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| 9 | UNA REGIONE, TANTI SIGNIFICATI I tanti stimoli che provengono dalla filmografia recente e il relazionarsi in modo organico con la dimensione europea pongono la Basilicata in una posizione nuova e ricca di possibili sviluppi, al pari di altri soggetti attivi. La transizione che ha portato la Regione, in un lasso di tempo non poi così lungo, da realtà praticamente sconosciuta e lontana a terra riscoperta – una valorizzazione che passa dalla scintilla del riconoscimento Unesco de “I Sassi e il Parco delle Chiese rupestri di Materafino all’attualità dell’importante riconoscimento della stessa Matera a “Capitale europea della Cultura 2019” –, pone riflessioni forti sull’esigenza di promuoverne un rilancio attraverso un messaggio turistico innovativo. La sfida, ricca di fascino, è quella di convogliare nella Regione flussi di viaggiatori maturi pronti a relazionarsi in modo informato e sostenibile con il molteplice mondo della cultura lucana. Da questo presupposto è nata l’idea di questo volume, una pubblicazione che restituisce, anche attraverso un ricco apparato iconografico, un approccio narrativo in grado di stimolare la sensibilità e la curiosità di chi vuole intraprendere un viaggio in Basilicata, una sorta d’invito per il lettore a riscoprire l’esperienza del viaggiare consapevole. La sensazione che si ha visitando la Basilicata è di trovarsi in un ambito territoriale la cui varietà è difficilmente sintetizza- bile in una sola immagine o in una singola narrazione. Per descrivere al meglio queste peculiarità tanto morfologiche quanto culturali, si è partiti dall’assunto che diversità è sinonimo di ricchezza, si sono individuati alcuni concetti chiave per permettere un’approfondita lettura dei territori lucani, si è cercato di raccontare di un territorio il suo percorso conoscitivo, di simulare diverse forme e opzioni del viaggiare e di restituire al lettore delle chiavi interpretative che dessero gli stimoli utili a creare il proprio viaggio in Basilicata. Tutti i capitoli, anche se in forma indiretta e nel rispetto delle diverse articolazioni disciplinari, hanno pian piano ridi- segnato una regione palcoscenico dalla quale emergono “tante regioni” che corrispondono a rappresentazioni e narrazioni tra loro diverse. Strumenti di questo apparato conoscitivo sono stati la cartografia, il cinema, la geografia, la guidistica di viaggio e la letteratura che, intersecandosi nei diversi capitoli, hanno concorso a dare significato a vari tragitti narrativi dando forma ai tanti contenuti presenti. Proprio nella prospettiva di dare ordine e forma alle tante sollecitazioni provenienti dai territori lucani ci si è misurati con la necessità di individuare l’altro tema chiave utile a compendiare i diversi impulsi: il paesaggio nella sua vocazione polisemica che meglio si attaglia a questa realtà regionale. Nel paesaggio si ritrova quella giusta mediazione di varietà territoriale che permette di raffinare la ricerca e attraverso i paesaggi si riescono a distinguere le vocazioni territoriali che concorrono a formare il quadro regionale. La portata e la coscienza dei luoghi, la volontà di cercare diverse realtà rurali, nei borghi montani come nella dimen- sione costiera, le relazioni esistenti o esistite tra l’uomo e l’ambiente, le forme artistiche che hanno saputo rappresentare paesaggi complessi, strumenti loro stessi di un viaggiare di qualità, divengono ispirazione per la scrittura dei diversi autori. E ancora, scorrendo l’articolazione dei capitoli si comprende la necessità della scelta di individuare nel viaggio e nel paesaggio le giuste forme interpretative, partendo dalle diversità presenti in “Una regione, molte regioni”, proseguendo con l’esigenza di dare forma “Rappresentazioni, segni e forme”, e ancora nella dimensione sensoriale di “Emozioni e paesaggi”, o nella connotazione letteraria di “Paesaggi di parole”, per poi analizzare “La Basilicata nelle guide Touring” e finire nella ricerca degli “Itinerari per un turismo lento”. Pur lasciando piena libertà al lettore di scegliere tra i propri interessi, si è voluto provare a trasmettere suggestioni che consentono di elaborare un’originale modalità di viaggio. La soggettività del singolo si confronta utilmente con luoghi e paesaggi dando vita a sperimentazioni della propria misura del conoscere, per trovarsi così a riscoprire un Mezzogiorno in progressivo attento cambiamento.

