiazione fotosinteticamente attiva, il parametro più

predittivo (Fig. 3).

18

Page 20: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

P A R (m o l m - 2 s - 1 )

A (

mol

m-2

s-1

)

0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 0 1 2 0 0 1 4 0 0 1 6 0 0 1 8 0 0 2 0 0 0 2 2 0 0 2 4 0 0 2 6 0 00

2

4

6

L . d e c id u aP . le u co d e rm isP . c e m b ra

cPAR

bPARAA

max

Fig. 3 Relazione tra fotosintesi netta (A) e radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) nelle tre specie. I dati sono interpolati da un iperbole rettangolare e la significatività delle regressioni è presentata in Tab. 1.

A parità di radiazione fotosinteticamente attiva, sono stati rilevati valori più elevati di

fotosintesi netta in L. decidua (Amax=4.7 mol m-2s-1) rispetto a P. cembra (Amax=4.4 mol m-2s-1) e P

leucodermis (Amax=3.6 mol m-2s-1); la variabilità di questo parametro è notevole nelle tre specie.

Anche l’andamento della fotosintesi netta durante la giornata ci fornisce importanti

informazioni sull’ecologia delle tre specie (Fig. 4).

O ra

A (

mol m

-2 s

-1)

7 8 9 1 0 1 1 1 2 1 3 1 41 ,0

1 ,5

2 ,0

2 ,5

3 ,0

3 ,5

4 ,0

4 ,5

5 ,0

O ra

VP

D (h

Pa)

7 8 9 1 0 1 1 1 2 1 3 1 42

3

4

5

6

7

8

9

1 0

L . d ecid u a P . leu co d er m is P . cem b r a

E p erim en to co n d o tto s u

L a r ix d ecid u a Pin u s leu co d er m is Pin u s cem b r a

Fig. 4 Andamento giornaliero medio nel periodo di osservazione della fotosintesi netta (A) nelle tre specie e deficit di pressione di vapore (VPD).

L’andamento giornaliero della fotosintesi netta è abbastanza simile nelle tre specie, ed è

caratterizzato da una depressione nelle ore centrali della mattina, quando maggiore è il deficit di

19

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pressione di vapore. P. leucodermis presenta una riduzione marcata a metà mattina, mentre i valori

di fotosintesi netta all’alba sono analoghi a quelli P. cembra all’alba. Quest’ultima specie presenta

una più modesta contrazione dell’attività fotosintetica nelle ore centrali della mattinata. Infine L.

decida presenta valori più elevati rispetto alle due specie di pino con una modesta riduzione verso

mezzogiorno.

4.2.1.2 Conduttanza stomatica (gs)

È stata rilevata una buona correlazione tra fotosintesi netta e conduttanza stomatica;

P. leucodermis presenta, a parità di conduttanza stomatica, i più elevati valori di fotosintesi netta,

L. decidua quelli inferiori. Per rendere lineari la relazione tra questi due parametri si è calcolata la

regressione tra fotosintesi netta ed il logaritmo della conduttanza stomatica (Fig. 5; R2=0.22;

t(1631)=21.87; p<0.01).

g s (m o l m -2 s -1 )

A (

mol

m-2

s-1

)

0 .00500 .0075

0 .02500 .0500

0 .07500 .2500

0 .50000 .7500

2 .50000

2

4

6

8

10

L . d e c i d u aP . l e u c o d e rm i sP . c e m b ra

Fig. 5 Regressione tra fotosintesi netta (A) e logaritmo della conduttanza stomatica (gs).

Tramite una regressione multipla nelle tre specie, è stata valutata la correlazione dei principali

fattori ambientali con la conduttanza stomatica. Le variabili dipendenti analizzate sono state la

temperatura dell’aria, contenuto idrico del suolo, deficit di pressione di vapore e radiazione

fotosinteticamente attiva (Tab. 2).

20

Page 22: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

L. decidua P. leucodermis P. cembra

R2 corretto 0.40 0.23 0.18N° di campioni 689 497 431

Log (Radiazione fotosinteticamente attiva) 0.06 -0.07 0.01Contenuto idrico del suolo -0.14 0.08 -0.05

Deficit di pressione di vapore -0.58 -0.48 -0.53

Tab. 2 Regressione multipla tra conduttanza stomatica e principali fattori ambientali. I valori in grassetto indicano i fattori ambientali significativamente correlati con la conduttanza stomatica in una delle tre specie.

Una parte considerevole della variabilità della conduttanza stomatica in L. decidua rispetto,

alle due specie di pino, viene spiegata dai fattori ambientali. A differenza di quanto verificato nella

fotosintesi netta, la radiazione fotosinteticamente attiva non è significativamente correlata con la

conduttanza stomatica. Il contenuto idrico del suolo è negativamente correlato alla conduttanza

stomatica in L. decidua e positivamente in P. leucodermis. Inoltre in tutte le specie il deficit di

pressione di vapore è correlato negativamente alla conduttanza stomatica.

La conduttanza stomatica è stata posta in relazione alla radiazione fotosinteticamente attiva,

che tra i fattori ambientali analizzati, presenta una relazione più omogenea nelle diverse specie

(Fig. 6).

P A R (m o l m -2 s -1 )

gs (m

ol m

-2 s

-1)

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 2200 2400 2600 28000 .005

0 .007

0 .025

0 .050

0 .075

0 .250

0 .500

0 .750

2 .500

5 .000

L . d e c i d u aP . l e u c o d e rm i sP . c e m b ra

Fig. 6 Relazione esistente tra logaritmo della conduttanza stomatica (gs) e radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) nelle tre specie. I dati sono stai interpolati con una spline, la significatività della regressione è

presentata in Tab. 2.

21

Page 23: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

In L. decidua, a parità di radiazione fotosinteticamente attiva, sono stati rilevati valori più

elevati di conduttanza stomatica che in P. cembra e P leucodermis; la variabilità dei dati di

conduttanza è molto elevata nelle tre specie.

L’andamento della conduttanza stomatica durante la giornata ci fornisce importanti

informazioni sull’ecologia delle tre specie (Fig. 7).

O ra

gs (m

ol m

-2 s

-1)

6 7 8 9 10 11 12 13 140 .00

0 .02

0 .04

0 .06

0 .08

0 .10

0 .12

0 .14

0 .16

0 .18

0 .20

0 .22

0 .24

0 .26

0 .28

0 .30

L . d e c i d u a P . l e u c o d e rm i s P . c e m b ra

Fig. 7 Andamento giornaliero della conduttanza stomatica (gs) nelle tre specie.

L. decidua presenta, rispetto alle altre due specie, valori più elevati di conduttanza stomatica

durante gran parte della giornata, con una modesta riduzione di questo parametro a metà mattina. In

P. cembra l’andamento è analogo a L. decidua seppure con valori di conduttanza inferiori; in

P. leucodermis invece la riduzione è già marcata dalle prime ore della mattina.

4.2.1.3 Concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci)

La concentrazione di anidride carbonica sottostomatica non è predittiva nei confronti della

fotosintesi netta; questo perché la concentrazione di questo gas nella foglia è dipende dall’equilibrio

che si instaura tra fotosintesi netta e conduttanza stomatica (Fig. 8). I valori più elevati di ci sono

stati rilevati nelle prime ore del mattino, quando la fotosintesi netta è limitata da diversi fattori

ambientali, come la disponibilità di radiazione fotosinteticamente attiva. Invece elevati valori di

concentrazione di anidride carbonica sottostomatica sono associabili ad elevati valori di

conduttanza stomatica (Fig. 8).

22

Page 24: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

ci (p p m )

A (m

ol m

-2 s

-1)

8 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0 1 6 0 1 8 0 2 0 0 2 2 0 2 4 0 2 6 0 2 8 0 3 0 0 3 2 0 3 4 0 3 6 0 3 8 00

1

2

3

4

5

6

7

8

9

ci (p p m )

gs (

mol

m-2

s-1

)

8 0 1 0 0 1 2 0 1 4 0 1 6 0 1 8 0 2 0 0 2 2 0 2 4 0 2 6 0 2 8 0 3 0 0 3 2 0 3 4 0 3 6 0 3 8 0

0 . 0 0 5 0

0 . 0 0 7 5

0 . 0 2 5 0

0 . 0 5 0 0

0 . 0 7 5 0

0 . 2 5 0 0

0 . 5 0 0 0

0 . 7 5 0 0

2 . 5 0 0 0

L . d ecidu aP . leuco derm isP . cem bra

L . d ecidu aP . leuco derm isP . cem bra

Fig. 8 Sulla sinistra la relazione tra fotosintesi netta (A) e concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci). Sulla destra la regressione i dati di conduttanza sottoposti a trasformazione logaritmica (gs) e

concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci). La regressioni sono significative con R2=0.51 t(1068)=41.57 p<0.01.

Attraverso una regressione multipla sono stati individuati i fattori ambientali più importanti,

nel determinare la concentrazione di anidride carbonica sottostomatica nelle tre specie. Le variabili

dipendenti sono la temperatura dell’aria, contenuto idrico del suolo, deficit di pressione di vapore e

radiazione fotosinteticamente attiva (Tab. 3).

L. decidua P. leucodermis P. cembra

R2 corretto 0.67 0.21 0.56N° di campioni 689 497 431

Log (Radiazione fotosinteticamente attiva) -0.47 -0.28 -0.10Contenuto idrico del suolo -0.01 0.19 -0.03

Deficit di pressione di vapore -0.53 -0.28 -0.70

Tab. 3 Regressione multipla tra concentrazione di anidride carbonica sottostomatica e principali fattori ambientali. In grassetto sono evidenziati i fattori ambientali significativamente correlati con la concentrazione di

anidride carbonica sotto stomatica in una determinata specie.

In L. decidua, rispetto alle altre due specie, una notevole frazione della variabilità nella

concentrazione sottostomatica di anidride carbonica è spiegata dai fattori ambientali. In tutte e tre le

specie vi è una relazione negativa tra radiazione fotosinteticamente attiva e ci. Invece il contenuto

idrico del suolo è correlato negativamente con la concentrazione di anidride carbonica

sottostomatica in P. leucodermis. In tutte e tre le specie la ci è correlata negativamente con il deficit

di pressione di vapore.

Per confrontare la concentrazione di anidride carbonica sottostomatica nelle tre specie si sono

analizzate le relazioni di questo parametro con la radiazione fotosinteticamente attiva (Fig. 9), si

tratta di una relazione relativamente omogenea nelle tre specie.

23

Page 25: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

P A R (m o l m - 2 s - 1 )

ci (

ppm

)

0 2 0 0 4 0 0 6 0 0 8 0 0 1 0 0 0 1 2 0 0 1 4 0 0 1 6 0 0 1 8 0 0 2 0 0 0 2 2 0 0 2 4 0 0 2 6 0 0 2 8 0 00

5 0

1 0 0

1 5 0

2 0 0

2 5 0

3 0 0

3 5 0

4 0 0L . d e c id u aP . le u c o d e rm isP . c e m b ra

Fig. 9 Relazioni tra concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci) e radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) nelle tre specie. I dati sono stati interpolati con una spline, la significatività della

relazione è presentata in Tab. 3.

Sono stati rilevati valori di ci più elevati in L. decidua e P. cembra che in P leucodermis, ad

analoghi livelli di radiazione fotosinteticamente attiva; allo stesso tempo si può osservare la

notevole variabilità della concentrazione di anidride carbonica sottostomatica.

L’andamento della concentrazione di anidride carbonica sottostomatica durante la giornata ci

fornisce importanti informazioni sull’ecologia delle tre specie (Fig. 10).

O r a

ci (

ppm

)

7 8 9 1 0 1 1 1 2 1 3 1 41 8 0

2 0 0

2 2 0

2 4 0

2 6 0

2 8 0

3 0 0

3 2 0

3 4 0 L . d e c id u a P . le u c o d e rm is P . c e m b ra

Fig. 10 Andamento giornaliero della concentrazione di anidride carbonica sottostomatica nelle tre specie.

Valori più elevati di concentrazione di anidride carbonica sottostomatica sono stati osservati

in L. decidua, dove si osserva una modesta riduzione a metà mattina. Le due specie di pino

presentano valori analoghi di concentrazione di anidride carbonica sottostomatica all’alba, con una

riduzione in tarda mattinata più evidente in P. cembra.24

Page 26: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

4.2.1.4 Efficienza nell’utilizzo dell’acqua

Solo in L. decidua e P. cembra vi sono relazioni significative tra efficienza nell’utilizzo

dell’acqua e fattori ambientali, ma anche in questo caso la variabilità spiegata è modesta,

specialmente se paragonata a quella osservata in fotosintesi netta e conduttanza stomatica. Le

differenze sono state analizzate nelle tre specie con il test di Kruskal-Wallis (Fig. 11;

H(2,N=1632)=612.08; p<0.01).

L . d e c i d u a P . l e u c o d e rm i s P . c e m b ra20

30

40

50

60

70

80

WU

E (

mol

CO

2/ m

ol H

2O

)

M e d ia M e d ia ± 0 .95 I. C .

Fig. 11 Le differenze nell’efficienza di utilizzo dell’acqua (WUEg) nelle tre specie.

P. leucodermis presenta la strategia più conservativa nei confronti dell’acqua, seguita da

P. cembra e L. decidua che invece presenta una strategia meno conservativa.

4.2.2 Effetti del riscaldamento di parti legnose della pianta sugli scambi

gassosi della chioma

4.2.2.1 Fotosintesi netta (A)

Per evidenziare l’effetto del riscaldamento di alcune parti legnose della pianta, sono stati

raccolti dati di fotosintesi netta su un ramo riscaldato ed un testimone. Per ridurre la variabilità che

caratterizza questo parametro, sono state analizzate le differenze tra i valori osservati nel ramo

riscaldato e quelli attesi nel ramo freddo. Il valore atteso è stato ottenuto interpolando nel testimone,

in ogni giorno di raccolta dati, l’andamento giornaliero della fotosintesi netta con una spline a 5

gradi di libertà (Fig. 12). Il confronto è stato fatto tra giorni con sistema di riscaldamento acceso e

25

Page 27: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

spento, al fine di poter attribuire le differenze osservate siano legate al riscaldamento, anziché alla

diversità esistente tra i due rami.

6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0 10.5 11.0 11.50.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

4.5

5.0

5.5

A (

mol

m-2

s-1

)

6.57.0

7.58.0

8.59.0

9.510.0

10.511.0

11.5-3.5

-3.0

-2.5

-2.0

-1.5

-1.0

-0.5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

A r

esid

ui (

m

ol m

-2 s

-1)

6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0 10.5 11.0 11.5

Ora

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

4.5

5.0

5.5

A (

mol

m-2

s-1

)

6.57.0

7.58.0

8.59.0

9.510.0

10.511.0

11.5

Ora

-3.5

-3.0

-2.5

-2.0

-1.5

-1.0

-0.5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

A r

esid

ui (

m

ol m

-2 s

-1)

P. leucodermis - Giorno 166 - Riscaldamento accesoRamo testimone

P. leucodermis - Giorno 166 - Riscaldamento accesoRamo riscaldato

P. leucodermis - Giorno 158 - Riscaldamento spentoRamo testimone P. leucodermis - Giorno 158 - Riscaldamento spento

Ramo riscaldato

a)

b)

c)

d)

Fig. 12 Esempio di andamento giornaliero della fotosintesi netta (A), interpolata con una spline, nel ramo testimone con sistema di riscaldamento sia acceso (a) che spento (b). Negli stessi giorni la differenza tra il dato rilevato di fotosintesi netta del ramo riscaldato e quello interpolato nel testimone, sia con riscaldamento acceso

(c) sia spento (d).

Utilizzando il test U Mann-Whitney non sono state evidenziate differenze significative nei

residui di fotosintesi netta nelle singole specie, ad eccezione del P. leucodermis (Fig. 13; U=19895;

p<0.05). Analizzando con lo stesso test i dati delle tre specie accorpati la differenza nei residui, tra i

giorni con riscaldamento acceso e spento, raggiunge la soglia di significatività (U=357783; p<0.05).

26

Page 28: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

A r

esid

ui (m

ol m

-2 s

-1)

L . d e c id u a P . le u c o d e rm is P . c e m b ra- 0 . 8

- 0 . 6

- 0 . 4

- 0 . 2

0 . 0

0 . 2

0 . 4

0 . 6

0 . 8

1 . 0

R isc a ld a m e n t o sp e n t o - M e d ia ± 0 . 9 5 I . C . R isc a ld a m e n t o a c c e so - M e d ia ± 0 . 9 5 I . C .

Fig. 13 Differenze nei residui di fotosintesi netta (A) nelle singole specie tra quando il riscaldamento è acceso o spento.

Una più precisa analisi dei dati può essere fatta sulla media dei residui in ogni giorno di

rilevamento (Fig. 14).

27

Page 29: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

G iorno

A re

sidu

i (m

ol m

-2 s

-1)

L . d e c i d u a

215

216

217

218

223

224

225

226

227

254

255

256

257

258

259

-1 .0

-0 .8

-0 .6

-0 .4

-0 .2

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

P . l e u c o d e rm i s

157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168-1.5

-1 .0

-0 .5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

P . c e m b ra

230 231 232 233 234 235 236 237 238 239 240-1.0

-0 .5

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

R is c a ld a m e n t o a c c e s o

R is c a ld a m e n t o a c c e s o

R is c a ld a m e n t o a c c e s o

Fig. 14 Media dei residui di fotosintesi netta (A) nel ramo riscaldato in ogni giorno di raccolta dati.

Si può notare un’elevata variabilità giornaliera nella media dei residui del ramo riscaldato;

inoltre l’effetto della modifica di temperatura è osservabile solo in alcuni giorni di rilevamento dopo

almeno 24–72 dall’inizio del riscaldamento.

Una volta appurato che ci sono differenze significative nella fotosintesi netta, almeno

aggregando tutti i dati delle tre specie, possiamo valutare come questi residui si distribuiscano

28

Page 30: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

durante la giornata. Si è stimata l’ora del giorno in cui una specie arriva a cumulare il 25%, 50% e

75% del totale dei residui della giornata (Fig. 15). Questo consente di determinare il momento in cui

il ramo riscaldato differisce maggiormente dal testimone.

O ra

Res

udui

cum

ulat

i

4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 150%

25%

50%

75%

100%

L . d e c i d u a

P . l e u c o d e rm i s P . c e m b ra

Fig. 15 Differente andamento giornaliero dei residui di fotosintesi netta nelle tre specie. L. decidua accumula il 50% dei residui alle 10.0 (8.8 – 11.1), P. cembra alle 8.6 (7.5-9.6) e P. leucodermis alle 8.0 (7.1 - 9.0).

La gran parte dei residui viene cumulata nelle tre specie in un paio d’ore comprese tra le 8 e le

10 del mattino.

4.2.2.2 Conduttanza stomatica (gs)

Per valutare l’effetto sulla conduttanza stomatica del riscaldamento di alcune parti legnose

della pianta, sono stati confrontati i dati rilevati sul ramo riscaldato con quelli del testimone. Si è

ridotta la variabilità, che caratterizza questo parametro, analizzando la differenza tra i valori rilevati

sul ramo riscaldato e quelli attesi dal testimone. I valori attesi dal testimone sono stati ottenuti

interpolando, in ogni giorno di rilevamento, l’andamento giornaliero della conduttanza stomatica

con una spline a 5 gradi di libertà (Fig. 16).

29

Page 31: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

6 . 5 7 . 0 7 . 5 8 . 0 8 . 5 9 . 0 9 . 5 1 0 . 0 1 0 . 5 1 1 . 0 1 1 . 50 . 0 0

0 . 0 2

0 . 0 4

0 . 0 6

0 . 0 8

0 . 1 0

gs (

mol

m-2 s

-1)

6 . 5 7 . 0 7 . 5 8 . 0 8 . 5 9 . 0 9 . 5 1 0 . 0 1 0 . 5 1 1 . 0 1 1 . 5- 0 . 1 0

- 0 . 0 8

- 0 . 0 6

- 0 . 0 4

- 0 . 0 2

0 . 0 0

0 . 0 2

0 . 0 4

0 . 0 6

0 . 0 8

0 . 1 0

gs r

esid

ui (

mol

m-2 s

-1)

6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 9.0 9.5 10.0 10.5 11.0 11.5

O r a

0.00

0.02

0.04

0.06

0.08

0.10

gs (

mol

m-2

s-1)

6 . 5 7 . 0 7 . 5 8 . 0 8 . 5 9 . 0 9 . 5 1 0 . 0 1 0 . 5 1 1 . 0 1 1 . 5

O r a

- 0 . 1 0

- 0 . 0 8

- 0 . 0 6

- 0 . 0 4

- 0 . 0 2

0 . 0 0

0 . 0 2

0 . 0 4

0 . 0 6

0 . 0 8

0 . 1 0

gs r

esid

ui (

mol

m-2

s-1)

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 6 6 - R i sc a l d a m e n t o a c c e s oR a m o t e s t i m o n e

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 6 6 - R i sc a l d a m e n t o a c c e s oR a m o r i s c a l d a t o

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 5 8 - R i sc a l d a m e n t o s p e n t oR a m o t e s t i m o n e

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 5 8 - R i sc a l d a m e n t o s p e n t oR a m o r i s c a l d a t o

a )

b )

c )

d )

Fig. 16 Conduttanza stomatica (gs) rilevata sul ramo testimone con il sistema di riscaldamento sia accesso (a) sia spento (b) interpolata con una spline. Negli stessi giorni i residui di conduttanza stomatica, espressi come differenza tra i valori osservati nel ramo riscaldato e quelli attesi nel testimone, sia con riscaldamento acceso (c)

che spento (d).

I residui sono stati analizzati in giorni con il sistema di riscaldamento sia acceso che spento, in

modo da poter attribuire le differenze osservate all’aumento di temperatura, piuttosto che ad un

diverso comportamento dei due rami. Utilizzando il test U Mann-Whitney sono state evidenziate

delle differenze significative nei residui del ramo riscaldato durante il periodo di riscaldamento in

L. decidua (U=28328; p<0.05), P. leucodermis (U=17756; p<0.05) e P. cembra (U=19331;

p<0.05); questo effetto è altrettanto evidente analizzando i dati delle tre specie accorpati (Fig. 17;

U=251895; p<0.05).

Res

idui

gs

(mol

m-2

s-1

)

L . d e c id u a P . le u c o d e rm is P . c e m b ra- 0 . 1 8

- 0 . 1 6

- 0 . 1 4

- 0 . 1 2

- 0 . 1 0

- 0 . 0 8

- 0 . 0 6

- 0 . 0 4

- 0 . 0 2

0 . 0 0

0 . 0 2

0 . 0 4 R isc a ld a m e n t o sp e n t o - M e d ia ± 0 . 9 5 I . C . R isc a ld a m e n t o a c c e so - M e d ia ± 0 . 9 5 I . C .

Fig. 17 Differenze nei residui di conduttanza stomatica nelle tre specie, tra quando il sistema di riscaldamento è acceso o spento.

30

Page 32: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Un’analisi più precisa può essere fatta valutando la distribuzione dei residui in ogni giorno di

rilevamento (Fig. 18).

gs re

sidu

i (m

ol m

-2 s

-1)

L . d e c i d u a

215216

217218

223224

225226

227 254255

256257

258259

-0 .24-0 .22-0 .20-0 .18-0 .16-0 .14-0 .12-0 .10-0 .08-0 .06-0 .04-0 .020 .000 .02

P. leucodermis

157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168-0 .03

-0 .02

-0 .01

0 .00

0 .01

0 .02

0 .03

0 .04

P . c e m b ra

Gio rn o

230 231 232 233 234 235 236 237 238 239 240-0.04

-0.02

0.00

0.02

0.04

0.06

0.08

R is c a ld a m e n t o a c c e s o

R is c a ld a m e n t o a c c e s o

R is c a ld a m e n t o a c c e s o

Fig. 18 Media dei residui di conduttanza stomatica (gs) nel ramo riscaldato, in ogni giorno di rilevamento nelle tre specie.

31

Page 33: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Come per la fotosintesi netta, anche in questo parametro si osserva una discreta variabilità

nella distribuzione dei residui nei diversi giorni; in questo caso l’effetto è più evidente e raggiunge

il suo massimo dopo 24-72 ore dall’accensione del riscaldamento.

