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Una questione privatadi Beppe FenoglioLetteratura italiana EinaudiEdizione di riferimento:in Una questione privata; I ventitre

giorni della città di Alba, Einaudi,Torino 1990.

Letteratura italiana EinaudiSommarioCapitolo I1Capitolo II7Capitolo III17Capitolo IV26

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Capitolo V34Capitolo VI44Capitolo VII53Capitolo VIII65Capitolo IX77Capitolo X97Capitolo XI104Capitolo XII123Capitolo XIII

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130Letteratura italiana EinaudiILa bocca socchiusa, le braccia

abbandonate lungo i fianchi, Miltonguardava la villa di Fulvia, solitariasulla collina che degradava sulla città diAlba.

Il cuore non gli batteva, anzisembrava latitante dentro il suo corpo.

Ecco i quattro ciliegi chefiancheggiavano il vialetto oltre ilcancello appena accostato, ecco i duefaggi che svettavano di molto oltre iltetto scuro e lucido. I muri erano semprecandidi, senza macchie né fumosità, nonstinti dalle violente piogge degli ultimi

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giorni. Tutte le finestre erano chiuse, acatenella, visibilmente da lungo tempo.

«Quando la rivedrò? Prima dellafine della guerra è impossibile. Non ènemmeno augurabile. Ma il giornostesso che la guerra finisce correrò aTorino a cercarla. È

lontana da me esattamente quanto lanostra vittoria».

Il suo compagno si avvicinava,pattinando sul fango fresco.

– Perché hai deviato? – domandòIvan. – Perché ora ti sei fermato? Cosaguardi? Quella casa? Perché ti inte-ressia quella casa?

– Non la vedevo dal principio dellaguerra, e non la rivedrò piú prima della

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fine. Abbi pazienza cinque minuti, Ivan.– Non è questione di pazienza, ma di

pelle. Quassú è pericoloso. Le pattuglie.– Non si azzardano fin quassú. Al

massimo arrivano alla strada ferrata.– Da’ retta a me, Milton, pompiamo.

L’asfalto non mi piace.– Qui non siamo sull’asfalto, –

rispose Milton che si era rifissato allavilla.

– Ci passa proprio sotto, – e Ivanadditò un tratto del-Letteratura italianaEinaudi

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privata lo stradale subito a valle dellacresta, con l’asfalto qua e là sfondato,

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sdrucito dappertutto.– L’asfalto non mi piace, – ripeté

Ivan. – Su una stradina di campagna puoifarmi fare qualunque follia, ma l’asfaltonon mi piace.

– Aspettami cinque minuti, – risposecheto Milton e avanzò verso la villa,mentre soffiando l’altro si accocco-lavasui talloni e con lo sten posato sullacoscia sorvegliava lo stradale e iviottoli del versante. Lanciò pureun’ultima occhiata al compagno. – Macome cammina?

In tanti mesi non l’ho mai vistocamminare cosí come se camminassesulle uova.

Milton era un brutto: alto, scarno,

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curvo di spalle.Aveva la pelle spessa e

pallidissima, ma capace di info-scarsi alminimo cambiamento di luce o di umore.A ventidue anni, già aveva ai lati dellabocca due forti pieghe amare, e la fronteprofondamente incisa per l’abitudine distare quasi di continuo aggrottato. Icapelli erano castani, ma mesi dipioggia e di polvere li avevano ridottialla piú vile gradazione di biondo.All’attivo aveva solamente gli occhi,tristi e ironici, duri e ansiosi, che laragazza meno favorevole avrebbegiudicato piú che notevoli. Aveva gambelunghe e magre, cavalline, che gliconsentivano un passo esteso, rapido e

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composto.Passò il cancello che non cigolò e

percorse il vialetto fino all’altezza delterzo ciliegio. Com’erano venute bellele ciliege nella primavera delquarantadue. Fulvia ci si eraarrampicata per coglierne per loro due.Da mangiar-si dopo quella cioccolatasvizzera autentica di cui Fulvia parevaavere una scorta inesauribile. Ci si eraarrampicata come un maschiaccio, percogliere quelle che diceva le piúgloriosamente mature, si era allargata suun ramo laterale di apparenza nontroppo solida. Il cestino era già pieno eancora non scendeva, nemmenorientrava verso il tronco. Lui arrivò a

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pensare che Fulvia tardasse appostaperché lui si decidesse a farlesi un po’piú sotto Letteratura italiana Einaudi

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privata e scoccarle un’occhiata da sottoin sú. Invece indietreg-giò di qualchepasso, con le punte dei capelli gelate ele labbra che gli tremavano. «Scendi.Ora basta, scendi. Se tardi a scenderenon ne mangerò nemmeno una. Scendi orovescerò il cestino dietro la siepe.Scendi. Tu mi tieni in agonia». Fulviarise, un po’ stridula, e un uccello scappòvia dai rami alti dell’ultimo ciliegio.

Proseguí con passo leggerissimoverso la casa ma presto si fermò e

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retrocesse verso i ciliegi. «Come potevoscordarmene?» pensò, molto turbato.Era successo proprio all’altezzadell’ultimo ciliegio. Lei avevaattraversato il vialetto ed era entrata nelprato oltre i ciliegi. Si era sdraiata,sebbene vestisse di bianco e l’erba nonfosse piú tiepida. Si era raccolta nellemani a conca la nuca e le trecce efissava il sole. Ma come lui accennò adentrare nel prato gridò di no. «Restadove sei. Appoggiati al tronco delciliegio. Cosí». Poi, guardando il sole,disse: «Sei brutto». Milton assentí congli occhi e lei riprese: «Hai occhistupendi, la bocca bella, una bellissimamano, ma com-plessivamente sei

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brutto». Girò impercettibilmente la testaverso lui e disse: «Ma non sei poi cosíbrutto. Come fanno a dire che sei brutto?Lo dicono senza… senza ri-flettere». Mapiú tardi disse, piano ma che lui sentissesicuramente: «Hieme et aestate, prope etprocul, usque dum vivam… O grande ecaro Iddio, fammi vedere per un attimosolo, nel bianco di quella nuvola, ilprofilo dell’uo-mo a cui lo dirò». Scattòtutta la testa verso di lui e disse:

«Come comincerai la tua prossimalettera? Fulvia dannazione?» Lui avevascosso la testa, frusciando i capellicontro la corteccia del ciliegio. Fulviasi affannò. «Vuoi dire che non ci saràuna prossima lettera?» «Semplicemente

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che non la comincerò Fulvia dannazione.Non temere, per le lettere. Mi rendoconto. Non possiamo piú farne a meno.Io di scrivertele e tu di riceverle».

Era stata Fulvia a imporgli discriverle, al termine del primo invitoalla villa. L’aveva chiamato su perché leLetteratura italiana Einaudi

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privata traducesse i versi di DeepPurple. Penso si tratti del sole altramonto, gli disse. Lui tradusse, daldisco al minimo dei giri. Lei gli diedesigarette e una tavoletta di quellacioccolata svizzera. Lo riaccompagnò alcancello. «Po-trò vederti, – domandò

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lui, – domattina, quando scen-derai inAlba?» «No, assolutamente no». «Ma civieni ogni mattina, – protestò, – e fai ilgiro di tutte le caffette-rie».«Assolutamente no. Tu ed io in città nonsiamo nel nostro centro». «E qui potròtornare?» «Lo dovrai».

«Quando?» «Fra una settimanaesatta». Il futuro Milton brancolò difronte all’enormità, alla invalicabilità ditutto quel tempo. Ma lei, lei come avevapotuto stabilirlo con tanta leggerezza?«Restiamo intesi fra una settimanaesatta. Tu però nel frattempo miscriverai». «Una lettera?» «Certo unalettera. Scrivimela di notte». «Sí, ma chelettera?» «Una lettera». E cosí Milton

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aveva fatto e al secondo appuntamentoFulvia gli disse che scriveva benissimo.«Sono… discreto».«Meravigliosamente, ti dico. Sai chefarò la prima volta che andrò a Torino?

Comprerò un cofanetto perconservarci le tue lettere. Le conserveròtutte e mai nessuno le vedrà. Forse lemie nipoti, quando avranno questa miaetà». E lui non poté dir niente, oppressodall’ombra della terribile possibilitàche le nipoti di Fulvia non fossero anchele sue. «La prossima lettera come lacomincerai? – aveva proseguito lei. –Questa cominciava con Fulviasplendore. Davvero sono splendida?»«No, non sei splendida». «Ah, non lo

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sono?» «Sei tutto lo splendore». «Tu, tutu, – fece lei, –

tu hai una maniera di metter fuori leparole… Ad esem-pio, è stato come sesentissi pronunziare splendore per laprima volta». «Non è strano. Non c’erasplendore prima di te». «Bugiardo! –mormorò lei dopo un attimo, –

guarda che bel sole meraviglioso!»E alzatasi di scatto corse al margine delvialetto, di fronte al sole.

Ora lo sguardo basso di lui rifacevaquel lontano tra-gitto di Fulvia, maprima di arrivare al limite ritornò alLetteratura italiana Einaudi

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privata punto di partenza, all’ultimociliegio. Come si era im-bruttito, einvecchiato. Tremava e sgocciolava,impudi-camente, di contro il cielobiancastro.

Poi si riscosse e un po’ pesantementearrivò sulla spianata davanti alportichetto d’entrata. Il ghiaino era im-pastato di foglie macerate, le foglie deidue autunni di lontananza di Fulvia. Aleggere si metteva quasi sempre lí, a filodell’arco centrale, raccolta nella grandepoltrona di vimini coi cuscini rossi.Leggeva Il cappello verde, La signorinaElsa, Albertine disparue… A lui queilibri nelle mani di Fulvia pungevano ilcuore. Malediceva, odiava Proust,

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Schnitzler, Michael Arlen. Piú avanti,però, Fulvia aveva imparato a fare ameno di quei libri; le bastava-no,pareva, le poesie e i racconti che a gettocontinuo lui traduceva per lei. La primavolta le aveva portato la versione diEvelyn Hope. «Per me?» fece lei.«Esclusivamente». «Perché a me?»«Perché… guai se tu non sei il tipo perqueste cose». «Guai a me?» «No, guai ame stesso». «E che cos’è?» «BeautifulEvelyn Hope is dead/Sit and watch byher side an hour». Dopo, le luc-cicavanogli occhi, ma preferí abbandonarsiall’ammirazione per il traduttore.«Proprio tu l’hai tradotta? Ma allora seiun vero dio. E cose allegre non ne

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traduci mai?»«Mai». «E perché?» «Nemmeno mi

vengono sott’occhio. Credo chescappino da me, le cose allegre».

La volta dopo le portò un raccontodi Poe. «Di che parla?» «Of my love, ofmy lost love, of my lost love Morella».«Lo leggerò stanotte». «Io l’ho tradottoin due notti». «Non stai troppo su dinotte?» «Devo comunque, – rispose lui.– Non c’è notte senza allarme e io sononell’UNPA». Esplose a ridere.«Nell’UNPA! Sei dell’UNPA? Questome lo dovevi nascondere. È tropporidicolo. Volontario nell’UNPA, colbracciale giallo e blu!» «Col braccialesí, ma volontario un bel niente! Ci hanno

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arruolati in Federazione e se manchi aun allarme l’indomani ti trovi le guardiea casa. Anche Giorgio è Letteraturaitaliana Einaudi

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privata nell’UNPA». Ma di GiorgioFulvia non rise, forse perché aveva giàscaricato su lui tutta la sua ilarità.

Era stato Giorgio Clerici apresentargliela, in palestra, dopo unapartita di pallacanestro. Uscivano daglispo-gliatoi e la trovarono, come unaperla mimetizzata nelle alghe, nei restidel pubblico che sfollava. «Questa èFulvia. Sedici anni. Sfollata da Torinoper fifa dei bombar-damenti aerei che in

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fondo in fondo la divertivano. Ora abitada noi, in collina, nella villa che era delnotaio… eccetera, eccetera. Fulvia ha unsacco di dischi americani.

Fulvia, questo è un dio in inglese».Solo all’ultimo Fulvia aveva

sollevato gli occhi a Milton, e i suoiocchi dicevano che quello, Milton,poteva esser tutto tranne che un dio.

Milton si premette le mani sul viso ein quel buio cercò di rivedere gli occhidi Fulvia. Alla fine abbassò le mani esospirò, esausto dallo sforzo e dallapaura di non ricordarli. Erano di uncaldo nocciola, pagliettati d’oro.

Voltò la testa al crinale e ci vide unaparte di Ivan, sempre accoccolato e

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attento al lungo, complesso pendio.Arrivò sotto il portichetto. «Fulvia,

Fulvia, amore mio». Davanti alla portadi lei gli sembrava di non dirlo al vento,per la prima volta in tanti mesi. «Sonosempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto,ho camminato tanto…

Sono scappato e ho inseguito. Misono sentito vivo co-me mai e mi sonvisto morto. Ho riso e ho pianto. Houcciso un uomo, a caldo. Ne ho vistiuccidere, a freddo, moltissimi. Ma iosono sempre lo stesso».

Sentí un passo avvicinarsi di lato sulmarciapiede peri-metrale della villa.Milton spallò a metà la carabinaamericana, ma, per quanto pesante, era

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un passo di donna.Letteratura italiana Einaudi6Beppe Fenoglio - Una questione

privata IILa custode spiò dall’angolo. – Un

partigiano! Cosa vuole? Chi cerca? Malei è…

– Sono proprio io, – disse Miltonsenza sorridere, troppo sconcertato dalvederla tanto invecchiata. Il corpo le siera fatto piú tozzo e la faccia piú smuntae tutti i suoi capelli erano bianchi.

– L’amico della signorina, – disse ladonna lasciando il riparo dell’angolo. –Uno degli amici. Fulvia è via, è tornata aTorino.

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– Lo so.– È partita piú di un anno fa, quando

voi ragazzi avete messo su questa vostraguerra.

– Lo so. Ha piú avuto notizie?– Di Fulvia? – Scosse la testa. – Mi

promise di scriver-mi, ma non l’ha maifatto. Però io ci spero sempre e ungiorno o l’altro riceverò.

«Questa donna, – pensava Miltonfissandola stralunato, – questa vecchia,insignificante donna riceverà una letterada Fulvia. Con notizie della sua vita, isaluti e la firma».

Firmava cosí: , almeno con lui.Fu|lvi|a

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– Può darsi mi abbia scritto e lalettera sia andata per-sa –. Abbassò gliocchi e proseguí: – Era cara Fulvia. Im-pulsiva, forse capricciosa, ma moltocara.

– Certo.– E bella, molto bella.Milton non rispose, solo portò avanti

il labbro inferiore. Era un suo modo diricevere il dolore e resister-vi, labellezza di Fulvia l’aveva sempre, piúche altro, addolorato.

Lei lo guardò un po’ obliquamente edisse: – E pensia-mo che non ha ancoradiciotto anni. Sedici scarsi, allora.

– Debbo chiederle un favore.Lasciarmi rivedere la Letteratura

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italiana Einaudi7Beppe Fenoglio - Una questione

privata casa –. La voce gli usciva dura,senza che volesse, quasi raschiante. –Lei non immagina che… aiuto midarebbe.

– Ma certo, – rispose lei, torcendosile mani.

– Mi lasci rivedere solo la nostrastanza –. Aveva cercato, senza effetto, diammorbidire la voce. – Non le prenderòpiú di due minuti.

– Ma certo.La donna gli avrebbe aperto

dall’interno, per far ciò doveva aggirarela villa, avesse pazienza. – E dirò al

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figlio del contadino di uscire sull’aia emontare un po’ di guardia.

– Da quell’altra parte, per favore.Da questa ci sta attento un compagno.

– Credevo fosse solo, – disse ladonna con una nuova preoccupazione.

– È come se lo fossi.La custode scantonò e Milton riuscí

sulla spianata.Batté le mani verso Ivan e poi gli

presentò una mano aperta. Cinqueminuti, aspettasse cinque minuti. (Poisbirciò il cielo per imprimersi un altrogrande elemento di ricordo di quelgiorno stupendo. Su quel mare grigio unaflotta di nubi nerastre scivolava versoovest inve-stendo di prua certe nuvolette

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candide che immediatamente andavanoin pezzi. Venne una folata di vento chescrollò gli alberi e lo stillicidiotintinnava sul ghiaino.

Ora il cuore gli batteva, le labbra glisi erano di colpo inaridite. Sentivafiltrare attraverso la porta la musica diOver the Rainbow. Quel disco era statoil suo primo re-galo a Fulvia. Dopol’acquisto era stato tre giorni senzafumare. Sua madre vedova gli passavauna lira al giorno e lui l’investiva tuttain sigarette. Il giorno che le portò ildisco, lo suonarono per ventotto volte.«Ti piace? – le domandò, contratto,abbuiato dall’ansia perché la giustadomanda sarebbe stata: – Lo ami?»

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«Vedi bene che lo rimetto, – avevarisposto lei. E poi: – Mi piace dasvenire. Quando finisce, senti chequalcosa è veramente fini-Letteraturaitaliana Einaudi

8Beppe Fenoglio - Una questione

privata to». E allora, qualche settimanapiú avanti: «Fulvia, hai una canzonepreferita?» «Non saprei. Ne ho tre oquattro». «Non è…?» «Forse, ma no! écarinissima, mi piace da morire, ma neho altre tre o quattro».

La custode veniva, sotto il suo passoil parquet scric-chiolava anormalmente,con un crepitío astioso, mali-gno. Comese non gradisse di esser risvegliato,

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immaginò Milton. Si affrettò sotto ilportico e una dopo l’altra raschiava lescarpe fangose sul filo del gradino. Sentíla donna scattare l’interruttore della lucee armeggiare alla serratura. Lui era ametà strada nel ripulirsi.

La porta si socchiuse. – Entri, entricosí, entri subito.

– Il parquet…– Oh, il parquet, – fece lei con una

sorta di disperata dolcezza. Ma lo lasciòfinire, e mormorava: é piovuto tanto, e ilcontadino dice che pioverà ancora tanto.Mai visto in vita mia un novembre cosípiovoso. Voi partigiani sempreall’aperto come vi asciugate?

– Sulla pelle, – rispose Milton, che

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ancora non aveva osato guardar dentro.– Ora basta, entri, entri cosí.La donna aveva acceso un solo lume

del lampadario.La luce piombava sul tavolo

intarsiato senza riverberare e nell’ombracircostante le federe bianche dellepoltrone e del divano baluginavanospettralmente.

– Non sembra d’entrare in unatomba?

Lui rise stupidamente, come fa chideve mascherare un pensiero moltoserio. Non poteva certo dirle che quelloper lui era il piú luminoso posto almondo, che lí per lui c’era vita oresurrezione.

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– Ho paura… – cominciò calma ladonna.

Non le badava, forse nemmeno lasentí, rivedeva Fulvia raccolta nel suofavorito angolo di divano, con la testaleggermente arrovesciata, di modo cheuna delle sue trecce pendeva nel vuoto,lucida e pesante. E rivedeva se stessoseduto nell’angolo opposto, le lunghemagre Letteratura italiana Einaudi

9Beppe Fenoglio - Una questione

privata gambe stese lontane, che leparlava a lungo, per ore, lei cosí attentache appena respirava, lo sguardo quasisempre lontano da lui. Gli occhi le sivelavano presto di lacrime. E quando

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non poteva piú trattenerle, allora scat-tava di lato la testa, si sottraeva, siribellava. – Basta.

Non mi parlare piú. Mi fai piangere.Le tue bellissime parole servono solo,riescono solo a farmi piangere. Seicattivo. Mi parli cosí, questi argomentili cerchi e li svi-luppi solo per vedermipiangere. No, non sei cattivo. Ma seitriste. Peggio che triste, sei tetro.Almeno piangessi anche tu. Sei triste ebrutto. E io non voglio diventare triste,come te. Io sono bella e allegra. Lo ero.

– Ho paura, – diceva la custode, –che finita la guerra Fulvia non torneràmai piú qui.

– Tornerà.

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– Io ne sarei felice, ma ho paura dino. Appena finita la guerra suo padrerivenderà la villa. L’ha comprataesclusivamente per Fulvia, per farcelasfollare. L’avrebbe già rivenduta se diquesti tempi e in questa zona sitrovassero compratori. Temo proprioche non la rive-dremo piú su questecolline. Fulvia andrà al mare, comefaceva ogni estate prima della guerra.Infatti va pazza per il mare e io l’hosentita tante volte parlare di Alassio.

Lei è mai stato ad Alassio?Non c’era mai stato, e diffidava di

quel posto, in un attimo lo odiò, speròproprio che la guerra lo riducesse in unostato per cui Fulvia non potesse piú

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recarcisi o semplicemente desiderarlo.– I suoi di Fulvia hanno una casa ad

Alassio. Quando era malinconica o stufaparlava sempre del mare e di Alassio.

– Le dico che tornerà.Andò al tavolino addossato alla

parete di fondo, a lato del caminetto. Siinclinò leggermente e col dito disegnò laforma del fonografo di Fulvia. Over theRainbow, Deep Purple, Covering theWaterfront, le sonate al pianoLetteratura italiana Einaudi

10Beppe Fenoglio - Una questione

privata di Charlie Khuntz e Over theRainbow, Over the Rainbow, Over theRainbow.

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– Quanto ha lavorato quelgrammofono, – disse la donna agitandouna mano.

– Già.– Qui si ballava moltissimo, si

esagerava. E il ballo era severamenteproibito, anche in famiglia. Si ricordaquante volte son dovuta entrare a dirvidi far piano, che si sentiva fuori, permezza collina?

– Mi ricordo.– Lei però non ballava. O mi

sbaglio?No, non ballava. Non ci si era mai

provato, nemmeno per imparare. Stava aguardare gli altri, Fulvia e il suocompagno, cambiava i dischi e ridava la

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corda. Faceva insomma il macchinista.La definizione era di Fulvia. «Sveglia,macchinista! Viva il macchinista!»Aveva un timbro di voce nonpropriamente gradevole, ma lui erapronto ad accettare per esso la sordità atutte le voci dell’umanità e della natura.Fulvia ballava spessissimo con GiorgioClerici, duravano anche per cinque o seidischi consecutivi, slacciandosi appenanegli intervalli. Giorgio era il piú belragazzo di Alba ed anche il piú ricco,ovviamente il piú elegante. Nessunaragazza di Alba era in condizioni di farda pendant a Giorgio Clerici. Arrivò daTorino Fulvia e la coppia perfetta fuformata. Lui era biondo miele, lei bruna

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mogano. Fulvia era entusiasta diGiorgio, come ballerino.

« He dances divinely» , proclamava,e Giorgio di lei: «È… è indicibile», e,rivolto a Milton: «Nemmeno tu, che conle parole sei formidabile, saprestidire…» Milton gli sorride-va,silenzioso, tranquillo, sicuro, quasimisericordioso.

Non si parlavano mai, ballando.Ballasse Giorgio con Fulvia, facessequel poco che gli era mezzo e destino difare.

Una sola volta si era irritato, unavolta che Fulvia dimenticò di stralciaredalla serie dei ballabili Over theRainbow.

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Glielo fece osservare durante unapausa, e lei prontamente abbassò gliocchi e mormorò: «Hai ragione».

Letteratura italiana Einaudi11Beppe Fenoglio - Una questione

privata Ma un giorno, erano soli, Fulviacaricò il fonografo con le sue mani emise Over the Rainbow. «Avanti, ballacon me». Lui aveva detto, forse gridatodi no. «Devi imparare, assolutamente.Con me, per me. Avanti». «Non voglioimparare… con te». Ma già lo teneva, lospostava nello spazio libero espostandolo ballava. «No!» protestò lui,ma era cosí sconvolto che non riuscivanemmeno a tentare di divincolarsi. «E

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soprattutto non con quella canzone!» Malei non lo lasciava e lui dovette badare anon inciampare e rovinarle addosso.«Devi, – disse lei. –

Sono io che lo voglio. Io voglioballare con te, capisci?

Sono stufa di ballare con ragazzi chenon mi dicono niente. Io non sopportopiú di non ballare mai con te».

Poi, d’un tratto, proprio mentreMilton cedeva, lo abbandonò,rilanciandogli forte le braccia contro ilcorpo.

«Va’ a morire in Libia, – gli dissetornando al divano. –

Sei un ippopotamo, un ippopotamomagro». Ma un attimo dopo lui sentí la

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mano di Fulvia sfiorargli le spalle e ilsuo alito sulla nuca. «Davvero, dovrestipensare di piú a star diritto con lespalle. Sei curvo, troppo. Veramente,raddrizza le spalle. Tienile piú presenti,capisci? E

ora torniamo a sedere e tu parlami».Andò alla libreria, richiamato dal

fioco luccicore dei cristalli. Aveva giàvisto che era quasi vuota, con al piú unadecina di libri dimenticati, sacrificati. Siinclinò agli scaffali ma subito siraddrizzò, come per l’opposto effetto diun pugno alla bocca dello stomaco. Erapallido e gli mancava il respiro. Traquei pochi libri trascurati aveva vistoTess dei d’Urbervilles che lui aveva

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regalato a Fulvia, dissestandosi per unaquindicina.

– Chi ha scelto i libri da portar via oda lasciare? é stata Fulvia?

– Lei.– Proprio lei?– Ma certo, – disse la custode. – I

libri interessavano solo a lei. Li prese eli imballò lei stessa. Ma piú che altroLetteratura italiana Einaudi

12Beppe Fenoglio - Una questione

privata si preoccupò del grammofono edei dischi. Di libri, co-me vede, ne halasciati, ma di dischi nemmeno uno.

Nella porta si inquadrò la testa diIvan. Apparve ton-da, scialba e staccata,

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come una luna.– Che c’è? – fece Milton. –

Salgono?– No, ma andiamocene. È ora.– Altri due minuti ancora.Con una smorfia e un sospiro Ivan

ritirò la testa.– Mi scusi anche lei per altri due

minuti. Non disturberò mai piú, nonripasserò piú prima della fine dellaguerra.

La donna allargò le braccia. – Sifiguri. Purché non ci sia pericolo. Miricordavo benissimo di lei. Ha notatocome l’ho subito riconosciuto? E ledirò… mi faceva piacere, allora, quandoveniva a trovare la signorina. Lei piú di

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tutta l’altra compagnia. Lei piú delsignorino Clerici, a esser sincera. Aproposito, non ho mai piú visto ilsignorino Clerici. È partigiano pure lui?

– Si, siamo insieme. Siamo semprestati insieme, ma io ultimamente sonostato trasferito in un’altra brigata. Maperché dice che preferiva me a Giorgio?Come visitato-re, dico.

Quella esitò, abbozzò un gesto comeper cancellare la frase di prima oalmeno rimpiccolirla, ma – dica, dica, –

fece Milton con tutti i nervi che gli sitendevano in corpo.

– Non ne parlerà col signorinoClerici quando lo rivede?

– Ma le pare?

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– Il signorino Clerici, – disse allora,– mi fece inquie-tare e anche arrabbiare.Lo dico a lei perché ho stima di lei, lei èun ragazzo col viso tanto serio, mi lascidire che non ho mai visto un ragazzo conuna fisionomia cosí seria. Lei micapisce. Io contavo poco o niente, erosolamente la custode della villa, ma lasignora mamma di Fulvia, quando cel’accompagnò, mi aveva pregato, miaveva raccomandato…

– Un po’ di governante, – suggeríMilton.

Letteratura italiana Einaudi13Beppe Fenoglio - Una questione

privata

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– Ecco, se la parola non è grossa.Quindi io dovevo stare un po’ attenta aquel che succedeva intorno alla ragazza.Lei mi capisce. Con lei io stavotranquilla, tanto tranquilla. Parlavatesempre, per ore. O meglio, lei parlava eFulvia ascoltava. Non è vero?

– È vero. Era vero.– Con Giorgio Clerici invece…– Sí, – fece lui con la lingua secca.– Ultimamente, l’ultima estate voglio

dire, l’estate del‘43, lei era soldato, mi sembra.– Sí.– Ultimamente veniva troppo spesso,

e quasi sempre di notte. A mefrancamente quelle ore non piacevano.

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Arrivava con la macchina pubblica. Siricorda quella che po-steggiava sempredavanti al municipio? Quella bellamacchina nera, poi con quel ridicoloimpianto a gasogeno?

– Sí.La donna dondolò la testa. – Loro

due non li sentivo mai parlare. Ioorigliavo, non ho nessuna vergogna adirlo, origliavo per dovere. Ma c’erasempre un silenzio, quasi non ci fossero.E io non stavo per niente tranquilla. Manon dica queste cose al suo amico, miraccomando. Si misero a far tardi, ognivolta piú tardi. Fossero sempre rimastiqui fuori, sotto i ciliegi, non mi sareipreoccupata tanto. Ma cominciarono a

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uscire a passeg-gio. Prendevano per lacresta della collina.

– Da che parte? Da che parteprendevano?

– Eh? Un po’ di qui e un po’ di là,ma il piú spesso prendevano verso ilfiume. Sa, dove questa collina punta alfiume.

– Va bene.– Io naturalmente stavo su ad

aspettarla, ma rientra-vano ogni voltapiú tardi.

– Che ore facevano?– Anche mezzanotte. Io avrei dovuto

fare osservazio-ne a Fulvia.Letteratura italiana Einaudi14

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Beppe Fenoglio - Una questioneprivata Milton scosse violentemente latesta.

– Avrei dovuto sí, – disse la donna,– ma non ne trovai mai il coraggio. Midava soggezione, anche se poteva essermia figlia, come differenza d’età. Finchéuna sera, anzi una notte, tornò sola. Nonho mai saputo perché Giorgio non lariaccompagnò. Era molto tardi, passatala mezzanotte. Non piú un grillo cantavaper tutta la collina, mi ricordo.

– Milton, – fischiò Ivan da fuori.Nemmeno si voltò, ebbe solo una

contrazione al som-mo delle guance.– E poi?– E poi cosa? – fece la custode.

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– Fulvia e… lui?– Giorgio alla villa non si faceva

piú vedere. Ma usciva lei. Si davanoappuntamento. Lui aspettava a cinquantametri, addossato alla siepe perconfondersi. Ma io ero all’erta e lovedevo, lo tradivano i suoi capellibiondi. Quelle notti c’era una luna chespaccava.

– E questo fino a quando?– Oh, fino ai primi dell’altro

settembre. Poi successe il finimondodell’armistizio e dei tedeschi. PoiFulvia andò via da qui con suo padre. Eio, pur affezionata co-me le ero, fuicontenta. Stavo troppo sulle spine. Nondico che abbiano fatto il male…

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Eccolo lí, che tremava verga a verganella sua fradicia divisa cachi, con lacarabina che gli sussultava sulla spalla,la faccia grigia, la bocca semiaperta e lalingua grossa e secca. Finse un accessodi tosse, per darsi il tempo di ritrovarela voce.

– Mi dica. Fulvia quando partíprecisamente?

– Precisamente il dodici settembre.Suo padre aveva già capito che lacampagna sarebbe diventata molto piúpericolosa della grande città.

– Il dodici settembre, – fece ecoMilton. E lui, lui dove era il dodicisettembre 1943? Con un immenso sforzose Letteratura italiana Einaudi

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15Beppe Fenoglio - Una questione

privata ne ricordò. A Livorno,asserragliato nei cessi della stazione,digiuno da tre giorni, miserabilmentevestito di panni d’accatto. Sul punto disvenire per l’inedia e le esalazioni dellalatrina si era affacciato sul corridoio eaveva cozzato in quel macchinista che sistava abbottonando la brachet-ta. «Dadove vieni, militare?» bisbigliò.«Roma». «E

dov’è casa tua?» «Piemonte».«Torino?» «Vicinanze».

«Be’, io ti posso portare fino aGenova. Si parte tra mezz’ora, ma tivoglio nascondere subito nella

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carbonaia.Mica te ne frega di sembrare poi uno

spazzacamino?»– Milton! – richiamò Ivan, ma con

meno urgenza di prima e tuttavia lacustode ebbe un sobbalzo di paura.

– È proprio meglio che vada, sa?Comincio ad aver paura anch’io.

Macchinalmente Milton si girò e siavvicinò alla porta. Il dover salutaredecentemente la donna gli pesavaaddosso come un’impresa schiacciante.Serrò gli occhi e disse: – È stata moltogentile. Anche coraggiosa. Grazie ditutto.

– Ma di niente. Mi ha fatto piacererivederla qui, anche se con tutte quelle

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armi addosso.Milton diede un ultimo sguardo alla

stanza di Fulvia; era entrato perraccogliervi ispirazione e forza e neusciva spoglio e distrutto.

– Grazie ancora. Di tutto. E richiuda,subito

– Correte molti pericoli, vero? –domandò ancora la donna.

– No, non molti, – rispose,assestandosi la carabina sulla spalla. –Finora abbiamo avuto fortuna, moltafortuna.

– Speriamo vi duri fino alla fine.E… è certo che alla fine vincerete voi?

