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UNITA’ PER LA COSTITUZIONE CONVEGNO MONOPOLI SETTEMBRE 2015 UFFICIO PER IL PROCESSO, TIROCINI FORMATIVI E ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DEL GIUDICE CIVILE Di Giuseppe Rana, giudice del tribunale di Bari (testo provvisorio) SOMMARIO: Introduzione 1. Ufficio per il processo e organizzazione. 2. L’organizzazione del processo: modello lineare e colli di bottiglia. 3. I metodi di lavoro: le pentole sul fuoco 4. I poteri del giudice in concreto: what courts will do in fact 5. Ufficio per il processo e buone prassi 6. Le funzioni di collaborazione: i mansionari e la scheda del processo. 7. Le criticità 8. Ufficio per il processo, PCT, efficienza e qualità delle decisioni Letture consigliate: RANA, La Governance della Giustizia civile, ed. Aracne, 2014, con specifici riferimenti al contesto organizzativo ed ai rapporti tra Ufficio per il processo, buone prassi e organizzazione. Per una approfondita disamina storica del dibattito sul tema, V. S. ROSSI e L. VERZELLONI, Verso l’ufficio per il processo, in Quaderni di giustizia e organizzazione, 2007, 3, pagg. 122 e ss.. Per un contributo recente, FABBRINI, Convenzioni e collaborazioni tra enti locali: l’ufficio per il processo, in SCIACCA, VERZELLONI, MICCOLI, Giustizia in bilico - i percorsi di innovazione giudiziaria: attori, risorse, governance”, Ed. Aracne, 2013, pagg. 315 e segg.. V. anche ZAN, L’Ufficio per il processo tra mito e realtà, ivi, 2007, 2, pagg. 112 e ss. Id., Le Organizzazione complesse, ed. Carocci 2011

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UNITA’ PER LA COSTITUZIONE

CONVEGNO MONOPOLI SETTEMBRE 2015

UFFICIO PER IL PROCESSO, TIROCINI FORMATIVI E

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DEL GIUDICE CIVILE

Di Giuseppe Rana, giudice del tribunale di Bari (testo provvisorio)

SOMMARIO:

Introduzione

1. Ufficio per il processo e organizzazione.

2. L’organizzazione del processo: modello lineare e colli di bottiglia.

3. I metodi di lavoro: le pentole sul fuoco

4. I poteri del giudice in concreto: what courts will do in fact

5. Ufficio per il processo e buone prassi

6. Le funzioni di collaborazione: i mansionari e la scheda del processo.

7. Le criticità

8. Ufficio per il processo, PCT, efficienza e qualità delle decisioni

Letture consigliate:

RANA, La Governance della Giustizia civile, ed. Aracne, 2014, con specifici riferimenti al contesto

organizzativo ed ai rapporti tra Ufficio per il processo, buone prassi e organizzazione.

Per una approfondita disamina storica del dibattito sul tema, V. S. ROSSI e L. VERZELLONI, Verso l’ufficio per

il processo, in Quaderni di giustizia e organizzazione, 2007, 3, pagg. 122 e ss..

Per un contributo recente, FABBRINI, Convenzioni e collaborazioni tra enti locali: l’ufficio per il processo, in

SCIACCA, VERZELLONI, MICCOLI, Giustizia in bilico - i percorsi di innovazione giudiziaria: attori, risorse,

governance”, Ed. Aracne, 2013, pagg. 315 e segg..

V. anche ZAN, L’Ufficio per il processo tra mito e realtà, ivi, 2007, 2, pagg. 112 e ss.

Id., Le Organizzazione complesse, ed. Carocci 2011

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Introduzione

I recenti interventi normativi di riforma delle valutazioni di professionalità attribuiscono una forte

rilevanza alla capacità di autoorganizzarsi da parte del magistrato.

Va tenuto nel debito conto, tuttavia, che le modalità di gestione del c.d. ruolo, ossia del portafoglio di

casi assegnati al singolo giudice e di cui egli porta la responsabilità, così come la conduzione dei singoli casi,

sono tradizionalmente espressione di una forte cultura dell’autonomia, che si suole ancorare a valori

costituzionali non negoziabili.

Questo tradizionale modo di pensare, tipico delle organizzazioni a legame debole teorizzate da

Weick negli anni Settanta e poi riprese in Italia da Stefano Zan, attribuisce forte centralità alla qualità della

decisione, considerata per tradizione fattore determinante di legittimazione professionale e sociale del

giudice. La sua veicolazione all’esterno è assicurata attraverso l’uso di una cultura raffinata della

motivazione, tutta di stampo tedesco.

La ricaduta negativa di questa cultura, tuttavia, si esprime da un lato nella tradizionale mancanza di

modalità organizzative standardizzate e uniformi, si se eccettua il rispetto dei termini processuali e

disciplinari di deposito delle motivazioni, e dall’altro in una storica carenza di sensibilità verso la tempistica

complessiva, considerata tradizionalmente una variabile non pienamente governabile, imposta

essenzialmente da carichi di lavoro abnormi.

Questo deficit di sensibilità di ricollega a sua volta alla convinzione – peraltro realistica- che il

giudice ha sempre più casi da risolvere di quelli che può, sicchè l’unico parametro organizzativo del lavoro

individuale risulta per tradizione il numero massimo di casi da trattare per udienza ed il numero massimo di

decisioni che si possono prendere e motivare in una data unità di tempo. Il tutto dando per scontato che non

vi sono nel lavoro individuale quotidiano spazi significativi di recupero di efficienza.

Inoltre, il giudice, per tradizione, tende a fidarsi solo di se stesso e non è abituato a dalegare compiti

o a lavorare in squadra.

Questa cultura tradizionale vive un momento di forte evoluzione, determinato dall’avvento di alcuni

elementi di novità particolarmente importanti.

Da anni ormai il tema dell’ufficio per il processo, o UPP, è al centro del dibattito sui temi

dell’organizzazione degli uffici giudiziari. Si tratta di un percorso culturale che ha preso le mosse sin dal

2003 dal circuito della magistratura associata e da quello degli Osservatorii per la giustizia, giungendo ben

presto ad interessare anche il mondo accademico e quello degli specialisti della organizzazione

Il tema è ormai percepito come questione chiave per i nuovi assetti organizzativi dei tribunali. La

ragione della fortuna di questa tematica è probabilmente nel fatto che in essa si intuisce in qualche modo un

felice e promettente compromesso tra efficienza ed efficacia della giurisdizione, o, se si vuole, la soluzione

di una antica e mai del tutto risolta antinomia tutta italiana tra quantità e qualità della giurisdizione.

1. Ufficio per il processo e organizzazione.

Si suole parlare anche di “Ufficio del giudice” ma sembra prevalere l’idea che il termine “Ufficio

del Processo” meglio si attaglia allo spirito del progetto, rappresentando l’idea di una modalità lavorativa

che supera i confini della stanza del magistrato per porsi in necessario e più utile coordinamento con la

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cancelleria e con l’intera organizzazione.In molti ritengono giusto i rischi di una eccessiva enfatizzazione del

tema, se non addirittura di una mitizzazione.

Occorre essere chiari: si tratta allo stato di una visione organizzativa che ha sì trovato

progressivamente appoggi normativi sempre più precisi ma che ha bisogno di cambiamenti organizzativi e

culturali profondi per spiegare realmente i suoi effetti. Cambiamenti che per altro verso devono fare i conti

con la tradizionale eterogeneità delle situazioni locali e con molte resistenze.

Gli studiosi di organizzazione tendono a mettere al centro appunto i temi organizzativi ed a

rappresentare l’inutilità degli interventi normativi se considerati in modo avulso dalla opportuna gestione del

cambiamento organizzativo: tuttavia, poche altre situazioni come quelle dell’UPP dimostrano la necessità -

ma anche le opportunità- di un efficace incontro tra saperi diversi. Certamente il sapere organizzativo nel

senso stretto del termine è essenziale in questa materia, ma il passaggio decisivo va individuato nella

manovra coordinata di certe particolari leve, peraltro tutte estranee alla cultura tradizionale del giurista:

struttura, tecnologia, metodologie, leadership-coinvolgimento.

Prtima di passare all’analisi dell’Ufficio per il processo e del ruolo che gli stages hanno per la sua

ottimale attuazione, occorre occuparsi di alcune problematiche, la cui comprensione appare preliminare: la

struttura organizzativa del processo, i possibili metodi di lavoro ed i poteri del giudice in concreto.

2. L’organizzazione del processo: modello lineare e colli di bottiglia.

Dal punto di vista organizzativo il modello processuale italiano (comune grosso modo a tutti i riti) è

basato su una successione sequenziale di udienze che, salvi gli atti di disposizione delle parti, conduce con

tempi non predefiniti alla decisione finale: si tratta del c.d. ruolo fisso1.

