Un seul monde - doc.rero.ch fileChe cosa è ... l’aiuto ... L’esempio di Irupana 14 PERÙ Dalla...

36
N. 3 SETTEMBRE 2002 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE Un seul monde Eine Welt Un solo mondo Le Ande Una regione montana piena di conflitti lotta per lo sviluppo, l’integrazione e il collegamento al resto del mondo Perù - convivere con le catastrofi Commercio equo – tutto va bene? Un’analisi

Transcript of Un seul monde - doc.rero.ch fileChe cosa è ... l’aiuto ... L’esempio di Irupana 14 PERÙ Dalla...

N. 3SETTEMBRE 2002LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

Un seul mondeEine WeltUn solo mondo

Le Ande Una regione montana piena diconflitti lotta per lo sviluppo,l’integrazione e il collegamentoal resto del mondo

Perù - convivere con le catastrofi

Commercio equo – tutto va bene?Un’analisi

Sommario

Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cosa è... l’aiuto pubblico allo sviluppo? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

DOSSIER

DSC

ORIZZONTI

FORUM

CULTURA

Un solo mondo n.3 / settembre 20022

ANDEPoveri sempre più poveri I paesi andini – Bolivia, Ecuador e Perù – combattonocontro gli stessi problemi: la popolazione indigena ètrascurata, la decentralizzazione è carente, le comunicazionistradali pessime

6Curahuasi, capitale dell’anice L’anice di Curahuasi è uno dei migliori del mondo, eppure i piccoli contadini faticano ad accedere al mercato

12La decentralizzazione favorisce il caffè bio La decentralizzazione ha dato alle autorità comunaliboliviane la possibilità di accelerare lo sviluppo locale.L’esempio di Irupana

14

PERÙ Dalla cultura della sopravvivenza ad una cultura di vitaQuesta terra tra la costa del Pacifico ed il bassopianoamazzonico ha insegnato ai peruviani come comportarsi alleprese con ogni tipo di catastrofe

16Vivere in Perù La diciassettenne Luz Villanueva Tena sulla sua vita a Lima

20

Eliminare antichi timori, a vantaggio di tutti Walter Fust, direttore della DSC, sulla collaborazionetra Stato e economia privata

21Vulcani imprevedibili? In caso di catastrofi naturali la prevenzione èfondamentale, ma non a tutti è accessibile

22

Venti donne per una bancaIn Bangladesh istituzioni finanziarie informali grazie al sostegno della DSC concedono prestiti alle donne più povere

24

Acquistare per un mondo più giusto In nessun altro luogo il commercio equo riscontra un successo paragonabile a quello che ha in Svizzera. Un’analisi della situazione

26E a cosa ci serve tutto ciò? Lo scrittore mozambicano Mia Couto su bandiere, inni e identità nazionale

29

Musica tagika tra tradizione e attualitàUn festival sostenuto dalla DSC ravviva la vita culturale tagika. Un reportage

30Cooperazione e culturaLa DSC sostiene lo sviluppo culturalenei nuovi paesi partner dell’Asia centrale

32

Dal 26 agosto al 4 settembre l’intero mondo volge lo sguardo verso Johannesburg dove, dieci annidopo Rio de Janeiro, va in scena il «Vertice mondia-le sullo sviluppo sostenibile». Poi, il 10 settembre, aNew York, la Svizzera sarà ufficialmente accolta inseno all’ONU. Si tratta di due avvenimenti internazionali nei quali laSvizzera svolge un ruolo del tutto particolare. In uncaso – quello relativo a New York – la Svizzera saràal centro dell’attenzione mondiale. Nell’altro caso –quello di Johannesburg – essa sarà una delle tantenazioni presenti. Nonostante difficili presupposti elimitati margini di manovra, la Svizzera guarda all’ap-puntamento sudafricano con ottimismo e con ideeinnovative, presenta proposte dimostrando, in unambito parziale, un genere di responsabilità moltoconcreta: essa assume, infatti, un ruolo direttivo inalmeno una delle cosiddette Partnership Initiatives,nelle quali gruppi di stati ed altri attori si impegnanoa sostenere l’efficiente applicazione dell’Agenda 21in uno degli ambiti dello sviluppo sostenibile. Tutti e due gli eventi hanno a che fare con lo svilup-po sostenibile, questo termine soventemente evoca-to, che fu definito a livello internazionale nel 1987quale sinonimo di sviluppo durevole, capace dicoprire i bisogni attuali, senza però correre il rischioche le future generazioni non possano a loro voltasoddisfare le loro necessità. Che tale sostenibilitàrappresenti per la Svizzera molto di più che non un

vuoto slogan, ce lo dicono un paio di realtà oggetti-ve, di carattere nazionale ed internazionale. In quali-tà di coordinatrice di un gruppo mondiale di stati dimontagna, nel 1992 alla Svizzera è riuscita, in occa-sione del «Vertice di Rio», di porre nel futuroProgramma d’azione un capitolo riguardante il temadello sviluppo sostenibile delle regioni di montagna.Non da ultimo perché la Svizzera, nell’ambito dellasostenibilità, si impegna non soltanto verso l’ester-no, bensì anche a livello nazionale. Il Rapporto delConsiglio federale «10 anni dopo Rio: la Svizzeraverso una politica dello sviluppo sostenibile» di giu-gno del 2001, così come la «Strategia per uno svi-luppo sostenibile 2002» del marzo di quest’annosono due prodotti di questo sviluppo, in grado diindicare e prevedere il proprio percorso. I problemi connessi alla lotta alla povertà, quelli dellasanità o del traffico non sono certo, in Svizzera, glistessi che troviamo a livello internazionale e devonodunque essere affrontati in maniera diversa. Unesempio? Leggete il nostro dossier andino, a partireda pagina 6, o partecipate all’assemblea annualedella Cooperazione allo sviluppo in programma il 30agosto presso il Kongresshaus di Zurigo che avrà ilPerù quale nazione ospite.

Harry SivecCapo Media e Comunicazione DSC(Tradotto dal tedesco)

Un modo sostenibile di guardare al futuro

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 3

Editoriale

Colpo di scopa in Africaoccidentale (jls) Talune città dell’Africa occi-dentale sono sorprendentementepulite da quando la raccolta del-l’immondizia è affidata alle donne.A Thiès (Senegal), Bamako (Mali)e Ouagadougou (Burkina Faso),nelle strade si attivano intere bri-gate al femminile. Costituite ingruppi d’interesse economico(GIE) per il risanamento dellecittà, queste donne spazzano e poiraccolgono l’immondizia concarrettini o carriole. Esse benefi-ciano di progetti municipali dilotta alla povertà lanciati con ilsostegno di organizzazioni uma-nitarie internazionali. Per i sinda-ci, questa collaborazione è unbuon affare: il salario versato allespazzine è inferiore a quello degliagenti municipali, e il lavoro èdecisamente eseguito meglio.

Riso nuovamente esportabile (jls) Alla fine degli anni 60 laCambogia esportava enormiquantità di riso mondato. Laguerra civile ha però rovinato laqualità della produzione. Man-cando risaie di qualità, gli agricol-tori hanno enormi difficoltà asmerciare i raccolti oltre il merca-to locale. La situazione potrebbecambiare grazie all’apertura, nelgennaio scorso, di una risaia ultramoderna costata tra i 6 e i 7milioni di dollari. Secondo ildirettore Chiv Heang, questo

investimento è più che giustifica-to: «La Cambogia, paese essenzial-mente agricolo, deve puntareappieno su questo settore. Primao poi, il successo verrà!» Contra-riamente alle risaie artigianali,questa fabbrica è in grado di eli-minare i piccoli sassolini e di cali-brare i chicchi in base a quattrodifferenti misure. Essa può tratta-re fino a 10 tonnellate di riso l’o-ra. In Tailandia e Vietnam, paesiche figurano fra i più importantiesportatori di riso al mondo,simili fabbriche high tech si conta-no già a decine.

La tubercolosi non conoscefrontiere (bf) Solo cento anni fa, nei quar-tieri poveri delle grandi cittàeuropee ed americane migliaia dipersone morivano ogni anno ditubercolosi (TBC), che si diffon-deva facilmente a causa della fa-me, dell’igiene carente e dellecondizioni di vita catastrofiche.Con il miglioramento delle con-dizioni sociali e l’introduzionedella vaccinazione e degli anti-biotici la tisi, come veniva chia-mata in passato la tubercolosi pol-monare, si è fatta tanto rara che siè creduto fosse stata sconfitta.Errore: in molti paesi in via disviluppo dell’Africa e dell’Asiala tubercolosi continua a mieterevittime. Oggi un terzo della

popolazione mondiale è infettata,il 98 percento nel terzo mondo. Ilpericolo si riavvicina ora anchealle nazioni industrializzate: so-prattutto nelle regioni dell’exUnione Sovietica, bacilli dellatubercolosi multiresistenti quasiimpossibili da combattere con imedicamenti conosciuti si stannodiffondendo così rapidamente da costringere l’Organizzazionemondiale della sanità (OMS) adavviare azioni di sostegno.

Fonte energetica sotto ilLago Kivu (bf) La catastrofe provocata ingennaio dal vulcano di Goma hareso attenti – seppur in mododoloroso – sull’enorme potenzia-le energetico di cui dispone laregione del Lago Kivu nel Congoorientale. Sotto il lago si accumu-lano enormi quantità di gas meta-no. I giacimenti sono stimati in57 miliardi di metri cubi, corri-spondenti a 25 milioni di tonnel-late di petrolio. Circa 39 milionidi tonnellate di questo gas po-trebbero essere sfruttate commer-cialmente, per almeno cent’anni –le riserve si rinnovano infatticostantemente di 150 milioni dimetri cubi di metano l’anno. Èora in atto uno studio di fattibili-tà dei due Stati al confine sul lago,la Repubblica Democratica delCongo e il Ruanda, sul possibile

Un solo mondo n.3 / settembre 20024

Per

isco

pio

Har

tmut

Sch

war

zbac

h /

Stil

l Pic

ture

s

Lass

/ la

if

sfruttamento del giacimento.I due impianti previsti produrreb-bero 20 megawatt di elettricità.I governi si ripromettono così siadi promuovere la piccola indu-stria e l’artigianato nelle regionidensamente abitate e dall’agricol-tura in parte troppo intensiva, siadi contenere l’erosione, moltoavanzata e causata dal taglio radi-cale dei boschi. (vedi pagine 22 e23).

Senza chimica va meglio (bf) A Cuba i raccolti dei campidi canna da zucchero biologicisono del 20 percento superiori aquelli convenzionali. Nella regio-ne indiana del Madya Pradesh icoltivatori di cotone biologico neraccolgono un quinto in più ri-spetto a chi utilizza concimi chi-mici. I contadini brasiliani sonoriusciti ad aumentare del 250 per-cento i raccolti di mais utilizzan-

do concimi naturali. Anche altriesempi dal Madagascar, dall’ Etio-pia o dalla Bolivia mostrano cherinunciare ai concimi artificiali eai pesticidi preferendo metodi dicoltivazione ecologici nei paesi invia di sviluppo è una lezione pergli stati industrializzati. La primapanoramica mondiale sull’agricol-tura ecologica è fornita dal rap-porto «The Real Green Revolu-tion»(www.greenpeace.org.uk/realgreenrev.htm) del ricercatoreNicolas Parrott dell’università

inglese del Cardiff. «I contadininei paesi in via di sviluppo», affer-ma Parrott, «apprezzano maggior-mente i vantaggi dell’agricolturaecologica e li sfruttano moltomeglio rispetto ai colleghi dellenazioni industrializzate».

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 5

Adr

ian

Arb

ib /

Stil

l Pic

ture

s

S.C

ytry

now

icz-

Chr

istia

n A

id /

Stil

l Pic

ture

s

Agricoltura intensiva

Dis

egno

di M

artia

l Lei

ter

DO

SS

IE

R

I paesi andini – Bolivia, Ecuador e Perù – combattono tutti con-tro gli stessi problemi: la popolazione indigena è trascurata, ladecentralizzazione è carente, le comunicazioni stradali sonopessime e determinano il completo isolamento della popola-zione di montagna. Ne conseguono: povertà rurale, disparitàsociale e crescente resistenza. Di Michèle Laubscher*.

Poveri sempre

Un vento gelido sibila tra le minuscole capanne,lama e pecore pascolano sull’esile manto erboso. 15famiglie vivono in questa frazione di Potosí, nelleAnde della Bolivia meridionale a quasi 5000 metridi altitudine. «A parte le bestie, non abbiamo pro-prio nulla», racconta un giovane campesino quechuanel suo stentato spagnolo. «Se qualcuno si ammala,dobbiamo camminare a lungo per raggiungere la

strada e aspettare finché una macchina ci conducaa Potosí. Altrimenti dobbiamo andarci a piedi, maci vogliono ore. Purtroppo siamo poveri». «E per-ché siete poveri?», chiede René Joaquino. Il sinda-co di Potosí (vedi pag. 9) ci ha accompagnato nellearee remote del suo comune. «Perché non abbia-mo lavoro», risponde il campesino. «Se vogliamolavorare, dobbiamo andare in città». Ma anche a

Un solo mondo n.3 / settembre 20026

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 7

più poveri Potosí si fatica a trovarne, salvo nelle vecchieminiere del leggendario Cerro Rico, la montagnadell’argento che troneggia sopra la città. Le minie-re sono praticamente esaurite, i 25'000 minatori -fra i quali centinaia di bambini e adolescenti -lavorano in proprio. Le condizioni di lavoro sonopericolosissime, il reddito minimo.

La ricchezza esportata Gli spagnoli avevano iniziato a sfruttare il CerroRico nel 1545. Nel Seicento Potosí godeva la famadi essere la città più ricca al mondo. La leggendavuole che avesse strade lastricate d’argento. Mal’incommensurabile ricchezza non rimase nelpaese, bensì conferì al capitalismo europeo unaspinta determinante. Anche dopo l’indipendenzadella Bolivia nell’Ottocento i profitti finirono soloin piccola parte nelle casse dell’erario. Ciò che lo

Stato incassava, lo investiva a La Paz, la città cheospita tuttora l’amministrazione pubblica, e nellaparte orientale del paese, soprattutto nella pianuratropicale di Santa Cruz.Che Potosí non abbia mai tratto beneficio dallericchezze che regalava al mondo è manifesto.Mentre l’agricoltura fiorisce in pianura, sulle pen-dici andine i contadini sgobbano aiutati solo dabuoi e primitivi aratri in legno, producendo amalapena abbastanza per sopravvivere. La nuovaricchezza prodotta a est non viene ridistribuita néinvestita nello sviluppo del dissanguato altopianoandino.«Mancano scuole e ospedali. La metà della popola-zione non è allacciata alla rete elettrica, all’acquapotabile e alle canalizzazioni. Le poche infrastrut-ture sanitarie sono più che centenarie, ma nonabbiamo il denaro per ripararle. I collegamenti

Ande

Rip Hopkins / Agence VuUna strada nei pressi di Quito

stradali sono in pessimo stato», dice il sindacoJoaquino. Il budget della città è fissato dal governocentrale a La Paz assumendo i 120'000 abitantirilevati dal censimento del 1992, benché oggi aPotosí vivano oltre 150'000 persone. Gli scarsicontributi statali arrivano tardi e, talvolta, nonarrivano affatto.Il giovane sindaco cerca di impiegare le limitaterisorse in modo efficace. Con controlli e opera diconvincimento impedisce che il denaro finisca neicanali della corruzione, in appalti pubblici strapa-gati o insensati. Ma tutto ciò non basta per risol-vere i problemi urgenti della città. Joaquino non hai mezzi per realizzare progetti volti a promuoverela produzione agricola per frenare l’esodo rurale.