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UNA REGIONE, TANTI SIGNIFICATII tanti stimoli che provengono dalla filmografia recente e il relazionarsi in modo organico con la dimensione europea

pongono la Basilicata in una posizione nuova e ricca di possibili sviluppi, al pari di altri soggetti attivi. La transizione che ha portato la Regione, in un lasso di tempo non poi così lungo, da realtà praticamente sconosciuta e lontana a terra riscoperta – una valorizzazione che passa dalla scintilla del riconoscimento Unesco de “I Sassi e il Parco delle Chiese rupestri di Matera” fino all’attualità dell’importante riconoscimento della stessa Matera a “Capitale europea della Cultura 2019” –, pone riflessioni forti sull’esigenza di promuoverne un rilancio attraverso un messaggio turistico innovativo. La sfida, ricca di fascino, è quella di convogliare nella Regione flussi di viaggiatori maturi pronti a relazionarsi in modo informato e sostenibile con il molteplice mondo della cultura lucana.

Da questo presupposto è nata l’idea di questo volume, una pubblicazione che restituisce, anche attraverso un ricco apparato iconografico, un approccio narrativo in grado di stimolare la sensibilità e la curiosità di chi vuole intraprendere un viaggio in Basilicata, una sorta d’invito per il lettore a riscoprire l’esperienza del viaggiare consapevole.

La sensazione che si ha visitando la Basilicata è di trovarsi in un ambito territoriale la cui varietà è difficilmente sintetizza-bile in una sola immagine o in una singola narrazione. Per descrivere al meglio queste peculiarità tanto morfologiche quanto culturali, si è partiti dall’assunto che diversità è sinonimo di ricchezza, si sono individuati alcuni concetti chiave per permettere un’approfondita lettura dei territori lucani, si è cercato di raccontare di un territorio il suo percorso conoscitivo, di simulare diverse forme e opzioni del viaggiare e di restituire al lettore delle chiavi interpretative che dessero gli stimoli utili a creare il proprio viaggio in Basilicata.

Tutti i capitoli, anche se in forma indiretta e nel rispetto delle diverse articolazioni disciplinari, hanno pian piano ridi-segnato una regione palcoscenico dalla quale emergono “tante regioni” che corrispondono a rappresentazioni e narrazioni tra loro diverse. Strumenti di questo apparato conoscitivo sono stati la cartografia, il cinema, la geografia, la guidistica di viaggio e la letteratura che, intersecandosi nei diversi capitoli, hanno concorso a dare significato a vari tragitti narrativi dando forma ai tanti contenuti presenti.

Proprio nella prospettiva di dare ordine e forma alle tante sollecitazioni provenienti dai territori lucani ci si è misurati con la necessità di individuare l’altro tema chiave utile a compendiare i diversi impulsi: il paesaggio nella sua vocazione polisemica che meglio si attaglia a questa realtà regionale. Nel paesaggio si ritrova quella giusta mediazione di varietà territoriale che permette di raffinare la ricerca e attraverso i paesaggi si riescono a distinguere le vocazioni territoriali che concorrono a formare il quadro regionale.

La portata e la coscienza dei luoghi, la volontà di cercare diverse realtà rurali, nei borghi montani come nella dimen-sione costiera, le relazioni esistenti o esistite tra l’uomo e l’ambiente, le forme artistiche che hanno saputo rappresentare paesaggi complessi, strumenti loro stessi di un viaggiare di qualità, divengono ispirazione per la scrittura dei diversi autori.

E ancora, scorrendo l’articolazione dei capitoli si comprende la necessità della scelta di individuare nel viaggio e nel paesaggio le giuste forme interpretative, partendo dalle diversità presenti in “Una regione, molte regioni”, proseguendo con l’esigenza di dare forma “Rappresentazioni, segni e forme”, e ancora nella dimensione sensoriale di “Emozioni e paesaggi”, o nella connotazione letteraria di “Paesaggi di parole”, per poi analizzare “La Basilicata nelle guide Touring” e finire nella ricerca degli “Itinerari per un turismo lento”.