Secondo le intenzioni originarie del legislatore del 1940, si trattava di un modello in cui i

cui tempi e modi erano regolati, almeno sulla carta, dal giudice istruttore indipendemente dal fatto

che una o tutte le parti avessero interesse alla sollecita trattazione della lite o, piuttosto, a lasciarla

quiescente o a temporeggiare. Si supponeva che bastasse l’autorità del giudice e l’uso accorto dei

suoi poteri acceleratori (anche quando le parti volessero soltanto perdere tempo) per regolare i

tempi del processo in nome di un superiore interesse dello Stato.

Per altro verso, quella ad udienze sequenziali obbligatorie è una tecnica processuale che è diretta

conseguenza della preminenza attribuita al ruolo del giudice, la quale a sua volta è espressione dei pilastri

chiovendiani della oralità, immediatezza e concentrazione.

L’udienza è quindi il luogo in cui la centralità del giudice si esplica, in attuazione della ideologia

sottesa al processo vigente.

Gran parte delle attività doveva svolgersi in una successione lineare di poche udienze, il cui numero

e la cui destinazione erano stabiliti in linea di massima dal giudice.

Tuttavia, contrariamente a quanto previsto nel 1941, oggi, con l’accordo tacito di tutti gli attori le

attività difensive si svolgono per lo più per iscritto fuori dall’udienza. Questa è per lo più destinata ad

attività puramente notarili ed interlocutorie, peraltro ulteriormente diluite in prassi vischiose ed in una

generale confusione di ruoli. L’udienza, più simile ad una attività “di sportello” che ad una solenne

celebrazione rituale, replica se stessa in una serie di momenti di incontro tra parti e giudice e di attività che

procedono confusamente in parallelo con riferimento alle numerose cause in trattazione quel determinato

1 Sulle cui connotazioni sul piano della analisi organizzativa vedi diffusamente VERZELLONI, Dietro alla cattedra del

giudice, Bologna, 2009, pagg. 109 e segg.. La gestione del processo sul piano organizzativo ed i conseguenti riflessi sul

case management saranno appronditi nei paragrafi che seguono.

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giorno: essi risultano peraltro del tutto incomprensibili all’estraneo che si trovi per avventura a frequentare le

aule civili, il quale si attende, secondo il senso comune, di vedere un giudice che tiene “udienza” ossia che

ascolta e prende decisioni. Non certo si attende di vedere un indefinito gruppo di persone che svolge attività

confuse ed incomprensibili senza alcun risultato apparente che non sia -quasi sempre. la fissazione di

un’altra udienza.

Una delle non poche criticità rappresentate dei risvolti negativi del modello sequenziale ad udienza

fissa è che la causa resta sempre formalmente pendente fino alla sentenza o fino a che le parti esercitano le

loro poteri di disposizione, ossia fondamentalmente quelli di cui agli artt. 306 e segg. c.p.c. o quelli di

transigere.

Ma la pendenza del processo non è un dato neutro per il sistema e per lo stesso giudice.

Intanto il suo prolungarsi senza alcuna attività crea obiettivamente i presupposti, ai sensi dell’art. 6

della Convenzione sui diritti dell’uomo e della legge Pinto, di una responsabilità dello Stato e del giudice

oltre che un impiego di risorse organizzative ed economiche rilevanti che, sommate tra loro in ragione del

numero di affari, costituiscono un pesantissimo onere per il sistema che a sua volta genera altre ricadute

negative come la crescita dei costi complessivi di accesso.

In più, la normativa vigente, e in particolare l’art. 37 della l. 11 del 2011, attribuisce alla complessiva

pendenza degli uffici un disvalore che va contrastato, obliterando che si tratta di una variabile di forte

suggestione simbolica ma non certamente esaustiva dei problemi di sistema, di cui è un aspetto sintomatico o

poco più.

In definitiva, l’immagine organizzativa del processo italiano è una somma di sequenze parallele che

procedono secondo un reticolo di interdipendenze sequenziali e reciproche: il singolo processo fluisce

incrociandosi verticalmente con l’azione di diversi soggetti (avvocati, giudici, cancellieri, ufficiali giudiziari,

stagisti) ciascuno dei quali risponde alla sua “gerarchia” organizzativa senza che nessuno risponda del

risultato generale.

In sintesi: i fascicoli cartacei, esplicitamente custoditi in cancelleria e ordinati proprio “per udienze”

(le cui date sono annotate sui relativi faldoni), vanno prelevati e maneggiati vuoi per trasportarli nell’aula di

udienza vuoi per consentire eventuali consultazioni del giudice o delle parti; vanno raccolte e inserite nel

fascicolo le eventuali memorie depositate preventivamente; va stampato il ruolo di udienza, ossia l’elenco

delle procedure chiamate a quella determinata udienza; va redatto il relativo verbale delle operazioni

compiute in udienza ed emesso il provvedimento del giudice, ma non prima che i procuratori delle parti

abbiano consultato il fascicolo prima di presentarsi al giudice e operato una prima negoziazione con

l’avversario sul da farsi; il fascicolo va nuovamente maneggiato per riportarlo in cancelleria, salve eventuali

consultazioni successive e rilascio di copie utili agli avvocati per il loro archivio di studio; le attività

compiute e la data della nuova udienza vanno annotate nel registro elettronico (c.d.scarico).

In più i momenti sequenziali basati sulla celebrazione dell’udienza sono in genere alquanto dilatati e,

nei casi limite, si misurano addirittura in anni: ciò comporta dei tempi di latenza intermedi in cui, almeno

nel passato, si verificava una sorta di sonno in cui tutti gli operatori, avvocati compresi, incorrevano in una

sostanziale perdita di memoria dei dati informativi importanti relativi alla lite, con la necessità di affannosi

quanto artigianali recuperi di informazioni in prossimità dello step successivo.

Ancora: la sequenzialità obbligata delle attività comporta che i ritardi di ogni step si sommano a

quelli successivi con un effetto che, sommato a quello delle varie cause parallele gestite, diventa

esponenziale e fa diventare strutturale ed endemico il ritardo.

3. I metodi di lavoro: le pentole sul fuoco

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E’ stato osservato da alcuni studiosi che <<I giudici più lenti tendono a lavorare in modo parallelo

invece che sequenziale, ossia “tengono troppe pentole contemporaneamente sul fuoco” e per questo

finiscono per “cucinare meno pasti per unità di tempo”. Il modo di lavoro sequenziale sarebbe coerente con il

principio della “Concentrazione del Processo” e consente di ridurre in modo non trascurabile la durata dei

procedimenti a parità di risorse e di carichi di lavoro>>. Una indagine del 2009 condotta nei tribunali di

Milano e Torino da COVIELLO, ICHINO E PERSICO

(http://www.andreaichino.it/scientific_publications/mito13.pdf) dimostrerebbe infatti che, considerando un

giudice a cui vengano assegnati due casi, A e B, richiedenti 100 giorni ciascuno di lavoro, se egli lavora nei

giorni pari sul caso A e nei giorni dispari sul caso B impiegherà (circa) 200 giorni a completare entrambi i

casi: lavorando in parallelo la durata media è di 199+200/2 = 199.5 giorni. Se lavora prima solo sul caso A e

poi solo sul caso B, completa il primo in 100 giorni e il secondo in 200 dalla data di assegnazione: lavorando

in sequenza, su un caso alla volta, la durata media `e di 100+200/2 =150 giorni.

Dunque il lavoro sequenziale allungherebbe la durata di inattività dei casi in attesa di essere presi in

considerazione, ma ridurrebbe al minimo possibile la durata di completamento di ciascun caso, consentendo

di ridurre la durata totale media.

L’analisi non sembra tener conto del fatto che il momento dell’avvio della lite (ossia la prima

udienza di trattazione) è solo parzialmente nella disponibilità del giudice quanto a data di fissazione, sicchè

nella pratica succederebbe che, celebrata la prima udienza, il caso, accodato ad altri con tempi più o meno

lunghi, entrerebbe in una fase di latenza particolarmente ampia prima di poter essere istruito e deciso: fatto

che le parti difficilmente sarebbero disposte a tollerare, specialmente in alcune tipologie di contenzioso come

quello familiare. Per di più, nessun giudice parte mai con un ruolo pari a zero, perchè di solito eredita

un’agenda già formata che lo vincola per parecchi mesi, se non anni.

Illuminante sul punto è lo studio condotto da C.O. Gruppo s.r.l. nel 2001 sulla fattibilità del processo

civile telematico e sulla propedeutica analisi organizzativa.

Secondo gli esperti, si deve supporre per comodità che un giudice parta da zero. La settimana tipo

prevede tre mattine di udienza, di cui una mezza mattinata per le prime udienze e le altre per tutti gli altri tipi

di udienza, un pomeriggio per attività di collegio o comunque per cose da fare in tribunale, il resto del tempo

per scrivere sentenze.