– È certo, – rispose smorto e siavventò di corsa per il vialetto dei

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ciliegi, passando in tromba Ivan.Letteratura italiana Einaudi16Beppe Fenoglio - Una questione

privata IIIRientrarono a Treiso verso le sei. La

strada sfumava sotto i loro piedi e gliultimi chiarori sembravano con-centrarsiin certe masse di nebbia grigia che lapioggia fissava sui pendii.

Tuttavia la sentinella li riconobbe adistanza e chia-mandoli per nomesgattaiolò loro incontro da sotto lasbarra del posto di blocco. Era unragazzino di appena quindici anni, sichiamava Gilera, ed era grasso e sodo,di poco piú alto del suo moschetto.

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Arrivavano. Le sei batterono alcampanile, per Milton con una tonalitàdifferente da sempre. Arrivavano.

In quella estrema umidità le stalledel paese puzzava-no come non mai esulla strada lo sterco dei buoi sidissolveva in rigagnoli giallastri.Arrivavano. Milton precedeva Ivan diun trenta passi e ancora marciava lungoe rapido mentre l’altro sbandava per lastanchezza.

– Milton, – fece Gilera, – che avetevisto d’interessante in Alba?

Lo sorpassò senza rispondergli eaccelerò verso la scuola elementare, nelfitto del paese, dove si trovava Leo, ilcomandante di brigata.

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– Gilera, – soffiò Ivan, – sai cosaavremo per cena?

– Mi sono già informato. Avremocarne e un pugno di nocciole. Il pane èdi ieri.

Ivan attraversò la strada e andò adafflosciarsi sul tronco addossato alcasotto del peso pubblico. Poi rovesciòla testa contro il muro e ce la oscillava.L’intonaco si sbriciolava e gliinforforava la testa.

– Cos’hai, Ivan, da soffiar tanto?– Colpa di Milton, – rispose Ivan. –

Milton è un assas-sino della strada.Siamo tornati ai cento all’ora.

Il ragazzino si eccitò. – Li avevatedietro?

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Letteratura italiana Einaudi17Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Macché. Li avessimo avuti.

Pompavamo di meno, ti assicuro.– Ma allora?– Allora lasciami perdere, – disse

brusco Ivan.Non poteva spiegare quel ritorno

senza dire dello stranissimo, pazzescocomportamento di Milton. Raccontato aGilera, avrebbe fatto il giro di tutta labrigata e sarebbe inevitabilmentepassato anche per Milton il quale se lasarebbe presa direttamente con lui Ivan.Ora, Ivan rispettava e temeva pochissimi

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studenti, ma Milton era tra questipochissimi.

– Che hai detto? – fece Gileraincredulo.

– Di lasciarmi perdere.Gilera tornò offeso al posto di

blocco e Ivan si accese una sigarettainglese. Si aspettava un intaso di tosseda farlo accartocciare e invece laboccata gli andò liscia.

«Dio fascista! – bestemmiòmentalmente. Ma che gli è preso? Èuscito come un razzo da quella villa ecome un razzo ha fatto tutta la strada. Eio dietro, con la milza che mi scoppiava,senza capircene niente e incapace dipiantarlo al suo destino. Potevo ben

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piantarlo e tornar-mene senza farmiscoppiare la milza».

Appoggiato alla sbarra, Gilera loguardava di traverso, pestando un piedein terra.

Ivan torse la testa dall’altra parte.«Ma che gli è preso?

Io dico che è impazzito o quasi.Eppure è sempre stato un ragazzo aposto, piú che a posto, persino freddo.Io sono testimone. L’ho visto mantener latesta anche quando la perdeva lo stessoLeo. Un ragazzo piú che a posto.

Ma è uno studente pure lui e glistudenti sono tutti un po’ tocchi. Noidella plebe siamo molto piú centrati».

Ci fu una vibrazione nell’aria bassa

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e caddero gocce grosse e rade.– Ora ripiove, – disse forte Ivan.Gilera non rispose.Letteratura italiana Einaudi18Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Io mi sento un fungo, – insisté Ivan.

– Parola che mi sento crescer la muffaaddosso.

Gilera alzò le spalle e si mise aguardare la discesa. In quel momento losgrondo cessò.

Ivan riprese a pensare, fumandoaccelerato per finir la sigaretta primache gli imputridisse fra le dita. «Io nonso cosa gli sia preso, che cosa abbia

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visto o sentito in quella casa di ricchi.Chissà che gli ha detto la vecchia?»Buttò il mozzicone e poi si grattò forte,freneticamente, la testa sopra leorecchie. «Quella vecchiaccia! Cosa gliè andata a dire? Poteva ben farne ameno, visto il momento che passiamo.Chissà che gli avrà detto. Uno direbbesubito che c’entra una ragazza», maintanto rideva fra sé, di in-credulità e didisprezzo. «Sí, è proprio il tempo e ilposto di perder la testa per una ragazza.Un partigiano serio come Milton. Leragazze! Oggi! Fanno ridere. Fannoschifo e pietà. Comunque, è sicuro cheera una cosa della vita di prima, etornare su queste cose fa piú male che

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be-ne. Con la vita e il mestiere chefacciamo si va in crisi co-me niente. Lecose di prima a dopo, a dopo!»

– Il vento, – annunciò Gilera, calmo,già disimbron-ciato.

– Sí, – fece Ivan con una sorta digratitudine nella vo-ce, e si rannicchiòsul tronco con le braccia conserte e lemani sulle scapole.

Tirava dalla direzione di Alba,ampio, basso, teso.

C’era poi quell’altro fatto piú grave,pensava Ivan, il ponte minato di SanRocco. A momenti Milton non cipassava su, stravolto com’era? E chefosse minato lo sape-vano anche lepiante e le pietre. Poco prima della

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borgata Ivan era staccato da Milton di uncentinaio di metri e l’aveva perso divista per via di un ciglione trasversale.

L’apprensione per il ponte gli erabalenata proprio per caso e allora,sebbene già la milza gli bucasse lapelle, Ivan era scattato in salita ed eraarrivato sul ciglione giusto in tempo perveder Milton che calava al ponte colpasso im-Letteratura italiana Einaudi

19Beppe Fenoglio - Una questione

privata placabile e cieco di un automa.Si trovava a venti passi dalla spalletta.Gridò il nome di Milton, ma quello nonsi voltò. Urlò disarticolatamente estavolta, fra la potenza dell’angoscia e

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l’amplificazione delle mani attorno allabocca lo sentirono di certo fin sullacollina dirimpetto.

Milton si arrestò netto, comeraggiunto nella schiena da una pallottola.Si voltò adagio. Ritto sul ciglione, Ivangli additò il ponticello, due o tre volte,poi sventolò una ma-no davanti allafronte. Il ponte minato, era pazzo?Milton finalmente accennò con la testa,si calò a valle del ponte e passò iltorrente su una fila di massi. E poi, perringraziamento, l’aveva poi aspettato?Una volta oltre il torrente, aveva subitoripreso quel passo tremendo e a Ivan eravenuta voglia di spedirgli dietro unaraffica di sten.

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Ivan si alzò dal tronco eappoggiando le mani sul sedere siaccorse che il fondo dei calzoni piú chespazzolato andava strizzato. Tesel’orecchio al cuore del paese e poidisse: – Ma cos’è questo mortorio?Gilera, e tutti gli altri?

– Quasi tutti al fiume, – rispose ilragazzo con la voce nuovamenteimbronciata. – Dicono che è ingrossatoda vedere.

– Esagerati, – fece Ivan. – Io eMilton l’abbiamo visto due ore fa adAlba. È grosso, ma ancora niente di spe-ciale.

– Sarà che da queste parti il fiume èpiú stretto e quindi figura piú gonfio.

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– Intendiamoci, – disse Ivan. – Nonè che io desideri che non ingrossi.Magari straripasse. Cosí almeno daquella parte stiamo tranquilli.

Si sentí un passo furioso e subitodopo un arresto e in cima alla rampettaapparve Milton. Una folata di vento loinvestí in pieno, senza smuovergliaddosso la divisa fradicia. Chiedeva diLeo, al comando non l’aveva trovato.

– C’è stato tutto il pomeriggio, –rispose Gilera. Io che ne debbo sapere?Sarà andato a casa del medico a sentirRadio Londra. Sí, prova dal medico.

Letteratura italiana Einaudi20Beppe Fenoglio - Una questione

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privata Per strada Milton, calcolandol’ora e la durata della trasmissione,stabilí che Leo aveva già lasciato lacasa del dottore e tornò diretto alcomando.

Infatti Leo era giusto rientrato, avevaacceso il lume a carburo e ne stavaregolando il beccuccio.

Stava in piedi dietro la cattedra, cheera l’unico mobile mantenuto al suoposto, tutti i banchi essendo statiaccatastati negli angoli.

Milton varcò appena la soglia e sitenne ai bordi della zona di luce.

– Leo, devi darmi un permesso perdomani. Mezza giornata di permesso.

– Dove hai bisogno di andare?

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– Appena a Mango.Leo in tutta fretta aumentò il volume

della luce.Ora le loro ombre toccavano con la

vita il soffitto.– Di’, hai forse nostalgia della tua

vecchia brigata?Di’, non avrai intenzione di

mollarmi solo con questa truppa diminorenni?

– Sta’ tranquillo, Leo. Ti dissi cheavrei firmato per finire la guerra con te.Te lo confermo. Faccio un salto a Mangounicamente per parlare con uno.

– Io lo conosco?– È Giorgio. Giorgio Clerici.– Ah. Siete molto amici tu e Giorgio.

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– Siamo nati insieme, – disse Miltontra i denti. Dunque posso andare?Tornerò per mezzogiorno.

– Torna pure per sera. Domani cilasceranno annoiare. Penso cilasceranno annoiare per un po’. Seattaccano, attaccano dai rossi. Un po’per uno del resto. L’ultima botta è stataper noi.

– Tornerò per mezzogiorno, – disseMilton con pun-tiglio e fece per ritirarsi.

– Un momento. E di Alba che midici? Niente?

– Non ho visto praticamente niente,– rispose Milton senza riavvicinarsi. –In tutto e per tutto ho visto una ronda sulviale di circonvallazione.

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Letteratura italiana Einaudi21Beppe Fenoglio - Una questione

privata– In che punto esattamente?– All’altezza del giardino vescovile.– Ah –. Gli occhi di Leo

sfolgoravano bianchi nella vampadell’acetilene. – Ah. E dove andavano?Verso la piazza nuova o verso lacentrale elettrica?

– Verso la centrale.– Ah, – rifece Leo acremente. – Non

è pignoleria, Milton, ma puromasochismo. Il fatto è che sonofollemente innamorato di Alba. A furiadi pensarla come centro di gravità della

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mia brigata… sí, se tu permetti, io sonofollemente innamorato della tua città esento il bisogno, il porco bisogno disapere dove, quando e come me la f…Ma che hai? Nevralgia?

– Che nevralgia! – scattò Milton,ancora stralunato, con la smorfia didolore ancora stampata netta in viso.

– Avevi una faccia! Molti dei nostrisoffrono il mal di denti. Dev’esserequesta enorme umidità. Che altro haivisto? Hai dato un’occhiata al nuovobunker di Porta Cherasca?

E Milton: «Non ne posso piú, –pensava. – Se mi fa ancora domandeio… io lo…! E si tratta di Leo. Di Leo!

Figuriamoci con gli altri. Il fatto «

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che piú niente m’importa. Di colpo, piúniente. La guerra, la libertà, i compagni,i nemici. Solo piú quella verità».

– Il bunker, Milton.– L’ho veduto, – sospirò.– E allora dimmi.– Mi pare molto ben fatto. Domina

non solo lo stradale ma batte anche icampi aperti verso il fiume. Avraipresente, verso la segheria e il campo datennis.

Fulvia ci giocava con Giorgio,sempre in singolo.

Spiccavano candidi come angeli sulfondo rosso che Giorgio faceva rullareed innaffiare con particolare cura primadella loro partita. Milton, lui sedeva

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sulla panchi-na, scordando oconfondendo il punteggio che Fulvia gliaveva comandato di tenere. Sedevascomodo, smuo-Letteratura italianaEinaudi

22Beppe Fenoglio - Una questione

privata vendo senza sosta le lunghegambe, i pugni serrati nelle tasche pertendere il calzone e mascherare lapiattezza delle cosce, senza i soldi perpagarsi una bibita e darsi un contegnosorseggiandola, con solo piú unasigaretta da economizzare fino allospasimo, con in fondo a una tasca unfoglietto con la versione di una poesia diYeats:

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«When you are old and gray and fullof sleep…»

– Non ti senti bene? – diceva Leocon la sua querula pazienza. – Ti stochiedendo se giocavi a tennis nella vita.

– No no, – rispose a precipizio. –Troppo caro. Sentivo che quello era ilmio gioco, ma troppo caro. Il soloprezzo della racchetta mi facevarimordere la coscienza.

Cosí mi diedi alla pallacanestro.– Magnifico sport, – disse Leo. –

Tutto anglosassone.Milton, non ti è mai passato per la

testa, allora, che chi praticava lapallacanestro non poteva esser fascista?

– Già. Ora che mi ci fai pensare.

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– E tu, eri un buon cestista?– Ero… discreto.Stavolta Leo era soddisfatto. Milton

si ritirò verso la porta ripetendo chesarebbe tornato per mezzogiorno.

– Torna pure per sera, – disse Leo. –Ah, t’interessa sapere che oggi iocompio trent’anni?

– È un record.– Vuoi dire che se anche crepassi

domani creperei vergognosamentevecchio?

– È un vero record. Perciò non tifaccio auguri ma so-lo congratulazioni.

Fuori, il vento era calato ad un filo.Gli alberi non muggivano nésgrondavano piú, il fogliame ventolava

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appena, con un suono musicale,insopportabilmente triste… «Somewhereover the rainbow skies are blue, |

And the dreams that you dare todream really do come true».

Ai bordi del paese un cane latrò, mabreve e spaurito.

Scuriva precipitosamente, ma soprale creste resisteva Letteratura italianaEinaudi

23Beppe Fenoglio - Una questione

privata una fascia di luce argentea, noncome un margine del cielo ma come unaeffusione delle colline stesse.

Milton si rivolse alle alture chestavano tra Treiso e Mango, il suo

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itinerario di domani. Il suo occhio fuma-gnetizzato da un grande alberosolitario, con la cupola riversa e comeimpressa in quella fascia argentata cherapidamente si ossidava. «Se è vero, lasolitudine di quell’albero sarà unoscherzo in confronto alla mia».

Poi, con infallibile istinto, si orientòa nordovest, in direzione di Torino, edisse audibilmente: «Guardami, Fulvia,e vedi come sto male. Fammi sapere chenon è vero.

Ho tanto bisogno che non sia vero».Domani, ad ogni costo, avrebbe

saputo. Se Leo non gli avesse accordatoil permesso, se lo sarebbe preso,sarebbe scivolato via ugualmente,

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scostando e insultando tutte le sentinelleper via. Pur che resistesse sino adomani. C’era di mezzo la piú lunganotte della sua vita.

Ma domani avrebbe saputo. Nonpoteva piú vivere senza sapere e,soprattutto, non poteva morire senzasapere, in un’epoca in cui i ragazzi comelui erano chiamati piú a morire che avivere. Avrebbe rinunciato a tutto perquella verità, tra quella verità el’intelligenza del creato avrebbe optatoper la prima.

«Se è vero…» Era cosí orribile chesi portò le mani sugli occhi, ma confurore, quasi volesse accecarsi. Poiscostò le dita e tra esse vide il nerore

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della notte completa.I suoi compagni erano risaliti tutti

dal fiume. Erano anormalmente quietistasera, non meno che avessero uno deiloro steso nella navata della chiesa, inattesa della sepoltura. Dai loro localiusciva un brusio non superiore a quelloche si levava dalle case dei paesani.L’unico ad alzare la voce era ilcuciniere.

I suoi compagni, i ragazzi cheavevano scelto come lui, venuti almedesimo appuntamento, che avevanogli stessi suoi motivi di ridere e dipiangere… Scrollò la testa. Oggi eradiventato indisponibile, di colpo, permez-Letteratura italiana Einaudi

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24Beppe Fenoglio - Una questione

privata za giornata, o una settimana, oun mese, fino a quando avesse saputo.Poi forse, qualcosa sarebbe statonuovamente capace di fare per i suoicompagni, contro i fascisti, per lalibertà.

Il duro era resistere sino a domani.Stasera non cena-va. Avrebbe cercato didormire subito, magari violen-tandosi inqualche modo al sonno. Se non gliriusciva, avrebbe incrociato per il paesetutta la notte, sarebbe andato da unasentinella all’altra, ininterrottamente, acosto di metterli in sospetto di unattacco e farsi tempe-stare di esasperanti

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domande. Comunque, lui incosciente oin veglia febbrile, l’alba sarebbespuntata sulla strada per Mango.

«La verità. Una partita di verità trame e lui. Dovrà dirmelo, da moribondoa moribondo».

Domani, sapesse di lasciare ilpovero Leo solo davanti a un attacco,dovesse passare in mezzo a una brigatanera.

Letteratura italiana Einaudi25Beppe Fenoglio - Una questione

privata IVLe sei erano appena battute al

campanile di Mango.Con la testa fra i pugni, Milton

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sedeva sulla panca di pietra davantiall’osteria. Sentiva una donna trafficaredentro, gli parve addirittura di sentirlasbadigliare, largo e crasso come unuomo. I paesani erano già tutti in piedi,sebbene porte e finestre restasserosbarrate, e Milton boccheggiò didisgusto all’idea degli odori rinserrati.

Era salito da Treiso, in un’ora,incontrando innumerevoli banchi dinebbia, alti al suo ginocchio, che comegreggi gli attraversavano la strada. Siera svegliato con la certezza dellapioggia battente sul tetto rotto dellastalla, ma non pioveva. C’era invecemolta nebbia, intasava i valloni e sistendeva in lenzuola oscillanti sui

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fianchi marci delle colline. Per lecolline mai aveva provato tanta nausea,mai le aveva viste cosí sinistre efangose come ora, tra gli squarci dellanebbia. Le aveva sempre pensa-te, lecolline, come il naturale teatro del suoamore – per quel sentiero con Fulvia,con lei su quella cresta, questogliel’avrebbe detto a quella particolaresvolta con tanto mistero dietro di essa…– e gli era invece toccato di farcil’ultima cosa immaginabile, la guerra.Aveva potuto sop-portarlo fino a ieri,ma…

Sentí un passo sul selciato, dritto sudi lui, ma non sollevò la testa. Un attimodopo rimbombò la voce di Moro.

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– Ma tu sei Milton! Ti sei stufatodell’avamposto maledetto? Torni connoi?

– No. Vengo solo per parlare conGiorgio.

– È fuori.– Lo so. La sentinella me l’ha detto.

Chi è con lui?Moro li elencò sulle dita. – Sceriffo,

Cobra, Meo e Jack.Ieri sera Pascal li ha spediti di

guardia al bivio di Ma-nera. Pascal siaspettava i fascisti di Alba da quellaparte.

Letteratura italiana Einaudi26Beppe Fenoglio - Una questione

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privata Ma non è successo niente e queicinque saranno già smontati dal bivio esono per strada. Ma stai male? Hai unafaccia colore del gas.

– E che colore credi abbia la tua?– Lo so, – rise Moro. – Qui stiamo

intisichendo tutti.Entriamo nell’osteria. Giorgio

aspettalo dentro.– Il freddo mi fa bene. Ho la testa

che mi brucia.– Io, scusa, mi riparo, – e Moro

entrò, e un attimo do-po Milton lo udíattaccar discorso con la serva, con lavoce grassa di catarro e di intenzioni.

Rabbrividí e si riprese la testa fra lemani.

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Era il tre ottobre ‘42. Fulvia tornavaa Torino, per una settimana e forsemeno, comunque partiva.

«Non andare, Fulvia».«Debbo».«Ma perché?»«Perché ho un padre e una madre. O

pensi che non li abbia?»«Infatti».«Che dici?»«Dico che non riesco a vederti, a

concepirti se non sola».«Li ho, li ho, – sbuffò lei, – e mi

vogliono un po’ a Torino. Ma solo per unpo’. Ho anche due fratelli, set’interessa».

«Non m’interessa».

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«Due fratelli grandi, – insistette. –Tutt’e due militari, ufficiali. Uno è aRoma e l’altro è in Russia. Ogni seraprego per loro. Per Italo che sta a Romaprego per finta perché Italo la guerra lafa per finta. Ma per Valerio che è inRussia prego sul serio, meglio che so».

Sogguardò Milton che stava a testabassa e distolta, ri-volta al fiumelontano, acqua grigia fra spondesbianchi-te. «Mica varco l’oceano», glimormorò.

Ma lo varcava, se lui sentivaaffondarglisi nel cuore i becchi di tutti igabbiani.

Letteratura italiana Einaudi27

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Beppe Fenoglio - Una questioneprivata Lui e Giorgio Clericil’accompagnarono alla stazione.

Questa pareva, quel giorno, piúpulita, meglio rassettata di quanto fossemai stata dal principio della guerra. Ilcielo era di un grigio trasparente, piúbello del piú bell’azzurro, uniforme intutta la sua immensità. Sarebbe statasera, una tetra affumicata sera, quandoFulvia sarebbe scesa a Torino. Ma doveprecisamente abitava a Torino? Nonl’avrebbe chiesto né a lei né a Giorgio,il quale certamente sapeva l’indirizzo.Voleva ignorar tutto di Torino, riguardoa Fulvia. La loro storia si facevaunicamente nella villa sulla collina di

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Alba.Giorgio indossava uno scozzese di

prima dell’autar-chia. Milton una giaccadi suo padre riaccomodata, con unacravatta che non teneva il nodo. Fulviaera già salita in treno e stava affacciataal finestrino. Sorrideva leggermente aGiorgio, scuoteva di continuo le trecce.Poi fece una smorfia verso un grossoviaggiatore che la sorpassa-va nelcorridoio schiacciandola. Ora rideva aGiorgio.

Sulla banchina il vicecapo allungò ilpasso verso la loco-motiva, srotolandola bandierina. Il grigio del cielo si eragià un tantino guastato.

Disse Fulvia: «Gli inglesi mica

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bombarderanno questo mio treno?»Giorgio rise. «Gli inglesi volano

solo di notte».Poi Fulvia chiamò lui sotto il

finestrino. Non sorride-va e disse paroleche Milton afferrò piú dal movimentodelle labbra che dal suono della voce.

«Quando torno in villa vogliotrovarci una tua lettera».

«Sí», rispose, e la voce gli tremò nelmonosillabo.

«Debbo trovarla, capisci?»Il treno partí e Milton lo seguí con lo

sguardo fino al-la svolta. Volevaripigliarlo dopo il ponte, rincorrendoneil pennacchio di fumo al di sopra delleinterminabili pioppete dell’oltrefiume,

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ma Giorgio lo spinse ai cancel-li.«Andiamo a giocare a biliardo». Silasciò trascinare fuori della stazione, maper il biliardo disse di no, dove-Letteratura italiana Einaudi

28Beppe Fenoglio - Una questione

privata va rincasare immediatamente.Aveva appena una settimana, e forsemeno, per scrivere a Fulvia chel’amava.

Tastò il muro per ritrovare lacarabina che vi aveva appoggiata efaticosamente si rizzò dalla panca. Nonpoteva stare peggio. Tremava in tutto ilcorpo per scariche di freddo e la testagli bruciava, di un ardore fisso, pieno,

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quasi ronzante.Il piccolo Jim sbucò da uno dei

vicoletti laterali. Senza accostarsi glidisse che Pascal era entrato in quelmomento al comando, se era con Pascalche gli interessava parlare.

– No. M’interessa solo parlare conGiorgio.

– Quale? Giorgio il bello?– È ancora fuori.– Lo so. Voglio andargli incontro per

un pezzo di strada.– Non ti scostare troppo dal paese, –

avvertí Jim. C’è un nebbione daperdercisi.

Attraversò il paese per la viaprincipale, sbirciando la-teralmente in

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ogni vicoletto per notare i progressidella nebbia nella campagna. Gli alberipiantati ai bordi del paese erano giàfantasmi.

All’angolo dell’ultima casa siarrestò netto. Aveva sentito sulla rampasassosa il passo di una mezza dozzina diuomini. Il passo era quelloinconfondibile, lungo e rapido, deipartigiani ragazzi di città. Salivano muti,evi-dentemente con gola e polmoniintasati dalla nebbia.

Gli prese una agitazione orribile,annaspò e dovette ap-poggiarsi allospigolo della casa. Ma non era lasquadra di Giorgio. Senza essereinterrogato, uno di quelli disse passando

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che venivano da sotto il camposanto,avevano passato la notte nella casa delbecchino.

Ancora turbato, uscí nella campagna.Aveva deciso di aspettar Giorgioall’aperto, presso la cappellettadell’An-nunziata. L’avrebbe separatoper un momento dagli altri quattro e…

Letteratura italiana Einaudi29Beppe Fenoglio - Una questione

privata La strada era invasa dallanebbia, ma c’erano ancora spiragli eondeggiamenti. I valloni ai due lati neerano invece colmi rasi, di un’ovattaassestata, immota. La nebbia avevaanche risalito i versanti, solo alcuni

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pina-stri in cresta ne emergevano,sembravano braccia di gente in punto diannegare.

Scendeva cauto verso il fantasmadella cappelletta.

Tutto taceva, a parte il pigolioattonito di uccelli nei loro nidi oppressidalla nebbia e il mormorio di rigagnolinei valloni sommersi.

Al campanile di Mango suonarono lesette, senza eco.

Si addossò al muro della cappella eguardò ansiosa-mente al passo dellaTorretta. Era già quasi ostruito dallanebbia che saliva, per saturazione, dalpianoro sottostante. Rimaneva ancorauno squarcio, ma la squadra di Giorgio

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avrebbe dovuto apparirvi in diecisecondi. Non apparvero ed ecco, ora erafatta, un rinforzo di nebbia avevacancellato il passo.

Accese una sigaretta. Da quantotempo non accende-va la sigaretta aFulvia? Valeva sí la pena di attraversarea nuoto l’oceano pauroso della guerraper giungere a riva e non far altro o piúche accendere la sigaretta a Fulvia.

Alla prima boccata gli sembrò gliscoppiassero i polmoni, alla secondadovette piegarsi in due per leconvulsioni, la terza la sopportò meglioe poté fumarla fino in fondo con solo piúqualche sussulto.

La nebbia si era ormai richiusa

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anche su quel tratto di strada, ma restavasospesa a circa un metro dal fondo.

Fu proprio in quell’intercapedineche vide finalmente arrancare dellegambe vestite di cachi. I tronchi e leteste erano velati dalla nebbia. Saltò inmezzo alla strada e si protese per megliodistinguere le gambe, il passo diGiorgio. Come sempre, quando eraestremamente emo-zionato, il cuore glilatitò in corpo.

I tronchi e le teste affioravano dalnebbione. Sceriffo, Meo, Cobra, Jack…

Letteratura italiana Einaudi30Beppe Fenoglio - Una questione

privata

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– E Giorgio dov’è? Non era convoi?

Sceriffo si era fermato dimalavoglia. – Certo. è dietro.

– Dietro dove? – domandò Miltonperforando la nebbia.

– Dietro di qualche minuto.– Perché l’avete staccato?– È lui che si « fatto staccare, – tossí

Meo.– Non potevate aspettarlo?– Grande è grande, – disse Cobra, –

e la strada la conosce quanto noi.E Meo: – Lasciaci andare, Milton. Io

crepo di fame.Se la nebbia fosse lardo…– Aspettate. Parlavate di qualche

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minuto ma io ancora non lo vedo.Rispose Sceriffo: – Si sarà fermato a

far colazione in qualche casa lungo lastrada. Sai com’è Giorgio. Gli schifa dimangiare in compagnia.

– Lasciaci andare, – ripeté Meo, – ose proprio vuoi parlare parliamocamminando.

– Dimmi la verità, Sceriffo, – disseMilton senza scan-sarsi. – Avete litigatocon Giorgio?

– Macché, – fece Jack che fino adallora non si era in-tromesso.

– Macché, – disse Sceriffo, – perquanto Giorgio non sia il nostro tipo. Èun figlio di papà, come se ne vedeva nelporco esercito.

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– E qui siamo tutti uguali, – disseCobra riscaldando-si di colpo. – Qui ifigli di papà non funzionano. Perché sefunzionassero anche qui comenell’esercito…

– Ma io crepo di fame, – disse Meoe a testa bassa sorpassò Milton.

– Vieni con noi in paese, – disseSceriffo muovendosi pure lui. – Puoibene aspettarlo lassú.

– Preferisco aspettarlo qui.– Come vuoi. Vedrai che ti arriva in

dieci minuti al massimo.Letteratura italiana Einaudi31Beppe Fenoglio - Una questione

privata Lo trattenne ancora. – Com’era

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la nebbia di là?– Spaventosa. Voglio proprio

arrivare in paese per chiedere a qualchevecchio se in vita sua ne ha vista mai disimile. Spaventosa. A un certo punto,nemmeno a chinarmi vedevo piú lastrada e nemmeno i miei piedi che ciposavano sopra. Ma non c’è pericolo,dato che la strada non costeggia burroni.Ti voglio però dire, Milton, che se il tuoamico avesse chiamato io lo avreiaspettato e avrei fermato anche questi.Ma non ha chiamato e io ho capito checome al solito voleva farsi i fatti suoi.

Sai com’è Giorgio.Erano rispariti tutt’e quattro nella

nebbia.

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Risalí ad addossarsi alla cappella.Accese una seconda sigaretta e fumandoteneva d’occhio l’intercapedine cheresisteva fra strada e piano della nebbia.Dopo mezz’ora ridiscese sulla strada eprese a camminare adagio verso il passodella Torretta.

Sceriffo aveva ragione a pensare cheGiorgio aveva sfruttato la nebbiaapposta per restar solo. Era impopola-reproprio per la sua mancanza, la suaripulsa del camera-tismo. Non perdevaoccasione, anzi ne creava a gettocontinuo, di isolarsi, per non dividernulla del suo con gli altri, nemmeno ilsuo calore animale. Dormire solo,mangiar da solo, fumare di nascosto in

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tempi di carestia di tabacco, darsi ilborotalco… Milton portò avanti illabbro inferiore e vi affondò i denti. Ciòche prima di ieri, di Giorgio, lo facevasorridere ora lo lancinava. Giorgiopareva sopportare il solo Milton,coabitava solo con Milton.

Quante volte, dormendo nelle stalle,si erano stesi l’uno accanto all’altro,stretti l’uno contro l’altro, in una inti-mità la cui iniziativa partiva sempre daGiorgio. Siccome Milton dormivad’abitudine ricurvo a mezzaluna,Giorgio aspettava che si fosse sistematoe poi gli si stringeva e adattava, come inun’amaca orizzontale. E quante volte,svegliatosi prima, Milton aveva avuto

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tutto l’agio di consi-derare il corpo diGiorgio, la sua pelle, il suo pelo…

Letteratura italiana Einaudi32Beppe Fenoglio - Una questione

privata La sofferenza gli fece accelerareil passo, sebbene ora si muovesse nelpiú folto e nel piú cieco della nebbia.

Formava spessori concreti, una verae propria muratura di vapori, e ad ognipasso Milton aveva la sensazione delcozzo e della contusione. Era certamentevicinissimo al passo, ma poteva dedurrela sua posizione unicamentedall’andamento e dal grado di pendenzadella strada.

Proprio come aveva detto Sceriffo,

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solamente curvando-si potevadistinguere il fondo della strada e i suoipiedi, sfocati e come avulsi. Quanto allavisibilità anteriore, se Giorgio gli sifosse presentato a due metri, nonl’avrebbe sicuramente visto.

Salí ancora di qualche passo e fucerto di trovarsi sul culmine. Unimmenso e compatto volume di nebbiaschiacciava l’altipiano sottostante.

Inghiottí saliva e poi chiamò il nomedi Giorgio, regolando la voce come lodovesse sentire chi in quel momentosalisse per l’ultima rampa. Poi chiamòmolto piú forte, nel caso che Giorgioavesse percorso l’altipiano e stesseattaccando l’erta. Nessuna risposta.

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Allora portò le mani a imbuto attornoalla bocca e urlò il nome di Giorgio,lunghissimamente. Un cane guaí, pocosotto. E

piú niente.Con ogni cura, per non sbagliarsi

nell’orientarsi sul paese ormaiinvisibile, Milton girò su se stesso epasso passo ridiscese.

Letteratura italiana Einaudi33Beppe Fenoglio - Una questione

privata VRitrovò Sceriffo alla mensa. Si era

sfamato e sonnecchia-va coi gomitispianati sulla tavola. Sotto il suo fiatorantolo-so le chiazze del vino versato si

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increspavano come stagni.Milton lo scrollò. – Non si è visto.– Non so cosa dirti, – rispose

Sceriffo con la voce spessa ma sisollevò sul busto a significare che erapronto ad affrontare tutto un discorso. –Che ore sono? – domandòstropicciandosi gli occhi.

– Le nove passate. Sei sicuro chefascisti non ce n’erano nelle vicinanze?

