Una Promessa d'Amore (Italian Edition) - Balogh, Mary

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Il conte di Falloden lanciò un’occhiata al biglietto da visita appoggiato sul vassoio che ilmaggiordomo gli stava tendendo. Poi si accigliò.

«Mr Joseph Transome, commerciante di carbone» lesse. «Perché diavolo un mercante dicarbone dovrebbe volermi incontrare? Avresti dovuto mandarlo via senza neanche chiedere cosa volesse, Starret.»

Il maggiordomo si scambiò un breve sguardo con il valletto del conte. «È stato molto insistente, signore» spiegò. «Ha dichiarato che non poteva rivelare il motivo della sua visita a nessuno se non a voi direttamente. Volete che gli dica che non siete in casa, signore?»

«Sì» ribatté irritato il conte, accennando al valletto di passargli il plastron. Era appena tornato da una cavalcata mattutina nel parco, che tuttavia non era riuscita a togliergli di dosso il malumore. Non era nella disposizione d’animo giusta per accogliere ospiti.

Il maggiordomo si inchinò rigidamente e si voltò per allontanarsi dal camerino del padrone di casa.

«Un momento!» lo fermò il conte. Sembrò ancora più irritato, mentre si sistemava il fazzoletto intorno al collo con un nodo frettoloso e fin troppo semplice, sebbene il valletto serrasse le labbra in un moto di disapprovazione. «Quell’uomo è una persona rispettabile, Starret? È venuto a bussare alla porta principale?»

«Si è presentato con un tiro a quattro, signore» lo informò il maggiordomo.

Il conte sollevò le sopracciglia. «Sarà meglio che scopra cosa diavolo vuole» commentò. «Fallo attendere in salotto, Starret.»

«Sì, signore.» Il maggiordomo tornò a inchinarsi e poi si congedò.

«Un commerciante di carbone» mormorò il conte, rivolto al riflesso del suo valletto nello specchio. «Cosa pensi che voglia, eh, Crawley? Forse vuole convincermi a cambiare fornitore di carbone per l’inverno? Chi è che ce lo fornisce, a proposito? Ebbene, suppongo che dovrei scendere a soddisfare la mia curiosità. È venuto a bussare alla porta principale e ha chiesto di me, invece di presentarsi a quella sul retro, chiedendo di Mrs Lawford. Interessante, non trovi?»

Ma non attese risposta. Uscì a lunghi passi dalla stanza e scese le scale fino all’ingresso della sua dimora su Grosvenor Square. Considerò che il grigiore di quel mattino di novembre rendeva quasi necessario accendere le lampade, mentre attraversava l’ingresso e aspettava che un servitore gli aprisse le doppie porte del salotto.

Mr Joseph Transome, commerciante di carbone, era un ricco borghese, o perlomeno così venne da pensare al conte quando l’uomo si voltò verso di lui, dando le spalle alla finestra da cui stava guardando. Indossava abiti impeccabili e costosi quanto i suoi, e anche più alla moda. Il conte non aveva potuto stare al passo con la moda, nell’ultimo anno, considerando anche che per la maggior parte di quel periodo si era vestito a lutto. L’unica critica che avrebbe potuto fare

all’abbigliamento del mercante era che quei vestiti sembravano di almeno due taglie più grandi. Era sottile e angoloso, con un volto affilato, da cui un paio d’occhi troppo scuri e grandi osservavano avidamente il suo ospite.

Il conte gli rivolse un cenno di saluto. «Sono Falloden» esordì. «Cosa posso fare per voi?» Si irrigidì, quando l’uomo non rispose subito, limitandosi a scrutarlo senza fretta da capo a piedi, con un mezzo sorriso sul volto.

«Siete un bell’uomo, milord, se mi perdonate l’ardire» disse infine Mr Transome, fregandosi le mani. «Più di quanto mi avessero fatto credere. E questo è un bene.»

«Grazie» ribatté freddamente il conte. «Avete qualcosa di cui discutere con me personalmente, signore?»

Mr Transome rise e continuò a fregarsi le mani. «Di certo considerereste alquanto stranose fossi venuto fin qui soltanto per ammirare il vostro aspetto, milord, giusto?» commentò. «Ma anche questo è importante, per me.»

Il conte storse le labbra, restando vicino alle porte del salotto con le mani dietro la schiena, senza esortare il suo ospite ad accomodarsi.

«Forse dovrei venire subito al punto, milord» riprese il mercante. «Se la nobiltà è come la classe borghese, il tempo è denaro, come mi piace ripetere. E il tempo non deve essere sprecato in chiacchiere inutili.»

«Concordo assolutamente» dichiarò il conte.

«A quanto pare, milord» riprese il mercante, continuando a fregarsi le mani come a lavarsele, e fissando il conte con aria dispiaciuta «che voi mi dobbiate una somma considerevole.»

«Davvero?» Il conte inarcò un sopracciglio e fissò altezzosamente il suo ospite. «Per caso si tratta di un conto non pagato? La farò condurre dal mio amministratore senza altri indugi.»

«No, no.» Mr Transome sollevò una mano, interrompendolo. «Sarebbe una circostanza, milord, ben al di sotto del suo e del mio livello. Niente di tutto ciò. Io credo di non sbagliare, piuttosto, se dico che la sua proprietà principale, Grenfell Park, in Hampshire, sia pesantemente ipotecata, non è così?»

Lo sguardo del conte si assottigliò.

«E sia la casa che il terreno sono sempre più abbandonati e lasciati a sé stessi, di anno inanno, visto che il denaro proveniente dalla rendita non è sufficiente a pagare i costi dell’ipoteca» continuò il signor Transome.

«Non so dove abbia ottenuto queste informazioni,» dichiarò il conte «ma Grenfell Park non vi riguarda, signore. Adesso, se volete scusarmi, mi attende una mattinata fitta di impegni.»

«E cosa dovete fare, milord, se mi è concesso l’ardire di chiedervelo?» replicò Transome. «Dovete andare dal vostro sarto o dal vostro calzolaio? In effetti, in questi ultimi tempi non l’avete fatto spesso, visto che i loro prezzi sono così salati da non poterveli permettere. E, fondamentalmente, voi siete un uomo d’onore, o così dicono le mie fonti.»

«Mr Transome.» Il tono del conte si fece gelido. «Devo chiedervi di andarvene, ora.» E si voltò verso le porte del salotto.

«Inoltre, non siete più stato da Tattersall’s, negli ultimi tempi, milord, e non avete partecipato alle corse.» Il mercante non si arrese neanche allo spalancarsi delle porte. «E non giocate seriamente a carte, già troppo oberato da debiti di gioco che non potreste sperare di ripagare neanche impiegandoci tutta la vita... Anche se, per amore di giustizia devo aggiungerlo, non sono vostri. E avete contratto parecchi debiti con degli strozzini. Non è una bella situazione. Suppongo che non dormiate sonni tranquilli.»

Il conte tornò a chiudere le porte e mosse qualche passo verso il suo ospite. «Mr Transome,» ribatté «immagino che la vostra impertinenza abbia un fine. Sareste così gentile da informarmi più chiaramente riguardo al debito che ho nei vostri confronti? È un fatto a conoscenza dell’amministratore di mio cugino?»

«Niente di tutto ciò, milord» rispose Mr Transome, ammorbidendo il tono. «Oserei dire che conoscete perfettamente a quanto ammontano i vostri debiti. E sono abbastanza da pesarvi sulle spalle come il mondo sulle spalle di quel gigante. Come si chiama? Mi è sempre piaciuta quella storia.»

«Atlante» ribatté seccamente il conte. «Mi chiedo quanto peserete voi sulle mie spalle, Mr Transome, quando vi solleverò di peso per buttarvi fuori, tra un attimo.»

Il mercante ridacchiò. «Non molto, milord» ammise. «Non molto, in questi ultimi tempi. Sapete, i vostri debiti adesso dovrete pagarli a me, milord. Li ho pagati tutti, fino all’ultimo.»

Il conte si bloccò dov’era. E, stranamente, non pensò neanche per un attimo che quell’uomo stesse mentendo. Tutti quei debiti suo cugino li aveva accumulati negli otto anni in cui era stato conte di Falloden. Quei debiti che lui si era rifiutato di disconoscere, quando li aveva ereditati, quattordici mesi prima. E si era rifiutato di vendere Grenfell Park, con i suoi terreni, perché era cresciuto lì. Perché quel luogo faceva parte di lui, gli scorreva nel sangue, era il suo più amato tesoro. Un macigno legato al suo collo.

«Perché?» domandò, con lo sguardo che tornava ad assottigliarsi.

«Perché li ho comprati?» ripeté Mr Transome. «Per farvi un favore, milord. Mi piace pensare che è molto meglio e confonde di meno avere un unico debito con una sola persona, che dovere del denaro a tutta Londra e alle contee del Sud. Non trovate anche voi, milord?»

«Questo pensiero mi sembra davvero confortante» commentò il conte. «Quindi siete venuto qui a spremermi, Transome? Dovrete attendere. Pagherò fino all’ultimo penny. Ma ci vorrà del tempo.»

Mr Transome scoppiò a ridere. «Ho lavorato sodo per tutta la vita, milord» dichiarò. «Con tanta costanza e un po’ di fortuna, ho ottenuto praticamente tutto ciò che un uomo può desiderare da questa vita. C’è solo una cosa che mi manca, ed è proprio ciò che mi chiedete voi. Il tempo. Mi è rimasto ben poco tempo.»

«Allora,» rispose il conte «temo che dovrò accettare l’idea di finire in prigione per debiti. Mi spiace, signore, ma non posso tirare fuori da nessuna parte in tempi brevi la somma che

vi devo. Vorrei poterlo fare, credetemi.»

«Vi credo, milord» affermò il mercante, tornando a fregarsi le mani come aveva fatto fino a poco prima. «Ma i vostri debiti possono essere cancellati in un attimo, sapete?»

Il conte sorrise, gelido.

«Voi lavate la schiena a me e io la lavo a voi, per così dire» riprese Mr Transome. «Se voi farete una cosa per me, milord, io cancellerò i vostri debiti. Fino all’ultimo penny. E mi assicurerò anche che abbiate i mezzi per rendere Grenfell Park uno dei luoghi più belli d’Inghilterra,e le sue fattorie le più prospere. E che possiate tornare a spendere tempo e denaro dal vostro sarto.»

Il conte sollevò le sopracciglia.

«State aspettando di sapere cosa voglio da voi» riprese Transome. «È una piccola cosa, milord, in cambio di ciò che otterrete. Ma per me significherebbe moltissimo.»

Il conte non cambiò espressione.

«Cancellerò tutti i vostri debiti, e vi lascerò in eredità metà della mia fortuna... ed è una fortuna considerevole, milord» affermò il mercante «se voi sposerete mia figlia. E la maggior parte della restante metà dei miei beni sarà sua dopo la mia morte, dunque in realtà vi apparterrà anche quella.»

Il conte di Falloden fissò incredulo il suo ospite. «Volete che io sposi vostra figlia» ripeté debolmente, chiedendosi per un attimo se non stesse vivendo in uno strano sogno. La figlia diun borghese. Di un mercante di carbone. Una perfetta sconosciuta.

«Ha diciannove anni ed è bellissima, anche se sono io a dirlo» continuò Mr Transome. «E se cercate la raffinatezza, milord, nessuna donna potrebbe fare al caso vostro come la mia Ellie. È stata educata all’accademia di Miss Tweedsmuir. C’erano due giovani nobildonne, al tempo, con lei, e la figlia di un colonnello. Era molto amica della figlia di Lord Hutchins.»

«Come sapete che non sono sposato?» domandò freddamente il conte. «No, dimenticate questa domanda. Sono certo che sappiate già tutto della mia vita, signore. Senza dubbio siete a conoscenza dei miei sentimenti, anche se non è un fidanzamento vero e proprio, per Miss Dorothea Lovestone. Senza dubbio sapete dell’amante che ho avuto per un anno, in passato.»

«Miss Alice Freeman» disse Mr Transome. «Una donna altrettanto bella, se mi permettete l’ardire, milord. È una chiara dimostrazione del vostro buongusto. Ma anche Ellie vi soddisferà. Avrete la sua bellezza, la sua raffinatezza e la sua educazione, oltre a metà delle mie ricchezze, milord. E lei sarà contessa e vi darà un erede. È tutto ciò che vi chiedo, milord.» Poi ridacchiò. «Essere nonno di un conte.»

«Mr Transome,» rispose piano il conte «uscite dalla mia casa.»

Il mercante si grattò la testa, su cui i capelli iniziavano a diradarsi. «Comprendo che voi siete un uomo d’onore, milord» affermò. «E quale nobile non lo è? So anche che l’idea di sposare una persona appartenente a una classe inferiore non è ben vista. Ma a volte, la necessità deve avere la meglio sull’orgoglio. Non credo voi abbiate alcuna alternativa a ciò che vi ho suggerito.»

«La prigione» dichiarò il conte, seccamente. «Questa è un’alternativa, signore.»

«Non avete neanche visto la mia Ellie» commentò Mr Transome. «Come potete essere certo che preferireste la prigione, milord? Non posso credere che stiate parlando sul serio. Questa è spavalderia. Ma anche se non finiste in prigione, che futuro si prospetta per voi? Non avete potuto chiedere la mano di Miss Lovestone, dico bene? Nonostante abbiate un titolo da sventolare davanti agli occhi di suo padre. Siete troppo orgoglioso per chiederle di sposarvi ora che siete pieno di debiti. Ma, perdonate l’ardire, temo che sarete vecchio, o addirittura nella tomba, prima di poter essere di nuovo nella condizione di chiedere liberamente la sua mano. E dubito che suo padre accetterebbe comunque la vostra offerta, non essendo egli stesso un uomo ricco.»

«Il mio rapporto con Miss Lovestone non vi riguarda» scattò il conte.

«Certamente» concordò il suo ospite. «Ma siete stato voi il primo a menzionarla, milord. Sarò breve, poiché vedo che siete ansioso di mettere fine a questo incontro. Dovrete sposaremia figlia entro un mese, milord, altrimenti pretenderò che voi paghiate i vostri debiti. Non vorrei assolutamente arrivare a questo, ma gli affari sono affari.»

Il conte posò la mano sul pomolo di uno dei battenti. «Permettetemi di accompagnarvi alla porta.»

«Tornerò domani, milord» concluse Transome. «Non posso attendere oltre. Sono certo che valuterete con attenzione la vostra decisione finale.»

«Non c’è nulla da valutare» dichiarò il conte, aprendo le doppie porte e segnalando al proprio ospite di precederlo nel corridoio. «Sprecherete soltanto il vostro tempo a tornare qui, signore. Vi auguro una buona giornata.»

«A domani, allora, milord» rispose il mercante, prendendo da un servitore la giacca e il cappello. «Sono certo che nel corso di una giornata e di un’intera notte, capirete anche voi che, razionalmente, avete un’unica scelta. E sarà una buona scelta, ve lo prometto. Vi ho scelto con la massima attenzione, poiché intendo affidarvi il bene più prezioso che ho.»

«Buona giornata a voi» lo salutò seccamente il conte, dopodiché accennò al servitore di aprire la porta d’ingresso e si allontanò verso le scale.

Mentre saliva i gradini, iniziò a pensare che era così che doveva sentirsi un condannato di fronte al patibolo.

Eleanor Transome non stava più leggendo la lettera che teneva aperta sulle ginocchia. Era seduta alla finestra della sua stanza da letto, e fissava il paesaggio grigio di quella cupa giornatadi novembre. Ma, in realtà non vedeva nulla.

Era così, dunque. Wilfred non la voleva. Non l’amava. Oh, nella sua lettera aveva detto che la voleva e l’amava. L’aveva ripetuto più di una volta. Aveva scritto che l’avrebbe amata e desiderata per sempre. Ma non l’avrebbe sposata.

Le sue motivazioni erano nobili. Non voleva strapparla alla vita di lussi a cui era abituata, aveva scritto, per renderla la moglie di un povero spedizioniere che non avrebbe forse mai fatto fortuna. E non avrebbe mai accettato un aiuto da suo padre, neanche se lui glielo avesse

offerto.

‘Un uomo ha il suo onore, Ellie’ aveva scritto, e lei aveva letto e riletto quella lettera talmente tante volte da averla imparata a memoria. ‘E, in un certo senso, l’onore è più forte dell’amore, perché sarei consumato dalla vergogna se dovessi chiedere a vostro padre una dote, dovendo poi a lui, invece che ai miei sforzi, la nostra vita insieme.’

Eleanor chiuse gli occhi. Gli uomini e il loro onore! Era stata lei a scrivergli per prima, per quanto fosse inappropriato per una donna fare la prima mossa, spiegandogli la situazione, pregandolo di crederle quando diceva di amarlo, e che per lei l’amore era tutto, mentre ricchezze e posizione sociale non contavano nulla. In fondo, lui aveva già espresso la sua intenzione di volerla sposare, un giorno, in futuro.

‘Mi sento in dovere di liberarti’ aveva scritto. ‘Avrei lavorato e atteso per sempre pur di poterti meritare, Ellie. Ma tutto è cambiato, ora. Mi dispiace per tuo padre. Non avevo capito che la situazione fosse così grave. Ma ha semplicemente cercato di provvedere al tuo futuro. Faresti meglio ad accettare la sua volontà. Perlomeno, potrai vivere serenamente per il resto dei tuoi giorni,nel modo che ti è più consono e che più meriti. Perdonami, Ellie. Cerca di fingere, nella tua mente enel tuo cuore, che io non sia mai esistito.’

Ma aveva concluso la missiva con un’appassionata conferma del suo amore per lei, assicurandole che sarebbe stata nel suo cuore in ogni istante, per il resto della sua vita.

Eleanor sapeva che non c’erano speranze. Caro, orgoglioso, sciocco Wilfred. Sapeva che non sarebbe mai riuscita a fargli cambiare idea. E dunque, lui non poteva sposarla, perché era ricca e lui povero. Nonostante fossero cugini di secondo grado. Forse proprio perché erano cugini disecondo grado. Suo padre disprezzava Wilfred e il padre perché non erano riusciti ad avere il suo stesso successo nella vita. E suo padre si era sempre opposto al suo crescente affetto per Wilfred, alimentato dai frequenti incontri nelle occasioni in cui la famiglia si riuniva: l’aveva sempre chiamata infatuazione adolescenziale, per poi accarezzarle il mento e assicurarle che aveva altri progetti per il suo matrimonio.

C’era un conte. Eleanor continuò a tenere gli occhi chiusi. Piegò lievemente la testa di lato, in modo da appoggiare la tempia contro il vetro freddo della finestra. Non conosceva il suo nome né altro di lui, a parte il fatto che suo padre aveva fatto in modo di incastrarlo ed era piuttosto sicuro che il suo piano sarebbe andato in porto. Quando si metteva in testa qualcosa, suo padre riusciva sempre a realizzarla.

Suo padre voleva che lei sposasse un conte. Un membro della nobiltà. Una persona di alto lignaggio. Rabbrividì, ricordando tutte le umiliazioni che aveva subìto l’estate di due anni prima, trascorsa in campagna con la sua amica Pamela, la figlia di Lord Hutchins. Aveva diciassetteanni, al tempo, aveva appena finito la scuola, era piena di voglia di vivere, divertirsi e amare, e non considerava importanti la differenza e la distanza tra lei e i suoi ospiti. Prima di quell’estate non aveva mai sentito la parola ‘borghese’. Ma aveva imparato a conoscerla fin troppo bene, oltre a scoprire che era così che la definivano i suoi ospiti, in modo dispregiativo. Significava che faceva parte di una classe inferiore, di villani arricchiti, una classe volgare. Non aveva visto altro che sdegno negli occhi delle signore, e disprezzo in quelli dei signori, con l’unica differenza che i signori avevano anche immaginato che una borghese avrebbe concesso più liberamente i suoi favori

rispetto a una nobildonna.

Eleanor rabbrividì nuovamente, in parte per come aveva reagito a quella situazione, rispondendo più con l’istinto che con la ragione.

Suo padre voleva che lei sposasse un conte. E il problema era che non avrebbe avuto il coraggio di dirgli di no. Non adesso. Se Wilfred avesse risposto in modo diverso, forse avrebbe potuto decidere di lottare per i propri sentimenti. Anzi, di sicuro l’avrebbe fatto. Ma senza Wilfred, nulla sembrava avere più un senso. E di certo non aveva più un senso ribellarsi. E come avrebbe potuto rifiutarsi di assecondare il desiderio di un padre morente che aveva significato tutto, per lei, nella vita?

Eleanor si morse un labbro, ma le lacrime sgorgarono ugualmente da sotto le sue palpebre serrate. Suo padre desiderava così ardentemente di vederla sistemata per la vita, prima di morire. Era sempre stata la massima ambizione, per lui, come le aveva rivelato soltanto poche settimane prima – cosa che l’aveva spinta a scrivere a Wilfred –, poterla dare in sposa a un membro della nobiltà, facendola diventare a sua volta nobile. Sarebbe morto felice, le aveva assicurato, se l’avesse vista diventare una lady, cosa a cui l’aveva, del resto, educata per tutta la vita.

Forse suo padre non aveva capito che una lady era tale soltanto in virtù di una cosa: la nascita. Avrebbe potuto sposare anche una decina di conti, ma sarebbe comunque rimasta una borghese. Sarebbe stata disprezzata per il resto della sua vita. Ma non voleva essere disprezzata. Voleva essere amata. Non aveva mai desiderato altro nella vita. Semplicemente essere amata. Era forse chiedere troppo?

Ovviamente sì. Posò la mano aperta sulla lettera che aveva in grembo, senza guardarla.

Il rumore che aveva inconsciamente atteso fino a quel momento la raggiunse, mettendo bruscamente fine ai suoi tristi pensieri e alla sua autocommiserazione. Scattò in piedi e corse fuori dalla propria stanza e giù per le scale, per assicurarsi che la persona che era appena entrata in casa fosse davvero suo padre. Era lui, ed era curvo su sé stesso, sparuto ed esausto.

«Papà» mormorò, allontanando il servitore e gettandogli le braccia al collo per baciarlo con delicatezza. Sapeva bene che se lo avesse abbracciato stretto avrebbe finito per fargli male. «Non saresti dovuto uscire. Sai bene che non dovresti. Sei così stanco. Vieni in salotto, ti prenderò uno sgabello per riposare i piedi e una coperta da stenderti sulle gambe. E farò portare del tè in modo che tu possa prendere le tue medicine.»

Mentre parlava, gli slacciò i bottoni del cappotto e glielo sfilò delicatamente dalle spalle, attenta a non urtarlo accidentalmente. Gli sorrise con dolcezza.

«Avrò fin troppo tempo per starmene seduto o sdraiato, Ellie» ribatté lui. «E questa mattina ho fatto un buon lavoro. Se anche domani sarà una giornata proficua, tutto sarà sistemato.»

«Come se solo tu potessi portare avanti i tuoi affari, senza che nessuno potesse farlo al tuo posto» lo rimproverò lei, prendendolo con cautela a braccetto per accompagnarlo nel caldo salotto, e alla comoda poltrona con la coperta accanto al caminetto. «Papà, dovresti riposare di più. Stai soffrendo, lo vedo da quel sorriso forzato. Avresti dovuto prendere le tue medicine già da un pezzo.»

«Quelle medicine offuscano la mente quanto il dolore» affermò lui, accomodandosi lentamente nella poltrona e appoggiando la nuca allo schienale, con gli occhi chiusi. «Tutto si sistemerà, domani, Ellie. E allora potrò morire sereno.»

«Non parlare così» mormorò lei, accarezzando i capelli radi e scostandoli dalla fronte, per baciarlo di nuovo prima di prendere lo sgabello per i piedi, sollevandoli con cautela per fargli distendere le gambe. «Devi soltanto riposare.»

«Ah, non è più il momento di illudersi, Ellie» dichiarò lui, riaprendo gli occhi per sorriderle lievemente. «Fai portare il tè, allora. Il viaggio in carrozza è stato interminabile. Domani il conte accetterà le mie condizioni e vi vedrò sposati prima di morire.»

Eleanor non protestò. L’aveva fatto fin troppo, nel corso dell’ultimo mese, da quando i medici di suo padre avevano infine ammesso, dopo le sue insistenze per conoscere la verità, che il cancro lo stava velocemente uccidendo. Il momento dei rifiuti era finito, soprattutto ora che aveva saputo della decisione di Wilfred.

«Quali sono le tue condizioni?» gli domandò a mezza voce, suonando il campanello per far portare il tè.

«Provvederò a pagare tutti i suoi debiti e gli concederò metà dei miei beni» rispose lui. «Possiede un’enorme proprietà e una villa con parco tra le più belle di tutta l’Inghilterra, Ellie. Con il mio denaro, potrà riportarla alla magnificenza di un tempo. E tu sarai la sua contessa. Domani, tutto sarà deciso, e io potrò morire felice.»

Lei non disse nulla, ma restò in piedi accanto al fuoco, apparentemente calma, a guardarlo dall’alto. Era difficile credere che soltanto pochi mesi prima suo padre era un uomo forte e vigoroso, il ritratto della salute. Ora non aveva quasi più carne intorno alle ossa. Aveva le guance incavate e gli occhi infossati. Il suo respiro si era ridotto a faticosi ansiti. Ellie sapeva che stava soffrendo molto, e sperò silenziosamente che i servitori arrivassero al più presto con le medicine che avrebbero placato il dolore almeno per qualche ora.

Così, qualcuno l’avrebbe sposata per il suo denaro. Ovviamente non potevano esserci altre motivazioni per cui un nobile del regno potesse decidere di sposare una donna della sua estrazione sociale. L’aveva sempre saputo. Tuttavia, stava per andare in sposa a un uomo squattrinato che aveva vissuto in modo così dissoluto da riempirsi di debiti, e non aveva dubbi sul fatto che fossero ingenti, visto che era costretto a sposare la figlia di un borghese. Un uomo che l’avrebbe disprezzata e considerata un mezzo spiacevole ma necessario per togliersi dai guai. Un uomo che avrebbe sicuramente dilapidato tutte le ricchezze che suo padre aveva accumulato nel corso di un’intera vita di duro lavoro.

A volte, le sembrava di essere condannata a morte, esattamente come il suo povero padre.

2

«Sei ubriaco, Randolph.» Sir Albert Hagley si alzò in piedi, torreggiando sull’amico e sogghignando divertito. «Sarà meglio che ti riporti a casa, vecchio mio.»

Il conte di Falloden fece roteare quel che restava del suo brandy sul fondo del bicchiere,ma non lo finì. Sì, era ubriaco, per la prima volta da neanche sapeva più quanto. Non poteva permettersi di bere troppo, in quel periodo, tranne forse se si trattava di acqua. Ma, purtroppo, non era abbastanza sbronzo. Soltanto i suoi movimenti sembravano lievemente impediti. Posò cautamente il bicchiere sul tavolo che aveva di fronte e si congratulò con sé stesso per essere riuscito a portare a termine quel gesto senza far danni. La sua mente era lucida come quando era arrivato al White’s, qualche ora prima.

«Avanti.» Qualcuno lo stava tirando con decisione per un braccio, e lui si alzò ondeggiando in piedi.

«Cosa faresti, tu, Bertie?» domandò, un numero imprecisato di minuti più tardi. Non riusciva a ricordare come fosse riuscito a uscire dal locale e a trascinarsi fino alla carrozza dell’amico. Ma ora era lì, a fissare i propri stivali appoggiati al sedile di fronte. Le buone maniere non prevedevano che si appoggiassero i piedi sul sedile della carrozza di qualcun altro. Il conte si lasciò sfuggire un singhiozzo e incrociò le caviglie.

«Oh.» Sir Albert sbuffò, gonfiando le guance. «Cosa farei? Sposerei la ragazzina, immagino. Non penso che tu abbia molta scelta.»

«È quello che ha detto anche lui.» Doveva aver versato un po’ del suo brandy. C’era unamacchia scura sulla parte superiore del suo stivale sinistro. Aveva raccontato tutta la storia a Bertie?Doveva averlo fatto, sì. E l’aveva raccontata a qualcun altro? Sperò di non aver intrattenuto l’intera clientela del White’s con la storia dei suoi guai.

«Non l’ho mai vista prima» mormorò. «E dovrei sposarla entro un mese. Ti ho detto cheil padre è un borghese, Bertie? Un mercante di carbone? Pensi che dovrei semplicemente puntarmi una pistola alla tempia e farla finita?»

«Per l’ennesima volta, no» ribatté rapidamente l’amico. «Penso che farei davvero meglio a restare con te per stanotte, Randolph. Non ti ho mai visto così sconvolto e non so cosa potresti arrivare a fare. Perché non vendi Grenfell Park? Potresti ottenere qualcosa in più dell’ipoteca e pagare il resto dei debiti a quel bastardo, anche se mi chiedo perché diavolo dovresti farlo. E poi saresti libero come quando eri semplicemente Randolph Pierce. Ecco, è questo che dovresti fare.»

Il conte fissò a lungo i propri stivali. «Ma appartiene alla famiglia da oltre due secoli» mormorò. «Sono cresciuto lì. E sono affezionato a quel luogo.»

«E allora» riprese Sir Albert «non devi fare altro che sposare quella ragazza, borghese o meno. Anche se è un maledetto peccato, devo ammetterlo. Sarai forse costretto ad ascoltare un accento di campagna a colazione per il resto della tua vita, Randolph? Ma non dovrai per forza abitare con lei, giusto? La tua vita può procedere più o meno come al solito, tranne che avrai i

mezzi per viverla degnamente. E avrai comunque Alice.»

«E un dannato borghese per suocero» ringhiò il conte, con una smorfia. «E una maledettissima borghese per moglie. Suo padre dice che è bella.»

«Mi sembra ovvio che lo dica» commentò Sir Albert.

«Era a scuola con la figlia di Hutchins» raccontò il conte, accigliandosi. «Mi chiedo quale.»

«Quanti anni ha?» chiese l’amico.

«Che io sia dannato se lo so.» Il conte aggrottò la fronte, pensandoci su. «Non ancora venti. L’ha detto, ne sono quasi sicuro. Almeno, non è vecchia, Bertie.»

«Allora deve trattarsi di Pamela» ragionò Sir Albert. «La sua terza figlia. Hutchins ha cercato di farmela sposare, un paio di anni fa, ma ha troppo la faccia da cavallo per i miei gusti. Mi ha braccato per partecipare a un noiosissimo party di campagna per quasi un mese intero. Ma... aspetta un attimo.» Fissò il conte, assottigliando lo sguardo. «Come hai detto che si chiama quella ragazza?»

«Santo cielo.» L’ondeggiare della carrozza iniziava a dargli decisamente la nausea. «Non me lo chiedere. Il cognome è Transome. Il nome... Aggy, Addy, Ellie, Emmy... qualcosa del genere.»

«Dannazione, ma allora potrebbe davvero essere la borghese che Pamela ha invitato a casa sua dopo la fine della scuola, soltanto per fare un dispetto alla madre» esclamò Sir Albert. «Cielo, era imbarazzante! Terribilmente volgare. Accento campagnolo, risata sguaiata... non mancava nulla. Era a caccia di un marito nobile anche al tempo. Purtroppo per lei, non l’ha voluta nessuno. Sono sicuro che si chiamasse così, anche se tra noi la chiamavamo soltanto ‘la borghese’. Hutchins mandava lampi, per quanto era furioso.»

Il conte di Falloden aggrottò la fronte e sbadigliò. «Grenfell potrebbe essere tutta mia» commentò. «Potrei far rimettere a nuovo la dimora e il parco, e far riparare le fattorie, oltre a portare a termine gli altri lavori di cui il mio amministratore non fa che parlarmi. Se mi piantassi una pallottola nel cranio, non potrei fare niente di tutto questo, vero, Bertie?»

«No» confermò l’amico. «Ma non ti addormentare, Randolph, sii gentile. Non c’è niente di peggio che dover trasportare in casa un peso morto.»

Il conte si sistemò più comodamente, reclinando il mento sul petto. «Come hai detto tu, Bertie, non dovrei per forza conviverci, giusto?» continuò.

«No, Randolph, vecchio mio, non dovresti» lo assecondò Sir Albert. «Non ti addormentare. Siamo quasi arrivati.»

«Eppure dovrà darmi un erede, prima o poi» concluse il conte.

«Hai fin troppo tempo per quello» lo rassicurò l’amico. «Non hai neanche trent’anni.»

«Potrei lasciarla in città a Natale» riprese il conte. «Tanto vorrà stare vicina a suo padre

e ai suoi amici. E io andrò a Grenfell. Verrai con me, Bertie? Organizzeremo una battuta di caccia. Inviterò anche altri amici.»

«L’hai già fatto» dichiarò Sir Albert. «Perlomeno una mezza dozzina.»

«Ah, sì?» borbottò il conte. «Per Natale? Allora è deciso. Magari potrà venire anche Dorothea.»

«Non sarebbe molto appropriato, vecchio mio» gli fece notare l’amico. Poi lo guardò più da vicino. Ma non aveva bisogno di farlo, in realtà. Il suono ritmico che proveniva dal suo petto faceva capire chiaramente che stava russando. Sir Albert imprecò.

A Joseph Transome era stato chiesto di accomodarsi, al contrario di quanto era avvenutola mattina precedente. Ma il conte di Falloden rimase in piedi davanti al caminetto acceso, con le mani dietro la schiena e senza neanche avvertire il calore diretto che le fiamme gli trasmettevano. Aveva un feroce mal di testa e il suo stomaco era molto più in disordine di quanto avrebbe desiderato. E tuttavia, si ritrovava quasi ad accogliere con gioia quel malessere fisico che gli teneva la mente occupata.

Mr Transome si stava fregando le mani. «Sono lieto che abbiate fatto l’unica scelta ragionevole, milord» affermò. «Ero sicuro che, riflettendoci, avreste agito così.»

«Ho pensato che sarebbe meglio organizzare il matrimonio in primavera» dichiarò rigidamente il conte. «Ho già altri ospiti, tutti uomini, a Grenfell Park per Natale.»

«Perdonatemi se vi contraddico, milord,» rispose Mr Transome «ma le nozze devono avvenire entro questo mese. Anzi, a dire il vero, entro una settimana. Ho già sistemato tutto. Avremo una dispensa speciale.»

Il conte inarcò le sopracciglia. «Una dispensa speciale, signore?»

«Vorrei poter vedere la mia Ellie sistemata» spiegò il suo interlocutore. «Ma deve accadere presto, milord. Non ho molto tempo.» A quel punto, sorrise.

Il conte lo fissò senza capire, e notò nuovamente quegli abiti troppo larghi per la sua figura smagrita, le sue guance scavate, gli occhi troppo grandi, il suo cadaverico pallore.

«Dubito di riuscire ad arrivare a Natale» spiegò ancora Transome. «Ne dubito fortemente. È possibile che non riesca neanche ad arrivare a dicembre, milord.» Ridacchiò. «Il mio medico ha dichiarato che sono arrivato a novembre soltanto per pura testardaggine.»

Il conte non rispose. Si poteva provare soltanto un profondo disagio, di fronte alla morteimminente.

«Dovevo sistemare i miei affari» continuò Transome. «È stato questo a darmi la forza diandare avanti, milord. Firmeremo l’accordo matrimoniale questa mattina, se non vi dispiace. Il mio avvocato è qui fuori e ha portato i documenti necessari. So che voi siete un gentiluomo, e che rispetterete l’accordo, una volta che sarà firmato. Tuttavia, desidero poter vedere con i miei occhi lamia Ellie sistemata per la vita. Saprò che sarà felice quando l’avrò vista diventare contessa di Falloden.»

Le labbra del conte si serrarono.

«Quanto all’accordo finanziario che le ho delineato ieri, milord,» spiegò ancora Transome «il mio avvocato le descriverà tutto nei minimi dettagli, tra poco. Ma due punti non sono nel contratto scritto, e per me sono molto importanti. Vorrei avere la vostra parola di gentiluomo, in merito.»

«E quali sarebbero?» domandò il conte, a mezza voce. Il sangue gli pulsava nelle tempie, come se qualcuno gli avesse piantato un orologio nella testa.

«Il matrimonio dovrà essere consumato» continuò Mr Transome, sorridendo imbarazzato. «E nella prima notte di nozze, milord. Vorrei morire senza temere che magari, in futuro, qualcuno possa insinuare che mia figlia non sia stata una buona moglie per voi.»

«Un accordo è un accordo» dichiarò il conte. «Non lascerei mai che accadesse una cosa del genere.»

«Tuttavia,» ribatté Transome, continuando a sorridere «preferirei avere la vostra parola in merito, milord.»

«Vostra figlia diventerà mia moglie in ogni senso, già dalla prima notte di nozze» ribatté seccamente il conte. «Quanto all’altro punto?»

«Vivrete con mia figlia, nella stessa dimora, almeno per il primo anno di matrimonio» rispose il signor Transome. «Io non ci sarò più e non potrò assicurarmi di persona che voi teniate fede ai patti, milord, ma so quanto è importante l’onore per un gentiluomo. So che manterrete la parola data.»

Ci fu una lunga pausa. «Avete la mia parola» dichiarò a bassa voce il conte, infine. «State bene, signore?»

«È stato soltanto uno spasmo.» Mr Transome sollevò una mano a rassicurare il suo ospite, mentre l’altra restava premuta sullo stomaco. «Se foste così gentile da far entrare il mio avvocato, ora, milord, lui potrà informarvi su tutti i dettagli del contratto mentre io resto seduto qui. Non ci vorrà molto.»

Il conte tirò la corda di un campanello.

«Mi avete reso un uomo felice» dichiarò Transome.

Il conte non rispose, limitandosi a fare un cenno al maggiordomo quando la porta si aprì, in modo che l’uomo in attesa nel corridoio potesse entrare nel salone.

Mezz’ora più tardi, era tutto finito. Il conte di Falloden aveva apposto la sua firma sul contratto di matrimonio, dopo aver prestato ben poca attenzione alle spiegazioni dell’avvocato. Ciò che doveva accadere sarebbe comunque accaduto, e quindi al diavolo i dettagli. In ogni caso, gli erano del tutto odiosi. Solo un fatto attirò la sua attenzione. La fortuna di Mr Transome, la metà della quale avrebbe ricevuto sposando sua figlia Eleanor, era molto più cospicua di quanto avesse anche soltanto osato immaginare. Quella metà da sola sarebbe bastata a renderlo uno dei gentiluomini più ricchi d’Inghilterra.

Mr Transome si alzò lentamente in piedi, quando tutto fu concluso. La sua schiena era più curva del giorno prima e perfino di quella mattina stessa. Tese la mano al conte.

«Non vi pentirete degli accordi di oggi, milord» affermò. «E comprenderete presto che mia figlia è il tesoro più grande di tutte le ricchezze di cui vi farò dono nel giorno del vostro matrimonio.»

Dopo una breve esitazione, il conte di Falloden strinse quella mano scarna tesa verso di lui.

«Posso aspettarmi, dunque, che passiate a trovarmi, oggi pomeriggio, per fare la vostra offerta formale a mia figlia?» domandò Transome.

Il conte annuì e si inchinò.

E fu tutto. Due minuti più tardi, era solo nel salone, a fissare la sua copia del contratto. Entro una settimana, si sarebbe sposato con una ragazza che non aveva neanche mai visto. Con la figlia di un borghese. Con una volgare, pacchiana creatura, se davvero era la borghese di cui aveva parlato Bertie. E per la più bassa delle motivazioni. Lui la stava sposando per il suo denaro, e lei peril titolo e la posizione che il conte poteva offrirle nell’alta società. Sorrise gelidamente. Quella ragazza avrebbe scoperto presto che non era così facile far parte della sua classe sociale. Anche se forse non se ne sarebbe neppure resa conto. Probabilmente non aveva un briciolo di sensibilità in corpo.

Entro una settimana, avrebbe sposato quella ragazza e consumato il matrimonio con lei, per poi trovarsi costretto a conviverci per un anno intero. E addio ai suoi piani di lasciarla in città mentre lui andava in campagna con Bertie e chiunque altro avesse invitato. Ma anche senza aver dato la sua parola in merito, sapeva bene che quella ragazza a Natale avrebbe avuto soltanto lui a cui appoggiarsi: suo padre non sarebbe sopravvissuto fino a quel momento.

Il conte strinse i denti e si voltò di scatto verso la porta, per poi rendersi conto che non c’era alcun luogo dove potesse sfuggire all’accordo che aveva appena concluso. Dannazione, pensò.Oh, dannazione! E per un attimo desiderò che suo cugino, il conte che gli aveva trasmesso il titolo, fosse ancora vivo soltanto per avere il piacere di ucciderlo con le proprie mani.

Pensò a Dorothea Lovestone, la dolce e adorabile Dorothea, di cui era innamorato da quasi un anno. Sarebbe stata da Prewett, quella sera. E anche lui sarebbe stato lì, per farle sapere, in modo educato e formale, che era fidanzato.

Fidanzato! Santo dio, pensò, lanciando uno sguardo all’orologio sulla cappa del camino.Soltanto ventisei ore prima, non aveva mai neanche sentito nominare Joseph Transome e la sua preziosa Ellie. Fino al giorno prima, era semplicemente un uomo disperato per una situazione finanziaria disastrata. Fino al giorno prima, non sapeva cosa significasse essere disperati.

Ebbene, ora lo sapeva. E, maledizione, anche Eleanor Transome l’avrebbe saputo, primadi Natale. Sì che l’avrebbe saputo. Eppure, mentre apriva e chiudeva nervosamente i pugni, si rese conto che avrebbe dovuto rivolgere la propria rabbia soltanto verso sé stesso. Provò disgusto e vergogna per ciò che stava facendo. Si stava sposando per denaro.

Eleanor era immobile davanti alla finestra del salotto, con la schiena rivolta ai vetri.

Sentiva freddo, ma non si sarebbe avvicinata al caminetto. Voleva rimanere più lontana possibile dalla porta. Voleva vedere chiaramente quell’uomo, quando fosse entrato nella stanza. Non voleva che le si avvicinasse senza alcun preavviso.

Era già arrivato, lo sapeva. Aveva sentito il trambusto all’ingresso più di cinque minuti prima. Ben presto lo avrebbero fatto entrare nel salotto. Suo padre non aveva certo molto da dirgli: l’accordo era stato firmato quella mattina. E sarebbe arrivato da solo, non sarebbe stato suo padre adaccompagnarlo. Era quasi svenuto, quando era tornato a casa, e adesso era seduto nel suo studio, in una comoda poltrona che era stata portata lì qualche settimana prima, in modo da permettergli di continuare a seguire i propri affari. Sarebbe dovuto essere a letto, al piano di sopra, ma lei sapeva bene che non si sarebbe ritirato finché gli affari di quel giorno non fossero stati totalmente conclusi.

Non voleva sedersi. Non voleva trovarsi in posizione di svantaggio, quando lui fosse entrato nella stanza. Restò immobile davanti alla finestra. Poi udì un leggero bussare e la porta si aprì.

Doveva essere un uomo severo e orgoglioso, o almeno così le sembrò a prima vista. La sua espressione, la linea della sua mascella, il modo in cui teneva alto il mento e la luce nei suoi occhi proclamavano a gran voce che non era affatto contento della situazione. Probabilmente sarebbe stato molto più felice di prendersi soltanto i soldi di suo padre senza dover accettare lei in cambio. A quel pensiero, anche Eleanor sollevò leggermente il mento.

Era anche un bell’uomo, con i capelli di un castano scuro, non molto corti, i lineamenti regolari e gli occhi azzurri. Non era particolarmente alto, ma muscoloso e snello allo stesso tempo, oltre che ben proporzionato. Era il tipo d’uomo che poteva permettersi di avere molto tempo libero, e che lo impiegava cavalcando, tirando di boxe e tenendo in esercizio il corpo con altre attività inutili. Era un conte, del resto: uno dei ricchi, nullafacenti e altezzosi membri dell’alta società. Tranne per il fatto che lui non era ricco. Doveva essere uno scialacquatore e probabilmente anche un giocatore d’azzardo. Eleanor tenne le spalle dritte e lo fissò direttamente negli occhi.

Era più bello di Wilfred.

«Miss Transome?» esordì lui, e alla giovane donna sembrò che quelle due singole parole fossero coperte di ghiaccio.

E chi altri poteva essere? Non rispose, rifiutandosi deliberatamente di piegarsi nella riverenza che, come ben sapeva, l’occasione avrebbe richiesto.

«Falloden, per servirvi» continuò lui, rivolgendole un elegante inchino. «Randolph Pierce.»

Pierce. Dunque sarebbe diventata Eleanor Pierce, considerò, mentre ripeteva silenziosamente quel nome, con una certa curiosità. Si chiamava Randolph. Suo padre aveva menzionato unicamente il suo titolo. Come se non ci fosse una persona, dietro di esso. Ma forse era proprio così.

Non ricambiò l’inchino.

L’uomo si avvicinò di qualche passo, e a quel punto lei poté stimare che se fossero stati di fronte, sarebbe arrivata a sfiorargli la bocca con la sommità del capo. Quel pensiero la fece

irrigidire un po’ di più.

«Ho il permesso di vostro padre di venirvi a trovare» spiegò lui. Il suo volto, adesso cheera più vicino e la luce proveniente dalla finestra lo investiva in pieno, sembrava ancora più severo. I suoi occhi sembravano più azzurri.

Che parole sciocche aveva appena pronunciato! Per quale altro motivo sarebbe stato lì, altrimenti? Sapeva che quel momento doveva essere complicato per lui quanto lo era per lei, ma non gli avrebbe reso il compito più facile. Oh, certo che no. Quell’uomo non sarebbe riuscito a guadagnare neanche in un milione di anni la fortuna che suo padre aveva accumulato lavorando duramente nel corso di un’intera vita; quella fortuna che stava per essergli consegnata in cambio di un solo fastidio: lei. Le sembrava giusto che si sentisse a disagio, almeno per un po’.

«Ho l’onore di chiedervi se volete diventare mia moglie» riprese lui.

«Sì» rispose infine Eleanor. «Naturalmente. La mia risposta è sì.» Era fiera del freddo contegno che trapelava dalla sua voce, e non avrebbe aggiunto ‘mio signore’ alla sua risposta. L’addestramento dei suoi anni di scuola e quello degli anni precedenti, a casa con la governante, le avrebbero imposto di farlo e di rivolgergli la riverenza che fino a quel momento gli aveva negato. Una simile circostanza richiedeva toni e parole adeguati. Ma non le avrebbe utilizzate. Lui non era il suo signore. Non ancora, perlomeno.

Il conte la fissò con quell’espressione dura e severa, come se non sapesse come procedere. Eleanor visse un attimo di puro trionfo, e non provò neanche un briciolo di compassione per lui, né il minimo disagio. Non avrebbe avuto alcuna importanza, per lei, se fossero passati altri dieci minuti senza che si scambiassero una sola parola.

«Allora sono un uomo fortunato» ribatté lui, rivolgendole un altro inchino e tendendole la destra.

La sua mano era magra, con dita lunghe e unghie ben curate. La mano di un aristocratico. Lei la fissò per lunghi istanti, prima di posarvi sopra la propria. A quel punto, quando lo sentì chiudere le dita sulle sue, scoprì che quella mano era anche calda e sorprendentemente forte.E poi lo vide sollevarla alle labbra, altrettanto calde, e il suo sguardo passò dalle loro mani unite agli occhi di lui. Erano di un azzurro intenso e gelido, e sostennero i suoi senza esitare.

Pensò che la odiava almeno quanto lo odiava lei. Bene. Andava bene così. Lo avrebbe fatto penare per ottenere il denaro di suo padre.

«Da quel che ho capito,» continuò il conte «vostro padre desidera che le nozze siano celebrate la prossima settimana. Per voi va bene, signorina?»

«Naturalmente» ripeté lei. Come se avesse fatto alcuna differenza, se si fosse opposta. «Se attenderemo oltre, mio padre morirà. E anche in questo modo, potrebbe non sopravvivere abbastanza a lungo.»

Il lampo che gli passò negli occhi le disse che la sincerità estrema delle sue parole doveva averlo colto di sorpresa. «Mi dispiace per la malattia di vostro padre» rispose. «Deve essere doloroso, per voi.»

Cosa ne poteva sapere di lei, e del suo dolore? Non c’era nient’altro che avesse importanza, per lui, se non mettere le mani sulla fortuna di suo padre. E suo padre non sarebbe statotanto avventato e precipitoso, né così sconsiderato nei suoi piani per il futuro di lei, se non gli fosse rimasto così poco tempo da vivere. «Tutti dobbiamo morire, prima o poi» dichiarò.

«Già.» Nel pronunciare quella singola parola, il conte sembrò ancora più freddo, se possibile. «E la prossima settimana sia, dunque, signorina. Vorrei passare il Natale in campagna, manaturalmente questo dipenderà dalle condizioni di vostro padre.»

«Non riuscirà certamente a sopravvivere così a lungo» mormorò lei in risposta, restandoimmobile e rigida e riportando come un semplice dato di fatto ciò che nelle settimane e nei mesi precedenti si era rivelato come la straziante verità. Suo padre era già riuscito a vivere più di quanto chiunque si aspettasse, e solo la sua inflessibile forza di volontà gli avrebbe permesso di arrivare al matrimonio. Eleanor era certa che l’avrebbe vista sposarsi. Ma non credeva che sarebbe vissuto molto più a lungo.

«D’accordo, allora» concluse il conte, facendo un passo indietro e portando le mani dietro la schiena. I suoi occhi la fissarono da capo a piedi. «Tutto sembra adeguatamente deciso. Vogliamo andare nello studio di vostro padre? Ha detto di volerci vedere entrambi, una volta concluso questo colloquio.»

Spostò una mano da dietro la schiena, pronto a offrirle il braccio, come lei immaginava. Ma lo oltrepassò, puntando verso la porta e attendendo che fosse lui ad aprirla, soltanto perché sarebbe stato davvero un gesto troppo volgare e contrario alle buone maniere spalancarla lei stessa. Lo condusse attraverso il corridoio, accennando a un servitore di aprire la porta dello studio di suo padre.

«Bene, miei cari» esordì Mr Transome, aprendo gli occhi. Era appoggiato allo schienaledella poltrona. «Siete insieme, dunque? È tutto stabilito?»

«Miss Transome ha accettato di diventare mia moglie, signore» confermò in tono gelidoil conte, da dietro le spalle di Eleanor.

Suo padre aveva preso le medicine soltanto un’ora prima. Eppure, lei poteva vedere chiaramente che stava ancora soffrendo. Quella consapevolezza la gelò e terrorizzò. Cosa avrebberopotuto fare, se i medicinali avessero smesso di fare effetto? Lui le sorrise, tendendole le braccia.

«Tesoro mio» disse. «Vieni, lasciati abbracciare.»

Ma era un desiderio che non poteva più essere esaudito. Suo padre sembrava aver dimenticato che lei non poteva più abbracciarlo, o sedersi sulle sue ginocchia come da piccola, quando, alla fine di una lunga giornata, si divertiva a raccontargli tutto quello che aveva fatto. Non poteva più toccarlo, se non con estrema delicatezza. Attraversò la stanza e posò una mano sul bracciolo della poltrona, per piegarsi in avanti e posargli un bacio lieve sulla fronte. Lui lasciò ricadere le braccia.

«Dovresti essere a letto, papà» gli ricordò lei, e quelle parole le sembrarono fredde e severe. Sapeva anche perché. Il conte di Falloden era a qualche passo di distanza, in silenzio, e lei sisentiva a disagio.

Suo padre ridacchiò. «Ma bisogna festeggiare» commentò. «Suona il campanello, Ellie, e fai portare il vassoio del tè e dei calici di vino. Non accade ogni giorno che la mia unica figlia si fidanzi con un nobile del regno.»

«Papà,» ripeté lei, avvertendo ancora una volta la freddezza che trapelava dalla propria voce «hai bisogno di riposare.»

«Vogliate scusarmi, signore, ma adesso devo proprio congedarmi» intervenne il conte diFalloden, con una freddezza quasi pari a quella di Eleanor. Che strano fidanzamento!, si ritrovò a pensare lei. «Ho un appuntamento urgente.»

Con il sarto, senza dubbio, pensò lei. O con il gioielliere, o il barbiere.

«Ah» ribatté suo padre, tendendo la mano all’uomo. «Dobbiamo lasciarvi andare, dunque, milord. Non è così, Ellie?»

Lei lo vide sussultare, in modo forse percettibile soltanto ai suoi occhi, quando il conte gli strinse fermamente la mano. E lasciò che un senso di sollievo la invadesse, quando suo padre le chiese di chiamare un servitore per accompagnare l’ospite alla porta. Questo significava che non avrebbe dovuto farlo lei.

Non si sarebbero rivisti, a quanto pareva, fino al giorno del matrimonio, in chiesa, la settimana seguente. E a quel punto sarebbero stati marito e moglie, pensò con un certo sgomento, mentre lo osservava inchinarsi e congedarsi. Sarebbero vissuti insieme, nell’intimità del matrimonio, per il resto della loro esistenza, quello sconosciuto proveniente da una classe che lei odiava, e lei, che proveniva da una classe da lui disprezzata. Si costrinse risolutamente a non pensare a Wilfred.

«Ellie.» Suo padre le tese una mano, e lei la prese delicatamente tra le proprie, sollevandola contro la propria guancia. «Ora posso morire felice. Non ancora, però. Vivrò fino al giorno delle nozze, e forse anche qualcuno in più. Ma non dovrai piangermi a lungo. Ho realizzato tutto quello che desideravo, in questa vita, e anche di più. E ora so che avrai una vita sicura, piena dirispetto e felicità. Sono un uomo fortunato.»

«Papà» mormorò lei, girando il viso in modo da potergli baciare la mano, prima di posargliela delicatamente in grembo. Dopodiché, sbatté con forza le palpebre. Ci sarebbe stato tutto il tempo per piangere. Ma quello non era il momento. «Lascia che ti porti in camera. Starai più comodo, a letto.»

«Credo che tu abbia ragione» ammise lui. «Allora, andiamo. Ma dimmi, è abbastanza bello per te, Ellie? Non credo che ce ne siano molti di più belli, con un titolo e una grande proprietà di campagna come i suoi.» Ridacchiò. «La mia Ellie diventerà contessa. Ed è anche giovane, non haneppure dieci anni più di te. Molto meglio di quel Lord Henley che avevo considerato per un po’. Lui ha quasi la mia età. Allora, sei felice, tesoro?»

«Sarò più felice quando ti vedrò nel tuo letto» ribatté lei, severamente.

Suo padre ridacchiò.

3

Era una ragazza frigida e ostile, questo pensò il conte di Falloden, lasciando la casa di Mr Transome. E quel pensiero continuò a tormentarlo per tutta la successiva settimana, nel corso della quale non vide mai né la sua nuova fidanzata, né il futuro suocero, continuando a svolgere le sue solite attività quasi come se la sua vita non stesse per cambiare completamente. Gli sembrò tuttoirreale, finché i conoscenti non iniziarono a commentare il suo fidanzamento, alcuni si congratularono perfino con lui, e lui vide l’annuncio pubblicato sul Morning Post.

Stava per sposare una donna frigida e ostile. Rabbrividì al ricordo del loro colloquio. Si era atteso un’accoglienza calorosa, con tanto di eccitazione, trionfo, gratitudine, chiacchiere e volgarità. Si era aspettato comunque qualcosa. Non certo il suo silenzio, la sua immobilità, il mento rigidamente sollevato e il disprezzo nel suo sguardo.

Ma perché? Stava ottenendo esattamente ciò che voleva, non era così? Stava per guadagnarsi il prezioso titolo a cui aspirava e il sospirato ingresso nell’alta società. Forse si rendevaconto che lui era soltanto una vittima – e in questo aveva pienamente ragione – al punto da non avere neanche bisogno di fingere una passione e una gratitudine che non provava. O forse non le erano mai state insegnate la sensibilità e le buone maniere che un comportamento cortese avrebbe richiesto.

Di certo la sua freddezza non colpiva solamente lui. Suo padre aveva lavorato duramente e faticato molto per trovarle un marito aristocratico e la vita che lei desiderava. E adesso stava morendo, in modo doloroso e straziante, tra l’altro. Eppure, lei sembrava non curarsene affatto. Quando l’uomo le aveva teso le braccia, lei aveva totalmente ignorato quel gesto, limitandosi a baciarlo freddamente sulla fronte. Quando aveva chiesto di festeggiare il fidanzamento, lei gli aveva ripetuto di mettersi a letto. Certo, quelle parole avrebbero potuto indicare gentilezza e preoccupazione, ma la freddezza estrema con cui erano state pronunciate negava anche quella spiegazione.

Fu solo quando si fu lasciato la casa alle spalle che si rese conto che il signor Transome aveva avuto ragione su una cosa, almeno. Sua figlia era davvero bella. Era di statura media, snella, ma con le curve nei punti giusti. Aveva capelli color mogano, occhi verdi e labbra piene e generose.Ma né quella chioma, né quella bocca sembravano rispecchiare il carattere della ragazza, visto che avrebbero dovuto suggerire invece calore e passione.