L’isolamento comporta conseguenzeeconomiche devastanti I problemi di Potosí sono i problemi di tutto l’ar-co andino. I governi centrali decidono come di-

stribuire le risorse dello Stato trascurando le regio-ni abitate soprattutto da popolazioni indigene. Itimidi tentativi di decentralizzazione sono spessodestinati a fallire perché ai comuni vengono attri-buiti ulteriori compiti senza concedere loro inecessari mezzi finanziari. I cattivi collegamentistradali determinano il completo isolamento dellapopolazione di montagna, e ciò comporta conse-guenze sociali ed economiche devastanti.A poco meno di quattro ore d’automobile daCuzco, l’ex capitale inka e principale meta turisti-ca del Perù, vivono in una valle centinaia di perso-ne in condizioni di tale isolamento che, a seguitodi relazioni incestuose, molti bambini nasconomenomati psichicamente o fisicamente. Nellaregione di Ayacucho molti contadini produconopiù di quanto non consumino, ma devono assiste-re al deterioramento delle loro eccedenze digrano, ortaggi e miele perché mancano le possibi-lità di trasporto e l’aiuto dello Stato per creare un

Un solo mondo n.3 / settembre 20028

Mar

k E

dwar

ds /

Stil

l Pic

ture

s

Julio

Etc

hart

/ S

till P

ictu

res

Jürg

en B

indr

im /

laif

La Paz

Potosí Ecuador

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 9

AndeK

urt

Wys

s /

DE

ZA

Hei

ne P

eder

sen

/ S

till P

ictu

res

Il candidato pazzo «Molti hanno dapprimapensato che fossi pazzo,poi hanno incominciato acapirmi», ricorda il sindacodi Potosí René Joaquinoparlando della sua primacampagna elettorale,condotta a metà degli anniNovanta. Figlio di unanumerosa famiglia di cam-pesinos, con una laurea ingiurisprudenza conseguitain coda all’apprendistato dimuratore, ha marciato soloattraverso le vie della cittàper spiegare alla gente leconseguenze della corru-zione nelle civiche istituzio-ni e le modalità per com-batterla. Venne sorpren-dentemente eletto in senoall’esecutivo comunale.Dopo che vari sindaci furo-no costretti a ritirarsi inseguito ad affari di corru-zione, fu l’unico membrodel municipio disposto adassumere la carica.Joaquino fu confermatoalle elezioni del 1999 e ilpartito, da lui fondato nelfrattempo, conquistò novedegli undici seggi munici-pali.

mercato interno. Nel contempo, il Perù importaogni anno derrate alimentari per vari milioni didollari.La povertà e la fame hanno spinto molti campesinosperuviani e boliviani a coltivare coca. Il guadagnoè relativamente alto e lo smercio garantito, datoche gli acquirenti ritirano la materia prima dellacocaina anche nelle località remote. Su pressionedegli Stati Uniti i governi effettuano da anni dellecampagne di distruzione del raccolto e promuovo-no colture alternative presso gli agricoltori. Maall’atto della conversione i campesinos sono spessolasciati soli, non ricevono consulenza, né creditiagevolati, né aiuto per la commercializzazione. Iprezzi della frutta, del caffè o dei cuori di palmasono spesso tanto bassi da indurli a lasciar marcireil raccolto sul posto, visto che il ricavo non copreneppure i costi di trasporto.Tuttavia, anche prezzimigliori non compenserebbero il guadagno conse-guito con la coltivazione della coca. La differenzadi reddito verrebbe compensata solo migliorando

la qualità della vita dei campesinos, solo costru-endo scuole, ambulatori, strade e condotte idriche.

La città con la maggior crescita almondo L’isolamento non è la sola causa della povertà rura-le.Altrettanto grave è la carenza di terre arabili che,nelle culture indigene, sono di proprietà comune.I campesinos ricevono la terra con diritto di godi-mento, non la possono vendere né trasmettere ineredità. Alle giovani famiglie vien dato un nuovoappezzamento. Questa tradizione è stata notevol-mente scombussolata quando i signori coloniali,dapprima, e gli immigrati europei, poi, hannocreato i latifondi. Essi hanno cacciato le comunitàoppure hanno sensibilmente limitato il loro dirittoalla proprietà terriera.Negli anni Cinquanta e Sessanta si sono sussegui-te nelle Ande occupazioni di terreni e riformeagrarie. Una parte dei latifondi è così stata distri-

buita tra i campesinos. Ma il problema della terra èstato risolto solo transitoriamente. Le comunità sisono presto confrontate con nuovi limiti, da temponon dispongono più di terre sufficienti a nutriretutti i loro membri. L’esodo rurale continua.La pressione sui terreni agricoli aumenta non soloa causa della crescita demografica. Grandi gruppieconomici nazionali ed esteri si fanno largo inagricoltura con lo scopo di produrre per l’esporta-zione. I loro interessi collidono con il diritto indi-geno alla terra, nonché con il diritto all’acqua, cheprevede l’utilizzo comunitario dei corsi d’acqua.Quest’ultimo è inconciliabile con le enormi quan-tità richieste dall’industria agroalimentare per l’ir-rigazione.L’esodo rurale, protrattosi per decenni, ha spinto lamaggioranza della popolazione andina a viverenelle città. Attorno a esse cresce ogni anno unanuova fascia di bidonvilles. In nessun altro luogodelle Ande la miseria urbana è così visibile comenella sterminata bidonville di El Alto, situata sull’al-

topiano che sovrasta La Paz. Nel giro di dieci annila sua popolazione è raddoppiata fino a raggiunge-re gli 800'000 abitanti. Nessun’altra città al mondocresce a un ritmo altrettanto vertiginoso. Vi siconta un maestro per 350 bambini, un ambulato-rio per 12'000 persone, quasi nessuno disponed’acqua potabile in casa, i quattro quinti dellapopolazione fanno i propri bisogni all’aperto, in

Lo sfruttamento deibabbei La città di Potosí vive pra-ticamente solo dei minato-ri, i quali versano in condi-zioni di estrema povertà.La loro speranza di vita siaggira sui 42 anni. Ciò cheestraggono a grande faticaalla montagna lo vendonoa commercianti interme-diari che, di regola, liimbrogliano. Molti minerosparlano con amarezzadella loro situazione. «Nonguadagniamo neppureabbastanza per comperar-ci il latte. I minatori muoio-no presto a causa di inci-denti o della silicosi», dicedella vita dei mineros LuisMontes, non ancora qua-rantenne. «Un proverbiorecita: il furbo vive delbabbeo, e il babbeo vivedel lavoro. È proprio que-sto il principio che regna in Bolivia».

Perù

Bolivia

Un solo mondo n.3 / settembre 200210

molti quartieri non viene effettuata la raccolta deirifiuti. E lo stato di salute della popolazione nerisente manifestamente. La maggior parte dellepersone sopravvivono con lavori occasionali e ilpiccolo commercio. La violenza – in strada e nellefamiglie – raggiunge livelli spaventosi.

Globalizzazione a senso unico La risposta corrente a tutti questi problemi è l’in-tegrazione nel mercato. Purtroppo, finora, «inte-grazione» significa introdurre nel mercato interna-zionale materie prime: risorse minerarie, legname,prodotti agricoli. L’economia d’esportazione èprioritaria perché occorre assicurare ai paesi levalute estere da convogliare principalmente versoil servizio del debito. Gli Stati sostengono le gran-di imprese (spesso straniere) che estraggono o col-tivano queste materie prime, trascurando comple-tamente le piccole imprese indigene che creanoplusvalore e posti di lavoro. La volontà di promuo-vere il commercio interno e il mercato nazionalee di industrializzare i paesi, o anche solo idee sucome farlo, sono quasi del tutto assenti.Il concetto di «integrazione nel mercato» occulta il fatto che la globalizzazione è rimasta una pista asenso unico.Ai paesi andini l’apertura del mercato,la deregolamentazione e le privatizzazioni sonoimposte senza che ottengano una contropartita.Essi vengono invasi da prodotti agricoli sovvenzio-nati e beni di consumo a basso costo del Nord ed’Asia, mentre i loro prodotti agricoli spuntanoprezzi indecentemente bassi sui mercati mondiali espesso non hanno nessuna libertà di accesso aimercati del Nord. Gli Stati Uniti e l’Europa si pro-teggono contro le importazioni e trovano semprenuove scusanti per non concedere agevolazionidoganali ai paesi andini. Le privatizzazioni condu-cono all’eliminazione di posti di lavoro e a tariffe

Jere

my

Hor

ner

/ P

anos

/ S

trat

es

Dalla guerra contro ladroga alla lotta contro il terrorismo La Colombia soffre deglistessi problemi che si ri-scontrano nel resto dell’a-rea andina. Tuttavia essisono drasticamente com-plicati da una guerra qua-rantennale combattuta trala guerriglia, l’esercito e glisquadroni paramilitari dellamorte. Dalla sospensionedei colloqui di pace ingennaio il conflitto si èdrammaticamente acuito.Nell’ambito della loro lottainternazionale contro il ter-rorismo, gli Stati Uniti stan-no ponderando di esten-dere l’aiuto militare – finoraufficialmente riservato allalotta contro la droga inColombia – alla lotta con-tro la guerriglia. Vi sonosegni che indicano la lorovolontà di rafforzare la pre-senza militare in Ecuador edi insediarsi militarmenteanche in Perù. Una militariz-zazione dell’area andinaminaccia di innescare unaspirale di violenza che po-trebbe avere conseguenzecatastrofiche per lo svilup-po e la democratizzazione.

più alte, l’ampiamente elogiato transfer di tecnolo-gia non ha luogo, e le imprese straniere investonoi loro profitti non sul posto ma nel mondo indu-strializzato. Ad ampie fasce della popolazione laglobalizzazione non ha portato nessun giovamen-to.

Crescente resistenza Intanto sta crescendo la resistenza contro il neoli-beralismo. Particolarmente forte è l’opposizionedel movimento indigeno, che in Ecuador è assaiben radicato. Esso ha lottato anzitutto con succes-so per l’insegnamento bilingue, una migliore rap-presentanza politica e il riconoscimento delle pro-prie forme giuridiche e amministrative. In nessunaltro luogo la popolazione autoctona è altrettantoben organizzata e in nessun altro luogo ha rag-giunto altrettanto. Ciononostante, come nel restodel continente, continua a essere la più svantaggia-ta sul piano sociale.La sua esclusione dalle cure sanitarie e dalla for-mazione rafforza i pregiudizi razzisti che si basanosulla quasi totale ignoranza della storia e della cul-tura indigene. Gli indios sono ritenuti fannulloni,stupidi e sporchi.Per questa ragione le popolazioni indigene hannopromosso in Ecuador delle rivendicazioni socialipiù ampie. «I nostri problemi non si risolvono nel-l’ambito di trattamenti privilegiati, bensì solo risol-vendo i problemi nazionali: la corruzione, l’assen-za di una politica sociale, la politica economicasbagliata», spiega in merito Nina Pacari, una dellepiù note donne politiche indigene.Lottare contro le conseguenze della globalizzazio-ne non significa rinunciare alle rivendicazionietniche. Poiché le popolazioni indigene sono lepiù emarginate socialmente, sono anche le piùduramente colpite dai risparmi, dalla soppressione

Il valore del lavoro Nelle società andine illavoro assume un grandevalore culturale, mentre ilprovento del lavoro è con-siderato meno importante:conta insomma lo sforzo enon il guadagno. Nel dialo-go con i bambini lavoratorinella città peruviana diCuzco si percepisce facil-mente in quale misura illavoro, oltre alla formazio-ne, sia considerato un’op-portunità di promozione.La maggior parte di essifrequenta la scuola a metàtempo, molti trascorronola notte nei dormitori peri bambini della strada.Chico, un lustrascarpe dinove anni, racconta chenon lavora solo per nutrir-si: «Noi tutti vogliamodiventare qualcos’altroquando saremo grandi.Perciò dobbiamo saperlavorare fin da piccoli.Andiamo tutti a scuola egli insegnanti ci aiutano:così non dobbiamo spen-dere troppo per il materialedidattico e possiamo por-tare a termine la scuola».

Cuzco

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 11

Ande

Oceano pacifico

Mar dei Caraibi

Perù

Bolivia

Cile

Argentina

Ecuador

Colombia

Venezuela

Oceano atlantico

di sussidi e dalle privatizzazioni dei servizi pubbli-ci. Ma non sono le uniche interessate. La maggiorparte delle persone in Ecuador è costretta a viverecon meno di tre franchi al giorno, quattro personeattive su cinque non trovano lavoro o occupanoposti precari. Ciò spiega perché le rivendicazionidella minoranza indigena trovano vasti consensinella popolazione in generale.I paesi andini possono risolvere i loro problemisolo con una maggiore democrazia a livello socia-le, economico e politico. Le fasce sottoprivilegiatedevono poter dire la loro riguardo alla distribuzio-ne e all’utilizzazione dei mezzi: il che diventereb-be tra l’altro possibile con una vera decentralizza-zione. Inoltre, la popolazione necessita di strumen-ti di controllo per lottare contro gli interessi parti-colari e la corruzione. Non da ultimo, sononecessarie anche delle istituzioni statali forti, cherappresentino gli interessi di tutta la popolazione eassicurino un’equa distribuzione della ricchezza,dello sviluppo e del lavoro. Questo perché il libe-

ro mercato – che stando alla teoria lascerebbe fil-trare i profitti verso il basso assicurando lo svilup-po – non ha finora fatto altro che allargare il diva-rio tra ricchi e poveri. ■

(Tradotto dal tedesco)

* Michèle Laubscher vive da anni in America latina,dove lavora come giornalista freelance.

Caracas

Bogota

Quito

Lima

La Paz

Santiago

Buenos Aires

La catena andina

VenezuelaCaracas912’050 km2

Abitanti 23,9 milioniIndigeni 2 percentoAltitudine massima:Pico Bolivar 5007 msm

ColombiaBogotà1’138’910 km2

Abitanti 40,3 milioniIndigeni 2 percentoAltitudine massima:Cristobal Colon 5775 msm

EcuadorQuito283’560 km2

Abitanti 12,9 milioniIndigeni 43 percentoAltitudine massima:Chimborazo 6267 msm

PerùLima1'285’220 km2

Abitanti 27,5 milioniIndigeni 47 percentoAltitudine massima:Nevada Huascaran 6768 msm

BoliviaLa Paz1’098’580 km2

Abitanti 8,3 milioniIndigeni 71 percentoAltitudine massima:Nevado Sajama 6542 msm

CileSantiago756’950 km2

Abitanti 15,3 milioniIndigeni 8 percentoAltitudine massima:Nevados Ojos del Salado6880 msm

ArgentinaBuenos Aires2'766’890 km2

Abitanti 37,4 milioniIndigeni 1 percentoAltitudine massima:Cerro Aconcagua 6960 msm

Kad

ir Va

n Lo

huiz

en /

Age

nce

Vu

Perù

▲▲

Un solo mondo n.3 / settembre 200212

S.C

ytry

now

icz-

Chr

istia

n A

id /

Stil

l Pic

ture

s

Ren

é P

iam

onte

(2)

(jls) Circa l’80 percento dell’anice venduto in Perùproviene da Curahuasi, una località situata a 2668metri d’altitudine, in un fondovalle remoto epovero. Esso viene consumato principalmentesotto forma di tisana. Grazie a un clima e un suolopropizi, Curahuasi produce un anice di qualitàeccezionale. Campioni analizzati da un laboratoriotedesco hanno rivelato un tenore molto elevato dianetolo, la sostanza a cui esso deve il suo profumo.Nella vallata, circa 750 contadini coltivano l’anicesu piccole parcelle di un ettaro in media. Ma affin-ché questa pianta aromatica possa procurare loroun reddito effettivo, deve essere venduta a condi-zioni favorevoli al mercato di Lima, una metropo-li di 7,5 milioni di abitanti. Fino al 1998 esisteva aCurahuasi un unico telefono. I contadini nonpotevano perciò informarsi sul corso dell’anice a

Lima. Non avevano altra scelta che quella di affi-darsi agli acquirenti soliti a salire due volte all’an-no in valle durante i periodi del raccolto. Questicommercianti acquistano l’anice a basso prezzo,assicurandosi ampi profitti grazie al fatto che aiproduttori mancano le informazioni. I loro margi-ni sono assai consistenti, poiché operano in manie-ra informale, sottraendosi a qualsiasi onere fiscale.Secondo alcune stime, circa il 70 percento delle500 tonnellate di anice prodotte mediamente ognianno a Curahuasi vengono commercializzateattraverso circuiti informali.