– Con quel nebbione? Non basartisulla nebbia di qui. Al bivio era un maredi latte, ti dico.

– Il nebbione può averli sorpresi inmarcia, – osservò Milton. – Quandosono partiti da Alba un nebbione similelaggiú certo non c’era.

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Sceriffo dondolò la testa. – Con quelnebbione, ripeté.

Milton s’irritò. – Tu ti servi delnebbione solo per escludere che cifossero. E se usassi il nebbione solo pergiustificarti di non averli visti?

Dondolava sempre la testa, semprepacato. – Li avrei sentiti. Da Alba non simuove mai meno di un battaglione. Unbattaglione non è un topo e li avremmosentiti.

Bastava che un soldato tossisse.– Pascal però li aspettava. Vi mandò

di guardia al bivio proprio perché liaspettava da quella parte.

– Pascal, – sbuffò Sceriffo. – Se cibasiamo su Pascal.

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Ma chi è che l’ha fatto comandantedi brigata? Ma non voglio criticare, dicosolo che in tanti mesi non l’ho mai vistoimbroccarne una. Se vuoi saperlo, è tuttoieri e tutta stanotte che noi mandiamodegli accidenti secchi a Pascal. Quellosi sogna un attacco e noi dobbiamo fareuna vitaccia. Cosí gliene abbiamo detteper ore a Pascal.

Anche il tuo Giorgio.Letteratura italiana Einaudi34Beppe Fenoglio - Una questione

privata Milton aggirò la tavola e vennea sedersi a cavalcioni della panca difronte a Sceriffo.

– Sceriffo, avete litigato con

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Giorgio?L’altro fece un paio di smorfie e poi

annuí. – Si è preso per i denti con Jack.– Ah.– Ma non c’entra per niente col

distacco. Non l’abbiamo perduto nellanebbia per quello, insomma. è lui che siè sganciato, di sua spontanea volontà,per fare i suoi comodacci di figlio dipapà.

– Naturalmente, voi tre vi sieteschierati dalla parte di Jack.

– Puoi dirlo. Jack aveva tutte leragioni.

Per la verità, spiegò Sceriffo, eranotutt’e cinque imbe-stialiti. Avevanolasciato Mango poco dopo che Milton

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era rientrato a Treiso dalla sua puntatasu Alba. Non erano ancora arrivati alpasso della Torretta che era già nottenera, incarnita. Camminavano in cresta,pigliando di petto un vento forte,sinistro, di un freddo già invernale.

Un vento, disse Meo, che senz’altronasceva dalle tombe spalancate di unodi quei cimiteri d’alta collina dove luinon sarebbe rimasto nemmeno da mortofucilato. Era un deserto completo, matutti i cani della mezzacosta latra-vano,annusandoli mentre passavano in cresta.Cobra che non può soffrire i cani a ognilatrato tirava una bestemmia. Si era giàincappucciato la testa nella coperta ecosí pareva una suora che camminasse

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bestemmiando. Econsiderando le bestemmie che i

contadini tiravano ai lo-ro cani che colloro zelo rivelavano l’esistenza e laposizione di case altrimentiassolutamente invisibili, si con-cludevache tutto il mondo era una bestemmia.Anche perché pure gli altri quattro, cheavanzavano digrignan-do i denti,bestemmiavano mentalmente. Eranoconvinti che Pascal aveva sognato ovoleva semplicemente rendersiinteressante, e toccava a loro pagare conla vitaccia.

Il piú furibondo era certamenteGiorgio, e perché la Letteratura italianaEinaudi

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privata squadra non era di suogradimento e perché il comando erastato dato a Sceriffo. «Se fra questiquattro scalzaca-ni, – pensava senzadubbio, – io non sono considerato degnodi prendere il comando, immaginiamo lafigura, la carriera che faccio io neipartigiani».

Poi dovettero prendersela con Meoil quale, siccome da Mango erano partitidigiuni, aveva suggerito di andare percena a un certo casale isolato dove unacerta volta lui e il povero Rafè eranostati trattati molto bene. Pane fresco diforno, minestra sostanziosa sebbene

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dolce, e a volontà pancetta dellamigliore, di quella bianca come neve ecol circoletto roseo nel mezzo. Furonotutti d’accordo di andar lí, sebbene ilposto fosse molto scomodo, perché lacasa stava ai piedi del grande versante.Arrivarono in basso per un sentiero darompersi il collo, la notte era nera comepece ma come animata, dava l’illusioneottica di tante voragini checontinuamente si formassero.

Una volta in basso, poi, Meo nonriusciva piú a rintrac-ciare la casa,dovettero sparpagliarsi nelle quattrodirezioni per ritrovarla. I suoi murierano talmente anneriti dalle intemperieche non davano nemmeno piú quel

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chiarore proprio degli spiriti.Finalmente, la ritrovò Cobra, il qualeera finito inganciato coi calzoni proprionel filo spinato che cintava l’aia. Cobrali indirizzò da lui con una enormebestemmia. Per fortuna non c’era cane diguardia perché avrebbe fatto le furie eCobra l’avrebbe fatto senz’altro seccocon lo sten e allora sarebbe stata lavolta di Sceriffo di impazzire e dilottare nel fango con Cobra, perchéSceriffo impazziva a veder stecchire icani.

Il bello poi fu che per entraredovettero fare un sacco di cerimonie. Abussare andò Meo e il padrone si fecedietro l’uscio.

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– Chi siete?– Partigiani, – rispose Meo.– Dillo in dialetto, – pretese il

vecchio. E Meo lo ripeté in dialetto.Letteratura italiana Einaudi36Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Di che razza? Azzurri badogliani o

Stella Rossa?– Badogliani.– E di che comando siete, se siete

badogliani?– Del comando di Mango, – rispose

Meo paziente-mente. – Siamo uomini diPascal –. Ma il vecchio non toglievaancora il paletto e Sceriffo doveva

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badare a controllare Cobra il qualescalpitava e voleva avvicinarsi a dirnedue attraverso il legno a quel contadino,due che l’avrebbero fatto spicciare adaprire.

– E che volete? – continuò ilvecchio.

– Mangiare un boccone e subitoripartiamo per il nostro servizio.

Ma quello non era ancorasoddisfatto.

– Si potrebbe sapere chi sei tu chemi parli? Io ti conosco?

– Certo, – fece Meo. – Io sono Meoe sono già stato una volta a mangiare incasa vostra. Ricordatevi un po’.

Passò in silenzio, il vecchio stava

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ricordando e setac-ciando. – Dovetericordarvi di me, – disse Meo. Vennidue mesi fa. Pure di sera. C’era un ventoche portava via.

Il vecchio bofonchiò qualcosa insegno che cominciava a raccapezzarsi. –E tu, – domandò poi, – tu ti ricordi conchi sei venuto?

– Certo, – fece Meo, – ci venni conRafè, Rafè che po-co dopo restò mortonella battaglia di Rocchetta.

Allora il vecchio diede una vocealla sua donna, tolse il paletto edentrarono. Ma non ci fu tutta la buonaroba assicurata da Meo, anzimangiarono da porci, non c’era chepolenta e cavoli freddi e una manciata di

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nocciole. Etoccò mangiare quella miseria sotto

gli occhi fissi del vecchio. Lisorvegliava, si lisciava continuamente ibaffoni bianchi e diceva ogni tanto unaparola, una parola sola.

«Siberia». Era il suo intercalare.«Siberia, Siberia». Giorgio non toccò lapolenta e tanto meno i cavoli, mangiòuna dozzina di nocciole che masticate infretta e con rabbia gli rimasero sullostomaco. Disse poi che se le sentivaLetteratura italiana Einaudi

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privata come tante pietruzze disseminatelungo l’esofago. Quando finalmente

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uscirono da quella casa disgraziata e siinerpicarono per rimettersi in cresta,erano appena le no-ve e la notte erapaurosa come un attimo prima dell’alba.

Salirono dicendone di tutti i colori aMeo per quella trovata della cena. Il piúa posto era ancora Jack, borbottavasenza tregua e con voce morbida e quasiallegramente:

«Porci fascisti, porci fascisti, porcifascisti…»

Poi si scaldarono con Sceriffo per lascelta della casa in cui far base per laguardia al bivio. Erano ormai giun-ti invista del bivio, la strada a vallebiancheggiava lugu-bremente. Cobradimenò la testa incappucciata e disse:

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– Se domattina per quella stradapassano i fascisti, io giuro che nemangerò la ghiaia fino a creparne –. Iquattro volevano fermarsi a Cascinadella Langa, che aveva una grandestalla, con tutte le aperture bene tappatee un gran numero di buoi che col fiatoriscaldavano come tanti termosifoni.Sceriffo obiettò che, se era comoda perdormirci, era mal situata per la guardia,troppo distante dal bivio. Dovetteimpuntarsi, ma alla fine li con-dusse auna casupola abbandonata sul ciglio diun poggio proprio dirimpetto al bivio, aun tiro di sten dal suo crocchio di casegià mute e spente e sprangate. Ciarrivarono seguendo un lungo filare di

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alberi che sotto il ven-tacciocrosciavano fin nelle radici.

La casupola aveva tre stanzettediroccate e scoper-chiate. L’unico vanoun po’ sano era la stalla, ma chia-malastalla. Era cosí piccola che non cisarebbero state sei pecore, la mangiatoiapoteva contenere sí e no un na-no, el’ammattonato era assolutamente nudosalvo in un angolo dov’eranoammucchiate due o tre fascine spinoseC’era poi un’unica finestrella, mancantedel vetro e con l’impannata sfondata, el’uscio aveva delle fessure in cuipassava la mano piatta.

Cominciarono la guardia allamezzanotte. Sceriffo montò per il primo

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turno. Gli altri si erano messi a gia-Letteratura italiana Einaudi

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privata cere, acciambellati, raggricciatisull’ammattonato, ma nessuno dormiva.Erano cosí abbrutiti che a nessuno vennela semplicissima idea di aumentare lospazio sca-raventando fuori quellevecchie fascine. Se ne erano appenadiscostati, ma poi finí per rovesciarcisisu Jack, spinto dalle contorsioni, dalleslittate, dai guizzi di freddo degli altri.Ebbene Jack era l’unico che dormiva,sulle fascine spinose come un fachiro,dormiva e gemeva come un moribondo.Il penultimo turno lo montò Giorgio e

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l’ultimo toccava a Jack il quale avevauna vista straordinaria per la luceingannevole dell’alba.

Fu durante l’ora di Jack chesuccesse il guaio con Giorgio. Rientrato,aveva scrollato Jack e, una volta fuoriJack, aveva scostato i corpacci di Cobrae di Meo e si era semisteso sullalettiera. Naturalmente non prese sonno esi raggomitolò con le mani intrecciatesotto i ginocchi. Fumò una sigaretta, poiprovò cento posizioni, non tanto perdormire quanto per vegliaresopportabilmente, ma senza riuscirci.Allora si mise seduto e si acceseun’altra sigaretta. Alla luce delfiammifero vide che Jack non era fuori a

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fare il suo dovere di sentinella ma stavadentro la stalla. Si era seduto contro ilmuro a filo della porta e ciondolava latesta

– Giorgio, – disse Sceriffo, – deveaver visto rosso.

Lui aveva fatto per bene il suoturno…

– Non c’è nessuno, – interruppeMilton, – in tutta la divisione, non c’ènessuno che monti la guardia scrupo-losamente come Giorgio.

– Questo è vero, – ammise Sceriffo,– e non stiamo a guardare se la fa tantobene solo per sé o anche per i compagni.Fatto sta che facendola cosí bene per lasua pelle automaticamente la fa bene

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anche per la pelle degli altri. Su questosiamo d’accordo. Come ti ho detto,Giorgio vide rosso. Si rizzò sui ginocchie come una bel-va raspava con le manila lettiera. «Perché non sei fuori diguardia?» e senza aspettare l’eventualegiustificazione Letteratura italianaEinaudi

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privata coprí Jack di nomacci, dei qualifiglio di puttana era il piú bello. Lacolpa di Jack, se è una colpa, fu quelladi non spiegarsi subito. Jack, mi sembra,scrollò le spalle, borbottò qualcosacome «È inutile» e forse sputò in terra indirezione di Giorgio.

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Giorgio gli saltò addosso come unarana e in volo gli disse: «È inutile!? Noil’abbiamo fatta e tu no, porcovigliacco?» e gli zompò addosso. Noieravamo svegli ma ancora non ciraccapezzavamo bene e inoltre eravamotalmente indolenziti e anchilosati cheprima che ci met-tessimo ritti passò unbuon minuto. Io avevo unicamente capitoche Jack non era fuori di guardia e gligridai perché? e uscisse subito a far lasua parte. Ma Jack non mi risposeperché era occupatissimo a difendersida Giorgio. L’aveva preso per il collo eaveva tutte le intenzioni di fargli entrareil cranio nel muro. E mentre glistringeva il collo e gli sforzava la testa

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non smetteva di insultarlo. «Bastardo, èora di finirla con la ciurma come voi!Voi non siete buoni né per noi né perloro! Andate tutti ammazzati! Siete cani,siete maiali, siete schiu-ma…!» Jacknon rispondeva, sia perché Giorgioquasi lo strangolava sia perché luistesso irrigidiva il collo per non cederecon la testa contro il muro. Cosí nonparlava, nemmeno per chiederci aiuto.Aveva arricciato le gambe e con quellecercava di schizzar via Giorgio. Tuttoquesto io te l’ho raccontato in lungo, manon durò piú di trenta secondi. Primache noi intervenissimo, Jack riuscí aportare i piedi contro il petto di Giorgioe lo mandò a gambe levate

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sull’ammattonato. Io allora gridai a Jackdi dar subito spiegazione e Jack,restando seduto al suo posto, mi disse:«é inutile, ho detto. Guarda tu», e conuna manata spalancò la porta. Noiguardammo fuori e capimmo il perché.

– La nebbia, – mormorò Milton.Per descrivere la nebbia Sceriffo si

alzò dalla panca.– Immaginati un mare di latte. Fin

contro la casa, con Letteratura italianaEinaudi

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privata delle lingue e delle poppe checercavano di entrare nella nostra stalla.Uscimmo fuori, uno dietro l’altro, ma

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con precauzione e di non piú di duepassi, per paura di annegare in quelmare di latte. Ci distinguevamo appena,e sí che stavamo sulla stessa linea, acontatto di gomiti. Davanti a noi nonvedevamo niente. Pestavamo i piedi peraccertarci che eravamo sul solido e nonsu una nuvola –.

Si rimise pesantemente seduto econtinuò: – Cobra rise, rientrò nellastalla, fece una bracciata di quellefascine, tornò fuori e con tutta la suaforza le buttò avanti, in bocca allanebbia. Non le sentimmo ricadere interra.

Per quanto sforzassero gli orecchi enon fiatassero, non sentivano il piú

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piccolo rumore. La lite di Giorgio eJack era già dimenticata. L’orologio diGiorgio segnava quasi le cinque. Eranotutti d’accordo che l’attacco non c’era enon poteva esserci. Lí non avevano piúniente da fare e dovevano riprendersubito la strada per Mango. –

Muchachi, – disse Sceriffo, –abbiamo la strada di cresta che è la piúbreve ed inoltre la sappiamo a memoria.In questa nebbia però è pericolosaperché corre a filo di ra-soio sui dueversanti. In questa nebbia è facilesbandare e chi sbanda non dico che siammazzi, ma non si illuda.

Rotola giú fin che ce n’è, non siferma prima di Belbo che scorre laggiú

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a due chilometri. Quindi io propongo discender coi piedi di piombo fino a metàversante e lí inserirci sulla strada dellamezzacosta che è piú lunga ma almeno èprotetta da un lato dalla ripa.Camminere-mo tenendoci sempre adestra e tastando la ripa. Arrivatiall’altezza del Pilone del Chiarlepotremo risalire in cresta. A questopunto la strada è meno pericolosaperché ha ai due fianchi dei pratipiuttosto larghi prima dei salti. Inoltresperiamo che là la nebbia sia menotremenda di qua –. Gli diedero ragione escesero a mezzacosta con tutte lecautele, inizialmente mettendo piedeavanti piede come si usa fare per

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misurare i punti alle bocce.Sulla strada della mezzacosta, che

riconobbero inginoc-Letteratura italianaEinaudi

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privata chiandosi, camminarono poi unpo’ piú svelti, sebbene la nebbia fosseugualmente fitta. Poi imbroccarono percaso il sentiero che sale al Pilone delChiarle e si rimise-ro in cresta.

– Oh, – fece Sceriffo, – calcola cheabbiamo fatto in tre ore la strada chenormalmente si fa in una.

– E Giorgio dove l’avete perso?– Non lo so. Ma ti ripeto che è lui

che si è fatto perdere. Credo si sia

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sganciato al principio della strada dellamezzacosta. Sta’ tranquillo, Milton, iom’immagino do-ve sta Giorgio. Sta alcaldo in qualche bella cascina, a farsiservir colazione a suon di quattrini. Neha sempre tanti, alle volte ne ha piú luidel cassiere della brigata.

Suo padre glieli fa avere comefossero mentini. Io ormai so come fa. Sifa portare una grande scodella di lattebollente e siccome non c’è piú zuccherosi fa sciogliere dentro delle bellecucchiaiate di miele. Ecco perché non losenti mai dare un colpo di tosse, mai ilpiú piccolo sbruffo, mentre noialtritossiamo l’anima. Sta’ tranquillo,Milton, vedi come sto tranquillo io che

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ho la responsabilità della pattuglia. Va’tranquillo che per mezzogiorno lo rivediin paese.

– Per mezzogiorno io volevo esserdi ritorno a Treiso,

– disse Milton. – Mi ritengoimpegnato con Leo.

Sceriffo sventolò una mano in segnodi lassismo. –

Che ti frega di arrivare piú tardi?Che gliene frega a Leo? Qui non si fa néappello né contrappello. Il partigiano ègrande anche per questo. Altrimentisarebbe co-me il Regio e permetti chetocchi ferro –. Effettivamente toccò ilferro di un caricatore e aggiunse:

– Qui si va tutti a spanne e perché tu

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vuoi andare al millimetro?– Io a spanne non vado.– Ora marci anche tu coi sistemi del

porco esercito?– Dell’esercito non voglio neppur

sentir parlare, ma io a spanne non vado.Letteratura italiana Einaudi42Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Se è cosí, per Giorgio ritorna un

altro giorno.– Ho bisogno di parlargli subito.– Ma perché hai questa febbre di

vederti con Giorgio? Che hai da dirglidi tanto importante? Che gli è morta lamadre?

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Vide Milton voltarsi alla porta efece: – E ora dove vai? In paese?

– Appena qui fuori, a vedere lanebbia.

Nel vallone sottostante la nebbiastava muovendosi, come rimescolata infondo da pale gigantesche e lentissi-me.In cinque minuti si aprirono buchi efessure in fondo alle quali si mostraronopezzetti di terra. La terra gli apparveremotissima, nerastra, come da asfissia.Le creste e il cielo erano ancoradensamente coperti, ma in ca-po amezz’ora qualche squarcio si sarebbefatto anche lassú. Alcuni uccellini siriprovavano a pigolare.

Rimise dentro la testa. Sceriffo

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pareva essersi riaddor-mentato.– Sceriffo? Hai sentito niente per

strada?– Niente, – rispose pronto, senza

sollevare la testa né allargare i gomiti.– La strada della mezzacosta, dico.– Ma niente.– Assolutamente?– Niente di niente! – Sceriffo aveva

scattato la testa ferocemente, ma la vocela dominò meglio. – Se vuoi proprio laprecisione, e cosí pignolo non ti avevomai visto, ti dirò che in tutto e per tuttoabbiamo sentito volare un uccello.Doveva aver perduto il nido e locercava in quel nebbione. E adessofammi dormire.

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Fuori prese a pioggerellare.Letteratura italiana Einaudi43Beppe Fenoglio - Una questione

privata VIAveva lasciato detto a una decina di

compagni di mandargli Giorgio appenalo vedevano e aveva lasciato il reca-pito della mensa. Ma verso le undici emezzo era uscito dalla mensa e permezz’ora aveva vagolato ai bordi delpaese nella speranza di poter avvistareda una certa distanza Giorgio chetornava dal vuoto della campagna. Lanebbia era dovunque in via didissoluzione, l’acquerugiola si era unpo’ appesantita ma non dava ancora

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sensibile fastidio.Allo sbocco del vicoletto del

lavatoio si stagliò per un attimo Frank.Era un ragazzo pure di Alba, dellacategoria di Milton e di Giorgio. Passòvia come se di Milton non avesse vistonemmeno l’ombra, ma dovette avere co-me una visione ritardata, perché in unistante si reinquadrò nel vicoletto.Fremeva dai capelli ai piedi e la suafaccia era piú infantile e bianca che mai,pareva di gesso.

«Mi hanno preso Giorgio», simormorò Milton.

– Milton! – gridò Frank correndogiú. – Milton! ri-gridò frenando coitacchi sul selciato sconnesso.

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– Vero, Frank, che hanno presoGiorgio?

– Chi te ne ha già parlato?– Nessuno. Me lo sono sentito.

Come si è saputo?– Un contadino, – balbettò Frank, –

un contadino della bassa collina che l’havisto passare prigioniero su un carro edè venuto a dircelo. Corriamo alcomando, –

e Frank prese la corsa.– No, non corriamo, – disse, pregò

Milton. Le gambe lo reggevano appena.Frank gli si riaffiancò docilmente. –

Anche a me ha fatto un effettodisastroso. Mi sono sentito liquefare.

Risalivano adagio, quasi con

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ripugnanza, verso il comando.– È fottuto, eh? – bisbigliò Frank. –

Preso in divisa e armato. Di’ qualcosa,Milton!

Letteratura italiana Einaudi44Beppe Fenoglio - Una questione

privata Milton non aprí bocca e Frankriprese: – Fottuto.

Non voglio pensare a sua madre.Dev’essergli finito in bocca nelnebbione. Il nebbione di stamattina eratroppo straordinario perché non cicapitasse niente. Ma son cose che sipensano dopo. Povero Giorgio. Quelcontadino l’ha visto passare legato su uncarro.

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– È sicuro che fosse Giorgio?– Dice che lo conosceva. Del resto

non manca che lui.Un contadino stava scendendo verso

l’aperta campagna. Aveva imboccatouna scorciatoia scivolosissima e ci sicalava afferrandosi all’erba piú alta.

– È quello! – fece Frank e gli mandòun fischio e gli schioccò le dita.

Di malavoglia si fermò e risalí sulselciato. Era un uo-mo sui quarant’anni,quasi albino, con schizzi e patac-che difango fin sul petto.

– Dimmi di Giorgio, – gli ordinòMilton.

– Ho già detto tutto ai vostri capi.– Ripetilo a me. Come l’hai visto?

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La nebbia non copriva?– Laggiú da noi non era cosí iniqua

come quassú. Epoi a quell’ora si era già quasi tutta

ritirata.– Di che ora parli?– Delle undici. Mancava poco alle

undici quando ho visto passare lacolonna di Alba col vostro compagnolegato sul carro.

– L’hanno portato giú come untrofeo, – disse Frank.

– Li ho visti per combinazione, –riprese l’uomo. Io mi portavo a tagliarcanne e li vedo passare nella stradasottana. Li ho visti per combinazione,senza sentirli, perché scendevano come

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bisce.– Sicuro che era Giorgio? –

domandò Milton.– Di vista lo conoscevo bene. Era

venuto piú d’una volta a mangiare edormire in casa del mio vicino.

– Tu dove abiti?– Subito a monte del ponte di

Mabucco. La mia casa…Letteratura italiana Einaudi45Beppe Fenoglio - Una questione

privata Milton gli troncò la descrizionedella casa. – E perché non sei corso adavvisare gli uomini di Ciccio ai piedidella collina?

– Gliel’ha già chiesto Pascal, –

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sospirò Frank.– E tu hai sentito quello che ho

risposto al vostro comandante, – ribattéil contadino. – Non sono mica unadonna, ho fatto il militare anch’io. Mison subito detto che l’unico dei vostriche li poteva fermare era Ciccio e sonvolato giú. E ho rischiato la mia parte,perché quelli in coda potevano vedermimentre li sorpassavo di fianco e sparar-mi come a una lepre. Ma come arrivo aldistaccamento di Ciccio non ci trovo cheil cuciniere e una sentinella. Li hoavvertiti ugualmente e quelli son partiticome frecce. Io immaginavo checercassero il grosso, che mettessero inpiedi un’imboscata, che facessero

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qualche cosa, ma erano corsi solo arintanarsi nel bosco. Passata la colonna,già lontana sullo stradale di Alba, queidue sono tornati e mi hanno detto: «Chepotevamo farci noi due soli?»

Disse Frank: – Pascal dice che oggistesso manda giú una squadra ariprendere a Ciccio uno dei due bren. Unbren è piú che sufficiente per quelbranco di…

– Lasciatemi andare, – disse ilcontadino. – Se tardo troppo la miadonna si affanna ed è gravida.

– Era proprio Giorgio della brigatadi Mango? insistette Milton.

– Sicuro come la morte. Per quantoavesse la faccia sporca di sangue.

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– Ferito?– Pestato.– E… come stava sul carro?– Cosí, – fece l’uomo e imitò la

posizione di Giorgio.L’avevano piantato seduto sul bordo

del carro e legato per il busto a unpaletto conficcato nel graticcio del pia-nale, di modo che Giorgio stava rittocome una spada, con le gambepenzolanti con le code dei buoi chetiravano il carro.

Letteratura italiana Einaudi46Beppe Fenoglio - Una questione

privata– L’hanno portato giú come un

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trofeo, – ripeté Frank.– Figurati la scena quando entrerà in

Alba. Immaginati le ragazze di Alba,oggi e stanotte.

– Che c’entrano le ragazze? – scattòMilton stralunato. – Niente opochissimo. Tu sei un altro che s’illude.

– Io? Scusa, di che m’illudo io?– Non capisci che dura da troppo

tempo? Che noi abbiamo fattol’abitudine a crepare e le ragazze aveder-ci crepare?

– Non mi lasciate ancora andare? –domandò il contadino.

– Un momento. E Giorgio chefaceva?

– E che vuoi che facesse? Guardava

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fisso in avanti.– I soldati lo pestavano ancora?– Non piú, – rispose l’uomo. –

Come l’hanno preso debbono averlosubito pestato. Ma per strada piú niente.Avevano certo paura che spuntaste voida un momento all’altro, da questa o daquella collina. Ve l’ho detto chescendevano senza rumore come bisce. Equindi lo lasciavano in pace. Ma puòdarsi che una volta fuori della zona dipericolo gli siano saltati addosso persfo-garsi un altro po’. E adesso possoandare?

Milton si era già avventato verso ilcomando. Frank, sorpreso da quelloscatto, lo rincorreva gridando: –

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Adesso perché corri?L’ingresso del comando era intasato

da buona parte del presidio di Mango.Milton si infilò in quella calca di spalle,sfondando per sé e per Frank che ora lotallona-va. Un altro cerchio si eraformato intorno a Pascal che giàimpugnava il telefono. Milton si incastròanche in quella calca interna e si trovòin prima fila, gomito a gomito conSceriffo, bianco come un morto.

Mentre Pascal aspettava lacomunicazione, Frank mormorò: –Scommetto la testa se in tutta ladivisione abbiamo uno straccio diprigioniero.

– Per me, prendete nota, ghirlanda di

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rose bianche, –disse un altro.Letteratura italiana Einaudi47Beppe Fenoglio - Una questione

privata Venne in linea il comando didivisione. All’altro capo del filo eral’aiutante maggiore Pan. Disse subitoche non aveva prigionieri disponibili.Volle che Pascal gli descri-vesseGiorgio e poi Pan credette dirammentarselo. Ma non avevaprigionieri. Pascal si rivolgesse ai varicoman-danti di brigata. Vero che ilregolamento prescriveva l’im-mediatotrasferimento al comando di divisione ditutti i prigionieri fatti dai comandi

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inferiori; comunque, a scarico dicoscienza, Pascal telefonasse a Leo, aMorgan e a Diaz.

– Leo non ne ha, – disse Pascal nelcornetto. – Ho qui davanti a me un uomodella brigata di Treiso che mi fa segnoche Leo non ne ha. Provo a telefonare aMorgan e a Diaz. Comunque, Pan, se tiarrivasse un prigioniero fresco fresco,non lo scorciate ma speditemelo subitoin macchina.

– Telefona a Morgan, presto, – disseMilton come Pascal riagganciò.

– Chiamo Diaz, – rispose Pascalseccamente.

Milton sbirciò Sceriffo. Ora eragrigiastro. Ma, pensava Milton, non era

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per il destino di Giorgio, ma solo per ilterrore retroattivo dei nemici sparsi acentinaia nel nebbione, e lui Sceriffo cheli passava in cieca rivista, tranquillo,incosciente, tutto assorbito dal frullo diun uccello sperduto.

– Povero Giorgio, – biascicòSceriffo. – Che porca ultima notte si èpassato. Chissà come sta male. Avràancora quelle nocciole sullo stomaco.

– Forse è già tutto finito per lui, –disse un tale alle spalle di Milton.

– Piantatela, – disse Pascal, mentreil telefono squillava.

Era Diaz in persona. No, non avevaprigionieri. – I miei serpenti, – disse, –non beccano da un mese –. Ri-cordava

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benissimo il biondo Giorgio e glienerincresce-va, ma non aveva uno stracciodi prigioniero.

Un partigiano col pizzetto, cheMilton vedeva per la prima volta,domandò in giro dove lo facessero inAlba.

Letteratura italiana Einaudi48Beppe Fenoglio - Una questione

privata Rispose Frank: – Qua e là. Il piúdelle volte contro il muro del cimitero.Ma anche contro la scarpata dellaferrovia o in un punto qualsiasi dellacirconvallazione.

– Non buono a sapersi, – dissequello col pizzetto. E

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si risentí. – Per me rose bianche.Morgan parlava già. – Fottuted boys.

Non ne ho. Chi era questo Giorgio? Diosergente, vedi come capita. Tre giorni fane avevo uno, ma ho dovuto smistarloalla divisione. Era un pulcino bagnato, epoi si rivelò un buffone di prima forza.Una rivelazione. Ci fece spanciare pertutta la giornata che passò con noi.Pascal, l’avessi visto imitare Totò eMacario. L’avessi visto suonare tutta unabatteria invisibile. Lo spedii alladivisione raccomandan-do di nonscorciarlo, ma lo sotterrarono nellanotte. Ve-di come capita, Dio sergente!Chi era questo Giorgio?

– Un bel biondo, – rispose Pascal. –

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Se ne pigli uno fresco fresco, non loscorciare, Morgan, e non lo smista-renemmeno alla divisione. Sono giàd’accordo con Pan.

Mandamelo in macchina.Pascal agganciò e vide Milton che

premeva verso l’uscita.– Dove vai?– Torno a Treiso, – rispose

voltandosi a metà.– Resta a mangiare con noi. Che

parti adesso per Treiso a fare?– A Treiso si sa prima.– Che cosa?Ma Milton si era già avventato fuori.

Ma fuori cozzò in un’altra ressa.Facevano cerchio serrato intorno a

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Cobra il quale si era accuratamenterimboccato le maniche fin sui potentibicipiti e ora si curvava verso unimmaginario catino. – Guardate, –diceva, – guardate tutti quel che farò seammazzano Giorgio. Il mio amico, ilmio compagno, il mio fratello Giorgio.Guardate. Il primo che beccherò… mivoglio lavar le mani nel suo sangue.

Cosí –. E si curvavasull’immaginario catino e immerge-Letteratura italiana Einaudi

49Beppe Fenoglio - Una questione

privata va le mani e poi se le strofinavacon una cura e una morbiditàspaventevoli. – Cosí. E non solo le

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mani. Ma anche le braccia vogliolavarmi nel suo sangue –. E ripeteval’operazione di prima sull’avambraccioe sul lacerto.

– Cosí. Guardate. Se ammazzano ilmio fratello Giorgio

–. Parlava con la stessa morbidità enettezza con cui si lavava, ma in ultimoscoppiò in un urlo altissimo: – Voglio illoro sangue! Voglio entrare nel lorosangue fino alle ascelleeeee!

Milton partí di lí e si fermò nonprima dell’arco al principio del paese.Guardò lungo in direzione di Benevelloe Roddino. La nebbia si era sollevatadappertutto, in basso non ne restava chequalche francobollo appicci-cato sulla

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fronte nera delle colline. La pioggiacadeva sottile e regolare, senzadisturbare minimamente la visibilità.Torse la testa dall’altra parte e guardò inprofon-do verso Alba. Il cielo sulla cittàera piú cupo che altrove, decisamentevioletto, segno di una pioggia molto piúviolenta. Pioveva a dirotto su Giorgioprigioniero, forse su Giorgio giàcadavere, pioveva a dirotto sulla suaverità di Fulvia, cancellandola persempre. «Non potrò saperlo mai piú. Mene andrò senza sapere».

