Tutto si muove, tutto si tiene

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Albertina Soliani TUTTO SI MUOVE, TUTTO SI TIENE VITA E POLITICA. QUASI UN BILANCIO PER LA GENERAZIONE CHE VIENE. STATI DI LUOGO DIABASIS Prefazione di Romano Prodi

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La storia di vita e politica di Albertina Soliani è racchiusa tra due abbracci. Quello della gente del suo paese natale nella bassa reggiana e oggi anche quello della gente birmana, attraverso gli incontri con Aung San Suu Kyi. Tra Boretto e Rangoon si snoda il racconto di questo libro, più di una biografia personale alla fine del mandato parlamentare. È la ricostruzione di quel tessuto di relazioni di amicizia, costellazioni d’idee, che con ostinazione e misteriosi collegamenti hanno contribuito al rinnovamento della Chiesa, della scuola e della politica in Italia. Un percorso non privo di delusioni, come per gli ostacoli al progetto dell’Ulivo e le tre cadute politiche di Prodi, raccontate senza reticenze nel giudizio sulle responsabilità personali e dei partiti. Sempre con la speranza delle sentinelle che guardano oltre la notte, per affidare l’alba alle nuove generazioni.

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Albertina Soliani

TUTTO SI MUOVE, TUTTO SI TIENEVITA E POLITICA. QUASI UN BILANCIO PER LA GENERAZIONE CHE VIENE.

STATI DI LUOGO DIABASIS

Prefazione di Romano Prodi

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Coordinamento editorialeFabio Di Benedetto

Redazione Leandro del Giudice

Progetto grafico e copertinaBosioAssociati, Savigliano (CN)

Anna Bartoli

In copertinaAlunni della scuola BEHS di Yangon (Birmania) rispondono alla

domanda “Chi vuol fare una partita di pallone?”Ponte di barche a Boretto

Incontro con Aung San Suu Kyi

ISBN 978-88-8103-814-5

© 2013 Diaroads srl - Edizioni Diabasisvicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia

telefono 0039.0521.207547 – e-mail: [email protected]

www.diabasis.it

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Albertina Soliani

Tutto si muove, tutto si tiene

Vita e politica. Quasi un bilancio per la generazione che viene.

A cura di Giuseppe Bizzi

STATI DI LUOGO DIABASIS

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Con la virtù della speranza

Gli ideali che Albertina ha perseguito e gli obiettivi che ha raggiuntosono il risultato di fatica, di semplicità e di assoluta coerenza rispetto aipropri principî. Una vita con un inizio difficile (figlia senza padre in unambiente non certamente prospero) si è trasformata, con il passare deglianni, in una progressiva conquista non solo di un forte ruolo politico, madi un ruolo di riferimento etico per una vasta comunità.

È chiaro che questo può avvenire solo in presenza di spiccate doti na-turali, di cui sono la prova rendimenti scolastici così positivi che la spin-gono verso un curriculum scolastico del tutto inusuale per le circostanzenelle quali si era trovata a vivere. Le sue doti naturali, unite a una volontàdi ferro, sono tuttavia sufficienti per costruire una carriera ma non perdiventare un punto di riferimento per gli altri.

Questo esige altre virtù che, pur rimanendo celate dal pudore del rac-conto, bene emergono dalla semplice lettura di queste pagine.

La prima dote è quella di capire il prossimo nei suoi sentimenti e com-portamenti più elementari di solidarietà e di amicizia, di volere bene a co-loro che le sono stati vicini nei momenti più difficili e di avere un atteg-giamento sempre positivo verso il prossimo. In tutta la sua attività di in-segnante, di preside, di politica è come se Albertina avesse volutorestituire il senso di affetto e di solidarietà che le era stato dedicato dallacomunità in cui si era trovata a vivere nell'infanzia e nell'adolescenza. Daquesti sentimenti emergono le sue riflessioni sul ruolo di aggregazione,di pacificazione e di solidarietà che la coalizione dell'Ulivo avrebbe po-tuto apportare al Paese se non si fosse costruito attorno ad essa un am-biente cosi largamente ostile. Nelle pagine di questo libro appare perciònaturale lo sforzo di tradurre in disegno politico la spontanea solidarietàche aveva accompagnato la sua crescita materiale ed intellettuale.