Maggiore trasparenza La situazione ha incominciato a cambiare nel 1998con l’apertura a Curahuasi della Mesa de negocia-ción andina (MENA). Questa piccola impresa di

L’anice di Curahuasi, una località nelle Ande peruviane, èritenuto uno dei migliori al mondo. La maggior parte della pro-duzione è consumata dagli abitanti di Lima, la capitale. Unarete di commercializzazione, creata con l’appoggio della DSC,facilita l’accesso dei piccoli contadini andini a questo vastomercato situato a 1200 km di strada da casa loro.

Curahuasi, capitale

Dalla produzione alladistribuzione A partire dal 1995 la DSCha riorientato il suo aiuto alsettore agricolo peruviano.L’obiettivo è sempre quellodi migliorare il reddito deipiccoli contadini residentinelle vallate andine fra i2500 e i 4000 metri di alti-tudine, ma l’approccio èradicalmente nuovo. Primadi promuovere una cresci-ta dell’offerta si verifica sequest’ultima corrisponda aun bisogno dei consuma-tori. Gli studi di mercatoeffettuati hanno mostratoche nelle città esisteva unadomanda per i prodottiandini, quali i cereali, l’ani-ce, i carciofi, i fagioliniverdi, il mais bianco o ipiccoli frutti. La tappaseguente consiste nell’arti-colare delle trafile per ogniprodotto, con lo scopo difavorire un loro inserimentonel mercato in condizionicompetitive. Per far questooccorre concepire e speri-mentare degli strumentiche colleghino gli anellidella catena agroalimenta-re, dalla produzione alladistribuzione.

Il cammino difficile dalla semina...

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 13

servizi, specializzata nella raccolta di prodotti nondeperibili, venne fondata da sette produttori ecommercianti locali. Il suo scopo era di migliorarela capacità di negoziazione dei produttori. Fu con-cepita e realizzata con il sostegno di un program-ma della DSC riservato alle strategie d’articolazio-ne tra i mercati e i produttori della Sierra (Pyma-gros - vedi colonna a lato).La sua struttura è leggera: due impiegati, un depo-sito, una bilancia, una macchina per classificare l’a-nice, dei silos, un piccolo ufficio con un computere, soprattutto, una linea telefonica, indispensabileper seguire l’evoluzione del mercato. I prezzi del-l’anice (come pure quelli della kiwicha, dei fagio-lini verdi o dei semi di lino) vengono riportatisulla lavagna appesa alla porta dell’edificio. Duevolte al mese la MENA allestisce un’offerta di pro-dotti e la trasmette per fax ai potenziali acquiren-ti. Qualora sopraggiungessero fluttuazioni impor-tanti, le diffonde tramite una radio locale. «I pro-duttori fruiscono ormai di un’informazione indi-pendente, trasparente e disponibile in tempo reale.Per prendere decisioni corrette devono saperecome avviene la transazione e quali sono le esi-genze dell’acquirente», spiega Albéric Hibon,direttore del programma Pymagros.

Un guadagno del 30 percento Quando un coltivatore consegna il suo raccoltoalla MENA, i semi vengono pesati, selezionati epuliti. Si costituiscono dei lotti corrispondenti atre diverse qualità. «Questa impresa mira a rag-gruppare l’offerta e a standardizzare la qualità. Ciòconsente ai produttori di negoziare in condizionimigliori», sottolinea Hibon. Grazie ai crediti con-cessi da un’organizzazione locale, il contadinoriceve un anticipo all’atto della fornitura. Unavolta realizzata la vendita, la MENA gli versa ilsaldo, dopo aver dedotto i propri costi.

Vendendo il loro anice alla MENA i produttoriricavano mediamente il 30 percento in più che daicommercianti informali. Ciononostante sonoancora pochi a scegliere questo sistema. Al mo-mento del raccolto nell’ottobre 2001 erano solo63. Il fatto è che i commercianti provenienti dal-l’esterno della regione non hanno visto di buonoocchio l’arrivo di questo guastafeste, che pretendedi riformare il mercato giocando la carta della tra-sparenza. Cosicché, quando vengono a sapere diun’imminente transazione prevista dalla MENA,non esitano a sovvertire il mercato proponendoun’offerta più vantaggiosa. «Visto che non paganoné imposte né IVA possono permettersi di ridurretemporaneamente i loro margini. Senza questaconcorrenza sleale la MENA avrebbe potuto com-perare e vendere quantità ben più consistenti dianice», fa notare Albéric Hibon.La qualità e la purezza dell’anice offerto dallaMENA rappresentano argomenti importanti per leimprese di trasformazione che riforniscono consu-matori selettivi. È il caso dell’ASA Alimentos diLima, una società specializzata nel confezionamen-to e imballaggio. Essa acquista regolarmente dallaMENA lotti d’anice di qualità «extra». L’ASA pro-duce sacchetti di tisane, che confeziona in scatoleverdi, decorate di fiori d’anice e imballate nel cel-lofan. Essa collabora con una società di distribu-zione che indirizza queste scatole verso i numero-si punti di vendita nella capitale, dal negozio dialimentari al supermercato. ■

(Tradotto dal francese)

dell’anice Ande

Sul modello dell’anice La MENA di Curahausirappresenta una specie diprototipo. Il progettoPymagros ha voluto met-tere a punto uno strumen-to riproducibile. A lungoandare varie imprese diquesto tipo potrebberoessere operative in altreregioni della Sierra peru-viana, laddove i contadinicoltivano prodotti per iquali esiste chiaramenteun potenziale commercia-le. Pymagros sta lavoran-do per insediare a Cuzcouna MENA che si occupidella commercializzazionedei cereali e a Cajamarcauna per varie derrateregionali. Considerata l’esperienza fatta a Cura-huasi, andranno effettuatealcune modifiche, in parti-colare per quanto concer-ne l’identificazione delladomanda finale e la forma-zione dei produttori inmateria di gestione. In en-trambi i casi sussistonotuttavia alcune costrizioni:la concorrenza sleale delsettore informale e ladebolezza della ricercaapplicata, la quale dovreb-be permettere di rendere iprodotti più competitivi.

Gig

i Cha

na (2

)

...al raccolto ...alla produzione ...al prodotto finito ...e alla commercializzazione

Un solo mondo n.3 / settembre 200214

(jls) Situato nelle Yungas, le alte vallate dal climatropicale, il comune di Irupana conta, secondo lestime del municipio, 25'000 abitanti. Circa l’85percento di essi sono piccoli produttori, dispersi suun territorio compreso tra i 1000 e i 2500 metridi altitudine. Quasi tutti piantano caffè, coltura cherappresenta la loro principale fonte di reddito. Inpassato, la rapacità degli intermediari locali, cui siaggiungevano cali vertiginosi dei prezzi sul merca-to internazionale, manteneva gli agricoltori in unacondizione di estrema povertà. Nel 1984 alcunicoltivatori hanno deciso di reagire e hanno creatola loro propria cooperativa agricola regionale(CORACA). Quest’ultima si è lanciata nella com-mercializzazione del caffè biologico. Essa ha allac-ciato contatti diretti con le reti europee del com-mercio equo ed ecologico. I suoi esperti hannospiegato ai contadini come coltivare il caffè senza

sostanze chimiche. Grazie a questa innovazione, lefamiglie rurali hanno potuto aumentare i loro red-diti. Oggi, la CORACA è il principale acquirentedel caffè raccolto a Irupana. I suoi prezzi superanoin media del 30 percento quelli praticati dagli

La decentralizzazione ha dato alle autorità comunali bolivianela possibilità di compiere scelte per lo sviluppo economicolocale. L’esempio di Irupana, un comune che si dedica allaproduzione di caffè biologico, mostra che una stretta concer-tazione tra il governo locale e le organizzazioni contadineconsente di migliorare le condizioni di vita della popolazione.

La decentralizzazione favorisce il caffè bio

Poteri comunali Il processo di decentraliz-zazione in Bolivia è statolanciato sotto la presiden-za di Gonzalo Sanchez deLozada. La legge sullapartecipazione popolare(LPP), emanata nel 1994,ha creato 311 comuni(oggi sono 314), mentrefino allora ne esistevanosolo 24. I comuni sonodotati di un consigliocomunale eletto a suffragiouniversale, di un municipio,e di un comitato di sorve-glianza designato dalleorganizzazioni di base.Queste ultime hanno rice-vuto uno statuto legale,diventando in tal modopartner delle autorità locali.Nel 1995 la legge sulladecentralizzazione ammini-strativa ha riorganizzato lagestione a livello dei novedipartimenti, con lo scopodi adattarla alla strutturacreata dalla LPP. Questodispositivo è stato comple-tato nel 2001 dalla leggesul dialogo nazionale, laquale attribuisce ai comunile risorse provenienti dalcondono dei debiti bolivia-ni. La seconda iniziativainternazionale in favore deipaesi poveri pesantementeindebitati (HIPC-II) prevedeche i fondi così liberatisiano destinati alla lottacontro la povertà.

Sea

n S

prag

ue /

Pan

os /

Str

ates

Gon

zale

z /

laif

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 15

esportatori privati. «Sotto l’impulso della CORA-CA i piccoli produttori hanno preso coscienza chepotevano uscire dalla povertà con i loro proprimezzi, avvalendosi di un’assistenza tecnica adegua-ta», constata l’economista boliviano Javier Zubieta,in uno studio dedicato a Irupana.

Competenze e risorse È uno sguardo nuovo, quello che i contadinihanno gettato al processo di decentralizzazione,lanciato nel 1994 dalla legge sulla partecipazionepopolare (LPP). Come i 310 altri comuni creati inquell’occasione, Irupana si è vista concedere nonsolo delle competenze politiche, ma anche i mezzifinanziari per gestire gli affari pubblici a livellolocale. Ai sensi di questa legge, lo Stato centraleridistribuisce ogni anno il 20 percento degli introi-ti fiscali ai comuni, in proporzione alla loro popo-lazione. Irupana, le cui casse erano pressoché vuotefino al 1993, ha per esempio ricevuto nel 1999 l’e-quivalente di 630'000 franchi svizzeri.Per beneficiare della propria quota, ogni comunedeve tuttavia allestire un piano di sviluppo che fissii suoi obiettivi per cinque anni. E la legge lo obbli-

ga a elaborare questo piano di concerto con lasocietà civile. Si tratta di una specificità della LPP,la quale ha istituzionalizzato la partecipazionepopolare nella gestione comunale.A tale scopo hariconosciuto tutte le organizzazioni tradizionalibasate su criteri territoriali, quali le comunità indi-gene o contadine. Nel caso di Irupana, le sei cen-trali agricole esistenti hanno in tal modo ottenutouno statuto legale.

Due contadini nell’esecutivo I contadini di Irupana hanno subito visto nei mec-canismi della decentralizzazione un’occasioneinsperata per consolidare la CORACA, creare unambiente economico favorevole alle loro attività, erispondere ai bisogni dell’area rurale. Si sono cosìlanciati nella campagna per le prime elezioni loca-li, tenutesi nel 1995, e hanno conquistato due seggisu cinque in seno al municipio.

Su iniziativa dei due deputati contadini, l’esecuti-vo ha poi deciso di coinvolgere le sei centrali agri-cole nell’elaborazione del suo budget annualedegli investimenti. Questa misura si è spinta perfi-no oltre quanto la LPP prevede in materia di par-tecipazione. Le comunità rurali si riunisconoormai ogni anno per stabilire le loro priorità disviluppo e quelle dell’insieme del comune.Contrariamente ad altri comuni, Irupana non hasempre privilegiato i bisogni sociali. «Non serve aniente costruire dei dispensari se non abbiamoneppure il denaro per nutrire le nostre famiglie»,spiega Sabina Benique, ex consigliera comunalecontadina. È una logica produttiva, quella cheguida le scelte delle centrali agricole. Esse danno lapriorità a progetti quali la bonifica e la costruzio-ne di strade secondarie, la formazione degli agri-coltori o la costruzione di canali d’irrigazione.Un'altra posta importante del budget è riservataalla rete dell’acqua potabile e delle canalizzazioni.La storia recente di Irupana dà ragione ai promo-tori della decentralizzazione in Bolivia, i quali ave-vano scommesso su una concertazione tra i setto-ri privato e pubblico per generare ricchezze a

livello comunale. «La partecipazione popolare e lapromozione dell’economia locale sono al centro diquesta riforma visionaria», sottolinea Giancarlo dePicciotto, incaricato di programma della DSC.«L’attuazione della decentralizzazione pone ancoraalcuni problemi legati in particolare alla rotazioneelevata del personale politico. Ma la gente sa per lomeno che ora ha i mezzi per prendere in mano ilproprio avvenire e realizzare i propri sogni». ■

(Tradotto dal francese)

Ande

Sostegno della DSC alladecentralizzazione La DSC ha sostenuto sindall’inizio l’attuazione delladecentralizzazione inBolivia tramite vari progetti.Attualmente, il suo aiuto siconcentra essenzialmentesu due assi. Un program-ma è dedicato allo svilup-po economico rurale. Essosostiene il processo diconcertazione tra le istan-ze pubbliche e il settoreprivato. Il suo scopo èquello di migliorare lacapacità istituzionale deicomuni, affinché possanopromuovere le attività delleimprese e attirare degliinvestimenti privati a livellolocale. Un altro program-ma della DSC si prefiggedi consolidare la democra-zia comunale. Esso vuoledare alle popolazioni rurali i mezzi per partecipare allosviluppo economico esociale. Concretamente, sitratta di spiegare ai cittadi-ni quali diritti e quali dovericonferisce loro la decen-tralizzazione, di rafforzarele capacità individuali deglieletti, e di promuovere lapartecipazione delledonne. A questo proposito riman-diamo al numero 2 dellacollana «Scritti sullo svilup-po» della DSC, uscito nel1999, dedicato al temadella decentralizzazione.Esso può essere ordinatogratuitamente, in versionefrancese e tedesca, pres-so: DSC, Sezione media e comunicazione, 3000 Berna,tel. 031 322 44 12 oppuree-mail: [email protected]

Pau

l Hah

n /

laif

Mar

c E

dwar

ds /

Stil

l Pic

ture

s

Rosa vive nel misero quartiere di Lurigancho, alla periferia diLima. A dodici anni lasciò con i genitori le montagne diAyacucho per vivere nella capitale, sulla costa. Era, allora, iltempo delle violenze, in cui tutti cercavano di sfuggire dai «ter-rucos», i terroristi, racconta questa donna scura e minuta, daicapelli nerissimi, che ha potuto frequentare soltanto cinque annidella scuola elementare e che parla uno spagnolo cantato, nelquale si sentono gli influssi della lingua madre indio, che è quel-la dei Quechua. Il tentativo dei guerriglieri maoisti di «Senderoluminoso» di imporre alle popolazioni rurali – in nome di unutopico disegno sociale – la propria volontà con metodi bruta-li, portò verso la fine degli anni 80 ad un esodo di massa versole città.