Era bella, sì. Avrebbe avuto al suo fianco una bellissima contessa, se questo poteva essergli di qualche consolazione. Ma non la trovava affatto affascinante. Lo colpì il pensiero che avrebbe avuto bisogno di tutta la forza di volontà di cui era capace per poter consumare il matrimonio, nel corso della prima notte di nozze. Fortunatamente, sempre che un simile termine si potesse usare in quelle circostanze, Transome aveva specificato che avrebbero dovuto consumare soltanto una volta, e che convivessero sotto lo stesso tetto solo per il primo anno. Non aveva detto nulla riguardo al dividere lo stesso letto.

Quindi, il conte di Falloden si costrinse risolutamente a non pensare a Dorothea Lovestone, la piccola, dolce e femminile Dorothea, e all’espressione addolorata che le aveva letto negli occhi quando le aveva parlato del suo fidanzamento. E trascorse ogni notte della settimana precedente alle nozze, compresa l’ultima, con la sua amante. Alice era stata l’unico lusso che si era concesso in quell’anno e poco più da quando aveva ereditato il suo titolo e l’incubo dei debiti era cominciato.

Lei gli sorrise placidamente, mentre l’uomo si sedeva sul bordo del letto, all’alba del giorno del matrimonio. Alice faceva tutto con calma, compreso l’amore. Lui sapeva bene che non loamava, che le interessava soltanto avere la sicurezza di un protettore regolare. Forse era proprio questo che gli piaceva di lei. Il fatto che soddisfacesse i suoi bisogni senza imporgli alcun obbligo.

«Non verrò, stanotte» la avvertì, lanciando uno sguardo disgustato ai suoi abiti sparsi sul pavimento.

«No, ovviamente» rispose lei. «Oggi ti sposerai.»

Neppure l’annuncio del suo imminente matrimonio era riuscito a scuotere Alice dal suo distacco.

«Ma tornerò domani notte» soggiunse lui.

«Così presto?» Lei si raggomitolò meglio sotto le coperte. «E a tua moglie non darà fastidio?»

Lui si girò a guardarla. I suoi riccioli neri erano arruffati, lo sguardo assonnato. «A te darà fastidio?» le rispose. «Sarò qui domani, Alice.»

«E anch’io» gli disse sorridendo la giovane donna. «Non sei contento di questo matrimonio, vero, Falloden? Sei stato teso per tutta la settimana. Ma potrai sempre tornare da me.»

Il letto sembrava caldo e invitante. La sagoma del corpo di lei raggomitolato sotto le lenzuola non lo era di meno. Avrebbe desiderato unirsi a lei ancora una volta, e trascorrere la giornata a fare l’amore, dimenticando tutto il resto.

Ma quello era il giorno del suo matrimonio.

Si alzò in piedi, rabbrividendo nel freddo dell’alba, e raccolse i suoi abiti per rivestirsi.

Eleanor era stanca. La sua cameriera aveva schioccato la lingua, nel vedere il pallore sulle sue guance e le ombre scure sotto i suoi occhi, e aveva tentato di rimediare al fatto che non fosse nella sua forma migliore con una pettinatura più elaborata del solito. Era un bene, aveva detto,che Miss Ellie indossasse un vestito azzurro, semplice e delicato, e con una mantella negli stessi toni, e non tonalità più forti, che avrebbero soltanto fatto risaltare quel pallore.

Ma lei era felice di essere stanca, mentre scendeva le scale per raggiungere il padre in salotto. Forse, in quel modo, il giorno del matrimonio sarebbe stato indistinto, come avvolto da una fitta nebbia. E poi, entrando nella stanza, scoprì che il conte era già lì. Era in anticipo. Ed era splendido, due volte più bello di come lo ricordava, vestito nei toni del blu, come se fosse stato a conoscenza dei colori dell’abito di lei. Sembrava quasi che dovesse andare a incontrare il re o il

principe reggente in persona. Eppure, non provò nulla per lui. Si fece anzi ancora più fredda e rigida, nel vederlo, e chinò il capo senza sorridere, continuando a non concedergli la riverenza che ci si sarebbe aspettati da lei.

E poi si ritrovarono in carrozza, diretti verso la chiesa, con suo padre che chiacchierava. In qualche modo, con un incredibile sforzo di volontà, era riuscito ad alzarsi dal letto, quella mattina, nonostante le proteste della figlia. Il conte di Falloden era silenzioso quanto lei.

E poi raggiunsero la chiesa, e il suo futuro marito le presentò un altro gentiluomo vestito in modo impeccabile: il suo caro amico, Sir Albert Hagley. Ammesso che potesse comportarsi in modo ancora più freddo, Eleanor lo fece, quando l’uomo le rivolse un inchino, e lei chinò il capo di rimando. Lo riconobbe all’istante, e fu certa che anche lui l’avesse riconosciuta, sebbene fosse troppo ben educato per dire qualcosa, naturalmente. Era stato il primo a cercare di flirtare con lei, al party di campagna di Pamela Hutchins. Anche se ‘flirtare’ era soltanto un eufemismo, in quel caso.

«Lieto di conoscervi» disse in quel momento.

«Buongiorno a voi» rispose lei.

E poi la fredda chiesa vuota li accolse, insieme al parroco sorridente. E a quel punto, suo padre mise la sua mano in quella del conte e il conte ripeté le frasi suggerite dal parroco, e lei fece lo stesso. Poco dopo, le labbra di suo marito premettero brevemente e freddamente sulle sue. Il parroco sorrise e si inchinò. Sir Albert la baciò su una guancia e suo padre l’abbracciò, cosa che nonpoté evitare. E infine, si ritrovò di nuovo all’esterno, presso la carrozza del conte.

La carrozza di suo marito.

Suo marito.

Si avviarono dunque verso la casa del conte di Falloden a Grosvenor Square. La sua casa. La sua nuova casa, dove le furono rivolti inchini e riverenze e sorrisi da file di servitori in livrea, e dove suo marito la condusse nell’enorme sala da pranzo, dove era stato preparato un rinfresco per quattro persone. Come si conveniva al suo nuovo stato di contessa di Falloden, Eleanor fu fatta sedere a capotavola, di fronte a suo marito. Suo padre e Sir Albert si sedettero ai due lati della tavola.

Ci furono dei discorsi. Sicuramente ci furono. Successivamente, non le sembrò di ricordare momenti di imbarazzante silenzio. Ma lei non partecipò alla conversazione. Non riuscì a ricordare neanche se aveva mangiato qualcosa. Ma infine il pasto si concluse. Suo padre si alzò in piedi, con un calice di vino in mano, e lei fece per sollevare una mano nel tentativo di fermarlo. Ma poi la lasciò ricadere in grembo.

«Un brindisi» declamò, guardando gli altri tre seduti a tavola. «Alla mia amata figlia e amio genero. Al conte e alla contessa di Falloden.»

Lei non mancò di notare le labbra di suo marito assottigliarsi per un attimo, prima di rilassarsi in un gelido sorriso, mentre il suo sguardo incontrava quello della giovane moglie dall’altra parte del tavolo. Sir Albert si alzò in piedi a sua volta, ripetendo il brindisi e facendo tintinnare il proprio calice contro quello del padre di lei.

Perfino la forza di volontà non sarebbe dovuta bastare per far alzare dal letto suo padre, quel giorno, pensò lei guardandolo. Ma ci era riuscito. Si era alzato a malapena, nell’ultima settimana, e diverse volte era piombato in un tormentoso delirio. Il suo medico, che lei stessa aveva chiamato due giorni prima, anche se passava a visitarlo ogni mattina, aveva affermato che ormai aveva le ore contate, e che poteva morire da un momento all’altro. Lei lo aveva vegliato per le ultime tre notti, assicurandosi che prendesse le sue medicine, rimboccandogli le coperte, sprimacciandogli i cuscini e controllando che il fuoco non si spegnesse nel camino. Aveva sonnecchiato sulla poltrona accanto al suo letto, ridestandosi di tanto in tanto di soprassalto, spaventata, quando la stanza sembrava troppo silenziosa.

Lo aveva implorato di non cercare di alzarsi, quella mattina. Ma lui non solo ci aveva provato, ci era anche riuscito. E le aveva sorriso per tutta la breve cerimonia in chiesa e durante il rinfresco. La giovane donna si torse le mani in grembo, guardandolo tornare a sedersi, ansante e affaticato.

«Papà» mormorò. «Ora è meglio che tu torni a casa. Devi riposare.» Ma le sue parole suonarono dure e fredde, e lei si sentì stringere il cuore. C’erano due sconosciuti, nella stanza, di cuiuno era suo marito.

«Credo proprio che lo farò, Ellie» rispose lui, con un sorriso che in realtà somigliava piùa una smorfia inquietante.

Fortunatamente, il conte capì, alzandosi in piedi e mandando un servitore a chiamare di corsa la carrozza di Mr Transome.

Lei avrebbe voluto accompagnarlo. Anzi, doveva farlo. Doveva restare con lui, ora che il tempo che gli rimaneva era ormai alla fine. E suo padre aveva bisogno di lei. Era sempre stata la prima persona che aveva cercato, svegliandosi, nel corso dell’ultima settimana. Lei era sempre statala luce della sua vita. L’aveva detto più volte di quante non ne riuscisse a ricordare, da quando sua madre era morta, quando lei aveva soltanto cinque anni. E adesso aveva bisogno di lei più che mai.

Ma quella mattina, le aveva ricordato che stava per sposarsi, e che da quel giorno in poi avrebbe dovuto lealtà e obbedienza soltanto a suo marito, non più a lui. E adesso era davvero sposata, e lei era a casa di suo marito. Non sentiva di conoscerlo abbastanza da chiedergli un favore.Se ci fosse stato affetto tra loro, se lui fosse stato Wilfred, gli avrebbe potuto chiedere il permesso ditornare a casa con suo padre, che fosse o meno il giorno del matrimonio. Ma lui non era Wilfred e non c’era alcun sentimento tra loro.

Poteva soltanto sperare che l’uomo mostrasse un minimo di comprensione per la situazione e fosse lui stesso a suggerire quella soluzione. Alzò gli occhi su di lui, quando entrambi si spostarono all’ingresso per accompagnare suo padre alla porta, ma non lo avrebbe implorato, neanche con lo sguardo.

«Vi riporterò vostra figlia domani, per vedere come state, signore» disse il conte, piuttosto rigidamente.

«Non c’è alcuna fretta» rispose il padre di Eleanor, in tono gioviale. «Se voi due vorreterestare a letto fino a tardi, potrò tranquillamente attendere, milord.»

Lei notò che il conte si irrigidiva ulteriormente all’allusione contenuta in quelle parole, e lottò per non arrossire.

«Bene» soggiunse suo padre, aprendo le braccia verso di lei. «Ellie, contessa di Falloden. Forse ora sei una lady troppo altolocata per abbracciare tuo padre.»

Era così felice. Così soddisfatto. Così allo stremo delle forze. Lei avanzò in modo che il conte non potesse scorgere il suo volto. Ma non osò rilassare troppo l’espressione. Il suo petto e la sua gola erano chiusi per il dolore che stava provando. Lo baciò con estrema delicatezza su una guancia e gli permise di chiuderle le braccia intorno alla vita. Ma non ricambiò il gesto.

E improvvisamente, quella le sembrò la parte più crudele di tutta la situazione. Avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e abbracciarlo stretto. Avrebbe voluto poterlo ricordare vivo tra lesue braccia, nei giorni a venire.

«Non indugiare oltre, papà» sussurrò, indietreggiando. «Domani verrò a trovarti.»

Tenne il mento sollevato e serrò le mani in grembo di fronte a sé, mentre lo guardava andare via. Si sentiva ghiacciata fino al midollo. Non gli apparteneva più, neppure per quel poco tempo che gli rimaneva da vivere. Apparteneva a quella strana, enorme e fredda dimora, e a quello straniero gelido che le stava accanto. E avevano anche un ospite da intrattenere. O quantomeno lui. Lei non sapeva neanche se si aspettavano che restasse con loro o si ritirasse nelle sue stanze.

«Cosa desiderate che faccia?» domandò, girandosi a guardarlo e notando ancora una volta quanto fosse bello, sebbene quella constatazione non le provocasse alcuna reazione emotiva.

«Cosa desidero?» ripeté lui, sollevando le sopracciglia. «Saliremo nel salotto, mia signora, e potrete far servire il tè.» Le tese il braccio, e dopo un attimo di esitazione, lei lo afferrò.

Aveva indugiato fin troppo, decise il conte di Falloden, voltando con determinazione le spalle alla finestra della sua camera da letto, attraverso la quale era rimasto a fissare l’oscurità. Lanciò uno sguardo di desiderio al proprio letto, ordinatamente preparato per la notte, e pensò con un moto di desiderio ben più intenso al letto ampio e soffice di Alice, e al suo corpo formoso, bello e confortevole.

Non c’era motivo di ritardare oltre, pensò. Sarebbe stato meglio farla finita, visto che non aveva scelta. Sarebbe tornato a dormire nel suo letto in men che non si dica, se fosse riuscito a decidersi e a oltrepassare il proprio camerino per raggiungere quello della moglie e la sua stanza da letto.

Sua moglie! Il solo pensiero lo disgustava. Se l’aveva ritenuta fredda durante il loro primo incontro, non c’erano parole abbastanza gelide per descrivere il suo comportamento di quel giorno. Orgogliosa, algida e silenziosa, si stava certamente godendo il suo trionfo per essere entrata a far parte dell’alta società, e l’unico fastidio era la sua necessaria presenza in tutta la faccenda. E poi continuava a essere insensibile come il marmo anche con suo padre, che era così chiaramente prossimo alla fine.

Posò la mano sul pomolo della porta che congiungeva i loro camerini, bussò con la mano libera e girò la maniglia.

Lei non era a letto, come il conte si era aspettato. Si stava alzando da una sedia accanto al fuoco, quando lui entrò nella stanza dal camerino. E restò lì, immobile, dritta e fiera, offrendo un aspetto piuttosto regale, nonostante il fatto che indossasse una camicia da notte, e i suoi capelli fossero sciolti sulle spalle.

La consapevolezza della sua bellezza lo colpì nuovamente, pur senza provocargli alcun moto passionale. La sua camicia da notte, di seta e pizzo, che doveva essere costata a Transome unafortuna, accentuava le deliziose curve del suo corpo. E i suoi capelli erano folti, ondulati e lucenti, ele ricadevano sulle spalle come lingue di fuoco. Il conte si ritrovò a pensare quanto fossero differenti quella chioma e il carattere di chi la sfoggiava.

«Dunque, mia signora,» esordì, andandole incontro sul tappeto «siete diventata la contessa di Falloden, oggi, ottenendo di diritto un posto nel beau monde. L’ambizione di una vita finalmente soddisfatta?»

Un mezzo sorriso si formò sulle labbra di lei, un’espressione che il conte non aveva maivisto prima. «Dunque, mio signore,» ribatté la giovane donna «vi siete liberato dai vostri debiti, oggi, e siete diventato più ricco di quanto avevate mai potuto immaginare. L’ambizione di una vita finalmente soddisfatta?»

Lui la fissò per un attimo, sorpreso. «Touché» mormorò infine. «È un bel giorno per entrambi, a quanto pare.»

«Già.» Quella parola fu pronunciata in tono secco, quasi trionfante.

«Ma non è ancora del tutto completo» continuò lui. «Il nostro non è ancora propriamente un matrimonio.»

«No, infatti» ammise lei, mentre il suo mento si sollevava di qualche millimetro.

«Dunque credo che sarebbe il caso di apporre l’ultimo sigillo alla nostra felicità» commentò lui.

«Sì.»

Gli occhi di lei sembravano prenderlo in giro. ‘Ho ottenuto quello che volevo’ sembravano dirgli. ‘Tutto il resto non ha alcuna importanza.’ E la giusta indignazione gli era negata.Anche lui aveva ottenuto ciò che voleva. Ma si era aspettato una moglie mite e sottomessa. Avvertì un lampo di rabbia, misto al desiderio di cancellare quell’espressione dal suo sguardo. La volontà difarle del male, di umiliarla. Ed era troppo infuriato, probabilmente con sé stesso, per essere disgustato da quel desiderio.

Sarebbe potuto finire tutto nel giro di pochi minuti. Avrebbe potuto farla distendere sul letto, sollevarle la camicia da notte e la sottoveste e consumare rapidamente il matrimonio. Sarebbe potuto essere di ritorno nella sua stanza entro cinque minuti, sposato in ogni senso, libero di continuare a vivere la propria vita come aveva sempre fatto, tranne che per l’inconveniente di doverconvivere con la moglie per un anno.

Ma era infuriato.

Allungò una mano dietro la nuca di lei, affondando le dita tra le folte ciocche dei suoi capelli, e la costrinse a portare la testa indietro e di lato. Si calò sulle sue labbra con le proprie e le dischiuse, insinuandovisi con la lingua. Esultò al sentirla irrigidirsi immediatamente, mentre tentavadi serrare le labbra e di allontanare la testa da lui, premendola contro la sua mano, che non cedette di un solo centimetro. Poi sollevò il capo e le sorrise.

«Si potrebbe quasi pensare che siate fatta di marmo, mia signora» dichiarò. E ignorò deliberatamente la voce della coscienza, invero molto lontana, che tentava di ricordargli che, per quanto il carattere di quella giovane donna fosse poco apprezzabile, era quasi sicuramente vergine enon doveva aver mai neanche baciato un uomo.

Forse si sarebbe calmato, se lei non avesse deciso di restituirgli orgogliosamente lo sguardo, rispondendo con un lento sorriso. Soltanto che non era un vero sorriso. C’era qualcosa di quasi felino, in quell’espressione.

La guardò negli occhi, mentre con deliberata lentezza andava a slacciare uno dopo l’altro i delicati bottoni di madreperla sul davanti della sua camicia da notte. La giovane donna sollevò ancora di più il mento, quando lui fece scivolare le mani all’interno dell’indumento per posarle sulle spalle e poi le spostò lentamente per serrarle a coppa sui suoi seni. Erano caldi, serici esodi, non troppo grandi.

«Dopotutto, mia signora,» sussurrò, spostando la camicia di seta e pizzo con i polsi in modo che le scivolasse giù dalle spalle, lungo le braccia, denudandola fino alla cintola «siete mia moglie.»

Fu forse in quel momento, o un istante più tardi, che la rabbia e il desiderio di umiliarla si tramutarono in un desiderio di altro genere. Lei lo colse completamente di sorpresa allungando entrambe le mani per slacciare i grossi bottoni della sua camicia, afferrando con decisione la stoffa all’altezza del colletto per fargliela scivolare lungo le braccia.

«Dopotutto, mio signore,» sussurrò, mostrando per la prima volta i denti, candidi e perfetti, come se volesse morderlo «siete mio marito.»

A quel punto, finì per perdere la testa, come successivamente si ritrovò a ricordare con imbarazzo e stupore. La afferrò per i polsi senza alcuna gentilezza e le abbassò le braccia, per far scivolare la camicia da notte sul pavimento, mentre lui si liberava a strattoni della propria, anche se le mani di lei, quando le lasciò libere, si affrettarono ad aiutarlo. E quando tornò a cercare la sua bocca con la propria, le labbra di lei si dischiusero senza indugi, e quando la lingua di lui si insinuò tra quelle labbra, quella di lei la cercò con decisione, danzandovi e seguendola nella bocca dell’altro. E quando le sue mani la toccarono, esplorandola senza alcuna gentilezza o esitazione, quelle di lei seguirono il suo esempio.

Una cosa, almeno, doveva essere ormai ben chiara a entrambi, quando infine si piegò a sollevarla tra le braccia per deporla sul letto. Lui non avrebbe avuto alcun problema a provare il desiderio carnale necessario a permettergli di consumare il matrimonio.

Lottò con lui tra le lenzuola, al punto che quando infine il conte riuscì a bloccarla sotto il suo peso, erano entrambi senza fiato.

Lui insinuò le ginocchia tra le sue cosce, separandole, scivolò con le mani sotto di lei e sollevò la testa. La giovane donna gli restituì lo sguardo con orgoglio, le guance rosse, i capelli scomposti sulle spalle e sul cuscino. Lui trovò la sua fessura e la penetrò con un unico, rapido affondo.

L’espressione di lei non cambiò. Soltanto il suo corpo si tese e cercò di sottrarglisi. Per qualche attimo. Ma mentre continuava a fissarla, lei accennò nuovamente un sorriso e fece risalire i piedi lungo le gambe di lui, per trovare un punto d’appoggio e spingersi contro di lui.

«Quasi mia moglie, mia signora» le sussurrò lui. «È quasi fatta.»

«Credevo che avrebbe fatto male» mormorò lei. «Pensavo dovesse essere qualcosa di straziante.»

In quel momento, ottenuto il completo trionfo su di lei, con quel corpo piegato alla sua volontà e impalato sotto di lui, avrebbe potuto mostrarle un minimo di pietà, concludendo l’atto rapidamente. Ma lei aveva rinfocolato la sua rabbia, con quello stupido affronto alla sua virilità. Dunque avrebbe scoperto cosa significava essere costretta a soddisfare il suo piacere, essere obbligata a garantirgli i suoi diritti coniugali. Le avrebbe riempito d’ansia i giorni a venire, costringendola a chiedersi se ogni notte avrebbe dovuto nuovamente affrontare quell’ordalia.

Prese a muoversi dentro di lei, fissandola in volto. Lei gli restituì lo sguardo, ma qualcosa, in fondo ai suoi occhi, gli disse che non si era aspettata quella continuazione, che aveva pensato di dover sopportare soltanto quell’unica penetrazione iniziale. Trovò un ritmo lento, prima di abbassarsi su di lei, smettendo di sostenere interamente il proprio peso sui gomiti, e affondando tra le sue morbide curve. Continuò a muoversi, assicurandosi di ritrarsi quasi completamente per poiaffondare profondamente in lei ogni volta che tornava a spingersi in avanti. E ascoltò i suoni umidi dei loro corpi uniti, e il cigolio delle molle sotto di loro, e il suo respiro affannato quanto il proprio, costringendosi a controllarsi con tutte le proprie forze per non cedere all’orgasmo fino all’ultimo istante.

Ma non era facile. Lentamente cominciò a rendersi conto, al di là del battito precipitoso del suo cuore e al ruggito del suo sangue nelle tempie, che le gambe di lei erano fermamente intrecciate alle sue, e che il bacino della giovane donna si muoveva per andargli incontro a ogni spinta, cercando una penetrazione ancora più profonda. I suoi muscoli interni gli si stringevano intorno, come se volessero trattenerlo quando si ritraeva, rilassandosi quando le affondava dentro. Ei fianchi di lei continuavano a premersi contro i suoi.

La afferrò per le spalle, facendo scivolare le mani lungo la sua schiena per chiuderle conforza contro i suoi glutei e bloccarla, per poi spingersi dentro di lei con maggiore urgenza, senza pensare più a nulla, finché un meraviglioso fremito accompagnò il suo culmine. Udì un grido, e pensò che fosse la propria voce.

La ragazza tremava con violenza sotto di lui. Il conte le restò addosso finché non la sentì rilassarsi gradualmente. E forse anche più a lungo di così. Ebbe la netta impressione, quando infine si decise a spostarsi, scivolando via dal suo umido calore, di essersi svegliato in quel momento dal sonno. Eppure, le candele erano ancora accese, e il fuoco ancora bruciava scoppiettando nel caminetto.

Restò disteso accanto a lei, guardandola. Nessuno dei due aveva tirato su le coperte. La sua lunga chioma color mogano era sparsa in un groviglio selvaggio sui cuscini e contro la sua pelle, facendo sembrare i suoi pallidi seni come scolpiti nell’alabastro. In quel momento, quei capelli rossi non sembravano così fuori luogo. Quella ragazza aveva una natura passionale e focosa che lui non avrebbe mai creduto di poter trovare in una donna del genere. Men che meno in lei. Forse quell’aspetto proveniva dalle sue origini popolari, sebbene nella sua esperienza perfino le amanti e le prostitute sapevano esercitare un maggiore decoro in camera da letto. Una natura appassionata e un cuore gelido.

«Ebbene,» disse infine «tutto è compiuto. Quantomeno, non potrò mai essere accusato di avervi privato di qualsivoglia diritto che vi spetta in quanto mia contessa.»

«E, quantomeno» ribatté lei «io non potrò mai essere accusata di negarvi tutto tranne la dote che portavo con me.»

«Touché, ancora una volta» ammise lui. «Bene, il giorno più felice della nostra vita si è concluso, mia signora, con nostro grande dispiacere, ne sono certo. Vi lascerò a sognare il trionfo della vostra nuova posizione sociale, mentre io tornerò al mio letto, per sognare infiniti tesori. Buonanotte.»

Tornò ad abbassare lo sguardo su di lei, mentre si alzava. Le lenzuola e l’interno delle sue cosce erano macchiati di sangue. Ma lei non accennò a coprirsi. Lo fissò con quel mezzo sorrisoche lui trovava così spiacevole.

«Buonanotte» rispose. «Dubito che la notte sarà lunga abbastanza per contare tutto quell’oro, mio signore. Mio padre è molto, molto ricco.»

«Lo so» ribatté lui, piegandosi a recuperare la propria camicia da notte ma senza indossarla prima di lasciare la stanza. Lanciò uno sguardo all’orologio nel proprio camerino. Era trascorsa più di un’ora, da quando era entrato nella camera di sua moglie. Un’ondata di disgusto lo fece rabbrividire, mentre versava dell’acqua ormai quasi fredda nel catino per lavarsi. Provava repulsione per la strana, fredda e appassionata donna che aveva sposato. E anche verso sé stesso, per aver ceduto alla rabbia e a istinti animaleschi di cui non si era mai ritenuto capace.

Almeno, pensò poi, adesso era tutto finito. Sia la sua casa che Grenfell Park erano grandi abbastanza da permettere loro di stare lontani per la maggior parte del tempo. E, trascorso unanno, si sarebbe potuto assicurare che lei fosse sempre in una casa diversa da quella in cui si fosse trovato lui. E se avesse mai desiderato un erede... Ebbene, ci avrebbe pensato a tempo debito. In fondo, aveva soltanto ventotto anni.

La ragazza aveva sanguinato molto di più di quanto si sarebbe aspettato da una vergine, si ritrovò a pensare mentre guardava l’acqua nel catino colorarsi di una tonalità rossastra. A quel punto, provò vergogna per essere stato così istintivo, e rabbia verso di lei che l’aveva provocato.

Mentre serrava le palpebre e allungava una mano verso la camicia da notte, considerò che avrebbe atteso con impazienza la notte successiva. Quella in cui si sarebbe trovato al cospetto della tranquillità del letto e del corpo di Alice.

4

Eleanor si svegliò ritrovandosi in una stanza che le era quasi del tutto estranea: ampia, squadrata e dal soffitto alto, con quel letto più grande e soffice del proprio, e con il prezioso baldacchino verde invece che rosa. Capì cosa l’aveva svegliata quando notò una cameriera inginocchiata davanti al caminetto, silenziosamente intenta a ravvivare il fuoco. C’era qualcun altro nel suo camerino. Udì il tintinnio della porcellana, che probabilmente era quello di una caraffa d’acqua calda che veniva posata.

E poi si sorprese all’idea di essere riuscita a chiudere occhio. Si era aspettata una notte insonne. Ricordava perfettamente di essere entrata nel camerino per lavarsi con le mani che tremavano per la paura e lo sgomento. Ricordava di essersi piegata in avanti sul catino, appoggiandosi agli avambracci e chiudendo gli occhi, nel ripensare all’orrore di quanto era appena accaduto, di quello che lui le aveva fatto e di come lei aveva reagito. Aveva fatto quello che faceva sempre quando era spaventata o arrabbiata, o entrambe le cose: si era gettata a capofitto in ciò che stava accadendo. Aveva affrontato la sua paura, letteralmente. Non era mai stata così terrorizzata come quando suo marito l’aveva raggiunta nella stanza. Non le era mai successo di affrontare una lotta così disperata.

Eppure, ricordava anche di aver sbadigliato, nonostante tutto. Di aver sbadigliato più volte, domandandosi come avrebbe fatto a tornare a letto dal camerino. Aveva trascorso tre notti quasi insonni, per poi vivere un’ora di puro terrore e una di spaventoso, totale abbandono, nel corso della quale, a un certo punto, si era persa completamente, al punto da risvegliarsi di colpo come dal sonno, ritrovandosi schiacciata sotto il peso del marito. Non riusciva a ricordare come fosse riuscita a tornare nella camera da letto. Ma doveva averlo fatto, perché adesso era lì che si trovava, distesa tra le lenzuola. E indossava la sua camicia da notte, cosa di cui si avvide sfiorandola con una mano. Non ricordava di averla infilata di nuovo.

Mezz’ora più tardi, scoprì che uno dei compiti più difficili che si fosse mai trovata ad affrontare in vita sua sarebbe stato congedare la cameriera e uscire dal camerino per scendere nella sala della colazione. Tremava al pensiero di rivederlo: lui, quello sconosciuto rigido e altezzoso che l’aveva umiliata e fatta soffrire così tanto la notte prima. Suo marito. Raddrizzò le spalle e sollevò con decisione la testa.

Ma la sala della colazione era vuota, fatta eccezione per il maggiordomo e un servitore, e file di vassoi coperti e mantenuti al caldo su un buffet.

«Buongiorno, milady» la salutò il maggiordomo, con un profondo inchino, prima di scostare una sedia per lei.

Ed era esattamente così, pensò lei con un certo stupore. Una lady, una contessa. La contessa di Falloden. Il pensiero le fece precipitare l’umore ancora più in basso.

«Buongiorno, Mr Starret» rispose, sorridendogli come aveva sempre sorriso ai servitori

di suo padre. «Buongiorno» disse ancora, rivolgendosi all’altro uomo. «Non conosco il vostro nome.»

«Peter, mia signora» mormorò lui, quasi sobbalzando per la sorpresa. «Buongiorno a voi, milady.»

«Buongiorno, Peter» ripeté lei.

Il maggiordomo aveva un messaggio per lei. Il conte l’avrebbe accompagnata a casa di suo padre non appena avesse finito di fare colazione. Quelle parole le chiusero lo stomaco in un’ondata di nausea, e lei chiese soltanto una fetta di pane tostato. Dunque suo marito sarebbe venuto con lei, proprio come aveva detto il giorno prima a suo padre. Non sarebbe potuta sfuggirgli in nessun modo. E suo padre? Si sorprese a pensare, con un improvviso e violento senso di colpa, che non aveva pensato a lui per tutta la notte, e neanche quando si era svegliata. Come aveva fatto? Come era riuscita anche solo a dormire?

Un lampo di panico le attraversò la mente. Era sopravvissuto alla notte? Sarebbero giunti a casa sua soltanto per scoprire che era già spirato? Cosa avrebbe fatto, allora? Non sarebbe stata in grado di sopportare la solitudine, una volta che suo padre fosse morto. Soprattutto in quel momento. Tuttavia, l’egoismo di quel pensiero le fece provare ulteriore vergogna. Posò il tovaglioloaccanto al piatto e alla fetta di pane tostato consumata soltanto a metà, e il maggiordomo si avvicinòrapidamente per scostarle la sedia.

«Grazie, Mr Starret» mormorò lei. «Potete informare mio marito che sarò pronta a uscire tra cinque minuti?» Dovette usare tutta la forza di volontà di cui era capace per non fuggire dalla stanza.

Era di nuovo l’algida dama di marmo, seduta in silenzio e con la schiena dritta accanto alui in carrozza, con lo sguardo fuori dal finestrino, a osservare il mondo che le passava accanto. Lui la fissò mentre procedevano lungo le vie di Londra. Aveva un aspetto pericolosamente incantevole, nel ricco abito di velluto color castagno che indossava, una tonalità che sarebbe sembrata scialba su qualsiasi altra donna. Ma era perfetta per lei e il colore dei suoi capelli. Sedeva rigida e fiera. Sarebbe potuta sembrare una duchessa, pensò lui, e considerò che dovesse aver studiato con molta attenzione la sua entrata trionfale nei ranghi dell’alta società. Nessuno avrebbe mai immaginato, guardandola quella mattina, che fosse soltanto la figlia di un borghese.

E la sua contessa. Si trovò a ripensare alla notte precedente con rinnovata vergogna. Non aveva mai trattato neanche una prostituta con la rudezza con cui si era comportato con sua moglie. Si sarebbe potuto scusare con lei. In effetti, aveva pensato a una frase di scuse, mentre attendeva in biblioteca che lei si preparasse e facesse colazione. Tuttavia, l’aveva guardato con tale freddo disprezzo quando gli era andata incontro all’ingresso, e l’aveva salutato con tale gelida alterigia che quelle scuse gli erano svanite dalle labbra come dalla mente. Si era limitato a rivolgerleun inchino e a ricambiare il saluto.

Erano state le uniche parole che si erano scambiati quella mattina. E tuttavia, si era scoperto a ripensare con stupore a quanto fosse stata una tigre, lei, la notte precedente. Una tigre in calore. Era difficile riconciliare quel ricordo con l’immagine della dea dei ghiacci che gli sedeva accanto. La spogliò con lo sguardo, ma non riuscì comunque a rivedere la stessa donna con cui si era selvaggiamente rotolato nudo tra le lenzuola soltanto poche ore prima.

«Vi ringrazio per avermi accompagnato, milord» disse lei, quando raggiunsero la casa di suo padre. Non si voltò a guardarlo negli occhi. «Ma non c’è bisogno che scendiate dalla carrozza. Tornerò a Grosvenor Square più tardi, nella carrozza di mio padre.»

«Al contrario, mia signora,» ribatté lui «ho tutte le intenzioni di passare a salutare di persona vostro padre.»

Smontò con grazia dalla carrozza, prima di lei, per poi tenderle la mano e aiutarla a scendere a sua volta. Il conte notò che uno spesso strato di paglia era stato generosamente sparso sullastricato di fronte alla casa, e del tessuto era stato avvolto intorno al battente d’ottone. In quel momento, fu lieto della gelida sensibilità di sua moglie, che reagì a quei segni di malattia senza speranza e morte imminente in quella casa come se non li avesse neanche visti.

Mr Transome era al piano di sopra, nel suo letto, e il suo medico lo stava visitando, come spiegò il servitore che aprì la porta, alla domanda del conte. Sua moglie restò in silenzio al suo fianco. E sì, il conte poteva attendere il padrone di casa. Mr Transome l’aveva espressamente richiesto.

Aspettarono finché il medico non scese al piano di sotto. Eleanor fece strada verso il salotto e restò in piedi davanti al fuoco, scaldandosi le mani. Lui avrebbe potuto avvicinarsi a lei e posarle le mani sulle spalle, offrendole qualche parola di conforto. Ma non gli sembrava preoccupata. Una qualunque figlia normale non sarebbe corsa al piano di sopra salendo i gradini due alla volta, medico o non medico?

Il dottore fu fatto entrare nel salotto come il conte aveva richiesto, e si inchinò ossequiosamente, spostando il peso da un piede all’altro, imbarazzato. Mr Transome era in condizioni molto gravi. Miss Transome, o meglio, la signora contessa, avrebbe dovuto prepararsi alla sua dipartita da un momento all’altro. Il medico aveva suggerito di raddoppiare le dosi della medicina per il dolore, ma Mr Transome si era rifiutato di prenderne più del solito prima di parlare con il conte e la figlia. Infine, l’uomo si inchinò e si congedò, uscendo dal salotto.

Il conte, per ovvi motivi, non provava molto affetto per suo suocero. Tuttavia, lanciò uno sguardo irritato alla schiena della moglie. Aveva continuato a fissare il fuoco senza voltarsi per tutto il tempo in cui il medico era rimasto nella stanza.

«Andrò a trovare vostro padre, ora, mia signora» dichiarò. «Potete restare qui finché non sarò di ritorno. Non ci metterò molto.»

Lei non rispose.

La differenza nell’aspetto del suocero era terrificante. Il conte comprese in un attimo che soltanto grazie a una sovrumana forza di volontà quell’uomo era riuscito ad andare fino a Grosvenor Square per ben due volte, nel corso della settimana precedente, e poi ad assistere al matrimonio della figlia, il giorno prima. In quel momento, era semplicemente un uomo prossimo alla morte. E tuttavia, riuscì a rivolgergli un’ombra di sorriso, quando lo vide in piedi accanto al letto.

«Ah, milord,» esordì, con una voce ridotta a un mero sussurro «dovrà scusarmi se non mi alzo per rivolgerle un inchino.»

«Come state?» domandò il conte, rendendosi conto subito dopo dell’idiozia delle proprie parole.

«Sono stato meglio» rispose Transome, tentando perfino di ridacchiare lievemente. «Prego, cosa avete da dirmi?»

«Vostra figlia è mia moglie e mia contessa in ogni senso» rispose lui.

«Ah.» L’uomo chiuse gli occhi. «Avrei tanto voluto vedere il mio primo nipotino, milord. Ma posso accontentarmi.»

Il conte lo fissò, serrando le mani dietro la schiena.

«Dov’è Ellie?» domandò ancora Mr Transome.

«Di sotto» rispose il conte. «È impaziente di vedervi, signore. Ma ho pensato che prima fosse necessario che noi due parlassimo in privato.»

«C’è un pacchetto con una lettera, nel cassetto più alto della scrivania» disse Mr Transome. «Prendeteli. E in questo caso, vi sto dando degli ordini, milord. Dovete perdonarmi. Dopotutto, siete mio genero.»

Il conte trovò facilmente i due oggetti. Il cassetto era vuoto, a parte quelli. Tornò accanto al letto e li mostrò all’uomo.

«Si tratta di un regalo di Natale per Ellie» spiegò Mr Transome, accennando un pallido sorriso. «Glielo avevo fatto nella speranza che potessi vivere fino a quel momento, ma temendo di essere troppo ammalato per uscire a comprare qualcosa. Potrei darglielo adesso, per vedere la sua reazione, ma sarà meglio tenerlo da parte per Natale. Vi prego di darglielo voi, milord. Nella lettera ci sono alcune spiegazioni che vorrei avesse.»

«Sarà fatto» assicurò il conte.

«Ah.» Mr Transome tornò a chiudere gli occhi. «Allora, ragazzo mio, è il momento di dirsi addio. Perdonatemi per il tiro mancino che vi ho giocato. Alla fine mi ringrazierete, io credo, ma per il momento, cercate di perdonarmi. Mia figlia è l’unico motivo che ha reso la mia vita degnadi essere vissuta, da quando la sua cara madre è morta.»

«Sarà al sicuro» dichiarò il conte, provando un lampo di rimorso mentre la sua mente si riempiva suo malgrado dei ricordi della notte precedente. «Potete starne certo. Addio.»

Uscì dalla stanza e restò in piedi nel corridoio per un attimo, prima di avviarsi alle scale.E sì, pensò che avrebbe potuto perdonare quell’uomo. In fondo, non aveva fatto altro che pensare alla sicurezza futura di sua figlia nell’unico modo che conosceva: usando il proprio denaro per comprare ciò che voleva. E chi avrebbe potuto biasimarlo, per questo?

L’unico peccato era che tutto l’amore che provava e tutta la fatica che aveva fatto erano andati a beneficio di una persona tanto indegna di ricevere quei doni. Il conte strinse i denti e si giròverso le scale.

Eleanor fissava immobile il fuoco. Suo padre stava morendo. Lo sapeva, e lo sapeva

ormai da tempo. Si sarebbe dovuta aspettare la sua dipartita da un momento all’altro, aveva detto il medico. E anche questo lo sapeva da tempo. Ma quell’orribile realtà le era piombata realmente addosso soltanto quando il rumore degli zoccoli dei cavalli e delle ruote della carrozza aveva iniziato a svanire in lontananza, e lei, scesa dal mezzo, si era trovata a camminare sulla paglia e aveva posato gli occhi sul battente avvolto di stoffa. In quel momento, la consapevolezza della brutale verità l’aveva raggiunta in tutto il suo orrore.

Ed era stato suo marito, non lei, a chiedere notizie, e a esigere che il medico fosse mandato in salotto non appena fosse sceso al piano di sotto. Era stato lui a fargli le domande di rito, quando infine li aveva raggiunti. Era stato sempre lui ad andare di sopra per primo a trovare suo padre, non lei.

Era rimasta paralizzata da quella nuova consapevolezza che in realtà non era affatto una novità. La concreta certezza che suo padre stava morendo, che ben presto sarebbe rimasta sola. Solacon uno sconosciuto freddo e spaventoso, che non le aveva rivolto neanche una parola di conforto, mentre attendevano insieme il medico. Non che lei desiderasse la sua compassione. Tuttavia... Oh, sì, invece, la desiderava. Avrebbe voluto una voce gentile, un abbraccio in cui sparire... da parte di chiunque, perfino da lui.

La porta si aprì alle sue spalle.

«Potete salire, mia signora» disse lui. «Vi sta aspettando.»

‘Come sta?’ fu sul punto di chiedergli. Inutili e sciocche parole. Volse le spalle al focolare. «Resterò con lui» dichiarò, fissando il marito direttamente negli occhi «finché non morirà.Con il vostro permesso, mio signore.»

Lui annuì. «Tornerò più tardi» rispose «per sapere come procede.»

La giovane donna indossava ancora mantella e cappellino, se ne rese conto solo in quel momento. Li sfilò e li appoggiò su una sedia, ripiegando con attenzione il soprabito. Aveva paura dientrare in quella stanza. Sapeva bene che, dopo il matrimonio, suo padre doveva aver ceduto alla sua inevitabile fine. Sapeva che l’avrebbe trovato ormai prossimo alla morte. Avrebbe voluto che qualcuno fosse al suo fianco. Avrebbe desiderato un braccio al quale appoggiarsi.

«Volete che salga con voi?» domandò il conte.

«No, grazie» ribatté lei, fissandolo freddamente e oltrepassandolo per uscire dal salotto e salire le scale. Si sentiva nettamente spaccata in due: una parte di lei pensava e provava emozioni, l’altra parlava e agiva. E la terrorizzava il pensiero di non sapere realmente chi delle due fosse la vera Eleanor Transome... Eleanor Pierce.

Suo padre sembrava russare. Ma quando si portò accanto al letto in punta di piedi e accennò alla governante di lasciarli soli, scoprì che invece era sveglio.

«Papà?» mormorò.

«Ellie.» Sapeva che stava sorridendo, sebbene sul suo volto l’espressione non fosse che vagamente accennata. «La mia piccola contessa.»

«Già» sussurrò lei, protendendosi a baciarlo delicatamente sulla fronte.

«Ti tratta bene?» domandò lui.

«Sì, papà» mentì la giovane donna. «È molto gentile.»

«Ed è buono con te, Ellie?»

«Sì, lo è» sussurrò lei, mentre le tornava in mente il ricordo del terribile dolore che aveva provato.

«Perdonami, tesoro» mormorò lui. «So che non è ciò che desideravi. Ma ho più esperienza di te. E credo che sarai felice. Mi potrai mai perdonare?»

«Papà...» gemette lei.

«Amavo tua madre» riprese l’uomo. «E tu sei nata da lei, Ellie... e per me sei più preziosa di chiunque o qualunque altra cosa.»

«Papà,» ripeté lei «non parlare più, non affaticarti.» Le sue parole erano state inframmezzate da rantoli spezzati.

Le obbedì, per un po’. Restò disteso con gli occhi chiusi, e sembrò di nuovo che fosse scivolato nel sonno. Ma alla fine tornò a sollevare le palpebre.

«Promettimi una cosa, Ellie» bisbigliò.

«Qualunque cosa, papà.» Si chinò verso di lui.

«Non piangermi troppo a lungo» la pregò il padre. «So che mi vuoi bene, bambina mia. Non hai bisogno di dimostrarlo al mondo con abiti neri e disperazione. Sei una giovane sposa, Ellie,e prima che sia passato un anno sarai una giovane madre. Non ne ho dubbi. E inoltre, sta arrivando il Natale. Promettimi che smetterai il lutto prima della Vigilia, e che festeggerai felice. Celebra il Natale anche per me. È stato sempre il mio periodo preferito. Promettimelo, cara.»

«Oh, papà!» sussurrò lei.

«Promettimelo.» L’uomo tese una mano scarna, afferrandole debolmente un polso.

«Te lo prometto» rispose lei. «Avremo un Natale piacevole e meraviglioso, papà.»

«Ah» sospirò lui.

Furono le sue ultime parole comprensibili. Quando poco dopo sembrò iniziare ad agitarsi, Ellie prese le sue medicine e gliene diede una dose doppia rispetto al solito. Poi restò al suocapezzale, con le mani intrecciate in grembo, senza toccare né lui né il letto, per timore di causargli altro dolore. Lo guardò scivolare in un torpore profondo, da cui tornò a riemergere lentamente man mano che passavano le ore, finché non dovette somministrargli dell’altro medicinale.

Ben presto si stabilì una routine, in cui le ore di relativa calma erano intervallate da momenti di agitazione e delirio. Diverse volte l’uomo ripeté il nome della figlia e quello della defunta moglie. Alla fine, prese a chiamare soltanto il nome della madre di Eleanor, e poi una volta

anche quello dei suoi genitori.

Non avrebbe saputo dire quanto a lungo durò. Più volte si rifiutò di andare a letto a riposare, nonostante le reiterate richieste della servitù, e soltanto una volta si lasciò persuadere a mangiare qualcosa, anche se i piatti tornarono indietro quasi intatti. Era solo vagamente consapevole del viavai del dottore, della governante e degli altri servitori nella stanza. E udì soltanto vagamente la voce della donna che in tre diverse occasioni le riferì che suo marito era passato in visita.

Non sapeva se fossero passate ore, giorni oppure settimane, e neanche aveva importanza. In realtà, era soltanto la sera del giorno seguente al suo arrivo. Il respiro di suo padre era cambiato. Adesso c’erano intervalli più lunghi tra un rantolo e l’altro.

«È alla fine, poveretto» sussurrò il maggiordomo.

Ma lei non udì quelle parole. Tenne la mano del moribondo tra le proprie, con delicatezza, pur sapendo di non essergli più di nessuna utilità. Lei era ancora fermamente ancorata al mondo dei vivi. Invece, sapeva bene che ormai suo padre stava vedendo soltanto sua madre e i propri genitori. Sapeva che ormai erano separati, e che doveva soltanto abbandonare quel guscio terreno di cui non aveva più bisogno.

Provava soltanto il dolore della propria perdita. Lui era andato oltre il dolore e la paura.

«È finita, milady. Mi dispiace tanto.» La voce gentile che le si rivolse e le mani sulle sue spalle erano quelle della governante.

E a quel punto, si rese conto che suo padre non respirava più. Restò seduta a tenergli la mano ancora per un po’, prima di posarla con delicatezza al suo fianco, come per non causargli dolore. Poi si piegò a baciarla.

«Addio, papà» sussurrò.

«Vostro marito è di sotto, milady» la avvertì la governante. «Andate da lui. Penserò a tutto io, qui.»

«Grazie.» Eleanor si alzò in piedi, raddrizzando le spalle. «Grazie, Mrs Bennet.» Non posò più lo sguardo sul corpo di suo padre.

«È morto» esordì la giovane donna. «Pochi minuti fa.»

«Mi dispiace molto» rispose il conte, facendo un passo verso di lei. Eleanor indossava ancora l’abito di velluto marrone che aveva la mattina del giorno prima. I suoi capelli sembravano non aver visto un pettine da allora. Aveva il volto di un pallore diafano e ombre sotto agli occhi. Luisentì l’impulso di raggiungerla, e perfino di stringerla tra le braccia. Era rimasto colpito dal fatto che in nessuna delle sue visite lei aveva voluto lasciare il capezzale del padre morente. Forse l’aveva giudicata in modo troppo affrettato.

«Non ce n’è bisogno» ribatté lei. «Sarebbe dovuto morire già un mese fa. Soltanto la sua testardaggine l’ha mantenuto in vita finora.»

Lui si bloccò dov’era, guardandola. «Venite a sedervi.»

«È stato gentile da parte vostra venire così spesso» disse lei. «Vi ringrazio.» Ma non si mosse dalla sua posizione accanto alla porta.

«Era mio suocero» replicò lui. «E voi siete mia moglie.»

Incredibilmente, la giovane donna sorrise. «Che ammissione difficile deve essere stata questa, per voi» commentò.

«La carrozza è qui fuori» disse il conte. «Vi farò tornare a casa con una cameriera. Avete bisogno di riposare. Resterò qui io ad attendere il medico, e a predisporre il tutto per... a predisporre il tutto.»

«Per il funerale» concluse lei al suo posto. «Molto bene. Grazie. Siete gentile a offrirvi di farlo. Tornerò domattina... con il vostro permesso. Ci saranno lettere da scrivere e persone da informare.»

Anche in quel momento, il conte pensò di raggiungerla. Cosa sarebbe accaduto, se l’avesse presa per le spalle? Avrebbe abbandonato il suo atteggiamento fiero, si sarebbe lasciata andare tra le braccia di suo marito e avrebbe concesso al dolore di mostrarsi liberamente? Ma c’era, quel dolore? O forse avrebbe continuato a starsene dritta e rigida, fissandolo senza capire, o perfino con disprezzo?

«State bene?» le domandò.

«Bene?» Sgranò gli occhi. «Sono stanca. La sua agonia è stata lunga. Molto più di quanto mi aspettassi.»

Lui restò dov’era. «Allora andate» ribatté. «Senza altri indugi.»

Lei lo fissò in silenzio per un lungo istante, per poi girarsi e lasciare la stanza senza dire altro.

Lui restò a guardarla. Non poté fare a meno di chiedersi se si sarebbe comportata diversamente, se lui fosse stato un altro. Era possibile che fosse davvero così fredda e insensibile come sembrava? Era l’odio nei suoi confronti a costringerla a trattenere in quel modo i propri sentimenti? O forse semplicemente non era capace di provarne?

Lo gelava fin dentro le ossa il pensiero di essere sposato a una donna simile. Come anche la consapevolezza che quel matrimonio aveva un peso maggiore di quanto si fosse aspettato, nei suoi pensieri. Negli ultimi due giorni, non aveva fatto altro che andare dalla propria abitazione aquella di Transome. Non si era mai fatto vedere da White’s o in altri locali. E soltanto in quel momento ricordò di aver detto ad Alice che sarebbe andato a trovarla, la notte prima. Si era sentito angosciato e oppresso dall’agonia di un uomo che neanche conosceva. Di uno sconosciuto che avrebbe dovuto odiare per più di un valido motivo. E dall’idea di quella giovane donna che stava perdendo suo padre e che aveva tutte le ragioni di credere di essere finita nelle mani di un uomo chel’avrebbe trattata molto più crudelmente.

L’idea che fosse lui quell’uomo gli era odiosa. Eppure, come avrebbe potuto offrire affetto e gentilezza a una statua di marmo? A una donna che sembrava soltanto un’arrampicatrice sociale? Come poteva essere gentile con una donna che lo odiava? Una donna che parlava della

morte di suo padre come se per lei non avesse alcuna importanza, come se le sue ultime ore fossero state soltanto una faticosa e fastidiosa incombenza, per lei?

E comunque, voleva davvero offrirle gentilezza e affetto? Era la figlia di un borghese. Era stato costretto a sposarla. E avrebbe sempre provato una certa vergogna, nel sapere di aver acconsentito a quel matrimonio per denaro. Non si era mai considerato un mercenario.

Ma si rese conto improvvisamente che non era il momento per quei pensieri. C’erano molte cose da fare. Sebbene fosse già tarda sera, al piano di sopra era appena morto un uomo, e senza dubbio i servitori si aspettavano che qualcuno desse disposizioni sul da farsi. Prese un profondo respiro e aprì la porta che dava sul corridoio.

Eleanor si mantenne rigida e lottò per tenere lontano qualsiasi pensiero finché non si ritrovò finalmente sola nella propria stanza della casa di Grosvenor Square. Aveva allontanato la cameriera e si era svestita da sola. Si lasciò cadere sulla sedia dove aveva atteso suo marito nella prima notte di nozze... quante sere prima? Non lo sapeva più. E a quel punto, si preparò a piangere tutte le sue lacrime.

Fissò le fiamme crepitanti nel camino e pensò a suo padre. Pensò al fatto che per lui era stata il centro di tutta la sua vita, per tutta l’infanzia e l’adolescenza, sebbene lui avesse sempre lavorato moltissimo. Pensò a come l’avesse sempre coperta di affetto e di regali. E che il proprio mondo era sempre stato incentrato su di lui. Pensò a quanto aveva sofferto negli ultimi mesi, sebbene non si fosse mai lamentato, rifiutandosi di far sapere ai fratelli e alle sorelle quanto grave fosse la sua malattia, e proibendole di rivelarlo. Aveva sempre ripetuto che loro avevano le loro vitee le loro preoccupazioni a cui pensare, e non avevano bisogno di accollarsi anche le sue. Lo ricordò morente, quando lentamente si era allontanato da lei e dalla vita terrena, in quelle lunghe ore in cui lei era stata al suo capezzale. Ripensò al suo corpo immobile, quando infine aveva lasciato la sua mano e la sua stanza.

Pensò al fatto che non l’avrebbe più rivisto. Ormai non era più con lei. Svanito per sempre, come sua madre era bruscamente svanita per sempre dalla sua infanzia. Era sola. Suo padreera morto. La persona che aveva amato di più al mondo, più di ogni altra, compreso Wilfred, sì, compreso anche lui, era morta.

Attese che le lacrime scendessero, che il dolore che provava si sfogasse e le donasse un minimo di sollievo dall’insopportabile angoscia di quella perdita. Ma c’era soltanto quel dolore, il dolore di sapere infine che non riusciva neanche a piangerlo. Era troppo stanca per piangerlo. Non si era mai sentita tanto esausta in vita sua.

Se soltanto non ci fosse stato lui, nel salotto della casa di suo padre, quando era scesa. Se soltanto fosse stato uno dei suoi zii o dei suoi cugini. Ancora una volta si dispiacque profondamente del fatto che suo padre non avesse voluto informare i parenti della gravità della sua malattia. Sarebbero senz’altro venuti: la famiglia di suo padre era sempre stata unita nelle grandi occasioni, anche quando si trattava di una malattia o di un decesso.

Se nel salotto ci fosse stato uno dei suoi zii, si sarebbe potuta gettare tra le sue braccia, nascondendo il viso contro il suo petto e piangendo tutte le sue lacrime. Avrebbe potuto farlo, allora. Ne aveva sentito il bisogno. Invece, si era trovata di fronte un aristocratico freddo e distaccato. Se si fosse gettata tra le sue braccia, probabilmente lui si sarebbe preoccupato più di non

farsi sgualcire il fazzoletto da collo dalle sue lacrime che non del suo dolore. L’avrebbe fissata con disprezzo e sdegno. Di certo nel suo mondo non era considerato appropriato piangere per la morte del proprio padre.

E poi, non voleva assolutamente mostrargli i propri sentimenti. Non l’avrebbe fatto.

Papà! Eleanor si nascose il volto tra le mani, desiderando più di ogni altra cosa il sollievo delle lacrime. E avrebbe anche voluto poter contare su qualcuno, gettarsi tra le sue braccia, premere il viso contro la sua spalla, ascoltare una voce gentile e parole di conforto. Ma quando ripensò a suo marito, le riaffiorò in mente soltanto il ricordo di ciò che le aveva fatto poche notti prima in quella stessa stanza.

Non riuscì a piangere. Smise anche di provarci, e andò a letto dopo aver spento le candele. Ma non riuscì neanche a dormire. Era più stanca di quanto si fosse mai sentita, ma non riuscì a prendere sonno.

Restò a fissare il fuoco, e si domandò cosa stesse facendo il conte. Poi si chiese se sarebbe tornato a casa, quella notte.

5

Le vecchie abitudini dovevano essere dure a morire, considerò il conte. Eleanor tornò nella casa del padre piuttosto presto, la mattina seguente alla sua morte, con tutte le intenzioni di scrivere ai parenti per informarli. E tuttavia, quando lui le suggerì di scrivere quelle missive a casa, a Grosvenor Square, lei non si oppose. Si limitò a fissarlo con uno sguardo vacuo e accettò di tornare in carrozza con lui. Si guardava intorno quasi come se si trovasse nella casa più strana che avesse mai visto.

Il conte aveva trascorso una notte insonne, e anche Eleanor non sembrava affatto riposata, sebbene lui l’avesse mandata a casa a dormire. Il suo viso era pallido e privo di vitalità, gli occhi cerchiati di ombre scure. Si domandò, come già la sera prima, come avrebbe reagito se si fosse avvicinato a lei e le avesse posato una mano sulla spalla o l’avesse abbracciata. Avrebbe risposto a quel gesto gentile? Non era facile indovinarlo. Non riusciva a capire se quella sua calma imperturbabile fosse il risultato di un ferreo autocontrollo, o se facesse parte della sua natura. E tuttavia, non gli sembrava di aver scorto traccia di sentimenti, al di sotto di quella calma e della sua apparente freddezza.