Una volta dimostrato il significativo aumento dei residui, in seguito all’accensione del sistema

di riscaldamento, è possibile analizzare il modo con cui questi si distribuiscono durante la giornata

(Fig. 19). Si sono individuate le ore del giorno in cui viene raggiunto il 25%, il 50% ed il 75% del

totale dei residui della giornata, al fine di individuare il momento in cui ramo riscaldato e testimone

presentano maggior diversità nella conduttanza stomatica.

O ra

Res

idui

cum

ulat

i

4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 150%

25%

50%

75%

100%

L . d e c i d u a P . l e u c o d e rm i s P . c e m b ra

Fig. 19 Differente andamento dei residui nel corso della giornata nelle tre specie. L. decidua raggiunge il 50% dei residui alle 9.0 (7.5 – 11.4), P. cembra alle 8.5 (7.2-9.4) e P. leucodermis alle 7.5 (6.8 - 9.1).

Gran parte dei residui nelle tre specie cumula durante un paio d’ore comprese tra le 7 e le 9

del mattino.

4.2.2.3 Concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci)

Al fine di valutare l’effetto sulla concentrazione di anidride carbonica sottostomatica, dovuto

al riscaldamento di alcune parti legnose di un albero, sono stati confrontati i valori di questo

parametro in un ramo riscaldato rispetto al testimone. Si è ridotta la variabilità di questo parametro

nel ramo riscaldato, analizzando le differenze tra questi valori e quelli attesi dal testimone. I valori

attesi sono stati ottenuti interpolando le misure raccolte nel testimone con una spline a 5 gradi di

libertà (Fig. 20).

32

Page 34: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

6 . 5 7 . 0 7 . 5 8 . 0 8 . 5 9 . 0 9 . 5 1 0 . 0 1 0 . 5 1 1 . 0 1 1 . 56 0

8 0

1 0 0

1 2 0

1 4 0

1 6 0

1 8 0

2 0 0

2 2 0

2 4 0

2 6 0

2 8 0

3 0 0

3 2 0

3 4 0

ci (

ppm

)

6 . 5 7 . 0 7 . 5 8 . 0 8 . 5 9 . 0 9 . 5 1 0 . 0 1 0 . 5 1 1 . 0 1 1 . 5-200

-150

-100

-50

0

50

100

150

200

ci r

esid

ui (

ppm

)

6 . 5 7 . 0 7 . 5 8 . 0 8 . 5 9 . 0 9 . 5 1 0 . 0 1 0 . 5 1 1 . 0 1 1 . 5

O r a

6 08 0

1 0 01 2 01 4 01 6 01 8 02 0 02 2 02 4 02 6 02 8 03 0 03 2 03 4 0

ci (

ppm

)

6 . 5 7 . 0 7 . 5 8 . 0 8 . 5 9 . 0 9 . 5 1 0 . 0 1 0 . 5 1 1 . 0 1 1 . 5

O r a

- 2 0 0

- 1 5 0

- 1 0 0

- 5 0

0

5 0

1 0 0

1 5 0

2 0 0

ci r

esid

ui (

ppm

)

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 6 6 - R i sc a l d a m e n t o a c c e s oR a m o t e s t i m o n e

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 6 6 - R i sc a l d a m e n t o a c c e s oR a m o r i s c a l d a t o

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 5 8 - R i sc a l d a m e n t o s p e n t oR a n o t e s t i m o n e

P . l e u c o d e rm i s - G i o r n o 1 5 8 - R i sc a l d a m e n t o s p e n t oR a m o r i s c a l d a t o

a )

b )

c )

d )

Fig. 20 Andamento della concentrazione di anidride carbonica sottostomatica (ci), interpolato da una spline, quando sistema di riscaldamento è acceso (a) o spento (b). Negli stessi giorni, i residui nel ramo riscaldato,

espressi come differenza tra il valore rilevato e quello atteso nel testimone, sia con riscaldamento acceso (c) sia spento (d).

Sono state confronti i residui sia con sistema di riscaldamento acceso che spento, al fine di

determinare le differenze osservate siano attribuibili all’aumento di temperatura o alla naturale

variabilità dei due rami. Utilizzando il test U Mann-Whitney non si è riusciti ad evidenziare

differenze significative nei residui delle singole specie.

ci r

esid

ui (

ppm

)

L d e c id u a P . le u c o d e rm is P . c e m b ra- 1 4

- 1 2

- 1 0

- 8

- 6

- 4

- 2

0

2

4

6

8

1 0

R isc a ld a m e n t o sp e n t o - M e d ia ± 0 . 9 5 I . C . R isc a ld a m e n t o a c c e so - M e d ia ± 0 . 9 5 I . C .

Fig. 21 Differenze nei residui di concentrazione di anidride carbonica sottostomatica quando il sistema di riscaldamento è acceso o spento nelle singole specie.

33

Page 35: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Anche analizzando tutti dati delle tre specie assieme non è stato possibile evidenziare

differenze significative a livello di concentrazione di anidride carbonica sottostomatica.

4.3 Discussione

4.3.1 Scambi gassosi e fattori ambientali nelle tre specie

4.3.1.1 Fotosintesi netta (A)

La relazione tra fotosintesi netta e radiazione fotosinteticamente attiva è ben rappresentata da

un’iperbole rettangolare, come posposto in altri studi (Falge et al., 1996; Wieser e Kronfuss, 1997;

Wieser, 1999). I valori maggiori di fotosintesi netta sono stati rilevati in L. decidua, seguiti da P.

cembra e P. leucodermis, e sono coerenti con altri studi su scambi gassosi in conifere (Warren e

Adams, 2004), anche al limite superiore del bosco nel caso di P. cembra (Dalstein et al., 2002).

In L. decidua le relazioni tra fotosintesi netta e variabili ambientali sono coerenti con una

strategia nell’uso dell’acqua evitante dissipatrice. La riduzione della fotosintesi netta in L. decidua,

ad elevati valori di contenuto idrico del suolo, può essere associata alle avverse condizioni

climatiche che occorrono durante le precipitazioni piovose; questo fenomeno si evidenzia in questa

specie poiché molto reattiva alla variabilità della radiazione fotosinteticamente attiva.

P. leucodermis presenta una riduzione della fotosintesi netta ad elevati valori di deficit di pressione

di vapore, inoltre una frazione modesta della sua variabilità è spiegata dalla radiazione

fotosinteticamente attiva; queste osservazioni sono coerenti con una strategia di utilizzo dell’acqua

evitante conservatrice. P. cembra presenta caratteristiche intermedie alle due specie precedenti, con

una modesta frazione della variabilità della fotosintesi netta spiegata dalla radiazione

fotosinteticamente attiva.

L’andamento giornaliero della fotosintesi netta presenta una riduzione nelle ore centrali della

giornata in P. leucodermis e P. cembra, rilevato in numerosi studi relativi all’effetto dello stress

idrico sull'attività fotosintetica (Gross e Pham-Nguyen, 1987; Dixon, 1914); l’entità di questo

fenomeno dipende anche da fenomeni di acclimatazione da parte della pianta a questo tipo di stress

(Havranek e Benecke, 1978; Fredeen et al., 1991; Matthews e Boyer, 1984).

4.3.1.2 Conduttanza stomatica (gs)

La buona correlazione riscontrata tra conduttanza stomatica e fotosintesi netta è coerente con i

risultati di altri studi (Ishida et al., 2001). In alcuni casi questa relazione è lineare, e non necessita

della trasformazione logaritmica della conduttanza stomatica (Wong et al., 1985); in altri studi

questa relazione non è linearizzabile (Fredeen et al., 1991). La trasformazione logaritmica della

34

Page 36: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

conduttanza stomatica fa sì che, ad elevati valori di questa variabile, si osservi un attività fotosintesi

netta inferiori a quelli attesi da una relazione lineare. Questi dati, che maggiormente si discostano

da una relazione lineare, sono per lo più relativi a rilevamenti fatti all’alba, con bassi livelli di

radiazione fotosinteticamente attiva che limita l’attività fotosintetica. Questo effetto non è presente

in esperimenti condotti in laboratorio, dove le condizioni di illuminazione sono omogenee.

I valori di conduttanza stomatica osservati nelle tre specie sono coerenti con i dati disponibili

in letteratura (Wieser e Havranek, 1995); solamente i valori di conduttanza stomatica rilevati in

P. cembra sono lievemente inferiori ad altri rilevamenti compiuti presso il limite superiore del

bosco (Dalstein et al., 2002; Wieser, 2000); questi dati sono riconducibili alla ridotta capacità di

campo ed al basso contenuto idrico del suolo nel nostro sito di rilevamento nell’estate 2003, una

delle più calde del secolo.

In L. decidua le relazioni tra conduttanza stomatica e parametri ambientali è compatibile con

una strategia di utilizzo dell’acqua evitante dissipatrice. In P. leucodermis la conduttanza stomatica

è correlata in modo blando con i fattori ambientali, a differenza della fotosintesi netta, e questo è

coerente con una strategia di utilizzo dell’acqua evitante conservatrice. P. cembra presenta delle

caratteristiche intermedie alle due specie precedenti, con una ridotta variabilità nella conduttanza

stomatica spiegabile dai fattori ambientali, per lo più il deficit di pressione di vapore.

La riduzione di conduttanza stomatica, all’aumentare del deficit di pressione di vapore (Falge

et al., 1996) e dello stress idrico (Havranek e Benecke, 1978), è stata osservata in tutte le specie

(Wieser e Kronfuss, 1997; Fredeen et al., 1991; Medlyn et al., 2001). L’andamento giornaliero di

questo parametro è pure coerente con analoghi rilevamenti (Cavieres et al., 2000; Häsler, 1984).

4.3.1.3 Concentrazione sottostomatica di anidride carbonica (ci)

Sono stati osservati valori più elevati di concentrazione di anidride carbonica sottostomatica

in L. decidua e P. cembra, rispetto che in P. leucodermis. Questo è coerente con una strategia

nell’uso dell’acqua evitante dissipatrice in L. decidua, poiché mantiene valori più elevati di

conduttanza stomatica ad analoghe condizioni di deficit di pressione di vapore, ed evitante

conservatrice in P. cembra e P. leucodermis.

Per un ampio intervallo di concentrazioni di anidride carbonica sottostomatica, l’effetto

osservato sull’assimilazione netta è modesto; altri studi rilevano un effetto molto più deciso,

probabilmente perché condotti in laboratorio e perciò garantite condizioni uniformi degli altri

parametri ambientali (Long e Bernacchi, 2003; Manter e Kerrigan, 2004; Wong et al., 1985).

Questa può essere la ragione dei modesti livelli di fotosintesi netta associati ad elevati valori di

35

Page 37: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

concentrazione di anidride carbonica sottostomatica, infatti questi dati sono stati per lo più rilevati

all’alba quando modesta è la disponibilità di radiazione fotosinteticamente attiva.

Rispetto ad altri studi si è osservata una correlazione meno forte tra concentrazione di

anidride carbonica sottostomatica e conduttanza stomatica o fotosintesi netta (Dang et al., 1998;

Wong et al., 1985). Questa differenza può essere attribuibile al concomitante effetto di altri fattori

ambientali, perciò è un fenomeno non significativo in rilevamenti di laboratorio.

4.3.1.4 Efficienza nell’uso dell’acqua (WUEg)

P. leucodermis presenta una maggior efficienza nell’uso dell’acqua, seguito da P. cembra e

infine L. decidua; come evidenziato in altri studi, possiamo dire che lo stress idrico causa in una

pianta una riduzione nella fotosintesi netta dovuta alla riduzione di conduttanza stomatica (Fredeen

et al., 1991). Probabilmente questa risposta è mediata da messaggeri chimici che interagisco con

queste due attività metaboliche (Maier-Maercker, 1998).

I dati osservati efficienza nell’uso dell’acqua sono coerenti con rilevamenti compiuti si specie

di pino ed abete (Carter e Smith, 1988; Havranek e Benecke, 1978), mentre i valori osservati in P.

cembra sono inferiori a quelli osservati in un altro rilevamento condotto in alta quota (Dalstein et

al., 2002). Probabilmente questa differenza è dovuta alle elevate temperature dell’estate 2003

(Luterbacher et al., 2004) durante la quale sono stati fatti i rilevamenti, ed al suolo poco profondo e

sciolto presente nel sito d’indagine.

4.3.2 Effetti del riscaldamento di parti legnose della pianta sugli scambi

gassosi della chioma

Il nostro rilevamento ha cercato di verificare l’effetto di una modifica di temperatura sugli

scambi gassosi della chioma, e analoghi esperimenti in sono frequentemente rinvenibili in

letteratura, sebbene le diverse modalità portino ad una diversa interpretazione dei risultati. Il nostro

esperimento è simile a studi che pongono in relazione fotosintesi netta e temperatura del suolo

(Vapaavuori et al., 1992). Infatti vi è una separazione fisica tra la parte della pianta sottoposta a

riscaldamento, e la chioma in cui sono state effettuate le misure di scambi gassosi. La distanza tra

questi due siti fa sì che non vi sia una relazione diretta tra riscaldamento e fotosintesi netta, o

conduttanza stomatica, ma una relazione più complessa ed a più termini.

In altri studi invece vengono evidenziate modifiche di conduttanza stomatica o fotosintesi

netta (Leverenz et al., 1999; Foyer, 1996b), con qualche eccezione (Leverenz et al., 1999), in

relazione alla temperatura dell’aria (Lewis et al., 2002). La relazione esistente tra temperatura

dell’aria e scambi gassosi della pianta è studiata da lungo tempo; vi sono studi condotti in ambiente

d’alta quota, basati su tecniche di eddy covariance, che evidenziano come le basse temperature 36

Page 38: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

riducano la fotosintesi netta delle piante (Huxman et al., 2003). In altri casi basse temperature

dell’aria sono poste in relazione ai danni da gelo, che limitano fotosintesi netta e conduttanza

stomatica in conifere seguiti da una discreta ripresa dell’attività biologica (Kalina et al., 1994;

Bauer et al., 1992).

Una relazione possibile tra scambi gassosi e temperatura delle parti legnose chiama in causa

la maggior disponibilità idrica della chioma, dovuta alla minore viscosità dell’acqua ricollegabile

alla sua aumentata temperatura (Cochard et al., 2000). La modifica di temperatura, d’altra parte, ha

riguardato 2 m in un percorso lungo diversi metri, causando modeste alterazioni nella disponibilità

di acqua ai getti terminali. Inoltre l’effetto dell’aumentata attività metabolica indotto dalla

temperatura si verifica dopo 24-72 dall’accensione del sistema di riscaldamento, perciò non è legato

ad un effetto fisico legato alla diversa viscosità dell’acqua.

Un'altra possibile relazione tra temperatura e scambi gassosi della chioma prevede un effetto

della prima sui sink della pianta, modificandone l’attività metabolica (Azcón-Bieto e Osmond,

1983) e la respirazione (Lavigne et al., 2004; Foyer, 1996a; Bosc et al., 2003) nel breve periodo. La

conoscenza dei meccanismi fisiologici di questo processo presentano ancora aspetti ancora poco

noti (Herold, 1980; Foyer, 1996b), molto probabilmente sono coinvolti anche fitoregolatori, quali

l’acido abscissico, come messaggeri chimici entro la pianta (Maier-Maercker, 1998; Comstock,

2002; Aasamaa et al., 2002; Fort et al., 1997). La relazione tra temperatura e attività metabolica di

un organo legnoso è inoltre resa complessa da fenomeni di fenomeni di winter hardening (Burke et

al., 1976; Olien, 1967) e acclimatazione (Atkin et al., 2000; Tjoelker et al., 1999), che riducono la

risposta metabolica nel lungo periodo. Nel nostro caso il riscaldamento si è protratto al più per dieci

giorni consecutivi, perciò l’importanza di questi fenomeni di contorno è modesta.

Si può affermare che la fotosintesi netta è limitata dal metabolismo dei meristemi della pianta

se, in seguito al riscaldamento di un ramo ed al conseguente aumento di attività metabolica (Loveys

et al., 2003), si registra un aumento dell’attività fotosintetica. Questo effetto è chiamato

photosynthesis downregulation, ed è stato osservato in esperimenti condotti in pieno campo su

piante erbacee (Hoch et al., 2002), in prove di riscaldamento effettuate su semenzali di piante

arboree (Turnbull et al., 2004; Turnbull et al., 2002) e su studi che pongono in relazione alte

concentrazioni di fotosintati nella linfa ed ridotta attività fotosintetica della pianta (Azcón-Bieto,

1983). Analizzando i nostri dati possiamo affermare che in alta quota, oltre ad un eventuale

riduzione diretta della fotosintesi dovuta alle basse temperature, vi sono dei fenomeni di

photosynthesis downregulation legati alla bassa attività metabolica delle parti legnose della pianta.

Rilevamenti, effettuati a S. Vito di Cadore (BL) 1.100 m su P. abies, non hanno evidenziato questo

effetto (Anfodillo, comm. pers.), quindi il fenomeno di photosynthesis downregulation è limitato a

37

Page 39: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

piante situate a quote elevate. Questi risultati sono coerenti con ricerche che hanno evidenziato un

aumento della concentrazione di fotosintati nella linfa di piante d’alta quota (Körner, 2003), fattore

determinante nel causare della photosynthesis downregulation in una pianta.

Dall’analisi dei dati in bibliografia pare che, almeno nelle Alpi, sia modesto l’effetto di una

limitazione diretta della fotosintesi dovuta alla temperatura, un maggior peso va attribuito invece a

meccanismo indiretti di photosynthesis downregulation.

4.4 Conclusioni

L’analisi degli scambi gassosi, e le loro relazioni con i principali fattori ambientali, sono

coerenti con i dati proposti in bibliografia. Si è osservata una strategia nell’uso dell’acqua evitante

dissipatrice in L. decidua, e una strategia evitante conservatrice in P. cembra e P. leucodermis.

Questo risultato è coerente con altri rilevamenti ecofisiologici condotti nell’area (Anfodillo, 1992);

ciò significa che un’alterazione in questi ambienti d’alta quota (Anfodillo et al., 1998) produrrà

risposte diverse nelle varie specie.

Inoltre le nostre osservazioni sono coerenti con l'esistenza di fenomeni di photosynthesis

downregulation in ambienti di alta quota delle Alpi. Ciò significa che, in questi ambienti estremi, le

basse temperature degli organi legnosi riducono la loro attività metabolica, determinando un

aumento nella concentrazione di fotosintati nella linfa, ed una conseguente riduzione dett'attività

fotosintetica che li produce. Questo risultato è coerente con l’ipotesi che prevede una limitazione

nell’attività metabolica (Körner, 1998) proposta a livello globale come spiegazione del limite

superiore del bosco.

38

Page 40: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

“… dry matter allocation is extremely poorly documented fro treeline trees … this reflects the human fascination in electronics machinery compared with spades, but lacks any scientific rationale. ”

(Körner, 1999)

5 Allocazione della biomassa e caratteristiche strutturali di

Larix decidua Mill. e Pinus cembra L. al variare della quota

Attraverso rilevamenti allometrici sulla componente vegetale di un ecosistema è possibile

disporre di informazioni fondamentali sulle sue dinamiche e fattori limitanti. Questa tecnica

permette di fare un bilancio del carbonio nella pianta, e di esaminare le strategie di allocazione della

biomassa prodotta nei diversi comparti (chioma, rami, fusto e radici).

In genere le variabili allometriche in una pianta (diametri, altezze e masse) sono ben correlate

tra loro, ma l’ambiente più modificare queste relazioni. Inoltre vi sono modelli teorici che

descrivono queste relazioni; uno degli approcci più innovativi è quello proposto dal modello

denominato “WBE”, che si basa su considerazioni teoriche circa le caratteristiche ottimali

dell’architettura idraulica di una pianta (West et al., 1999).

Per evidenziare delle differenze nelle relazioni allometriche in una pianta è necessario

ricorrere ad appropriate tecniche statistiche, vuoi per modelli di regressione che tecniche di analisi

della varianza (Niklas, 1994). L’allometria è in grado di evidenziare gli effetti delle variabili

ambientali nel lungo periodo; perciò è complementare alle analisi degli scambi gassosi della

chioma.

Con la presente indagine si sono studiate le relazioni allometriche in piccole piante di

L. decidua e P. cembra lungo un gradiente altitudinale che dalla foresta arriva fino al limite

superiore di distribuzione di queste specie nell’area di studio.

5.1 Materiali e metodi

5.1.1 Area di studio

Le aree di studio sono situate in località Croda da Lago (E 12°07’ N 46°31’; Fig. 22; Fig. 76;

Fig. 68) nei pressi di Cortina d’Ampezzo (BL) in un versate con esposizione est e in un’altitudine

compresa tra 1.500 m e 2.200 m di quota.

39

Page 41: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

5 To rr i - C o rtin a d ’A m p e z z o

Fig. 22 Localizzazione dei siti d’indagine.

A 1.500 m i campioni sono stati raccolti in una foresta mesica composta da P. abies e Fagus

sylvatica L. con alcuni esemplari di L. decidua e P. cembra su un substrato pedogenetico marnoso.

Lungo questo versante a circa 2.100 m di quota si trova il limite superiore del bosco, composto da

L. decidua e P. cembra. I campioni a 2.000 m di quota si trovano nella zona di ecotono tra limite

superiore del bosco e limite superiore degli alberi sparsi; si tratta di una foresta rada composta da L.

decidua e P. cembra su un substrato pedogenetico calcareo. Infine i campioni raccolti a 2.200 m si

trovano al di sopra del limite superiore del bosco in un pascolo di Carex firma (Host.) con piccole

piante di L. decidua e P. cembra. In questo versante la foresta d’alta quota e il pascolo sono stati

solo marginalmente interessati da attività antropiche, come utilizzazioni forestali e pascolo, a causa

della difficile accessibilità dell’area.

La più vicina stazione meteorologica è situata nel fondovalle a Cortina (1.274 m) e si

dispongono dei dati dal 1926 al 1994. Queste sono le principali caratteristiche climatiche della

zona: temperatura media annua, 6.7 °C; temperatura media nel mese di luglio, 22.3°C; temperatura

media annua nel mese di gennaio, -7.5°C; precipitazioni medie annue 1.109 mm. Considerando un

dislivello compreso tra 400 m e 1.000 tra i siti d’indagine (da 1.600 m a 2.200 m) ed il fondovalle

(1.200 m) ed una diminuzione della temperatura media annua di 0.6°C ogni 100 m di dislivello, si

può stimare un dato medio per i siti d’indagine che va da 2.5 °C a 6°C passando dalla quota minore

a quelle superiori.

40

Page 42: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

5.1.2 Scelta dei campioni

Quarantacinque piante di L. decidua (Fig. 64; Fig. 65) e 51 di P. cembra (Fig. 66; Fig. 67)

sono state estratte lungo un gradiente altitudinale. Nei siti d’indagine è stato raccolto un diverso

numero di campioni, le cui principali caratteristiche sono riepilogate in (Tab. 4).

Specie Altitudine Sito Numero di piante

Diametro medio (cm)

Altezza (cm) Età

P. cembra

1.700 m Foresta 12 2.8 ± 1.5 139.0 ± 73.3 37.0 ± 13.8

2.000 m Ecotono al limite superiore del bosco

14 2.7 ± 1.4 82.5 ± 30.3 29.2 ± 4.8

2.200 m Sopra il limite superiore degli alberi

sparsi

18 2.8 ± 1.1 48.6 ± 17.0 28.6 ± 5.9

L. decidua

1.500 m Foresta 23 1.4 ± 0.9 72.3 ± 47.3 15.0 ± 7.32.000 m Ecotono al limite

superiore del bosco10 1.9 ± 0.5 71.4 ± 28.5 33.3 ± 8.2

2.200 m Sopra il limite superiore degli alberi

sparsi

12 2.3 ± 1.0 51.4 ± 26.4 31.7 ± 13.6

Tab. 4 Numero di piante nei diversi siti con media dei diametri, altezze ed età (± deviazione standard).

Si è cercato di garantire un minimo di omogeneità nei campioni, scegliendo piante con

diametro del fusto alla base inferiore ai 4 cm. Il diametro medio alla base di tutte le piante raccolte è

di 2.3 (± 1.3 DS) cm, l’altezza media 74.5 (± 46.9 DS) cm e l’età 26.7 (± 1.5 DS) anni. I campioni

si trovavano ad una distanza di almeno 4 m dalla pianta adulta più vicina, in modo che ne risulti

limitato l’adugiamento. Infine le piante sono state raccolte lungo un pendio con esposizione est, in

modo da ridurre l’effetto di una diversa disponibilità di radiazione solare.