Sentí correre alle sue spalle, l’uomopuntava dritto su lui. Cercò di partir viain anticipo, ma non ce la fece, Frank gliarrivò addosso.

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– Dove vai? – ansimò. – Mica te labatti? Non mi la-scerai qui solo. Oggiarriverà certamente il padre di Giorgio avedere se abbiamo da scambiare suofiglio. Se tu te la batti, resto solo io ariceverlo, a parlargli, ed io non me lasento. Questa parte io l’ho già fatta unavolta, coi fratelli di Tom, e non la vogliorifare, perlomeno da solo. Tu, perpiacere, resti qui con me.

Milton gli indicò i bricchi diBenevello e Roddino.

– Io vado da quelle parti. Se il padredi Giorgio arriva e chiede anche dime…

– Figurati se non chiede di te.Letteratura italiana Einaudi

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50Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Tu digli che io sono fuori a cercare

un cambio per Giorgio.– Davvero gli posso dir questo?– Glielo puoi giurare.– E dove vai a cercare?Pioveva rado e pesante, con gocce

piatte come monete.– Vado da Hombre, – rispose

Milton.– Vai dai rossi?– Visto che noi azzurri non abbiamo

prigionieri.– Ma quelli, ammesso che l’abbiano,

non te lo daran-no mai.

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– Me lo farò… imprestare.– Non te lo presteranno nemmeno.

Con la ruggine che c’è, con la testa chegli montano i commissari, con la bileche hanno in corpo per via dei lanci chenoi ricevia-mo e loro no…

– Hombre ed io siamo amici, – disseMilton. Amici speciali. Tu lo sai. Glielochiederò come favore personale.

Frank scrollò la testa. – Ammessoche l’abbiano e te lo diano… Non cel’hanno, perché in mano a loro unprigioniero non fa in tempo a essertale… ma ammesso che l’abbiano e te lodiano, tu che fai? Lo porti quidirettamente?

– No, no, – disse Milton torcendosi

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le mani. – Perderei troppo tempo.Mando avanti il primo prete che trovo elo scambio sulla collina di Alba colminimo di formalità. Ca-somai mi faròaccompagnare da due uomini di Nick.

La pioggia si stiacciava sulle loroteste e infradiciava le loro divise, maessi si accorsero che rinforzavaunicamente dal piú secco crepitare delfogliame dell’allea.

– Per di piú ripiove sul serio, –disse Frank.

– Perdiamo tempo, – disse Milton ea gamba tesa si calò per la proda nellastradina inferiore. Il suo tacco apriva nelfango piaghe lunghe e profonde e lustre.

– Milton! – chiamò Frank. – Io sono

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convinto che tornerai a mani vuote. Mase riesci ad avere l’uomo e vaiLetteratura italiana Einaudi

51Beppe Fenoglio - Una questione

privata per lo scambio, quando saraisulla collina della nostra Alba metticent’occhi e guardati da ogni parte.Attento ai trucchi, attento alle finte. Haicapito? Lo sai che questi scambi allevolte sono trappole infernali.

Letteratura italiana Einaudi52Beppe Fenoglio - Una questione

privata VIILa pioggia era minutissima, quasi

impercettibile sulla pelle, ma sotto di

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essa il fango della strada continuava alievitare a vista d’occhio. Erano quasi lequattro. La strada rampava. Miltondoveva già trovarsi nel raggio di avvi-stamento e di sorveglianza della brigatadi Hombre e per-ciò procedeva con gliocchi larghi e le orecchie tese,camminando a filo della scarpata.Poteva aspettarsi ad ogni passo che glifischiasse vicina una pallottola. I rossisospettavano delle uniformi e avevanola dannata inclina-zione a scambiare pertedesche le divise inglesi. Cosímarciava tenendo d’occhio i pendii e imacchioni e, in particolare, i casotti pergli attrezzi nelle vigne a mezzacosta.

Uscendo da una curva si arrestò

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netto. Gli si era parato dinnanzi unponticello intatto. «È intatto. Ponteintatto ponte minato». Studiò il corsod’acqua e la marcia, ne-ra natura amonte e a valle del ponticello. A monteil rio era troppo incassato e cosí pensòdi guardare a valle. Si calò nel prato equindi sulla sponda, ma all’ultimomomento si trattenne. «Non mi fido.Puzza di tranello. Il sentiero battuto èmolto piú a valle La gente avrà i suoimotivi per passare laggiú». Scese epassò laggiú. Sebbene ci fossero deimassi intermedi non poté evitare diinzup-parsi fino ai polpacci. L’acquamarrone era gelida.

La strada ripassava giusto sopra di

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lui, ma la scarpata era alta, erta, gonfia elustra di fango. Il fango aveva sep-pellito l’erba e spuntoni e cancellato isentieri. Salí con estrema concentrazionema dopo quattro passi scivolò e ricaddeal piano lordandosi tutto un fianco. Sistaccò il fango a manate e riprovò. Ametà dell’erta barcollò, annaspò nellavana ricerca di un appiglio, ripiombòrotolo-ni. Fece per urlare ma poirichiuse la bocca con uno scatto di dentiche si udí tutto all’intorno. Già che eravestito e calzato di fango, la terza voltasalí puntando go-Letteratura italianaEinaudi

53Beppe Fenoglio - Una questione

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privata miti e ginocchia. Issatosi sulciglio della strada, si diede a ripuliredal fango la carabina, quando senti amonte il rotolio di una piccola frana.Allungando lo sguardo vide unasentinella uscire a balzi da unacrepacciatura della rupe calcarea asinistra della strada. Il paese dovevastare subito dietro la rupe, perché nelcielo fuggiva veloce il fumo bianco dinumerosi comignoli.

La sentinella si era piantata a gambelarghe in mezzo alla strada.

– Abbassa l’arma, Garibaldi, – disseforte Milton. –

Sono un partigiano badogliano.Vengo a parlare al tuo comandante

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Hombre.Abbassò impercettibilmente il

moschetto e gli accennò di avanzare. Erapoco piú di un ragazzino, vestito tra ilcontadino e lo sciatore, con una vividastella rossa nel centro del mefisto.

– Tu devi avere sigarette inglesi, –disse per prima cosa.

– Sí, ma la manna è quasi finita, – eMilton gli presentò con una scossina ilpacchetto di Craven A.

– Facciamo due, – disse il ragazzoservendosi. come sono?

– Piuttosto dolci. Allora miaccompagni?

Salivano e Milton ad ogni passo sistaccava fango dalla divisa.

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– Quella è la carabina americana,eh? Che calibro?

– Otto.– Allora i suoi colpi non vanno bene

per lo sten. Non avresti qualche colpo disten sperduto nelle tasche?

– No, e poi che te ne faresti? Nonhai lo sten.

– Me lo farò. Possibile che non tiritrovi addosso qualche colpo da sten?Avete i lanci, voi.

– Ma vedi bene che porto lacarabina e non lo sten.

– Io, – disse ancora il ragazzo, – seavessi la scelta che hai avuto tu,prenderei lo sten. Quella non fa leraffiche, e son le raffiche che piacciono

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a me.Dal piano della strada emergeva il

tetto sconciato di Letteratura italianaEinaudi

54Beppe Fenoglio - Una questione

privata una casa costruita alla rinfusanel pendio sottostante. La sentinellatagliò in quella direzione.

– Ma quello non può essere ilcomando, – osservò Milton. – Quellosarà un posto di guardia.

Il ragazzo si calava per la ripa senzarispondere.

– Io voglio andare al comando, –insistette Milton. –

Ti ho detto che sono amico di

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Hombre.Ma il ragazzo era già saltato in

un’aia bulicante di fango. Si voltòappena e disse. – Per qui si passa. Hol’ordine da Nèmega di far passare tuttiper qui.

Sull’aia stava una mezza dozzina dipartigiani, chi ritto e chi accoccolato,ma tutti addossati al muro, al confine delfango e dello stillicidio. A un lato stavaun portico semidi-roccato, ingombro distie, l’aria scura era appestata dalleesalazioni, esaltate dall’umidità, dellosterco di gallina.

Uno di quelli alzò gli occhi e dissecon una impreve-dibile voce di falsetto:– To’, un badogliano. Questi son signori.

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Guardate, guardate come sono armati edequipaggiati questi cristi.

– Guarda anche come sonoinfangato, – gli disse Milton tranquillo.

– Ecco, quella è la carabinaamericana famosa, disse un secondo.

E un terzo, con tanta ammirazioneche non lasciava piú posto all’invidia: –E quella è la Colt. Prendete la fo-to allaColt. Non è una pistola, è un cannoncino.È piú grossa della Llama di Hombre. Èvero che spara i mede-simi colpi delThompson?

La sentinella l’aveva preceduto inuno stanzone tutto nudo salvo per duepancacce e il rudere di una madia. Sivedeva poco e il ragazzo maneggiò per

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accendere un lu-me a petrolio.Illuminava poco e mandava un fumo ne-ro, grasso, che faceva sternutire.

– Nèmega viene subito, – disse ilragazzo e riuscí prima che Miltonpotesse domandargli chi era questo Nè-

mega.Letteratura italiana Einaudi55Beppe Fenoglio - Una questione

privata Non tornò al suo posto diguardia alla rupe, si fermò sull’aia conquegli altri. Uno di loro stava mirandoper finta un cane alla catena che Miltonpassando non aveva notato.

– Che vuoi?Milton ruotò su se stesso. Nèmega

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era vecchio, aveva certo trent’anni, euna faccia che pareva la fronte di unbunker, con le feritoie degli occhi edella bocca. Portava un giubbettoimpermeabile che sotto la pioggiacontinua aveva assunto la squadratura diuna scatola di cartone.

– Parlare col comandante Hombre.– Parlargli di che?– Lo dirò a lui.– E tu chi sei che vuoi parlare con

Hombre?a– Sono Milton della 2 divisione

badogliana. Brigata di Mango –. Si dissedella brigata di Pascal perché era piúgrossa e piú nominata della brigata di

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Leo.Gli occhi di Nèmega erano

praticamente invisibili.– Sei un ufficiale? – gli domandò

Nèmega.– Non sono ufficiale, ma ho compiti

da ufficiale. E tu chi sei? Sei ufficiale tu,commissario o vicecommissario?

– Sai che noi ce l’abbiamo amaracon voi badogliani?

Milton lo fissò con malinconicointeresse. – E perché?

– Avete accolto un uomo che avevadisertato da noi.

Certo Walter.– Tutto lí? Ma è uno dei nostri

principi. Da noi si entra e si esce

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liberamente. A patto di non finire nellebrigate nere, è ovvio.

– Noi ci siamo presentati alle vostrepostazioni per riavere l’uomo, e voialtrinon solo non ce l’avete riconse-gnato,ma ci avete fatto fare dietrofront esparire, o ci menavate coi bren.

– Dov’è successo? – sospirò Milton.– A Cossano.– Noi siamo di Mango, ma penso che

anche noi avremmo agito ugualmente.Voi eravate nel torto a rivo-lere un uomoche di voi non voleva piú saperne.

Letteratura italiana Einaudi56Beppe Fenoglio - Una questione

privata

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– Intendiamoci, – disse Nèmegaschioccando le dita.

– A noi non interessava l’uomo, anoi interessava l’arma Ha disertato colmoschetto e il fucile apparteneva allabrigata e non a lui. Nemmeno ilmoschetto avete voluto ridarci, e sí chevoi avete i lanci, ricevete tante armi emunizioni che ve ne crescono e ledovete sotterrare. È

falso quel che diceva Walter,nascosto dietro le spalle dei vostri, ecioè che il moschetto era suo, che luil’aveva portato alla brigata. L’arma eradella brigata. Di elemen-ti come Walterpossono scapparcene anche una dozzina,ma non un’arma dobbiamo perdere. Di’

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a Walter, quando lo vedi, di non sbagliarmai strada, di girare alla larga dalnostro distretto.

– Glielo dirò. Me lo farò indicare eglielo dirò. Ora posso vedere Hombre?

– Tu conosci Hombre? Di persona,voglio dire, non per sola fama.

– Eravamo insieme al combattimentodi Verduno.

Sembrò impressionato, quasi coltoin fallo, e Milton credette di capire cheall’epoca di Verduno Nèmega non eraancora in collina.

– Ah, – fece. – Ma Hombre non c’è.– Non c’è!? Me l’hai intonata di quel

Walter e del suo miserabile moschettoper dirmi ora che Hombre non c’è? E

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dov’è?– Fuori.– Fuori dove? Fuori tanto?– Di là del fiume.– Io divento pazzo. Ma che è andato

a fare di là del fiume?– Voglio dirtelo. Per benzina. Per

solvente da usare come benzina.– Di stasera non torna?– Sarà già tanto che di stanotte

ripassi di qua.– Io ero venuto per una cosa

importante e urgentissi-ma. Avete unfascista prigioniero?

Letteratura italiana Einaudi57Beppe Fenoglio - Una questione

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privata– Noi? Noi non ne abbiamo mai. Noi

li perdiamo nell’istante stesso che lifacciamo.

– Noi non siamo piú teneri di voi, –disse Milton.

– Prova ne sia che non ne abbiamo esiamo venuti a chiederne a voi.

– Questa è abbastanza nuova, – disseNèmega. – E

noi ve li dovremmo regalare?– Un prestito. Un regolare prestito.

C’è almeno il commissario?– Non l’abbiamo ancora. Per ora

viene qualche volta il commissario delladivisione di Monforte.

Nèmega andò ad aumentare la

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fiamma del petrolio e tornando disse: –Che volevate farne? Scambiarlo con unodei vostri? Quando l’hanno beccato?

– Stamattina.– Dove?– Sull’altro versante, verso Alba.– Come?– La nebbia. Da noi era un mare di

latte.– È tuo fratello?– No.– Allora un tuo amico? Si capisce,

se hai sfangato fin quassú a fare unaparte del genere. Ma non siete capaci didarvi da fare in giro per beccarne uno?

– Certo, – rispose Milton. – Giranogià dei nostri per questo. Ecco perché

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eravamo certi di potervi rendere l’uomo.Ma non è come andare a coglier l’uva ilmese di settembre. Potrebbe volerciqualche giorno e intanto, forse propriomentre noi stiamo qui a discutere, il miocompagno è già andato al muro.

Nèmega bestemmiò, piano maconcentrato.

– Dunque non ce l’avete?– No.– Io presto o tardi rivedrò Hombre e

gli riferirò di questa mia venuta.– Potrai riferirgli tutto quel che ti

pare, – rispose sec-Letteratura italianaEinaudi

58Beppe Fenoglio - Una questione

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privata co Nèmega. – Io sono a posto.Ti ho detto che non abbiamo prigionieried è la verità. Ma aspetta, ti faccioparlare con uno che può dirti perché nonne abbiamo.

– È inutile… – cominciò Milton, maquello era già sparito nell’interno dellacasaccia e stava chiamando Pa-co, Paco.

Il nome lo fece trasalire. Paco.Fosse quel Paco che conosceva lui. Manon poteva essere, era certamente unaltro Paco. Tuttavia, di partigiani colnome di battaglia Paco non potevanoessercene tanti.

Riudí Nèmega chiamare Paco, versoil vallone, con voce stufa e calante.

Milton pensava a un Paco che prima

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era badogliano, del presidio di Neive, alprincipio dell’estate. Poi aveva litigatoper una requisizione col suo comandantePierre ed era scomparso, e qualcuno síaveva immaginato che fosse passato allaStella Rossa. «Ma non può essere quelPaco», concluse Milton.

E invece era proprio lui, immutato,grosso e disartico-lato, con le manicome palette da fornaio e il ciuffo ros-signo sulla fronte gialla. Entrandoriconobbe subito Milton. Era semprestato un tipo socievole ed anche Miltonfece una volta tanto l’espansivo.

– Milton, vecchio serpente, ti ricordidi Neive?

– Certo. Ma poi tu te ne andasti. Fu

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per causa di Pierre?– Macché, – rispose Paco. – Tutti

credono che io me la sia battuta percausa di Pierre, ma non è vero. Neivenon mi piaceva.

– A me non dispiaceva.– A me no. Ultimamente non mi ci

vedevo piú, non ci chiudevo piú occhio.Sarà stata pura superstizione, ma non miandava la sua posizione, non mi andavache fosse diviso in due borghi, non miandava che la ferrovia ci passasse inmezzo. Ultimamente non potevonemmeno piú soffrire il suono delle suecampane quando battevano le ore.

Letteratura italiana Einaudi59

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Beppe Fenoglio - Una questioneprivata

– E ora come te la passi nellaGaribaldi?

– Niente male. Ma l’importante nonè essere rossi o azzurri, l’importante èscorciare tanti neri quanti ce n’è.

– D’accordo, – disse Milton. – Puoidirmi se Hombre ha un fascistaprigioniero?

Paco scrollò immediatamente latesta.

– Fuma un’inglese, – disse Miltonporgendogli il pacchetto.

– Sí, ho piacere d’assaggiarne una.Gli inglesi non buttavano ancora quandoio stavo nei badogliani.

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– È vero che Hombre è fuori?– È di là del fiume. Tabacco dolce,

da donna.– Sí. Dunque non avete un

prigioniero?

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– Arrivi tardi di un giorno, – risposePaco sottovoce.

Milton sorrise di disperazione. –Meglio non me l’avessi detto, Paco. Echi era?

– Un caporale della Littorio.– Quello che faceva per me.– Un magrone. Un lombardo. Lo

cerchi per fare uno scambio? Chi hannopreso dei vostri?

– Giorgio, – disse Milton. – Unnostro compagno di Mango. Forse te loricordi. Quel bel ragazzo biondo,elegante…

– Mi pare, mi pare.Milton chinò la testa e si riassestò

sulla spalla la carabina.

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– Proprio ieri, – bisbigliò Paco, –proprio ieri l’abbiamo spedito.

Ridiscesero nell’aia. Quei cinque osei erano spariti chissà dove, solo ilcane alla catena si fece vivo, si avventòverso loro ringhiando da strozzato. Eraincredibil-mente scuro e tirava un ventopazzo, che faceva gorghi, come se sirigirasse a mordersi la coda.

Paco lo accompagnava sulla strada eper un altro tratto ancora. – Tu eri unazzurro che mi andava, disse.

Una volta sulla strada Paco disse: –Vuoi sapere come è morto?

Letteratura italiana Einaudi60Beppe Fenoglio - Una questione

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privata– No. A me basta sapere che è

morto.– Te lo garantisco.– Tu gliel’hai fatto?– No. Io ce l’ho solamente

accompagnato. In un bosco che da quinon si vede. E appena fatto io me lasono subito filata. Chi lo fa lo ricopre,giusto?

– Giusto.– Piantò due urlacci. Sai cosa urlò?

Viva il Duce!– Padronissimo, – disse Milton.Non pioveva, ma sotto il vento

obliquo le acacie sgrondavano ditraverso, quasi con malizia, con acredi-

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ne. Milton e Paco tremavanosonoramente. La grande rupe calcareasfumava nel buio.

Paco comprese che Milton non sisarebbe piú opposto e cominciò:

– Tutto ieri mattina me la feceandare col porco duce.

L’avevo io in consegna. Verso ledieci Hombre mandò una moto aprelevare il parroco di Benevelloperché questo caporale desiderava ilprete. A proposito del parroco diBenevello, ieri mattina mi fece ridere eadesso voglio far ridere anche te. Comescende dal sidecar corre da Hombre egli fa: «Ma è ora di finirla, sempre io aconfes-sare i vostri condannati! Per

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piacere, la prossima volta usate ilparroco di Roddino. A parte il fatto cheè piú giovane di me e abita menolontano, un tantino di avvicen-damento,di rotazione, per nostro signor GesúCristo!»

Milton non rise e Paco continuò: –Allora, il prete e il soldato si ritirano ametà della scala della cantina. Io e unaltro di nome Giulio in cima alla scala,pronti a fre-garlo se faceva una mossafalsa. Ma di quel che si dicevano noncapivamo una parola. Dopo dieci minutirisalgo-no e sull’ultimo scalino il pretegli dice: «Io ti ho messo in regola conDio, con gli uomini purtroppo non possofarci nulla», e svicola. Il caporale resta

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con me e con Giulio. Tremava, ma nontanto. «Che cosa aspettiamo ancora? Iosono pronto», dice. Ed io: «Non èancora il Letteratura italiana Einaudi

61Beppe Fenoglio - Una questione

privata tuo momento». «Vuoi dire chenon me lo fate di oggi?»

«Di oggi sí, ma non subito». Alloracasca seduto in mezzo all’aia, su duepalmi di fango e si prende la testa fra lemani. Io gli dico: «Se volessi scrivereuna lettera, da con-segnare al preteprima che riparta…» E lui: «E a chiscri-vo? Tu non sai che io son figlio diuna puttana e del piú lesto. O vuoi chescriva al Presidente dei Trovatelli?» E

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Giulio: «Oh, ma in questa repubblicasiete in tanti a esser figli di nessuno?».Subito dopo Giulio dice che deveandare per una commissione di cinqueminuti e se ne va lasciandomi l’arma.«Quello va a cagare», dice il caporalesenza seguirlo con gli occhi. «Tu neavresti voglia?»

domando io. «Magari, ma che pro mifa?» «Fumati allora una sigaretta», glidico io, e gli sporgo il pacchetto, marifiuta. «Non ho l’abitudine. Tu non cicrederai, ma non ho l’abitudine delfumo». «E fuma. Non sono for-tissime,sono abbastanza buone». «No, non sonoabitua-to a fumare. Se fumassi nonfinirei piú di tossire. E io voglio

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gridare. Almeno questo». «Gridare?Adesso?»

«Non adesso, ma quando sarà il miomomento». «Grida quanto ti pare», dicoio. «Griderò Viva il Duce!» mi an-nunzia lui. «Ma grida quel che ti pare, –dico io, – tanto qui nessuno siscandalizza. Però ricordati che tisprechi.

Il tuo duce è un gran vigliacco».«Puah! - mi fa, – il Du-ce è un grande,grandissimo eroe. Voi, voi siete grandivigliacchi. E anche noi, noi suoi soldati,siamo grandi vigliacchi. Se non fossimograndi vigliacchi, se non avessimo tiratosolo a campare, a quest’ora vi avremmogià sterminati tutti, avremmo piantato la

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nostra bandiera sull’ultima vostracollina. Ma il Duce, lui è un grandissimoeroe, e io morirò gridando Viva ilDuce!» Ed io: «Ti ho già detto che puoigridare quel che ti pare, ma ti ripeto chesecondo me ti sprechi. Io sono sicuroche tu mo-rirai molto meglio di comesaprà fare lui quando sarà la sua ora. Esarà presto, se c’è una giustizia almondo». E

lui: «E io ti ripeto che il Duce è ungrandissimo eroe, un Letteratura italianaEinaudi

62Beppe Fenoglio - Una questione

privata eroe mai visto, e tutti noiitaliani, voi e noi, siamo tutti degli

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schifosi che non ce lo meritavamo». Edio: «Io non voglio discutere con te alpunto che sei. Però il tuo duce è ungrandissimo vigliacco, un vigliacco maivisto.

Io gliel’ho letto in faccia. Senti qua.Tempo fa mi è venuto tra le mani ungiornale di allora, dei tempi belli pervoi, con una fotografia di lui chepigliava mezza pa-gina, e me la sonostudiata per un’ora. Ebbene, io gliel’holetto in faccia. E se insisto tanto èperché non voglio che tu ti sprechi agridare Viva Lui in punto di morte. Io melo vedo, chiaro come il sole. Quandotoccherà a lui come ora tocca a te, luinon saprà morire da uomo. E nemmeno

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da donna. Morirà come un maiale, io melo vedo. Perché è un vigliaccofenomenale». «Vi-va il Duce!» mi faquello, ma piano, sempre tenendosi latesta fra i pugni. E io non perdo lapazienza e gli di-co: «È un vigliaccoenorme. Quello di voi che morirà piú daschifoso morirà sempre come un dio inconfronto a lui. Perché lui è un vigliaccocolossale. È il piú vigliacco italiano chesia esistito da quando esiste l’Italia, eper vigliaccheria non ne nascerà piúl’uguale anche se l’Italia durasse unmilione di anni». E quello: «Viva ilDuce!» mi rifà, sempre sottovoce. Poiarrivò Giulio e mi disse: «Vogliono checi sbrighiamo». Ed io al caporale:

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«Alzati». «Ma sí, – fa lui, – togliamocidal sole». E

nota che pioveva grosso un dito.Erano arrivati in vista del

ponticello.– Lasciami pure qua, – disse Milton.

– Mi secca solo di dovermi infangare dinuovo come un porco.

– Perché?– Il ponte. È minato, no?– Macché minato. E dove lo

pigliamo l’esplosivo? Eora che fai?– Torno dai miei.– Che cosa farai per quel tuo

compagno?Milton esitò, poi glielo disse.

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Letteratura italiana Einaudi63Beppe Fenoglio - Una questione

privata Paco aspirò rumorosamente epoi disse: – Dimmi da che parte tenti.Alba, Asti o Canelli?

– Asti è troppo lontano. Alba è casamia e se mi andasse male… Odio ilpensiero di finir male a casa mia.

Poi farebbero la processione avenirmi a vedere. Se poi combinassi unpasticcio, se fossi costretto a sparareper sganciarmi, loro hanno Giorgio sulquale vendicarsi immediatamente.

– Resta Canelli, – disse Paco, – masai meglio di me che a Canelli è tuttaSan Marco. Vai a pescare nello stagno

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peggiore.– Gli uomini presi di spalle son tutti

uguali.Letteratura italiana Einaudi64Beppe Fenoglio - Una questione

privata VIIIVerso le dieci di notte, Milton,

anziché riessere a Treiso con Leo, era inun casale sperduto alle falde dellaimmensa collina che dà su Santo Stefanoe Canelli, a due ore di cammino daTreiso.

Nel buio la casa l’aveva trovata atentoni, ma la conosceva a memoria. Erabassa e sbilenca come se si fosse ri-cevuta sul tetto una tremenda manata e

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non si fosse mai piú riassestata. Eragrigia del medesimo grigio del tufo delvallone, con finestrelle slabbrate e quasitutte ma-scherate da assiti fradici per leintemperie, con un ballatoio di legnoanch’esso marcio e rattoppato con partidi latte da petrolio. Un’ala era diroccatae le macerie si am-mucchiavano intornoal tronco di un ciliegio selvatico.

L’unico sorriso lo faceva, quellacasa, dalla parte del tetto rimessa anuovo, ma faceva senso, come ungarofano rosso infilato nei capelli di unavecchia megera.

Milton fumava e guardava fisso ilmagro fuoco di tutoli di meliga, dando lespalle alla vecchia che stava affondando

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i piatti della cena in una conca di acquafredda. Si era già messo in borghese e sisentiva insuffi-cientemente coperto. Inparticolare la giacca gli andava leggera,come estiva, ed accentuava la sua duramagrez-za. Aveva appoggiato lacarabina a un angolo del focola-re eaccanto a sé, sulla panca, teneva lapistola.

Senza girar gli occhi la vecchia glidisse: – Tu hai la febbre. Non alzar lespalle. La febbre non vuole che le sialzino le spalle. Ne hai appena un’oncia,ma ce l’hai.

A ogni boccata Milton tossiva o sisforzava convulsi-vamente di soffocarela tosse.

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La donna riprese: – Stavolta ti hofatto mangiar male.

– Oh no! – disse Milton vivamente. –Mi avete dato un uovo!

– Questo fuoco di tutoli non scalda,eh? Ma la legna va risparmiata.L’inverno sarà lunghissimo.

Letteratura italiana Einaudi65Beppe Fenoglio - Una questione

privata Milton annui con le spalle. –Sarà l’inverno piú lungo da che mondo èmondo. Sarà un inverno di sei mesi.

– Perché di sei mesi?– Non avrei mai creduto che

avremmo dovuto passare un secondoinverno. Nessuno venga a dirmi che lui

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l’aveva previsto o gli do in faccia delbugiardo e del mil-lantatore –. Si voltò ametà verso la vecchia e aggiunse: –

L’altro inverno avevo un bellissimopellicciotto di agnel-lo. Verso la metà diaprile lo buttai via, sebbene fossebellissimo e sebbene il cuore mi sistringa sempre un po’

al buttar via la mia roba. Pensate cheda ragazzo, prima che venissi in guerra,mi si stringeva il cuore a buttare lecicche delle sigarette, specie quelle chebuttavo di notte, nel buio. Pensate: mistringeva il cuore il destino delle cicche.Quel pellicciotto lo buttai dietro unasiepe, dalle parti di Murazzano. Alloraero convinto che prima del nuovo freddo

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avremmo avuto tutto il tempo di rove-sciarne due di fascismi.

– E invece? Invece quando saràfinita? Quando potremo dire fi-ni-ta?

– Maggio.– Maggio!?– Ecco perché ho detto che l’inverno

durerà sei mesi.– Maggio, – ripeté la donna a se

stessa. – Certo che è terribilmentelontano, ma almeno, detto da un ragazzoserio e istruito come te, è un termine. Èsolo di un termine che ha bisogno lapovera gente. Da stasera voglioconvincermi che a partire da maggio inostri uomini po-tranno andare alle fieree ai mercati come una volta, senza

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morire per la strada. La gioventú potràballare all’aperto, le donne giovaniresteranno incinte volentieri, e noivecchie potremo uscire sulla nostra aiasenza la paura di trovarci un forestieroarmato. E a maggio, le se-re belle,potremo uscire fuori e per tuttodivertimento guardarci e godercil’illuminazione dei paesi.

Mentre la donna parlava, descriveval’estate della pa-Letteratura italianaEinaudi

66Beppe Fenoglio - Una questione

privata ce, una smorfia dolorosa sidisegnò e fermò sulla faccia di Milton.Senza Fulvia non sarebbe estate per lui,

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sarebbe stato l’unico al mondo a sentirfreddo in quella piena estate. Se peròFulvia era ad aspettarlo sulla riva diquell’oceano burrascoso attraversato anuoto… Doveva assolutamente sapere,doveva assolutamente, domani, romperequel salvadanaio ed estrarne la monetaper l’acquisto del libro della verità.

Poté pensare a tutto questo perchéper un minuto la donna tacque, stetteattenta alla pioggia che si schianta-vasul tetto.

– Non ti pare, – disse poi, – che sucasa mia il Padre-terno la rovesci piúforte che altrove?

Passò davanti a Milton, rovesciò nelfuoco ciò che restava di tutoli nel

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cestone e gli si fermò davanti, secca,oleosa, sdentata, puzzolente, con suifianchi le mani ridot-te a un fascio diossicini, mentre Milton cercavadisperatamente di rivedere la giovane,la ragazza che era stata.

– E il vostro compagno? – domandòlei. – Quel povero ragazzo che ha avutola disgrazia stamattina?

– Non so, – rispose, torcendo losguardo all’impiantito.

– Si vede che ci patisci. Non avetepotuto far niente per lui?

– Niente. In tutta la divisione nonc’era un prigioniero per lo scambio.

La vecchia levò e agitò le braccia. –Vedi che i prigionieri bisognerebbe

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risparmiarli, tenerli per i casi comequesto di stamattina? Eppure ne avevate.Ne vidi uno io, qualche settimana fa,passare sul sentiero davanti a casa mia,con gli occhi bendati e le mani legate, econ Firpo che lo spingeva avanti aginocchiate. Io dall’aia gli gridai diavere un po’ di misericordia, che dimisericordia siamo al caso di avernebisogno tutti. Firpo si voltò come unafuria e mi diede della vecchia strega ese non andavo subito a nascondermi misparava. Firpo al quale avrò dato centovolte da mangiare e dormire. Vedi che iprigionieri bisognerebbe risparmiarli?

Letteratura italiana Einaudi67

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Beppe Fenoglio - Una questioneprivata Milton scrollò la testa. – Questaguerra non la si può fare che cosí. E poinon siamo noi che comandiamo a lei, maè lei che comanda a noi.

– Può darsi, – disse lei, – ma intantolaggiú in Alba, in quel posto maledettoche è diventata Alba, lo avranno giàammazzato. Ammazzato come noiammazziamo un coniglio.

– Non lo so, non credo ancora.Tornando da Benevello, sulla strada diMontemarino, ho incontrato Otto delpresidio di Como. Conoscete Otto?

– Conosco anche Otto. Gli ho datoda mangiare e dormire piú di una volta.

– Otto non ne sapeva ancora niente.

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Lui è del presidio piú vicino ad Alba.L’avessero già fucilato otto l’avrebbegià saputo.

– Allora fino a domani non c’è daaver paura?

– Non vuol dire. L’ultimo dei nostrifucilato laggiú lo fucilarono alle due dinotte.

La vecchia alzò le mani alla testa manon ce le posò. –

Se non sbaglio, era di Alba come te.– Sí.– Eravate amici?– Siamo nati insieme.– E tu?– Io cosa? – scattò Milton. – Io…

che posso farci? –

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Volevo dire che tu potresti benissimoessere al posto suo.