«Vostro padre è stato lavato e vestito» le disse, con gentilezza. «È ancora nel suo letto. Volete vederlo?»

Lei sembrò pensarci per un attimo. «No» rispose infine.

Forse aveva paura. Paura della morte. «Vi sarebbe di conforto se venissi con voi?»

tentò.

Lei si volse a guardarlo. «No, per niente» dichiarò. «Grazie.»

«Farò venire la sarta direttamente a casa» le disse, una volta che furono in carrozza. «Così non dovrete affaticarvi a uscire. Vi potrà confezionare tutti gli abiti da lutto che desiderate. Avete preferenze per una modista in particolare?»

«No» rispose lei. «E non avrò bisogno di molti abiti. Me ne basterà qualcuno per le prossime settimane. Smetterò il lutto prima di Natale. E dovrete farlo anche voi... sempre che intendiate vestirvi a lutto, mio signore. Non credo abbiate mai provato un particolare affetto nei confronti di mio padre.»

«Smettere il lutto prima di Natale?» ripeté lui, con aria disgustata. «Dopo appena un mese?» Ignorò del tutto le sue ultime parole.

«Perché vestire di nero per più tempo?» osservò lei. «Per mostrare al mondo il mio dolore? Non mi interessa ciò che pensa il mondo.»

«Invece io credo che vi interessi e anche molto, mia signora» obiettò il conte. «Altrimenti, perché desideravate tanto sposare un nobile? Difficilmente si potrebbe affermare, dopotutto, che mi avete sposato per denaro.»

«O per amore» soggiunse lei. «Forse vi ho sposato per la vostra bellezza, mio signore. Sono certa che siete consapevole che di quella ne avete in abbondanza.»

«Questo non è di certo il momento né il luogo adatto per discutere» dichiarò lui, accigliandosi. «Temo di dover insistere che voi continuiate a vestirvi a lutto per almeno un anno, mia signora.»

«Era una richiesta di mio padre» affermò lei, fissandolo con disprezzo. «Il suo ultimo desiderio. Che io non lo piangessi a lungo. Che smettessi di vestirmi a lutto prima di Natale. Ma, naturalmente, adesso devo obbedienza a voi, giusto? Non a un padre che non è neppure più in vita.»

C’era un’amarezza evidente, nel suo tono. E di quale altra prova aveva bisogno per dimostrare che quella donna non teneva a nessun altro se non a sé stessa? Non le credeva affatto. Ma non poteva correre rischi. Non poteva permettere che lei avesse la possibilità di rinfacciargli chenon le aveva permesso di rispettare le ultime volontà di suo padre.

«Molto bene, dunque» ribatté seccamente. «Ma non vi farete vedere in pubblico per il prossimo anno, mia signora. Non qui in città, perlomeno. Ci trasferiremo in campagna, a Grenfell Park, e resteremo lì. Mi dispiace ma non rientrerete a Londra, la prossima primavera, e dovrete rinunciare agli eventi mondani della stagione. Sono certo che non vedevate l’ora di parteciparvi.» E l’avrebbe anche fatto, pensò, con un lampo di gelido rancore. Avrebbe danzato e festeggiato a pochimesi dalla morte di suo padre, se lui glielo avesse permesso.

«Ah,» ribatté lei «ma avrò Grenfell Park, mio signore, e tutta la gloria di esserne la padrona. Avrò la precedenza su chiunque altro, non è così? Avete un banco di famiglia, in chiesa? Sarò ben lieta di avanzare lungo la navata, rivolgendo cenni condiscendenti a tutti i nostri vicini.»

«Avete la lingua pronta» commentò lui. «Immagino che qualcuno dei vostri parenti saràpresente al funerale.»

«No» rispose lei. «Quasi tutta la famiglia di mio padre vive a Bristol, o nei dintorni della città. Le lettere non arriveranno in tempo per permettere loro di venire a Londra e partecipare al funerale. Potete rilassarvi, mio signore: non sarete circondato da un’orda di volgari mercanti e contadini. Ci sarò soltanto io, e qualche socio in affari londinese di mio padre. Sono certa che già così sarà abbastanza terribile e umiliante, per voi.»

Il conte considerò l’idea di trincerarsi dietro a un muro di silenzio, anche perché ormai erano abbastanza vicini a Grosvenor Square. Tuttavia, era necessario mettere qualcosa in chiaro, così decise. Non intendeva difendersi unicamente con il silenzio dalla lingua biforcuta di quella bisbetica.

«Credo che sia meglio, mia signora,» ribatté dunque, fissandola direttamente negli occhi, e assumendo un tono severo «che cominciamo a trattarci con reciproca cortesia. A quanto pare, abbiamo entrambi acconsentito a questo matrimonio per motivi tutt’altro che ammirevoli, e misembra chiaro che nessuno dei due provi alcun sentimento nei confronti dell’altro. Ma siamo sposati, e lo rimarremo per tutta la vita. Perciò, ritengo sia giusto comportarci in modo civile. Nei modi come nelle parole. Basta con il sarcasmo e i commenti pungenti.»

L’ostilità negli occhi della giovane donna svanì gradualmente mentre lui la guardava, sostituita da un’apparente cautela. «Molto bene» disse infine.

Ma qualsiasi possibilità di confortarla per la morte del padre, sempre che lei avesse bisogno di conforto, ormai gli era preclusa. Le tese la mano per aiutarla a smontare dalla carrozza, quando raggiunsero Grosvenor Square, e lei sparì subito nello studio per scrivere le lettere ai suoi parenti, mentre il conte si ritirava nella propria stanza per riposare per qualche ora. E tuttavia, si scoprì così esausto da non riuscire a prendere sonno.

Si trovò a desiderare di poter rivivere gli ultimi giorni. Avrebbe voluto seguire fin dal principio il consiglio che aveva dato poco prima a sua moglie, e stabilire con lei fin da subito un rapporto di reciproco rispetto. Avrebbe voluto poter rivivere la sua prima notte di nozze. Avrebbe voluto consumare il matrimonio con più gentilezza e considerazione. Ma forse le cose non sarebbero potute andare comunque diversamente. Forse sua moglie era davvero così fredda e bisbetica come l’aveva conosciuta fino a quel momento.

Tuttavia, era inaspettatamente calda, in certe circostanze. Chiuse gli occhi e ricordò il modo selvaggio e audace con cui aveva fatto l’amore con lui. Avrebbe potuto giurare che quella giovane donna avesse avuto già molte altre esperienze, non fosse stato per il sangue, e per la barriera che si era pienamente reso conto di lacerare. E ricordò la frenesia con cui aveva concluso quel rapporto, riversando in lei il proprio seme senza più alcun controllo.

Inspirò lentamente. Non gli era piaciuto quello che era accaduto. E non che gli piacesse farlo così, del resto, in altri casi. A lui piaceva l’equilibrio e un caldo benessere, con una donna tra le lenzuola. E tuttavia, si rese conto con netto fastidio, mentre si rigirava su un fianco e tentava di prendere sonno, che quei pensieri lo avevano eccitato. Il solo pensiero della sua prima notte di nozze era bastato ad accendere il desiderio in lui.

Nei giorni e nelle settimane che seguirono, Eleanor decise che quanto suo marito le aveva detto mentre tornavano a casa in carrozza la mattina dopo la morte di suo padre era sensato, ed era lieta che avesse pronunciato quelle parole, sebbene la sua voce e i suoi occhi fossero stati glaciali, quando aveva parlato, e lei aveva provato un gelido brivido al pensiero di dovere cieca obbedienza a quell’uomo per il resto dei propri giorni.

Ma in seguito aveva potuto apprezzare quella sua decisione. I giorni successivi sarebbero stati difficili in ogni caso, ma sarebbero risultati molto peggiori, se lui non avesse messo un freno all’ostilità tra loro, poiché si era ritrovata a vederlo, durante il giorno, molto più spesso di quanto non avesse mai visto il padre.

Nella maggior parte dei casi, era inevitabile. L’alta società era accorsa in forze, nei cinque giorni precedenti al funerale, e anche dopo, per conoscere la sposa del conte di Falloden, per congratularsi con entrambi per il matrimonio, per rivolgere loro le dovute condoglianze per il lutto. Perlopiù, era la curiosità a spingerli, secondo lei: volevano vedere la figlia del borghese che si era aggiudicata uno dei loro migliori partiti. Volevano osservarla e criticare ogni dettaglio del suo aspetto e del suo comportamento. Volevano trovare ogni traccia di volgarità in lei e goderne.

E talvolta pensava che avrebbe dato loro tutto ciò che volevano vedere, come aveva fatto alla festa di Pamela due anni prima, se non avesse fatto quell’accordo con il marito e se lui nonle fosse rimasto sempre e immancabilmente accanto nel corso di tutte quelle visite. Forse le era rimasto vicino per evitare situazioni che lo avrebbero messo in imbarazzo. Ma, quale che fosse il vero motivo, restò sempre al suo fianco, talvolta passandole un braccio intorno alla vita mentre la presentava come sua moglie ai numerosi sconosciuti in visita.

Restò al suo fianco anche quando gli amici e i soci di suo padre vennero a esprimere le loro condoglianze, e lo fecero in molti. Conversò cortesemente con loro, perfino con Mr Simms, che aveva un terribile accento campagnolo, e mantenne il suo patto con lei, così come lei fece nei suoi confronti.

Tutto ciò le dava stranamente conforto, a parte quando pensava alla realtà della situazione, come talvolta faceva nella solitudine della propria stanza. Era tutta una facciata, una mera dimostrazione di civiltà, un modo per continuare a vivere senza spiacevoli discussioni. Era servita al suo scopo nei giorni precedenti al funerale e nelle settimane che l’avevano seguito. Ma a quel punto, si era ritrovata ad attendere che la vita tornasse alla normalità, ad aspettare di poter tornare a casa. Le sembrava quasi impossibile poter accettare che quella era diventata la sua vita, che quella era la sua casa. Che suo padre non c’era più. Che il conte di Falloden era l’uomo con cui avrebbe dovuto trascorrere il resto della propria vita. Randolph. Non riusciva neanche ad associare quel nome al suo volto. Né qualsiasi altro nome, se era per quello. Per lei, quell’uomo era soltanto ilconte di Falloden.

Non c’era la benché minima traccia di sentimento, tra loro. Così aveva detto lui. Ed era la pura verità. Nessun sentimento. E tuttavia, quella consapevolezza la terrorizzava. Era cresciuta in un’atmosfera di profondo affetto, sia con suo padre che con gli altri membri della famiglia, ogni volta che si riunivano, come spesso accadeva. Ma suo padre era morto, e non avrebbe più rivisto la sua famiglia. Suo marito non si sarebbe mai abbassato a frequentarla. Dunque sarebbe stata costrettaa vivere per il resto dei suoi giorni senza affetto? Già ne sentiva terribilmente la mancanza dopo poche settimane. Si sentiva avidamente affamata d’amore.

E si sentì infuriata e terribilmente infastidita, quando Wilfred rispose alla lettera che lei aveva scritto a suo padre con una missiva traboccante di amore appassionato. Tutto l’amore che avrebbe potuto riempire il suo cuore vuoto e addolorato. Tuttavia, un amore proibito.

Forse, aveva pensato inizialmente, se avesse portato pazienza, nel giro di un anno avrebbe avuto un bambino su cui riversare tutto l’amore represso che sentiva di dover donare a qualcuno. Sarebbe stato il figlio del conte, ma anche il suo, e una persona con il proprio carattere e ipropri pensieri. Tuttavia, quella speranza iniziò a sbiadire, mentre i giorni e le settimane passavano senza che lui tornasse più a trovarla di notte. In verità, di questo era profondamente grata. Nelle prime due settimane si era quasi sentita male per il terrore, ogni volta che andava a letto. Ma senza quegli spaventosi rapporti, sapeva che non avrebbe avuto figli.

Non sapeva come sarebbe riuscita ad andare avanti, con un matrimonio vuoto e privo di qualsiasi significato, e senza figli. Essendo figlia unica, aveva sempre sognato una famiglia numerosa, per sé, con cinque o sei bambini. E cani e gatti. E... oh, piena di vita, amore e allegria.

Per le prime due settimane dopo il funerale, almeno, ebbe le sere tutte per sé. Dopo la cena, nel corso della quale si trovavano sempre a conversare educatamente di argomenti impersonali, si ritirava nel salotto mentre il marito faceva altro che a lei non era dato di sapere. Non sapeva neanche se uscisse o rimanesse in casa. Non entrò mai nel salotto, che si trovava dalla parte opposta della sua camera da letto, rispetto al camerino. Così, rese quella stanza il suo regno privato, sistemando la mobilia per ottenerne la massima comodità e riempiendola dei propri effetti personali portati lì da casa sua, dalla casa di suo padre, dopo aver trascorso un intero giorno a recuperare ciò che desiderava tenere con sé. E in quel salottino privato leggeva, cuciva e riusciva a sentirsi quasi felice.

Ma quella pacata serenità non sarebbe durata a lungo.

«Come trascorrete le vostre serate?» le domandò improvvisamente lui, un giorno, mentre stavano cenando.

«Leggo» rispose lei. «Oppure ricamo. O lavoro a maglia. Tutte quelle cose che solitamente fa una vera signora.» Arrossì sotto il suo sguardo fiero. Avete dimenticato il loro accordo. «Vi chiedo scusa.»

«Allora portate in biblioteca il vostro libro o il vostro ricamo, o ciò che deciderete di fare questa sera» la invitò lui. «Potremmo trascorrere le serate nella stessa stanza, visto che abbiamoimparato a comportarci civilmente tra noi.»

«Sì, mio signore» rispose lei. Ma provò soltanto sgomento e angoscia all’idea di dover obbedire a ogni desiderio di quell’uomo. La vita non era giusta nei confronti delle donne, considerò.E quello era un eufemismo. Si domandò cosa avrebbe detto o fatto suo marito se si fosse rifiutata di obbedirgli, o anche soltanto se avesse espresso una certa riluttanza nel farlo. E tuttavia, mentre lo guardava fare un cenno a un servitore per farsi riempire il bicchiere di vino, ricordò a sé stessa che quantomeno era un essere umano, e che trascorrere la serata accanto a lui le avrebbe dato l’illusionedi una certa vicinanza, cancellando un po’ della solitudine che permeava la sua esistenza.

Portò dunque il lavoro di ricamo in biblioteca, considerando che sarebbe stato inutile scegliere un libro, in quanto non sarebbe stata in grado di concentrarsi sulle sue pagine. Giunta a

destinazione, si accomodò su una poltrona di cuoio da un lato del camino acceso, mentre lui si sistemava in quella di fronte, con un libro tra le mani. A quel punto, quando Eleanor chinò il capo sul ricamo, si rese conto di essersi sbagliata. Si ritrovò a provare una profonda solitudine, molto più forte di quella che normalmente avvertiva la sera. Perché si trovava in una stanza comoda e calda, che contrastava il freddo dei primi giorni di dicembre. E suo marito era seduto tranquillamente nellapropria poltrona, accanto a lei. Era una perfetta scena familiare.

E tuttavia, era soltanto un’illusione. Lei e suo marito erano due perfetti, infelici sconosciuti, che avevano concordato di convivere secondo le regole della civiltà per puro buonsenso. Non c’era alcun senso di affetto o di vicinanza, tra loro. Se anche avesse voluto farlo, non avrebbe potuto sollevare il capo e confidarsi o chiacchierare amabilmente con lui.

Alzò gli occhi a guardarlo. E scoprì che anche lui la stava fissando, con il libro abbandonato in grembo.

«È delizioso» commentò, accennando al ricamo su cui stava lavorando.

«Grazie.» Lei tornò ad abbassare la testa.

«Quattro miei amici dovrebbero venire a Grenfell Park per Natale» continuò il conte. «Li avevo invitati prima di sapere del matrimonio, per una battuta di caccia. Desiderate che disdica gli inviti? Sono sicuro che capirebbero, tra l’improvviso matrimonio e il vostro lutto.»

Quattro gentiluomini. Da intrattenere a Natale. Sentì un brivido gelido lungo la schiena. Uno di loro di sicuro doveva essere Sir Albert Hagley.

«No» mormorò. «Non sarebbe giusto, mio signore.»

«C’è qualcuno che vi piacerebbe invitare, allora?» le chiese lui. «Un’amica, o più di una? Non vi ho vista con nessuno, dopo il matrimonio, ma deve pur esserci qualcuno. Non è così?»

«Non sono persone della vostra classe sociale, mio signore» mormorò lei. «Non credo che i vostri amici sarebbero lieti di avere a che fare con loro.»

«Invitatele comunque» ribatté lui. «Lascerò alla vostra discrezione, mia signora, di invitare soltanto coloro che si sentiranno a proprio agio in quell’ambiente.»

Erano parole gentili, pensò lei. Parole civili. E tuttavia, se le si considerava da un altro punto di vista, sembravano insopportabilmente condiscendenti. Avrebbe potuto invitare i suoi amici, a patto che non massacrassero la lingua inglese ogni volta che aprivano bocca? O a patto che non ridessero troppo forte a una battuta di spirito? O che non intingessero le dita nel sugo?

«Grazie» mormorò in risposta. «Quanti desiderate che ne inviti?»

«Quanti vorrete» concesse lui.

Lei tornò a concentrarsi sul ricamo, e il conte non disse altro. Cercò di pensare a chi avrebbe potuto invitare. Ma i suoi amici non avrebbero probabilmente accettato di allontanarsi dalleloro famiglie per Natale. In ogni caso, avrebbe trovato qualcuno da invitare. Ricordò improvvisamente la promessa che aveva fatto a suo padre, di rendere quel Natale una festa piena di felicità e allegria. Difficilmente sarebbe riuscita a mantenerla, se si fosse trovata sola con cinque

uomini.

Sì, avrebbe trovato qualcuno, preferibilmente più persone, da invitare. E se i quattro amici di suo marito non avessero gradito di accompagnarsi a dei borghesi o a dei membri della classe media, li avrebbe trattati di conseguenza. Dopotutto, la sua promessa di comportarsi civilmente era stata fatta unicamente nei confronti di suo marito, a volerla interpretare letteralmente.

Alzò lo sguardo su di lui, pronta a ribattere per le rime nel caso il conte avesse commentato in modo altezzoso. Ma il suo sguardo era sulle pagine del libro, e sembrava profondamente immerso nella lettura.

Il giorno seguente, Eleanor decise di invitare due zie, sorelle di suo padre, e le due figlieancora nubili di una di loro, a trascorrere il Natale con lei a Grenfell Park. La zia Beryl era stata sposata a uno dei mezzadri di un proprietario terriero fino alla sua morte, avvenuta cinque anni prima. Il marito aveva lavorato sodo, lasciando lei e le due figlie, Muriel e Mabel, in buone condizioni economiche. La zia Ruth era sempre vissuta con loro e non si era mai sposata.

Erano raffinate, a suo parere. In verità, avevano spesso cenato con Lord Sharples, il proprietario dei loro terreni. La zia Beryl si vantava spesso di quelle occasioni. Ma Eleanor si vergognava di aver scelto di invitare i suoi parenti più raffinati. Come se davvero dovesse avere importanza, per lei. Come se le importasse cosa avrebbero pensato suo marito e i suoi amici. Amavai suoi parenti. Le occasioni in cui si riunivano per le varie festività erano sempre state tra le più felici della sua vita.

Le sarebbe piaciuto scrivere gli inviti nel corso della mattinata, ma il maggiordomo le suggerì di rivedere insieme i conti. Le aveva spiegato a colazione che suo marito era uscito e che sarebbe stato fuori per gran parte della giornata.

Aveva pensato allora di scriverli nel pomeriggio, ma giunsero altri ospiti. Non ne venivano più molti in visita, ma quasi ogni giorno se ne presentava almeno un paio. Mr Simms venne a trovarla insieme a sua moglie, che era stata poco bene, la prima volta che era passato. Mrs Simms sembrava in soggezione, nonostante suo marito fosse ricco quasi quanto lo era stato il padre di Eleanor. Ma quando seppe che il padrone di casa non c’era, si rilassò e si mise comoda. Lei e il marito si congedarono soltanto quando arrivarono Lady Lovestone e sua figlia. Eleanor non le aveva mai incontrate prima.

Lady Lovestone assicurò a Lady Falloden che lei e sua figlia erano desolate di non essere riuscite a passare prima, ma... E qui aveva inanellato una serie infinita di scuse. Eleanor sorrise a lei e alla sua delicata e bionda figlia, che si accomodò in silenzio, continuando a fissarla.

«Non sono mai stata così sorpresa in vita mia» esordì Lady Lovestone «come quando ho saputo del fidanzamento di Falloden e del suo affrettato matrimonio. Naturalmente, sapevo che stava affrontando delle difficoltà, povero ragazzo. E vostro padre era...?»

«Mr Joseph Transome» ribatté lei. Ma suo marito non era lì come sempre ad aiutarla a trattenersi. E due paia di occhi altezzosi la stavano fissando. «Mercante di carbone» soggiunse infine.

«Sì» annuì Lady Lovestone. «Bene, spero siate felice, Lady Falloden. Ma sono certa che

lo siete. Non vedo come potreste non esserlo. Sir Hector sarebbe stato ben lieto di concedere la mano di Dorothea a Falloden, sapete, ma era davvero in cattive acque, economicamente parlando. Comunque, suppongo che il problema deve essere stato risolto.»

«Sì» confermò Eleanor. «Mio padre era molto ricco.» Sorrise a Dorothea Lovestone e sidomandò se quella fanciulla avesse amato suo marito. E se lui l’avesse amata.

«Naturalmente,» riprese Lady Lovestone «sebbene, suppongo, alcune cose sarebbero state diverse, se lui avesse sposato Dorothea. Ma tutto ciò non vi riguarda, Lady Falloden. Uno dei vantaggi di non essere di nobile nascita, come dico sempre, sta nel fatto che non si è troppo sensibili. Un cuore troppo tenero può essere un terribile problema.»

«Immagino» rispose Eleanor con un sorriso. «Non posso saperlo, milady, non essendo di nobile nascita.»

«E poiché al momento state rispettando il lutto per il vostro povero padre,» soggiunse Lady Lovestone «suppongo non vi dispiaccia che vostro marito esca ogni sera senza di voi. E, naturalmente, lui è molto discreto, cosa che di certo vi sarà di conforto. Ho sentito che le sue... ah... frequentazioni sono molto raffinate, sebbene io non sappia nulla di tali creature, ovviamente.»

«Ovviamente» ripeté Eleanor, continuando a sorridere. «Solo quel tanto che basta a parlarne con le mogli interessate, suppongo, milady. È comprensibile. E poi potreste ferirle, del resto, se sapeste troppi dettagli in merito, dico bene? Se le amanti fossero più belle di loro, per esempio, o più formose. O magari più brave tra le lenzuola.»

«Dorothea, tesoro...!» esclamò Lady Lovestone, portando di scatto una mano al cuore, mentre la figlia si agitava sulla poltrona, a disagio, e fissava Eleanor con gli occhi sgranati.

«Non mi ferisce affatto, anzi, è decisamente un sollievo, per me» continuò Eleanor «sapere che le... ah... frequentazioni di mio marito siano raffinate. Potrebbero essere volgari, dopotutto, e questa sarebbe una cosa terribilmente umiliante.»

«Lady Falloden,» ribatté Lady Lovestone «vi prego di ricordare che mia figlia è qui con noi.»

«Vi prego di perdonarmi» rispose Eleanor, sorridendo dolcemente alla giovane e poi a sua madre. «Ma poiché siete stata voi a introdurre l’argomento, ho ritenuto che lo consideraste adatto alle orecchie di vostra figlia.»

Parlarono del tempo per qualche altro minuto, prima che Lady Lovestone si alzasse, facendo cenno alla figlia di fare lo stesso, e si congedarono almeno dieci minuti prima di quanto la cortesia avrebbe richiesto.

Eleanor pensò che se ne sarebbero andate soddisfatte, mentre tornava a sedersi rigidamente sulla poltrona che aveva lasciato per salutarle. Tutti i loro sospetti dovevano essere staticonfermati. Il conte di Falloden aveva sposato la volgarissima figlia di un borghese, e unicamente per il suo denaro. Avrebbero potuto gloriarsi del fatto che Dorothea fosse stata la sua scelta, se soltanto Sir Hector si fosse convinto a non considerare le sue ristrettezze economiche e i suoi tragicidebiti. Era certa di averle rese estremamente felici.

Portò alle labbra la tazza di tè ormai quasi vuota, ma poi la riappoggiò sul piattino senzatoccarla. La sua mano stava tremando. E così, aveva un’amante. Avrebbe dovuto immaginarlo. Dopotutto, era un membro della decadente aristocrazia. Non ci si poteva aspettare che seguisse i piùseveri valori morali della sua classe sociale. E di sicuro non stava ottenendo alcuna soddisfazione sessuale dalla propria moglie.

Non aveva importanza. No davvero. Che facesse pure quelle cose terribili e dolorose a una donna pagata profumatamente per sopportarle. Che passasse pure tutte le serate che voleva con la sua amante. Questo le avrebbe permesso di starsene da sola nel suo salotto personale. Non le interessava.

Ma i suoi pensieri tornarono di colpo alla zia Beryl e alla zia Ruth e alle sue cugine, e aimotivi che l’avevano portata a scegliere di invitare proprio loro a Grenfell Park per Natale. E pensò,mentre dentro di lei la rabbia si trasformava in furia, che si sarebbe dannata l’anima prima di invitare qualcuno soltanto perché era meno probabile che disturbasse la sensibilità di suo marito e dei suoi ospiti.

Oh, si sarebbe dannata l’anima, prima di scegliere secondo quei criteri.

Gli aveva chiesto quanti ospiti avrebbe potuto invitare, e lui aveva risposto che poteva invitare tutti quelli che voleva. Molto bene, dunque. Aveva avuto la possibilità di limitarla, ma aveva poco saggiamente scelto di non farlo.

Eleanor si alzò di scatto, con un cupo sorriso sulle labbra. Lo scrittoio, la carta da letterae le penne si trovavano nel soggiorno. Sarebbe stata occupata per diverse ore.

6

Con una certa sorpresa, il conte di Falloden si rese conto che stava aspettando il Natale con impazienza. Non aveva mai amato particolarmente quel periodo. Anche da piccolo, quando i suoi genitori erano ancora vivi, non aveva mai fatto nulla di speciale a Natale. Non aveva fratelli o sorelle, e i suoi genitori preferivano restare a casa, invece di partecipare alle feste o invitare degli ospiti. E quando invitavano qualcuno, si trattava sempre unicamente di adulti, e lui rimaneva confinato nella stanza dei giochi. Con i suoi nonni, le cose non erano cambiate molto.

Negli ultimi anni, aveva sempre accettato gli inviti che aveva ricevuto, talvolta nelle ville di campagna dei suoi amici, altre volte a cene e balli in città. Ma era sempre stato contento di veder finire quel periodo di festeggiamenti. Per qualche motivo, si era sempre sentito molto solo, a Natale, come se si rendesse conto che in quella festa c’era molto di più, e che lui non aveva mai potuto realmente farne esperienza.

Ma quest’anno stava attendendo con impazienza che il Natale arrivasse. Sarebbe stato a

Grenfell Park e avrebbe potuto guardarsi intorno e sapere che era tutto suo, senza alcuna ipoteca, e che avrebbe potuto immaginare tutto ciò che voleva realizzare nella magione e nel parco e nei campi intorno, consapevole che alla fine quei sogni si sarebbero realizzati. Aveva trascorso intere estati a Grenfell con i nonni, da bambino, e aveva vissuto lì con loro dai quattordici anni in avanti, dopo che i suoi genitori erano venuti a mancare a distanza di un anno l’uno dall’altro. E amava quel luogo.

E non gli dispiaceva aver invitato degli ospiti, quando si era ubriacato, la settimana prima del matrimonio. Bertie sarebbe venuto, e così anche Lord Charles Wright; Jason, visconte Sotherby; e l’onorevole Mr Timothy Badcombe. Non aveva mai avuto ospiti a Natale. Forse la loro presenza avrebbe reso più piacevole quel periodo, per una volta.

E, piuttosto stranamente, anzi, molto stranamente, non gli dispiaceva neanche l’idea di andare in campagna con sua moglie. Si era instaurata una cauta tregua, tra loro, dalla mattina successiva alla morte di Mr Transome. Non avevano più discusso né si erano scambiati parole velenose o sarcastiche, tranne in qualche rara occasione, in cui alle espressioni offensive erano quasi sempre seguite immediatamente delle scuse.

Non c’era tenerezza tra loro, né amicizia, e nessun tipo di vicinanza. Tuttavia, l’ostilità sembrava svanita, o quantomeno era stata messa da parte. Iniziava a sperare che si sarebbero comportati civilmente per il resto del loro primo anno di matrimonio. E forse anche più a lungo, perché nel corso del primo mese di convivenza con la moglie aveva fatto una scoperta inquietante, ecioè che non era più in grado di ignorare la sua nuova condizione. Non riusciva più a considerarsi un uomo non sposato. E non era soltanto per la presenza di sua moglie in casa. Era la sua presenza nella coscienza di lui.

Dopo il funerale del padre di Eleanor, lui aveva ripreso ad andare da White’s ogni sera. Ma invece di divertirsi, come aveva sempre fatto, si era ritrovato a pensare all’ingiustizia della vita. Sua moglie, essendo donna, costretta a restare a casa da sola, perché lui non si degnava di portarla da nessuna parte. Aveva pensato che le sue serate dovevano essere terribilmente tristi.

Due volte era andato da Alice, e in entrambi i casi era stato a letto con lei. La seconda volta le aveva portato un regalo, un braccialetto di rubini, che sapeva le sarebbe piaciuto. Prima di quel momento non aveva mai avuto la possibilità di comprarle doni costosi per un semplice capriccio. Ma si era sentito sovrastare da un profondo senso di colpa, quando lei l’aveva accolto conun’esclamazione di pura delizia, e gli aveva chiesto di allacciarglielo al polso. Aveva comprato quelbracciale con il denaro ottenuto con il matrimonio. E sua moglie era a casa da sola.

«È un regalo d’addio» aveva detto seccamente ad Alice. E poi si era reso conto, mentre attendeva che lo sgomento lo assalisse per aver parlato così impulsivamente, che non provava neanche l’ombra di quell’emozione. Aveva provato soltanto sollievo.

Non aveva mai portato alcun dono alla moglie. Eleanor. In qualche modo, gli riusciva difficile pensare a lei chiamandola per nome. Non riusciva a indursi a chiamarla per nome.

Sarebbero andati in campagna insieme, a Natale. Sarebbero rimasti lì per gran parte dell’anno. Forse avrebbe potuto fare uno sforzo per tentare di conoscerla meglio, per scoprire se davvero non c’era altro che freddezza e irritabilità, dietro all’apparente calma imperturbabile che gliaveva sempre mostrato. Forse avrebbe iniziato perfino a vivere con lei come suo marito, anche se

gli sarebbe stato difficile tornare nel suo letto, non avendolo più fatto dopo la prima notte di nozze.

Se la sua promessa a Mr Transome lo spingeva a convivere comunque con lei per un anno, forse avrebbe potuto sfruttare quei mesi per cercare di metterla incinta del suo erede. Se fosse riuscito a farle avere un figlio entro l’anno, e se fosse stato un maschio, non avrebbero più avuto la necessità di vivere sotto lo stesso tetto, se si fosse reso conto che non c’era niente da fare per rendere più accettabile il loro matrimonio.

In ogni caso, avrebbe fatto un tentativo. E quale periodo migliore del Natale poteva esserci per portare un minimo di calore in quel rapporto? Sperava soltanto che lei avesse deciso di invitare un’amica o due. Si sarebbero trovati in una condizione complicata, altrimenti: cinque uomini e una signora.

«Partiremo per Grenfell Park la prossima settimana» le annunciò una sera, mentre eranoseduti in biblioteca dopo cena, come avevano fatto per cinque sere di seguito. A volte pensava che avrebbe anche apprezzato quelle serate, non fosse stato per il fatto che non riusciva mai a trovare unargomento di conversazione che li conducesse a chiacchierare amabilmente tra loro. Non parlavano mai di cose piacevoli, si limitavano ad argomenti molto impersonali. «Dovrò informare il maggiordomo riguardo al numero di ospiti che riceveremo per Natale.»

Lei sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo. E sollevò leggermente anche il mento, in un gesto che lui riconobbe subito. Solitamente, quel gesto portava con sé parole sarcastiche o atteggiamenti di sfida.

«Spero abbiate invitato uno o due amici» riprese.

«Uno o due?» ribatté lei. «Non mi avete imposto un limite al numero di persone che avrei potuto invitare, mio signore.»

«Ne avete invitati di più, allora?» replicò lui. «Bene.»

«Non temete» domandò Eleanor «che i vostri amici non saranno lieti di condividere la magione con persone del mio rango?»

Sembrava sul punto di discutere nuovamente con lui, a quel che il conte vedeva. Si era chiusa come un riccio.

«Se lo faranno,» ribatté, ricambiando fermamente il suo sguardo «dovranno vedersela con me. Voi siete mia moglie.»

«E un’offesa nei miei confronti sarebbe un’offesa a voi» commentò lei. «Naturalmente, sono onorata di sentirvelo dire.»

«Non era necessario rimarcarlo, mia signora» le fece notare lui.

«Giusto.» Lei tornò ad abbassare lo sguardo sulle pagine del libro.

«Chi avete invitato?» chiese ancora il conte. «Quante persone?»

«La mia famiglia» rispose lei, risollevando improvvisamente gli occhi, sfidandolo a controbattere, mentre un lieve rossore le colorava gli zigomi. «Abbiamo sempre trascorso le

festività insieme, quando è stato possibile. E questa è una festività molto speciale. È il primo Natale che trascorrerò senza mio padre. E gli ho promesso che avrei passato un Natale meraviglioso. Ma senza dubbio voi penserete che non sia appropriato festeggiare con la famiglia a meno di due mesi dalla sua morte.»

Lui si domandò, mentre iniziava a provare suo malgrado una rabbia sempre più incontenibile, quante altre finte promesse al padre quella donna avrebbe inventato nelle settimane e nei mesi a venire. Era chiaro che desiderasse una vita piena di feste e divertimenti, e non avrebbe permesso al rispetto per il padre defunto di intralciare i suoi capricci. «Potremo festeggiare con moderazione» suggerì.

«Non con la mia famiglia» dichiarò lei. «Sono le persone più chiassose, sfrenate e volgari che possiate immaginare.»

La rabbia continuò a montare in lui. «Di quante persone stiamo parlando, esattamente?»chiese.

Lei restò in silenzio per qualche secondo, con lo sguardo basso. Ma dal lieve movimento delle sue dita, suo marito capì che stava facendo mentalmente il conto dei parenti che aveva invitato.

«Venti,» rispose infine, tornando a fissarlo freddamente «contando anche i due bambini di mio cugino Tom. Sono troppi, mio signore? Avrei dovuto pensare, quando mi avete detto che potevo invitare tutti quelli che desideravo, di dovermi limitare a quattro?»

«Venti» ripeté lui. Santo cielo.

«Deve essere davvero un pensiero terribile» continuò lei «immaginare Grenfell Park, dimora del conte di Falloden, invasa da uomini d’affari, mercanti e agricoltori, non è così? Un po’ come l’idea di una mandria di buoi lasciati liberi nella navata centrale di una cattedrale. Ma dovete ricordare, mio signore, che Grenfell Park è stata pagata con il denaro di un mercante, e con il denarodi un mercante continuerà a essere mantenuta.»

Il conte rimase immobile nella sua poltrona. Se si fosse alzato avrebbe palesato la sua rabbia.

«Non credo che lo dimenticherò mai, mia signora» ribatté. «Non con una moglie bisbetica che non perderà occasione di ricordarmelo.»

«Ebbene,» replicò lei «potete sempre fuggire via da me, mio signore. Potete sempre allontanarvi dalla mia lingua biforcuta. Mi è stato detto che è una persona molto raffinata. Deve essere una vera consolazione, per voi.»

«Chi è raffinata?» domandò lui, inarcando le sopracciglia.

«La vostra amante» scattò Eleanor. «La donna con cui vi intrattenete per i vostri piaceri.»

«Ah» rispose il conte. «E, di grazia, chi è stato così gentile da informarvi del fatto che costei è raffinata?»

«La madre della fanciulla che amavate... o che amate, forse, e che eravate troppo poveroper sposare.»

«Lady Lovestone» mormorò lui. «Sì, ho amato Dorothea e l’avrei sposata, se le circostanze fossero state differenti. È bella, dolce e sensibile.» Avvertì un lampo di nostalgia per la dolcezza e la raffinatezza di cui avrebbe potuto godere se l’avesse avuta in moglie.

«Tutto ciò che io non sono» commentò lei.

«Siete voi a dirlo» rimarcò freddamente il conte.

«E senza dubbio avreste lasciato la vostra amante per lei, e sareste vissuti per sempre felici e contenti» dichiarò Eleanor. «Che peccato che voi siate uno scialacquatore, mio signore, e vi piaccia così tanto giocare d’azzardo, pur senza avere molta fortuna dalla vostra parte. E che fortuna per me. Non sarei mai riuscita a ottenere un marito nobile come voi, se foste stato capace di vivere secondo i vostri mezzi.»

«Potete anche ritenervi fortunata quanto volete» ribatté lui, alzandosi infine in piedi. «Avete il mio titolo, e tutto ciò che ne consegue, e lo manterrete sino alla fine dei vostri giorni. Tuttavia, non avrete mai neanche un briciolo del mio cuore, né il mio apprezzamento o il mio rispetto. O la mia compagnia, per quel che potrò decidere.» Si inchinò profondamente di fronte a lei. «Godetevi il vostro trionfo, mia signora. Spero, sinceramente, che si dimostri vuoto e inutile.»

«E io spero» sibilò lei a denti stretti, mentre il conte si allontanava a lunghi passi nervosi verso la porta «che il denaro di mio padre non vi porti alcuna felicità, mio signore. Lo sperosinceramente.»

Qualcosa andò violentemente in frantumi, dopo che lui si fu chiuso la porta della biblioteca alle spalle. Immaginò che per la rabbia, la giovane donna avesse lanciato qualcosa contro il battente, probabilmente la figurina di porcellana che si trovava sul tavolo accanto a lei.

«Cappotto e cappello» ordinò seccamente al servitore nel corridoio.

«Vi faccio preparare la carrozza, milord?» chiese l’uomo con un inchino.

«Andrò a piedi» ribatté il conte, lottando per resistere all’impulso di urlare contro quell’uomo che non aveva fatto nulla contro di lui. Uscì a lunghi passi dalla porta principale, un minuto più tardi, con il cappotto ancora sbottonato nonostante il freddo della sera e il vento gelido che soffiava per le strade. Ma si rese conto di non poter andare neanche da Bertie per sfogare la sua rabbia e la sua frustrazione. Lei era sua moglie, e quello era il suo matrimonio. Una faccenda privata. Non si trattava di un problema di cui poteva discutere con un amico. Ripensò a Dorothea, mentre si abbottonava il soprabito e si infilava in fretta i guanti. Non ricordava di essersi mai sentitopiù solo di così, in tutta la sua vita.

Mancavano ormai meno di due settimane a Natale, considerò Eleanor, lanciando uno sguardo fuori dal finestrino della carrozza, verso campi sconosciuti che sembravano tristi e scialbi, sotto un cielo affollato di pesanti nuvole scure, che rendevano quasi buia l’atmosfera di quel primo pomeriggio. Non sentiva affatto l’atmosfera del Natale. Di solito l’aveva sempre sentita. Di solito amava farsi accompagnare da una cameriera a fare acquisti diverse volte, non perché non fosse in grado di scegliere tutto in una volta sola, ma proprio perché le piaceva l’atmosfera di festa che si

respirava nei negozi e nelle strade. Aveva sempre amato Oxford Street a Natale.

Forse era a causa della recente scomparsa di suo padre, pensò. Di certo doveva essere quello il motivo. E nel ripensare a lui, avvertì un dolore ormai familiare che le si annidava nel petto e nella gola, e un altrettanto familiare senso di colpa. Non era mai riuscita a piangerlo. Neanche unavolta. Abbassò lo sguardo sulla mantella di velluto blu, la stessa che aveva indossato nel giorno del suo matrimonio. Aveva perfino smesso di vestirsi a lutto, quando avevano lasciato Londra. Così aveva fatto anche suo marito, anche se aveva scelto di indossare una fascia nera al braccio. Lei invece no. Il giorno dopo, sarebbe passato un mese dalla morte di suo padre.

O forse, si ritrovò a pensare, era a causa del suo recente matrimonio, che si era rivelato quanto mai infelice fin dal principio. Erano seduti fianco a fianco nella carrozza, ma si erano scambiati a stento qualche parola, da quando avevano lasciato Londra, limitandosi al minimo della civiltà. In realtà, era curiosa di vedere la campagna, ansiosa e desiderosa di scoprire Grenfell Park, esi chiedeva quanto ancora sarebbe durato il viaggio. Tuttavia, non poteva chiederlo al marito. Quasi non si erano parlati, nei cinque giorni seguiti al litigio.

Avrebbe voluto scusarsi con lui. Il suo comportamento era stato imperdonabile. Non se la sentiva di biasimarlo per averla definita bisbetica. Era stata lei a cominciare, questo era stata costretta ad ammetterlo anche con sé stessa. Sebbene lui fosse rimasto stordito quando lei gli aveva rivelato di aver invitato venti membri della sua famiglia per Natale, e lei stessa, a dire il vero, ne erastata sorpresa, quando li aveva contati tutti, non aveva fatto obiezioni né sul numero né sul caratteredei suoi ospiti. Forse, se gliene avesse dato il tempo, l’avrebbe fatto, ma non era accaduto, prima che lei decidesse di mettersi a discutere con lui, nel suo solito modo di reagire quando si sentiva nervosa o imbarazzata.

Avrebbe voluto scusarsi anche per aver distrutto quella figurina di porcellana, che era stata una delle sue preferite nella casa. Ma non l’aveva più visto quella sera, e neanche il giorno successivo, per poi incrociarlo soltanto brevemente nel corso di quello dopo ancora. E lui le si era inchinato con fredda formalità, fissandola con uno sguardo gelido e sprezzante e parlandole con unavoce pari alla sua espressione. Così, lei aveva ricordato il motivo per cui aveva invitato tante persone e per cui i suoi nervi erano stati tanto tesi quella sera in biblioteca, e le sere precedenti.

Aveva un’amante. Faceva quelle cose con un’altra donna, quando aveva una moglie. Non che avesse importanza, per lei, naturalmente. Avrebbe preferito mille volte che lo facesse con un’altra, piuttosto che con lei. Eppure, per cinque giorni si era sentita detestabile, brutta e sola, sebbene si fosse ripetuta che la sua vita era esattamente quella che desiderava. Non voleva quell’uomo nel suo letto, anche se avrebbe voluto un figlio. E aveva passato cinque giorni a desiderare Wilfred, pur cercando di non pensare a lui. E a ricordare la bionda e delicata Dorothea Lovestone.

Perciò, aveva indurito il cuore e non si era scusata. E ormai era troppo tardi. Troppo tardi per ripristinare perfino quella poco soddisfacente civiltà nei loro rapporti giornalieri.

Si riscosse bruscamente dai suoi pensieri alla vista di un cavaliere solitario al lato della strada, che tratteneva la sua cavalcatura mentre osservava la carrozza in avvicinamento. Un brigante!, pensò, ed era sul punto di voltarsi verso il marito per avvertirlo, ma l’uomo fece girare il cavallo e partì al galoppo dinanzi a loro, allontanandosi. Forse aveva avuto semplicemente

un’incertezza riguardo alla direzione da prendere.

Quanto mancava ancora?

«Arriveremo al villaggio entro pochi minuti,» affermò improvvisamente il conte, come se le avesse letto nei pensieri «la villa è a dieci minuti di distanza.»

Era la frase più lunga che avesse pronunciato da quando era cominciato il loro viaggio. E forse nell’intera settimana. Lei non distolse lo sguardo dal panorama all’esterno.

«Resteremo lì per tutto il prossimo anno» dichiarò lui. «Questo luogo e le persone che vi abitano diventeranno familiari per voi, mia signora. Credo sia meglio dimenticare l’ultima settimana e lasciarcela alle spalle. Dato che dovremo sopportarci a vicenda, sarebbe giusto farlo conla dovuta civiltà.»

Lei deglutì. Le stava offrendo di nuovo un ramoscello d’olivo.

«Inoltre, la prossima settimana avremo degli ospiti da intrattenere» continuò il conte. «Ventiquattro ospiti, per la precisione. Sarebbe maleducato da parte nostra non offrire loro un Natale sereno. Non trovate anche voi?»

«Sì» ammise lei.

«Molto bene, allora» rispose il conte. Vi fu un lungo attimo di silenzio. «Avevo messo fine al mio rapporto con Alice Freeman pochi giorni prima che voi mi parlaste di lei. Vi chiedo perdono per non averlo fatto prima del matrimonio.»

Lei si sentì invadere dall’umiliazione. Quando gli aveva parlato con tanto disprezzo, lui aveva già chiuso il rapporto con la sua amante. E le aveva chiesto scusa. Lei avrebbe voluto chiedergli perdono per aver infranto il loro accordo, per aver costretto entrambi a una settimana di silenzio e dispiacere. Tentò di trovare le parole giuste.

Ma poco dopo fu distratta dal suono di... campane? Nonostante il rumore della carrozza e degli zoccoli dei cavalli, riusciva a sentire quei rintocchi festosi.

«Oh, cielo» mormorò suo marito. «Lo temevo.»

Lei lo fissò con aria interrogativa.

«Se siete in grado di sorridere, mia signora,» le disse lui «sarà meglio che lo facciate adesso. Stiamo per ricevere un tradizionale benvenuto di campagna.»

«Cosa?» domandò lei, guardandolo stupita.

«Il conte di Falloden sta tornando a casa con la sua nuova sposa» spiegò lui. «Saremo accolti di conseguenza. Mi chiedo come abbiano fatto a sapere che stavamo arrivando.»

L’uomo a cavallo, pensò Eleanor. E sentì il cuore prendere a battere forte, mentre la carrozza procedeva lungo la strada principale del villaggio, e poté vedere che ogni finestra e ogni porta erano state decorate di nastri bianchi, e ogni abitante sembrava essere uscito in strada per vederli passare. Qualcuno li salutava agitando un fazzoletto e tutti sorridevano ampiamente.

«Sorridete!» le raccomandò il marito. «E ricambiate il saluto.»

Eleanor obbedì. E per la prima volta, iniziò a capire quanto il suo matrimonio le avrebbecambiato la vita, e cosa significava essere una contessa.

La carrozza si fermò di fronte alla locanda del villaggio e un gentiluomo in abiti ecclesiastici le si inchinò mentre suo marito la aiutava a scendere, e una signora si profuse in un’aggraziata riverenza, al suo fianco. Il reverendo Jeremiah Blodell era onorato di conoscere la contessa di Falloden, e la pregava di concederle l’onore di presentarle sua moglie, Mrs Blodell. Eleanor controllò il suo primo impulso, che era stato quello di tendergli la destra, e invece chinò cortesemente il capo, sorridendo al reverendo e a sua moglie.

Poi suo marito le tese il braccio, accompagnandola attraverso la sala della locanda, dovedue cameriere dalle cuffie inamidate li salutarono con una profonda riverenza, e su per le scale, oltre i salotti adibiti alla loro accoglienza e fino al balcone che dava sulla strada. Non era un villaggio molto grande, ma a Eleanor sembrò che tutti i suoi abitanti si fossero riuniti in strada. Qualcuno chiese di gridare tre urrà, e la folla lo fece con entusiasmo.

Quando tornò il silenzio, suo marito la prese per mano presentandola agli abitanti del villaggio come sua sposa e nuova contessa di Falloden. Dopo gli applausi che seguirono all’annuncio, e le sue brevi parole di ringraziamento per quel caloroso bentornato, il reverendo Blodell si produsse in un lungo discorso, che Eleanor, agitata com’era, non riuscì a seguire. Nuovi applausi e acclamazioni lo seguirono. Lei sollevò una mano in un breve cenno di saluto, e qualcuno in mezzo alla folla fischiò di ammirazione.

Le due cameriere della locanda e due servitori portarono vassoi con calici di champagnee tartine nelle sale adibite alla loro accoglienza, quando si allontanarono dal balcone per tornare all’interno. E i cittadini più importanti del villaggio, nonché alcuni degli agricoltori più facoltosi, li raggiunsero al piano di sopra.

Per i successivi dieci minuti, Eleanor si strinse al braccio del marito, mentre lui la presentava a un numero apparentemente infinito di persone, e lei tentava disperatamente di memorizzare nomi e volti. Era un’abilità che suo padre aveva sempre cercato di farle esercitare. Negli affari, diceva sempre, era saggio ricordare il nome di chiunque, anche di una persona incontrata una volta sola dieci anni prima. Faceva una buona impressione. Suggeriva alle persone che si era interessati a loro personalmente, non soltanto agli affari e al denaro.

Le persone venute a brindare alla sua salute e a quella di suo marito e a mangiare tartineerano per la maggior parte i commercianti del villaggio: il macellaio, il fabbro, il merciaio, e altri ancora. Eleanor si rilassò gradualmente, quando si rese conto che non c’era nulla di minaccioso in loro, e che sembravano pronti ad apprezzarla e ammirarla, perfino. Anche se erano a conoscenza delle sue origini, per loro non sembrava avere alcuna importanza. Forse, a loro piaceva l’idea di avere una contessa della sua estrazione piuttosto che la figlia di un nobile.

Infine lasciò la presa sul braccio del marito e si mise a conversare con il macellaio, un mezzadro, e le loro mogli. Poi si ritrovò a chiacchierare con la figlia zitella di un vicario e con il maestro della scuola e con Mrs Blodell, e poco dopo con un altro gruppo di persone.

Improvvisamente, cominciò a sentirsi molto felice. In modo quasi inebriante. Le

sembrava di essere tornata a casa, anche se non era mai stata in quel luogo né aveva mai parlato prima con quelle persone. E anche se non aveva ancora visto Grenfell Park. Ed era lieta di poter rimanere lì per un anno, senza dover tornare a Londra dopo Natale. Sebbene fosse sempre vissuta lì e avesse creduto di non poter essere felice altrove, non voleva più tornare in città. Nell’ultimo mese,era stata molto infelice, a Londra.

Forse, pensò con un timido accenno di speranza nato in quel momento, le cose sarebbero potute andare diversamente, ora che erano in campagna. Lanciò uno sguardo a suo marito, che stava ridendo a una battuta del locandiere, dall’altra parte della sala. Non ricordava di averlo mai visto ridere prima di allora. Sembrava più giovane, spensierato e molto, molto bello. Qualcosa, dentro di lei, fremette, dolorosamente e inaspettatamente.

Infine, ripresero il viaggio, lasciandosi alle spalle il villaggio e oltrepassando quasi subito i due massicci montanti di pietra di un cancello e due portinerie gemelle, procedendo poi lungo una tortuosa strada costeggiata da filari di olmi, mentre l’oscurità scendeva su di loro.

«Avrei dovuto avvertirvi» ammise suo marito, seduto accanto a lei. «Ma non pensavo che la tradizione sarebbe stata rispettata. L’ultima sposa passata di qui è stata mia nonna. Spero che questa situazione non vi abbia messo troppo in imbarazzo. Vi siete comportata molto bene.»

Ancora una volta, le sembrò di leggere un tono altezzoso nella sua voce. Forse non si era aspettato che si comportasse a modo? «Erano persone con cui non potevo che essere a mio agio» ribatté. Ma si rese conto del sarcasmo che trapelava dalla sua voce e se ne pentì. Forse si sarebbe trasformata davvero in un’odiosa bisbetica, se non fosse stata attenta. «Mi sono piaciuti molto, mio signore. Sono stati tutti molto gentili.»

«Molto bene» disse lui. «Ma sarà meglio che non vi rilassiate troppo, mia signora. Se al villaggio avevano fatto tutti questi preparativi per darci il benvenuto, sono piuttosto certo che avranno fatto altrettanto in casa. I servitori saranno tutti allineati nella sala grande, e si aspetteranno che ci fermiamo a controllare che sia tutto in ordine e che scambiamo due parole con alcuni di loro. Ci saranno acclamazioni e applausi. Vi prego di continuare a sorridere ancora per un po’.»

Lei lo guardò, ma il conte aveva il viso rivolto completamente in avanti, e quasi contro il vetro. Probabilmente, già cercava di scorgere la villa davanti a loro. Tutti i servitori della casa da salutare? Sentì un lieve fremito di nervosismo all’altezza dello stomaco. E al tempo stesso una certaeccitazione.

Per un attimo, le dispiacque molto che il loro non fosse un normale matrimonio, che suomarito non potesse condividere con lei la felicità e l’entusiasmo di rivedere i propri luoghi, e che leinon potesse condividere con lui la gioia che stava provando nel rendersi conto di sentirsi a casa, in questa sua nuova dimora, prima ancora di averla vista. Sarebbe stato meraviglioso potersi tenere permano guardandosi negli occhi e sorridersi.

Ma almeno, pensò, lui era riuscito a ristabilire dei rapporti civili tra loro, con le sue parole. Doveva essergli grata per quelle piccole concessioni.

E non aveva più un’amante. E si era scusato con lei per averne avuta una.

7

Gli ospiti sarebbero arrivati quattro giorni prima di Natale. Gli amici del conte sarebbero dovuti giungere una settimana prima, ma lui aveva chiesto loro di ritardare la partenza. Aveva anche dato loro la possibilità di declinare l’invito, spiegando che quel Natale a Grenfell sarebbe stato un grande ritrovo di famiglia. La famiglia di sua moglie. E tuttavia, incredibilmente, tutti e quattro avevano deciso comunque di venire.

«Dopotutto, Falloden,» aveva detto Lord Charles Wright, più onestamente degli altri tre «nessuno di noi ha altri posti dove andare, e il Natale è il momento più triste dell’anno, se lo si trascorre in solitudine.»

Aveva ragione. Era il periodo peggiore di tutti. Lord Charles non parlava mai della sua famiglia, e di sicuro non ne aveva una che l’avrebbe accolto con gioia durante le feste. Bertie aveva una madre e diverse sorelle, ma diceva sempre che le loro vite erano totalmente incentrate sui loro figli. Si sentiva a disagio, con loro, e temeva sempre che qualcuna di loro iniziasse a pensare a lui quando si parlava di futuri matrimoni. Quanto a Badcombe, aveva litigato con suo padre e suo fratello anni prima, e gli era stato proibito di tornare a casa. Sotherby era stato sposato per due anni, e poi sua moglie era morta di parto. La sua famiglia viveva vicina al confine scozzese.

Soltanto Bertie aveva esitato, prima di decidere di unirsi ai festeggiamenti. «Forse tua moglie non lo gradirebbe, Randolph» aveva obiettato. «Siete appena sposati, sai come vanno questecose...»

«Ma sa bene che ho invitato quattro amici» gli aveva risposto il conte. «Inoltre, lei ha invitato una ventina di parenti.»

Sir Albert era sembrato perplesso. «Non lo so» aveva ammesso. «Forse farei meglio a mettere la testa sul ceppo davanti a mia madre e alle mie sorelle, quest’anno, dopotutto.»

«Bertie,» gli aveva detto il conte «non lasciarmi da solo nel momento del bisogno. Quattro contro venti. Sei o no il mio migliore amico?» Era quanto di più vicino fosse riuscito ad andare dall’ammissione che il suo matrimonio non fosse poi così perfetto. «Dimenticavo: non era lei l’amica volgare di Pamela Hutchins di cui mi avevi parlato, vero?»

«No» aveva risposto vagamente l’amico. «E quelle venti persone fanno parte della famiglia di tua moglie, Randolph? Non sapevo che avesse fratelli o sorelle.»

«No, si tratta di zie, zii e cugini, a quanto ho capito» aveva risposto il conte. «A quanto pare, per lei sono molto importanti, Bertie. Hanno sempre trascorso le festività insieme. Non vedo l’ora di conoscerli tutti» aveva aggiunto, galantemente e in modo non del tutto sincero. «Tutti e venti, inclusi i due bambini.»

«Oh, signore.» Sir Albert aveva fatto una smorfia, grattandosi la testa. «Probabilmente

cominceranno a chiederti dei favori, Randolph. A quella gente sembrerà incredibile che una di loro sia riuscita a entrare nei nostri ranghi. E ci saranno sicuramente tante cugine nubili e piene di speranze, tra loro.»

Il conte si era irrigidito. «È bene ricordare» aveva affermato «che il padre di mia mogliemi ha restituito Grenfell, Bertie, tra le altre cose.»

«Oh.» L’amico l’aveva osservato con interesse. «Quanto fervore, Randolph! Sbaglio o sei un po’ troppo suscettibile sull’argomento? Tuttavia, scusami, vecchio mio.»