Un solo mondo n.3 / settembre 200216

Kad

ir va

n Lo

huiz

en /

Age

nce

Vu

«Grazie all’Ingeniero, cioè l’ex presidente Alberto Fujimori,adesso ho luce e telefono in casa», dice Rosa, una donna che, dasola, cresce tre bambini. Ma la bolletta, chi la paga? Per questaformalità, si lamenta la donna, il Cholo – l’attuale capo di stato,democraticamente eletto, Alejandro Toledo – non ha fornitoalcune indicazioni, ma solo belle parole. Il rifornimento idricoavviene per mezzo di una sgangherata autocisterna, a prezziincredibili. E se Rosa non ha moneta, il vecchio bidone dipetrolio, resta vuoto nell’orticello per un paio di giorni. Trevolte a settimana Rosa cucina con altre donne del vicinato inuna struttura comunitaria. La cosa non soltanto fa risparmiarebensì, come afferma la giovane donna, presenta anche il vantag-gio di poter ricevere gratuitamente, dal Club delle madri, gene-ri alimentari.

I peruviani sono considerati campioni mondiali nell’arte dell’arrangiarsi.Questa terra tra la costa del Pacifico ed il bassopiano amazzonico, tra deser-to ed altopiano, ha insegnato loro come comportarsi alle prese con catastro-fi naturali e quelle causate dell’uomo. Periodi di siccità fanno seguito a inon-dazioni, ceneri vulcaniche piovono su terre scosse dal terremoto, dittaturereprimono democrazie, e a volte non c’è neanche il tempo di festeggiare unqualche successo economico, che già ricomincia la crisi. Di Richard Bauer*.

Dalla cultura della sopravvivenza ad una cultura di vita

OR

IZ

ZO

NT

I

Dal bassopiano ammazzonico...

Kad

ir va

n Lo

huiz

en /

Age

nce

Vu

Perù

L’invasione alle prime luci dell’albaNonostante la guerriglia fosse stata praticamenteannientata già nel corso dei primi anni della presi-denza Fujimori, solo pochi profughi tornarono neiloro villaggi. Rosa conosce la vita di campagnasolo per sentito dire, ed anche se a Lima non stabene, la considera comunque la sua casa. Grazie alavori occasionali, riesce a mantenersi a galla. Hauna sua casetta ed una rete di relazioni sociali nelquartiere. Là dove appena una ventina di anni fa,sorgeva il più grande e temuto penitenziario delPerù, famiglie indio e meticce provenienti dalleregioni di montagna, si sono abusivamente impa-dronite di terreni incolti.Come succede in mille altre località peruviane,anche qui l’occupazione dei nuovi quartieri abita-tivi avviene alle prime luci dell’alba. La mattinaviene poi a sancire la presa di possesso. Ogni fami-glia si è realizzata, con stuoie di paglia e cartone,un’abitazione di fortuna, e le parcelle sono giàmarcate, con il gesso. Poi, da buoni patrioti, vieneinnalzata la bandiera peruviana, e si passa a dare unnome al quartiere. Durante gli anni 90 erano dimoda denominazioni con evidenti riferimenti

nipponici. Gli insediamenti si chiamavano SuaMaestà Hirohito, Sol Levante o – in onore dimoglie e figlia del presidente Fujimori – quartiereKeiko Sofia o Susana Higuchi. In questo modo, gliabitanti dei quartieri speravano di suscitare le sim-patie dei potenti riuscendo così, grazie a scuole,canalizzazioni e sovvenzioni per la costruzionedelle case, ad uscire prima dalla miseria.

Il primo presidente di etnia indio Dei 26 milioni di abitanti del Perù, ben 7 risiedo-no a Lima. Il modo in cui riescono a sopravvivererappresenta un mistero, anche per esperti del setto-re. Secondo le statistiche, nella capitale, oltre unquarto di tutti i bambini e ragazzi lavorano percontribuire al reddito famigliare. La ripartizione,stratificata nelle quattro classi di potere d’acquistoA, B, C e D, dai benestanti ai meno abbienti, con-sueta a molte agenzie pubblicitarie, ha subìto inPerù, così come in altri paesi dell’America Latina,un ampliamento, con l’aggiunta della classe E,quella delle persone completamente prive dimezzi. A Lima essi costituiscono, oramai, il dodicipercento della popolazione.

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 17

...al altopiano andino

Nelle città, i disoccupati sono relativamente pochi.Ciò che dilaga è la sotto occupazione ed il lavorooccasionale e precario, fenomeni che riguardano almomento oltre il 40 percento della popolazioneattiva. Nell’ambito di un recente sondaggio ben trequarti dei ventenni peruviani hanno dichiarato diessere pronti ad emigrare subito, possibilmentenegli Stati Uniti.In termini economici il Perù è considerato il para-diso del sommerso, del mercato nero e della pira-teria sui diritti d’autore; in altre parole, un cam-pionario delle più fantasiose forme di economiainformale, sul genere di quelle del Terzo mondo edei paesi in via di transizione dell’Est europeo.Sulle bancarelle dei mercati ci sono più CD copia-ti che autentici; il 60 percento del software è diorigine illegale ed almeno un quinto di tutti i benidi consumo importati sono entrati di contrabban-do. Lo Stato e le sue istituzioni sono deboli e riu-scire in qualche modo a farla franca rappresentauna specie di sport nazionale. Dopo i dieci anni diautocratico dominio di Fujimori, e dopo un brevegoverno di passaggio, il Perù ha ora da un anno unnuovo governo democratico. Con AlejandroToledo i peruviani hanno eletto al vertice delloStato il primo presidente di etnia indio. Oltre allariattivazione economica, sono soprattutto il conso-lidamento della democrazia ed il rispetto delle isti-tuzioni a richiedere al Perù il massimo impegnosociale.

Ostaggi di un’economia degradataLo scrittore peruviano Alonso Cueto parla di unavera e propria «cultura della sopravvivenza» perdescrivere la situazione del suo paese. Ostaggi diuna desolante situazione economica, ai peruviani

Un solo mondo n.3 / settembre 200218

L’oggetto della vitaquotidianaEl CajónIn Perù non c’è festasenza il Cajón, una sempli-ce cassa di legno squa-drata usata come stru-mento ritmico. Il suonatoreè seduto a cavalcioni sullacassa ed inizia con lepunta delle dita e con lepalme delle mani in centomodi diversi, a battere illegno, ad accarezzarlo, asolleticarlo. Il Cajón fuinventato dagli schiavi neriportati in Perù dagli spa-gnoli. Quando i signoricoloniali proibirono i tam-buri, furono i cassetti e lecasse di legno utilizzateper il trasporto marittimoad essere usate quali stru-menti di percussione. NelXIX secolo si diffuse l’usodel Cajón così come oggilo conosciamo. Le suemisure ideali sono di50x30x25 centimetri, conun foro rotondo nella parteposteriore. Alcuni suonato-ri tendono un paio dicorde nello spazio internodella cassa, per ottenereun suono ancora più sapi-do. Nel 2001 il Cajón èstato dichiarato patrimonioculturale del paese.

non rimane che inventare, per ogni contingenzaesistenziale, soluzioni ed intuizioni che siano pra-ticabili. Nelle officine si adattano con grandeinventiva vecchi pezzi di ricambio a nuove vettu-re, padri di famiglia si costruiscono i propri mobi-li, venditori di verdure e raccoglitori di vecchivetri realizzano sui loro tricicli impianti di ampli-ficazione dotati di altoparlanti che funzionano conbatterie di automobili. Cueto indica le zone d’om-bra di questa «cultura»: considerato che si tratta diuna vera e propria lotta per la sopravvivenza, sitende spesso a dimenticare ogni regola. Gli autistidei piccoli autobus, disperatamente alla ricercaanche di un solo cliente fermo sul margine dellastrada, infrangono continuamente il codice strada-le; documenti e timbri vengono falsificati ed i fun-zionari pubblici sono corrotti. «La cultura dellasopravvivenza si trasforma in una cultura della cor-ruzione e produce un sistema di convivenza nelquale noi tutti siamo pronti ad accettare comenormali tutte le possibili irregolarità», affermaCueto. Solo in questo modo è spiegabile lo spu-dorato sistema di corruzione vigente ai tempi diVladimiro Montesinos, alter ego di Fujimori euomo dei servizi segreti. Nessuno, aggiungeCueto, osava avanzare delle riserve per il semplicefatto che tali metodi erano ampiamente diffusinella società. La speranza dello scrittore è che ilricordo dei tremendi sistemi di Montesinos aiuti ilPerù a trasformare la sua «cultura della sopravvi-venza» in una cultura di vita. ■

* Richard Bauer è corrispondente del «Neue ZürcherZeitung» dall’America Latina

(Tradotto dal tedesco)

El c

omer

cio

Ger

not

Hub

er /

laif

Kur

t W

yss

/ D

EZA

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 19

(bf) La cooperazione svizzera allo sviluppo è sta-bilmente attiva in Perù a partire dai primi anniSessanta. E se a quel tempo le relazioni bilateralierano incentrate su progetti di tipo agricolo e zoo-tecnico, negli ultimi anni gli interventi si sonomaggiormente orientati verso le tematiche dellaformazione e del mercato, come ad esempio la for-mazione professionale, la buona gestione degliaffari pubblici o la commercializzazione di prodot-ti andini, così come la fornitura, agli strati piùpoveri della popolazione, di servizi di ordine socia-le e produttivo tesi a promuovere lo sviluppo loca-le. Il programma della Cooperazione svizzera allosviluppo in Perù contempla sia le attività dellaDSC sia quelle del seco. L’Ufficio di coordina-mento di Lima gestisce annualmente circa 14milioni di franchi.

Le tematiche centrali del programma:Buona gestione degli affari pubblici: L’estremocentralismo statale rappresenta uno dei maggioriostacoli allo sviluppo del Perù. Per questo motivo,svariati progetti promuovono la decentralizzazionedelle strutture e i principi dello stato di diritto.

Occupazione e reddito: in questo ambito ci siimbatte sia in iniziative del seco che della DSC.Provvedimenti di politica commerciale ed econo-mica riguardanti l’intera catena produttiva (produ-zione – lavorazione - commercializzazione -esportazione) promuovono uno sviluppo econo-mico sostenibile ed integrante. Allo stesso tempo,esse mantengono e creano nuovi posti di lavoro.

Servizi per la promozione dello sviluppolocale: nelle discoste regioni montane delle Andeil carente accesso ai servizi di base rappresenta unpesante ostacolo allo sviluppo del paese. A livellosociale, il sostegno volto al consolidamento dellecapacità locali punta a garantire un approvvigio-namento di acqua potabile sostenibile. Nella pro-spettiva di realizzare un sistema globale e persi-stente di sfruttamento delle risorse naturali, sonoaltresì promosse nuove forme di collaborazione trail settore pubblico e quello privato, così come tralo stato centrale e le singole realtà comunali.

Cifre e fattiNomeRepubblica del Perù

CapitaleLima7 milioni di abitanti

Abitanti27,5 milioni, dei quali il 73percento nelle città

EtnieAmerindi 45 percento Meticci (amerindi e bianchi)37 percento Bianchi 15 percentoNeri, giapponesi, cinesi ealtri 3 percento

LingueSpagnolo (lingua ufficiale)Quechua (lingua ufficiale) Aymara

Superficie1'285’220 km2

ValutaNuevo Sol

TelecomunicazioniAllacciamenti telefonici direte fissa: 1'676’900Telefoni mobili: 1'632’150Economie domestichedotate di televisore: 91 percentoEconomie domestichedotate di computer: 7 percentoAccessi Internet: 0,7 per ogni 1000 abitanti

Indicatori sociali di sviluppoCirca la metà dei peruvianivive al di sotto del limite di povertà Indice dello sviluppoumano: 73° posto su 162 paesi

OccupazioneTasso di disoccupazione:7,4%Sotto occupati: 42,9%

I maggiori prodottid’esportazione Oro, rame, farina di pesce,tessili, prodotti agricoli.

Il Perù e la Svizzera Rafforzare le popolazioni emarginate

Perù

Cenni storiciLungo la costa e nell’altopiano andino, nel corso deimillenni si sono sviluppate civiltà molto evolute.Tra glianni 100 e 800 dopo Cristo fiorì, nelle oasi di valle delPerù settentrionale, la civiltà Mochica, mentre nei terri-tori meridionali erano i principi Nasca a rendere fertili,grazie ad ingegnosi sistemi d’irrigazione, le aride regio-ni desertiche.Tra il 500 ed il 1100, sorgevano due vastiimperi, il primo con centro a Wari, presso Ayacucho,l’altro a Tiwanaku, nel territorio che è oggi nel cuoredell’altipiano boliviano.A partire da Cuzco ebbe inizio,nel 1438, l’ascesa del popolo inca, passato da piccoloprincipato di montagna ad un possente impero, il cuidominio, chiamato Tahuantinsuyu e geograficamentesuddiviso secondo i quattro punti cardinali, si estendevaper oltre 5 mila chilometri, dalla Colombia meridionalefino a Santiago del Cile.

1532 Arrivo dei Conquistadores spagnoli comandati da Francisco Pizarro. Sulle mura degli antichi palazzi inca gli spagnoli costruiscono le loro residenze.

1542 Istituzione del viceregno spagnolo con capitale Lima.

1780-81 Ribellione degli indio, sotto il comando diTúpac Amaru, contro il dominio coloniale.

1821 Dichiarazione d’indipendenza. Nel 1824 seguirà la capitolazione dell’ultimo viceré.Il Perù diventa una repubblica.

1879-1884 Guerra del Pacifico con il Cile. L’esercito cileno avanza fino a Lima.

1968-1975 Governo militare rivoluzionario, sotto il

generale Juan Velasco Alvarado. Importanti riforme economiche, sociali e fondiarie.

1979 Costituzione democratica.

1980 Il movimento guerrigliero maoista «Sendero luminoso» annuncia la rivolta armata.

1985 Alán García Pérez diventa presidente.Negli anni del suo mandato si riscontrano crisi economica, iperinflazione e incre-mento dell’attività della guerriglia.

1990 Alberto Fujimori, figlio di un immigrato giapponese, è eletto a sorpresa presidente del Perù. Con un «auto-golpe», nel 1992 disattiva parlamento e tribunali.

1992 Nel suo nascondiglio di Lima, viene arre-stato il leader di «Sendero luminoso» Abimael Guzmán, alias Presidente Gonzalo. Declina l’attività di guerriglia.

1996 Presa di ostaggi da parte dei ribelli del MRTA nella residenza dell’ambasciatore giapponese.

2000 Fujimori viene rieletto grazie a votazioni truccate. Uno scandalo, riguardante episodidi corruzione, costringe il presidente a fuggire in Giappone. Il governo di transi-zione è presieduto da Valentín Paniagua.

2001 L’economista di origine indio Alejandro Toledo si impone nella seconda tornata elettorale.

Lima

Perù

Colombia

Ecuador

Oceanopacifico

Brasile

Bolivia

Cile

Un solo mondo n.3 / settembre 200220

Gon

zale

z /

laif

Luz Villanueva Tenavive a San Juan deLurigancho, il distrettopiù popoloso dellacapitale del Perù,Lima. La giovanediciassettenne è laseconda di tre figli efrequenta attualmenteun corso di cucitricenella struttura di for-mazione professionalestatale Centro Educa-tivo OcupacionalPromae Rimac,sovvenzionato dallaDSC nell’ambito di unprogetto di formazioneprofessionale. Conquesto genere di for-mazione, Luz Villa-nueva Tena perseguel’intento di arrivare ungiorno a finanziare ilsuo sogno di diveniremaestra d’asilo.

Vivere in Perù

Una voce dal...Perù

Il Perù è verosimilmente uno dei paesi maggiormente emarginati d’America e del mondo.I seguenti versi ci introducono ad una realtà molto peruviana e, chissà, anche mondiale.

Non è molto difficile vivere in Perù.Ci sono luoghi di grande bellezza da visitare in compagnia e luoghi carini che portano gioia alla mia anima.I suoi cibi così gustosi, stuzzicanti e saporiti,costumi e tradizioni, eredità di tempi andati.

