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Viaggiatori. Circolazioni, scambi ed esilio, Anno 1, Numero 1 (1° Settembre 2017). ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532-7364 (stampa) 284 Un giornale dall'esilio. L’esule - L’exilé. Giornale di letteratura italiana antica e moderna di Antonietta Angelica ZUCCONI * DOI 10.26337/2532-7623/ZUCCONI Riassunto: Alcuni esuli riparati in Francia dopo la Rivoluzione del 1831 fonda- rono a Parigi «L’Esule – L’Exilé», una rivista bilingue e destinata al pubblico francese, con l’intento di presentare la lingua, la letteratura e la cultura italiana come primo fondamentale nucleo della nascente coscienza nazionale italiana. Abstract: Some exiles repaired in France after the 1831 Revolution in central Italy founded in Paris "L'Esule - L'Exilé", a bilingual journal for the French public. Purpose of the journal was to present Italian culture, language and literature as the fundamental core of the nascent Italian national consciousness. Keywords: Revolution of 1831 ; Italian language and literature ; Exile in France Sommario: Introduzione – l’Esule -l’Exilé – I contenuti de «l’Esule»: 1) La lin- gua italiana; 2) Classici e contemporanei; 3) Scienza, architettura, storia dell’arte e diritto; 4) Le presenze femminili; 5) I corsi dei docenti italiani; 6) Necrologi – Amici e sostenitori – Gli esuli in difficoltà – Conclusione – Figure – Fonti a stampa – Bibliografia * Librarian at La Sapienza University of Rome, she is a specialist in Napoleonic's history and cultural relations between Italy and France in the nineteenth century. She is author of numerous essays on the subject, including Napoleona. L’avven- turosa storia di una nipote di Napoleone, Viella, 2008. [email protected].

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284 Un giornale dall'esilio. L’esule - L’exilé. Giornale di letteratura italiana antica e moderna di Antonietta Angelica ZUCCONI*

DOI 10.26337/2532-7623/ZUCCONI

Riassunto: Alcuni esuli riparati in Francia dopo la Rivoluzione del 1831 fonda-rono a Parigi «L’Esule – L’Exilé», una rivista bilingue e destinata al pubblico francese, con l’intento di presentare la lingua, la letteratura e la cultura italiana come primo fondamentale nucleo della nascente coscienza nazionale italiana. Abstract: Some exiles repaired in France after the 1831 Revolution in central Italy founded in Paris "L'Esule - L'Exilé", a bilingual journal for the French public. Purpose of the journal was to present Italian culture, language and literature as the fundamental core of the nascent Italian national consciousness. Keywords: Revolution of 1831 ; Italian language and literature ; Exile in France Sommario: Introduzione – l’Esule -l’Exilé – I contenuti de «l’Esule»: 1) La lin-gua italiana; 2) Classici e contemporanei; 3) Scienza, architettura, storia dell’arte e diritto; 4) Le presenze femminili; 5) I corsi dei docenti italiani; 6) Necrologi – Amici e sostenitori – Gli esuli in difficoltà – Conclusione – Figure – Fonti a stampa – Bibliografia

* Librarian at La Sapienza University of Rome, she is a specialist in Napoleonic's history and cultural relations between Italy and France in the nineteenth century. She is author of numerous essays on the subject, including Napoleona. L’avven-turosa storia di una nipote di Napoleone, Viella, 2008. [email protected].

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285 Saggio ricevuto in data 2 maggio 2017. Versione definitiva ricevuta in data 12 giugno 2017. Introduzione

In una incisione coeva dell’artista italiano Luigi Calamatta1

[fig. 1], l'Italia del 1831 è una donna turrita che brandisce la spada, gli occhi sbarrati verso un nemico invisibile. Ai suoi piedi, e ancora attaccate ai suoi polsi, sono le corone spezzate dei re e il triregno pontificio. In alto, sulla scala che sta salendo, è posato il fascio con il berretto frigio, simbolo della Rivoluzione francese. Calamatta, che viveva allora a Parigi, così immaginava l’Italia lontana: una donna spaventata ma in armi, giovane e fertile, dalle forme piene e scoperte, perseguitata dai poteri della Santa Alleanza ma fiduciosa nell’appoggio francese2. L’artista, come altri patrioti italiani, aveva partecipato con entusiasmo alle giornate rivoluzionarie del luglio 1830, e credeva fermamente che la Francia di Luigi Filippo inten-desse schierarsi dalla parte della libertà e delle nazionalità op-presse.

A Parigi, nel Comitato Cosmopolita, erano stati preparati i moti scoppiati in Emilia-Romagna ai primi di febbraio 1831, e di-lagati poi nell'Italia centrale fino a penetrare nello Stato pontificio e a minacciare Roma; del Comitato (composto da membri di vari Paesi) facevano parte, oltre a molti esuli italiani tra cui Filippo Buonarroti o Luigi Porro Lambertenghi, anche personalità di spicco della politica francese come il generale Lafayette e il depu-tato Dupont de l'Eure. Tuttavia, lo scontro diplomatico tra il regno di Luigi Filippo – appena formato e non ancora accettato nel con-certo europeo – e il nuovo papa Gregorio XVI, che aveva chiamato 1 L. CALAMATTA, L'Italia 1831, litografia, 1831, Biblioteca di Storia moderna e contemporanea. 2 Per l'iconografia dell'Italia come donna in catene, cfr. A.M. BANTI, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell'Italia unita, To-rino, Einaudi, 2000, pp. 67-68.

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286 in aiuto l'Austria, segnò il destino del Governo provvisorio delle Province Unite.

Il presidente del Consiglio francese Jacques Laffitte, favore-vole a un intervento in favore degli insorti italiani, fu messo in mi-noranza e dovette dare le dimissioni; l'incaricato d'affari della Francia a Roma protestò, ma inutilmente, contro l’invasione dell’esercito austriaco e nessun risultato ebbero neanche le richie-ste di maggiori libertà e di una migliore amministrazione, che ven-nero formulate dalle potenze europee in un Memorandum presen-tato al papa il 21 maggio 1831.

L'opinione pubblica e importanti personalità francesi guar-davano però con simpatia – e forse, con senso di colpa – al duro destino dei prigionieri politici del governo papale; sembrò quindi naturale accogliere i numerosi esuli (circa 5.000) che chiedevano asilo in Francia3. Il loro era un percorso oramai consueto: già dagli anni rivoluzionari, perseguitati politici si erano rifugiati a Parigi e in altre regioni dell'Esagono. Terenzio Mamiani ricorda che nel 1832 a Parigi trovò

Gli avanzi della proscrizione del cardinal Ruffo ; gente davvero campata dalle forche e la qual vide il supplizio di Mario Pagano, del Caracciolo, del Cirillo e di quegli altri sfortunati quanto gloriosi che illustrarono della lor morte l'ultimo anno del secolo decimottavo4.

Sotto la Restaurazione poi, soprattutto dopo le sollevazioni

del 1821, una nuova ondata di esuli era arrivata dal Piemonte e dal regno di Napoli5. Nonostante la diffidenza che li circondava, non era per loro così arduo ambientarsi: Galante Garrone rilevava come

3 Cfr. D. DIAZ, Un asile pour tous les peuples ? Exilés et réfugiés étrangers en France au cours du premier XIXe siècle, Paris, Armand Colin, 2014, pp. 87 ss. 4 Cfr. T. MAMIANI, Parigi or fa cinquant'anni, in « Nuova Antologia », (1881), vol. XXIX, pp. 581-627, p. 586. 5 Cfr. S. CARBONE, I rifugiati italiani in Francia (1815-1830), Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, 1962; A. BISTARELLI, Gli esuli del Risorgi-mento, Bologna, Il Mulino, 2011, in particolare pp. 251 ss.; DIAZ, Un asile pour

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287 Nonostante i rigori della polizia e le angustie della politica governativa, l'esule politico riusciva a inserirsi spontaneamente nell'ambiente a lui più congeniale, e a immedesimarvisi, qualunque fosse la sua provenienza sociale o culturale. […] ognuno poteva scegliere la propria posizione politica, dall'estrema democrazia al più blando costituzionalismo; e infine la Francia era l'osservatorio dal quale si poteva meglio seguire l'evolversi della situazione politica in Italia e in Eu-ropa6.

I fuoriusciti del 1831 si trovarono sicuramente meglio di co-

loro che li avevano preceduti, potendo contare su appoggi e sussidi che il governo orleanista – pur tenendoli sotto controllo – garantiva loro7. Gli esuli del 1821 erano soprattutto militari ed esponenti della nobiltà; nel 1831 e negli anni seguenti arrivarono anche pro-fessionisti, letterati, piccoli proprietari, avvocati, molti universitari, qualche artigiano8. Molti esponenti della classe intellettuale, so-prattutto quelli provenienti dagli Stati italiani che avevano fatto parte del Regno italico o degli altri domini napoleonici, preferirono un esilio francese anche perché memori del ruolo importante che già il governo imperiale aveva loro assegnato9.

tous les peuples, pp. 47 ss., pp. 82 ss. 6 A. GALANTE GARRONE, L'emigrazione politica italiana del Risorgimento, in « Rassegna storica del Risorgimento », (1954), pp. 223-242, p. 236. 7 Cfr. P. DEL NEGRO, L'Europa degli esuli, in Europa. Storie di viaggiatori ita-liani, Milano, Electa 1988, pp. 148-167, in particolare p. 153, e DIAZ, Un asile pour tous les peuples, pp. 92-93, p. 146, anche per quanto riguarda le pratiche di sorveglianza degli esuli. 8 S. MASTELLONE, La composition sociale de l'émigration italienne en France, in « Rassegna storica toscana », (1962), fasc.2, pp. 223-238, in particolare pp. 230-231. 9 Cfr. A.M. RAO, Lettere, arti e politica tra gli esuli italiani in Francia, in « Studi neoclassici », 1 (2013), pp. 27-34, e M. MERIGGI, Gli stati italiani prima dell'U-nità. Una storia istituzionale, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 141-145.

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288 L’Esule - L’exilé

Nell’estate del 1832 si trovarono nel centro di raccolta di

Mâcon, in Borgogna10, tre esuli provenienti dall’Emilia-Romagna e che, in tempi diversi, si erano rifugiati in Francia: Giuseppe Can-nonieri, modenese, Federico Pescantini, di Lugo, e Angelo Fri-gnani, nato a Ravenna. I tre avevano storie, anche politiche, di-verse. Cannonieri, avvocato, nel 1822 era già stato condannato come carbonaro; si era poi trasferito a Roma e lì, nel dicembre del 1830, nel momento di sede vacante dopo la morte di Pio VIII, aveva fatto parte di un complotto di bonapartisti e carbonari, teso a rovesciare il governo pontificio e a mettere il figlio di Napoleone sul trono d’Italia. Nascosto nella casa di Carlotta Gabrielli, figlia di Luciano Bonaparte, era infine riuscito a fuggire in Francia11. Pe-scantini, anche lui «Dottor di leggi»12, legato all’ambiente liberale bolognese, aveva militato nella Guardia nazionale del governo provvisorio e aveva diretto brevemente il giornale «La Pallade», per riparare poi in Francia. Angelo Frignani, «Professore di Belle Lettere»13 e carbonaro fin da giovanissimo, nel 1827 era stato ar-restato e, per sfuggire al patibolo, si era finto pazzo. Dopo mesi di detenzione in manicomio, in condizioni spaventose, e con l’aiuto

10 Per la politica di raccolta dei rifugiati nei dépots cfr. DIAZ, Un asile pour tous les peuples, pp. 122 ss. Per quanto riguarda l'assegnazione dei rifugiati italiani ai dépots di Mâcon e Moulins, cfr. le pp. 127-128. 11 Cfr. T. GRANDI, Ciro Menotti e i suoi compagni o le vicende politiche del 1821 e 1831 in Modena. Cenni storico-biografici, Bologna, Tip. della società Azzo Guidi, 1880, pp. 65-67 e I. RINIERI, Le cospirazioni mazziniane nel carteggio di un transfuga, in « Il Risorgimento italiano », vol. XVI, (gennaio-giugno 1923), pp. 173-212. 12 Dedica in « L’Esule », tomo I, p. 14. 13 Ibidem.