Nella prima settimana, nel giorno di prima udienza, il giudice si troverà di fronte, ad esempio,

venticinque cause.

Supponiamo che, rispettando tutti i tempi previsti dal codice, riesca a portare avanti in parallelo,

utilizzando le altre due mattinate di udienza, le venticinque cause. La supposizione non è del tutto infondata

anche se costringe ad udienze sempre molto veloci in cui non è possibile perdere tempo ed in caso di

problemi si è costretti al rinvio per rispettare l’agenda di udienze prevista per ogni singola giornata.

Così facendo, a distanza di circa un anno (tempo minimo previsto dal rito), il giudice avrà portato a

termine l’iter delle venticinque cause iniziate nella sua prima settimana di lavoro. A quel punto deve scrivere

le relative sentenze: diciamo venti perché in itinere cinque cause hanno trovato altra soluzione. Il tempo

necessario per scrivere venti sentenze può ovviamente variare in base a tanti fattori ma comunque, anche

solo come impegno “materiale”, difficilmente scende sotto le tre-quattro ore. Con gli impegni che comunque

continuano in tribunale diciamo che abbia a disposizione circa venti ore alla settimana per scrivere sentenze

per un totale diciamo di cinque-sei sentenze.

Se fino a questo momento era riuscito a mantenere in parallelo le venti cause, adesso è costretto a

metterle in sequenza impiegando almeno quattro settimane per scrivere tutte le sentenze delle cause che

avevano preso avvio nella sua prima settimana di lavoro.

Ma nella seconda settimana avevano preso avvio altre venticinque cause, così come nella terza e

nelle successive. Nella migliore delle ipotesi, se tutto fila liscio e sappiamo che così non è, ad ogni nuova

settimana di udienza si somma, strutturalmente, un mese di ritardo. Se a questo aggiungiamo le ferie, le

malattie, l’aggiornamento professionale, la vita associativa, etc. che sconvolgono, da questo punto di vista,

l’agenda del magistrato e comportano ulteriori rinvii, si comprende che se si vuole risolvere il problema

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aumentando il numero di giudici bisogna avere la consapevolezza che, lasciando inalterate le altre

condizioni, bisognerebbe disporre di un numero di giudici di quattro - cinque volte superiore all’attuale

Mentre il giudice, può gestire in parallelo senza limiti stringenti le progressioni sequenziali

rappresentate dalle cause nella fase iniziale ed istruttoria – e dunque gestire numerose cause ad ogni udienza-

, il momento finale della decisione richiede un tempo assai maggiore rispetto a quello relativo alle numerose

ma semplici attività di tipo preparatorio, ad eccezione forse dell’assunzione delle prove orali. Una volta

esaurita la trattazione e finita l’istruttoria, quello che prima era gestibile in parallelo, ora deve essere messo

in sequenza dal singolo giudice: solo un numero finito di casi può esser studiato e deciso in un tempo dato, e

questo numero è quasi sempre inadeguato rispetto al numero di casi in ingresso. La fissazione del momento

della decisione richiede dunque tempi lunghi, che ciscun tribunale e ciascun giudice programma secondo

tecniche e meccanismi che coinvolgono direttamente il court management e gli atti di pianificazione

generale dell’ufficio.

A ben vedere, esistono anche altri e meno visibili colli di bottiglia nella sequenza organizzativa del

processo, tutti collegati in qualche modo alla massima capacità decisionale del giudicante: ad esempio il

numero massimo di decisioni cautelari adottabili per ogni udienza o il numero massimo di attività istruttorie

che possono essere realizzate sempre per ogni udienza.

In generale, ogni attività non puramente burocratica richiede un certo tempo e ciò impone di

scaglionarne l’esecuzione: anche in questo caso, ciò che poteva fluire in parallelo, deve essere messo in

sequenza secondo un criterio di programmazione più o meno raffinato. Non dimentichiamo poi che la

struttura amministrativa e lo stesso ambiente edilizio dei nostri palazzi di giustizia non sono in grado di

gestire per ogni giudice più di un certo numero di udienze settimanali.

Concludendo questa prima parte della trattazione, si può affermare che il primo problema del giudice

civile, stante la particolare struttura organizzativa e processuale del rito civile, è il governo dell’udienza e di

ciò che vi è connesso: attività preparatorie, numero e tipologia di casi da trattare e di decisioni da adottare,

tempi di latenza tra un’udienza e la successiva. Il secondo e più grave problema è il numero di decisioni che

possono essere prese da ciascuno in un tempo dato.

4. I poteri del giudice in concreto: what courts will do in fact

Occorre fare una fondamentale distinzione tra i poteri del giudice civile , che si fonda sulla tipologia

di norme applicabili.

Un primo gruppo di disposizioni processuali implica un potere-dovere del giudice e la loro

violazione determina l'invalidità del provvedimento, sindacabile in sede di impugnazione2. Un secondo

gruppo implica un potere discrezionale, sindacabile con esclusivo riferimento alla motivazione3. Un terzo

2 Ad esempio il potere-dovere di rilevare il difetto di giurisdizione, l'incompetenza, la regolarità delle notificazioni e

della costituzione delle parti, e, in genere, l'osservanza del principio del contraddittorio.

3 Ad esempio, il potere di decidere se la causa deve essere istruita o decisa allo stato degli atti, ex art. 187 c.p.c.; i

provvedimenti sulla rilevanza dei mezzi di prova e sulla valutazione dei medesimi, ai sensi dell'art. 116, comma 1°,

c.p.c.; nonché i provvedimenti cautelari, presupposto comune dei quali è la sussistenza di un di un periculum in mora,

la cui sussistenza è sindacabile in sede di reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c..

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gruppo regola l'esercizio di poteri meramente ordinatori, affatto insindacabili: sono quelli che fanno capo

all’art. 175 c.p.c.4.

Ebbene, nel concreto la tempistica e la qualità nella gestione del processo, nei limiti concessi dal

sistema, dipendono essenzialmente dall’esercizio dei due ultimi gruppi di prerogative del giudice.

Un interessante studio comparativo condotto in alcuni tribunali del lavoro nel 2001 ha evidenziato

che “a fronte di un’unica legge processuale, i magistrati organizzano le tempistiche dei procedimenti del loro

ruolo in maniera molto diversa… Queste differenze si riscontrano in ogni dimensione presa in

considerazione: dalla gestione dell’agenda alla definizione dei rinvii, dalla durata dei procedimenti alle

tempistiche da dedicare alle varie attività di udienza”5.

E’ vero, d’altra parte, che da sempre la cultura della magistratura italiana è connotata da una forte

rivendicazione della propria autonomia intellettuale da parte dei singoli giudici: questo è il motivo per il

quale l’analisi delle prassi applicative dei poteri ordinatori del giudice tocca prima o poi corde sensibili ed è

destinati ad incontrare qualche incomprensione.

Dal punto di vista dell’utente, tuttavia, resta valida l’aspirazione secondo cui " they wanted lawyers

who went into any federal courts [...] to know what to expect and not to have to undergo a initiation period or

to rely on the wisdom of local pratictioners"6.

Per altro verso lo stesso spazio ordinatorio è quello in cui può e deve attuarsi ogni politica

individuale di case management e di miglioramento qualitativo e quantitativo dell’attività giurisdizionale: in

definitiva, è l’unico spazio di manovra rilevante oggi previsto dalle norme processuali vigenti.

Se poi questa politica complessiva si basa anche su prassi comuni, conosciute e prevedibili, quella

“pluralità di giochi paralleli ed intrecciati” che caratterizza la gestione quotidiana del processo si fa meno

confusa ed anche gli studiosi di organizzazione possono darsi qualche momento di serenità: se tutti sanno in

anticipo che una certa tipologia di cause riceve di regola un certo trattamento quanto a tempistica e modalità

decisionali in ragione della qualità delle parti e della materia; che le domande ed eccezioni prive di

ragionevoli possibilità di accoglimento subiscono sempre una determinata politica di disincentivazione

basata per esempio sulla regolazione opprtuna delle spese di lite e sull’applicazione della lite temeraria; che

invece le liti più delicate che attengono ai diritti più rilevanti percorrono sempre una corsia preferenziale; se

infine tutti hanno concorso a determinare queste regole, allora il gioco cambia in modo sostanziale le sue

regole, in una prospettiva di reale equità e trasparenza.

Ma per attuare politiche individuali e collettive di questo tipo, occorre un giudice che, in ogni

momento della sua attività, sia assistito dalle opportune informazione strategiche: solo in questo modo egli

può esercitare tempestivamente ed accuratamente, ad esempio, i fondamentali poteri di cui all’art.187 c.p.c..

Diversamente, egli diventa un giudice passivo, vittima predestinata dei carichi di lavoro, che affida solo al

suo fiuto ed alla sua esperienza le scele strategiche di tipo giurisdizionale e organizzativo. Ciò appare

fondamentale in contesti dove il rapporto tra domanda di giustizia in ingresso e numero di giudici è

particolarmente penalizzato, come nel distretto di Bari.