Non è molto difficile vivere in Perù.Nonostante i suoi errori e i dolori,e la molta corruzione che a volte ci condanna.Nonostante il malgoverno, eletto per scelte sbagliate,creda sia tutto facile, ma noi ci ha già abbandonati.

Non è molto difficile vivere in Perù.Nonostante ci sia disoccupazione, mendicanti e disonesti,sappiamo sopravvivere a questo mondo disumano.Nonostante ingiustizia, terrorismo ed emarginati,viviamo aspettando il trionfo del peruviano.

Non è molto difficile vivere in Perù.Perché ci sono cose buone, perché sappiamo immaginarle,perché c’è bella gente, molte volte lusingata.Perché nonostante la sfortuna e nonostante la crudezza,il suo popolo è ottimista e non pensa alla sconfitta.

Non è molto difficile vivere in Perù.Perché si avvicina il cambiamento e ci attende una nuova rotta,è l’educazione che dobbiamo migliorare per il nostro futuro.Perché il mondo ci vedrà così come siamo e come saremo,un paese grande, nonostante la sua povertà.

Non è difficile vivere in Perù.Io sono una sua cittadina, molto onesta e molto peruviana,ed io lotterò per la grandezza di un paese americano.La raggiungeremo tutti uniti, non con le armi, bensì con le mani.

Occorre però dire che il trionfo non dovrà essere solo peruviano,bensì del mondo intero, di Dio e di ogni essere umano.

(Tradotto dallo spagnolo)

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 21

Private-Public Partnership non è uno slogan dimoda, bensì l’arte di trovare soluzioni in comuneper la realizzazione di progetti di sviluppo. L’idea si fonda sulla convinzione che imprese private e strutture statali mettano a disposizione le loroconoscenze, le capacità ed i mezzi in manieracomplementare per un compito comune.Tutto ciòha senso se l’effetto ottenuto risulta migliore diquello che si avrebbe se uno solo dei partner siimpegnasse. È chiaro che un’impresa deve registra-re un profitto, per poter sopravvivere. Altrettantochiaro è che la cooperazione allo sviluppo deverealizzare determinati effetti, altrimenti perde cre-dibilità e finisce per essere considerata fallimenta-re.

È dunque giusto orientare differenti forze su uncomune obiettivo.Alle imprese sono richieste pre-stazioni atte a realizzare incarichi nell’ambito dellacooperazione allo sviluppo, per le quali -ivi com-preso per i rischi imprenditoriali- riceveranno unadeguato compenso. Alle imprese è però ancheconsentito di investire una parte del loro profittoin progetti sociali senza scopo di lucro. Le aziendepossono inoltre consentire l’accesso alle loro speci-fiche conoscenze e rendere partecipi del loro «dohow» le strutture statali, o magari impegnarsi in uncompito comune. Unica doverosa premessa è chel’obiettivo perseguito sia un contributo allo svi-luppo e non una attività fine a sé stessa.

Gli interessi di parte dovranno dunque essere sub-ordinati ai comuni obiettivi dello sviluppo. Negliultimi anni si è constatato che un numero sempremaggiore di imprese è pronto ad aderire a questogenere di partenariati. La cosa è positiva e testimo-nia dell’assunzione di responsabilità e consape-

volezza. Ma può anche essere l’espressione di unaaccresciuta comprensione delle problematichedello sviluppo e della sensatezza di un’attività diquesto tipo.

Ancora meglio è quando l’apertura nei riguardidei temi dello sviluppo diviene parte integrantedella cultura imprenditoriale ed anche il personaleconsidera questo impegno come un valore ag-giunto atto all’identificazione con la loro impresa.Anche quelli che sono considerati i protagonistitradizionali della cooperazione alla sviluppo posso-no apprendere molto dalle imprese. Se per mezzodi questo tipo di collaborazione si ottiene un mi-gliore effetto, è la causa a giovarsene. In tal caso, siha a che fare con una «triple-win-situation», che èquella a cui tendiamo quale premessa per il suc-cesso. E di successo, noi ed i nostri paesi partnerabbiamo bisogno, per risolvere in maniera sosteni-bile i grandi problemi che si presentano. ■

Walter FustDirettore della DSC

(Tradotto dal tedesco)

Economia e Stato:

eliminare antichi timori, a vantaggio di tutti

Opinione DSC

DS

C

Iris

Kre

bs

Un solo mondo n.3 / settembre 200222

La catena vulcanica delVirungaLa catena vulcanica delVirunga, situata sul confinetra Ruanda e Congo,segue a nord del lago Kivuuna diramazione del siste-ma di rift dell’Africa orien-tale. La catena del Virungaè composta da otto vulca-ni, di cui il Nyiragongo e ilNyiamulagira sono tuttoraattivi. Nel 1977 vi era giàstata un’eruzione delNyiragongo. I morti allorafurono 500.

(mr) Dal punto di vista paesaggistico la posizionedella cittadina congolese di Goma è idilliaca: cinta,da un lato, dalle calme e cristalline acque del lagodi Kivu, uno dei più bei laghi d’Africa, è sormon-tata, dall’altro lato, dai grevi massicci della catenavulcanica del Virunga che, ricca di fauna e di flora,si innalza lungo la frontiera tra il Ruanda ed ilCongo fino a raggiungere i 4'500 metri d’altitudi-ne. Una posizione idilliaca che tuttavia lo scorso17 gennaio si è trasformata in trappola mortale.L’eruzione del vulcano Nyiragongo ha costrettoalla fuga centinaia di migliaia di persone, ucciden-done oltre 100.Duecento milioni di metri cubi di lava si sonoriversati a valle. Una valanga incandescente, alta

due metri per cinquanta, ha solcato una scia didevastazione, distruggendo per tre quarti il centrodella città di Goma, situata a 15 chilometri didistanza. Ben metà dei 500'000 abitanti si è messaprovvisoriamente in salvo oltre frontiera inRuanda. Mentre 180'000 sfollati sono fuggiti indirezione di Sake, una regione a ovest di Goma, daanni insicura e al centro di conflitti.

Già duramente segnati dalla guerra «La situazione in loco era assolutamente caotica.Pochi giorni dopo l’eruzione, mentre la terra tre-mava ancora, gran parte degli sfollati era già ritor-nata nella città devastata per paura di saccheggi eandava rifornita di generi alimentari e di cure

L’eruzione di un vulcano per taluni non rappresenta che unospettacolo della natura, per altri invece è sinonimo di morte edevastazione. Soprattutto nei paesi più poveri del mondo, dovenon si punta alla prevenzione, per la gente già stremata dallafame e dagli stenti, le eruzioni hanno conseguenze fatali.

Vulcani imprevedibili?

Jan

Van

de V

el /

laif

Goma, 2002

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 23

rebbe ancora troppo poco sulla prevenzione. Nonessendo la prevenzione un avvenimento spettaco-lare, risulta molto difficile trovare i fondi necessari.Per una buona prevenzione basterebbero tuttaviaanche mezzi semplici, senza dover ricorre a osser-vatori molto costosi.Prima dell’eruzione tutt’intorno al Nyiragongo vierano diverse stazioni di rilevamento, ma le appa-recchiature, lì dove non erano state rubate, eranomal funzionanti perché non accudite, del resto ilpersonale addetto non veniva pagato da mesi.«Affinché il lavoro di prevenzione sia sostenibiledebbono prendere in mano la situazione vulcano-

logi locali che conoscano la storia del vulcano e nesappiano interpretare i segni. E si capisce da sé chequesta gente va pagata», afferma Wagner.

Semplice e comprensibile a tuttiPer il momento non si sa ancora quando ci sarà laprossima eruzione del Nyiragongo, ma le continuescosse sismiche non promettono niente di buono.Il lavoro di prevenzione e di coordinamento tra idiversi vulcanologi, le organizzazioni umanitarie ela gente del posto è dunque di primaria importan-za. Le informazioni per la popolazioni debbonoessere molto semplici e comprensibili a tutti. Almomento si sta valutando una sistema d’allarmecon delle semplici bandiere. Una bandiera verde,gialla, arancio o rossa posta sul monte Gomadovrebbe indicare alla popolazione se è al sicuro ose deve mettersi in marcia. Secondo gli espertisarebbe in oltre molto importante evitare che sicreino delle false voci che potrebbero indurre lapopolazione a pericolose reazioni di panico. ■

(Tradotto dal tedesco)

Misure adottate dallaDSC a Goma• Un esperto svizzero èstato messo a disposizio-ne della squadra del-l’UNDAC (United NationsDisaster Assessment andCoordination).• La Sezione Africa haaperto una linea di creditoper le prime necessità.• Il coordinatore della DSCin Uganda si è recato aGoma, da dove il 19 gen-naio ha presentato delleproposte per il finanzia-mento di misure d’urgen-za.• Invio d’un esperto dilogistica.La DSC ha concesso deicontributi finanziari a pro-grammi d’emergenza inGoma per un ammontarecomplessivo di 1.2 milionidi franchi e partecipa adiversi programmi di rico-struzione e di prevenzione.

DS

C

DS

C

mediche», spiega il geologo svizzero francese AlainPasche del gruppo preparazione/prevenzione delCorpo svizzero di aiuto umanitario (CSA). LaDSC, subito dopo l’eruzione del Nyiragongo,aveva messo l’esperto a disposizione della squadradell’UNDAC (United Nations Disaster Assess-ment and Coordination).A Goma Alain Pasche si è occupato della valuta-zione dei rischi e del coordinamento dei flussid’informazione tra i vulcanologi e le moltepliciorganizzazioni umanitarie presenti in loco. «Lasituazione era molto complessa, in quanto l’eru-zione del Nyiragongo rappresentava solo un ulte-riore male per la gente di questa regione già dura-mente provata», dice Pasche. Infatti, la storia recen-te di Goma non è che una cronaca dell’orrore incui catastrofi naturali ed eventi bellici si susseguo-no all’infinito. Secondo fonti ufficiose, la guerra inCongo dal 1998 ha causato in modo diretto oindiretto oltre 2.5 milioni di morti, nonché 2.3milioni di sfollati e 370'000 rifugiati. Molti sfollatiavevano trovato riparo giusto nella regione diGoma.

Puntare maggiormente su vulcanologilocaliSorge spontanea una domanda: Ma l’eruzione delNyiragongo non era prevedibile? I vulcanologioggi dovrebbero essere in grado di prevedere, gra-zie a rilevamenti sismici, le eruzioni e a ricostruireil flusso della lava con delle simulazioni al compu-ter in modo da poter fornire precisi piani per l’e-vacuazione. Il disastro di Goma era dunque evita-bile? «In via teorica sì», risponde al nostro quesitoil Professore Jean-Jacques Wagner, vulcanologodell’Università di Ginevra e responsabile del grup-po preparazione/prevenzione del CSA. «Ma lagente che non ha niente da perdere, non è interes-sata alla prevenzione», aggiunge Wagner.Secondo l’esperto, nei paesi poveri oggi si punte-

Un solo mondo n.3 / settembre 200224

(mr) Quando le donne del distretto Rajshahi nelnord-ovest del Bangladesh si riuniscono, è per par-lare di soldi. Insieme mettono da parte dei rispar-mi, e a turno, ognuna può prendere in prestito deipiccoli crediti. Il funzionamento di queste istitu-zioni finanziarie informali è semplice. Le «ban-chiere» non hanno bisogno né di conoscenze spe-cifiche, né di saper scrivere, la contabilità si limitaall’indispensabile. Questa sua semplicità ha contri-buito a diffondere le «Rotating Savings and CreditAssociations» (ROSCA) in molti paesi in via disviluppo. Per i ceti sociali più poveri esse rappre-sentano spesso l’unico accesso a piccoli creditisenza cadere nelle trappole degli usurai.

Strumento importante nella lotta controla povertàNel nord-ovest del Bangladesh oltre 44'000 fami-glie fanno già uso di questo genere di istituzioni.Ashrai, l’ONG locale che promuove le ROSCA, sioccupa soprattutto di minoranze etniche. I«Tribals», gli indigeni, fanno parte dei ceti socialipiù poveri. La loro situazione dopo l’indipendenzadalla Gran Bretagna nel 1947 è drasticamente peg-

giorata, costringendo molti a emigrare in India.Le famiglie che partecipano al progetto si unisco-no in gruppi d’auto aiuto e 20 donne formanoinsieme una «banca». Le donne decidono auto-nomamente come operare, fissano l’ammontaredei prestiti ed eventuali tassi d’interesse.«La microfinanza è un importante strumento nellalotta contro la povertà. Le istituzioni finanziarieinformali in Bangladesh rafforzano le donne piùpovere», dice Véronique Hulmann della Sezionepoliticha di sviluppo della DSC. Le donne, ingenere, usano i crediti per superare momenti diffi-cili: per riparare un tetto, per mandare un bambi-no a scuola oppure per finanziare i costi di unmatrimonio. ■

(Tradotto dal tedesco)

Grazie a istituzioni finanziarie informali le donne bengalesi possono accedere a piccoli crediti a condizioni vantaggiose.Ashrai, un’organizzazione non governativa sostenuta dallaDSC, gode della stima di oltre 44'000 famiglie.

«Tribals»: poveri e senzaterraLa povertà in Bangladeshè molto diffusa e colpisceuna persona su due. I«Tribals» - membri diminoranze etniche – nesono particolarmente col-piti, in quanto i bengalesinegano loro elementaridiritti. Non possedendodella terra e non essendospesso in grado di leggeree scrivere, trovano solo dalavorare come bracciantiagricoli, percependo salaristagionali minimi.

Perché la DSC promuo-ve la sviluppo del setto-re finanziario e la micro-finanza?• Sistemi finanziari stabiliche sostengono un vastosviluppo economico esociale sono presuppostiindispensabili per la cresci-ta economica e lo svilup-po.

• I sistemi di microfinanzasi sono rilevati un’impor-tante strategia nella lottaalla povertà. Il loro poten-ziale è enorme, (oltre 1.8miliardi di clienti).

• Un sistema di risparmioe di credito sano rafforzal’autosufficienza di donne,famiglie, istituzioni finan-ziarie locali, delle regioni edi intere nazioni.

• Con un approccio orien-tato verso gruppi bendeterminati, la DSC pro-muove l’accesso a servizifinanziari per le piccole e lemedie imprese.

• Il sistema di risparmio edi credito opera con meteprecise e metodi profes-sionali, puntando non aregali bensì all'aiuto all'au-tosufficienza.

Venti donne per una banca

Toni

Lin

der

/ D

EZA

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 25

Piccole fonderie ecologiche (bf) Congratulazioni dalle altesfere indiane per un progettoambientale appoggiato dallaDSC: a fine aprile ManabendraMukherjee, ministro ovest-ben-galese per l’ambiente e le tecno-logie dell’informazione, e il pre-sidente della Camera di com-mercio indiana A.V. Lodhahanno conferito al BharatEngineerings Works – un im-pianto dimostrativo per piccolefonderie nella città indiana diHaora – il premio ambientale«Environmental ExcellenceAward 2000-2001». La strutturadimostrativa, perfettamente fun-zionante dal 1998, è finanziatadalla DSC attraverso l’organizza-zione non governativa indianaTERI (Tara Energy ResearchInstitute), che gestisce l’impiantoe che influenza molto positiva-mente la piccola industria da

fonderia indiana grazie a diffe-renti innovazioni tecniche negliambiti dell’efficienza energeticae della compatibilità ambientale.In India, le piccole fonderiedanno lavoro a circa un milionedi persone, che producono inprimo luogo manufatti semifinitidestinati a motori elettrici, all’in-dustria automobilistica, ad im-pianti di irrigazione, a locomotive,ecc. In passato queste fonderieavevano spesso problemi con lalegge a causa del forte inquina-mento provocato.