«È mia moglie» aveva ribadito il conte. «La mia contessa, Bertie.»

Sir Albert aveva sbuffato sonoramente. «Allora per te è così importante che io venga, Randolph?» aveva chiesto infine. «D’altronde te l’avevo promesso, giusto? Oh, be’, sarà un’esperienza indimenticabile, immagino.»

Non era stato, in effetti, così entusiasta di accettare, ma il conte sentiva il bisogno della presenza dei suoi quattro amici, in particolare di Bertie. E sicuramente sarà un’esperienza indimenticabile, pensò nei giorni precedenti all’arrivo degli ospiti. Chiassosi e sfrenati, li aveva definiti lei. E volgari. A volte si sentiva prossimo a cedere a un attacco di panico.

Ma non c’era tempo per angosciarsi. Nel periodo precedente all’arrivo degli ospiti e al Natale ormai imminente, trascorse ore intere in compagnia del suo amministratore, controllando i conti con lui e facendo visita alle fattorie sparse per le sue terre. Quell’impegno gli piacque da subito, perché adesso non c’era più il terrore di poter perdere tutto, e poteva ascoltare le lamentele e i suggerimenti dell’amministratore e dei mezzadri con attenzione e comprensione. Poteva acconsentire alle migliorie necessarie, sapendo che adesso aveva il denaro per coprire quelle spese. Poteva dare qualche suggerimento lui stesso. E quando ricontrollò le rendite pagate da alcuni dei suoi mezzadri più poveri, poté accettare di abbassarle.

C’erano visite da fare e da ricevere, a volte da solo, altre in compagnia della moglie. Non si videro molto, e non perché avevano scelto deliberatamente di evitarsi, ma perché lei era occupata quanto lui. Il maestro voleva che visitasse la scuola e ascoltasse i suoi alunni impegnati nella lettura. La moglie del pastore desiderava il suo aiuto per il concerto di Natale dei bambini.

E lei desiderava trascorrere del tempo con il maggiordomo, in modo da imparare le regole della casa, e prodigarsi a gestirla lei stessa. Voleva sapere chi erano gli anziani e gli ammalati, così da poter fare loro visita regolarmente, e portare loro dei doni di Natale. Voleva anche portare personalmente dei cesti natalizi a tutti i mezzadri delle fattorie e alle loro famiglie.

Lui ne era rimasto molto colpito. Eleanor si stava comportando quasi come se fosse stata addestrata fin da fanciulla a conoscere la vita e le responsabilità di una nobildonna. Ed era anche colpito dall’apprezzamento che aveva suscitato nel vicinato e nella casa. I servitori avevano cominciato a adorarla da quando aveva trascorso più di un’ora, dopo il loro arrivo, a parlare con ciascuno di loro, perfino con Sally, la sguattera, che era zoppa e aveva difficoltà di pronuncia. Eleanor le aveva parlato con dolcezza, sorridendo molto. Fino al momento del loro arrivo in campagna, lui non aveva neanche immaginato che sapesse sorridere in quel modo. Ed era bellissima, quando lo faceva.

Dopo qualche giorno, aveva iniziato a pensare che era stato un bene, per loro, andare in campagna. Sembrava il luogo perfetto per entrambi. Aveva temuto, in realtà, che lei, da cittadina quale era, non potesse sentirsi a suo agio a Grenfell. Ma le passeggiate e le gite in carrozza che faceva ogni giorno le avevano ben presto colorato le guance, e lui aveva ricordato quanto era rimasta reclusa in casa, dopo la morte del padre.

Naturalmente, quel pensiero gli ricordò anche che lei stava mostrando ben poco rispetto per quel padre defunto, ma, a parte ciò, iniziava a sperare che sarebbero riusciti a convivere quasi amichevolmente per l’anno che li attendeva. Se soltanto l’arrivo della famiglia di lei e dei suoi amici non avesse reso tutto così incerto! Temeva il momento in cui sarebbero giunti, in tutta onestà.

Era quasi deciso a raggiungerla nella sua stanza, la notte precedente al loro arrivo. Riteneva che fosse il momento giusto per girare pagina e provare a ridare un senso al loro matrimonio. Forse non sarebbe sembrato strano, stare con lei, ora che tutto era strano e diverso da come era stato nei primi tempi della loro confidenza. E non provava disgusto all’idea di andare a letto con lei. Anzi, era il contrario. Si rese conto, con una certa sorpresa, di desiderarla. Desiderava sua moglie. Gli si mozzava il respiro, quando ripensava alla passione della loro prima notte di nozze.

Ma mentre stava per posare la mano sul pomolo della porta che collegava i loro camerini, sollevando l’altra per bussare, la sentì chiacchierare con la cameriera, dall’altra parte, e perfino ridere. Sembrava così felice. Era un suono strano, quello, per lui. Non riusciva a immaginare sua moglie mentre rideva allegramente. Forse, pensò improvvisamente, era stata sempre così, prima di sposarsi. Forse era stato lui a privarla della gioia e del sorriso. O forse la sua ambizione di unirsi a un nobile del regno.

Inizialmente, pensò di attendere finché la cameriera non si fosse congedata. Appoggiò lafronte alla porta e chiuse gli occhi, provando a immaginare come lo avrebbe accolto. Con un sorriso? Ne dubitava fortemente. Con indifferenza? Ne sarebbe stato gelato. Con ostilità? Avrebbe visto il suo mento sollevarsi ancora una volta e quel luccichio bellicoso balenarle negli occhi? E allora avrebbe atteso la minima occasione per rivolgerglisi con sarcasmo, discutendo con lui fino a costringerlo a risponderle con qualche freddo insulto? E a quel punto, il risultato sarebbe stato forse una replica di quanto era accaduto nella loro prima notte di nozze, con una lotta per il predominio da parte sua, senza sapere nulla di ciò che stava provando lei?

Sarebbe stato un terribile inizio della loro nuova vita insieme. Un modo orribile di accogliere il Natale. Forse non sarebbero riusciti a riconciliarsi da un nuovo litigio in tempo per l’arrivo degli ospiti. E già sarebbe stato fin troppo difficile così. No, non sarebbe andato da lei quella notte, decise infine. Forse dopo Natale. Forse, dopo la partenza degli ospiti, quando fossero stati di nuovo soli e tranquilli insieme, rendere più vero il loro matrimonio sarebbe stato più naturale e semplice. Tornò con riluttanza nella propria camera, e restò sveglio, rigirandosi a lungo nel letto prima di riuscire ad addormentarsi.

Ma alla fine, prima che i loro ospiti arrivassero, si ritrovò a pensare che, tutto sommato, le cose stavano andando ragionevolmente bene. Il suo matrimonio non si era rivelato l’incubo che inizialmente era sembrato.

Gli ospiti arrivarono prima della neve. E l’imminente nevicata li colse di sorpresa.

«Guardate» disse quella mattina suo marito, a colazione, osservando il cielo fuori dalla finestra. «Quelle sono nuvole cariche di neve, ne sono certo. Avremo la neve a Natale.»

«Oh,» mormorò lei, seguendo il suo sguardo «credete? Ma non nevica mai a Natale. I primi giorni di dicembre, spesso, e poi sicuramente a gennaio. Ma mai a Natale.»

«Quest’anno sarà un’eccezione» commentò lui. «Potrei scommetterci. Ma spero che arrivino tutti prima che cominci a nevicare.»

«In ogni caso, si trasformerà tutto in fango entro domani» affermò Eleanor.

Lui la guardò e sorrise. «Questa è la campagna, mia signora,» le ricordò «non Londra. Qui la neve resta dove è giusto che rimanga. E si accumula sui rami degli alberi e il vento la fa ammucchiare, per la gioia di tutti i bambini, e poi si può attraversare soltanto in slitta... con i classici sonagli, naturalmente.»

«Oh, che meraviglia!» commentò lei, malinconicamente. «Siete certo che non siano nuvole di pioggia, mio signore? Vi sbagliate mai?»

«Sono infallibile» dichiarò lui. «Secondo soltanto al Padreterno.»

Era la prima volta che le diceva qualcosa di lontanamente scherzoso. Lei gli sorrise, un po’ incerta.

Ma gli ospiti arrivarono nel pomeriggio, e la neve non cominciò a cadere che la sera, e soltanto durante la notte prese a scendere più fitta.

Sir Albert Hagley fu il primo a giungere, insieme al visconte Sotherby. Quest’ultimo le prese la mano, dopo la presentazione di suo marito, sorridendo e portandola alle labbra.

«È stato davvero gentile da parte vostra, Lady Falloden, volerci invitare qui con la vostra famiglia» affermò. «La mia è molto lontana, purtroppo.»

Le piacque immediatamente, e sospirò mentalmente di sollievo. Almeno uno degli amici aristocratici di suo marito non l’avrebbe trattata con disprezzo. Neanche Sir Albert si comportò altezzosamente con lei, naturalmente, ma Eleanor pensò che probabilmente entrambi ricordavano bene il momento in cui, durante quel disastroso party estivo, lui aveva tentato di flirtarecon lei, arrivando a sfiorarle un seno con il braccio mentre passeggiavano, e lei aveva reagito raccontandogli una barzelletta un po’ volgare che una volta uno dei soci di suo padre aveva tirato fuori in sua presenza, venendo rimproverato subito dopo per averlo fatto. L’aveva raccontata con unforte accento da popolana, per poi ridere sguaiatamente. A quel punto, lui non l’aveva più avvicinata per il resto del soggiorno, ma lei non aveva abbandonato quell’accento o i modi volgari. Non era stato l’unico gentiluomo a cercare di prendersi delle libertà con lei.

In quel momento, la salutò come l’aveva salutata il giorno del matrimonio, rifuggendo ilsuo sguardo e con esagerata cortesia. E poi si volse a salutare suo marito con un certo sollievo e in modo decisamente più spontaneo. Eleanor desiderò che avesse trovato una scusa per non venire. Maera il migliore amico di suo marito, e lei non avrebbe permesso che la sua presenza le guastasse l’umore. Certo che no. Sollevò deliberatamente il mento.

Lo zio Sam Transome, fratello maggiore di suo padre, fu il secondo ad arrivare, insiemealla zia Irene e al cugino Tom con sua moglie Bessie e i due figli, Davie e Jenny. Lo zio diventava più largo, tondo e florido ogni volta che lo vedeva, pensò Eleanor, lasciandosi andare a un’espressione deliziata quando li vide entrare nella grande sala d’ingresso, e vedendolo aprire le braccia per stringerla a sé finché non pensò che le avrebbe strizzato via ogni traccia d’aria dai polmoni.

«Ellie!» esclamò. «Bella come un dipinto ed elegante come una vera signora. Oh, e sei una signora davvero. Dovrò chiamarti ‘milady’, ora, e farti la riverenza per salutarti, eh? Eh, Irene? Come dici? Ah, ‘inchinarsi’, si dice? Dovrò inchinarmi davanti a te, Ellie? Mi spiace tanto per tuo padre, tesoro. Più di quanto possa esprimere a parole. Joe era proprio un brav’uomo, il più bravo e intelligente di tutti noi. Ed era generoso. È sempre stato generoso. Mi manca tantissimo.» E di nuovo la abbracciò stretta.

Non indossavano il lutto. Eleanor notò con sollievo quel particolare, rilassandosi in quell’abbraccio e respirando il profumo familiare di cuoio e tabacco da pipa. Avevano assecondato il suo desiderio e quello di suo padre.

Infine, si districò dalle braccia dello zio e arrossendo lanciò uno sguardo al suo silenzioso e impassibile marito. Cosa doveva pensare? Fece le dovute presentazioni. «Lo zio Samuel fa il macellaio, mio signore» soggiunse, sollevando appena il mento. «E probabilmente è il miglior macellaio di Bristol.»

«Già, ragazzo mio, questo è ciò che faccio» disse lo zio con modestia, stringendo con decisione la mano di Falloden nella sua, grande e forte. «E... ‘milord’, giusto?» Ammiccò vistosamente. «Spero non ti farai chiamare così anche quando siete in intimità, eh, giovanotto?»

Eleanor rischiò di scoppiare in una poco appropriata risatina, e si domandò quand’era stata l’ultima volta in cui suo marito era stato chiamato ‘giovanotto’. Lui conversò amabilmente conla zia Irene e con Tom e Bessie, e scambiò qualche parola anche con i due bambini, prima di affidarli a Mrs Turner, una balia che era stata chiamata per l’occasione dal villaggio.

E poi tutti gli altri sembrarono arrivare insieme, e il pomeriggio trascorse tra saluti, sorrisi, strette di mano e viaggi al piano di sopra con il maggiordomo e poi di nuovo di sotto per prendere il tè nella sala grande.

L’onorevole Mr Timothy Badcombe era un giovane magro e serioso, che tuttavia non sembrò troppo sconcertato di ritrovarsi all’ingresso insieme allo zio Ben Transome, alla zia Eunice e alla cugina Rachel. Lo zio Ben era corpulento e chiassoso quasi quanto lo zio Sam, sebbene dichiarasse di non poter pronunciare neanche una parola fuori posto quando era in presenza della zia Eunice. Era il proprietario di una locanda poco fuori Bristol.

Anche lui abbracciò Eleanor come se volesse frantumarle le ossa e le sussurrò le sue condoglianze all’orecchio. La zia Eunice la baciò, e sua cugina Rachel le prese una mano, stringendola dolcemente.

«Il papà ha pianto tanto, Ellie» le sussurrò. «E anche la mamma e io. Lo zio Joe era il mio preferito, anche se voglio tanto bene allo zio Sam. Povera Ellie. Però... che splendido matrimonio.»

Eleanor le strinse la mano a sua volta. Non aveva tempo, in quel momento, per scambiare due parole in più con la sua cugina preferita.

Lord Charles Wright giunse quasi nello stesso momento in cui arrivarono la zia Beryl Weekes e la zia Ruth Transome, sorelle del padre di Eleanor, insieme alle cugine Muriel e Mabel Weekes. La zia Ruth, che ovviamente era andata in brodo di giuggiole all’idea di essere invitata a casa di un conte, scambiò Lord Charles per il suo ospite, e ci vollero parecchi sussurri, ciascuno leggermente più alto del precedente, per farle capire infine chi fosse il vero conte di Falloden, nonché il marito della sua cara Ellie. A quel punto, poté sciogliersi in lacrime tra le braccia della nipote per piangere la scomparsa del miglior fratello al mondo.

«E, ne sono certa, anche il padre più caro, tesoro» affermò.

La zia Beryl spiegò, nel suo tono di voce stridente, che la zia Ruth aveva avuto le palpitazioni quella mattina stessa, al pensiero di raggiungere Grenfell Park, ma non seppe spiegare perché le fosse accaduto, visto che erano sempre state abituate agli inviti di Lord Sharples, mentre Mr Weekes era ancora uno dei suoi più importanti mezzadri.

Eleanor lanciò diverse occhiate a suo marito, con il mento deliberatamente alto, aspettandosi il suo disprezzo. Ma non c’era altro che attenta cortesia, nella sua espressione.

E poi, poco più tardi, arrivarono anche la zia Catherine Gullis, sorella della madre di Eleanor, lo zio Harry e i cugini George, Susan, Harvey e Jane. Lo zio Harry era un facoltoso mercante di tessuti a Bristol, ed era ricco quasi quanto lo era stato Joseph Transome. Suo nonno era baronetto e per questo era sempre stato oggetto di battute di spirito da parte del padre di Eleanor, e dello zio Sam e dello zio Ben. La zia Catherine abbracciò subito la nipote, senza una parola.

«Povera Ellie» mormorò infine. «Uno splendido matrimonio e la dipartita del tuo povero papà, tutto insieme. Deve essere stato sconvolgente.»

Subito dopo arrivarono il cugino Aubrey Ellis, un mezzadro, che in realtà era cugino di suo padre e che era stato quasi come un fratello, per lui. Era vedovo, ma non si era presentato da solo. E alla fine, nella villa si ritrovarono ospiti ben ventuno membri della sua famiglia. Il figlio del cugino Aubrey l’aveva accompagnato, sebbene non fosse stato invitato.

«Ho pensato che non ti sarebbe dispiaciuto se fossi venuto, Ellie,» spiegò, in tono piuttosto alto «visto che ci siamo sempre riuniti tutti, in queste occasioni. A dire il vero, io e mio padre abbiamo considerato che il tuo invito dovesse includere implicitamente anche me.»

«Ma certo» rispose il conte, tendendogli la mano. «Volevamo assolutamente che tutta lafamiglia di mia moglie fosse qui per festeggiare il Natale con noi.» E poi le lanciò uno sguardo interrogativo.

«Wilfred Ellis, mio signore» lo presentò lei. «Mio cugino di secondo grado. Fa lo spedizioniere a Bristol.»

«Oh, ho fatto strada da allora, cara Ellie» dichiarò lui, mentre stringeva la mano a suo marito. «Adesso sono socio del proprietario. Non lo sapevi?»

«No» rispose lei. «Non lo avevo saputo. Congratulazioni, Wilfred.»

Troppo tardi. Due mesi troppo tardi. Se fosse accaduto due mesi prima, probabilmente avrebbe risposto diversamente alla sua lettera. Avrebbe avuto la posizione e il reddito, come socio della sua compagnia, per poterla sposare. Si sentì improvvisamente soffocare. Pensò ai baci che si erano scambiati, insieme alle promesse di amore eterno, l’estate precedente, alla festa di compleanno per la maggiore età di Muriel Weekes. Si costrinse a scacciare quei pensieri e guardò il marito, che stava affidando gli ultimi arrivati al maggiordomo con tutta la cortesia del suo rango.

E di colpo, si ritrovarono da soli nella sala d’ingresso, sebbene dal salone venisse già il rumore di animate e allegre conversazioni. Lei lo guardò negli occhi, sollevando il mento.

«Sono giunti tutti sani e salvi prima della neve, grazie al cielo» commentò lui.

Sembrava così elegante, calmo e raffinato, pensò Eleanor, e l’ingresso pareva così silenzioso, dopo gli arrivi chiassosi e quasi caotici di tutti i membri della sua famiglia. Si sentiva molto sulla difensiva. Non che si vergognasse dei suoi familiari, di questo era certa. Non se ne vergognava affatto. Li amava teneramente, tutti quanti, come aveva sempre fatto. Ma venivano da un mondo totalmente diverso da quello che apparteneva a suo marito. E lei non desiderava vederli attraverso i suoi occhi. In quel momento, si ritrovò a desiderare di non averli mai invitati.

«Non mi vergogno di loro» sussurrò, quasi sibilando. «Non vi aspettate che lo faccia.»

Lui sollevò le sopracciglia, mentre il suo sguardo si induriva, fissandola intensamente. «C’era bisogno di queste parole?» domandò. «Mi sono forse comportato da aristocratico altezzoso, mia signora? Ho forse mostrato condiscendenza... o disprezzo?»

«No» ammise lei. «Naturalmente no. Voi siete un gentiluomo.» E sicuramente era anchemolto bravo a nascondere i propri veri sentimenti.

«Ah» rispose lui. «Quindi secondo voi è solo questo che mi ha permesso di mascherare il disappunto, giusto?»

Eleanor non rispose. Desiderò di non aver mai dato inizio a quella discussione. Del resto, cosa le importava della sua opinione?

«Molto bene» dichiarò il conte. «Perlomeno, avrete questa consolazione, nei giorni a venire, mia signora. Sono troppo ben educato per rivelare il mio disgusto nel dover ospitare in casa mia un mucchio di volgari mercanti e simili. Un locandiere? Santo cielo! E un macellaio? Mi vengono i brividi al solo pensiero. Ma solo mentalmente, non temete. Il mio atteggiamento e la mia voce rimarranno cortesi.»

Era stata lei a cominciare. Non poteva certo biasimarlo. Ma non riuscì neppure a scusarsi. E se lui stesse davvero pensando quelle cose? Se davvero disprezzava la sua famiglia, le persone che avevano sempre costituito il suo mondo? E anche se così fosse? Sapeva benissimo di rendersi la vita impossibile da sola, ma non poteva farci niente.

Vide suo marito tenderle il braccio e rivolgerle un cortese inchino. «Vogliamo unirci ai nostri ospiti, dunque?» le domandò.

Lei gli si appoggiò al braccio ed entrarono insieme nel salone. E sorrisero. Agli ospiti, ma non l’uno all’altra.

Eleanor pensò che alla fine Wilfred era venuto, e sentì il cuore stringersi nel petto. Era al piano di sopra, proprio in quel momento. Ben presto sarebbe sceso, e lei sarebbe stata costretta a guardarlo, conversare con lui, sorridergli. Come se non fosse mai stato altro che un cugino, per lei. Come se la mente non facesse paragoni.

Per la prima volta da quando era giunta a Grenfell Park, la felicità che aveva provato si era dileguata del tutto, lasciando al suo posto una cupa depressione. Di colpo sentì la mancanza di suo padre. E quel sentimento fu come un violento pugno nello stomaco, capace di privarla completamente del respiro.

Interpretare il ruolo dell’ospite cortese e socievole non era sempre facile, come scoprì il conte di Falloden prendendo il tè e, successivamente, a cena. In qualche modo, si era aspettato che i familiari di sua moglie fossero intimiditi dal fatto di essere stati invitati a Grenfell Park da un conte.Si era aspettato di dover usare le sue buone maniere per metterli a loro agio. Perfino gli arrivi chiassosi e le allegre conversazioni all’ora del tè non l’avevano fatto rendere pienamente conto dellaverità. Riteneva che non appena si fossero tutti seduti intorno al tavolo della cena, in un contesto piùformale, si sarebbero decisamente calmati.

Fu dunque con sua grande sorpresa che scoprì che le conversazioni, a tavola, erano altrettanto vivaci e rumorose, con tante risate e voci piuttosto alte. Non molti dei suoi ospiti sembravano osservare la regola cortese che avrebbe richiesto di conversare unicamente con i commensali più vicini. Lo zio Sam e lo zio Ben, in particolare, seduti di fronte e quasi ai lati oppostidel tavolo, spesso sentivano la necessità di scambiarsi battute di spirito. E ogni volta riuscivano a suscitare l’ilarità generale.

I suoi amici sembravano divertiti, scoprì il conte, quando lanciò loro un’occhiata curiosa. Tranne Bertie, che era tutto preso a conversare con Rachel Transome. La figlia dello zio Ben? Sì, lo zio Sam aveva soltanto un figlio sposato, Tom. Il conte stava cercando di ricordare diligentemente tutti i suoi parenti acquisiti. Quelle persone erano imparentate con lui attraverso il matrimonio, si rese conto, incredulo. Fino a quel momento, non ne era stato pienamente consapevole.

Lanciò un’occhiata alla moglie, che sedeva di fronte a lui, dall’altro lato della lunga tavola. Stava sorridendo anche lei, finché non notò il suo sguardo, e allora il sorriso si smorzò, e lei lo fissò con aria di sfida.

Lo aveva fatto di proposito? A quel punto, si trovò a domandarselo. Aveva invitato tuttala famiglia per il loro primo Natale a Grenfell Park nella speranza di sconvolgerlo? O invece li aveva invitati perché erano i suoi parenti, e ne aveva bisogno, nel suo primo Natale senza suo padre? Ma la risposta era ovvia. Lei non mostrava alcun segno di lutto, mentre quel suo modo di tenere il mento alto mostrava chiaramente che lo stava sfidando.

Avrebbe potuto cancellare quel pensiero con una risata. Non aveva niente contro i suoi parenti. Anzi, erano allegri e simpatici. Tuttavia, non aveva idea di come intrattenerli, dato che già sembrava chiaro che non si sarebbero conformati a nessuna ovvia regola di comportamento.

E lui che aveva desiderato l’arrivo del Natale, forse per la prima volta nella vita!

Nel salotto, dopo cena, tutti trovarono spontaneamente il modo di trascorrere il tempo.

Il conte aveva pensato di organizzare dei tavoli di carte per i più anziani, e magari di incoraggiare i più giovani a riunirsi intorno al pianoforte.

Ma lo zio Sam volle sapere dalla nipote quando sarebbero cominciati i festeggiamenti, epoco dopo, tutti si stavano organizzando animatamente per razziare il parco, il giorno seguente, e portare in casa tutto il vischio su cui fossero riusciti a mettere le mani.

«Vischio?» domandò sua moglie. «Ce n’è, nei dintorni, mio signore?»

C’era sempre stata la cerimonia del bacio sotto quella pianta, fin dai tempi dei suoi nonni. «Ci sono delle querce, a nord della casa» rispose. «Credo che il vischio venisse da lì, di solito.»

Dunque, era deciso. Sarebbero andati a setacciare i boschi, oltre che il parco. E già che c’erano, avrebbero trovato un ceppo di Natale, trascinando anche quello in casa.

«Dopotutto,» dichiarò lo zio Ben «non si può festeggiare il Natale senza un ceppo di Natale, giusto, Randy?»

Gli ci volle qualche istante per capire che si stava rivolgendo a lui. Serrò le labbra e resistette all’improvviso impulso di scoppiare in un’esplosiva risata. ‘Randy’? Scambiò uno sguardocon Bertie, o almeno ci provò, ma l’amico era di nuovo immerso in una fitta conversazione con Rachel.

«È così che possiamo chiamarvi, caro?» domandò la zia Eunice, volgendosi a lui dal gruppetto di signore riunite intorno al focolare. «Me lo domandavo. Dunque, dove sono le decorazioni, Randy? Quelli di noi che preferiranno restare al chiuso, domani mattina, potrebbero sceglierle e prepararle per quando tutto sarà portato in casa.»

Santo cielo. Decorazioni. Ghirlande, campanelli e cose del genere? E ce n’erano, da qualche parte? Ma ricordava di averle sempre viste, da piccolo.

«Suppongo siano in soffitta, signora» rispose. «Le farò tirare fuori domani.»

«Non ce n’è bisogno» affermò la zia. «Saliremo in soffitta noi stesse, e risparmieremo lafatica ai servitori, giusto, Beryl e Irene? E vi prego, chiamatemi zia Eunice. E, Catherine? E anche tu, Ruth? O forse la polvere ti fa starnutire troppo? Credo che ce ne sarà. Ce n’è sempre, nelle soffitte.»

Il conte aveva pensato di andare a caccia con i suoi quattro amici, il giorno dopo, e con chiunque dei parenti della moglie avesse voluto unirsi a loro. Ma Sotherby, a quanto sembrava, voleva accompagnare Tom e Bessie e i loro figli a cercare l’agrifoglio, mentre Wright e Badcombe stavano dicendo allo zio Sam che, certo, sarebbero stati ben lieti di aiutarlo a trovare il ceppo. E ne sembravano realmente deliziati. Il mondo, almeno quello che conosceva lui, sembrava essere improvvisamente impazzito. Santo cielo, i Transome che invadevano la sua casa e il suo parco, mentre lui se ne stava lì impalato a guardarli.

Aveva la sensazione che la casa non sarebbe più stata sua fino a dopo le feste natalizie. E si guardò intorno con la strana sensazione di essere finito in un sogno. I Transome e i Weekes e i Gullis avevano la strana capacità di riuscire a parlare tutti insieme, e di ascoltare allo stesso tempo.

George Gullis, a quel che vedeva, non riusciva a staccare gli occhi da Mabel Weekes, a cui non era affatto indifferente. Interessante.

Poi, proprio mentre iniziava a pensare di dover intervenire per organizzare il resto della serata, i più giovani si radunarono intorno al pianoforte senza che nessuno dovesse incoraggiarli, e Susan Gullis si sedette a suonare. Prima che passasse anche soltanto un minuto, la stanza si riempì di musica, o di quella che sarebbe stata considerata musica da un ascoltatore superficiale, perché tutta la famiglia si mise a cantare con entusiasmo le classiche canzoni di Natale. Anche Sotherby e Badcombe si unirono al coro. E, dato che non aveva nient’altro da fare e si sentiva troppo al centro dell’attenzione a rimanere con la bocca chiusa, anche il conte cominciò a cantare.

Quello sarebbe stato senz’altro il Natale più strano che avesse mai vissuto, considerò, mentre il suo sguardo si spostava attraverso la stanza, fino a raggiungere la moglie, in piedi accanto al pianoforte con Muriel e Mabel Weekes e la figlia più giovane dei Gullis, Jane, gli pareva, nonchéWilfred, l’ospite che si era aggiunto. Stava cantando. E gli sembrava tutto così strano, al ricordo deiNatali silenziosi e signorili che aveva trascorso con i suoi nonni.

Quella era la famiglia di sua moglie. Era quella la vita che lei aveva sempre conosciuto. Adunate familiari di quel tipo erano la norma, per quelle persone. Occasioni allegre, piene di calore e caos. E lei se ne stava in mezzo a loro, ne faceva parte, era una di loro. Per la prima volta, si rese conto di quanto la sua nuova vita dovesse sembrarle strana. Così come quella di lei sembrava strana a lui.

Tuttavia, c’era qualcosa, di quella situazione, che lo attirava. E lei ne faceva parte.

Si rese conto di non conoscerla molto. Anzi, quasi per niente. E, considerando quel pensiero, capì anche che avrebbe voluto conoscerla meglio. Era sua moglie, dopotutto. Avevano vissuto insieme per più di un mese. Aveva perfino condiviso con lei il letto matrimoniale, in un’occasione. E tuttavia, era una perfetta sconosciuta, per lui.

Una splendida sconosciuta, a dire il vero. Nonché orgogliosa, permalosa e pronta a rispondere a tono. Una sfida, nientemeno. Guardandola dall’altra parte della stanza, avvertì un fremito di desiderio nei lombi, e anche nel cuore. Avevano litigato quello stesso giorno e probabilmente l’avrebbero fatto ancora il giorno seguente. Ma sapeva che almeno per un po’, avrebbe comunque continuato a cercarla. Nonostante tutto. Nonostante la sua famiglia.

Quella consapevolezza in qualche modo gli fece provare un piacevole calore, e si ritrovò a sorridere alla zia Ruth, scatenando il suo entusiasmo quando si sedette sul bracciolo della sua poltrona.

8

Suo marito aveva avuto ragione, pensò Eleanor, sedendosi sul bordo del letto, con un brivido che la attraversava al primo impatto dell’aria fredda al di fuori del bozzolo caldo delle sue coperte, e notando la strana luce che proveniva da dietro le tende tirate della finestra. Oh, aveva avuto ragione. Dimenticò del tutto il freddo della stanza, che il fuoco appena acceso nel camino nonera ancora riuscito a disperdere, e corse alla finestra per arrampicarsi sulla poltrona e aprire le tende.

Spalancò gli occhi. Aveva visto, come tutti gli altri, del resto, che la sera prima stava nevicando, ma si era aspettata che, come sempre, la neve si trasformasse in pioggia, durante la notte. Si era aspettata soltanto un paesaggio fangoso e fradicio che avrebbe rovinato la loro ricerca di decorazioni natalizie.

Ma quello che vide le fece desiderare di mettersi a saltare di gioia come una bambina. C’era neve ovunque, una spessa coltre che ammorbidiva ogni angolo e copriva tutto, nascondendo strade e sentieri. Neve che piegava i rami degli alberi e aveva formato uno strato di diversi centimetri sul suo davanzale, fuori dalla finestra. Neve che scintillava nella debole luce del sole mattutino, come se per magia fosse stata spolverata di diamanti.

«Oh!» esclamò, rivolta alla stanza vuota. «Oh.» E scese nuovamente dalla poltrona, muovendo qualche passo verso il proprio camerino, prima di rendersi conto di dove stava andando. Istintivamente, aveva provato il desiderio di entrare di corsa nella stanza di suo marito per condividere con lui la meraviglia di quella scoperta.

Il solo pensiero di quello che era stata sul punto di fare bastò a farla arrossire violentemente. Cosa diavolo le era preso? Ci aveva litigato il giorno prima perché aveva temuto chelui si vergognasse della sua famiglia, e poi si era ritrovata addosso il suo sguardo sprezzante mentre le ricordava il mestiere dello zio Sam e dello zio Ben. Ma era stata lei a cominciare. Aveva temuto così tanto che lui non provasse altro che disgusto per tutti loro.

Ma perché si sarebbe dovuta preoccupare di una cosa simile? Se lo domandò per l’ennesima volta. Che importanza aveva, per lei? L’unico motivo per cui li aveva invitati era stato quello di sfidarlo per il fatto che aveva un’amante raffinata.

Abbassò lo sguardo sulle proprie mani e sentì la tristezza minacciare nuovamente il suo umore, mentre si rendeva conto di tenere all’opinione del conte. Era suo marito, d’altronde, e nonostante tutto, si era sentita gonfiare d’orgoglio, la sera prima, quando l’aveva guardato, dall’altraparte del salotto, sapendo che era suo. Nonostante il fatto che Wilfred le fosse rimasto più vicino che poteva. Aveva tentato di non fare caso a lui. E in quel momento cercò di non pensarci.

Ma c’era la neve, lì fuori, si ricordò, guardando nuovamente fuori dalla finestra, con gli occhi che brillavano di aspettativa. E poteva condividere quella gioia con i suoi cugini. Suonò il campanello per chiamare la cameriera e si affrettò a raggiungere il camerino.

Tuttavia, quando tornò poco dopo nella stanza da letto, con addosso un caldo vestito di lana, si rese conto che, per quanto si fosse affrettata, non sarebbe stata la prima a scendere. Sentì un grido allegro, e quando corse alla finestra, notò ben quattro persone già all’esterno. Oh, si stava perdendo tutto il divertimento, pensò, mentre tornava di corsa nel camerino, per prendere una calda mantella con tanto di cappuccio e un paio di guanti. Pochi secondi più tardi si affrettava giù per le scale, uscendo dalla porta d’ingresso, che un servitore con un gran sorriso stampato sul volto le tenne aperta. Non pensò neanche per un attimo che la sua espressione fosse inappropriata. Anzi, gli

sorrise ampiamente di rimando, mentre usciva.

Davie e Jenny erano lì, e prendendo la rincorsa, si lanciavano a capofitto nel grosso mucchio di neve soffice che si era accumulato alla base della fontana. Tom e Lord Charles stavano tirando palle di neve a Muriel e Susan, che si erano aggiunte al gruppetto di fuori prima che Eleanoruscisse.

Ma quando si fermò un attimo in cima alle scale dell’ingresso, recuperò un minimo di buonsenso. Era la contessa di Falloden, ed era stata sul punto di mettersi a giocare chiassosamente nella neve con i cugini di fronte a tutti, in particolare i suoi servitori. Era vero che non aveva neanche vent’anni e che era ben più giovane dei quattro adulti che nel frattempo avevano cominciato una rumorosa battaglia a palle di neve. Ma lei era una signora sposata, nientemeno che aun conte, per giunta.

Una palla di neve le centrò una spalla con un tonfo morbido, e Lord Charles, proprio lui,le sorrise divertito. In quel momento, altre persone uscirono dalla porta d’ingresso, alle sue spalle.

«Penso che sarà meglio se diamo una mano alle ragazze, Harve» commentò George. «Sembrano nei guai. Ellie, perché te ne stai lì impalata?»

«Io credo che mi unirò agli uomini» dichiarò Rachel. «Tom ha una mira letale. Preferisco averlo dalla mia parte. Vieni con me, Ellie?»

E prima che Eleanor si rendesse pienamente conto di ciò che stava accadendo o potesse considerare più a fondo la questione della propria dignità, si sentì prendere per le braccia, una da George e l’altra, si rese conto alzando gli occhi, da un sorridente visconte Sotherby, ed entrambi la trascinarono con loro nella mischia.

«Non preoccupatevi, Lady Falloden» affermò il visconte. «Combatterò al vostro fianco.»

Eleanor perse la nozione del tempo. Potevano essere passati dieci minuti oppure mezz’ora, mentre le palle di neve volavano nell’aria, gli uomini gridavano, le ragazze urlavano e tutti si affannavano e ridevano, sghignazzavano o lanciavano insulti ai loro mortali nemici. Altri ospiti uscirono. Lo zio Sam si schierò contro di lei, Wilfred fu dalla sua. Lei gli rivolse un breve sorriso, prima di riprendere la battaglia, e gridò allo zio che era contro le regole tirare più di una palla di neve alla volta.

«Eh?» muggì lui di rimando, portandosi una mano all’orecchio. «Che strano, sono completamente sordo, stamattina, Ellie. Deve essere la neve. Ecco... prendi!» E un mucchio di neve soffice le finì sul petto.

E poi, la figura silenziosa si avvicinò alla casa a lunghi passi, proveniente dalle scuderie, e fermandosi davanti ai gradini, con il cappotto e il cappello immacolati e quasi del tutto privi di neve. E con lui, Eleanor sentì giungere l’imbarazzo e il rimorso, insieme alla consapevolezza che non si sarebbe dovuta lasciare andare a ciò che stava facendo. Nonché la solita ribelle testardaggine, mentre si ripeteva che non le importava nulla dei suoi giudizi su di lei, né del freddo rimprovero che le avrebbe impartito successivamente. Gettò indietro la testa gridando e si chinò a raccogliere una nuova palla di neve.

Lo colpì sulla mascella, tra il mento e l’orecchio. Era il punto più terribile dove colpire qualcuno con una palla di neve, perché era impossibile togliersela di dosso senza evitare che qualche cristallo di ghiaccio trovasse il modo di scivolare nel collo del malcapitato. Lo guardò, rise e si piegò a raccogliere altra neve, puntando con lo sguardo lo zio Sam, che l’aveva centrata sul gomito pochi attimi prima.

Poi, di colpo, le mancò la terra sotto i piedi e urlando si ritrovò a scalciare nell’aria. Doveva essere stato Wilfred, pensò indignata, prima di alzare lo sguardo e scoprire chi l’aveva sollevata tra le braccia, e ora la stava portando via dalla battaglia. Sembrava arrabbiato. Oh, cielo, pensò, adesso sono davvero nei guai. Doveva aver ferito il suo orgoglio aristocratico. E cominciò a ridacchiare.

Ma lui non stava puntando in direzione della casa. D’improvviso, e in modo piuttosto allarmante, la fece ondeggiare di lato e la lanciò in aria, costringendola a strillare e ad agitare inutilmente braccia e gambe. E poi atterrò dritta nel mucchio di neve contro il quale i bambini si erano lanciati fino a poco tempo prima. Ovviamente, atterrò di faccia con la bocca aperta, e poco dopo si ritrovò a dibattersi nel vano tentativo di rimettersi in piedi. La neve era troppo profonda e soffice.

«Permettetemi di aiutarvi, mia signora.» La sua voce era gelida, ma la mano tesa verso di lei sembrava solida e rassicurante, e lo scintillio nei suoi occhi sarebbe potuto essere qualsiasi cosa, dalla rabbia al trionfo al divertimento. Allungò cautamente una mano e la posò nella sua.

Tornò in piedi così in fretta da riuscire a fermarsi soltanto quando si ritrovò contro il solido muro del suo petto. Alzò lo sguardo su di lui.

«A volte,» commentò il conte «è più semplice portare l’avversario verso la palla di neve, che non il contrario. Soprattutto quando l’avversario è tanto stolto da scoppiare a ridere dopo aver messo a segno un colpo.»

Lei si morse il labbro inferiore, senza sapere se ridere o mostrarsi dispiaciuta, e lo sguardo di lui si abbassò a fissare le sue labbra. E, santo cielo, era ancora contro di lui. Come se nonfosse capace di stare in piedi da sola. Cosa che probabilmente in quel momento era vera.

Si rese conto del rumore inconfondibile delle risate, e si accorse che questa volta tutti stavano ridendo all’unisono. La battaglia si era fermata e tutti avevano assistito al suo tuffo nella neve. La maggior parte dei presenti si stava spazzolando via la neve da cappotti e mantelle, battendoinsieme i guanti per ripulire anche quelli.

«Così si fa, ragazzo» esclamò lo zio Sam. «Alle donne piace essere trattate in modo rude!»

«Oh, zio Sam!» Si levò un coro di proteste indignate dalle cugine. Tutti sapevano che lozio aveva sempre trattato sua moglie Irene come una dea greca, come al padre di Eleanor piaceva sempre ripetere.

Lei si allontanò dal marito, decisamente a disagio, e si spazzolò la mantella, completamente coperta di neve. Santo cielo, per un attimo aveva pensato che lui fosse sul punto di baciarla. Aveva avvertito una vampa di calore attraversarla, nonostante la neve scivolata dentro ai

suoi vestiti. E poi la sua grande mano sicura prese a liberarla dalla neve attaccata sulla schiena, e leiprovò di nuovo quel calore.

«Credo, mia signora,» decretò lui «che sia meglio riportare in casa i nostri ospiti per la colazione, se stamattina vogliamo andare a prendere le decorazioni natalizie nel parco.»

«Sì» mormorò lei, appoggiandosi al suo braccio teso. Notò che nel frattempo i bambini si erano messi a fare un pupazzo di neve. Gli altri parlavano tutti insieme, una caratteristica tipica della sua famiglia.

Poiché alla fine non c’era in programma nessuna battuta di caccia e con tutta probabilitàsi sarebbe fatto quasi mezzogiorno prima che tutti si fossero alzati e fossero pronti ad andare alla ricerca di piante natalizie, il conte di Falloden aveva deciso di uscire prima e di sbrigare alcune faccende che altrimenti avrebbe dovuto portare a termine più tardi nella giornata. Era tornato a casa aspettandosi di trovare soltanto i più ardimentosi dei suoi ospiti già in piedi e pronti a fare colazione.

Invece, si era trovato di fronte a una scena che non aveva mai visto prima a Grenfell Park, e che non si era mai sognato di vedere. Quasi tutti i suoi ospiti erano nel cortile di fronte alla casa, impegnati in una violenta e chiassosa battaglia a palle di neve. Perfino tre dei suoi amici eranotra loro, si era reso conto, avvicinandosi. E sua moglie.

La sua prima reazione era stata di fastidio. Sua nonna si sarebbe rivoltata nella tomba! Tutto era stato sempre portato avanti con pacata dignità, a Grenfell Park. E cosa avrebbero pensato iservitori? Soprattutto quando avessero visto sua moglie lì fuori insieme agli altri, intenta a strillare, a ridere e a giocare con lo stesso entusiasmo degli ospiti. Ma poi, quando si era avvicinato, fermandosi ai piedi della scalinata d’ingresso, aveva cominciato a provare una certa invidia. Tranne che durante i suoi anni di scuola, era cresciuto sempre da solo. E a casa, sia con i suoi genitori che successivamente con i nonni, gli era sempre stato richiesto un comportamento decoroso. Perfino a Natale. Perfino quando un soffice strato di neve copriva tutto. Non gli era mai stato permesso di cedere alla spontaneità.

Aveva provato invidia, e un certo desiderio di unirsi al divertimento generale. E al diavolo i servitori, se non avessero apprezzato la vista del loro conte e della loro contessa che giocavano nella neve, aveva pensato con noncuranza, un attimo prima che una palla di neve gli arrivasse sul viso, trovando il modo di scivolare gelida sotto al bavero del cappotto. Aveva capito che era stata sua moglie a colpirlo quando l’aveva vista scoppiare a ridere e chinarsi per raccogliere altra neve.

Aveva agito per puro istinto, a quel punto, una cosa che non faceva quasi mai neanche adesso, più di nove anni dopo la morte di suo nonno. Non era neanche stato certo di cosa volesse farle, quando l’aveva sollevata tra le braccia, allontanandosi dal campo di battaglia con lei. Ma quando aveva visto quel mucchio di neve non aveva resistito. E non riusciva a ricordare un momento più divertente di quello in cui l’aveva lanciata nella neve, guardandola volare in aria agitando goffamente braccia e gambe, piombando poi in quel soffice ammasso candido.

Avrebbe voluto ridere a squarciagola, e l’avrebbe anche fatto, se lei non l’avesse fissato con tanta guardinga indignazione. Se si fosse potuta guardare allo specchio in quel momento, aveva pensato lui, probabilmente sarebbe morta di vergogna. Aveva il naso e le guance lucidi e rossi, i

capelli bagnati e spettinati sotto il cappuccio, ed era completamente coperta di neve. Perfino ciglia esopracciglia erano spolverate di bianco.

E tuttavia, quando l’aveva aiutata a rimettersi in piedi, tirandola a sé, si era reso conto didesiderarla, come l’aveva desiderata in ogni istante da quando erano arrivati in campagna. Nonostante quell’aspetto disordinato, era bellissima. E aveva scoperto anche un’altra cosa. La campagna e l’arrivo della sua famiglia avevano contribuito a far sbocciare in lei un calore, una vitalità e una spontaneità che avevano risvegliato in lui il desiderio di qualcosa che non aveva mai provato prima. Se lei era davvero così e non la fredda statua di marmo che aveva conosciuto a Londra... Quel pensiero gli toglieva il fiato.

La zia Beryl, la zia Eunice e la zia Ruth restarono in casa per cercare le decorazioni natalizie in soffitta. Tutti gli altri scesero nell’ingresso, ben coperti e pronti a uscire.

«Avvolgetevi bene quella sciarpa intorno al collo» raccomandò la zia Beryl al conte, con materna sollecitudine. «Non vorrete buscarvi un malanno proprio a Natale.»

Il conte concordò docilmente e obbedì, coprendosi bene.

«Non preoccupatevi di nulla, qui, Randy» lo rassicurò la zia Eunice. «Avremo organizzato tutto alla perfezione, per quando tornerete a casa.»

Lui non aveva dubbi in merito.

«Ellie, cara» sussurrò la zia Ruth, abbracciando la nipote. «Ma che splendido gentiluomo. Il caro Joseph è stato così bravo a trovarlo. E non è freddo e altezzoso come temevo, essendo un conte, sai. Hai visto come si è seduto sul bracciolo della mia poltrona, ieri sera, proprio come se fosse un membro della famiglia? E naturalmente lo è, anche se da parte sua è stato davvero un gesto delizioso. Oh, che felicità. Pensaci, tesoro: la mia piccola Ellie, una contessa.»

La piccola Ellie, che sovrastava la zia di qualche centimetro, si piegò a baciarla su una guancia.

«Devi essere davvero felice, tesoro» concluse la zia Ruth con un sospiro beato.

«Lo sono, zia» le assicurò Eleanor con un sorriso, e al momento non mentiva. Suo marito stava ridendo a una battuta dello zio Harry, e davvero sembrava un membro della famiglia.

Jenny si era arrampicata sulle spalle del padre, mentre Davie camminava nella neve più alta che riuscì a trovare. Il visconte Sotherby camminava affiancato ai genitori dei due piccoli. George offrì il braccio a Mabel e Mr Badcombe si trovò circondato da Muriel, Susan, Harvey e Jane. Sir Albert Hagley era rimasto un po’ indietro con Rachel. La zia Catherine era tra lo zio Harrye il cugino Aubrey. Lord Charles chiacchierava con Wilfred. E lo zio Sam e lo zio Ben affiancavanoil conte e la sua contessa.

«Chi è che solitamente vi aiuta a prendere le decorazioni di Natale nel parco e a portare dentro il ceppo natalizio, Randy?» domandò lo zio Ben.

«L’anno scorso non sono stato qui a Natale, signore» spiegò il conte. «E per gli otto anni precedenti, Grenfell Park è appartenuta a mio cugino. Non venivo qui a trascorrere le festività.

Ai tempi dei miei nonni, credo fossero i servitori a decorare la casa.»

«Vostro cugino abitava qui, e voi non siete mai venuto?» intervenne lo zio Sam, aggrottando la fronte. «Quanto è grande la vostra famiglia, ragazzo, e dove sono gli altri? Eravate soltanto voi e vostro cugino?»

«Ho vari zii e zie e cugini» ammise il conte. «Ma temo che non siamo mai stati molto uniti.»

«Incredibile» commentò lo zio Sam, lanciando uno sguardo al fratello. «Non trovi, Ben?Niente riunioni di famiglia? Niente confusione e urla. Soltanto pace, tranquillità e serenità. Ti sarebbe piaciuto, eh?»

«Pace e tranquillità con Eunice?» esclamò lo zio Ben. «Le riunioni di famiglia mi permettono di starmene un po’ lontano dalle sue chiacchiere, Sam.»

«Oh, zio Ben!» lo rimproverò Eleanor.

«‘Oh, zio Ben!’» le fece il verso lui, divertito. «E così, erano i servitori a pensare alle decorazioni, eh, Randy? Ma così vi perdevate la metà del divertimento del Natale. E poi? Mangiavano anche il pudding, bevevano il vin brulé, cantavano le canzoni natalizie e si baciavano sotto il vischio?»

Il conte sorrise. «Il Natale è sempre stato un momento molto tranquillo per me e la mia famiglia» spiegò. «Non molto diverso dagli altri giorni dell’anno, anzi, forse un po’ più deprimente.»

«Deprimente? Il Natale?» La voce dello zio Sam era salita a livelli preoccupanti. «Queste due parole non stanno bene insieme, giovanotto. Non potrebbero trovarsi vicine in nessun caso. Dico bene, Ellie? Ma naturalmente, quest’anno avete Ellie con voi, e sono certo che non ci sarà nulla di deprimente. Non è così, ragazza mia? Assicurati di tenere da parte un rametto di vischio, quando torneremo a casa, e appendilo sopra al letto. Fa miracoli per scacciare la malinconianatalizia. Ehi, sta arrossendo, Ben? Tu sei più vicino di me. Sta arrossendo, eh?»

«Penso proprio di sì» commentò lo zio Ben. «Anche se lo nasconde bene, grazie al freddo. E Randy sta arrossendo, Sam? Questo sarebbe più interessante da sapere.»

«Non vorrei mai mettere fine a questo piacevole scambio di battute,» interloquì il conte «ma abbiamo raggiunto un bivio.»

E, con grande sollievo di Eleanor, le lasciò il braccio per richiamare l’attenzione di tutti.I pini e i cespugli di agrifoglio si trovavano a est della casa, mentre gli alberi più massicci, tra cui le querce con il vischio, erano a nord. Ben presto diversi uomini, tra cui lo stesso marito di Eleanor, si diressero a nord per trovare un ceppo di Natale, e qualcuna delle ragazze andò con loro per raccogliere il vischio. Lei si diresse a est con tutti gli altri per cercare l’agrifoglio e prendere qualche ramo di pino.

E si ritrovò Wilfred al fianco mentre ancora si stava riprendendo dall’imbarazzo di aver ricevuto il consiglio di appendere il vischio sulla testiera del letto, alla presenza di suo marito. Gli sorrise e allungò il passo, in modo che la zia Catherine e lo zio Harry non li distanziassero troppo.

«Ellie» esordì lui, a voce bassa, puntando direttamente lo sguardo nel suo. «Come stai?»

Si erano sempre cercati, prima ancora di capire di essere innamorati. Fino a quel momento, le era sempre sembrato giusto. Lui era molto alto, più di suo marito. Le era sempre piaciuto il fatto di arrivare a sfiorare appena la sua spalla con la testa. La sua statura l’aveva sempre fatta sentire piccola e femminile.

«Sto bene» dichiarò, sorridendogli ampiamente. «E tu, Wilfred? Devi essere molto felice del tuo avanzamento di carriera. Raccontami tutto.»

«In realtà, non molto» ammise lui. «Adesso sembra tutto abbastanza inutile.»

«Oh» rise lei. «Probabilmente allora non ti sei ancora abituato alla tua nuova e migliore condizione, Wilfred. Il cugino Aubrey deve essere molto fiero di te.»

«Come ti tratta, Ellie?» le domandò lui. «Non ti chiederò se sei felice. Ma almeno ti tratta con gentilezza?»

«Ma naturalmente» ribatté lei con un’altra risata, mentre si avvicinavano agli alberi di pino e lei ricordava come soltanto l’estate precedente entrambi non avessero avuto occhi per nessunaltro, e come si fossero tenuti per mano ogni volta che erano lontani da sguardi indiscreti, e come si fossero scambiati baci appassionati tutte le volte che avevano potuto. Appena un’estate prima. Pochi mesi prima. E sembrava una vita fa.

E poi raggiunsero gli alberi e lo zio Harry li organizzò in modo che gli uomini prendessero i rami che volevano e le donne li trascinassero via, ammucchiandoli per poterli poi portare a casa. Parlarono e risero molto, mentre lavoravano sodo. Mentre faceva la sua parte, Eleanor notò che il visconte Sotherby stava sorridendo a Muriel mentre le tendeva un ramo verde, e vide con la coda dell’occhio George e Mabel scambiarsi un rapido bacio, dietro al sipario di un altrofrondoso ramo.

Anche lei avrebbe potuto scambiarsi sguardi e baci, considerò, se soltanto avesse potutocancellare gli eventi dei due mesi precedenti. Se suo padre fosse stato ancora vivo. Se non avesse organizzato il suo matrimonio con il conte di Falloden. Se... se e se.

Pensò che suo marito non aveva mai realmente conosciuto il Natale. Doveva essere stato un bambino e poi un ragazzo molto solo. Il Natale era sempre stato un giorno qualunque, per lui, anzi, forse un po’ più deprimente degli altri. Aveva una famiglia a cui non era mai stato vicino. Nessuno di loro era a Grenfell Park, per festeggiare con lui quel Natale, mentre la famiglia di lei eratutta riunita lì. Tranne suo padre. Non ci aveva pensato consapevolmente fino a quel momento. Lui aveva quattro amici al suo fianco, ma nessun parente.

Fu improvvisamente colpita da una sensazione di tristezza e desiderio. Un desiderio senza nome, tuttavia. Non riusciva a identificarne la fonte. Si piegò a raccogliere qualche ramo più piccolo e leggero per permettere anche a Davie e Jenny di portarli a casa nella neve, e quasi non si rese conto degli sguardi appassionati che Wilfred le stava rivolgendo.

Sir Albert Hagley non aveva voluto unirsi al gruppo in cerca di decorazioni naturali. Eravenuto a Grenfell Park per la battuta di caccia e gli era sembrato scortese da parte degli ospiti convincere Randolph a cambiare idea. Non che desse la colpa all’amico, ovviamente. I Transome

erano in maggioranza schiacciante, a dir poco. E poi il suo umore si era incupito ancora di più quando era uscito dalla sala della colazione deserta, trovandosi davanti un gruppo di gente chiassosae coperta di neve che rientrava, con il conte di Falloden davanti a tutti, e si era reso conto di essersi appena perso una battaglia a palle di neve.

Un’attività niente affatto dignitosa. E Miss Rachel Transome era lì in mezzo al gruppo, intenta a ridere e a scherzare con Harvey Gullis, che non era neanche un suo parente diretto, se aveva capito bene le parentele, la sera prima. Aveva le guance rosse e gli occhi scintillanti, ed era spettinata e bagnata di neve, e al tempo stesso deliziosa, la più attraente delle giovani donne su cui avesse mai messo gli occhi.

Aveva deciso di evitarla, per quel giorno. Poteva anche essere la figlia di un locandiere, bella e sensibile, e poteva sentirsi attratta da lui quanto lui si sentiva attratto da lei. Ma la verità era che il locandiere era lì con lei, e lo sovrastava decisamente per stazza. E c’erano tanti altri parenti della ragazza, pronti a difendere il suo onore. Oltretutto, lui era anche ospite a casa di Randolph, nonché suo testimone di nozze. E come se non bastasse, aveva già scoperto a sue spese come si comportavano le donne delle classi inferiori, grazie a una certa Miss Eleanor Transome, ora contessa di Falloden.

Aveva deciso di stare il più possibile lontano da Miss Rachel Transome, per quel giorno, in ogni caso. Perché non poteva corteggiarla o tentare di sedurla: le sue attenzioni sarebbero state interpretate in ben altro modo, e lui si sarebbe ritrovato incatenato alla figlia di un locandiere prima ancora di poter battere le ciglia.

E tuttavia, l’aveva vista rivolgergli un sorriso mentre faceva scivolare il cappuccio della mantella sulle spalle, liberando i capelli umidi di neve. Ed era arrossita, anche se più tardi si era reso conto del fatto che doveva avere le guance rosse per il freddo, e che se fosse arrossita non se nesarebbe comunque accorto.

Alla fine di tutto, comunque, si era ritrovato ad andare a caccia di rami verdi con tutti gli altri. Si era ripetuto più volte la scusa che non poteva essere l’unico uomo a rimanere in casa conle zie che cercavano le decorazioni in soffitta. Senza dubbio, si sarebbe ritrovato a frugare in scatolepiene di polvere e ragnatele, se avesse commesso una tale sciocchezza. Così, era andato a cercare il vischio.

E naturalmente, si era ritrovato a camminare al fianco di Rachel Transome, parlando con lei e perdendosi quasi tra le querce, rendendosi conto di essere solo con lei soltanto quando scese dal tronco di una vecchia quercia per posare nella sua mano tesa dei ramoscelli di vischio.

E poiché erano soli, e lei gli sorrideva in modo così solare, e poiché era un idiota che non riusciva a evitare i guai neppure quando sua madre e le sue sorelle non erano lì a spingercelo dentro, prese un rametto di vischio, lo sollevò sopra di loro e la baciò sulle labbra morbide e fredde.