4 Basti pensare, ad esempio, alla possibilità di rinviare la prima udienza di trattazione ai sensi dell'art. 168-bis, comma

5° c.p.c., alla scelta se provvedere in udienza o fuori udienza, alla decisione se esperire il tentativo di conciliazione alla

prima udienza o in prosieguo e molte altre.

5 VERZELLONI, Stanza che vai, prassi che trovi. Riflessioni organizzative sulla giustizia del lavoro (18 giugno 2010), in

http://www.nelmerito.com/ index.php?option=com-content&task=view&id=1092&Itemid=1. ID., Dietro alla catttedra

del giudice: pratiche, prassi e occasioni di apprendimento, Bologna, 2009.

6 SHAPIRO, Federal Rule 16: A Look at the Theory and Practice of Rulemaking, in 137 U. Pa. L. Rev., 1989, p. 1974.

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5. Ufficio per il processo e buone prassi

E’ noto che alcune legislature or sono il guardasigilli Mastella presentò al Senato un DDL in materia

di “ufficio per il processo” (n. 2873 del 5 luglio del 2007), nel quale si delineava la sua struttura

organizzativa: il progetto di legge conteneva per la prima volta un modello strutturato di staff al servizio

della giurisdizione, imperniato sulla logica organizzativa del presidio del risultato e non delle singole fasi del

procedimento7.

Essenziali nel modello immaginato dal governo dell’epoca erano tre direttrici di cambiamento:

1) utilizzo delle nuove tecnologie quali il Processo Civile Telematico e le banche dati di giurisprudenza,

oltre all’analisi dei flussi statistici;

2) riorganizzazione delle strutture di cancelleria mediante una razionalizzazione dell’impiego delle risorse ed

una migliore qualificazione del personale amministrativo attraverso la previsione di un servizio di

collegamento con le parti e il pubblico;

3) creazione di un nuovo profilo di collaboratore del giudice, con finalità prevalente di supporto all’attività

decisionale mediante attività di studio e di ricerca dottrinale e giurisprudenziale.

Il tutto si accompagnava alla attribuzione ai capi degli uffici giudiziari di uno specifico potere-

dovere di programmazione e di controllo dell’attività dell’ufficio del processo nonché di coordinamento e di

verifica con inserimento dei provvedimenti relativi all’ufficio del processo anche nelle tabelle dell’ufficio

giudiziario, con il concerto dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari che, per quanto di loro

competenza, avrebbero dovuto provvedere ad integrare il programma delle attività annuali di cui all'articolo

4 del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240.

Il disegno di legge decadde insieme al suo proponente, ma ancora più serrato divenne il dibattito che

dall’inizio del decennio si era sviluppato tra studiosi ed operatori, nel progressivo maturarsi della

convinzione che si tratta di questione centrale nel processo di modernizzazione degli uffici giudiziari.

Proprio in quel momento emergeva in tutta il suo vigore la cultura delle prassi virtuose, coltivata in

modo creativo e costruttivo da un diffuso tessuto di comunità di pratica presente sul territorio, che

coinvolgeva non solo la magistratura ma anche le altre categorie interessate.

Le conoscenze e le convinzioni già maturate nel precedente quinquennio, unite allo spunto offerto

dal DDL governativo in tema di partecipazione di tirocinanti al modello organizzativo proposto,

costituiscono la base ed il punto di partenza della esplosione della prassi delle convenzioni tra i tribunali e il

mondo delle università e degli ordini forensi.

Furono così ricercati adeguati spunti normativi, tali da sostenere e offrire una sostanza ed una forma

di legalità alla complessa operazione che si stava compiendo: si guardò ad esempio alle norme in tema di

inserimento dei giovani nel mondo lavorativo (legge 24 giugno 1997, n.196 art. 18) e la normativa sulle

scuole di specializzazione circa l’inserimento di studenti per stages e tirocini presso gli uffici giudiziari (art.

16 D.lgs. 17 novembre 1997 n. 398, e art. 9 del D.M. 21 dicembre 1999, n. 537).

La Banca dati nazionale delle buone prassi, istituita presso il CSM nel 2011 grazie al contributo della

Struttura tecnica per l’organizzazione, offre una puntuale documentazione del fatto che a partire dal

2007/2008, crebbe il numero delle sottoscrizioni di convenzioni con enti locali, per lo più ordini forensi e

università: a favore di questa diffusione giocavano evidentemente la credibilità del modello proposto, lo

7 l’art 9 del DDL A.C. 4636 del 21 gennaio 2004 , contenente la delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario,

prevedeva la“istituzione in via sperimentale dell’ufficio del giudice”, con introduzione di ausiliari del giudice, scelti tra

coloro che avessero conseguito la laurea in scienze giudiziarie con votazione di almeno 108/110 e che svolgessero

attività di collaborazione con lo stesso, per un termine biennale.

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spirito di emulazione tipico del mondo delle buone prassi ed il sostegno culturale assicurato dal circuito

associativo che sul territorio portava avanti dibattito ed idee8.

Secondo quanto emerge dalla documentazione inviata alla banca dati dal Tribunale di Firenze,

“l’intuizione di fondo di questa sperimentazione consiste, per un verso, nello spostare dalla cancelleria alla

stanza del giudice talune attività di gestione dei fascicoli direttamente connesse all’udienza (dalle

annotazioni sulla copertina dei fascicoli all’invio del verbale alle parti per posta elettronica agli avvisi ai

CTU o alle parti non presenti in udienza); per altro verso, nel saldare tale attività esecutiva con quella di

collaborazione alle funzioni giurisdizionali in senso stretto (redazione di una scheda del fascicolo con la

sintesi delle posizioni delle parti e l’annotazione degli eventi del processo, esecuzione di ricerche di

giurisprudenza, predisposizione di provvedimenti)“.

Dato comune alle sperimentazioni sulla materia è la felice intuizione del connubio tra tecnologia,

innovazione organizzativa e cultura tradizionale del giurista, nell’ottica non solo di un incremento di

efficienza ma anche di un forte progresso nella qualità del risultato offerto. Non mancano anche tentativi di

coinvolgere nelle esperienze in corso i giudici onorari di tribunale, detti in gergo GOT, allo scopo di

reclutarli in un vero e proprio staff del giudice in modo stabile.

Costante sembra, in riferimento a quel momento storico, il ricorso alle seguenti opzioni operative9:

- 1) convenzione con Consiglio dell’ordine degli avvocati: si consente ai praticanti avvocati di effettuare un

periodo di pratica presso il tribunale in affiancamento ad un magistrato, con sostituzione/aggiunta del

periodo di pratica legale per la partecipazione alle udienze, mantenendosi in dette convenzioni il più delle

volte l’obbligo di attività di studio.

- 2) convenzione con Università: diretta esclusivamente agli studenti universitari, con riferimento alla legge

24 giugno 1997, n.196 art. 18 (legge Treu) e decreto ministeriale 25 marzo 1998 , n. 142 che consente agli

studenti universitari di effettuare stages e tirocini formativi presso aziende e Pubbliche Amministrazioni.

- 3) convenzioni con Scuole di specializzazione delle professioni forensi ai sensi dell’art 16 D.lgs. 17

novembre 1997 n. 398, e del D.M. 21 dicembre 1999, n. 537, che autorizza gli specializzandi a svolgere

parte della loro formazione presso gli uffici giudiziari.

- 4) reclutamento di GOT in affiancamento per alcune attività: modulo sperimentato in alcuni Tribunali nei

quali i GOT vengono assegnati alla sezione ed il Presidente di sezione coordina le attività di costoro svolte in

collaborazione con i vari magistrati della sezione. Tale modulo applica anche alcune indicazioni della

risoluzione del CSM del 25 gennaio 2012 in tema di “moduli organizzativi dell’attività dei giudici onorari di

tribunale”.

In alcune esperienze queste figure coesistono, con attribuzione a ciscuna di esse di compiti ben

precisi, modellati sulle rispettive competenze e professionalità.

L’esame delle varie iniziative sul territorio conduce ad individuare alcuni contenuti convenzionali

ricorrenti.