Un disegno che si era naturalmente costruito e irrobustito nei classiciluoghi di formazione del mondo cattolico attento alla politica: da un lato

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la parrocchia e, dall'altro, la Democrazia Cristiana a cui si è aggiunto uncampo di formazione speciale, cioè l'Università Cattolica di Milano. Iltutto nel particolare fermento del mondo cattolico che si era venuto co-struendo negli anni del Concilio e che è poi progressivamente calato di in-tensità nel tempo.

Agli studi universitari si sono quindi accompagnate le letture di unapubblicistica cattolica vivace ed esigente, a volte forse radicale ma co-munque straordinariamente importante a formare coscienze coerenti erobuste. Coscienze preparate ad accompagnare un necessario rigore eti-co con un profondo contenuto di laicità della politica. Parlo di riviste co-me «Il Gallo», «Il Regno» o «Testimonianze», intorno alle quali si dibat-tevano i problemi fondamentali della società in un clima di pluralismo,di libertà ma anche di quasi certezza che le cose sarebbero migliorate eche saremmo poi vissuti in una società di maggiori opportunità, non so-lo di carattere materiale ma anche soprattutto di carattere spirituale.

A queste riviste, alle quali anch'io ho lungamente attinto e che forsepossono dare l'impressione di un cattolicesimo un poco provinciale, siaggiungevano tuttavia i contributi di provenienza oltrealpina, tra i qualiemergono i due giganti della riflessione religiosa germanica, cioèBonhoeffer e Guardini.

Un pensatore protestante ed un pensatore cattolico che hanno forse piùdegli altri influito su coloro che in tutta Europa si sono dedicati alla politi-ca, attenti nello stesso tempo alle tematiche di carattere religioso.

Mi fa una certa impressione ricordare che questi maestri di pensiero era-no gli stessi sui quali mi sono potuto intrattenere a conversare con il can-celliere Kohl quando avevamo l'opportunità di andare oltre gli assillantiproblemi della politica quotidiana. Ricordo come si richiamasse soprattut-to a Guardini, proprio in quanto questo grande pensatore fondava le sue ri-flessioni sulle virtù teologali e, tra queste, soprattutto sulla speranza.

Di scommesse sulla speranza Albertina Soliani ne ha portate avantimolte, operando per il miglioramento della scuola dell’obbligo, del siste-ma carcerario e del sistema sanitario nazionale, sempre con quell'impe-gno etico che è il frutto diretto del suo processo formativo.

Alla luce di tutto questo si comprende come i suoi ultimi anni di impe-gno parlamentare siano stati per lei estremamente difficili fino ad esseredefiniti come veri e propri anni bui, nei quali sono stati messi sotto scaccoperfino i valori fondamentali che sono alla base della nostra Costituzione.Questo profondo pessimismo si estende anche al giudizio sui risultati del-le elezioni del 2013, riguardo ai quali il commento, del tutto esplicito, è

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che la cultura dell'individualismo è ancora prevalente e un'alternativa al-la chiusura esistente ancora lontana da potere essere costruita.

Forse anche per questo motivo Albertina accentua in questi ultimi an-ni la sua attenzione verso l'estero, scegliendo naturalmente Paesi nei qua-li i diritti civili sono stati particolarmente calpestati. La preferenza si ri-volge verso l'Armenia e verso la Birmania, nella persona di Aung San SuuKyi, con la quale si è aperto un vero e proprio rapporto di amicizia. In fon-do la dignità della politica può essere difesa tanto in patria quanto all'e-stero. E, dato che Albertina fonda ogni sua azione sulla virtù della spe-ranza, penso che, nell'intimo del suo cuore, essa non disperi di potere util-mente ricominciare a lavorare per il bene dell'Italia.