– Oh certo.– Ci pensi?– Sí.– E non…?– No. Anzi. Peggio di prima.– Ma ce l’hai ancora tua madre?– Sí.– E a lei non pensi?– Sí. Ma sempre dopo.– Dopo che cosa?Letteratura italiana Einaudi68Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Passato il pericolo. Prima e

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durante il pericolo mai.La vecchia sospirò e quasi sorrise,

di un sollievo quasi beato.– Tanto che mi disperai, – disse, –

tanto che mi arro-vellai, che a momentimi portavano al manicomio…

– Ma che cosa dite?– Parlo dei miei due figli, – rispose,

accentuando il sorriso, – che mi sonmorti di tifo nel trentadue. Uno diventuno e l’altro di vent’anni. Tanto chemi disperai, tanto che impazzii, che mivolevano ricoverare anche quelli che mivolevano veramente bene. Ma adessosono contenta. Adesso, passato il dolorecol tempo, sono contenta e tantotranquilla. Oh come stanno bene i miei

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poveri due figli, come stanno benesottoterra, al riparo degli uomini…

Milton alzò una mano a comandarlesilenzio. Impugnò la Colt e puntò laporta. – Il vostro cane, – mormorò allavecchia. – Non mi piace come fa.

Il cane fuori ringhiava sordamente,lo si sentiva bene attraverso il rumoreconfondente della pioggia. Milton si erasollevato a metà dalla panca e tenevasempre la pistola puntata all’uscio.

– Non ti scomodare, – disse lavecchia con voce piú alta del normale. –Io conosco la bestia. Fa cosí non perchéci sia pericolo ma perché ce l’ha con sestesso. È un cane che non si può soffrire,non ha mai potuto soffrirsi.

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Non mi stupirei una mattina di usciresull’aia e trovarlo impiccato con le suestesse zampe.

Il cane si arrovellava ancora. Miltonascoltò un altro po’, poi depose lapistola e risedette. La vecchia eratornata nell’angolo lontano della cucina.

A un certo momento si voltòcuriosamente verso Milton e glidomandò che avesse detto.

– Io non ho parlato.– Hai parlato sí.– Ma non mi pare.Letteratura italiana Einaudi69Beppe Fenoglio - Una questione

privata

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– Io sono vecchia e non dovreicompetere con un ragazzo di vent’anni infatto di sensi buoni. Ma hai detto quattrocon qualcos’altro insieme. Forse haidetto uno di quei quattro.

– Sarà, ma io non me ne sonoaccorto.

– Meno di un minuto fa. Pensavi aqualcosa con un quattro dentro?

– Non mi ricordo. Qui piú nessuno ènormale. Solamente la pioggia è ancoranormale.

In realtà aveva pensato intensamentea «uno di quei quattro» e certamenteaveva finito col darvi voce. Econtinuava a pensarci, mentre dalcervello gli scendeva al naso la gran

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puzza di polmone di vacca bollito chec’era nell’osteria di Verduno, quellamattina.

Quella era stata la prima volta cheazzurri e rossi avevano combattutoinsieme. Il presidio di Verduno erabadogliano e il versante successivo eraoccupato da una brigata rossa alcomando di Victor il francese. Unbattaglione del reggimento di Alba eragià apparso in fondo alla valle.

C’era fanteria e cavalleria, ma lacavalleria sbucò fuori all’ultimomomento. La fanteria avanzava senzacriterio, senza punte di sicurezza, senzaprotezione laterale, senza niente. Victor,che era già arrivato sulla piazza, l’aveva

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te-nuta a lungo sotto il binocolo e poidisse: – Non sparia-mole in fase diavvicinamento, diamo a vedere che ilpaese è indifeso e pacifico e liriceveremo nelle strade e sulla piazza, àbout portant, a bruciapelo. Non se neaccorge-ranno che quando saranno intrappola. Quelli sono defi-cienti oubriachi, non vedete? – Si ritirarono adiscuterne nell’osteria, c’era unaschifosa puzza di polmone di vaccabollito. Edo, il comandante badogliano,era contrario al piano di Victor perchépoi il paese avrebbe subito tre-menderappresaglie. Era molto meglio, disse,combattere regolarmente fuori paese, incampo aperto, e qualunque fosse stato

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l’esito, il paese avrebbe dovuto,ragionevol-mente, andare esente daconseguenze.

Letteratura italiana Einaudi70Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Questo è tipicamente,

spaventosamente azzurro, bisbigliò aMilton Hombre che allora era semplicecomandante di distaccamento. Milton equalche altro azzurro appoggiarono ilpiano di Victor, ma Edo manteneva lasua linea regolare. Aveva una testa daufficiale effettivo e soprattutto eraconvinto che, certa la vittoria finale, ipartigiani avrebbero invariabilmente

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perduto tutte le piccole o grandibattaglie intermedie. Allora, mezzo infrancese e mezzo in italiano, Victordisse: – Verdun è presidio vostro, ma ioci son dentro e non me ne ritiro.

Voi difendetelo pure dall’esterno, iolo difenderò da dentro. E Verdun neandrà di mezzo ugualmente, perché conle sole mie forze io non potrò tenerlilontani –.

Al che anche Edo si convinse ecedette.

Si era rimasti d’accordo di riceverlidentro il paese e non dare nel frattempoil piú piccolo segno di vita. Milton siera appostato dietro il parapetto dellapiazza e accanto a lui venne ad

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accosciarsi proprio Hombre. Insiemeguardavano i fascisti arrancare. Unaparte saliva per la strada, l’altratagliava per campi e prati. Questi pena-vano di piú, sdrucciolavano spesso, laterra si era snevata da una settimanaappena, e non ci fossero stati gli ufficialisarebbero tutti passati per la strada,come un gregge.

Ormai erano cosí vicini e l’ariatanto limpida che Milton col suo occhiosuperiore li vedeva bene in faccia, chiaveva barba e baffi e chi no, chi portavauna automatica e chi il moschetto. Poi sivoltò a vedere la disposizionenell’interno del paese e vide accantoalla pesa pubblica Victor e il grosso dei

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suoi appostati col Saint-Etienne.Guardò dall’altra parte e vide i suoi

azzurri con la mitragliatrice americana.Restarono dietro il parapetto qualcheattimo ancora, poi si ritirarono carponi eMilton andò a riunirsi ai suoi sotto ilportico del Comune. Hombre lui nonandò in gruppo, si isolò invece il piúpossibile, si defilò dietro l’angolo dellaprivativa. Il primo che si presentò – unsergente grande e grosso, con una barbaa Letteratura italiana Einaudi

71Beppe Fenoglio - Una questione

privata spazzola – spuntò proprio difronte alla privativa. Hombre si sporseappena e lo rafficò dall’angolo. Non al

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corpo, alla testa mirò, e si vide volarvia mezzo cranio e l’el-metto di quelsergente.

La raffica di Hombre diede il segnodel fuoco genera-le. I fascisti nonspararono che qualche colpo, eranotroppo sbalorditi, non si ripresero piú.La strage piú grande la fece il Saint–Etienne di Victor. Dopo, sulla stradadavanti alla pesa, ne contarono diciottostesi, ognuno impiombato per due. Primadella pesa la strada è selciata e fadiscesa, lí il sangue ruscellava comevino e pezzi di cervello vi galleggiavanosopra. Milton ricorda-va che GiorgioClerici vomitò e svenne e dovettero cu-rarlo come se fosse ferito grave.

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Non si sentivano piú spari, masolamente urla. Urlavano i fascistiancora vivi e urlava la gente nelle case.I soldati pur di salvarsi dalle stradeerano entrati nelle ca-se sforzando ilbarricamento e si erano nascosti sotto iletti e nelle madie, persino sotto lesottane delle vecchie, nelle stalle sotto ilforaggio e tra le bestie. Si sentiva Victorin una viuzza laterale correre come uncavallo e urlare: «En avant! En avant,bataillon!»

A un certo momento Milton si eratrovato solo, senza saper come, maimprovvisamente e del tutto solo, a partei cadaveri dei soldati. In quel mezzosilenzio e in quel deserto completo

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tremò. Poi udí un passo studiato, dallasua parte, si appostò dietro una pila espianò l’arma. Ma era Hombre. Siandarono incontro da amici, da fratelli.

Intanto si risentivano urla e spari, maera il loro festeg-giamento della vittoria.Erano vicini alla chiesa e gli parve dicogliere un trepestio, gente che scappa anascon-dersi in punta di piedi. Miltoncol mento accennò di sí a Hombre checon gli occhi gli domandava se avessesentito pure lui. – In chiesa, bisbigliòHombre ed entrarono con ogniprecauzione. C’era ombra e fresco.Cominciarono col frugare nel battistero,quindi nel primo confes-Letteraturaitaliana Einaudi

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72Beppe Fenoglio - Una questione

privata sionale. Non si sentiva un alito.Hombre sbirciò su alla cantoria ma poiscacciò l’idea e si diede a perquisire ibanchi uno dopo l’altro. Cosí, a spina dipesce, si avvicinavano all’altaremaggiore. Si avvicinavano e da dietrol’altare sbuca un soldato con le manialzate e dice: – Siamo qui dietro, – conuna voce da fanciulla. Aveva tanta paurache consegnarsi era un sollievo. Hombregli fece l’ombra di un sorriso e: – Venitefuori, quanti siete, –

disse piano, dolce, col tono di unanziano che perdona una ragazzata nelpunto in cui la scopre. E quelli, quattro,

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uscirono a mani alte da dietro l’altare evedendo Hombre e Milton fare a quelmodo, calmi, superiori, senza calci népugni né insulti, respirarono.

Uscirono dalla chiesa. Il sole parveil doppio piú caldo e piú lustro. Iquattro prigionieri non cessavano disbatter le ciglia e trasferir lo sguardodalla stella rossa di Hombre alfazzoletto azzurro di Milton. Le armidovevano averle buttate molto prima.

Milton vide che il loro grosso eragià fuori paese, diretto al crinale, edisse a Hombre di sbrigarsi a fare al-trettanto. Uscirono dalle case e preserodiagonalmente per la collina, a tre quartidalla cresta. La collina non era molto

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alta ma piuttosto rigonfia e senza unapianta né una siepe.

D’un tratto Milton notò unmovimento nella coda del grosso che liprecedeva di un trecento metri. Unmovimento che lo rimescolò tutto, diallarme improvviso e di scattodisperato, e subito dopo gli martellò leorecchie il galoppo di molti cavalli. Ilgrosso si era scompigliato ma Victor lorinserrò in un baleno e fece la mossa piúgiusta. Comandò a tutti di volare alcrinale e tuffarsi nel vallone, una speciedi scivolo per gli uomini ma per icavalli poco meno di un burrone.Arrivarono al ciglione, si tuffarono erotolarono giú e potevano dirsi in salvo,

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ma Milton e Hombre erano esposti allacarica. Erano molto indietro, a duecentopassi dal crinale. Ce l’avrebberoLetteratura italiana Einaudi

73Beppe Fenoglio - Una questione

privata fatta solamente a volare, ma seloro volavano non volavano i quattroche avevano capito la situazione. –Correte! – ordinò Hombre, – correte damaledetti! – ma quelli correvano comedonne. Milton scoccò un’occhiata albasso e vide i primi cavalli rampare sulpendio, fumando dai fianchi come stufe.I prigionieri si erano leggermentedisuniti, il piú a valle era a forse centometri dai primi cavalli e abbozzava

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segnali ai cavalleggeri. Questi nonsparavano ancora, per la distanza eperché nel tormento del galopporischiavano di colpire i loro camerati.Potevano distinguerli dal grigioverde,mentre Hombre e Milton vestivano a piúcolori.

– Che facciamo? – gridò Hombre eMilton: – Fa’ tu!

– ma avevano entrambi i capelli rittiin testa come aghi. I cavalli erano aottanta passi, galoppavano in diagonale.

Allora Hombre urlò ai quattro diserrare e riunirsi, con tanta autorità chequelli gli obbedirono istantaneamente ecome li ebbe in un mazzo Hombre glifece dentro tutto il caricatore. Andarono

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giú in un fascio, poi ognuno per suoconto ed abbrivo rotolava morto giúincontro al-la cavalleria, e si sentí iltremendo urlo dei montati. Fu queltremendo urlo a far riscuotere Milton efarlo partire a razzo, perché la cosa diHombre l’aveva congelato. Icavalleggeri sparavano, ma era un casoli colpissero, sebbene stessero acinquanta passi. Insieme arrivarono alcrinale e insieme si tuffarono a corpoperduto. Arrivarono in fondo e di tra lefelci riguardarono su al ciglione e icavalli non vi si erano ancora affacciati.

Milton si alzò massaggiandosi ilpetto che gli doleva in ogni punto.

– Perché non resti qui a dormire? –

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disse la vecchia. –Io non ho nessuna paura a tenerti

sotto il mio tetto. Sento che sarà unanotte vuota e cosí anche la primamattina.

Aveva rinfoderato la pistola e stavaaffibbiandosi il cinturone sotto lagiacca. – Grazie, ma voglio fare lacollina stasera. Non voglio svegliarmicon la collina tutta da fare.

Letteratura italiana Einaudi74Beppe Fenoglio - Una questione

privata Attraverso il muro e la tenebra ela pioggia poteva vederla, altissima, cheimmobilmente ondava sulla casa coisuoi mastodontici mammelloni.

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La vecchia insisteva. – Potreisvegliarti all’ora che desideri, per faredomattina la collina. Potrei svegliartialle tre. Per me non è disturbo. Io nondormo quasi piú. Sto distesa, con gliocchi larghi, e penso a niente o allamorte.

Tastava che tutto fosse in ordine,controllò i due cari-catori e i dieci colpisciolti nel borsellino del cinturone –

No, – disse poi, – voglio dormiresulla cima della collina, in modo chesvegliandomi abbia solo piú a scendere.

– Sai già dove fermarti?– Conosco un fienile proprio sotto il

ciglione.– E sei sicuro di trovarlo in questo

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buio e con questa pioggia spessa?– Lo troverò.– Quella gente ti conosce?– No. Ma io conto di nemmeno

svegliarla. Purché il cane non abbai.– Ci metterai un’eternità a salire fin

lassú.– Un’ora e mezza, – e Milton mosse

un passo verso la porta.– Aspetta almeno che la pioggia…– Se aspetto che la pioggia

diminuisca domani a mezzogiorno sonoancora qui, – e fece un altro passo versola porta.

– Che cosa vai a fare, cosí inborghese?

– Ho un appuntamento.

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– Con chi?– Con uno del Comitato di

Liberazione.La vecchia lo fissava con occhi duri

e stinti. – Bada, bada che due morti sonpeggio di uno.

Milton chinò la testa. – Viraccomando la mia arma e la mia divisa,– disse poi.

– Per ora stanno nascoste sotto ilmio letto, – rispose.

– Ma domattina, come mi alzo, lemetto in un sacco be-Letteratura italianaEinaudi

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privata ne asciutto e le calo nel pozzo.

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A metà del mio pozzo c’è un bucoquadrato e io ci ficcherò il saccomanovrando la catena e una canna lunga.Lascia fare a me.

Milton annuí. – Per il resto siamointesi. Se fra due se-re non ripasso, voifate una cosa sola. Date il sacco alvostro vicino e lo mandate a Mango. AMango lo consegni al partigiano Frank egli dica di mandarlo a Leo, comandantedella brigata di Treiso. E se chiedesseroperché e come mai, lui dicasemplicemente: «Milton è passato, si èmesso in borghese e non è piúritornato».

La vecchia gli puntò l’indice. – Tuperò fra due sere ripassi.

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– Mi rivedrete domani sera, –rispose Milton e aprí la porta.

Pioveva fitto, pesante ed obliquo, lamassa enorme della collina era tuttaannullata nel buio, il cane non eb-bereazioni. Partí a testa bassa.

Dall’uscio la vecchia gli gridò: –Domani sera mange-rai meglio distasera. E pensa di piú a tua madre!

Milton era già lontano, schiacciatodal vento e dall’acqua, marciava allacieca ma infallibilmente, mugolandoOver the Rainbow.

Letteratura italiana Einaudi76Beppe Fenoglio - Una questione

privata IX

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Da un promontorio della collinaMilton guardava giú a Santo Stefano. Ilgrosso paese giaceva deserto e muto,sebbene già interamente sveglio, comedichiaravano i comignoli che fumavanobianco e denso. Deserto era pure illungo rettilineo che collegava il paesealla stazione ferroviaria, e vuota, dallaparte opposta, la diritta strada perCanelli, tutta visibile fin oltre il pontemetallico, fino allo spigolo della collinache copriva Canelli.

Sbirciò l’orologio al polso. Segnavale cinque e minuti ma si era certamenterallentato nella notte. Erano perlomenole sei.

La terra era fradicia e nera, non

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faceva gran freddo e il cielo, sebbenegrigio, era leggero ed ampio come dalunghi giorni non appariva. I calzoni diMilton erano schizzati di fango fin sullacoscia e gli scarponi erano due gnocchidi mota.

Si calava su Santo Stefano aggirandoi macchioni scheletriti e puntando làdove sapeva esistere una passerella suBelbo. Quando arrivava a piombo dellespor-genze poteva intravvedere certitratti del torrente. L’acqua era scura epastosa, ma ancora lontana dallostraripare e la passerella era certamentein piedi. Il solo pensiero di doverpassare a guado lo scuoteva come unafebbre. Stava male, in particolare gli

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dolevano i polmoni, pareva sisfregassero l’uno contro l’altro conpunte fattesi da cartilagine in metallo, egli davano senso e sofferenza. Ad ognipasso gli cresceva dentro una sensazionedi totale debolezza e miserabilità. «Nonposso farlo in queste condizioni, nonposso nemmeno tentare. Dovrei quasisperare che non mi si presentil’occasione».

Ma scendeva.Eppure aveva dormito

magnificamente nel fienile sotto lospartiacque. Si era addormentato dicolpo, aveva fatto Letteratura italianaEinaudi

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Beppe Fenoglio - Una questioneprivata appena in tempo a finir diseppellirsi sotto il fieno, con appena unpiccolo tunnel scavato davanti allabocca. La pioggia crosciava sul tettobuono del fienile, violentissima e dolce.Un sonno di piombo, senza sogni, senzaincubi, senza la minima interferenzadella difficile, terribile cosa da farel’indomani. L’aveva poi svegliato uncanto di gallo, l’uggiolío di un cane avalle e il silenzio della pioggia. Subitoera sgusciato via da sotto il monticellodi fieno. Sobbal-zando sul sedere si eratrasportato sul bordo del fienile ed erarimasto con le gambe penzoloni nelvuoto. Lí lo posse-dette la piena

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coscienza di sé, di Fulvia, di Giorgio edella guerra. Allora tremò, di un tremitounico ed interminabile che andò atrovargli fin i talloni, e pregò che lanotte resistesse al giorno un po’ megliodi quel che facesse.

Quand’ecco uscire dalla casa ilcontadino e sfangare verso la stalla,ancora fantomatico nella luce checresceva a fiotti grigi. Milton stavastrusciandosi il mento e il fruscio quasimetallico della barba lunga e rada sidiffondeva per metri all’intorno. Infattiil contadino guardò su e restò secco. –

Hai passato la notte lassú? Be’,meglio cosí. Non è successo niente ed ioho potuto dormire. Se ti avessi saputo

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sotto il mio tetto, non avrei chiusoocchio. Ma ora scendi –. Milton saltò apiedi uniti nell’aia, atterrando con ungran botto e un ampio spruzzo di fango.Restò piantato dov’era piombato, a testachina, tastandosi il cinturone. – Avrai fa-me, – disse il contadino, – ma io non hoproprio da darti da mangiare. Di unapagnotta mi potrei privare… – No,grazie. – O vuoi un bicchiere di grappa?Fossi matto.

Il pane aveva sbagliato a rifiutarlo,ora si sentiva vuoto e inconsistente,quasi senza baricentro nei tratti piúripidi della calata, e si disse che gliconveniva fermarsi a chieder pane inqualche casa isolata prima di arrivare in

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vista di Canelli.Era giunto al piano e si affrettò

verso la passerella.Poi si accorse di aver puntato troppo

a valle e dovette risalire il torrente diuna cinquantina di passi.

Letteratura italiana Einaudi78Beppe Fenoglio - Una questione

privata Passò sulla pedanca fradicia esbilenca. Il paese oltre il greto erasempre perfettamente silenzioso,formicola-va di silenzio.

Il greto era largo, le pietre posavanosu un letto di fango vivo, cosicchédondolavano e sgusciavano sotto i suoipiedi. Non vedeva nessuno, non una

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vecchia né un bambino, alle finestre osui ballatoi posteriori delle casesopraelevate che da quella partechiudevano la piazza maggiore delpaese.

Contava di sboccare nella piazza perun vicoletto che sapeva, attraversarla abalzi, riuscire sull’altro lato del paese emettersi nella campagna a destra dellastrada per Canelli. Anche se quella erazona della Stella Rossa e connovantanove probabilità su centol’avrebbe fermato una loro pattuglia. «Echi sei, di che comando, e perché sei inborghese, e che ci fai nella nostra zona,sai la nostra parola d’ordine…?»

Accelerò verso l’imbocco del

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vicoletto, sul greto che si interrava, traciuffi di ortiche marce, quando gliinondò le orecchie il rombo dellacolonna. Era lanciatis-sima, stavadivorando l’ultimo tratto del rettilineoavanti il paese, dovevano essere sei odotto camions. Nessun strido, nessunsussulto ebbe il paese, già investitodalla ventata di quell’arrivo. Ma da unacasa sul greto a monte di Milton partí unuomo seminudo il quale si avventò suisassi verso Belbo. Correva cosí forteche sotto i suoi tacchi ciottolischizzavano all’intorno come proiettili.Di volo guadò il torrente e in un attimosparí in una albere-ta ai piedi dellacollina.

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A giudicare dalla qualità del rumore,la colonna stava rallentando per svoltarenella piazza. Allora Milton scattò versoBelbo, puntando al tratto di sponda chepresentava maggior riparo divegetazione. Qualcosa de-tonò alle suespalle, ma doveva essere semplicementelo schiocco di un’imposta sbattuta difuria.

Irruppe nell’acqua, cosí gelida chegli tolse il fiato e la Letteratura italianaEinaudi

79Beppe Fenoglio - Una questione

privata vista. Cosí guadò alla cieca eappena a terra si abbatté dietro un ciuffodi felci. Subito osservò dietro la collina,

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la vide vuota e tranquilla, quindi sirigirò a spiare il paese, e gli bastòquella mezza torsione per rendersi contodi quanto lo avesse già invischiato ilfango.

Si spensero i motori e subito dopoMilton sentí i tonfi a terra dei soldati, laloro corsa a controllare i quattro angolidella piazza, i comandi degli ufficiali.Era la San Marco di Canelli.

Vennero in vista in quel momento.Dall’angolo dell’ultima casa a sinistrasbucò una squadra portando a bracciauna mitragliatrice già montata e trottavaal ponte su Belbo. Milton prese aretrocedere strisciando per metteremaggior distanza tra sé e la

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mitragliatrice sul ponte che era appena asessanta passi.

L’avevano piazzata presso laspalletta, lentamente la brandeggiaronosu tutto il corpo della colossale collina apiramide strapiombante su Belbo einfine la puntarono definitivamenteall’ultima svolta della strada dellacollina discesa da Milton. Subito dopoarrivò dalla piazza un ufficiale. Parveapprovare il puntamento dell’arma e simise a chiacchierare coi soldati. Sivedeva da lontano che cercavapopolarità. A un certo momento si tolseil basco, si lisciò con una mano i capellibiondi e ci ricalcò su il basco.

L’esatta contropartita di Giorgio,

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pensava Milton. Ma era certo chel’ufficiale non gli sarebbe venuto a tiro,e nemmeno l’ultimo dei suoi soldati, cheavrebbe fatto ugualmente al caso suo. Isoldati erano arrivati da cinque minutiappena e Milton già sapeva che quellapuntata, che gli aveva portata la preda ametà strada, valeva solo ad obbligarlo araddoppiare la sua strada per Canelli, atramutare in gran parte di salita tuttapianura, e alla sola idea si vide comeuna formica che debba aggirare unmacigno.

L’acqua gli sciaguattava nellescarpe, dandogli brividi che sirisolvevano in convulsioni come pervomito a sec-Letteratura italiana Einaudi

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80Beppe Fenoglio - Una questione

privata co. Poi sentí montargli in golaun grosso nodo di tosse e allora cacciòla testa nella curva del braccio, con labocca quasi aderente al fango, pertossire il piú sommessa-mente possibile.Tossí a scoppi, a schianti, con stelle elampi rossi e gialli nel cielo nero degliocchi serrati, sus-sultando sul terrenocome un serpe trafitto. Poi, con le labbrasporche di fango, rispianò gli occhi alponte. I soldati non avevano sentito,fumavano e scorrevano con gli occhiogni strato della collina piramidale.Quel tenente era rientrato in piazza.

Lo assalí il terrore di aver perduto

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la pistola in tutti quegli scossoni erotolamenti. Trattenendo il fiato portòadagio la mano sopra la coscia, poil’abbatté di colpo sulla fondina. C’era.

Le ore, le sette, suonarono alcampanile della parroc-chia.Ribatterono. Nessun borghese si eraancora fatto vivo, non il piú innocentebambino, non una bisnonna, non unmutilato. La linea di case prospicienti iltorrente pareva la facciata di uncimitero. Milton si immaginòl’incrociare dei soldati nella piazzagrande, i loro ufficiali nei due bar chestavano bevendo caldo e tormentando lecameriere. «Tu hai l’amante neipartigiani. A noi non la racconti. Come

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fanno i partigiani a far l’amore?»Altri soldati non venivano in vista.

Milton continuò lungamente asorvegliare quelli sul ponte. Fumavanosenza tregua e osservavano tutt’intorno,ora sembravano particolarmente attiratida qualcosa sul greto a valle del ponte,verso la chiesa. Anche Milton allungò ilcollo da quella parte, traguardando sottol’arcata del ponte, cer-cando invano discoprire che cosa potesse esserci ditanto interessante. Ma poi uno deisoldati scoppiò in una risata e tutti glialtri lo seguirono a ridere. Poi un altropuntò precipitosamente il dito al ventredella collina piramidale e un paio sibuttarono dietro la mitragliatrice.

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Ma non fecero niente, e dopo unmomento si arressarono tutti a picchiarsulla schiena quello del dito.

Letteratura italiana Einaudi81Beppe Fenoglio - Una questione

privata Niente da fare. Tutt’al piú, unodi quelli poteva scendere sul greto a fareun bisogno, protetto a vista dai cameratisul ponte. Al massimo, uno, perbraveria, avrebbe potuto spingersi dasolo al principio della deserta stradadella collina, ma Milton non avrebbepotuto fargli niente. Solamenteucciderlo, per bene che gli andasse.

Tossí forte, senza precauzioni, poiprese a retrocedere carponi verso la

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falda della collina. Appena fu in unapioppeta si alzò su tutta la persona,crocchiando come una canna. Per ilprimo sentiero venutogli sott’occhioprese a risalire la collina. Eracertamente ancora sotto il tiro utile dellamitragliatrice sul ponte, ma nessun nemi-co era in grado di distinguerlo di controil fianco nera-stro della collina. Cosísaliva curvo e lento ma sicuro eindifferente, tremando e dimenando latesta. Si parlò a voce alta e rotta. «Mihanno tagliato la strada. Mi obbli-gano afare un giro pazzesco. E io sto male. Acasa, a ca-sa. Tanto non saprò mai. Lui ègià stato fucilato».

Aveva petto, ventre e ginocchia

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impiastrati di fango.Salendo cercò di scrostarsene

almeno una parte, ma le dita intirizzitenon gli risposero. Smise, ma dovettesfor-zarsi per superare la nausea delfango.

I soldati sul ponte non erano piú chepupazzetti. Da quell’altezza potevaanche ficcare lo sguardo nella piazza delpaese. Gli autocarri erano sei,parcheggiati di fronte al monumento aicaduti dell’altra guerra. I soldati eranoun centinaio e incrociavano adagio masenza posa.

Bruscamente lasciò il sentiero versola cresta e si mise per traverso a mezzacosta, puntando alla collina a piramide.

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«Non l’hanno ancora fucilato. Ed io nonposso stare senza sapere». Le piogge egli smottamenti avevano cancellato ognisentiero, sgretolato ogni rilievo.Traversava, affondando nel fango finoalle caviglie. Non poteva avanzare dipiú di quattro passi senza doversifermare a scollarsi i chili di fango chegli gravavano gli scarponi. Puntava allafascia boscosa che cingeva a metàLetteratura italiana Einaudi

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privata la collina piramidale. Eraappena il preambolo dell’aggi-ramentodella puntata dei San Marco a SantoStefano.

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Gli alberi erano anneriti dallepiogge e, senza che ti-rasse vento,sgrondavano fragorosamente.

Come vi entrò sotto, subito sentí untrepestio, anna-spamenti, delleesclamazioni smozzicate di allarme e didisgrazia. Allora stese avanti una manoe disse: – Non abbiate paura. Sono unpartigiano. Non scappate.

Erano cinque o sei uomini di quellacollina che, ripara-ti nel bosco,spiavano le mosse dei fascisti laggiú inSanto Stefano. Erano tutti ammantellati euno portava a tracolla una copertaarrotolata. Avevano anche fagottini diroba da mangiare. Se i soldati avesseropuntato di sorpresa alla loro collina,

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essi erano pronti ed equipaggiati perfuggire e restar lontani per ventiquattroed anche quarantott’ore.

Senza parlare, solo guardando disottecchi la sua straordinariainfangatura, tornarono ai loroosservatori, indifferenti allo stillicidioche gli infradiciava i berretti e le spalle.Il piú anziano di loro, ed anche quelloche sembrava sopportare con piú buonumore la situazione, un uomo con capellie baffi bianchi e occhi umorosi,domandò a Milton: – Quando dici chefinirà, patriota?

– Primavera, – rispose, ma la vocegli uscí troppo rauca e falsa. Diede uncolpo di tosse e ripeté: – Primavera.

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Allibirono. Uno bestemmiò e disse:– Ma quale primavera? C’è unaprimavera di marzo e una primavera dimaggio.

– Maggio, – precisò Milton.Rimasero tutti sbalorditi. Poi il

vecchio domandò a Milton come avessefatto ad infangarsi cosí.

Milton arrossí, inspiegabilmente. –Sono caduto in discesa e sono scivolatodi petto per molti metri.

– Verrà pure quel giorno, – disse ilvecchio guardando Milton con troppaintensità.

– Certo che verrà, – rispose Milton erichiuse la bocca. Ma il vecchioinsisteva a fissarlo con un’avidità in-

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Letteratura italiana Einaudi83Beppe Fenoglio - Una questione

privata soddisfatta, forse praticamenteinsaziabile. – Certo che verrà, – ripetéMilton.

– E allora, – disse il vecchio, – nonne perdonerete nemmeno uno, vogliosperare.

– Nemmeno uno, – disse Milton. –Siamo già intesi.

– Tutti, tutti li dovete ammazzare,perché non uno di essi merita di meno.La morte, dico io, è la pena piú mi-teper il meno cattivo di loro.

– Li ammazzeremo tutti, – disseMilton. – Siamo d’accordo.

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Ma il vecchio non aveva finito. –Con tutti voglio dire proprio tutti. Anchegli infermieri, i cucinieri, anche icappellani. Ascoltami bene, ragazzo. Ioti posso chiamare ragazzo. Io sono unoche mette le lacrime quando il macellaioviene a comprarmi gli agnelli. Eppure,io sono quel medesimo che ti dice: tutti,fino all’ultimo, li dovete ammazzare. Esegna quel che ti dico ancora. Quandoverrà quel giorno glorioso, se neammazzerete solo una parte, se vilascerete prendere dalla pietà o dallastessa nausea del sangue, farete peccatomortale, sarà un vero tradimento. Chiquel gran giorno non sarà sporco disangue fino alle ascelle, non venitemi a

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dire che è un buon patriota.– State tranquilli, – disse Milton

muovendosi. Siamo tutti d’accordo.Piuttosto di pensare di perdonarne unosolo…

Passò via senza completar la frase eprima che fosse fuori portata sentí uno diquei contadini dire pacifica-mente: –Non è strano che a quest’epoca nonabbia ancora nevicato?

Proprio al finire del bosco siinnestava alla piramide un lungociglione che correva parallelo alrettilineo della stazione e poi degradavaproprio dirimpetto alla stazione stessa.Milton decise di percorrerlo in cresta,scendere alla stazione, aggirarla e poi

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mettersi per i campi aperti, riparandosiogni tanto alla vista dietro qualche filaredi gelsi, e arrivare cosí, lasciandosi adestra il ponte me-Letteratura italianaEinaudi

84Beppe Fenoglio - Una questione

privata tallico, allo sperone dietro ilquale stava Canelli. In questo modo,pensò, evitava ogni possibile nuovainterferenza della colonna di SantoStefano la quale a una certa ora dovevapur rientrare alla base.