Pur lasciando piena libertà al lettore di scegliere tra i propri interessi, si è voluto provare a trasmettere suggestioni che consentono di elaborare un’originale modalità di viaggio.

La soggettività del singolo si confronta utilmente con luoghi e paesaggi dando vita a sperimentazioni della propria misura del conoscere, per trovarsi così a riscoprire un Mezzogiorno in progressivo attento cambiamento.

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C o s a v e d i a m o d a v a n t i a u n p a e s a g g i o?

Cosa vediamo quando siamo di fronte a un paesaggio? Cosa vede il pittore che riproduce sulla tela il panorama osservato dal balcone di una abitazione a Pisticci (nella foto a lato)? Cosa ha in mente Aldo La Capra nel febbraio del 1967 quanto scat-ta, in quel momento, in quell’istante, da quel punto preciso la veduta del borgo di Marsicovetere e della valle dell’Agri? (foto sopra) Quali emozioni suscita in lui quella visione che de-riva dal trovarsi lì, dal suo Essere che si trova in quel preciso istante a Marsico Nuovo e non altrove? Carlo Levi vede quello che osserviamo noi ad Aliano quando scrive Cristo si è fermato a Eboli? E ancora, il barbiere De Lorenzo e l’autista Casaloro, due dei protagonisti del film tratto dal libro, cosa ricordano di Carlo Levi e del paesaggio di Aliano nel momento in cui si con-fidano tra loro e ci mostrano questo dialogo attraverso il mezzo fotografico? Un mondo meridionale sicuramente non manipola-to, documentato e sentito, non semplice location, ma conquista culturale. Nel caso della Basilicata, o della Lucania che sia, gli esercizi della rappresentazione fotografica sul paesaggio travalicano l’esclusività della messa in arte dello sguardo. L’esercizio fotografico, la rap-presentazione per immagini del paesaggio, dei volti, delle vie, delle scene del quotidiano, non sono, per dirla con McLuhan,

un cliché. Non si instaura mai nell’osservazione cinematografica o fotografica del paesaggio lucano una insensibilità percettiva. Al contrario, ci appare quasi sempre, quasi in ogni fotogramma, di artista o di tecnico, di turista o di regista, un archetipo. Un’icona insomma, pensiamo con tutta evidenza a Matera ma anche alle Dolomiti Lucane, a Cristo si è fermato a Eboli, o, per altri versi, alla convivenza del mondo preindustriale e contadino dell’Italia degli anni Cinquanta. Questa iconizzazione del paesaggio e dei volti lucani è potente e non può essere banalmente modificata da nuove immissioni di oggetti, ma solo, e in modo più profondo, reinterpretata da nuove sensibilità – storiche e culturali – dello sguardo. Perché per il paesaggio lucano accade ciò? Perché qui, più che altrove, assi-stiamo a questa profonda e intensa ‘qualità’, intima e simboli-ca, della rappresentazione? Crediamo, in primo luogo, che ciò abbia a che fare con il racconto di una vicenda, di un drama, con una storia che si inscrive sul territorio. Un’incorporazione nella lettura delle memorie, delle identità, dei progetti. Nella prima direzione, quella delle memorie legate al paesaggio, la realtà osservata si piega alle attese percettive che derivano dalle esperienze passate. È così forse che l’osservazione di una scena, di un paesaggio, di un volto fotografato in questa splendida

EMOZIONI E PAESAGGI

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La rappresentazione del paesaggio filtrata