Romano Prodi

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Nota del Curatore

Ci sono titoli che seguono i libri. Altri che li precedono. Di più, li trasci-nano nella loro scrittura. Tutto si muove, tutto si tiene è tra questi. Sonoespressioni verbali tipiche di Albertina perché raccontano una sua struttu-ra profonda di carattere e pensiero. È come per il Po che attraversa la suaterra e il suo collegio elettorale. Nello scorrere, tiene tutto con sé.

Così è in questo racconto della sua vita, personale e pubblica: dentro lecose, tra la gente. Sapendo che a muovere la storia sono gli uomini e le don-ne che accettano di mettersi nel cambiamento e nella relazione. Nessunaidea o identità può essere feconda nella staticità.

Per questo Albertina scrive che ama stare sui confini, purché siano luoghida abitare e non linee da fortificare. E allora si scopre che ci sono fili sottilie robustissimi che, anche a distanza di anni e di chilometri, attraversano iconfini e tengono misteriosamente unito chi, con uno stesso spirito, lavoraper il cambiamento nella chiesa, nella politica, nella scuola. “Capii allorache per cambiare il mondo bisognava esserci”, ha scritto l’amica Tina An-selmi. Da Boretto a Roma, dalla Birmania all’Italia.

Ho frequentato le elementari alla Pilo Albertelli, “l’Albertina” – come lachiamavano, così, con l’articolo – era la mia direttrice. Avevo una maestramolto brava, ma con la vita segnata e la mente fragile. Applicare regolamentisarebbe stato molto più facile che accompagnare. Albertina accompagnò,cercando la collaborazione dei genitori. E la maestra ci portò in quinta, pre-paratissimi. Fu la sua ultima classe, ma ci arrivò in fondo. Insieme.

In queste pagine troverete tanto, ma cercate i volti. È lì la chiave d’in-gresso.

Giuseppe Bizzi

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A mia Mammada cui tutto è cominciato,

alla mia genteche mi ha custodito,

ad Aung San Suu Kyi, una vita per la democrazia.

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“Per chi è responsabile la domanda ultimanon è: come me la cavo eroicamente in questo

affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene?”

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa.

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Nella povertà il futuro

La tua vita incontra la politica quando sperimenti una comunità che tiaccoglie. A me è successo a cinque anni, la notte di Natale del 1949. E melo ricordo.

Nel teatrino parrocchiale di Boretto sono stata scelta per interpretareGesù bambino nella rappresentazione del presepe, prima coricata poiin piedi benedicente, tra due angeli. Ricordo ancora le prove sul pavi-mento dell’asilo del mio paese, con le suore “Figlie dell’Oratorio” chehanno accompagnato con affetto la mia infanzia e la mia adolescenza.

Io, una bambina; soprattutto io, figlia senza un padre. Condizione cheper la mentalità del tempo poteva condurre all’emarginazione, in parti-colare in un piccolo paese. Invece ho vissuto la solidarietà che costruisceuguaglianza e opportunità.

Abbiamo celebrato così, con la sapienza e la concretezza del popolo,l’Incarnazione di Dio. Abbiamo tradotto così, nelle nostre storie, l’arti-colo 3 della Costituzione italiana, da due anni entrata in vigore: “Tutti icittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senzadistinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuoveregli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertàe l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personaumana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazionepolitica, economica e sociale del Paese”. Rimuovere gli ostacoli, un im-pegno che vale una vita.

Della mia infanzia povera e dignitosa, come quella di molti in queglianni, della mia preadolescenza piena di inquietudini e di sogni per il fu-turo, porto con me una gratitudine senza fine. Per la gente del mio paese;per i campi e gli alberi all’ombra dei quali ho pensato le mie prime poesie;per i tramonti sul Po, uno diverso dall’altro, che scoprivo in bicicletta sul-l’argine e che descrivevo nei miei temi; per gli scariolanti a cui portavo da

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bere quando scavavano il canale di bonifica; per i morti, giovani e anzia-ni, che ho accompagnato al cimitero.

Nella povertà la vita è tutta davanti, la cerchi con passione, il futuro èsempre meglio del presente e del passato. Così la povertà diventa un va-lore se ti spinge a dare il meglio di te, a capire il senso degli ostacoli, a spe-rare nell’oltre. E quelli erano gli anni della ricostruzione dopo la guerra.