Santo cielo, pensò, scostandosi dopo quel lieve tocco tentatore, e sorridendo alla ragazza come un ebete. Santo cielo, sarebbe dovuto stare lontano da Grenfell Park. Avrebbe dovuto trascorrere le feste con la sua famiglia. Non si sarebbe dovuto far prendere dalla compassione per Randolph, venendo a dargli supporto morale di fronte a quella stranissima famiglia. Strana, chiassosa, caotica e piena di calore e affetto.

«Cosa fate nella locanda di vostro padre?» le domandò. Se la immaginava in grembiule e crestina, con uno spolverino di piume in mano. Immaginò gli avventori che le pizzicavano il didietro e gli sarebbe piaciuto metterli tutti in fila per poi far cozzare le loro teste una contro l’altra.

«Non faccio nulla» spiegò lei, sorridendo. «Viviamo in una casa accanto alla locanda principale. Sapete, mio padre ne possiede diverse. Aiuto mia madre con le faccende domestiche. Due volte alla settimana, insegno a scuola. A volte, la mia vita mi sembra un po’ insignificante» ammise infine, imbronciandosi lievemente.

Be’, tanti saluti alla fantasia di lei in grembiule e crestina, dunque.

«Sarà meglio che ritroviamo gli altri» commentò, lasciando che lei gli si affiancasse, con il vischio stretto tra le mani. Si scambiarono racconti della scuola e dell’università. Lei aveva finito le scuole. Latino e storia erano le sue materie preferite. Lui le raccontò che aveva sempre preferito il cricket. E scoppiarono allegramente a ridere.

Sir Albert sperò con tutto il cuore che non uscissero dagli alberi ritrovandosi di fronte Mr Benjamin Transome pronto a sventolargli un contratto matrimoniale sotto il naso. Ma l’uomo, ovviamente, stava aiutando gli altri a trascinare il ceppo natalizio. Quando tuttavia il giovane si reseconto delle effettive dimensioni di quel tronco, non ne fu poi molto consolato.

Ma accidenti a lui, quella ragazza era così carina e dolce! E sensibile, e allegra. E ora che era troppo tardi, si scoprì a desiderare di aver indugiato per qualche secondo in più su quelle labbra deliziose.

9

Era stato un giorno decisamente stancante. C’era stata la battaglia a palle di neve la mattina presto. E poi c’era stata la lunga spedizione nella neve e tra gli alberi per portare a casa il ceppo di Natale e i rami. E il pranzo, seguito dalla decorazione allegra e chiassosa del salotto, della sala da pranzo, dell’ingresso e delle scale, con almeno una dozzina di voci a dare ordini e un’altra dozzina a contraddirli. Era incredibile, si ritrovò a pensare il conte di Falloden quando fu tutto finito, che ce l’avessero fatta e che ora la sua casa sembrasse tanto diversa. Sfoggiava un’atmosfera festosa e calda, e il profumo era meraviglioso.

C’era la ghirlanda di vischio sotto la quale baciarsi, fatta con amore dalla zia Ruth e da Jane Gullis, al centro del salotto, e c’erano altri ramoscelli della stessa pianta sistemati nei punti più impensati, in modo che quando le coppie più improbabili si ritrovavano a passarci sotto, un coro di voci deliziate chiedeva a tutti i costi un bacio. Sua moglie e Hagley, per esempio, erano sembrati alquanto imbarazzati, quando si erano quasi scontrati sulla soglia del salotto, ed erano arrossiti violentemente quando si erano trovati costretti a scambiarsi un bacio sulle labbra. E Sotherby e Muriel Weekes sulla panca del pianoforte, anche se il conte aveva il sospetto che l’avessero fatto

apposta, come anche non doveva essere stato casuale l’incontro tra George Gullis e la sorella di Muriel ai piedi delle scale.

E come se non avessero già speso abbastanza energie, una volta giunta la sera, decisero tutti all’unanimità – spesso era difficile, con i Transome, scoprire chi era stato a dare il suggerimento iniziale di un’idea – di giocare ai mimi, ovviamente con la massima competizione possibile tra le squadre. Il conte scoprì, con sua grande sorpresa, di essere piuttosto abile in quel gioco, al quale si era unito nonostante non ci avesse mai giocato prima e sebbene si sentisse come se la sua casa e la sua vita fossero state invase da un’orda proveniente da un altro pianeta. Soprattutto, fu molto sorpreso quando venne applaudito con entusiasmo dalla sua squadra, che attribuì a lui e alle sue capacità di recitazione la vittoria ottenuta.

Si sentiva piuttosto soddisfatto di quella giornata, e iniziava a chiedersi se in effetti la gente non avesse ragione a eccitarsi tanto per il Natale. E sua moglie era radiosa, felice e amabile. Non avevano discusso neanche una volta per tutto il giorno, anche se, naturalmente, non avevano mai avuto occasione di stare da soli. Ricordò, improvvisamente, le battute scherzose degli zii riguardo al vischio che lei avrebbe dovuto appendere sulla testiera del letto, e il suo respiro si fece lievemente più rapido, in modo tutt’altro che spiacevole.

Si rese conto, con una certa sorpresa, di sentirsi rilassato. Circondato dai Transome, nonpiù padrone in casa sua e neanche certo che lui e i suoi amici sarebbero mai riusciti a organizzare quella famosa battuta di caccia, si stava sentendo... felice. Era la parola giusta per descrivere il suo stato d’animo? Era felice?

Eleanor non si sentiva affatto felice come stava tentando in tutti i modi di sembrare. Wilfred non l’aveva lasciata sola un attimo per tutto il giorno, e a parte la tristezza che le causava lasua vicinanza, temeva anche che qualcuno potesse accorgersene. Suo marito, per esempio. Tutti gli altri dovevano aver capito da un anno e più che si piacevano, anche se non avevano mai dimostrato pubblicamente l’affetto reciproco che provavano.

Lui aveva camminato al suo fianco tornando a casa con i rami di pino, e si era premurato di passarle nastri e ghirlande da intrecciare all’agrifoglio sistemato sul corrimano delle scale. Quando avevano giocato ai mimi, si era messo nella sua squadra. E ora, al momento del tè, aveva provato a condurla verso il pianoforte, per cercare il pezzo che era stato suonato la sera prima. E c’era un ramoscello di vischio, sopra al pianoforte.

Non poteva più andare avanti così, decise lei. La tensione di avere nella stessa stanza suo marito e l’uomo che sarebbe dovuto esserlo stava diventando insopportabile.

«Dobbiamo parlare» mormorò a Wilfred, e poi alzò la voce in modo che tutti coloro cheerano a portata di orecchio, suo marito compreso, sentissero che aveva intenzione di accompagnarloin biblioteca per scegliere un libro da portarsi in camera per quella sera. Le sembrava una scusa abbastanza inattaccabile. George e Mabel si erano già scusati con il resto del gruppo ed erano scesi nella lunga galleria, e non per guardare i ritratti appesi sulle pareti, ma per ammirare, fuori dalle finestre, la luna e le stelle. Ma George e Mabel erano fidanzati, e ovviamente nessuno si era sognatodi opporsi a quella decisione, sebbene la zia Beryl avesse ricordato a Mabel di tornare entro una mezz’ora.

Eleanor appoggiò sulla scrivania della biblioteca il candeliere che aveva portato con sé e

si voltò con determinazione verso Wilfred. Avrebbe preferito che lui avesse chiuso la porta dietro diloro, ma non voleva girargli intorno per farlo lei stessa. E poi forse sarebbe stato meglio se il battente fosse rimasto aperto. C’erano servitori di cui le interessava che avessero una buona opinione di lei.

«Ellie» esordì lui, andandole incontro.

Ma lei sollevò una mano per fermarlo. «Non ti avvicinare, Wilfred» lo ammonì. «Per favore.»

«Ma come posso starti lontano?» le domandò lui, pur fermandosi, e guardandola con gliocchi scintillanti di desiderio. «Ellie. Amore mio.»

«Io non sono la tua innamorata» dichiarò lei fermamente. «Non più. Sono una donna sposata, Wilfred.»

«Ma tu non lo ami» obiettò lui. «L’hai fatto per tuo padre, Ellie. So che hai sempre disprezzato i membri della nobiltà e dell’alta società.»

«E tuttavia» ribatté lei «è mio marito.»

«Ellie.» Wilfred avanzò di un altro passo, tendendole entrambe le mani.

Lei le fissò e strinse le proprie ancora più forte in grembo. Le sentiva fredde. Come sentiva freddo nel cuore. Wilfred era alto e snello e sembrava ancora un ragazzo, sebbene avesse soltanto un paio d’anni meno di suo marito. «Se tu avessi risposto alla mia lettera dicendo di volermi sposare, anche se non avevi molto da offrirmi,» dichiarò lei «avrei discusso di più con mio padre. E avrei mantenuto la mia decisione, se necessario, fino alla maggiore età, anche se non credoche mio padre si sarebbe opposto. Lui mi voleva bene. Oppure, se tu mi avessi scritto di attenderti finché non avessi potuto offrirmi una vita più agiata e salvare così il tuo orgoglio, io ti avrei aspettato. Per cinque anni. Per dieci. Per quanto tempo ci fosse voluto. Ma mi hai scritto dicendomi che mi lasciavi libera. Mi hai detto di fare ciò che mio padre voleva che facessi.»

«Devi sapere» le rispose lui «come mi sono sentito, Ellie, quando ho saputo a quale matrimonio tuo padre aspirasse per te, e quanto poco avessi da offrirti io, invece. Devi capire che dovevo fare quel nobile gesto.»

«E tuttavia,» replicò lei, fissandolo con uno sguardo ferito «sei venuto qui, Wilfred. Questo è stato un gesto nobile, secondo te? E mi hai scritto quella lettera, dopo la morte di mio padre, e dopo che ero già sposata. Quello è stato nobile? Perché sei venuto?» Desiderava con tutto ilcuore che ci fosse una buona ragione, ma non poteva essercene alcuna. E non era abituata a considerare Wilfred meno che perfetto.

«Come potevo restare lontano da te?» le domandò lui. «Ellie, mi addolora terribilmente vederti, e vedere lui, e sapere che tu gli appartieni. Oh, come potevo starti lontano?»

«Forse avresti dovuto farlo per il mio bene» dichiarò Eleanor. «Non hai pensato a come mi sarei sentita io, nel vederti qui, Wilfred? Nel ricordare di noi? E nel sapere che il destino ci ha giocato uno scherzo così crudele? Oh, Wilfred, non avevi capito che avevi la possibilità di diventaresocio della tua compagnia? Non l’avevi neanche sospettato? Avresti potuto mantenere l’orgoglio e

sposarmi, dopotutto. Ma è troppo tardi. Oh, quanto avrei preferito che tu non fossi mai venuto.»

Lui si avvicinò di un altro passo. «Non lo pensi davvero» affermò. «E sai di amarmi ancora. Lascia che ti abbracci, Ellie. Solo una volta.»

«Sono sposata» scattò lei.

«Ma non per tua scelta.» La sua voce si era fatta carica di urgenza. «Dimmi che lo ami, Ellie, o che almeno tieni a lui. Dimmelo, e me ne andrò stasera stessa. Te lo giuro. Ma tu non lo ami, non è così?»

«Sai che non lo amo» mormorò lei. «L’ho sposato perché mio padre era così convinto che fosse la cosa giusta, ed era così prossimo alla morte, e non mi sembrava giusto ferirlo, visto che tu avevi deciso di non sposarmi. Ma i miei sentimenti per lui non hanno niente a che fare con questasituazione, Wilfred. Il fatto è che ho acconsentito a sposarlo e l’ho sposato, e non posso più assecondare il mio amore per te. Devi capirlo. Oh, per favore, devi capirlo. Devi smettere di guardarmi come hai fatto per tutto il giorno. Non saresti dovuto venire qui. Oh, quanto vorrei che tunon fossi mai venuto. Non riesco a sopportarlo.»

«Ellie.» La sua voce era un basso gemito. «Io ti amo. È stato soltanto per amore che ti ho lasciata libera. Pensavo di non avere niente da offrirti. Ma mi sbagliavo. Niente ha più importanza del nostro amore. E ora avrei tanto da offrirti.»

«L’unica cosa che desideravo» sussurrò lei «era il tuo cuore. Non volevo ricchezze. Meno che mai una posizione.» La sua voce tremava. Stava lottando per trattenere le lacrime: non poteva tornare al piano di sopra con gli occhi rossi. «Vattene» gli intimò. «Ti prego, vattene. Non sarei neanche dovuta venire qui in biblioteca con te. Ora ho bisogno di restare sola.»

«Ellie» mormorò lui.

«Ti prego» lo implorò Eleanor. Lui si girò bruscamente e lasciò la stanza.

Lei si voltò verso la scrivania e vi si appoggiò pesantemente con le braccia. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente più volte per calmarsi. Wilfred non sembrava capire che era tutto diverso, adesso, e che per quanto potessero rimpiangere le decisioni prese negli ultimi due mesi, non c’era modo di tornare indietro e cambiare le cose. Lo biasimava per essere andato lì. E per averle scritto quella lettera d’amore. E tuttavia, non voleva dargli alcuna colpa. Avrebbe voluto trovare dei motivi per scagionarlo. Ma cosa voleva da lei? Una relazione clandestina? Non capiva che era sposata e che per lei i voti del matrimonio erano sacri e inviolabili? Non la conosceva, in fondo?

Infine si scostò dalla scrivania, lo sguardo abbassato verso il pavimento. Se non fosse tornata al più presto al piano di sopra, qualcuno sarebbe venuto a cercarla. Si raddrizzò e sollevò la testa.

Suo marito era sulla soglia, con una spalla contro lo stipite e le braccia conserte sul petto. Lei restò immobile a guardarlo entrare e chiudere la porta.

Restò lì a guardarla a lungo. Era pallida, ma non stava piangendo. E sosteneva come sempre il suo sguardo. Era ovvio, non avrebbe mai accettato di abbassare gli occhi.

«Ebbene, mia signora» esordì infine.

«Immagino che voi abbiate sentito tutto» sussurrò lei. «Chi origlia, difficilmente sente parlare bene di sé.»

«Non sospettavo neanche che ci fosse bisogno di origliare» commentò lui. «È vostro cugino, dopotutto. Vi avevo seguito soltanto per aiutarvi a scegliere un libro, poiché conosco la biblioteca meglio di voi. Ma non mi pare che avesse bisogno di un libro, vero? È uscito di qui a mani vuote.»

«No» rispose lei. «Non aveva bisogno di un libro. Ma non avete nulla di cui accusarmi, mio signore. Se avete sentito tutto, di certo ne siete consapevole.»

«A quanto pare,» commentò lui «non sono l’unico ad aver dovuto rinunciare a un amorea causa di questo matrimonio.»

«Già» ammise lei.

«E, a quanto pare,» continuò il conte «mi avete sposato unicamente perché pensavate che vostro cugino non vi volesse, e perché vostro padre stava morendo e volevate compiacerlo.»

«Esatto.»

«Non perché volevate essere una contessa e fare parte dell’alta società?»

Lei lo fissò con sdegno. «Era ovvio che voi poteste pensarlo» dichiarò. «Probabilmente,per voi non c’è punto più alto a cui una donna potrebbe aspirare nella vita. Ma io preferisco le persone vere, mio signore. Preferisco chi lavora sodo per ottenere quello che vuole, rispetto a chi vive sulle spalle degli altri, per poi dilapidare la propria ricchezza vivendo in modo sregolato e irresponsabile.»

«Come ho fatto io,» le rispose lui «per finire nelle sabbie mobili dei miei debiti.»

«Già.»

«Ebbene.» La fissò cupamente. «Le cose non sono sempre come sembrano. Forse potreiilluminarvi in merito, ma francamente non ho alcun desiderio di farlo ora.»

‘Sai che non lo amo’ aveva detto lei al cugino, quando Wilfred le aveva chiesto se amava suo marito. Quelle parole, e il tono indignato con cui le aveva pronunciate, gli riecheggiavano nella testa. E lo avevano ferito, per quanto quella reazione fosse sciocca. Aveva sempre saputo che lei non lo amava. Nessuno dei due aveva mai finto dei sentimenti nei confronti dell’altro. Anzi, al contrario. Tuttavia, quelle sue parole lo avevano ferito. Forse perché le aveva confessate a un altro? Perché ora qualcun altro sapeva quanto fosse vuoto e sterile il loro matrimonio?

‘L’unica cosa che desideravo era il tuo cuore’ aveva detto Eleanor a suo cugino, la voce bassa e addolorata. Quelle parole non facevano che moltiplicare la sua sofferenza. Lei amava Wilfred Ellis, ma lo aveva fermamente respinto. Il suo comportamento era stato impeccabile. E forse lui avrebbe desiderato che non lo fosse. Non aveva motivo di infuriarsi, e tuttavia aveva bisogno di sfogare ciò che provava.

«Smettetela di guardarmi in quel modo» sibilò lei, sollevando il mento. «Dite qualcosa, o lasciatemi andare.»

«A quanto pare, non siamo pari, dopotutto» affermò lui. «Non ci siamo sposati per gli stessi motivi venali.»

Eleanor non rispose.

«E suppongo» continuò il conte «che questa riunione di famiglia, questo lieto Natale che state apprezzando tanto, sia stato deliberatamente organizzato per farmi capire quanto poco abbiate bisogno di me.»

«Siete stato voi a dirmi di invitare degli ospiti» gli ricordò lei.

«Ma non avete davvero molto bisogno di me, non è così?» ribadì il conte. «Vostro padrevi ha lasciato quasi la metà della sua fortuna, e avete dei parenti che sarebbero più che felici di accogliervi a vivere con loro.»

«Se pensate di potervi liberare così facilmente di me, mio signore,» ribatté lei «sarete tristemente deluso. Non sareste costretto a convivere con me, immagino, visto che avete diverse case. Ma avete dato la vostra parola d’onore che avreste provveduto a me. Non vi lascerò. Non vi aspettate che lo faccia e non ci sperate. Secondo i valori morali della mia classe sociale, il matrimonio dura per tutta la vita.»

«A quanto pare, tuttavia, Mr Wilfred Ellis non sembra ricordarlo» commentò lui.

«Non posso rispondere per Wilfred» ammise Eleanor. «Soltanto per quello che mi riguarda. Sono io, del resto, il fastidio che vi è capitato insieme a quello di cui realmente avevate bisogno, quando mi avete sposato. Il denaro si può spendere velocemente e facilmente. Non dubito che tra un anno sarete senza un soldo e pieno di debiti quanto lo eravate due mesi fa. Ma io sarò sempre qui, mio signore. Fareste bene ad abituarvi.»

«È esattamente ciò che intendo fare» dichiarò lui. «E ora sarà meglio che torniamo di sopra in salotto, prima che i nostri ospiti si chiedano se non ci sia capitato qualcosa.»

«Oh,» mormorò lei «sicuramente pensano che abbiamo colto l’occasione per starcene un po’ da soli. Non mi preoccuperei per la nostra reputazione, mio signore. In fondo, siamo una coppia appena sposata.» Il sarcasmo nella sua voce era caustico.

«In effetti, lo siamo» ammise lui, avvicinandosi. «E sarebbe un peccato deluderli, non trovate? Ritengo che al nostro ritorno tutti dovrebbero vedere confermati i loro felici sospetti. Dovreste avere l’aria di una donna che è appena stata baciata.»

Si fermò di fronte a lei, le portò una mano alla nuca e la baciò sulla bocca. Lei restò rigida come una statua di marmo, sebbene lui indugiasse ancora per un po’, muovendo le proprie labbra su quelle di lei, cercando di farle dischiudere e di ottenere una qualche reazione. I suoi occhi,notò quando aprì i propri, non erano chiusi.

«Vivrete con me» le domandò, sollevando la testa «se non vi toccherò? È questo che intendete? Come era con vostro padre? ‘Non toccarmi, non abbracciarmi’?»

«Mio padre soffriva fisicamente» spiegò lei. «Abbracciandolo gli avrei fatto male. Ma non ho alcun diritto di rifiutare il contatto con voi. Non ho fatto alcuna obiezione, mio signore.»

Lui scoppiò a ridere. «A parte irrigidire ogni muscolo del vostro corpo» commentò. «Siete mia moglie, come mi avete così graziosamente ricordato. E per quanto entrambi non lo desideriamo, e per quanto non ci piaccia dover continuare quel che entrambi abbiamo cominciato per nostra libera volontà, è così. E, per dio, voi sarete mia moglie, la mia signora, da oggi in poi. Aspettatevi di trovarmi nella vostra stanza questa notte, e per tutte le notti a seguire.»

«Sì, mio signore» rispose lei.

Riusciva a essere docile e sottomessa, e al tempo stesso a sembrare così distaccata da somigliare a una fortezza inespugnabile. Avrebbe potuto possedere il suo corpo, gli stava dicendo senza parole, ma non gli avrebbe permesso di toccare nessun’altra parte di lei. Il suo cuore e la sua anima le appartenevano, e lei non glieli avrebbe mai concessi.

Si sentì raggelato, e desiderò di tornare subito al piano di sopra, dove avrebbe trovato gente allegra, e la felicità e il calore del Natale. Dove c’era per lui l’illusione della vicinanza e perfino dell’affetto di una famiglia. Quella di lei.

Le rivolse un inchino formale e le tese il braccio. «Vogliamo tornare dai nostri ospiti?»

«Se desiderate, mio signore.» Mise delicatamente il suo braccio su quello di lei. «E se avete cambiato idea nel volermi dare un aspetto da donna appena baciata.»

«Quello lo riserverò alla discrezione delle nostre stanze» dichiarò lui, con una voce fredda quanto quella di Eleanor.

E per la prima volta si rese conto coscientemente di ciò che gli era accaduto negli ultimigiorni e perfino nelle ultime settimane. Aveva creduto di voler rendere più vero il loro matrimonio, inizialmente, perché gli era sembrata la scelta più sensata, alla luce del fatto di aver promesso di trascorrere un anno insieme a lei. E tuttavia, la sua decisione non era stata dettata unicamente dal buonsenso. L’aveva desiderata, aveva iniziato a trovarla attraente. E non soltanto fisicamente. Aveva scoperto, soprattutto dall’arrivo dei suoi familiari, che Eleanor era capace di calore, allegria e spontaneità.

Ebbene, tanti saluti al buonsenso e al desiderio. Lei lo aveva sposato per assecondare il volere di un padre morente e perché l’uomo che amava si era rifiutato di sposarla. Odiava l’aristocrazia in generale e disprezzava lui in particolare.

E il calore e la magia del Natale, a cui forse aveva cominciato a credere durante quell’ultima giornata, erano soltanto delle illusioni. Non era più il Natale a decorare la sua casa, ma delle semplici fronde che nel giro di qualche giorno sarebbero state staccate e portate via. E poi stavano festeggiando il Natale quando il padre di sua moglie era morto da meno di due mesi. Non sarebbero dovuti ancora essere in pieno lutto? Lui, lei e tutta la famiglia?

Invece, nel salotto si erano rimessi a cantare. Almeno alcuni di loro. Risuonavano chiacchiere e risate. Tutti quei segnali di felicità che fino a una mezz’ora prima il conte aveva pensato di poter condividere. Ma quelle persone, i familiari di Eleanor, venivano da un altro mondo.Un mondo che gli era precluso, a causa della sua educazione e di come era stato cresciuto. E per il

fatto che lui aveva sposato una donna che apparteneva a quel mondo, distruggendo in quel modo la sua felicità presente e futura. O forse era stata lei a distruggere la sua? Non lo sapeva. Forse erano vere entrambe le cose.

Aprì la porta del salotto e si scostò per permettere alla moglie di precederlo all’interno.

Eleanor si scaldò le mani davanti al fuoco e fissò le fiamme, mentre si sentiva prossima alle lacrime. Non avrebbe pianto, naturalmente. Non ci riusciva. Non era più riuscita a piangere da prima della morte di suo padre. E non l’avrebbe comunque fatto ora che suo marito poteva entrare nella stanza da un momento all’altro.

Si ritrovò a pensare che non sarebbe riuscita ad apprezzare l’atmosfera natalizia come sempre, quell’anno. Oh, per tutto il giorno era sembrato esattamente come tutti gli anni, con tutta la gioia, la meraviglia e la magia che solitamente il Natale portava con sé. Ma non stava andando realmente così. Le decorazioni non erano riuscite a scaldarle il cuore, quando era tornata in salotto dalla biblioteca, e le canzoni natalizie non erano riuscite a riportarle alla mente la grotta di Betlemme e il significato di quelle immagini. Di colpo, mentre un’acuta sofferenza la invadeva, aveva sentito la mancanza di suo padre e aveva desiderato di non avergli mai promesso di provare la gioia del Natale anche per lui. Come ci si poteva costringere a provare la gioia del Natale?

L’allegria della sua famiglia non era riuscita a sollevarle l’umore. Lo zio Sam aveva voluto sapere, con un tono che aveva attirato l’attenzione di tutti i presenti, dove lei e suo marito fossero stati, e le battute di spirito si erano sprecate tra lo zio Sam, lo zio Ben e lo zio Harry, e a quel punto la zia Eunice e la zia Irene avevano suggerito ai due di ignorarli, mentre la zia Ruth, Muriel e Susan erano arrossite. E poi Tom aveva notato il punto in cui lei si trovava, e l’aveva fatto notare anche a suo marito, ridendo.

Così, lui era stato costretto a raggiungerla sotto la ghirlanda di vischio, posandole le mani sulle spalle e baciandola sulle labbra, mentre le risate e gli scherzi affettuosi erano ricominciati, e la zia Ruth l’aveva benedetta.

Eleanor si era trovata a rabbrividire. Non sarebbe stato un Natale felice, quello, dopotutto. Eppure, aveva fatto una promessa a suo padre.

Quasi per caso, aveva incrociato lo sguardo di Wilfred dall’altra parte della stanza, quando avevano smesso di baciarsi. E lui non aveva neanche provato a nascondere l’espressione di disperata tristezza che gli era comparsa sul volto.

E ora suo marito stava venendo da lei, e il pensiero la fece rabbrividire ancora. Perché era stato ferito nell’orgoglio. Perché aveva capito che lei non aveva mai voluto i suoi preziosi titoli, e non si sarebbe mai gettata ai suoi piedi per esprimergli la sua gratitudine. Perché adesso lui sentiva il bisogno di renderla sua e distruggere l’orgoglio di Eleanor.

Ma lei non voleva che andasse così. Si era illusa fin da quando erano arrivati in campagna. Non pensava che lui potesse amarla, o provare una qualche forma di affetto nei suoi confronti, no, certamente niente di così fantasioso e impossibile. Ma quantomeno sperava che potesse esserci pace, rispetto e magari una blanda forma di amicizia, tra loro. Eppure, quella speranza era andata in frantumi, ora, perché lui aveva scoperto i suoi sentimenti per Wilfred.

Wilfred! Non poteva pensare a lui, adesso. Non lo avrebbe fatto. Aveva sposato un altrouomo, e ora doveva pensare soltanto al matrimonio. Non aveva senso struggersi per un amore che non sarebbe mai potuto sbocciare davvero.

E poi se lo ritrovò nella stanza, senza neanche la cortesia di bussare alla porta. Si girò, dando le spalle al fuoco, per fronteggiarlo. Indossava soltanto la camicia da notte e sembrava serio ecupo. Non certo come sarebbe dovuto essere un uomo che entrava nella stanza di sua moglie per fare l’amore con lei.

Avrebbe dovuto nuovamente affrontarlo e contrastarlo, pensò, mentre lo vedeva attraversare la stanza per raggiungerla. Ma non se la sentiva di combattere. L’aveva fatto, la prima notte di nozze, soltanto perché era terrorizzata. Ma adesso non aveva paura. Si sentiva soltanto molto triste, perché avrebbe voluto che tutto avvenisse in modo diverso. Senza quella freddezza, senza quella rabbia. Scostò una ciocca di capelli dal viso, portandola dietro le spalle.

Di’ qualcosa, pregò mentalmente, mentre le mani di lui si allungavano a slacciarle i bottoni della camicia da notte. Ma quella preghiera era così profonda, dentro di lei, da non riuscire neanche a raggiungere i suoi occhi, in cui lui aveva affondato i propri. Baciami. Fingi almeno un minimo di tenerezza. Ma lui non disse nulla, e lei rimase immobile e distaccata, mentre lui le denudava le spalle, lasciando scivolare la camicia da notte sul pavimento.

Restò a guardarla, forse aspettandosi che lei facesse ciò che aveva fatto la prima notte dinozze. Forse si aspettava che fosse lei a svestirlo. Ma lei rimase ferma, senza neanche cercare di coprire la propria nudità con le mani, o di avvicinarsi in modo che lui non potesse guardarla.

«Sdraiati» le ordinò, e lei si voltò verso il letto e fece come aveva detto.

Lo fissò dal basso mentre lui si spogliava a sua volta della camicia da notte, abbandonandola sul pavimento. Ti prego, lo implorò mentalmente. Oh, ti prego, non così. Ma cosa voleva davvero? Delle parole gentili? Da lui? Un po’ di tenerezza? E perché mai loro due si sarebbero dovuti scambiare tenerezze? Ti prego, pensò comunque, mentre lo fissava immobile.

Lui le si avventò addosso e le allargò le gambe con le ginocchia, per poi penetrarla profondamente con un unico affondo. Lei inspirò bruscamente, ma non sentì alcun dolore. Fissò il baldacchino del letto, oltre lui. Seta color oro, dalle pieghe pesanti, con una grande rosa dorata al centro. La luce delle candele si rifletteva su una di quelle lucide pieghe. Attese che lui iniziasse a muoversi.

E poi, si ritrovò a fissare il suo volto, comparso improvvisamente nella sua visuale al posto del baldacchino. Si era sollevato sui gomiti. Lei lo fissò negli occhi con calma, implorandolo silenziosamente.

«Ecco cosa significa essere mia moglie, mia signora... Eleanor» le disse, pronunciano il suo nome tra i denti. «Non significa tenermi lontano da te, ai confini della tua vita, continuando a vivere come hai sempre fato. Significa questo. Intimità. Una costante intimità notturna. E forse anche diurna, quando non avremo più degli ospiti da intrattenere.» Da sfamare a mio piacere. Era come se avesse pronunciato anche quelle parole, sebbene non l’avesse fatto. «Lo capisci?» Prese a muoversi dentro di lei, molto lentamente.

«Sì» mormorò lei. «Sono sempre stata qui, mio signore. Ogni notte. E ogni giorno. Non vi ho mai rifiutato.»

«Mi stai rifiutando adesso» le ribadì. «Sembri una statua di marmo, come prima in biblioteca. Ma non permetterò più che tu mi tenga lontano da te, Eleanor. Da ora in poi, il nostro sarà un vero matrimonio, che a te piaccia oppure no.»

«A me sta bene» dichiarò lei, mentre sentiva la rabbia venirle in aiuto per scacciare l’orribile tristezza che l’aveva resa così apatica. Risalì con i piedi lungo il lenzuolo, ai lati delle gambe di lui, in modo da piegare le ginocchia e sentirlo più profondamente dentro di lei. E sollevò le braccia dal letto per abbracciarlo. «Pensavate che avrei voluto un matrimonio senza questo? Come avrei potuto avere dei bambini?»

Lui si fermò. «Vuoi dei bambini?» le domandò, e per un attimo nei suoi occhi passò un lampo che le fece perdere un battito.

«Certo che li voglio» dichiarò con disprezzo. «Chi altro potrei amare?»

Quell’espressione svanì dal suo sguardo quasi come se lei lo avesse preso a schiaffi. «Già, chi?» ribatté. «Molto bene, dunque, a quanto sembra non dovrò sentirmi in colpa per aver ribadito i miei diritti. Potremo ottenere mutua soddisfazione da questi nostri incontri.»

«Sì» rispose lei.

Lui tornò ad affondarle dentro, abbassandosi su di lei e portando la testa accanto alla sua, senza più guardarla, con il viso nascosto tra i suoi capelli. Non parlò più, né la baciò. Lei chiusegli occhi e gli tenne le braccia strette intorno al busto, concentrandosi su ciò che stava accadendo traloro. Non aveva paura, né stava soffrendo, né sentiva la frenesia della prima volta.

Dopo un po’, si rese conto, con una certa sorpresa, che era piacevole, quando sentì la loro unione diventare più umida e calda. Non era affatto doloroso, e neanche umiliante. Le faceva salire una sensazione di tensione in tutto il corpo, fino ai capezzoli tesi, e le fece desiderare che proseguisse ancora a lungo.

Lo strinse più forte a sé e sollevò le ginocchia fino ad allacciargli le gambe intorno ai fianchi. E desiderò che potessero amarsi, o almeno volersi bene. Era così intima, quell’unione dei loro corpi, e così piacevole. Ma ci sarebbe dovuto essere qualcosa di più. Parole sussurrate, baci e tenere carezze. Sarebbe dovuta essere un’unione di anime, oltre che di corpi.

Lo abbracciò, sentendo la fermezza dei suoi muscoli sotto le dita e il profumo dell’acqua di colonia che aveva quella sera. Ma nell’abbraccio più intimo con suo marito, si sentì improvvisamente sola. E nuovamente prossima alle lacrime.

«Ti prego.» Girò il viso per premere una guancia contro i suoi capelli.

Lui sollevò immediatamente il capo e la guardò. «Che succede?»

Eleanor scosse la testa. Si era lasciata sfuggire qualcosa? Un grido? «Nulla.»

«Ti sto facendo male?» mormorò.

«No.»

Lui la guardò negli occhi, mentre il corpo di lei continuava a provare quel piacere, e il suo spirito quel dolore insostenibile. «Eleanor,» sussurrò «tu sei mia moglie.»

«Sì.» Non capiva cosa intendesse con quelle parole. Forse era un modo per chiederle perdono? Non pensava fosse un rimprovero. Le piaceva essere chiamata Eleanor. Nessuno la chiamava mai con il proprio nome per intero. Baciami, lo implorò silenziosamente. Ti prego, baciami. Ti prego, ho bisogno di un po’ di tenerezza.

E poi lo sentì irrigidirsi contro di lei e avvertì il calore del suo seme in profondità, mentre lui abbassava la testa e sospirava contro la sua guancia.

Si disse che presto sarebbe rimasta incinta, mentre lasciava scivolare nuovamente i piedilungo il materasso e si rilassava sotto il suo peso. Entro un anno, avrebbe avuto qualcuno da stringere a sé, baciare e amare. Entro il successivo Natale, forse. Ma le sembrava troppo lontano. Anche se, naturalmente, ci sarebbero stati tutti quei mesi in cui avrebbe sentito la vita crescere e muoversi dentro di lei. Una vita che lui avrebbe fatto cominciare dentro di lei, e lei avrebbe nutrito.

Lui si scostò, rimboccandole le coperte. Per poi allungarsi su di lei per spegnere le candele che ancora bruciavano sul tavolino accanto al letto. Nell’oscurità che li avvolse, lei lo sentì sdraiarsi lì accanto e comprese, con grande sorpresa, che non aveva intenzione di tornare subito nella propria stanza.

La sua guancia sfiorava il braccio di lui. Poteva sentire il calore di quel braccio. E del resto del suo corpo. Si sentiva bene, a proprio agio e rilassata dalla testa ai piedi. Decise di non pensare a nulla. Ci avrebbe pensato il giorno dopo. E si lasciò scivolare nel sonno.

10

Il conte pensò che forse sarebbe riuscito a convincere qualcuno degli uomini ad andare acaccia, quel giorno, mentre osservava il baldacchino scuro del letto sopra la propria testa. La stanza era sorprendentemente illuminata, sebbene non fosse la luce del giorno a trapelare da dietro le tende. Sospettava che avesse nevicato ancora, durante la notte. E gli tornò in mente la battaglia a palle di neve cominciata il giorno prima, sorridendo al pensiero di quanto fossero sembrate estranee al cortile di Grenfell Park l’allegria e la spontaneità di quel momento. E quanto fossero state belle, sebbene non fosse riuscito subito ad ammetterlo.

Di sicuro i suoi amici sarebbero andati a caccia. Erano venuti per quello. Forse George Gullis si sarebbe unito a loro, e così anche Tom Transome. Pensò per un attimo a Wilfred Ellis e poiscacciò quel nome: non poteva non associarlo a un velo di insopportabile tristezza.

Aveva bisogno di uscire da quella casa con i suoi amici e magari con un paio degli altri

ospiti. Aveva bisogno di tornare a un minimo di normalità. Ricordò di aver sentito, la sera prima, che sua moglie e alcune delle signore si sarebbero recate in visita alla scuola e alla casa del pastore, nel pomeriggio, per finire di organizzare il concerto dei bambini. Quindi, quando fosse tornato a casa, lei sarebbe stata sul punto di uscire. Forse era meglio così. Forse era così che avrebbero ottenuto un po’ di serenità, in futuro: tenendosi il più possibile lontani l’uno dall’altra. Almeno finché quell’anno non fosse trascorso, naturalmente, così che potessero vivere definitivamente separati. In qualche modo, tuttavia, quei pensieri non gli sembravano particolarmente confortanti.

Si girò a guardare la moglie, ancora addormentata al suo fianco, con il viso rivolto versodi lui. Per tutto il tempo che restava di quell’anno, avrebbe continuato a vederla durante la notte, pensò. Aveva reso nuovamente vissuto il loro matrimonio la sera precedente, e intendeva raggiungerla a letto regolarmente, da quel momento in poi. Era già abbastanza che fossero degli estranei in tutto il resto. Di colpo, avvertì un’inattesa sensazione di tristezza. C’erano amore e gioia a non finire, nella famiglia di lei, per quanto fosse chiassosa e quasi ingestibile. Lui non aveva mai conosciuto quel genere di affetto e di calore. Sua nonna l’avrebbe definito volgare. Ma non era così.Era qualcosa di... desiderabile.

Tuttavia, non l’avrebbe mai saputo davvero. Non avrebbe mai fatto realmente parte di quella famiglia. Sua moglie lo disprezzava e amava un altro. E lui? Ebbene, non l’aveva scelta di sua volontà e l’aveva sempre considerata fredda e scostante. Ma ora non poteva più dire che fosse davvero così. In ogni caso, l’unica forma di vicinanza che avrebbe potuto ottenere tra loro era proprio l’unione fisica con lei che il matrimonio gli concedeva di diritto.

Deve essere mattina, ormai, pensò. Si sarebbe dovuto alzare, o, quantomeno, sarebbe dovuto tornare nella propria stanza. Si rese conto che la desiderava ancora. Ma lei dormiva profondamente e pacificamente, e le aveva già causato abbastanza fastidi, per una notte soltanto. L’aveva svegliata due volte, durante quelle ore, per fare di nuovo l’amore con lei, o per affermare i propri diritti e rendere il loro matrimonio normale, come aveva cercato di ripetersi entrambe le volte.

E tuttavia, ogni volta aveva saputo intimamente che c’era dell’altro, oltre a quelle motivazioni. E non sapeva ancora con certezza cosa fosse. Forse era il desiderio di rendere quella loro unione un matrimonio vero? O forse era la necessità di avere quella vicinanza fisica con lei nella speranza che avrebbe portato con sé un minimo di emozioni condivise?

Santo cielo, no, pensò, mentre la sua mente passava da una domanda alla successiva. Eleanor era la figlia di un borghese, e lui era stato costretto a sposarla. Si costrinse a ricordare il loro primo incontro. Si costrinse a ripensare a Dorothea. E a Wilfred Ellis, e a ciò che aveva inavvertitamente sentito in biblioteca, la sera prima.

No, decisamente non può essere questo, si disse. Voleva soltanto un po’ di pace, un modo per riuscire a vivere serenamente per i successivi dieci mesi. A Grenfell avrebbe avuto i suoi doveri da svolgere durante il giorno, proprio come lei. Di notte si sarebbe preso il suo piacere con lei, e lei sarebbe stata ben felice di ricevere il suo seme. Poteva essere un accordo accettabile per entrambi.

Niente di più e niente di meno.

E quando lei avesse avuto un bambino, avrebbe avuto qualcuno da amare, pensò il

conte, ricordando, con un lampo di dolore acuto, le parole che lei gli aveva rivolto la sera prima. Non aveva forse lui da amare? In quel momento se l’era chiesto. Ma era stato un pensiero stupido; l’aveva capito allora e lo capiva anche adesso. Lei lo disprezzava, come disprezzava la sua intera classe sociale. E lui non voleva il suo amore.

Doveva alzarsi. Si girò a guardarla di nuovo, e la vide stiracchiarsi appena e aprire gli occhi, quasi come se avesse avvertito il suo sguardo su di sé. Sembrava sorpresa.

«Oh,» mormorò «che ore sono?»

«Non ne ho idea» rispose lui. «Credo sia quasi l’alba.»

E poiché Eleanor era sveglia, e sembrava assonnata, calda e arruffata, e poiché era sua moglie, il conte le scostò le coperte di dosso e prese il loro posto, prendendola ancora una volta, prima di tornare a coprirla contro il freddo del mattino scendendo dal letto e cercando a tentoni la camicia da notte.

Poteva sentire lo sguardo di lei seguirlo attraverso la stanza. Ma non disse nulla.

La mattinata passò piuttosto tranquillamente. Suo marito era andato a caccia con i suoi quattro amici, lo zio Harry e Tom. Gli altri uomini erano nella sala da biliardo. Bessie e la zia Eunice avevano preso i bambini e due slitte per andare a fare un giro sulle colline, approfittando delnuovo strato di neve fresca, caduta durante la notte. Eleanor trascorse un’ora al piano di sotto, a parlare con la governante, a consultare il cuoco per decidere il menu di Natale, e a godersi l’atmosfera che si respirava nella grande e calda cucina, insieme ai profumi speziati che già iniziavano a riempirla.

Avrebbe trascorso la giornata con le altre donne, pensò, mentre tornava al piano di sopraper unirsi alle zie e alle cugine nel soggiorno. Gli uomini sarebbero stati quasi sicuramente per conto loro tutto il giorno. Era possibile che non rivedesse suo marito fino all’ora di cena. E poi si sarebbero intrattenuti con qualche divertimento serale. E infine, sarebbe arrivata nuovamente la notte. E lui sarebbe tornato nella sua stanza. Le aveva detto di aspettarsi le sue visite. Sarebbe rimasto nuovamente tutta la notte con lei? L’aveva presa quattro volte, la notte precedente. Quattro volte! Si sentiva ancora indolenzita, in quel punto.

«Ellie, cara,» stava dicendo la zia Catherine «sembri distratta.»

«Cosa?» ribatté lei, fissandola con sguardo assente. «Oh, scusami tanto. Sono un po’ stanca. Non ho dormito molto, questa notte.» E poi chinò il capo sul proprio lavoro di ricamo, arrossendo per l’imbarazzo.

«Stavamo tutte parlando della bellezza di questa casa» spiegò la zia Catherine «e non rispondevi ai nostri complimenti.»

«Oh.» Eleanor rise. «Grazie, allora.»

«E il conte, cara Ellie» interloquì la zia Ruth. «Non riesco a chiamarlo Randy, nonostante quello che dice Eunice. È un tale gentiluomo, tesoro.»

Eleanor le sorrise.

«E poi è così bello, Ellie» soggiunse Susan. «Molto più di Wilfred. Oh!» A quel punto, arrossì e lanciò uno sguardo imbarazzato a sua madre. «Scusatemi.»

«Devi essere molto felice, Ellie» commentò Rachel.

«Sì.» Eleanor tornò a sorridere. «Lo sono.»

Provò a pensarci, e con una certa sorpresa si rese conto che non stava mentendo del tutto. Certo, non poteva dire di essere realmente felice. Come poteva esserlo, con Wilfred in casa? Ecome poteva esserlo, sposata a un uomo che non riusciva a rispettare, uno scialacquatore, giocatore d’azzardo e donnaiolo? Tuttavia, considerò che non aveva prove del fatto che dilapidasse il proprio denaro al gioco o in altri modi, almeno da quando si erano sposati. Forse aveva deciso di cambiare vita. Forse lei stessa avrebbe dovuto dargli una possibilità di redenzione. In fondo, aveva lasciato la sua amante, giusto? Avvertì un senso improvviso di angoscia, nell’immaginarlo fare con la sua amante quello che aveva fatto con lei la notte prima, e farlo anche dopo il matrimonio. Ma non doveva dimenticare che aveva lasciato quella donna e le aveva chiesto scusa per il suo comportamento.

Sì, forse avrebbe dovuto concedergli una possibilità. Forse avrebbe dovuto dare una possibilità al loro matrimonio, visto che non poteva più cambiare il fatto di essere sposata. E forse ci sarebbe stata un’altra notte come quella appena passata. Una notte che avrebbe atteso con impazienza. Le piaceva andare a letto con lui. E si sentiva in colpa a pensarlo, poiché tra loro non c’era altro che quello, e il sesso non era una cosa buona, se non veniva accompagnato dai sentimenti, giusto?

Sentì le altre donne scoppiare a ridere intorno a lei. «Sta di nuovo sognando a occhi aperti» commentò la zia Beryl, schioccando la lingua sul palato. «Avevo ormai quasi dimenticato cosa significa essere appena sposati, Ellie. Ma è bello da vedere, tesoro. A dire il vero, temevo che fosse stato unicamente un matrimonio combinato, sapendo quanto fosse ambizioso Joseph nei tuoi confronti, ma vedo con piacere che non è così. Ci stavamo domandando quante persone potranno entrare nelle slitte, oggi pomeriggio.»

«Oh» rispose Eleanor. «Ce ne sono due, ma non le ho mai viste. Dovrò chiedere ai servitori.»

«Non ce n’è bisogno, cara» intervenne la zia Catherine, lanciando uno sguardo fuori dalla finestra, non lontana da dove era seduta. «Gli uomini sono già di ritorno dalla caccia. Potremo chiederlo a tuo marito.»

Già di ritorno? Eleanor ripiegò il proprio ricamo e attese con impazienza, domandandosise sarebbero entrati subito nella stanza. Incrociò lo sguardo della zia Catherine, vedendola sorriderlee ammiccare con aria complice.

In effetti, fecero il loro ingresso in soggiorno poco dopo, con le guance rosse e i capelli arruffati. A quanto sembrava, lo zio Harry e Mr Badcombe avevano avuto un po’ di fortuna, ma nongli altri. Tuttavia, non sembravano molto delusi.

«Il tempo è meraviglioso» commentò il visconte Sotherby, sorridendo alle signore. «È un vero peccato restare in casa.»

«Ci prenderemo la nostra buona dose di aria fresca oggi pomeriggio» assicurò la zia Beryl. «Andremo in slitta fino al villaggio con Ellie.»

«Allora smetterò subito di stuzzicarvi» affermò il visconte, con un sorriso e un galante inchino.

Eleanor non aspettava altro che di rivedere suo marito, e cercò il suo sguardo non appena lo vide entrare nella stanza. In modo piuttosto inaspettato, si sentì fremere dentro, come se ilsuo cuore o il suo stomaco, o entrambi, avessero fatto una capriola. Sentì le guance avvampare, nonostante fosse seduta piuttosto lontana dal fuoco. Guardandolo adesso, vestito di tutto punto per la battuta di caccia e in mezzo agli altri, era quasi impossibile credere che ci fosse stata tanta intimità tra loro la notte prima... e quella stessa mattina. Gli occhi di lui le restituirono lo sguardo, altrettanto intensamente.

Lei si sentì improvvisamente in imbarazzo. Sollevò il mento e serrò i denti, fissandolo con aria di sfida, come se avesse appena ricevuto un insulto. Il conte sostenne il suo sguardo per qualche altro istante, per poi voltarsi e sorridere alle sue cugine, scambiando qualche parola con loro.

«Chi andrà al villaggio?» domandò Tom. «Tutte le signore? Allora sarò dei vostri.»

«E anch’io» soggiunse Sir Albert. «Devo fare degli acquisti.»

«Bessie ha detto che voi due farete un pupazzo di neve con i bambini, oggi pomeriggio, Tom» gli ricordò la zia Ruth.

«Ah» esclamò lui, girandosi verso la porta.

«Io e Rachel andremo con Ellie, la zia Catherine e la zia Beryl» dichiarò Muriel.

«Io verrò con te, Bertie» affermò il visconte. «Sarebbe piuttosto ingiusto lasciare che tu abbia le signore tutte per te.»

Lo sguardo di Eleanor sfiorò nuovamente quello del marito. «Se posso, Eleanor, io verrò con te a fare visita alla scuola» disse lui. «Credo sia giusto che conosca i figli dei miei mezzadri e dei manovali.»

Lei annuì e si sentì... felice. Felice? Perché suo marito avrebbe trascorso il pomeriggio in sua compagnia? E volontariamente?

«Ellie?» la chiamò Rachel, diversi minuti più tardi, dopo che gli uomini ebbero lasciato la stanza, e quando le donne si furono allontanate per occuparsi del pranzo. Le due ragazze stavano salendo le scale insieme.

«Sì?» Eleanor sorrise alla cugina. «Non abbiamo avuto un attimo per fare due chiacchiere, io e te, vero, Rache? Pensavo di trovarti fidanzata, per Natale. Con il signor Redding.»

Rachel arrossì. «Credo sia stato più volte sul punto di chiedermi di sposarlo» ammise. «Ma l’avrei comunque rifiutato, Ellie. Mi piace, ma non credo di voler diventare sua moglie.»

«Oh» rispose Eleanor. «Che peccato. Anche a me piaceva. E c’è qualcun altro?»

«N... no.» Sua cugina la prese a braccetto e la condusse verso la propria camera da letto.«Ellie... I nobili non sposano spesso le ragazze della nostra classe sociale, vero? Nel tuo caso, è successo soltanto perché lo zio Joe era ricco e influente. E tu sei così bella. Ma un simile matrimonio è ben poco comune, giusto?»

Eleanor la osservò con più attenzione. «Di chi si tratta, Rache?» le domandò, mentre il suo cuore perdeva un battito. «Non dirmi che è Sir Albert Hagley a mostrarti certe attenzioni. Sono soltanto due giorni che vi conoscete. Tu sei troppo intelligente per finire in una simile situazione.»

Rachel le restituì lo sguardo. «È molto sciocco da parte mia, vero?» mormorò. «E poi mi ha completamente ignorata ieri pomeriggio e ieri sera. Ha detto che sarebbe venuto al villaggio, oggi pomeriggio prima di sapere che sarei venuta anch’io. Sì, è una sciocchezza. Volevo soltanto chiederti di lui, Ellie, visto che è molto amico di tuo marito. Lui... è fidanzato?»

Eleanor chiuse gli occhi. «È un libertino, Rache» sussurrò. «Stai lontana da lui.» Sapevache avrebbe dovuto usare parole più gentili, ma Rachel era la sua cugina preferita.

«Oh,» mormorò lei «capisco. Sapevo di essermi comportata da stupida. Ma, del resto, sidice spesso che i libertini siano anche molto affascinanti. D’accordo, seguirò il tuo consiglio, Ellie. Immagino che sia anche il fatto di sapere che è un nobile ad avermi dato alla testa. Un baronetto.» Sospirò. «Non dovrebbe fare alcuna differenza, in realtà, giusto? Ma è così bello stargli accanto, Ellie. È un uomo così simpatico.»

Eleanor annuì. «Stai lontana da lui» ripeté. «Per favore, Rache. Non voglio vederti soffrire.»

«Farò come dici» la rassicurò la cugina, con un sorriso piuttosto malinconico.

E l’avrebbe fatto davvero, Eleanor lo sapeva, e provò sollievo per questo. Rachel era una ragazza intelligente.

Inizialmente, Eleanor aveva pensato di andare al villaggio da sola, nel pomeriggio. Del resto, era una visita che faceva parte dei suoi doveri di contessa di Falloden, sebbene fosse anche uncompito piacevole. Se c’era una cosa che le piaceva della sua nuova condizione, era la possibilità difare qualcosa con e per la gente che lavorava per suo marito.

Ma non le dispiaceva di avere compagnia. Si trovava a bordo di una delle slitte, stretta tra Muriel e Rachel, mentre Sir Albert e Lord Sotherby cavalcavano lì accanto, chiacchierando e ridendo con loro. Le due zie erano nell’altra slitta, poco più avanti, e suo marito cavalcava nelle vicinanze, conversando amabilmente con le donne. Sembrava del tutto a suo agio, e le stava facendoridere entrambe per una qualche battuta che aveva appena detto. Era un perfetto gentiluomo, dovevaammetterlo. Qualunque cosa pensasse della sua famiglia, avrebbe trattato tutti con la massima gentilezza, finché fossero stati suoi ospiti.

Eleanor sentì crescere dentro di sé un moto di orgoglio nei suoi confronti. Per il fatto che gli apparteneva. Non erano sentimenti da approfondire, pensò. Non avrebbe cercato di spiegarseli. Voleva godersi quel pomeriggio. Come il visconte aveva affermato in precedenza, il tempo era meraviglioso, e lo pensò anche lei, mentre nascondeva le mani nel manicotto e osservava il proprio respiro condensarsi in una nuvola di vapore sopra la sua testa. Il rumore cadenzato degli

zoccoli dei cavalli sulla neve si mischiava al tintinnio dei campanelli sui finimenti e al cigolio dei pattini delle slitte.

Continuò a guardare avanti, senza partecipare alla conversazione tra le sue cugine e i due gentiluomini. Lui era suo marito, pensò, osservando la sua schiena dritta, le gambe forti serrate ai fianchi della cavalcatura, le mani inguantate strette con delicatezza sulle redini. Suo marito. L’uomo con cui avrebbe trascorso il resto della vita. Quel pensiero non le faceva più provare orrore e disgusto come le prime volte; anzi, al momento era perfino difficile, per lei, riportare alla mente il ricordo di quei primi giorni. Era qualcosa che ormai aveva accettato, perché aveva dovuto. L’alternativa era affrontare una vita di spaventosa infelicità. Era... una sfida. Sì, ecco cos’era.

Si voltò e incontrò lo sguardo incuriosito di Sir Albert. Entrambi distolsero subito gli occhi.

Era l’ultimo giorno di scuola, per i bambini. Erano tutti ben vestiti, pettinati ed emozionati perché la contessa sarebbe venuta ad ascoltarli leggere. La loro agitazione e la conseguente ansia della maestra si moltiplicarono a dismisura quando la contessa fece la sua comparsa accompagnata da due dame più anziane, e nientemeno che dal conte in persona.

Le signore più anziane furono presentate, e una di loro fece una profonda riverenza, mentre l’altra sorrise in modo decisamente materno. Entrambe si sedettero sulle sedie portate in tutta fretta per loro da Miss Brooks, l’insegnante. Il conte restò in piedi, piuttosto rigidamente, sulla soglia, con le mani dietro la schiena, mentre la contessa sorrideva ai bambini camminando tra i banchi e parlando con ognuno di loro.

Miss Brooks si sentì subito costernata. Non aveva affatto previsto una cosa simile, e nonaveva preparato i bambini a parlare con una nobildonna. In realtà, aveva immaginato che la contessa, che sarebbe dovuta venire da sola, si sarebbe seduta sulla sedia che era stata appositamente sistemata sulla pedana, mentre i bambini, uno a uno, si sarebbero alzati per leggere qualche frase provata e riprovata dai loro libri.

L’insegnante si schiarì la gola, mentre con la coda dell’occhio poteva scorgere la figura immobile del conte e le due signore.

Il conte osservò sua moglie. Eleanor sembrava completamente ignara del corretto protocollo da osservare in una simile occasione. Avrebbe dovuto atteggiarsi a gran dama, altezzosa e distaccata, per infondere soggezione e ammirazione nel cuore dei bambini e di Miss Brooks. Proprio come lui stava tentando la parte del gran signore, immobile e accigliato sulla soglia.

Solo che non era una scelta volontaria, da parte sua. Era una parte che gli era stata inculcata così profondamente insieme all’educazione che aveva ricevuto, da non avere apparentemente alcun controllo su di essa. I bambini cominciavano visibilmente a rilassarsi, di fronte alla passeggiata inattesa di sua moglie tra i banchi e ai suoi affettuosi sorrisi. Ma invece di sentirsi mortificato per quel comportamento inappropriato – di sicuro sua nonna si sarebbe rivoltata nella tomba – si ritrovò a provare un’inaspettata invidia. E un altrettanto inaspettato orgoglio. E anche qualcos’altro. Eleanor era bella, affettuosa e gentile. Come aveva fatto a pensare che fosse una donna fredda e insensibile?

Tuttavia, Miss Brooks sembrava sul punto di farsi cogliere da un colpo apoplettico. Le

si avvicinò di qualche passo.

«Siete qui da quest’estate, signorina?» le domandò. «Il Reverendo Blodell mi aveva riferito, al tempo, che vi considerava un’ottima candidata per questo incarico, e ho sentito parlare sempre molto bene del vostro lavoro, da allora.»

Il viso insignificante dell’insegnante si illuminò per quelle parole di apprezzamento, mentre si affrettava a piegarsi in una rigida riverenza. «Grazie, milord» rispose. «Faccio del mio meglio, milord.»