Si frugò in tasca, estrasse le duesigarette e le confrontò. Una si eratagliuzzata a metà e l’altra perdevatabacco da un capo. Si mise tra le labbra

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quest’ultima, ma poi non gli riuscí ditrovare la minima superficie asciutta sucui sfregare lo zolfanello. C’erano sí leguance zigrinate del calcio della Colt,ma non si sentí di farlo. Con un risolinodi disperazione rimise in tasca lasigaretta e si cacciò avanti per ilciglione.

Marciava seguendo ininterrottamentecon gli occhi le rotaie parallele allastrada. Erano rugginose e maschera-tequa e là da ciuffi di erbaccia fradicia,deserte, inviola-te da treni dal giornodell’armistizio. Per Milton la stradaferrata diceva ancora «otto settembre»,forse l’avrebbe detto sempre.

Si rivide di ritorno a casa, sporco e

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camuffato, stan-chissimo ma connessunissima voglia di coricarsi enemmeno di sedersi, in quella grigia ecalda mattina del tre-dici settembre. Suamadre non riusciva a credere, volletoccarlo, ancora incredula vollescostargli di dosso i panni presid’accatto, detergergli dal viso lapolvere…

«Da Roma!? – disse. – Sei tornatoda Roma! Io vedevo l’inferno chesuccedeva nella nostra piccola Alba emi fi-guravo quel che capitava a Roma.Non credevo che ce la facessi, sai? Unragazzo come te, sempre con la testanelle nuvole…» Invece ce l’aveva fatta;non ne aveva mai dubitato, dal momento

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che era salito su quel mostruoso treno aTermini. Sapeva che avrebbe avutofortuna, fortuna nella infinita disgraziadell’esercito.

«E… la signorina di Torino?» Eccoche usava l’espressione immancabile disua madre per indicare Fulvia,quell’espressione ironica e trepidainsieme, forse presaga. «L’ho vistaspesso, – gli rispose, – era spesso inLetteratura italiana Einaudi

85Beppe Fenoglio - Una questione

privata città, coi ragazzi riformati». Poiguardò basso e aggiunse: «È tornata aTorino. Tre giorni fa», e allora Miltonera andato, brancolando, alla ricerca di

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una sedia.Al campanile di Santo Stefano batté

fioco un mezzo tocco, senza che Miltonpotesse dire se erano le otto e mezzo ole nove e mezzo.

Ai piedi dello sperone sentíscoccare le dieci, e queste eranocertamente i campanili di Canelli abatterle.

Il cielo si era purgato di ognimacchia e fumosità ed era oraperfettamente bianco. Non pioveva, mail fogliame di alberi e arbusti crepitavamonotonamente.

Saliva con lentezza ed attenzione,perché il sentiero a lastroni di tufospalmati di fango era scivolosissimo e

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perché già si trovava nel raggio diazione di pattuglie even-tualmentestaccate da Canelli in perlustrazione.Malgrado quella immediata, repentinapossibilità di pericolo, sma-niava per lavoglia di fumare, ma anche quassú nontrovava un centimetro quadro asciutto sucui sfregare lo zolfanello. Ripensò alleguance zigrinate della Colt ma ancoranon si sentí di maltrattare a quel modo lasua pistola.

Inoltre, in quel preciso momento – sitrovava a piú di due terzi della salita –sentí sulla strada dietro lo sperone ilfragore della colonna che rientrava aCanelli dalla puntata a Santo Stefano. Agiudicar dal rumore, i camions erano

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lanciati alla massima velocità lungo lastrada sfondata. «Sono in gamba», pensòcon tristezza. Il rombo si spenserapidamente nel fondovalle, ma perriprendere a salire Milton aspettò chegli si fosse completamente scaricatolungo la spina dorsale il tremito mes-sogli dentro dal rumore dei nemici.Aiutò quello scarico con un languidoscrollo di tutto il corpo e ripartí.

Calcolava che al momento in cui sisarebbe affacciato sul ciglione lacolonna sarebbe già rientrata intera incaserma. A proposito di questa, Miltonsapeva che la San Marco eraaccantonata nella ex Casa Littoria, ma,non Letteratura italiana Einaudi

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86Beppe Fenoglio - Una questione

privata essendo stato mai a Canelli,ignorava dove questa fosse situata. Eraperò certo di individuarla alla primaocchiata nel grosso paese mezzo rusticoe mezzo industriale.

Non pensava alla caserma come a untraguardo, bensí come a unindispensabile punto di riferimento.

Salí piú velocemente e a un passodalla cresta trattenne il respiroaspettandosi di vedere immediatamenteil paese sottostante. Ma la cresta sismussava in un ampio spiazzo incolto,disseminato di cardi selvatici. Lopercorse rannicchiato, sorvegliandosi ai

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lati. L’unica casa visibile stava aduecento passi a sinistra, affioravaappena coi tetti nerastri da un viluppo divegetazione fradicia.

Arrivò in scivolata dietro un rovetoin bilico sul ciglio, ci si acquattò dietroe di tra i rami guardò giú a Canelli.

Un solo sguardo, rapido ecomprensivo, poi subito si diede aesplorare i viottoli e le stradine cherimontavano il versante, se non cifossero pattuglie al lavoro. Nulla enessuno, e allora si concentrò a studiareil paese.

Era perfettamente, innaturalmentedeserto e silenzioso, privo anche di quelbrusio che pur si leva dal piú piccolo

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borgo. Attribuí quella totaleinanimazione al pas-saggio fresco frescodella colonna rientrata da Santo Stefano.L’unico segno di vita era il fumigarebianco e denso dei comignoli, il fumobianco subito si mimetizza-va nel biancocielo bassissimo.

Individuò la Casa Littoria. Un grossocubo di un rosso dilavato, moltoscrostato, con le finestre semiaccecateda assiti e da sacchetti a terra, con unatorretta sulla quale con tutta probabilitàstava una sentinella col binocolo. Maera anche probabile che quella guardiasorve-gliasse costantemente le collinedirimpetto il versante di Milton,brulicanti di rossi.

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Cercò di ficcare lo sguardo nelcortile della caserma, l’alto murolaterale non gli lasciò scorgere altro cheuna striscia deserta del cortile, con infondo un porticato vuoto.

Letteratura italiana Einaudi87Beppe Fenoglio - Una questione

privata Si sporse ad esaminare l’abitatoalle falde del suo versante. Muto edeserto, era un sobborgo completamenterustico, salvo per una grossa segheria,inattiva.

Sospirò, non sapendo che fare. Conla mano sulla fondina sbottonata, nonsapeva che fare. Vide oltre una gobba uncanneto, ci arrivò in quattro sbalzi e di

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tra le canne riesaminò il paese. Nulla dimutato, si era accen-tuata l’eruzione deicomignoli.

Non sapeva che fare, all’infuori discendere oltre. Scel-se come secondotraguardo un casotto per attrezzi, nullapiú di un tetto montato su quattro pali,nel mezzo di una vigna, ormai amezzacosta. C’era un sentiero apposito,ma cosí diritto e ripido, cosí allineatoalla torretta della caserma che Miltonnon poteva assolutamente fidarsi dipercorrerlo. Cosí arrivò al casotto tra ifilari, sforzando tralci e fili di ferro,affondando alla caviglia in un fangogiallo come zolfo, tenace come mastice.Si appostò dietro un palo di sostegno ma

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subito scrollò la testa, miserabilmenteinterdetto. «Non è il mio genere, – sidiceva, – non è proprio il mio affare.Conosco uno solo che ci si trovereb-bemale come me. Anzi peggio. Ed èproprio Giorgio»

Ma gli restava il coraggio discendere ancora. Aveva adocchiato uncontenitore di verderame al terminedell’ultima vigna confinante con lasodaglia che poi si innestava al piano.Scendere oltre gli conveniva, anche nelcaso che avesse dovuto fuggire davantiall’apparizione di una pattuglia dalpaese. Avrebbe cercato di salvarsi late-ralmente, indifferente se a destra o asinistra, comunque non certo risalendo il

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versante. A guardarlo dal basso gliappariva ora come una muraglia,plasticata di fango.

Scendeva con la pistola in pugno. Unpassero frullò via dal sentiero, ma senzaaffanno. Nel paese echeggiò unrimbombo sordo, ampio, misterioso,quale poteva prodursi solamente in unagrande officina siderurgica che a Canellinon c’era. Non si replicò, e nel paesenon ci fu la minima reazione. La casermastava a meno di Letteratura italianaEinaudi

88Beppe Fenoglio - Una questione

privata cento metri in linea retta. Ilsilenzio era tale che Milton credette di

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cogliere lo sciacquio di Belbo contro imaci-gni ammucchiati dietro la caserma.

Si accoccolò dietro il contenitore, lapistola su una coscia, cingendo colbraccio il freddo cemento. Da lí potevavedere, a trattini, la strada per SantoStefano infossata e bucherellata. Inquell’ultima discesa si era lasciato lagrossa segheria molto a sinistra, ben piúdi quanto avesse cal-colato, e glienerincrebbe perché in caso disperatopoteva rappresentare coi suoi blocchi dicataste un eccellente na-scondiglioprovvisorio e poi un dedalo di scampo.

Sentiva acuta la nostalgia del suopresidio, del paese di Treiso edell’uomo Leo.

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Da destra gli veniva un brusio filatoe continuo e Milton si disse che daquella parte la vigna scoscendeva in unabreve scarpata giusto sotto la qualestava una casa.

Il ricciolo di fumo subito inghiottitodal cielo bianco usciva dal suoinvisibile comignolo.

Strinse la pistola. Un rumore, ma erasoltanto il cigo-lio di un uscio sulballatoio dell’ultima casa prima dellostradale. Una donna si sporse dal vano,staccò dal muro un tagliere e rientrò,senza un’occhiata alla collina. E

non si sentiva un verso di cane o digalline, non un passero volava in cielo.

In quell’istante percepí con la coda

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dell’occhio, a destra, un’ombra nera,che lo lambiva giusto col suo estremo.Ruotò con tutto il corpo dietro ilcontenitore e spianò la pistola verso lasorgente di quell’ombra. Subito lariabbassò, in uno stupore. Era unavecchia, tutta vestita di nero unto ebisunto. Lo stupore gli era nato dal fattoche distava un venti passi e non c’erasole e lui si era sentito letteralmenteschiacciato dall’ombra.

Gli stava parlando, ma Miltonpercepiva solamente il movimento dellelabbra piatte e violacee. Una gallinal’aveva seguita fino al margine dellavigna e ora razzola-va nel fango di unfilare. Poi la vecchia si raccolse la sot-

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Letteratura italiana Einaudi89Beppe Fenoglio - Una questione

privata tana ed entrò nel filare incorrispondenza di Milton, sui suoiscarponi maschili, nel fango cheschioccava.

Al palo si fermò e disse: – Tu sei unpartigiano. Che ci fai nella nostra vigna?

– Parlatemi ma senza fissarmi, –mormorò Milton. –

Guardate per aria e intantoparlatemi. Ne arrivano soldati finquassú?

– È una settimana che non nevediamo.

– Parlate pure un tantino piú forte. In

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quanti sono ge-neralmente?– Cinque o sei, – rispose la vecchia

rivolgendo la faccia al cielo. – Unavolta è passata tutta una colonna, tutticol cappello di ferro, ma quasi sempresono in cinque o sei.

– Isolati mai?– Quest’estate, e ancora in

settembre, per rubarci la frutta. Ma doposettembre piú. Che ci fai nella nostravigna?

– Non abbiate paura.– Io non ho paura. Io sto dalla vostra

parte. E come potrei non stare dallavostra parte con tutti i miei nipoti grandinei partigiani? Tu li conoscerai. Sonotutti nella Stella Rossa.

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– Io sono badogliano.– Ah, allora sei di quelli travestiti

da inglesi. E perché sei mascherato davagabondo? Vuoi dirmi che ci fai nellanostra vigna?

– Guardo il vostro paese. Lo studio.La donna annaspò per l’affanno. –

Forse per dargli l’attacco? Non saretemica matti? é ancora troppo presto!

– Non mi fissate. Guardate per aria.Guardando in cielo la vecchia disse:

– Dovete prendere solo quel che potetetenere. Noi siamo felici di esser liberati,ma solo se è una volta per tutte. O quelliri-tornano e ce la fanno pagare colsangue.

– Non abbiamo la minima idea di

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attaccare.– Ora che ci penso, – fece lei, – è

impossibile che tu sia venuto perstudiare l’attacco. Tu sei badogliano, eLetteratura italiana Einaudi

90Beppe Fenoglio - Una questione

privata chi attaccherà Canelli sarà laStella Rossa. Canelli è riser-vato allaStella Rossa.

– Questo è inteso, – disse Milton, epoi: – Dovreste farmi un piacere. Nonmangio da ieri sera. Dovreste andare acasa a prendermi una pagnotta. Non sarànecessario che sfanghiate di nuovo finqui, basterà che me la buttiate dalprincipio del filare. Io la piglierò al

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volo, state sicura.Al campanile batté il primo tocco

delle undici.La vecchia lasciò completare le ore

e poi disse: – Va-do e torno. Ma non telo butterò come a un cane. Vado a fartiun sandwich di pane e lardo e se te lobuttassi si disferebbe per aria. E poi tunon sei un cane. Voi siete tutti nostrifigli. Vi teniamo per tali al posto diquelli che ci mancano. Pensa a me cheho due figli in Russia e chissà quando mitornano. Ma non mi hai ancora detto checosa ci fai qui, appostato nella nostravigna.

– Aspetto uno di loro, – risposeMilton senza guardarla.

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Lei scattò alto il mento. – Devepassare per qui?

– No. Dovunque lo vedo. Se è fuoridell’abitato è meglio per tutti.

– Per ammazzarlo?– No. Mi serve vivo.– Quelli stanno bene solo morti.– Lo so, ma morto non mi serve.– E che te ne vuoi fare?– Guardate per aria. Fingete di

interessarvi alla vigna.Voglio scambiarlo con un mio

compagno. L’hanno preso ieri mattina ese non lo scambio…

– Povero piccolo. È in prigione quia Canelli?

– Ad Alba.

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– Io so dove si trova Alba. E perchétu sei venuto a Canelli a tentare ilcolpo?

– Perché io sono di Alba.– Alba, – disse la vecchia. – Non ci

sono mai stata ma so dov’è. E una voltaavrei dovuto andarci, col treno.

– Non abbiate paura, – disse Milton.– Appena mi Letteratura italiana Einaudi

91Beppe Fenoglio - Una questione

privata avrete dato da mangiare io mitoglierò dalla vostra vigna, mi sposteròsopra lo stradale.

– Aspetta, – disse lei. – Aspetta cheti porti da mangiare. Quello che mi diciè un lavoro tremendo e non lo puoi

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affrontare con lo stomaco che piange.Già si allontanava per il filare, il

fango le schizzava fin sopra l’orlo dellaveste. Si voltò a dargli un’ultimaocchiata e scese la ripa.

Passarono dieci minuti, quindici,venti e non tornava.

Milton concluse che non sarebbe piútornata, l’aveva incocciato per caso e gliaveva fatto tutto quel discorso didisimpegno e poi si era levatad’impaccio, ben sapendo che lui nonaveva né il tempo né la voglia di rintrac-ciarla e castigarla. Ne era cosí certo chesi sarebbe spostato, solo che avessesaputo dove.

Invece, proprio mentre batteva la

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mezza, ricomparve, tenendo nascostodietro la schiena un grosso paneattraversato da una fettona di lardo.Milton dovette schiac-ciarlo con forzaper ridurlo alle dimensioni della suabocca. Masticava con violenza, la fettadi lardo era cosí spessa e ricca che aMilton faceva quasi senso incontrar-lacoi denti pur dopo l’alto spessore delpane.

– Adesso andate, grazie, – dissedopo il primo boccone.

Invece quella gli si accoccolòdavanti, addossata al palo del filare, eMilton tirò via gli occhi per non vederleciò che mostrava, la scarna coscia grigiasopra la calza di lana nera sorretta da un

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cordino.– Che fate? Io non ho piú bisogno di

niente.– Aspetta a dirlo. Ho una cosa che ti

potrebbe inte-ressare. Voleva uscire adirtela mio genero ma io l’ho convinto arestarsene al chiuso e lasciar fare a me.

– Che cosa?– Una cosa che da tempo volevamo

dire al piú vecchio dei miei nipoti chesono nella Stella Rossa. Ma oraavremmo deciso di dirla a te che ne haibisogno urgente e non puoi aspettare dipiú.

Letteratura italiana Einaudi92Beppe Fenoglio - Una questione

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privata– Ma che cos’è?– È che io posso darti il filo per il

fascista che cerchi.Milton posò il sandwich sull’orlo

del contenitore. –Intendiamoci. Io cerco un soldato,

non un fascista borghese.– E io ti segnalo un soldato. Un

sergente.– Un sergente, – ripeté Milton

affascinato.– Questo sergente, – rispose la

vecchia, – viene spesso dalle nostreparti, quasi ogni giorno e sempre dasolo. Ci viene per una donna, una sarta,una nostra vicina e purtroppo una nostra

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nemica.– Dove abita? Mostratemi subito la

casa.– Ti ho detto che è una nostra nemica

e te lo voglio spiegare. Ma sia chiaroche noi non ti informiamo per far di-spetto a lei, ma solo per aiutarti asalvare il tuo compagno.

– Sí.– Questo pur con tutto il male che ha

fatto a noi e particolarmente a mia figlia.È una lurida, l’hai già capito, e questoche fa adesso con questo sergente è pocoo niente in confronto a quello che hafatto prima. Basti dirti che prima deivent’anni aveva già abortito tre volte.

È la piú porca di Canelli e di tutti i

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dintorni e non so se girando tutto ilmondo se ne trova una piú porca.

– Ma dove abita?Andò avanti per il suo verso, con

una tenacia disar-mante.– Ha messo tanto male fra mia figlia

e mio genero, e mio genero, che non è diqueste parti, ha avuto il torto di crederea quella là invece che a noi che gligiuravamo che non era vero niente. Maora finalmente l’ha capita e con miafiglia vanno meglio di prima, prima chequella lurida cercasse di avvelenarci.

– Sí, sí, ma dove…?– E lo fece per pura malvagità, forse

perché non poteva sopportare d’esserel’unica vera porca dei paraggi e cosí si

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è inventata una compagna, ma se l’è soloinventata.

Letteratura italiana Einaudi93Beppe Fenoglio - Una questione

privata Milton springò con le dita e fececadere il sandwich nel contenitore. –Non m’importa niente di voi e dellasarta, volete capirla? M’importa quelsergente. Viene spesso a trovarla?

– Tutte le volte che può. Noi stiamoper ore alla finestra. Facciamo questaspecie di sacrificio per poter notare esegnare tutte le volte che la va a trovare.

– Guardate per aria, – disse Milton.– Quando ci va d’abitudine?

– Quasi sempre di sera, verso le sei.

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Ma qualche volta arriva verso l’una,dopo il rancio. Dev’essere nellemaniche dei superiori, è molto spesso inlibera uscita, nessun altro si vede tantoin libera come lui.

– Un sergente, – disse Milton.– È stato mio genero a dirmi che è un

sergente, io non li so distinguere daigradi. Se ti capita, dovrai andarciattento. Ha una faccia molto decisa, hadei muscoli che spingono sotto la divisa,e dalle nostre parti viaggia sempre conla rivoltella pronta. Una volta loincontrai, non feci piú in tempo anascondermi nelle gaggie. La tenevacosí, la pistola, metà fuori della tasca.

– Solo la pistola, – disse Milton. –

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Non l’avete mai visto col mitra? Quelcoso con la canna a buchi?

– So bene cos’è un mitra. Ma quelloviaggia sempre solo con la pistola.

Milton si sfregò le gambe cheprendevano a anchilo-sarsi. Poi disse: –Se non passa all’una, lo aspetterò allesei. E tutto domani, se occorre.

– Entro stasera passerà di sicuro. Epotrebbe farci una scappata anche versol’una.

– E allora sbrigatevi a mostrarmi lacasa.

Le sgattaiolò accanto e tra i tralci,seguendo l’indice di lei, vide la casa.Una casetta rustica con la facciata ri-fatta di recente alla civile. Davanti

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aveva una piccola aia, con un palmo difango e alcuni pietroni lisci scaglionatifra il cancello e la porta. Sorgeva a unaventina di metri oltre lo stradone e sulretro aveva un orto abbandonato.

Letteratura italiana Einaudi94Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Per andarci passa sempre dalla

strada? Mai per i campi? Vedo che dallacaserma può arrivarci diretto per icampi.

– Sempre per la strada. Almeno diquesta stagione.

Non vorrà arrivare da lei tuttoinfangato.

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Istintivamente Milton controllò lapistola. La donna si scostòimpercettibilmente e prese a respirarecon or-gasmo.

– Non è detto che passi adesso, –disse. – Ricordati che io ho detto che civa quasi sempre di sera. Ben preciso tidico ora che ci va ogni volta che può,fosse solo per mezz’ora. E lei è semprepronta, a quanto pare. Sono due canisempre in calore.

– Che c’è dopo la vostra vigna?– Quel po’ di gerbido che vedi.– E dopo?– C’è un folto di acacie. Se il

terreno non facesse quella gobba,vedresti le punte di queste acacie.

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– E dopo?– Lo stradale –. Per meglio vedere e

descrivere la vecchia aveva chiuso gliocchi. – Lo stradale, – ripeté. – Leacacie si affacciano proprio sullostradale.

– Va bene. Le acacie corrono finoall’altezza della casa?

– Non capisco che cosa mi chiedi.– Quando sarò alla fine delle acacie,

mi troverò dirimpetto alla casa?– Quasi di fronte, poco spostato a

sinistra. Se vai a piazzarti alla fine delleacacie.

– Che c’è alla fine delle acacie?– Una stradina.– Proprio a livello delle acacie?

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– Ci sarà un salto di un metro.– La stradina si attacca allo stradale,

eh? E al contrario dove porta? In cimaalla collina?

– Sí, in cima alla nostra collina.– Ed è anche incassata o è tutta allo

scoperto?Letteratura italiana Einaudi95Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Si incassa anche.– Vado a cacciarmi nelle acacie, –

disse Milton. Se mi va bene… – e sipreparò a sottopassare il filare.

La vecchia gli afferrò una spalla. –Aspetta. E se ti andasse male? Se ti va

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male, dirai che siamo stati noi a darti ilfilo?

– State tranquilla. Sarò muto comeun morto. Ma dovrebbe andarmi bene.

Letteratura italiana Einaudi96Beppe Fenoglio - Una questione

privata XStrisciava verso il termine

dell’acacieto, fluido e silenzioso comeun serpente. La sincronia era perfetta, ladi-slocazione ideale, nel senso cheMilton strisciando anti-cipava di cinquesecondi il sergente il quale marciava.

L’impatto sarebbe avvenutomatematicamente alla con-fluenza dellastradina con lo stradale e il sergente gli

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avrebbe presentato con un centimetroquadrato di schiena tutto se stesso.Purché nulla interferisse, purché percinque secondi il mondo si arrestasse,lasciando liberi loro due soli dimuoversi.

Era cosí facile che poteva farlo adocchi chiusi.

Si raccolse sulle ginocchia e balzò,compiendo nel volo una mezza torsionea sinistra. Gli piantò la pistola nelcentro della schiena, tanto ampia checopriva la strada e quasi tutto il cielo.Per il contraccolpo la nuca del sergentequasi gli fini in bocca, poi subito gliscadde sotto il livello visivo, comel’uomo cedette sulle ginocchia. Lo

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rimise su e con un secondo urto dellapistola lo fece ruotare nella stradina, alriparo delle acacie. Poi gli strappò lapistola dalla tasca gonfia del caloredell’inguine, l’intascò, con ripugnanzagli tastò il torace e infine lo spinse su.

– Intreccia le mani dietro la nuca.Subito dopo l’acacieto, dalla parte

del paese, si profi-lava una proda difango rossastro che riverberava sulviottolo un’ombra di tramonto.

– Cammina svelto ma attento a nonscivolare. Se scivo-li io ti sparo talquale facessi una mossa falsa. Tu nonl’hai veduta ma in mano ho una Colt. Saiche buchi fa la Colt?

L’uomo saliva con passi estesi e

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ponderati. La strada già rampava, la ripacresceva. L’uomo era poco meno al-to diMilton e largo quasi il doppio. Miltonnon esaminò, non approfondí oltre,troppo ansioso di metterlo al corrente.

Letteratura italiana Einaudi97Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Vorrai sapere ciò che ti farò, – gli

disse.Il sergente tremò e tacque.– Ascolta. Non rallentare e

ascoltami attentamente.Anzitutto non ti ammazzerò. Hai

capito? Non ti ammaz-zerò. I tuoicamerati di Alba hanno preso un mio

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compagno e stanno per fucilarlo. Ma iolo scambierò con te. Dovremmo esserein tempo, tu ed io. Quindi tu verraiscambiato in Alba. Hai sentito? Di’qualcosa.

Non rispondeva.– Di’ qualcosa!Biascicò un paio di si, a testa rigida.– Quindi non fare scherzi. Non ti

conviene. Se fai be-ne, domani amezzogiorno sarai già libero in Alba, inmezzo ai tuoi. Hai capito? Parla.

– Sí, sí.Mentre Milton parlava, al sergente

le orecchie si espandevano eventolavano come ai cani quando sisentono chiamati da lontano.

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– Se mi costringi a spararti, ti saraisuicidato. Intesi?

– Sí, sí –. Teneva la testa rigida,quasi fissata, ma certo doveva roteare lepupille in ogni dove.

– Non sperare, – disse Milton, – nonsperare di incoc-ciare una vostrapattuglia, perché in questo caso io tisparo. Come la vedo io ti sparo. Quinditi augureresti di morire. Parla.

– Sí, sí.– E di’ qualcos’altro che sí, sí.A valle del costone un cane abbaiò,

ma d’allegria, non per allarme. Eranogià quasi a un terzo dell’erta.

– Non passerà, – disse Milton, – mase passasse un contadino, tu subito ti

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porti sul ciglio della strada, dalla partedella ripa. Cosí quello può passaresenza nemmeno sfiorarti e a te non vienela pessima idea d’avvinghiar-ti a lui.Hai capito?

Annuí con la testa– È un’idea che può venire a chi sa

di andare a morire.Letteratura italiana Einaudi98Beppe Fenoglio - Una questione

privata Ma tu non vai a morire. Attentoa non scivolare. Io non sono rosso, sonobadogliano. Questo ti solleva unpochino, eh? Spero tu ti sia già persuasoche io non ti ammazzerò. Non lo dicoperché siamo ancora troppo vicini a

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Canelli e c’è ancora la possibilità disbattere in una vostra pattuglia. Piú in làti tratterò anche meglio, vedrai. Haisentito? E non tremare. Ragiona, chemotivo hai piú di tremare? Se è per loshock della pistola nella schiena, aquest’ora dovresti averlo già superato.Sei o non sei un sergente della SanMarco? Eri anche tu di quelli chestamattina facevano i gradassi a SantoStefano?

– No!– Non alzar la voce. Non

m’interessa. E smettila di tremare, e diqualcosa.

– E che vuoi che dica?– Andiamo già meglio.

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La stradina svoltava bruscamente eMilton si portò tutto su un lato peradocchiare la faccia dell’uomo cheaveva preso. Ma dopo, a causa deigomiti spianati all’altezza del viso e perl’ondulamento del passo, non poté dired’aver colto di piú che una sperad’occhio grigio e il naso, piccolo emarcato. Non ne fu contrariato, in fondonon gli interessava. La sua faccia non gliinteressava co-me non avrebbeinteressato il comando fascista di Albache l’avrebbe riscattato. Non importavanemmeno che fosse un graduato. Bastavache fosse un uomo, con in-dosso unacerta divisa! Ma che uomo, e che divisa!Milton esaminava con soddisfazione,

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quasi con dolcezza quel corpo greve edelastico ed era, per la prima volta, inamicizia con quella uniforme, amicopersino degli scarponi sui qualicamminava al traguardo fissato da luiMilton. Che grossa moneta di scambio,quale capacità di acquistorappresentava! Si sorprese a pensareche per un sergente come quello ilcomando fascista gliene avrebbe vendutitre di Giorgi. Ma nel medesimo istantesi sorprese a pensare che l’uomo avevacertamente ucciso, o Letteratura italianaEinaudi

99Beppe Fenoglio - Una questione

privata meglio aveva certamente

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fucilato. Aveva tutto del fucila-tore. Glisi arressarono davanti agli occhi lefacce smun-te e infantili dei ragazzifucilati, i loro nudi petti, magri che losterno vi sporgeva come una prua. Oh,questa era un’altra verità da non poterstare senza sapere. Ma nongliel’avrebbe chiesta. Quello tantoavrebbe negato, disperatamente; forse,premendolo con la Colt, avrebbeconfessato di aver ucciso sí, ma inregolare combattimento. Ma poi questainchiesta di Milton avrebbe certamentecomplicato le cose, il cammino a Mangosarebbe certamente stato meno liscio esollecito di quel che Milton oracominciava a sperare. La verità su

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Fulvia aveva la precedenza assoluta,anzi esisteva essa sola.

– Togliti dalla testa le pattuglie, – glidisse con voce dolce, quasi ipnotica. –Prega che non ce ne siano in gi-ro. Ionon ti ammazzerò, ma ti proteggerò, nonlascerò che alzino un dito su di te. Danoi c’è gente scottata e vorranno mettertile mani addosso, ma dovranno la-sciartiin pace. Tu servi a una cosa sola. Te nesei convinto? Parla.

– Sí, sí.– Di dove sei?– Di Brescia.– Siete in molti bresciani. E ti

chiami?Non rispondeva.

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– Non vuoi dirmelo? Hai paura cheme ne vanti? Non parlerò mai di te, néora né fra vent’anni. Non me ne vanteròmai. Tientelo pure per te.

– Alarico, – disse il sergente aprecipizio.

– Di che leva sei?– Del ventitre.– La leva del mio compagno.

Coincidiamo anche in questo. E chefacevi nella vita?

Non rispondeva.– Studente?– Ma no!Letteratura italiana Einaudi 100Beppe Fenoglio - Una questione

privata La proda degradava

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rapidamente, ora si annullava e la stradaaffiorava in piena vista sul versante.Milton sbirciò in basso Canelli e lo videmeno distante di quanto calcolasse. Ilpaese gli venne su sotto gli occhi, comesu una piattaforma elevatrice.

– Passa all’interno. Cammina rasentealla proda.

Un’altra svolta a gomito, ma stavoltaMilton non fece nulla per scoprirgli unamaggior parte di faccia, anzi pernegazione chinò gli occhi.

Il sergente ansimava.– Siamo piú che a metà, – disse

Milton. – Dovresti rallegrarti. Tiavvicini sempre piú alla salvezza.Domani a mezzogiorno sarai libero, e

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potrai tornare contro di noi. E chissà chetu non mi renda il pane. Proprio tu ed io.Non è da escludere, col tipo di guerrache facciamo.

Tu naturalmente non mi scambierai,eh?

– No, no! – stranfiò il sergente. Piúche negare implo-rava.

– Perché scandalizzarsi? Noncredere che io ti consi-dererei piúcrudele di me. Ognuno avrà cavato ilmassimo dall’altro. Io ne caverò unoscambio, tu ne caverai la mia pelle.Saremmo perfettamente alla pari.Quindi…

– No, no! – ripeté quello.– Lasciamo perdere. Dicevo per

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scherzare, per diva-gare. Pensiamo almomento. Ti ho detto che ti proteggerò.Appena arrivati ti farò mangiare e bere.Ti regalerò un pacchetto di sigarette.Inglesi, per te una novità.

Ti darò anche da farti la barba.Voglio che ti presenti bene al comandodi Alba, hai capito?

– Lasciami abbassare le mani.– No.– Le terrò strette contro i fianchi

come se fossi legato.– No, ma poi ti tratterò meglio.

Stanotte dormirai in un letto. Noidormiamo sulla paglia ma tu dormirai inun letto. Mi metterò io stesso di guardiadavanti alla porta, cosí siamo sicuri che

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nel sonno non ti capiteranno Letteraturaitaliana Einaudi 101

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata scherzi. E domattina per loscambio ci accompagneran-no i miglioridei miei compagni. Li sceglierò io.Vedrai.

Io non ti sto trattando male. Di’, tisto trattando male?

– No, no.– Vedrai quegli altri. Al confronto io

sono un bruto.Erano quasi alla cresta. Milton

sbirciò l’orologio.Mancava qualche minuto alle due,

per le cinque sarebbero stati a Mango.Sbirciò giú a Canelli e gli prese una

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breve vertigine, in cui non sapeva seconcorreva di piú la stanchezza ol’inedia o il successo.

– Tu ed io siamo a posto ormai, –disse.

A quelle parole il sergente si arrestònetto e gemette.

Milton si riscosse e strinse meglio lapistola. – Ma cos’hai capito? Hai capitomale. Non tremare. Non ti voglioammazzare. Né qui né altrove. Non tiammazzerò mai. Non farmelo piúripetere. Sei convinto? Parla.