In casa non c’era un libro, solo quello, incompleto, un po’ strappatodalle mie mani di bambina, che aveva usato mia mamma alla scuola ele-mentare, e il mio sillabario. Quando arrivò la televisione, con Lascia oRaddoppia?, si andava dai vicini più benestanti. E solo qualche rara voltaal cinema, soprattutto per i film di storia: così giustificavo la spesa e con-vincevo mia madre.

Nel 1951, il 14 novembre, il Po straripò. L’acqua arrivò da sud, dal Cro-stolo, deviato per evitare un disastro. Ricordo la sera prima sull’argine: ilPo enorme, il buio della notte, la corriera che caricò bambini e anziani eci portò a Reggio Emilia. Mia mamma no, rimase al piano di sopra dellafetta di casa che avevamo, per quaranta giorni al freddo, senza luce. Ognigiorno in barca andava ad accudire la mucca e l’asino, ricoverati al pri-mo piano di un capannone industriale.

Una rosa rampicante sul muro della casa continuò a fiorire, dentro ilmetro e mezzo d’acqua. La solidarietà nel bisogno: questo è un paese.

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Donne decise e decisive

Sono cresciuta con mia madre, Isotta, e mia nonna, Erminia. Mi sentodentro questa filiera femminile, nella mia storia personale, nella grandestoria delle donne.

Mia nonna è morta quando avevo undici anni. Aveva fatto la secondaelementare e guardandomi diceva: «Ag tirom föra ‘na maestrina». Avevaintuito la mia strada, mentre insieme andavamo verso i campi, cammi-nando nella polverosa via Goleto.

Forse mia madre si ricordò di quelle parole quando difese la mia scel-ta di frequentare le magistrali a Parma, nonostante a Boretto pochi ca-pissero perché non preferisse per me la scuola professionale che apriva al-lora nel paese e un futuro da camiciaia più vicino e redditizio.

Mia mamma volle darmi, a costo di grandi sacrifici, quello che a lei erastato negato: sapeva che l’istruzione è tutto. Lei aveva smesso di studiarein quinta elementare per ragioni economiche e a undici anni era già a ser-vizio in una famiglia del paese. Poi lavorò nei campi e in fabbrica, fece lalavandaia a domicilio. Fu sempre aperta alle novità: sperimentò la colti-vazione del tabacco nel piccolo campo in affitto. Ricordo la casa ingom-bra di lunghe pertiche, con le foglie appese a seccare che provocavanocontinui starnuti.

Quando andava a lavorare, io stavo coi vicini della Colombana. Gentesolidale quella del paese, che credeva nel futuro dell’Italia. Contribuiva acostruirlo con le quotidiane fatiche nelle case, nei campi della Bassa, nellavoro a domicilio portato dai maglifici di Carpi. I miei vicini di casa era-no pescatori mantovani, partivano prima dell’alba e portavano sull’aiaanche gli storioni. Adesso nella loro casa abita una famiglia di indiani.

É lì, al mio paese, che la politica ha cominciato a coinvolgermi ed ap-passionarmi, da subito. La politica: la forza collettiva che può trasforma-re la vita delle persone. Superare disuguaglianze, garantire giustizia, of-frire opportunità di felicità.

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La mia opportunità passava per la scuola media di Brescello, a cui ar-rivai dopo l’esame di ammissione. Mi aveva preparato, pressoché gratui-tamente, un’insegnante di Santa Croce: Rina Gialdini. Ricordo che stu-diavamo all’aperto, in giardino. Poi arrivò l’Istituto Magistrale di Parma,scelto perché era il corso di studi più breve, considerate le difficoltà eco-nomiche.

Mi sentivo accompagnata: dalla previsione di mia nonna, dalla deter-minazione di mia madre, dall’incoraggiamento di Gianna Minardi Lom-bardo, mia professoressa di italiano alla scuola media di Brescello cheraggiungeva ogni giorno da Parma. La ricordo come uno dei punti fermidella mia vita. Ancora la incontro, con gioia.