5.1.3 Preparazione dei campioni e misure

È stata rimossa la parte aerea alle piante, con un taglio alla base del fusto, per poi estrarre

l’apparato radicale dal terreno quanto più possibile integro. Per ogni campione è stata registrata

distanza e direzione dall’albero e dal semenzale più vicini, diametro alla base del fusto, altezza,

numero di rami, ramo e radice più lunghi e profondità dell’apparato radicale. Infine le piante sono

state separate nei diversi comparti, aghi, rami, fusto e radici. Il maggior problema di questa tecnica

di indagine è la stima della massa dell’apparato radicale (Smit et al., 2000). Le radici sono state

scavate manualmente e si è stimata la massa di apparato radicale persa durante l’estrazione

attraverso una regressione tra massa e diametro costruita con alcune radici raccolte integre; in

questo modo si è migliorata la stima della massa dell’apparato radicale (Santantonio et al., 1977).

La massa persa durante le operazioni di scavo è pari al 2 % della massa totale, e questa frazione non

cambia tra le specie ed i siti. La massa dei vari comparti è stata pesata dopo una permanenza in

forno a 80°C per due giorni. La percentuale di biomassa di aghi, rami, fusto e radici è espressa

41

Page 43: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

come frazione della massa totale della pianta. L’età media è stata misurata al microscopio (25x -

40x) in una sezione alla base del fusto.

5.1.4 Analisi statistiche

I dati raccolti sono stati analizzati attraverso un’analisi fattoriale, in modo da poter

raggruppare le variabili in gruppi tra loro intercorrelati, detti fattori. Le variabili raccolte sono 21,

perciò manualmente si dovrebbero confrontare 420 coefficienti al fine di identificare i fattori.

L’analisi fattoriale è una tecnica che, utilizzando l’analisi delle componenti principali, automatizza

e semplifica questa procedura. Come risultato si può ottenere un grafico a dispersione con i pesi

fattoriali, ossia un valore compreso tra –1 e +1 associato ad ogni variabile che esprime la sua

importanza nel comporre un fattore (Adam et al., 2004).

L’analisi delle percentuali di biomassa investiti in diversi comparti, altezza della pianta,

lunghezza della radice più lunga, diametro del fusto alla base ed età sono stati fatti con un test

ANOVA di tipo III, che non necessita di uno stesso numero di campioni nelle diverse categorie da

confrontare. Le variabili analizzate rispettavano gli assunti di normalità ed omogeneità della

varianza, ad eccezione degli incrementi in altezza, che perciò sono stati preventivamente trasformati

con funzione logaritmica. Si è ricorsi ad un’analisi della varianza a due vie, analizzando l’effetto

sulla variabile dipendente della specie e dell’altitudine del sito di raccolta. Qualora si fosse

individuato un effetto significativo di almeno uno dei due fattori, si sono evidenziati i gruppi

statisticamente differenti grazie al test di Tukey. Infine grazie al test MANOVA si è verificato se le

differenze già evidenziate a livello di percentuale nei singoli comparti, rimanessero tali anche con

un’analisi i dati congiuntamente.

L’analisi dell’effetto di specie e altitudine sugli incrementi di massa, ramo più lungo e

numero di rami è stato fatto con il test non parametrico di Kruskal-Wallis, poiché nessuna delle

trasformazioni dei dati grezzi consentiva di rispettare l’assunto di omogeneità della varianza nei

diversi gruppi.

Per evidenziare l’effetto di fattori, come la specie o l’altitudine, sulla funzione che lega due

variabili continue, come diametro del fusto alla base e massa della pianta, si è utilizzata l’analisi

della covarianza (ANCOVA; Adam et al., 2004; Gellini, 1996; Pignatti, 1998). Come nell’analisi

della varianza, anche in questo caso oltre ad analizzare l’effetto sulla variabile dipendente dei

singoli fattori e variabili indipendenti, è possibile evidenziare l’effetto della loro interazione. Così

se la variabile dipendente è la massa della pianta, quella indipendente il diametro alla base e i fattori

la specie e l’altitudine, il piano completo dei confronti testati risulterà composto da nove termini

(Tab. 5).

42

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Piano completo Fattori inseriti nel piano semplificato tramite stepwise regression

IntercettaSpecie

Altitudine Diametro alla base Specie * Altitudine

Specie * Diametro alla baseAltitudine * Diametro alla base

Specie * Altitudine * Diametro alla baseErrore

Tab. 5 Piano dei confronti analizzati dall’ANCOVA.

L’utilizzo di piani complessi nell’analisi della covarianza può presentare alcuni inconvenienti;

ad esempio la presenza di molti termini non significativi può nasconderne alcuni che presi

singolarmente, o in un gruppo ristretto, raggiungono la soglia di significatività. Questo perché la

varianza a loro attribuita singolarmente, in presenza di molti altri effetti non significativi, viene in

parte attribuita anche a questi ultimi sminuendone il loro reale peso. Perciò, come nel caso delle

regressioni multiple, anche nell’analisi della covarianza in presenza di piani complessi è bene

utilizzare tecniche, come la stepwise regression, per semplificare e ridurre il numero di confronti da

testare. Nell’esempio riportato il piano dei confronti, semplificato secondo questa procedura, è

presentato è composto da soli due termini (Tab. 5), altitudine e diametro del fusto alla base. Da ciò

si può concludere la massa della pianta come la relazione tra massa e diametro alla base del fusto è

significativa, e che solo l’altitudine ne influenza l’intercetta.

Le principali relazioni allometriche, analizzate con l’analisi della covarianza per individuare

l’eventuale influenza dalla specie o l’altitudine, pongono in relazione diametro del fusto alla base,

altezza, massa totale, massa della chioma, massa del fusto, massa dei rami, e massa dell’apparato

radicale. In queste relazioni è difficile ipotizzare un rapporto di causa effetto e individuare

chiaramente una variabile indipendente ed una dipendente; in genere sono espresse come funzione

di potenza:

y=x

dove y è la variabile di particolare interesse, x è la variabile che rappresenta la dimensione della

pianta, e sono i parametri che caratterizzano la funzione matematica che pone in relazione y e x.

Per linearizzare questa funzione, e rispettare la normalità nella distribuzione di frequenza delle

variabili indagate, i dati sono stati preventivamente sottoposti a trasformazione logaritmica:

log(y)=b+a log(x)

=10b

=a

43

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Il fatto che tra le due variabili non vi sia un rapporto di causa effetto, ma che si voglia solo

descrivere la funzione che le pone in relazione, sottintende che l’errore di regressione vada

suddiviso tra di esse. Il metodo di regressione comunemente utilizzato (OLS - ordinary least

square) però attribuisce tutto l’errore della regressione alla variabile y. Questa tecnica è adeguata

quando si vuole stimare la variabile y partendo da valori noti della x. Quando invece lo scopo è

determinare il valore dell’esponente della funzione di potenza () per confrontarlo con il valore

previsto da un modello o rilevato in altri studi, la comune tecnica di regressione (OLS) si rivela

inadeguata, tanto più se la regressione ha un coefficiente di correlazione modesto. Per mantenere

l’omogeneità con altri studi e osservare i presupporti teorici alla base delle relazioni allometriche, si

è utilizzata la tecnica di regressione reduced major axis (RMA) per confrontare gli esponenti

(Niklas, 1994). Quanto a complessità di calcolo, questo metodo di regressione non è molto diverso

da OLS; semplicemente il coefficiente angolare secondo il metodo RMA si può calcolare dividendo

quello ottenuto tramite il metodo OLS per il coefficiente di correlazione.

L’esponente calcolato con la tecnica dell’ RMA verrà in seguito indicato come RMA, ed è

stato utilizzato per il confronto con dati presenti in altri lavori, o con previsioni teoriche.

Quelli descritti finora sono modelli allometrici lineari; per valutare se utilizzando funzioni di

crescita sigmoidali si ottenga un miglior adattamento, o un maggior numero di parametri utili a

descrivere la crescita di una pianta, sono stati interpolati i dati di massa totale e diametro alla base

della pianta anche con un’equazione di Gompertz.

Infine vi è un’altra possibilità per analizzare la relazione esistente tra massa di chioma e

diametro del fusto, spesso, infatti, si ricorre al rapporto tra la massa fogliare ed area di alburno. Nei

nostri campioni quest’ultimo parametro non è stato rilevato, d’altra parte in piante piccole la

frazione di durame del fusto è modesta; perciò sostituire l’alburno con l’area basimetrica introduce

un errore modesto. La massa fogliare per unità di area basimetrica è stata spesso utilizzata (DeLucia

et al., 2000) come indice del vigore della pianta o dell’aridità ambientale. Generalmente piante

cresciute in ambiente arido, oppure poco vigorose, presentano una massa fogliare ridotta per unità

di area basimetrica. L’effetto su questa variabile della specie e dell’altitudine è stato verificato

statisticamente, previa trasformazione logaritmica dei dati, tramite analisi della varianza.

5.1.5 Descrizione del modello WBE

Numerosi sono i modelli proposti per sintetizzare e descrivere le relazioni esistenti tra le

principali variabili, come diametri, altezze e masse, che caratterizzano una pianta. Uno dei primi

proposti fu il così detto pipe model (Corcuera et al., 2004), che descrive il fusto di una pianta come

un insieme di tubi che conducono la linfa partendo dalle radici fino a rifornire ogni singola foglia. Il

modello WBE (West et al., 1999; Enquist, 2002), recentemente elaborato, prevede che le piante 44

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ottimizzino le loro risorse energetiche, attraverso un architettura idraulica del sistema di conduzione

tale da minimizzare la resistenza totale opposta al flusso linfatico lungo il percorso che va dalle

radici all’apice della pianta. Per realizzare ciò, il modello WBE descrive l’architettura della chioma

della pianta e del sistema idraulico con due modelli frattali con alcune caratteristiche in comune. Da

queste considerazioni gli autori arrivano a prevedere gli esponenti di molte relazioni allometriche

tra masse, diametri ed altezze nelle piante (6.1.1.1 Applicazione del modello WBE al fusto, pag.

67).

Le relazioni proposte sono valide a scala globale, ad ogni modo abbiamo valutato se i nostri

campioni, por facendo parte di popolazioni con caratteristiche peculiari, forniscano risultati coerenti

con le attese di questo modello (Tab. 6).

Prima variabile (y) Seconda variabile (x) Esponente (α)Massa totale Diametro fusto 8/3

Massa chioma Massa totale ¾Massa chioma Massa fusto ¾Massa chioma Diametro 2Massa fusto Diametro 8/3Massa rami Diametro 8/3Massa radici Diametro 8/3Massa totale Altezza 4

Altezza Diametro fusto 2/3

Tab. 6 Principali relazione allometriche previste dal modello WBE.

5.2 Risultati

5.2.1 Condizioni ambientali

Nei campioni analizzati sono state raccolte numerose variabili, descrittive della struttura,

sviluppo della pianta e dell’ambiente in cui questa è cresciuta. Attraverso l’analisi fattoriale è stato

possibile aggregare le variabili particolarmente intercorrelate in gruppi, chiamati fattori. Le 21

variabili con cui si è descritto ogni campione delle due specie possono essere utilmente aggregate in

tre fattori. Il primo comprende gran parte delle variabili che compongono le relazioni allometriche

(masse, diametro alla base, altezza e variabili descrittive della chioma e del sistema radicale) e

arriva a spiegare il 39 % della varianza di tutti i dati raccolti. Il secondo fattore comprende

altitudine e descrizione del sito di raccolta, arrivando a spiegare il 14 % della varianza presente nei

dati raccolti. Infine il terzo fattore è rappresentato dalla sola specie, che spiega lo 11 % di tutta la

varianza. Si può concludere che in tutti i dati raccolti nelle diverse variabili, gran parte della

varianza è spiegabile attraverso le relazioni allometriche. Meno importanti sono, nell’ordine,

l’effetto di altitudine e la specie (Fig. 23).

45

Page 47: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 23 Analisi fattoriale delle principali variabili rilevate analizzate col metodo delle componenti principali e con una rotazione di tipo Varimax. Le variabili evidenziate con un elisse sono quelle

significativamente intercorrelate a formare i due fattori principali, il terzo fattore non è stato rappresentato in figura.

Si è provato ad analizzare separatamente i dati delle due specie si ottengono risultati analoghi.

L’altitudine e la descrizione del sito sono due variabili molto correlate tra loro, perciò si è cercato di

vedere come queste due interagiscano tra di loro (Fig. 24).

P a sc o lo P a sc o lo d 'a l t a q u o t a F r a n a B o sc o r a d o B o r d o s t r a d a B o r d o b o sc o

P. cemb ra 1700P. cemb ra 2000

P. cemb ra 2200L. dec idua 1500

L. dec idua 2000L. dec idua 2200

0 %

2 0 %

4 0 %

6 0 %

8 0 %

1 0 0 %

Fig. 24 Diversa descrizione del sito al variare dell’altitudine.

46

Page 48: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Gran parte dei campioni di P. cembra raccolti a 1.700 e 2.000 m si trovavano a bordo bosco o

in foresta rada; a quote più elevate sono per lo più stati trovati in foresta rada. Gran parte dei

campioni di L. decidua raccolti a 1.500 e 2.000 m erano situati in foresta rada, a bordo del bosco o

in aree con terreno smosso. Alle quote più elevate gran parte delle piante sono state raccolte in

pascoli d’alta quota e ghiaioni.

5.2.2 Incrementi in altezza

In L. decidua non è stato possibile evidenziare con l’altitudine una differenza nell’altezza

media delle piante. D’altra parte gli incrementi annuali d’altezza sono fortemente ridotti a 2.000 m e

2.200 m rispetto che a 1.500 m; questo effetto è presente nelle diverse classi d’età e diametro del

fusto (Fig. 25). La riduzione degli incrementi in altezza è circa del 7 % ogni 100 m di dislivello,

passando da 1.500 m a 2.000 m, e del 15 % ogni 100 m di dislivello passando da 2.000 m a 2.200

m. La regressione tra età ed incremento in altezza è risultata significativa in tutti i gruppi altitudinali

(R2=0.31; p<0.01).

Non si è osservata al variare della quota una variazione significativa dell’altezza media in P.

cembra. Consistente è, invece, la riduzione degli incrementi annuali in altezza tra le piante raccolte

a 2.200 m e quelle prelevate a 1.500 m e 2.000 m; ancora una volta quest’effetto è osservabile nelle

diverse classi d’età e diametro del fusto (Fig. 25; F(2, 83)=32.38; p<0.01). L’incremento medio

annuo in altezza si riduce del 14 % ogni 100 m, passando da 1.700 m a 2.000 m, e del 20 % ogni

100 m passando da 2.000 m a 2.200 m. In questa specie non è significativa la relazione tra età e

incremento medio in altezza in tutti i gruppi altitudinali (R2<0.01; p>0.05).

A lt i t u d in e ( m )

L. d ecid u a

1 5 0 0 2 0 0 0 2 2 0 01 .0

1 .5

2 .0

2 .5

3 .0

3 .5

4 .0

4 .5

5 .0

5 .5

6 .0

Incr

emen

to i

n a

ltez

za (

cm a

nn

i-1)

P. cemb ra

1 7 0 0 2 0 0 0 2 2 0 01 .0

1 .5

2 .0

2 .5

3 .0

3 .5

4 .0

4 .5

5 .0

5 .5

6 .0

a

b

b

a

a

b

Fig. 25 Incremento medio annuo in altezza in L. decidua e P. cembra alle diverse quote, con lettera analoga sono indicati campioni non significativamente diversi al test di Tukey (p<0.05).

47

Page 49: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

5.2.3 Incremento in diametro

In L. decidua, diversamente da quanto osservato negli incrementi in altezza, il diametro del

fusto e il suo incremento medio annuo non sono influenzati significativamente dall’altitudine

(Fig. 26). Significativa, invece, è la regressione tra diametro del fusto ed età (R2=0.15; p<0.01).

Anche in P. cembra l’altitudine non influenza significativamente il diametro del fusto e il suo

incremento medio annuo (Fig. 26). Inoltre, la relazione tra diametro del fusto ed età non è

significativa (R2=0.04; p>0.05). Infine tra le due specie non vi è un diverso incremento medio

annuo in diametro.

A lt it u d in e (m )

L . d e c id u a

1 5 0 0 2 0 0 0 2 2 0 00 .0 4

0 .0 5

0 .0 6

0 .0 7

0 .0 8

0 .0 9

0 .1 0

0 .1 1

0 .1 2

0 .1 3

Incr

emen

to in

dia

met

ro (

cm a

nni-1

)

P . c e m b ra

1 7 0 0 2 0 0 0 2 2 0 00 .0 4

0 .0 5

0 .0 6

0 .0 7

0 .0 8

0 .0 9

0 .1 0

0 .1 1

0 .1 2

0 .1 3

Fig. 26 Incremento medio annuo del diametro del fusto in L. decidua e P. cembra alle diverse altitudini.

5.2.4 Incrementi ed allocazione della biomassa

In L. decidua non si è potuto osservato un effetto significativo della quota sull’incremento

medio annuo di massa (Fig. 27), come sulla percentuale di massa investita nell’apparato radicale.

Invece la frazione investita in fusto si è ridotta a 2.200 m a fronte di quella destinata ai rami a 2.000

m e 2.200 m. Infine a 2.000 m si è osservato un valore significativamente inferiore di percentuale di

massa investita nella chioma, rispetto ad altitudini inferiori o superiori (Fig. 28, MANOVA Wilk’s

lambda=11.00; p<0.01). È risultata significativa la regressione tra incremento medio annuo di

massa ed età della pianta (R2=0.15; p<0.01).

48

Page 50: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

A lt i t u d in e ( m )

L. d ecid u a

1 5 0 0 2 0 0 0 2 2 0 00

5

1 0

1 5

2 0

2 5

3 0

3 5

4 0

Incr

emen

to i

n m

assa

(g

an

ni-1

)

P. cemb ra

1 7 0 0 2 0 0 0 2 2 0 00

5

1 0

1 5

2 0

2 5

3 0

3 5

4 0

Fig. 27 Incremento medio annuo di massa in L. decidua e P. cembra al variare dell’altitudine.

Anche in P. cembra non si è potuto osservare un effetto significativo dell’altitudine

sull’incremento medio annuo di massa (Fig. 27); analogamente la frazione di biomassa investita

nell’apparato radicale non pare influenzata dalla quota. Invece a 2.200 m una maggior frazione di

massa viene destinata a chioma e rami a discapito del fusto (Fig. 28). La regressione tra incremento

medio annuo di massa e diametro non è significativa in questa specie (R2=0.04; p>0.05).

Infine P. cembra presenta un incremento medio annuo di massa (Fig. 27) maggior di

L. decidua (14 ± 15 g anni-1 vs. 8 ± 7 g anni-1; H (1, N=89)=7.47; p<0.01).

L. d ecid u a

1 .5 0 0 2 .0 0 0 2 .2 0 00 %

2 0 %

4 0 %

6 0 %

8 0 %

1 0 0 %

P. cemb ra

1 .7 0 0 2 .0 0 0 2 .2 0 0

C h io m a R am i Fu s to R a d ic i

1 9 % a

3 1 % a

2 4 % a

3 0 % b

1 5 % a

4 0% a

3 2% a2 9% a

2 7% a

3 5% a

2 3 % b

1 4% a

1 3 % a

2 0% b

2 1 % b

3 3 % b

32%a

2 6 % a

3 3 % b

3 0 % a

2 7 % a

24%a

9 % b1 5 % a

Fraz

ione

di b

iom

assa

A l t i t u d in e ( m )

Fig. 28 Biomassa della pianta investita nei diversi comparti al variare dell’altitudine e della specie, sono indicati con la stessa lettera gruppi altitudinali la cui percentuale di massa non differisce significativamente al

test di Tukey (p<0.05).

49

Page 51: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Infine in P. cembra (Fig. 28), rispetto che in L. decidua, è stata rilevata una frazione maggiore

di biomassa investita nella chioma (24 ± 1 ES % vs. 15 ±1 ES %; p<0.01) ed una inferiore in rami

(16 ± 5 ES % vs. 28 ± 6 ES %; p<0.01).

5.2.5 Caratteristiche dei rami

Non si sono osservate, alle diversi altitudini, variazioni significative nel numero di rami e

nella lunghezza del ramo più lungo in entrambe le specie (Fig. 29). Questo, associato al minor

incremento in altezza delle piante, indica una ridotta distanza tra gli internodi della pianta.

Altitudine (m )

L .d e c i d u a

1500 2000 220020

25

30

35

40

45

50

55

60

Lung

hezz

a de

l ram

o pi

ù lu

ngo

(cm

)

P . c e m b ra

1700 2000 220020

25

30

35

40

45

50

55

60

1500 2000 220010

15

20

25

30

35

40

45

50

55

Num

ero

di ra

mi

1 700 2000 220010

15

20

25

30

35

40

45

50

55

Fig. 29 Il numero di rami e la lunghezza del ramo più lungo nelle due specie alle diverse quote.

La sola differenza significativa è nel minor numero di rami presente in P. cembra piuttosto

che in L. decidua (H (1,89)=5.77; p<0.05).

50

Page 52: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

5.2.6 Caratteristiche dell’apparato radicale

In L. decidua si sono osservate modifiche significative nell’architettura dell’apparato radicale

con l’altitudine (F(2,83)=3.30; p<0.05); a 2.200 m abbiamo riscontrato la presenta di un apparato

radicale più profondo (H(2, 45)=7.43; p<0.05) e con radici più lunghe rispetto alle quote inferiori

(U (89)=689.00; p<0.05). Non si sono evidenziate analoghe modifiche in P. cembra, d’altra parte

questa specie presenta un apparato radicale più superficiale di L. decidua (Fig. 30).

A lt i tu d in e (m )

L . d ecidu a

1 5 0 0 2 0 0 0 2 2 0 04 0

6 0

8 0

1 0 0

1 2 0

1 4 0

1 6 0

1 8 0

2 0 0

2 2 0

2 4 0

2 6 0

2 8 0

3 0 0

Dim

ensi

one

radi

ce p

iù l

unga

(cm

)

P . cem bra

1 7 0 0 2 0 0 0 2 2 0 04 0

6 0

8 0

1 0 0

1 2 0

1 4 0

1 6 0

1 8 0

2 0 0

2 2 0

2 4 0

2 6 0

2 8 0

3 0 0

1 5 0 0 2 0 0 0 2 2 0 01 0

2 0

3 0

4 0

5 0

6 0

7 0

8 0

9 0

1 0 0

Pro

fond

ità

appa

rato

rad

ical

e (c

m)

1 7 0 0 2 0 0 0 2 2 0 01 0

2 0

3 0

4 0

5 0

6 0

7 0

8 0

9 0

1 0 0

Fig. 30 Lunghezza della radice più lunga e profondità dell’apparato radicale al variare della quota nelle due specie.

Sono state fatte altre osservazioni qualitative sugli apparati radicale. Con l’altitudine si è

osservata nelle due specie una riduzione del numero di radici che compongono l’apparato radicale;

in genere a 2.200 m è possibile trovare una sola radice che raggiunge le dimensioni massime,

mentre a quote inferiori si trovano numerose radici di lunghezza simile.

La struttura dell’apparato radicale è chiaro indice dell’adattabilità di L. decidua all’ambiente

estremi dei ghiaioni; ad esempio una pianta di questa specie venne in passato ricoperta da una frana

e tre rami rimasti fuori dal suolo hanno prodotto tre fusti distinti facenti capo ad un unico apparato

radicale (Fig. 69). In altri casi radici affondavano per decine di centimetri in fenditure della roccia,

arrivando a creare in alcuni casi veri e propri fori nelle pietre (Fig. 70). Diversamente P. cembra

51

Page 53: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

non abbiamo mai trovato esempi di questo tipo; invece era molto comune che radici di questa specie

o specie diverse, comunemente Rhododendrum ferrugineum L., fossero inglobate dall’apparato

radicale (Fig. 71).

5.2.7 Relazioni allometriche

La relazione tra massa totale della pianta e diametro alla base del fusto è risultata

significativa, e l’esponente è non modificato significativamente dalla specie o dall’altitudine

(Fig. 31, F(1,88)=1350.50 p<0.01).