Donna e carriera in seno allaDSC (bf) Rispetto agli uomini, è piùdifficile trovare donne desiderosedi assumere posizioni dirigenzia-li? E a quali condizioni? Per ri-spondere a queste domande,sotto la direzione di Elisabethvon Capeller, incaricata per la

promozione delle pari opportu-nità, la rete di donne della DSCha effettuato lo scorso anno unsondaggio presso 75 donne deimedi e alti quadri della DSC. Irisultati sono tanto sorprendentiquanto importanti.Ad esempio,le intervistate – con o senza figli– contribuiscono in media perquasi il 70 percento al redditofamiliare. «Il che prova», affermaElisabeth von Capeller, «che ladonna non esercita la professionecome attività occasionale benac-cetta dalla famiglia, bensì assu-mendo gran parte della respon-sabilità del reddito». Il sondaggioha mostrato molto chiaramenteche le donne sono disposte adassumere responsabilità dirigen-ziali, ma solo alla condizione dipoterle conciliare con famiglia evita privata (ad esempio attraver-so orari di lavoro flessibili).Altrodato interessante, contrariamente

agli uomini le carriere delledonne non sono lineari, ma pre-sentano un iter professionalemolto più variato. Le donnehanno criticato in primo luogola «cultura ancora molto maschi-le» in seno alla DSC; ciò si riper-cuote anche sulle loro aspettati-ve: le intervistate auspicherebbe-ro un sostegno concreto da partedei superiori, job-sharing allivello dirigenziale, soluzionimigliori per le persone cheaccompagnano le attività in loco.Nei prossimi mesi diverse divi-sioni della DSC discuterannoconcretamente i risultati del sondaggio e, in particolare, i fattori che ostacolano la carriera.

Dietro le quinte della DSC

bf) La sigla internazionale «APD» (Aide publique au développe-ment) o «ODA» (Official Development Assistance) sta per l’aiu-to pubblico allo sviluppo di un paese. Con essa viene designatol’importo che uno Stato accorda annualmente per la sua coope-razione allo sviluppo. Nel 2001, l’aiuto pubblico allo sviluppodella Svizzera è stato di 1’531 milioni di franchi. Questa cifracomprende gli importi donati complessivamente dalla Confe-derazione, dai cantoni e dai comuni a favore dei paesi in via disviluppo riportati nella lista dell’Organizzazione per la coopera-zione e lo sviluppo economico (OCSE). La maggior parte delcapitale pubblico svizzero destinato allo sviluppo è utilizzatodalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) per lacooperazione allo sviluppo, l’aiuto umanitario e la cooperazionecon i paesi dell’Europa dell’Est e della CSI, e dal Segretariato diStato dell’economia (seco) per misure di politica economica ecommerciale.A livello internazionale l’APD viene misurato in percentuale delprodotto nazionale lordo di un paese. Con lo 0,34 percento(cifre 2001) del PNL la Svizzera si situa appena al di sopra dellamedia dell’Unione europea (0,33 percento). Il Consiglio federa-le intende giungere a quota 0,4 percento entro il 2010. A metàmarzo di quest’anno, i 15 Stati membri dell’Ue sono giunti aBarcellona ad un accordo secondo cui dal 2006 ogni membrodell’Ue dovrà mettere a disposizione dei paesi più poveri delterzo mondo almeno lo 0,39 percento del proprio prodotto

Pet

er S

täge

r

nazionale lordo.Negli anni ’90 i maggiori paesi industrializzati – riunitinell’OCSE – hanno ridotto i loro contributi ai paesi in via disviluppo. Nel 1988 l’afflusso netto era dello 0,33 percento delPNL; nel 2001 questa quota è stata appena dello 0,22 percento.Lo stesso anno, rispetto all’anno precedente l’aiuto allo svilup-po si è diminuito nominalmente del 4,5 e realmente del 4 per-cento, portandosi a 51,3 miliardi di dollari.

Che cos’è… l’aiuto pubblico allo sviluppo?

In nessun luogo il commercio equo riscontra un successoparagonabile a quello che ha in Svizzera – grazie a 25 annid’importante attività di persuasione di migliaia di volontari.Oggi i prodotti «fair trade» si trovano facilmente sugli scaffa-li di negozi specializzati e di grandi magazzini. Di StefanHartmann*.

Un solo mondo n.3 / settembre 200226

Gertrud Meyer riesce a stento a contenere il suoorgoglio. Nello «showroom» della ditta claro fairtrade SA di Orpund l’amministratrice mostra alvisitatore i nuovi prodotti dell’assortimento food:barrette di cioccolato bio con cacao di una coope-rativa boliviana, nettare di mango di una coopera-tiva del Burkina Faso e vecchie qualità di riso pro-dotte da gruppi di piccoli contadini in Tailandia enel Laos. «Fra i 1200 prodotti claro, il riso è il più

richiesto», spiega Gertrud Meyer. Grazie ancheall’imballaggio: due giovani designer hanno porta-to una ventata di freschezza nell’immagine deiprodotti claro.Ciò rispecchia il nuovo stile vigente nella centraleclaro di Orpund dal rilancio di circa tre anni fa.Dopo avere sfiorato il fallimento nel 1999, oggil’atmosfera è di prudente ottimismo. I problemi

Acquistare per unmondo più giusto

Rue

di L

oose

r

dovuti a grossolani errori di gestione erano sortiall’indomani della conversione nel 1997 da coope-rativa d’importazione OS3 a società per azioniclaro fair trade SA. Con il sostegno della DSC fupossibile ricorrere ad un’azienda di consulenza estilare un piano commerciale. L’organico fu ridot-to di un terzo; oggi 30 persone si suddividono unaventina di posti a tempo pieno.«È stato un taglio brutale», ricorda Gertrud Meyer.La maggior parte dell’attuale team claro è rinno-vata e motivata. Anche in seno al consiglio d’am-ministrazione, con Annemarie Holenstein o MayaDoetzkies sono state coinvolte vere esperte di que-stioni del Sud. 1200 azioniste e azionisti – privati,organizzazioni umanitarie, parrocchie, aziende epunti vendita claro – hanno iniettato nuovo capi-tale per 2,82 milioni di franchi. Per l’anno conta-bile 2001/2002 si spera di uscire finalmente dallecifre rosse. Lo scorso anno claro ha fatto registrareuna cifra d’affari di 13 milioni di franchi. Quattrofranchi su cinque sono stati incassati grazie ai pro-dotti alimentari, il resto grazie a manufatti.

All’inizio c’era la borsa di iutaIl commercio equo ha sofferto a lungo della suaimmagine antiquata. L’idea era nata negli anniSettanta, quando ci si rese conto delle disparità delcommercio mondiale.Attivisti di chiese e organiz-zazioni umanitarie volevano dare finalmenteun'opportunità ai piccoli contadini sfavoriti delSud. Il via fu dato dal caffè in polvere Ujamaa pro-veniente dalla Tanzania e dalle borse di iuta benga-lesi; furono aperte le prime botteghe del terzomondo. Nel 1977, diverse organizzazioni umanita-rie crearono la società d'importazione OS3.All'inizio i prodotti venivano venduti da volontariin piccoli locali fuori mano. Gli acquirenti eranoun pugno di irriducibili. Fu svolto un importantelavoro d'informazione, ad esempio dalle indimen-ticabili «donne delle banane» attorno ad UrsulaBrunner. Con carrettini zeppi di banane percorre-vano le strade di Frauenfeld illustrando le condi-

Una perdita pari a 60miliardi di dollari In Europa il commercioequo non sarebbe possibi-le senza l'impegno deglioltre 100’000 volontari – inprimo luogo donne! Dellavendita di prodotti fairtrade beneficiano nel Sudall'incirca 800’000 fami-glie, ovvero circa cinquemilioni di persone. LaConferenza delle NazioniUnite sul Commercio e loSviluppo (UNCTAD) valutain 60 miliardi di dollari laperdita dei paesi in via disviluppo causata dallemisure discriminatorie deipaesi industrializzati appli-cate all'importazione dalSud di prodotti pregiati –quasi tanto quanto donatodai paesi dell'OCSE perl'aiuto allo sviluppo.

FO

RU

M

zioni miserabili in cui lavoravano i raccoglitoridell'America centrale. Così si spianarono lenta-mente le strade alle attuali banane Havelaar cheriscontrano un enorme successo. Sul mercato sviz-zero, la loro quota ha ormai superato il 20 percen-to; il succo d'arancia e il caffè si attestano attornoal 5, i fiori d'importazione all'8 percento. La fon-dazione Max Havelaar è nata nel 1992 grazie al-l'appoggio di organizzazioni umanitarie e dell'al-lora Ufficio federale dell'economia estera, oggiseco. Nove gruppi di prodotti con il marchio diqualità Max Havelaar sono attualmente commer-cializzati da Coop, Migros e Volg, dove si raggiun-gono più consumatrici e consumatori che neicirca 450 negozi bio, botteghe del mondo o com-merci di quartiere.

Nuova cerchia di acquirentiPer i pionieri del commercio equo, il fatto che ledure attività di promozione siano convogliate nellafondazione Max Havelaar è una pillola piuttostoamara. Infatti, oggi per molti consumatori il com-mercio equo è sinonimo di Havelaar. In questo, ifautori del commercio equo non sono privi dicolpe: per anni fra le loro fila è imperversato un

litigio ideologico circa la commercializzazione supiù larga scala.Il successo degli articoli fair trade si fonda non solosulla solidarietà dei consumatori. Negli anninovanta l'elevata percentuale di prodotti biologiciclaro ha allargato il commercio. «Grazie alla mag-giore sensibilità per le cose sane delle giovanigenerazioni, i nostri prodotti sono sempre piùapprezzati», afferma convinta Gertrud Meyer.Ogni svizzero spende mediamente dodici franchiannui per prodotti (biologici) fair trade – la cifrapiù elevata d'Europa! Per claro i rapporti con la «sorella maggiore» MaxHavelaar sono una questione di emancipazione.Grazie al boom Havelaar claro può raccogliere«tante utili briciole», afferma Gertrud Meyer sorri-dendo compiaciuta. Inoltre, le due aziende coope-rano su diversi fronti. Max Havelaar verifica adesempio sul posto i fornitori claro. «I nostri obiet-

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 27

Did

ier

Der

iaz

/ M

ax H

avel

aar-

Foun

datio

n

Guy

Per

reno

ud (3

)

tivi sono identici», afferma Caterina Meier-Pfisterdi Max Havelaar. «Entrambi vogliamo migliorare lasituazione dei contadini e dei lavoratori nelleregioni più svantaggiate del pianeta.» Sia MaxHavelaar che claro offrono ai produttori nel Sudprezzi sufficienti a coprire i costi e superiori allivello del commercio mondiale, rapporti com-merciali durevoli, in parte, prefinanziamento deiraccolti. Solo gli «strumenti» sono differenti: men-tre Max Havelaar è attivo nella certificazione – ilcommercio è fornito da altri partner, ad esempio igrossi distributori – lo specialista nelle venditeclaro importa i suoi articoli direttamente da 34paesi.

Claro - un'opportunità nel commerciospecializzato Accanto ai 140 punti vendita claro e ai 450 nego-zi bio, botteghe del mondo e commerci di quar-tiere, claro può posizionarsi soprattutto nel «mer-cato residuo Havelaar», in primo luogo nei negozispecializzati. Già oggi è molto ben rappresentatosu internet nel negozio virtuale «Le Shop». clarovuole però conquistare anche i punti vendita «in» eil commercio al dettaglio convenzionale. «La nostraopportunità risiede nella vasta gamma di 1200prodotti fare trade, ed è ciò che intendiamo comu-

Did

ier

Der

iaz

/ M

ax H

avel

aar-

Foun

datio

n

nicare rapidamente», sottolinea Gertrud Meyer,convinta che il successo non si farà attendere.Sotto il profilo del prezzo, un caffè derivante dalcommercio equo acquistato alla Coop si differen-zia chiaramente da un caffè claro venduto pressoun omonimo negozio, che costa quasi il doppio.«Ciò deriva dal fatto che dobbiamo incorporaretutti i costi derivanti dallo sviluppo dei prodotti,dal trasporto eccetera», spiega Gertrud Meyer. Percontro, un grande fornitore può smerciare quantitàmaggiori non comparabili e sovvenzionare trasver-salmente i suoi prodotti.Desideriamo convincere il consumatore consape-vole che spendere denaro per prodotti di commer-cio equo è qualcosa di piacevole, di cui beneficia-no anche piccole persone nel Sud». Per CaterinaMeier-Pfister della fondazione Havelaar il com-mercio equo è una premessa importante per «piùpace» nel mondo. «I tragici avvenimenti dell'11settembre 2001 hanno sensibilizzato molti consu-matori agli aspetti problematici del commerciomondiale. Desiderano sapere a quali condizioni iprodotti vengono prodotti e commercializzati». ■

* Giornalista freelance - Presseladen Zürich.

(Tradotto dal tedesco)

Un solo mondo n.3 / settembre 200228

Pau

l Har

rison

/ S

till P

ictu

res

Guy

Per

reno

ud (2

)

Jörg

Böt

hlin

g /

agen

da

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 29

In Europa spesso agli scrittoriafricani vengono poste domandeche, francamente, mi sembranocompletamente fuori luogo. Sidesidera sapere come riflettonola «vera tradizione» della loroetnia, o come un autore in esilioriesca ad essere la voce dei valoritradizionali del suo popolo.Dall’africano si pretende cosìqualcosa che non viene invecechiesto ai colleghi europei.AMilan Kundera – che vive fuoridal suo paese e non scrive nellasua lingua madre – nessunochiede come rappresenta i valoriautentici del popolo ceco.Nessuno chiede al nobel JoséSaramago, che vive in Spagna,quanto sia fedele ai valori dell’a-lentejo portoghese. Si parte dalprincipio che si esprimano sullacondizione umana, e che i lorotemi abbiano una dimensioneuniversale.

Ciò che intendo dibattere èl’ambiguità delle identità, delleidentità africane. La costrizione aclassificare ciò che è africano eciò che non è africano trae lesue origini dall’Europa ed eracosa degli antropologi che cerca-vano di identificare le «caratteri-stiche di una natura» invece diprocessi. Gli «scopritori d’iden-tità» hanno per me tutta l’aria dinavigatori del XVI secolo: taluni

avevano fretta di battezzare terri-tori sconosciuti che avevano giàda secoli il proprio nome.Altri siaffrettavano a chiamare gruppi dipopolazioni «tribù», «etnia» o«clan» senza che i contorni fos-sero noti nemmeno a chi cosìveniva designato.Perciò, la domanda citata inapertura deve essere a sua voltaanalizzata. Ciò che le personevogliono sapere è quanto sia«veramente» africano un deter-minato autore. Ma nessuno sadirci cosa sia «veramente africa-no».

Perché noi autori dobbiamomostrare simili documenti d’i-dentità? Perché, oggi come ieri,si continua ad immaginare laproduzione di questi africanicome qualcosa che abbia a chevedere con l’antropologia. Lanostra produzione non è lettera-tura, ma piuttosto qualcosa cheva oltre ciò che è ritenuto «tra-dizionalmente africano».Recentemente sono stato mem-bro di una giuria incaricata discegliere un nuovo inno nazio-nale. Il concorso ha mobilizzatoi più disparati talenti. Conoscevoun musicista popolare di talentoin un villaggio di pescatori, e lopregai di proporre una melodia.L’uomo non parlava portoghese,e nella sua lingua non esistevanoparole come nazione, inno, costi-tuzione, repubblica.Improvvisamente, il vecchiomusicista ci sorprese con ladomanda:Ma a che cosa ci serve tutto questo? «Tutto questo» cosa? Tutto questo: bandiera, inno, nazio-ne…Devo ammettere che mi fu diffi-cile dare una risposta plausibile.Con ciò non intendo mettere indiscussione il nostro passaggio adun certo genere di modernità.Ma bisognerebbe valutare la sto-ricità di certi termini. Razza,nazione e letteratura – tutto ciòè legato alla storia occidentale.Oggi i nostri scrittori – naziona-

li – scrivono quasi senza ecce-zione in portoghese. Hanno iloro piedi sul suolo di una delletante «nazioni» (origine biologi-ca) e la testa nello Stato. È pro-prio questo che suscita in noi lasensazione di identificazione enel contempo di diversità.