– Sí, sí.– Ricammina –. Si inerpicarono

sullo spiazzo e presero a percorrerlo.Pareva a Milton piú vasto di quel che gli

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fosse apparso nella mattina. Miltonsbirciò alla casa solitaria, muta, chiusa eindifferente come nella mattina.

Il sergente ora camminava allacieca, sgambava nel fango senza evitarei cardi selvatici.

– Aspetta, – disse Milton.– No, – fece quello, arrestandosi.– Piantala, eh? Stavo pensando a una

cosa. Ascolta.Dovremmo passare in un paese che

ha un nostro presidio. Naturalmenteanche lí c’è gente scottata. In particolareci sono due miei compagni ai quali aveteammazzato i fratelli. Non dico siate stativoi San Marco. Quelli vorrannomangiarti il cuore. Quindi noi

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scarteremo quel paese, lo aggireremoper un vallone che so io. Ma tu nonfarmi…

Le dita del sergente si slacciaronoda sulla nuca con uno schiocco terribile.Le braccia remigavano nel cielo bianco.Cosí sospeso, era tremendo e goffo.Volava di Letteratura italiana Einaudi102

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata lato, verso il ciglio, e il corpogià pareva arcuarsi nel tuffo in giú.

– No! – aveva gridato Milton, ma laColt sparò, come se fosse stato il gridoad azionare il grilletto.

Ricadde sulle ginocchia, e stette perun attimo, tutto contratto, con la testa

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appiattita e il naso piccolo e marcatocome conficcato nel cielo. Pareva aMilton che la terra non c’entrasse, néper lui né per l’altro, che tutto accadessein sospensione nel cielo bianco.

– No! – urlò Milton e gli risparò,mirando alla grande macchia rossa chegli stava divorando la schiena.

Letteratura italiana Einaudi 103Beppe Fenoglio - Una questione

privata XIEra appena spiovuto e tirava un

vento cosí forte e ra-dente che scrostavala ghiaia dal suo letto di fango e lafaceva ruscellare per la strada. La lucesi era già quasi tutta ritirata dal mondo ei mulinelli del vento concorrevano a

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diminuire la visibilità.I due uomini si confrontavano a una

ventina di passi di distanza, con gliocchi fissi avanti a riconoscersi o a an-ticipare i movimenti e le mani prossimealle fondine. Poi quello che era sbucatodall’angolo della casa solitaria, conl’impermeabile mimetico che gli garrivaaddosso co-me una vela, spianò adagiola pistola contro l’uomo che si eraarrestato netto all’uscita della curva e sene stava laggiú, ondulando al ventocome se fosse una pianta.

– Avvicinati, – disse quello dellapistola. – Tieni alte le mani e battile.Batti le mani una contro l’altra, – ripetépiú forte, per vincere il vento.

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– Tu non sei Fabio? – domandòl’altro.

– E tu? – domandò Fabioabbassando impercettibilmente lapistola. – Tu chi sei? Saresti… Milton?

E si corsero incontro, quasifreneticamente, come se l’uno nonpotesse aspettare nemmeno piú unsecondo l’appoggio all’altro.

– Tu da queste parti? – fece Fabioche era il viceco-mandante del presidiodi Trezzo. – Erano secoli che non ti sivedeva da queste parti. Viviamo ad unacollina appena di distanza e lasciamopassar secoli… Come mai sei inborghese? – Aveva dovuto sforzar gliocchi per distinguere il vestito borghese

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di Milton, talmente questi eraimpiastricciato di fango.

– Vengo da Santo Stefano, per unacosa mia privata.

Parlavano all’estremo delle lorovoci, per l’invadenza del vento, e spessosi ripetevano apposta, senza che l’altrorichiedesse ripetizione.

Letteratura italiana Einaudi 104Beppe Fenoglio - Una questione

privata– A Santo Stefano c’era la San

Marco stamattina.– A me lo dici, che ho dovuto saltar

Belbo per salvarmi?Fabio rise cordialmente, e in un

baleno la risata fu mulinata dal vento

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lontana, come fosse una piuma.– Hai un uomo disarmato, Fabio?– E chi non ne ha?– Allora dagli questa, – e Milton gli

tese la Beretta del sergente.– Certo. Ma tu perché la dài via?– Mi cresce.Fabio soppesò la pistola, poi la

confrontò con la sua.– Ma è bellissima, è piú nuova della

mia. Mi riservo di ricontrollare allaluce, ma intanto… – e Fabio infilò nellafondina la pistola del sergente e fecescivolare in una tasca la sua vecchiapistola.

– Mi cresceva, – disse Milton. –Fabio, che si sa di Giorgio?

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– Che hai detto?– Entriamo a parlare in quella stalla,

– gridò Milton indicando la casupolaoltre il bordo della strada.

– Non entriamoci affatto. Dentro cisono tre miei uomini con la scabbia. Conla scabbia!

Fabio si girò con la schiena al ventoe mezzo accartoc-ciato parlò, quasi nonparlasse all’appaiato Milton, ma a unodisteso nel fosso della strada. – Nonfosse per questo vento, li sentirestigemere da qui. Bestemmiano e ge-monoe si fregano contro i muri come gli orsi.Io là dentro non ci voglio piú entrareperché pretendono che li gratti. Tipresentano dei pezzi di legno e di ferro

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perché li gratti con quelli. Le unghiatenon le sentono piú. Cinque minuti faDiego a momenti mi strozza. Mi diedeun pettine di ferro perché lo grattassicon quello, io naturalmente mi rifiutai eDiego mi è saltato al collo.

– Parliamo di Giorgio, – gridòMilton. – Tu dici che è ancora vivo?

– Non ne sappiamo niente. Il chedovrebbe voler dire Letteratura italianaEinaudi 105

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata che è ancora vivo. L’avesserofucilato, qualcuno usciva da Alba peravvisarci.

– Può darsi non sia uscito per questotempaccio.

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– Per una notizia del generequalcuno si scomodava anche con questotempaccio.

– Secondo te… – riprese Milton, main quella lo investí una superiore rafficadi vento.

– Là dietro! – gridò Fabio etoccando Milton nel gomito si avventòcon lui a un piloncino che sorgevaall’ingresso di Trezzo.

– Secondo te, – riprese Miltonappena al riparo, è ancora vivo?

– Io direi di sí, dato che non se ne saniente. Gli faranno il processo. I suoifaranno certamente intervenire ilVescovo e in questi casi il processo nonsi salta.

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– Quando glielo faranno?– Questo non lo so, – rispose Fabio.

– Io so di un nostro uomo che è statoprocessato una settimana dopo che fupreso. Vero è che lo fucilarono appenafuori del tribunale.

– Io debbo esser sicuro, – disseMilton. – Tu, Fabio, non mi dici nientedi sicuro.

Fabio protese la testa, quasi glidiede della fronte nella fronte. – Ma seiimpazzito Milton? Io come faccio a dirtiqualcosa di sicuro? o vuoi che mipresenti al posto di blocco di PortaCherasca col berretto in mano…

Milton agitò una mano per troncarema Fabio volle finire: – … col berretto

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in mano e dica: «Scusate, signorifascisti, sono il partigiano Fabio. Possochiedere alla vostra cortesia se il miocompagno Giorgio è ancora vi-vo?» Masei impazzito, Milton? A proposito, seivenuto quaggiú solo per sapere diGiorgio?

– Certo. Voi siete piú vicini allacittà.

– E ora che fai? Torni a Treiso?– Resto a dormire da voi. Domani

voglio avvicinarmi ad Alba e mandardentro un ragazzino a prender notizie.

Letteratura italiana Einaudi 106Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Dormi pure da noi.

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– Ma non vorrei dover fare il turnodi guardia. Sono in piedi dalle quattro distamane e ho marciato pure tutto ieri.

– Nessuno ti chiederà di montare diguardia.

– Mostrami allora dove dormite.– Noi dormiamo sparpagliati, –

spiegò Fabio. – Alba è troppo vicina equelli ora si muovono anche di notte.

Noi non dormiamo tutti in un posto.Cosí se ci sorpren-dono ne massacranosolo una parte –. Intanto si era scostatodal piloncino e col braccio che ondulavanel vento come un ramo nell’acqua gliindicò una casa lunga e bassa, ai piedidella collina su Treiso, al di là di unaserie di campi che nel buio

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mareggiavano. – Ha una stalla diprim’ordine, – aggiunse Fabio. – Cisono parecchie bestie e tutte le finestrehanno i vetri.

– Dico che mi mandi tu?– Non c’è bisogno. Ci troverai dei

nostri.– Io ne conosco qualcuno? –

domandò Milton, nau-seato dallaprospettiva di compagnia.

Fabio selezionò mentalmente e poidisse che tra gli altri ci avrebbe trovatoil vecchio Maté.

Annottava e migliaia di alberistormivano disperatamente. Smarrí quasisubito il sentiero e senza stare a ricer-carlo traversò direttamente per i campi,

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tracciando il fango fino al polpaccio.Fisso al fantasma della casa che non siavvicinava mai, gli pareva di arrancareimmobilmente.

Quando finalmente fu sull’aia, pocopiú solida dei campi fangosi, e sostò perscrollarsi una parte di fango, la nerafacciata della collina di Treiso lo fecericordare di Leo. – Gli ho già fregato ungiorno e un altro glielo fregherò domani.Cascasse il mondo. Chissà come saràarrabbiato e preoccupato. Ma arrabbiatoe preoccupato è il meno, chissà comesarà poi deluso. Non posso farci nulla,ma è un vero peccato. Lui che nonsapeva che me-ritorio aggettivo darmi.Si scervellò tanto che alla fine lo

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Letteratura italiana Einaudi 107Beppe Fenoglio - Una questione

privata trovò. Classico. Un classico.Diceva che ero grande perché mimantenevo freddo e lucido quando tutti,lui compreso, perdevano la testa.

Amaramente marciò all’uscio dellastalla e lo spinse con violenza.

– Aoh! – fece una voce. – Fa’ piano.Noi siamo malati di cuore.

Lui si era bloccato sulla soglia,sfiatato dal calore della stalla,abbacinato dal riverbero dell’acetilene.

– Ma tu sei Milton! – fece la voce diprima e Milton riconobbe la voce diMaté, e vide per prima cosa i suoi durilineamenti e gli occhi dolci.

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Era una grande stalla, illuminata dadue lumi a carburo appesi a travi.C’erano sei buoi alla greppia e in unostazzo una decina di pecore. Maté stavanel centro della stalla, seduto su unballotto di paglia. Due altri partigianisedevano sulla mangiatoia,continuamente rintuzzan-do con leginocchia i musi accostanti dei buoi. Unaltro dormiva in fondo al cassone delforaggio, gli si vedevano i piedidivaricati appoggiati all’asse delcassone. Presso l’uscio della cucina unavecchia sedeva su un seggino da bimboe filava la conocchia. I suoi capelliapparivano della medesima materia delfilato. – Buona sera, signora,

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– le disse Milton. Accanto allavecchia un bambino ingi-nocchiato suuno strato di sacchi stava scrivendo ilcompito su un mastello capovolto.

Maté lo chiamò accanto a sé,battendo la mano sulla paglia. Sebbenefosse in riposo, teneva addosso tutte lesue armi e non aveva nemmeno allentatole stringhe degli scarponi.

– Non dirmi che ti ho messo paura, –disse Milton se-dendoglisi accanto.

– Ti giuro. Ormai sono debole dicuore. Questo mestiere per dar sul cuoreè peggio del palombaro. Hai spalancatol’uscio come una cannonata. E poi, saiche faccia hai? Di’ un po’, è molto chenon ti specchi?

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Letteratura italiana Einaudi 108Beppe Fenoglio - Una questione

privata Milton si sdrumò la faccia conle mani. – Che stavate facendo?

– Niente. Fino a cinque minuti faabbiamo giocato al-la mano del soldato.Da cinque minuti a questa parte stopensando.

– A che cosa?– Ti sembrerà strano. A mio fratello

prigioniero in Germania. Con tutta laroba che abbiamo al fuoco qui, stavopensando proprio a lui. Tu non hainessuno prigioniero in Germania?

– Solo amici e compagni di scuola.È cosa dell’otto settembre? Era inGrecia, Jugoslavia… ?

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– Macché, – disse Maté. – Era adAlessandria, a due passi da casa, ma nonsi salvò. Vedemmo arrivare gente daRoma, gente da Trieste, gente da casadel diavolo, ma non lui da Alessandria.Nostra madre stette sulla porta finoall’ultimo di settembre. Chissà come si èsvolto il fatto. Nota che non era unaddormentato, di noi fratelli erasenz’altro il piú sveglio. Tutti gliespedienti, tutte le audacie ce le avevainsegnate lui, persino certe cose cheancora mi servono anche nei partigiani.Be’, a parte mio fratello, io dico chedovremmo pensare un po’ di piú a quellidi noi che son finiti in Germania. Ne haimai sentito parlare una volta che è una?

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Mai uno che si ricordi di loro. Invecedovremmo, dico io, tenerli un po’ piúpresenti. Dovremmo schiacciare un po’di piú l’accelera-tore anche per loro. Tipare? Si deve stare tremenda-mentemale dietro un reticolato, si deve fareuna fame caína, e c’« da perdere laragione. Anche un solo giorno puòessere importante per loro, può esseredecisivo. Se la facciamo durare ungiorno di meno, qualcuno può nonmorire, qualcun altro può non finirpazzo. Bisogna farli tornare al piúpresto. E poi ci racconteremo tutto, noi eloro, e sarà già triste per loro poterraccontare solo di passività e doverstare a sentir noi con la bocca piena di

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attività. Tu che ne dici, Milton?Letteratura italiana Einaudi 109Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Si, sí, – rispose, – ma io stavo

pensando a uno che sta infinitamentepeggio di quelli finiti in Germania.

Uno che, se ancora è vivo,firmerebbe per la Germania, per lui laGermania sarebbe tanto ossigeno. Haisaputo di Giorgio?

– Giorgio Pigiama di Seta?– Perché lo chiami Pigiama di Seta?

– domandò Riccardo, uno dei due acavalcioni della greppia.

– Non glielo dire, – sibilò Milton.– Non t’interessa, – disse Maté a

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Riccardo, e poi a Milton sottovoce: –Che ci vuoi fare? Quando ho saputo chel’avevano preso non ho saputo fare ameno di ricor-darlo mentre si metteva ilpigiama di seta per coricarsi sullapaglia.

– Ma che pensi che gli faranno?Maté gli sgranò gli occhi in faccia. –

Perché tu cosa pensi?– Prima però lo processeranno.– Ah sí, – fece Maté. – Questo forse

sí. Questo senz’altro sí, anzi. I tipi comeGiorgio prima li processa-no sempre.Come se beccassero te, del resto.Processe-rebbero pure te, te piú ancoradi Giorgio. Voi siete studentiuniversitari, pesci fini, belle scatole da

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aprire. A voi lo fanno. A voi gli va difarvi il processo, mi spiego? I tipi comeme invece, e quei due là dietro, nonsiamo abbastanza interessanti. Come lipigliano li scaraventano contro un muroe già gli sparano quando ancora sono amezz’aria. Però, Milton, sia chiaro cheio non te ne voglio per questa differenza.Crepare subito o tre giorni dopo. E chedifferenza è?

– Dio fascista, – fece il ragazzino.La nonna lo minacciò con la

conocchia. – Che non ti risenta. Bellecose impari in mezzo ai partigiani.

– Non sono capace di farlo, – ledisse lui del compito.

– Prova ancora e vedrai che sei

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capace. La maestra non vi dà roba di cuinon siete capaci.

Letteratura italiana Einaudi 110Beppe Fenoglio - Una questione

privata Pinco, l’altro dei due sullagreppia, disse: – Parlate di quello che siè fatto beccare ieri mattina al bivio diMa-nera?

– Non ieri mattina, – osservò Milton,– È l’altro ieri mattina.

– Bada che ti sbagli, – disse Matésbirciando Milton, –

è stato ieri mattina.– È di quello che parlavate? –

insisté Pinco. – Be’, non mi ha convintogranché la maniera in cui l’hannobeccato.

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Milton ruotò sul ballotto. – Che vuoidire? – e intanto fissava con occhiesorbitati quel maledetto estraneo checriticava Giorgio, e gli pareva proprioche stesse direttamente insultandoFulvia. – Che vuoi dire?

– Voglio dire che non è stato il tipodi difendersi fino all’ultimo comeBlackie o di spararsi subito in bocca co-me Nanni.

– C’era la nebbia, – rispose Milton,– e la nebbia non gli ha lasciato fare néuna cosa né l’altra. Non gli ha lasciato iltempo nemmeno di capire.

– Pinco, – disse Maté, – ha persouna buona occasione di star zitto. Non tiricordi già piú che nebbione avevamo

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ieri mattina? Come si sono sbattuti in luii fascisti potevano sbattersi in una piantao in una vacca al pascolo.

– Nella nebbia, – rincarò Milton, –non poté dimo-strarsi né un uomo nénient’altro. Solamente un corpo.

Ma io ti posso garantire che era unuomo. Se solo avesse potutomaterialmente farlo, si sarebbe certosparato in bocca come Nanni. Me lodimostrò una volta. Parlo dell’ottobredell’anno scorso, quando nessuno di noiera già nei partigiani, quando anzi ipartigiani erano un mezzo mistero.Ricordate quanto me com’era la città inquell’ottobre. I bandi di Graziani a tuttele cantonate, i tedeschi che ancora

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giravano in sidecar con la mitragliatrice,i primi fascisti che rialzavano la testa, icarabinieri rinnegati…

Letteratura italiana Einaudi 111Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Io, – interruppe Pinco, – io ne

disarmai uno di questi carabinieririnnegati…

– Tu lasciami finire, – disse Miltontra i denti.

Le famiglie li tenevano sotto chiave,in soffitta o in cantina, o se li lasciavanoliberi lo facevano con certi discorsi diresponsabilità e di colpa che al solouscire per strada pareva di commettereparricidio. Ma una sera di quell’ottobre

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Milton e Giorgio non ne poterono piú distare chiusi e nascosti e tramite ladomestica dei Clerici si diedero perandare al cinema. Davano un film conViviane Romance.

– Me la ricordo, – disse Riccardo. –Aveva la bocca come una banana.

– Dove lo davano? – s’informòmeticolosamente Maté. – Al cinemaEden o al Corino?

– Al Corino. Io raccontai a miamadre che scendevo un momento acomprar sigarette da un nostro vicinoche ne faceva la borsa nera e Giorgiocoi suoi avrà in-ventato qualcosa disimile.

Andarono al cinema per le vie piú

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traverse. Camminavano senza paura mapieni di rimorso. Non incontrarono ungatto e a sbigottirli di piú ci si mise iltempo con un tempo-rale. Ancora nonpioveva ma i fulmini erano tanti e cosíbassi che a ogni istante le strade siallagavano di viola. Arrivarono alcinema e fin dall’atrio capirono che lasala doveva essere pressoché deserta.La cassiera gli diede i biglietti con unasmorfia di disapprovazione. Salirono ingalleria e ci trovarono cinque persone,tutte sedute in prossimità dell’uscita disicurezza. Milton si sporse dalla galleriae sbirciò giú in platea. Una quindicina dispettatori, e dovevano esser quasi tuttiragazzini, senza l’incubo dell’età di leva

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e dei documenti. Però le uscite disicurezza erano aperte spalancate,sebbene spifferasse e i tuoni fuoridisturbassero.

– Di che parlava quel film? –domandò Riccardo.

– Non ha importanza. Ti dirò soloche s’intitolava La Venere cieca.

Letteratura italiana Einaudi 112Beppe Fenoglio - Una questione

privata Prima che finisse il secondotempo restarono loro due soli ingalleria. Quei pochi altri erano arrivatiin anticipo e avevano visto tutto il film.Di nuovi arrivi nessuno. Milton eGiorgio si spostarono e si sedettero afilo della ringhiera, proprio per aver la

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vista della platea, per una specie dimutua sicurezza e solidarietà. Quando aun tratto sentirono gridare e scorrazzarenell’atrio e quelli della platea av-ventarsi alle uscite di sicurezza. «Cisiamo! – disse Milton a Giorgio. – Siamaledetta Viviane Romance!» Milton sislanciò alla porta di sicurezza ma latrovò sbarrata, chiusa dall’esterno. Ci siscagliò contro di spalle ma la feceappena tremare. Sotto continuava iltumulto, anzi era aumen-tato. Gridavano,correvano, sbattevano porte, davanocozzi nel muro. «Salgono in galleria!»gridò a Giorgio e si avventò all’uscitanormale, sperando di anticiparli sullascala, riuscire sul ballatoio esterno e

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lasciarsi cadere da quattro metri incortile. Fece cosí pur convinto che eratardi, che avrebbe dato nello stomaco aifascisti che salivano a quattro gradinil’ultima rampa. Slanciato com’era diedeun’ultima occhiata a Giorgio e lo vide acavalcioni della ringhiera, giàsbilanciato nel vuoto.

– Chi di voi è stato al cinema Corinosa che tra galleria e platea è un salto didieci metri. Ebbene, Giorgio stava perbuttarsi giú, a sfracellarsi sulle sedie diferro della platea. «No!» gli gridai, malui nemmeno mi rispose, nemmeno miguardò, avanti a me fissava la porta percogliere il momento in cui irrompevanoi fascisti. Invece da basso tutto si quetò.

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Non era successo niente, niente difascista voglio dire. C’era stato appenaun tentativo di furto al botteghino, lacassiera aveva urlato, gli inservien-tierano accorsi e cosí via, e tutti avevanopensato a una retata dei fascisti. Maresta il fatto, la prova. Al primo grugnodi fascista Giorgio si sarebbe buttato amorire.

Ci fu un silenzio e poi Maté disse: –Mi sa che Giorgio si scorcia da solo, segià non gliel’hanno fatto loro. Io me lovedo nella cella. Se ripensa a come gli èandata, per la Letteratura italianaEinaudi 113

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata rabbia e la disperazione si butta

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a sfracellarsi la testa contro il muro.Un altro silenzio e poi il ragazzino

disse alla nonna: –é inutile, questo componimento non

son capace di farlo.La vecchia sospirò e si voltò ai

partigiani. – Non c’è nessuno fra voi chesia un po’ maestro?

Maté indicò Milton emacchinalmente Milton si levò dalballotto e andò a chinarsi sul ragazzo.

– Quello è piú che un maestro, –bisbigliava Maté alla vecchia, – quelloè addirittura professore. Viene drittodritto dall’università.

E la vecchia: – Ma vediamo,vediamo che fior di gente questa

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maledetta guerra trascina nei nostripoveri posti.

– Com’è il tema? – avevadomandato Milton.

– I nostri amici gli alberi, – compitòil ragazzino.

Milton si raddrizzò con una smorfia.– Non lo so fare.

Mi dispiace, ma non ti posso aiutare.E il ragazzino: – Tu sei maestro

come io… Ma, Dio fascista! perché seivenuto se non potevi aiutarmi?

– Io… credevo… che il tema fosseun altro.

Andò in un angolo della stalla ecominciò a prendere a calci un ballottodi paglia per disfarlo. Doveva dormire.

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Sperava di dormire di piombo nel girodi dieci minuti. Quel sergente non lodisturbava, si era ucciso da sé, lui nonc’entrava, del resto non l’avevanemmeno visto in faccia. Guai se nondormiva. Era debolissimo, sfatto, finito.Si sentiva piú sottile di una foglia, ecome una foglia macero.

Parlava forte Riccardo, sempreappollaiato sulla greppia.

– Quanti anni hai precisamente,Maté?

– Ne ho tanti, – rispose Maté. – Neho venticinque.

– Sei vecchio sí. Sei quasi da bassamacelleria.

– Stupido! – fece Maté. – non lo

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dicevo in quel senso.Volevo dire che sono carico

d’esperienza. Troppi ne ho vistilasciarci la pelle. Per impazienza, per lavoglia di Letteratura italiana Einaudi114

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata donna, per la voglia di tabacco,e per la manía di fare il partigiano inautomobile.

Milton si contorceva sulla paglia,sempre con le mani sugli occhi. –Domani. Che cosa farò domani? Dovean-drò a cercare? Ma tanto è inutile.Finito il sergente, finito tutto. Questeoccasioni si presentano una volta sola.

Ma quel disgraziato…! chissà se già

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l’hanno trovato, o è ancora lassú solo albuio, nel marcio. Ma perché, perché? Siè fissato che io lo illudessi fin cheeravamo a portata di pattuglie e unavolta lontani io lo… disgraziato!

Ma domani, come passerò io domanisenza il program-ma nemmeno dicercare?

Sebbene con le mani si otturasseanche parte delle orecchie, sentiva benei discorsi degli altri e ne soffrivaatrocemente.

Pinco aveva portato il discorso sullanuova maestra giovane del paese,mandata a supplire la vecchia maestraammalata. A Pinco piaceva, ed anche aRiccardo.

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– Lasciatela stare quella poveramaestra, – disse la vecchia.

– E perché? Noi mica la cerchiamoper farle del male.

La cerchiamo per farle del bene, – ePinco rise.

– Vedrete, – disse la vecchia, –vedrete dove vanno a finire tutte questecose.

– Voi parlate della vecchiaia, – disseRiccardo, – e la vecchiaia non è proprioaffar nostro, in nessun senso.

– Ci risiamo con le maestre? – disseMaté. – Attenti, ragazzi, alle maestreperché è una categoria col fascismoincarnato. Io non so che gli abbia fatto ilduce a quelle, ma nove su dieci sono

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fasciste. Io potrei raccontarvi di unamaestra, di una per tutte.

– E racconta.– Fascista fino alla punta delle

unghie, – continuò Maté. – Era una diquelle che sognavano di fare un figliocon Mussolini. Ed era anche cotta perquel porco di Graziani.

Letteratura italiana Einaudi 115Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Un momento, – fece Pinco. – Era

giovane, era bella? E importante saperlosubito.

– Era sui trent’anni, – specificòMaté, – ed era una bella pianta di donna.Un po’ robusta, un po’ mascolina, ma

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ben messa e ben distribuita come carne.E soprattutto aveva una carnagionemagnifica, una vera seta.

– Meno male, – disse Pinco, – se eravecchia e brutta potevi avanzare diraccontare, anche se fosse il fatto piúinteressante del mondo.

– Quando si venne a sapere che cifaceva propaganda contraria… Unmomento. Ho dimenticato di dire cheallora io ero nella Stella Rossa.Eravamo sulle colline di Mombarcaro,montagne si potrebbero chiamare. Ilcommissario si chiamava Max e avevacome tirapiedi un certo Alonzo, uno cheaveva fatto la guerra di Spagna e sidiceva delegado militar. Non so che

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razza di grado sia, però la Spagnadoveva averla fatta sul serio, su treparole ne diceva una spagnola e anchesenza saper la lingua si capiva che nonbluffava. Ma che avesse fatto la Spagnacontava e non contava, l’importante erache si trat-tava di uno che ammazzava.Io gliel’avevo visto fare, ma anche senon gliel’avessi visto fare capivo cheera uno che voleva e sapeva ammazzare.Lo si capisce dagli occhi, dalle mani edanche dalla bocca.

Ci fu intorno un borbottio di assensoe poi Maté riprese: – La maestra chedico io viveva e insegnava a Belvedere,a dieci chilometri dalla nostra base.Quando si venne a sapere che ci faceva

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propaganda contraria – e quella poverascema non aveva ancora parlato che giàcorrevano a riportarcelo – allora ilcommissario Max la fece diffidare unaprima volta. Al nostro compagno che leportò la diffida, un buon ragazzoragionevole, quella rise in faccia e locaricò di insulti, gliene appioppò diquelli che una maestra non dovrebbenemmeno conoscere. Quello non reagíperché in fondo era una donna.

Poi ci riportarono che aveva detto inpiazza che i fascisti Letteratura italianaEinaudi 116

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata dovevano salire a sterminarcitutti con la mitraglia. Noi ci passammo

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sopra. La volta dopo disse che i fascistidovevano salire coi lanciafiamme e chelei sarebbe morta volentieri dopo avercivisti tutti arrostiti. Allora Max le mandòuna seconda diffida. Questa gliela portòuno piú duro del primo, ma anche luiricevette la medesima ac-coglienza e pernon ammazzarla sul posto si ritiròbestemmiando. Capite, questa maestraera un fenomeno curioso, magaridivertente, ma solo per chi non avesseancora il cuore avvelenato. Cosícontinuò come prima, anzi peggiorava, euna sera che tornavamo dalla pianuraavevamo freddo e fame e non avevamotrovato un goccio di carburante che eral’obiettivo della missione –

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Max fece fermare il camion aBelvedere. Venne ad aprir-ci il padredella maestra e capí a volo. Capí a voloe si buttò sul pavimento e lí si rotolava.Noi entrammo sca-valcandolo e lui dasotto cercava di avvilupparci le gambe.Venne anche sua moglie e si inginocchiòdavanti a noi. Ci dava tutte le ragioni diquesto mondo, ma non glielaammazzassimo.

La vecchia si alzò e disse alnipotino: – Su, è ora di andare adormire.

– No e no, io voglio restare asentire.

– A dormire, e subito! – e col fustodella conocchia lo parava verso

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l’usciolo della cucina. E ai partigianidisse buonanotte e: – Speriamo disvegliarci vivi domattina.

Maté aspettò che fossero usciti econtinuò: – Ma non glielaammazzassimo. Era la loro unica figlia eper darle il diploma di maestra avevanofatto tanti sacrifici. Se ne sarebbeincaricata lei d’ora innanzi, a costo dinon fare piú nient’altro, nemmeno dacucina, l’avrebbe sorveglia-ta lei, leavrebbe tappato la bocca come a unabambina.

Il padre ritrovò la voce anche lui,disse che era un buon cittadino e un buoncombattente dell’altra guerra, che avevadato all’Italia infinitamente di piú di

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quanto ne avesse ricevuto. Ebbene,offriva il suo credito a compen-Letteratura italiana Einaudi 117

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata so, a riparazione delle ideestorte di sua figlia. Ma Max rispose cheera impossibile, troppo tardi; neiriguardi di sua figlia, disse Max, si erausata una sopportazione che addiritturapuzzava di tradimento della causa. Inquel momento sbucò fuori lei, lamaestra. Doveva essersi na-scosta inqualche buco della casa ma poi nonaveva resi-stito ai lamenti dei suoivecchi. Del resto, era piú coraggiosa ditanti uomini. Come spuntò, cominciò avomitare insulti e il primo a riceverli

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era Max. Sputava anche, ma come lamaggioranza delle donne non sapevasputare e la saliva le cadeva sullamaglietta. Alonzo lo spagnolo eraaccanto a me e subito dietro Max ecomincia a soffiare: «Fucilarla,fucilarla, fucilarla», regolare come unorologio. Alonzo soffiava nel collo diMax e Max dondolava la testa quasi nefosse già persuaso.

«Provatevi solo a fucilarmi, bruttidelinquenti!» urlò la maestra. Mi siaccosta un compagno, un tipo per nientesanguinario e: «Maté, – mi dice, – qui lafucilano, qui finisce che la fucilanodavvero. E a me non va. È troppo, infondo è troppo per una donna che

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ragiona con l’utero». «Già, – faccio io,– e questo maledetto spagnolo che non lasmette e finisce che ci suggestiona tutti».«Di-fatti, – dice quel mio compagno, –da’ un’occhiata a Max e vedi se non ègià bell’e suggestionato». Nel mentre unpartigiano semplice passa avanti a Max,va dalla maestra e le dice: «Hai fattomolto male ad augurarci la morte coilanciafiamme. Coi lanciafiamme non cela dovevi augurare», e siccome lamaestra gli rideva sul muso lui fa unaltro passo in avanti e alza la mano perschiaf-feggiarla, per spaccarlo quelghigno come un vetro. Ma Max gli fermòla mano per aria e disse: «Fermo. Lediamo la grande lezione. Le mezze

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lezioni ormai guastereb-bero soltanto».E: «Fucilarla, fucilarla», soffiavasempre Alonzo, ormai sicuro. E quelmio compagno si rivolge di nuovo a me:«Maté, io non posso vederla fucilare.Facciamo qualcosa, per amor di Dio!»Allora gli dico di co-Letteratura italianaEinaudi 118

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata prirmi le spalle da Alonzo,vengo avanti e con la mano alzata chiedola parola. «Tu che vuoi?» mi fa Maxtutto sudato. «Voglio dire la mia idea.Democraticamente.

Ebbene, io non la fucilerei,commissario. In fondo è so-lo una donnache ragiona con l’utero. Per castigo,

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perché castigata va castigata, io direi difarle quello che i ti-tini fanno alle slaveche vanno coi fascisti. Rapiamola azero». Max dà uno sguardo in giro, vedeche la grande maggioranza è con me,anzi mi lancia occhiate di sollievo e diringraziamento, ma Alonzo diventòbianco dalla rabbia, mi sputò su unascarpa e mi gridò Ratero!

– Che nome è Ratero? – domandòPinco.

– Non lo so, e non me lo son maifatto tradurre. Ma vidi rosso, non tantoper il nome quanto per quel lurido pezzodi polmone sulla mia scarpa. Gli diediuna testata nel petto e Alonzo siafflosciò come se fosse di cartaveli-na.