0 1 2 3 4 5 6 7

D ia m e t r o f u s t o a l la b a se ( c m )

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

Mas

sa t

otal

e (g

)

F u n z io n e d i p o t e n z a R M A = 2 . 6 0 ± 0 . 0 8

G o m p e r t z

Fig. 31 Relazione tra massa totale della pianta e diametro alla base del fusto. Si sono interpolati i dati con una funzione di potenza ed curva di crescita ad andamento sigmoide, la funzione di Gompertz, non ottenendo

risultati sostanzialmente diversi.

I dati sono stati interpolati con modelli allometrici non lineari (Causton e Venus, 1981), come

la curva di crescita sigmoidale descritta dalla funzione di Gompertz, senza ottenere una descrizione

più precisa della crescita. Infatti la stima del punto di flesso e dell’asintoto sono frutto di

un’estrapolazione, in quanto i nostri dati basati su piante di piccola taglia riguardano solo il primo

tratto di curva con derivata prima crescente.

Anche la relazione tra massa di chioma e massa totale è significativa (F(1,88)=3613.01;

p<0.01), ed è influenzata dalla specie (F(1,88)=134.63; p<0.01), dall’altitudine (F(2,88)=19.92;

p<0.01) e dal loro effetto combinato (Fig. 32, F(2,88)=33.54; p<0.01).

52

Page 54: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

M a s s a t o t a le ( g )

Mas

sa d

ella

ch

iom

a (g

)

L.d e c id u a

7 .52 5 .0

5 0 .07 5 .0

2 5 0 .05 0 0 .0

7 5 0 .02 5 0 0 .0

2 .5

5 .07 .5

2 5 .0

5 0 .07 5 .0

2 5 0 .0

5 0 0 .07 5 0 .0

P . c e m b ra

7 .52 5 .0

5 0 .07 5 .0

2 5 0 .05 0 0 .0

7 5 0 .02 5 0 0 .0

2 .5

5 .07 .5

2 5 .0

5 0 .07 5 .0

2 5 0 .0

5 0 0 .07 5 0 .0

1 5 0 0 R M A 0 .9 0 ±0 .0 32 0 0 0 R M A 0 .9 0 ±0 .0 72 2 0 0 R M A 0 .8 8 ±0 .0 3

1 7 0 0 R M A 0 .9 6 ±0 .0 42 0 0 0 R M A 0 .9 8 ±0 .0 32 2 0 0 R M A 1 .0 0 ±0 .0 4

Fig. 32 Relazione tra massa di chioma e massa totale è nelle diverse specie ed altitudini.

Anche la relazione tra altezza e massa totale è significativa e l’esponente non è influenzato

dalla specie o dall’altitudine (Fig. 33a; F(1,85)=709.11; p<0,01).

53

Page 55: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

a) Altezza e massa totale

Massa totale (g)

Alte

zza

(cm

)

0.5 5.0 50.0 500.0 5000.0345678910

20

30405060708090100

200

300400

b) Altezza e diametro

Diametro del fusto alla base (cm)

Alte

zza

(cm

)

1 2 3 4 5 6 7 86789

10

20

30405060708090100

200

300400500

c) Massa della chioma e diametro

Diametro del fusto alla base (cm)

Mas

sa d

ella

chi

oma

(g)

1 2 3 4 5 6 7 8

0.05

0.50

5.00

50.00

500.00

d) Massa e diametro del fusto

Diametro del fusto alla base (cm)

Mas

sa d

el f

usto

(g)

1 2 3 4 5 6 7 8

0.05

0.50

5.00

50.00

500.00

5000.00

e) Massa dei rami e diametro del fusto

Diametro allabase del fusto (cm)

Mas

sa d

ei r

ami

(g)

1 2 3 4 5 6 7 8

0.05

0.50

5.00

50.00

500.00

5000.00

f) Massa delle radici e diametro

Diametro del fusto alla base (cm)

Mas

sa a

ppar

ato

radi

cale

(g)

1 2 3 4 5 6 7 8

0.05

0.50

5.00

50.00

500.00

5000.00

1500-1700 RMA =0.36±0.02

2000 RMA =0.33±0.03

2200 RMA =0.36±0.03

1500 - 1700 RMA =0.98±0.04

2000 RMA =0.85±0.10

2200 RMA =0.95±0.14

L. decidua RMA =2.38±0.14

P. cembra RMA =2.45±0.09

1500-1700 RMA =2.90±0.08

2000 RMA =2.53±0.20

2200 RMA =2.57±0.26

L. deciduaP. Cembra

RMA =2.77±0.11

1500-1700 RMA =2.78±0.11

2000 RMA =2.63±0.14

2200 RMA =2.69±0.23

Fig. 33 Principali relazioni allometriche nelle diverse specie o altitudini tra altezza della pianta e massa totale (a), altezza della pianta e diametro del fusto alla base (b), massa della chioma e diametro alla base del fusto (c), massa del fusto e il suo diametro alla base (d), massa dei rami e diametro alla base del fusto (e) ed infine massa dell’apparato radicale e il diametro alla base del fusto (f).

Invece la relazione tra altezza e diametro del fusto alla base, pur risultando significativa

(F(1,88)=322.21; p<0.01), presenta esponenti diversi al variare dell’altitudine (Fig. 33b;

(F(2,88)=94.83; p<0.01). Diversamente al caso precedente, la relazione tra massa della chioma e

diametro del fusto alla base è significativa (F(1,84)=758.01; p<0.01) e l’esponente viene influenzato

solo dalla specie (Fig. 33c; F(1,84)=21.64; p<0.01). Vi è un’altra possibilità per analizzare la

relazione tra massa di chioma e diametro del fusto, ossia valutare il rapporto tra questa massa e

54

Page 56: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

l’area basimetrica. Non è stato possibile evidenziare differenze significative al variare della quota in

questo parametro (Fig. 34).

A lt it u d in e (m )

L . d e c i d u a

1500 2000 22000 .30

0 .35

0 .40

0 .45

0 .50

0 .55

0 .60

0 .65

Mas

sa d

i chi

oma

per u

nità

di a

rea

basi

met

rica

(g/c

m2)

P . c e m b ra

1700 2000 22000 .30

0 .35

0 .40

0 .45

0 .50

0 .55

0 .60

0 .65

Fig. 34 Massa di chioma per unità di area basimetrica (g/cm2) al variare della quota e della specie.

La relazione tra massa del fusto e diametro alla base del fusto è significativa (F(1,83)=981.73;

p<0.01), e modificata significativamente solo dall’altitudine (Fig. 33d; F(2,83)=24.53; p<0.01).

Invece la relazione tra massa dei rami e diametro alla base del fusto, pur essendo significativa

(F(1,86)=1145.23; p<0.01), presenta un’intercetta diversa al variare della quota (Fig. 33e;

F(1,86)=64.83; p<0.01). Infine la relazione tra massa dell’apparato radicale e diametro alla base del

fusto è significativa (F(1,85)=1027.38; p<0.01) ed influenzata solamente dall’altitudine (Fig. 33f;

F(2,84)=8.02; p<0.01).

5.3 Discussione

5.3.1 Condizioni ambientali

Le due specie analizzate occupano differenti nicchie ecologiche, e queste loro preferenze sono

influenzate dall’altitudine. Le piccole piante di L. decidua sono frequenti al di fuori del bosco, su

terreno smosso e privo di copertura vegetale, come scarpate di strade forestali in bassa quota, e

55

Page 57: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

ghiaioni ad altitudini superiori. Piccole piante di P. cembra invece sono frequenti in radure o boschi

radi, alle basse quote, e in praterie in alta quota. In genere si trovano in gruppi di 3-4, probabilmente

a causa della strategia di disseminazione zoocora. Le variabili allometriche rilevate sono poco

correlate con quelle legate alla quota (altitudine e descrizione del sito); ciò indica che quest’ultimo

fattore ha un effetto modesto sul complesso delle relazioni allometriche.

5.3.2 Incrementi in altezza

La riduzione degli incrementi in altezza con la quota è stata osservata in numerosi studi

condotti su L. decidua (Tranquillini, 1979; Körner, 1998) e P. cembra (Bernoulli e Körner, 1999;

Tranquillini, 1979; Körner, 1998; Li et al., 2003; Kronfuss e Havranker, 1999; Paulsen et al., 2000),

seppure con entità diversa (Paulsen et al., 2000; Kronfuss e Havranker, 1999). In uno studio

condotto su semenzali di P. abies in Austria (Tranquillini, 1979) si è osservata una riduzione degli

incrementi in altezza, passando dai 1.900 m ai 1.250 m, pari al 20 %; risultati analoghi sono stati

ottenuti sul Monte Patscherkofel in Austria (Baig e Tranquillini, 1976). Osservazioni effettuate in

Tirolo (Li et al., 2003) hanno evidenziato in L. decidua una riduzione del 18 % ogni cento metri di

dislivello passando dai 1.680 ai 1.810 m, e del 37 % ogni cento metri passando da 1.810 m a 1.940

m. Anche latifoglie presentano comportamento analogo, con una riduzione degli incrementi in

altezza del 9 % per cento metri di quota nel basso versante e del 60 % a quote superiori (Barrera et

al., 2000). Inoltre piante di P. abies di diverse provenienze coltivate in un giardino botanico a 150

m di quota (Oleksyn et al., 1998) o in laboratorio (Modrzynski e Eriksson, 2002) evidenziano una

riduzione in degli incrementi in altezza correlata con l’altitudine del sito d’origine. In sintesi

l’incremento annuo in altezza ha una modesta correlazione con l’età della pianta ma diminuisce

visibilmente al crescere della quota, questo è stato osservato anche con la latitudine in analisi

dendrocronologiche in alberi della foresta boreale (Delzon et al., 2004). Coerenti con quest’ipotesi

sono lavori in cui è stata rilevata una correlazione positiva tra temperatura dell’aria e lunghezza del

getto apicale (Rasmussen et al., 2002; Domisch et al., 2001; Veteli et al., 2002).

5.3.3 Incrementi in diametro

Età e condizioni stazionali influenzano l’incremento annuo in diametro nelle piante arboree; i

modesti valori osservati possono essere frutto della competizione delle giovani piante con la

vegetazione erbacea limitrofa (Robinson et al., 2001). Probabilmente questo non ha permesso di

evidenziare una chiara relazione tra altitudine ed incremento in diametro, sebbene molti fattori

ambientali influenzino questo parametro (Tranquillini, 1979). Questo fenomeno è già stato

evidenziato in un’area subalpina per P. cembra (Paulsen et al., 2000; Li et al., 2003). Invece in

rilevamenti compiuti lungo un gradiente altitudinale in latifoglie evidenziano una significativa

56

Page 58: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

riduzione degli incrementi in diametro (0.29 cm anno-1 in bosco contro 0.07 cm anno-1 sopra il

limite delle piante sparse) con l’aumentare della quota (Barrera et al., 2000). Anche rilevamenti

condotti su piante adulte di P. abies hanno dimostrato che gli incrementi di diametro variano da 6

mm l’anno in piante di bassa quota (inferiore a 1.600 m) ai 3 mm al limite del bosco (1.900 m di

quota) (Tranquillini, 1979). Recenti studi, condotti su piante adulte, evidenziano al limite superiore

del bosco una riduzione drastica di 2 o 4 volte degli incrementi di diametro (Körner, 1999). Infine

esperimenti condotti su semenzali in laboratorio evidenziano un effetto modesto della temperatura

dell’aria sul diametro del fusto delle piante (Veteli et al., 2002).

5.3.4 Produzione di biomassa

Sorprendentemente non è stato possibile osservare un effetto significativo dell’altitudine sulla

produzione di biomassa, sebbene diversi studi abbiano già evidenziato questo su piante di piccole

dimensioni (Bernoulli e Körner, 1999; Tranquillini, 1979). Si è osservato che le piante di P. cembra

presentano maggiori incrementi di biomassa rispetto a quelle di L. decidua. Non è possibile d’altra

parte evidenziare relazioni significative in P. cembra tra massa della pianta ed età. Sembra perciò

che questa specie cresca al massimo delle potenzialità offerte dall’ambiente, andando incontro ad

una drastica riduzione degli incrementi quando vengono meno le condizioni ambientali ottimali (es.

competizione con piante erbacee ed arboree, disponibilità radiattiva o disponibilità idrica),

determinando un’alta variabilità negli incrementi di massa nelle diverse piante. Diversamente

L. decidua presenta tassi d’incremento inferiori, però influenzati solo in modo modesto dalle

condizioni ambientali.

Altri studi (Li et al., 2003) hanno evidenziato una decisa riduzione della produzione di

biomassa in giovani piante di nelle Alpi Austriache (1.018 g anno-1 a 1.680 m contro 265 g anno-1 a

1.940 m), ed in altre aree dell’arco alpino registrando una riduzione tra il 42 % ed il 73 % passando

dal fondovalle al limite del bosco (Havranek, 1985). Anche rilevamenti effettuati su latifoglie hanno

evidenziato una riduzione significativa di biomassa prodotta con l’altitudine (2.73 g anno -1 in

foresta contro 0.22 g anno-1 al limite superiore del bosco). Inoltre in piante di P. abies di diverse

provenienze, coltivate in orto botanico (Oleksyn et al., 1998) o in laboratorio (Modrzynski e

Eriksson, 2002), si osserva una riduzione della produzione di biomassa con l’altitudine di origine

del materiale. Molti sono i fattori ambientali che influenzano la produzione di biomassa, ad esempio

luce, temperatura, piovosità e copertura del manto nevoso, ed essi variano in modo continuo con

l’altitudine. La riduzione degli incrementi di massa è in genere evidente solo alle quote più elevate

(Kronfuss e Havranker, 1999) piuttosto che lungo tutto il gradiente altitudinale. In altre parole

sembra esserci un’altitudine limite al di sotto di cui queste variabili ambientali non influenzano

significativamente i tassi di incremento nella pianta. A quote maggiori invece le formazioni sono 57

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rade o si trovano piante isolate, ed in questo caso vi è una correlazione significativa tra parametri

ambientali e incrementi di massa prodotti. In questi ambienti a condizionare lo sviluppo di una

pianta sono determinanti le caratteristiche microstazionali, fermo restando che al di sopra del limite

del bosco le piante non sono in grado di raggiungere un portamento arboreo, ossia superare i tre

metri d’altezza, (Körner, 1998), mantenendo un portamento cespuglioso (krummholz) (Tranquillini,

1979). Inoltre in questi ambienti l’influenza sulla crescita delle piante della quota, e dei fattori

ambientali associati dipende dalla loro dimensione ed età (Li et al., 2003); le differenze specifiche

sono contenute e meno importanti. In altri studi è stata associata una minor produzione di biomassa

con una ridotta temperatura dell’aria (Rasmussen et al., 2002; Gowin T et al., 1980; Domisch et al.,

2001; Modrzynski e Eriksson, 2002; Atkinson, 1994), seppure dal alcune ricerche condotte

evidenzino essere più influente la temperatura del suolo (Schwarz et al., 1997; Balisky e Burton,

1997).

5.3.5 Allocazione della biomassa

Confrontando le strategie di allocazione della biomassa nelle due specie, si è potuta osservare

una frazione inferiore investita nella chioma ed una superiore nel fusto in L. decidua, una conifera

decidua. Inoltre questa specie presenta, rispetto a P. cembra, una maggior frazione di massa

investita nei rami, e nessuna differenza sostanziale per quanto riguarda l’apparato radicale. In un

altro studio condotto sulle Alpi (Bernoulli e Körner, 1999) si è osservata in entrambe le due specie

una minor frazione di biomassa investita nelle foglie, a vantaggio della percentuale destinata al

fusto. Invece, in un altro studio condotto sulle Alpi austriache (Li et al., 2003), si è osservata una

allocazione della biomassa sostanzialmente simile a quella da noi rilevata.

La strategia di allocazione della biomassa è un parametro utile nello studio delle dinamiche di

un ecosistema di limite superiore del bosco. Con l’altitudine si è osservato un aumento della

frazione di massa investita nella chioma e nei rami, con l’eccezione di L. decidua a 1.500 m

probabilmente a cause della giovane età dei campioni.

I dati presentati in un altro studio su P. cembra e L. decidua, condotto sulle Alpi (Körner,

1999), non hanno evidenziato una tendenza significativa nella frazione di massa investita nella

chioma con la quota. In questo studio in alta quota sono state raccolte le piante più vecchie, perciò

l’interazione tra età e quota rende più difficile interpretare i dati. Anche nel nostro studio si è potuto

verificare che l’allocazione della biomassa dipende dall’età delle piante, in genere piante più

vecchie hanno una minor frazione di biomassa destinata alla chioma; questo dato è coerente altre

osservazioni sperimentali e modelli teorici di crescita (Bartelink, 1998; Le Roux et al., 2001). Altri

studi condotti su P. abies e L. decidua nelle Alpi Austriache (Li et al., 2003) non hanno evidenziato

alcuna modifica significativa della strategia di allocazione della biomassa con la quota. Inoltre altri 58

Page 60: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

dati, ottenuti su piante omogenee lungo un gradiente altitudinale, evidenziano un aumento del

rapporto tra massa della chioma e delle radici, che passa da 1 a 3 in P. abies e da 1.5 a 2.5 in Pinus

mugo Turra. Analogamente in uno studio condotto lungo un gradiente altitudinale su Nothofagus

pumilio (Poepp & Endl.) Krasser in Argentina è stato osservato massa investita in chioma del 1.9 %

in bassa quota e del 10 % al disopra del limite del bosco; sfortunatamente anche in questo caso vi è

un’interazione tra altitudine ed età delle piante, i campioni raccolti in alta quota erano

significativamente più giovani (Barrera et al., 2000). Indagini sull’allocazione della biomassa sono

stati condotti anche su piante erbacee lungo un gradiente altitudinale, evidenziando come questo

carattere sia tendenzialmente conservativo; con l’altitudine si è riscontrata invece una riduzione

della massa investita nei fiori a favore della frazione destinata alle radici (Körner, 1999).

Esperimenti in ambiente controllato hanno evidenziato come le basse temperature dell’aria siano

associate ad un aumento della frazione della biomassa della pianta investita nella chioma (Domisch

et al., 2001; Veteli et al., 2002); d’altra parte studi analoghi hanno descritto l’allocazione della

biomassa come un parametro conservativo al variare della temperatura del suolo (Domisch et al.,

2001; Balisky e Burton, 1997). Anche diversi livelli di radiazione solare influenzano la frazione di

biomassa destinata alla chioma; in genere nelle conifere una elevata frazione di massa investita

nella chioma è associata a bassi valori di radiazione solare (Valio, 2001; King, 2003; King, 1997).

Questo fenomeno non può essere utilizzato per spiegare l’elevata frazione di massa investita in

chioma in alta quota da noi osservato; infatti in questo ambiente la densità delle piante, possibili

competitrici con i campioni per la luce, è inferiore e ci si sarebbe dovuti attendere un minore

investimento in questo comparto nei nostri campioni. Anche il contenuto di nutrienti nel suolo

influenza l’allocazione della biomassa, (Hutchings e de Kroon, 1994; Tateno et al., 2004). In genere

piante cresciute in suoli poveri di sostanze nutritive hanno una massa inferiore e una minor frazione

della stessa viene destinata alla chioma (George et al., 1995); poiché con la quota non si è osservata

una riduzione della massa destinata alla chioma la carenza di nutrienti non è un fattore che limita

significativamente le piante al limite superiore del bosco.

5.3.6 Caratteristiche della chioma

In altri studi non è stata evidenziata un’influenza significativa dell’altitudine sulla lunghezza

del ramo più lungo della pianta (Bernoulli e Körner, 1999). I nostri dati confermano queste

osservazioni; inoltre non si è osservata una variazione nel numero di rami, che perciò si addensano

in un fusto più corto.

59

Page 61: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

5.3.7 Caratteristiche dell’apparato radicale

Gli effetti dell’altitudine sulle caratteristiche dell’apparato radicale sono coerenti con

esperimenti condotti in laboratorio. Si è osservato infatti che apparati radicali con poche radici, ma

molto lunghe, siano più efficienti nel raggiungere risorse mobili disperse in un ampio volume di

suolo (Dunbabin et al., 2004). Il suolo presenta una capacità termica maggiore dell’aria, ci si

attende una variazione più modesta della sua temperatura con l’altitudine. Esperimenti condotti in

condizioni controllate hanno evidenziato un chiaro legame tra temperatura del terreno e massa

dell’apparato radicale (Vapaavuori et al., 1992). Questo consente di spiegare come mai l’altitudine

non influenzi significativamente la frazione di massa investita nell’apparato radicale, dal momento

che la temperatura del suolo è un parametro meno influenzato dalla quota rispetto a quella dell’aria.

Il diverso comportamento osservato in L. decidua può essere frutto della necessità di adattarsi

ad ambienti estremi, quali i ghiaioni alle quote più elevate, che invece non sono utilizzati da

P. cembra.

5.3.8 Relazioni allometriche

Le relazioni allometriche sono un carattere conservativo nell’architettura delle piante, perciò

sono stati proposti modelli teorici per queste funzioni (West et al., 1999; Niklas, 1994). Solo

condizioni ambientali difficili alterano queste relazioni (Gilmore, 2001), e dalla loro analisi questo

può valutare se le differenze specifiche e l’altitudine siano in grado di influire sullo sviluppo di una

pianta in modo determinante. Le relazioni tra le variabili allometriche sono utilmente descrivibili

attraverso modelli lineari, più precisamente la funzione di potenza, facilitando il confronto delle

relazioni, espresse in questo modo, proposte da modelli teorici.

Le relazioni allometriche tra masse e diametri sono coerenti con le analisi precedentemente

fatte sugli incrementi in diametro, massa ed altezza della pianta, evidenziando che solo quest’ultimo

sia influenzato dall’altitudine. Le relazioni tra la massa destinata nei vari comparti sono coerenti

con quelli emersi analizzando la strategia di allocazione di biomassa al variare della quota, con

l’eccezione dell’apparato radicale e chioma. La specie influenza la relazione tra massa della chioma

e diametro del fusto, P. cembra presenta una maggior frazione di aghi e questo è giustificabile

poiché, a differenza di L. decidua, è una specie con aghi persistenti. Analizzando la massa di aghi

per unità di area basimetrica non si osservano differenze significative con la quota, perciò nei

diversi ambienti le piante raccolte non percepiscono una differenza significativa nell’aridità

ambientale (Gilmore et al., 1996; Johnson et al., 1985; Grieg e Waring, 1974). Anche la relazione

tra massa di chioma e area basimetrica è significativa (Johnson et al., 1985; Grieg e Waring, 1974;

Gilmore et al., 1996; DeLucia et al., 2000); ed anche questa funzione non è influenzata

60

Page 62: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

dall’altitudine, perciò l’aridità ambientale non cambia sensibilmente con la quota per le piante

analizzate. Infine in L. decidua si osserva una maggior massa investita nei rami a parità di diametro

del fusto; quest’osservazione è coerente con le osservazioni fatte sulle strategie di allocazione della

biomassa.

5.4 Conclusioni

Si è osservato che P. cembra e L. decidua presentano diverse esigenze ecologiche ed

ambientali, nella biologia e modalità di sviluppo, analogamente a quanto reperibile in bibliografia

(Del Favero et al., 1985; Tyree e Ewers, 1991; Niklas, 1995); nonostante ciò le strategie di

adattamento alle quote elevate sono molto simili.

Queste osservazioni possono suggerire quale, delle diverse ipotesi proposte, sia la più adatta

alla spiegazione del limite superiore del bosco nell’area oggetto di studio. Queste non sono

compatibili con l’ipotesi del deficit nel bilancio del carbonio (Smith et al., 2003) proposta come

spiegazione del limite superiore del bosco. Infatti questa prevede che sia una riduzione

nell’assimilazione a determinare la riduzione degli incrementi e le modifiche nelle relazioni

allometriche. Invece, in piante piccole, la riduzione degli incrementi in altezza e le modifiche nelle

relazioni allometriche non sono associate ad una significativa riduzione del carbonio netto

annualmente fissato. Inoltre, dall’analisi delle strategie di allocazione della biomassa con la quota,

si è osservato che piante al di sopra del limite superiore del bosco non investono una maggior

frazione di biomassa in strutture eterotrofe, come fusto, rami e radici. Perciò la formazione del

limite superiore del bosco non è determinata dai maggiori costi energetici che le piante d’alta quota

devono sopportare, per far fronte all’attività metabolica di una maggior massa eterotrofa; come

proposto da questa ipotesi.