Quando per la prima volta ho varcato il portone della scuola, in via Ma-cedonio Melloni, è come se ci fossero state anche loro insieme a me. E leloro madri e le loro nonne e tutte le generazioni di donne che le hannoprecedute nel desiderio di apprendere.

Incontrare buoni insegnanti è una grande opportunità nella vita. So-no gli insegnanti che fanno l’Italia. A Boretto la mia maestra, Ebe Becchi,era nota per la sua severità. Nei primi anni Cinquanta i programmi dellascuola elementare erano quelli mutuati dagli americani nel 1945. Deweye la scuola attiva ne erano il motore. Educazione ambientale in primo pia-no, ante litteram.

La scuola media a Brescello era già una garanzia: una squadra di do-centi di nota competenza e umanità, da Ennio Cabrini a Pietro e Ines Ta-gliavini, e poi il pittore di Reggio Emilia Marco Gerra. Alle magistrali in-contrai la generazione antifascista di Parma: Armando Barone, ArrigoDedali ed Elena Mauri, dolcissima insegnante di francese. Alla fine deglianni Cinquanta, la ricostruzione della scuola dava forma alle fondamen-ta culturali e morali che avrebbero assicurato all’Italia un futuro demo-cratico e una preparazione seria alle professioni.

Ancora una volta una donna, Carmela Dagnino, segnò profondamen-te la mia formazione e le scelte successive. Insegnava tirocinio alle magi-strali ed era la sorella di don Raffaele, storico parroco di San Giuseppe,chiesa nell’Oltretorrente di Parma.

Furono anni intensi e impegnativi, con episodi carichi di futuro. Comequando fu scelto un mio tema per rappresentare l’intero istituto in unconcorso sull’Europa. Da pochi anni, nel 1957, erano stati firmati i "Trat-tati di Roma" che fondavano la Comunità Europea. Ricordo che fui chia-mata nell’ufficio del preside, il professor Alfredo Saloni, a ricopiare il te-ma. Lui accanto a me, era un momento solenne.

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La contemporaneità e la storia entravano nella scuola, con i loro signi-ficati profondi, con i loro valori duraturi. Tanti anni dopo ho fatto partedella commissione del Senato per le Politiche dell’Unione Europea. Al-lora non avrei mai pensato di vivere a livello istituzionale l’idea di Euro-pa di cui scrivevo in quel tema: davvero la politica consente avventuremeravigliose anche a chi non ha mezzi. E dà fili robusti e coerenze profon-de alla vita.

A pranzo mangiavo un panino dalle "Figlie della Croce": era il com-penso per i panni stirati da mia mamma, che ogni sera portavo ai clienti.E non di rado sacrificavo il panino per comprare i libri della BUR: tra iprimi acquisti, le tragedie di Shakespeare e l’autobiografia di Verdi trat-ta dalle sue lettere. Un ricordo che ho portato con me, cinquant’anni do-po, quando presentai in Senato e condussi all’approvazione la legge perle celebrazioni del bicentenario della nascita del Maestro.

La Dagnino mi indirizzò ai corsi estivi della casa editrice La Scuola diBrescia, dove conobbi il gruppo dei pedagogisti cristiani, da Marco Ago-sti a Mario Cattaneo, da Vittorino Chizzolini ad Angelo Colombo. Fuquella una palestra importante per prepararmi alla professione e alla vitacivile e politica, per cogliere l’importanza della scuola per la costruzionedelle persone, della comunità, di un paese democratico.

Gli anni dell’adolescenza mi portarono anche a fare, per quaranta gior-ni d’estate, l’esperienza in fabbrica. Era un modo per affrontare i costidello studio. Fu una straordinaria esperienza di vita, di fatica, di solida-rietà. Si lavorava il pomodoro, che con mia mamma ho anche coltivato.Negli anni giovanili conoscere il lavoro è formativo come studiare.