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289 di un medico compiacente, era riuscito a convincere i suoi perse-cutori e ad essere rilasciato14. Fuggito in Francia, dove subì lunghe traversie, venne infine indirizzato a Mâcon15.

A Mâcon i tre si incontrarono con un folto gruppo di impor-tanti personalità del decaduto Governo provvisorio, da Terenzio Mamiani che era stato ministro dell’Interno a Carlo Pepoli che era stato prefetto di Pesaro, a Francesco Orioli, carismatico docente di fisica dell’ateneo bolognese (e già conoscente di Pescantini), all’avvocato Antonio Zanolini. Questi personaggi erano arrivati a Mâcon dopo molte peripezie; la capitolazione del 26 marzo 1831 aveva loro garantito la libertà, ma il brigantino Isotta, con cui ave-vano cercato di raggiungere Marsiglia, era stato catturato dagli au-striaci e i prigionieri erano stati incarcerati per alcuni mesi in re-gime durissimo a Venezia, per essere poi finalmente trasportati in Francia16. Molti di loro si erano già conosciuti in contesti molto diversi: Carlo Pepoli ricordava al prof. Francesco Orioli come si fossero incontrati prima della rivoluzione «solamente tra le toghe e le stole d'una università», ma come avessero finito per fare ami-cizia solo «tra le ferrate tedesche d'un carcere italiano»17, durante la comune prigionia a Venezia.

Dalle appassionate discussioni letterarie e politiche che si tennero a Mâcon nacque prima l'idea di una Accademia Letteraria

14 A. FRIGNANI, La mia pazzia nelle carceri. Memorie di Angelo Frignani, Pa-rigi, Truchy, Libraio-editore, 1839. 15 Cfr. M.L. BELLELI, Voci italiane da Parigi. «L'Esule – l'Exilé» (1832-1834), introduzione e cura di C. TRINCHERO, Torino, Tirrenia stampatori, 2002, pp. 50-70. 16 Cfr. GRANDI, Ciro Menotti e i suoi compagni, pp. 172 ss.; MAMIANI, Parigi or fa cinquant'anni, p. 581. 17 C. PEPOLI, Sulla origine della lingua italiana. Opera di Ottavio Mazzoni To-selli. Lettera al chiarissimo prof. Francesco Orioli, in « L'Esule », tomo III, pp. 42-67, p. 46.

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290 e Scientifica degli Esuli Italiani18, quindi l'idea (lanciata da Fri-gnani, Cannonieri e Pescantini) di fondare un «giornale letterario» bilingue in italiano e francese19. L'iniziativa riprendeva esempi pre-cedenti di giornali di cultura e letteratura pubblicati all'estero da esuli, in particolare «Le Mercure Italien. Journal de la littérature et de la langue italienne», pubblicato nel 1828 a Parigi da Giacobbi Marini20, o i periodici fondati dagli emigrati piemontesi in Spagna durante il Trienio liberal e, in seguito, in Messico21.

Alla rivista venne dato un titolo esplicito e di forte impatto, «L'Esule», doppiato dal suo corrispondente francese «L'Exilé»22; il sottotitolo invece, «Giornale di letteratura italiana antica e mo-derna», ne limitava e connotava contenuti e programma. Nello Scopo, e piano dell'opera si dichiaravano infatti fini principal-mente didattici, proponendosi di presentare, tradurre e spiegare au-tori e opere della letteratura italiana agli insegnanti, o a semplici 18 Cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp. 11, 45-47, e attestato dell'Accade-mia a p. 167. 19 Cfr. ivi, Manifesto-Prospectus de « L'Esule », datato 15 marzo 1832, pp. 169-175. 20 Cfr. « Journal grammatical et didactique de la Langue française », Paris, Marle, (1828), p. 404. 21 Cfr. in particolare il giornale « El Europeo », pubblicato tra 1823 e 1824 a Barcellona dai piemontesi Fiorenzo Galli e Luigi Monteggia insieme a collabo-ratori spagnoli e inglesi; Fiorenzo Galli, emigrato poi in Messico, vi pubblicò il periodico « El Iris », in collaborazione con il parmigiano Claudio Linati. « El Europeo » è stato ripubblicato in facsimile da P.A. SPRAGUE, El Europeo (Bar-celona 1823-1824). Prensa, modernidad y universalismo, Madrid/Frankfurt: Iberoamericana/Vervuert, 2009. Cfr. A. BISTARELLI, La scrittura dell’esilio: mi-litari ed intellettuali italiani in Catalogna durante il Trienio Liberal 1820-1823, in « Quaderns d'Italià », 16 (2011), pp. 143-163, p. 149 e L.G. RUSICH, Esuli dai moti carbonari del 1820-21 nel Messico, in « Rassegna storica del Risorgimento », (1984), pp. 419-437. Per la problematica generale dei periodici in esilio, cfr. il programma del convegno Presse et exil dans l’Europe du XIXe siècle, École française de Rome, 23-25 septembre 2013, http://exil.hypotheses.org/162. 22 Per l'uso del termine «exilé» o di altri termini come «proscrit», «réfugié», «étranger réfugié», «emigré» ecc., cfr. DIAZ, Un asile pour tous les peuples ?, pp. 21 ss.

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291 appassionati, tramite estratti e commenti. Si chiariva però che, nar-rando «le vite degli uomini più illustri letterati ed artisti», sareb-bero stati prescelti quei personaggi che «per l'altezza del loro sa-pere dando ombra ai prepotenti, riportarono persecuzioni, in mezzo alle quali li ammireremo ognora incrollabili»23. E, soprattutto, si sarebbero preferite quelle figure che avessero dimostrato amore e fedeltà a una «patria» non certo identificata in termini statuali o geografici, ma che aveva un'esistenza reale e indiscussa24.

Anche se non si parlava di politica (per non rischiare censure e scontri all'interno del gruppo di collaboratori o con le autorità francesi) ma di letteratura, quindi, i promotori non tacevano le loro idee e le loro aspirazioni, anzi le inserivano in un continuum sto-rico di lunga durata. Non solo di letteratura si sarebbe poi trattato, ma anche della cultura nazionale in tutta la sua estensione, dalle scienze alle arti, al diritto, alla filosofia, alla medicina, tentando di ricostruire una comune tradizione riconoscibile e individuabile come prettamente "italiana".

I sostantivi patria e nazione, gli aggettivi patrio, patriottico e nazionale tornarono spessissimo negli articoli dell'«Esule», per definire personaggi o azioni anche molto diverse, ma legati a idee evidentemente condivise. Non era questione di una «nazione» ita-liana considerata come un'entità precisa, con una forma stabilita, quanto di una coscienza o sentimento nazionale25, accompagnati dall'orgoglio, dal senso «dell'onor nazionale»26 e dalla percezione di essere stati incompresi e maltrattati: l'Italia, «calunniata perché

23 Scopo, e piano dell'opera, in « L'Esule », tomo I, p. 36. 24 Per la lenta elaborazione del significato del termine «patria», cfr. BANTI, La nazione del Risorgimento, pp. 33 ss. 25 Per la formazione e la definizione dell'identità nazionale cfr. E.J. HOBSBAWM, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà, Torino, Einaudi, 1991, l'Introduzione e le pp. 29, 95 ss. 26 Cfr. F. PESCANTINI, in « L'Esule », tomo IV, p. 126: «Non fu per un neo che il nostro onor nazionale si tenne offeso».

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292 infelice», «fra mille impedimenti e sciagure» sapeva ancora «farsi bella di nuove glorie»27.

La patria da amare e da cui si era stati cacciati era quella dei collaboratori de «L'Esule» ma anche quella di Dante, «Il più illu-stre degli Esuli, il Padre dell'Italiana letteratura», che «lungi dalla sua patria lamentava nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria»28.

L’orgoglio e la coscienza dei «patrj vanti» del nostro Paese, negli intenti dei promotori, non dovevano infine mai condurre ad esaltare le glorie nazionali e a rivendicare un primato italiano, pro-prio per non fare il gioco dei «ministri del dispotismo» che, «anche col mezzo delle letterarie discordie», volevano fomentare «le gelo-sie dei popoli»29. Gli esuli potevano sentirsi parte di una rete inter-nazionale di solidarietà e di interessi, in una dialettica che conci-liava patriottismo e cosmopolitismo30. Sullo stesso tema tornò in seguito anche Carlo Pepoli, invitando i compilatori de «L'Esule» a imparare «le cose forestiere» e a insegnare le nostre competenze, perché «Il cambio del sapere è uno scoglio a cui rompe ogni dispo-tismo […] Chi spegne gli odii nazionali, sembra di estendere i li-miti dell'universo»31.

Il primo numero del periodico uscì nel settembre 1832 a Pa-rigi, «dai torchi di Pihan (Morinval)» [fig. 2]; i testi italiano e fran-cese erano a fronte, e quasi sempre era indicato il traduttore (che non seguiva pedissequamente il testo ma interveniva, aggiungeva, adattava ecc.). I traduttori francesi32 erano considerati parte di uno scambio alla pari:

27 Scopo, e piano dell'opera, in « L'Esule », tomo I, p. 52. 28 Scopo, e piano dell'opera, p. 24. 29 Scopo, e piano dell’opera, p. 28. 30 Cfr. M. ISABELLA, Risorgimento in esilio. L'internazionale liberale e l'età delle rivoluzioni, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 142 ss. 31 C. PEPOLI, Varietà, in «L'Esule», tomo II, pp. 134-149, p. 148. 32 Cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp. 80 ss.

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293 Les exilés offrirent aux traducteurs français les pages de leur journal. Les tra-ducteurs français s'efforcèrent d'aider les exilés à faire mieux connaitre et leur poète, et les raisons qu'ils avaient de l'admirer. Dans cette collaboration frater-nelle, tous à la fois trouvèrent égal plaisir, égal profit33.

De «L'Esule» uscirono in tutto (dal settembre 1832 alla se-

conda metà del 1834) quattro tomi di quasi 500 pagine ognuno, divisi in diversi fascicoli, con una numerazione di pagine conti-nuata per ogni tomo. Gli articoli erano sovente molto corposi, non sempre firmati, talvolta scanditi in più puntate ma senza una se-quenza precisa. Il testo era arricchito da alcune immagini degli au-tori o delle opere citate. In ogni fascicolo era compresa una rubrica di Varietà, dove si presentavano eventi musicali, teatrali e artistici in Italia, i nuovi libri che si venivano pubblicando, e anche nuove scoperte o invenzioni scientifiche.

Il primo volume de «L'Esule» era dedicato «Alla gioventù francese»; anche i fondatori erano giovani (Frignani e Pescantini del 1802, Cannonieri del 1795), così come non superavano la tren-tina molti dei collaboratori, da Terenzio Mamiani a Pietro Maron-celli a Carlo Pepoli. Facevano dunque parte della generazione post-napoleonica (anche se non erano stati «Conçus entre deux batail-les» come les enfants du siècle di de Musset), e dichiaravano aper-tamente la loro fiducia in una complicità trasversale tra gioventù italiana ed europea, da confortare nella frustrazione e nell'impa-zienza del momento, e sostenere nella speranza del futuro.

Nel primo elenco dei collaboratori comparivano molti dei membri del governo bolognese, insieme con altre personalità già in esilio da tempo, da Pietro Giannone a Francesco Saverio Salfi, a Pietro Maroncelli (liberato dal 1830 dallo Spielberg), a Luigi An-geloni34. Erano molti i professori «di Belle Lettere», gli avvocati, 33 P. HAZARD, Dante et l'"Exilé" (1832), in Dante. Mélanges de critique et d'éru-dition françaises publiés a l'occasion du 6ème centenaire de la mort du poète. 1321-1921, Paris, Librairie française, 1921, pp. 157-164, pp. 163. 34 Cfr. Collaboratori all’Esule, in « L'Esule », tomo I, p. 16. Cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp. 70 ss.