Invece si è osservato che, al di sopra del limite del bosco, che l’altitudine influenza crescita

delle piante quanto più queste sono alte. Finché in alta quota gli alberi si trovano allo stadio di

semenzale non si osservano differenze significative, ad eccezione degli incrementi in altezza. Una

volta che la pianta raggiunge un’altezza tale da non poter più godere delle favorevoli condizioni

ambientali presenti a ridosso del suolo, l’effetto della quota interessa anche incrementi in diametro,

massa e le relazioni allometriche della pianta. Si può perciò ipotizzare che l’elevata capacità termica

del suolo garantisca una maggior temperatura alle piante piccole, mentre basse temperature o danni

da gelo limitano la crescita del getto apicale riducendo gli incrementi in altezza delle piante. Queste

conclusioni sono coerenti con l’ipotesi della limitazione dell’attività metabolica proposta spiegare le

dinamiche del limite superiore del bosco (Körner, 1998) a livello globale.

61

Page 63: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

“.. if Galileo were a biologist, he would have written a big fat tome on the details of how different objects fall at different rate.”

(Enquist, 2001) http://www.nature.com/NSU/010927/010927-12.html

6 Modello integrato dell’architettura idraulica, stabilità

meccanica e struttura della chioma applicato a piccole piante

di L. decidua Mill. e P. cembra L. in due siti a diversa quota.

La struttura di piccole piante di L. decidua e P. cembra è stata indagata utilizzando un

modello integrato che comprende architettura idraulica, stabilità meccanica e struttura della chioma.

Si basa su due assunti fondamentali: la massimizzazione delle superfici di scambio e

minimizzazione dei costi di traslocazione delle risorse. Questo modello descrive un albero

utilizzando una struttura frattale, e consente di dare un supporto teorico alle leggi empiriche che

relazionano diverse variabili allometriche, cioè masse e lunghezze. Uno dei punti chiave è

considerare il crescente diametro degli elementi di conduzione, che si osserva a partire dall’apice

del fusto fino all’estremità della radice. Infatti, il flusso di linfa può essere indipendente dal

percorso che deve compiere dalle radici alle foglie, se lungo lo stesso vi è un’adeguata variazione

della dimensione delle cellule di conduzione, in seguito detta rastremazione. Con l’applicazione di

questo modello si è voluto indagare come, le condizioni estreme degli ambienti d’alta quota,

possano influenzare lo sviluppo e l’architettura di piante di piccole dimensioni.

6.1 Materiali e metodi

6.1.1 Modelli di architettura delle piante

L’evoluzione delle piante terrestri è iniziata 420 milioni di anni fa, a partire da semplici

organismi acquatici. Le loro pareti non lignificate erano sufficientemente resistenti a tensione, tanto

da sopportare la pressione di turgore del vacuolo senza esplodere e consentirne la sopravvivenza in

acque dolci. La cellulosa, però, non è in grado di fornire un’adeguata resistenza a compressione e

flessione; perciò piante senza pareti lignificate non riuscirebbero a superare gli 0.5 m di altezza.

Durante i primi 300 milioni di anni di evoluzione le tracheidi furono le sole cellule delle piante

specializzate nel trasporto dell’acqua; in seguito un fenomeno di evoluzione divergente ha

determinato nelle Angiosperme (Fig. 35) lo sviluppo di cellule specializzate nel sostegno (fibre) e

nel trasporto dell’acqua (vasi).

62

Page 64: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 35 Differenti tipi di cellule del legno, esempio di punteggiatura nelle tracheidi di conifere e della ridondanza nei percorsi xilematici di trasporto dell’acqua (Tyree et al., 1994).

L’origine comune di queste ed altri tipi di cellule del legno, è testimoniata da studi che

evidenziano un simile processo di sviluppo ontogenetico (Kozela e Regan, 2003). L’evoluzione di

elementi xilematici di grandi dimensioni ha reso più efficiente il trasporto dell’acqua, ma nel

contempo ha aumentato il rischio di compromettere la funzionalità del sistema di conduzione.

Infatti nelle piante solo eccezionalmente il trasporto xilematico della linfa avviene sotto una

pressione positiva; è il caso di piante erbacee o legnose sottoposte a pressione radicale in primavera.

In pochissimi periodi dell’anno l’acqua giunge alla chioma grazie ad una pressione inferiore a

quella atmosferica creata dalla traspirazione fogliare, come previsto dalla teoria della tensione-

coesione (Zimmermann et al., 2004; Dixon, 1914). L’evaporazione dell’acqua dalle cellule del 63

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mesofillo fogliare fa sì che, l’interfaccia aria-acqua si ritiri nei pori presenti tra le microfibrille di

cellulosa della parete cellulare. In questi ultimi la tensione superficiale sottopone l’acqua presente

negli elementi di conduzione ad una pressione negativa; questa è fisicamente equivalente ad una

tensione, e viene trasmessa fino al suolo attraverso una colonna continua d’acqua (Lambers et al.,

1998; Percy et al., 1991). Il sistema di conduzione di una pianta va in contro a perdite di

funzionalità qualora venga meno la continuità della colonna d’acqua negli elementi di conduzione

(Pockman e Sperry, 2000). Questa modalità di trasporto xilematico è possibile grazie a peculiari

proprietà dell’acqua e delle cellule del legno. I legami ad idrogeno consentono all’acqua di rimanere

allo stato liquido, anche se sottoposta a tensioni considerevoli; inoltre, utilizzando l’equazione per il

computo della tensione superficiale in un capillare (Eq. 10), si può calcolare che per rimuovere

l’acqua da un condotto di 5 m di diametro è necessaria una pressione di 60 MPa (Adam et al.,

2004).

Eq. 10 Tensione superficiale dell’acqua in relazione al diametro del capillare ed alla tensione superficiale dell’acqua.

Quando viene superata la massima resistenza alla tensione dell’acqua di un capillare, o in

questi c’è la presenza di una bolla d’aria di dimensioni sufficienti, viene meno la continuità del

liquido e quindi la possibilità per il vaso di condurlo; questo fenomeno viene chiamato cavitazione.

Per ridurre questo rischio la strategia utilizzata dalle piante è contenere la lunghezza ed il diametro

degli elementi di conduzione e connettere questi attraverso delle punteggiature (Fig. 35). Queste

ultime sono aperture che, grazie alla loro limitata dimensione, determinano una tensione

superficiale nell’interfaccia aria-liquido così elevata da non permettere all’aria di passare

all’elemento di conduzione limitrofo. Nelle conifere inoltre vi è al centro della punteggiatura una

struttura chiamata toro che, in caso di cavitazione, viene aspirata andando ad ostruire l’apertura

(Lancashire e Ennos, 2002). Un altro modo per ridurre il rischio di cavitazione nelle cellule di

conduzione è creare un sistema ridondante (Fig. 35). Ciò significa che le cellule condividono pareti

e punteggiature con molte altre; in questo modo un danno, che in un sistema con percorsi paralleli e

tra loro isolati comprometterebbe completamente il trasporto dell’acqua, in uno ridondante

mantiene una frazione, seppur modesta, della funzionalità. Possiamo quindi concludere che le

caratteristiche del tessuto legnoso delle piante sono frutto del compromesso tra resistenza

meccanica, efficiente conduzione dell’acqua e rischio di cavitazione con conseguente perdita di

funzionalità del sistema di conduzione (Jordi et al., 2002; Pittermann e Sperry, 2003; Tyree et al.,

1994).

64

Page 66: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Sebbene sia disponibile una notevole quantità di dati anatomici e fisiologici nelle piante, non

vi è a tutt’oggi un modello unitario in grado di spiegare questi diversi fenomeni e le loro interazioni

(Shinozaki et al., 1964; Poudyal et al., 2004; Brodribb e Holbrook, 2004; McCulloh et al., 2003;

Falster e Westoby, 2003). Il primo modello complessivo dell’architettura della pianta fu il pipe

model (Shinozaki et al., 1964), che rappresentava le piante come un’insieme di tubi decorrenti

dall’estremità degli apici radicali fino alle foglie. Una delle sue principali conseguenze è la costanza

della proporzione tra massa della chioma e superficie conducente dei rami o del tronco. Inoltre,

utilizzando l’equazione di Hagen-Poiselle (Eq. 11) per descrivere il flusso di acqua dentro

l’elemento di conduzione, questi risulta proporzionale alla lunghezza del percorso compiuto; infatti

questa legge descrive il flusso idrico in un tubo come direttamente proporzionale alla quarta potenza

del diametro ed al gradiente di potenziale idrico, ed inversamente proporzionale alla viscosità della

stessa e della lunghezza del capillare.

Eq. 11 Legge di Hagen-Poiselle.

Perciò crescere in altezza per una pianta secondo questo modello significherebbe aumentare la

resistenza totale del sistema di conduzione; questa considerazione è alla base della hydraulic

limitation hypothesis (Mencuccini, 2002; Magagni et al., 2000) proposta per spiegare la crescita

ridotta delle piante vecchie o di grandi dimensioni. In queste ultime perciò l’incremento di

resistenza idraulica determina una minor disponibilità idrica nelle parti periferiche della chioma

(Delzon et al., 2004), una loro minor attività metabolica e una minor distensione di getti e foglie

(Koch et al., 2004; Zwieniecki et al., 2004; Woodruff et al., 2004; Comstock e Sperry, 2000).

In alternativa è stato proposto il modello WBE (West et al., 1999), che tiene conto

dell’incremento di diametro degli elementi di conduzione del legno osservato dalle parti periferiche

della chioma fino alla estremità dell’apparato radicale. Una sua peculiarità è quella di riuscire a

descrivere l’architettura della chioma, e del sistema legnoso di conduzione, partendo da pochi

principi generali:

1. Il volume di tutti gli elementi di conduzione nei diversi livelli di ramificazione è costante

(volume filling);

2. Le sollecitazioni biomeccaniche sono uniformi nelle varie parti di fusto e chioma;

3. La dimensione degli elementi di conduzione nei piccioli fogliari durante l’ontogenesi è

costante;

4. È minimizzata l’energia dell’acqua dissipata per attrito nel sistema di conduzione.

65

Page 67: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Il modello WBE descrive l’architettura idraulica di una pianta come una struttura ramificata,

composta da tubi di uguale lunghezza tra loro paralleli, decorrenti dall’estremità delle radici ai

piccioli delle foglie; insomma si tratta di file di vasi disposti in parallelo. Il diametro degli elementi

di conduzione è posto costante entro un livello di ramificazione, mentre varia passando in due

segmenti adiacenti, questa variazione è chiamata rastremazione. Per semplicità, quindi, non si è

considerata la variazione del diametro delle celle di conduzione entro un segmento, lo spessore e la

struttura delle pareti cellulari o le connessioni tra i diversi tubi. Tanto l’architettura idraulica della

pianta, quanto l’architettura della chioma, presentano una struttura simil frattale (Horn, 2000). Un

frattale geometrico è una figura le cui caratteristiche non sono influenzate dalla scala di

osservazione (Addinson, 1997); una struttura simil frattale presenta queste proprietà solo entro un

intervallo di scale di osservazione dell’oggetto (Fig. 36). Questo modello prevede che parti diverse

della chioma, anche se situate a diverse altezze dal suolo, dispongano di un’analoga disponibilità

idrica e attività metabolica, come osservato in alcuni studi (Thomas et al., 2002; Barnard e Ryan,

2003). Queste strutture, proposte per le Angiosperme, possono essere applicate con buona

approssimazione anche al caso delle conifere (Peter et al., 2003).

a)

b)

K=0 1 2 3 4 N

c)

Fig. 36 Organizzazione del sistema di conduzione (a) e del sistema di ramificazione (b) proposto per chioma e vasi. Infine un esempio di frattale geometrico (c; Brown et al., 2000).

Recentemente l’interesse della comunità scientifica attorno a questi temi è cresciuto,

(Mencuccini e Magnani, 2000; Kozlowski e Konarzewski, 2004) arrivando ad interessare la

divulgazione scientifica (Woodward, 2004; Zens e Webb, 2002; Spanoni, 2004) ed a proporne

risvolti applicativi (Tyree, 2003).

66

Page 68: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

6.1.1.1 Applicazione del modello WBE al fusto

Il modello WBE descrive la pianta come una struttura gerarchica ramificata che si sviluppa

dalla base del fusto (livello 0) fino al getto apicale (livello N); con k viene indicato un livello

arbitrario e con h l’altezza della pianta. Il diametro del ramo al livello k è indicato con r k, il

diametro medio degli elementi di condizione con ak e la loro area media con Ak, la lunghezza del

segmento arbitrario k della struttura come lk. La struttura della pianta è caratterizzata da tre

parametri (a, ā e n), che pongono in relazione le caratteristiche di una branca con le ramificazioni

figlie che da essa si dipartono:

1. rapporto tra il diametro dei rami, ;

2. rapporto tra il diametro degli elementi di conduzione, ;

3. rapporto tra la lunghezza dei segmenti .

Il tasso di ramificazione, indicato con n, è il numero di ramificazioni figlie che si dipartono da

una branca; questi è assunto pari a due, indipendentemente dal livello gerarchico k della

ramificazione. In altri lavori (West et al., 1997) si è osservato che, per mantenere costante il volume

degli elementi di conduzione nei diversi livelli gerarchici della struttura, bisogna che la relazione

sia indipendentemente da k, il livello gerarchico della ramificazione nella struttura. Di

seguito si evidenzierà che, qualora le sollecitazioni biomeccaniche siano uniformemente distribuite

nella pianta, e β ed a indipendenti da k, si ottiene una così una struttura ramificata simil frattale. Se,

inoltre, poniamo ā indipendente da k, otteniamo che la rastremazione del diametro degli elementi di

conduzione nella parte epigea della pianta è costante, consentendo di prevedere le variazioni di

diametro dei rami e degli elementi di conduzione lungo il fusto (Eq. 12).

Eq. 12 Equazioni allometriche del diametro dei vasi e struttura della chioma.

Solo in piante di grandi dimensioni (West et al., 1999) ā è indipendente da k, il livello

gerarchico della ramificazione, e tende al valore di 1/6 per mantenere la resistenza del sistema di

conduzione della pianta indipendente dalla lunghezza del percorso compiuto (Fig. 37).

67

Page 69: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

2

3

Rx

10(m

s)

tot

-15

-1-1

Lunghezza to ta le tubo (m )

0 .05

0 .1

0

0 .17

0 .30

3 02 01 00

1

Fig. 37 Relazione teorica tra resistenza totale (Rtot) di un fluido in un tubo in relazione alla sua lunghezza ed alla rastremazione del suo diametro (ā ;Becker et al., 2000).

Purtroppo in piante di piccole dimensioni la differenza dal valore di 1/6 può essere notevole

(West et al., 1997); la correzione può essere calcolata con la seguente equazione che tiene conto del

numero totale di livelli di ramificazione nella pianta (Eq. 13).

Eq. 13 Rastremazione di elementi di conduzione e fusto in relazione al numero di ramificazioni della pianta.

L’architettura idraulica delle piante può essere descritta anche attraverso il tapering (T;

Eq. 14), il rapporto tra il diametro degli elementi di conduzione ad una certa distanza dall’apice ed

il valore rilevato nel getto apicale.

Eq. 14 Tapering degli elementi di conduzione.

La relazione tra tapering e diametro del fusto è una funzione di potenza ottenibile a partire

dalle relazione proposte dal modello WBE (Eq. 15).

Eq. 15 Relazione tra diametro degli elementi di condizione e diametro del fusto.

Infatti se questa relazione viene applicata ad una singola pianta, può essere semplificata;

infatti i valori di aN e rN sono costanti, in quanto riferiti al getto apicale della stessa (Eq. 16).

68

Page 70: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Eq. 16 Relazione tra tapering e diametro del fusto.

La rastremazione del fusto (α) è l’esponente della relazione tra il diametro dello stesso e la

distanza dall’apice, e può essere inclusa nella relazione precedente. Per fare ciò viene proposta dal

modello una relazione tra α e a, che consente al modello di rispettare la legge di Leonardo; questa

prevede che (Oppelt et al., 2001) l’area basimetrica di una branca sia pari alla somma di quella delle

ramificazioni figlie che da essa si dipartono (Eq. 17).

Eq. 17 Relazione tra tapering e altezza della pianta.

In una pianta adulta il valore di ā tende ad 1/6, perciò è possibile semplificare la precedente

relazione ottenendo una funzione di potenza (Eq. 18).

Eq. 18 Relazione tra tapering ed altezza della pianta.

Purtroppo non tutte le assunzioni alla base di questo modello possono trovare un facile

riscontro sperimentale, specialmente quelle che consentono di stimare il valore di ā; la sua

quantificazione può passare essere fatta attraverso due diverse rielaborazioni delle precedenti

equazioni (Eq. 19). Un primo metodo si basa sul valore di ET, un secondo sia sull’esponente della

relazione tra diametro del fusto quello degli elementi di conduzione (p) che sull’esponente (α) della

funzione di potenza tra diametro del fusto e distanza dall’apice. Quest’ultima relazione presuppone

che l’architettura della pianta sia influenzata dalle sue dimensioni, e non dalla sua età, mentre lavori

sperimentali evidenziano l’importanza di quest’ultima (Corcuera et al., 2004).

69

Page 71: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Eq. 19 Due diversi metodi per la stima di ā.

Queste due procedure sono simili è forniscono sempre la stessa stima di ā; si tratta perciò di

un unico metodo per la stima di questo parametro che si basa su presupposti teorici non sempre

verificati e verificabili (8.2 Diversi metodi di analisi dell’architettura di chioma e sistema di

conduzione degli alberi, pag. 100).

Dall’analisi del modello WBE possono essere ottenuto numerose relazioni e metodi per

valutare la bontà dell’adattamento a dati reali (Becker e Gribben, 2001); una è una stima del numero

di ramificazioni (N) presenti un una pianta basata su diametro del fusto e distanza dall’apice

(Eq. 20).

Eq. 20 Numero di ramificazioni stimato a partire da diametro del fusto e distanza dall’apice.

È possibile stimare N anche a partire dal diametro degli elementi di conduzione, con un valore

di ā corretto per tener conto della piccola dimensione delle piante (Eq. 13), attraverso la seguente

relazione (Eq. 21).

Eq. 21 Stima del numero di ramificazioni basata sul diametro degli elementi di conduzione.

Confrontando queste due diverse stime del numero di ramificazioni della pianta (N), è

possibile valutare, nelle piante analizzate, il grado di similitudine tra il modello utilizzato per

descrivere il fusto e quello proposto per il sistema di conduzione. Inoltre si può verificare se

l’esponente della relazione tra diametro degli elementi di conduzione e del fusto (p), sia analogo al

valore corretto di āN utilizzato nell’espressione precedente (Enquist, 2002).

Una volta verificato l’adattamento tra modello e dati reali, è possibile ricostruire lo schema

dell’architettura della chioma. Per fare ciò è necessario conoscere la lunghezza dell’ultimo livello di

ramificazione, quello più lontano dalla base del fusto (lN) per poi ricostruire le lunghezze di tutti gli

70

Page 72: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

altri livelli, il diametro del fusto e degli elementi di conduzione attraverso le seguenti espressioni

(Eq. 22).

Eq. 22 Stima della lunghezza dell’elemento apicale del fusto e di altri parametri descrittivi del modello frattale costruito.

Partendo da questi parametri è possibile stimare il volume della parte epigea della pianta (Vs;

Eq. 23) sommando il volume delle varie ramificazioni schematizzate con un cilindro di cui è nota la

lunghezza (lk) e diametro (dk).

Eq. 23 Stima del volume della parte epigea.

Una possibile ulteriore verifica del modello è il confronto tra il volume stimato della parte

epigea e la massa rilevata della stessa; posta costante la densità del legno nei diversi campioni.

6.1.1.2 Ipotesi di modello frattale per l’apparato radicale

Un modello, analogo al precedente, è stato sviluppato per descrivere la struttura dell’apparato

radicale. Generalmente nell’apparato radicale, passando dal colletto della pianta all’estremità delle

radici, si osserva una riduzione del diametro delle radici stesse ed un aumento del diametro degli

elementi di conduzione che le compongono. Queste considerazioni sono opposte a quelle utilizzate

per descrivere la struttura della parte epigea, e su di esse sono stati proposti modelli descrittivi

dell’apparato radicale basati sulla topologia (Oppelt et al., 2001) o strutture frattali (Eshel, 1998;

Brown et al., 1997; Brown e Kulasiri, 1994).

Per garantire l’equilibrio nell’architettura idraulica dell’apparato radicale, è stata proposta una

struttura frattale in cui la riduzione nel diametro delle radici all’avvicinarsi dei loro apici è

compensata dal loro numero crescente. Si è ipotizzato che la buona regressione osservata tra

diametro degli elementi di conduzione e distanza dall’apice, si mantenga nell’apparato radicale. Da

questa relazione si è estrapolata la stima del diametro della radice equivalente, ossia con superficie

conducente pari alla somma di quella presente nelle radichette presenti ad un dato livello gerarchico

del sistema radicale. A questo punto è possibile stimare il numero di radichette presenti ad un dato

livello gerarchico dell’apparato radicale (nN) dividendo il diametro della radice equivalente (re) per

quello osservato della radice reale (ro). Ponendo pari a due, in analogia alla struttura del fusto, il

71

Page 73: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

numero di radici presenti ad ogni ramificazione (n) possiamo stimare il numero di livelli di

ramificazione dell’apparato radicale (N) al variare della distanza dal colletto della pianta (Eq. 12).

Eq. 24 Stima dei livelli di ramificazione dell’apparato radicale ottenuta da rapporto tra il diametro della radice equivalente e quello della radice osservata.

Si è perciò descritto l’apparato radicale come un sistema ramificato, che dal colletto della

pianta (livello 0) arriva fino agli apici radicali (livelli N), in analogia a quanto proposto per la parte

epigea. Posto che vi sia una relazione lineare tra distanza dal colletto della pianta e livello di

ramificazione, è possibile calcolare la distanza dal colletto di un dato livello di ramificazione (k). Si

è inoltre stimato ad ogni livello di ramificazione, con relazioni analoghe a quelle proposte per il

fusto, il diametro della radice e il diametro dell’elemento di conduzione. Il modello prevede per

queste due variabili una correlazione negativa, inoltre ipotizza una rastremazione degli elementi di

condizione con la distanza dal colletto inferiore a quella osservata nel fusto (Eq. 25).

Eq. 25 Equazioni utilizzate per la stima della lunghezza complessiva di tutte le radici e della superficie dell’apparato radicale.

Una prima verifica di questo modello è confrontare diametri attesi ed osservati dei radici ed

elementi di conduzione. Inoltre conosciamo lunghezza, numero e diametro dei vari segmenti che

compongo il sistema radicale; perciò è possibile stimarne il volume con una procedura analoga a

quella proposta per la parte epigea (Eq. 26).

Eq. 26 Equazione utilizzata per la stima del volume dell’apparato radicale.

Questo dato può essere poi confrontato con la massa dell’apparato radicale, per un’ulteriore

verifica del modello proposto.

6.1.2 Siti d’indagine

Lo studio è stato condotto su sette piante di L. decidua e quattro di P. cembra raccolte a 1.500

m e 2.200 m di altitudine. I siti sono gli stessi descritti nel capitolo dedicato ai rilevamenti

allometrici (5.1.1 - Area di studio, pag. 39). Le piante selezionate per le analisi anatomiche del

72

Page 74: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

legno sono tra le più alte tra quelle utilizzate per i rilevamenti allometrici. Per quanto possibile si

sono scelti campioni con fusti privi di irregolarità e danni, in modo da confrontare piante tra le più

vigorose di ogni sito.