Vi sono infatti delle caratteristiche comuni in molte delle convenzioni che sono state stipulate, alcune

delle quali fanno riferimento all’ovvia necessità di definire una tavola di doveri per i soggetti esterni

8 Riferisce FABBRINI, L’ufficio per il processo, stages e convenzioni, (relazione all’incontro organizzato dal CSM in Roma

il 29-30 maggio 2013), in www.cosmag.it che in alcuni casi la sperimentazione è nata grazie al lavoro progettuale dei

laboratori nati in seno agli “osservatori della giustizia civile” e quindi da una forte componente collaborativa tra

avvocati, magistrati e professori esplicata al di fuori dello stret-to ambito dell’ufficio giudiziario e poi portata

all’interno dello stesso (si veda sul punto l’esperienza fiorentina http://www.osservatoriogiustiziacivilefirenze.it/ogc-

cd/ufficio-processi/files/bfabbrini_esperienza_stagisti.pdf e anche quella Bolognese). In altri casi invece scaturisce

nell’ambito di un complessivo e ampio progetto di innovazione, generato e condotto dall’ufficio giudiziario in

collaborazione con vari operatori del settore, spesso affiancato da solidi progetti di sperimentazione tecnologica quali

il Processo Civile Telematico (si vedano in tal senso l’esperienza del Tribunale di Milano e Modena)”.

9 Ibidem pag. 4.

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chiamati a collaborare con la giurisdizione, doveri che appaiono indispensabili per un corretto e funzionale

inserimento di soggetti estranei in un apparato pubblico di particolare delicatezza quale quello

giurisdizionale.

Ad esempio si possono citare il dovere di riserbo, l’impegno ad assicurare la disponibilità di

presenza nei limiti temporali concordati con il magistrato affidatario secondo il progetto formativo, il dovere

per i praticanti avvocati di comunicare al giudice se nell’udienza viene trattata una causa dello studio presso

il quale svolgono pratica, non studiando in tal caso il relativo fascicolo e non assistendo alla relativa udienza.

In molte convenzioni era prevista la copertura assicurativa, per responsabilità civile e a volte Inail, posta

sempre a carico dell’ente di provenienza .

Altra questione di particolare rilievo regolata nelle convenzioni è quella relativa ad una corretta

selezione del personale da reclutare, dalla costituzione di vere e proprie commissioni di selezione a sistemi di

valutazione rimessi invece agli enti di provenienza - Università e Consigli dell’Ordine.

Ancora, si è resa evidente nella prassi la necessità di strutturare dei progetti formativi così come dei

veri e propri mansionari contenenti le attività da svolgere da parte dei tirocinanti..

Prima delle novità legislative di cui alla l. 111 del 2011 ed al c.d. decreto legge “del fare” si può

affermare che si era consolidato un modello prevalente di ufficio per il processo, che consentiva da un lato di

prevedere una certa standardizzazione delle attività generalmente affidate al collaboratore del giudice, salva

poi una ulteriore distribuzione interna secondo le competenze; dall’altro di evidenziare una serie di criticità,

sulle quali si concentrava il dibattito e si orientava la comune ricerca delle soluzioni.

6. Le funzioni di collaborazione: i mansionari e la scheda del processo.

Si consolida così la prassi di predisporre i c.d. mansionari.

Secondo il modello fiorentino, ad esempio, il mansionario era così strutturato:

Attivita’ preparatorie dell’ udienza.

- Verifica della corrispondenza tra i fascicoli trasmessi dalla cancelleria nella stanza del

giudice e i fascicoli annotati nella agenda del giudice; in caso di discordanza, verifica del ruolo di

udienza risultante dal SICID, con possibilità di consultazione del solo ruolo del giudice di

riferimento in modalità di sola lettura, e segnalazione in cancelleria delle eventuali discordanze tra

agenda del giudice e SICID.

- Riordino, indicizzazione e verifica della completezza degli atti del fascicolo di ufficio

(verbali delle udienze, originali dei provvedimenti depositati fuori udienza, copie per l’ufficio degli

scritti difensivi delle parti, originali delle relazioni e notule dei Consulenti o altri ausiliari del

giudice, etc.).

- Predisposizione dei verbali delle udienze, utilizzando, previa consultazione con il giudice, i

modelli appropriati per la tipo-logia di attività previste per l’udienza e predisposizione di un

fascicolo informatico per ogni causa chiamata all’udienza (si tratta di semplicemente di creare una

cartella per ogni causa dove confluiranno i verbali).

Attivita’ in udienza

-Scritturazione del verbale di udienza sotto dettatura del giudice, il quale con il sistema di

condivisione del computer e del video (con il programma open source vnc) visualizza in tempo reale

la verbalizzazione e può intervenire dalla sua postazione per scrivere.

-Archiviazione informatica dei files dei verbali secondo il modulo di archiviazione previsto

dal giudice (come detto sopra nella semplice cartella precedentemente creata per ogni causa con

numero di Ruolo Generale).

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-Scritturazione delle annotazioni da apporre sulla copertina del fascicolo o sul modulo file

scheda del processo.

Attivita’ successiva all’ udienza

-Invio a mezzo posta elettronica (con richiesta di conferma di lettura) dei verbali di udienza,

previa conversione in formato pdf e con messaggio che il verbale costituisce solo copia informale

senza alcun valore legale.

-Inserimento nell’archivio informatico dei files che avvocati e ctu inviano mediante posta

elettronica in relazione a singole cause (soprattutto le ctu e le conclusionali contenenti le

precisazione delle conclusioni.).

Collaborazione nella formazione degli atti del giudice

- Creazione per ogni fascicolo di una scheda ragionata nella quale inserire i dati ragionati

della causa, cd. Scheda del processo (petitum, causa petendi, annotazioni).

- Intestazione delle sentenze..

- A richiesta e su istruzioni del giudice, raccolta e selezione ragionata di massime

giurisprudenziali pertinenti nella fattispecie oggetto del redigendo provvedimento o dei casi da

analizzare in udienza.

Non sfuggirà il fatto che il mansionario proposto dal CSM con la delibera 29.4.2014 propone uno

schema che è palasemente tratto dalla esperienza concreta della buone prassi negli uffici e ne costituisce lo

sviluppo, anche in relazione a quanto disposto in via obbligatoria dall’art. 73 l. 98 del 2013.

Vale comunque la pena elencare in modo sintetico le seguenti funzioni di collaborazione, come

consolidatesi nei modelli spontanei:

a) Studio e documentazione della controversia: il collaboratore, al momento di preparare l’udienza,

quando prende visione per la prima volta di un fascicolo, deve studiare il caso e raccogliere in un unico

contesto (cartella informatica o applicativo Consolle ove disponibile) tutti i verbali, relazioni di consulenza,

atti eventualmente inviati dalle parti e, soprattutto, redigere la scheda del processo e la raccolta

giurisprudenziale. Si tratta di una funzione che ha oggi una efficacia ancora più penetrante dato l’ormai

avanzata diffusione dell’applicativo ministeriale Consolle, il quale contiene tra l’altro una modalità di

accesso “assistente” destinata proprio alle attività in discorso. In questo ambito assume valore strategico di

primaria importanza la scheda del processo: in sostanza un riassunto del processo ragionato, inserito nella

cartella informatica (o fascicolo telematico in ambiente Consolle), soggetta a controllo e implementata poi

con ricerche giurisprudenziali o appunti del giudice. In pratica, secondo questo schema, si richiede allo

stagista-assistente di indicare sitenticamente petitum, causa petendi ed altre annotazioni, nonché di stendere

un testo breve contenente in modo discorsivo le richieste delle parti e il tema della lite. Si crea così una

memoria permanente e sempre disponibile degli aspetti essenziali del singolo caso e di tutto il ruolo, con la

possibilità di rendere immediatamente disponibili al giudice le informazioni strategiche non solo funzionali

alla conduzione della istruttoria ed alle decisioni strategiche connesse, ma anche ad una più rapida attività di

studio e di redazione delle motivazioni al momento in cui si rende necessario un provvedimento.

Questo lo schema di scheda del processo secondo la prassi milanese:

N. registro, parti e procuratori

*********

IL FATTO (come descritto nell’atto introduttivo)

1. QUESTIONI PREGIUDIZIALI E PRELIMINARI

2. ALLEGAZIONI DIFENSIVE DELL’ATTORE/RICORRENTE

3. ALLEGAZIONI DIFENSIVE DEL CONVENUTO/RESISTENTE

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4. ALLEGAZIONI DIFENSIVE DEL TERZO/INTERVENUTO

5. QUESTIONI INCONTROVERSE

6. QUESTIONI IN FATTO E/O IN DIRITTO DA RISOLVERE

7. POSSIBILI ATTI ISTRUTTORI (testimonianze – interrogatori –C.T.U. – richieste di

informazioni – verificazione – ecc.)

8. ATTI ISTRUTTORI ESPLETATI (testimonianze - interrogatori -C.T.U. - informazioni ricevute -

ecc.)