Lui le sorrise. «Li avete preparati a leggere?» domandò. «Mia moglie sarà pronta ad ascoltarli, tra poco. Spero che non stiamo disturbando troppo la lezione di oggi.»

«Oh, no, milord» si affrettò a rassicurarlo Miss Brooks. «Siamo onorati di avervi qui, milord. Più che onorati.»

«Allora forse non vi dispiacerà se prima parliamo un po’ con i bambini» continuò lui. «Non li interrogheremo sulle lezioni, signorina. È Natale.» E con quelle parole, le sorrise nuovamente, rassicurante.

Miss Brooks aveva temuto proprio quello. Sembrò quasi afflosciarsi per il sollievo, e tornò a guardare il conte con una luce di pura adorazione negli occhi.

E il conte scoprì a quel punto di non avere altra scelta se non quella di rivolgersi ai bambini e parlare con loro, come stava già facendo sua moglie. Era quasi terrorizzato. Cosa si poteva dire a dei bambini di campagna? Come faceva Eleanor a sembrare così tranquilla e rilassata, come se si stesse davvero divertendo?

«Farete un concerto, domani?» chiese al primo gruppo di scolari su cui posò lo sguardo.Una domanda sciocca, considerando l’ovvietà della risposta.

I piccoli annuirono, con gli occhi sgranati.

Lui sorrise, e cercò qualcos’altro da dire.

«Ma non abbiamo un posto dove farlo» pigolò una vocina.

Il conte cercò la fonte della voce e aggrottò le sopracciglia. «Non avete un posto?» ripeté, incoraggiante.

«La classe è troppo piccola per far entrare tutti i genitori, mio signore.» Era la voce di sua moglie, calda e preoccupata, oltre che un po’ divertita. «Me ne hanno parlato. E la sala della chiesa è stata chiusa quest’estate a causa delle infiltrazioni nel soffitto.»

«Sì» confermò il conte. «Ho dato disposizioni per far riparare il tetto giusto qualche giorno fa.»

Alcuni dei bambini applaudirono. Con il denaro di tuo padre, sembrò dire a sua moglie con lo sguardo che si induriva leggermente. Un automatico gesto di difesa, perché si era aspettato che lei avesse avuto lo stesso pensiero. Ma stava sorridendo.

«Nel frattempo,» la sentì dichiarare «non hanno altra scelta se non il concerto qui, in condizioni di sovraffollamento inaccettabile, oppure usare la chiesa, che tuttavia non è il luogo più adatto.»

«Bisognerebbe trovare un’alternativa» affermò il conte.

«Oh, milord» intervenne Miss Brooks, imbarazzata «la classe andrà benissimo. Bambini, non è affatto giusto che voi infastidiate il signor conte e la sua signora con questo insignificante problema.»

«Ma non è affatto insignificante» ribatté il conte, rivolgendosi a lei. «E di sicuro c’è un’alternativa.» Tornò a guardare sua moglie. Lei continuava a sorridergli. Aveva capito a cosa stava pensando, ne era certo. Proprio come un marito e una moglie avrebbero dovuto conoscere i rispettivi pensieri. Era un momento strano, quasi irreale.

«Abbiamo molti ospiti, Miss Brooks,» spiegò dunque Eleanor «che sarebbero felici di assistere al concerto dei bambini. E certamente non potrebbero stringersi tutti qui dentro con i genitori e i nonni dei piccoli. Non credete anche voi, zia Catherine e zia Beryl?»

«Sono piuttosto certa» dichiarò la zia Catherine «che saremmo tutti molto delusi, se perdessimo questa deliziosa occasione.»

«Allora è deciso» concluse il conte. «Il concerto di domani si terrà a Grenfell Park. Diciamo... alle quattro in punto, che ne dite?» Si guardò intorno, con le mani intrecciate dietro la schiena. «Vi sembra una soluzione accettabile?»

«E il concerto sarà seguito da una festa» soggiunse sua moglie. «Con tanti giochi e cibi squisiti.» E con questo, tornò a sorridere ai bambini.

Alcuni dei piccoli li fissarono a bocca aperta. Gli altri applaudirono. Due maschietti si rovesciarono indietro con le loro sedie, causando un gran baccano, mentre Miss Brooks si irrigidiva,arrossendo.

«È davvero gentile da parte vostra, milord, milady» dichiarò. Con la forza di volontà, e senza aver bisogno di parole, riuscì poi ad attirare l’attenzione dei suoi alunni distratti. «Bambini, credo che un applauso potrebbe essere un appropriato gesto di gratitudine» affermò, battendo per prima le mani con delicatezza ed eleganza.

I bambini applaudirono con maggiore entusiasmo. Il conte sorrise alla moglie, rendendosi conto che, per la prima volta da quando erano sposati, e fuori dal letto, avevano agito in sintonia. Insieme, e senza mettersi d’accordo, avevano organizzato un concerto e una festa per i bambini e i loro genitori. Una novità assoluta per il villaggio. Qualcosa per cui il suo cuoco avrebbepotuto tranquillamente dare le dimissioni. Qualcosa di cui, senza sapere esattamente perché, si sentiva enormemente soddisfatto.

«Miss Brooks» riprese sua moglie. «So che desiderate che i bambini mi leggano qualcosa. Sarebbe davvero un piacere, per me. Dove volete che mi sieda?»

Si accomodò sulla predella e il conte tornò sulla soglia dell’aula. E pensò che Eleanor aveva agito con grande saggezza, sempre che avesse pianificato tutto in precedenza. Adesso, infatti,

i bambini non erano più agitati, ma tranquilli e rilassati. E perfino Miss Brooks sembrava meno rigida e nervosa. I piccoli alunni si alzarono uno alla volta per leggere, mentre Eleanor prestava lorola massima attenzione, sorridendo incoraggiante.

«Siete tutti meravigliosi» disse infine, dopo che l’ultimo bambino si fu seduto. «E sapete leggere benissimo. Era tanto che non mi divertivo così. Il vostro concerto di domani sarà altrettanto bello?»

I bambini scoppiarono a ridere.

«Non vedo l’ora di ascoltarvi» affermò lei, alzandosi in piedi. «Natale è il periodo più bello dell’anno, non è così?»

I piccoli alunni sembravano pronti a ricominciare la conversazione, ma Miss Brooks fece loro un cenno, e i bambini si alzarono e cantarono due strofe di God Rest Ye Merry, Gentlemen, recitando i versi con meraviglioso entusiasmo, e senza minimamente curarsi del significato di ciò che stavano cantando.

Sì, il Natale era davvero un momento splendido, considerò il conte, rispondendo mentalmente alla domanda della moglie, mentre apriva la porta dell’aula per permettere alle signoredi precederlo e sollevava una mano in un cenno di saluto agli alunni e alla loro insegnante.

«Ora, è il caso di avvertire il pastore e Mrs Blodell del cambio di programma per il concerto. Sarà anche l’occasione per dire loro della festa» affermò il conte.

«Sì» concordò sua moglie, posando una mano sul suo braccio. «Sono sicura che ne sarà felice e sollevata, mio signore.»

Lui la guardò mentre si voltava a dire qualcosa alle zie, ancora colpito da quanta luce ci fosse nei suoi occhi quando l’aveva guardato e gli aveva parlato.

11

Gli zii erano impazienti, dopo aver trascorso tutta la giornata in casa. Nel corso della cena, lo zio Sam dichiarò che se avesse giocato ancora a biliardo, sarebbe rimasto piegato in due e non si sarebbe più dovuto preoccupare della vecchiaia.

«I bambini si sono divertiti con lo slittino, Bess?» chiese lo zio Ben. «La discesa era lunga, eh?»

«Fin troppo, per le mie energie, zio» ammise lei. «E, anzi, c’è più di una discesa, ma ovviamente Davie ha cercato la più lunga e ripida.»

«In fondo è mio nipote» affermò lo zio Sam, ridendo di cuore. «Quanti slittini ci sono,

ragazzo mio?» domandò poi, rivolgendosi al conte seduto a capotavola.

«Sei» rispose lui. «Anche se non so perché ce ne siano così tanti, anzi, non so neanche perché ci siano degli slittini in questa casa, visto che sono stato l’unico a farne uso. Almeno fino a questa mattina.»

«Sei!» esclamò lo zio, deliziato. «Ottimo, così non ci saranno lunghe attese. E pensate che possano reggere il mio peso, figliolo?»

«Oh, sicuramente, signore» confermò il conte, con un’espressione piuttosto incredula sul volto.

«Splendido.» Lo zio Sam si fregò le mani in un gesto che ricordava bizzarramente quello del defunto fratello. «Se reggono me, reggeranno chiunque altro. Ben è un po’ più leggero di me, ma di poco. Per quanto riguarda Irene, non posso assicurarlo.»

«Oh, Samuel!» protestò lei, arrossendo.

«Oh, zio Sam!» esclamarono tutti i cugini in coro.

E così, senza ulteriori discussioni, fu deciso che la cena sarebbe stata seguita da una passeggiata sulle colline al buio e al freddo, e da un’ora o due di scivolate sugli slittini.

Proprio come bambini spensierati, pensò Eleanor, lanciando uno sguardo un po’ ansiosodall’altra parte del tavolo, verso il marito e i suoi quattro amici. A dire il vero, erano molto più indisciplinati di un gruppo di bambini. Suo marito e i suoi amici si erano ormai abituati a loro? Provavano ancora disgusto verso la loro volgarità? Oppure avevano imparato a tollerarli?

Il conte sembrava cortese e galante come sempre. Completamente indecifrabile, in altre parole. Lei non aveva idea se quell’unico sfogo che aveva avuto contro i suoi parenti il giorno del loro arrivo riflettesse i suoi veri sentimenti o fosse stato soltanto un modo di rispondere sarcastico alla discussione a cui lei stessa aveva dato inizio.

Avevano litigato di nuovo, al ritorno dal villaggio. O meglio, non era stato esattamente un litigio. Avevano parlato, e lei aveva usato le parole sbagliate alla fine del discorso, e ne era ancora dispiaciuta. Tutta la magia di quel pomeriggio ne era stata irrimediabilmente rovinata.

«Ti sei resa conto, immagino» aveva detto lui, mentre la accompagnava di sopra nella sua stanza, al ritorno «che sei quasi riuscita a far venire un colpo apoplettico a Miss Brooks, a scuola, rifiutandoti di comportarti come avrebbe fatto una gran dama, vero?»

«E cioè?» aveva risposto lei, irrigidendosi.

«Avresti dovuto annuire con grazia e senza sorridere,» le aveva spiegato il conte «lasciandoti subito scortare verso la pedana. E poi avresti dovuto ascoltare i bambini che leggevano balbettando e con la voce tremante per l’emozione, e infine avresti dovuto raccomandare loro di continuare a esercitarsi finché non avessero saputo leggere bene.»

Lei si era sentita furiosa nei confronti del marito per la sua mancanza di sensibilità. Oh, e pensare che aveva iniziato perfino a rilassarsi e a dimenticare che lui apparteneva alla classe che disprezzava di più, l’aristocrazia!

«Ebbene,» aveva risposto, sollevando il mento «cosa vi aspettate dalla figlia di un borghese, mio signore? Dalla figlia di un mercante di carbone? Cos’altro vi potevate aspettare, se non volgarità? Forse dovreste riportarmi in città, dove potrei essere nascosta più facilmente alla pubblica vista. E dove avrei meno possibilità di mettervi in imbarazzo.»

Lui aveva aperto la porta del camerino e si era inchinato di fronte a lei. «Sei davvero come un istrice» aveva commentato a mezza voce. «Se mi avessi lasciato finire, stavo giusto per dire che ero molto lieto che ti fossi discostata dalle convenzioni. Hai messo i bambini a loro agio, e così hanno trovato il pomeriggio piacevole, invece di essere soltanto intimiditi.»

Ma lei lo aveva guardato con sospetto. Un elogio da parte del conte di Falloden? O era di nuovo soltanto altezzosità? ‘Questa volta va bene, mia cara, ma la prossima volta ricordati di fare così.’ Lo aveva oltrepassato e si era chiusa la porta alle spalle. E poi si era domandata se avessero litigato oppure no.

E ora i suoi parenti si stavano organizzando per andare tutti a scivolare sugli slittini. Il problema, pensò, era che anche a lei sarebbe piaciuto unirsi a loro. Avrebbe dato qualunque cosa per poter scendere giù per la discesa più lunga, gridando a pieni polmoni. E nuovamente si sentiva oppressa dai vincoli che la sua condizione di contessa le imponeva. Neanche nei suoi peggiori incubi aveva mai immaginato di poter diventare una nobildonna.

Lanciò uno sguardo di sfida al marito, dall’altra parte del tavolo. Lui lo notò e sollevò lesopracciglia.

Proprio come un istrice, pensò lei, niente affatto bendisposta nei suoi confronti. Sì, si sarebbe comportata esattamente come un istrice!

La zia Beryl, la zia Ruth e il cugino Aubrey rimasero in casa. Ai bambini non fu detto dell’uscita, perché dovevano andare a letto presto, in previsione della Vigilia, come aveva spiegato Bessie. Tutti gli altri si avventurarono sulle colline, ben coperti contro il freddo intenso della sera. Sei di loro trascinavano gli slittini, altri portavano delle lanterne, anche se non sarebbero state necessarie. La notte era chiara, grazie ai riflessi della luna e delle stelle sullo spesso manto di neve.

«Un Natale meraviglioso. Un tempo perfetto» commentò George Gullis, sfruttando comunque la scusa del freddo per passare un braccio intorno alle spalle di Mabel.

«Un tempo perfetto per gli innamorati, vorrai dire, George, ragazzo mio» commentò divertito lo zio Sam. Ma se sperava di mettere in imbarazzo i fidanzati, si sbagliava di grosso. I due si limitarono a scambiarsi uno sguardo e a sorridere, con le stelle che si riflettevano nei loro occhi.

«Ah,» esclamò lo zio Harry, fermandosi quando si avvicinarono alle colline «questo è ciò che io definisco perfetto. Colline per i temerari e colline per i pusillanimi.»

«E tanti alberi a fare da riparo» soggiunse la zia Catherine. «Come sono belli, con i ramicarichi di neve.»

Era davvero un luogo meraviglioso per i bambini, si ritrovò a pensare Eleanor. O per i Transome, che erano rimasti bambini nel cuore. Lei compresa. Oh, voleva essere la prima a scivolare giù per la discesa più lunga!

«Bene» intervenne la zia Irene, indicando la collina con il pendio meno ripido. «Non mivergogno di ammettere che faccio parte dei pusillanimi. Sam, portami giù da quella.»

Harvey e Jane, nel frattempo, come anche George, Mabel, Tom e Bessie, stavano risalendo velocemente la collina, trascinandosi dietro gli slittini.

«Miss Weekes,» esordì il visconte Sotherby, rivolgendosi a Muriel «ve la sentite di affrontare la più ripida?»

«Seguici, se hai il coraggio, Jason» lo provocò Sir Albert con un sogghigno divertito. Stava già risalendo la collina con Rachel.

«Oh, accidenti» esclamò Eleanor, rivolta a nessuno in particolare. «Volevo essere io la prima a scendere.»

«Va bene lo stesso se sarai la terza?» le domandò una voce alle sue spalle. «Prenderemouno slittino appena qualcuno arriverà in fondo.»

Lei si girò e sorrise. Ma un po’ della gioia svanì immediatamente, quando vide chi le aveva parlato. «E terza sia, Wilfred» ribatté. E osservò la sua figura alta e snella, e provò a immaginare come sarebbe stata la sua vita, se gli eventi fossero andati diversamente, negli ultimi mesi. Sarebbe stata una serata magica: scivolare con lo slittino giù per la collina, perdersi per qualche minuto tra gli alberi, tornare lentamente a casa mentre tutti gli altri li precedevano.

Attese di sentire una stretta al cuore. Di dolore, o perlomeno di desiderio. Invece, riuscì soltanto a provare un profondo fastidio per il fatto che lui fosse venuto, che fosse lì, a ricordarle costantemente quello che sarebbe potuto essere. E non riusciva a togliersi dalla testa la delusione che aveva avuto nel rendersi conto che lui non era poi così perfetto. Non avrebbe dovuto scriverle quella lettera, non sarebbe dovuto venire e non avrebbe dovuto cercare la sua compagnia in ogni occasione. E inoltre sembrava che ogni volta che lo sentiva parlare con qualcuno, non facesse altro che vantarsi della sua nuova posizione come socio nella sua compagnia. Ricordandole quanto erano stati prossimi a quel lieto fine che avevano sempre sognato.

Avrebbe voluto essere la prima a scivolare giù per la collina. Con qualcun altro. Con... Ecco, sarebbe stato semplicemente giusto che lei fosse con suo marito per la maggior parte del tempo. Lo cercò con lo sguardo in mezzo al gruppo e lo vide alzare lo sguardo verso il pendio da cui la zia Irene e lo zio Sam stavano per scendere. Eleanor si accigliò. Perché avrebbe dovuto desiderare di scivolare con lui? Di sicuro disapprovava l’intera uscita. Si sarebbe potuta divertire comunque con Wilfred.

La zia Irene urlò e lo zio Sam ruggì.

Mabel gridò.

Sir Albert Hagley lanciò un allegro urlo di incoraggiamento.

I bambini si sono messi a giocare, pensò Eleanor. Più tardi, permise a Wilfred di prenderla per mano, trascinandola su per la collina, attraverso la neve più profonda da una parte della discesa. Lei inspirò profondamente l’aria fredda della sera e si propose con determinazione di divertirsi e basta.

Sembrarono spaventosamente in alto, quando raggiunsero il crinale e lei si girò a guardare verso il basso. Ma era un piacere da non perdere. Si sedette con impazienza davanti, e attese che Wilfred si sistemasse a sua volta, con le ginocchia ai lati dei suoi fianchi e le braccia che stringevano la corda oltre le sue spalle. Un respiro caldo, e labbra che le baciavano una guancia.

«Ellie» mormorò lui. «Vorrei tanto poter scendere con te dall’altro lato della collina, sparire e non tornare mai più. E tu?»

Ma lei provò soltanto un impeto di rabbia. Nessun desiderio per lui. «Voglio scivolare giù per questa collina» dichiarò, scostando il viso dal suo.

«Era fuori dalla biblioteca» sussurrò Wilfred. «Ti ha dato problemi, Ellie?»

Lei gridò a pieni polmoni: «Andiamo!»

«Avanti, Ellie! Forza, Wilf!» Lo zio Ben, che stava risalendo la collina con la zia Eunice, si fermò ad applaudire e fischiare verso i due.

Poi scivolarono a tutta velocità giù per la collina, con l’aria fredda che li colpiva sul volto e negli occhi. Eleanor gridò ancora, scoppiando a ridere senza freni quando raggiunsero il fondo, fermandosi incolumi.

«Ellie.» Wilfred la prese per un polso mentre lei saltava in piedi, ma la giovane donna siliberò della sua presa e lo fissò con rabbia.

«Lasciami in pace!» sibilò, sorprendendosi lei stessa della propria reazione. «Non mi hai voluto quando avresti potuto avermi, Wilfred. Ebbene, ora non puoi avermi. E non farò le cose ametà. Io appartengo a Randolph,» e quasi faticò a pronunciare quel nome poco familiare per lei «davanti a Dio e davanti alla legge, e per mia volontà.»

«Bene, Ellie.» La guardò, addolorato. «Sei stata sedotta dalla posizione sociale e dalle proprietà, alla fine. Non me lo sarei mai aspettato da te.»

«Sono stata sedotta dal matrimonio» dichiarò lei. «Lui è mio marito. E ora vattene, Wilfred.»

Lui la afferrò per un polso, scostandola con forza dalla traiettoria di uno slittino in corsa. Lei tornò alla realtà e si guardò intorno spaventata, temendo che qualcuno li avesse visti discutere. Nessuno li aveva visti, a parte forse suo marito, che adesso si stava voltando a guardare il fondo della collina. Era troppo lontano per averli sentiti. Si liberò con uno strattone.

«Lord Charles» esclamò allegramente verso uno degli amici di suo marito, mentre scendeva dallo slittino appena giunto a destinazione, ridendo e togliendosi la neve di dosso. «Voleteprovare di nuovo? Con me?»

Sir Albert Hagley aveva deciso piuttosto d’impulso di andare al villaggio, quel pomeriggio. E aveva cavalcato accanto alla seconda slitta, chiacchierando con le tre dame che la occupavano, sebbene Lady Falloden fosse troppo occupata a guardare Randolph per ascoltare le sueparole, e ammirando l’unica bellezza dai capelli corvini. E sentendosi a disagio. L’aveva attentamente evitata dalla mattina del giorno precedente. Non voleva dare a nessuno l’impressione

di corteggiarla.

Tuttavia, nel villaggio avrebbe passeggiato accanto a lei, se la fanciulla non avesse subito preso a braccetto la cugina e poi, senza che lui avesse esattamente capito come, aveva finito per camminare con Jason. A quanto sembrava, neanche lei aveva tutto questo desiderio di corrergli dietro. Un pensiero rassicurante, ma al tempo stesso deprimente.

Forse il giorno che aveva trascorso lontano da lei gli aveva fatto abbassare la guardia, rendendolo meno attento. Comunque, si era ritrovato a passeggiare verso le colline accanto a RachelTransome, ridacchiando divertito per i suoi allegri aneddoti riguardanti avventure sui pattini e viaggi in barca.

I Transome, a quanto sembrava, sapevano divertirsi. E questo gli aveva fatto pensare mestamente a quanto tutto fosse serio e misurato con sua madre e le sue sorelle, e di quanto fossero importanti per loro i pettegolezzi su chi non sapeva comportarsi secondo il proprio rango.

Quando raggiunsero le colline, si ritrovò ad afferrare uno slittino, e a prendere per manoRachel, risalendo con lei il fianco dell’altura, e arrancando nella neve alta accanto alla pista scavata dai bambini quella mattina. E poi si ritrovò a gridare e ridere insieme a lei, scivolando giù alla velocità del suono, o così le aveva giurato, con la mano sul cuore.

«Che fanfarone!» esclamò lei, ridendo allegramente.

Lui non pensò di cambiare compagnia a ogni corsa, come sembravano fare gli altri. E non pensò neanche a come sarebbe apparsa quella serata trascorsa con lei agli occhi di tutti. Né si domandò perché lei non sembrasse avere alcuna intenzione di allontanarlo.

Si stava semplicemente divertendo un mondo. I parenti acquisiti di Randolph, si ritrovò a pensare ancora una volta, sapevano assolutamente come divertirsi.

E poi Timothy Badcombe li accusò di aver fatto più discese di tutti gli altri, e lui lo sfidò a duello, lasciando che fosse Tim a scegliere l’arma: palle di neve. Allora si bombardarono con furiosa energia finché non finirono entrambi distesi nella neve, senza fiato e scossi dalle risate. Ma lo slittino era ormai perduto. Tim se ne appropriò e condusse la giovane Jane Gullis su per la collina, trionfante.

«Ebbene,» ammise Sir Albert, sorridendo a Rachel «temo che questo ci costringerà a divertirci con una tranquilla passeggiata. Signorina?» Si inchinò con grazia e le offrì il braccio, che lei prese sorridendo.

E naturalmente i loro passi li condussero verso gli alberi, e poi oltre i primi tronchi, e infine ad addentrarsi sempre più nel bosco. E naturalmente, alla fine i loro passi rallentarono fino a fermarsi del tutto. E naturalmente c’era un tronco contro il quale lei poteva appoggiare la schiena.

Sir Albert le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi, in cui si rifletteva la luce della luna. «Se desiderate che vi riporti dalla vostra famiglia, ditemelo ora» le sussurrò piano.

La sentì deglutire. Poi chinò il capo a baciarla lievemente, come l’aveva baciata sotto al vischio. Il suo viso era freddo, la bocca e il respiro caldissimi.

«Mmm» mormorò. «Dolce.»

«Siete un libertino?» gli domandò lei in un sussurro.

Lui si ritrasse, pur tenendole ancora il viso tra le mani. «Perché? Per avervi portato qui senza che nessuno ci accompagnasse?» le chiese di rimando. «Non voglio farvi alcun male, Rachel. Credetemi. Volete che torniamo indietro?»

La giovane donna lo guardò negli occhi per qualche istante, poi scosse leggermente il capo.

E lui la baciò di nuovo. In modo più intenso. Più profondo. E si spinse contro di lei, sentendo le sue curve acerbe e snelle.

Cielo. Oh, cielo! Aveva passato anni a evitare quel genere di situazione, nonostante gli sforzi di sua madre e delle sue sorelle. Ma quel pensiero gli sfiorò appena la mente. Ci avrebbe pensato in seguito. Il giorno dopo l’avrebbe evitata di nuovo. Ma non quella sera. Non in quel momento.

Sentì le braccia di lei stringersi intorno alla sua vita e ogni pensiero svanì, per interi minuti. O forse ore.

La zia Eunice sentiva freddo. Tuttavia, quando lo zio Ben si offrì, con ovvia riluttanza, di riaccompagnarla a casa, non ne volle sapere. Cosa? Lasciare tutto quel divertimento? Allora avrebbero acceso un falò, suggerì lo zio Ben, e l’idea si propagò più rapidamente delle fiamme che avevano deciso di accendere. Qualcuno aveva dei fiammiferi? Mr Badcombe fece sapere che ne aveva.

E così, improvvisamente, gran parte del gruppo, dimenticati slittini e discese per il momento, si spinse verso gli alberi per raccogliere legna da ardere.

Eleanor era tra loro. Ma avanzò da sola, nascondendosi quando vide che Wilfred la stava cercando. Suo marito era su una delle colline più basse con Susan, troppo nervosa per fare altro che restarsene ai piedi delle alture per gran parte della serata.

Ellie raccolse alcuni rametti, ripulendoli dalla neve e addentrandosi un po’ di più tra gli alberi per trovarne altri. Poi si fermò, guardandosi intorno con cautela. I rumori che sentiva erano bassi, quasi impercettibili. E non sembravano quelli di persone intente a cercare legna.

Rachel era in piedi con la schiena contro un albero. Sir Albert Hagley era premuto contro di lei. Erano così stretti in quell’abbraccio da non rendersi conto della sua presenza. Ed entrambi sospiravano e gemevano di soddisfazione.

Eleanor si bloccò dov’era per qualche istante, prima di ritrarsi più lentamente e silenziosamente possibile. Fu soltanto quando ebbe messo una certa distanza tra sé e i due, e si fu girata per affrettarsi nuovamente fuori dalla macchia che il pensiero la colse: forse avrebbe dovuto fare rumore, farli interrompere, riportare Rachel dagli altri.

Ma Rachel! Dopo ciò che si erano dette quella mattina! Come aveva potuto? E con Sir Albert Hagley! L’uomo che disprezzava i borghesi, colui che pensava che il loro unico scopo fosse

quello di lasciarsi sedurre, se erano giovani e di sesso femminile. Rachel era la figlia di un locandiere.

Ma, a difesa della cugina, ovviamente, c’era il fatto che Sir Albert era un seduttore consumato, e aveva due anni di esperienza in più, da quando ci aveva provato con lei.

Si guardò intorno, incerta e preoccupata. Avrebbe dovuto dirlo allo zio Ben? Oppure alla zia Eunice? Ma a quel punto, sarebbe scoppiato un putiferio. Avrebbe rovinato la bella serata a tutti. E forse perfino l’intero Natale. Forse lo zio Ben avrebbe ritenuto necessario andare via. O forse avrebbero chiesto a Sir Albert di andarsene. E forse Rachel, non rendendosi conto da cosa fosse stata salvata, non le avrebbe rivolto mai più la parola.

Oh, Rachel!

In quel momento, vide suo marito accanto alla catasta di legna raccolta; lui si girò e le sorrise.

«Hai intenzione di portarli qui, Eleanor?» le domandò. «O pensavi di farti il tuo bel falòlaggiù?»

Lei abbassò lo sguardo sul mucchietto di rami che teneva tra le braccia e si affrettò ad accatastarli insieme agli altri. Poi si strinse al suo braccio.

«Ti prego» sussurrò. «Devo parlarti.»

Lui si allontanò con lei dal gruppo, e cercò il suo sguardo con una certa apprensione. «Che succede?» domandò.

«Si tratta di Sir Albert» spiegò Eleanor. «Ha portato Rachel nel bosco e la sta baciando.»

Lui sollevò le sopracciglia. «Effettivamente, sarebbe difficile biasimarlo per aver approfittato della situazione» commentò. «Mi sembra che si piacciano da quando si sono scambiati il primo sguardo.»

«Ma lui...» mormorò lei, preoccupata «è un seduttore.»

«Bertie?» esclamò suo marito, con una certa sorpresa. «Credo che sia una parola un po’ forte, Eleanor. Di sicuro non alzerà un dito su quella ragazza in un bosco e con i suoi parenti nei dintorni.»

«Sì, ma non avrà alcun rispetto per lei» si affrettò a rispondere Eleanor. «È la figlia di un locandiere.»

Lo sguardo del conte si fece più freddo. «Ah, si tratta di questo» commentò. «Certo, noimembri dell’aristocrazia disprezziamo le persone delle classi inferiori e non perdiamo occasione di rovinare l’onore delle loro donne, se ci capita. O di sposarle per denaro, ovviamente.»

«Ti prego.» Eleanor si strinse di nuovo al suo braccio. «So di cosa sto parlando. Per esperienza personale.»

Lui la fissò sorpreso, poi i suoi occhi sembrarono fiammeggiare. «Ha provato anche solo a sfiorarti?» ringhiò, la voce che fremeva di rabbia.

«Sì» rispose lei. Ma poi strinse più forte il suo braccio, quando lo vide voltarsi verso gli alberi e fare per allontanarsi da lei. «No. Non adesso. Non da quando siamo sposati. Parlo di due anni fa. Eravamo a una festa in campagna insieme e ho capito, dal suo sguardo, che gli piacevo. Ma poi ho scoperto che pensava che io fossi una ragazza facile, a causa della mia condizione sociale. Ha cercato di... toccarmi, e quando ha capito che non poteva avermi, ha cominciato a trattarmi con sufficienza e a chiamarmi borghese. E ben presto hanno cominciato a farlo anche tutti gli altri, e io ho passato l’intero mese a difendermi. Rachel gli sta permettendo di toccarla. Lei non sa con chi ha a che fare.»

Randolph la stava guardando intensamente, la mascella serrata e il volto ancora pieno dirabbia. «Allora eri tu» mormorò, più a sé stesso che a lei. E poi sembrò rilassarsi. «Non le farà del male, Eleanor» soggiunse. «È mio ospite, proprio come lei, e c’è fin troppa gente nei dintorni. È soltanto un bacio rubato, niente di più. Ma domani gli parlerò. Te lo prometto.»

Lei sentì la tensione abbandonarla di colpo. Suo marito aveva ragione. Certo che aveva ragione. Rachel non aveva niente da temere, quella sera. E il giorno dopo, Randolph avrebbe parlatocon Sir Albert e gli avrebbe spiegato che la ragazza era cugina di sua moglie e sua ospite. Sir Albertsi sarebbe sentito obbligato a comportarsi da gentiluomo per il resto della sua permanenza a Grenfell Park. Quella, almeno, era una cosa che si poteva dire a favore dei nobili. L’onore era più importante di quasi ogni altra cosa, per loro.

«Ma servono venti persone o giù di lì, per accendere un falò?» commentò suo marito, voltandosi a lanciare uno sguardo alle proprie spalle.

«Oh, sì,» replicò lei «se sono dei Transome.»

La sua risposta gli strappò un sorriso divertito, il primo che ricordava di aver mai ricevuto da parte sua. Lo faceva sembrare molto giovane e bello. E le fece tremare lievemente le ginocchia.

«Guarda, Eleanor,» lo sentì esclamare «sei slittini abbandonati. Vogliamo prenderne uno?»

«Oh, sì!» Alzò lo sguardo su di lui, entusiasta. Era scesa giù per quelle colline con quasiogni uomo del gruppo, tranne che con lui. «Facciamolo. La discesa più lunga. La pista è stata usata talmente tante volte che ormai è meravigliosamente scivolosa e pericolosa.»

«Il che la rende irresistibile» soggiunse lui, prendendola per mano e afferrando con l’altra la corda di uno slittino.

«Lo facevi spesso, quando eri piccolo?» gli chiese Eleanor, mentre avanzavano in mezzo alla neve.

«Non molto» ammise il conte. «Non c’era mai qualcuno con cui scivolare. E non è molto divertente farlo da soli.»

«Eri un bambino molto solo» commentò lei, guardandolo negli occhi. «Anch’io ero

figlia unica, ma non sono mai stata sola, grazie ai miei cugini.»

«E alle zie e agli zii ad accrescere il numero dei bambini.»

Lei gli rivolse uno sguardo piccato. Ma lo vide sorridere. Non la stava prendendo in giro. «E a mio padre» continuò allora. «Anche lui era sempre lì con me. Prima di ammalarsi, era pieno di energie e amava divertirsi. Tu l’hai conosciuto soltanto quando ormai stava per morire.»

Ma parlare di suo padre non fece altro che ricordare a entrambi situazioni che volevano per il momento dimenticare. Il motivo del loro matrimonio. L’amarezza che entrambi vi avevano portato dentro. Un silenzio pieno di imbarazzo calò tra loro, mentre lui sistemava lo slittino all’inizio della discesa. Si raddrizzò e la guardò negli occhi.

«Ha sempre voluto soltanto il meglio, per me» sussurrò lei. «Pensava che questa situazione sarebbe stata la migliore. È stato l’unico motivo che l’ha spinto a farlo.»

Ma lui strinse le labbra e non rispose. Attese che lei si sistemasse sul davanti dello slittino e poi si abbassò e si sedette dietro di lei, avvolgendola con le braccia e le gambe. Lei appoggiò la schiena contro il suo petto e desiderò di non aver mai nominato suo padre. Desiderò chelui facesse ciò che aveva fatto Wilfred poco prima, e le baciasse una guancia. Ma lui si stava sistemando tra le mani la corda dello slittino.

«Devo farti una confessione» ammise. «Non ho mai affrontato questa discesa, finora. E sembra decisamente ripida, vero?»

Lei sorrise. «Se preferisci,» ribatté «possiamo andare su quella meno ripida. Se credi siapiù sicura, ecco.»

Per tutta risposta, lui abbassò uno stivale e diede una spinta per farli partire. Ma forse la reazione alla provocazione scherzosa della moglie era stata troppo veemente. O forse le numerose discese precedenti avevano reso la pista molto più scivolosa rispetto all’inizio della serata. O forse fu il fatto che lei si girasse per sorridergli. O magari il fatto che si fosse spinto con un solo piede invece che con due.

Forse non c’era un solo motivo. E di sicuro non ebbero tempo di pensarci. Lo slittino andò fuori controllo dal primo momento, ondeggiando da una parte all’altra mentre Randolph tentava di tenerlo stabile, e acquistando velocità in modo decisamente allarmante, finché a metà della discesa non impattò contro un mucchio di neve fresca con un’angolazione strana, sollevandosidi lato e lanciando a capofitto nella neve profonda i suoi occupanti.

Eleanor era stata così terrorizzata da non riuscire neanche a gridare. Ma quando atterrò sopra suo marito, con le sue braccia che la stringevano forte, scoprì che entrambi stavano ridendo a crepapelle. A dire il vero, si rese conto che stava proprio sghignazzando, ma non riusciva in nessun modo a costringersi a produrre un suono più educato.

«Chi vuole contare braccia e gambe?» domandò lui, quando riuscì a riprendere il controllo della voce. «Ne abbiamo ancora quattro ciascuno?»

«Oh, penso di sì» rispose lei, senza fiato. «Ma non oso contare le dita. Visto? Te l’avevodetto che avremmo fatto meglio a scegliere la discesa meno ripida. È per i novellini come te.

Avremmo potuto evitare questo disastro.» E ricominciò a ridere.

«Disastro?» Lui era riuscito più o meno a controllare le risate di poco prima. «Chi ha parlato di disastro? Ho portato quello slittino con un’abilità senza pari. Pensavi forse che volessi davvero condurti fino in fondo alla discesa?»

Lei sollevò il viso e lo guardò negli occhi. E in qualche modo dimenticò come si faceva a ridere. E per un attimo dimenticò anche come si faceva a respirare.

«Davvero lo pensavi?» ripeté lui in un sussurro.

«Sì.» Eleanor deglutì goffamente.

«Invece, intendevo farci piombare in questo letto di piume deliziosamente freddo» dichiarò lui. «Lontano dagli occhi di chi sta raccogliendo la legna, ecco.»

Eleanor non riuscì a pensare a nulla con cui rispondere a quelle parole. Non che ce ne fosse bisogno. La mano di lui le sfiorò la nuca, contro il cappuccio, e fu facile per lei cedere a quella pressione, premendo le labbra contro quelle di lui. E fu subito lieta di averlo fatto. Le labbra di Randolph erano fredde contro le sue, ma il suo respiro era caldo contro la sua guancia, e quando lo sentì aprire la bocca, avvertì altro meraviglioso calore. E altrettanto calda era la sua lingua, mentre scivolava lungo le sue labbra e poi, quando lei le dischiuse, dentro la sua bocca. In profondità.

Non sentì neanche un po’ del terrore e del ribrezzo che l’aveva portata a lottare ciecamente la prima notte di nozze. Soltanto un piacevole calore, che partendo dalle sue labbra, si diffondeva alla sua bocca e scendeva lungo la gola e fino ai seni, e poi giù fino al suo ventre, finendo a pulsare lì, dove lui l’aveva penetrata la notte prima. Lo desiderava, adesso. Dentro di lei. Caldo, duro e meraviglioso.

«Mmm» mugolò, quando la sua lingua si ritrasse dalla bocca di lei, e lui le baciò le labbra, e poi le guance e gli occhi.

«Mmm» ripeté lui, tornando a baciarla sulla bocca e facendole sentire di nuovo il tocco appassionato della lingua. «È un letto piuttosto freddo, vero?»

Lui era completamente sdraiato nella neve. E lei era sopra di lui. Ciononostante, sentiva la neve sciogliersi sotto ai propri abiti, in punti decisamente fastidiosi, e i piedi formicolarle per il freddo. Era distesa sopra a un uomo sul fianco esposto di una collina, in piena vista, se qualcuno deisuoi parenti avesse deciso di allontanarsi appena di qualche passo dal fuoco. Si stava comportando da donna totalmente priva di pudore. E non importava che quello fosse suo marito. Le nobildonne non si prodigavano certo in espliciti gesti di affetto in pubblico, neanche con il proprio coniuge.

Si sollevò faticosamente in piedi e cominciò a spazzolarsi via la neve dagli abiti. Da quando si preoccupava di quello che facevano le nobildonne? Non gliene importava nulla. Lanciò uno sguardo a suo marito, mentre, accanto a lei, sollevava il cappotto dalle falde per scuoterlo.

«Mi domando,» commentò «se avresti manovrato lo slittino in quel modo anche se avessi avuto la fortuna di sposare una nobildonna.» Che parole sciocche e petulanti, pensò lei stessa mentre si ascoltava, quasi come fosse un’altra persona rispetto a quella che parlava. Non poteva

certo biasimarlo per la sorpresa con cui la guardò. «Non riesco a immaginarti a rotolare nella neve con Miss Dorothea Lovestone, per esempio.»

Lui sembrò pensarci su per qualche istante. «Hai ragione» dichiarò infine. «Dorothea non sarebbe neanche uscita. Non si sarebbe abbassata a tanto.»

«Ecco, visto?» ribatté lei, sentendosi ancora più infantile, perché lui le aveva risposto con molta calma. Non si era affatto scomposto. «Lei è una nobildonna e io no.»

«Esatto» commentò lui. «Mi pare che tu abbia ragione. Dorothea, naturalmente, è piuttosto cagionevole di salute e probabilmente non sarebbe neanche sopravvissuta a una caduta nella neve. Un’altra caratteristica delle nobildonne.»

«Invece io sono robusta e non soccomberei mai al gelo» dichiarò lei.

Lui la guardò senza fretta dalla testa ai piedi. «Sì, esattamente» ribatté, con voce fastidiosamente fredda. Eleanor si sentiva così frustrata da desiderare di riempirgli il petto di pugni, ma poi si sarebbe sentita ancora più stupida, se lo avesse fatto. Che motivo ne avrebbe avuto? Lui leaveva soltanto dato ragione, e nel modo più gentile possibile. «A proposito di freddo, i miei piedi sembrano essersi trasformati in due blocchi di ghiaccio. E i tuoi?»

«Perché mai dovrei avere i piedi freddi,» chiese lei «visto che non sono affatto delicata come una nobildonna?»

«Non saprei» rispose lui. «Torniamo accanto al fuoco, va bene?»

12

Tutto doveva essere cominciato, considerò il conte, a scuola, quando lei si era comportata in modo così poco convenzionale e lui non si era sentito minimamente imbarazzato o infastidito; aveva soltanto provato una leggera invidia nei suoi confronti, e forse ne era rimasto vagamente incantato. E poi c’era stata la sua folle decisione di farsi invadere la casa dai bambini e dai loro genitori la Vigilia di Natale, decisione che aveva preso per la luce che aveva visto brillare negli occhi di lei, insieme a un allegro senso di sfida. E poi il suggerimento, da parte sua, che il concerto fosse seguito da una festa, idea che l’aveva divertito, invece di disgustarlo.

Quello era stato l’inizio. E poi, ovviamente, c’era la sua famiglia: una famiglia chiassosa, allegra e pronta a divertirsi, che soltanto un mese prima lui avrebbe considerato spaventosamente volgare. L’idea di passare la serata a scivolare con gli slittini sulle colline, personedi una certa età comprese, invece di trascorrerla in qualche attività più signorile in salotto, inizialmente l’aveva sconvolto. Ma poi aveva pensato: Perché no? Davvero, perché no? Sembrava così divertente!

E poi aveva notato che sua moglie, nonostante il suo atteggiamento distaccato a tavola, non vedeva l’ora di uscire con gli altri. Dopotutto, era una Transome anche lei. Ed era strano che a Londra non se ne fosse mai reso conto. O che lei glielo avesse tenuto nascosto così bene.

Prima di uscire, aveva visto la vivacità del suo passo e la luce che le brillava negli occhi, e che non poteva in alcun modo nascondere. Sulle colline, l’aveva vista correre su per le salite e gridare allegramente giù per le discese. Come se avesse nove anni invece di diciannove.

E avrebbe voluto essere lì con lei, tutto il tempo. Ma le buone maniere, quelle eterne buone maniere che si opponevano sempre al divertimento più semplice, lo avevano costretto a restare con i propri ospiti. L’aveva vista discutere con Wilfred Ellis e aveva capito subito di cosa stessero parlando. O almeno lo aveva sperato. Ed era stato contento che Ellis avrebbe finito per distruggere ogni affetto che lei provava nei suoi confronti, con quella sua fastidiosa insistenza.

Era stato quel pensiero a fargli tornare in mente tutto ciò che era accaduto a partire da quel pomeriggio. Aveva importanza, per lui, che Eleanor non provasse più nulla per il cugino? Chi voleva che amasse? Lui? Per abitudine, inizialmente negò che fosse quello il suo desiderio. Ma i Transome gli stavano insegnando che le abitudini a volte erano qualcosa di orribile.

Voleva stare in sua compagnia. Era quella la semplice verità dei fatti. Più di quanto ancora potesse rendersene conto. Così, aveva accompagnato due volte Susan giù per la discesa, finché non si era rilassato e aveva dovuto ammettere che era effettivamente divertente, e poi si era diretto verso il falò per cercare la moglie.

Aveva davvero voluto cadere nella neve con lei? Non lo sapeva. Ma era certo che quell’incidente era stato provvidenziale. Davvero. Aveva desiderato di baciarla, si era reso conto, perché la notte prima non l’aveva baciata. Ma lei, naturalmente, non era pronta alla tenerezza come invece lui. Dopo una breve e appassionata risposta a quel bacio, era tornata a essere la bisbetica di sempre. Sulla difensiva, come l’aveva sempre vista da quando l’aveva conosciuta. Non se n’era resoconto, all’inizio. Aveva creduto che fosse soltanto ostilità, la sua.

«Torniamo accanto al fuoco, va bene?» le suggerì.

Le passò un braccio intorno alla vita, e insieme tornarono giù per la collina, fino a raggiungere la neve più compatta, e procedendo a quel punto più spediti. Quando abbassò lo sguardo su di lei, notò che sembrava piuttosto dispiaciuta. Aveva cercato il litigio e lui gliel’aveva negato. Ma non aveva alcuna intenzione di litigare. Aveva voglia di ridere, invece. E, saggiamente, aveva mantenuto la calma.

«Comunque» mormorò lei, mentre si avvicinavano al fuoco, che adesso bruciava glorioso e senza ritorno: non erano stati risparmiati rami per alimentarlo. Un tipico falò da Transome, considerò silenziosamente Randolph, con quel nuovo divertimento che trovava così incredibile e piacevole. «Penso che stare qui fuori sia molto più divertente che annoiarsi in un salotto che sa di chiuso.»

«Davvero?» rispose lui. Non le avrebbe dato la soddisfazione di dire altro. Rischiò di lasciarsi perfino sfuggire una risatina. La sistemò tra sé e il fuoco e le passò le braccia intorno alla vita, attirandola contro il proprio petto. Lo zio Harry e la zia Catherine erano nella stessa posizione, e così Tom e Bessie e George e Mabel. Era tutto molto inappropriato, naturalmente. In pubblico,

sarebbe stato opportuno al massimo sfiorare la mano di una signora, anche se si trattava della propria sposa.

Lo zio Ben stava parlando delle stelle.

«Ecco, la mia teoria è questa» stava dicendo. «Devono averci messo molto più di una notte per raggiungere quella stalla. Venivano dall’Oriente, dice la storia. Quanto lontano? Un miglio? Due? Tre re che vivevano a qualche miglio appena di distanza?»

«Hai mai notato, però,» gli domandò lo zio Sam «che la Bibbia non dice mai che erano tre?»

«E allora,» riprese lo zio Ben «facciamo dodici. Dodici re che vivevano a qualche miglio di distanza? No, credetemi, venivano da molto più lontano e ci hanno messo ben più di una notte per arrivare a destinazione.»

«Quando ho sposato Ben,» intervenne la zia Eunice «aspettavo sempre che la locanda siriempisse per Natale, per poi attendere che una coppia stanca venisse a chiedermi una stanza. E ognivolta immaginavo esattamente in quale punto della stalla li avrei ospitati.»

Lo zio Ben si mise a ridacchiare. «Guardandola, non si penserebbe mai che Eunice sia una persona romantica, vero?» commentò.

«Oh, deve esserlo per forza, Ben» dichiarò lo zio Harry. «Non riesco a pensare a nessunaltro motivo per cui possa averti sposato.»

Tutti scoppiarono allegramente a ridere.

«Ci sei cascato in pieno, Ben» affermò lo zio Sam. «Ora devi confessare.»

«Oh, be’» ribatté lui. «In effetti ai miei tempi ero un gran bel ragazzo. Comunque, tornando al punto. Quella stella deve essere rimasta nel cielo per ben più di una notte.»

«E poi torna ogni anno» commentò Rachel. Era in piedi accanto a Sir Albert, con la spalla che sfiorava la sua. Avevano entrambi lo sguardo piuttosto acceso, notò il conte, osservandolicon aria critica. «O, almeno, è quello che mi dicevi sempre, papà.»

«Esatto» rispose lui. «Adesso è lassù. La stella di Natale. La stella di Betlemme.»

Il gruppo era stranamente silenzioso, considerando il fatto che si trattava perlopiù di Transome. Avevano tutti alzato lo sguardo verso il cielo buio al di là del falò. Oscurità e stelle. Come se si aspettassero che, tornando ad abbassare gli occhi, si sarebbero trovati di fronte una stallae un bambino in una mangiatoia, con i pastori e i Magi che si avvicinavano.

«Secondo me è quella lì» disse Mabel. Ma parlò soltanto per George, e volse il viso in modo che lui potesse baciarla velocemente. Un altro gesto decisamente inappropriato, considerò il conte, posando per un attimo la guancia sulla testa di sua moglie.

«Quella» ripeté pensierosa la zia Eunice. «Sembra strano non essere come sempre alla locanda per Natale, Ben. Credi che John Pritchard si stia occupando di tutto come si deve?»

«Quella più vicina alla luna» dichiarò Rachel, e Sir Albert si avvicinò maggiormente a lei, per farsi indicare meglio la stella che a lei sembrava più brillante delle altre.

«Quella» sussurrò il conte di Falloden all’orecchio di sua moglie. Indicò direttamente verso l’alto, in modo da portarla ad appoggiare la testa contro la sua spalla per seguire il suo gesto.

Guardarono insieme verso il cielo e la magia del Natale, e lui la sentì per la prima volta. Quella storia di fede che aveva sempre celebrato in chiesa, in modo molto più sobrio.

«Ma è proprio sopra di noi» commentò Eleanor. «Non dovrebbe essere sopra di noi finoa domani, giusto?»

«Domani sarà sopra alla stalla» rispose Randolph. «Stanotte invece è sopra di noi, in modo da farci sentire tutto il suo splendore e il suo calore.»

«Pensavo che non avessi mai potuto apprezzare il Natale» mormorò lei.

«Infatti è così» ammise il conte. «Ma non avevo mai cercato le stelle, prima d’ora.» E mai insieme a te. Quelle parole gli si formarono nella mente, anche se non le pronunciò ad alta voce.

Lei rise dolcemente. «E si dovrebbero trovare semplicemente perché qualcuno le cerca?»

«In realtà sono sempre lassù» ribatté lui. «Solo che talvolta dimentichiamo di alzare gli occhi per guardarle.»

Eleanor lasciò la testa appoggiata contro la spalla del marito, e sollevò lo sguardo insieme a lui in direzione di quel vasto e imperscrutabile universo che gli uomini così spesso dimenticavano, sebbene fosse sempre lì, enorme e pieno di misteri. Mio dio, pensò lui. Eleanor era sua moglie. Gli apparteneva. Era sua. Per la prima volta da molto tempo, aveva qualcuno con sé. Una famiglia. Qualcuno che potesse offrirgli conforto e compagnia. Una persona di cui avere cura eda amare. Mio dio! Stava stringendo un tesoro tra le braccia. E cosa aveva detto il padre di Eleanor, riguardo ai tesori?

«La stella di Betlemme è qualunque vogliamo che sia» intervenne lo zio Ben. «È quella che ci fa sentire in pace, e pieni di speranza e di amore. Quella che sentite la stella giusta per voi è la stella giusta.»

Lo zio Sam ridacchiò. «Da ragazzo scriveva anche poesie, sapete?» affermò.

«Ah!» esclamò il visconte Sotherby. «Ma è un concetto meraviglioso. Fa sembrare tutta la storia del Natale più vicina e personale.»

«E allora quella sarà la mia stella di Betlemme, perché sento che è così» mormorò il conte all’orecchio di sua moglie. «La tua e la mia.»

Eleanor restò immobile contro di lui, a guardare il cielo, con la testa contro la sua spalla,in silenzio. Durò per un po’, quel magico silenzio, un silenzio durante il quale Randolph si sentì più vicino a lei di quanto mai si fosse sentito vicino a chiunque altro. Un silenzio durante il quale arrivòa credere che fossero una cosa sola, perché erano marito e moglie. Un silenzio in cui si innamorò

perdutamente di lei.

Ma non era tutto così silenzioso, in realtà. C’erano voci intorno al fuoco. E il crepitio allegro delle fiamme, mentre consumavano la legna. Si distrasse per un attimo, e la magia svanì. Forse Eleanor se ne stava così vicina a lui perché era stato lui a volerla stringere a sé, e lei era una moglie obbediente. Forse se ne stava in silenzio perché non aveva niente da dirgli. O comunque niente che gli potesse dire di fronte alla sua famiglia. Forse era lontana da lui, e ostile nei suoi confronti, come era sempre stata. Sentì un brivido di freddo, che seguì inesorabilmente al calore morente del fuoco.

«Comunque,» continuò, in tono nuovamente più freddo e pratico «è un bel pensiero, no? E a cosa serve il Natale, se non a lasciar libera l’immaginazione?» Posò fermamente le mani sulle spalle di Eleanor, scostandola da sé, e unendosi ad alcuni degli uomini che stavano gettando della neve sui resti del falò per spegnerlo del tutto.

«Cioccolata calda per tutti, al ritorno a casa?» esclamò allegramente, alzando la voce in modo che tutto il gruppo potesse sentirlo. «E magari un po’ di brandy, mentre la aspettiamo? Che ve ne pare?»

A tutti parve meraviglioso. O, almeno, così gli assicurò un intero coro di voci. Perciò, ben presto cominciarono a tornare verso casa, in gruppetti allegri che, come al solito, cercavano di parlare tutti insieme e di farsi sentire alzando la voce più degli altri.

Eleanor, che stava tornando indietro con le zie, Bessie e Susan, si sentiva infreddolita e sola, nonostante le allegre chiacchiere che si stavano scambiando. E anche un po’ sconvolta. Qualcosa, a cui ancora non riusciva a dare un nome, era stato lì, a portata di mano, di fronte al falò. Si era appoggiata contro suo marito e aveva sentito la sua larga spalla contro la nuca, e le sue forti braccia intorno alla vita, e si era resa conto di sentirsi al sicuro, e perfino felice, in quella stretta. Perfino quando aveva pensato a Wilfred, e si era domandata se nel suo abbraccio non sarebbe stata più felice, non era riuscita a provare alcun dispiacere.

Era suo marito, e avrebbero dovuto trovare la maniera di vivere insieme. Nel corso dellagiornata, le era sembrata un’idea meno impossibile di quanto non le fosse sembrata all’inizio. Era perfino diventata una possibilità piacevole, in qualche modo. C’era stata quella strana e sorridente concordia tra loro, nell’aula della scuola. Poi lui si era preoccupato per Rachel, e le aveva promesso di parlare con Sir Albert. Si erano baciati nella neve... e i suoi pensieri si persero per un attimo, al ricordo.

E poi c’era stato il falò, con le sue braccia, la sua spalla e la sua voce. E la stella che lui aveva scelto per loro. La loro stella. La loro stella di Betlemme, che li avrebbe condotti alla speranza, alla pace e all’amore, secondo le parole dello zio Ben. Lei ci aveva creduto. Oh, era stata completamente rapita dalla magia surreale di quel momento. Ci aveva creduto e l’aveva desiderato. Con tutta sé stessa. Con tutto il cuore.

E infine, aveva sentito di nuovo la sua voce, che, in tono pratico, aveva commentato cheera soltanto una piacevole fantasia. Un attimo dopo si era ritrovata da sola, mentre lui aiutava gli altri a spegnere il fuoco. Ed era sola anche in quel momento. Sola con la propria stupida ingenuità. Appena poco più di un mese prima, lui l’aveva sposata, dopo averla vista soltanto una volta, perché aveva un disperato bisogno di denaro per pagare i propri debiti e poter vivere nel lusso che un conte

dovrebbe potersi aspettare dalla vita. Non aveva il minimo interesse in lei. Era soltanto un fastidio, per lui, e anche un motivo di imbarazzo. Si era vergognato del suo comportamento a scuola, quel pomeriggio. Sentì le guance avvampare per l’umiliazione di non aver fatto ciò che ci si aspettava dalei.

Non che avesse importanza, si ripeté ancora una volta. Non aveva mai desiderato diventare una nobildonna. E tantomeno una contessa. Lui l’aveva sposata, rendendola la sua contessa, soltanto perché voleva i soldi di suo padre. Ebbene, adesso li aveva. E aveva anche lei. Avrebbe dovuto imparare ad accettarla così com’era. Si sarebbe dannata l’anima, prima di cambiaresoltanto per compiacerlo.

C’era una speranza. Randolph continuava a ripeterselo. Doveva continuare a ripeterselo.Doveva esserci una speranza. Aveva soltanto bisogno di un po’ di pazienza. E non doveva essere avido. Perché sapeva di non poter avere tutto ciò che desiderava. Non sarebbe mai stato in grado di toccare la stella di Betlemme, neanche se fosse comparsa direttamente sopra la sua testa e lui si fosse allungato per raggiungerla.

Eleanor non l’avrebbe mai amato. Non nel modo in cui lui sognava di essere amato. Il loro matrimonio era avvenuto in circostanze troppo difficili. Lei non avrebbe mai voluto sposarlo e non aveva mai desiderato entrare a far parte del suo mondo. Eleanor amava un altro uomo. No, era assurdo pensare che potesse davvero innamorarsi di lui.

Ma c’era una speranza. C’era sempre una speranza. Sicuramente c’era qualcosa che lui doveva dirle. C’era un muro tra loro, ed era stato principalmente lui a erigerlo, poiché aveva ritenuto inutile farle sapere tutta la verità, quando l’aveva sposata. Si era rifiutato di farlo. Ma adesso voleva che lei sapesse tutto. Era importante per lui.