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294 gli universitari; vi compariva anche (erroneamente, con il nome di Giovanni) Giuseppe Mazzini, allora stabilito a Marsiglia35.

Dal Manifesto-Prospectus de «L'Esule» risultava che l'abbo-namento alla rivista costava 40 franchi l'anno per Parigi, 45 per il resto della Francia, 50 franchi per i paesi stranieri36. Era un prezzo certo non alla portata di tutte le tasche, ma ciononostante il perio-dico ebbe una larga diffusione, come dimostrava l'alto numero di sottoscrizioni.

Nel secondo tomo venne pubblicata una prima lista di abbo-nati al giornale, seguita poi da altre due nei tomi seguenti: la prima lista comprendeva molti personaggi coinvolti nella rivoluzione del 1831 (il generale Pier Damiano Armandi, il principe Luigi Napo-leone Bonaparte, Henri Conneau, il generale Giuseppe Serco-gnani), insieme a personalità di rilievo della cultura e della politica francesi (il generale Soult ministro della guerra, Lamartine, La-fayette, Sismondi), ma anche un'ampia fascia di professionisti (bi-bliotecari, insegnanti e medici), testimonianza di un vivo interesse in Francia non solo per i perseguitati politici italiani ma anche per la cultura di cui si facevano portatori37. Nella seconda lista di ab-bonati38 erano presenti Chateaubriand (cui era dedicato il terzo tomo), il re Luigi Filippo, sua moglie Amélie, sua figlia Marie Louise con il marito re Albert del Belgio (per parecchie copie), il

35 Mazzini, tutto preso dalla Giovane Italia, non ebbe tuttavia mai il tempo di lavorare per « L’Esule » e, poi, non ne condivideva l’impostazione programma-ticamente letteraria; a Giovanni La Cecilia scrisse: «Ma come diavolo ho io da scrivere anche per l’Esule ? […] Farò del resto tutto il possibile per rubare un po’ di tempo al tempo, e scrivere: ma essi non vogliono politica, ed io non posso scrivere che letteratura politica», lettera a Giovanni La Cecilia del 14 dicembre 1832, in Epistolario di Giuseppe Mazzini, vol. I, in Scritti editi ed inediti di Giu-seppe Mazzini, vol. V, Imola, Cooperativa Paolo Galeati, 1909, pp. 198-200. 36 Cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp. 174-175. 37 « L’Esule », tomo II, pp. I-XIV. 38 « L’Esule », tomo II, pp. XVII-XX.

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295 duca de Broglie, l'ex primo ministro Laffitte, il ministro dell'In-terno belga Charles Rogier. Il terzo elenco39 comprendeva il mini-stro dell’Istruzione pubblica Guizot, e Gino Capponi e Giovan Pie-tro Vieusseux, fondatori dell'«Antologia», di cui era stata appena ordinata la soppressione e a cui «L'Esule» certamente si era ispi-rato.

I contenuti de « l’Esule »

1) La lingua italiana

Tra i primi argomenti affrontati dal periodico era la nascita e la formazione della lingua italiana, a partire dalla decadenza del latino. L'ipotesi era che la lingua italiana fosse nata nel mondo ro-mano, ma che si fosse presto evoluta in una comunità linguistica definita e originale; Angelo Frignani40 dichiarava subito:

Noi ci atterremo al sentimento di presente comune a tutti i filologi italiani, cioè che il linguaggio nostro riconosca sua origine dalla natural decadenza del latino, per l'una parte; per l'altra dall'accozzamento, e dalla collisione di esso già inde-bolito latino, e delle differenti lingue de' forestieri : e che perdendo viepiù coll’andare degli anni le forme sue proprie, e sempre nuove parole straniere ri-cevendo, o prette, o accomodate alla desinenza latina, o dei dialetti (che molti pure ve n'erano, anche quando la latinità era in fiore); e, viceversa, dando alle parole latine ed ei dialetti, desinenza conforme il parlare de' Barbari, si trovò finalmente tanto trasfigurato, e di tanti colori rivestito, quanti erano necessarj, perchè fosse una lingua novella41.

Il problema della formazione della lingua italiana ritornò an-

che nei tomi seguenti, per esempio in una recensione di Carlo Pe-poli alla Origine della lingua italiana (opera uscita tra 1831 e

39 «L’Esule », tomo IV, pp. 456-459. 40 A. FRIGNANI, Dalla decadenza della lingua latina, al nascimento della lingua italiana. Narrazione storico-letteraria, in « L'Esule », tomo I, pp. 58-137. 41 Ivi, pp. 134-136.

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296 1833) di Ottavio Mazzoni Toselli, un autore amico di Pepoli che «su' monumenti scoverti nelle contrade nostre meditando: or nella lingua nobile profondando; tutti li dialetti studiando, e persino al-cune ragioni fisiologiche scrutando profondamente, camminava per via nuova»42. «L'Esule» ospitò poi una fitta disputa tra i soste-nitori dell'opera di Toselli e altre riviste, come l'«Antologia» o «La Revue Encyclopedique», che invece l'avevano aspramente criti-cata43.

L'unità e la novità della lingua italiana, da scoprire nelle sue radici e insieme da diffondere e far conoscere, erano quindi il punto di appoggio su cui poteva basarsi una prima identità protonazio-nale44. Anche l'insegnamento dell'italiano, ricorda Bistarelli, non era solo un mezzo per mantenersi, ma anche un modo per non sen-tirsi dolorosamente sradicati45. Molti degli esuli infatti – almeno nei primi tempi – sopravvissero dando lezioni di italiano; era una professione particolarmente richiesta, soprattutto dalle fanciulle e signore di buona famiglia che volevano cantare l'opera italiana (al-lora considerata la più importante d'Europa) con l'accento giusto, rispettando l'«articolazione spiccata e rotonda del nostro vol-gare»46. 42 PEPOLI, Sulla origine della lingua italiana, in « L'Esule », tomo III, pp. 42-67, p. 60. 43 Cfr. « L'Esule », tomo III, pp. 66-101. 44 Cfr. anche BANTI, La nazione del Risorgimento, pp. 112-113, HOBSBAWM, Nazioni e nazionalismi dal 1780, in particolare, per l'importanza della lingua italiana come elemento unificatore, pp. 70, 120-121, A.M. THIESSE, La création des identités nationales. Europe XVIII-XX siècle, Paris, Éditions du Seuil, 1999, pp. 67 ss. 45 Cfr. A. BISTARELLI, La tela e il quadro. Per una biografia collettiva degli esuli italiani del 1821, in «Cercles. Revista d’história cultural », 10 (2007), pp. 201-220, p. 206 . 46 Cfr. MAMIANI, Parigi or fa cinquant'anni, p. 582. Per i maîtres de langues nella Francia degli anni Trenta dell'Ottocento cfr. M. ESPAGNE, F. LAGIER, M. WERNER, Le maître de langues. Les premiers enseignants d'allemand en France (1830-1850), Paris, Ed. de la Maison des Sciences de l'homme, 1991, Avant-propos, pp. 7 ss.

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2) Classici e contemporanei

Dalla lingua, si passava alla letteratura; il nume tutelare in-vocato fin dall'inizio da Federico Pescantini47 sulla nuova inizia-tiva era Dante Alighieri, [fig. 3], cui erano assegnati i ruoli plurimi di sommo poeta, di fondatore della lingua italiana, e di profeta di una futura unità. La vita del poeta era ricostruita da Frignani48, mentre Terenzio Mamiani ripercorreva la strada seguita da Dante per forgiare un nuovo strumento linguistico: «Raccolse perciò il più bel fiore del fiorentino dialetto, raccolse il meglio che ritrovò nei diversi parlari d'Italia e v'aggiunse la ricchezza abbondante, che sapea trarre dal latino, dal provenzale e dall'ebraico»49. La lingua di Dante, che raccoglieva elementi provenienti da tutt’Italia, rap-presentava quindi già un saldo elemento comune. Il culto dell'Ali-ghieri e della Divina Commedia, con altri saggi o citazioni di suoi versi nei vari articoli, rimase un filo rosso che percorse l'intera vita del periodico50.

Dopo di lui, Francesco Petrarca (di cui veniva narrata la vita raminga) occupava un ampio spazio, con due lunghi articoli e molti brani poetici tradotti in prosa francese da Étienne-Jean Delécluze51. 47 F. PESCANTINI, Scopo, e piano dell’opera, in « L'Esule », tomo I, pp. 24-57. 48 A. FRIGNANI, Vita di Dante, in « L'Esule », tomo I, pp. 220-261. 49 T. MAMIANI, Cenno sul carattere e sui pregi della poesia di Dante, in « L'E-sule », tomo I, pp. 334-375, pp. 360-362. 50 Gli interessi e gli studi danteschi di molti dei collaboratori della rivista susci-tarono e alimentarono l'interesse per il nostro poeta nella cultura francese: cfr. MAMIANI, Parigi or fa cinquant'anni, p. 609; HAZARD, Dante et l'"Éxilé" (1832); W.P. FRIEDERICH, Dante's fame abroad 1350-1850. The influence of Dante Alighieri on the poets and scholars of Spain, France, England, Germany, Switzwerland and the United States. A survey of the present state of scholarship, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1950; F. DI GIANNATALE, Esilio e Risor-gimento. Il mito dantesco in Francia nella prima metà dell’Ottocento, in ID., Escludere per governare. L’esilio politico fra Medioevo e Risorgimento, Fi-renze, Lemonnier, 2011, pp. 173-194. 51 [P. GIANNONE] Della vita del Petrarca, in « L'Esule », tomo II, pp. pp. 354-

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298 Tra questi brani erano comprese due composizioni considerate "politiche": All'Italia. Per la venuta di Ludovico il Bavaro chiama-tovi dai principi della Lega e la Canzone a Cola di Rienzo, esor-tandolo a ritornare l'Italia negli antichi onori.

A Dante e Petrarca, seguiva classicamente il Boccaccio; erano riportate alcune novelle52, e commentato il Decamerone, nei suoi pregi e nei suoi difetti53. Secondo Desiderio Martelli, «Profes-sore di Belle Lettere», il grande narratore toscano badava troppo alla piacevolezza e all'armonia del linguaggio, alla brillantezza in-ventiva, senza preoccuparsi di dare un contenuto morale e sociale alla sua opera: «ogni scrittore che non miri a riformare l'ordine so-ciale» giudicava Martelli

Che non si sforzi per quanto può e per quanto i luoghi in cui è costretto di vivere il consentano, a richiamare fra noi la morale smarrita, ad additare gli elementi che crede più atti a riconstruire l'edificio sociale su principj veri, fondati sulla fraternità evangelica e sull'amore scambievole, isfugge lo scopo più sacro, tra-disce la pubblica causa, e la defrauda d'un bene verace.

In una visione di rinnovamento politico e morale gli esuli ita-

liani dovevano invece tenersi stretti questi principi: «siamo nell'ob-bligo religioso d'illuminare e d'incoraggire i nostri fratelli, di diri-gerli nel retto sentiero, di raccomandar loro di deporre giù gli anti-chi odj di ristringere sempre più i fraterni legami, considerandosi oramai figli tutti d'una medesima madre»54.

Oltre a questi grandi autori della letteratura italiana, una serie di articoli ricostruiva la storia della letteratura italiana dal XIII al XVIII secolo, con abbondanza di citazioni e relative traduzioni in

427 e P. GIANNONE, Secondo saggio delle poesie del Petrarca, in « L'Esule », tomo III, pp. 14-41. 52 [s.n.], Autori tra Petrarca e Boccaccio. Boccaccio. Tre novelle del Boccaccio, in « L'Esule », tomo III, pp. 158-257. 53 D. MARTELLI, Dei pregi del Decamerone, in « L'Esule », tomo III, pp. 310-335. 54 Ivi, pp. 332-334.