9. BOZZE DI DECRETI E ORDINANZE

10. PROVVEDIMENTI EMESSI

11. PROBABILE O POSSIBILE DECISIONE

12. BOZZA DI SENTENZA

b) Verbalizzazione: anche questa funzione è oggi particolarmente efficace in ambiente Consolle,

sicché è utilissimo l’inserimento immediato del verbale nel fascicolo telematico e quindi la sua

conservazione per la redazione della futura sentenza e la possibilità di immediato invio ai legali dei verbali,

convertiti in formato pdf. A parte l’ovvio recupero di efficienza in riferimento a quelle diffuse situazioni in

cui in passato era lo stesso giudice a provvedere alla verbalizzazione, si tratta in generale di una

riappropriazione del potere previsto dall’art. 126, 130 c.p.c. e 44, 46 e 84 att. c.p.c.. Si tratta di un potere che

il codice di rito assegna al giudice istruttore in termini di direzione ed al cancelliere in termini di materiale

redazione e che in molti tribunali è stato dismesso da tempo immemorabile, con l’affidamento in via di fatto

agli stessi procuratori delle parti della redazione dei verbali10

.

c) Funzione di raccordo con la cancelleria: in un momento storico in cui il lavoro del personale di

cancalleria si è gradualmente allontanato, suo malgrado, dalle attività di assistenza al giudice e in generale di

prossimità alla giurisdizione, lo stagista ha assunto non solo un efficace ruolo di supplenza ma appare

destinato a ad aggiungere nuove e qualificate funzioni all’attività del giudice consentendo una complessiva

riconfigurazione, ad un livello più alto, di tutti i ruoli di assistenza al giudice in un proficuo raccordo con il

cancelliere. Utilissima si rivela nell’attuale contesto l’attività destinata a controllare che l’udienza sia caricata

in modo corretto e che siano presenti, oltre a tutti i fascicoli cartacei11

, tutti gli avvisi. Fondamentale è anche

lo scarico immediato dell’udienza sui registri informatici così come la regolare attività di controllo e bonifica

dei dati errati o incompleti come la costituzione delle parti, la loro esatta identificazione, la corretta

indicazione del codice-oggetto12

.

10

L’importanza di una effettiva direzione del giudice nelle attività di verbalizzazione è nota a qualunque operatore

della giustizia civile e comporta l’abbandono di numerose e radicate prassi poco efficienti se non addirittura

distorsive. Si tratta per altro verso di uno degli elementi che costituiscono il presupposto di un graduale recupero della

centralità del giudice istruttore nella conduzione di tutto il processo, che la prassi degli ultimi decenni aveva fatto

gradualmente diluire. Va detto anche che in quasi tutti i tribunali l’’udienza istruttoria si svolge ormai senza la

presenza del cancelliere a causa della mancanza di personale: la presenza dello stagista convenzionato consente di

supplire a questa mancanza non solo in punto di verbalizzazione ma anche più in generale di attività ordinatorie della

udienza, evitando al giudice di assumere su di sé l’onere della verbalizzazione e consentendogli di concentrarsi sulle

attività più qualificate.

11 Presenza che in molti tribunali non si può certo dare per scontata.

12 L’assegnazione del codice oggetto è onere del procuratore che iscrive a ruolo la causa. E’ noto che la creazione di un

complesso elenco di codici oggetto fu realizzata in occasione del passaggio ai registri informastici e costituisce uno

degli elementi portanti degli applicativi SICID, con importanti ricadute statistiche. Sennonché, la prassi ha dimostrato

che l’assegnazione iniziale è spesso molto approssimativa se non del tutto errata, e richiede in molti casi una

correzione successiva.

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7. Le criticità

Sotto l’aspetto delle criticità, all’esito delle sperimentazioni in corso fino al 2011 erano già emerse le

considerazioni che seguono.

Intanto va considerata l’importanza della gestione dei tempi di permanenza dello stagista. In

un’ottica di ovvia temporaneità, si è giustamente evidenziata la importanza che i tirocinanti si succedano

senza interruzioni in affiancamento al giudice, altrimenti lo sforzo richiesto al giudice per ripartire ogni volta

con un nuovo tirocinante fa perdere fiducia nella sperimentazione stessa, e rischia di provocare ricadute

negative sull’organizzazione del lavoro del magistrato. Si è pertanto pensato in alcune sedi di sovrapporre

parzialmente ed in modo organizzato il periodo finale di alcuni gruppi con il periodo iniziale di altri, onde

assicurare un opportuno affiancamento e fare in modo che i veterani contribuiscano alla formazione dei

neofiti, il tutto senza trascurare momenti comuni di formazione ed orientamento gestiti dagli stessi magistrati

togati. Va da sé che il periodo di permanenza al netto dello start up iniziale, che ha i suoi costi in termini di

tempo e risorse, deve essere ragionevolmente lungo e assiduo poiché diversamente il profitto formativo per il

soggetto e la ricaduta organizzativa sull’ufficio possono risultare del tutto vanificati.

Come si diceva, essenziale è una buona formazione iniziale dello stagista. E’ ovvio che lo studio di

un fascicolo, la redazione di una buona scheda, il controllo della correttezza dei dati di registro, una proficua

e non dispersiva ricerca di giurisprudenza costituiscono attività qualificate con una forte connotazione

professionale che non sono certo alla portata di qualsiasi praticante o specializzando, mentre un apporto non

significativo o addirittura negativo rischia di costituire una voce passiva nel quadro di un’attività come la

giurisdizione civile che certo non ha bisogno di ulteriori pesi o complicazioni.

Positiva sembra l’idea fiorentina di creare vademecum per gli stagisti che vengono loro consegnati

al momento dell’ingresso al fine di fornite chiare e semplici indicazione di cosa farà lo stagista, della

dislocazione dei servizi delle varie cancellerie e degli uffici dei giudici, quale sia la base di conoscenze

informatiche richiesta, e quali sono i tempi di durata del tirocinio e di permanenza in ufficio richiesti.

La consuenta cronica mancanza di risorse costituisce paradossalmente un fattore critico anche per

lo start up di modelli organizzativi che tendono al recupero di un uso efficiente delle risorse. Nel caso

dell’ufficio per il processo è indubitabile che il minimo indispensabile, ma non sempre disponibile, è una

postazione di lavoro collegata ad un pc con accesso ai registri SICID ed all’applicativo Consolle, oltre alle

banche dati istituzionali. Il recupero di queste elementari risorse è stato attuato in molte realtà tramite

forniture all’interrno dei moduli di supporto ai progetti di innovazione degli uffici giudiziari (si veda in tal

senso l’esperienza modenese o milanese).

All’esito della esperienza ormai pluriennale è ormai chiara la necessità di una struttura burocratica

centrale, sia pure agile, che curi e cooordini i rapporti con gli enti sottoscrittori per la selezione degli

aspiranti o comunque per l’inserimento in affidamento ai singoli magistrati, la raccolta dei progetti formativi,

il controllo delle singole polizze assicurative, i controlli sui tempi di scadenza dei singoli tirocini per

assicurare la continuità del modulo di assistenza ai magistrati, la distribuzione di risorse materiali quali tavoli

o PC per i tirocinanti, ove disponibili. Non va sottaciuto che la stessa assegnazione degli assistenti deve

essere gestita in modo efficiente e trasparente, onde evitare la tentazione di forme perniciose di

accaparramento dei più preparati e di emarginazione di quelli che sembrano meno attrezzati. E’ chiaro che

tali attività non possono essere sostenute solo dai magistrati che volontariamente assumono la veste di tutor

presso i singoli tribunali, mentre una struttura minima di supporto amministrativo è indispensabile: essa è ora

codificata dalla delibera CSM del 29.4.2014 nella figura del cooordinatore e nella sua struttura di supporto.

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8. Ufficio per il processo, PCT, efficienza e qualità delle decisioni

Non vi sono dubbi che, a certe condizioni, una buona assistenza al giudice, contestualizzata

nell’ufficio per il processo con il supporto di Consolle, può garantire al magistrato di concentrarsi solo

sugli affari di maggiore complessità e allentare almeno in parte i colli di bottiglia che affliggono la sua

attività e ne condizionano l’efficienza. Le attività rutinarie di minore complessità, sia quelle strettamenmte

giurisdizionali, sia quelle organizzative e di supporto, possono essere, se non delegate, almeno

favorevolmente condivise.

Sono note, e non del tutto infondate, le resistenze ambientali derivanti dalle condizioni talvolta

difficilissime in cui si muovono alcuni uffici giudiziari dove molti giudici sono costretti a trattare anche

centinaia di procedimenti per ogni udienza e migliaia di processi ciascuno.

Tuttavia, non è detto che gli strumenti avanzati debbano sempre dare risultati ottimali: talvolta è

opportuno, più che rinunciare al progresso, mirare a risultati modesti ma utili e concreti.

Intanto è evidente che nessuna scelta preventiva sul trattamento che il singolo caso deve avere fin dal suo

inzio non può prescindere dalla conoscenza della causa stessa e quindi da un primo spoglio: la stessa deve

essere analizzata nei suoi aspetti strategici, onde stabilire se essa rientra in alcuno dei ciriteri di priorità

prestabiliti e quale deve essere il trattamento conseguente nelle varie fasi. Vari sono i parametri possibili: dal

peso del fascicolo, proporzionale al grado di difficoltà che a sua volta può riguardare la complessità delle

questioni giuridiche o dell’attività istruttoria, all’urgenza da definirsi secondo una scala di oggetti

prestabiliti e/o con criteri discrezionali.