dalla sensibilità dello sguardo

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regione ci rimanda alla nostra stessa storia e ci rende prota-gonisti di questa storia comune. La seconda accezione, quella di tipo identitario, si incarica di attribuire un senso al sog-getto rappresentato, lo colloca al centro della scena, lo rende protagonista della storia stessa. È l’esperienza con il paesaggio che osservo, quello lucano nel nostro caso, che contribuisco a costruire pur essendone spettatore. Infine, in termini ‘proget-tuali’ la pratica della narrazione fotografica e dell’esperienza paesistica lucana, pur essendo riconducibile evidentemente al soggetto, va ricondotta a un’attitudine collettiva di accesso alla conoscenza e al sentimento.I fotografi, sottolinea il geografo Augustin Berque, utilizza-no spesso il «soggetto paesaggio» quale momento espressivo e istitutivo del proprio sguardo che si differenzia da quello impresso nelle foto-ricordo del turista o da quello dell’artista. Il paesaggio dunque ha a che fare con la nostra sensibilità, con la percezione del mondo esterno e con l’azione su di esso, qualcosa insomma di non dato nell’immediatezza del mondo naturale e che solo l’attività spirituale umana, dell’essere che collega, che separa e che valuta, può fare della natura un pae-saggio. È in questo senso dunque che la fotografia, così come il cine-ma, la televisione, le nuove tecnologie multimediali, inizia ad assumere un ruolo rilevante nei modelli di costruzione delle geografie individuali e collettive, alle diverse scale di analisi, dalle micro geografie agli approcci didattici, dalle storie locali alle rappresentazioni nazionali. È a partire da questo “corpo a corpo” continuo che le visual culture cercheranno di produrre senso paesistico a partire tuttavia da un rapporto tra forme ma-teriali e stati emotivi spesso incomunicabile.

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A lato, arrivo di un venditore ambulante ad Aliano

Strada vecchia e strada nuova presso Aliano

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Sul finire degli anni Sessanta, chiamato dal sociologo Aldo Musacchio impegnato a dar vita a una nuova esperienza di programmazione territoriale dello sviluppo, giunge in Ba-silicata Mario Cresci. Il fotografo genovese si inserisce nel gruppo di progettazione Il Politecnico, che in quel momen-to lavora alla redazione del Piano Regolatore Generale di Tricarico. Ne esce il Quaderno del Piano a cura del grup-po di elaborazione del Piano Regolatore Generale (Mario Cresci, Aldo Musacchio, Ferruccio Orioli e Raffaele Pa-nella) del febbraio 1967. Ma Cresci continuò questo la-voro nella redazione della Variante al Piano Regolatore di Matera e di seguito nella stesura del Progetto di Piano Regionale di Sviluppo.Sempre lungo questa linea si colloca il lavoro di Augusto Vig-giano che pubblica, con la prefazione di Aldo Musacchio, La cultura e gli oggetti, cui seguirà I sentieri del sacro, aspetti del-la cultura popolare in Basilicata. Le due opere documentano aspetti e caratteri della cultura lucana inquadrando il paesag-gio come cornice esistenziale della condizione sociale di un popolo. Cresci intanto pubblica L’archivio della memoria con la presentazione di Goffredo Fofi in cui la fotografia diventa specchio della storia e testimonianza della realtà. Poi il terre-moto del novembre del 1980 squassa la regione con il suo cari-co di distruzione e di morte. E Mario Cresci è li a documentar-ne le ferite con le immagini della Terra inquieta. A ridosso di quella tragedia una moltitudine di fotografi visita la Basilicata cercando di rilevarne il positivo, il bello, in una parola il fasci-

no che non si spiega. Con Cresci si ritrovano Franco Fontana, Luigi Ghirri, Aldo La Capra e Cuchi White per realizzare un volume, introdotto da Raffaele Nigro, La Basilicata. Il fascino discreto di una terra antica (1987).Sempre in questi anni, Lello Mazzacane e Alberto Baldi, ri-cercatori e fotografi dell’Università di Napoli, partecipano al Progetto Fotografia, proposto dallo stesso Mario Cresci e pro-mosso dal Dipartimento Regionale alla Cultura e Formazione della Regione Basilicata, teso a recuperare il vasto patrimonio fotografico regionale. E in quest’ambito, che potremmo defi-nire degli ‘sguardi interni’, va collocato il lavoro di Prospero Di Nubila, fotografo di Francavilla sul Sinni, che offre uno spaccato autentico della vita e delle condizioni dei lucani di quella località tra il 1902 e il 1989. Dopo questa esperien-za Mario Cresci parte per Bergamo dove continuerà la sua ricerca artistica restando legato a Matera cui dedica uno dei suoi volumi più belli, Matera. Luoghi d’affezione, del 1992, nel quale immortala i rioni, le chiese rupestri e il paesaggio antico e moderno della città adottata dall’Unesco. Con lui c’è il lucano Aldo La Capra che ha dedicato la propria esistenza a fotografare la storia e la cultura della Basilicata. Il fotogra-fo potentino seppe condurre una ricerca artistica minuziosa e costante raccontata nei volumi Lucania 1 (1968), L’assenza imposta (1969). In un suo appunto c’è la varietà della lucanità: «È sempre difficile fornire una sintesi di cosa la Lucania ha rappresentato con i suoi paesi, le sue strade, i quadri nasco-sti, il rumore allegro delle fiere, la solennità spensierata delle