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Con il Concilio dentro la storia

Finite le magistrali, c’era da scegliere l’università: come fare? I costierano improponibili per mia mamma. In quei mesi il governo di centro-sinistra di Amintore Fanfani decise, applicando l’articolo 34 della nostraCostituzione, di assegnare un presalario mensile ai “meritevoli e privi dimezzi” che si iscrivevano all’università. Tentammo l’impresa, pur nel-l’incertezza. Almeno si cominciava.

Sulla facoltà non ebbi dubbi: pedagogia. A Bologna o alla Cattolica diMilano? Preferii quest’ultima, perché ritenevo che offrisse la possibilitàdi un’esperienza più aperta e libera. Potei contare sull’incoraggiamento,per me molto importante, di Carmela Dagnino.

Quando andai dal parroco del mio paese per ritirare il certificato dibattesimo necessario per l’iscrizione, scoprii che mi avevano battezzatonon nella chiesa parrocchiale, ma nella cappella dell’ospizio per anziani.Ma il profilo dei miei primi diciotto anni, steso da monsignor Igino Ar-toni, deve essere stato un buon lasciapassare. Per un anno mi fu assegna-to il presalario; nel frattempo fui chiamata nella scuola per supplenze an-nuali, andai ad insegnare e il presalario ovviamente cessò.

Una generazione, la mia, che ha avuto dalla politica grandi opportu-nità: la possibilità, sotto i vent’anni, di studiare e di lavorare. Oggi questoè un sogno, ieri era la realtà che dava speranza ai sogni dei giovani. Pertutta la vita ho lavorato affinché la nuova generazione incontrasse nellascuola le sue opportunità.

La mia tesi di laurea, parecchi anni dopo, fu su Angelo Colombo, edu-catore, e sul Gruppo d’azione per le“ Scuole del popolo” dei primi delNovecento, con pionieri come Sibilla Aleramo, Adelaide Coari, Tomma-so Gallarati Scotti. L’Italia che si riscatta con l’istruzione, al Nord e al Sud,nell’Agro Pontino. La lotta all’analfabetismo che nasce dalla società civi-le, dai maestri e dalla cultura, come primo impegno per la nazione.

La lunga stagione alla Cattolica mi fece incontrare professori che ci ac-

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compagnarono nella chiusura di un’epoca verso una nuova stagione. Se-guivo le lezioni affollate di un giovane Francesco Alberoni, e poi dei mae-stri di pedagogia Mario Casotti e Aldo Agazzi, dei filosofi Emanuele Se-verino e Giovanni Reale, e di una giovane e brillante Lidia Menapace che,allora, ci formava anche nel Movimento Femminile della DC. GiuseppeLazzati, il rettore, era, per tutti, un punto di riferimento. A lui scrissi unalettera dopo aver visto la presenza della polizia nei corridoi dell’Univer-sità durante le occupazioni studentesche.

È stata una stagione di pendolarismo, relazioni, esperienze. Ho vis-suto gli anni della contestazione, il Sessantotto, e poi la strategia dellatensione e la strage di piazza Fontana. Non era lontana in me la memo-ria diretta dei rischi che la democrazia può correre. Ricordo il 7 lugliodel 1960, quando la polizia sparò in piazza a Reggio Emilia e cinque fu-rono i caduti. Stavo nell’orto di casa, verso sera, e un uomo passandoin bicicletta gridava la notizia come se la democrazia fosse stata colpitaa morte.

A Milano, quando avevo qualche momento libero, andavo in piazzadel Duomo. Visitavo la tomba del cardinale Andrea Ferrari, di Parma egià vescovo di Guastalla, e guardavo le novità librarie. Un giovedì delmaggio 1967, in una vetrina della Galleria, vidi Lettera a una professores-sa della Scuola di Barbiana. Lo lessi avidamente in treno e la mattina do-po lo feci arrivare alla mia cara professoressa Dagnino.

Don Lorenzo Milani ci cambiò la vita e le categorie con cui guardare al-la società e alla scuola. Come padre Ernesto Balducci, che quando divennidirettrice didattica chiamai a parlare al Collegio docenti: ci richiamò allanecessità di educare al pensiero critico. Riferimenti della mia formazionepedagogica, come Mario Lodi, che la Dagnino nel 1962 ci portò a incon-trare alla scuola di Vho di Piadena. Conoscevo da vicino le idee e le espe-rienze che avrebbero cambiato la nostra cultura, pedagogica e non solo.