6.1.3 Preparazione dei campioni e misure

Le modalità di rilievo dei parametri allometrici, cioè masse, altezze e diametri delle piante,

sono descritte nel capitolo precedente; le osservazioni anatomiche sono state condotte lungo fusto

ed apparato radicale su campioni di legno dell’ultimo anello annuale d’incremento per

caratterizzarne la conducibilità idraulica, si è rilevata inoltre per ogni sito di campionamento la

distanza dall’apice (cm) ed il diametro di fusto e radice (cm). Per studiare il variare delle

caratteristiche idrauliche degli apici della pianta durante il suo sviluppo, si sono analizzati campioni

del primo anello di crescita annuale in rotelle raccolte a diverse distanze dall’apice. La datazione dei

campioni, basata sugli anelli annuali d’incremento, ha consentito di studiare gli incrementi annui in

altezza ed il loro andamento con l’età della pianta. Infine alla base del fusto sono stati analizzati

campioni prelevati in ogni anello annuale d’incremento, questo ci ha consentito di analizzare la

relazione esistente tra del diametro degli elementi di conduzione ed età della pianta.

I campioni sono cubetti di legni di qualche millimetro di lato, raccolti in aree prive di evidenti

alterazioni anatomiche e con intermedio spessore dell’anello annuale d’incremento; questi sono stati

posti in scatole per le analisi istologiche e quindi inclusi in paraffina. Quest’ultimo passaggio è stato

fatto da un processatore automatico, si tratta di un macchinario che sposta i campioni in diverse

soluzione per disidratarli e poi impregnarli di paraffina (Tab. 7; Fig. 72).

Soluzione Concentrazione (%) Tempo (min)Alcol denaturato 70 120Alcol denaturato 70 120Alcol denaturato 90 90Alcol denaturato 90 90Alcol denaturato 95 90Alcol denaturato 100 90Alcol denaturato 100 90

D-limonene 100 90 D-limonene 100 90 D-limonene 100 90

Paraffina a 65 C° 120 Paraffina a 65 C° 120

Tab. 7 Differenti soluzioni usate nel processo di inclusione.

Sono state prelevate dai campioni, con un microtomo rotativo (Fig. 73), delle sezioni spesse

10-15 m poste subito in acqua a 50°C per favorirne la distensione. Da queste, una volta poste su

sul vetrino, è stata fatta evaporare la paraffina riscaldandole in forno a 70°C. Poi, per evidenziale la

lignina, le sezioni sono state colorate con l’immersione nelle seguenti soluzioni (Tab. 8).

73

Page 75: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Soluzione Tempo (min)Alcol etilico 20D-limonene 20Safranina 10

Acqua 10Acqua 10

Tab. 8 Soluzioni utilizzate nella colorazione delle sezioni.

Infine le sezioni sono state fissate con Eukitt® e coperte con coprioggetto. I vetrini sono stati

quindi osservati ad un microscopio, associato ad una camera a 250 ingrandimenti, e le immagini

analizzate con WincellTM (Fig. 74), un programma che misura automaticamente dimensioni ed area

delle cellule.

6.1.4 Analisi statistiche

Per caratterizzare la conducibilità idraulica di un campione di legno, comunemente viene

utilizzata utilizza la media idraulica dei diametri degli elementi di conduzione. Per evitare di

comprendere in questo parametro cellule sezionate presso le estremità, e perciò poco

rappresentative della permeabilità dell’elemento di conduzione, la media viene calcolata solo sulle

cellule con diametro maggiore alla metà di quello della più grande cellula trovata nel campione

(Shelley et al., 2003; Mencuccini et al., 1995). La media idraulica (ah) da noi utilizzata è il rapporto

tra la somma dei diametri delle cellule elevati alla quinta e la somma degli stessi elevati alla quarta

potenza (Eq. 27).

Eq. 27 Media idraulica.

Questo indice presenta il vantaggio di dare un maggior peso alle cellule più grandi, quelle più

importanti nel determinare la conducibilità idraulica del legno. Il principale limite, della media

idraulica così calcolata, è di non poter essere associata ad un valore di dispersione, come la

deviazione standard. Per ovviare a questo è si è calcolato per ogni elemento di conduzione il

diametro idraulico (ahi; Eq. 28). La media di questo parametro è pari alla media idraulica; inoltre è

possibile utilizzarlo per calcolare indici di dispersione e test statistici di confronto tra le medie.

74

Page 76: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Eq. 28 Diametro idraulico degli elementi di conduzione.

La distribuzione di frequenza del diametro idraulico è generalmente diversa da una

distribuzione normale, perciò il confronto statistico può essere fatto previa trasformazione

logaritmica dei dati, o utilizzando tecniche statistiche non parametriche come il test U di Mann

Whitney o il test Z.

Le regressioni lineari sono state calcolate utilizzando la procedura RMA (reduced major axis)

di modello II, e la migliore aggregazione dei dati è stata determinata attraverso la tecnica

dell’ANCOVA (Analisi della covarianza) descritti nel precedente capitolo (5.1.4 Analisi statistiche,

pag. 42).

Per quanto riguarda la relazione tra diametro idraulico degli elementi di conduzione, altezza,

diametro ed età della pianta in una prima fase si è ricorsi ad una funzione esponenziale, in modo da

valutare attraverso l’analisi della covarianza (ANCOVA) il miglior modo di aggregare i dati, se per

specie o altitudine. In una seconda fase questi dati sono stati interpolati attraverso una curva di

crescita ad andamento sigmoidale, la funzione di Gompertz.

6.2 Risultati

6.2.1 Applicazione del modello WBE al fusto

Il modello WBE prevede una similitudine tra le strutture frattali utilizzate per descrivere

l’architettura della chioma e del sistema di conduzione di una pianta. Una verifica, basata

sull’analisi della relazione tra diametro degli elementi di conduzione e distanza dall’apice, ha avuto

esito positivo (F(1,107)=112.86; p<0.01); la specie influenza sia l’intercetta della regressione

(Fig. 38a, F(1,107)=6.67; p<0.05) che l’esponente (F(1,107)=6.57; p<0.05). Anche la relazione tra

diametro del fusto e distanza dall’apice è significativa (F(1,108)=530.96; p<0.01); l’altitudine

influenza l’esponente (F(1,108)=66.54; p<0.01), e la specie l’intercetta (Fig. 38b, F(1,108)=22.20;

p<0.01). Per testare l’assunto di similarità delle strutture frattali, si è infine verificato se la

dimensione degli elementi di condizione aumenta con il diametro del ramo o fusto. Questa

75

Page 77: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

relazione, descritta dal modello come funzione di potenza, è significativa (F(1,108)=103.36;

p<0.01) e, come atteso, presenta un’esponente significativamente maggiore del valore di 1/6,

influenzato da specie e altitudine (Fig. 38c).

a) D iametro d ei v as i e d is tan za d al l 'ap ice

D is tan za d al l 'ap ice (cm)

Dia

met

ro t

rach

eidi

(m

)

8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

200

300

6

7

8

9

1 0

111 21 31 41 51 61 71 81 92 02 12 22 32 42 5

b ) D iametro d el fu s to e d is tan za d al l 'ap ice

D is tan za d al l 'ap ice (cm)

Dia

met

ro d

el fu

sto

(cm

)

8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

200

300

0 .2

0 .3

0 .40 .50 .60 .70 .80 .91 .0

2 .0

3 .0

4 .05 .06 .07 .08 .09 .01 0 .0

c ) D ia m e t r o d i v a s i e d e l f u s t o

D ia m e t r o f u s t o ( c m )

Dia

met

ro t

rach

eidi

(m

)

0 . 51 . 0

1 . 52 . 0

2 . 53 . 0

3 . 54 . 0

4 . 55 . 0

5 . 56 . 0

6

7

8

91 01 11 21 31 41 51 61 71 81 92 02 12 2

L. decid ua R M A =0 .2 4 ±0 .0 2P . cem bra R M A =0 .3 8 ±0 .0 2

1 5 0 0 R M A =0 .8 7 ±0 .0 72 2 0 0 R M A =1 .1 7 ±0 .0 4

1 5 0 0 R M A = 0 . 3 7 ± 0 . 0 3

2 2 0 0 R M A = 0 . 2 6 ± 0 . 0 3

Fig. 38 Verifica di alcuni assunti alla base del modello WBE: relazione tra diametro degli elementi di conduzione e distanza dall’apice (a), tra diametro del fusto e distanza dall’apice (b) e tra diametro dell’elemento di conduzione e diametro del fusto (c).

Un altro modo per valutare l’adattamento tra dati sperimentali e modello WBE è analizzare la

relazione tra tapering (T) e distanza dall’apice. Ancora una volta si tratta di una funzione di

potenza, l’esponente ottenuto è significativamente diverso dal valore di quattro proposto dal

modello (Fig. 39a; F(1,97)=98.82; p<0.01; 5.12±0.42 vs. 4); inoltre questi non è influenzato dalla

specie o dall’altitudine. È possibile inoltre stimare il numero di livelli di ramificazione della chioma

(Nb) e del sistema di conduzione della pianta (Nv). In questo modo è possibile valutare se è

verificato l’insieme degli assunti alla base del modello, o non è inficiato a tal punto da

compromettere l’affidabilità dei risultati (Fig. 39b). La regressione è significativa (F(1,94)=303.02;

76

Page 78: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

p<0.01), ma rispettivamente a bassa ed alta quota si è osservata una sovrastima ed una sottostima

del numero di ramificazioni basato sull’architettura della pianta.

a) Distanza dall'apice e tapering

0.80.9

1.01.1

1.21.3

1.41.5

1.61.7

1.81.9

2.02.1

Tapering (T)

1

2

3

456789

10

20

30

405060708090

100

200

300

400D

ista

nza

dall

'api

ce (c

m)

b) Numero di ramificazioni

Numero di ramificazioni basato sulla struttura della chioma(Nb)

Num

ero

di ra

mif

icaz

ioni

bas

ato

sul s

iste

ma

di c

ondu

zion

e (N

v)

-1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9-4

-2

0

2

4

6

8

10

15002200

RMA =5.12±0.42

1500 RMA =1.13±0.08

2200 RMA =0.74±0.06

Fig. 39 Verifica di alcuni assunti del modello WBE: relazione tra tapering e distanza dall’apice (a) e relazione tra numero di livelli di ramificazione stimato dai caratteri della chioma (Nb) e del sistema di conduzione (Nv; b).

Si è osservato un diametro idraulico inferiore in piante di alta quota lungo il fusto (all’apice

(Z(695,1180)=3.76; p<0.01), a 20 cm dall’apice (Z(585,2087)=7.84; p<0.01), a 40 cm dall’apice

(Z(784,873)=5.22; p<0.01), e in L. decidua piuttosto che in P. cembra (Fig. 40; Z(4374,

1830)=7.41; p<0.01).

A lt i t u d in e Sp e c ie

Med

ia id

raul

ica

(m

)

A p ic e d e l f u s to

9

1 0

1 1

1 2

1 3

1 4

L. d e c id u a P . c e m b ra9

1 0

1 1

1 2

1 3

1 4

2 0 c m d a ll'a p ic e

9

1 0

1 1

1 2

1 3

1 4

4 0 c m d a ll'a p ic e

1 5 0 0 2 2 0 09

1 01 11 21 31 4

M e d ia M e d ia ± 0 .9 5 I .C .

Fig. 40 Diametro idraulico degli elementi di conduzione a diverse distanze dall’apice e nelle due specie.

77

Page 79: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

I parametri precedentemente analizzati riguardano tutti i campioni raccolti nelle varie piante;

però vi sono altri indici riferibili esclusivamente al singolo albero, la loro analisi è più difficile a

causa del numero ridotto di piante analizzate (Tab. 9).

Sp

ecie

Alt

itu

din

e (m

)

Nu

mer

o d

i ram

ific

azio

ni

stim

ato

dal

la s

tru

ttu

ra d

ella

ch

iom

a (N

b)

Nu

mer

o d

i ram

ific

azio

ni

stim

ato

dal

sis

tem

a d

i co

nd

uzi

one

(Nv)

Lu

ngh

ezza

del

pri

mo

live

llo

di

ram

ific

azio

ne(

cm)

Vol

um

e (c

m3 )

Mas

sa (

g)

T ET α a

Sti

ma

diā

(ā N

)

Sti

ma

di ā

(ā T

)

Sti

ma

di ā

(ā p

)

L. decidua 1500 4.79 2.41 21.70 111 321 1.30 5.62±1.14 1.72 0.31 0.32 0.12 0.12(0.10-0.15)L. decidua 1500 5.58 4.43 14.63 1191 488 1.57 7.98±0.75 1.36 0.17 0.30 0.08 0.08(0.08-0.09)L. decidua 1500 5.86 4.16 12.67 956 710 1.52 8.09±2.52 1.24 0.15 0.29 0.08 0.08(0.06-0.12)L. decidua 2200 5.36 2.89 8.76 94 321 1.35 4.51±1.12 1.03 0.23 0.30 0.15 0.15(0.12-0.20)L. decidua 2200 3.61 1.69 12.67 21 752 1.24 7.89±3.01 1.11 0.14 0.37 0.08 0.08(0.06-0.14)L. decidua 2200 8.12 5.08 6.17 551 674 1.57 6.26±2.83 0.85 0.14 0.26 0.11 0.11(0.07-0.19)L. decidua 2200 7.27 6.42 4.34 8319 225 1.81 3.87±1.63 1.03 0.27 0.27 0.17 0.17(0.12-0.30)P. cembra 1500 3.94 3.51 22.13 2126 993 1.53 3.55±0.87 1.49 0.42 0.35 0.19 0.19(0.15-0.25)P. cembra 1500 5.29 5.64 18.66 59954 2658 1.81 4.49±1.52 0.93 0.21 0.30 0.15 0.15(0.11-0.22)P. cembra 2200 2.79 2.81 9.51 276 324 1.46 6.67±2.5 2.36 0.35 0.42 0.10 0.10(0.07-0.16)P. cembra 2200 3.73 4.26 4.93 2251 684 1.70 2.09±0.52 1.06 0.51 0.36 0.32 0.32(0.25-0.42)

Tab. 9 Principali indici riferibili alle singole piante.

Non si sono osservate sensibili differenze nei precedenti parametri al variare di specie o

quota; invece c’è un discreto accordo tra i due diversi metodi di stima del numero di ramificazioni,

e piante d’alta quota presentano una lunghezza del primo livello di ramificazione significativamente

inferiore rispetto a quelle di bassa quota (Fig. 41; Z(5,6)=2.73; p<0.01). Infine vi è un buon accordo

tra volume stimato della parte epigea e massa rilevata, per lo meno per quanto riguarda l’ordine di

grandezza (Fig. 41; t(5)=6.72; p<0.01; R2=0.94).

78

Page 80: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

1 5 0 0 2 2 0 0

A ltitu d in e

2

4

6

8

1 0

1 2

1 4

1 6

1 8

2 0

2 2

2 4

Lun

ghez

za d

el p

rim

o liv

ello

di r

amif

icaz

ione

(cm

)

V o lu m e p a r ta e p ig e a ( c m 3 )

Mas

sa d

ella

pia

nta

(g)

5 0 5 0 0 5 0 0 0 5 0 0 0 0

5 0 0

1 0 0 0

1 5 0 0

2 0 0 0

2 5 0 0

3 0 0 0

3 5 0 0

4 0 0 0

M e d ia M e d ia ± 0 .9 5 I .C .

1 5 0 02 2 0 0

Fig. 41 La lunghezza del primo livello di ramificazione e relazione tra massa rilevata della pianta e volume stimato.

Per quanto riguarda quest’ultima relazione, l’adattamento è buono solo nelle piante di bassa

quota; piante di alta quota presentano un’elevata dispersione nei dati. C’è una coerenza tra i diversi

metodi di stima di ā basati sulle regressioni (Eq. 19; 8.2-Diversi metodi di analisi dell’architettura di

chioma e sistema di conduzione degli alberi, pag. 100), ma la differenza è sensibile rispetto al

valore ottenuto dall’analisi dei livelli di ramificazione della pianta (Eq. 13).

6.2.2 Ipotesi di modello frattale per l’apparato radicale

Analizzando le variazioni, del diametro delle radici e degli elementi di conduzione, lungo il

percorso che va dall’apice della pianta all’estremità delle radici, possiamo osservare sia analogie

che differenze rispetto alla parte epigea (Fig. 42).

79

Page 81: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

8

10

12

14

16

18

20

22

24

Dia

met

ro v

asi (

m

)

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500

Distanza dall'apice della pianta (cm)

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

Dia

met

ro (c

m)

RadiceFusto

RadiceFusto

Fig. 42 Diametro del fusto, diametro della radice e degli elementi di conduzione dal getto apicale della pianta all’estremità delle radici nella pianta n° 30 di P. cembra

Il diametro degli elementi di conduzione presenta un andamento abbastanza omogeneo

dall’apice della pianta fino all’estremità della radice (Fig. 43; t(85)=14.99; p<0.01; R2=0.73).

45

67

89

1020

3040

5060

7080

90100

200300

400500

600700

800

Distanza dall'apice (cm)

6

8

10

12

14

16

182022242628

Dia

met

ro d

ei v

asi (

m)

Fusto

4 5 6 7 8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

200

300

Distanza dall'apice (cm)

0.5

1.0

1.52.02.53.03.54.04.55.05.56.0

Dia

met

ro f

usto

(cm

)

Radici

100200

300400

500600

700

Distanza dall'apice (cm)

0.5

1.0

1.52.02.53.03.54.04.55.05.56.0

Dia

met

ro r

adic

i (cm

)

Fig. 43 Il diametro degli elementi di conduzione, del fusto e della radice e distanza dall’apice della pianta.

80

Page 82: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

La distanza dall’apice della pianta è correlata positivamente con il diametro del fusto

(t(27)=4.73; p<0.01; R2=0.47), e negativamente con il diametro della radice (t(58)=3.40; p<0.01;

R2=0.17), ma questa relazione è meno predittiva. Analogamente, solo nel fusto vi è una correlazione

positiva tra il suo diametro e quello degli elementi di conduzione (Fig. 44, t(27)=3.68; p<0.01;

R2=0.35)

F u s to

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

4.5

5.0

5.5

6.0

D iametro d el fu s to (cm)

6

8

1 0

1 2

1 4

1 6

1 8

2 0

2 2

2 4

Dia

met

ro v

asi

(m

)

R ad ici

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

4.5

5.0

5.5

6.0

D iametro rad ici (cm)

6

8

1 0

1 2

1 4

1 6

1 8

2 0

2 2

2 4

Dia

met

ro v

asi

(m

)

Fig. 44 Regressione tra distanza dall’apice e diametro degli elementi di conduzione e diametro del fusto.

La regressione tra diametro delle radici e diametro degli elementi di conduzione non è

significativa (t(58)=0.39; p>0.05; R2=0.01) perciò si può concludere che le dimensioni di questi

ultimi è legata più alla lunghezza del percorso che l’acqua deve compiere che alla dimensione della

radice. Si può quindi ipotizzare che le strutture simil frattali del sistema di conduzione e

dell’architettura dell’apparato radicale, presentino un grado di similarità inferiore a quello osservato

nella parte epigea. Probabilmente sono pochi gli assunti in comune, tra sistema di conduzione della

pianta e architettura dell’apparato radicale, che determinano l’analogo sviluppo e crescita di queste

due strutture.

L’adattamento del modello proposto per descrivere l’apparato radicale ai dati reali può essere

testato confrontando i dati osservati ed attesi di diametro della radice e degli elementi di

conduzione; analizzando queste variabili si sono sempre ottenute delle regressioni predittive e

significative (diametro radice F(1,54)=280.68; p<0.01, diametro tracheidi t(58)=7.63; p<0.01;

R2=0.51) all’interno di ciascun gruppo altitudinale (diametro radice F(1,54)=67.42; p<0.01). Si è

osservato che le piante di alta quota presentano, rispetto a quelle di bassa quota, radici con un

diametro superiore, e questo risultato è coerente con quanto osservato nella parte epigea (Fig. 45).

81

Page 83: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Diametro della radice misurato e osservato

Diametro delle radici stimato (cm)

Dia

met

ro d

elle

rad

ici m

isur

ato(

cm)

0 1 2 3 4 5 6 7 80.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

1.6

1.8

2.0

2.2

2.4

2.6

Diametro dei vasi osservato e misurato

14 16 18 20 22 24 26 28 30

Diametro dei vasi stimato ( m)

12

14

16

18

20

22

24

26

Dia

met

ro d

ei v

asi m

isur

ato

(m

)

Confronto tra massa e volume dell'apparato radicale

500 5000 50000 500000 5000000 50000000

Volume stimato (cm 3 )

8090100

200

300

4005006007008009001000

2000

3000

Mas

sa r

ileva

ta (

g)

15002200

Parte epigea Parte ipogea

Fig. 45 La regressione tra misure osservate ed attese del diametro della radice, degli elementi di conduzione e tra massa rilevata dell’apparato radicale e volume stimato dal modello.

Anche la relazione tra massa rilevata e volume stimato della parte epigea ed ipogea è

significativa (t(10)=2.55; p<0.05; R2=0.45), per lo meno a livello di ordine di grandezza, nonostante

la ridotta numerosità campionaria.

Un parametro descrittivo dell’apparato radicale è il numero di ramificazioni, parametro

analogo a quello stimabile per la parte ipogea, che rappresenta la complessità di questo comparto;

questa risulta essere superiore nelle piante d’alta quota (Tab. 10).

Campione Altitudine Numero di ramificazioni

(Nb)

Volume apparato

radicale (cm3)

Massa apparato

radicale (g)

Superficie apparato

radicale (cm2)

Lunghezza totale

apparato radicale (cm)

T

2 1500 3.77 1365.19 295.74 1550.84 586.59 2.2547 1500 2.54 79525.52 585.60 7860.32 1152.38 3.3126 2200 5.45 1169.53 98.25 3777.05 3533.27 2.4230 2200 5.09 10263.31 211.70 9022.18 4983.92 3.3322 2200 5.15 1694.52 214.62 4080.62 2128.91 3.36

Tab. 10 Principali caratteri descrittivi degli apparati radicali di P. cembra.

Ad eccezione che per la sua lunghezza, l’apparato radicale non presenta con la quota sensibili

differenze per sviluppo e crescita.

82

Page 84: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

6.2.3 Dimensione dei vasi nel getto apicale e sviluppo della pianta

Uno degli assunti del modello WBE è la costanza della dimensione degli elementi di

conduzione nel picciolo fogliare durante l’ontogenesi; quest’ultimo è un dato non disponibile nei

nostri campioni, si è perciò analizzata la dimensione degli elementi di conduzione nel getto apicale

del fusto.

L. decidua presenta dimensione degli elementi di conduzione nel getto apicale indipendente

dallo sviluppo della pianta; diversamente in P. cembra si è osservato un diametro idraulico degli

elementi di conduzione maggiore nelle piante piccole, inoltre l’altitudine non influenza questa

relazione (Fig. 46; t(27)=8.33; p<0.01; R2=0.74).

Distanza dall'apice (cm)

Dia

met

ro v

asi (

m)

L. decidua

4 5 6 7 8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

200

300

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19202122

P. cembra

4 5 6 7 8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

200

300

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19202122

Fig. 46 Diametro idraulico degli apici prodotti dalla pianta negli anni passati in relazione alla distanza dall’apice nelle due specie.

6.2.4 Diametro degli elementi di conduzione alla base del fusto e sviluppo

della pianta

Il modello WBE si bassa sulla proporzionalità tra diametro degli elementi di conduzione,

diametro del fusto e altezza della pianta; se è noto che queste ultime due variabili presentano una

curva di crescita sigmoidale con l’età (Causton e Venus, 1981), d’altra parte pochi sono i dati

83

Page 85: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

disponibili relativi alla misura degli elementi di conduzione (Zimmerman, 1983). Si sono analizzate

le relazioni tra queste tre variabili e l’età della pianta, e l’effetto di specie ed altitudine (Fig. 47).

Età (a)

Dia

met

ro v

asi (

m)

1500

0 10 20 30 40 50 60 70 802

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2200

0 10 20 30 40 50 60 70 80

6

8

10

12

14

16

18

20

P. cembra L. decidua

y=(19.28)*exp(-exp((0.01)-(0.04)*x))

P. cembraL. decidua

y=(10.43)*exp(-exp((-0.02)-(0.09)*x))

Fig. 47 Relazione tra diametro idraulico degli elementi di conduzione ed età della pianta descritta con una funzione di Gompertz.

La relazione tra diametro idraulico degli elementi di conduzione ed età della pianta è stata

descritta con una funzione esponenziale, in modo da valutare attraverso l’ANCOVA il miglior

modo di aggregare i dati, cioè se per specie o altitudine. La relazione è risultata significativa

(F(1,201)=197.04; p<0.01), e l’esponente è influenzato dalla altitudine (F(1,201)=285.15; p<0.01).