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«Il tempo del paesaggio non è il tempo dell’uomo. Il tempo del paesaggio è il tempo del silenzio, il tempo dell’uomo è il tempo del rumore», così esordiva Eugenio Turri nel suo splendido Paesaggio e silenzio (2004, p. 21). Osserviamo dall’alto la forma delle città dense di case, di campi col-tivati, le strade, da Acerenza ad Anzi, da Craco a Maratea. Tutto laggiù è dinamico, si muove, si trasforma incessan-temente, fa rumore. Il brusio del mondo e il silenzio della veduta dall’alto. Il silenzio delle immagini fotografiche, in associazione al rumore di fondo che si può scorgere in bas-so. Cose del pianeta Terra, in cui ciò che vediamo cessa di essere evento e diventa oggetto. Accade per gli stessi oggetti antropici che al massimo assumono la loro qualità di ‘segni’. Tutti questi elementi che osserviamo e che interroghiamo di-ventano prodotti del tempo, della storia e dell’umanità del paesaggio lucano e del territorio che lo comprende. Tutto qui si lega, la storia geologica, quella biologica, le vicende dell’e-cosistema entro il quale l’uomo si trova e si ritrova con il suo operare di generazione in generazione.È a partire da qui, da questo stratificarsi delle generazioni sulla terra e della terra sui volti delle persone, che la Basilicata è sta-ta, e continua a essere, uno dei soggetti privilegiati della rap-presentazione fotografica e della narrazione geografica nel no-stro Paese. Alla metà del Novecento furono due scrittori, Carlo Levi e Rocco Scotellaro, a far conoscere al grande pubblico il volto, dolente e umano, della Basilicata. Il primo, torinese, raccontò le sue esperienze di confinato politico in Cristo si è

fermato a Eboli del 1945; il secondo, nato a Tricarico, in opere come Contadini del Sud (1954), L’uva puttanella (1955). Prima di allora questa regione, non certamente visitata dai viaggiatori del Grand Tour che da Napoli si recavano in Sicilia via mare, aveva fama di terra inospitale e sconosciuta, immersa in un’a-tavica arretratezza di cui anche la stessa Rai doveva vergognarsi se, ancora nel 1960, si rifiutò di trasmettere integralmente lo splendido film di Joris Ivens L’Italia non è un paese povero, poi-ché offriva uno spaccato dell’Italia particolarmente crudo.Sono proprio gli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta del secolo scorso a introdurre gli italiani alla scoperta della regio-ne anche dal punto di vista fotografico. Se negli anni Trenta del Novecento Giovannino Guareschi iniziò a ritrarre in im-magini la sua vita militare lucana tra Potenza e Melfi, fu in qualche modo Ernesto De Martino a documentare l’inchiesta etnografica in Lucania e, insieme a lui, Arturo Zavattini, Fran-co Pinna e soprattutto il fotografo francese André Martin che illustrò, insieme ad Ando Gilardi e Franco Pinna, Sud e magia (1959). A questi si aggiunsero più tardi i documentaristi Lino Del Frà (1960) e Folco Quilici (1967) che ripresero il paesaggio lucano mettendone in risalto anche gli aspetti naturalistici. E ancora, nel 1959, Luchino Visconti visita la Basilicata con il fotografo Paul Roland al quale si attribuisce la documentazione fotografica di quel viaggio cui dette il suo contributo anche un al-tro fotografo, Giuseppe Rotunno. Nel 1962 Rinaldo Della Vite realizza Basilicata 1962 che si traduce in una mostra accanto a quella di Henri Cartier-Bresson nel Museo provinciale di Potenza.