Questa era l’aria che si respirava a Milano. Raggiungevo la città in trenoe, ogni volta, a San Donato guardavo il palazzo dell’ENI, disegnato da Mar-cello Nizzoli, il grande designer del Novecento di Boretto, creatore della“Lettera 22” dell’Olivetti. Richiamava la pianta ottagonale del Battisterodi Parma.

E poi c’era Boretto, dove continuava il mio impegno, tra parrocchia –ero delegata delle aspiranti di Azione Cattolica – e politica, con la mia mi-litanza nella Democrazia Cristiana. Boretto era l’unico comune della bas-sa reggiana a essere governato da una giunta civica di centro, guidata dalmaestro Stefano Verzellesi. Ricordo che ci si incontrava spesso per discu-

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tere dei problemi del paese; con la formazione delle liste, sperimentai leprime tensioni della politica.

Milano, Boretto: due realtà così diverse che vivevano lo stesso clima dicambiamento e di dialogo. Maturai la convinzione, nelle relazioni e nel-l’esperienza ancora prima che nelle idee, che era necessaria un’aperturaalle forze e alle culture di centrosinistra. Era la semina dell’Ulivo.

Cresciuta nell’oratorio femminile della parrocchia, ho vissuto con in-tensità la vita dell’Azione Cattolica assumendo infine l’incarico di presi-dente della Gioventù Femminile della Diocesi di Guastalla. D’estate hocondiviso la responsabilità dei corsi estivi in Val di Fassa insieme con laGioventù Femminile di Parma, con Luigina Gabbi, con Mimma e PaolaMazza. Un periodo di approfondimento biblico, di apertura, di fiducianel cambiamento. Leggevamo insieme la Bibbia e Lettera a una professo-ressa, davvero lo spartiacque tra un’epoca e l’altra.

Stavamo attraversando la stagione del Concilio, che ho vissuto con gran-de intensità. Insieme a tanti, con la voglia di incontrarci e di incontrare.Ricordo il cenacolo di Boretto, la scuola dei laici della Diocesi di Guastal-la, i resoconti del Concilio di Raniero La Valle sull’«Avvenire d’Italia»del-la domenica, che leggevo con avidità sotto l’albicocco dell’orto. E poi iviaggi comunitari per conoscere l’Isolotto di Firenze di don Enzo Mazzi ola comunità dei Focolarini a Loppiano. E l’incontro a Roma in piazza SanPietro con i padri conciliari, insieme al vescovo di Guastalla Angelo Zam-barbieri. Il vescovo del Concilio che ha accompagnato la mia giovinezza.

C’era voglia di capire e ritrovarsi in un linguaggio nuovo e comune:leggevamo «Adista», « Il Regno», «Il Gallo», «Testimonianze»; parteci-pavamo agli incontri dei gruppi spontanei di tutt’Italia. Con l’occupa-zione della Cattedrale nel 1968, Parma fu al crocevia del fermento chepercorreva tutti gli ambiti del vivere insieme. L’eco arrivò direttamenteal mio paese, con alcuni amici che erano stati, anche se per caso, presen-ti al fatto e partecipi.

Mi sentivo dentro il cambiamento, parte del cambiamento. Quando ar-rivò il ‘68 io insegnavo alla scuola elementare di San Prospero a Parma,frequentavo settimanalmente l’Università Cattolica di Milano, vivevo ilrinnovamento nella Chiesa e l’impegno sociale e politico come parti nonscindibili della mia vita. Leggevo molto, preferibilmente di teologia, nelcuore del rapporto tra fede e storia: da Guardini ai tedeschi, ai francesi,alla teologia della liberazione dell’America Latina. Trascorrevo le ore d’in-verno presso la stufa della cucina a leggere i libri di Raissa e Jacques Mari-tain. E Paulo Freire, dal Brasile, ci insegnava la pedagogia degli oppressi.