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299 francese55. Tra gli autori successivi, un ruolo particolare era dato a Torquato Tasso (mettendo in rilievo la sua esperienza di persegui-tato) e a Lodovico Ariosto. Come esempio di una necessaria con-cordia tra letterati si citava la "Repubblica delle Lettere", «un po-tentato segregato dai principi, formidabile ai principi stessi, rap-presentante esso solo l'unità dell'Italia», che era poi miseramente decaduto quando «le armi dei letterati furono rivolte contro loro medesimi»56.

Un altro personaggio trattato a fondo era Niccolò Machia-velli, considerato il fondatore della scienza politica in Italia. Un saggio57 era dedicato a confutare i pregiudizi che circondavano il pensiero politico del nostro scrittore, soprattutto per quanto riguar-dava il principio che il fine giustifica i mezzi – principio che l'au-tore del saggio58 riteneva essere stato da sempre raccomandato e

55 Cfr. F. PESCANTINI, in « L'Esule », tomo I, pp. 174-219; C. PEPOLI, Lettera sopra alquanti autori del secolo XIV, in « L'Esule », tomo I, pp. 388-425; F. PESCANTINI, Da Dante a Boccaccio, in « L'Esule », tomo II, pp. 194-241; [s.n.] Autori tra Petrarca e Boccaccio, in « L'Esule », tomo III, pp. 158-257; A. FRIGNANI, Notizie storico-letterarie dalla fine del XIV sino al XVI secolo, in « L'Esule », tomo III, pp. 336-401; A. ZANOLINI, Dello stato delle lettere in Italia nel secolo XVI, Degli scrittori intorno alla lingua e dei poeti, in « L'Esule », tomo IV, pp. 296-362; G. RICCI, Della Gerusalemme Liberata, in « L'Esule », tomo IV, pp. 363-370; A. ZANOLINI, Dello stato delle lettere in Italia dal Tasso fino all'Alfieri, « L'Esule », tomo IV, pp. 371-423. 56 A. ZANOLINI, Dello stato delle lettere in Italia nel secolo XVI, Degli scrittori intorno alla lingua e dei poeti, in « L'Esule », tomo IV, p. 352 e 356. 57 [J.] NAVARRO, Machiavel considéré comme homme politique, in « L'Esule », tomo IV, pp. 10-55. 58 Questo autore, di cui veniva riportato solo il cognome, Navarro, era Joseph Navarro, che nel 1836 pubblicò a Parigi, presso l’editore Arthus Bertrand, delle Études Legislatives. Le Études erano in realtà, secondo un Catalogo di una scelta Biblioteca da vendere, nella quale sono da notare molti esemplari di non comune bellezza assai ben conservati, Napoli, Tip. A. Trani, 1873, p. 213, opera dell’avvocato liberale napoletano Giuseppe Ferrigni de Pisone. Sempre lo stesso Catalogo definiva Navarro «un frate filippino bibliotecario della Regina dei francesi»; di lui per ora non abbiamo altre notizie (una prossima ricerca verrà condotta sulle Archives de la Maison de France), ma se realmente si trattava del

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300 utilizzato per garantire un buon governo. Arrivando alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX, un'attenzione particolare era ri-volta a Vittorio Alfieri e alle sue tragedie59, e ai Sepolcri di Ugo Foscolo60.

Pur seguendo con cura il programma che si erano dati nel fondare la rivista, i direttori e i recensori de «L'Esule» sembravano selezionare nei classici della letteratura italiana personaggi e opere che richiamassero il tema che stava loro veramente a cuore, la for-mazione e la difesa di un'identità e di una realtà nazionale italiana. I grandi autori erano letti e commentati con la lente del patriotti-smo, della difesa dei deboli e dei perseguitati contro un potere (sta-tuale o religioso) più forte. Quel «canone risorgimentale» che Al-berto Mario Banti ha individuato nei testi degli anni Trenta e Qua-ranta61, era per loro fondato sullo studio dei classici come fonte di ispirazione morale, come elemento indispensabile per educare una generazione all'amore per la propria patria.

Nei brevi anni di vita del periodico, furono pubblicate alcune delle opere che ebbero il maggior peso nella formazione della men-talità risorgimentale, ma i recensori de «L'Esule» non seppero ri-conoscere la novità e potenzialità su un pubblico allargato dei Pro-messi sposi o de Le mie prigioni, anzi li giudicarono con rigore e una certa miopia.

Pietro Giannone diede una lettura quasi politica dei Promessi sposi (uscito nella sua prima versione nel 1827), disapprovandone l'abbandono rassegnato alla volontà della Provvidenza: «Che im-porta che nell'avvilimento in cui sono gl'Italiani, sappiano che altre

bibliotecario della regina Amélie, era una prova della vicinanza de « L’Esule » alla famiglia reale francese. 59 P. [PESCANTINI], Alfieri, in « L'Esule », tomo IV, pp. 74-81, e M. DE G[AMOND], Tragedie dell’Alfieri, in «L'Esule », tomo IV, pp. 82-113. 60 «L'Esule », tomo II, pp. 348-351. 61 Banti ha fatto la scelta di tralasciare, in favore dei testi di nuova pubblicazione, i numerosi riferimenti alle opere classiche reperiti nelle memorie e nei carteggi da lui esaminati, cfr. BANTI, La nazione del Risorgimento, pp. 45-46.

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301 volte sono stati così, per trovare un esempio e una scusa forse alla loro ignavia presente? […] Ma che han mai guadagnato? I pessimi de' mali gravan sempre sovr'essi, terribili, insistenti, mortali; la di-visione e 'l dominio straniero»62. Giannone criticava anche Man-zoni per aver fatto uso di «parole, d'idiotismi e di maniere proprie del luogo ove l'avvenimento si compie», e di «certi modi, che ap-partengono alla lingua parlata sì, ma non sempre alla gramati-cale»63. A suo avviso, la lingua forgiata da Dante doveva bastare come lingua letteraria, senza necessità di ulteriori aggiornamenti.

Giannone apprezzava invece Manzoni per aver scelto come protagonisti (diversamente da altri autori contemporanei) un fila-tore di seta e un'operaia, non cogliendo però la forza di epopea po-polare del romanzo64. Diede invece un giudizio molto positivo, de-dicando loro un'attenta disanima, al Conte di Carmagnola e all'A-delchi, ai Carmi e agli Inni sacri, riportando per intero Il Cinque maggio.

Non venne capito neanche l'impatto dirompente de Le mie prigioni di Silvio Pellico, uscito nel novembre 1832. Federico Pe-scantini, pur riconoscendo che si trattava di «un'opera, la più utile che immaginare si possa, e forse anche la più gloriosa per la causa italiana», si chiedeva: «Le idee sparse in quell'opera sono esse le idee del secolo, sono quelle che potranno giovare alla causa dell'i-taliana libertà? Perdonare agli oppressori, rassegnarsi dei mali che vengono da questi, e vari altri precetti del cristianesimo condu-ranno la patria alla sua rigenerazione ?»65. Silvio Pellico, «sepolto 62 P. GIANNONE, Delle opere di Alessandro Manzoni. I promessi sposi, in « L'E-sule », tomo I, pp.262-294, p. 274. 63 Ivi, pp. 278 e 280. 64 Ivi, pp. 284-286. Sui Promessi sposi cfr. anche THIESSE, La création des iden-tités nationales, pp. 111-112. 65 F. PESCANTINI, recensione a Le mie prigioni. Memorie di Silvio Pellico, in « L'Esule », tomo II, pp. 56-75. Il recensore de « L'Esule » sembra molto vicino all'opinione espressa in seguito da Giuseppe Mazzini in De l'art en Italie. À pro-pos de Marco Visconti, roman de Thomas Grossi, in « Revue Républicaine », tome V, (1835), pp. 194-218, p. 211: «Tournez vos yeux vers le ciel! – Voilà

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302 vivente in un ceco carcere di ferro»66, aveva potuto solo affidarsi alla provvidenza divina, ma Pescantini (pur chiamando Pellico «martire della patria»)67 preferiva interventi più coraggiosi e più incisivi. Come Giannone, Pescantini sottolineava la necessità di definire un nuovo rapporto tra religione e libertà, una volta superati sia gli scettici filosofi settecenteschi, sia la diffidenza clericale nei confronti di quanto sapesse di liberalismo68.

«L'Esule» continuò comunque a seguire il lavoro del Pellico, annunciando la traduzione francese del suo Dei Doveri degli Uo-mini. Discorso ad un giovane69, e pubblicando estratti dalle Addi-zioni alle Mie prigioni di Silvio Pellico di Pietro Maroncelli70. Al Pellico fu anche richiesto di collaborare al giornale, ma lo scrittore – che temeva di incappare nella censura del suo governo – non era sicuro del contenuto puramente letterario de «L'Esule», e preferì declinare l'invito71. l'école de Manzoni, voilà celle de Grossi, voilà celle de Pellico, nuances à part. Or, cela est beau, cela est ravissant quelquefois, grâce aux efforts d'un talent supérieur ; mais cela est funeste, cela est fatal chez un peuple qui a besoin de rappeler toute son énergie, d'exalter toutes ses puissances, de retremper toutes ses facultés pour secouer un sommeil de trois siècles et accomplir une haute mission de réhabilitation sur la terre. […] Cette habitude de soumission, de ré-signation inactive, mène droit au mysticisme, de là à l'indifférence et à l'égoïsme. Cet art, qui se plaît tant au détail, qui soigne si fort les petites choses et s'épanche avec amour sur des riens, renie Michel-Ange, renie le Dante son maître, seul père de l'école italienne et substitue peu à peu l'analyse à la synthèse, l'observa-tion à l'intuition, l'intelligence au génie». 66 PESCANTINI, recensione a Le mie prigioni, p. 66. 67 PESCANTINI, recensione a Le mie prigioni, p. 72. Cfr. anche C. PEPOLI, Lettera al chiarissimo prof. Francesco Orioli, in « L'Esule », tomo III, pp. 42-67, p. 50: «io non invidio a Silvio, al mio adorato Silvio Pellico, quella voce placida e santa che mi dà simiglianza d'un lamentar notturno d'arpa soave: ma invece io allora torrei d'avere il tuonare d'onnipotenza di Pietro l'Eremita, quando al suo grido seco strascinava diluvi di gente per francar terra santa». 68 Cfr. anche BANTI, La nazione del Risorgimento, pp. 135-136. 69 « L'Esule », tomo IV, pp. 284-287. 70 « L'Esule », tomo II, pp. 428-449. 71 Cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp. 19-20.

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303 I collaboratori de «L'Esule» seguivano lo scontro in atto tra

classicisti e romantici, ma ritenevano che per gli scrittori italiani fosse molto più importante «riaccendere negli italici petti l'amor santo di patria»72, che perdere tempo in scaramucce letterarie. Lo studio, il desiderio di apprendere e di istruire erano le armi più forti da opporre a quei «prepotenti», che avrebbero voluto sprofondare «ogni contrada d'Italia» in «ignoranza superstizione, avvili-mento»73. Anche se «L’Esule» non prendeva una posizione pre-cisa, le preferenze dei suoi collaboratori in merito erano tuttavia abbastanza chiare e in linea con la loro generazione, quando parla-vano di autori che «toltisi dalle vecchie pedate dei classici hanno coi romantici riscaldata la loro mente a un nuovo sole, e si aquista-rono perciò in tutta Europa una grande e meritata celebrità»74.