Il conte di Falloden aveva lasciato la propria stanza da letto, bussando alla porta del camerino della moglie, per poi scivolare al suo interno. Lei era lì, seduta davanti a uno specchio, intenta a spazzolarsi i capelli. Scintillavano come rame.

«Credo proprio che i nostri ospiti si stiano divertendo» esordì lui, posandole le mani sulle spalle, mentre Eleanor posava la spazzola.

«Sì.» Lo guardò attraverso lo specchio. «E anche i tuoi amici. Credo che siano gentiluomini molto soli. È per questo che li hai invitati?»

«A dire il vero, ho invitato loro e anche diversi altri mentre ero ubriaco» ammise Randolph, e desiderò di non aver mai pronunciato quelle parole mentre ancora stavano uscendo dalle sue labbra. Non aggiunse che al tempo era sbronzo perché non sapeva come evitare di sposarla. «Immagino che loro quattro abbiano accettato perché non avevano dove altro andare. La moglie di Sotherby è morta di parto due anni fa. Lo sapevi?»

«No» sussurrò lei. Si alzò in piedi, voltandosi a guardarlo negli occhi. «Poverino. È un uomo molto gentile. Mi piace.»

Restò di fronte a lui, senza fare nulla per scostarsi. Le mani di lui si spostarono quasi di propria volontà per slacciarle i bottoni della camicia da notte. Eleanor abbassò lo sguardo sulle sue dita. E Randolph provò un lampo bruciante di desiderio per lei. Il bisogno di averla tra le braccia.

Non era soltanto un desiderio fisico. Aveva bisogno di lei.

Calmati, pensò. Sii paziente. Non aspettarti troppo da lei.

«Eleanor» mormorò, mentre faceva scivolare fuori dall’asola l’ultimo bottone, ma senzaancora far scivolare l’indumento lungo le sue spalle. «Ti ho sposato per i soldi. Lo devo ammettere.» Santo cielo, pensò. Non avrebbe potuto cominciare il discorso con parole più disastrose di quelle. «Ma mi hai giudicato male» continuò, rapidamente, la voce troppo impostata. Avrebbe dovuto provare quel discorso, pensarci bene, prima di aprire bocca e parlare.

«Davvero?» Eleanor sollevò lo sguardo a incontrare il suo. «Non ricordarmelo. Ti prego. Non adesso. Mi vuoi sul letto?»

«Non sono un giocatore d’azzardo,» mormorò lui «né uno scialacquatore. Quei debiti non erano miei.»

«Oh, per favore» ribatté lei, mentre sollevava le mani per far scivolare lei stessa la camicia da notte giù dalle proprie spalle, scoprendo le braccia e il seno, finché non cadde ai suoi piedi. Chiuse gli occhi e gli si fece incontro. «Non voglio saperlo. Non importa. Sei mio marito e l’ho accettato. Non è forse così? Non mi sono sottomessa a te, ieri notte? Non ti ho donato piacere?»

Accettazione. Sottomissione. Il suo corpo nudo premeva contro quello di lui, e la giovane donna teneva gli occhi chiusi, remissiva. Perché era sua moglie. Perché aveva accettato di sposarlo per fare contento suo padre, e avrebbe onorato quella promessa per il resto della vita. Dovere e onore. Non voleva ascoltare alcuna spiegazione ulteriore.

Randolph si incupì, sentendosi decisamente più freddo di prima. E tuttavia, riusciva a sentire le sue curve morbide e calde contro il proprio corpo, attraverso la propria camicia da notte, che ormai era l’unica, sottile barriera tra loro. Poteva vedere i suoi seni premere contro il proprio petto e i suoi capelli di un rosso scuro sciolti in scintillanti onde sulle sue spalle e lungo la sua schiena. La desiderava. Desiderava sua moglie e lei gli si sarebbe sottomessa docilmente.

Era il suo cuore a sentirsi avvolto dal gelo. Il suo corpo, invece, era in fiamme.

«Pensavo che forse...» mormorò, esitante «che forse avresti voluto conoscermi meglio. Che forse avremmo potuto essere amici.»

«Mi vuoi nel letto» ribatté lei, con un gelo nella voce pari a quello che Randolph provava nel proprio cuore. «Devo andare a sdraiarmi?»

«Sì» rispose lui, e la guardò attraversare la stanza e distendersi sul letto, mentre si liberava della camicia da notte, lasciandola cadere sul pavimento accanto a quella di lei.

La desiderava, pensò, mentre abbassava lo sguardo su di lei, pochi attimi dopo, e la vedeva sdraiata docilmente sulla schiena. Poteva sentire il sangue scorrergli rapido nelle vene, e provò l’irresistibile desiderio di spingersi dentro di lei. Aveva bisogno di sentir crescere quella tensione fino a farla esplodere e liberarsene.

Le allargò le gambe, inginocchiandosi tra loro, prese posizione e si spinse in lei. Era

calda e bagnata. Anche lei lo desiderava, allora, nonostante l’immobilità del suo corpo e l’espressione di indifferenza sul suo viso. Si desideravano. Si abbassò contro di lei e prese a muoversi in una serie di colpi rapidi e profondi.

Eppure, non era così che avrebbe voluto che fosse, tra loro. Il suo corpo si affannava febbrilmente a cercare la soddisfazione dell’orgasmo, ma la sua mente restava stranamente distaccata. Era un’unione puramente fisica, pensò, per quanto meravigliosa potesse essere. Era soltanto il suo corpo che godeva del corpo di lei. Il semplice dono del suo seme per il piacere di lei.

Sarebbe dovuto essere qualcosa di diverso. Lui desiderava qualcosa di diverso. Avrebbevoluto unire le proprie labbra alle sue, insieme ad altre parti dei loro corpi. Avrebbe voluto poterla guardare negli occhi, e scorgervi la sua anima. Avrebbe desiderato che lei guardasse nella sua. Avrebbe voluto delle parole, parole sussurrate e parole ascoltate. Avrebbe voluto la sua stella di Betlemme. E sapeva che la propria decisione di accontentarsi avrebbe potuto non essere abbastanza per lui.

La voleva. Oh, dio, quanto la voleva. Così. Sì, così e così e così. Ma anche di più. Voleva di più.

«Ah.» Si irrigidì dentro di lei, e girò il viso per sospirare contro la sua tempia. E poi avvertì la tensione sciogliersi, un meraviglioso sollievo, mentre liberava il proprio seme. Eleanor restò immobile, serena, morbida e calda sotto di lui.

Erano due entità separate, si rese conto lui, quando infine tornò a ragionare lucidamente.Due mondi troppo diversi. Uniti fisicamente quanto potevano esserlo un uomo e una donna. Il suo seme era dentro di lei, forse persino il principio di una nuova vita. Ma a mondi e universi di distanza. Scivolò via da lei con un lampo di rimpianto, e si spostò al suo fianco. Fantasie, così avevachiamato i propri sentimenti davanti al falò, quando aveva voluto difendersi dal silenzio di sua moglie. Aveva detto la pura verità. Erano state soltanto fantasie.

Sarebbe dovuto tornare nella propria stanza. Lei aveva fatto il suo dovere di moglie, e ora avrebbe dovuto lasciarla riposare. Il giorno successivo sarebbe stato molto impegnativo. Se fosse rimasto lì con lei, sarebbe tornato sicuramente a desiderarla durante la notte. Doveva andarsene.

Scivolò nel sonno.

E si svegliò più tardi, parecchio tempo dopo: sia le candele che il fuoco nel caminetto si erano consumati del tutto. Lei gli si stringeva contro, borbottando qualcosa di incomprensibile, e cercando la sua bocca con la propria. Randolph sapeva che la giovane donna era ancora addormentata, mentre si destava e le dava ciò che stava cercando. La baciò appassionatamente, con le labbra, i denti e la lingua, e si domandò, mentre lei stessa cominciava gradualmente a svegliarsi, chi stesse sognando. Era piena di desiderio per chiunque fosse l’uomo nel suo sogno. I suoi seni, si rese conto quando premette un palmo contro uno di essi, avevano i capezzoli tesi e turgidi.

Ma non voleva pensare all’identità dell’amante del suo sogno. La sollevò, calda e ancora assonnata, sopra di sé, spalancandole le cosce con le mani, sollevandole le ginocchia ad abbracciargli il busto. Poi la prese per i fianchi e la penetrò mentre la spingeva in basso verso di sé. Ritrovò le sue labbra e la amò con selvaggia passione, come aveva desiderato amarla. Ed esultò

sentendola sempre più calda, e sentendola adeguarsi al suo ritmo e serrargli i muscoli intorno, finché non gridò insieme a lui, crollandogli addosso tremante mentre lui le sollevava le coperte sullespalle.

Proprio come aveva fatto durante la prima notte di nozze, ricordò. Ma con una differenza. Oh, sì, una grossa differenza. Questa volta l’avevano fatto insieme. Dall’inizio alla fine, un gesto dopo l’altro.

«Eleanor» sussurrò, ansante, al suo orecchio.

Ma lei era di nuovo immersa nel sonno.

Eleanor. Moglie mia. Mia amante. Amore mio.

Restò sveglio ancora per un po’, lottando contro il sonno. Stava troppo bene, era troppo rilassato e felice per non godersi quelle sensazioni. E lei era morbida e calda su di lui. Erano ancora uniti.

Amore mio. Era un sogno meraviglioso. Un sogno di Natale. Forse la realtà gli sarebbe sembrata triste e fredda, la mattina dopo. Voleva restare sveglio e aggrapparsi a quel sogno.

Finì per addormentarsi di nuovo.

13

Sir Albert Hagley si trovava nella sala da biliardo con Lord Charles, Aubrey Ellis, Wilfred e lo zio Harry. Il conte entrò e restò a guardarli giocare per un po’.

«Ahi!» commentò pacatamente, quando Lord Charles, dopo un paio di colpi notevoli, mancò una buca molto facile. «Ti va se facciamo due passi in galleria, Bertie?»

Sir Albert fece per protestare, ma quando vide l’espressione sul volto del suo ospite appoggiò subito la stecca alla parete. «Perché no?» rispose. «Fa troppo freddo, del resto, per uscire. Neve e poi ancora neve. E vento. Non è certo un bel tempo, per la Vigilia di Natale.»

«Il cielo tornerà sereno entro mezzogiorno» dichiarò allegramente lo zio Harry, mentre idue lasciavano la stanza.

«Nessuna delle signore sta passeggiando in galleria» disse il conte. «Il focolare acceso in soggiorno deve essere una tentazione irresistibile. Avremo il corridoio tutto per noi.»

«È così importante?» domandò Sir Albert, osservando incuriosito l’amico. «Il fatto che siamo soli, voglio dire.»

Il conte non rispose. Ma chiuse fermamente la porta alle proprie spalle, quando entrarono nella galleria.

«Ah!» esclamò Sir Albert, procedendo verso la più vicina delle alte finestre che si susseguivano lungo una parete del lungo e ampio corridoio. «Spero che Gullis abbia ragione, riguardo al cielo che tornerà sereno entro mezzogiorno. È orribile restare confinati in casa la Vigiliadi Natale.»

«Che intenzioni hai riguardo a Rachel Transome?» gli domandò con calma il conte.

Sir Albert si guardò intorno, sorpreso. «Che intenzioni ho?» ripeté. «Santo cielo, Randolph, non starai mica giocando al serio e attento capofamiglia, ora, vero? Non sei affatto il capofamiglia. Suppongo che il promotore di tutto questo sia... lo zio Sam.»

«Le hai dedicato molte attenzioni» gli fece notare il conte. «E ieri notte sei stato sorpreso a baciarla nel bosco.»

«Sarei stato uno stupido se non avessi colto quell’occasione» commentò lui. «Insomma,l’hai vista bene? O ci hai mai scambiato due chiacchiere?»

«È una fanciulla ingenua» dichiarò Randolph. «Non ha minimamente la tua esperienza, in queste cose, Bertie. Ed è la figlia di un locandiere.»

Sir Albert si strinse nelle spalle. «E con ciò? Tua moglie è la figlia di un mercante di carbone» ribatté. «E mi sembra che se la cavi più che bene nel ruolo di contessa. Cosa stai facendo, Randolph, stai cercando di mettermi in guardia? Non capisco davvero perché tu abbia intavolato questo discorso.»

«So come la pensi sui borghesi» affermò il conte.

L’amico lo fissò dritto negli occhi. «Non molte settimane fa sei stato tu a ubriacarti perché eri costretto a sposare la figlia di uno di loro» commentò. «Te ne sei pentito a tal punto da cercare di evitare che io commetta lo stesso errore? Pensi che questa famiglia sia insopportabilmente volgare?»

«Al contrario» dichiarò il conte. «Invidio la loro esuberanza, il loro calore e l’affetto chesembrano provare tra loro. Ci sono stati momenti in cui ho desiderato essere uno di loro... per poi ricordare che lo sono già, in quanto marito di Eleanor.»

«Per la miseria» commentò Sir Albert, osservando con interesse l’amico. «Ti stai affezionando a lei, Randolph.»

Ma il conte aveva le spalle rigide e non stava sorridendo. «Mi ha detto che hai cercato disedurla, da Hutchins, due estati fa.»

«Davvero? Allora sai che era lei» rispose Sir Albert. «Non sono sicuro che ‘sedurla’ sia la parola esatta, tuttavia, Randolph. Ho cercato di prendermi qualche libertà con lei, immagino... percapire quanto potessi spingermi avanti. Ma effettivamente, non è stato molto.»

«Perché era una borghese.» Il tono del conte era duro. «Non avresti trattato allo stesso modo la figlia di Hutchins, Bertie.»

Sir Albert tornò ad accigliarsi. «Devo forse giustificarmi per un fatto accaduto due anni fa?» domandò. «O piuttosto, per qualcosa che non è mai accaduto?»

«Non voglio che si ripeta con Rachel» dichiarò il conte. «Tutto qui, Bertie. È la cugina di mia moglie e mia ospite. Per quanto riguarda il resto, è una signora e deve essere trattata come tale.»

«L’avrei baciata, ieri notte, anche se fosse stata la più nobile delle nobildonne» affermò Sir Albert. «Ho un’infatuazione per lei, se proprio vuoi saperlo, Randolph. Anzi, forse è anche qualcosa di più. È molto più interessante e intelligente della maggior parte delle farfalline delicate che si incontrano nelle sale da ballo di Londra. E mille volte più bella. E in ogni caso, ribadisco che non devo giustificarmi con te, per questo. Al massimo, risponderò a suo padre, se sarò chiamato a farlo.»

«Davvero lo farai?» Il conte sembrò istantaneamente sollevato. «Nel senso che ti comporterai onorevolmente, Bertie? Perché mi hai detto che Eleanor era volgare?»

«Io non ho detto...»

«Sì che l’hai fatto» lo interruppe il conte. «Quando hai pensato che fosse lei la ragazza che avevi conosciuto da Hutchins. Quando ti ho parlato per la prima volta del matrimonio.»

«Ma era volgare» borbottò Sir Albert. «Parlava con un accento campagnolo che si sarebbe potuto tagliare con il coltello, tanto era pesante. E chiassosa, Randolph. Con una risata che veniva dritta dalla pancia.»

«Ah» commentò il conte. «E si è comportata così prima o dopo che tu hai tentato di sedurla, Bertie?»

«Non me ne sono accorto, prima» ammise Sir Albert. «Altrimenti, dubito che mi sarei anche solo avvicinato a lei.»

Il conte annuì. «Ah, certo» commentò. «È proprio da Eleanor comportarsi così. Riesco quasi a vederla. Con i pugni stretti, le maniche arrotolate fino ai gomiti e gli occhi scintillanti di rabbia.»

«A dire il vero, mi è stato difficile credere che si trattasse della stessa donna» ammise Sir Albert. «Ma ascoltami, Randolph. A me piace questa famiglia. A chi non piacerebbe? Stanno rendendo questo Natale davvero indimenticabile, non trovi anche tu? Insomma, ho quasi finito per dimenticare che inizialmente ero venuto qui solo per cacciare.»

«E non farai soffrire Rachel?» gli chiese il conte.

Sir Albert lo fissò, in qualche modo a disagio. «Ho cercato di starle lontano» mormorò. «Inizialmente, credo, proprio perché è la figlia di un locandiere, e mia madre avrebbe un collasso, se la portassi a casa per fargliela conoscere. E poi perché non volevo incastrarmi in una situazione insostenibile, con tutta la sua famiglia che ci teneva gli occhi addosso. Non ho mai pensato di sedurla, Randolph. Santo cielo, che idea ti sei fatto di me?»

«Credo che tu sappia come sia giusto comportarsi in questi casi» affermò il conte. «Ma

Eleanor era preoccupata. Ti sei davvero innamorato di quella ragazza, Bertie?»

«A mia madre prenderebbe un colpo» borbottò Sir Albert.

«Ma sei tu quello che poi dovrebbe vivere con lei» gli fece notare il conte.

«Proprio così.» Sir Albert si grattò la testa. «Al diavolo, è un pensiero piuttosto serio, eh? Sarà meglio che le stia lontano per il resto della giornata.»

«Se ci riesci» ribatté il conte. «Immagino che in questo modo, oggi riuscirai a scoprire quanto sono profondi i sentimenti che provi per lei.»

«Cielo» mormorò Sir Albert. «La figlia di un locandiere. E quella di un mercante di carbone. Ma ha forse importanza, Randolph? Voglio dire, ha importanza davvero?»

«Per me no» affermò il conte. «E ora sarà meglio che vada a vedere se Eleanor ha bisogno d’aiuto, nella sala da ballo. Ha intenzione di decorarla, per il concerto dei bambini e la festadi oggi pomeriggio.»

«D’accordo. Io tornerò nella sala da biliardo» rispose Sir Albert. Ma l’amico non si scostò dalla porta, quando lui si avvicinò. Restò immobile, guardandolo cupamente. Sir Albert sollevò le sopracciglia.

«Mi spiace, Bertie» dichiarò il conte. «Ma devo farlo. Questo è per mia moglie.»

Un attimo più tardi, l’espressione di Sir Albert passò dalla sorpresa al dolore, quando il pugno dell’amico gli si abbatté sulla mascella. Barcollò all’indietro, cercò di restare in piedi e poi piombò sul pavimento.

«Se vuoi sistemare la faccenda in qualche modo,» continuò il conte «puoi sempre schiaffeggiarmi con un guanto, Bertie. Sono certo che troveremo sicuramente dei testimoni, e potremo sistemare tutto lontano dalla casa e dagli occhi delle signore.»

Sir Albert sgranchì la mascella dolorante e la sfiorò delicatamente con la punta di due dita. Aggrottò la fronte, alzando lo sguardo sull’altro, dalla propria posizione sul pavimento.

«Affezionarsi a lei!» sbottò, disgustato. «Tu sei perdutamente innamorato di lei, Randolph. È la prima volta... e spero sia anche l’ultima... che vengo punito per qualcosa che ho fattonel passato.»

«Cerchi soddisfazione?» gli domandò il conte.

Sir Albert gli tese una mano. «Aiutami a rialzarmi» borbottò. «È il minimo che tu possa fare. Ora immagino che avrò un bel livido per cui dare spiegazioni a una dozzina di curiosi. Bene, ho sbattuto contro una porta. Immagino che sia la risposta più semplice da dare, giusto? E anche la più umiliante. Per la miseria, Randolph, quando dai un pugno non ti trattieni per niente, vero? La testa mi rimbomberà per un mese intero.»

Il conte lo aiutò a rimettersi in piedi e poi gli tese nuovamente la mano, in silenzio. Sir Albert la guardò, e la strinse senza aggiungere altro. Uscirono dalla galleria insieme.

Eleanor si guardò intorno con una certa soddisfazione. La sala da ballo che aveva visto la prima volta le era sembrata una stanza piuttosto grande, spoglia e triste; adesso sembrava allegra a sufficienza per accogliere una festa. I bambini ne sarebbero stati deliziati, pensò, e anche i loro genitori. Aveva deciso che sarebbe rimasta lì per salutare i genitori quando sarebbero cominciati ad arrivare. Immaginò che per alcuni, se non per tutti, recarsi a Grenfell Park sarebbe stato un motivo di preoccupazione, più che un piacere. Voleva dunque mettere tutti a proprio agio. Dopotutto, lei era la semplice Eleanor Transome, o almeno lo era stata fino a meno di due mesi prima.

Sorrise, mentre guardava la sua famiglia fare praticamente ciò che stava facendo lei, cioè ammirare il loro operato. Suo marito si era aspettato che avrebbe lasciato decorare la sala ai servitori, limitandosi a dirigere i lavori. Le aveva anche offerto il suo aiuto per l’organizzazione. Sembrava non conoscere ancora abbastanza la sua famiglia. Una parola a pranzo, e si erano tutti offerti volontariamente di darle una mano. La metà di loro era uscita per prendere altre fronde verdi.La zia Beryl e la zia Ruth erano tornate in soffitta per portare giù le decorazioni che non erano ancora state usate, anche se entrambe avevano dichiarato che ne erano rimaste poche. Lord Sotherby aveva suggerito di fare un salto al villaggio per comprare qualche nastro in più, e Muriel, Mabel e George erano stati ben felici di accompagnarlo.

E poi, naturalmente, si erano messi tutti a decorare la sala con entusiasmo. Mancava ancora più di un’ora all’arrivo dei primi ospiti per il concerto, un’ora in cui lavarsi e cambiarsi.

«Mia cara Ellie,» disse lo zio Sam, rivolgendole un esagerato inchino «mi concederesti questo valzer?»

Lei agitò un immaginario ventaglio davanti al viso. «Ma, zio,» commentò «purtroppo ho già l’agenda piena. Mi dispiace tanto.»

Ridacchiarono entrambi, e lui le passò affettuosamente un braccio intorno alle spalle. «Sei felice, tesoro?» le domandò.

Lei annuì. Suo marito e Mr Badcombe tenevano ferma una lunga scala, mentre Sir Albert Hagley, appollaiato in precario equilibrio sull’ultimo piolo, parecchio più in alto di loro, stava appendendo delle stelle decorative ai lampadari. Tutti e tre erano in maniche di camicia. E lei dubitava che avessero mai fatto qualcosa del genere fino a quel momento, in vita loro.

«È un brav’uomo, Ellie» commentò suo zio. «Joe ha fatto un’ottima scelta. Ma, se ti conosco bene, tu l’hai aiutato a scegliere. Lo ami, vero?»

Eleanor annuì di nuovo. Sì, era così. Ne era stata pienamente consapevole soltanto la notte prima, quando si era svegliata e si era resa conto che suo marito stava facendo l’amore con lei,e in qualche modo anche lei stava facendo l’amore con lui. Forse era stata lei stessa a cominciare. Aveva avuto l’impressione che fosse andata così. Ma non aveva importanza. Si erano amati. C’era stato l’atto sessuale, quello previsto dal matrimonio, l’unione fisica dei loro corpi. Ma era stato molto più di quello. Era stato ciò che lei aveva desiderato due notti prima, senza sapere esattamente cosa voleva.

Si erano amati. Non c’era altro modo di descrivere quello che era accaduto. Fisicamenteera stato più che meraviglioso, perché lui l’aveva condotta oltre ogni tensione e angoscia, in un mondo di rilassamento e pace la cui esistenza lei non aveva mai sospettato. E a livello emotivo, era

stato... oh, non c’erano parole per descrivere com’era stato.

Eppure, quel giorno sembrava regnare una sorta di incertezza e distanza, tra loro. Si era svegliata presto, quando lui l’aveva delicatamente scostata da sopra di lui, dove aveva dormito al caldo e al sicuro come su un letto vivente, per appoggiarla sul materasso. E quando si era ritratto dalsuo corpo, a cui ancora era unito. Ma lui non aveva detto niente, anche se lei aveva aperto gli occhi. Si era alzato dal letto, girandosi per rimboccarle con cura le coperte e indugiando per un attimo a guardarla in viso. E poi durante la giornata si erano guardati e parlati serenamente, senza alcuna traccia di ostilità o freddezza. Ma non c’era stato altro.

Niente a indicare che la notte prima si erano amati, che avevano condiviso qualcosa di molto più profondo del semplice atto coniugale tra marito e moglie. Forse aveva immaginato ogni cosa? Forse lui non provava gli stessi sentimenti? Forse era stata soltanto lei ad amarlo.

«Sì» ripeté. «Lo amo, zio Sam. Vorrei soltanto che papà fosse qui.» E a quel punto, sentì un gran senso di vuoto, un dolore sordo che le serrava la gola. L’assenza di suo padre da quella sala da ballo, dalla riunione di famiglia, era quasi tangibile.

Lui le strinse una spalla. «Anch’io, tesoro» sussurrò.

Suo marito stava venendo loro incontro, sorridendo e sfregandosi via la polvere dalle mani. «È una meraviglia, non trovate, zio Sam?» commentò.

«Che dire, ragazzo mio?» esclamò lo zio, lasciando la presa sulla spalla di Eleanor per allargare le braccia in modo eloquente. «C’è il tocco dei Transome. Di’ un po’, sei tu il prossimo a ballare con Ellie? Non può ballare con me, dice, perché ha già l’agenda piena.»

«Ah, davvero?» ribatté il conte. «Be’, non potrà certo negarmi un ballo, zio Sam. Sono suo marito. Parliamo di un valzer, vero?»

Lei rise. «Così dice lo zio» commentò. «Quanto a me, caro marito, mi sto divertendo così tanto a questo ballo, che non so più quali danze siano in programma.» E a quel punto batté le lunghe ciglia verso di lui.

Randolph le prese una mano nella propria e si volse a guardare il gruppo allegro e chiassoso dei parenti, fino a trovare chi stava cercando.

«Jason!» chiamò, alzando la voce. «Un valzer, per favore, al pianoforte. Sarai tu ad accompagnarci per questo ballo, dico bene?»

Lord Sotherby lo fissò per un attimo senza capire, interrompendo la conversazione in cui era immerso con la zia Catherine e la zia Beryl. «Mi stavo solo prendendo una piccola pausa, mio caro signor conte» disse infine. «Torno subito al lavoro... e valzer sia!»

L’inattesa follia di quel momento ne costituiva anche la magia, come scoprì Eleanor nei successivi dieci minuti, quando Lord Sotherby si sedette al piano e, senza l’aiuto di note scritte, cominciò a suonare un valzer. Suo marito si inchinò davanti a lei, in modo molto più elegante di quanto aveva fatto lo zio Sam, e le tese una mano.

«Mia signora» esordì. «Vogliamo danzare, dunque?»

Lei consultò la sua immaginaria lista di pretendenti. «Così sia, mio signore» rispose, rivolgendogli una profonda riverenza.

E poi si ritrovarono a danzare sulle note di quel valzer, un ballo che lei non aveva mai provato fuori dalle aule scolastiche, e avrebbe potuto giurare su una pila intera di Bibbie che stessero danzando sospesi nell’aria. Gli sorrideva guardandolo negli occhi, e lui le sorrideva allo stesso modo, e allora si sentì riempire di gioia. Doveva essere stato reciproco, quell’amore, la notte prima. Oh, non era mai stato così, tra loro.

«La sala è piuttosto affollata, vero, mia signora?» commentò lui, ed Eleanor si guardò intorno, rendendosi conto che anche tutti gli altri, o quasi, si erano messi a loro volta a ballare. Perfino la zia Ruth volteggiava tra le braccia di Mr Badcombe, e sembrava sul punto di mettersi a gridare per l’emozione da un momento all’altro.

«Il Natale» mormorò il conte, ridacchiando dolcemente verso di lei. «Sembra proprio che renda folli le persone più serie, non ti pare? Forse torneremo tutti più seri, la settimana prossima.»

Era soltanto questo, dunque? Il Natale? Tutto qui? Quella magia sarebbe svanita, la settimana successiva? Senza lasciare traccia alcuna? Non ci sarebbero stati più quell’amicizia, quegli scherzi... i balli immaginari? Non si sarebbero più amati?

«Io spero di no» bisbigliò allora, e notò un lampo di luce scintillargli negli occhi al concludersi della musica, prima che distogliesse rapidamente lo sguardo.

Il livello del rumore nella sala da ballo si moltiplicò improvvisamente per dieci, e tutti cominciarono a ridere di cuore.

«Sarà meglio che ci ritiriamo e ci prepariamo per il concerto» suggerì il conte, alzando la voce e riuscendo in qualche modo a farsi sentire da tutti al di sopra del brusio allegro delle chiacchiere generali. «Chi vorrà essere presente, naturalmente.»

Tutti volevano presenziare al concerto, e glielo dissero con voci via via più alte, per farsi sentire al di sopra delle altre. Il conte sorrise, divertito.

Eleanor si voltò quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla.

«Milady» esordì Sir Albert Hagley. «Potete concedermi cinque minuti del vostro tempo? Posso parlarvi?»

Lei avrebbe preferito di no. Si sentiva sempre molto in imbarazzo, in sua presenza, e lo evitava tutte le volte che poteva. Le era sembrato, del resto, che Sir Albert facesse lo stesso.

«Certamente» rispose, con cautela. «Vogliamo andare nella serra?»

Lo guidò fuori dalla sala da ballo.

«Il tempo è migliorato» commentò Sir Albert, tormentando tra le dita la foglia vellutata di una pianta e avvicinandosi alle finestre che si aprivano su tre lati della serra.

«Sì» rispose lei. «Ne sono lieta, per i bambini e i loro genitori. E anche per noi. Questa

sera potremo andare tutti in chiesa.»

Un silenzio imbarazzato calò tra loro. Perché Hagley le aveva chiesto di parlarle in privato? Se lo domandava. Era l’ultima persona da cui si sarebbe aspettata una tale richiesta.

«Vi devo delle scuse, milady» affermò lui di colpo, volgendo risolutamente le spalle alla finestra e guardandola dritta in viso.

Eleanor gli restituì lo sguardo con una certa sorpresa. Non aveva fatto nulla per offenderla. E, inaspettatamente, ricordò come l’avesse trovato attraente, alla festa di Pamela... anchese soltanto all’inizio. Era piuttosto snello di costituzione, con il viso magro, gli occhi scuri e i capelli castani. Poteva capire perché a Rachel piacesse tanto. E la stessa Rachel lo aveva definito ‘affascinante’, nel descriverlo.

«Dopo tanto tempo, dovevo dirvelo» continuò lui. «Il mio comportamento è stato imperdonabile. Sia inizialmente che dopo. A volte, il modo più semplice per allontanare l’umiliazione di un rifiuto e il disagio del senso di colpa è mostrarsi altezzosi. E così ho fatto, e ricordo di aver portato tutti gli altri dalla mia parte. Deve essere stato un momento orribile, per voi.»

Santo cielo, stava parlando di quanto accaduto due anni prima. Eleanor si sentì avvampare. «Sì, lo è stato» ammise. «Anche se allora feci in modo che nessun altro lo capisse.»

Anche lui sembrò arrossire lievemente. «L’accento campagnolo» mormorò. «Siete abilea imitarlo. E anche quelle risate sguaiate. Non avevo capito che la vostra fosse tutta una recita. Che in realtà siete elegante e raffinata come una... come una lady. Voi siete una lady.»

Eleanor si fece improvvisamente sospettosa. «È stato mio marito a pretendere queste scuse?» domandò.

«No» ribatté Sir Albert. «Anche se ha sollevato l’argomento questa mattina, quando mi ha parlato di Miss Transome. Miss Rachel Transome.»

Lei si morse il labbro inferiore.

«Non dovete assolutamente temere che si ripetano i fatti di due anni fa» continuò lui. «Con vostra cugina, intendo. E vi prego sinceramente di perdonarmi, per il mio comportamento di allora, milady. Ci sarebbe dovuto essere qualcuno, anche al tempo, per farmi tornare in me con qualche sonora bastonata.»

Eleanor sorrise lievemente. «Grazie» mormorò. «Siete il migliore amico di mio marito eammetto di aver desiderato che così non fosse. Ho provato un serio imbarazzo all’idea di dovervi frequentare spesso.»

«Lo capisco» rispose lui. «Mi sono trovato in imbarazzo anch’io.» Le andò incontro, tendendole la destra. «Volete prendere la mia mano, milady? Possiamo essere amici?»

«Ne sarei felice» disse Eleanor, posando la mano su quella di lui e stringendola con gentilezza. Indugiò con lo sguardo sul livido che campeggiava sul lato sinistro della sua mascella e ricordò tutte le battute di cui era stato fatto oggetto a pranzo. «Quella porta in cui siete incappato,» domandò «era per caso il pugno di mio marito?»

Lui la guardò e corrugò le labbra.

«A causa di Rachel?» soggiunse Eleanor. «Oh, ma non avrebbe dovuto.»

«A causa vostra» spiegò Sir Albert. «Perché non vi ho mostrato il giusto rispetto, due anni fa.»

«Oh.» La giovane donna sollevò una mano alle labbra, ma non riuscì a trattenere un sorriso, nascosto dietro le dita. E non riuscì a impedire ai propri occhi di scintillare. «Oh» ripeté.

«E voi ne siete contenta» commentò lui. «Anche se la mia povera mascella ancora soffre le pene dell’inferno. Siete lieta che mi abbia colpito, milady? O forse lo siete per il fatto che tiene a voi al punto di farlo?»

La seconda ipotesi era quella giusta. Oh, sì, la seconda. «Sir Albert» rispose. «Mi dispiace tanto per la vostra povera mascella. Ma non pensate che il Natale sia il periodo più bello dell’anno, in ogni caso?»

«Ho avuto giorni migliori, devo ammetterlo» affermò lui. «Ma penso che questo Natale non sia poi così male. Dopotutto, non è ancora finito. E per la prima volta, credo di poter dire che sono lieto che il cugino di Randolph fosse l’uomo che era.»

Lei lo fissò senza capire.

Sir Albert sollevò le sopracciglia. «Se non lo fosse stato,» spiegò «Randolph non vi avrebbe mai conosciuto e sposato. Capite cosa intendo?»

«Suo cugino?» ripeté lei, guardandolo perplessa. «Mi sono persa qualcosa? Non capiscodi cosa state parlando, perdonatemi.»

«Suo cugino, esattamente. Il precedente conte di Falloden» spiegò lui. «Una patetica parodia d’uomo, e un dannato scialacquatore, se potete perdonare il mio linguaggio, che ha mandatoin rovina le proprietà di famiglia e ha accumulato talmente tanti debiti, soprattutto di gioco, che tutto sarebbe stato perduto se non avesse avuto la fortuna di morire prima. Randolph ha ereditato quei debiti, anche se avrebbe potuto ripudiare quelli personali. Vostro padre li ha comprati tutti, anche l’ipoteca su Grenfell Park. Credevo che lo sapeste. Non è così? Oh, santo cielo, che cosa vi ho rivelato?»

Lei gli posò rapidamente una mano sul braccio. «Oh, sì, lo sapevo» si affrettò a rassicurarlo. «Sapevo dei debiti e del motivo per cui Randolph mi ha sposato. Tuttavia, pensavo chequei debiti fossero tutti suoi.»

«Di Randolph?» esclamò Sir Albert con un sorriso. «Sarebbe un’idea piuttosto comica, in verità. Quando eravamo entrambi all’università, e anche dopo, lui era l’unico di noi che riusciva a vivere con quello che guadagnava, anche se probabilmente era una rendita tra le più basse del nostro gruppo. Per voi sono tutte novità, vero? Forse avrei dovuto tenere la bocca chiusa.»

«No.» Lo guardò negli occhi e sorrise, raggiante. «No. Anzi, grazie davvero, amico mio.» Si morse un labbro, continuando a sorridere. Randolph aveva cercato di spiegarglielo, la notteprima. Lo capì improvvisamente, anche se non riusciva a comprendere perché gliel’avesse tenuto

nascosto per tutto quel tempo. Ma lei lo aveva interrotto. Voleva fare l’amore con lui, e non voleva che l’ardore che stava provando si raffreddasse: era stato sul punto di farlo, non appena le aveva ricordato di averla sposata per denaro. In effetti, lo aveva fatto. Ricordò la propria passività, duranteil loro primo rapporto della notte precedente, il suo rifiuto di mostrargli che lo desiderava, che le piaceva quello che le stava facendo. Oh, avrebbe dovuto ascoltarlo. Avrebbe dovuto sentire quelle parole direttamente dalle labbra di suo marito.

«Adesso devo andare a prepararmi per il concerto» disse improvvisamente, dirigendosi alla porta. «Voi ci sarete?»

«Se non lo facessi,» rispose Sir Albert «a quanto pare resterei da solo. Certo, verrò a vedere i bambini.»

Eleanor lo prese a braccetto mentre lui apriva la porta, e insieme attraversarono il corridoio e salirono le scale. «Questa giornata non farà che migliorare» affermò. «Ve lo prometto. ÈNatale. A nessuno è permesso di essere triste, a Natale... neppure con una mascella dolorante.» Risedolcemente, e lui le sorrise di rimando.

Quando la giovane donna raggiunse il proprio camerino, si ritrovò a canticchiare tra sé esé, accennando qualche passo di danza con un compagno immaginario, prima di suonare il campanello per chiamare la cameriera, pur consapevole di avere appena una mezz’ora per prepararsi. Ma di colpo si fermò, con la mano sul campanello, bloccata da un nuovo pensiero.

Wilfred! Non lo aveva neanche guardato per tutto il giorno, sebbene lui l’avesse cercata.Non aveva affatto pensato a lui. E invece aveva pensato moltissimo a suo marito. Era arrivata ad ammettere con sé stessa di amarlo. Eppure credeva di amare Wilfred... non era così?

La risposta era assolutamente ovvia. No. Non lo amava. Non le importava più niente di lui. Forse perché era volubile? Lo era davvero? I suoi sentimenti potevano cambiare tanto facilmente? Ma in realtà, pensò, era stato il matrimonio a cambiarla. La vicinanza forzata e l’intimità con suo marito. In quel modo, aveva potuto notare i lati piacevoli del conte: non soltanto la bellezza fisica, ma anche quella del suo carattere. E adesso sapeva, grazie alle parole di Sir Albert, che non si era sbagliata. Certo, l’aveva sposata per il denaro di suo padre. Ma lo aveva fatto per salvare la casa e le terre dove era cresciuto. Aveva capito chiaramente, da ciò che aveva visto nei giorni precedenti, che lui amava Grenfell Park. Non l’aveva sposata soltanto per l’egoistico desiderio di continuare ad avere uno stile di vita lussuoso ed eccessivo.

Sorrise dolcemente, chiudendo gli occhi. Lo amava. Indugiò sulla novità di quell’idea e lo sussurrò alla stanza. Forse lui non la ricambiava del tutto, sebbene fosse certa che i suoi sentimenti verso di lei fossero diventati più forti. Forse non l’avrebbe mai amata davvero. Ma non avrebbe permesso a quel pensiero di scoraggiarla. Era Natale, e tutto diventava possibile, a Natale. Ricordò di aver promesso a suo padre di essere felice anche per lui. E ricordò anche di averlo sentito affermare che un giorno sarebbe stata felice del matrimonio a cui l’aveva costretta.

Molto bene, dunque.

Si voltò e sorrise alla cameriera, sentendo la porta aprirsi alle sue spalle.

14

Il conte di Falloden entrò nel camerino di sua moglie, per accompagnarla nella sala da ballo.

«Accoglieremo gli ospiti man mano che arriveranno» esordì. In realtà, non era molto a suo agio quel pomeriggio. Non era mai stato fatto niente di simile a Grenfell Park, e non sapeva bene come procedere. In parte, si era pentito di aver ceduto a quell’idea impulsiva, il pomeriggio precedente.

«Oh, sì.» Lei gli sorrise caldamente. «Saranno così felici di essere qui, vero? E i bambini saranno così eccitati da sentirsi male. Ricordo bene quando io e i miei cugini facevamo le recite di Natale. C’era sempre quella tensione, e poi la gioia e il trionfo di avercela fatta, e di sentirei complimenti degli adulti. Ci lodavano sempre, anche quando dimenticavamo le battute o inciampavamo sull’orlo del costume.»

Era allegra ed entusiasta, e lo sarebbe rimasta per tutto il periodo natalizio, pensò lui. Aveva le guance arrossate, ed era così bella da sembrare ancora più giovane dei suoi diciannove anni. La invidiava per il fatto che guardasse a un pomeriggio così strano e faticoso con tanto entusiasmo.

«Eleanor,» continuò «non mi aspetto che siano molto felici. La maggior parte dei genitori e dei nonni dei bambini saranno intimoriti da questo invito e dalla nostra presenza. Non so quanti di loro si godranno davvero questo pomeriggio. Ma di sicuro ne parleranno e lo ricorderanno per il resto delle loro vite.»

Lei lo fissò incredula. «Che sciocchezza!» esclamò, ridendo. «Tu potrai anche decidere di calarti nella parte del conte gelido e altezzoso, ma non aspettarti che io faccia lo stesso.» Non voleva contraddirlo, Randolph lo capì subito. Stava sorridendo. E i suoi occhi scintillavano di gioia.

«Non hai capito» ribatté. «Non si tratta di ruoli che possiamo scegliere o meno di interpretare. Sono quello che sono. Noi siamo il conte e la contessa di Falloden. Per queste persone, siamo grandi personaggi, da trattare con reverenza e rispetto.»

Il sorriso di Eleanor si smorzò. «Stai cercando di avvertirmi?» gli domandò. «È così, vero? Mi stai ricordando chi sono, in modo da non poterti mettere in imbarazzo comportandomi conla volgare spontaneità che ho mostrato ieri a scuola.»

Forse, dopotutto, sua moglie voleva litigare. Lui sollevò una mano e le sfiorò la guanciacon le nocche. «Istrice» sussurrò. «Scendiamo, o non ci sarà nessuno da salutare. E... Eleanor? Mi piaci come sei. Mi è piaciuto moltissimo il modo in cui ti sei comportata ieri a scuola.»

«Davvero?» Lei lo guardò incerta, quasi sospettosa. «Non ti è sembrato volgare?»

«Mia nonna l’avrebbe definito così» ribatté lui. «Ma io non sono mia nonna.»

«Oh» mormorò lei, e allacciò il braccio al suo.

Gli ospiti sarebbero arrivati da un momento all’altro, pensò il conte, e tornò a sentirsi scioccamente a disagio. Temeva di incontrare nella sua sala da ballo quella stessa gente che andava a trovare tranquillamente nei campi o nelle fattorie. Si sarebbe rifugiato nei suoi comportamenti altezzosi, considerò, ma in realtà non voleva agire così. Voleva che quelle persone potessero godersi il concerto dei loro bambini.

E poi vide i Transome. Anche se in realtà non era poi così giusto usare soltanto quel nome, visto che c’erano anche Gullis e Weekes tra loro, oltre a Jason, Charles e Tim. Sì, e anche Bertie. Erano tutti lì, riuniti davanti alle porte della sala da ballo e tutti di buonumore e pronti a festeggiare, ovvero più esuberanti del solito. Lo zio Sam si stava sfregando allegramente le mani.

«Proprio come ai vecchi tempi» commentò, con la voce potente che riecheggiava più forte del solito. «Ricordi le recite di Natale, Ellie? Tua zia Irene non faceva che prendermi a gomitate nelle costole, così non avrei riso nei momenti sbagliati, ferendo i sentimenti di voi bambini.»

«Questo è il Natale» esclamò lo zio Harry, sorridendo raggiante a tutti. «Bambini, concerti e feste. Del resto, cos’altro è il Natale, se non un modo per portare avanti le nuove generazioni? Tom sta facendo la sua parte. Ora è il tuo turno, Ellie. E anche tutti gli altri dovranno scegliersi un compagno o una compagna, prima possibile.»

Ridacchiò al coro di ‘Oh, zio Harry!’ che gli arrivò dai più giovani del gruppo.

«Molto bene, allora potrò farvi un annuncio proprio sull’argomento, più tardi. Dopo la mezzanotte» dichiarò, ammiccando verso la zia Beryl.

Mabel arrossì, il conte lo notò subito, mentre George la guardava, con aria molto soddisfatta.

«Coraggio, diamo inizio al concerto,» esclamò lo zio Ben «poi ci saranno la festa e il rinfresco. È Natale, ed è il momento di riempirsi lo stomaco fino a scoppiare. Che ne dici, Randy?»

Il conte sentì lo sguardo di sua moglie salire a cercarlo. Il braccio di lei intorno al suo era leggermente teso, e c’era dell’ansia nei suoi occhi, se ne rese conto quando abbassò lo sguardo aincontrare il suo. Appena qualche giorno prima, sarebbe stato sicuramente colto di sorpresa da certeparole. Adesso ne era soltanto divertito.

«Quanto a me, caro zio Ben,» dichiarò in risposta «intendo mangiare finché non rischierò di far strappare le cuciture dei miei vestiti.»

Tutti ridacchiarono, lui compreso. Tuttavia, il conte tornò immediatamente serio. Diverse persone stavano salendo le scale, avvicinandosi alla sala da ballo. E sembravano tutti direttial patibolo. Si ricordò di cambiare mentalmente atteggiamento e sorrise.

E poi i Transome, compresi quelli che portavano un altro nome ma sarebbero potuti tranquillamente nascere in quella famiglia, a giudicare dal loro comportamento, salutarono i suoi ospiti.

Oh, non erano certo così maleducati da tagliarlo fuori e impedirgli di farlo lui stesso, comunque. Strinse la mano a tutti e diede loro il benvenuto nella sua casa. Sua moglie, al suo fianco, fece lo stesso, sebbene si premurasse anche di assicurare a diverse madri ansiose che sì, i loro figli erano arrivati un po’ prima ed erano già nella sala, a prepararsi per il concerto con l’insegnante.

Ma furono i Transome a stringere con allegria e decisione la mano di ogni nuovo arrivato, esclamando il loro benvenuto, ridendo, chiacchierando e ricordando Natali passati, assicurando a tutti che quello era il momento più bello delle festività, e conducendo tutti gli ospiti nella sala da ballo, in modo che si accomodassero davanti al palco improvvisato, per poi sedersi in mezzo a loro continuando a conversare. In quel modo, riuscirono a mettere talmente a loro agio gli ospiti che il volume del brusio all’interno della sala divenne quasi assordante. Come se improvvisamente il luogo si fosse riempito di qualche centinaio di Transome.

«Bene,» commentò il conte, quando sembrò infine che tutti fossero arrivati e si fossero accomodati «e tanti saluti alla freddezza altezzosa e al temuto rispetto.»

«Mi spiace,» sussurrò lei di rimando «se l’occasione ti è stata rovinata. Ma non mi scuserò a nome dei miei parenti. Hanno aiutato tutti a rilassarsi.»

«Me compreso» dichiarò lui, e la vide alzare gli occhi nei suoi con una certa sorpresa. «Quanto invidio i tuoi parenti, Eleanor. Sono così meravigliosamente bravi a godersi la vita. Si perde così tanto, quando si pensa e ci si comporta solo come si dovrebbe. O perlomeno, come si dovrebbe secondo il parere di qualche guastafeste aristocratico, ecco.»

Lei gli sorrise con calore, mentre il suo sguardo era così perso in quello di lui che per unattimo il conte dimenticò del tutto la sala piena di gente chiassosa appena oltre la soglia davanti a loro, e le sorrise a sua volta.

«Vado a vedere se posso aiutare Miss Brooks con i bambini» disse Eleanor. «Scommetterei, se fosse una cosa da lady scommettere, ovviamente, che sarà in preda a una dozzinadi crisi dell’ultimo momento.»

«Stavo per consigliarti di non andare» ribatté lui, «considerando che la vista della contessa non avrebbe fatto altro che intensificare il panico. Ma sto imparando a non fidarmi più dei miei consigli. Vai pure.» E fu sul punto di aggiungere ‘amore mio’, ma si trattenne giusto in tempo. Si stavano comportando civilmente e cordialmente secondo l’accordo che avevano stretto, prima a Londra e poi durante il loro viaggio verso Grenfell Park. Ma non poteva fare supposizioni sui sentimenti di lei. Né poteva permettersi di avere fretta.

La guardò allontanarsi in fretta lungo il corridoio, fino a raggiungere la piccola sala che avevano adibito a camerino per i bambini. E si sentì del tutto rilassato, e pronto a godersi le due ore successive. Timore e disagio erano scomparsi. Strano, pensò. Stava imparando moltissimo dalla suacontessa, a proposito di come dovesse essere un conte e un oculato proprietario terriero. Si era aspettato di dover essere lui l’insegnante, e invece si era ritrovato a fare l’alunno.

La figlia di un borghese. La figlia di un mercante di carbone. Eleanor. Sua moglie. La donna che amava. Sorrise, guardando la sua esile figura sparire, e tornò verso la sala da ballo. Il volume delle conversazioni si abbassò lievemente quando entrò, e qualcuno dei suoi mezzadri

sembrò sul punto di scattare in piedi. Ma lui sorrise e salutò con qualche cenno amichevole, per poi sedersi in fondo alla sala, ricordando le parole dello zio Harry.

Sì, quello era il Natale. Bambini, allegria e un meraviglioso senso di attesa. E calore e affetto. Che fortuna aveva avuto a trovare finalmente lo spirito del Natale. Che fortuna aveva avuto,che Mr Joseph Transome, nel suo desiderio di sistemare gli affari in gran fretta prima di morire, avesse posato gli occhi su di lui, quando aveva scelto un marito per la propria figlia.

Improvvisamente, si trovò a desiderare che il padre di Eleanor fosse ancora vivo per poterlo ringraziare.

Erano arrivati tutti, assicurò Eleanor ai bambini. Non vedevano l’ora che il concerto cominciasse. E no, naturalmente, non avrebbero dimenticato le parole, e neanche i passi della danza. Non succedeva mai, quando poi arrivava il momento. E se per caso, per uno stranissimo caso, fosse successo, Miss Brooks sarebbe stata lì ad aiutarli, e i loro genitori sarebbero stati felici e orgogliosi di loro, in ogni caso. Quanto a lei, non vedeva l’ora di assistere allo spettacolo, assicurò loro. Non sarebbe riuscita a sentirsi più eccitata di così neanche se lo avesse voluto.

I bambini erano ancora molto ansiosi, quando li salutò, e Miss Brooks sembrava ormai prossima al crollo nervoso. Ma perlomeno, sembrava averli lasciati in uno stato di eccitazione ansiosa, piuttosto che di terrore. Sorrise, mentre tornava rapidamente nella sala da ballo, e ricordò cosa aveva detto lo zio Harry. Ora era il suo turno di dare alla luce dei bambini, in modo che la nuova generazione potesse dedicarsi alle recite di Natale.

Sperava, con tutto il cuore, che sarebbe accaduto presto. Due notti d’amore, ed era a metà del ciclo. Forse già... Ma era meglio non aspettarsi qualcosa troppo presto. Se l’avesse fatto, sarebbe stata semplicemente delusa, se poi non fosse successo. Doveva avere pazienza. E doveva sperare che suo marito avesse detto la verità, quando le aveva assicurato che ogni notte sarebbe andato a trovarla. Se non quel mese, sarebbe successo il mese successivo, o quello dopo ancora. Desiderava così tanto restare incinta. Incinta del suo bambino, del figlio di Randolph.

Sorrise calorosamente a tutti, quando entrò nella sala, notò che il volume del brusio era calato e si sentì in dovere di annunciare: «Sono tutti pronti. Ora, se riusciranno a costringere le gambe a obbedire alla loro volontà, saranno qui tra pochi minuti.»

Una risata generale accolse le sue parole, mentre lei si accomodava accanto al marito, sorridendogli e facendo scivolare una mano in quella di lui. Si rese conto troppo tardi del fatto che quel gesto fosse probabilmente molto inappropriato. Tuttavia, non poteva ritrarre la mano senza farsi notare, ormai. E quella di Randolph si era chiusa affettuosamente intorno alla sua, appoggiandola contro la propria coscia.

«Oh, mio signore» sussurrò Eleanor. «Sono così lieta che tu abbia suggerito di tenere qui il concerto.»

«Davvero?» mormorò lui in risposta. «Anch’io.»

Ma prima che lei potesse farsi troppe domande su quel nuovo calore tra loro, che sembrava provenire da entrambi, Miss Brooks comparve sulla soglia, seguita dai bambini, silenziosie in fila indiana. Tutti tacquero all’istante, lo zio Sam prese ad applaudire e il resto dei presenti lo

seguì, mentre i piccoli salivano sul palco per cantare le prime due canzoni di Natale. Tre o quattro voci cantarono soavemente intonate. Il resto del coro seguì faticosamente le ottave del pianoforte. Eleanor sorrise e si piegò leggermente in avanti sulla sedia.

Lo spettacolo continuò con cori, assolo, duetti, recite e balli. E infine, ci fu la tanto attesa recita di Natale, in cui Miss Brooks aveva ingegnosamente diviso le parti parlate tra tutti i bambini. Maria parlò in tono così basso che probabilmente non riuscì a farsi sentire neanche dal Bambino Gesù; Giuseppe declamò le sue battute a voce così alta che avrebbe messo in soggezione perfino lo zio Sam; l’angelo del Signore dimenticò le sue battute, ma i pastori erano così impegnati a mostrarsi impauriti dalla sua apparizione che Miss Brooks ebbe tutto il tempo di suggerirgliele senza che la cosa fosse troppo evidente; un pastorello pestò i piedi nudi di un altro con il suo vincastro e recitò battute che non erano nel copione, per non parlare di un saltello improvvisato su un piede solo; il turbante di uno dei Magi scivolò sugli occhi del piccolo proprietario mentre si inginocchiava a posare l’incenso ai piedi della mangiatoia, e Maria dovette aiutarlo a rimetterselo a posto; e il coro degli angeli era formato inspiegabilmente dai bambini più stonati.

Ma fu tutto meraviglioso. Non solo perché sul palco c’erano dei bambini e i loro genitori e i loro nonni li stavano guardando, pieni di orgoglio e divertimento. Oh, non solo per quel motivo. Ma anche perché, per quanto non ricostruita perfettamente, quella che stavano recitando erala storia del Natale. Gesù era nato e tutto era meraviglioso, incredibile e pieno di gioia. In quella storia non c’era nulla del mistero della Pasqua che ben presto sarebbe arrivata, ma soltanto la meraviglia dell’amore incondizionato venuto sulla terra nella forma di un neonato.

«Oh» sospirò Eleanor, alzando lo sguardo sul marito dopo che tutti i bambini si furono inchinati, sfilando fuori dalla sala da ballo, molto più allegri di quanto non lo fossero stati entrandovi. Ma non riuscì a pensare ad altre parole da dire. La sua mano era ancora in quella di lui, anche se doveva averla lasciata diverse volte per poter applaudire.

Lui la portò alle labbra. «Devo salire sul palco e ricordare a tutti che sono invitati alla festa» affermò. «Vieni con me, Eleanor.»

Lei lo accompagnò sul palco, con la mano ancora stretta nella sua, e sorrise a tutti mentre suo marito parlava, congratulandosi con i bambini e la loro insegnante e invitando tutti a rimanere per i giochi dei più piccoli e il rinfresco. Sentì la risposta dei mezzadri e dei lavoratori, il loro calore, il loro affetto. Era vero, forse, che sarebbero stati sempre in qualche modo separati da loro. Quelle persone non sarebbero mai potute essere davvero loro amiche. Che le piacesse o meno, lei era una contessa e lui un conte. E forse era così che doveva andare. Suo marito, dopotutto, avevauna grande responsabilità nei loro confronti, e doveva assicurarsi il loro benessere. Ma alla fine, calore e affetto potevano bastare. Erano sicuramente preferibili al timore e al freddo rispetto.

L’idea iniziale era stata di organizzare dei giochi per i bambini e offrire un rinfresco a tutti. Naturalmente, però, tutto era stato pensato senza considerare la presenza dei Transome, quasi tutti adulti, ma in realtà bambini nel cuore, quando si trattava di giochi.

Quando fu annunciato il gioco In marcia verso Gerusalemme, lo zio Sam prese le redini della situazione, sistemando le sedie in una lunga fila al centro della sala da ballo e invitando a gran voce i bambini a sedersi, per poi aggiungere che restava almeno una dozzina di sedie libere. Così, Eleanor si sistemò su una, e lo zio Ben su un’altra. George e Mabel si unirono al gioco. Poi

qualcuno dei genitori meno timidi andò a occupare le sedie ancora vuote, su invito dei loro bambini entusiasti. E a quel punto il gioco, allegro e chiassoso, andò avanti, e l’ultimo adulto uscì soltanto quando non ci furono altri adulti da far alzare, ma soltanto bambini.

Era ovvio che ogni gioco dovesse essere vinto da uno dei piccoli ospiti.

E quando si decise di giocare a Moscacieca, la zia Ruth dichiarò che non ci giocava da anni e che avrebbe volentieri partecipato, a patto che Muriel la accompagnasse. Questo fece sì che anche il visconte Sotherby si unisse al gioco. Poi anche Jane e Harvey accettarono, insieme a una decina almeno dei genitori dei bambini. E naturalmente toccò anche a Eleanor, acclamata all’unanimità dai piccoli perché fosse la prima a farsi bendare gli occhi.