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Gli volai sopra e mi pulii la scarpa sullapelle della sua faccia. Quando mirialzai, Max taceva e la maestrasogghignava. Capite, sogghignava. Maquando Max disse: «D’accordo, non lasi fucila piú, tutto considerato nonmerita nemmeno la raffica, la si rapa azero come di-ce Maté», allora smise diridere, si portò le mani alla testa esubito le tolse, come se già sentisse ilribrezzo della rapatura. Uno che sichiamava Polo si incaricava luidell’operazione e chiese le forbici allamadre della maestra. La vecchia stavatutta incantata, era contenta che nongliela fucilavamo ma nel medesimotempo sbalordi-ta dalla novità dello

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sfregio che le avremmo fatto, e cosí nondava retta a Polo. «Sbrigati, zia, – lediceva Polo toc-candole i fianchi, icapelli ricrescono, la pelle no». Intantol’avevano presa e la insaccarono su unasedia, a cavalcioni. La gonna le montòsu, mostrava mezze le coscie.

Sarebbero piaciute a te, Pinco, chesei per la sostanza e la profondità. Leaveva potenti come quelle di un corri-dore ciclista. Polo aveva già impugnatole forbici, ma la maestra dibatteva latesta perché Polo non potesse lavo-Letteratura italiana Einaudi 119

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata rarci e infatti Polo dovettechiamar due perché gliela te-nessero

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ferma. Le forbici erano grosse e senzafilo, il taglio veniva male e faticoso.Comunque Polo tagliava e cominciavaad apparire il cranio. Ragazzi, nonassistete mai alla rapatura di una donna,non vedetele mai la zuc-ca, non cercatenemmeno di figurarvela. E la piú bruttapatata che ci sia, e l’impressione siallarga a tutto il resto del fisico. Però,per quanto orribile, è anche una cosa cheinchioda. Eravamo tutti fissi, comeipnotizzati, e la maestra non si ribellavapiú, ma continuava a insultarci emaledirci con una voce ormai rauca chefaceva anche piú effetto. Qualcuno deinostri uscí alla chetichella, tornò fuoridal camion. La maestra faceva ancora

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qualche mossa di sofferenza o di senso ela gonna le montò piú su, ora mostravale giarrettiere. Max si asciugava ilsudore e diceva a Polo di far presto.Polo si lagnava delle forbici,malediceva di essersi incaricatodell’operazione e aveva le dita violaceeper la pressione del metallo. La maestraera ormai esaurita, ora gemeva solo piú,come una bambina. Suo padre erarannicchiato sul sofà, con la testa tra lemani, e con gli occhi tra le ditaguardava, senza parere, le ciocche disua figlia che fioccavano sul pavimento.Sua madre si era inginocchiata davanti aun qua-dretto della Madonna e pregava,senza sussulti e senza piú piangere. Lei,

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la maestra, in testa non la potevi piúguardare. Quasi tutti i nostri se l’eranofilata. Uscii an-ch’io e sapete come litrovai? Stavano allineati sul ciglio dellastrada, spalle al paese e fronte alvallone. Era già buio ma io vidibenissimo quel che facevano.

– Che cosa facevano? – domandòPinco.

Riccardo gli diede un buffetto eMaté sgranò gli occhi in faccia a Pinco.

– Dimmi che cosa facevano, – ripetéPinco.

– Ti dài tante arie, Pinco, ma sonotutte a vuoto.

Ascolta me, Pinco. Mangia del pane.Ci fu un lungo silenzio. Già il calore

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diminuiva e si di-Letteratura italianaEinaudi 120

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata sperdeva, la maggior parte dellebestie si era addormen-tata e respiravain economia. Poi parlò Riccardo,bisbigliava appena, rivolto a Pinco: – Ioho una sola religione, ed è di nonammazzare mai se non in combattimento.Se io ammazzassi a sangue freddo finireianch’io ammazzato in quella maniera. Equesta è la mia unica religione.

Poi si sentí una lunga vibrazione ditutto il mondo esterno e un attimo dopola pioggia tamburellò sul tetto.Rapidamente arrivò a crosciare e per lasoddisfazione Maté si stropicciò le

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mani, come un vecchietto. Passando adormire gettò un’occhiata a Miltonprono sulla paglia. Certamente dormivagià, sebbene tremasse in tutte le giunturee mani e piedi non cessassero dizappettare la paglia.

Ma Milton non dormiva. Ripensavaalla custode della villa di Fulvia e sisentiva disintegrare il cervello. «Ma ionon ho sbagliato tutto? Non hoesagerato? Ho capito bene, interpretatobene? Ho il cervello disintegrato, mabisogna che mi riconcentri. Che ha dettola custode? Ha proprio detto quelleparole riguardo a Fulvia e a Giorgio?Non me le sarò per caso sognate? Ma sí,le ha dette.

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Ha detto «…» ancora «…» Riescoancora a rivedere le pieghe della suabocca mentre lo diceva. Ora, non puòdarsi che io abbia capito male? Che viabbia dato un senso anziché un altro?Ma no, il senso era quello, quello eral’unico senso possibile. Una…specifica… relazione… intima. Unmomento. La custode voleva arrivare finlí, o sono io che l’ho fatta arrivare finlí? Non ho esagerato io? No, no, lei haparlato chiaramente ed io ho capitogiustamente. Ma perché ha voluto che iosapessi?

Sono cose che normalmente sitacciono proprio agli in-teressati. Leisapeva che io ero e sono innamorato di

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Fulvia. Non poteva non saperlo, propriolei. Lo sapeva-no il cane di guardia, imuri della villa, le foglie dei ciliegi cheero innamorato di Fulvia. Figurarsi lei,che oltre tutto sentiva mezzi i discorsiche le tenevo. E allora perché ha volutodisilludermi, farmi mettere il cuore inpa-Letteratura italiana Einaudi 121

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata ce, aprirmi gli occhi? Persimpatia? Certo, mi aveva un pochino insimpatia. Ma basta la simpatia a indurrea una parte del genere? Doveva sapereche quelle sue parole mi passavano daparte a parte come baionette. Chenecessità ha avuto, cosí all’improvviso,di passarmi da parte a parte? Forse ha

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pensato che quello era il momento piúadatto, meno pericoloso per me. Nonvolle dirmelo fintanto che ero soltantoun ragazzo. Ma rive-dendomi ha dovutopensare che ero ormai un uomo, che laguerra mi aveva fatto uomo e che ormaipotevo sopportare… Oh sí, hosopportato bene, veramente, mi hapassato da parte a parte come unbambino nudo e inerme. Voglio sperareche abbia parlato seriamente, in spiritodi verità, purché non mi abbia fattocostruire un mondo di dubbio e disofferenza su certe parole dette tanto perdire, approssimativamente. Cosí come,forse, Fulvia mi ha fatto costruire tuttoun mondo di amore su certe parole dette

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pure cosí per dire… Basta, basta, basta.Stavo male per non saper che fare, doveandare, co-sa risolvere, domani. Ma oraso che cosa farò domani.

Ritorno alla casa di Fulvia, rivedola donna, mi faccio ripetere tutto per filoe per segno. La guarderò tutto il temponegli occhi, senza sbattere nemmeno unavolta le palpebre. Dovrà ridirmi tutto, eaggiungere anche quello che non midisse l’altra volta».

Letteratura italiana Einaudi 122Beppe Fenoglio - Una questione

privata XIIErano giuste le nove di mattina. Il

cielo era tutto a pe-corelle bianche, conqualche golfetto color grigioferro, ed in

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uno di questi stava la luna, smozzicata etrasparente come una caramellalungamente succhiata. La pioggiavisibilmente premeva contro l’ultimostrato di cielo, ma forse, cosí pensava iltenente, la cosa si sarebbe fatta primache cadesse il primo rovescio.

Il tenente passò oltre la salasottufficiali che stavano trasformando incamera ardente per il sergente AlaricoRozzoni e si portò al centro del cortileda dove fece un cenno al sergented’ispezione.

– Bellini e Riccio in cortile, – glidisse quando gli si fu presentato.

– Bellini è fuori, con la comandataal mattatoio.

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E cosí Riccio faceva il primo, pensòil tenente, proprio Riccio che dei dueera il piú ragazzino, non avendo ancora iquindici anni di Bellini.

– Portami fuori Riccio.– Sarà in cucina o nei sotterranei.

Ora chiedo se si è visto, – disse ilsergente.

– Non allarghiamo la cosa. Cercalotu stesso. E digli che in cortile… c’èmateriale da scaricare.

Il sergente aggrottò la fronte eguardò l’ufficiale in mo-do particolare.Poteva permettersi un minimo di confi-denza anche perché erano entrambimarchigiani. Il tenente gli rispose con gliocchi. Allora il sergente sbirciò di lato

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alle finestre del comando e poi disse: –Io sono d’accordo di vendicare Rozzoni.Figuriamoci se non lo voglio vendicare.Ma vorrei vendicarlo su uno di queigrossi ba-stardi che se ne stanno liberi esuperbi in collina…

– Non c’è niente da fare.– Questi due sono ragazzini, questi

due erano por-taordini, ragazzini checredevano di giocare…

Letteratura italiana Einaudi 123Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Non c’è niente da fare, – ripeté il

tenente. – Il comandante ha ordinatocosí.

Il sergente partí verso le cucine e il

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tenente si sfilò a strattoni i guanti e poise li rinfilava adagio. Lui non avevamesso parola, ma anche perché nonaveva fiatato il capitano sardo. Entrambiavevano battuto i tacchi. – È rimastoucciso per una baldracca, – aveva dettoil comandante. – Non lo compiango,però lo vendico. E lo vendicoimmediatamente, sulle persone nemicheche ho a disposizione. Nessun miosoldato, caduto come si sia, deve restareinvendicato –. Essi avevano battuto italloni.

Ma poi l’incarico era toccato a lui,il capitano sardo era rimasto su astendere il manifesto da affiggere nelpomeriggio in tutto Canelli perché la

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popolazione sapesse.La cagna lupa mascotte attraversò il

cortile all’ambio, col muso a fil di terra.Il tenente cessò di seguirne la corsasentendo zoccolare nel fango Riccio.Era in calzoncini mimetici e unamaglietta tutta sbrindellata, sporca discolaticci di rancio e di sudorerappreso. Aveva i capelli cosí lunghiche dietro gli facevano codino e nonpassava minuto senza che si grattassefreneticamente la testa.

– Mettiti sull’attenti, – disse ilsergente a Riccio.

– Lascia perdere, – bisbigliò iltenente, e a Riccio: –

Fa’ due passi con me per il cortile.

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– Ma, tenente, dov’è questa roba dascaricare? domandò il ragazzinosputandosi sui palmi delle mani.

– Niente roba, – gorgogliò il tenente.Dopo qualche passo si accorse che

Riccio aveva una mascella gonfia. – Tihanno menato?

Un lampo di doloroso divertimentopassò negli occhi, furbi e docili, diRiccio. – Macché picchiato, – rispose. –

Pare tanto che mi abbiano gonfiato,ma non è altro che mal di denti. No, nonmi hanno picchiato, anzi mi hanno datodel piramidone.

– Ti duole?– Poco, ora che il piramidone

comincia a fare effetto.

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Letteratura italiana Einaudi 124Beppe Fenoglio - Una questione

privata Il cortile era deserto, salvo perloro due e la cagna mascotte che orascavallava, sempre col muso a terra,rasente il muro di cinta verso il torrente.Il tenente sapeva che dietro quel murostava arrivando, se già non era arrivato,il sergente…

– Ma dov’è il materiale dascaricare? – ridomandò Riccio.

– Niente materiale, – rispose iltenente, stavolta chiaramente.

Dal portico erano sbucati tre soldatie col moschetto a bilanciarm stavanoprogredendo alle spalle di Riccio.

– Non ci avete mai fatti uscire per

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niente, me e Bellini, – disse Ricciograttandosi la fronte.

– Devi ascoltarmi, – disse il tenente.Riccio si raccolse in attenzione, ma

subito dopo si voltò di scatto verso i treche erano venuti a fermarglisi allespalle.

– E questi…? – cominciò Riccio conuna smorfia da vecchio.

– Sí, devi andartene, – disse iltenente a precipizio.

– Morire?– Sí.Il ragazzino si portò una mano al

petto. – Mi fucilate.E perché?– Ti ricordi che allora sei stato

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condannato a morte.Te ne ricordi certamente. Ebbene,

oggi è venuto l’ordine di eseguire lasentenza.

Riccio trangugiò. – Ma io credevoche a quella condanna non ci pensastenemmeno piú. E stato quattro mesi fa.

– Purtroppo non son cose che sicancellano, – disse il tenente.

– Ma se non l’avete eseguita alloraperché volete ese-guirla adesso? Quellacondanna ormai è come se non valessepiú. Dato che non l’avete eseguita alloraè come se l’aveste annullata.

Letteratura italiana Einaudi 125Beppe Fenoglio - Una questione

privata

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– Non annullata, – disse il tenentesempre piú dolce.

– Era semplicemente sospesa –. Esopra la testa di Riccio adocchiò lefisionomie dei tre soldati, per scoprirese a loro andava o sgarbava che egli lafacesse tanto lunga e ragionevole, e videche uno dei tre stava sbirciando, tra ildisagiato e l’ironico, verso le finestredel comando.

– Ma io, io credevo di essermicomportato bene. In questi quattro mesimi sono comportato bene

– Ti sei comportato bene.Effettivamente.

– E allora? Allora perché miammazzate? – Due lacrime gli erano

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spuntate agli angoli degli occhi e, senzascrollarsi, stavano crescendosmisuratamente. – Io ho solo quattordicianni. Voi lo sapete che io ho solamentequattordici anni, e ne dovete tener conto.O per caso avete scoperto qualcosa dime di prima? Non è vero niente, quelche potete aver scoperto. Io non ho maifatto niente di male. E non ho nemmenovisto a far del ma-le. Facevo la staffettae basta.

– Ti debbo dire, – spiegò il tenente,– che è stato ucciso uno dei nostri. Ilsergente Rozzoni, che tu conoscevi.

Lo ha ucciso uno dei vostri sullacollina qui di fronte.

– Maledetto! – bisbigliò Riccio.

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– Certo, – disse il tenente. –Potessimo aver lui nelle mani.

Riccio cercò disperatamente di farsimontar saliva, perché la lingua gli si eratalmente seccata da non poter piúspiccicare una parola e sapeva che senon riparlava subito il tenente avrebbefatto cenno di incamminarsi. Si ripresein tempo e disse: – Mi dispiace, midispiace per questo sergente. Ma giàaltre volte, da quando sono qui dentro,avete avuto dei morti e non ve la sietepresa con me.

– Questa volta è cosí.– Vi ricordate quando è morto il

soldato Polacci, in-calzò Riccio. – Io hopersino aiutato a fargli il coso, il ca-

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tafalco, e voi non mi avete nemmenoguardato di brutto.

– Questa volta è cosí.Letteratura italiana Einaudi 126Beppe Fenoglio - Una questione

privata Riccio con le due mani sistrizzava la maglietta. – Ma io nonc’entro. Io ho solo quattordici anni efacevo la staffetta. A dir la verità, eraappena la seconda volta che la facevoquando sono stato preso, ve lo giuro. Ionon c’entro. Ma l’ordine, l’ordine perme, da chi è venuto?

– Dall’unico che può darlo.– Il comandante? – fece Riccio. – Io

l’ho visto tante volte il vostrocomandante, proprio qui in cortile, e non

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mi ha mai guardato di traverso. Unavolta mi ha mostra-to il frustino marideva.

– Questa volta è cosí, – sospirò iltenente, senza la forza di adocchiare i tresoldati.

– Io voglio parlare col comandante,– disse Riccio.

– Non si può. E non serve.– Lui vuole proprio cosí?– Certo. Qui si fa tutto quel che lui

vuole e niente che lui non voglia.Riccio si mise a piangere in silenzio,

mentre si tastava in tasca, invano, per unfazzoletto.

– Ma io, – disse passandosi un ditosotto gli occhi, –

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io mi sono sempre comportato bene,ho sempre fatto tutto quello che mi aveteordinato. Ho ramazzato, ho pulito glistivali, ho buttato l’immondizia, hocaricato e scaricato… E per quandosarebbe?

– Subito.– Adesso? – fece Riccio

riportandosi ambo le mani al petto. –No, no, questa è grossa. Un momento. Lofate a me solo? A Bellini no?

– Anche a Bellini, – rispose iltenente. – L’ordine comprende ancheBellini. Sono andati a prelevarlo almattatoio.

– Povero Bellini, – disse Riccio. – Enon lo aspettiamo? Perché non

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aspettarlo? Cosí almeno stiamo insieme.– Gli ordini, – disse il tenente. –

Non possiamo aspettare. Non c’è piúaltro da… Forza, Riccio, incamminati.

– No, – disse calmo Riccio.Letteratura italiana Einaudi 127Beppe Fenoglio - Una questione

privata– Avanti, Riccio, coraggio.– No. Io ho solo quattordici anni. E

voglio veder mia madre. O mamma. No,è troppo grossa.

L’ufficiale sguardò i tre soldati. Due,capí, la volevano presto finita, per pietà,l’altro, lo fissava tra il sarcastico e ilfurioso, pareva dirgli: – A noi non fannotante cerimonie, a noi semmai fanno un

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prologo di sarcasmo e a questo tu staifacendo un prologo di compassione.

Bell’ufficiale. Ma tu sei di quelliche già pensano che abbiamo torto e chesiamo finiti. Ma, e noi? Noi soldati delDuce nasciamo forse dalle pietre o dallepiante?

– Avanti, forza, – ripeté il tenente,adocchiando il terzo soldato che si eraaperto in grembo come a ricevereRiccio, al contrario ed identicamente aduna madre.

– No, – rispose Riccio sempre piúcalmo. – Io ho solo quat…

Allora il tenente serrò gli occhi e lourtò forte nella spalla e Riccio piombòin grembo al soldato e gli altri due gli si

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serrarono addosso come un coperchio.Cosí soffocavano anche le sue grida e daquel viluppo non uscivano che le gambesospese e mulinanti del ragazzino.

Cosí andavano verso la porta carrajae il tenente li se-guiva coi piedi dipiombo. – Assassini! Mamma! Questi miammazzano! Mamma! – si sentivadistintamente urlare Riccio.

Non arrivavano mai a quellamaledetta porta carraja, il sergentedoveva già essere appostato perché laporta si socchiuse per una pressionedall’esterno.

All’improvviso quel viluppo sidisfece come se una bomba dirompentevi fosse esplosa nel centro e nel vuoto

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apparve Riccio, quasi seminudo, efissava l’ufficiale, col dito puntato.

– Non mi toccate! – urlò ai soldatiche gli si ristringe-vano addosso. – Vadoda solo. Ma non mettetemi piú le maniaddosso. Vado da solo. Se fucilate ancheBellini, con chi starei io in questa vostramaledetta caserma?

Letteratura italiana Einaudi 128Beppe Fenoglio - Una questione

privata Non mi ci vedrei piú, nonresisterei piú nemmeno un minuto, vipregherei di fucilarmi. Che i soldati mistiano lontani! Vado da solo.

Il tenente accennò ai soldati che nonsi avvicinassero.

E infatti Riccio retrocesse di

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qualche passo verso la porta carraja,quasi a sfiorarla.

– Ancora una cosa, – disse Riccio. –In prigione ho una torta che mi hamandato mia madre. L’ho appenaassaggiata, l’ho appena scrostata. Lalascerei a Bellini ma Bellini mi vienedietro. Datela al primo partigiano cheentrerà nella vostra maledetta prigione.Guai se la mangia uno di voi!

Uscí al torrente e i soldatiriaccostarono la porta. Il tenente restòfermo un attimo solo, poi si riportò infretta verso il centro del cortile. Maanche lí non si senti di ri-manere, quasiche la raffica potesse uccidere anche luiattraverso il muro. Si diresse a grandi

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passi al defilato, verso la mensaufficiali. Come ne raggiunse lo spigolo,crepitò la raffica.

Tutti in caserma dovevano già essereavvertiti e pre-parati, perché non ci fumovimento: non curiosità, non chiamate,non apparizioni ai finestroni. Il brusio diCanelli si troncò netto.

Il tenente si calcò una mano suicapelli che gli si erano tutti rizzati elentamente, spossatamente camminòverso il corpo di guardia, ad aspettareBellini.

Letteratura italiana Einaudi 129Beppe Fenoglio - Una questione

privata XIIIA quell’ora Milton era in marcia

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verso la villa di Fulvia sull’ultimacollina prima di Alba. Aveva già fatto ilpiú della strada, si era già lasciato dimolto alle spalle il cocuzzolo dal qualeaveva avuto la prima vista della casa.

Gli era apparsa fantomatica, velatacom’era dalle cortine della pioggia.Pioveva come non mai, a piombo,selvag-giamente. La strada era unapozzanghera senza fine nella quale egliguadava come in un torrente per lungo, icampi e la vegetazione stavano sfatti eproni, come violentati dalla pioggia. Lapioggia assordava. Dal cocuzzolo si erabuttato giú nella valletta senza frenarsi,anzi sollecitando le scivolate. Scivolòsul dorso un paio di volte, ognuna per

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dieci-dodici metri sul pendio gonfio eondoso, tenendo con le due mani lapistola come un timone. Poi prese arisalire il poggetto in cima al quale gli sisarebbe rioffer-ta la visione della casadi lei. Sgambando con tutta la forza,procedeva con un passetto da bambino.E intanto tossiva e gemeva. «Ma che civado a fare? Stanotte ero pazzo, certodeliravo per la febbre. Non c’è nulla dachiarire, da approfondire, da salvare.Non ci sono dubbi.

Le parole della donna, una per una, eil loro senso, il loro unico senso…»Arrivò in cima e prima di allungare losguardo si scartò dalla fronte i capelliche la pioggia al-ternativamente

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incollava e scuoteva. Ecco la villa, altasulla sua collina, a un duecento metri inlinea d’aria.

Certo le fitte cortine di pioggiaconcorrevano a sfigu-rarla, ma egli lavide decisamente brutta, gravemente de-teriorata e corrotta, quasi fosse decadutadi un secolo in quattro giorni. I murierano grigiastri, i tetti ammuffiti, lavegetazione all’intorno marcia esconquassata.

«Ci vado, ci vado ugualmente. Nonsaprei proprio che altro fare e non possostare senza far niente. Manderò in città ilragazzo del contadino, per sapere di lui.

Letteratura italiana Einaudi 130Beppe Fenoglio - Una questione

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privata Gli darò… gli darò le dieci lireche dovrebbero restarmi in tasca».

Si avventò giú per il pendio,perdendo immediatamente la vista dellavilla, e arrivò in scivolata sulla riva deltorrente, a valle del ponte. L’acquasommergeva di un palmo i massicollocati per il guado. Passò da unpietrone all’altro con l’acqua gelida egrassa alle caviglie. Poi imboccò lastradina percorsa al ritorno davanti aIvan, quattro giorni prima. Al piano,camminò con furore, risponden-do alfurore della pioggia. «In che stato sono.Sono fatto di fango, dentro e fuori. Miamadre non mi riconoscereb-be. Fulvia,non dovevi farmi questo. Specie

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pensando a ciò che mi stava davanti. Matu non potevi sapere che co-sa stavadavanti a me, ed anche a lui e a tutti iragazzi. Tu non devi saper niente, soloche io ti amo. Io invece debbo sapere,solo se io ho la tua anima. Ti stopensando, anche ora, anche in questecondizioni sto pensando a te. Lo sai chese cesso di pensarti, tu muori,istantaneamente? Ma non temere, io noncesserò mai di pensarti».

Saliva al penultimo ciglione, a occhiserrati e piegato in due. Quando si fossesaputo al culmine, sarebbe scattato drittoe avrebbe sgranato gli occhi perriempirseli subito della casa di lei. Legocce gli picchiavano in testa come

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pallini di piombo, e aveva a volte vogliadi urlare d’intolleranza. E cosí, fra tutto,non vide una figura uma-na che avanzavadi contro a lui, a ridosso di una siepe, inun campo a un trenta passi a sinistra dilui. Era un giovane contadino, checamminava in punta di piedi in quelfango, rannicchiato e svelto come unascimmia, come se ad ogni momentodovesse buttarsi a correre e mai si fi-dasse di scattare. Presto la figura sidissolse nella pioggia.

Lui arrivò al culmine e subito lanciògli occhi in alto alla villa, senzafermarsi, quasi inciampando nella primadiscesa. Nel riequilibrarsi livellò gliocchi e si vide dinnanzi i soldati. Si

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arrestò netto in mezzo alla stradina, conle due mani premute sul ventre.

Letteratura italiana Einaudi 131Beppe Fenoglio - Una questione

privata Erano una cinquantina, sparsiper i campi, in tutte le direzioni, unosolo sulla strada, non tutti con l’armapronta, tutti in mimetico ammollato, lapioggia si polve-rizzava sui loro elmettisplendenti. Il meno lontano era quellosulla strada, a trenta metri da lui, tenevail moschetto fra spalla e braccio, comese lo ninnasse.

Nessuno si era ancora accorto di lui,parevano tutti, lui compreso, in trance.

Con una zecca del pollice sbottonòla fondina, ma non estrasse la pistola.

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Nell’istante in cui il soldato piú vicinodirigeva su di lui gli occhi frastornatidall’acqua, Milton ruotò seccamenteall’indietro. Non gli arrivò l’urlodell’allarme, solo un rantolo di stupore.

Camminava verso il culmine conpassi lunghi e indifferenti, mentre ilcuore gli batteva in tanti posti e tuttiassurdi e sentiva la schiena allargarglisi,fino a deborda-re dalla strada. «Sonomorto. Mi prendesse alla nuca.

Ma quando arriva?»«Arrenditi!»Gli si ghiacciò il ventre e gli mancò

netto il ginocchio sinistro, ma siraccolse e scattò verso il ciglio. Giàsparavano, di moschetto e di mitra, a

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Milton pareva non di correre sulla terra,ma di pedalare sul vento dellepallottole. «Nella testa, nella testa!»urlava dentro di sé e in tuffo sorvolò ilciglione e atterrò sul pendio, mentreun’infinità di pallottole spazzavano ilculmine e trancia-vano la sua aria. Feceuna lunghissima scivolata, fenden-do ilfango con la testa protesa, gli occhisbarrati e ciechi, sfiorando massiemergenti e cespi di spine. Ma nonaveva sensazione di ferite e di sanguespicciante, oppure il fango richiudeva,plastificava tutto. Si rialzò e corse, matroppo lento e pesante, senza il coraggiodi sbirciare all’indietro, per non vederliormai sul ciglione, allineati come al

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banco di un tirasegno. Correvagoffamente tra un argine e il torrente, e aun certo punto pensò di fermarsi, vistoche tanto non gli riusciva di prendervelo-Letteratura italiana Einaudi 132

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata cità. Sempre aspettando lascarica. «Non nelle gambe, non nellaspina!» Continuò a correre verso il trattopiú alberato del torrente. Quando liintravvide sull’arginello, probabilmenteun’altra pattuglia, seminascosti dietro legaggie sgrondanti, a un cinquanta passida lui. Non l’avevano ancoraindividuato, lui era come uno spettrofangoso, ma ecco che ora urlavano espianavano le armi.

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«Arrenditi!»Aveva già frenato e rinculato. Puntò

dritto al ponte e dopo tre passi si avvitòsu se stesso e rotolò via. Sparavano dadue lati, dal ciglione e dall’arginello,urlando a lui e a se stessi, eccitandosi,indirizzandosi, rimproverando-si,incoraggiandosi. Milton era di nuovo inpiedi, rotolando aveva urtato contro unagobba del terreno. Dietro, davanti eintorno a lui la terra si squarciava eribolliva, lanci di fango svincolati dallepallottole gli si avvinghiavano allecaviglie, di fronte a lui gli arbusti dellariva saltavano con crepiti secchi.

Ripuntò al ponticello minato. Erauna morte identica a quell’altra, ma agli

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ultimi passi il suo corpo pianse e sirifiutò di saltare in aria a brandelli.Senza l’intervento del cervello, frenòseccamente saltò nel torrente volandooltre i cespugli tranciati dalla fucileria.

Cadde in piedi e l’acqua gli grippòle ginocchia, mentre ramaglia potata dalfuoco gli crollava sulle spalle.

Non indugiò piú di un secondo, maseppe che era basta-to, se solo osavagirar gli occhi avrebbe certo visto iprimi soldati già sulla sponda, che glimiravano il cranio con sette, otto, dieciarmi. La mano gli volò alla fondina, mala trovò vuota, sotto le dita non schizzòvia che un po’ di fango. Perduta, certogli era sfuggita in quell’enorme

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scivolata a capofitto giú dal ciglione.Per la disperazione voltò intera la testae guardò tra i cespugli. Un solo soldatogli era vicino, a un venti passi, colmoschetto che gli ballava tra mano e gliocchi fissi all’arcata del ponte. Con unosciacquio assordante si tuffò avanti diventre e con Letteratura italiana Einaudi133

Beppe Fenoglio - Una questioneprivata un solo guizzo si aggrappòall’altra sponda. Riscoppiò dietrol’urlio e la sparatoria. Scavalcò la rivasul ventre e si buttò per lo sconfinato,nudo prato. Ma le ginocchia glicedettero nell’intollerabile sforzo diacquistar subito velocità. Stramazzò.

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Urlarono a squarciagola. Una voceterribile malediceva i soldati. Duepallottole si conficca-rono in terravicino a lui, morbide, amichevoli. Sirialzò e corse, senza forzare,rassegnatamente, senza nemmenozigzagare. Le pallottole arrivavanoinnumerevoli, a bran-chi, a sfilze.Arrivavano anche in diagonale, alcuni sierano precipitati a sinistra per coglierlod’infilata, e gli sparavano anched’anticipo, come a un uccello. Questediagonali lo atterrivano infinitamente dipiú, le dirette avevano tutte leprobabilità di farlo secco. «Nella testa,nella testaaaa!» Non aveva piú la pistolaper spararsi, non vedeva un tronco

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contro cui fracassarsi la testa, correndoalla cieca si alzò le due mani al colloper strozzarsi.

Correva, sempre piú veloce, piúsciolto, col cuore che bussava, madall’esterno verso l’interno, come sesmanias-se di riconquistare la sua sede.Correva come non aveva mai corso,come nessuno aveva mai corso, e lecreste delle colline dirimpetto, anneritee sbavate dal diluvio, balena-vano comevivo acciaio ai suoi occhi sgranati esemiciechi.

Correva, e gli spari e gli urliscemavano, annegavano in un immenso,invalicabile stagno fra lui e i nemici.

Correva ancora, ma senza contatto

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con la terra, corpo, movimenti, respiro,fatica vanificati. Poi, mentre ancoracorreva, in posti nuovi o irriconoscibilidalla sua vista svanita, la mente ripresea funzionargli. Ma i pensieri venivanodal di fuori, lo colpivano in fronte comeciottoli scagliati da una fionda. «Sonovivo. Fulvia. Sono so-lo. Fulvia, amomenti mi ammazzi!»

Non finiva di correre. La terra salivasensibilmente ma a lui sembrava dicorrere in piano, un piano asciutto,elastico, invitante. Poi d’improvviso glisi parò dinnanzi una borgata. MugolandoMilton la scartò, l’aggirò sem-Letteratura italiana Einaudi 134

Beppe Fenoglio - Una questione

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privata pre correndo a piú non posso.Ma come l’ebbe sorpassa-ta,improvvisamente tagliò a sinistra el’aggirò di ritorno.

Aveva bisogno di veder gente ed’esser visto, per convin-cersi che eravivo, non uno spirito che aliava nell’ariain attesa di incappare nelle reti degliangeli. Sempre a quel ritmo di corsariguadagnò l’imbocco del borgo el’attraversò nel bel mezzo. C’eranoragazzini che uscivano dalla scuola e alrimbombo di quel galoppo sul selciatosi fermarono sugli scalini, fissi allasvolta. Irruppe Milton, come un cavallo,gli occhi tutti bianchi, la bocca spalan-cata e schiumosa, a ogni batter di piede

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saettava fango dai fianchi. Scoppiò ungrido adulto, forse della maestra allafinestra, ma lui era già lontano, pressol’ultima casa, al margine della campagnache ondava.

Correva, con gli occhi sgranati,vedendo pochissimo della terra e nulladel cielo. Era perfettamente consciodella solitudine, del silenzio, della pace,ma ancora correva, facilmente,irresistibilmente. Poi gli si parò davantiun bosco e Milton vi puntò dritto. Comeentrò sotto gli alberi, questi parveroserrare e far muro e a un metro da quelmuro crollò.

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Una questione privataEdizioneSommarioCapitolo ICapitolo IICapitolo IIICapitolo IVCapitolo VCapitolo VICapitolo VIICapitolo VIIICapitolo IXCapitolo XCapitolo XI

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Capitolo XIICapitolo XIII