In una seconda fase i dati, raggruppati per altitudine, sono stati interpolati con una funzione di

Gompertz, che ha spiegato il 66 % della varianza a 1.500, e il 44 % a 2.200. L’asintoto della

funzione di Gompertz a 1.500 m è doppio di quello a 2.200 m (19.28 vs. 10.43); il punto di flesso si

trova a 28 anni a 1.500 m, infine a 2.200 gli incrementi annui del diametro degli elementi di

conduzione sono sempre decrescenti con l’età della pianta.

La sottopopolazione di piante di cui è stata analizzata l’anatomia del legno presentano

incrementi in altezza analoghi, o lievemente superiori in alta quota (Z(50,34)=3.48; p<0.01),

rispetto alla popolazione utilizzata per lo studio delle relazioni allometriche; perciò è possibile

estendere i risultati ottenuti nelle undici piante sottoposte ad indagini istologiche al resto della

popolazione (Fig. 48).

84

Page 86: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

A lt i t u d in e

Incr

emen

ti a

nnua

li in

alt

ezza

(cm

/a)

1 5 0 0

R il ie v i a n a to m ia d e l le g n oR il ie v i a l lo m e tr ic i

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

2 2 0 0

R il ie v i a n a to m ia d e l le g n oR il ie v i a l lo m e tr ic i

M e d ia M e d ia ± 0 . 9 5 I . C .

Fig. 48 Gli incrementi in altezza delle piante in cui è stata analizzata l’anatomia del legno rispetto a quelle quelli delle piante destinate ai soli rilevamenti allometrici alle due diverse quote.

Si sono confrontate le funzioni precedenti con quelle che descrivono altezza ed età calcolate

per le piante sottoposte ai rilevamenti allometrici (Fig. 49).

Età (a)

Dia

met

ro d

el f

usto

(cm

)

A

ltez

za d

ella

pia

nta

(cm

)

1500

0

50

100

150

200

250

300

2200

0 10 20 30 40 50 600

1

2

3

4

5

6

7

0 10 20 30 40 50 60

L .decidua P. cembra

y=(750.80)*exp(-exp((1.14)-(0.02)*x))

L. deciduaP. cembra

y=(156.85)*exp(-exp((0.78)-(.021)*x))

L. deciduaP. cembra

y=(38.9 10 6)*exp(-exp((2.88)-(0.01)*x))

L. deciduaP. cembra

y=(2.88)*exp(-exp((1.11)-(.138)*x))

Fig. 49 Relazione tra altezza della pianta, diametro ed età, alle due diverse quote, interpolate con una funzione di Gompertz.

85

Page 87: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

La relazione tra altezza della pianta ed età, alle due diverse quote, è stata interpolata con una

funzione di Gompertz che spiega il 46% della varianza a 1.500 m e il 31% a 2.200. La relazione tra

altezza della pianta ed età è analoga a quella tra dimensione degli elementi di conduzione ed età;

infatti in alta quota l’asintoto è minore che in bassa quota, e la differenza è più sensibile di quella

osservata nel diametro degli elementi di conduzione (750.80 cm vs. 156.85 cm). Inoltre il punto di

flesso si trova a 63 anni in bassa quota, e a 36 in alta.

Analogamente la relazione tra diametro del fusto ed età, alle due diverse quote, interpola con

una funzione di Gompertz, spiega il 49 % della varianza a 1.500 m e il 9 % a 2.200. Questa è simile

alle due precedenti (Fig. 49), con un asintoto inferiore in alta quota rispetto alla bassa quota. In

bassa quota asintoto e punto di flesso sono difficilmente calcolabili a causa della piccola

dimensione delle piante. In alta quota l’asintoto è di 2.88 cm ed il punto di flesso si trova a 8 anni.

Si è infine associata la misura degli elementi di conduzione alla base della pianta con quella

dell’apice prodotto nello stesso anno stesso; questo ha consentito di calcolare il numero di livelli

della struttura frattale (Nb; Eq. 20) durante lo sviluppo della pianta. Per fare ciò si è dovuto ipotizzare

che la pianta mantenga un valore constante di ā, pari a quello calcolato per l’ultimo anno di vita

della pianta. Con questi dati è possibile calcolare la regressione tra numero di livelli di

ramificazione ed età della pianta, si è utilizzata una funzione di Gompertz che è arrivata a spiegare

il 47 % della varianza nei dati di partenza. Questa relazione non è risultata significativamente

influenzata da specie o altitudine (Fig. 50).

0 2 4 6 8 1 0 1 2 1 4 1 6 1 8 2 0 2 2 2 4 2 6

E t à

0

2

4

6

8

1 0

1 2

1 4

1 6

Nb

y = ( 4 2 . 3 5 ) * e x p ( - e x p ( ( 1 . 0 5 ) - ( 0 . 0 3 ) * x ) )

Fig. 50 Relazione tra età della pianta e numero di livelli di ramificazione (Nb)

86

Page 88: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Questa relazione consente di descrivere nel tempo l’evoluzione e la crescita della pianta (Fig.

52), poiché consente di associare all’età della pianta il numero di livelli di ramificazione. Poiché è

nota la lunghezza del getto apicale, il diametro del fusto e degli elementi di conduzione all’apice, è

quindi possibile ricostruire le principali caratteristiche della pianta, come altezza totale, diametro

del fusto e degli elementi di conduzione alla base (Eq. 12; Eq. 22).

6.3 Discussione

6.3.1 Applicazione del modello WBE al fusto

Gran parte degli assunti alla base del modello WBE hanno potuto trovare riscontro

sperimentale. Si è osservata una relazione significativa tra diametro degli elementi di conduzione e

distanza dall’apice, infatti le cellule alla base del fusto sono più grandi di quelle del getto apicale

(Fig. 51), e questo è coerente con gli assunti del modello WBE.

a) b)

Fig. 51 Variazioni delle dimensioni delle tracheidi tra apice (a) e base (b) del fusto.

Anche la specie influenza questa relazione, ma due sole con piante non sono sufficienti ad

estendere i risultati alla scala globale per cui il modello è stato proposto. Si è osservato l’aumento

nel diametro del fusto con la distanza dell’apice della pianta; la relazione è influenzata soprattutto

dall’altitudine: piante di alta quota presentano fusti più grossi. Anche l’assunto di similarità tra

architettura del sistema di conduzione e della chioma è coerente con i riscontri sperimentali; infatti

la relazione tra diametro del fusto e degli elementi di conduzione è risultata significativa.

L’esponente di quest’ultima è in linea con le attese del modello, ed è influenzato dall’altitudine

(Enquist, 2003; Halley et al., 2004). Si può ipotizzare che gran parte delle modifiche riscontrate

nell’architettura delle piante d’alta quota dipenda più dal maggior diametro del fusto, piuttosto che

da modifiche nelle dimensioni degli elementi di conduzione.

Dall’analisi dei diversi parametri utilizzati per caratterizzare l’architettura della pianta,

tapering, numero di livelli di ramificazione, coefficienti di rastremazione, si è osservato che tutte le

piante analizzate presentano delle caratteristiche sub ottimali. Inoltre la quota sembra influenzare un

numero limitato di relazioni allometriche della pianta, per lo più relative all’altezza ed ai suoi

87

Page 89: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

incrementi annuali. L’analisi delle diverse stime del numero di livelli di ramificazioni suggerisce

che il maggior diametro delle piante d’alta quota possa determinare un diverso tipo di architettura,

pur sempre sub ottimale, osservato con la quota.

D’altra parte si è osservata una riduzione, almeno in una delle due specie analizzate, della

dimensione degli elementi di conduzione nel getto apicale della pianta; ciò significa che

probabilmente uno degli assunti del modello, cioè la una costante dimensione dei vasi nei piccioli

fogliari, su scala locale non è rispettato. Ciò non toglie che su scala globale, dove ciò che conta è

l’ordine di grandezza delle misure considerate, il modello possa ugualmente veder verificate le

proprie basi (Enquist, 2002). Si è osservato che, le differenze nella dimensione degli elementi di

conduzione nel getto apicale, sembrano ripercuotersi lungo tutto il sistema di conduzione; perciò

queste non influenzano il tapering del fusto.

Confrontando i diversi metodi per la stima della rastremazione degli elementi di conduzione

(ā) si è osservato che quelli basati sul tapering (T) e le relazioni tra diametro del fusto ed elementi

di conduzione (p) danno risultati identici (8.2 Diversi metodi di analisi dell’architettura di chioma e

sistema di conduzione degli alberi, pag. 100), come emerso dal confronto dei diversi metodi di

analisi della struttura delle piante. Stime di questo parametro (ā) basate sull’architettura della

chioma (Nb) forniscono valori più elevati e simili all’esponente della relazione tra diametro del

fusto e degli elementi di conduzione (p).

6.3.2 Ipotesi di modello frattale per l’apparato radicale

Si è trovato un buon accordo, tra valori caratteristici osservati e previsti dal modello proposto

per l’apparato radicale (diametro della radice e degli elementi di conduzione). La quota influenza

alcuni caratteri dell’apparato radicale ad esempio, come già osservato nel diametro del fusto, piante

di alta quota presentano un diametro delle radici superiore a quello di bassa quota. Inoltre piante al

limite del bosco presentano un maggior numero di ramificazioni. D’altra parte complessivamente

l’altitudine ha un effetto limitato sul sistema radicale, infatti la relazione tra volume stimato

dell’apparato radicale e massa rilevata è significativa, anche in piante di P. cembra di alta quota.

Perciò il modello proposto sembra adattarsi bene alle osservazioni sperimentali, ma poiché i dati

empirici sono riferiti ad un esiguo numero di piante è necessaria un’ulteriore robusta procedura

validazione.

6.3.3 Dimensione dei vasi nel getto apicale e sviluppo della pianta

Il modello WBE assume, a livello globale, una dimensione degli elementi di conduzione nei

piccioli fogliari; i soli dati di cui disponiamo sono riferiti alle tracheidi nel getto apicale, in piante di

due sole specie ed in particolari condizioni ambientali; perciò non consentono di estendere la

88

Page 90: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

validità dei risultati ad un più ampio contesto. Solo nel caso di P. cembra si è potuta osservare una

riduzione nella dimensione delle tracheidi dell’apice della pianta durante il suo sviluppo,

indipendentemente dall’altitudine.

Una spiegazione del diverso comportamento delle due specie per questo carattere può essere

ipotizzata analizzando gli incrementi in altezza delle piante. L. decidua presenta incrementi in

altezza regolari con l’età, ed una costante dimensione degli elementi di conduzione nel getto

apicale; mentre l’aumento degli incrementi in altezza con l’età della pianta osservato in P. cembra,

può essere posto in relazione alla riduzione della misura delle tracheidi all’apice del fusto.

6.3.4 Diametro degli elementi di conduzione alla base del fusto e sviluppo

della pianta

L’andamento della dimensione degli elementi di conduzione con l’età della pianta presenta

andamento analogo a quello riscontrato in altri studi di anatomia del legno (Mencuccini et al.,

1995). Le piante di bassa quota, rispetto a quelli di alta, presentano un valore di asintoto doppio e

incrementi annui in diametro delle tracheidi sempre decrescenti durante lo sviluppo della pianta.

Applicando le stesse procedure per l’analisi degli incrementi longitudinali e diametrici delle piante,

si è osservato che piante di bassa quota presentano asintoti maggiori di quelle di alta quota, con

differenze ancor più marcate di quelle riscontrate analizzando gli elementi di conduzione.

Si è osservato, perciò, che il diametro degli elementi di conduzione alla base del fusto, il

diametro e l’altezza della pianta sono variabili ben correlate tra loro e presentano analoghe modalità

di sviluppo. Questi risultati sono coerenti con il modello WBE, che presuppone una relazione tra

queste tre variabili analizzate (Domec e Gartner, 2003).

6.4 Conclusioni

La descrizione della pianta proposta dal modello WBE prevede un aumento del diametro di

fusto ed elementi di conduzione dall’apice della pianta alla base del fusto, e due strutture frattali

simili per descrivere l’architettura della chioma e del sistema di conduzione, è coerente con i

riscontri sperimentali (Halley et al., 2004; Cermak et al., 2002). D’altra parte le piante analizzate

non presentano un’architettura ottimale, sia considerando la relazione tra tapering ed altezza della

pianta (ET), che confrontando il livello di ramificazioni basato su struttura della chioma (Nb) e del

sistema di conduzione (Nv). Questo può dipendere dal non perfetto accordo con le assunzioni alla

base del modello WBE, proposto su scala globale e per piante ben sviluppate (Robinson, 2004;

Chen e Li, 2003); o dalla piccola dimensione delle piante, in cui anche un sistema di conduzione

sub ottimale può non comprometterne sviluppo e sopravvivenza. Infatti la limitazione legata

all’architettura idraulica delle piante è stata proposta per piante di altezza superiore a quella delle 89

Page 91: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

piante da noi considerate (Mencuccini, 2002). Dal confronto dei diversi metodi per valutare

l’architettura ottimale delle piante, si può concludere che le condizioni sub ottimali da noi

riscontrate siano per lo più riconducibili ad una modesta rastremazione degli elementi di

conduzione lungo il fusto. I altre parole si è osservato un aumento inferiore alle attese della

dimensione degli elementi di conduzione lungo il fusto delle piante. Se la dimensione delle

tracheidi all’apice del fusto è costante con l’età, in L. decidua, o decrescente con essa, in P. cembra,

l’unica possibilità della pianta per raggiungere un’architettura ottimale è aumentare la dimensione

degli elementi di conduzione alla base del fusto. Questa è una soluzione più difficile da perseguire

in alta quota, dove la dimensione di questi ultimi si stabilizza a valori che sono grossomodo la metà

di quelli rilevati in bassa quota.

Si è proposto un modello frattale per descrivere la struttura dell’apparato radicale, ma visto

l’esiguo numero di campioni analizzati questo metodo necessita di un’ulteriore approfondita

procedura di validazione. In ogni caso con quest’approccio si sono potuti stimare alcuni parametri

caratteristici dell’apparato radicale, come volume, superficie e lunghezza complessiva delle radici,

disponendo solo di alcune limitate informazioni sulla sua architettura di radici e del sistema di

conduzione. In alta quota si è osservato un moderato incremento del numero di ramificazioni del

sistema di conduzione (Dunbabin et al., 2004), che si presenta perciò più complesso che in piante di

bassa quota; queste conclusioni sono coerenti con le osservazioni fatte sulla struttura dell’apparato

radicale nel capitolo dedicato all’allometria (5.3.7 Caratteristiche dell’apparato radicale, pag. 60).

L’architettura delle piante non viene modificata in modo determinante dalle condizioni di alta

quota; la principale differenza è nella ridotta lunghezza in alta quota dell’ultimo livello di

ramificazione della pianta (lN), coerente con la riduzione degli incrementi in altezza delle pianta qui

raccolte evidenziata nel capitolo destinato all’allometria (5.3.2 Incrementi in altezza, pag. 56).

Piante a quote elevate presentano una regressione non significativa tra volume stimato della parte

epigea e massa rilevata; questo è coerente con le alterazioni nell’allocazione della biomassa in alta

quota evidenziate sempre nel capitolo destinati alle indagini allometriche (5.3.5 Allocazione della

biomassa, pag. 58).

I risultati ottenuti sono in linea con le indagini allometriche condotte su queste piante; la

quota elevata sembra alterare per lo più gli incrementi in altezza della pianta e le strategie di

allocazione della biomassa delle piante (Fig. 52). Si può ipotizzare che analizzando piante di

dimensioni maggiori di quelle da noi considerate, che escano dallo strato limite dell’aria a ridosso

del suolo, si possono osservare modifiche più evidenti nella architettura riconducibili alla quota

elevata.

90

Page 92: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

1 .5 0 0 m

2 .2 0 0 m

A lti tu d in e

E tà (a n n i) 1 6 1 2 N 1 4 6

Fig. 52 Altezza della pianta modello a 1.500 m di quota e a 2.200 m di quota nelle diverse fasi di sviluppo, rappresentate sia come età che come numero di livelli di ramificazione (N).

91

Page 93: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

6.5 Principali simboli ed abbreviazioni utilizzate

Y Variabile oggetto d’interesse Lk Lunghezza del percorso dal colletto al livello k di ramificazione del

sistema radicale (cm)Y0 Costante di normalizzazione h Altezza totale della pianta (cm)M Massa (g) a Esponente che indica come il

diametro del fusto varia nella piantan Numero di ramificazioni figlie che

si dipartono da una genitriceā Esponente che indica come il

diametro degli elementi di conduzione varia nella pianta

āT Stima di ā basata su ET āp Stima di ā basata su pāN Stima di ā basata sul numero di

ramificazioni Nβk Rapporto tra il diametro dei rami

N Numero di livelli di ramificazioni in fusto e radici

Rapporto tra il diametro degli elementi di conduzione

k Livello arbitrario di ramificazione (0<k<N)

γk Rapporto tra la lunghezza dei rami

rk Diametro ramo (cm) V Stima del volume di parte epigea o ipogea (cm3)

ak Diametro elemento di conduzione (μm)

re Diametro della radice atteso (cm)

Ak Area elemento di conduzione (µm2)

ro Diametro della radice osservato (cm)

lk Lunghezza ramo (cm) α Rastremazione del fustoT Tapering diametro elemento di

conduzionep Esponente della relazione tra

diametro degli elementi di conduzione e quello del ramo

ET Esponente della relazione tra tapering e lunghezza del percorso

P Pressione (Pa)

τ Resistenza a tensione dell’acqua (Pa m)

ψ Potenziale idrico (Pa m-1)

η Viscosità dell’acqua (Pa s) Nc Numerosità della popolazione

92

Page 94: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

” I suggest that if a growing tree where a house under construction the limitation of growth is not a question of availability of mortar and bricks, but depends on the workmen creating the walls, and that they may stop working if it is too cold despite building material heaping the extent that suppliers have to slow down or stop delivering”

(Körner, 1999)

7 Conclusioni

Confrontando riscontri sperimentali con le attese delle ipotesi proposte a spiegazione del

limite superiore del bosco a livello globale si può individuare quella più adatta per un territorio. Le

due oggetto di maggior dibattito da parte della comunità scientifica sono quella del deficit nel

bilancio del carbonio della pianta e della limitazione dell’attività metabolica, e differiscono

soprattutto nel nesso causale che lega produzione primaria ed attività meristematica. La prima

propone che in alta quota le basse temperature alterino il bilancio del carbonio della pianta

riducendone la crescita; mentre la seconda prevede che la temperatura riduca l’attività

meristematica e determinando una minor produzione primaria, questo nonostante la disponibilità di

fotosintati necessari alla crescita non viene meno.

I riscontri sperimentali, derivati dalle misure degli scambi gassosi, non sembrano supportare

l’ipotesi del deficit nel bilancio del carbonio al limite superiore del bosco. Nel contempo sono state

osservate nelle tre specie differenti relazioni tra variabili ambientali e scambi gassosi. Ciò fa

supporre che l’effetto di eventuali modifiche ambientali sarà diverso nelle varie specie che

compongono il limite superiore del bosco.

Se è noto da tempo (Foster, 1872) in letteratura che piante al limite superiore del bosco

presentano una crescita ed una produzione primaria ridotta (Waide et al., 1998; Walker et al.,

1996); d’altra parte quest’effetto dipende dalla dimensione della pianta in quanto le condizioni

ambientali cambiano con la distanza del suolo (Tab. 11). Infatti a ridosso di quest’ultimo vi è la

presenza di uno strato limite con condizioni più favorevoli allo sviluppo della pianta (Li et al.,

2002).

I riscontri sperimentali, frutto delle indagini allometriche, sono compatibili con l’esistenza in

alta quota di condizioni ambientali sub ottimali allo sviluppo delle piante a ridosso del suolo, come

osservato in altri studi (Bernoulli e Körner, 1999). Infatti piante di piccole dimensioni al limite del

bosco non presentano evidenti alterazioni nelle relazioni allometriche e nella produzioni primaria,

ad eccezione di una riduzione degli incrementi in altezza e nella strategia di allocazione della

biomassa.

Quindi, come osservato in altri studi sperimentali (Körner, 1999), il momento più critico per

una pianta d’alta quota è quando esce dallo strato d’aria a ridosso del suolo per raggiungere un

93

Page 95: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

portamento arboreo, ossia un’altezza superiore ai 3 m, confrontandosi con le più avverse condizioni

ambientali dell’aria libera.

Forma biologica o superficieTemperature (°C)

900 m 2.050 m Δ2 m dal suolo 33.7 20.0 -13.7

Albero 40.7 21.7 -19

Arbusto di 50 cm 37.3 - -

Arbusto contorto di 5 cm - 40.8 -

Piante a rosetta con picciolo 46.8 31.2 -15.6

Piante a rosetta senza picciolo 47.7 44.0 -3.7

Piante erbacee 48.8 44.0 -4.8

Cuscino di muschio asciutto - 49.6 -Sabbia grigia asciutta 68.0 61.9 -6.1Humus scuro asciutto 81.0 81.9 +0.9

Tab. 11 Temperatura massima durante una giornata serena in foglie di luce in piante con diverse forme biologiche o superfici, in condizioni di alta quota e di fondovalle. Osservare la convergenza delle temperature tra

le due diverse altitudini al diminuire della taglia della pianta (Körner e Cochrane, 1983).

Si è studiato se le piante, nel passare a condizioni ambientali sub ottimali, presentino

innanzitutto una riduzione di produzione primaria, coerentemente con l’ipotesi del deficit nel

bilancio del carbonio, o una contrazione dell’attività metabolica, come previsto dall’ipotesi di

limitazione dell’attività metabolica. I riscontri sperimentali non sono compatibili con la prima

alternativa infatti, in piante di piccole dimensioni al limite superiore del bosco, si è osservata una

riduzione netta degli incrementi in altezza non associata ad un’alterazione altrettanto evidente della

produzione primaria. Al limite superiore del bosco si è osservata una frazione maggiore di biomassa

investita in chioma e rami piuttosto che in fusto; si può concludere perciò che i fotosintati non

impiegati nella crescita longitudinale della pianta sono distribuiti verso questi due diversi comparti

della pianta.

A sostegno dell’ipotesi di deficit nel bilancio del carbonio della pianta (Tranquillini, 1979),

viene inoltre proposto che una maggior frazione della massa delle piante sia investita in organi

eterotrofi (le componenti legnose) piuttosto che autotrofi (la chioma). Questo squilibrio

determinerebbe un aggravio nei costi metabolici della pianta tale da intaccare il bilancio del

carbonio della pianta. Di contro si è osservato che, almeno in piante di piccole dimensioni, viene

destinata una maggior frazione della biomassa a strutture autotrofe.

94

Page 96: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Le nostre osservazioni sono coerenti con altri dati presenti in letteratura, come l’elevata

concentrazione di carboidrati non strutturali nella linfa di piante d’alta quota (Mai-He e Jian, 2004;

Hoch et al., 2003; Hoch et al., 2002), la scarso effetto dell’altitudine sulla fotosintesi netta

(Huxman et al., 2003; Berninger et al.,), e con diversi rilevamenti allometrici in piante di piccole

dimensioni al limite del bosco (Bernoulli e Körner, 1999; Barrera et al., 2000; Li et al., 2003;

Kronfuss e Havranker, 1999; Gamache e Payette, 2004).

Un’ipotesi di prosecuzione delle attività di ricerca potrebbe comprendere misure dell’attività

respiratoria in un ramo d’alta quota sottoposto a riscaldamento (Atkin et al., 2000), avvalorando i

dati del nostro esperimento; questo infatti permetterebbe di indagare nel dettaglio la relazione tra

aumento di temperatura e di attività metabolica, come sull’instaurarsi di fenomeni di

acclimatazione. Ulteriori rilevamenti allometrici in altre condizioni di limite alla diffusione del

bosco, ad esempio dovuti all’aridità o attività antropica (DeLucia et al., 2000), consentirebbero di

verificare la coerenza tra riscontri sperimentali e le ipotesi proposte per la loro spiegazione in alta

quota. Infine studi sull’allocazione della biomassa, in piante di dimensioni maggiori,

consentirebbero di estendere a queste ultime le considerazioni fatte sul rapporto tra massa autotrofa

ed eterotrofa.