In secondo luogo, poiché nella maggior parte dei casi i momenti di maneggio e trattazione del fascicolo

saranno intervallati da lunghe latenze, è essenziale da un lato conservare le informazioni iniziali per poterle

prontamente recuperare; dall’altro arricchire le informazioni man mano che la causa si dipana, per poi

mettere in grado il giudice di adottare tutte le decisioni istruttorie, cautelari e di merito che si rendono

necessarie volta per volta.

Sin dall’avvento della novella di cui alla l. 353 del 1990 gli studiosi e gli operatori hanno sottolineato la

necessità che il giudice, e ovviamente i procuratori delle parti, giungessero all’udienza preparati sul

contenuto dei casi: ciò per consentire una effettiva trattazione della causa e, soprattutto, una efficace

direzione del processo da parte del giudice istruttore, oltre che una effettiva possibilità di conciliazione.

In molti ricorderanno, in particolare, le riflessioni relative alla importanza della comparizione personale

delle parti alla prima udienza di trattazione, che la norma novellata sembrava prevedere come normale, se

non obbligatoria.

Nei fatti, la mancanza di strumenti evoluti ha imposto per molti anni ai giudici di fissare la memoria del

contenuto dei casi, e quindi anche la compilazione delle agende di lavoro, affidandosi a metodi artigianali,

quali appunti agende cartacee, misteriori e personalissimi simboli esoterici vergati sui fascicoli o sugli atti e

via dicendo.

Nella prassi concreta, specie negli uffici più gravati, il giudice è stato spesso indotto nella tentazione di

rinunciare allo studio preventivo delle numerose cause da portare alla singola udienza,affidandosi solo ai

suoi pochi appunti vergati in occasione di qualche riserva istruttoria, al buon senso e all’esperienza o, alla

peggio, alle richieste delle parti, specie se comuni ad attore e convenuto.

La novità degli ultimissimi anni è rappresentata dall’avvento del Processo Civile Telematico (PCT)13

e

dei suoi strumenti operativi.

13

Grazie all’art. 16, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con l. 17 dicembre 2012, n. 221, il processo civile telematico

dovrebbe passare alla fase di definitiva diffusione. Ai sensi del comma 4°, infatti, negli uffici giudiziari dove il p.c.t. è

già funzionante, dal 20 ottobre 2012, «nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria

sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici

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Ebbene, essenziali per l’attuazione del processo civile in modalità telematica sono gli applicativi dei

registri informatici di seconda generazione (SICID e SIECIC) dal lato delle cancellerie; l’applicativo

Consolle per i giudici; gli applicativi gestionali e redazionali di studio per i professionisti esterni, siano essi

avvocati o ausiliari del giudice.

Va detto che dal lato dell’Amministrazione della Giustizia l’art. 3-ter della legge 22 febbraio 2010, n. 24,

comma 1-bis dispone che: “Il magistrato capo dell’ufficio giudiziario deve assicurare la tempestiva adozione

dei programmi per l’informatizzazione predisposti dal Ministero della giustizia per l’organizzazione dei

servizi giudiziari, in modo da garantire l’uniformità delle procedure di gestione nonché le attività di

monitoraggio e di verifica della qualità e dell’efficienza del servizio”. Infatti, tale disposizione impone

anche al magistrato dirigente, ferme restando le competenze del dirigente amministrativo e del Responsabile

SIA ai sensi del d.m. 29 aprile 2009 (regole procedurali relative alla tenuta dei registri informatizzati

dell'amministrazione della giustizia), la responsabilità per la tempestiva adozione e la corretta tenuta dei

registri informatizzati dell’ufficio quale elemento di volta per la creazione di un efficace e credibile sistema

gestionale.

E’ bene chiarire, dunque, che gli strumenti in questione rappresentano uno standard ministeriale ufficiale

e costituiscono oggetto di uso doveroso da parte degli appartenenti all’Amministrazione.

Concentrando l’attenzione, per quanto qui interessa, all’applicativo Consolle, può intanto dirsi

sinteticamente che esso, dialogando con i dati dei registri informatici di seconda generazione, permette al

singolo magistrato di gestire ed organizzare il proprio ruolo, di visualizzare gli atti del fascicolo informatico,

di prendere appunti riservati per ciascun fascicolo, di redigere i provvedimenti e di depositarli

telematicamente in cancelleria.

L’uso di Consolle permette al singolo magistrato, quand’anche si trovasse fuori dell’ufficio, grazie

ad una connessione internet su canale sicuro:

1) di avere conoscenza della composizione analitica e spettrale del proprio ruolo, evidenziando le

cause pendenti, tutte classificabili, analizzabili e ricercabili principalmente per anno di iscrizione, per

materia, e per parti del procedimento;

2) di avere conoscenza in tempo reale delle sopravvenienze, intese sia come nuovi procedimenti sia

come singole istanze o richieste attinenti a casi già pendenti;

elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni». L’art. 16 quater, mediante la modifica alla l. 21

gennaio 1994, n. 53, ha esteso tale previsione ai difensori costituiti. Negli altri uffici giudiziari, la disposizione ha

acquistato efficacia dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione. Per le

comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria e dirette a soggetti diversi dai difensori, invece, la nuova

disciplina sarà efficace dal trecentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.

Ai sensi dell’art. 16 bis, 1° comma, dal 30 giugno 2014, «nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria

giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti

precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche», ma il termine può essere anticipato

se si verifica la funzionalità del servizio. Ai sensi del successivo quinto comma, nella fase sommaria del procedimento

per ingiunzione, «il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con

modalità telematiche». Il 6° comma estende tali previsioni ai «procedimenti pendenti innanzi agli uffici giudiziari

diversi dai tribunali». L’8° comma, tuttavia, stabilisce che «il giudice può autorizzare il deposito degli atti processuali e

dei documenti [. . .] con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono

funzionanti». E il comma nono prevede che «il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e

documenti per ragioni specifiche».

L’art. 17 ha previsto che, anche nell’ambito delle procedure concorsuali, dal 1° gennaio 2014, il mezzo ordinario per le

comunicazioni diventi quello telematico, anticipandone in parte l’operatività per quanto riguarda l’accertamento del

passivo.

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3) di avere sempre in evidenza le eventuali cause assunte in riserva o in decisione, con i termini di

scadenza;

4) di avere puntuale conoscenza dei procedimenti fissati per ciascuna udienza (il c.d. ruolo di

udienza), e della loro tipologia (anno, materia, parti, etc.);

5) di gestire il ruolo e fare case management, con la fissazione di udienze mirate grazie alla

conoscenza analitica del ruolo ed alla possibilità di creare cartelle personali (leading case, “in

evidenza”, o tematiche per materia o per parti), ovvero di individuare i fascicoli più risalenti

(opportunità essenziale soprattutto nel caso di ruolo ereditato);

6) di fissare le conoscenze essenziali per la causa associando appunti in formato testo ad ogni

procedimento, allegando file, etc., nell’ottica dell’uso immediato quando ciò è richiesto: ad

esempio, quando occorre prendere decisioni sull’ammissione dei mezzi istruttori, o sulla tempistica

dei rinvii o quando sorge l’occazione per tentare una conciliazione;

7) di visualizzare gli atti (difensivi e documentali) del fascicolo informatico una volta depositati via

PCT dalle parti o dal giudice oppure scansionati da cartaaceo e caricati;

8) di redigere atti con modalità assistita attraverso l’utilizzo di modelli, frasari e punti di

motivazione: modalità particolarmente vantaggiosa soprattutto nell’ipotesi di contenzioso seriale e/o

con motivazioni standardizzabili;

9) di depositare telematicamente gli atti secondo gli standard PCT, dopo averli firmati digitalmente.

Inoltre, l’applicativo Consolle, esclusivamente nella connessione da ufficio, consente la generazione

di una reportistica utile a fini gestionali (F.I.M.) organizzata secondo una gerarchia ad albero e raggruppata

per le seguenti aree tematiche:

-Analisi degli Incarichi;

-Analisi dei Sopravvenuti;

-Analisi dei Tempi di Cancelleria;

-Analisi delle Definizioni;

-Analisi delle Pendenze;

-Analisi delle Udienze;

-Analisi Economica;

-Area dei Confronti;

-Tempistica del Magistrato;

-Tempistica del Procedimento.

E’ evidente, dunque, che la Consolle, ormai diffusa capillarmente in gran parte degli uffici giudiziari,

rappresenta uno strumento assai efficace nel quadro della consapevole ed efficace gestione del proprio ruolo,

perché consente al singolo magistrato e, nella nuova versione delle F.I.M. al capo dell’ufficio ed al

presidente di sezione, un diverso grado di conoscenza e padronanza della situazione del proprio ruolo e

dell’intero ufficio, in chiave gestionale e di direzione per obiettivi.