Abbiamo un inno e una ban-diera.Abbiamo la fierezza di pos-sedere un nostro nome. La lottaper questo diritto civile ci ècostata molto sangue.Abbiamoun nome, ma nessuna individua-lità; siamo gli africani. Come sein questo plurale tutto avesse lostesso valore. Come se l’Africanon avesse il diritto ad una pro-pria molteplicità culturale.Io sono come il pescatore musi-cista. Non so perché dobbiamopensare in queste categorie –nazione, identità nazionale. Èstata la storia a crearle. Chiaro:nel cerimoniale del mondo lenazioni devono mostrarsi in que-sti abiti che danno un’identità.Ma sarebbe utile pensare questecategorie con una certa origina-lità, e adeguarle al ritmo dellenostre necessità. ■

(Tradotto dal portoghese)

E a cosa ci serve tutto ciò?

Carta bianca

Mia Couto, nato nel 1955 a Beira, la seconda città delMozambico, è figlio di immi-grati portoghesi. Della suainfanzia dice: «A casa nostravivevamo il Portogallo el’Europa, per le strade dellacittà vivevamo l’Africa». MiaCouto, fervido sostenitoredella lotta per la liberazione,nel 1975, dopo l’indipenden-za, è stato direttore dell’agen-zia di stampa statale, ed inseguito caporedattore del set-timanale Tempo. Dopo i suoistudi in biologia, a metà deglianni Ottanta si è impegnatonel settore della salvaguardiadell’ambiente e dell’agricolturaecologica. Mia Couto è consi-derato uno dei maggiori scrit-tori contemporanei di linguaportoghese. Couto vive aMaputo.

Mar

c E

dwar

ds /

Stil

l Pic

ture

s

Mag

nus

And

erss

on /

Stil

l Pic

ture

s

Pau

l Har

rison

/ S

till P

ictu

res

John

Isaa

c /

Stil

l Pic

ture

s

Un solo mondo n.3 / settembre 200230

M u s i c a t a g i k a t r a t r a d i z i o n e e a t t u a l i t àRiunire artiste e artisti di tutte le regioni del paese e di tutti i gruppi etnici permarcare un rinnovamento della vita culturale nazionale. Era questo l’obiettivodichiarato di un festival culturale di tre giorni organizzato dall’Ufficio di coor-dinamento della DSC in Tagikistan. Un reportage di Thomas Burkhalter*.

Dushanbe,Tagikistan, cinqueanni dopo la guerra civile.«Durante la guerra civile,quando per le strade circola-vano i blindati, noi musicistiabbiamo scioperato. Oraabbiamo ripreso a suonare.Intravediamo la luce: chi nonla intravede e si atteggia anemico della pace finirà perattirare su di sé l’ira divina»,dichiara tra due canzoniDjurabek Murodov, la star deicantanti tagiki, durante il festi-val culturale «Arzhang»(Rinascimento). Il pubblicogli regala dei fiori.Poco prima dell’inizio delfestival Muattara Bashirova eDaniel Züst dell’Ufficio dicoordinamento della DSC aDushanbe, si chiedono ansio-si: «Chissà se gli spot trasmessialla TV tagika avranno l’effet-to voluto? Chi saranno glispettatori? E quanti saranno?»L’incertezza è grande:«Volevamo vendere i bigliettia un prezzo simbolico per farcapire che anche la cultura ha

il suo valore. Il locatoredell’auditorio ci ha invecedichiarato tassativamente chenegli «austeri spazi» del parti-to comunista si sarebbe entra-ti solo su invito. E così stiamodistribuendo gli inviti nellasperanza che Arzhang nonattiri solo le élites».

Miele e techno Dentro e fuori l’auditorio si è sopraffatti dalle impressioni:«Questo è un palcoscenico enon il mercato del bestiame»,urla nei microfoni il direttoretagiko a un complesso popo-lare poco prima dell’inizio,«inchinatevi!».A cinqueminuti di distanza, nello sta-dio, si tiene un festival giova-nile. Qui le pop-star diDushanbe si dimenano alritmo di un playback assor-dante. I tutori dell’ordinecercano di contenere l’esube-ranza dei teenager, calati inuna frenetica festa. Chi simette a ballare viene riporta-to al proprio posto – se

no sul palcoscenico ballate untantino sdolcinate e branitechno pesantemente ritmati.Molti aspetti ricordano ilGrand prix d’eurovision: ladiscrepanza qualitativa con letradizioni indigene non po-trebbe essere più manifesta.Che ne è della gioventù tagi-ka? Una tavola rotonda conmusicisti, musicologi e pro-motori culturali riunitasi,forse per la prima volta inassoluto, sotto gli auspici dellaDSC ignora la domanda.Preferisce dibattere sulle pos-sibilità di salvare il maqom,rivendica nuovi manuali sco-lastici, la costruzione di unconservatorio, e auspica ilpotenziamento dei sussidi sta-tali per la promozione cultu-rale. Persino quando affrontail tema dell’arte tagika nelcontesto del mondo moder-

necessario, tirandolo per leorecchie.Allo stesso momen-to, esponenti del mondodella cultura e della politicaapplaudono cortesemente lacerimonia d’apertura. Le per-sone vestite di tutto puntopossono entrare nell’audito-rio, un giovane dai pannilogori viene respinto. Che il«popolo» sia costretto arinunciare alla molteplicitàdella propria cultura?Per tre giorni cantanti emusicisti d’alto livello, di tutte le regioni, presentano la musica shashmaqom, ilfolclore e un’austera musicada pianoforte di ispirazionerussa. La qualità e la moltepli-cità dei due primi generisono stupefacenti, il pomposoauditorio rimane però semi-deserto. Di tutt’altro carattereè l’ambiente che regna alpomeriggio pop, dove unpubblico giovanile si conten-de gli ultimi posti disponibili.Giovani donne con parrucca,trucco e abiti osé interpreta-

Fran

z Fr

ei (1

5)

CU

LT

UR

A

no non accenna alle giovanileve in campo artistico, ched’altronde non sono neppurestate invitate a partecipare alladiscussione. «Ai musicisti popdobbiamo trasmettere il buongusto» - ecco il consenso rag-giunto.

Come difendere la musica Ora occorre trovare strategieper ridurre lo scarto qualitati-vo che separa il ricco retag-gio dall’attuale sound omoge-neizzato. E’ chiaro che non siraggiunge l’obiettivo impun-tandosi rigidamente sulle tra-dizioni, anche se i punti sol-levati in favore della «difesadella musica» sono importan-ti. La gioventù vuole esseremoderna, ma identifica lamodernità esclusivamente a

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 31

occidente, non accorgendosiche laggiù quella musica ègià superata. «Come conferireattualità alla musica tagikapur radicandola nelle sueproprie tradizioni?», è questouno degli interrogativi cen-trali.Le giovani leve sono adegua-tamente sostenute per deli-neare una propria visione delfuturo? Oppure trovanocomunque la loro strada inmodo autonomo? Come fun-ziona l’industria musicaleautoctona? Quale influenzaesercitano la radio e la TV?Che ne è della libertà diparola e della censura? Ilmercato mondiale della musi-ca non è mai stato così aper-to di fronte ai sound moder-ni, autonomi, provenienti da«altri» mondi, basta infattivedere i successi conseguitidai musicisti indiani e paki-stani che sperimentano con itamburi tabla e l’elettronica.La DSC ha offerto alla popo-

lazione locale tre giorni diconcerti coinvolgenti, gene-ralmente di alta qualità, e aglispecialisti una piattaforma perdiscutere della politica cultu-rale. Se l’entusiasmo cheArzhang ha suscitato si tra-durrà in realtà nella politicaculturale senza essere sopraf-fatto dagli enormi problemieconomici del Tagikistan, al-lora gli organizzatori avrannorealizzato qualcosa di ve-ramente grandioso. ■

(Tradotto dal tedesco)

* Thomas Burkhalter è etnologospecializzato in musica e liberogiornalista culturale

In merito al valore della cultura Le opinioni raccolte lontano dalfestival Arzhang inducono a dubi-tare che le buone idee espressedal gruppo di esperti possanoessere tradotte nella realtà. UmedBabakhanov, caporedattore delquotidiano tagiko indipendente«Asia Plus», è una delle molte per-sone che giudicano basso l’inte-resse che la popolazione riservaalla cultura dopo la guerra civile:«Ci si preoccupa del denaro, nondella cultura». Una collaboratricepresso la sezione culturale delpresidente esprime un pensieroanalogo: «La cultura al momentonon è una priorità, anche se il pre-sidente ha di recente affermatol’importanza della musica maqom.L’appoggio finanziario dello Statoè minimo, il mondo della culturavive anzitutto grazie all’aiuto delleorganizzazioni estere».

Incontro al vertice Nell’Anno internazionale delle montagne la DSC ha prodotto un vertice di tipo culturale: nell’ambito di Tien-Shan-Schweiz Express, un progetto unico nel suo genere, musicisti e musiciste dell’arco alpino incontrano colleghe e colleghi d’Asia centrale per scoprire in che modo «le montagne uniscono». Vi sarà l’opportunità di sentire il canto armonico e il famoso violino mongolo a testa di cavallo, i cantastorie dell’Altai,lo scacciapensieri temir e il liuto komuz dello Tien Shan nel Kirghistan. Per quanto riguarda le Alpi saranno presenti il salterio appenzellese, l’armonica svittese, il corno delle Alpi e il tradizionale canto jodel.Le ultime date della tournée sono :27.8.2002 matinée a Villa Boveri a Baden28.8.2002 concerto nell’ambito delle settimane musicali di Winterthur 6.9.2002 concerto finale e lancio del CD presso lo Schiffbau a Zurigo

32

Tutto è iniziato nel Kirghis-tan, nel 1997, con spirito pio-nieristico e idee irruenti: lacooperazione allo sviluppo è unilaterale, materialistica e razionale. La cooperazioneculturale, invece, avrebbeappianato questo contrasto e portato valori immateriali,creato fiducia e rispetto reci-proco e dato alla faccenda uncalore umano e una compo-nente volutamente creativa.Volevamo lavorare ad unlivello qualitativo elevatosenza troppi compromessi.I kirghisi, in fondo, non sonodegli ignoranti, ma hannouna grande forza interiore escioltezza.Avremmo potutoimparare molte cose anche daloro. La chiave del successostava nella reciprocità, nellaparità e nel rispetto.Oggi, in Kirghistan,Tagi-kistan e Uzbekistan la DSCesegue programmi propri –integrati nel settore dellabuona gestione degli affari

Un solo mondo n.3 / settembre 2002

pubblici – tesi a promuoverela cultura indigena. Gli obiet-tivi centrali hanno tutti unelemento di base comune:promuovere la molteplicitàculturale e contribuire allacreazione di un’identitànazionale multiculturale.I principali ambiti operazio-nali e le aspettative concretesono invece finemente armo-nizzati sulle peculiarità deidifferenti paesi e sono, di rif-lesso, differenti.

Maggiore autocoscienza Singoli progetti culturalihanno già mostrato effettipositivi su altri progetti piùdifficili e aperto molte porte.La fiducia e l’autocoscienzadi taluni partner e la posizio-ne e immagine della coope-razione allo sviluppo elveticane escono rafforzate.Vi con-tribuisce anche il fatto che inogni ufficio di coordinamen-to vi è un’incaricata del pro-getto culturale indigena, e

Alcuni ambiti fondamentali deiprogrammi In Kirghistan (dal 1998) vengonofra l’altro promosse piattaforme dicultura contemporanea e per l’an-tica arte narrativa kirghisa (manas)nonché per la creazione, la ripara-zione e la diffusione di strumentimusicali professionali.

In Tagikistan (dal 2000), oltre asostenere scuole di musica pro-fessionali si cercano fra l’altropiattaforme per musica, film e artefigurativa che consentano di riuni-re gli artisti e di farli conoscere nelloro paese e all’estero (cfr. pagina30/31).

In Uzbekistan (dal 2002) si cercadi promuovere fra l’altro arti popo-lari minacciate (ceramica, ricamo,danza, musica di minoranze) non-ché il dialogo interculturale con gliStati e i popoli centroasiatici.

che per la pianificazione,l’implementazione e lavalutazione si cerca attiva-mente la collaborazione creativa di esperti del luogo.Sono state già imparate anchealcune lezioni. Eventi cultura-li mirati possono infatti risuo-nare molto a lungo, ed anchela stessa promozione dellacultura deve essere aperta,democratica ed accessibile –ciò che esigono ad esempiole due esperte culturali kirg-hise che hanno valutato ilprogramma locale.La DSC sta ora definendo ilruolo della cultura nella co-operazione allo sviluppo,come già fatto da tempo da Svezia e Danimarca. Leesperienze concrete maturatein Asia centrale fornirannoelementi di indubbio valore. ■

(Tradotto dal tedesco)

C o o p e r a z i o n e e c u l t u r aDa cinque anni, nei nuovi paesi partner dell’Asia centrale la DSC sostieneanche lo sviluppo culturale di queste nazioni. Franz Frei è stato sin dall’inizioconsulente esterno di questo programma innovativo. Vi proponiamo la suaesperienza.

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 33

Vita di donne (bf ) Durante le giornate fotogra-fiche di Bienne la fotografazurighese Olivia Heussler esponei suoi lavori sulle donne chehanno saputo imporsi nel lorodifficile ambito di vita.Tra ledonne che la fotografa ha incon-trato nei suoi viaggi attraverso il Nicaragua, la Turchia, laPalestina, il Pakistan e laRomania si trovano volti noti esconosciuti.Alle immagini delledonne che ballano in Nicaraguao della lavandaia rumena si af-fiancano i ritratti del medico epsichiatra ebrea RuchamaMarton, della scrittrice SumayaFarhat Naser o del medico SimaSamar, ministro per la condizionefemminile nel governo di transi-zione afgano.Giornate fotografiche di Bienne, dal6.9 al 20.10 2002, «Frauenleben»,presso l’Eglise du Pasquart,Seevorstadt 99, Bienne.