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La meraviglia degli ‘sguardi interni’,

le piccole cose che si guardano e non si vedono

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processioni, le piccole cose che si guardano e spesso non si vedono». Restano i suoi cieli, le foto aeree con cui ha fissato i contorni dei paesi seguendo il suo maestro Dinu Adamestea-nu, archeologo rumeno, che ha amato e studiato la Basilicata facendo emergere la storia delle sue origini. Tra i tanti che continuano a fotografare la Basilicata, vale la pena ricordare lo sguardo dall’interno del materano Roberto Paolicelli e dei potentini Arcangelo Michele Palese e Michele Spera, 194 storie di un segno del 1996. E ancora Antonio Pagnotta, abruzzese ma lucano di adozione, nel volume La ruota, la croce e la penna, Aldo Martinetti con le foto in bianco e nero nei Segni di Terra, il fiorentino Francesco Radino, Italia Lucania del 1981, intro-dotto da Giovanni Arpino. Il belga Guy Jaumotte rivisita il Pol-lino e, con la presentazione di Vittorio De Seta, pubblica Pollino (1993). Un posto di rilievo merita inoltre il Viaggio in Basilicata di Raffaele Nigro, con le foto di Nicola Amato per raccontare più un mito ancestrale che un itinerario turistico.E poi le foto straordinarie del paesaggio agricolo della Basilicata: Orizzonti lucani curato da Vita Verrastro, Angela Laguardia, Lui-gi Cannella, Palmarosa Fuccella, con le foto di Leonardo Nella. L’ultimo fotografo che ha voluto guardare la Basilicata è il mi-lanese Guido Alberto Rossi, autore, nel 2008, di Basilicata vista dal cielo con 132 aeroscatti mozzafiato.La Basilicata ospita luoghi e storie che si sono prestati al ritratto fotografico e a quello cinematografico: i Sassi di Matera, il pae-saggio lunare dei calanchi, le terre assolate del Vùlture, i paesini incastonati nelle montagne. Come in un fotogramma, il tempo, sul territorio lucano, sembra che si immobilizzi e non si corrom-pa. La Basilicata è viaggio dentro la pellicola, set senza confini.

Paesaggio lucano, bene comuneC’è dunque qualcosa in più nelle pieghe di questa ‘semplice’ os-servazione-rappresentazione-immagine del paesaggio. C’è qual-cosa di più e di fondamentale che si cela dietro questo ‘spettacolo visivo’ che la Basilicata ci offre in ogni istante, in ogni stagione, attraversando il tempo di cui si modificano solo i contorni economici. C’è qualcosa che rimanda a un’ontologia, a un’esi-stenza e a una materialità. È della dimensione dell’essere, dell’es-serci, dell’essere-nel-mondo, dello stare con la natura come co-stituzione fondamentale dell’essere, avrebbe detto Heidegger. Il paesaggio lucano in questo senso, proprio in quanto parte del nostro essere nel mondo, ci appare così come uno degli elementi

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A lato, veduta aerea del Porto, frazione di Maratea