Il romanzo del «canone risorgimentale» che invece incontrò pienamente le aspettative dei recensori de «L'Esule» fu Ettore Fie-ramosca o La disfida di Barletta, racconto di Massimo d'Azeglio; il romanzo, pubblicato (anche se molto mutilato dalla censura) nel 1833 a Milano, conobbe subito uno straordinario successo e venne ripubblicato in più edizioni (rivedute dall'autore) a Torino e a Fi-renze. Il redattore de «L'Esule» lo celebrava non solo come opera letteraria, ma soprattutto come portatore di un messaggio morale, destinato a «rammemorare a compatrioti di lui un fatto che li onora, e nudrire in essi l'amor della patria e i sensi generosi, che di pre-sente ispira loro il bisogno d'una esistenza nazionale»75.

72 G. CANNONIERI, Idee generali sullo stato presente della letteratura italiana, in « L’Esule », tomo I, pp. 138-153, p. 142. 73 Ivi, p. 144. 74 P. [PESCANTINI], Alfieri, in « L’Esule », tomo IV, pp. 74-81, p. 80. Cfr. anche A. ZANOLINI, Dello stato delle lettere in Italia dal Tasso fino all'Alfieri, « L’Esule », tomo IV, pp. 371-423, pp. 420-422. 75 [s.n.], Ettore Fieramosca o la Disfida di Barletta, di Massimo d’Azeglio, in « L'Esule », tomo II, pp. 484-493, p. 490 e GOSSELIN, Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta, romanzo storico di Massimo d'Azeglio (2° articolo), in « L'Esule », tomo III, pp. 442-469.

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304 3) Scienza, architettura e storia dell'arte, diritto

Gli argomenti letterari erano in larga maggioranza, ma «L'E-sule» si occupava anche di storia dell'arte, di architettura, di scienza e di nuove scoperte tecniche, e della storia del diritto in Italia, mettendo sempre l'accento sull'orgoglio nazionale. Frignani scrisse due articoli sullo stato presente del diritto in Italia, in cui ricordava i progressi che negli ultimi decenni la giurisprudenza vi avesse fatto, nonostante la mancanza di una stampa libera e di un'o-pinione pubblica avvertita76, mentre il recensore di un libro di di-ritto commerciale ricordava come anche la legislazione commer-ciale internazionale nascesse da una tradizione italiana risalente al Medioevo77.

Nel I tomo, era presente un bell'articolo di Carlo Gilio o Gi-glio sulla Torre di Pisa78 [fig. 4]; nel secondo, Giuseppe Cannonieri pubblicò un lungo saggio sulla vita di Antonio Canova, presentan-dolo in parallelo a un altro «uomo portentoso», Napoleone, nato come Canova «sotto il bel cielo d'Italia». Del grande scultore Can-nonieri ricordava soprattutto l'amor di patria, e di come si permet-tesse di parlare liberamente all'imperatore delle sorti del suo paese79. Ancora Carlo Giglio raccontava la storia dell'arco del Sempione a Milano [fig. 5], ordinato da Napoleone e poi comple-tato come celebrazione dell'Austria; l'autore ridicolizzava il cam-biamento operato in un bassorilievo che celebrava una vittoria na-poleonica, e in cui il ritratto di Napoleone era stato mutato in quello

76 A. FRIGNANI, Dello stato del diritto in Italia nel secolo XIX, in « L’Esule », tomo II, pp. 312-333 e pp. 450-483. 77 Recensione a Principi di diritto commerciale di L. Cesarini, Roma 1833, in « L’Esule », tomo III, pp. 294-298. Per la rivendicazione della tradizione com-merciale italiana cfr. anche ISABELLA, Risorgimento in esilio, pp. 209 ss. 78 C. GILIO, La Torre di Pisa, in « L’Esule », tomo I, pp. 426-451. 79 G. CANNONIERI, Vita del Canova, in « L’Esule », tomo II, pp. 262-299, pp. 262 e 266.

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305 dell'imperatore austriaco Francesco80. Qui, come in altre pagine de «L’Esule», riemergeva sovente – in quegli anni di rinsaldamento del mito napoleonico – la figura dell'imperatore francese, di cui si teneva a ricordare l'origine italiana81.

4) Le presenze femminili

Alla fine del primo tomo i direttori promettevano alle signore francesi articoli sulle più conosciute scrittrici italiane, ma questa promessa non fu mai realizzata. Le autrici furono citate molto ra-ramente anche tra le recensioni, a parte le poetesse Giuseppina Guacci, Teresa Angelini, Rosa Taddei e Caterina Ferrucci, com-prese in raccolte di versi82; fu poi pubblicata la traduzione in ita-liano della poesia Le Proscrit della pittrice e musicista Olympe M. de Lernay83. Marie de Gamond, una signora belga che aveva spo-sato il pittore italiano Gatti, appassionata di letteratura italiana (e descritta da Primo Uccellini come «donna bruttissima ma rinomata nelle lettere»)84, diede infine alla rivista un articolo sulle tragedie dell’Alfieri85.

80 C. GILIO, L’arco del Sempione a Milano, in «L’Esule», tomo IV, pp. 424-433, p. 432. 81 Cfr., ne « L’Esule », tomo I, il Cinque maggio di Manzoni, pp. 302-313 e, nel tomo II, Ode del corso Giuseppe Multedo in morte del figlio di Napoleone, pp. 150-154. Cfr. L. MASCILLI MIGLIORINI, Il mito dell'eroe, Napoli, Guida, 2003, 2° ed., pp. 44 ss., 115. Per il rapporto, «perlomeno complesso», tra patrioti ita-liani ed esperienza napoleonica cfr. ISABELLA, Risorgimento in esilio, pp. 17-22 e 305-306. 82 « L’Esule », tomo II, pp. 494-495. 83 O.M. DE LERNAY, Le Proscrit, in « L’Esule », tomo IV, pp. 444-446. 84 P. UCCELLINI, Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano, pubblicato con annotazioni storiche a cura di Tommaso Casini, Roma Società Dante Alighieri, 1898, p. 231. 85 M. DE G[AMOND], Tragedie dell’Alfieri, in « L’Esule », tomo IV, pp. 82-113. Cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp.78-79.

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306 A parte Cristina di Belgiojoso, cui era dedicato il secondo

tomo86, ne «L'Esule» le donne sembravano presenti soprattutto come mogli o madri, sorelle o figlie, quasi sempre sofferenti e lon-tane87. Si ricordava in particolare la patetica figura della modenese Enrichetta Bassoli, che «Cedendo ad uno di quegl'impulsi gene-rosi, frequenti nelle donne, quando l'oggetto della lor tenerezza le move», dopo la capitolazione del marzo 1831 era fuggita con il marito Silvestro Castiglioni, ed era morta nella prigionia vene-ziana, seguita poco dopo dal figlioletto88.

Costituivano tuttavia una presenza importante le cantanti ita-liane, allora famosissime in tutt'Europa e spesso abbonate alla rivi-sta: Giuditta e Giulietta Grisi, Clementina degl'Antonj nata Betti, Luigia Boccabadati (particolarmente amata da Maroncelli, e lodata per aver donato il ricavato di un suo spettacolo ai liberali di An-cona)89. Le lodi alle cantanti, e all'opera italiana in generale, erano un modo per aggiungere un tocco di glamour all'immagine della cultura nazionale.

5) I corsi dei docenti italiani

Sempre con l’intenzione di mettere in risalto il valore degli italiani riparati all’estero, «L’Esule» annunciava con soddisfazione i corsi che molti esuli erano stati invitati a tenere nelle università e in altre istituzioni culturali in Francia, in Svizzera, in Germania e

86 « L’Esule », tomo II, pp. 6-11. 87 Cfr. anche, per la sovrarappresentazione degli uomini tra gli esuli, DIAZ, Un asile pour tous les peuples, p.153. 88 Iscrizione da mettersi sopra la tomba di un fanciullo [Enrichetto figlio di Sil-vestro Castiglioni e Enrichetta Bassoli], in « L’Esule », tomo II, pp. 336-342, pp. 335 e 338. Per Enrichetta Castiglioni Bassoli cfr. A. VANNUCCI, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, Milano, Tip. Bortolotti, 1887, vol. II, pp. 123-128 e G. MAZZINI, Una memoria, in Scritti editi e inediti, vol. III, Imola, Cooperativa Paolo Galeati, p. 55. 89 P. MARONCELLI, Teatro italiano, in « L’Esule », tomo II, pp. 162-191, pp. 174-177.

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307 in Inghilterra. Un'attenzione particolare, naturalmente, era data ai corsi affidati a collaboratori stretti della rivista, come Orioli o Ma-miani. Il professor Francesco Orioli, «uomo d'ingegno singolare, benché molto strano e bizzarro»90, era medico di formazione e pro-fessore di Fisica, ma aveva una cultura enciclopedica e interessi vastissimi. Tra 1833 e 1834 tenne un corso di archeologia etrusca91 alla Bibliothèque Royale, molto apprezzato e approfondito, nono-stante fosse stato privato dall'esilio dei suoi libri e degli appunti lasciati in patria. La rivista riportava poi un resoconto dettagliato del corso di Terenzio Mamiani a l’Athénée Royal di Parigi, sulla filosofia contemporanea in Italia92.

Carlo Pepoli ricordava le eccellenze tra questi docenti93: il matematico e bibliografo Guglielmo Libri che insegnava matema-tiche al Collège de France, Pellegrino Rossi che teneva un corso di diritto romano a Ginevra94 e poi un corso di Economia Politica al Collège de France, Macedonio Melloni che si dedicava a esperi-menti di Fisica, Benedetto Mojon (il marito della scrittrice Bianca Milesi, già professore all'università di Genova) che leggeva all'A-cadémie Royale de Médecine una dissertazione sui Rapporti del

90 M. MINGHETTI, Miei ricordi, Roma, L. Roux, 1888, Vol. 1 (1818-1848), p. 27. 91 Cfr. « L’Esule », tomo I, p. 482; F. CANUTI, Relazione sul corso di archeologia etrusca del prof. Orioli, in « L’Esule », tomo II, pp. 96-111; F. CANUTI, Lezioni di antichità etrusche del professor Orioli, in « L’Esule », tomo II, pp. 242-263; F. CANUTI, Corso di antichità etrusche del prof. Orioli, in « L’Esule », tomo IV, pp. 190-195. Cfr. lettera di Orioli a Filippo Saveri del 25 febbraio 1833, in C. TRINCHERO, Témoignages de l’exil à la veille de l’unification de l’Italie: les intellectuels-patriotes italiens réfugiés à Paris, in Exil et épistolaire aux XVIIIe et XIXe siècles. Des éditions aux inédits, par R. BAUDIN, S. BERNARD-GRIFFITHS, C. CROISILLE, Clermont-Ferrand, Presses de l’Université Blaise Pascal, 2007, pp. 281-311, p. 299. 92 V.G., Sopra il corso del signor Mamiani all'Ateneo Reale intorno alla filosofia attuale italiana, in « L’Esule », tomo IV, pp. 264-276. 93 C. PEPOLI, Varietà, in « L’Esule », tomo II, pp. 134-149. 94 Ivi, p. 144. Per il «quasi proscritto» Pellegrino Rossi cfr. DEL NEGRO, L'Eu-ropa degli esuli, p.152 e DIAZ, Un asile pour tous les peuples, pp. 165-166.

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308 cranio coll'organo dell'udito, mentre a Londra Antonio Panizzi e Gabriele Rossetti si occupavano di letteratura italiana. In un arti-colo successivo Pepoli elencava artisti, letterati e studiosi meno noti, anche studiosi dell’arte della guerra o «nelle civili discipline d'ogni maniera»95.