In sostanza, le potenzialità di Consolle si possono esplicare pienamente non solo in ottica gestionale

-sia che si tratti di magistrati con responsabilità apicale sia che si tratti del giudice istruttore-, ma anche

nell’esercizio dell’attività giurisdizionale.

Solo un giudice informato e padrone in ogni momento delle informazioni strategiche sul caso che sta

trattando può prendere decisioni ponderate con forti economie di tempo e di energie e senza pagare il prezzo

della decisione riservata. Una causa non può essere studiata solo e soltanto nei momenti in cui è strettamente

necessario, come ad esempio al momento di ammettere cautele mezzi istruttori o di andare a sentenza: le

informazioni devono essere a portata di mano in ogni momento e senza necessità di ristudiare daccapo

aspetti analizzati tempo prima.

Oltretutto l’uso di Consolle anche durante l’udienza da parte del giudice è uno strumento

formidabile per recuperare la centralità del suo ruolo, tenuto conto che di fronte ad un magistrato preparato

anche i professionisti possono interpretare al meglio il proprio ruolo nel contraddittorio e contare su una

decisione celere, laddove la c.d. riserva resta confinata solo ai casi più complessi.

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Anche le modalità di discussione e di verbalizzazione in udienza possono risultare , e in molti casi

già sono, diverse da quelle caotiche e rudimentali alle quali sono purtroppo abituati gli operatori: il

cancelliere o l’assistente-stagista, mediante il suo accesso a Consolle, possono redigere il verbale in tempo

reale, eventualmente anche con l’ausilio di programmi di dittafonia vocale ormai molto diffusi ed economici.

Si tratta di una materia già considerata a livello di prassi condivise in molti tribunali: si veda ad esempio il

nuovo protocollo di udienza del Tribunale di Firenze.

E’ opinione comune, tuttavia, che la vera potenzialità è nella sinergia tra uso di Consolle e uso

avanzato di una struttura professionale di supporto del giudice come è per l’appunto l’Ufficio per il processo:

lo studio preliminare della causa e la selezione delle informazioni strategiche può così esser delegata, almeno

nella maggior parte dei casi, all’assistente: non a caso in Consolle è prevista una modalità di accesso

“assistente”, che consente ai collaboratori del giudice di visionare il ruolo e gli atti e di redigere la scheda del

processo. Quest’ultima resterà memorizzata in forma riservata e andrà aggiornata con il dipanarsi degli

eventi del processo, pronta per essere consultata in qualunque momento.

Si può fare inoltre un migliore time e case management.

Da tempo si pensa di elaborare regole (anche) processuali che diano al giudice la facoltà di

essere padrone della scansione del processo e di non trovarsi, quanto al ritmo del suo progredire, alla mercè

delle iniziative di parte e di considerazioni puramente quantitative dovute ai carichi di lavoro: insomma, di

fare del time management. Si tratta inoltre di concepire un mezzo di adattamento della disciplina

procedimentale alle peculiarità del caso concreto, sì da assicurare i diritti legati alle esigenze di difesa ma

anche di assegnare a ciascun contenzioso il “giusto” grado di attenzione da parte del servizio giustizia (non

troppo poco, ma neppure troppo).

Il dibattito si è concentrato in particolare sull’obiettivo, sempre teorico, di semplificare il

trattamento di determinate controversie attraverso una sommarizzazione adottata ad hoc alla luce delle

peculiarità della singola controversia, laddove il sistema processuale vigente prevede solo che certi riti sono

disposti in via generale ed astratta per talune tipologie di controversie o per il caso di scelta di parte (come il

monitorio, il cautelare o il rito sommario di cui all’art. 702 bis c.p.c.), sicchè la scelta del rito appartiene in

sostanza alle parti senza spazi rilevanti per i poteri del giudice.

E’ bene non dimenticare che la gestione della tempistica del processo e, ove possibile, la confezione

del rito su misura per la lite, hanno un senso solo nella prospettiva di un’efficace gestione dell’intero ruolo

del giudice, ossia del portafogli di liti a lui assegnate. Ciò richiede una conoscenza approfondita di questo

ruolo e la individuazione (con evidenti raccordi con la pianificazione dell’intero tribunale o corte) di

obiettivi di priorità e di smaltimento complessivo. Pertanto, anche alla luce del concreto funzionamento e

dell’assetto normativo vigente degli strumenti di programmazione dirigenziale, insomma del court

management, esiste un nesso inscindibile tra quest’ultimo ed il case management: se non si coglie questa

relazione ogni riflessione rischia di arretrare verso una prospettiva ormai superata di autoorganizzazione

solitaria del tutto svincolata dalle altre prassi individuali, priva di una efficace forma di coordinamento e di

forme di rendicontazione.

E’ giusto ricordare che in Italia il contesto tradizionale in cui si muoveva il giudice fini a tempi

recenti non è quello in cui l’organizzazione supporta il magistrato ma quello in cui è quest’ultimo che si fa

carico dell’organizzazione, con forme artigianali e solitarie, se non anche autoreferenziali.

Le statistiche internazionali dimostrano che le tecniche di case management possono contribuire a

rendere più snello il processo solo per il fatto che esse impongono al giudice di padroneggiare sin da

principio la causa ed accompagnarla svolgendo un ruolo attivo, rendendosi protagonista di un adeguamento

dell’iter procedurale alle peculiarità del caso singolo (talora, come in Francia, introducendo con

provvedimento del giudice l’istituto altrimenti residuale dei termini perentori) e non stancamente affidandosi

al modello precostituito dalle norme processuali. Tuttavia anche il contesto inglese evidenzia come il case

management sia strumento il cui impatto sui “tempi” della giustizia civile è parziale ed indiretto, se non

viene affiancato da misure che perseguono tale risultato tramite strumenti di sommarizzazione del rito volti a

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realizzare strumenti di istruzione e decisione flessibili e quindi una contrazione dei tempi nella definizione

del caso singolo, con decisiva riduzione del carico lavorativo globale gravante sui giudici.

I giudici dovrebbero dedicare le migliori energie solo alle cause effettivamente complesse, essendo

sufficiente una cognizione sommaria ove la pretesa dell’attore non sia sérieusement contestable (che è il

presupposto del référé provision francese), oppure ove la domanda o le difese del convenuto non abbiano

una reale prospettiva di successo, che è il requisito previsto oggi dalle Civil Procedure Rules per la

definizione della causa con summary judgment. Si guarda poi alla “personalizzazione” della procedura

smistando le cause nelle diverse tracks predisposte dalla legge o definendo i tempi con le parti del

“calendario del processo”.

Tuttavia, gli aspetti giuridici e organizzativi del nostro modello processuale comportano che ogni

ragionamento sul case management di casa nostra non può non fare i conti con molti vincoli normativi,

ordinamentali ed organizzativi che sopravvivono alla disponibilità di un sistema di gestione delle

informazioni quale è Consolle.

Nel sistema italiano non sono attributi al giudice due specifici ed essenziali poteri: quello di fissare

termini perentori non previsti per legge allo scopo di accelerare certe attività e quello di assegnare

discrezionalmente alla causa il rito più adatto alla bisogna, se non nei ristretti limiti previsti dagli artt. 702

bis e segg. c.p.c.

Si pensi poi che non si può prescindere dal carico esigibile, ossia dalla quantità di decisioni che può

prendere il giudice nell’unità di tempo ed al fatto che i tempi dell’istruttoria non possono essere ottimizzati

oltre un certo limite strutturale, derivante dal tempo tecnico minimo del rito specifico. Ma anche la visibilità

statistica del lavoro condiziona in modo occulto il ricorso da parte dei giudici alla sommarizzazione del rito.

Inoltre la pianificazione individuale deve pur sempre muoversi, ormai, nella cornice imposta dagli atti

dirigenziali illustrati nel capitolo sul court management.

In più non esiste non esiste nella normativa ordinamentale e processuale italiana (quanto meno nel rito

ordinario di primo grado) un qualche potere generale di filtro di merito e di scelta preventiva dei percorsi

attribuito al capo dell’ufficio o della sezione del tribunale: egli, in accordo con i criteri tabellari prefissati e

del principio del giudice naturale precostituito per legge, assegna la causa al singolo giudice dopo che è stata

iscritta a ruolo.

Per fortuna, non vi sono solo vincoli, ma vi è anche un potenziale spazio di azione, che è quello dei

poteri discrezionali e, in particolare ordinatori, del giudice: campo difficile per le note e già ricordate

resistenze culturali e per le forti differenze tra le prassi.

Eppure, dal punto di vista del case management, e della crescita qualitativa e quantitativa dell’attività del

giudice, è il settore di indagine più promettente.

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