Forum cinfo Il 7 settembre si terrà il quintoforum cinfo. Scopo della manife-stazione è lo scambio di opinionie informazioni tra tutti gli inter-essati alla cooperazione allo svi-luppo. Come in occasione delquarto forum cinfo nel 2000 - alquale aderirono ben 65 organiz-zazioni e 1000 partecipanti –anche quest’anno il programmaoltre a prevedere stand d’infor-

mazione delle diverse organizza-zioni propone dibattiti, relazionie presentazioni video.7 settembre Kongresshaus Bienne

Focus Europa dell’Est (bf ) «Europa sudorientale –Transizione sociale: nuova pover-tà o benessere?» è il tema dellaConferenza annuale sulla coope-razione con l’Europa dell’Est,che si terrà il 5 novembre pressoil Palazzo dei congressi diBienne.Vari workshop (p.e. sunuova povertà e transizione,imprese e responsabilità sociale,accesso ai servizi di base, condi-visione degli oneri/rete sociale,forum comunali) e varie relazio-ni affronteranno l’argomentodegli effetti sociali che accompa-gnano la spesso difficile transi-zione. Infatti, per molte personele condizioni di vita attuali sonopeggiori che sotto il vecchioregime. Oltre a un’analisi dellasituazione, il congresso si con-centrerà sulla domanda: che cosafa la Svizzera per contrastare ilprocesso di impoverimento e percontribuire a uno sviluppo posi-tivo di quei paesi? Focus Europa dell’Est, 5 novembre,Kongresshaus di Bienne. La parteci-pazione è gratuita. Informazioni eiscrizioni presso la Sezione media e comunicazione della DSC,tel. 031 322 44 12

Formazione e svilupposostenibile (bf ) A dieci anni dallaConferenza di Rio lo «svilupposostenibile» è tornato sulla boccadi tutti. Che ruolo spetta allaformazione in questo contesto?E che contributo può fornire lascuola sul cammino verso unasocietà sostenibile? Un congressonazionale dal titolo «Lo svilupposostenibile fa scuola – la scuolaopera per uno sviluppo sosteni-bile?» affronterà la problematica.Esso gode del sostegno di variuffici federali (tra cui DSC eUFAFP), della Conferenza dei

direttori cantonali della pubblicaeducazione, delle associazionidegli insegnanti, nonché di istitu-zioni e organizzazioni attive nellaformazione ambientale, dell’ap-prendimento globale e dellapromozione della salute. Il con-gresso (con relazioni, dibattiti,work-shop ecc.) si indirizza ainsegnanti, specialisti e politiciattivi nel campo della formazio-ne.Congresso nazionale «Uno svilupposostenibile fa scuola – la scuola operaper uno sviluppo sostenibile?» 2 e 29 novembre, Kursaal di Berna.Informazioni: FondazioneEducazione e Sviluppo,3001 Berna,tel. 031 389 20 20;www.globaleducation.ch

Montagne con il triangolod’emergenza (gnt) L’adesivo con il Cervino alcentro di un triangolo d’emer-genza con il rimando al sito webwww.does-it-matter-horn.ch ènoto a molti. Questo stessomotivo era anche presente nelleprincipali sedi festivaliere dellascorsa estate: un’enorme sculturatemporanea di indiscutibile effet-to, costruita con i rifiuti. I sim-boli rimandano ora a un sitoweb sull’Anno internazionaledelle montagne. Esso offre infor-mazioni agli assetati di sapere, aipatiti del rampichino, agli amantidel film o agli amici della mon-tagna. La DSC e l’Ufficio federa-le dello sviluppo territorialeUFST vogliono così sollevare lepreoccupazioni dei giovani enon più giovani riguardo alfuturo, informare e indicare dellealternative, motivare a partecipa-re al dibattito e a impegnarsiconcretamente. Uno svilupposostenibile, ossia armonioso,dell’economia, della società edell’ambiente è la chiave di unfuturo vivibile, e non solo per leregioni di montagna del mondo.Esso concerne tutte e tutti noi,ed è il fulcro dell’attenzione della

Ser

vizi

o

Esp

ozs

izio

niA

gen

da

Inte

rnet

Oliv

ia H

euss

ler

Un solo mondo n.3 / settembre 200234

Conferenza dell’ONU sull’am-biente e lo sviluppo, che si terràa Johannesburg.

Una panoramica affascinante(er) Forse il nome di SusanaBaca non dirà ancora un granche, almeno qui da noi. Ma perconvincere gli scettici della suaenorme bravura basta citare ilTime: «Consideratevi fortunati,se riuscirete ad ascoltare, quest’anno, un album altrettanto liricoe trascendente».Teneramentedolce e spassionatamente chiara,a tratti gaia, a tratti malinconica:è questa la voce di Susana Baca almomento di lasciare la natiaLima per un viaggio che la con-durrà in Colombia,Venezuela,Uruguay, Brasile, a Puerto Rico,Cuba, in Africa e negli StatiUniti. Un viaggio musicale chela cantante peruviana ha tuttaviagià realizzato nel 1990. Il CDregistrato allora – «América... aGolpe de Tambor» – è da tempoesaurito. Ora è di nuovo reperi-bile con il titolo «Vestida deVida», un inno alla vita che atte-sta il riconoscimento delle radiciafricane, del «Perù nero», fornen-do una squisita antologia o affas-cinante panoramica degli stilimusicali andini, rispettivamentelatinoamericani. Queste sonod’altronde anche le qualità deiCD «Eco de sombras» e«Lamento Negro», con i qualiSusana Baca aveva conquistato le chart della world music.Susana Baca: «Vestida de Vida»(Iris Music/Musikvertrieb);«Espíritu Vivo» (Luaka Bop/EMI)(vedi pagina 31)

Un incontro al vertice (gnt) Questa estate il Tien-Shan-Schweiz Express ha fatto unatournée in Svizzera presenziandoa diverse feste popolari e festivalmusicali (il concerto conclusivosi è tenuto il 6 settembre alMoods di Zurigo). Circa 20musicisti provenienti dai montiTien-Shan d’Asia centrale,dall’Altai, dalla Mongolia e dallaSvizzera hanno intonato un ver-tice musicale (vedi pagina 31).Chi lo avesse mancato può orariviverlo tramite il proprio ste-reo. Il CD è stato registrato dalvivo al Paleo Festival e rispecchiala collaborazione sorprendente eavvincente tra musicisti dell’areaalpina, delle montagne mongolee kirghise, e dell’Altai.Tien-Shan-Schweiz Express: Bergeverbinden! (Lawine/EMI)

Anima e spirito (er) Vi riecheggiano i suoni insospensione delle corde di chi-tarre e picareschi passaggi di fi-sarmonica.Vi si inseriscono levoci affascinanti della morna, ilcanto a ballata di Capo Verde.Visi fondono il fado portoghese, lafunana d’Africa occidentale, lasamba afrobrasiliana e il tangoargentino fino a produrre «sognimusicali fatti alla luce crepusco-lare tra la gioia di vivere e lamalinconia». Ecco ciò che docu-mentano in modo più che riu-scito «The Soul of Cape Verde»,uno dei CD della world musicdi maggiore successo, e l’album«The Spirit of Cape Verde». Essioffrono – in confezione ricercatae ben documentati – un’azzecca-ta panoramica della musicapopolare coltivata nell’arcipelagoremoto e avaro posto dinanzi alla costa dell’Africa occidentale.E non presentano solo starfamose come Cesaria Evora,Luis Morais o Simentera, maanche molti interpreti dellanuova generazione.«Soul & Spirit Of Cabo Verde»(Lusafrica / Musikvertrieb)

Uno sguardo amorevolmentecritico (er) Avevano scelto il nomeOrishas in onore di divinitàarcaiche afro-cubane, quasi arichiesta di protezione per laloro missione nel mondo, ovverorappresentare degnamente lagiovane musica cubana. Gli esulicubani Ruzzo,Yozuel e Rolánincantano il pubblico. Con illoro astuto mix a cavallo tra tra-dizione musicale afrocubana emoderno hiphop, i tre «Orisha»sgombrano il campo e il lorosecondo album «Emigrante»

conquista riconoscimenti inmezzo mondo. Con il loro bol-lente mix di rap, son e boleroriescono persino a collegare con-tenuti ricercati e impegnati conmusica della stessa caratura. Ed ècosì che una fondente vocesonera si mette a dialogare conun «choro» traboccante di senti-mento e le sue melodiose lineetematiche, i dj-scratches si allea-no con i ritmi di conga e bongo,le maracas frusciano, la voce delflauto charanga si innalza al diso-pra dei vigorosi beat e sound-vibe. Il «Buena Vista YoungsterClub» celebra un messaggiocoinvolgente, lanciando unosguardo amorevolmente criticoall’odierna Cuba.Orishas: «Emigrante» (EMI)

Denaro in cambio dell’am-biente (bf ) «Le dighe sono i templidell’India moderna», proclamavanel 1954 il primo ministroNehru, il cui paese conta oggiben oltre 4'000 sbarramenti. Daallora le grandi dighe sono assur-te a simbolo del conflitto cheoppone l’approccio tecnocraticoa quello dolce dello sviluppo.Esse sono sempre state contestatee lo sono tuttora. Sotto pressionedell’opinione pubblica la Bancamondiale si è ritirata dal finan-ziamento di grandi dighe.Ciononostante si continuano atrovare fonti di finanziamentoper simili progetti. Lo svizzeroPeter Bosshard – già collaborato-re dell’organizzazione di svilup-po Dichiarazione di Berna eoggi consulente di organizzazio-ni internazionali per l’ambientee i diritti umani – ha redatto unrapporto appassionante e infor-mativo sul finanziamento deglisbarramenti idroelettrici pren-dendo come esempio l’India.Peter Bosshard: «Power Finance»,da ordinare alla Dichiarazione diBerna: [email protected]

I retroscena dell’Afganistan (bf ) Gli attentati dello scorso 11settembre hanno catapultatol’Afganistan al centro dell’atten-zione internazionale. Il libro«Afghanistan – ein Land amScheideweg», uscito nella collanadedicata alla strategia e alla ricer-ca sui conflitti, inserisce i recentiavvenimenti in un contesto piùampio fornendo una panoramicadi 20 anni di politica afgana diMosca e di Washington. I treautori sono profondi conoscitoridell’Afganistan: Silvia Berger èpolitologa, Dieter Kläy è dottorein scienze politiche e Albert A.Stahel è professore di studi stra-tegici all’Università di Zurigo,nonché presidente del consigliodi fondazione della «BibliothecaAfghanica».Silvia Berger, Dieter Kläy,Albert

Mus

ica

Lib

ri e

op

usco

li

Un solo mondo n.3 / settembre 2002 35

Servizio

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (vuc) Barbara Affolter (abb)Joachim Ahrens (ahj) Fabrice Fretz (fzf)

Maud Gerber (gee) Sarah Grosjean (gjs) Barbara Hofmann (hba) Beat Felber (bf)

Collaborazione redazionale:Beat Felber (bf – Produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: City Comp SA, Losanna

Stampa: Vogt-Schild / Habegger AG,Solothurn

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentitaprevia consultazione con la redazione ecitazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente presso:DSC, Sezione media e comunicazione, 3003 Berna,Tel. 031 322 44 12Fax 031 324 13 48E-mail: [email protected]

65983

Stampato su carta sbiancata senza cloro per laprotezione dell’ambiente

Tiratura totale: 58000

Copertina: Jeremy Horner / Panos / Strates

Internet:www.dsc.admin.ch

A. Stahel: «Afghanistan – ein Landam Scheideweg», edizioni vdf delPolitecnico di Zurigo

Strategia 2006(bf ) Il Segretariato di Statodell’economia (seco) e la DSCsono i due uffici federali incari-cati di elaborare e concretizzarela politica svizzera in materia dicooperazione internazionale allosviluppo. Ora il settore di presta-zioni Sviluppo e Transizione, unodegli otto pilastri del seco (e inquanto tale responsabile dellarealizzazione di misure economi-che e di politica commerciale infavore dei paesi in via di sviluppoe in transizione), ha elaboratola Strategia 2006. Essa «intendechiarire e rafforzare l’analisi e ilquadro di riferimento per il con-tributo fornito dal seco alla poli-tica della Svizzera in materia dicooperazione internazionale».L’opuscolo «Stratégie 2006» del set-tore di prestazioni Sviluppo eTransizione del Segretariato di Statodell’economia è disponibile gratuita-mente in francese, tedesco e inglesepresso: seco, Sviluppo e transizione,3003 Berna, tel. 031 311 56 [email protected],

Sicurezza, libertà, giustiziaglobale (bf ) Anche questa volta la rivistasemestrale Widerspruch presentacon il suo ultimo numero, ilquarantaduesimo, un quadernotematico avvincente, informativoe di alto livello sulla sicurezza, lalibertà e la giustizia globale.Autrici e relatori specializzati dirinomanza internazionale enazionale si esprimono per

esempio sulla politica socialemondiale all’indomani delForum sociale di Porto Alegre,nonché su violenza e genere,insicurezza e rischio, o violenzadi polizia e sicurezza pubblica.«Sicherheit, Freiheit, globaleGerechtigkeit»,Widerspruch, quader-no 42, reperibile in libreria oppurepresso:Widerspruch, casella postale,8026 Zurigo, tel./fax 01 273 03 02,www.widerspruch.ch

Pace e diritti umani«Svizzera oltre», la rivista delDipartimento federale degli affa-ri esteri (DFAE) presenta temid’attualità inerenti alla politicaestera svizzera. Esce quattrovolte l’anno in italiano, francesee tedesco. Il prossimo numero(settembre) si concentreràsull’impegno della Svizzera perla pace e il rispetto dei dirittiumani, per esempio inAfganistan, Colombia, Sri Lankao nei Balcani. L’ultimo numero,pubblicato in luglio, trattava iltema «islam – islamismo».L’abbonamento è gratuito e si puòordinare a: «Svizzera oltre»,c/o Schaer Thun AG,Industriestrasse 12, 3661 Uetendorf

Gli indiani recuperano il loropassato (jls) Oppressi per cinque secoli,gli amerindi avevano imparato adisprezzare le loro lingue, i lorocostumi, le loro credenze. Oggisi riappropriano a poco a pocodelle tradizioni precolombiane,vogliono ridiventare veri indianinel XXI secolo. Il giornalista svizzero Daniel Wermus, diretto-re dell’agenzia stampa Infosud,

ha osservato questa rinascita nelcorso di un lungo periplo inAmerica centrale. Dal Messico a Panama, ha visitato sette paesidiversi per incontrare indigeniscissi tra modernità ed era scia-manica. Il suo libro raccontaanche il destino invero pococomune di Christiane e DiegoGrandis, una coppia franco-sviz-zera che nel 1986 ha fondatol’organizzazione umanitariaTraditions pour Demain.Quest’ultima ha già sostenutooltre 200 comunità indigenenella lotta per rafforzare la loroidentità culturale allo scopo diaffrontare meglio le sfide dellosviluppo.Daniel Wermus: «Madre Tierra!Pour une renaissance amérindienne»,edizioni Albin Michel, 2002

Segni e rocce (bf) Prima di rientrare inSvizzera, Kurt Huwiler avevalavorato per 35 anni come capo-officina in Zimbabwe. Ora hariunito le sue esperienze eimpressioni in un albo riccamen-te illustrato e informativo daltitolo «Zeichen und Felsen –Kultur und Geschichte im südli-chen Afrika». Huwiler ha studia-to la musica e gli strumenti afri-cani tradizionali per riprodurli inseguito con gli studenti nei suoilaboratori. In questo modo nonsolo è diventato un profondoconoscitore della musica africana,ma è pure riuscito, fra il 1966e il 1978, a effettuare delle regi-strazioni storiche, le quali orarappresentano altrettante raritàfonologiche. Esse vengono reseaccessibili tramite il CD «Shona

and Ndebele – Songs from theSouth».Fino alla fine del 2002 il pacchettocomposto dal libro «Zeichen undFelsen» e da due CD musicali, èottenibile al prezzo speciale di CHF 69.– presso Freemedia,3008 Berna,tel. 031 381 47 39,fax 031 381 51 54

Parole al servizio del potere ( jls) Le organizzazioni internazio-nali pubblicano innumerevoliscritti con i quali si prefiggono di delineare un avvenire miglioreper l’umanità.Tutti questi testisono redatti in uno stile asettico e vi si ritrovano sempre le stesseformule trite, gli stessi concettiastratti. L’Istituto universitario distudi sullo sviluppo (IUED) si èchiesto come venga redatto il«discorso da esperti» e se nonabbia la funzione di dissimulare il pensiero dominante dietro lebuone intenzioni. Una dozzina diautori hanno così decostruito laretorica internazionale, prefiggen-dosi di scovare ciò che celano leparole e di mostrare come si pon-gono al servizio del potere.«Les mots du pouvoir – Sens et non-sens de la rhétorique internationale»,Nouveaux cahiers de l’IUED 13.Ordinazioni a: IUED, Service despublications, tel. 022 906 59 50,fax 022 906 59 53,[email protected]

Str

umen

ti d

idat

tici

Nella prossima edizione:

Ricerca, trasmissione del sapere e sviluppo. I programmi di ricerca rilevanti per lo sviluppo e i punti critici nella ricerca per il Sud

DIREZ IONE

DE L LO SVI LUPPO E

DE L LA COOPERAZ IONE

DSC

Kay

Joh

n P

aul /

DE

ZA