6) Necrologi

Spesso la rivista riportava i necrologi o i discorsi tenuti du-rante i funerali o le commemorazioni di compagni di esilio o di personalità amiche. Funerali e commemorazioni, che riunivano esuli sovente dispersi per la Francia o per l'Europa, erano occasioni importanti, che rinforzavano la sensazione di costituire una rete, una cerchia solidale96. In questi discorsi tornavano i temi consueti dell'esilio: alla morte del patriota modenese Francesco Casali, un amico di Ciro Menotti morto a 24 anni, Pescantini esortava gli amici a piangerlo «perché è morto in terra straniera, morto mentre lunghi anni di vita gli restavano ancora per contemplare la sua pa-tria ringiovinita, la sua famiglia felice e superba di possederlo, morto senza poter stringere la mano alla donna de’ suoi amori, senza poter legare in un bacio l'anima d'un padre al proprio fi-glio»97. Si delineavano in questi discorsi i primi elementi del culto dei martiri della patria, da Ciro Menotti a Silvio Pellico, ai «martiri della filosofia e della italica libertà»98.

95 C. PEPOLI, Al ch. Prof. Benedetti a Stuttgard, in « L’Esule », tomo IV, pp. 212-229, pp. 224-226. 96 Per i funerali come manifestazione politica cfr. DIAZ, Un asile pour tous les peuples ?, pp. 215-218. 97 P. [PESCANTINI], discorso funebre di Francesco Casali, in « L’Esule », tomo III, p. 306. Cfr. anche C. PEPOLI, Necrologia del conte Leopoldo Cicognara, in « L’Esule », tomo IV, pp. 242-249. 98 C. PEPOLI, Al ch. Prof. Benedetti a Stuttgard, in « L'Esule », tomo IV, p. 216. Cfr., per l'evoluzione del mito del martire nei decenni successivi, BANTI, La na-zione del Risorgimento, pp. 170 ss.

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309 Amici e sostenitori

Come si evince dalle liste di abbonati elencate in precedenza,

la rivista aveva un largo seguito nei personaggi più vicini agli esuli italiani, così come tra molti altri esponenti del mondo intellettuale e politico francese; poteva contare anche su una certa simpatia da parte della famiglia reale francese e belga, rassicurata dagli intenti dichiaratamente letterari e – apparentemente – non politici de «L’Esule».

Abbiamo visto che il primo tomo era dedicato alla gioventù francese e che il secondo, pubblicato nel marzo 1833, era dedicato alla «Signora Principessa Donna Cristina Belgiojoso, nata Trivul-zio», «in questa terra, protettrice cortese d'ogni sventurato ita-liano»99 e che aveva assicurato a «L’Esule» il suo sostegno econo-mico. La Belgiojoso,100 stabilitasi a Parigi nella primavera 1831, dopo un primo momento di incertezza economica aveva aperto la sua casa agli amici francesi e accoglieva anche molti dei più mon-dani tra i collaboratori della rivista, in particolare Terenzio Ma-miani e Carlo Pepoli. Il generale Lafayette, molto legato alla Bel-giojoso, era il personaggio politico francese più vicino ai nostri esuli101; per quanto «vecchissimo, e sdilinquito»102 (morì nel mag-gio 1834), continuava ad essere un loro saldo punto di riferimento. L'aureola di gloria che ancora lo circondava, e la riconoscenza che

99 « L’Esule », tomo II, p. 8. 100 Per la Belgiojoso a Parigi cfr. R. BARBIERA, Passioni del Risorgimento. Nuove pagine sulla Principessa Belgiojoso e il suo tempo, p. 164; N. BELLUCCI, Il salotto parigino di Cristina Belgiojoso, “princesse révolutionnaire”, in Italia e Italie. Immagini tra Rivoluzione e Restaurazione, atti del convegno di studi, Roma, 7-8-9 novembre 1996, a cura di Mariasilvia Tatti, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 117-137, pp. 129-135; K. RÖRIG, La prima donna d’Italia. Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra politica e giornalismo, Milano, Franco Angeli, 2010. Per la presenza degli esuli nei salons parigini dell'epoca, cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp. 12 ss. 101 Cfr. MAMIANI, Parigi or fa cinquant'anni, pp. 594-595. 102 MINGHETTI, Miei ricordi, p. 31.

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310 gli doveva Luigi Filippo per averlo appoggiato nell'ascesa al trono, ne facevano un sostegno sicuro ma via via più debole: Marco Min-ghetti adolescente, portato da lui in visita lo ricordava compiangere «colle lagrime agli occhi»: «Ah mes chers romagnols ! Ah mes chers romagnols»103.

Il terzo tomo era dedicato a René de Chateaubriand, dedica da lui accettata con «amorevole condiscendenza»104. I curatori de «L'Esule» erano da poco entrati in contatto con il grande scrittore, che viveva ormai da anni lontano dalla vita politica, prima per dis-sidi con il governo dei Borboni, poi per una profonda avversione al nuovo regime di Luigi Filippo. Possono sembrare incongrue la fiducia e l'ammirazione di Pescantini e Frignani per un personag-gio che incarnava in pieno la mentalità della Restaurazione, ma va ricordato che Chateaubriand aveva difeso in un opuscolo pubbli-cato nell'ottobre 1831 la ribellione italiana di qualche mese avanti:

Il ne se faut pas accoutumer à traiter à tort et à travers, de carbonari et de révo-lutionnaires, les peuples qui font entendre de justes plaintes. Les arts ont consolé longtemps les Italiens de la perte de la dignité de la vie; mais tant de génie sera-t-il éternellement renfermé dans les chants des poètes, dans les chefs-d'œuvre des architectes, des peintres et des sculpteurs?105

Chateaubriand notava poi come l'Italia fosse stata l'unico

paese europeo a non godere delle conquiste della Rivoluzione fran-cese, che anzi vi avesse perso le poche libertà di cui fruiva prima del 1789. In realtà, la difesa dei ribelli del 1831 era per Chateau-

103 Ibidem. 104 F. PESCANTINI, in « L’Esule », tomo II, p. 346. Cfr. F. PESCANTINI, A. FRIGNANI, Dedica al Signor Visconte de Chateaubriand, in « L’Esule », tomo III, pp. 6-13. 105 R. DE CHATEAUBRIAND, De la Nouvelle proposition relative au bannissement de Charles X et de sa famille , ou Suite de mon dernier écrit De la Restauration et de la monarchie élective, Paris, Impr. Le Normant fils, octobre 1831, p. 86.

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311 briand soprattutto un pretesto per criticare il governo di Luigi Fi-lippo, accusandolo di «concession et de vilité»106, di sacrificare e di disonorare la dignità della Francia.

I curatori de «L'Esule» cercavano con ogni evidenza di te-nersi al di fuori delle questioni politiche francesi, accettando l'ade-sione di personaggi anche in contrasto tra loro come Chateau-briand, il ministro dell'istruzione Guizot, il generale Soult ministro della guerra, il banchiere Laffitte ex ministro delle Finanze o il de-mocratico Demosthènes Ollivier107. Era un atteggiamento coerente con lo stile e la prudenza dei curatori della rivista che – scriveva a Sismondi Filippo Ugoni, invitandolo a collaborare – «non conterrà articoli violenti e declamatori ma ragionati, tranquilli e scientifici. […] So bene che questa Rivista darà più noia al Despotismo che non glie ne desse la Giovane Italia, ma non potrà essere proibita senza un barbaro atto»108.

All'economista e storico svizzero Jean Simonde de Si-smondi, fautore appassionato della causa italiana, era dedicato il IV e ultimo tomo de «L’Esule». Pescantini e Frignani ammiravano in lui lo «storico delle Repubbliche Italiane», il «liberale in tutta la più nobile significazione del termine», gli esprimevano la loro ri-conoscenza per aver dato dignità storica a «una nazione ch'ora non può parlare che sommessamente de' suoi dolori, e di chi s'addolora per essa»109.

Un altro ardente ammiratore degli italiani, «maestri d'ogni arte e d'ogni letteratura»110, studioso di Dante111 e vicino ai direttori de «L'Esule», era Félicité de Lamennais. Lamennais guardava con 106 Ivi, p. 90. 107 Cfr. le liste degli abbonati a « L'Esule », citate nelle note 37, 38 e 39. 108 G. CALAMARI, Lettere di Camillo e Filippo Ugoni al Sismondi, in « Rassegna storica del Risorgimento », (1938), pp. 629-679, lettera di Filippo Ugoni a Si-smondi dell'8 marzo 1834, pp. 665-666. 109 F. PESCANTINI, A. FRIGNANI, Dedica a Sismondo Sismondi, in « L’Esule », tomo IV, pp. 6-9, p. 6 e 8. 110 MAMIANI, Parigi or fa cinquant'anni, p. 589. 111 Cfr. DI GIANNATALE, Esilio e Risorgimento, nota 95, p. 187.

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312 grande fiducia alla «risurrezione» dell'Italia, pur rimproverandole «l'abituale fiacchezza ed accidia»112:

Parce qu'on l'a enveloppée comme de bandelettes funèbres, on entend dire: l'Ita-lie né vit plus, elle est morte. Non, une nation qui a produit simultanément Mi-cali, Manzoni, Pellico, n'est pas une nation morte. La puissante vie qu'on refoule en son sein, y fermente en secret, et quand viendra l'heure marquée par la Pro-vidence, quand le géant qui sommeille dans le tombeau qu'on lui a lait, se ré-veillera, le monde poussera un cri d'étonnement à la vue des merveilles qui frap-peront ses regards113.

Se a questi personaggi si aggiunge Alphonse de Lamartine,

che fin dall'inizio aveva auspicato la nascita de «L'Esule»114, pos-siamo constatare come la rivista potesse contare su solidi appoggi tra i letterati e gli scrittori francesi; tuttavia, nonostante si fosse di-chiarato tra gli scopi del periodico quello di «rendere più familiari fra esse due letterature procedenti da un'origine comune»115, lo sguardo dei collaboratori del giornale sembrava rivolto solo agli italiani, alle loro glorie e ai loro guai, ed eventualmente all'imma-gine degli italiani che si specchiava negli occhi dei loro ospiti, senza interessarsi – almeno nelle pagine della rivista – alla vivacis-sima vita culturale francese. Sembrava trattarsi di un meccanismo,

112 MAMIANI, Parigi or fa cinquant'anni, p. 589. 113 F. DE LAMENNAIS, Histoire des anciens peuples italiens (Storia degli antichi popoli italiani, di Giuseppe Micali), in « Revue des deux mondes », (15 mai 1833), pp. 353-371, p. 370. 114 Da « L'Esule », tomo I, pp. 20 e 21: «Non fu da noi trascurato di consultare il parere di varj dotti Francesi sul nostro progetto, e ci rechiamo ad onore i con-forti ricevuti dal chiarissimo de Lamartine». Lamartine aveva scritto ai direttori de «L'Esule», a proposito del piano dell'opera: «je n'y trouve rien, qui ne soit de nature à vous donner tous les abonnés pour lesquels la littérature italienne a de l'intérêt, et qui seront heureux en même temps de concourir à une œuvre d'hos-pitalité». 115 « L’Esule », tomo I, p. 6.

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313 diffuso tra gli esuli, di difesa della loro identità116, basato su un’in-sicurezza sostanziale e sul timore di essere assorbiti dalla nazione che li aveva accolti.

I collaboratori de «L’Esule» non dimostravano infatti quella curiosità feconda, quel desiderio di mescolarsi e di apprendere da intellettuali e politici del paese ospite, che invece si ritrovava in tanti degli esuli descritti da Maurizio Isabella117. Nel periodo ri-stretto in cui la rivista venne pubblicata, redattori e collaboratori si arroccarono nell'urgenza di portare a termine il compito che si erano dati (far conoscere ed apprezzare la cultura italiana), igno-rando gli stimoli che potessero venire da fuori.

Gli esuli italiani sapevano bene di mancare di fiducia in loro stessi: Filippo Ugoni, fuggito all'estero già dal 1821, scriveva nel 1834 a Sismondi: «la povera Italia non sarà mai nulla fino a che la Francia non vorrà esercitare un'influenza su di essa; allora l'Italia ingigantirà credo in pochi anni ma solo allora, giacché per fare da noi soli, per rovesciare tanti ponderosi gioghi che ci opprimono ci manca la confidenza in noi stessi»118. Henri Bedarida acutamente notava che «Les Italiens qui vivaient alors en France, ceux qui ont envoyé vers la France leur message angoissé, les héros du passé ancien ou récent dont l'œuvre et la pensée se sont alors implantés chez nous : tous, nous ont offert le dramatique spectacle d'une na-tion qui se cherchait et se reprenait»119.