Veduta aerea di Craco

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su cui Carlo Levi prima ed Ernesto De Martino poi cercavano di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana degli anni Sessanta. In questo tipo di visione tutto è proteso nell’esigenza di trasmettere all’osservatore l’atmosfera autentica di quel mondo, dalle scelte tecniche a quelle stilistiche, dalle didascalie delle fotografie ai soggetti raffigurati, tutto rimanda a scene di lavoro nei campi, animali, momenti comunitari. Non sembra in realtà che questo tipo di approccio, così come è avvenuto nel cinema influenzato dal Cristo si è fermato a Eboli, offra alcun cedimento alla nostalgia per il mondo contadino ‘di una volta’, anzi alcune scelte stilistiche assumono quasi le vesti di un rigore morale, di una scelta morale dalla quale gli stessi fotografi non possono allontanarsi. Siamo a metà strada tra la rappresentazione di una storia drammatica e una di tipo documentaristico. È in quest’ultimo senso che ci sembra di cogliere anche l’influsso dell’opera di De Martino in cui le pratiche magiche non erano viste solo quali eventi folclo-ristici, ma come momento di aiuto ai lucani per metabolizzare la negatività che investiva le loro esistenze.Il secondo modello che si può rintracciare ha a che fare invece con Matera e con il suo valore di intrinseca spiritualità religiosa. È chiaro come in questo caso i canoni rappresentativi non col-gano gli aspetti direttamente realistici del paesaggio, ma ne evi-denzino i tratti più intimi. È in questa direzione che si possono leggere non solo alcuni dei numerosi film girati nella regione, da Il Vangelo secondo Matteo (Pasolini, 1964) a The Passion (Gibson, 2004), ma molti degli scatti fotografici sulla città dei Sassi. In questa narrazione i Sassi diventano non solo luogo fisico, plasti-ca del suolo, morfologia, ma si incaricano di restituire la dimen-sione sociale che sta dietro lo sguardo dei due personaggi che la osservano da lontano. È in questo sguardo, che non osserviamo in una prospettiva diretta ma solo quale riflesso nella macchina fotografica, che sta l’essenza del paesaggio lucano. È in questa metanarrazione, in questa evocazione che riconosciamo quello che magistralmente ci indica Guido Piovene come «miscuglio di poeticismo diffuso che sembra fondere tra loro genti tanto diverse» (Piovene, 1957, p. 737).Il terzo modello infine, che potremmo definire della Basilicata coast to coast, rimanda invece nella contemporaneità a una rappre-sentazione ormai svincolata dalle premesse ineludibili degli anni della miseria e si ricollega al contrario a una Lucania insieme di paesaggi dell’anima e di credenze arcaiche ancora così potente-mente presenti nella contemporaneità.

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La cripta di S.Vito, chiesa rupestre della Murgia Timone

In alto, processione del Venerdì Santo a Barile

Veduta della Gravina di Matera e del rione del Sasso Barisano

In alto, case tipiche con scalette d’accesso nei Sassi di Matera

fondanti dell’identità come soggetti e come comunità. Le co-munità locali lucane, immerse nel paesaggio come attori nella recitazione, non parlano del paesaggio che vivono solo in termini di estetica, di spettacolo, ma come parte fondante del sé, come parte correlata alla formazione e alla formulazione dei bisogni primi. Paesaggio dunque come mediazione simbolica e visiva tra territorio e società che si rende manifesto, oltre che nella sua dimensione concreta, anche attraverso l’uso e l’interpretazione delle diverse forme espressive contribuendo a fare del paesaggio una lente d’ingrandimento, quasi un paradigma interpretativo, attraverso cui leggere e comprendere, in un’ottica transcalare e multidisciplinare, il ‘mondo’ contemporaneo. Una vera e propria «messa in paesaggio» del mondo, un «effetto paesaggio» (Vec-chio, 2009).

Il paesaggio come setIl paesaggio lucano come qualcosa di più di una semplice, seppur importante, location cinematografica. È vero, il paesaggio di que-sta regione è stato utilizzato e dunque veicolato in oltre quaranta pellicole dal 1949 a oggi. Da Nel mezzogiorno qualcosa è cambiato di Carlo Lizzani a Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo, da The Passion di Mel Gibson a Viva l’Italia di Roberto Rosselli-ni. La Murgia, i Sassi del Materano, Craco assumono dunque quasi il significato di location, ma non nel senso di una esclusiva scenografia naturale, originale o ricostruita, ma di un paesaggio dove la componente essenziale dello sguardo non è solamente atto fisiologico, ma operazione di portata culturale in cui simboli, miti e credenze religiose assumono un ruolo decisivo. Il paesaggio così non si configura come entità a sé, ma si carica della iden-tità data dall’attività umana, come natura nella quale la civiltà rispecchia se stessa, immedesimandosi nelle sue forme. In questa direzione l’atto dell’osservazione non è più solo atto individuale e indipendente, ma svolge un’operazione legata alla società di ap-partenenza, al suo sistema di valori. Vale la pena accennare come la rappresentazione del paesaggio della Basilicata da parte di fo-tografi e registi nel corso di larga parte del Novecento risponda ad alcune tendenze dominanti. In primo luogo il tentativo di una rappresentazione realistica della terra lucana, mostrata nelle con-dizioni di miseria e arretratezza, che deriva il proprio approccio dalle riflessioni succedutesi sulla questione meridionale. Potrem-mo definire questo modello rappresentativo come quello che fa riferimento «alla terra oscura senza peccato e senza redenzione»

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