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Fede e storia, spiritualità e laicità: tutto si tiene. Nell’unità della perso-na il vivere e il credere, la professione e la politica stanno insieme nellostesso tempo, con il medesimo impegno. Distinguendo modi, spazi, me-todi, strumenti. Ho visto negli anni successivi il venir meno della tensionedi allora, la debolezza e il degrado della politica, l’uso strumentale dei va-lori religiosi, lo smarrimento della Chiesa, l’impoverimento del laicato cat-tolico. Quella stagione mi plasmò, per sempre.

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Romano ProdiCon la virtù della speranza

Giuseppe BizziNota del curatore

Albertina SolianiTutto si muove, tutto si tiene

Nella povertà il futuroDonne decise e decisiveCon il Concilio, dentro la storiaVerso l’impegno politico, con le donneNella scuola il tesoroLe pari opportunità nella società e nelle istituzioniLa vittoria di BerlusconiVerso L’Ulivo, sempre un passo più in là. Per unireAl governo del mio PaeseLa prima caduta di Prodi. Con i Democratici e la MargheritaAl Senato: resistere a BerlusconiI venti mesi del governo Prodi: al Senato con Rita LeviMontalcini. Nasce il Partito Democratico

La crisi, il governo Monti, il mio lavoro in una legislaturafallimentare

Il mio territorio: attraversare i confiniLa mia città: ParmaL’Europa. E il mondoResistenza, Costituzione, Democrazia: il senso dell’impegnopolitico

Amiche a RomaHo incontrato la Birmania

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Spiritualità e politicaSentinella, quanto resta della notte?Il tempo di fronte a noi

Lettere agli amiciRoma, 11 giugno 1996Roma, 13 luglio 2007Parma, 11 agosto 2010Parma, settembre 2010Parma, 24 maggio 2011Parma, 30 agosto 2011Parma, settembre 2011Roma, 23 ottobre 2012Parma, febbraio 2013Parma, aprile 2013 Rangoon, agosto 2013Parma, 17 ottobre 2013Parma, 18 ottobre 2013

RendicontoINTERROGAZIONI

MOZIONI

Grazie

PostfazioniSandra ZampaLe nostre serate di amicizia e democraziaVanna IoriQuei sentieri comuni

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Quasi un bilanciodi una vita

privata e pubblicada Boretto a Rangoon

narratain questo libro

stampato nel carattere Simoncini Garamonda cura di PDE Spa

presso la tipografia La Stamperia s.r.l. di Parmanell’ottobre dell’anno

duemilatredici

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Titoli pubblicati nella collana Stati di luogo

Mario RinaldiLa bottega di Aldo (2013)

(a cura di) Aberto Ferraboschi e Olga RagazziDalla vecchia Reggio al mondo nuovo. Economia, società e primo socialismo a ReggioEmilia 1886-1901 (2010)

(a cura di) Mara Pellegrino, Dimma Spaggiari e Rina SpagniReggio Emilia: femminile plurale. Storie di donne che fanno e organizzano che creano e in-ventano (2010)

Raffaella GovoniIl cardinale Domenico Toschi. Da Castellarano a Roma 1535-1620 (2009)

Sandro ChesiPietro Marazzi: un capitano dei... miracoli. Dalla “fabbrica di cartone” all’impero ceramico(2009)

(a cura di) Paola Artoni, Cristian Fabbi e Alessandro Piantoni Parole senza lettere: un percorso didattico sperimentale sui disturbi specifici di ap-prendimento (2008)

Gabriele FranceschiIl ponte delle maravegie (2008)

Carlo PagliariniRacconti: radici e memorie di un santilariese (2008)

Sauro MattarelliRomagna Graffiti (2008)

Carla GandolfiIn viaggio con Luigi (2007)

Ludovico TestaLa vita è lotta: storia di un comunista emiliano (2007)

(a cura di) Gabriella Bonini e Antonio CanoviNarrazioni intorno a Filippo Re: ritratto poliedrico di uno scrittore scienziato (2006)

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€ 19,00

ISBN 978-88-8103-814-5