Anche l'immagine del paese e dei suoi abitanti, che emergeva dai numerosi libri di viaggi in Italia pubblicati in Francia in quegli anni, suscitava ne «L'Esule» puntigliose osservazioni; recensendo i Souvenirs d’Italie di André Hippolyte Lemonnier, si criticava la propensione dei viaggiatori stranieri in Italia a riprendere sempre

116 Cfr. BISTARELLI, La tela e il quadro, pp. 205 ss. 117 ISABELLA, Risorgimento in esilio. 118 CALAMARI, Lettere di Camillo e Filippo Ugoni al Sismondi, pp. 629-679, p. 665. 119 H. BEDARIDA, Relations et échanges intellectuelles entre la France et l'Italie, in « Revue des études italiennes », (aprile-settembre 1936), pp. 313-339, p. 337.

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314 gli stessi stereotipi sui difetti degli italiani, anche se l’autore adde-bitava «tali diffetti meno all'indole degli abitanti di quelle contrade, che all'indole delle istituzioni, non direm loro, ma de' loro domina-tori, i quali, o forestieri, od indigeni hanno avuto gran cura a darle pessime sempre»120.

Un episodio avvenuto tra la fine del 1833 e il 1834, e spesso ricordato nella memorialistica dell'epoca, è un chiaro esempio di questa suscettibilità. Il 18 novembre 1833 uscì sul «Journal des Dé-bats» un trafiletto firmato J. J. [Jules Janin], in cui si deplorava che in un paio di pièces teatrali appena uscite, gli italiani – come po-polo – venissero pesantemente derisi e calunniati. La prima pièce era un piccolo dramma recitato al teatro Gymnase, opera di un gio-vane autore e ambientato nel 1793 nel castello della baronessa Dalby; la baronessa nasconde un figlio proscritto e condannato a morte dal Terrore, ma è a conoscenza del segreto un giardiniere italiano, Morelli, il quale si affretta a denunciarlo al comitato di Salute Pubblica. Nel corso della stessa settimana, nella nuova pièce Maria Tudor di Victor Hugo, il personaggio dell'italiano Fabiani era umiliato in tutti i modi. Janin concludeva: «Les pauvres Italiens ont eu une rude secousse cette semaine. […]. Épargnez-donc cette noble, malheureuse et intelligente nation italienne, qui a produit Alfieri, poëtes et jeunes gens; c'est un acharnement de mauvais goût»121.

Il colpo più doloroso veniva da Victor Hugo, che – pur senza prendere ufficialmente posizione – era ritenuto piuttosto vicino alla causa italiana. Gli insulti che, nel suo dramma, la regina d'Inghil-terra lanciava all'antico favorito Fabiani erano micidiali:

120 Recensione a Souvenirs d’Italie, in « L'Esule », tomo I, pp. 476-481, p. 478. Cfr. S. PATRIARCA, Indolence and Regeneration: Tropes and Tensions of Risor-gimento Patriotism, in « The American Historical Review », vol. 110, 2 (April 2005), pp. 380-408, p. 383: «ltalian patriots intensely felt the burden of outsid-ers' representations». Sui libri dei viaggiatori inglesi in Italia cfr. ISABELLA, Ri-sorgimento in esilio, pp. 249 ss. 121 J.J. [JANIN], in « Journal des débats » (18 novembre 1833), p. 4.

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315

Ce misérable, que j'ai comblé de bienfaits ! ce laquais napolitain, que j'ai fait chevalier doré et comte libre d'Angleterre! Ah! je devais m'attendre à ce qui arrive! On m'avait bien dit que cela finirait ainsi. […] Italien, cela veut dire fourbe ! Napolitain, cela veut dire lâche ! Toutes les fois que mon père s'est servi d'un italien, il s'en est repenti. […] Oh! je devais le savoir d'avance, on ne peut tirer autre chose de la poche d'un italien qu'un stylet, et de l'âme d'un italien que la trahison !122.

Pescantini e Frignani reagirono subito sulle pagine de

«L’Esule», identificando erroneamente nel dramma Bertrand et Raton di Eugène Scribe la prima pièce incriminata (errore che si è poi perpetuato negli autori successivi): «non possiamo non indi-gnarci altamente contro alcuni scrittori di questa stessa nazione, i quali seguendo vecchie, false, e vandaliche tradizioni vorrebbero sulla scena rappresentarci come gl'Iloti, anzi il rifiuto dell'uman genere». Per «esecranda libidine degli applausi», Victor Hugo si era messo dalla parte dei tiranni:

Non fate che trovino pretesto a rassicurare le loro coscienze ne' vostri scritti, e più ferocemente gridino che in vero a gente tanto scellerata e vile quale voi di-pingete i loro diletti sudditi, altro non dee serbarsi che le prigionie gli esili, ed i suplizj. Rispettate l'Italia, rispettate quel sacro miserando avanzo d'infinite gran-dezze, e voi poeti rispettate prima d'ogni altri la terra ove nacque e regna la poe-sia123.

Sul tomo IV de «L’Esule» veniva raccontato il seguito della

storia: un altro fuoriuscito, il pittore Alessandro Valentini, aveva letto l’articolo del «Journal des débats» e deciso di chiedere ra-gione a Victor Hugo insieme a Federico Pescantini – che pure si

122 V. HUGO, Marie Tudor. Angelo. La Esmeralda. Ruy Blas. Les Burgraves, in Œuvres complètes, Paris, Imprimerie Nationale-Ollendorf, 1905, vol. 26, pp. 1-134, Journée II, Scène VII, p. 57. 123 F. PESCANTINI, A. FRIGNANI, Varietà. Alli SS. i V. Hugo e Scribe, in « L’Esule », tomo III, pp. 470-477, pp. 470 e 474.

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316 dichiarava profondamente contrario ai duelli. In loro risuonava si-curamente il ricordo della sfida lanciata dall'esule molisano Ga-briele Pepe, che il 19 febbraio 1826 aveva sfidato a duello Al-phonse de Lamartine (allora segretario di legazione a Firenze), per aver definito l’Italia «Monument écroulé, que l'écho seul habite; / Poussière du passé, qu'un vent stérile agite; / Terre, où les fils n'ont plus le sang de leurs aïeux, / Où sous un sol vieilli les hommes naissent vieux»124.

Pescantini e Valentini inviarono quindi una lettera al poeta tramite un altro esule, il musicista Marco Aurelio Marliani. Hugo rispose a Marliani che era ai loro ordini, ma che le opinioni procla-mate in Maria Tudor rispondevano solo ad esigenze drammatiche, e non esprimevano assolutamente il suo pensiero; anzi, scrisse su-bito una lettera a Pescantini, da divulgare poi sui giornali, in cui affermava la sua simpatia per l'Italia, e dichiarava che l’opinione espressa da Maria Tudor sugli italiani non rappresentava assoluta-mente le sue idee. Nella lettera Hugo concludeva: «je n'ai au fond du cœur que sympathie, fraternité et admiration pour votre noble nation, pour le caractère et pour le génie italien, pour l'Italie qui donne au monde depuis si long temps le grand spectacle de Rome, pour l'Italie qui a Dante et Raphaël et qui partage avec nous Napo-léon»125. La lettera di Victor Hugo venne spedita a vari giornali

124 A. DE LAMARTINE, Le dernier chant du pèlerinage d'Harold, in Œuvres com-plètes, Paris, C. Gosselin et Furne, 1837, tome II, p. 304. 125 Lettera di V. HUGO A M. F. Pescantini, avocat, et l'un des Directeurs de L'Exilé, journal de Littérature italienne, rue du Bac, 13, 10 Décembre 1833, in « L’Esule », tomo IV, pp. 118-121.

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317 parigini, ma fu pubblicata da pochi di loro126; ne fu poi tratto un foglietto volante da distribuire in giro127.

Fu questo un caso di «nazionalizzazione dell'onore»128 pa-triottico, in cui alcuni singoli si facevano carico (rischiando anche la vita) di difendere da accuse reputate ingiuste non uno Stato che ancora non esisteva, quanto un popolo, un "carattere nazionale", su cui pesavano pregiudizi e uno stigma diffuso.

Gli esuli in difficoltà

Nelle pagine de «L’Esule» intervenivano o venivano ricor-

dati i personaggi di maggior spicco dell’emigrazione italiana, ma non si parlava – se non per qualche cenno – della massa di fuoriu-sciti che avevano esulato anche loro per motivi politici o ideali, e che trascinavano una vita ben grama e difficile. Il desiderio di «farsi comunità»129, vivo nei primi tempi di Mâcon, si andò affie-volendo nelle difficoltà via via più stringenti, e le discordie che si aprirono tra gli esuli causarono sofferenze laceranti.

126 Per tutta la vicenda cfr. anche F. GALVANI, Biografia di Federigo Pescantini, Firenze, Tip. Giovanni Benelli, 1849, pp. 6-7; F. PESCANTINI, Lettres sur l'Italie, Lausanne, Impr. Marc Ducloux, 1840, pp. 79-80; L. RAVA, La sfida degli esuli romagnoli a Vittor Hugo (Parigi 1833), in « Nuova Antologia », (marzo-aprile 1902), pp. 313-323; BARBIERA, Passioni del Risorgimento, pp. 313-319; BELLELI, Voci italiane da Parigi, pp. 55 ss. 127 In una nota a un’edizione di Maria Tudor pubblicata qualche anno dopo, Hugo ribadiva che «ltalien, cela veut dire fourbe; napolitain, cela veut dire lâche etc. Si d'honorables susceptibilités nationales n'avaient été éveillées par ce passage, l'auteur croirait inutile de faire remarquer ici que c'est la reine qui parle, et non le poète. Injure de femme en colère, et non opinion d'écrivain», in V. HUGO, Marie Tudor. Angelo. La Esmeralda. Ruy Blas. Les Burgraves, p. 100, Notes de l'édition de 1837. 128 BANTI, La nazione del Risorgimento, p. 147. 129 BISTARELLI, Gli esuli del Risorgimento, p. 307.

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318 Già il sovrapporsi delle varie ondate di esuli aveva creato fri-

zioni tra i vari gruppi; nel maggio 1834 Niccolò Tommaseo, arri-vato da poco a Parigi, descriveva in modo pittoresco e maligno la variegata comunità dei fuoriusciti:

Uomini dell’ottantanove, del quattordici, del ventuno, del trentuno, del trenta-due, del trentatré, del trentaquattro; costituzione, repubblica; cospirazioni vec-chie, cospirazioni nuove; spiati, spie; calunniati, calunniatori; che danno il de-naro, che lo ricevono; che amano, che odiano; furbi, prudenti, imbecilli. Gli im-becilli abbondano: uomini tali che a crederli esiliati per colpa politica, ci vuol fede130.

Anche la mescolanza sociale e culturale poneva problemi:

Minghetti adolescente, portato nel 1831 a Parigi dalla madre, ri-cordava le lamentele di alcuni esuli, che si erano trovati in mezzo a una «compagnia malvagia e scempia» di emigrati, dove «ad uo-mini onoratissimi e patriotti era mescolata una feccia di bricconi e talora persino ladri e assassini, i quali avevano preso quel pretesto per venire in Francia, e sotto il manto di emigrati politici, ad eser-citarvi le loro ree arti»131.