Concludendo si può dire che i dati sperimentali sono coerenti con l’ipotesi della limitazione

dell’attività metabolica (Körner, 1998) come spiegazione funzionale del limite superiore nelle Alpi

italiane. Inoltre ci si può attendere una differente risposta, nelle diverse specie arboree che

compongono questo ambiente estremo, al modificarsi delle condizioni ambientali (Tranquillini,

1979).

95

Page 97: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

8 Allegati

8.1 Adattamento della spline nell’interpolazione delle misure di

scambio gassoso

Si è cercato di ridurre la variabilità ad alta frequenza e le irregolarità nei dati interpolandoli

con una funzione matematica. Le fluttuazioni dei dati attorno alla funzione possono essere attribuite

alle tecniche di campionamento ed alla variabilità dei parametri ambientale. Deviazioni sistematiche

dei dati dalla curva in alcune sue parti possono indicare uno scarso adattamento della funzione o la

non adeguatezza del modello. Più è alto il numero di parametri che descrivono una funzione

migliore sarà l’adattamento ai dati di partenza; d’altra parte, specie per le polinomiali, un elevato

numero di parametri non consente di interpretarne i valori in chiave ecofisiologica.

Già dagli anni ’70 si è iniziato a suddividere i dati in due o più frazioni poi interpolate con

funzioni diverse, un successivo sviluppo di questa tecnica ha permesso di elaborare le funzioni

spline. Il principale vantaggio di queste funzioni è la flessibilità nel descrivere tendenze lunghe e

complicate, specie se non sono note le funzioni che descrivono le relazioni tra le diverse variabili,

qualora sia necessario ridurre la variabilità nei dati di partenza. Una spline è una serie di funzioni

polinomiali concatenate ciascuna di grado n. Per quanto discrete le funzioni limitrofe si raccordano

in nodi, in cui queste rispettano le condizioni di continuità, sia per le funzioni stesse sia per le loro

derivate di primo grado. Polinomiali di ogni grado possono essere raccordate ma, quando si ricorre

a dati trasformati logaritmicamente, il minimo grado possibile della funzione è quello cubico

(Causton e Venus, 1981).

L’adattamento di una spline ai dati del ramo di riferimento può influenzare i risultati

dell’analisi statistica condotta sui residui del ramo riscaldato. Per valutare l’importanza di questo

fenomeno si sono interpolati i dati di conduttanza stomatica con spline con un diverso numero di

gradi di libertà ottenendo i seguenti risultati (Fig. 53).

96

Page 98: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

O ra

gs (m

ol m

-2 s

-1)

d f2

6 .5 7 .0 7 .5 8 .0 8 .5 9 .0 9 .5 1 0 .0 1 0 .5 11 .0 11 .50 .0 0

0 .0 2

0 .0 4

0 .0 6

0 .0 8

0 .1 0

d f1 0

6 .5 7 .0 7 .5 8 .0 8 .5 9 .0 9 .5 1 0 .0 1 0 .5 11 .0 11 .50 .0 0

0 .0 2

0 .0 4

0 .0 6

0 .0 8

0 .1 0

d f3

6 .5 7 .0 7 .5 8 .0 8 .5 9 .0 9 .5 1 0 .0 1 0 .5 11 .0 11 .50 .0 0

0 .0 2

0 .0 4

0 .0 6

0 .0 8

0 .1 0

d f1 5

6 .5 7 .0 7 .5 8 .0 8 .5 9 .0 9 .5 1 0 .0 1 0 .5 11 .0 11 .50 .0 0

0 .0 2

0 .0 4

0 .0 6

0 .0 8

0 .1 0

d f5

6 .5 7 .0 7 .5 8 .0 8 .5 9 .0 9 .5 1 0 .0 1 0 .5 11 .0 11 .50 .0 0

0 .0 2

0 .0 4

0 .0 6

0 .0 8

0 .1 0

d f2 0

6 .5 7 .0 7 .5 8 .0 8 .5 9 .0 9 .5 1 0 .0 1 0 .5 11 .0 11 .50 .0 0

0 .0 2

0 .0 4

0 .0 6

0 .0 8

0 .1 0

d f7

6 .5 7 .0 7 .5 8 .0 8 .5 9 .0 9 .5 1 0 .0 1 0 .5 11 .0 11 .50 .0 0

0 .0 2

0 .0 4

0 .0 6

0 .0 8

0 .1 0

P . leuco d erm is - G io rn o 1 6 6 - Riscald amen to accesoRamo d i ri ferimen to

Fig. 53 Adattamento della spline ai dati di conduttanza stomatica al variare del numero di gradi di libertà.

L’adattamento delle spline è stato valutato sulla base del numero di gradi di libertà, di nodi,

poiché a seconda dei giorni cambia il numero rilievi effettuati. Mantenere costante la frazione di

variabilità dei dati di partenza spiegata significava perciò avere una precisione nella descrizione

dell’andamento giornaliero diversa precisa al variare della numerosità dei campioni. Utilizzando

queste diverse funzioni si sono calcolati i residui dei dati rilevati nel rami riscaldato in giorni con

riscaldamento acceso o spento (Fig. 54).

97

Page 99: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

resi

dui g

s (m

ol m

-2 s

-1)

d f = 2

-0 .1 8-0 .1 6-0 .1 4-0 .1 2-0 .1 0-0 .0 8-0 .0 6-0 .0 4-0 .0 20 .0 00 .0 20 .0 4

d f = 1 0

-0 .1 8-0 .1 6-0 .1 4-0 .1 2-0 .1 0-0 .0 8-0 .0 6-0 .0 4-0 .0 20 .0 00 .0 20 .0 4

d f = 3

-0 .1 8-0 .1 6-0 .1 4-0 .1 2-0 .1 0-0 .0 8-0 .0 6-0 .0 4-0 .0 20 .0 00 .0 20 .0 4

d f = 1 5

-0 .1 8-0 .1 6-0 .1 4-0 .1 2-0 .1 0-0 .0 8-0 .0 6-0 .0 4-0 .0 20 .0 00 .0 20 .0 4

d f = 5

-0 .1 8-0 .1 6-0 .1 4-0 .1 2-0 .1 0-0 .0 8-0 .0 6-0 .0 4-0 .0 20 .0 00 .0 20 .0 4

d f = 2 0

L. d ecidu a P . leuco d erm is P . cem bra-0 .2 0-0 .1 8-0 .1 6-0 .1 4-0 .1 2-0 .1 0-0 .0 8-0 .0 6-0 .0 4-0 .0 20 .0 00 .0 20 .0 4

d f = 7

L. d ecidu a P . leuco d erm is P . cem bra-0 .1 8-0 .1 6-0 .1 4-0 .1 2-0 .1 0-0 .0 8-0 .0 6-0 .0 4-0 .0 20 .0 00 .0 20 .0 4

Riscald amen to sp en to Riscald amen to acceso

Fig. 54 Residui nel ramo riscaldato, prima e dopo l’accensione del sistema di riscaldamento, al variare dei gradi di libertà della spline.

Si può osservare che i risultati non sono influenzati in modo significativo dal grado di

adattamento della spline; ad ogni modo utilizzando un elevato numero di gradi di libertà si osserva

una modesta riduzione della differenza tra i dati rilevati a riscaldamento spento o acceso, ed un

aumento nella deviazione standard dei residui (Fig. 55).

98

Page 100: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Gra d i d i lib e rt à d e lla sp l i n e

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 220.0145

0.0150

0.0155

0.0160

0.0165

0.0170

0.0175

0.0180

0.0185

0.0190

Dif

fere

nza

di c

ondu

ttan

za t

ra r

isca

ldam

ento

acc

eso

e sp

ento

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 220.060

0.062

0.064

0.066

0.068

0.070

0.072

0.074

0.076

0.078

0.080

0.082

0.084

0.086

0.088

Dev

iazi

one

stan

dard

Fig. 55 Sulla destra differenza di conduttanza stomatica tra sistema di riscaldamento acceso e spento al variare dei gradi di libertà della spline. Sulla sinistra deviazione standard dei residui al variare dell’adattamento

della funzione.

99

Page 101: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

8.2 Diversi metodi di analisi dell’architettura di chioma e sistema di

conduzione degli alberi.

Il modello WBE descrive l’architettura della chioma e del sistema di conduzione delle piante,

attraverso due strutture frattali simili; tiene conto inoltre dell’aumento nel diametro del fusto e degli

elementi di conduzione passando dalle estremità della chioma al colletto della pianta. Molti modi

diversi sono stati proposti per valutare l’adattamento del modello ai dati reali della pianta; uno dei

primi è l’esponente (ET; Eq. 29) della relazione tra tapering (T) degli elementi di conduzione e

distanza dall’apice della pianta (l).

Eq. 29 Relazione esistente tra tapering degli elementi di conduzione e lunghezza del percorso.

Questo parametro è utile per descrivere l’architettura della pianta, e il modello WBE prevede

che una pianta con sistema di conduzione ottimale presenti valori inferiori a quattro. Purtroppo

questo metodo non considera la struttura della chioma, inoltre il valore atteso dal modello dipende

dalla dimensione della pianta.

Un altro metodo si basa sull’esponente della relazione tra diametro degli elementi di

conduzione e dei rami (p); a differenza del precedente questo considera sia la struttura della chioma

sia quella del sistema di conduzione. Il modello WBE prevedere che una pianta con architettura

ottimale presenti per questo parametro un valore superiore a 1/6 (Eq. 30).

Eq. 30 Relazione tra diametro degli elementi di conduzione e dei rami.

Nell’applicazione di questo modello è inoltre possibile tener conto del modo caratteristico con

cui varia il diametro del fusto di una pianta con la distanza dall’apice della pianta (α). Questo

parametro considera la sola struttura della chioma e dipende dall’età della stessa (Eq. 31).

Eq. 31 Relazione tra diametro del fusto e lunghezza del percorso.

È inoltre possibile stimare il valore di ā, la variazione nel diametro degli elementi di

conduzione con la distanza dall’apice della pianta, sia partendo dal valore di ET sia da quello di p;

questo parametro considera sia l’architettura della chioma che quella del sistema di conduzione

(Eq. 32), inoltre è influenzato dall’età della pianta (Corcuera et al., 2004).

100

Page 102: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Eq. 32 Due diverse modalità di stima di ā, una basata sul tapering della pianta (ET), l’altra sia della relazione tra diametro degli elementi di conduzione e del fusto (p) che della variazione del diametro del fusto con

la distanza dall’apice della pianta (α).

Il confronto tra la stima del numero di livelli di ramificazione a partire dall’architettura della

chioma, e quello basato del sistema di conduzione (Eq. 33) è un’alta via per evidenziare piante con

struttura sub ottimale.

Eq. 33 Stima del numero di livelli dell’architettura della chioma e del sistema di conduzione.

Dal confronto di questi due valori è possibile valutare il grado di similitudine esistente tra

architettura di chioma e sistema di conduzione; in questo modo è possibile verificare l’insieme degli

assunti posti alla base del modello.

Infine è possibile stimare il valore di ā sulla base della sola architettura della chioma (ā N;

Eq. 34).

Eq. 34 Stima del valore di ā basata sulla sola architettura della chioma (āN).

Questi diversi metodi sono stati applicati ai dati sperimentali di una pianta campione; si è

inoltre manipolata la rastremazione del diametro degli elementi di conduzione e del fusto per poter

valutare la loro efficacia nell’evidenziare condizioni sub ottimali nell’architettura della pianta.

Queste modifiche sono state fatte mantenendo costante il diametro medio di fusto e degli elementi

di conduzione nell’intera pianta.

I dati sperimentali si riferiscono ad una pianta di L. decidua proveniente dalla stazione di

bassa quota (Tab. 12).

101

Page 103: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Dis

tan

za

dal

l’ap

ice

(cm

)

Dia

met

ro d

el

fust

o (c

m)

Dia

met

ro v

asi

(m

)S.D.

0

20

40

60

80

100

120

140

0 0.5 1 1.5 2 2.5

Diametro del fusto (cm)

0.00 5.00 10.00 15.00

Diametro vasi (m)

Diametro fusto (cm)

Diametro vasi (μm)

0 0.41 10.75 ET 5.33 ± 0.229 0.54 9.05 p 0.31 ± 0.0620 0.65 11.11 α 1.68 ± 0.15

30 0.85 12.45 āP 0.12

41 1.05 12.92 āT 0.13

50 1.16 13.08 Nb 4.29

60 1.31 13.85 āN 0.25

70 1.52 13.73 Nv 2.24

79 1.57 13.4790 1.68 13.35100 2.16 14.01

Tab. 12 Dati rilevati di diametro del fusto e degli elementi di conduzione.

Si è riscontrato che la pianta presenta valori non ottimali di ET, āp e āT; questi due ultimi

parametri sono tra di loro uguali ma differiscono dal valore di p e āN.

Si è provato a raddoppiare la rastremazione dei soli elementi di conduzione, lasciando

inalterato il diametro del fusto (Tab. 13).

Dis

tan

za

dal

l’ap

ice

(cm

)

Dia

met

ro d

el

fust

o (c

m)

Dia

met

ro v

asi

(m

)

S.D.

0

20

40

60

80

100

120

140

0 0.5 1 1.5 2 2.5

Diametro fusto (cm)

0.00 5.00 10.00 15.00 20.00

Diametro vasi (m)

Diametro fusto (cm)

Diametro vasi (μm)

0 0.41 8.84 ET 2.54 ± 0.219 0.54 6.27 p 0.65 ± 0.1220 0.65 9.47 α 1.68 ± 0.15

30 0.85 12.07 āP 0.26

41 1.05 13.10 āT 0.26

50 1.16 13.46 Nb 4.29

60 1.31 15.33 āN 0.25

70 1.52 15.02 Nv 4.85

79 1.57 14.3990 1.68 14.10100 2.16 15.73

Tab. 13 Dati sperimentali con rastremazione raddoppiata degli elementi di conduzione.

In questo caso si è osservato un miglior adattamento dei parametri alle attese del modello, i

valori di āp ed āT sono uguali, e simili al valore di āN ottenuto a partire dalla sola architettura della

chioma.

102

Dis

tanz

a da

ll’a

pice

(cm

)D

ista

nza

dall

’api

ce (

cm)

Page 104: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Si è provato a raddoppiare sia la rastremazione di fusto che quella degli elementi di

conduzione, mantenendo costante il valore medio per l’intera pianta (Tab. 14).D

ista

nza

d

all’

apic

e (c

m)

Dia

met

ro d

el

fust

o (c

m)

Dia

met

ro v

asi

(m

)S.D.

0

20

40

60

80

100

120

140

0 0.5 1 1.5 2 2.5

Diametro del fusto (cm)

0.00 2.00 4.00 6.00 8.00 10.00 12.00 14.00 16.00

Diametro vasi (m)

Diametro fusto (cm)

Diametro vasi (μm)

0 0.12 8.84 ET 2.54 ± 0.219 0.21 6.27 p 0.32 ± 0.1220 0.31 9.47 α 0.84 ± 0.15

30 0.52 12.07 āP 0.26

41 0.79 13.10 āT 0.26

50 0.96 13.46 Nb 8.58

60 1.23 15.33 āN 0.21

70 1.65 15.02 Nv 6.64

79 1.76 14.3990 2.02 14.10100 3.34 15.73

Tab. 14 Dati sperimentali con rastremazione raddoppiata nel diametro del fusto e degli elementi di conduzione.

Ancora una volta i risultati sono coerenti con le attese del modello WBE; i valori di āp e āT

sono uguali, ma differiscono maggiormente da quelli di p e āN, anche le due stime del numero di

livelli di ramificazione (Nb e Nv) sono tra loro maggiormente diverse che nel caso precedente.

Si è poi dimezzata la rastremazione del diametro degli elementi di conduzione, sempre senza

alterare il valore medio calcolato sull’intera pianta (Tab. 15).

Dis

tan

za

dal

l’ap

ice

(cm

)

Dia

met

ro d

el

fust

o (c

m)

Dia

met

ro v

asi

(m

)

S.D.

0

20

40

60

80

100

120

140

0 0.5 1 1.5 2 2.5

Diametro fusto (cm)

0.00 2.00 4.00 6.00 8.00 10.00 12.00 14.00

Diametro vasi (m)

Diametro fusto (cm)

Diametro vasi (μm)

0 0.41 11.66 ET 10.91± 0.229 0.54 10.70 p 0.15± 0.0320 0.65 11.85 α 1.68± 0.15

30 0.85 12.52 āP 0.06

41 1.05 12.75 āT 0.06

50 1.16 12.82 Nb 4.29

60 1.31 13.17 āN 0.25

70 1.52 13.12 Nv 1.08

79 1.57 13.0090 1.68 12.95100 2.16 13.24

Tab. 15 Dati sperimentali con rastremazione degli elementi di conduzione dimezzata.

103

Dis

tanz

a da

ll’a

pice

(cm

)D

ista

nza

dall

’api

ce (

cm)

Dis

tanz

a da

ll’a

pice

(cm

)D

ista

nza

dall

’api

ce (

cm)

Page 105: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

In questo caso i valori ottenuti di ET, p, āp e āT non sono coerenti con quelli presenti in una

pianta con architettura ottimale; in ogni caso i due diversi metodi di stima di ā sono equivalenti. Si è

potuta invece osservare una maggior differenza tra le due stime del numero di livelli di

ramificazione dell’architettura della pianta; come la discrepanza tra āp ed āN.

Si è provato a dimezzare la rastremazione del diametro del fusto e degli elementi di

conduzione, mantenendo sempre costanti i valori medi nell’intera pianta (Tab. 16).

Dis

tan

za

dal

l’ap

ice

(cm

)

Dia

met

ro d

el

fust

o (c

m)

Dia

met

ro v

asi

(m

)

S.D.

0

20

40

60

80

100

120

140

0 0.5 1 1.5 2 2.5

Diametro fusto (cm)

0.00 2.00 4.00 6.00 8.00 10.00 12.00 14.00

Diametro vasi (m)

Diametro fusto (cm)

Diametro vasi (μm)

0 0.71 11.66 ET 10.91± 0.229 0.82 10.70 p 0.30± 0.0320 0.90 11.85 α 3.37± 0.15

30 1.03 12.52 āP 0.06

41 1.14 12.75 āT 0.06

50 1.20 12.82 Nb 2.15

60 1.27 13.17 āN 0.33

70 1.37 13.12 Nv 0.70

79 1.39 13.0090 1.44 12.95100 1.63 13.24

Tab. 16 Dati sperimentali con dimezzata la rastremazione del diametro del fusto e degli elementi di conduzione.

I dati così modificati portano a dei valori di ET e ā non coerenti con le attese del modello

WBE; in ogni caso āp e āT sono tra loro uguali, mentre si è riscontrata un’elevata discrepanza tra āp e

āN Infine si è costruita una situazione irreale, una pianta con fusto ed elementi di conduzione più

grossi all’apice del fusto che al colletto della pianta.

104

Dis

tanz

a da

ll’a

pice

(cm

)

Dis

tanz

a da

ll’a

pice

(cm

)

Page 106: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Dis

tan

za

dal

l’ap

ice

(cm

)

Dia

met

ro d

el

fust

o (c

m)

Dia

met

ro v

asi

(m

)

S.D.

0

20

40

60

80

100

120

140

0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50

Diametro fusto (cm)

0.00 5.00 10.00 15.00 20.00

Diametro vasi (m)

Diametro fusto (cm)

Diametro vasi (μm)

0 2.64 14.05 ET -5.81± 0.239 2.00 16.73 p 0.28± 0.0620 1.66 13.63 α -1.68± 0.15

30 1.27 12.34 āP -0.11

41 1.03 11.97 āT -0.11

50 0.93 11.85 Nb -4.29

60 0.82 11.33 āN 0.08

70 0.71 11.41 Nv 14.46

79 0.69 11.5890 0.64 11.66100 0.5 11.23

Tab. 17 Dati sperimentali che, in seguito ad una trasformazione matematica, rappresentano una pianta con diametro del fusto e degli elementi di conduzione maggiore all’apice del fusto che alla base.

In questo caso non si sono ottenute stime coerenti con il modello di ET, α, āp e āT; nonostante

ciò i due metodi di stima di ā forniscono lo stesso risultato mentre p e āN hanno assunto un valore

sensato ma molto diverso alle due stime precedenti.

Non è stato riportato il caso di fusto e sistema di conduzione privi di rastremazione, poiché

gran parte dei parametri assume valori privi di significato.

Riassumendo possiamo affermare che il valore di ET è un ottimo metodo per valutare se

l’architettura idraulica di una pianta è ottimale. Il confronto tra le due diverse stime del numero di

livelli di ramificazione (Nb e Nv) ed il confronto tra il valore di ā basato sulla struttura della chioma

e del sistema di conduzione (āp, āT e āN) riescono a valutare questo in relazione alla architettura della

chioma. I valori di p sono meno informativi, e i due diversi metodi di stima di ā basati sul sistema di

conduzione (āp e āT) danno sempre lo stesso risultato, oltretutto non influenzato dall’architettura

della chioma.

105

Dis

tanz

a da

ll’a

pice

(cm

)

Page 107: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

8.3 Iconografia

Fig. 56 Pianta di L. decidua utilizzata per le misure degli scambi gassosi.

Fig. 57 LCi Photometer (ADC. Bioscientific) utilizzato per la misura degli scambi gassosi.

Fig. 58 Pianta di P. leucodermis utilizzata per la misura degli scambi gassosi.

Fig. 59 Serra del Crispo.

106

Page 108: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 60 Pianta di P. cembra utilizzata per la misura degli scambi gassosi.

Fig. 61 Ramo di P. leucodermis avvolto da filo resistivo.

Fig. 62 Datalogger utilizzato per il controllo del sistema di riscaldamento.

Fig. 63 5 Torri.

107

Page 109: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 64 Pianta di L. decidua a 1.700 m di quota. Fig. 65 Pianta di L. decidua a 2.200 m di quota.

Fig. 66 Pianta di P. cembra a 1.700 m di quota. Fig. 67 Pianta di P. cembra a 2.200 m di quota.

108

Page 110: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 68 Versante che da Cortina d’Ampezzo sale a Croda da Lago.

Fig. 69 Pianta policormica di L. decidua raccolta a 2.200 m.

Fig. 70 Radice di L. decidua che attraversa una roccia del terreno.

Fig. 71 Radice di P. cembra che attraversa una ceppaia di R. ferrugineum.

109

Page 111: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 72 Processatore. Fig. 73 Microtomo rotativo Leica.

Fig. 74 Microscopio, videocamera computer per l’acquisizione e l’analisi delle immagini.

110

Page 112: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 75 Cartografia IGM scala 1:50.000 della zona Serra del Crispo – San Severino Lucano (PZ).

111

Page 113: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

Fig. 76 Cartografia IGM scala 1:50.000 della zona 5 Torri e Croda da Lago – Cortina d’Ampezzo (BL).

112

Page 114: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

All alone, or in twos,The ones who really love you,Walk up and down outside the wall.Some hand in hand,Some gather together in bands,The bleeding hearts and artists,Make their stand.And when they've given you their all,Some stagger and fall.After all it's not easy,Banging your heart against some mad bugger's wall.

Pink Floyd – The wall

9 Ringraziamenti

Un grazie a tutte le persone che a vario titolo hanno collaborato ed aiutato in questi anni:

Giorgio Pielli, Alessandro Masotto, Rachele Beghin, Carlo De Zan, Giai Petit, Sergio Rossi, Annie

Deslauries, Fausto Fontanella, Roberto Menardi, Vinicio Carraro, Marco Carrer e Roberto Pilli.

Grazie inoltre per l’ospitalità offerta al Rifugio Palmieri ed all’Ostello “Il salice”.

113

Page 115: Una spiegazione funzionale della posizione del limite superiore del bosco nelle Alpi italiane orientali: alcune evidenze ecofisiologiche

…[La sapienza] lo condurrà per luoghi tortuosi,gli incuterà timore e paura,lo tormenterà con la sua disciplina,finché possa fidarsi di lui,e lo abbia provato con i suoi decreti;ma poi lo ricondurrà sulla retta viae gli manifesterà i propri segreti.Se egli batte una falsa strada, lo lascerà andaree l'abbandonerà in balìa del suo destino.

Siracide 4,17-19

10 Bibliografia

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statistiche sono disponibili alla pagina web http://digilander.libero.it/caiofior/Dottorato.html

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