La festa fu davvero tale, con tutti che partecipavano o sorridevano e applaudivano ai parenti. Il reverendo Blodell disse al conte che aveva mostrato grande considerazione per i suoi lavoranti, e che loro gliene sarebbero stati eternamente grati. Il conte sentì a quel punto un bizzarro desiderio di unirsi ai giochi.

Poi, mentre Mrs Blodell gli ripeteva quello che già suo marito gli aveva detto, ma ovviamente in modo molto più prolisso, si rese conto di non avere altra scelta, in merito. Erano stateorganizzate delle corse, e la terza era una staffetta, con due adulti e cinque bambini in ciascuna squadra.

«E il nostro beneamato signore, il conte di Falloden, sarà a capo della squadra numero uno,» stava annunciando lo zio Sam, con la sua solita voce roboante «mentre Sir Albert Hagley guiderà la squadra numero due, e...»

Una staffetta. Santo cielo! Eppure, mentre attraversava la sala da ballo per raggiungere la sua squadra, in cui l’altro adulto era Eleanor, mentre l’altra persona adulta della seconda squadra era Rachel, si rese conto che i suoi lavoranti stavano cogliendo al volo l’opportunità di mostrargli apertamente un po’ dei loro sentimenti. Si sentivano allegri fischi, applausi, grida e incitamenti. E lui si ritrovò a sorridere.

«Come funziona, a proposito?» domandò alla moglie, mentre le altre squadre si andavano formando.

«Devi mettere i piedi in un sacco,» gli spiegò lei «e tenerlo su con le mani, saltando per tutta la lunghezza della sala e poi tornando indietro. Poi passerai il sacco a me.»

«Buon dio!» si lasciò sfuggire il conte.

Eleanor rise allegramente, seguita dai bambini della squadra, che avevano sentito tutto.

«È facile, milord,» esclamò un bimbetto «basta fare attenzione a non cadere.»

«Basta fare attenzione a non...» I bambini gridarono allegramente, mentre lui si accigliava. «E che farò se dovessi cadere?»

Ma lo zio Sam stava già esortando il primo partecipante di ogni squadra a mettere i piedi nel sacco. «Al mio ‘via!’» esclamò.

Il conte scoprì ben presto cosa si doveva fare in caso di caduta. Ci si rotolava, si

strisciava e si tentava invano di tornare in piedi senza impigliarsi nelle pieghe del sacco. Oltre a scatenare, ovviamente, urla e risate nel pubblico, e proteste e borbottii tra i membri della propria squadra. E naturalmente si tornava per ultimi indietro a passare il sacco al secondo partecipante. Inoltre, ci si guadagnava un livido su un gomito e l’impossibilità di smettere di ridere.

Sua moglie fece molto meglio, evidentemente il risultato di anni di pratica, e lasciò indietro le altre signore, che finirono per cadere o per procedere piuttosto lentamente. Alla terza tornata, la sua squadra era terza, alla quinta arrivò seconda e tale rimase fino alla fine della gara.

«Bene,» esclamò lui, ridendo e guardando orgogliosamente la squadra «è stato molto divertente. E che importa se non siamo arrivati primi, eh? Il secondo posto mi sembra comunque molto buono.»

Una fila di servitori arrivò con vassoi pieni di pietanze e bevande, che sistemarono sui tavoli su un lato della sala da ballo, proprio mentre il loro signore era impegnato in una corsa a tre gambe con la zia Catherine. Finita la gara, un conte scompigliato e senza fiato annunciò che il rinfresco era pronto e che gli invitati potevano servirsi a loro piacimento. E, contrariamente alle normali regole, suggerì che i bambini potessero servirsi per primi. I tavoli furono assediati da un’orda allegra e vociante. Limonata e succo di frutta freddo furono le bevande più apprezzate.

Poi, in qualche modo, quando la festa si sarebbe dovuta concludere da sola, iniziarono le danze. Balli popolari, eseguiti con entusiasmo da persone che solitamente intrecciavano quei passi nella piazza del villaggio o intorno al palo di calendimaggio. Non si sapeva chi fosse stato a suggerire l’idea: questa volta non era opera dello zio Sam. Quando era lui a proporre qualcosa, si sapeva per certo. Miss Brooks si era messa a suonare il piano, e poco dopo fu il visconte a darle il cambio. Quasi tutti si unirono alle danze, e si formarono gruppi di bambini, di giovani e di persone più attempate.

A un certo punto, in mezzo a tutte quelle musiche campagnole, Lord Sotherby si mise a suonare un valzer, gettando inizialmente nello sconforto la gran parte dei presenti, perlomeno finchénon osservarono le poche coppie che sapevano come muoversi: pochi minuti più tardi, si erano tutti uniti anche a quel ballo, ridendo e guardandosi i piedi. Perfino i bambini ci provarono.

Il conte volteggiò con sua moglie tra le braccia, e si domandò se potesse sentirsi più euforico di così, perfino se avesse danzato con lei in un’occasione ufficiale e con un’intera orchestraa suonare per loro. Una volta ci avrebbero provato, magari. Quando non avrebbe più avuto importanza che lei indossasse il lutto per suo padre, e avesse potuto riportarla a Londra. Non che glimancassero davvero la città e i suoi divertimenti. Pensava piuttosto che sarebbe stato ben felice di vivere per sempre a Grenfell Park, se quel legame con la moglie, e forse qualcosa di più, fosse potuto continuare. Se non avessero scoperto, entro pochi giorni, che era stata soltanto l’atmosfera del Natale e nient’altro.

Bertie danzava con Rachel, notò il conte, e i due parlavano fitto fitto tra loro, con le teste vicine. Non avevano occhi per nessun altro. E addio alla volontà di Bertie di stare lontano da lei per quel giorno. Si domandò se lo zio Ben si aspettasse da un momento all’altro una dichiarazione ufficiale, e se Bertie fosse ancora refrattario al fidanzamento. Ma in fondo quei due si conoscevano soltanto da pochi giorni. Anche quella poteva essere soltanto una superficiale infatuazione natalizia e nulla più.

E tuttavia, il modo in cui si comportavano entrambi suggeriva che non si trattasse affatto di una semplice e passeggera infatuazione.

Un’altra ora trascorse, prima che la musica cessasse e le caraffe di punch fossero nuovamente prese d’assalto, e prima che tutti cominciassero a congedarsi, come di comune accordo,rossi in volto, allegri e sorridenti, oltre che pieni di gratitudine per il conte e sua moglie, che li salutavano, in piedi su un lato della porta. Era stata la festa più bella che potessero ricordare, a volercredere alle parole accorate di molti di loro.

«Buon Natale a voi, milord, milady.»

«Buon Natale, Mr e Mrs Mallory. E... Michael, giusto? Sei stato bravissimo nel ruolo diuno dei Re Magi.»

I saluti continuarono a lungo, finché tutti gli ospiti non ebbero lasciato Grenfell Park, e lo zio Sam e alcuni dei cugini cominciarono a raccogliere sacchi, sciarpe e altri oggetti utilizzati nei giochi, mentre la zia Ruth affermava, felice, che era stato tutto come ai vecchi tempi e che era stato così meraviglioso che il signor conte e la cara Ellie avessero organizzato una festa tanto splendida. Quasi come se fosse stata organizzata soltanto a loro beneficio.

«Non ho voluto dirlo mentre tutti gli ospiti vi stavano sfilando davanti,» disse poi lo zio Harry, sorridendo divertito al conte e a sua moglie «ma vi siete resi conto di dove siete?»

Quella particolare domanda nel periodo di Natale poteva significare soltanto una cosa. Ilconte alzò lo sguardo e ovviamente vide il ramo di vischio che si era aspettato di trovare.

«Grazie, zio Harry» rispose. «Sarebbe stato davvero un peccato sprecarlo, giusto?»

E poi prese sua moglie tra le braccia e la baciò con decisione, indugiando a lungo nel gesto, mentre i Transome applaudivano e fischiavano allegramente intorno a loro.

Quando si scostò sorridendo dolcemente alla moglie e guardandola negli occhi, considerò che probabilmente non si era mai sentito più felice di così in tutta la sua vita. E non avevaalcun desiderio di pensare ad altro che non fosse quell’esatto momento.

«Buon Natale, Eleanor» mormorò.

«Buon Natale, mi... Ra... Randolph» sussurrò lei.

15

La cena fu servita tardi, poiché la festa era durata più a lungo del previsto. Ma del resto, come aveva detto lo zio Ben, e tutti erano stati d’accordo, si erano così riempiti di buon cibo durante il rinfresco che era giusto attendere un po’ più del solito per poter rendere giustizia alla

cena. E sarebbe stato un vero peccato non farlo, considerando l’eccellente cuoco di Grenfell Park.

Così, non restò che un’ora tra la fine della cena e il momento di andare in chiesa. E pocoprima che potessero bere il tè e pensare a qualcosa da fare per passare il tempo, dal villaggio arrivarono i cantori di Natale, che furono fatti accomodare nel salone, con le guance rosse per il freddo di fuori, i loro spartiti e la neve che si scioglieva sui loro stivali.

I cantori, che avevano sempre lasciato la grande casa per ultima in quanto più lontana daraggiungere, ma che si erano sempre pentiti di non averla raggiunta per prima, poiché aveva semprerappresentato la triste conclusione di una serata per il resto allegra, ebbero una sorpresa inaspettata. Il precedente conte si era sempre presentato sulla scalinata soltanto alla fine dei loro inni, e soltanto per salutarli rigidamente e fare loro degli altezzosi auguri. Il conte e la contessa che lo avevano preceduto si erano sempre presentati sulla scalinata al principio dei canti, salutando con altezzosa grazia, per poi istruire i servitori di preparare un piccolo rinfresco e ritirarsi nelle loro stanze.

Ma non fu così con il nuovo conte, che qualcuno dei cantori più anziani ancora ricordava nei panni di un ragazzino silenzioso, serio e piuttosto malinconico. Il conte apparve in cima alle scale mentre il gruppo stava ancora entrando, con la sua contessa a braccetto. Ed entrambiscesero nella sala, seguiti da tutti i loro ospiti, che, a quanto si era detto nel villaggio, erano un gruppo alquanto allegro e festoso, costituito perlopiù da parenti della contessa.

Non appena i cantori intonarono il loro primo inno, The Holly and the Ivy, alcuni degli ospiti presero inaspettatamente a cantare con loro. E non avevano ancora finito di cantare la prima strofa che tutti gli altri si erano uniti al coro, compreso, con grande stupore dei cantori, il conte stesso.

Di solito, i cantori offrivano quattro inni di Natale a ogni casa in cui si fermavano. Talvolta, a Grenfell Park, se n’erano andati dopo il terzo. Ma in quell’occasione, non si sarebbero potuti fermare al quarto neanche se avessero voluto, o avessero pensato di farlo. La sala risuonò di un canto di Natale dopo l’altro, tanto che perfino i due servitori di turno sembravano sul punto di mettersi a cantare.

Alla fine, il conte accennò ai servitori di portare il vino e il sidro caldo, insieme a numerosi vassoi di deliziosi e tiepidi pasticci di carne. E dopo aver mangiato e bevuto, i cantori, gli ospiti e i padroni di casa si sentirono in dovere di cantare ancora una volta, prima degli allegri e apparentemente interminabili saluti con tanto di strette di mano e accompagnamento alla porta, come se non dovessero rivedersi in chiesa entro un’ora.

C’era stata un’animata discussione tra le signore, senza che nessuna di loro pensasse di consultare il conte o la contessa in merito, sul fatto di andare tutti in chiesa a bordo di due slitte. Avrebbero dovuto fare più di un viaggio, aveva detto la zia Beryl. Gli uomini potevano cavalcare, naturalmente, aveva deciso la zia Eunice. E se si fossero adattati a stare un po’ stretti, si sarebbero potuti sistemare in tre per slitta.

Naturalmente, l’attesa per chi fosse giunto per primo in chiesa sarebbe stata noiosa. E chi fosse rimasto indietro avrebbe temuto di fare tardi. Ma i più giovani avrebbero potuto camminare, visto che la chiesa distava appena un miglio dalla casa, e il cielo adesso era limpido e sereno, come lo era stato la notte precedente.

Se fosse stato necessario, aveva dichiarato a quel punto la zia Beryl, anche lei sarebbe andata a piedi. E, in effetti, aveva aggiunto la zia Catherine, un po’ di esercizio avrebbe giovato a tutti, dopo quello che avevano mangiato nelle ultime ore. La sera prima erano andati a piedi fino alle colline, aveva ricordato loro la zia Irene, senza pensare affatto alla distanza, sebbene dovesse essere quasi uguale a quella che li separava dalla chiesa. Ebbene, se tutti gli altri volevano andare a piedi, aveva detto a quel punto coraggiosamente la zia Ruth, nessuno avrebbe dovuto preoccuparsi di trovare una slitta soltanto per lei. Avrebbe camminato anche lei. Senza dubbio Sam o Ben, o magari Aubrey, sarebbero stati così gentili da offrirle il braccio, se si fosse davvero stancata. Ma non credeva che sarebbe successo.

Così, quando il conte pensò di far sapere loro che aveva ordinato di far preparare le slitte ed entrambe le carrozze per portare i suoi ospiti in chiesa, tutto era già stato deciso, e lui cancellò docilmente gli ordini, con un sorriso divertito. Sarebbero andati tutti a piedi. Nessuno, a quanto sembrava, riteneva poco nobile arrivare in chiesa con le guance e il naso arrossati dal freddo e gli stivali coperti di neve.

La chiesa, scoprì Eleanor, era piena di volti familiari, alla maggior parte dei quali era perfino in grado di dare un nome. C’erano i mercanti e i mezzadri più ricchi che aveva incontrato nella sala della locanda al suo arrivo a Grenfell, i mezzadri e i contadini più poveri che aveva conosciuto nelle sue varie visite alle loro case, o dietro loro invito oppure quando aveva portato lorocesti di cibo e medicinali, la gente del villaggio e delle campagne che era stata al concerto di quel pomeriggio e i cantori di poco prima.

Sorrise a tutti mentre avanzava lungo la navata con il marito, verso la panca destinata a loro, e scoprì che quasi tutti ricambiavano il suo sorriso. Forse, pensò, oh, soltanto forse, non era poi così brutto essere una contessa. Sorrise in modo particolarmente caloroso all’anziana Mrs Richards, che era stata troppo ammalata per riuscire quasi a sollevarsi a sedere sul letto, durante la sua visita della settimana precedente.

Un presepe era stato sistemato davanti alla chiesa. L’organo suonava e le campane facevano sentire i loro lieti rintocchi. Eleanor si sedette e respirò l’atmosfera del Natale. Era il più meraviglioso Natale che riuscisse a ricordare, pensò, sebbene avesse sempre amato quel periodo e lo avesse sempre considerato il più bello dell’anno.

Se soltanto... Si ritrovò a guardare la mano di suo marito mentre prendeva il messale. Ma non doveva tentare di raggiungere la stella di Betlemme. Doveva accontentarsi di ciò che aveva.E in realtà era tanto, se considerava l’inizio così poco promettente del suo matrimonio, meno di due mesi prima. Se soltanto quell’amicizia e quel calore tra loro fossero rimasti invariati anche una voltatrascorso il periodo natalizio e i loro ospiti fossero tornati a casa, sarebbe stata ben felice di accontentarsi di ciò che aveva.

O quasi.

Eppure, improvvisamente si sentì in colpa. Aveva appena pensato che quello era il più bel Natale che riuscisse a ricordare, ma suo padre non era lì. Era morto. Sparito per sempre. Ricordòle sue ultime ore, quando aveva visto e parlato con sua moglie, la madre della sua unica figlia. Era morto, eppure lei stava vivendo appieno quel Natale, neanche due mesi dopo la sua scomparsa... proprio come lui le aveva chiesto.

Improvvisamente si sentì bruciare la gola, e deglutì per sciogliere il nodo che la serrava.Il reverendo Blodell era pronto a iniziare la messa.

Molte delle persone che si erano riunite per la messa di Natale si fermarono fuori dalla chiesa per più di mezz’ora dopo la fine della funzione, e un quarto d’ora dopo che le campane ebbero smesso di suonare. Sembrava che tutti volessero salutare gli altri e stringersi la mano a vicenda. Il conte non sarebbe stato sorpreso se gli avessero detto che gli abitanti del villaggio e dellecampagne nei dintorni erano stati nuovamente invitati a Grenfell Park. Ma non era così. Alla fine, siallontanarono tutti verso le proprie case.

L’allegria era tanta. Qualcuno cominciò a tirare palle di neve. Susan fu lanciata, urlante,in un mucchio di neve accanto alla strada dai cugini alleati con Lord Charles. E ovviamente, c’eranoi ritardatari. George e Mabel, e probabilmente anche Lord Sotherby e Muriel, che avevano camminato accanto a loro quando avevano lasciato il villaggio. E Sir Albert e Rachel.

Il conte avrebbe voluto restare indietro con sua moglie, ma non gli sembrava appropriato aspettare che tutti procedessero avanti soltanto per poterla attirare a sé e baciarla con tutte le stelle della notte di Natale sopra di loro. Decise che avrebbe atteso fino a quella notte. Quantomeno, aveva quel vantaggio sulle coppie non ancora sposate.

«Lo sai che oggi pomeriggio Sir Albert ha voluto parlarmi in privato?» gli chiese improvvisamente Eleanor.

«L’ho sentito, quando te lo ha chiesto» rispose il conte, guardandola.

«Si è scusato con me» spiegò lei «per il suo brutto comportamento di due anni fa.»

«Ah, davvero?» domandò suo marito. «Ne sono lieto. Non ti era piaciuto, vero, Eleanor? E ora che si è scusato, andrà meglio?»

«Sì» rispose lei. «Non mi sento più in imbarazzo a guardarlo negli occhi. Perché lo hai colpito?»

«Te lo ha detto lui?» chiese il conte, accigliandosi.

«No» mormorò Eleanor. «Ma la gente che sbatte contro una porta di solito non si ritrovacon un livido sotto la mascella. Sempre che non si tratti di una porta molto bassa. Perché l’hai fatto?»

Randolph si strinse nelle spalle. «Lascerò che tu dia la tua interpretazione personale allafaccenda» commentò.

«Sir Albert mi ha detto un’altra cosa, invece» ribatté lei. «Una cosa che credo tu stessi cercando di spiegarmi ieri sera, quando ti ho interrotto. Quei debiti... non erano in realtà tuoi, vero?»

«Erano tragicamente ingenti,» spiegò lui «e in alcuni casi erano perfino stati contratti con degli strozzini, prima che tuo padre li pagasse tutti. Non avevo alcuna esperienza nel campo deidebiti.»

«Quindi,» mormorò piano lei «nessuno di noi due aveva una motivazione poi così

venale per sposare l’altro, non è vero?»

«Immagino che non sia comunque giusto sposarsi unicamente per denaro o per compiacere un padre» ammise lui.

Erano le parole sbagliate da dire. Se ne rese conto mentre ancora le stava pronunciando. Era quanto di più sciocco potesse dire in quel momento.

«E quindi,» commentò lei, mentre la tensione nella sua voce si faceva più che udibile «la colpa è tutta di mio padre, vero? È stato lui a comprare i tuoi debiti e a non darti altra scelta se non accettare la sua proposta. Ed è stato lui a persuadermi a compiere la sua volontà. La nostra unica colpa è stata quella di non avere un carattere abbastanza forte da opporci.»

«Immagino di sì» mormorò lui, dopo una breve pausa.

«Dunque lui è l’unico da biasimare» continuò Eleanor. «Ma siamo noi due a essere vivi.Non c’erano proprio le basi per un matrimonio accettabile, vero?»

La sua voce era cupa. Ma anche implorante. Il conte era sul punto di darle ragione. Non c’erano mai state, quelle basi. Al contrario: il loro matrimonio sarebbe dovuto naufragare come si era aspettato fin dal principio. E invece non stava andando così. In qualche modo, contro ogni pronostico, stavano riuscendo a rendere accettabile quel loro matrimonio. Adesso sembravano esserci tutti gli ingredienti necessari per un’unione serena, e forse perfino felice.

No, non poteva essere d’accordo con lei. Ma, ovviamente, neanche Eleanor voleva che lo fosse. Gli aveva fatto quella domanda nella speranza di essere smentita. Sì, doveva essere così. Ormai la conosceva abbastanza bene per capirlo. Voleva un matrimonio felice, proprio come lui.

«Non c’erano, forse,» dichiarò «ma...»

Ma la zia Beryl e la zia Ruth avevano rallentato a tal punto il passo da affiancarli.

«Ruth è un tantino senza fiato» annunciò la zia Beryl con i suoi soliti modi diretti. «Nonvi dispiace se si appoggia per un po’ al vostro braccio, vero, milord?»

«Ma certo che no.» Tese il braccio libero alla zia Ruth e la osservò con una certa preoccupazione. «Avrei dovuto far venire una slitta a prendervi fuori dalla chiesa.»

«Oh, no, no» esclamò lei, agitandosi tutta. «Sono certa che un po’ d’aria fresca mi farà bene, milord. E poi c’è un tempo così meraviglioso. E la messa è stata così suggestiva. Non è vero, Ellie?»

«Sì» concordò Eleanor. «Davvero suggestiva, zia Ruth.»

«Stavo giusto dicendo a Beryl,» continuò la zia «che mi piacerebbe tanto avere il reverendo Blodell nella nostra parrocchia. È un uomo così carismatico.»

Il conte sorrise e continuò a conversare. Ma pensò che avrebbe voluto assolutamente concludere l’altra conversazione con sua moglie prima di andare a letto. Altrimenti, si sarebbe ritrovato tra le braccia una statua di marmo o un istrice. Quel pensiero non fece che alimentare il suo sorriso.

«Bristol» disse il visconte Sotherby a Muriel, ritrovandosi inaspettatamente solo con lei,dopo essersi attardati con George e Mabel finché i due avevano fatto capire piuttosto chiaramente che sarebbero stati ben lieti di perdersi tra gli alberi per qualche minuto. «È una città che non conosco. È bella?»

«A me piace» rispose la giovane donna. «Ci siamo trasferiti lì dalla campagna, dopo chemio padre è morto.»

«Forse,» commentò lui «potrei venire a vederla, in primavera. Soprattutto adesso che conosco qualcuno che ci vive.»

«Sarebbe davvero un piacere, milord» ribatté lei.

«Sapevate che sono stato sposato?» le chiese il visconte.

«No, non lo sapevo.» La giovane donna lo guardò con gli occhi sgranati.

«Mia moglie è morta» spiegò lui. «Di parto, poco più di due anni fa. Avrei avuto una bambina. Amavo mia moglie.»

«Oh» mormorò lei. «Mi dispiace tanto.»

Lui sorrise. «Fortunatamente, o sfortunatamente, non saprei,» continuò «il dolore diventa sopportabile, e la vita va avanti. Ma mi piaceva essere sposato. Mi piacevano il conforto e lasicurezza del matrimonio. La vita da scapolo non mi si addice molto, temo. Sono venuto qui per fare qualche battuta di caccia in compagnia di Randolph, e mi aspettavo un Natale piuttosto triste e cupo, a dire il vero. Invece, è stato così bello trascorrerlo con la vostra famiglia.»

Muriel sorrise. «Non riuscirei a immaginare un Natale senza la famiglia» commentò. «Osenza l’allegria e la felicità, insomma.»

La strada era deserta, George e Mabel erano scomparsi tra gli olmi. E nessun uomo degno di quel nome sarebbe potuto rimanere da solo con una bella ragazza sotto le stelle senza baciarla.

Lord Sotherby baciò Muriel.

«Bristol a marzo» mormorò, risollevando il capo. «Ci saranno le primule?»

«E anche i narcisi» rispose lei.

Una promessa che fu ricompensata da un altro bacio.

George e Mabel, il visconte e Muriel erano rimasti indietro rispetto al resto della famiglia, ma non poi così tanto rispetto a Sir Albert Hagley e a Rachel.

«Le stelle» mormorò lui, alzando lo sguardo al cielo. «Sembrano così vicine che si potrebbe quasi immaginare di potersi allungare a prenderne una.»

«La mia stella è ancora lassù, stanotte» sussurrò lei, guardando il cielo a sua volta. «Ed è ancora più brillante di ieri.»

«Quella lì?» Indicò una stella vicina alla luna. «Quella non è la tua stella. È la nostra.»

«Oh, davvero?» La ragazza si girò verso di lui per sorridergli, e lui le lasciò il braccio per passare il proprio intorno alla sua vita, e attirarla più vicina a sé.

«Mi hai evitato, a volte, negli ultimi giorni» le fece notare.

«Sì» ammise lei. «E tu hai fatto lo stesso con me.»

«Per lo stesso motivo?» chiese Sir Albert.

«Credo di no.» Rachel gli sorrise dolcemente. «Mi è stato detto che sei un seduttore, anche se non penso che sia vero. Ma è Natale, ed è un momento perfetto per le infatuazioni. Tranne per il fatto che io non credo di essere molto brava, in questo.»

«Perché no?» le domandò lui.

«Non riesco ad affezionarmi a qualcuno per poi dimenticarlo il giorno dopo» ribatté Rachel.

Avevano smesso di camminare, a quel punto. «Ti sei affezionata a me?» le chiese Sir Albert.

«Questa è una domanda scorretta» rispose lei abbassando lo sguardo. «E credo che forsenon dovremmo restare qui da soli.»

«Perché potrei baciarti?» riprese lui.

«Sì, per questo» affermò lei. «E perché non sono brava in queste cose.»

«Io non credo di saper fare altro, invece» commentò Sir Albert. «Ti ho allontanato dal gruppo una volta di troppo, vero? E sto per baciarti una volta di troppo. Troppe volte, intendo, se stiamo parlando soltanto di una sciocca e passeggera infatuazione, ecco. Non credo che mi piacerebbe venire alle mani con tuo padre. Sono troppo affezionato ai miei denti per farlo.»

Lei rise piano.

«E così, mi sono ritrovato in guerra contro me stesso» ammise. «Con la testa che mi diceva di starti lontano, e il cuore che invece mi spingeva a cercarti, a portarti lontano dagli altri e a fare... cosa? Baciarti? Corteggiarti? Non ne sono sicuro. Non conosco molto bene il linguaggio del cuore.»

Lei gli sorrise, un po’ incerta.

«Penso che farei meglio a chiedere a tuo padre di potergli parlare in privato, quando torneremo a casa» affermò. Poi sorrise brevemente. «Prima che sia lui a chiederlo a me.»

«Non mi hai mai davvero compromesso» mormorò lei, senza fiato. «E non credo che potremmo davvero fidanzarci. Non siamo una coppia ben assortita.»

«Ah, no?» Sir Albert abbassò gli occhi in quelli di lei. «Perché io provengo da una famiglia nobile e tu no? Sarei stato assolutamente d’accordo, prima di conoscerti e prima di vedere

il matrimonio di Randolph diventare un’unione d’amore sotto i miei stessi occhi. Adesso questioni del genere mi sembrano semplicemente sciocche. Non è possibile definirti con una fredda etichetta. Tu sei Rachel Transome, e io mi sono innamorato di te. L’ho detto davvero? Credo che siano le parole più difficili da pronunciare ad alta voce di tutto il vocabolario inglese.»

«Allora si amano, è così?» mormorò lei. «Quando l’ho saputo, mi sono preoccupata molto. Temevo che Ellie fosse stata accecata dallo sfarzo di sposare un conte. Ed è la mia cugina preferita. Ma la posizione sociale non ha niente a che vedere con tutto ciò. Quando si ama qualcuno,non importa se è un conte o un contabile.»

«Parli per esperienza diretta?» le domandò lui.

Rachel annuì. «O un baronetto» soggiunse.

«Allora stanotte stessa parlerò con tuo padre» dichiarò Sir Albert. «Posso?»

Lei annuì di nuovo.

La strada era ancora deserta. E le stelle erano ancora sopra di loro. Il discorso con lo zio Ben avrebbe dovuto attendere per un po’, finché Sir Albert non avesse finito di baciare Rachel a dovere. E poi si sorrisero e si dichiararono a vicenda ciò che prima si erano detti piuttosto chiaramente.

E ovviamente, quella nuova dichiarazione fu siglata da un altro bacio.

Senza che nessuno lo sapesse, tranne la zia Catherine, lo zio Harry aveva portato con sé a Grenfell Park grandi quantità di champagne. Quando tutti furono tornati a casa, fece portare dal suo valletto le bottiglie nel salotto. Era già passata la mezzanotte, eppure nessuno sembrava voler andare a dormire, tranne forse Tom e Bessie, che spiegarono che i loro bambini si sarebbero svegliati prima delle allodole, la mattina dopo.

«L’avevo portato, sapete,» raccontò lo zio Harry «per accompagnare un annuncio che ioe Catherine pensavamo di fare il giorno di Natale con Beryl. Sono sicuro che nessuno avrà capito diche annuncio si tratta, visto che i due giovani in questione non hanno mostrato alcun interesse reciproco, negli ultimi giorni... o meglio, negli ultimi due anni.»

Mabel arrossì, e George sorrise lievemente, mentre tutti ridevano.

«Insomma, si tratta dell’annuncio di un fidanzamento» continuò lo zio Harry «tra il nostro George e Mabel, la figlia di Beryl. E quindi, le nostre famiglie diventeranno ancora più unite,dopo il legame che è stato stretto in passato tra la sorella di Catherine e il fratello di Beryl. La madre e il padre di Ellie, che possano riposare in pace. E prima che le lacrime comincino a scorrere e inizino a volare grida e abbracci, vi prego, facciamo un brindisi con questo champagne.»

Le lacrime scesero e i presenti cominciarono a scambiarsi abbracci, come anche battute e frasi scherzose, tanto che ben presto la nuova fidanzata della famiglia, Mabel, si ritrovò ad arrossire ancora di più, mentre George, con un sorriso imbarazzato, le passava un braccio intorno alle spalle.

«Ci sposeremo ad aprile, per il diciannovesimo compleanno di Mabel» disse il giovane,

rispondendo a una domanda del cugino Aubrey. «E vorrei ringraziare pubblicamente lo zio Joe, sebbene non sia qui tra noi, per aver continuato a invitarci a tutte le riunioni di famiglia, anche dopola morte della zia. Se non lo avesse fatto, io e Mabel ormai avremmo avuto soltanto dei vaghi ricordi d’infanzia l’uno dell’altra.»

E poi i calici di champagne furono distribuiti e furono fatti i doverosi brindisi alla coppia di fidanzati, ai loro genitori, al Natale, alla buona compagnia e a qualunque altra cosa potesse venire in mente e potesse sfociare in un entusiastico coro di approvazioni e nel tintinnio allegro dei calici di cristallo.

Lo zio Sam si alzò in piedi, infine, e attese che intorno a lui calasse il silenzio, cosa non semplice, date le circostanze. Sembrava grosso e imponente, oltre che insolitamente serio.

«Ancora un brindisi» disse. «Ellie è stata molto esplicita nei suoi inviti a ciascuno di noi, e nessuno ha potuto dubitare, conoscendo Joe, che quelle istruzioni fossero state dettate proprioda lui, e non venissero da lei. Ci è stato chiesto di non portare il lutto, e di venire qui a festeggiare il Natale come mai lo avevamo festeggiato prima. Ebbene, lo abbiamo fatto.» Si volse a rivolgere un cenno a Eleanor, seduta sul bracciolo della poltrona in cui era accomodata la zia Ruth. «Sì, ragazza mia, l’abbiamo fatto, grazie a te e all’ospitalità di tuo marito, e grazie ai suoi amici e a questa casa. Non c’è mai stato un Natale così, e il giorno di Natale deve ancora arrivare.»

Ci fu un mormorio di assenso insolitamente pacato, da parte della famiglia.

«Ma non dobbiamo dimenticare una cosa» continuò lui. «Stiamo celebrando questo Natale per Joe, perché è stato il suo ultimo desiderio. Quindi ricordiamo che è per lui, e che è stato il miglior fratello, zio, cugino e padre del mondo. E ci manca tanto.» Sollevò il calice. «Ci manchi, Joe.»

La zia Beryl e la zia Ruth si portarono il fazzoletto agli occhi. Tutti gli altri alzarono i calici.

E così, pensò il conte di Falloden, se poteva ancora avere qualche dubbio, adesso era stato definitivamente fugato. L’assenza di abiti a lutto, l’allegria di quel Natale in cui sarebbe dovuto regnare un sobrio dolore, erano tutte idee di Mr Joseph Transome. Eleanor e la sua famiglia stavano semplicemente mantenendo una promessa fatta sul letto di morte a un uomo che amavano.

Una promessa di Natale.

Portò lo sguardo su sua moglie, dall’altra parte della stanza: non aveva né un fazzoletto né un bicchiere tra le mani, che teneva strette in grembo. La zia Ruth le stava accarezzando gentilmente con la propria mano libera, mentre con l’altra si asciugava ancora gli occhi.

Eleanor si era di nuovo trasformata nella statua di marmo che lui aveva imparato a conoscere. Pallida, immobile e inespressiva. Il conte spostò lo sguardo sulle sue mani. E infine, in un lampo, capì. Capì perché la giovane donna non aveva mostrato alcuna reazione quando aveva visto la paglia sparsa davanti alla porta della casa paterna, o il battente avvolto di stracci, la mattina dopo il matrimonio, e perché non era corsa al piano di sopra da suo padre, ma se n’era rimasta a scaldarsi le mani accanto al fuoco anche quando il medico era entrato nel salotto. Capì perché non aveva mostrato emozioni quando gli aveva annunciato della morte del padre. Né il giorno seguente,

o il giorno del funerale.

Comprese in quel momento che le sue emozioni erano troppo profonde e angoscianti per poterle esprimere apertamente. La statua di marmo era soltanto un sottilissimo strato esterno, sotto al quale c’era una donna amorevole, calda e piena di sentimenti.

La conversazione riprese, dapprima sommessa e man mano più forte e allegra. Tom e Bessie salutarono tutti e andarono a dormire. Wilfred si mise a corteggiare Susan e si sedette al pianoforte con lei. Diversi altri cugini li accompagnarono. Sir Albert parlottò con lo zio Ben, e i duelasciarono insieme la stanza, poco dopo.

Anche Eleanor si allontanò silenziosamente dal salotto, senza dire nulla a nessuno. Forse soltanto suo marito la vide uscire dalla stanza. Attese qualche minuto, poi la seguì.

16

C’era di nuovo quel dolore, insieme a una profonda depressione e a una sofferenza terribile. Terribile perché non riusciva comunque a piangere, sebbene avesse sperato di poterlo fare,mentre se ne stava immobile fuori dal salotto, con le mani premute sul viso. Ma era troppo tardi. Aveva lasciato che suo padre morisse senza piangerlo adeguatamente, e ora non sarebbe più stata ingrado di farlo.

Il miglior padre del mondo, lo aveva definito poco prima lo zio Sam. Sì, lo era stato. Nonostante tutti i suoi impegni e la fatica di portare avanti il suo lavoro e far prosperare i suoi affari, lei era sempre stata al centro della sua vita. Aveva sempre trovato del tempo per lei. E le aveva sempre donato sorrisi, abbracci affettuosi e amore.

‘Ci manchi, Joe.’ Mi manchi, papà. Oh, quanto mi manchi. Quanto mi manchi.

Ma non riusciva a piangere. Si volse verso le scale che conducevano alla sua stanza. Non voleva andarci. Scese le scale e si fermò fuori dalla biblioteca, per poi raggiungere invece la serra. Forse le piante e le grandi finestre che davano sul cielo limpido e stellato l’avrebbero consolata. O forse l’avrebbero aiutata a piangere.

Ma le piante le sembrarono soltanto tristi e cupe, alla debole luce delle candele, e la notte stellata oltre le finestre la fece sentire unicamente più sola. Si sentiva sola nella vastità del cosmo. Appoggiò il candeliere e si strinse le braccia intorno al busto. Faceva freddo, nella serra.

Desiderò che fossero altre braccia a stringerla. Ricordò di aver desiderato la stessa cosa, la notte che suo padre era morto. Ma non c’erano altre braccia in cui rifugiarsi. Oh, quelle dello zio Sam o dello zio Ben, forse. Di sicuro loro l’avrebbero stretta forte, se avesse fatto capire loro di averne bisogno. Ma erano altre braccia, quelle che desiderava. E le avrebbe avute sicuramente più tardi, quando fosse andata a letto. E avrebbe avuto anche il conforto del peso del suo corpo caldo,

della sua carne dentro di lei. Ma non era in quel modo che lo desiderava, adesso.

Provava un profondo rimorso per il rischio che aveva corso mentre tornavano a piedi dalla chiesa, sempre che di rischio si potesse parlare. Di certo non era stato deliberato, ma corso impulsivamente, sul momento. Dapprima, c’erano stati il sollievo e anche la gioia di sapere che nessuno dei due aveva scelto di sposarsi per questioni ciniche come entrambi avevano pensato all’inizio. Ma poi aveva temuto che lui incolpasse suo padre, che lo odiasse per quello che aveva fatto. E infine aveva avuto la consapevolezza che, nonostante tutto, quel matrimonio non sarebbe mai dovuto esistere.

Tranne per il fatto che aveva rapidamente imparato ad apprezzarlo, e aveva capito che era quanto desiderava di più dalla vita, che lui era quanto desiderava di più dalla vita. Si era innamorata rapidamente di lui, considerando anche l’odio che aveva provato all’inizio. E ora, lui eratutto, per lei. Lui era il mondo. E il Natale, e la sua stella di Betlemme.

Ma poi aveva corso quel rischio. Aveva dato voce ai propri dubbi, aspettandosi che lui liconfermasse, sperando che la contraddicesse, che le assicurasse che anche per lui quel matrimonio era importante, e perfino necessario. Ma lui si era limitato a darle ragione. Oh, certo, era stato interrotto dalla zia Beryl e dalla zia Ruth. Stava per dire qualcos’altro. Ma quelle poche parole che aveva pronunciato erano state sufficienti.

Dunque, per lui il loro matrimonio era soltanto qualcosa da sopportare, con cui convivere nel modo meno spiacevole possibile. La sua intrinseca cortesia da gentiluomo, immaginava, gli aveva permesso di costruire una relazione accettabile con lei. Ma non c’era altro. Non provava vero affetto per lei. E men che meno amore.

Ora che ci ripensava, avrebbe preferito non dire nulla. Avrebbe desiderato non infrangere quel sogno. Si sedette su una sedia e si posò le mani in grembo. Dentro di lei, tutto era grigio e morto. Il Natale era finito.

Poi la porta si aprì e si richiuse piano alle sue spalle, e lui le si avvicinò abbastanza da permetterle di vederlo mentre posava un candeliere e un pacco, anche se non aveva rialzato lo sguardo.

La serra si illuminò un po’ di più. E sembrò un po’ più calda.

Si era aspettato di trovarla in lacrime, ma non fu sorpreso di trovarsi davanti la solita statua di marmo. Non alzò gli occhi a guardarlo, quando lui entrò nella serra, né mostrò alcun segnodi essersi resa conto della sua presenza. Se ne restò seduta a fissarsi le mani.

Il conte ricordò la propria esitazione, la notte in cui il padre di Eleanor era morto, e lei era scesa nel salotto ad annunciargli la sua dipartita. Ricordò di essersi domandato cosa sarebbe successo se avesse provato ad abbracciarla. Ma al tempo era stato incredibilmente sciocco e insensibile. Aveva concluso che la giovane donna non sapeva provare sentimenti, e che lo avrebbe respinto, se avesse provato a sfiorarla. Così non l’aveva toccata.

Adesso sapeva che invece avrebbe dovuto farlo, per quanto lei gli fosse ostile al tempo. Avrebbe avuto bisogno di un contatto umano. Negandoglielo, forse le aveva inflitto un danno irreparabile. Le aveva negato il necessario sfogo al dolore che provava. E adesso sapeva che quel

dolore c’era stato. E che c’era ancora.

Si fermò davanti a lei e si sedette sui talloni, prendendole le mani nelle proprie. Erano come due blocchi di ghiaccio. Le strinse delicatamente, cercando di scaldarle.

«È stato un buon padre per te, Eleanor?» le domandò.

«Mi amava tanto» sussurrò lei, in tono piatto. «È così facile dare per scontato l’amore, quando lo si ha sempre avuto. Sapevo che mi amava quanto io amavo lui, ma forse non l’ho compreso appieno finché tutto quell’amore mi è stato tolto.»

Randolph sentì un peso terribile premergli sul cuore.

«Era per questo che volevo un bambino» mormorò ancora Eleanor.

Le sue mani cominciavano lentamente a scaldarsi. «Ci sarà un bambino» le promise lui. «Anzi, tanti bambini. Ci sarà tanto amore nella nostra casa, Eleanor.»

«Sì» mormorò lei.

«Non sei riuscita a piangerlo?» le chiese.

Per la prima volta, la giovane donna cercò il suo sguardo, incerta. «No.»

«È stata colpa mia» dichiarò lui. «Se ti avessi abbracciato, la notte in cui tuo padre è morto, saresti riuscita a piangere, non è così? E allora il dolore della perdita avrebbe cominciato a guarire.»

«Ma ci odiavamo» obiettò lei.

«Forse,» rispose il conte «se ti avessi stretto a me e tu avessi potuto piangere, non ci saremmo più odiati. Saremmo riusciti invece a volerci bene da subito.»

«Perché, ci vogliamo bene?» domandò Eleanor.

«Sì» affermò lui. «Ci vogliamo bene.»

Lei si strinse nelle spalle e lo guardò ancora, brevemente.

«Io credo che tuo padre avesse capito quanto ti sarebbe mancato oggi e domani» dichiarò Randolph. «Quindi ha pensato a una consolazione anche per questo. Tuo padre era molto bravo a risolvere le cose, secondo me.»

Lei alzò lo sguardo a cercare i suoi occhi.

«Ti ha lasciato un regalo di Natale» spiegò lui. «E una lettera. Mi ha chiesto di darteli oggi.»

Lei dischiuse le labbra, ma non disse nulla. Il suo sguardo si riempì di desiderio e tristezza.

«Cosa vuoi prima?» le chiese lui.

Eleanor deglutì. «La lettera» sussurrò.

Randolph gliela porse e la guardò romperne il sigillo con le mani tremanti. Poi la osservò mentre la leggeva.

La giovane donna tenne la lettera in grembo per molto tempo dopo averla finita di leggere, e infine gliela porse, lanciandogli un breve sguardo.

«‘Mia carissima figlia’» lesse il conte «‘forse mi odierai, quando leggerai queste parole,quindi sento il bisogno di giustificarmi anche dopo la morte. Non ho molto tempo, Ellie. Desidero la tua felicità più di ogni altra cosa, prima di morire. Voglio vederti sposata all’uomo giusto, propriocome io sono stato sposato alla donna giusta. Tu credi che sia Wilfred, quell’uomo. Ma non lo è. Se lo fosse, ti concederei a lui con la mia benedizione. Ho pensato che forse il mio giudizio sul suo carattere fosse ingiusto. Ho anche pensato che forse fosse semplicemente gelosia verso un uomo che stava cercando di portarmi via mia figlia. Così, gli ho giocato un tiro mancino, Ellie. Perdonami! Gli ho offerto di comprargli il posto come socio nella sua compagnia, se avesse rinunciato a te. Se avesse rifiutato la mia offerta, avrebbe avuto sia quel posto che te. Ma per come ha scelto, ha soltanto il suo posto da socio, ora.

‘Forse dovrei dirtelo di persona, adesso, mentre sono ancora vivo. Ma ora saresti soltanto offesa, accecata dal dolore e dalla rabbia. Forse lo sarai anche quando leggerai queste righe.Posso soltanto sperare che, quando lo farai, l’amore per tuo marito abbia sostituito l’infatuazione che provavi per Wilfred. L’ho scelto con cura, Ellie, e mi dispiace soltanto per il fatto che la mancanza di tempo mi abbia portato a costringerlo a sposarti. È un uomo di buon carattere e di buone intenzioni. Si prenderà cura di te, se non altro per la sua onestà e il suo onore. Ma sono certo che quando leggerai queste righe, ci sarà anche qualcos’altro tra voi. Ne sono profondamente convinto.’»

Il conte alzò lo sguardo su sua moglie. Lei si stava nuovamente fissando le mani raccolte in grembo.

«‘Non essere troppo triste per me, Ellie’» continuò a leggere il conte. «‘Non fingerò di aver desiderato di morire. Tuttavia, man mano che il momento si avvicina, mi sento sempre più ansioso di riunirmi alla tua cara madre. Mi è mancata tanto. Manca una parte di me, da quando lei non c’è più, e adesso sarò di nuovo completo. Buon Natale, figlia mia adorata. Veglieremo su di te da lassù, da un luogo tra le stelle, il tuo papà e la tua mamma.’»

Il conte ripiegò con cura la lettera, posandola di nuovo. «Sei davvero così offesa?» le domandò piano.

«Riguardo a Wilfred?» mormorò lei. «Penso che lo sarei stata di più se lui non fosse venuto qui. È stato davvero di cattivo gusto, da parte sua, autoinvitarsi qui e aspettarsi che io apprezzassi la sua compagnia, parlassi con lui e lo amassi come avevo sempre fatto. Mi ha deluso e mi ha fatto rabbia.»

«Ma lo ami ancora?» incalzò lui.

Ci fu una breve pausa di silenzio. Poi lei scosse la testa. «No» sussurrò piano. «E ora sono felice di non amarlo più. Papà aveva ragione, sul suo conto. Mio padre aveva la fastidiosa

abitudine di avere sempre ragione.»

«Sempre?» chiese lui, ma non avrebbe permesso alla speranza di trapelare troppo dalla sua voce. Non era il suo momento, ma quello di Eleanor. Era deciso a restituirle ciò di cui l’aveva privata quando suo padre era morto. Raccolse il pacchetto e glielo mise tra le mani.

«È un gioiello» mormorò lei, aprendo la scatola all’interno. «Un gioiello d’oro. Una catenina con un medaglione.»

Sollevò il medaglione in una mano e premette il meccanismo laterale per farlo aprire. E poi restò a guardare in silenzio le due miniature all’interno.

Il conte provò una profonda sofferenza per lei, ma attese che la giovane donna mostrasse una qualche reazione.

«È il ritratto della mamma che lui portava sempre al collo» spiegò. «L’ho cercato, dopo la sua morte, ma non ero riuscita a trovarlo. E questo è un suo autoritratto, che deve aver fatto di recente. Ma prima che dimagrisse tanto.»

Lui le sorrise, anche se Eleanor non lo stava guardando.

«Papà» sussurrò lei. «È stato così doloroso vederlo dimagrire tanto. I suoi occhi erano diventati così grandi.» A quel punto alzò lo sguardo, e i suoi occhi erano grandi e scintillanti. «Pensiche si sia davvero riunito con lei? Tu credi nell’aldilà?»

«Sì» annuì lui.

«Papà.» La sua mano prese a tremare, mentre tornava a guardare i due ritratti e richiudeva il medaglione, stringendolo nel palmo. Il conte notò che anche le sue labbra e le sue spalle stavano tremando.

Le prese una mano tra le proprie, aprendo delicatamente le sue dita per prendere il medaglione. Poi strinse tra le dita la catenina e la fece passare sopra la testa di Eleanor, per mettergliela al collo. Non aveva visto il ritratto di sua madre, ma sospettava che le somigliasse molto. Nessun altro, nella famiglia Transome, aveva i suoi capelli rossi, tranne Jane Gullis. Nessun altro aveva gli occhi verdi di Eleanor.

Si alzò in piedi, a quel punto, afferrandola delicatamente per le braccia e portandola a rialzarsi a sua volta. E poi la strinse a sé, chiudendole fermamente e affettuosamente le braccia intorno al busto. Sentì quel suo lieve fremito trasformarsi in un tremore violento. E poi vennero le lacrime e i singhiozzi, profondi, dolorosi, laceranti. Sentì i propri occhi bruciare e la gola chiudersi in un nodo, ma continuò a stringerla a sé, cullandola tra le braccia, mormorandole parole sommesse che non sarebbe mai riuscito a ricordare, successivamente. Cercando di donarle tutto l’amore e la forza di cui era capace.

Inizialmente, Eleanor pensò che il dolore e la sofferenza che provava l’avrebbero dilaniata. Non riusciva a guardare quel ritratto, che ritraeva suo padre così accuratamente, come era stato prima che la malattia lo trasformasse irrimediabilmente. Non riusciva a sopportare di pensare che l’aveva perso per sempre, che non l’avrebbe più visto, che non avrebbe più potuto parlargli. Che non avrebbe più potuto ascoltare la sua voce.

Ma poi il dolore si placò, quasi come se stesse scorrendo via insieme alle lacrime. E iniziò a provare conforto e calore. C’era qualcosa che la teneva ancorata alla vita, qualcosa che le assicurava che doveva lasciar andare suo padre, che c’erano altre persone per cui valeva la pena di continuare a vivere, altre persone da amare.

Un ultimo singhiozzo la scosse, e lei girò il capo per poter posare la guancia contro la spalla del marito, umida delle sue lacrime. Chiuse gli occhi, sentendosi in pace con sé stessa come non si sentiva da tanto tempo.

«Questo è un buon modo di comportarsi a Natale» mormorò.

«Sì, è così» concordò lui. «Dire addio a un padre che hai tanto amato è una cosa giusta da fare a Natale. Di sicuro meglio che farlo a novembre.»

Eleanor sollevò il capo, con il dorso di una mano contro il naso. «Come puoi capirmi così bene, ed essere così gentile?» sussurrò. «Hai ogni motivo di odiarlo. E io devo sembrarti orribile. E il mio naso sta gocciolando.»

Lui prese dalla tasca un fazzoletto di lino, le scostò la mano che si era protesa a prenderlo e le asciugò delicatamente gli occhi e il viso. Poi glielo lasciò perché potesse soffiarsi il naso.

«Piuttosto rossa» commentò, piegando appena la testa di lato e osservandola con un sorriso che non suggeriva altro che dolce gentilezza. «Ma sempre molto bella. Ti senti meglio?»

Lei annuì. «Sì, davvero.» Ma si sentiva piuttosto sola, senza le sue braccia a stringerla come aveva fatto prima. Lo guardò tristemente. «Parlavi sul serio, quando hai detto che adesso ci vogliamo bene?»

Il conte sorrise e annuì.

«È stato terribile, all’inizio, vero?» continuò lei.

«Per questo, dobbiamo entrambi prenderci le nostre responsabilità» commentò Randolph. «A parte il fatto che non ci conoscevamo minimamente e non volevamo sposarci, entrambi avevamo dei pregiudizi sull’altro. Come se tutti gli aristocratici e tutti i membri della borghesia fossero uguali. Come i piselli in un baccello. Siamo stati un po’ sciocchi, non ti pare?»

«Già» ammise lei. Poi esitò. «Dorothea Lovestone...» cominciò.

«...è una dolce, inerme e alquanto stupida giovane nobildonna» concluse lui. «Non penso neanche più lontanamente di amarla, Eleanor.»

«Oh» mormorò lei.

«Qualcuno... senza dubbio lo zio Sam,» continuò il conte «ha dichiarato che nessun regalo di Natale si dovrà aprire prima di domattina. Ma io vorrei dartene uno adesso, Eleanor. Non èdavvero un regalo di Natale, perché lo avevo comprato per te poco dopo il nostro matrimonio... perché mi sentivo in colpa, immagino... ma poi non sono mai riuscito a dartelo. Adesso sono felice, però, di non avertelo dato prima, perché non avrebbe avuto alcun valore.»

Infilò la mano in una tasca e ne trasse un pacchetto ancora più piccolo di quello che aveva contenuto il medaglione. Lei lo aprì, trovandovi dentro un anello di diamanti.

«Un semplice solitario incastonato in una fedina d’oro» spiegò lui. «Ho pensato che fosse un diamante troppo bello per essere circondato da altre gemme. Al tempo non mi sono reso conto che in questo senso era molto simile a mia moglie.»

Lei lo guardò, mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime. Lui sfilò l’anello dalla scatola e glielo fece scivolare al dito, accanto alla semplice fede d’oro che le aveva infilato, riluttante, su un dito altrettanto riluttante, il giorno del loro matrimonio.

«Grazie» gli sussurrò Eleanor, anche se non sapeva con certezza se lo stesse ringraziando di più per l’anello o per le sue parole. «È meraviglioso.»

«Poco fa ti ho detto» riprese lui «che ci sarebbe stato amore nella nostra casa, quando fossero nati i nostri figli, Eleanor. Quando fossero nati dei bambini. Ma c’è più di questo. L’amore ègià qui con noi. Sai, credo di essermi innamorato di un istrice. Volevo che tu lo sapessi. Però non preoccuparti, ecco. So che ti piaccio, e penso che forse potresti provare un minimo di affetto per me, e so che vuoi avere dei figli miei e amarli. A me questo basterà, Eleanor. Saprò accontentarmi.»

Eleanor non riusciva a credere alle proprie orecchie, né ai propri occhi quando alzò lo sguardo nei suoi e vi lesse la verità delle sue parole. «Come mi ami?» gli chiese in un sussurro.

«Ah» mormorò lui. «Come si può misurare l’amore? Come si può spiegare a parole? Come ti amo? Con il mio corpo. Con il mio cuore. Con la mia anima. Ma sembra così sciocco dirlo così, vero?»

«E ti accontenterai» continuò lei «se io non ti amerò così?»

Lui le sorrise e si piegò a baciarle dolcemente una guancia. «Sì, mi saprò accontentare» dichiarò.

«Bugiardo!» esclamò lei. «Io non potrei mai accontentarmi. Sarei il più terribile degli istrici per tutta la vita. Non ti darei pace. Litigherei con te ogni giorno e ogni notte per il resto della nostra vita, se tu non mi amassi come io amo te. Mi piace il modo in cui lo hai descritto. Con il corpo, il cuore e l’anima, io ti amo, Ra... Oh, cielo, è così difficile pronunciare il tuo nome, dopo che non l’ho praticamente mai pronunciato, in un mese e mezzo di matrimonio. Ti amo, Randolph. Ecco, l’ho detto. Io ti amo.»

Si guardarono come due idioti, mentre Eleanor sentiva un sorriso crescerle dentro, scintillando nei suoi occhi, e una felicità così intensa da domandarsi come avrebbe fatto a non esplodere all’esterno.

E poi lo fece, e nello stesso momento scoppiarono a ridere entrambi. Lui la sollevò tra lebraccia, facendola roteare, ancora e ancora, finché non sentirono la testa girare, e poi la baciò con passione crescente, finché non sentirono girare la testa ancora di più.

Randolph appoggiò la fronte contro quella di lei, mentre il mondo in qualche modo tornava stabile. «Visto?» mormorò. «Tuo padre ha avuto ragione ancora una volta. Era tremendo, eh?»

«Oh, abbastanza» ammise lei. «Ma come poteva sapere che saremmo andati d’accordo? È stato odio a prima vista.»

«Ho lo strano sospetto» commentò lui «che per una volta nella vita, tuo padre abbia rischiato il tutto per tutto. E abbia vinto la sua scommessa. E ho il sospetto ancora più strano che il suo secondo nome debba essere stato Mida. Di sicuro, nel nostro caso ha tramutato ciò che ha toccato in oro.»

«Randolph.» Eleanor sollevò una mano e gli passò delicatamente le dita tra i capelli. «Pensi che la nostra stella sia ancora sopra di noi, stanotte? O forse è sopra la stalla, a Betlemme?»

Raggiunsero una delle finestre e guardarono verso la miriade di stelle sopra di loro. Sembravano tutte scintillare allo stesso modo. Come avrebbero potuto riconoscere quella che avevano scelto la notte prima? Ma lui ne indicò una non esattamente sopra di loro.

«Quella» dichiarò. «Non è più sopra di noi, vedi, Eleanor? Ma ieri notte lo era. Ci ha guidati a Betlemme. Com’è che ha detto ieri sera lo zio Ben? Ci ha condotti alla pace e alla speranza. E all’amore.»

«Mio padre voleva che festeggiassimo un meraviglioso Natale anche per lui» mormorò Eleanor. «Pensi che avesse capito quanto sarebbe stato meraviglioso?»

«Non ne ho il minimo dubbio» affermò Randolph. «Mi chiedo che ore siano. L’una e mezzo. Le due? Più tardi ancora? Se ti assicuro che il cuore e l’anima sono pienamente coinvolti, Eleanor, vorresti venire a letto con me, così che possa dimostrarti il terzo modo in cui ti amo?»

«Soltanto se potrò dimostrartelo anch’io» sussurrò lei. «Vedi, Randolph, per quello che mi riguarda, l’amore si fa in due.»

Lui ridacchiò. «Buon Natale, amore mio» mormorò infine.

«Buon Natale,» sussurrò lei di rimando «amore mio.» E gli sorrise, posando la mano nella sua.

«E poi,» dichiarò ancora il conte «abbiamo una promessa di Natale da mantenere, e quale modo migliore può esserci per mantenerla?» La sua mano si chiuse con affetto intorno a quella di Eleanor.