Nascevano gelosie per la differenza di trattamento con esuli più ricchi o dotati di relazioni negli ambienti politici o intellettuali francesi132; Primo Uccellini, un fuoriuscito della fine del 1832, scriveva nel maggio 1833: «Una parte dei rifugiati si ritiene più abietta di un'altra, perché meno facoltosa ed educata, inveisce, mi-naccia, figura di essere oltraggiata, dirige accuse di ambizione e di superbia perché non è seguita nei suoi vizi, si raduna, elegge capi di sua soddisfazione, diviene ad insolenze forti»133. Sempre Uc-

130 R. CIAMPINI, Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze, Sansoni, 1945, lettera a Emilio de Tipaldo del 29 maggio 1834, p. 220. 131 MINGHETTI, Miei ricordi, p. 27. 132 Cfr. DIAZ, Un asile pour tous les peuples ?, p. 286. 133 UCCELLINI, Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano, lettera di Primo Uccellini a Giulio Fanti del 31 maggio 1833, pp. 196-197.

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319 cellini, qualche anno dopo, ricordava come si fosse guastato il rap-porto con il Paese che li accoglieva: «la Francia è stato un buon paese nel principio dell'emigrazione, tutti vi volevano, tutti v'ab-bracciavano: v'era emulazione nel fare del bene ai rifuggiti; ma passato questo primo trasporto, questa furia dell'asino che trotta, addio fichi»134.

Molti degli esuli erano delusi dall’accoglienza ricevuta: «ve-nuti in Francia colla speranza di trovar lode e conforto dei tentativi fatti per la libertà, a gran pena vi erano stati tollerati, e non che compassione ed affetto, ma per lo contrario avversione e disprezzo vi avevano incontrato»135.

La situazione politica francese era nel frattempo mutata; il governo di Luigi Filippo da una parte si era assestato, ma dall’altra era preso di mira dalle forze sociali deluse dalla monarchia censi-taria, e aveva irrigidito la sorveglianza sugli esuli. Nel 1834, le prime leggi più restrittive contro i raggruppamenti e le associazioni politiche misero in difficoltà molti fuoriusciti italiani136.

Dopo la spedizione in Savoia nel 1834 e negli anni Quaranta, falliti i diversi tentativi insurrezionali (in genere suggeriti o diret-tamente organizzati da Giuseppe Mazzini e dalla sua «rete di rivo-luzionari di professione»)137, l'atmosfera francese si fece sempre più pesante, e molti esuli preferirono trasferirsi in Svizzera, in Bel-gio e soprattutto in Inghilterra138 (dove però, per questioni di lingua e di costumi diversi, l'inserimento non era facile). Alcuni di loro riuscirono a riciclarsi in università o istituzioni culturali straniere, raggiungendo anche importanti posizioni professionali139: Antonio

134 Ivi, lettera di Primo Uccellini a Demetrio Orioli del 6 novembre 1839, p. 218. 135 MINGHETTI, Miei ricordi, p. 26. 136 Cfr. J. MISAN, Une revue italienne à Paris. L'Exilé (1832-1834), in « Revue de littérature comparée », 40, 4 (1966.), pp.585-598. 137 DEL NEGRO, L'Europa degli esuli, pp. 154. 138 Cfr. DIAZ, Un asile pour tous les peuples, pp. 183-189 e ISABELLA, Risorgi-mento in esilio. 139 Cfr. BISTARELLI, Gli esuli del Risorgimento, p. 341.

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320 Panizzi, per esempio, divenne direttore della British Library, men-tre Pellegrino Rossi fu nominato professore di diritto costituzionale in Sorbona. Si trattò di una vera "fuga dei cervelli" ante litteram, che arricchì gli ambienti in cui questi personaggi si trovarono a operare, ma che depauperò gravemente e a lungo la società e la cultura dei vari Stati italiani.

Conclusione

Dal terzo tomo, dalla triade dei direttori era sparito il nome

di Giuseppe Cannonieri, oramai troppo impegnato nella collabora-zione con la società dei Veri Italiani di Filippo Buonarroti, e allon-tanatosi dallo spirito conciliante del gruppo iniziale. Al quarto tomo la rivista si chiuse in modo molto affrettato, quasi improvvi-sato; addirittura, l'ultimo fascicolo non riportava più tutte le tradu-zioni in francese degli articoli, secondo i direttori perché i materiali erano troppo ampi e non c’era più lo spazio necessario – in realtà, molto probabilmente, per problemi finanziari140. Alla fine del IV tomo Pescantini ringraziava i collaboratori italiani e francesi, rifa-cendo la storia della rivista e ribadendo il limite prefissato di dare agli studiosi francesi un quadro sintetico della letteratura italiana, dal suo nascere fino all’epoca contemporanea141.

I destini successivi dei direttori, e di molti collaboratori de «L'Esule», furono diversi, anche se accumunati dalla lontananza dalla patria; quasi tutti poterono rientrare in Italia solo dopo l'ele-zione al soglio pontificio di Pio IX, e l'Editto del Perdono del 16 luglio 1846. Questa lunga assenza ebbe conseguenze importanti sia per i fuoriusciti, sia per il mondo che avevano lasciato; all'estero, gli esuli si erano abituati a un ambiente più stimolante e in movi-

140 Cfr. lettera di Niccolò Tommaseo a Gino Capponi, in I. DEL LUNGO, P. PRUNAS (eds.), Carteggio inedito dal 1833 al 1874, Bologna, Zanichelli, 1911, vol. 1, Firenze, Il primo esilio, Parigi. 1833-1837, pp. 213-214. 141 « L'Esule », tomo IV, pp. 447-450.

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321 mento di quello di provenienza, mentre lo Stato pontificio era ri-masto chiuso in una sterile diffidenza per tutto quanto sapesse di nuovo. Infatti, tra 1848 e 1849, il governo di Pio IX dovette ricor-rere a molti degli esuli appena rientrati perché si assumessero com-piti amministrativi e di governo: Terenzio Mamiani fu ministro de-gli Interni e Presidente del Consiglio, come anche Pellegrino Rossi, destinato a una tragica fine nel novembre 1848.

Dei tre direttori originari de «L'Esule», nel 1849 Giuseppe Cannonieri fu prima commissario dei Circoli del popolo di Firenze, poi deputato attivo e influente nell'Assemblea Costituente della Repubblica Romana. Caduta la Repubblica, si rifugiò a Genova dove si occupò di educazione e formazione della classe operaia, fino alla morte nel 1864.

Federico Pescantini (che era stato uno dei primi aderenti alla Giovane Italia) fu allontanato da Parigi142, e lasciò la Francia prima per l'Inghilterra, poi per la Svizzera, dove insegnò letteratura ita-liana e – ottenuta la cittadinanza elvetica – si occupò di politica locale. Nel 1840 pubblicò, in risposta all'affermazione di un pro-fessore svizzero secondo il quale «le peuple italien, au milieu d'un égoïsme tout sensuel, est tombé dans un déplorable engourdisse-ment», delle Lettres sur l'Italie, in cui ribadiva la vitalità e l'impor-tanza della cultura nazionale143. Rientrato in Italia nell'inverno 1847, partecipò alle rivoluzioni del 1848 prima in Romagna poi a Venezia; fu anche lui deputato della Repubblica Romana, e venne inviato dai triumviri a Parigi e a Londra per perorare la causa della Repubblica. Dopo la caduta di Roma e Venezia, tornò in Svizzera. Negli anni seguenti – nonostante l'antica amicizia con Mazzini – si avvicinò alla Società Nazionale di orientamento filosabaudo, ma anche dopo l'Unità preferì rimanere a Ginevra, dove morì nel 1875.

142 Cfr. GALVANI, Biografia di Federigo Pescantini, pp. 7-8. 143 F. PESCANTINI, Lettres sur l'Italie, Lausanne, Impr. Marc Ducloux, 1840, p. 17.

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322 Nel 1836 Angelo Frignani pubblicò delle Profezie sopra l'I-

talia144, che furono ignorate, poi nel 1839 le sue memorie di pri-gionia, intitolate La mia pazzia nelle carceri. Sperava forse di ri-petere il successo del libro di Silvio Pellico; la sua opera fu invece molto criticata, in modo immeritato, perché si trattava di un'opera molto interessante sia per l'argomento, che per la scrittura vivace e piena di umorismo. Visse poi agiatamente a Lione, occupandosi della traduzione italiana degli «Annales de la Propagation de la Foi», e lavorando a un Commento della Divina Commedia ad uso dei Francesi, mai portato a termine. Tornò in Italia in viaggio solo nel 1873, visitando varie città e soprattutto Roma. Di questo viag-gio rimane una descrizione in una lettera a un amico pubblicata da Luigi Rava, in cui Frignani racconta con qualche disincanto la sua patria giunta alla fine del processo unitario. Non aveva ritrovato gli antichi amici, a parte Mamiani, arrivato al sommo di una lunga e importante carriera politica e letteraria: «I più erano già morti, ed alcuni pochi, perché decrepiti e rimbambiti, eransene tornati in seno alle loro famiglie». Ammirò il nuovo esercito italiano, e si compiacque del

Culto che già si rende per tutta l'Italia alla memoria dei nostri uomini grandi in fatto di lettere, di scienze, e di arti, e più segnalatamente ed universalmente di quelli, i quali con gli scritti prepararono di lunga mano gl'intelletti, e di quelli che con l' opera condussero alla rivoluzione, che doveva far nascere l'unità no-stra il dì che ne' Cieli era prefisso.

Si dispiaceva solo che la lingua italiana, da lui coltivata e

insegnata con tanto amore negli anni dell'esilio fosse così trascu-rata: «Di quanto male ciò debba essere principio, si può desumere dal suo contrario; cioè dal sommo bene che all'Italia recò lo studio

144 Cfr. V. CIAN, Le profezie d'un esule italiano del 1836. Il ravennate Angelo Frignani, in « Nuova Antologia », (settembre-ottobre 1928), pp. 157-173.

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323 e la pratica di quella nobile lingua scritta dai nostri più sublimi au-tori, la quale per più secoli fu il solo ed unico italico segno di fra-tellevole unione, che non fosse bandito dalla mannaia»145.

Pescantini chiudeva l’ultimo fascicolo de «L’Esule», auspi-cando la nascita a Parigi di un giornale che dimostrasse la soprav-vivenza della cultura e della nazione italiana; tuttavia solo nel de-cennio successivo – soprattutto a opera di Cristina di Belgiojoso – numerosi giornali pubblicati in Francia riportarono all’attenzione dell’opinione pubblica il problema dell’unità italiana146. Si trattava però di periodici eminentemente politici, molto diversi dal «Gior-nale di letteratura italiana antica e moderna» che aveva inteso es-sere «L’Esule»; i curatori di questo giornale, vivendo in tempi an-cora incerti sul destino dell’Italia, avevano soprattutto voluto (scri-veva Maroncelli) ricordare alla Francia e all’Europa, senza «parola di burbanza», la sua «grandezza passata, che sfavilla ancora di molte illustri corone, a malgrado delle magne belve, incalzanti, cir-cuenti, ruggenti, cercando quale sfronderan prima, qual poi, – per indi vorarle tutte»147.

145 L. RAVA, Angelo Frignani (1804-1878) (ricordi di un martire dell'indipen-denza italiana), in « Rivista politica e letteraria », (aprile 1898), pp. 53-90, pp. 78, 85-86. 146 Cfr. BELLELI, Voci italiane da Parigi, p. 101 e P.L. VERCESI, La principessa di Belgiojoso giornalista, direttore ed editore di giornali, in "La prima donna d'Italia". Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra politica e giornalismo, Milano, Franco Angeli, 2010, pp. 83-106. 147 P. MARONCELLI, Musica italiana, in « L’Esule », tomo II, pp. 120-133, pp. 120-122.

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324 Figure

Figura 1 Luigi Calamatta, L’Italia 1831, Biblioteca di Storia moderna e contemporanea

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325

Figura 2 Frontespizio del tomo I de « L’Esule »

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Figura 3 Frontespizio del tomo II de «L’Esule »

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Figura 4 La tour de Pise, dal tomo I de « L’Esule », p. 425

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Figura 5 L’arco del Sempione, dal tomo IV de « L’Esule », p. 424

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